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LA
FORMAZIONE
ESPERIENZIALE


E


LA
METODOLOGIA
OUTDOOR










A
cura
di:

dott.
Flavio
Chikhani

dott.
Giuseppe
Rolli











 1

INDICE










1‐
La
Formazione
Esperienziale




1.1
Metodologie
di
apprendimento
dell’adulto

1.2
L’aspetto
psicologico
dell’apprendimento
degli
adulti


1.3
La
responsabilizzazione
individuale
e
la
facilitazione
nel
processo
di
apprendimento

1.4
La
motivazione
ad
apprendere

1.5
La
valorizzazione
delle
esperienze
personali
e
professionali

1.6
La
trasferibilità
della
formazione
alle
prestazioni
lavorative

1.7
Il
modello
andragogico
e
le
metodologie
esperienziali




2­
Elementi
Caratteristici
di
un
Intervento
Outdoor


2.1
Metaphoric
Experiential
Learning

2.2
Scelta
e
costruzione
della
metafora
formativa

2.3
La
scelta
della
location

2.4
Il
grado
di
stress

2.5
La
natura
e
la
sequenza
dei
compiti

2.6
Briefing,
Playing
e
processi
di
Debriefing

2.7
Metodologie
e
tecniche
di
debriefing


3
­
La
metodologia
Outdoor


3.1
Outdoor
Small
Techniques
–
OST

3.2
Campi
Outdoor
Preimpostati
–
COP

3.3
Outdoor
Training
–
OT

3.4
Outdoor
Management
Training
–
OMT



 2

1
La
formazione
esperienziale




Nella
 formazione
 degli
 adulti,
 il
 detto
 che
 “s’impara
 a
 fare,
 facendo”,
 è
 alla
 base
 delle

Experiential
 Learning.
 Gli
 interventi
 di
 formazione
 esperienziale,
 quindi
 di
 apprendimento

tramite
 esperienza,
 consentono
 di
 osservare
 le
 attitudini,
 di
 sviluppare
 le
 capacità
 e
 di

acquisire
o
modificare
gli
atteggiamenti
individuali,
presi
sia
singolarmente,
sia
in
contesti
di

gruppo.


Fare
 formazione
 esperienziale
 vuol
 dire,
 progettare
 e
 gestire
 un
 ambiente
 fisico
 ed
 uno
 spazio

mentale
 in
 cui
 le
 persone
 possono
 interagire
 liberamente
 e
 condividere
 delle
 esperienze

cognitive,
 emotive
 e
 fisiche,
 direttamente
 o
 analogicamente
 correlate
 all’apprendimento
 di

conoscenze,
capacità
e
atteggiamenti
utili
per
il
miglioramento
delle
prestazioni
lavorative.


La
 formazione
 esperienziale
 spinge
 il
 discente
 ad
 una
 riflessione
 critica
 sui
 propri
 assunti,

sulle
 idee,
 sulle
 prospettive
 e
 sui
 valori
 culturali
 che
 tradizionalmente
 influenzano
 la
 sua

visione
 del
 mondo,
 il
 suo
 atteggiamento
 e
 quindi,
 il
 suo
 comportamento,
 aiutandolo
 ad

“apprendere
 ad
 apprendere”.
 Le
 persone
 sono
 stimolate
 a
 fronteggiare
 l’incertezza

dell’ambiente
 esterno
 mediante
 la
 propria
 creatività,
 tenacia
 e
 perseveranza
 mantenendo

sempre
 la
 concentrazione
 sugli
 obiettivi
 da
 perseguire.
 Il
 ruolo
 del
 formatore,
 in
 questo

contesto,
è
quello
del
facilitatore
di
apprendimento;
affiancare
il
discente
nella
ricostruzione

delle
 esperienze
 vissute,
 condividere
 gli
 elementi
 postivi
 e
 negativi
 delle
 dinamiche
 del

processo
esperienziale,
formalizzare,
infine,
i
comportamenti
vincenti
e
quelli
da
migliorare.

La
formazione
esperienziale
mette
al
centro
del
processo
di
apprendimento
l’esperienza
reale

dell’individuo,
 stimolando
 la
 riflessione,
 la
 validazione
 e
 l’interiorizzazione
 dei
 modelli

cognitivi
e
dei
comportamenti
efficaci.

Nel
 realizzare
 attività
 didattiche
 rivolte
 agli
 adulti,
 lo
 strumento
 ed
 il
 modello
 esperienziale

risulta
essere
particolarmente
efficace
in
quanto
in
linea
con
quelle
che
sono
le
necessità
e
le

peculiarità
del
soggetto
adulto
che
apprende
messe
in
luce
dal
modello
andragogico.




1.1
Metodologia
di
apprendimento
dell’adulto

Le
particolari
esigenze
dell’adulto
che
apprende,
hanno
portato
allo
sviluppo
ed
alla
adozione

di
un
modello
definito
andragogico,
articolato
su
alcune
variabili:




• L’aspetto
psicologico
dell’apprendimento
degli
adulti;

• La
responsabilizzazione
individuale
e
la
facilitazione
nel
processo
di
apprendimento;

• Le
motivazioni
ad
apprendere;

• La
valorizzazione
delle
esperienze
personali
e
professionali;

• La
trasferibilità
della
formazione
alle
prestazioni
lavorative.


1.2
L’aspetto
psicologico
dell’apprendimento
degli
adulti


L’adulto
è
una
persona
con
una
consolidata
struttura
dell’esperienza,
della
conoscenza
e
degli

schemi
mentali;
ogni
processo
di
apprendimento
passa
attraverso
la
condizione
dell’errore,
e

gli
 adulti,
 caratterizzati
 da
 notevole
 orgoglio
 individuale,
 generalmente
 subiscono
 questa

condizione
 in
 modo
 personale
 con
 ripercussioni
 negative
 sull’autostima
 e
 sulla
 fiducia
 nelle

proprie
possibilità.

È
 compito
 del
 docente
 supportare
 la
 partecipazione
 degli
 adulti,
 sia
 mediante
 l’adozione
 di

uno
 stile
 facilitativo
 e
 avalutativo,
 che
 attraverso
 la
 gestione
 delle
 relazioni
 interpersonali
 e

del
 clima
 dell’aula.
 Ciò
 che
 emerge
 è
 che
 l’adulto
 deve
 sentirsi
 psicologicamente
 al
 sicuro
 e

libero
 di
 pensare
 e
 di
 sbagliare
 senza
 il
 timore
 di
 essere
 ridicolizzato
 o
 valutato

negativamente.



 3


1.3
 La
 responsabilizzazione
 individuale
 e
 la
 facilitazione
 nel
 processo
 di

apprendimento




Gli
 adulti
 sono
 essenzialmente
 persone
 autonome
 ed,
 in
 quanto
 tali,
 dovrebbero
 essere
 in

grado
di
regolare,
più
o
meno
autonomamente,
le
modalità
ed
i
tempi
del
loro
apprendimento;

questo
 perché,
 tendenzialmente,
 dotati
 di
 maggiore
 autodisciplina
 rispetto
 ai
 bambini.
 Per
 i

motivi
 appena
 esposti,
 l’adulto
 dovrebbe
 essere
 lasciato
 libero
 di
 determinare

autonomamente
 intensità
 e
 ritmo
 dell’apprendimento,
 ciò
 è
 possibile
 destrutturando

l’articolazione
dei
contenuti
formativi,
favorendo,
facilitando
ed
affiancando
il
discente
adulto

nell’orientamento
verso
il
proprio
percorso.

Il
coinvolgimento
attivo
del
discente
adulto
si
ottiene
inizialmente
con
la
presa
di
coscienza,

da
parte
dello
stesso,
del
proprio
fabbisogno
formativo;
ciò
che
il
soggetto
deve
razionalizzare

è
perché
ha
bisogno
di
sapere.
Un
primo
passo
che
il
formatore/facilitatore
può
compiere
in

questa
direzione,
è
somministrare
un
test
all’aula
in
cui
sono
raccolte
le
aspettative,
le
attese
e

gli
obiettivi
di
apprendimento.
Il
massimo
della
partecipazione
attiva
dell’adulto
avverrebbe

se
 fosse
 messo
 in
 grado
 di
 partecipare
 alla
 progettazione
 ed
 alla
 pianificazione
 del
 proprio

processo
formativo;
il
coinvolgimento
del
discente
potrebbe
essere
richiesto
anche
in
merito

alla
 scelta
 delle
 metodologie
 di
 erogazione
 e
 degli
 strumenti
 di
 valutazione
 della
 propria

attività
didattica.

È
evidente
che
le
teorie
dell’apprendimento
degli
adulti
spostano
il
baricentro
del
processo
di

apprendimento
dal
docente
al
discente,
trasformando
il
primo
in
un
“facilitatore
di
processo”

oltre
che
ovviamente,
esperto
nei
contenuti
formativi.




1.4
Le
motivazioni
ad
apprendere




L’apprendimento
degli
adulti
si
basa
sulla
motivazione
dell’individuo
nella
partecipazione
al

processo
formativo
e
risiede
nell’interesse
e
nel
beneficio
individuale
che
la
persona
si
aspetta

di
trarre
dal
corso.

Fondamentale
 per
 il
 docente
 è
 individuare
 immediatamente,
 sia
 le
 attese
 che
 gli
 adulti

manifestano
 nella
 partecipazione
 al
 corso,
 sia
 ciò
 che
 è
 rilevante
 e
 significativo
 rispetto
 a

bisogni
e
desideri
di
apprendimento;
così
facendo
riesce
prontamente
a
ridefinire
e
riallineare

le
attese
dei
partecipanti
con
gli
obiettivi
della
formazione.




1.5
La
valorizzazione
delle
esperienze
personali
e
professionali




Gli
 adulti
 sono
 persone
 in
 possesso
 di
 un
 ricco
 bagaglio
 di
 esperienze
 e
 conoscenze,

alimentato
negli
anni;
il
docente
deve
essere
in
grado
di
riconoscere
un
simile
background
e
di

saperlo
valorizzare
ed
utilizzare
ai
fini
dell’apprendimento.

Essendo
 presente
 questo
 importante
 bagaglio
 di
 conoscenze
 ed
 esperienze
 pregresse,
 le

nuove
informazioni
sono
costantemente
relazionate
con
le
esperienze
passate;
il
docente
per

facilitare
l’apprendimento
deve
prestare
attenzione
a
tempi
e
modalità
di
questo
processo
di

affiancamento
 e
 integrazione
 delle
 conoscenze,
 aiutando
 il
 discente
 a
 focalizzare
 i
 punti
 di

connessione,
 riepilogando
 costantemente
 i
 nuovi
 “passi
 conoscitivi”,
 valorizzando
 la
 valenza

applicativa
e
risolutiva
nei
contesti
di
lavoro.




1.6
La
trasferibilità
della
formazione
alle
prestazioni
lavorative




Gli
 adulti
 sono
 persone
 pragmatiche,
 per
 questo
 nella
 progettazione
 occorre
 progettare
 ed

orientare
 l’attività
 didattica
 ad
 obiettivi
 di
 apprendimento
 strettamente
 correlati
 al

miglioramento
della
prestazione
lavorativa.



 4

L’apprendimento
 degli
 adulti
 deve
 esaltare
 continuamente
 la
 valenza
 applicativa
 e
 la

trasferibilità
 dei
 contenuti
 teorici
 alla
 pratica
 professionale.
 Per
 soddisfare
 il
 bisogno
 di

immediata
applicazione
delle
conoscenze
alla
prassi
reale,
il
docente
deve:




• Valorizzare
gli
aspetti
applicativi
delle
nuove
conoscenze,
mettendole
in
relazione
alle

esperienze
dei
discenti;

• Affiancare
il
discente
nella
realizzazione
di
un
piano
di
azione
relativo
all’applicazione

in
azienda
delle
conoscenze
acquisite;

• Condividere
i
progetti
personali
di
sviluppo
attraverso
lavori
di
gruppo;


Al
 termine
 del
 corso,
 supportare
 il
 discente
 nell’applicazione
 delle
 conoscenze
 acquisite

attraverso
programmi
di
tutorship,
coaching,
follow­up.

Il
trasferimento
dell’apprendimento
al
contesto
lavorativo
e/o
personale,
è
il
primo
successo

dell’attività
formativa.




1.7
Il
modello
andragogico
e
le
metodologie
esperienziali




Il
 modello
 andragogico,
 dunque,
 pone
 al
 centro
 del
 processo
 di
 apprendimento
 dell’adulto

l’esperienza,
 non
 solo
 il
 recupero
 di
 quella
 passata,
 ma
 anche
 la
 realizzazione
 di
 nuove.
 La

prospettiva
di
M.
Knowles
evidenzia
come
l’apprendimento
degli
adulti
richieda
un
approccio

metodologico
 orientato
 a
 massimizzare
 il
 coinvolgimento
 dell’individuo
 nell’esperienza

formativa.
 Il
 discente
 apprende
 meglio
 se
 stimolato
 in
 tutte
 le
 dimensioni
 in
 cui
 può

esprimere
la
propria
soggettività:
intellettuale,
emotiva
e
fisica.

Apprendere
 “da”
 e
 “attraverso”
 l’esperienza
 vuol
 dire
 ancorare
 a
 vissuti
 psico/emotivi

l’acquisizione
 di
 nuova
 conoscenza,
 mediante
 un’attività
 di
 riflessione
 critica.
 In
 termini

metodologici,
 si
 pone
 grande
 enfasi
 sulle
 modalità
 attive,
 sul
 bilanciamento
 tra
 le
 logiche

induttive
e
deduttive
del
processo
di
apprendimento.




Lavora
con
le
esperienze
pertanto
richiede
di
alternare:




• Momenti
 “induttivi”,
 di
 riflessione
 e
 valutazione
 delle
 esperienze
 e
 delle
 realtà

aziendali,
 alla
 ricerca
 di
 principi
 di
 elaborazione,
 d’ipotesi
 interpretative
 e
 di

concettualizzazione
dell’esperienza;

• Momenti
“deduttivi”,
di
utilizzo
delle
logiche
e
delle
regole
trovate,
per
interpretare
le

esperienze
passate
e
per
sperimentare
e
pianificare
comportamenti
futuri;
innescando

così
il
passaggio
dalla
teoria
alla
pratica.




Il
lavoro
sulle
esperienze
aiuta
a
sviluppare
alcune
competenze
trasversali
di
osservazione
di

ascolto,
di
analisi,
di
pensiero
critico,
di
pianificazione
ed
implementazione
dell’azione;
tutte

capacità
diffusamente
richieste
nell’attuale
contesto
manageriale.


In
 sostanza,
 nella
 formazione
 manageriale,
 non
 bisogna
 tanto
 lavorare
 sulla
 modellazione

deduttiva
 del
 comportamento
 individuale,
 quanto
 sulla
 riproduzione
 analogica
 della

complessità
 degli
 ambienti
 aziendali,
 con
 attività
 di
 formazione
 che
 rispecchino
 le

caratteristiche
del
lavoro
e
le
competenze
ad
esso
associate;
il
tutto
con
approccio
induttivo.




2
Elementi
Caratteristici
di
un
Intervento
Outdoor




Prima
di
illustrare
alcune
delle
tecniche
con
cui
è
possibile
realizzare
interventi
di
formazione

esperienziale
outdoor,
è
opportuno
un
chiarimento
prettamente
linguistico.

Per
attività
outdoor
s’intendono
tutte
quegli
interventi
di
formazione
che
applicano
modelli
di

apprendimento
esperienziale
e
che
sono
realizzati
fuori
dall’aula,
all’aria
aperta.



 5

Questo
 capitolo
 indaga
 quelli
 che
 possono
 essere
 definiti
 gli
 elementi
 imprescindibili
 di
 un

efficace
 intervento
 di
 formazione
 esperienziale
 outdoor.
 L’elemento
 che
 coinvolge
 tutta
 la

progettazione
dell’esperienza
è
la
metafora
utilizzata.
Da
ciò
deriva
la
scelta
della
location,
del

livello
di
stress
da
conferire
alle
singole
attività
e
la
natura
e
sequenza
dei
compiti.


Successivamente
potranno
essere
illustrate
le
metodologie
relative
al
briefing,
al
playing
ad
al

debriefing.




2.1
Metaphoric
Experiential
Learning




La
 metafora
 è
 una
 figura
 linguistica
 retorica
 per
 la
 quale
 si
 attribuisce
 ad
 un
 vocabolo
 un

significato
 diverso
 da
 quello
 per
 cui
 è
 convenzionalmente
 inteso,
 in
 base
 ad
 un
 rapporto
 di

similitudine.

La
 metafora
 lavora
 sulle
 analogie,
 sulla
 sovrapposizione
 tra
 la
 fonte
 di
 comparazione
 e

l’oggetto
analogo,
tenendo
presente
però
che
un’attività
immaginativa
è
efficace
se
i
termini

comparati
non
siano
totalmente
vicini
o
distanti
nel
significato
figurato.

L’utilizzo
 della
 metafora
 nei
 processi
 formativi
 è
 un
 potente
 strumento
 di
 strutturazione
 e

potenziamento
 dell’apprendimento,
 in
 quanto,
 riconosce
 e
 valorizza
 il
 funzionamento
 del

cervello
 che
 costruisce
 continuamente
 connessioni
 e
 associazioni,
 percependo
 e
 ricordando

meglio
eventi
nuovi
ed
inusuali.

L’apprendimento
per
metafora
può
realizzarsi,
sia
trovandone
e
sostenendone
una
in
grado
di

contenere
e
veicolare
al
meglio
i
contenuti
della
formazione,
sia
facendo
vivere
un’esperienza

reale
 in
 un
 contesto
 simbolico
 che
 riproduca
 le
 stesse
 dinamiche
 comportamentali

dell’ambiente
lavorativo.
Nelle
metafore
esperienziali,
il
lavoro
analogico
si
basa
sul
rapporto

di
 somiglianza
 tra
 gli
 elementi
 costitutivi
 degli
 oggetti
 della
 comparazione
 e
 sulla
 capacità

intuitiva
 ed
 immaginativa
 dei
 soggetti
 coinvolti,
 di
 interpretare
 il
 suddetto
 rapporto.
 La

sovrapposizione
parziale
tra
i
due
ambiti,
quello
metaforico
e
quello
reale,
organizzativo,
è
in

grado
 di
 produrre
 e
 stimolare
 significati
 ed
 emozioni
 figurate
 fortemente
 impresse
 nella

mente
degli
individui.
Infatti,
l’apprendimento
veicolato
dall’attività
metaforica
è
in
grado
di:




• Rinforzare
 il
 ragionamento
 analogico
 dei
 partecipanti,
 avvicinando
 contesti

apparentemente
distinti
e
stimolando
nuovi
modi
di
pensare;

• Creare
un
significato
contestuale
e
sociale
dell’identità
del
gruppo;

• Stimolare
in
termini
cognitivi
la
creatività
e
l’immaginazione
sociale;

• Facilitare
 il
 cambiamento
 cognitivo,
 orientando
 e
 guidando
 il
 comportamento

organizzativo
nelle
fasi
di
transizione
e
di
sviluppo;

• Raccogliere,
elaborare,
rinforzare,
spiegare
e
diffondere
la
conoscenza
esistente.




Per
quanto
riguarda
gli
interventi
di
formazione
esperienziale
che
utilizzano
la
metodologia

dell’outdoor
e
che
sono
progettati,
quindi,
in
termini
metaforici,
si
individua
come
obiettivo
di

apprendimento,
 principalmente,
 lo
 sviluppo
 degli
 individui
 e
 dei
 gruppi.
 Le
 metafore

esperienziali
stimolano:




• La
socializzazione
ed
il
miglioramento
del
clima
aziendale;

• Lo
sviluppo
della
fiducia,
sia
al
livello
intrafunzionale,
che
interfunzionale;

• La
consapevolezza
di
sé
ed
il
cambiamento
comportamentale;

• La
collaborazione
e
le
comunicazioni
interpersonali;

• Le
capacità
di
action
planning,
goal
setting,
problem
solving
e
decision
making;

• La
creazione,
la
gestione
e
lo
sviluppo
dei
gruppi
di
lavoro;

• Gli
stili
di
leadership
nelle
organizzazioni;

• La
gestione
dell’incertezza
e
del
cambiamento;

• La
gestione
dello
stress;

• Lo
sviluppo
della
creatività
e
dell’innovazione;


 6

• La
propensione
la
capacità
di
assunzione
del
rischio.




Le
 potenzialità
 formative
 del
 sistema
 appena
 esposto
 sono
 un
 risultato
 comunemente

raggiunto
 dalle
 attività
 incentrate
 sul
 metaphoric
 experiential
 learning
 in
 quanto
 le
 persone

sono
calate
in
un
contesto
nuovo,
con
compiti
originali
e
competenze
inusuali
da
mettere
in

campo.
 Essendo
 attività
 incentrate
 su
 diverse
 dimensioni
 (fisica,
 psicologica,
 intellettuale,

sociale,
 ecc.),
 gli
 interventi
 esperienziali
 producono
 stimoli
 diversi
 e
 complementari
 sulle

intelligenze
 multiple
 degli
 individui,
 creando
 le
 miglior
 condizioni
 per
 l’apprendimento

individuale,
 ognuno
 in
 funzione
 del
 proprio
 stile.
 La
 formazione
 esperienziale
 metaforica

supporta
l’apprendimento
in
tutte
e
tre
le
dimensioni
in
cui
è
tradizionalmente
disaggregato,

ossia,
cognitivo,
affettivo
e
psicologico.

Le
attività
consentono
lo
sviluppo
delle
capacità
cognitive,
in
quanto,
esercitano
le
operazioni

di
conoscenza
e
comprensione
del
compito
da
svolgere,
facilitando
le
attività
di
analisi,
sintesi,

valutazione
 ed
 autovalutazione
 del
 lavoro
 svolto
 e
 del
 processo
 realizzato.
 In
 termini

cognitivi,
 le
 attività
 esperienziali
 sviluppano
 prevalentemente
 la
 conoscenza
 procedurale
 e

tacita
sulle
modalità,
opportunità
e
circostanze
di
utilizzo
delle
capacità
possedute.

Dal
 punto
 di
 vista
 affettivo,
 l’apprendimento
 sollecitato
 riguarda
 la
 consapevolezza
 delle

proprie
 emozioni
 e
 delle
 dinamiche
 psicologiche
 delle
 attività
 svolte;
 la
 capacità
 di

discriminare
le
diverse
possibili
cause.


Nelle
 esperienze
 metaforiche,
 viene
 evocata
 un’ampia
 serie
 di
 emozioni:
 paura
 o
 ansia
 di

affrontare
una
sfida,
un
compito
percepito
come
rischioso
o
pericoloso;
frustrazione
o
rabbia

di
non
essere
ascoltati
dal
gruppo
o
di
non
poter
chiedere
autonomia
decisionale;
entusiasmo

o
 soddisfazione
 per
 il
 raggiungimento
 degli
 obiettivi.
 Nella
 progettazione
 delle
 attività

esperienziali
 occorre
 tener
 presente
 che
 la
 vulnerabilità
 e
 l’intensità
 emotiva,
 sono

direttamente
 correlate
 al
 livello
 di
 stress,
 per
 cui
 è
 necessario
 contenerle
 per
 evitare

demotivazione
 e
 non
 partecipazione
 alle
 attività.
 Da
 un
 altro
 punto
 di
 vista,
 non
 bisogno

dimenticare
 che,
 la
 dimensione
 emotiva
 aiuta
 a
 mantenere
 alta
 l’attenzione
 ed
 a
 far

permanere
l’apprendimento
nel
lungo
termine.




Di
seguito
sono
illustrati
i
momenti
che
caratterizzano
la
progettazione
e
la
realizzazione
di

un
intervento
esperienziale
metaforico:




• La
scelta
e
la
costruzione
della
metafora;

• La
scelta
della
location;

• Il
grado
di
stress;

• La
natura
e
la
sequenza
dei
compiti.




2.2
Scelta
e
costruzione
della
metafora
formativa




Nella
scelta
e
nella
costruzione
della
metafora
esperienziale
occorre
progettare
un’iniziativa

in
grado
di
riprodurre
le
necessarie
analogie
con
l’ambiente
lavorativo,
con
le
regole,
lo
stile

di
leadership,
l’atmosfera,
il
clima
e
la
cultura
aziendale.

Per
poter
far
ciò
è
necessario
predisporre
ed
effettuare
un’accurata
analisi
dei
fabbisogni
di

apprendimento;
la
metafora
ha,
infatti,
il
compito
di
costruire
connessioni
e
associazioni
tra
le

attività
esperenziali
e
gli
obiettivi
di
apprendimento.

Per
creare
una
metafora
formativa
occorre
focalizzarsi
sui
contenuti
dell’iniziativa
didattica.
Il

progettista
 può,
 inizialmente,
 individuare
 una
 serie
 di
 diverse
 metafore
 sulle
 quali
 sia

possibile
 sviluppare
 il
 contenuto,
 globale
 o
 parziale,
 dell’intervento
 formativo.

Successivamente
deciderà
quale
metafora
implementare
e
quale
escludere.

Sviluppata
l’idea
metaforica,
occorre
disaggregare
anche
questa
nei
suoi
elementi
costitutivi

per
 confrontarli
 con
 quelli
 degli
 obiettivi
 formativi
 che
 si
 vogliono
 perseguire;
 questo



 7

accostamento
 ha
 lo
 scopo
 di
 creare,
 individuare
 e
 rafforzare
 eventuali
 associazioni,

similitudini
connessioni
da
utilizzare
in
termini
esperienziali.




Per
 meglio
 intendere
 quali
 siano
 i
 passaggi
 concreti
 che
 il
 progettista
 di
 formazione
 deve

percorrere
 al
 fine
 di
 creare
 la
 metafora
 adatta
 alla
 specifica
 problematica,
 è
 opportuno

introdurre
il
caso
di
una
ipotetica
azienda
Y.


Ciò
su
cui
l’azienda
Y
deve
intervenire
sono
quattro
elementi:
il
cambiamento,
la
diversità,

l’antagonismo
 e
 la
 scarsa
 comunicazione
 interfunzionale.
 Sintetizzati
 questi
 parametri,
 si

affronta
un
“brain
storming
metaforico”
con
il
seguente
risultato:




1. Cambiamento:
 passaggio,
 percorso,
 trasformazione,
 modificazione,
 sviluppo,

elaborazione,
mutazione,
paura
dell’ignoto,…

2. Diversità:
 sesso,
 sociale,
 aziendale,
 identità
 e
 storia
 aziendale,
 modi
 di
 dire,
 di

lavorare,
di
comunicare
gergo
tecnico,
diversità
di
potere,
di
reddito
di
status,…

3. Antagonismo:
 non
 collaborazione,
 competizione,
 avversità,
 inimicizia,
 non

comunicazione,
antipatia,
critiche
distruttive,
lotte
di
potere…

4. Scarsa
 comunicazione:
 disinteresse,
 deresponsabilizzazione,
 ostruzionismo,

opportunismo,
diversità,
adverse
selection.


Obiettivi
ipotetici
del
processo
di
sviluppo:
miglioramento
del
clima
e
della
comunicazione.


La
 metafora
 che
 deve
 essere
 creata
 ha
 lo
 scopo
 quindi
 di
 far
 apprendere
 e
 percepire
 il

processo
di
cambiamento
e
integrazione
senza
far
rinnegare
il
passato
e
le
identità
pregresse.

Dal
 brain
 storming
 supponiamo
 derivi
 lo
 spunto
 per
 sintetizzare
 un
 insieme
 di
 parole
 e

concetti
 rappresentativi
 della
 metafora
 che
 si
 deve
 creare:
 diversità,
 percorso,
 paura

dell’ignoto,
identità,
storia,
collaborazione.

Con
queste
parole
in
mente
si
tenta
di
progettare
un
intervento
che
unisca
metaforicamente
la

valorizzazione
 dell’identità
 e
 della
 diversità
 con
 la
 necessità
 della
 collaborazione.
 Inoltre,

l’intervento,
dovrebbe
essere
in
grado
di
far
vivere
un
percorso,
che
procedesse
dalle
storie,

dalle
esperienze
aziendali,
attraverso
la
paura
dell’ignoto
ed
arrivasse
ad
un
approdo
sicuro.

Formalizzato
 il
 contenuto
 metaforico
 del
 processo
 esperenziale,
 attraverso
 la
 tecnica
 delle

associazioni
libere,
si
procede
per
associare
le
parole
chiave
sopra
individuate
ad
altrettante

idee;
il
risultato
potrebbe
essere
il
seguente:


DIVERSITA’:
 “…
 ogni
 azienda
 parte
 da
 una
 storia
 diversa
 per
 arrivare
 la
 gruppo
 aziendale;

bagaglio
 culturale,
 identità
 storia;
 nella
 cultura
 fluiscono
 le
 storie;
 simboli,
 miti
 e
 valori

producono
cultura…”.

PERCORSO
“…
è
un
cammino,
fatto
insieme,
con
qualcuno
o
da
soli;
un
percorso
conduce
ad

una
meta;
un
percorso
è
la
strada
di
un
progetto;
passo
dopo
passo;
strada,
sentiero…”.

PAURA
 DELL’IGNOTO
 “…
 ignoto
 è
 ciò
 che
 non
 si
 conosce,
 che
 non
 si
 capisce,
 che
 sfugge
 dai

nostri
senti;
qualcosa
in
cui
i
sensi
sono
limitati
a
percepire
a
comprendere;
qualcosa
che
ti

avvolge
come
il
buio,
l’oscurità…”.

IDENTITA’,
 DIVERSITA’
 E
 COLLABORAZIONE:
 “…
 sebbene
 diversi,
 si
 può
 collaborare,
 ma
 la

diversità
non
aiuta
la
collaborazione.
L’identità
produce
diversità;
la
collaborazione
vuol
dire

lavorare
con
qualcuno,
ma
è
possibile
lavorare
con
qualcuno
con
cui
non
si
ha
quasi
nulla
in

comune?
Cosa
può
unire
due
diversità?”


Le
 libere
 associazioni
 così
 create,
 costituiscono
 la
 base
 sulla
 quale
 iniziare
 a
 sviluppare
 una

serie
di
metafore
da
porre
a
tema
dell’intervento.
Ovviamente
tutte
le
proposte
metaforiche

dovevano
risultare
analoghe
alle
idee
chiave
ed
alle
disgregazioni
proposte.



 8

La
prima
metafora
proposta
è
quella
del
“fiume”.
Il
concetto
del
fiume
richiama
qualcosa
che

proviene
 da
 lontano,
 che
 trova
 arricchimento
 dal
 suo
 percorso,
 nutrendosi
 di
 notevoli

affluenti,
 di
 tante
 acque
 provenienti
 da
 posti
 diversi,
 da
 terre
 diverse,
 mantiene
 una
 sua

identità
e
si
trasforma
in
mare.

Un
 seconda
 proposta
 è
 il
 “puzzle”.
 Il
 puzzle
 è
 composto
 da
 tanti
 pezzi,
 ognuno
 diverso
 per

forma
 e
 colore,
 ma
 ognuno
 necessario
 per
 completare
 il
 tutto.
 Il
 tutto
 non
 è
 niente
 anche

senza
solo
uno
degli
elementi;
ogni
pezzo
ha
un
posto
giusto
dove
essere
collocato”.

Il
“patchwork”,
un
composto
di
tanti
pezzi,
diversi
e
ben
distinguibili,
di
natura
colore
e
forma

diversa.
A
seconda
del
gusto
di
chi
lo
compone,
diventa
un’unica
opera.

Un’altra
 metafora
 è
 la
 “casa”,
 questo
 perché
 per
 costruirla
 è
 necessario
 un
 progetto,
 delle

fondamenta,
 del
 lavoro,
 dei
 collaudi.
 L’integrazione
 pianificata
 di
 tutti
 i
 contributi
 serve
 ad

erigere
la
costruzione.

L’ultima
proposta
metaforica
è
“l’arcobaleno”,
in
quanto,
composto
da
tante
strisce
colorate,

diverse,
ma
che
camminano
nella
stessa
direzione,
con
un
inizio
ed
una
fine.
Indica
un
punto

di
arrivo.

Dal
 punto
 di
 vista
 formativo,
 strutturare
 un’unica
 attività
 che
 comprende
 tutte
 le
 metafore

proposte,
 renderebbe
 molto
 complesse
 le
 fasi
 di
 debriefing.
 Per
 questo
 motivo
 si
 preferisce

costituire
un
progetto
formato
da
tante
piccole
attività,
integrando
più
metafore,
ognuna
delle

quali
potrebbe
intervenire
su
di
uno
specifico
aspetto
relativo
agli
obiettivi.

Ed
 è
 in
 base
 alle
 motivazioni
 metodologiche
 appena
 esposte
 che,
 in
 relazione
 al
 caso

dell’ipotetica
 azienda
 Y,
 si
 potrebbe
 decidere
 di
 utilizzare
 la
 metafora
 dell’orienteering
 in

campagna
 per
 poter
 lavorare
 sul
 concetto
 di
 strada,
 di
 percorso
 di
 orientamento,
 di
 nuovo

sentiero
da
trovare
all’interno
del
contesto
che
cambia.


Proprio
 perché
 il
 concetto
 di
 cambiamento
 è
 fondamentale
 in
 questo
 caso
 reale,
 potrebbe

essere
efficace,
far
intraprendere
il
percorso
di
notte,
in
quanto,
il
buio
simboleggia
la
paura

dell’ignoto.


I
gruppi
partecipanti
all’orienteering
avrebbero
tutti
punti
di
partenza
diversi,
questo
serve
a

valorizzare
la
storia
di
ogni
azienda
prima
della
partenza.
Si
potrebbe
inoltre
proporre
di
far

portare
nello
zaino,
degli
oggetti
rappresentanti
la
propria
identità
organizzativa.

Quest’ultimo
 punto
 ha
 sia
 lo
 scopo
 di
 far
 vivere
 il
 peso
 della
 storia
 passata
 nel
 processo
 di

cambiamento,
 processo
 che
 nell’outdoor
 è
 rappresentato
 dalla
 camminata
 notturna,
 sia

l’intento
 di
 far
 rielaborare
 al
 termine
 dell’intervento,
 una
 analisi
 dei
 valori
 delle
 persone

mediante
una
rappresentazione,
una
composizione,
nello
specifico
il
patchwork,
che
unisce
le

diversità
(i.e.
gli
oggetti
portati
nello
zaino),
in
un’opera
comune.

Per
rinforzare
e
richiamare
continuamente
le
ideologie
alla
base
dell’intervento,
si
potrebbero

far
intersecare
più
volte
compiti
e
gruppi,
allo
scopo
di
mettere
in
atto
un
rimescolamento
dei

gruppi
 nelle
 diverse
 attività
 rendendo
 così
 necessaria,
 ai
 fini
 dei
 giochi,
 l’aggregazione
 e

l’integrazione
delle
diverse
prospettive.


Al
 termine
 dell’intervento
 si
 potrebbe
 far
 scrivere
 e
 mettere
 in
 scena,
 con
 l’ausilio
 di
 attori

professionisti,
 la
 storia
 dell’azienda,
 dell’avventura
 formativa,
 e
 degli
 avvenimenti
 goliardici

avvenuti
 durante
 i
 tre
 giorni
 di
 formazione.
 L’attività
 è
 volta
 al
 rafforzamento
 ed
 al

consolidamento
delle
esperienze
effettuate
e
della
loro
valenza
trasformativa.

Il
progetto
non
si
conclude
con
il
rientro
in
sede
dei
partecipanti,
ma
un
mese
dopo
l’outdoor

si
 prevede
 una
 sessione
 di
 follow
 up
 arricchita
 oltre
 che
 dalla
 raccolta
 dei
 feedback,
 da
 una

lezione
 frontale
 sulla
 comunicazione
 interpersonali
 e
 sulle
 relazioni
 interfunzionali;
 la

sessione
prevede
ovviamente
le
restituzione
dei
feedback
alla
committenza.




2.3
La
scelta
della
location




Nella
 scelta
 della
 location
 occorre
 distinguere
 quelle
 metafore
 che
 richiedono

necessariamente
 un’ambientazione
 outdoor
 perché
 basate
 su
 attività
 sportive
 (rafting,


 9

canoing,
 orienteering,
 ecc.),
 o
 su
 giochi
 all’aperto
 (caccia
 al
 tesoro
 o
 soft
 air),
 da
 quelle
 che

possono
 essere
 svolte
 anche
 in
 un
 ambiente
 interno
 sufficientemente
 spazioso.
 Appare

evidente
che
la
scelta
di
una
specifica
metafora
vincola
la
scelta
della
location;
è
una
perdita
di

tempo
 progettare
 un’attività
 centrata
 su
 una
 metafora
 che
 necessariamente
 richiede
 una

location
esterna
quando
si
è
consapevoli
di
non
poterla
individuare
in
breve
tempo
o
quando

la
distanza,
ad
esempio,

la
rende
non
idonea
ai
vincoli
di
budget
disponibili.

Allo
scopo
di
orientare
la
decisione
sulla
tipologia
di
intervento
e
di
location,
si
prendono
in

considerazione
vantaggi
e
svantaggi
dell’outdoor
experiential
training
e
dell’indoor
adventure

training.

La
scelta
di
un
sito
esterno,
fuori
dalle
mura
dell’aula,
presenta
alcuni
svantaggi:




• L’incontrollabilità
del
clima;

• La
possibile
discriminazione
nell’attività
a
maggior
richiesta
fisica,
delle
persone
meno

allenate;

• Il
maggior
rischio
di
danno
fisico;

• Il
 rischio
 di
 spiazzamento
 delle
 finalità
 formative,
 dovuto
 al
 prevaricare
 della

dimensione
di
avventura.




Per
contro,
le
suddette
attività
esterne:




• Promuovono
la
creazione
di
memorie
permanenti,
promuovendo
l’apprendimento
ed
il

richiamo
successivo
delle
esperienze.

• Valorizzano
 la
 dimensione
 reale
 dell’apprendimento,
 attribuendo
 un
 sostanziale

elemento
di
novità
all’attività
formativa.

• Se
 l’ambientazione
 avviene
 in
 mezzo
 alla
 natura,
 producono
 benefici
 psicologici
 e

spirituali
contribuendo
al
raggiungimento
degli
obiettivi
formativi.




Gli
studi
di
Thomashow
sottolineano
che,
confrontarsi
con
l’ambiente
naturale
aiuta
ad
avere

dei
 punti
 fermi
 in
 un
 mondo
 in
 continuo
 cambiamento,
 calmando
 così
 molte
 ansie
 e

meccanismi
di
difesa.
Un’esperienza
a
contatto
stretto
con
la
natura
è
in
grado
di
indurre
un

forte
 senso
 di
 spiritualità
 che,
 sostituendo
 il
 contatto
 con
 la
 divinità,
 calma
 le
 paure

dell’impermanenza
del
genere
umano.
La
maestosità,
l’immensità
di
uno
spettacolo
naturale,

ricorda
 all’uomo
 la
 sua
 intrinseca
 debolezza
 e
 vulnerabilità,
 risveglia
 un
 senso
 di
 umiltà,

ridimensionando
manie,
ambizioni,
sete
di
fama
e
fortuna.
Le
frustrazioni
ed
i
fallimenti
della

vita
 quotidiana
 sembrano
 in
 questo
 modo,
 meno
 importanti;
 tutto
 ciò
 predispone
 meglio
 le

persone
 alle
 attività
 esperienziali
 permettendogli
 di
 aprirsi
 alla
 socializzazione
 ed

alla’apprendimento.

In
questi
termini
sembra
che
la
metodologia
outdoor
sia
l’unica
soluzione
accettabile
per
un

determinato
 tipo
 di
 contenuti
 formativi
 anche
 se
 la
 configurazione
 indoor,
 non
 comporta

necessariamente
la
perdita
della
componente
“avventura”,
elemento
privilegiato
dell’outdoor

experiential
learning.

Gli
 interventi
 di
 indoor
 adventure
 training
 consentono
 una
 progettazione
 ed
 uno
 stretto

controllo
 dei
 livelli
 di
 stress
 e
 della
 percezione
 del
 rischio
 psicologico;
 inoltre
 vi
 è
 un

abbattimento
del
rischio
derivante
dalle
condizioni
climatiche
e
dalle
possibili
discriminazioni

fisiche
dei
singoli
partecipanti.
Ciò
che
l’indoor
mantiene
in
comune
con
la
tipologia
outdoor
è

la
novità
del
contesto
in
cui
avviene
la
formazione,
le
sfide
individuali
e
di
gruppo
a
cui
si
è

sottoposti,
la
partecipazione
attiva
all’attività
di
sviluppo
ed
alla
risoluzione
dei
problemi.




2.4
Il
grado
di
stress




Nella
progettazione
delle
attività
esperenziali
occorre
valutare
il
grado
di
stress
che
i
diversi

interventi
 potrebbero
 arrecare
 ai
 partecipanti.
 Un
 giusto
 livello
 di
 stress
 produce
 stimoli


 10

appropriati,
 fattori
 che
 facilitano
 l’apprendimento
 ed
 un
 adeguato
 reclutamento
 nella

partecipazione
delle
persone;
si
tratta
in
quest’accezione
positiva
di
eustress.

Le
 metafore
 esperienziali
 devono
 aiutare
 ad
 uscire
 dalla
 routine,
 dalla
 monotonia
 formativa

senza
 suscitare
 paura
 o
 livelli
 elevati
 di
 ansia.
 Le
 paure
 più
 frequenti
 durante
 un
 evento
 di

formazione,
 sono
 relative
 alla
 perdita
 di
 immagine
 di
 fronte
 al
 gruppo
 a
 causa
 di
 eventuali

fallimenti
 nello
 svolgimento
 del
 compito;
 contestualmente
 potrebbe
 insorgere
 la
 paura
 di

perdere
 il
 controllo
 davanti
 ai
 propri
 colleghi
 e
 rivelare
 troppe
 cose
 di
 sé.
 In
 questo
 caso
 si

verificherebbe
un
distress,
ossia
uno
stress
negativo
che
andrebbe
a
destabilizzare
il
processo

di
apprendimento.

Le
 metafore
 devono
 servire
 per
 creare
 un’esperienza
 piacevole
 ed
 accattivante,
 non

minacciosa
o
imposta.
L’adulto
apprende
veramente
solo
quando
le
cose
che
percepisce
sono

viste
come
un
miglioramento
o
un
rafforzamento
della
struttura
di
sé.
Qualora
subentrasse
il

rischio
di
una
minaccia,
la
struttura
psicologica
si
irrigidirebbe,
attivando
dei
meccanismi
di

difesa
che
minerebbero
l’apprendimento.

Nonostante
il
rischio
di
creare
attività
eccessivamente
stressanti,
un
minimo
livello
di
ansia
è

necessario
per
animare,
risvegliare
il
senso
di
sfida
e
di
superamento
dell’ostacolo,
un
evento

problematico,
ma
non
insormontabile.

Quando
si
progetta
un
intervento
esperienziale,
che
sia
indoor
o
outdoor,
non
bisogna
esporre

i
 partecipanti
 a
 rischi
 reali,
 ne
 fisici,
 ne
 tantomeno
 psicologici.
 Questo
 perché
 non
 è

assolutamente
ammissibile
in
un
contesto
formativo,
per
dei
progettisti,
prendersi
la
libertà
di

esporre
le
persone
a
rischi,
inoltre,
non
tutte
e
persone
hanno
le
conoscenze
e
le
capacità
per

affrontare
determinate
attività
fisiche
che
richiederebbero
un
periodo
di
pre
training.

Ciò
che
rende
la
gestione
del
rischio
un
elemento
particolarmente
critico
in
fase
progettuale,
è

decidere
se
sia
funzionale,
o
meno,
all’apprendimento
indurre
la
percezione
di
un
rischio
reale

o
comunicarne
onestamente
l’assenza.

Generalmente,
 la
 prassi
 che
 si
 assume
 in
 fase
 di
 progettazione
 della
 metafora
 è
 quella
 di

generare
 un
 rischio
 immaginario,
 percepito,
 che
 riesca
 a
 sfidare
 le
 paure
 e
 le
 ansie,
 senza

invade
e
suscitare
resistenze.
Ciò
che
la
metafore
deve
fare,
è
emozionare,
senza
stravolgere
e

destabilizzare
 le
 persone,
 deve
 catturare
 l’attenzione
 e
 a
 concentrazione
 durante
 l’esercizio

fisico
senza
far
temére
lesioni
o
danni
alla
propria
persona.

Per
 minimizzare
 e
 presidiare
 meglio
 i
 rischi
 formativi
 è
 necessario
 prestare
 attenzione
 ad

alcune
linee
guida
di
progettazione
degli
interventi
esperienziali:




• Definire
 un
 livello
 di
 esperienza
 minima
 o
 qualifica
 tecnica
 richiesta
 ai
 trainer
 od
 ai

facilitatori;

• Stabilire
 la
 dimensione,
 minima
 e
 massima,
 dei
 sottogruppi
 di
 partecipanti,
 per
 non

trovarsi
nella
situazione
di
dover
gestire
un
numero
elevato
di
persone;

• Stabilire
 se
 è
 richiesta
 un’esperienza
 pregressa
 specifica
 ai
 partecipanti,
 altrimenti

formarli
con
un
pre
training;

• Definire
gli
standard
di
sicurezza
delle
attrezzature;

• Ottenere
 l’approvazione
 specifica,
 da
 parte
 della
 committenza,
 per
 eventuali
 attività

con
rischio
percepito.




2.5
La
natura
e
la
sequenza
dei
compiti




In
 molti
 casi,
 è
 importante
 per
 il
 raggiungimento
 degli
 obiettivi
 formativi
 che
 ci
 sia
 un

elemento
di
novità
relativo
ai
compiti
ed
al
contesto
ambientale.

La
 novità
 attrae
 la
 percezione,
 l’attenzione
 e
 la
 concentrazione
 individuale,
 sconvolgendo
 la

ripetitività
della
struttura
mentale
delle
persone
indicendole
al
pensiero
laterale.
Analizzare

le
 attività
 ed
 i
 processi
 aziendali,
 quando
 si
 affronta
 progettualmente
 questo
 tema,
 è

fondamentale
 per
 trarre
 importanti
 spunti
 di
 riflessione
 per
 meglio
 definire
 la
 proposta

formativa.


 11

Per
 quanto
 riguarda
 la
 natura
 delle
 attività,
 ad
 esempio,
 proporre
 in
 forma
 metaforica

un’attività
familiare
in
un
ambiente
noto,
può
comportare
il
rischio
di
riprodurre
le
dinamiche

e
 gli
 atteggiamenti
 esistenti,
 contribuendo
 al
 loro
 consolidamento.
 Diversamente,
 invece,

proponendo
 una
 situazione
 nuova,
 con
 attività
 apparentemente
 dissimili
 e
 metaforicamente

allineate
 alla
 cultura
 ed
 ai
 processi
 aziendali,
 consente
 una
 sfida
 più
 efficace
 alla
 mentalità

esistente.


L’elemento
di
novità
deve
avere
anche
altre
caratteristiche
per
essere
efficace;
la
dimensione

dell’avventura,
 ad
 esempio,
 esprime
 un
 ulteriore
 criterio
 di
 progettazione.
 Questo
 elemento

porta
con
se
il
giusto
grado
di
stress,
di
ingaggio
emotivo
e
di
ansia
da
prestazione
che
facilita

e
rinforza
il
processo
di
apprendimento.

Un
 altro
 elemento
 di
 progettazione
 delle
 attività
 riguarda
 il
 loro
 grado
 di
 complessità,
 la

difficoltà
di
svolgimento.
Richiamando
il
concetto
dell’isomorfismo
delle
attività
formative
ai

contesti
aziendali,
la
complessità
del
compito
deve
essere
progettata
per
riflettere
le
strutture

manageriali
 e
 le
 modalità
 di
 comunicazione
 che
 contraddistinguono
 l’organizzazione.

Fondamentale
è
creare
un
bilanciamento
tra
le
capacità
possedute
dai
discenti
e
la
difficoltà

delle
task
presentate
dalla
metafora
esperienziale.
Questo
è
un
bilanciamento
che
deve
essere

trovato
necessariamente
dal
progettista
di
formazione,
in
quanto,
le
attività
troppo
complesse

o
per
le
quali
non
si
posseggono
le
competenze
necessarie,
risultano
essere
solo
demotivanti
e

non
promuovono
lo
sviluppo
personale.

Ai
 gradi
 di
 complessità
 delle
 attività
 si
 vincola
 anche
 la
 sequenza
 delle
 stesso;
 all’inizio

dell’esperienza
saranno,
infatti,
proposti
compiti
più
semplici
per
poi
arrivare
a
problemi
di

maggior
complessità
con
il
progredire
dell’intervento
formativo.

Poiché
 l’apprendimento
 avviene
 con
 la
 pratica,
 rivedendo
 gli
 errori
 commessi,
 è
 importante

che
 la
 sequenza
 delle
 attività
 progettate,
 oltre
 ad
 avere
 complessità
 crescente,
 lavori
 a

rinforzo
delle
capacità
che
si
vogliono
stimolare
ed
allenare.

A
 questo
 punto
 dell’analisi
 e
 dello
 studio
 delle
 attività
 metaforiche,
 è
 possibile
 introdurre

ulteriori
dimensioni
classificatorie.
È
possibile,
infatti,
distinguere
i
compiti
in
virtù
del
grado

di
“strutturazione”
con
cui
vengono
presentati.
La
formazione
esperienziale
è
particolarmente

efficace
 per
 problemi
 poco
 strutturati,
 aperti
 a
 molteplici
 soluzioni
 e
 metodi
 risolutivi,
 con

restituzione
di
un
feedback
approfondito.

La
 destrutturazione
 di
 un
 problema
 riproduce
 metaforicamente
 la
 non
 familiarità
 del

compito,
una
situazione
di
incertezza
ambientale
e
la
necessità
di
una
efficace
comunicazione

di
gruppo
per
poterlo
risolvere.
La
progettazione
di
interventi
aperti,
consente
di
osservare
e

raggiungere
una
molteplicità
di
obiettivi
di
apprendimento.
Nel
momento
in
cui
i
formatori
e

di
 trainer
 cogliessero,
 nell’evolversi
 dell’esperienza
 outdoor,
 uno
 o
 più
 spunti
 per
 rilanciare

un
dibattito
volto
ad
indagare
aspetti
comportamentali
non
previsti
in
fase
progettuale,
hanno

la
 possibilità
 di
 indirizzare,
 durante
 i
 briefing
 intermedi
 e
 nel
 debriefing
 finale,
 la

rielaborazione
verso
ciò
che
la
platea
dei
discenti
sente
come
un
argomento
rilevante.

Un
 maggior
 approfondimento
 all’argomento
 è
 offerto
 dall’accostamento
 del
 grado
 di

destrutturazione
 del
 compito
 con
 il
 grado
 di
 intensità
 del
 feedback;
 questo
 sistema
 offre
 un

importante
spunto
di
riflessione
sulle
potenzialità
degli
interventi
esperienziali.

Un
intervento
esperienziale
con
compiti
destrutturati
e
feedback
a
bassa
intensità
rischia
di

non
 avere
 nessuna
 valenza
 formativa,
 un
 intervento
 di
 questo
 tipo
 ha
 un
 approccio

principalmente
ludico
e
resta
solo
un
contesto
per
socializzare.

La
 progettazione
 di
 attività
 con
 compiti
 strutturati,
 con
 un
 numero
 di
 soluzioni
 limitato,

focalizzati
su
alcune
competenze
specifiche,
ha
risvolti
differenti
in
funzione
dell’intensità
del

feedback.









 12

2.6
Briefing,
Playing
e
Processi
di
Debriefing




Ogni
 intervento
 esperienziale
 che
 utilizza
 la
 metodologia
 metaforica
 richiede
 una
 attenta

progettazione
delle
fasi
di
briefing,
il
momento
che
precede
l’intervento,
il
playing,
ossia
lo

svolgimento
dei
compiti
ed
infine
il
debriefing,
ossia
la
rielaborazione
finale.




Briefing:
 è
 il
 momento
 in
 cui
 le
 persone
 sono
 istruite
 e
 preparate
 allo
 svolgimento

dell’attività.
Coerentemente
con
quanto
teorizzato
dal
modello
andragogico,
il
briefing
serve

ad
 inquadrare
 ed
 a
 spiegare
 il
 senso
 delle
 attività
 rispetto
 agli
 obiettivi
 di
 apprendimento.

Durante
questo
incontro
sono
comunicati
gli
obiettivi
delle
attività,
le
regole
del
gioco
e
della

sicurezza
e
le
eventuali
informazioni
da
conoscere
prima
di
intraprendere
gli
esercizi.
Il
ruolo

del
formatore,
in
questo
momento,
è
quello
di
fornire
le
istruzioni
dell’attività,
renderla
chiara

e
fruibile
da
tutti
i
partecipanti.

Durante
 il
 briefing
 possono
 essere
 anche
 attivati
 dei
 piccoli
 esercizi
 (small
 techniques),
 per

facilitare
 la
 socializzazione
 ed
 iniziare
 a
 preparare
 i
 discenti
 a
 quello
 che
 sarà
 il
 tipo
 di

“linguaggio”
utilizzato
dalla
formazione
esperienziale
metaforica.

Playing:
 immersi
 nell’ambiente
 che
 è
 stato
 creato
 e
 preparato
 per
 la
 formazione,
 i
 discenti

partecipano,
 realizzano
 e
 vivono
 l’esperienza.
 In
 questa
 fase
 il
 ruolo
 del
 trainer
 o
 del

formatore
 è
 quello
 del
 facilitatore
 che,
 supportato
 eventualmente
 da
 uno
 psicologo,
 assiste

allo
 svolgimento
 dell’intervento.
 Il
 trainer
 deve
 raccogliere
 osservazioni
 dirette
 sulle

dinamiche
 interpersonali,
 sugli
 atteggiamenti
 e
 sui
 ruoli
 emergenti
 nel
 gruppo.
 La
 raccolta

delle
osservazioni
può
avvenire
tramite
apposite
griglie
di
analisi
sviluppate
dai
formatori
o

tramite
videoriprese
o
fotografie.
La
corretta
rilevazione
delle
osservazioni
costituirà
la
base

sulla
quale
incentrare
il
debriefing
finale.

Il
 ruolo
 del
 trainer
 in
 questa
 fase
 è
 anche
 quello
 di
 supervisore
 delle
 sicurezza
 durante
 le

attività;
 ha
 ovviamente
 anche
 il
 potere
 e
 la
 responsabilità
 di
 intervenire
 di
 persona
 ed

interrompere
l’esercitazione
in
caso
di
rischi
gravi
o
pericoli
per
i
partecipanti.

Debriefing:
 è
 il
 momento
 in
 cui
 si
 ripercorre
 il
 processo
 per
 evidenziare
 le
 dinamiche

interpersonali,
 i
 momenti
 critici,
 gli
 errori
 e
 le
 inefficienze
 nel
 coordinamento
 dei
 diversi

operatori;
tutto
per
rielaborare
le
azioni
in
punti
di
apprendimento,
opportunità
di
sviluppo

personale
e
di
gruppo.

Il
 questa
 fase
 il
 ruolo
 del
 trainer
 è
 quello
 del
 facilitatore
 che
 supporta
 i
 discenti
 al
 fine
 di

permettergli
 di
 riflettere
 sull’esperienza,
 sollecitare
 il
 confronto
 delle
 sensazioni
 e
 delle

opinioni,
dirigere
e
condurre
alla
conclusione
gli
eventuali
conflitti.
Il
trainer
deve
condurre
la

discussione
 in
 modo
 da
 far
 emergere
 ai
 discenti
 ciò
 che
 è
 stato
 osservato
 durante
 le

esercitazioni.
 Facendo
 riferimento
 alle
 osservazioni
 dirette
 raccolte
 durante
 il
 playing,
 il

trainer
deve
restituire
il
feedback
sulle
osservazioni,
facendolo
emergere
in
modo
maieutico;

sono
 i
 discenti
 che
 esprimono
 un
 feedback
 su
 loro
 stessi,
 il
 trainer
 li
 accompagna
 in
 questo

processo
di
estrazione.

Lo
 stile
 dell’osservazione
 e
 del
 debriefing
 dovrebbe
 essere
 neutro,
 avalutativo,
 orientato

all’ascolto
ed
al
rispecchiamento
delle
dinamiche
osservate.




È
 opportuno
 dedicare
 un
 approfondimento
a
 quelle
 che
sono
le
 tecniche
 e
 le
dinamiche
che

subentrano
durante
una
sessione
di
debriefing
al
termine
di
un
intervento
esperienziale.




2.7
Metodologie
e
tecniche
di
debriefing




Il
 debriefing
 è
 il
 momento
 qualificante
 e
 sostanziale
 di
 ogni
 intervento
 esperienziale

metaforico;
come
le
altre
fasi,
dovrebbe
essere
ben
progettato
e
gestito.
È
in
questo
momento

che
il
messaggio,
la
parabola
metaforica,
trova
riscontro
esplicito
con
la
realtà
professionale
e

personale
dei
discenti
che
hanno
preso
parte
all’intervento.



 13

Non
 esiste
 una
 letteratura
 consolidata
 sulle
 metodologie
 da
 applicare
 od
 alle
 quali
 ispirarsi

per
 progettare
 e
 condurre
 un
 incontro
 di
 debriefing.
 Si
 impara
 a
 condurli
 osservando
 e

collaborando
 al
 fianco
 di
 formatori
 esperiti.
 Tuttavia
 l’improvvisazione,
 anche
 in
 questo

contesto,
 non
 è
 sempre
 una
 soluzione
 da
 poter
 vagliare
 troppo
 alla
 leggera,
 in
 quanto,
 un

approccio
 troppo
 empirico
 lascia
 spazio
 ad
 improvvisazioni
 di
 ruolo
 non
 funzionali

all’apprendimento.

Per
 i
 motivi
 appena
 esposti,
 bisogna
 far
 riferimento
 ad
 alcuni
 criteri
 di
 buon
 senso
 che

partono
dalle
finalità
per
cui
sono
comparsi
gli
incontri
di
debriefing.

Le
 prime
 esperienze
 si
 fanno
 risalire
 a
 quei
 momenti,
 al
 termine
 delle
 campagne
 militari,
 in

cui
i
partecipanti
erano
convocati
in
una
riunione
al
termine
della
missione
per
descrivere
e

dar
 conto
 delle
 attività,
 con
 lo
 scopo
 di
 valutare
 le
 responsabilità
 di
 ognuno
 e
 di
 stabilire

nuove
strategie
per
il
futuro.

Le
finalità
del
debriefing
si
possono
così
riassumere:




• Raccogliere
e
trasmettere
informazioni;

• Verificare
le
metodologie
usate
durante
le
attività;

• Processare
ed
eliminare
le
conseguenze
negative
delle
dinamiche
interpersonali;

• Restituire
il
feedback
ai
partecipanti;

• Indurre
i
partecipanti
a
sperimentare
le
metodologie
apprese.




Il
 debriefing
 deve
 essere
 progettato
 tenendo
 presente
 il
 format,
 le
 formulazione
 delle

domande
ed
allocando
il
giusto
tempo
alle
interazioni
con
i
partecipanti.

Relativamente
al
format
del
debriefing
si
può
decidere
di:




• Discutere
 le
 situazioni
 lavorative
 in
 cui
 è
 possibile
 applicare
 ciò
 che
 si
 è
 appreso.

Durante
 la
 rielaborazione
 dovranno
 emergere
 limiti
 e
 agevolazioni
 che
 si
 prevede

saranno
incontrati
nell’ambiente
reale
organizzativo;

• Discutere
 in
 modo
 collaborativo,
 neutrale
 ed
 avalutativo
 sulla
 base
 delle
 domande

poste
dal
facilitatore;

• Elaborare
 e
 discutere
 gli
 approcci
 alternativi
 allo
 svolgimento
 delle
 attività,

valutandone
vantaggi
e
svantaggi;

• Scrivere
 in
 un
 giornale
 o
 in
 un
 diario
 collettivo
 le
 esperienze
 vissute,
 le
 teorie
 di

riferimento
e
le
applicazioni
aziendali;




Per
quanto
riguarda
la
giusta
formulazione
e
successione
delle
domande,
occorre
innanzitutto

conoscere
 le
 caratteristiche
 delle
 attività;
 la
 sequenza
 delle
 domande
 dipende
 molto
 dalla

tipologia
di
metafora
utilizzata.

In
 secondo
 luogo,
 le
 domande
 possono
 essere
 orientate
 e
 collegate
 ai
 quattro
 stadi

dell’apprendimento
 teorizzati
 e
 sintetizzati
 da
 Kolb;
 ad
 ogni
 stadio
 sarà
 possibile
 associare

diverse
tipologie
di
domande.

Nella
fase
dell’esperienza
concreta,
le
domande
saranno
volte
ad
indagare
ed
a
far
descrivere

l’esperienza
 vissuta,
 nella
 fase
 dell’osservazione
 riflessiva,
 le
 domande,
 invece,
 indagheranno

l’osservazione
 dei
 comportamenti
 altrui
 da
 parte
 dei
 singoli
 discenti,
 l’osservazione
 delle

dinamiche
di
azione/reazione
ed
il
confronto
avalutativo
delle
riflessione.
Nella
terza
fase
del

modello
 di
 Kolb,
 la
 concettualizzazione
 astratta,
 il
 formatore/facilitatore
 orienterà
 la

discussione
 al
 fine
 di
 permettere
 ai
 discenti
 di
 sviluppare
 ed
 astrarre
 dall’esperienza,
 un

sistema
 di
 regole
 generalizzabili
 ed
 applicabili
 alle
 situazioni
 lavorative.
 Nell’ultima
 fase,
 la

sperimentazione
 attiva,
 il
 facilitatore
 segue
 i
 discenti
 nel
 mettere
 in
 pratica
 i
 contenuti

dell’apprendimento
nelle
esercitazioni
successive.

La
 variabile
 tempo,
 per
 quanto
 riguarda
 i
 debriefing,
 non
 può
 essere
 prevista
 e
 gestita
 con

eccessiva
 rigidità
 da
 parte
 dei
 progettisti.
 La
 pratica
 e
 l’esperienza
 dei
 formatori
 aiuta
 a

prevedere
 un
 tempo
 adeguato
 alle
 necessità
 delle
 singole
 esperienze;
 ciò
 che
 deve
 essere


 14

tenuto
da
conto
quando
si
definisce
il
tempo
da
destinare
alla
rielaborazione
è
sicuramente
la

complessità
 dell’esercizio,
 l’intensità
 dell’attività,
 la
 risposta
 ed
 il
 coinvolgimento
 dei

partecipanti
ed
infine
il
tipo
ed
il
format
di
debriefing
scelto.




Illustrati
gli
elementi
che
caratterizzano
il
debriefing,
è
opportuno
individuare
quei
criteri
di

facilitazione
che
rendono
efficace
e
valido
il
processo
di
rielaborazione.


In
primo
luogo,
dovrebbero
emergere
dalla
discussione,
le
analogie
e
le
similitudini
poste
alla

base
 della
 costruzione
 metaforica.
 È
 a
 partire
 da
 ciò,
 che
 subentra
 l’abilità
 del
 facilitatore

nell’avviare
 il
 processo
 di
 trasferimento
 delle
 esperienze
 formative
 alle
 applicazioni

lavorative.
Come
anticipato
in
apertura
di
paragrafo,
non
esiste
una
letteratura
di
riferimento

che
possa
supportare
il
formatore
in
questa
attività
maieutica.


La
forza
degli
interventi
formativi
esperienziali,
quindi
anche
quelli
realizzati
con
metodologie

outdoor,
 è
 che
 il
 discente,
 a
 seguito
 dell’esperienza,
 coglie
 autonomamente
 quello
 che
 è
 il

messaggio
formativo
alla
base
dell’attività.
La
funzione
del
formatore
è
quella
del
facilitatore,

colui
che,
con
domande
mirate,
guida
il
discente
fino
a
far
emergere
dal
profondo
del
vissuto

personale
 i
 contenuti
 dell’apprendimento
 che
 in
 fase
 progettuale
 sono
 stati
 posti
 alla
 base

della
metafora
utilizzata.

È
 nella
 fase
 di
 debriefing
 che
 si
 nota
 come
 la
 metodologia
 esperienziale
 metaforica
 sembra

essere
costruita
intorno
a
quelli
che
sono
i
dettami
del
modello
andragogico.

In
secondo
luogo,
il
debriefing
dovrebbe
avviare
il
processo
di
restituzione
del
feedback
sulle

dinamiche
osservate.
Supportato
da
sistemi
di
raccolta
ed
analisi
dei
dati,
il
feedback
indica
al

gruppo
le
aree
di
sviluppo
sui
principali
processi
di
decisione,
comunicazione,
collaborazione,

pianificazione
delle
attività
e
brain
storming.

Esiste
una
serie
di
indicazioni
progettuali
e
gestionali
che
potenzia
l’uso
del
debriefing
nelle

attività
esperienziali:




• Ogni
attività
proposta
dovrebbe
essere
conclusa
con
una
sessione
di
debriefing;

• Il
 progredire
 della
 complessità
 delle
 attività
 dovrebbe
 essere
 seguito
 da
 debriefing

sempre
più
approfonditi,
puntuali
e
personalizzati;

• Al
 termine
 di
 ogni
 attività
 dovrebbe
 emergere
 dalla
 rielaborazione
 il
 modello
 teorico

cognitivo
sottostante
alla
progettazione
dell’intervento;

• Al
 procedere
 delle
 attività
 e
 dei
 debriefing,
 il
 facilitatore
 dovrebbe
 stimolare
 una

capacità
 di
 auto
 riflessione
 ed
 autoapprendimento
 nel
 gruppo,
 limitando
 il
 suo

intervento
alle
sessioni
collettive;

• La
rielaborazione
è
opportuno
che
sia
svolta
in
momenti
della
giornata
in
cui
i
discenti

non
siano
stanchi
o
demotivati;

• La
riflessione
e
la
revisione
dell’esperienza
è
maggiormente
efficace
se
si
focalizza
sul

processo
di
gruppo,
sui
comportamenti
funzionali
alla
risoluzione
dei
problemi
e
non

direttamente
 sul
 miglioramento
 delle
 prestazioni.
 Riassumendo,
 nella
 gestione
 del

debriefing,
lo
stile
anagogico
è
preferibile
a
quello
pedagogico.


La
riflessione
sull’esperienza
è
maggiormente
efficace
se
supportata
da
metodi
strutturati
di

raccolta
 delle
 riflessioni
 individuali
 e
 di
 gruppo.
 Tra
 i
 diversi
 metodi
 possibili
 ci
 sono
 i

questionari,
le
griglie
di
osservazione
ed
i
diari
di
bordo.


La
difficoltà
che
spesso
si
riscontra
quando
si
realizzano
interventi
formativi
esperienziali,
è

che,
 ciò
 che
 viene
 appreso,
 non
 trova
 applicazione
 nel
 contesto
 aziendale;
 questo
 perché
 la

committenza
o
comunque
la
dirigenza,
non
credendo
al
valore
reale
degli
interventi
svolti
con

questa
metodologia,
non
prende
parte
alla
progettazione
del
piano
di
sviluppo
del
personale

del
quel
l’intervento
esperienziale
dovrebbe
far
parte.

L’atmosfera
 avalutativa
 e
 neutrale
 in
 cui
 si
 dovrebbe
 svolgere
 il
 debriefing
 è
 il
 momento

ideale
 in
 cui
 tentare
 di
 superare
 quegli
 ostacoli
 che
 per
 cultura
 aziendale
 e
 nazionale,
 o
 per



 15

attitudine,
 limitano,
 ad
 esempio,
 la
 condivisione
 delle
 informazioni,
 la
 collaborazione
 tra

colleghi,
la
condivisione
delle
risorse
e
degli
obiettivi.




3
La
metodologia
Outdoor




Seguono
alcune
fra
le
diverse
modalità
con
cui
può
essere
progettata
ed
erogata
la
formazione

esperienziale
outdoor.




3.1
Outdoor
Small
Techniques
–
OST




Con
 questa
 dicitura
 si
 intendono
 tutte
 quelle
 esercitazioni
 brevi,
 di
 15‐30
 minuti
 circa,

condotte
all’aperto,
con
l’obiettivo
di
favorire
la
consapevolezza
e
lo
sviluppo
di
determinati

comportamenti
organizzativi.


I
principali
vantaggi
dell’OST
sono:


• l’assenza
di
attrezzature
complesse
per
l’erogazione;

• il
basso
livello
di
organizzazione
e
preparazione;

• l’alta
flessibilità.





L’assenza
di
attrezzature
complesse
da
gestire
fa
si
che
queste
attività
possano
essere
erogate

dai
trainer
senza
la
supervisione
di
tecnici.

Lo
 svolgimento
 dell’esercizio
 è
 seguito
 dalla
 rielaborazione
 di
 quanto
 accaduto,
 questi

momenti
sono
seguiti
e
gestiti
dai
formatori
che
hanno
assistito
all’esercitazione;
può
capitare

di
dover
“congelare”
momentaneamente
l’esercizio
in
corso
per
svolgere
un
breve
momento

di
riflessione
al
fine
di
cogliere
a
pieno
il
potenziale
formativo
presente
nell’attività.

Data
 la
 semplicità
 dello
 strumento
 OST,
 la
 struttura
 semplice
 e
 le
 regole
 precise
 che
 le

caratterizzano,
 i
 comportamenti
 che
 i
 partecipanti
 metto
 in
 atto
 spesso
 sono
 facilmente

prevedibili
 entro
 un
 limite
 di
 possibilità;
 questo,
 facilità
 sicuramente
 l’osservazione,
 ma
 allo

stesso
tempo
limita
gli
apprendimenti
possibili.

Sono
 talvolta
 ricompresi
 nelle
 OST
 anche
 quegli
 esercizi
 definiti
 energizers,
 possono
 essere

usati
dai
trainer
in
contesti
di
outdoor,
anche
se
non
hanno
obiettivi
didattici
specifici.
Queste

attività
hanno
lo
scopo
di
creare
l’atmosfera
giusta
tra
i
presenti
e
farli
socializzare.
Innegabile

è
la
loro
applicazione
efficace
in
ambienti
di
apprendimento
a
patto
però
che
non
diventino

l’elemento
caratteristico
della
formazione.

Le
OST
rappresentano
il
tipo
di
formazione
outdoor
più
diffuso,
questo
è
dovuto:


• al
basso
impatto
organizzativo
ed
economico;

• alla
facilità
di
preparazione
e
conduzione;

• alla
 flessibilità
 organizzativa
 ed
 alla
 possibilità
 in
 caso
 di
 mal
 tempo
 di
 traslare
 le

attività
in
indoor;

• la
 facilità
 di
 osservazione
 (i
 trainer
 sanno
 cosa
 e
 dove
 guardare
 durante

l’esercitazione);

• la
 possibilità
 di
 inserire
 attività
 di
 OST
 all’interno
 di
 fiere,
 congressi
 o
 momenti

formativi
tradizionali.


Gli
obiettivi
didattici
che
possono
essere
perseguiti
attraverso
questa
semplice
tecnica
sono:




• Lavoro
di
gruppo;

• Processi
comunicativi;

• Relazioni
interpersonali;

• Problem
solving;

• Sviluppo
dell’attenzione
verso
l’altro.


 16

• Leadership;

• Dare/ricevere
fiducia;

• Membership.




Ciò
che
rende
possibile
ed
efficace
l’utilizzo
di
questa
metodologia
in
un
contesto
finalizzato

all’apprendimento
 è
 il
 debriefing.
 In
 questa
 fase
 si
 gioca
 un
 momento
 cruciale
 per

l’apprendimento,
in
quanto,
è
qui
che
avviene
“la
ristrutturazione
cognitiva
dell’agire
ludico”.




Alcuni
esempi
di
OST




Il
tuffo
negli
altri:
a
turno
i
partecipanti
sono
invitati
a
salire
su
un
tavolo
o
una
pedana
a
uno

o
due
metri
d’altezza
e
dando
le
spalle
al
gruppo
si
lasciano
cadere
nelle
braccia
dei
compagni

disposti
 a
 formare
 un
 tappeto
 di
 mani
 per
 accoglierlo.
 Prima
 di
 questo
 momento
 il
 gruppo

viene
preparato
a
disporsi
in
modo
tale
da
garantire
accoglienza
e
sicurezza.
Il
tuffatore
può

essere
 libero
 o
 bendato.
 Le
 implicazioni
 più
 evidenti
 di
 questo
 esercizio
 sono
 il
 dare
 ed
 il

ricevere
 fiducia,
 il
 tuffatore
 si
 lascia
 cadere
 di
 spalle
 tra
 le
 braccia
 di
 persone
 con
 cui
 ha

probabilmente
solo
rapporti
professionali;
c’è
un
affidamento
totale
del
tuffatore
alle
persone

che
lo
accolgono.
Di
converso
il
gruppo
inizia
a
costituirsi
in
quanto
sente
di
ricevere
fiducia

dal
parte
di
chi
si
lancia.
Oltre
a
questa
prima
implicazione
s’inizia
a
creare
attenzione
verso

l’atro
e
si
abbattono
le
barriere
che
bloccano
le
relazioni
interpersonali,
in
quanto,
il
contatto

fisico
tra
le
persone
è
forte
e
d’impatto;
probabilmente
i
partecipanti
all’attività
non
si
erano

scambiati
più
di
una
stretta
di
mano.




La
ragnatela:
 con
 delle
corde
 si
 forma
una
ragnatela
verticale
 tra
 due
 alberi
 o
 due
 pali
 ben

piantati
nel
terreno.
Il
gruppo
è
disposto
tutto
sullo
stesso
lato
del
reticolo,
ha
l’obiettivo
di

passare
 dall’altro
 lato.
 Si
 dice
 al
 gruppo
 che
 le
 corde
 della
 ragnatela
 sono
 percorse

dall’elettricità
per
cui
è
impossibile
toccarle;
qualora
ciò
accadesse,
il
gruppo
riceverebbe
una

penalità.
 Ogni
 volta
 che
 una
 persona
 passa
 per
 un
 passaggio
 della
 ragnatela,
 questo
 diventa

interdetto,
ossia
non
può
più
essere
usato
per
l’attraversamento.


La
squadra
dovrà
quindi
decidere
e
gestire
come,
e
in
che
sequenza,
far
attraversare
la
rete
ai

diversi
 membri
 del
 team.
 Ad
 esempio,
 dato
 che
 le
 persone
 più
 pesanti
 saranno
 difficili
 da

sorreggere
durante
l’attraversamento,
il
team
dovrà
riservare
loro
i
passaggi
più
in
basso;
lo

stesso,
dovranno
prevedere
di
lasciare
un
passaggio
semplice
per
l’ultimo
che
passerà
la
rete.

Inoltre,
durante
l’attraversata
dovranno
bilanciare
la
squadra
in
modo
da
avere
una
parte
del

gruppo
 da
 entrambi
 i
 lati
 del
 muro
 di
 corde
 in
 modo,
 ad
 esempio
 da
 poter
 far
 passare
 i
 più

leggeri
per
i
passaggi
più
alti.

Questa
 semplice
 attività
 insinua
 immediatamente
 il
 bisogno
 del
 lavoro
 in
 gruppo,
 la

risoluzione
 dei
 problemi,
 evidenzia
 l’importanza
 di
 una
 comunicazione
 efficace
 (proprio

perché
 il
 team
 deve
 trovare
 una
 strategia
 condivisa
 per
 attraversare
 la
 ragnatela),
 e

promuove
il
superamento
delle
barriere
interpersonali
grazie
alla
forte
interazione
fisica,
di

contatto,
tra
i
partecipanti.





La
figura
cieca:
si
fanno
disporre
i
partecipanti
in
cerchio
e
vi
si
mette
nel
mezzo
una
corda;
il

gruppo
ha
il
compito
di
organizzarsi
in
modo
da
disporsi
lungo
la
corda
secondo
una
qualsiasi

forma
 geometrica.
 I
 partecipanti
 devono
 inizialmente
 decidere
 la
 figura
 che
 vogliono

rappresentare,
 poi
 prima
 di
 iniziare,
 vengono
 tutti
 bendati.
 Quando
 pensano
 di
 aver

completato
 la
 figura
 possono
 posare
 la
 corda
 per
 terra,
 si
 tolgono
 le
 bende
 e
 guardano
 il

risultato
del
loro
lavoro.

L’attività
 pone
 l’accento
 sull’importanza
 del
 lavoro
 di
 team,
 sulla
 comunicazione
 efficace
 e

sulla
 capacità
 di
 organizzare
 e
 gestire
 le
 operazioni;
 si
 sviluppa
 inoltre
 un
 forte
 senso
 di

membership.






 17

3.2
Campi
Outdoor
Preimpostati
­
COP




I
 Capi
 Preimpostati
 possono
 raggruppare
 alcuni
 diversi
 tipi
 di
 esercitazioni
 e,
 come
 le
 OST,

hanno
 l’obiettivo
 di
 stimolare
 e
 sviluppare
 determinati
 comportamenti
 organizzativi.
 Le

differenze
 che
 sussistono
 tra
 i
 Campi
 e
 le
 Small
 Techniques
 sono
 che,
 le
 attività
 svolte
 nei

primi
 hanno
 una
 durata
 ben
 superiore
 ai
 secondi,
 in
 genere
 30‐60
 minuti,
 inoltre
 i
 campi

hanno
 bisogno
 di
 attrezzature
 complesse
 e
 strumentazioni
 di
 supporto
 che
 devono
 essere

necessariamente
 predisposte
 in
 anticipo.
 Per
 questo
 motivo
 spesso
 sono
 svolti
 in
 campi

attrezzati,
dove
le
strumentazioni
e
le
attrezzature
sono
già
disponibili.

Sono
 attività
 in
 genere
 più
 sfidanti
 rispetto
 alle
 OST:
 introducono
 o
 rafforzano,
 rispetto
 a

queste
 ultime,
 il
 concetto
 che
 per
 apprendere
 occorre
 uscire
 dalla
 sicurezza
 delle
 proprie

abitudini
consolidate,
la
“zona
di
confort”
ed
entrare
in
un
terreno
nuovo
o
“challenge
zone”.
Il

limite
più
evidente
di
questa
metodologia
specifica
di
outdoor,
è
la
forte
standardizzazione,
la

quale,
 se
 da
 un
 lato
 riduce
 la
 personalizzazione
 limitando
 la
 gamma
 degli
 obiettivi
 didattici

perseguibili,
di
converso
permette
un’elevata
replicabilità.


Lo
 svolgimento
 di
 ogni
 esercizio
 è
 seguito
 da
 uno
 spazio
 dedicato
 alla
 riflessione
 su
 quanto

accaduto
 ed
 alla
 rielaborazione
 delle
 emozioni
 che,
 dato
 il
 tipo
 di
 esercitazioni,
 spesso

possono
 anche
 essere
 forti;
 le
 riflessioni
 sono
 seguite
 dai
 formatori
 che
 hanno
 assistito

all’esercizio.

Gli
 obiettivi
 didattici
 che
 possono
 essere
 perseguiti
 utilizzando
 le
 esercitazioni
 in
 COP
 sono

riconducibili
ai
temi
di:


• Lavoro
di
gruppo;

• Processi
comunicativi;

• Relazioni
interpersonali;

• Problem
solving;

• Sviluppo
dell’attenzione
verso
l’altro.

• Leadership;

• Dare/ricevere
fiducia;

• Membership;

• Incoraggiare
e
sostenere
l’altro;

• Fiducia
in
se
stessi,

• Andare
oltre
i
limiti
apparenti;

• Raccogliere/gestire
le
sfide;

• Consapevolezza
di
poter
fare
di
più
del
previsto.


Alcuni
esempi
di
COP


Convergenti
basse:
i
partecipanti
sono
divisi
in
coppie,
ogni
coppia
si
arrampica
su
due
pali
e

parte
 camminando
 in
 equilibrio
 su
 una
 corda
 tesa.
 Per
 aiutarsi
 a
 rimanere
 in
 equilibrio

possono
ancorarsi
ad
un’altra
corda
tesa
come
corrimano.
Le
funi
legate
ai
due
pali
dai
quali

partono
i
due
partecipanti,
sono
posizionate
a
circa
due
metri
d’altezza
e
costituiscono
le
due

braccia
 di
 una
 grande
 “Y”.
 Dopo
 aver
 percorso
 in
 equilibrio
 un
 tratto
 della
 fune
 da
 soli,
 si

incontrano
al
centro
della
“Y”.
Qui
devono
decidere
come
organizzarsi
per
percorrere
il
tratto

di
 strada
 che
 manca,
 rimanendo
 tutti
 e
 due
 in
 equilibrio
 fino
 alla
 piattaforma
 di
 arrivo.

Scoprono
così
come
riusciranno
a
muoversi
in
equilibrio
reciproco.
La
sicurezza
è
garantita
da

una
corda
sospesa
alla
quale
sono
ancorate
le
imbragature.




Convergenti
 alte:
 l’esercizio
 è
 lo
 stesso
 delle
 convergenti
 basse,
 soltanto
 che
 in
 questa

modalità
 le
 corde
 sono
 fissate
 ad
 un’altezza
 di
 circa
 sette
 metri
 facendo
 apparire
 tutto
 più

complesso.





 18

Muro:
 i
 partecipanti
 sono
 divisi
 in
 piccoli
 gruppi
 da
 tre
 o
 quattro
 persone,
 ogni
 gruppo,
 a

turno,
deve
superare
un
muro
di
legno
appositamente
costruito.
L’ostacolo
può
essere
alto
dai

due,
a
dieci
metri
ed
essere
ad
inclinazione
regolabile
così
da
rendere
più
o
meno
difficile
la

scalata.
 Il
 muro
 è
 sufficientemente
 largo
 da
 permettere
 una
 scalata
 in
 parallelo
 di
 due

persone.

Se
il
muro
è
troppo
alto
rispetto
alla
statura
dei
partecipanti,
questi
possono
aiutarsi
con
degli

appositi
 appigli
 presenti
 sulla
 parete.
 Una
 variante
 alla
 scalate
 prevede
 che
 la
 coppia
 che

approccia
all’ostacolo
sia
legata
così
da
doversi
coordinare
continuamente
per
ottimizzare
la

scelta
degli
appigli
presenti
sulla
parete.
Durante
l’esercizio
sarà
evidente
ai
partecipanti
che

nelle
 loro
 mani
 ci
 sono
 gli
 strumenti
 per
 aiutarsi
 o
 ostacolarsi.
 Spetta
 a
 loro
 decidere
 come

comportarsi.




Il
 palo:
 è
 un’esercitazione
 utile
 per
 far
 fare
 l’esperienza
 di
 come
 un
 gruppo
 può
 favorire

l’espansione
delle
proprie
capacità
individuali
ed
il
superamento
dei
propri
limiti.
L’esercizio

consiste
nell’arrampicarsi
a
turno
su
di
un
palo
alto
circa
dieci
metri,
giunti
sulla
cima,
salgono

su
una
piccola
piattaforma
presente
sulla
sommità
del
palo.
A
questo
punto
devono
lanciarsi

giù,
attaccati
a
delle
corde
che
sono
rette
dei
trainer
e
dagli
altri
partecipanti.
La
sicurezza
è

garantita
dall’imbrago
e
dal
casco.




3.3
Outdoor
Training
­
OT




Per
Outdoor
Training
si
intendono
quei
programmi
di
formazione,
professionale
o
personale,

che
si
articolano
in
percorsi
strutturati
di
esperienze
coinvolgenti,
nelle
quali
le
persone
sono

completamente
immerse.
Queste
esperienze
utilizzano
il
supporto
di
situazioni
reali,
concrete

ed
emotivamente
dense,
in
sessioni
prolungate
nella
natura
e
mettono
i
partecipanti
di
fronte

a
problemi
nuovi
e
complessi
per
sviluppare
determinate
competenze
attraverso
la
capacità

di
apprendere
dall’esperienza.
Le
esperienze
di
OT
sono
più
lunghe
e
coinvolgenti
rispetto
alle

attività
di
small
techniques
o
di
campi
preimpostati.

Dopo
lo
svolgimento
di
ogni
attività
i
partecipanti
confrontano
i
propri
vissuti
fra
loro
e
con
i

feedback
forniti
dai
trainer,
che
ha
vissuto
e
osservato
l’esperienza.


Le
 rielaborazioni
 sono
 più
 lunghe
 e
 complesse
 di
 quelle
 presentate
 nelle
 pagine
 precedenti,

durano
 mediamene
 anche
 due
 ore;
 sono
 dei
 veri
 e
 propri
 debriefing
 piuttosto
 che
 delle

rielaborazioni.


I
conduttori
di
questi
programmi
sono
dei
formatori
esperti
in
comportamento
organizzativo

che
 generalmente
 provengono
 dalla
 formazione
 tradizionale
 in
 aula
 ed
 hanno
 cercato

strumenti
 innovativi
 per
 poter
 incidere
 meglio
 sul
 comportamento
 dei
 discenti;
 per
 questi

motivi
 hanno
 creato
 ed
 attivato
 una
 rete
 di
 relazioni
 con
 tecnici
 di
 altri
 settori,

tradizionalmente
molto
lontani
dalla
formazione.

Gli
 obiettivi
 didattici
 che
 possono
 essere
 perseguiti
 con
 attività
 ed
 esperienze
 di
 OT
 sono

principalmente:




• Attivazione
di
nuove
energie
individuali
e
di
gruppo;

• Sviluppo
dell’iniziativa,
dell’autonomia
e
della
fiducia
in
se
stessi;

• Aumento
della
fiducia
nel
gruppo,
della
solidarietà
e
della
collaborazione;

• Sviluppo
delle
competenze
di
leadership
e
del
senso
di
responsabilità;

• Scoperta
o
rafforzo
dell’importanza
dell’apporto
degli
altri,
del
loro
feedback,
della
loro

cooperazione,
della
coesione
di
gruppo;

• Sviluppo
del
coraggio
di
affrontare
cambiamenti,
situazioni
nuove
e
poco
conosciute;

• Attivazione
di
un
processo
di
riflessione
e
vaglio
delle
proprie
esperienze
e
dei
risultati

raggiunti;

• Accrescimento
 dell’autoconsapevolezza
 e
 delle
 capacità
 di
 leggere
 il
 proprio

comportamento;


 19

• Sviluppo
delle
capacità
di
ascolto,
del
senso
di
osservazione
e
della
curiosità;

• Miglioramento
delle
competenza
di
comunicazione
e
relazionali;

• Aumento
 della
 tolleranza,
 della
 comprensione
 e
 della
 capacità
 di
 gestione
 della

diversità;

• Sviluppo
dell’intelligenza
emotiva.




Programma
di
un
percorso
di
OT




Un
programma
do
outdoor
training
dura,
in
genere,
dai
due
a
cinque
giorni,
la
partecipazione

è
 full
 time
 e
 spesso
 sono
 usate
 anche
 le
 ore
 serali
 per
 continuare
 a
 lavorare
 al
 fine
 di

mantenere
 la
 sensazione
 di
 essere
 immersi
 un
 contesto
 totalizzante
 e
 non
 in
 un’esperienza

caratterizzata
da
eventi
spot,
saltuari.

Un
programma
minimo,
tipico,
di
un
percorso
di
OT
dura
tre
giorni,
per
un
totale
di
circa
24

ore
di
lavoro
ed
è
composto
da:




• Una
sessione
d’apertura;

• Tre
 o
 quattro
 esperienze
 di
 outdoor,
 ognuna
 composta
 dalle
 sessioni
 di
 azione

rielaborazione
e
modelli
mentali;

• Una
sessione
di
chiusura.




Il
programma
inizia
generalmente
la
sera
del
primo
giorno
dopo
la
cena
d’accoglienza
con
una

sessione
 plenaria
 d‘apertura
 in
 cui
 in
 genere
 sono
 illustrate
 e
 condivise
 le
 finalità
 del

programma
con
i
relativi
obiettivi
didattici;
è
inoltre
esposta
ed
illustrata
la
metodologia
di
OT

al
fine
che
i
discenti
ne
comprendano
l’utilità.
Si
presentano
lo
staff
di
conduzione
e
gli
aspetti

logistici;
a
questo
punto
è
possibile
richiedere
le
aspettative
dei
partecipanti,
non
sono
cosa
si

aspettano
dall’esperienza,
ma
anche
sensazioni,
pensieri
e
perplessità.

Nella
sessione
d’apertura
si
formano
i
gruppi
e
si
condivide
la
modalità
di
partecipazione
alle

esperienze
outdoor,
le
regole,
su
cosa
le
esperienze
andranno
a
lavorare
e
su
cosa
invece
no;

si
illustra
lo
strumento
del
debriefing
in
termini
di
valore,
modalità
ed
uso.

La
sessione
si
conclude
con
le
domande
dei
partecipanti.

Se
c’è
tempo
e
si
ritiene
utile,
è
possibile
eseguire
una
o
più
small
techniques
per
permettere

la
 conoscenza
 fra
 i
 membri,
 attivare
 la
 reciproca
 fiducia
 ed
 avviare
 processi
 di

autovalutazione.

Il
 secondo
 giorno
 si
 svolgono
 le
 esperienze
 di
 OT
 secondo
 la
 modalità
 programmata,

generalmente
si
prevede
un
compito
fisico
che
prevede
il
superamento
di
qualche
ostacolo
o

di
 qualche
 difficoltà
 in
 un
 ambiente
 naturale
 sufficientemente
 isolato.
 Ogni
 esperienza

prevede
 una
 parte
 di
 rielaborazione
 ed
 una
 parte
 di
 estrazione
 dei
 modelli
 mentali.
 La

sequenza
 delle
 esperienze
 viene
 scelta
 seguendo
 una
 progressione
 di
 difficoltà

fisico/emotivo/cognitivo
e
secondo
gli
obiettivi
didattici
da
raggiungere.
Le
esperienze
sono

svolte
 in
 gruppi
 da
 6‐10
 persone
 condotta
 da
 un
 trainer
 che
 vive
 con
 loro
 l’esperienza
 e
 ne

conduce
la
rielaborazione.


L’esperienza
 si
 chiude
 con
 una
 plenaria
 di
 chiusura
 nella
 quale
 si
 procede
 con
 una

rielaborazione
globale
del
percorso
effettuato.
In
questa
fase
avviene
l’incrocio
tra
gli
obiettivi

e
 le
 aspettative
 espresse
 nella
 plenaria
 d’apertura
 e
 quanto
 si
 è
 verificati
 durante
 i
 diversi

momenti
 dell’esperienza
 di
 OT.
 Compito
 dei
 trainer
 è
 anche
 quello
 di
 concludere
 il
 lavoro

facendo
 emergere
 dai
 partecipanti,
 punti
 di
 forza
 ed
 aree
 di
 miglioramento,
 sia
 per
 ciò
 che

riguarda
l’esperienza
formativa,
sia
l’organizzazione,
la
logistica,
e
le
soluzioni
adottate
dalla

committenza
in
accordo
con
trainer
e
formatori.

Alla
 chiusura
 dei
 lavori
 sono
 comunicati
 gli
 altri
 incontri
 eventualmente
 previsti
 per

continuare
a
sviluppare
l’attività
formativa.




Le
esperienze
di
OT


 20




Il
punto
centrale
di
ogni
percorso
di
OT
sono
le
esperienze
svolte,
si
parla
infatti
di
esperienze

e
non
di
esercitazioni
o
esercizi
come
nelle
OST
o
nei
COP;
questo
per
sottolineare
il
fatto
che

le
 attività
 non
 sono
 giochi,
 ma
 esperienze
 di
 vita
 “normale”.
 Quello
 che
 le
 esperienze
 di
 OT

sono
in
grado
di
fare,
è
abbattere
“l’effetto
bordo”.
Con
questo
termine
si
intende
il
distacco

consapevole
tra
il
soggetto
osservatore
e,
ad
esempio,
la
realtà
vista
attraverso
lo
schermo
di

un
televisore;
lo
spettatore
sa,
più
o
meno
consciamente,
che
ciò
che
sta
vedendo
è
lontano,
è

finzione.

Nelle
esperienze
OT,
i
partecipanti
non
incontrano
nessun
confine
tra
ciò
che
è
la
vita
reale
e

un’attività,
 una
 prova,
 appositamente
 costruita
 per
 fini
 didattici.
 La
 dimensione
 dell’aula

scompare
insieme
con
lo
spazio
fuori
dall’aula,
quei
momenti
di
vita
reale
che
permettono
al

discente
di
tornare
alla
normalità.
Perde
di
rilevanza
il
limite
temporale
scandito
ad
esempio

dai
coffee
break,
dove
questo
si
pone
come
una
cesura
temporanea
tra
la
formazione
e
la
non

formazione.

Oltre
 ad
 un
 adeguato
 ambiente
 fisico,
 è
 importante,
 promuovere
 un
 favorevole
 ambiente

psicologico
costruendo
un
clima
di
coinvolgimento,
di
apertura
e
di
fiducia
tale
da
consentire

una
 buona
 sintonia
 e
 un’efficiente
 comunicazione
 fra
 tutti
 i
 partecipanti.
 Una
 variabile
 da

gestire
 delicatamente
 è
 il
 ritmo,
 questo
 deve
 essere
 intenso
 e
 ricco
 di
 stimoli,
 una
 serie

continua,
ma
non
stressante,
di
proposte
che
coinvolgano
i
partecipanti
nell’esperienza
di
OT

a
tutti
i
livelli:
fisico,
emotivo
ed
intellettuale.




I
ruoli
in
gioco




La
realizzazione
di
un
programma
OT
prevede
la
mobilitazione
di
personale
spesso
numeroso

e
 fortemente
 eterogeneo,
 il
 quale,
 richiede
 una
 preparazione
 ed
 una
 formazione
 specifica

adeguatamente
 programmata.
 La
 complessità
 cresce
 all’aumentare
 del
 numero
 dei

partecipanti
all’esperienza.


Ipotizzando
 un
 progetto
 di
 OT
 per
 150
 partecipanti
 è
 possibili
 immaginare
 lo
 staff
 che
 sarà

necessario
mettere
in
campo
per
garantire
la
buona
riuscita
del
servizio
ed
un’elevata
qualità.


OT
 Project
 Manager:
 ha
 la
 responsabilità
 complessiva
 della
 riuscita
 del
 programma
 di
 OT.

Più
 è
 grande
 il
 progetto,
 maggiore
 sarà
 la
 dimensione
 dello
 staff
 necessario
 a
 gestirlo,

maggiori
 saranno
 le
 responsabilità,
 quindi
 il
 potere,
 di
 questa
 figura.
 Il
 Project
 Manager

gestisce
 i
 rapporti
 con
 la
 committenza,
 con
 lo
 staff
 di
 tecnici
 e
 con
 l’OT
 Operation
 Manager;

segue
globalmente
lo
svolgimento
del
programma,
dedicando
attenzione
a
tutti
gli
aspetti
del

progetto,
didattica,
logistica,
organizzazione
e
percorso
dei
partecipanti.


Outdoor
 Trainer:
 è
 il
 responsabile
 della
 conduzione
 delle
 esperienze
 di
 OT
 e
 costituisce
 il

punto
di
riferimento
per
il
gruppo
che
gli
è
stato
affidato;
si
trova
ad
operare
a
contatto
ed
in

collaborazione
con
i
tecnici
per
garantire
la
sicurezza
nelle
esperienze
che
richiedono
maggio

presidio;
 riceve
 dal
 Project
 Manager
 le
 indicazioni
 e
 le
 attrezzature
 necessarie
 allo

svolgimento
 delle
 attività;
 è
 il
 responsabile
 del
 materiale
 a
 lui
 consegnato.
 Tra
 gli
 aspetti

critici
relativi
a
questa
figura
professionale
c’è
la
gestione
delle
relazioni
con
i
tecnici
di
OT.

Compito
del
Trainer
è
gestire
e
dividere
il
lavoro
con
i
tecnici
evitando
il
conflitto.


Relativamente
 alla
 logistica
 dell’esperienza
 OT,
 il
 Trainer
 ha
 il
 compito
 di
 seguire
 la

temporizzazione
prevista
per
l’esperienza
a
lui
affidata
in
modo
da
raccordarsi
senza
ritardi

con
i
lavori
degli
altri
gruppi.

Il
Trainer
ha
inoltre
il
compito
di
prestare
la
massima
attenzione
alle
esigenze
personali
dei

singoli
 partecipanti
 senza
 perdere
 però
 la
 prospettiva
 del
 gruppo,
 gestire
 gli
 imprevisti
 dei

gruppi,
 ed
 evitare
 di
 essere
 distratti
 dalla
 committenza
 che
 cerca
 di
 carpire
 informazioni

prima
del
termine
delle
attività.

OT
Operation
Manager:
ha
la
responsabilità
di
tutti
gli
aspetti
organizzativi
del
programma,

ha
 un
 rapporto
 privilegiato
 e
 continuo
 con
 il
 Project
 Manager
 e
 supporta
 il
 lavoro
 di
 tutti
 i

trainer
e
del
tecnici.


 21

Tecnico
di
OT:
qualora
il
trainer
non
abbia
le
capacità
fisiche,
le
conoscenze,
specifiche
o
le

abilità
 applicative
 per
 supportare
 anche
 tecnicamente
 lo
 svolgimento
 delle
 esperienze
 di

outdoor,
 diventa
 indispensabile
 la
 presenza
 di
 uno
 o
 più
 tecnici.
 Il
 tecnico
 è
 quindi

responsabile
della
sicurezza
e
della
progettazione
dell’esperienza
di
cui
è
il
gestore
tecnico.


Partecipanti
 all’OT:
 hanno
 la
 responsabilità
 della
 propria
 sicurezza
 e
 del
 proprio

apprendimento.
 Operano
 all’interno
 di
 gruppi
 di
 5‐10
 persone
 con
 le
 quali
 interagiscono

profondamente,
sono
chiamati
a
svolgere
un
ruolo
di
attori
principali
nell’esperienza
e
nelle

successive
rielaborazioni.


Committenza.
Ha
la
responsabilità
della
definizione
delle
finalità
dell’intervento
di
OT
e
del

corretto
 posizionamento
 degli
 obiettivi
 formativi
 da
 raggiungere.
 Stabilisce
 con
 il
 Project

Manager
 il
 proprio
 livello
 di
 coinvolgimento
 e
 dei
 sistemi
 di
 feedback
 sui
 risultati
 attesi.

Essendo
 il
 committente
 promotore
 delle
 attività
 formative,
 sarà
 innanzitutto
 sua
 la

responsabilità
in
merito
alla
qualità
del
servizio
reperito.


3.4
Outdoor
Management
Training
­
OMT


L’Outdoor
Management
Training
rappresenta
l’evoluzione
naturale
dell’OT,
in
cui
si
è
cercato

di
 sfruttare
 al
 massimo
 il
 potenziale
 di
 apprendimento
 che
 questa
 metodologia
 consente,

innestandogli
 una
 strumentazione
 sofisticata
 delle
 più
 recenti
 tecniche
 della
 formazione

manageriale
mirata
allo
sviluppo
delle
competenze
e
dei
comportamenti
organizzativi.

Questa
metodologia
è
stata
usata
la
prima
volta
nel
1996
per
definire
un
processo
formativo

molto
 ambizioso
 e
 complesso
 realizzato
 da
 una
 multinazionale.
 Il
 progetto
 ebbe
 molto

successo
e
da
allora
è
stato
usato
per
descrivere
ed
indicare
le
applicazioni
evolute
dell’OT.





Quanto
 esposto
 sul
 paragrafo
 relativo
 all’OT
 resta
 perfettamente
 valido
 in
 merito
 all’OMT,

soltanto
 che
 in
 questo
 caso
 deve
 essere
 aggiunta
 la
 complessità
 organizzativa
 ed
un
 elevato

livello
 di
 personalizzazione.
 Questo
 fa
 si
 che
 l’OMT
 diventi
 un
 vero
 e
 proprio
 modello
 per

processi
formativi
con
possibili
elementi
di
originalità
rispetto
al
ciclo
classico
di
formazione

tradizionale.





Le
fasi
del
processo
di
OMT




• Preanalisi;

• Progettazione;

• Outdoor;

• Elaborazione
dei
risultati;

• Workshop
di
follow
up;

• Piani
individuali
di
sviluppo.




Preanalisi:
 la
 fase
 di
 preanalisi
 inizia
 con
 la
 costituzione
 di
 un
 Comitato
 di
 Progetto
 che

riunisce
la
committenza
e
la
consulenza.
Questo
team
avrà
il
compito
innanzitutto
di
mettere

a
 fuoco
 le
 competenze
 (comportamenti
 target)
 che
 si
 vogliono
 sviluppare
 con
 l’intervento

formativo
 e
 poi
 di
 definirle
 meglio
 attraverso
 l’identificazione
 dei
 relativi
 comportamenti

sentinella.
Dopo
aver
fissato
e
condiviso
con
l’azienda
gli
obiettivi
precisi
di
apprendimento
su

cui
si
vuole
lavorare,
si
definisce
il
volume
della
popolazione
che
prenderà
parte
all’iniziativa,

e
si
individuano
le
possibili
location.




Progettazione:
sono
recepiti
gli
input
dalla
fase
precedente,
cioè:




• I
risultati
dei
lavori
del
Comitato
di
Progetto;

• La
lista
delle
competenze
e
dei
comportamenti
target;

• Le
possibili
location
identificate.


 22




In
 base
 a
 questi
 elementi
 e
 tenendo
 conto
 del
 portfolio
 di
 esperienze
 accumulate
 dal

formatore
si
sviluppa
il
processo
di
progettazione.
Si
tratta
effettivamente
di
un
processo,
in

quanto,
 la
 progettazione
 si
 costituisce
 di
 una
 serie
 di
 attività
 sequenziali
 che
 si
 susseguono

concatenandosi.


Il
primo
livello
di
progettazione
riguarda
l’identificazione
delle
possibili
tecniche
grezze
che

potrebbero
 permettere
 lo
 sviluppo
 delle
 competenze
 target
 e
 si
 inizia
 a
 scegliere
 quelle
 che

meglio
si
prestano
allo
scopo;
inevitabilmente
questa
valutazione
si
fonda
sull’esperienza
dei

formatori
 progettisti.
 A
 questo
 punto
 può
 iniziare
 la
 progettazione
 specifica
 di
 ogni

esperienza,
 mirata
 e
 centrata
 sugli
 obiettivi
 didattici
 specifici
 che
 per
 ogni
 esperienza
 sono

stati
identificati
attraverso
la
matrice
di
correlazione.

La
 progettazione
 delle
 attività
 segue
 un
 processo
 specifico
 e
 dettagliato;
 si
 comincia

considerando
 da
 un
 lato
 gli
 obiettivi
 didattici
 da
 raggiungere
 e
 dall’altro
 la
 tecnica
 grezza

individuata
dai
formatori
come
base
di
partenza.

Questo
 processo
 è
 definito
 “vestizione”
 dell’esperienza
 e
 permette
 di
 calibrare
 il
 percorso

formativo
ad
hoc
per
ogni
cliente,
realizzando
un
adeguato
livello
di
personalizzazione
degli

obiettivi
didattici
raggiungibili.


Durante
il
processo
di
vestizione
dell’esperienza
si
cerca
di
arricchire
la
tecnica
grezza
scelta

facendola
 diventare
 un’esperienza
 completa
 al
 fine
 di
 rendere
 massima
 la
 possibilità
 di
 far

emergere,
agire
e
sviluppare
i
comportamenti
target
così
come
concordati
con
il
committente.




La
progettazione
di
dettaglio
prosegue
con
la
stesura
della
struttura
completa
del
programma

di
outdoor.
Qui
dovranno
essere
definite
le
metafore
che
saranno
utilizzate,
la
scaletta
della

sessione
 di
 apertura
 e
 di
 chiusura
 del
 programma,
 le
 modalità
 di
 selezione
 dei
 trainer
 in

funzione
delle
attività
da
realizzare,
le
istruzioni
da
fornirgli,
la
temporizzazione
complessiva

del
percorso
e
la
scelta
della
location
adatta.

Una
 volta
 pianificato
 sulla
 carta
 tutto
 il
 necessario
 per
 realizzare
 l’attività,
 subentra
 la
 fase

della
 preparazione,
 l’OT
 Operation
 Manager
 è
 il
 responsabile
 di
 questo
 delicato
 passaggio

della
 progettazione.
 Dovranno
 essere
 reperiti
 ed
 stoccati
 tutti
 materiali
 occorrenti,
 tenendo

conto
delle
specifiche
tecniche
e
di
sicurezza
richieste
dall’esperienza.
Acquistare
il
materiale

che
 non
 si
 possiede
 e
 verificare
 lo
 stato
 di
 ciò
 che
 fa
 parte
 del
 bagaglio
 di
 strumentazioni
 a

disposizione;
verificarne
la
funzionalità
e
la
qualità.


Dovrà
 essere
 svolto
 un
 sopralluogo
 della
 location
 prescelta
 per
 verificare
 che
 sia

effettivamente
 compatibile
 con
 le
 esperienze
 progettate
 in
 modo
 da
 poterle
 adattarle

anticipatamente
e
non
trovarsi
di
fronte
ad
un
imprevisto.


A
 questo
 punto
 è
 possibile
 contattare
 trainer
 e
 tecnici
 e
 realizzare
 con
 loro
 una
 riunione

generale,
 durante
 quest’incontro
 sarà
 effettuata
 una
 prova
 generale
 delle
 attività
 dove
 i

trainer
 assumono
 il
 ruolo
 dei
 partecipanti
 ed
 i
 tecnici
 svolgono
 la
 loro
 funzione.
 Facendo

esperienza
 diretta
 dell’esercizio,
 il
 trainer
 è
 in
 grado,
 di
 individuare
 eventuali
 situazioni
 di

pericolo
 che
 potrebbero
 insorgere,
 di
 testare
 le
 capacità
 dei
 tecnici
 di
 gestire
 eventuali

situazione
 complesse,
 di
 prevedere
 quali
 saranno
 i
 momenti
 dell’esperienza
 che
 dovranno

essere
osservati
con
maggior
attenzione
in
previsione
della
rielaborazione.

Prima
di
poter
passare
alla
fase
successiva
è
necessario
preparare
il
materiale
didattico
che

fornirà
 supporto
 ai
 formatori
 ed
 ai
 trainer
 durante
 l’outdoor.
 Ad
 esempio
 dovranno
 essere

preparate
 le
 schede
 di
 valutazione,
 i
 questionari
 e
 tutto
 il
 materiale
 per
 recepire
 le

informazioni
dai
partecipanti
al
fine
di
poterle
poi
lavorare
al
termine
dell’esperienza.

Se
 necessario,
 si
 calibra
 il
 programma
 ed
 il
 materiale
 sulle
 eventuali
 nuove
 necessità
 o

sopravvenuti
vincoli.




Outdoor:
 la
 fase
 della
 realizzazione
 dell’esperienza
 corrisponde
 a
 quanto
 già
 detto

relativamente
all’Outdoor
Training:
ciò
che
deve
essere
invece
approfondita,
è
la
gestione
di

tutte
le
attività
di
tipo
logistico,
organizzativo
e
di
animazione
e
conduzione
dello
staff.



 23

Le
 giornate
 di
 outdoor
 sono
 caratterizzate
 da
 pochi
 e
 brevi
 momenti
 di
 pausa,
 dove
 non
 si

svolge
 alcuna
 attività
 con
 i
 partecipanti,
 momenti
 che
 di
 riposo
 che
 però
 non
 riguardano
 i

trainer
 e
 lo
 staff
 di
 supporto
 all’outdoor.
 I
 momenti
 in
 cui
 i
 partecipanti
 usufruiscono
 delle

pause,
 le
 serate
 o
 la
 mattina
 prima
 dell’apertura,
 sono
 dedicati
 alle
 riunioni
 dello
 staff
 di

conduzione.
 Gli
 incontri
 sono
 fondamentali
 per
 gestire
 le
 dinamiche
 complessive
 di
 tutto
 il

gruppo,
per
discutere
e
prevedere
eventuali
imprevisti,
per
migliorare
gli
aspetti
organizzativi

e
la
sicurezza;
iniziare
a
focalizzare
e
personalizzare
le
osservazioni
e
gli
input
da
fornire
ai

singoli
 partecipanti.
 Da
 questa
 breve
 descrizione
 emerge
 come,
 caratteristica
 del
 trainer
 è

proprio
l’elevata
resistenza
allo
stress
ed
una
buona
resistenza
fisica.

È
 necessario
 sottolineare
 che
 la
 buona
 riuscita
 di
 un’esperienza
 di
 OMT
 è
 fortemente

influenzata,
 oltre
 che
 dalle
 dinamiche
 interne
 dei
 gruppi
 e
 dalle
 caratteristiche
 individuali,

dalla
metafora
scelta
per
la
specifica
esperienza
e
da
come
questa
è
presentata.


Caratteristica
fondamentale
della
metafora
è
che
per
essere
efficace
deve
essere
isomorfa
per

i
partecipanti,
deve
essere
cioè
di
struttura
simile
alle
situazioni
della
vita
lavorativa
reale,
ma

applicata
ad
un
oggetto
diverso.
Ad
esempio,
un’attività
di
outdoor
potrebbe
essere
richiesto

ai
 partecipanti
 di
 decidere
 l’organizzazione
 dei
 ruoli
 dei
 membri
 dei
 singoli
 gruppi.
 Questa

situazione
 è
 isomorfa
 a
 quella
 della
 prima
 riunione
 di
 un
 team
 interfunzionale
 che
 deve

iniziare
una
nuova
commessa.





Elaborazione
dei
risultati:
tutto
il
materiale
raccolto
durante
lo
svolgimento
dell’outdoor
è

rielaborato
e
utilizzato
per
preparare
il
workshop
di
approfondimento
e
sintesi
del
percorso,

sessione
che
avverrà
a
1‐3
mesi
di
distanza.

Durante
la
rielaborazione
dei
risultati,
i
partecipanti
prendono
visione
del
materiale
video
ed

audio
 registrato
 durante
 l’esperienza
 al
 fine
 di
 ripercorrere
 tutte
 le
 tappe,
 sia
 logiche
 che

emotive,
della
vita
del
gruppo
per
di
poter
estrarre
una
selezione
di
frammenti
da
analizzare

con
 maggior
 attenzione.
 Questa
 astrazione
 e
 riduzione
 del
 materiale
 è
 necessaria
 per
 poter

sottolineare
le
evoluzioni
già
raggiunte
e
le
questioni
ancora
aperte.


Spetta
ai
formatori
elaborare
tutti
i
moduli
di
raccolta
dei
feedback
compilati
dai
trainer
e
dai

partecipanti
dopo
ogni
esperienza.


Le
 informazioni
 dedotte
 dai
 formatori
 in
 base
 al
 materiale
 raccolto
 sono
 sistematizzate
 ed

inviate
 ai
 singoli
 partecipanti
 con
 una
 lettera,
 riservata
 e
 personale,
 al
 fine
 di
 indurre
 un

ulteriore
spunto
di
riflessione
sulle
esperienze
vissute
in
preparazione
del
workshop
di
follow

up.

Analogamente
 al
 lavoro
 di
 raccolta
 ed
 analisi
 dei
 feedback
 messo
 in
 atto
 per
 ogni
 singolo

partecipante,
 è
 possibile
 improntare
 un
 sistema
 simile
 per
 quanto
 riguarda
 i
 gruppi
 ed
 i

sottogruppi
 formatisi
 durante
 l’esperienza.
 I
 dati
 così
 raccolti
 permettono
 di
 definire
 un

profilo
caratteristico
del
gruppo
arricchendo
anche
le
informazioni
sui
singoli
membri.
Risulta

possibile,
 a
 questo
 punto,
 conoscere
 quali
 siano
 stati
 i
 comportamenti
 più
 agiti,
 sopra
 la

media,
 e
 quelli
 meno
 agiti,
 sotto
 la
 media.
 Sulla
 base
 di
 ciò,
 individuare
 le
 competenze
 più

sostenute
dai
comportamenti,
ossia
i
punti
di
forza,
e
quelle
meno
segnalate,
i
punti
deboli,
o

aree
di
miglioramento.
Saranno
visibili
in
questo
modo
i
comportamenti
ritenuti
critici.




Workshop
 di
 follow
 up:
 il
 percorso
 di
 OMT
 termina
 con
 una
 riunione
 d’aula
 che
 si
 tiene
 a

distanza
 di
 1‐3
 mesi
 dall’esperienza.
 Durante
 le
 sessioni
 di
 workshop
 viene
 riesaminato
 il

materiale
prodotto
durante
l’esperienza
di
outdoor,
si
procede
con
dibattiti
di
confronto
tra
i

partecipanti
 supportando
 la
 discussione
 con
 la
 rivisitazione
 del
 materiale
 audio/video

registrato
durante
le
esercitazioni;
tutto
ciò
ha
il
fine
di
consolidare
e
capitalizzare,
si
auspica

definitivamente,
 gli
 apprendimenti
 ottenuti
 sul
 campo.
 I
 formatori,
 se
 lo
 ritengono
 utile,

possono
stimolare
ulteriormente
i
presenti
somministrando
ad
esempio
questionari
o
test
per

indurre
ulteriori
riflessioni
in
modo
da
completare
la
riflessione
sull’efficacia
dei
propri
stili
e

modalità
di
apprendimento.




 24

La
 rivisitazione
 dei
 filmati,
 la
 discussione
 a
 mente
 fredda
 sugli
 apprendimenti
 acquisiti,

l’analisi
 dell’esperienza
 e
 dei
 feedback
 sui
 comportamenti
 target
 agiti
 permette
 di
 poter

avviare
 una
 rielaborazione
 profonda
 su
 quanto
 verificatosi
 durante
 l’OMT.
 Tornare
 a

rielaborare
l’esperienza
passata
permette
ai
formatori
di
condurre
la
discussione
in
modo
da

presentare
più
approfonditamente
le
competenze
ed
i
comportamenti
target
con
il
riflesso
che

questi
 hanno
 sulla
 vita
 professionale
 e
 quindi
 personale
 dei
 gruppi
 coinvolti.
 Il
 workshop

serve
 inoltre
 per
 far
 emergere
 le
 difficoltà
 esistenti
 in
 merito
 all’applicazione
 reale

dell’apprendimento
e
le
possibilità
di
superamento
di
queste
difficoltà.

L’apertura
 del
 workshop
 avviene
 chiedendo
 ai
 partecipanti
 di
 far
 riemergere
 ricordi,

sensazioni,
 emozioni,
 osservazioni
 e
 riflessioni
 sul
 percorso
 fatto
 nell’OMT
 e
 sul
 successivo

ritorno
 in
 azienda.
 Dopo
 aver
 riattivato
 la
 memoria
 e
 le
 sensazioni
 avvertite
 durante

l’esperienza,
sono
presentati
e
discussi
approfonditamente
i
risultati
delle
rielaborazioni
dei

feedback,
da
ciò
si
elabora
ed
estrapola
il
profilo
caratteristico
del
gruppo
che
ha
preso
parte

all’outdoor.
Partendo
dai
comportamenti
messi
in
luce
dal
profilo,
si
cercano
di
individuare
le

situazioni
 affini
 alla
 realtà
 aziendale,
 mettendone
 in
 luce
 i
 punti
 di
 maggiore
 criticità.
 In

questo
modo
si
delinea
una
lista
dei
principali
nodi
su
cui
lavorare
e
delle
attività
necessarie

per
superarli.

A
questo
punto,
dopo
aver
lavorato
sulle
dinamiche
emerse
a
livello
di
gruppo,
ci
si
concentra

sui
 singoli
 partecipanti;
 possono
 essere
 forniti,
 a
 volte,
 strumenti
 di
 auto
 posizionamento
 in

modo
 da
 poter
 guidare
 ogni
 partecipante
 in
 una
 riflessione
 personale
 sui
 propri
 stili
 di

apprendimento
 al
 fine
 di
 connettere
 i
 comportamenti
 di
 gruppo
 con
 quelli
 individuali.
 Da

questo
 lavoro
 preliminare
 emerge
 una
 sintesi
 che
 può
 evolversi
 in
 un
 Piano
 Individuale
 di

Sviluppo
 di
 una
 Competenza,
 con
 il
 quale
 il
 soggetto
 progetta
 un
 suo
 personale
 percorso
 di

ancoraggio
degli
apprendimenti
avvenuti
e
di
miglioramento
di
alcuni
propri
comportamenti.




Piani
 Individuali
 di
 Sviluppo
 di
 una
 Competenza:
 i
 partecipanti
 all’outdoor
 recepiscono
 i

feedback,
 le
 osservazioni
 dei
 colleghi
 e
 dei
 formatori,
 gli
 input
 e
 gli
 strumenti
 aggiuntivi

presentati
 durante
 le
 sessioni
di
 follow
up
 e
ne
traggono
le
 basi
 per
 costituire
un
 personale

piano
di
sviluppo
delle
competenze.

Per
 poter
 progettare
 un
 proprio
 piano
 di
 sviluppo,
 è
 necessaria
 una
 fase
 di
 diagnosi
 del

proprio
profilo
al
fine
di
individuare
i
propri
punti
di
forza
e
le
aree
di
miglioramento
che
si

relazionano
che
le
competenze
target
individuate
dal
Comitato
di
Progetto.
Ciascun
soggetto

deve
 individuare
 i
 comportamenti
 target
 sui
 quali
 intende
 lavorare
 e
 definire
 un

corrispondente
 piano
 d’azione
 stabilendo
 1‐3
 obiettivi
 di
 miglioramento,
 le
 relative
 azioni

concrete
necessarie
per
raggiungerli
e
la
tempistica
con
la
quale
prevede
di
procedere.

L’output
 così
 realizzato
 deve
 essere
 condiviso
 ed
 analizzato
 con
 i
 propri
 colleghi
 i
 quali

assumono
 quasi
 i
 ruoli
 di
 consulenti,
 committenti,
 giudici
 e
 facilitatori
 di
 quest’opera
 di

accrescimento
 personale.
 La
 collaborazione
 delle
 persone
 con
 le
 quali
 si
 condivide
 l’attività

professionale
 è
 fondamentale
 perché
 il
 soggetto
 che
 intraprende
 un
 Piano
 di
 Sviluppo

Individuale
delle
Competenze
deve
poter
trovare
nel
proprio
ambiente
e
nei
propri
colleghi
le

condizioni
in
cui
l’apprendimento
è
possibile.
Il
contesto
organizzativo
sarà
l’ambiente
dove
il

discente
riporterà
la
propria
esperienza,
se
questo
non
si
ritiene
l’operato
del
soggetto
utile

per
 la
 persona
 e
 per
 l’azienda,
 non
 sarà
 possibile
 applicarlo
 e
 la
 formazione
 risulterà

fallimentare.



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