Sei sulla pagina 1di 12

Innovare con la tecnologia: aspetti di sistema nellorganizzazione-scuola

Pier Cesare Rivoltella, Universit Cattolica di Milano, Presidente SIREM Question: How do you eat an elephant? Answer: A piece at a time

Introduciamo la nostra analisi con due precisazioni che riteniamo ne possano favorire la corretta ricezione. La prima relativa al punto di vista a partire dal quale il presente contributo intende riflettere sul problema dellinnovazione tecnologica e cio quello dellistituzione scolastica. Si tratta della prospettiva del dirigente, o comunque di chi nella scuola opera e incontra il problema di come organizzare il proprio intervento affinch la tecnologia trovi spazio e faccia la differenza. In questo senso, le policies di sistema, le logiche che muovono le scelte a livello nazionale, pur rimanendo sullo sfondo, non sono direttamente sotto la lente di ingrandimento. Questo asse, diciamo cos, organizzativo la seconda precisazione - impatta su altre due dimensioni e cio gli apprendimenti e la formazione degli insegnanti. Quando si cerca di affrontare la questione dellinnovazione nella didattica, infatti, ogni scelta organizzativa automaticamente coinvolge tanto lapprendimento che la necessit per gli insegnanti di sviluppare competenze adeguate: se opto per lintroduzione della LIM in classe, inevitabilmente richiedo allinsegnante un training che lo renda capace di farne uso nella sua didattica e immagino (auspico) che questuso produca qualche effetto sul modo di apprendere degli studenti. Con queste due attenzioni sullo sfondo ci accingiamo a descrivere il nostro percorso di riflessione che sar scandito in quattro passaggi. Muoveremo da una definizione dei termini in gioco (1); poi passeremo a presentare i principali modelli attraverso i quali possibile spiegare linnovazione tecnologica (2). Su questa base cercheremo di comprendere in profondit cosa significhi linnovazione in questo contesto (3). Infine proveremo a disegnare un piano di azione praticabile per linnovazione con le tecnologie didattiche nella scuola (4).

Definizioni Le due parole-chiave attorno a cui si organizza la nostra riflessione sono innovazione e tecnologia. Si tratta di termini che spesso compaiono abbinati: lidea che linnovazione sia prodotta dalla comparsa e dalladozione di una nuova tecnologia, infatti, attraversa buona parte delle teorie classiche dellinnovazione. Da queste teorie pensiamo ad esempio alla prospettiva di Robert Solow (1957) - la tecnologia viene concettualizzata come il residuo dellanalisi economica, ovvero come ci che rimane quale causa dellinnovazione quando tutti gli altri possibili fattori sono stati esclusi. In buona sostanza, se la produzione determinata dal capitale, dal lavoro e dal cambiamento tecnologico, restando invariati il capitale e il lavoro, se si verifica un aumento della produzione questo si deve di certo addebitare al cambiamento tecnologico (Flichy, 1996; 22). Nella nostra analisi ci concentriamo sullinnovazione educativa (e di conseguenza sulle tecnologie didattiche). Vediamo in questa prospettiva come le due categorie possano essere definite. Innovazione Quando si parla di innovazione si intende una trasformazione profonda delle pratiche, a livello organizzativo (micro) o sociale (macro), volta a un miglioramento delle stesse in termini di efficienza ed efficacia.

Una definizione di questo tipo implica almeno tre conseguenze (che neutralizzano altrettanti modi superficiali di pensare linnovazione, soprattutto in relazione alladozione dei nuovi media e dellICT). In primo luogo la nostra definizione porta a escludere che linnovazione sia solo una questione di procedure o protocolli da adottare. Il problema, cio, non solo quello di adeguare uno standard (come avviene allinterno di un certo modo di pensare la certificazione di qualit), quanto piuttosto di verificare se ladozione del nuovo interviene in profondit sulle pratiche allinterno dellorganizzazione. Quindi una scuola certificata non per ci stesso una scuola innovativa: solo una scuola che ha trovato il modo di rispondere alle richieste che uno standard di qualit le impone. Che questo impatti sulle sue pratiche innovandole o rimanga un puro adempimento formale una questione aperta. In seconda istanza linnovazione non una questione di strumenti. Si pu attrezzare un ambiente con le tecnologie pi recenti e non promuovere la minima innovazione allinterno di quellambiente. Se la classe in cui opero appartiene a una wireless area, appesa al muro ho una LIM di ultima generazione, tutti i miei studenti dispongono di un laptop (o di un I-pad), non detto che le mie pratiche didattiche per ci stesso miracolosamente si debbano adeguare al nuovo intercettandolo. Io posso continuare a tracciare scarabocchi sulla lavagna (ora interattiva e digitale) mentre faccio lezione, chiedere ai miei allievi di prendere appunti praticamente sotto dettatura (certo, magari non pi sulla carta), far aprire il libro digitale a pagina tale e leggere ad alta voce. Il nuovo non contagia le pratiche tradizionali producendo il cambiamento in maniera virale, come i sostenitori del modello epidemiologico della propagazione per contatto pensano; al contrario pi probabile che siano le pratiche tradizionali a impadronirsi dei nuovi strumenti piegandoli a usi conformi rispetto a quelli da sempre conosciuti e praticati. Da questultima osservazione discende il terzo rilievo, ovvero linvito a non confondere linnovazione con il cambiamento. Cambiare cio, ad esempio, modificare il setting dellaula, introdurre nuovi strumenti, sostituire il libro cartaceo con nuovi supporti digitali non significa garantire che dal cambiamento derivi uneffettiva innovazione delle pratiche. Anzi, spesso vero il contrario e cio che lorganizzazione utilizzi proprio il cambiamento per mascherare la concreta indisponibilit a modificare alcunch. Come Tomasi di Lampedusa fa dire a Tancredi nella parte finale del Gattopardo: Se vogliamo che tutto rimanga com, bisogna che tutto cambi!. Tecnologia Per quanto riguarda, invece, la tecnologia, possiamo definirla come un insieme di artefatti, intenzionalit, progetti, azioni e interazioni, il cui scopo di produrre una trasformazione dellambiente in funzione delluomo. Anche in questo caso ma questa volta pi dal punto di vista teorico che delle implicazioni organizzative - la definizione impone alcune considerazioni. In primo luogo essa fa riferimento a una definizione sottrattiva e non sommativia (Galimberti, 1999) del sinolo umano. Come noto, la concettualizzazione delluomo pi diffusa in Occidente quella aristotelica che lo pensa come animal rationale. Coerente rispetto alla teoria aristotelica della definizione, essa riconosce nelluomo un genere prossimo (animale) che lo accomuna a tutti gli altri esseri del mondo animale (differenziandolo da soggetti appartenenti ad esempio al genere vegetale) e una differenza specifica (la razionalit) che costituisce ci che allinterno del mondo animale rende luomo diverso da tutti i suoi altri appartenenti. In tal senso la definizione aristotelica si pu considerare sommativa: luomo, in questa accezione, qualcosa + qualcosaltro, animalit rispetto alla quale la ragione determina la sua irriducibilit rispetto a qualsiasi altro essere. In questo modo, la razionalit diviene un surplus, viene concettualizzata come qualcosa di eccedente rispetto alla natura, aprendo la strada a quella considerazione dialettica tra istinto e ragione, natura e cultura, su cui un po tutta lantropologia dualista occidentale, dai Greci a Cartesio, si costruir. Diverso invece considerare il composto umano in termini sottrattivi. Cosa vuol dire? Per capirlo occorre tornare al mito di Prometeo cos come i Greci lo hanno costruito. La vicenda nota. Gli dei

assegnano a Prometeo e al fratello Epimeteo il compito di distribuire i loro doni tra tutte le specie viventi. Epimeteo, preso dalla foga, dota gli animali di pellicce per resistere al freddo, di unghie e denti per difendersi e per cacciare, dellistinto per riconoscere i pericoli e sopravvivere nelle difficolt. Giunto alluomo ed esauriti tutti i doni, lo lascia nudo, con una muscolatura fragile, senza zanne e senza artigli. a questo punto che Prometeo entra in gioco e per mettere riparo allerrore del fratello ruba agli dei il fuoco per farne dono alluomo. Linterpretazione classica del mito, quella proposta da Eschilo, privilegia la dimensione teologica. Prometeo, eroe tragico, nella misura in cui invece di accettare il limite entro cui vive, sceglie con un atto di hybris di trasgredirlo (questo il significato del furto del fuoco), commette ingiustizia e compromette lordine divino delle cose. Solo la sua pena pu rimuovere gli effetti della hybris e ristabilire lordine. E infatti, nel Prometeo incatenato, Eschilo lo consegna a un destino eterno di sofferenza, incatenato a una rupe, mentre dei corvi gli dilaniano il fegato: Ho spartito/ con i mortali un dono degli dei:/ per questo fui inchiodato al mio deatino./ Cercai la scaturigine segreta/ del fuoco che si cela nel midollo/ della canna, maestro dogni arte,/ via che si apre. Questo fu il peccato/ di cui pago la pena/ inchiodato e in catene in faccia al cielo (Diano, 1980; 88-89). Il saggio di Galimberti evidenzia come si possa condurre una lettura alternativa del mito, antropologica pi che teologica. Esso indicherebbe la natura umana, pienamente umana, della tecnica (di cui il fuoco simbolo). Cerchiamo di capire in che senso. Galimberti si appoggia allanalisi di Gehlen (1984) e fa osservare come, proprio attraverso la lettura attenta del mito di Prometeo, si possa dimostrare che la natura del sinolo umano non sommativa (come voleva Aristotele) ma sottrattiva. Luomo non un animale + qualcosa (la razionalit), ma un animale qualcosa (listinto): la ragione, quindi, svolge nel composto umano, la stessa funzione che listinto svolge negli altri animali. Da qui derivano almeno due conseguenze. Anzitutto, a differenza di tutti gli altri animali, luomo non si adatta allambiente, ma lo trasforma in modo tale che possa consentirgli di viverci. Questa la funzione principale della tecnica e della tecnologia: esse sono ci attraverso cui luomo modifica lambiente circostante per renderlo funzionale alla propria esistenza. In questo senso la ragione umana per definizione strumentale: lo nella misura in cui nella quasi totalit dei casi essa rivela una vocazione trasformativa. Se questo vero, allora si capisce come la tesi weberiana di una presunta neutralit della tecnologia rispetto al valore, spesso ancora fatta valere, sia da smentire. Non ha senso dire che la tecnologia non n buona n cattiva e che tutto dipende dalluso che se ne fa, perch di fatto nel momento stesso in cui viene inventata e introdotta lo gi secondo una certa intenzionalit e in vista di un fine determinato. Da ultimo, nella prospettiva di Gehlen, si supera finalmente lopposizione apparentemente irriducibile tra luomo e la tecnologia. Luomo tecnologico per definizione: nella misura in cui la ragione strumentale lo costituisce strutturalmente, la tecnologia che della ragione strumentale espressione va considerata parte integrante dellessenza umana. Cos, nel caso delle tecnologie didattiche, non avr senso rimpiangere il tempo in cui il maestro insegnava servendosi solo della propria voce contrapponendo a questo tempo della relazione autentica con il bambino il tempo attuale in cui la presenza delle tecnologie comporterebbe un ridimensionamento della qualit di quella relazione. Non ha senso perch la voce, nella misura in cui viene piegata a significare dai codici della comunicazione verbale, gi nella sua natura una tecnologia. Veniamo allaltro rilievo che ci sembra importante fare. Nella definizione, la tecnologia viene compresa certo a partire da dispositivi e artefatti, ma viene sottolineato come essa risulti da un insieme di questi e di altri fattori che non sono manufatti, ma intenzionalit, azioni, interazioni. Questo, oltre a ribadire il carattere profondamente umano della tecnologia, implica che il quadro socio-tecnico sia considerato in maniera integrata (Flichy, 1996). Per quadro socio-tecnico si intende linsieme indissociabile del quadro di funzionamento della tecnologia e del suo quadro duso, contro le tentazioni riduzionistiche tanto della sociologia che della tecnologia. Cerchiamo di spiegarci. Un computer prevede un quadro di funzionamento (ovvero unarchitettura e delle regole di funzionamento) molto complesso: si tratta di fusibili e microprocessori, di periferiche, di

linguaggio-macchina con cui stato programmato per montare un sistema operativo e del software. Tutto questo armamentario da ingegneri elettronici e informatici, nellinformatica moderna non si vede. Chi si occupa di questo genere di problemi spiega questo fatto parlando di una perduta trasparenza della macchina (Turkle, 1997): essa divenuta opaca, non consente pi di vedere al suo interno, non mette sotto gli occhi di chi la usa il meccanismo mentre opera. Questa opacit della macchina va ricondotta allascesa inarrestabile delle interfaccia tattili la metafora della scrivania prima nel Mac e poi in Windows, piuttosto che lo schermo touch di tutti i cellulari di ultima generazione grazie alle quali il quadro di funzionamento si progressivamente venuto emancipando dal quadro duso: quando faccio drag and drop con un file sul mio desktop, sto operando nel quadro duso del computer trascinandolo grazie al tasto sinistro del mouse, ma a questa operazione percettivamente naturale corrisponde nel suo quadro di funzionamento una sequenza di comandi complicatissimi che per me sarebbe impossibile dare se stessi operando direttamente sul quadro di funzionamento. Ora, lo sviluppo dellinformatica recente stato caratterizzato proprio da questo duplice processo: la complessificazione progressiva dei quadri di funzionamento (tanto che se un dispositivo elettronico si guasta non c alternativa a rispedirlo in fabbrica se non di sostituirlo) e la progressiva semplificazione di quadri duso sempre pi user friendly. Ma questo fa comprendere molto bene come la macchina e il suo utilizzatore, le pratiche e i dispositivi, siano strettamente interdipendenti: qualsiasi input su una qualsiasi delle due facce del quadro socio-tecnico produce degli effetti sullaltra. Occorrer tenerlo presente quando pi avanti parleremo di come linnovazione tecnologica si possa comprendere e promuovere.

Modelli dellinnovazione Il rapporto tra tecnologia e innovazione stato tradizionalmente pensato (anche in relazione alle tecnologie didattiche) secondo due modelli che sinteticamente si possono definire come modello del market pull e del technological push. interessante notare come essi siano ancora largamente presenti nelle retoriche e nelle politiche pubbliche che riguardano il rapporto tra la scuola e la tecnologia. Il data-base delle intenzioni Il primo il modello del market pull (o del pilotaggio della domanda). Secondo questo modello sono i bisogni dei mercati (gusti, richieste, bisogni da indurre, costi da comprimere) a influire sullintroduzione di tecnologia. Basti pensare alla meccanizzazione e a come a fronte dellintenzione dichiarata di liberare tempo alluomo per prestazioni meno alienanti e pi creative, essa si sia spesso tradotta in un dispositivo per incrementare la produzione senza aumentare (o addirittura riducendo) la forza-lavoro. Oppure, se si parla di bisogni indotti, si ragioni sulleffettivo bisogno dei dispositivi mobili, su quanto nella loro introduzione vi sia di risposta ad una reale esigenza di comunicazione delle persone e quanto invece di alimentazione innaturale di una perenne tendenza a rimanere in contatto per una semplice motivazione ftica al di l dei contenuti effettivi di quel che si vuole comunicare. In questa logica evidente come il mito - nel senso barthesiano del termine (Barthes, 1994; Rivoltella, 2003) conti pi che la realt e come il marketing divenga parte integrante delle strategie politiche e aziendali (Scott, 1997). Questa la ragione per cui oggi il valore rappresentato dal numero dei contatti, poich sui loro profili fatti di abitudini, hobbies, tendenze, il mercato si modella. Le corporations che stanno dietro ai principali servizi Web, da Twitter a Facebook, su questo valore hanno costruito le loro quotazioni in borsa. Google, come Battelle (2006; 17) ha indicato con unimmagine suggestiva, con i suoi 900 milioni di utenti rappresenta da questo punto di vista un vero e proprio data-base delle intenzioni; nei loro profili sono iscritte le mode, le passioni, le linee di sviluppo dellumanit per il prossimo futuro: Link dopo link, click dopo click, la ricerca sta costruendo forse il pi durevole, poderoso e significativo

manufatto culturale nella storia dellumanit: il Database delle Intenzioni, ovvero il risultato aggregato di ogni ricerca inserita nel motore, di ogni lista di risultati presentata, e di ogni percorso seguito sulla base di quei risultati. () una storia in tempo reale della cultura post Web. Come si pu ben capire, la logica del market pull non estranea al rapporto della scuola con la tecnologia. Pensiamo ad alcuni casi concreti, come ad esempio a quando si adotta un LMS (una piattaforma e-learning) e si producono contenuti digitali da rendere disponibili in essa agli studenti per bilanciare le carenze di organico (e di fondi) che altrimenti non consentirebbero di attivare corsi di recupero dei debiti scolastici. Ma una logica analoga ha giustificato in tempo recente lenfasi sulla tecnologia in relazione alla scuola in ospedale e ai progetti di educazione domiciliare: dietro la ragione ufficiale secondo la quale compito della tecnologia (ad esempio dei sistemi di videoconferenza) sarebbe di garantire al bambino ospedalizzato di rimanere in contato con la propria classe, si cela di fatto la necessit di comprimere gli organici per far fronte alla pi generale necessit di far dimagrire il comparto dellimpiego pubblico. E ancora, ladozione di tecnologia in scuola risponde al modello del market pull quando essa intercetta e prova a soddisfare le richieste dei genitori (che chiedono una scuola pi al passo con i tempi, maggiormente capace di rispondere ai bisogni del mercato delle professioni) o pi in generale cerca di stare in modo pi efficace nel mercato della formazione usando la tecnologia come indicatore di qualit e aggiornamento rispetto alla domanda di formazione. Per quanto diffuso e, per certi versi, economicamente funzionale, questo modello produce almeno due problemi. Anzitutto difficile prevedere a priori la curva della domanda. La riprova evidente di questo fatto viene dalla vexata quaestio dei contenuti digitali. Salutati come una panacea costano meno, stanno su un e-book o altra piattaforma mobile che serva alla lettura di documenti, risolvono il problema di zaini ingombranti e molto pesanti non hanno visto fino ad oggi grandi investimenti da parte degli editori scolastici (se si eccettuano gli sforzi di editori solo digitali come Garamond, o di grande tradizione nella scolastica come Zanichelli e Mondadori). La ragione sta proprio nella sproporzione esistente tra linvestimento medio che un editore costretto a fare per progettare un corso in formato digitale, e la possibilit di prevedere con ragionevole margine di successo quali saranno le mosse del Ministero, laccoglienza degli insegnanti, lo sviluppo della tecnologia stessa rispetto ai formati e ai dispositivi. Ma lo stesso problema attanaglia il dirigente scolastico di fronte allacquisto di tecnologia: dota le classi di I-pad secondo la logica del one-to-one computing e dopo 6 mesi Apple immette sul mercato I-pad 2 che rende immediatamente obsoleta la dotazione che solo 6 mesi prima era il top di quanto il mercato potesse mettere a disposizione. Il secondo problema consiste nel fatto che spesso il bisogno, reale o presunto, alimenta profezie che non sempre si autoavverano. Negli ultimi anni hanno funzionato in questo modo tutte quelle previsioni che prefiguravano un futuro ineluttabile fatto di tecnologie: ne stato in qualche modo licona il convegno Un giorno di scuola nel 2020 organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo a Torino il 26-27 marzo del 2009. Technology, no more Laltro modello cui facevamo riferimento quello del technological push. La prospettiva in questo caso rovesciata rispetto a quella del modello precedente: infatti il progresso della scienza a far sviluppare nuove tecnologie che esercitano una pressione su gusti e comportamenti delle persone imponendone il cambiamento. Si tratta di una prospettiva molto diffusa che obbedisce a una logica deterministica: presuppone, infatti, lidea che sia sufficiente introdurre tecnologia in un qualsiasi contesto perch la tecnologia, taumaturgicamente, per il semplice fatto di essere presente, produca trasformazioni significative nelle pratiche dei soggetti e negli assetti del contesto. Nel caso della scuola questo modo di pensare responsabile della convinzione che introdurre tecnologia in classe serva a migliorare linsegnamento, o a potenziare gli apprendimenti ed alla base di uno dei due sistemi attraverso i quali, anche nel nostro Paese, si provato negli ultimi venticinque anni a guidare linnovazione delle pratiche attraverso la tecnologia. Facciamo riferimento alle ripetute

azioni di sistema dal primo PSTD del 1985 al recentissimo Scuola digitale mediante le quali si provveduto, per ondate successive, ad attrezzate le scuole con i computer piuttosto che con le LIM, al fine di colmarne il gap rispetto agli standard europei. Come si pu facilmente comprendere, la relazione tra le tecnologie e linnovazione molto pi complessa. Come Cantoia (2009) ha ben evidenziato, a fronte della credenza diffusa in base alla quale con i computer si pu fare e sapere tutto e gli insegnanti e gli studenti che adoperano i media sembrano pi competenti e affidabili, occorre sottolineare alcune evidenze che la ricerca internazionale ha fissato negli ultimi anni: - gli strumenti multimediali non garantiscono necessariamente risultati di apprendimento migliori o diversi, almeno non a livello di comportamento spontaneo; - i media tool migliorano lapprendimento solamente quando a lezione viene proposto un insegnamento orientato allo studente con un minor controllo da parte dellinsegnante sulluso delle componenti multimediali; - la diffusione dei media non corrisponde a una reale conoscenza degli stessi; - le capacit attentive non sono influenzate dalle tecnologie in s, quanto dalle attivit che propongono. In sintesi, si pu dire che le presenza dellinsegnante, gli obiettivi educativi e didattici che ne regolano luso, lintegrazione delle tecnologie rispetto alle normali pratiche didattiche di classe ci che decide della incisivit dei dispositivi tecnologici rispetto agli apprendimenti. La qualit dellinsegnamento non un risultato che le tecnologie possono produrre, quanto piuttosto una precondizione che esse richiedono.

Comprendere linnovazione tecnologica Le impasse registrate a margine dei due modelli classici dellinnovazione tecnologica spingono a comprendere meglio il rapporto che lega linnovazione con la tecnologia. Lo facciamo ragionando sulle due questioni che ci pare a questo riguardo stiano al centro dellattenzione e cio: - come si pu correttamente concettualizzare il rapporto tra innovazione tecnologica e scuola al fine di mantenersi distanti dai limiti dei modelli che abbiamo analizzato? - E come si ottiene dalle organizzazioni che assumano linnovazione tecnologica? Pensare linnovazione tecnologica Alla prima questione si risponde tornando al quadro socio-tecnico di Flichy (1996) ed evidenziando limportanza di tre elementi. Anzitutto contano le affordances della tecnologia. Il concetto di affordance viene introdotto nel 1966 dallo psicologo J.J. Gibson (1979) e poi ripreso da Donald Norman (1995a, 1995b) e, dopo di lui, da tutti coloro che si occupano di interfacce tecnologiche e di ergonomia cognitiva. In italiano viene per lo pi tradotto con invito e non fa riferimento n a una propriet dellartefatto (come spesso erroneamente si ritiene), n allattivit del suo utilizzatore, ma al sistema di relazioni che si stabiliscono tra luno e laltro. In altre parole: la affordance predispone un artefatto ad essere impiegato per certi usi e non per altri, ma limpiego effettivo dipende da quanto lutilizzatore percepisce di questo programma duso decidendo di tradurlo in atto. Con tutti gli sforzi immaginabili, con un computer non posso fare il caff, non posso bagnare il mio gelsomino sul terrazzo, non posso fermentare una bire dabbaye. Ma posso sicuramente impiegarlo in modi diversi da quello che si suppone normale (farci girare del software, navigarci in internet): posso farne un complemento di arredo, usarlo per fermare una porta che sbatte nel mio appartamento, esporlo in un percorso museale sulla storia dellevoluzione tecnologica. Qui troviamo un primo aspetto importante: quando si colloca tecnologia in scuola occorre prestare attenzione alle sue affordances. Spesso anche solo la sua collocazione nello spazio non tiene presente di questo aspetto: sistemare lo spazio di proiezione della LIM di fianco alla cattedra

significa attualizzarne solo le affordances che ne fanno uno strumento di rappresentazione dellinsegnante. Sarebbe molto diverso disporla in fondo alla classe, o adagiarla su un piano di lavoro orizzontale: usi che sono tranquillamente compresi nelle sue affordances. In secondo luogo contano i bisogni che vengono dalle pratiche. La tecnologia in fondo quello che noi ci pensiamo dentro. Questo significa che se le affordances, pur nella loro natura relazionale, costituiscono comunque qualcosa che ha a che fare con lartefatto cos come stato progettato, le pratiche hanno decisamente a che fare con le rappresentazioni, le convinzioni, le esigenze di chi le tecnologie le usa. Come i teorici degli Uses and Gratifications sottolineavano a proposito della televisione, il problema non cosa essa faccia agli spettatori, ma cosa gli spettatori facciano con essa. Si tratta di un aspetto molto importante. Se un insegnante ha fissato nel tempo determinate pratiche, queste saranno determinanti ai fini dellappropriazione che egli far di qualsiasi nuova tecnologia potr accettare di accogliere nel proprio setting daula. La ricerca dice che la forza di queste pratiche decisamente maggiore di quella che la tecnologia ha di suggerirne di nuove. Si tratta di un secondo punto di attenzione quando si introduce tecnologia in scuola: essa va sostenuta dal punto di vista culturale con una formazione che produca riflessivit sulle pratiche; solo modificando questultime si consentir alla tecnologia di liberare le sue potenzialit (dove si capisce chiaramente che fare questo significa fare esattamente il contrario di quello che normalmente ci si aspetta, ovvero che sia la tecnologia a mutare le pratiche). Evidentemente la tecnologia con le sue affordances e le pratiche dei suoi utilizzatori non sono decontestualizzate: il terzo elemento su cui riflettere rappresentato dai discorsi sociali che accompagnano sia la diffusione della tecnologia che gli usi che se ne possono fare. Ne rappresentano un esempio eloquente nel caso della scuola degli ultimi anni i discorsi che hanno accompagnato la diffusione delle LIM e il costrutto 2.0. In tutti e due i casi, per citare Breton (1995), ci troviamo di fronte a racconti di emancipazione. Il racconto della LIM suggerisce che solo collocandola in classe sar possibile risultare innovativi, motivanti, efficaci, al passo con i tempi. Sostanzialmente lo stesso discorso soggiacente a tutto ci che negli ultimi tempi si fatto diventare 2.0 per sottolinearne leccedenza rispetto al vecchio, la proiezione nel futuro, la capacit di intercettare il nuovo. Pur comprendendo le ragioni economiche e politiche di chi ha costruito e alimenta questi racconti, crediamo che a questo livello occorra innalzare la capacit di lettura critica dei fenomeni; solo quando si riesce ad abbassare limpatto delle rappresentazioni (tutte le forme di discorsivizzazione sociale lo sono), si favoriscono gli usi e, con essi, lappropriazione della tecnologia nelle possibilit fattive che essa dischiude alla didattica. Guidare linnovazione tecnologica Avere presenti le tre logiche cui abbiamo fato cenno nel paragrafo precedente funzionale allanalisi delle forme attraverso le quali i contesti organizzativi (e quindi anche la scuola) si appropriano dellinnovazione tecnologica. Per farlo si pu tornare alla proposta di Everett Rogers (1983) che indicava cinque fattori alla base di qualsiasi processo di acquisizione e incorporazione della tecnologia da parte di unorganizzazione. Il primo fattore la visibilit. Si tratta naturalmente di una visibilit informativa, non percettiva: non si tratta di popolare la scuola di dispositivi, ma di favorire lingresso della tecnologia nel mondo rappresentativo e nelle routines discorsive degli insegnanti. Devono sapere di tecnologia, anche solo a livello superficiale, devono avere accesso al lessico-base senza del quale la tecnologia rimane un territorio inesplorato, da specialisti. Peraltro, la visibilit da sola non basta. importante che ad essa si accompagni una percezione di facilit. A questo scopo chi introduce la tecnologia in scuola deve individuare un livello di accesso minimale, che riduca al massimo le complicazioni. Per linsegnante importante percepire quasi una continuit naturale tra le sue pratiche ordinarie e quelle assistite dalla tecnologia; occorre ridurre tutto a pochi click, individuare le poche procedure essenziali che consentano luso standard dei dispositivi. Ci sar tempo in seguito, superate le riserve iniziali, per far maturare la consapevolezza dellesistenza di livelli pi sofisticati duso: tutto deve essere molto graduale per

non spaventare e non autorizzare atteggiamenti di evitamento motivati dalla percezione della propria inadeguatezza. Conoscere la tecnologia e comprendere che in fondo adottarla non comporta difficolt insormontabili nella consapevolezza dellinsegnante non sono tuttavia ancora elementi sufficienti, soprattutto se delladozione non si individua chiaramente il vantaggio relativo. il classico problema del rapporto tra costi e benefici: per convincere linsegnante a modificare le sue pratiche, la tecnologia non pu costare pi fatica e pi tempo rispetto ad esse e in compenso deve poter garantire migliori risultati. Come si capisce si tratta di una questione critica. Infatti chiunque si sia occupato di tecnologie didattiche sa che esse richiedono normalmente un consistente investimento iniziale, di tempo ed energie: lo richiedono lallestimento del setting, la familiarizzazione con gli strumenti, la produzione dei contenuti digitali, la dilatazione del tempo-aula oltre i limiti della lezione (Ardizzone, Rivoltella, 2002). Ma a fronte di questo investimento, la creazione di una repository di contenuti, magari condivisi con i colleghi, abbatte poi i tempi della preparazione della didattica; questultima si presta pi facilmente alla personalizzazione da parte dello studente; ne guadagnano un po tutte le attivit dellinsegnante. Il difficile far accettare di spendere subito per guadagnare in seguito, soprattutto se si pensa agli attuali diffusi livelli di frustrazione e demotivazione della nostra classe-docente. Il quarto elemento la reversibilit. Mai dare limpressione che indietro non si possa tornare. importante che linsegnante percepisca che linnovazione un processo fluido, non deterministico, che prevede movimenti in avanti ma anche possibili stop o ritorni allindietro. Far percepire che tutto ineluttabile e che una volta partiti indietro non si torna potrebbe spaventare e convincere che in fondo meglio assestarsi su quel che conosciuto piuttosto che avventurarsi in territori di cui non si controllano confini e possibilit. Tutti gli elementi cui abbiamo fatto cenno finora sono individuali, riguardano il singolo dentro lorganizzazione. Lultimo elemento, invece, collettivo: esso riguarda i valori del gruppo cui si tratta di far adottare la tecnologia. Se il gruppo conservatore, se convinto che la Cultura sia quella del libro e che i media siano solo fonte di distrazione, perdita di tempo, ostacolo allapprofondimento serio delle questioni, sar difficilissimo per la tecnologia far breccia, anche a fronte di una diffusa accoglienza dei precedenti fattori a livello di singoli individui. Il cambiamento, quindi, deve diventare organizzativo e investire in primo luogo proprio la cultura dellorganizzazione nel suo complesso.

Per concludere. Un piano di azione I cinque punti di Rogers costituiscono gi, a loro modo, una piccola road-map per il dirigente che intenda spingere linnovazione tecnologica nella sua scuola. In questo paragrafo conclusivo cerchiamo di tradurre in azioni concrete questa road-map individuandone almeno quattro versanti: formativo, didattico, gestionale e tecnologico. Formazione Sul piano della formazione si tratta anzitutto di definire un frame di competenze da far sviluppare agli insegnanti. Da quasi due decenni questa prospettiva stata assunta a livello europeo nella logica di una certificazione che in qualche modo potesse riprendere, adattandolo alle competenze tecnologiche dellinsegnante, il modello dellECDL (Midoro, 2007; Calvani, Fini, Ranieri, 2010). Il limite di tutti i progetti che in questa linea si sono incamminati stato quello di funzionare tassonomicamente, senza verificare la sostenibilit concreta di modelli eccessivamente analitici e burocratizzati. Pi di recente, si sono fatti strada altri approcci, basati su ricerche che sono andate a verificare sul campo le reali esigenze e competenze agite dagli insegnanti (Cattaneo, Boldrini, 2007; Fantin, Rivoltella, 2011). Qui lobiettivo probabilmente di bilanciare le due istanze, mettendo in equilibrio le esigenze della certificazione possibilmente secondo standard, con le pratiche effettive

degli insegnanti in contesto. Ma soprattutto si tratta di non sprecare ancora una volta loccasione di porre la questione in relazione alla formazione iniziale degli insegnanti, ai nastri di partenza con le nuove lauree in Scienze della Formazione Primaria e i percorsi di formazione per gli insegnanti della Secondaria. Proprio in tale prospettiva ci pare strategico non ridurre il problema alle competenze tecnologiche. La ricerca internazionale in materia di Media Literacy, cos come i documenti ufficiali della Comunit Europea, hanno evidenziato limportanza per la scuola di adottare i linguaggi delloggi facendone oggetto di intervento a tre livelli: alfabetico (conoscenza degli strumenti e dei codici), critico (capacit di riflessione critica sui contenuti), espressivo (produzione responsabile di messaggi). Dalla capacit di organizzare il curricolo mediale a questi tre livelli dipende in larga parte la possibilit di leggere le culture giovanili garantendo ad esse ospitalit nella didattica (Jenkins, 2010). Didattica Sul piano della didattica lanalisi si pu organizzare lungo tre assi di oscillazione. Il primo relativo alla continuit tra formale e informale. La diffusione della pratiche di social networking, pi in generale la diffusione dei media digitali nella vita quotidiana dei soggetti, fa s che attraverso di essi passino buona parte delle esperienze di apprendimento. I ragazzi di oggi apprendono videogiocando, scambiandosi contenuti digitali, negoziando significati in rete: per la scuola di fondamentale importanza intercettare queste modalit, creare le condizioni perch possano trovare cittadinanza anche in classe. Se i dispositivi e le pratiche del tempo libero sono gli stessi dispositivi e le stesse pratiche che regolano in scuola gli apprendimenti formali, si riduce il gap culturale che invece rischia di allontanare sempre di pi i due tipi di contesto. Un secondo asse di oscillazione quello di individuale-collaborativo. La nostra tradizione didattica largamente improntata a un approccio individuale alla conoscenza e al lavoro scolastico: poco frequente il lavoro di gruppo come metodo di lavoro, lapprendimento normalmente concettualizzato come appropriazione individuale dei contenuti (lo studio domestico), la stessa valutazione sempre individuale, tanto vero che quando si ricorra a prove collaborative nasce sempre il problema di come valutarle e spesso si tende a riconoscere ad esse un peso diverso. Fare spazio ai media e alle tecnologie significa correggere sostanzialmente questo tipo di approccio: la centralit della didattica laboratoriale, limportanza della dimensione realizzativa (fare media in classe), la necessit di valutare il processo e non solo il prodotto, spingono a una profonda ridefinizione delle pratiche didattiche e valutative. Infine, sullasse autoistruzione-costruzione, va sfatata lidea secondo la quale i pi giovani sarebbero espertissimi di media e tecnologie, tanto esperti da rendere superfluo il compito della scuola al riguardo. Su questo punto va fatta chiarezza. Certo, per ovvie ragioni non ultima la vicinanza generazionale dei media digitali e sociali, bambini e adolescenti dimostrano una grande naturalit nellapproccio ai dispositivi, ma questa naturalit non configura per ci stesso una competenza elevata. Al contrario facile accorgersi di come anche solo a livello di conoscenze dei codici di linguaggio sia necessario un intervento di formazione: la cittadinanza digitale non qualcosa che si determini da s, ma richiede lazione educativa delladulto come sempre accaduto nelle diverse epoche quando una societ si trovata di fronte al problema di socializzare le nuove generazioni ai valori di essa costitutivi (Rivoltella, 2008). Organizzazione Il discorso sul management digitale, ovvero su come la diffusione dei media tool fornisca oggi alle organizzazioni nuovi e importanti strumenti, potrebbe essere lungo. Ci limitiamo a indicare solo due aspetti che ci sembrano di particolare rilevanza. Anzitutto la complessit crescente dei sistemi organizzativi e la centralit che in essi la conoscenza e la sua gestione vanno sempre pi assumendo configura come decisiva la questione di come organizzare i flussi documentali. Da questo punto di vista si pu dire si sia entrati in un Knowledge

Management di seconda generazione (Rivoltella, 2010a) nellambito del quale il problema non consiste pi nella tecnologia (come era il caso delle intranet aziendali nel KM di prima generazione), quanto piuttosto nelle operazioni che attraverso di essa possibile guidare in funzione di una pi razionale possibilit di costruzione, accesso e recupero delle informazioni. In questa direzione meritano di essere ricordate almeno due linee di ricerca e sviluppo: limpiego delle Web Ontologies come supporto alla selezione intelligente della conoscenza (Rivoltella, 2010b) e ladozione del social tagging come forma di indicizzazione dal basso delle risorse. Proprio questultimo accenno ci consente di introdurre un secondo aspetto che fa capo a quella che ha cominciato ad essere definita come organizzazione 2.0. La crisi delle piattaforme e la contemporanea affermazione del Web 2.0 sta dischiudendo alle organizzazioni e quindi anche alle scuole nuove opportunit doppiamente interessanti, in quanto molto economiche (spesso gratuite) e assolutamente facili da gestire. Si pensi alla diffusione dei blog di classe, alla disponibilit di ambienti di virtual classroom 2.0 come Twieducate, Edmodo o Schoolog, alla possibilit di allestire delle job-bank di Istituto in Linkedin o di fare marketing formativo attraverso i gruppi e gli eventi di Facebook. Tecnologia Queste ultime considerazioni indicano gi oltre il modello della piattaforma perch sostituiscono al VLE (Virtual Learning Environment), ovvero a un software rigido che normalmente prevede requisiti di sistema di un certo tipo e competenze di installazione e amministrazione, un PLE (Personal Learning Environment), ovvero un aggregatore di risorse Web che il singolo utente pu sviluppare in maniera personale e del tutto coordinata con i suoi interssi. In questa direzione indicano i contributi di tutti coloro che negli ultimi anni hanno usato la metafora delle-learning 2.0 per indicare appunto un cambio di paradigma nei sistemi dellonline education e del loro impiego didattico (Downes, 2005; Buonaiuti , 2006; Frignani, 2009). Si tratta di una svolta allinsegna della leggerezza e dellusabilit: sistemi sempre meno istituzionali, sempre pi a portata di mano, sempre pi capaci di collocarsi in continuit rispetto agli spazi e ai tempi informali delle persone. Una logica questa che viene ribadita dal protagonismo sempre pi marcato della portabilit. In tal senso, per la scuola, il futuro sembra essere molto diverso da quello prefigurato dai sostenitori del one-to-one computing. Pi che acquistare netbook, sembra sensato favorire luso scolastico dei cellulari o dei tablet: in questo modo la scuola potrebbe chiedere ai genitori lacquisto del device e provvedere al resto, ovvero a tastiere e schermi agganciabili grazie al bluetooth dai dispositivi dei ragazzi (Rivoltella, Ferrari, 2010).

Bibliografia Ardizzone, P., Rivoltella, P.C. (2002). Il corso on line come estensione della didattica presenziale, in L. Galliani (ed.). Universit aperta e virtuale. Lecce: Pensa, pp. 133-153. Barthes, R. (1994). Miti doggi. Torino: Einaudi (ed.or. Mithologies, 1957). Battelle, J. (2006). Google e gli altri. Milano: Raffaello Cortina (ed.or. The Search, 2005). Breton, P. (1995). Lutopia della comunicazione. Il mito del villaggio planetario. Torino: UTET (ed.or. LUtopie de la communication, 1992). Buonaiuti, G. (2006). E-learning 2.0. Trento: Erickson. Calvani, A., Fini, A., Ranieri, M. (2010). La competenza digitale nella scuola. Modelli e strumenti per valutarla e svilupparla. Trento: Erickson. Cantoia, M. (2009). Media e apprendimento: riflessioni sullottimizzazione delle pratiche. REM, 2, pp. 179-185. Cattaneo, A., Boldrini, E. (2007). ICT Innovazione, Competenze, Tecnologie. Analisi delle pratiche e professionalit del formatore. Roma: Carocci. Diano, C. (1980)(ed.). Il teatro greco. Tutte le tragedie. Milano: Sansoni. Downes, D. (2005). E-Learning 2.0. In Internet, URL: http://www.elearnmag.org/subpage.cfm?section=articles&article=29-1. Fantin, M., Rivoltella, P.C. (eds.)(2011). Formao de professores e Mdia-educao. Porto Alegre: Papirus. Flichy, P. (1996), Linnovazione tecnologica. Le teorie dellinnovazione di fronte alla rivoluzione digitale. Milano: Feltrinelli (ed.or. Linnovation technique, 1995). Frignani, P. (2009). eLearning. Prospettive dei PLEs. REM, 1, pp. 67-76. Galimberti, U. (1999). Psiche e techne. Milano: Feltrinelli. Gehlen, A. (1984). Luomo nellera della tecnica. Milano: SugarCo (ed.or. Die Seele im technischen Zeitalter, 1957). Gibson, J.J. (1979). The ecological approach to visual perception. Boston: Houghton Mifflin. Jenkins, H. (2010). Culture partecipative e competenze digitali. Milano: Guerini & Associati (ed.or. Confronting the Challenger of Participatoru Culture: Media Education for the 21st Century, 2009). Midoro, V. (2007). Quale alfabetizzazione per la societ della conoscenza? TD, 2, pp. 47-54. Norman, D. (1995a). Lo sguardo delle macchine. Firenze: Giunti (ed. or. Turn signals are the facial expressions of automobiles, 1992).

Norman, D. (1995b). Le cose che ci fanno intelligenti. Il posto della tecnologia nel mondo dell'uomo. Milano: Feltrinelli (ed. or. Things that make us smart. Defending human attributes in the age of the machine, 1993). Rivoltella, P.C. (2003). Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line. Trento: Erickson. Rivoltella, P.C. (2010a). Rappresentare. Conoscenza, media, tecnologia. In A. Cattaneo, P.C. Rivoltella (eds.). Tecnologie, formazione, professioni. Idee e tecniche per linnovazione. Milano: Unicopli, pp. 39-60. Rivoltella, P.C. (ed.)(2010b). Ontologia della comunicazione educativa. Milano: Vita e Pensiero. Rivoltella, P.C., Ferrari, S. (eds.)(2010). A scuola con i media digitali. Milano: Vita e Pensiero. Rogers, E. (1983). Diffusion of Innovations. New YorK: Free Press. Scott., W.G. (1997). Marketing e competizione. Milano: Vita e Pensiero. Solow, R. (1957). Technical Change and the Aggregate Production Function. Review of Economics and Statistics, august, 331-320. Turkle, S. (1997). La vita sullo schermo. Milano: Apogeo (ed. or. Life on the Screen, 1995).

Potrebbero piacerti anche