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Liceo

Musicale Giuseppe Verdi, Milano

Esame di Stato 2015/2016


LA RADIO
E L’ARTE RADIOFONICA
Percorsi e collegamenti intorno al nuovo Medium del XX secolo

Luca Medioli
LA RADIO E L’ARTE RADIOFONICA

INTRODUZIONE

CENNI STORICI ALLA RADIO

RADIO COME STRUMENTO DI PRODUZIONE E DIFFUSIONE ARTISTICA

L’ISTITUTO DI FONOLOGIA DELLA RAI DI MILANO E RITRATTO DI CITTA’ DI BERIO E MADERNA

…………………………………………………………………………………………………………………… ”Ritratto di città” 1954

……………………………………………………………………………………………………………. ”Il mio cuore è nel sud” 1949

WORDS AND MUSIC DI SAMUEL BECKETT. UNA NUOVA IDEA DI RADIODRAMMA

………………….……………………………………………………………………………………………………………… Samuel
Beckett

……………………………………………………………………………………………………………………. ” Parole e Musica” 1961

MORTON FELDMAN

………………………………………………………………………………………………………………...... ”Words and music” 1987

MORTON FELDMAN E IL RAPPORTO CON LE ARTI VISIVE

………………………………………………………………………………………………………………………. “Rothko Chapel” 1976

RADIO COME MASS MEDIA

CARLO EMILIO GADDA E LA RADIO

……………………………………………………………………………. “Norme per la redazione di un testo radiofonico”


Introduzione
Il presente lavoro vuole porsi come un percorso attraverso autori e opere che sono passati attraverso la
Radio. Una breve introduzione storica si è dimostrata necessaria per poter meglio comprendere la
diffusione del fenomeno radiofonico. Si è dato più peso al fenomeno radiofonico in quanto nuovo
strumento di produzione artistica, rispetto alla funzione mediatica che la radio ha svolto negli anni. L’idea è
quella di partire dalla situazione italiana, con la produzione Radiofonica degli anni 40-50, relazionandola
con la realtà estera, cercando di creare le condizioni tali da rendere possibile un confronto musicale e
poetico.

Inquadramento storico della radio


Molti furono i fisici che si cimentarono nello studio di fenomeni legati all’elettromagnetismo e alle onde
elettromagnetiche , e tutti in qualche modo hanno collaborato alla creazione della radio come noi oggi la
conosciamo. Il primo a rielaborare e ha utilizzare sistematicamente i suddetti studi svolti da importanti
personalità come Hertz, Londge, Righi o Branly, fu l’emiliano Guglielmo
Marconi. Dimostrata l’esistenza delle onde elettromagnetiche, Marconi
si dedico approfonditamente alla ricerca in questo ambito. Nel 1895
sperimentò per la prima volta il suo nuovo progetto:il telegrafo senza fili.
Dalla casa di campagna della sua famiglia, riuscì a trasmettere un
messaggio al suo laboratorio, al di là di un colle, ovviamente senza
l’utilizzo di cavi. Sperimentare la trasmissione del segnale radio a
distanza diventa per Marconi un’ossessione. Si trasferisce in Inghilterra,
dove continua i suoi studi in un ambiente scientifico sicuramente più vivo e frizzante rispetto a quello
italiano dell’epoca, e dove brevetta le sue invenzione. Il 12 dicembre del 1901 alle ore 12:30 viene
realizzato il più celebre esperimento di Marconi: la trasmissione oltreoceano.

La realizzazione di questo importante esperimento fu tutt’altro che semplice.

Quando Marconi espose il suo pioneristico progetto, si ritrovò a combattere


contro l’opposizione di innumerevoli scienziati e matematici. Ritenevano infatti
che le onde radio si propagassero orizzontalmente come una linea retta, e
quindi, essendo la terra rotonda, sarebbe stato impossibile collegare due punti
che si trovassero oltre l’orizzonte, tanto distanti l’uno dall’altro. La convinzione
di Marconi però, insieme alle ingenti disponibilità economiche della sua
compagnia “Marconi’s wireless Telegraph” realizzò il suo progetto. Per la sua realizzazione però, si rese
necessario la costruzione di imponenti stazioni radio, più grandi di qualsiasi altra stazione fino ad allora
costruita. Basti pensare che la l’antenna della stazione Inglese di Poldhu era composta da venti piloni in
legno alti sessanta metri l’uno infissi nel terreno lungo una circonferenza del diametro di sessantasei metri.
Questi alti pali sostenevano ben 400 cavi elettrici che convergevano, con la forma di un cono rovesciato su
un edificio posto al centro della circonferenza, dove venivano collegati
all’apparato trasmittente posto all’interno dell’edificio stesso. Stessa
antenna dovette essere costruita dall’altra parte dell’oceano, negli stati
uniti, e più precisamente nella località di South Wellfleet in
Massachussets. L’ingente capitale investito nella realizzazione delle 2
grandi antenne, venne vanificato il 17 settembre 1901 quando un forte temporale distrusse buona parte
della stazione inglese, e poco tempo stessa sorte toccò dopo quello che era stato realizzato dell’antenna
americana. In poco tempo tutto il lavoro di quei mesi era stato vanificato. Ma la convinzione di Marconi
nel suo progetto, e i guadagni derivati dalla sua società che nel frattempo stava installando numerosissime
stazioni radio in Europa e in America, permisero la realizzazione di un'altra antenna a Poldhu, questa volta
più semplice e stabile: due soli piloni alti 45 metri, a distanza di 50 metri l’uno dall’altro, sostenevano un filo
da cui partivano cinquantacinque cavi disposti a ventaglio che convergevano alla base nella stazione
ricevente. Il successo del primo esperimento con la nuova antenna, instaurò la voglia in Guglielmo di
terminare il progetto per attuare finalmente l’esperimento. Decise quindi di non costruire un’altra antenna-
sosia in America, ma di sfruttare dei grossi aquiloni per portare in aria una lunga antenna collegata con una
stazione- mobile a Saint John’s di Terranova, isola allora colonia Inglese nel territorio dell’attuale Canada,
che fosse in grado di recepire il segnale che si aspettava arrivasse dall’Inghilterra. A partire dall’11
Dicembre 1901 tutti i giorni, tra le 11:40 e le 14:40 la stazione Inglese doveva trasmettere la lettera “S”
che nell’alfabeto morse è composta da 3 impulsi brevi. Non senza alcune difficoltà tecniche il 12 dicembre
1901 alle 12:30, Marconi tramite un rudimentale ricevitore, ricevette i tre impulsi che verificavano il suo
esperimento, decisamente poco supportato dalle convinzioni scientifiche dell’epoca. Il primo messaggio
nell’etere attraverso 3600km era stato ricevuto. Da questo momento in poi lo sviluppo del sistema di
comunicazione radiofonico è in discesa. Avvengono i primi tentativi di trasmettere la voce umana
attraverso la radio, e nel 1909 assistiamo alla radiodiffusione della voce umana, trasmessa attraverso
antenne omnidirezionali. Poi nel ’17 la musica e nel ’19 parole. Da lì alla radio come la conosciamo oggi , il
passo è breve. Nel ’20 iniziano i primi programmi radiofonici di intrattenimento , i notiziari, le prime
pubblicità e i primi concerti. Contemporaneamente vediamo la necessità di sviluppare la tecnica
microfonica, che doveva supportare la nascita di numerosissimi centri radiofonici.

Si entrò in una nuova era, l’era della comunicazione senza fili. L’importanza di tale invenzione venne subito
intuita dal Governo Usa e da alcuni governi europei che si mobilitarono immediatamente per dar vita a
corporazioni nazionali per l a gestione del traffico telegrafico-radiofonico. Il limite delle trasmissioni
radiofoniche era che in quanto il mezzo di diffusione era l’aria, l’etere, non poteva in alcun modo essere
controllato o privatizzato. Il rischio era quindi di creare un traffico radiofonico incontrollato e caotico che
vanificava l’utilità delle comunicazioni. Inoltre, il vantaggio strategico che in ambito geopolitico poteva
derivare dalla comunicazione senza fili era enorme, troppo grande per rimanere pubblico e incontrollato.
Anche lo stesso Marconi individuò un difetto nella dimensione pubblica entro la quale si muoveva il
fenomeno Radio-telegrafico, in quanto l’interferenza amatoriale di comunicazioni Militari e Commerciali,
rappresentava un pericolo per la comunità. Con l’entrata in Guerra degli USA nel 1917, vennero proibite le
attività radiofoniche amatoriali. Nel 1923, la RCA ( Radio Corporation of America) controllava un terzo del
traffico transatlantico e la metà di quello Transpacifico.

Ma la vera rivoluzione avvenne quando la radio entrò nelle case dei cittadini. Incominciò una divisione tra la
radio destinata al pubblico e una radio destinata a funzioni militari, quindi riservata. Fu grazie ad un
intuizione di un dipendente dell’azienda di Marconi che 1916 venne creata la prima radio da salotto. Una
“scatola musicale” da tenere in casa come un grammofono o un pianoforte, attraverso la quale ascoltare
concerti, conferenze ecc... la geniale intuizione, verrà messa in pratica solo qualche anno più tardi. Verso la
fine degli anni ’20 la radio entra ufficialmente nelle case di tantissimi cittadini in Europa e negli stati Uniti.
Gli stati uniti contavano già nel 1922 innumerevoli stazioni radio autonome o statali, la cui ampia
proliferazione fu favorita dal felice clima economico e dalla passione per la musica Jazz che divampava
proprio in quegli anni. Gli stati uniti furono pionieri anche dell’utilizzo commerciale della radio. Numerose
furono le emittenti che si arricchirono tramite la pubblicità di prodotti commerciali, e che “rimpicciolirono il
mondo” portando suoni e voci del pianeta nelle case dei cittadini. Diversa era la situazione italiana. negli
anni ’30 in Italia i cittadini possessori di un apparecchio radiofonico non arrivavano allo 0.50% con circa
30.000 unità, mentre in Inghilterra se ne contavano circa 4.300.000 e in Germania circa 3.900.000. nel 1921
superò la soglia delle 200.000 unità, sintomo di un progressivo avvicinamento della popolazione al nuovo
Mass-Media.

In epoca fascista la radio svolse un ruolo strategico nella costituzione propagandistica del mito dell’impero
e della figura di Mussolini, abile comunicatore, che attraverso di essa, entrò direttamente nelle casse dei
cittadini. La radio contemporaneamente alla funzione propagandistica, e all’insaputa del regime (tornando
al “problema” della dimensione pubblica della radio di cui sopra) , aggiunse la funzione di portare voci e
informazioni dall’estero. Molti italiani, infatti, nel periodo fascista, sentivano la necessità di rimanere
collegati con il mondo estero, attraverso le trasmissioni della Bbc che nella seconda guerra mondiale
diventò la voce simbolo del mondo libero. Dal punto di vista artistico, la radio negli anni fascisti in Italia
non attirava una grande quantità di seguaci. Ma se l’indifferenza del pubblico aveva silenziato i primi
dibattici culturali sull’effettiva esistenza di arte radiofonica, fu proprio lo scarso seguito a stimolare la
produzione artistica radiofonica, che sentiva il dovere di stimolare gli ascoltatori, eccitarne l’interesse e di
moltiplicarne le schiere. Si andò così via via definendo, una netta distinzione tra radio divulgativa e radio
creativa.

Radio come strumento di produzione e diffusione artistica.


Dalla costituzione della URI ( ente radiofonica Italiana) nell’agosto 1924, trasformatasi in
EIAR ( ente italiano audizioni radiofoniche) e nell’ottobre 1944 in RAI (radio audizioni
Italiane), nei locali delle radio si sono specchiate tutte le vicende artistiche, culturali e
politiche del XX secolo.

Da solo veicolo di diffusione e comunicazione, il nuovo Medium si trasformò


progressivamente in mezzo di espressione, comunicazione e comportamento, dotato di
una propria tecnica e di canoni estetici specifici. Per le sue caratteristiche di ripresa
microfonica e , più avanti, di creazione del suono, la radio fu subito intesa in diverse nazioni al pari di un
vero e proprio strumento che implicava un nuovo modo di pensare e intendere la musica e il teatro. In Italia
il percorso verso il riconoscimento di un linguaggio autonomo fu lungo e travagliato. In linea di massima si
può dire che l’Italia seguì un percorso autonomo più lento rispetto al resto dell’Europa e degli Stati Uniti. In
prima istanza bisogna chiarire che l’oggetto radio, nell’Italia del primo dopoguerra era poco diffuso, solo tra
i ceti più abbienti e principalmente in area centro-settentrionale. L’alto costo della radio la classificavano
come bene Alto-Borghese che pochi si potevano permettere. Nel 27 fu trasmesso il primo radiodramma
italiano, “venerdì 13” oggi classificato come adattamento radiofonico. Il primo radiofonico originale è della
fine del ’29 “L’anello di Teodosio”. Negli stessi anni in cui l’Italia faceva queste sue prime esperienze, in
Francia e nel resto d’Europa il dibattito culturale riguardo l’effettiva esistenza di un’ arte radiofonica era già
ampiamente diffuso e oggetto di interesse da parte di diverse pubblicazioni. La quasi totale irreperibilità di
materiale collegato a questo prime opere, non ne permette un’analisi che vada oltre la semplice
elencazione. Per quanto riguarda la produzione artistica radiofonica Italiana possiamo individuare il centro
principale di produzione radiodrammatica nell’istituto di Fonologia della RAI di Milano.

L’istituto di Fonologia della Rai di Milano e “ritratto di Città” di Berio e Maderna


Gli anni 40-50 del novecento rappresentano il periodo di maggior


sviluppo tecnico della musica elettronica. In questi anni vediamo attivi in
francia, germani a e stati Uniti, i principali centri di ricerca e sviluppo
tecnico-artistico nel campo delle nuove frontiere musicali. Nel caso di
queste 3 importanti nazioni, questa nuova tappa evolutiva nel mondo dei
suoni aveva trovato negli ambienti radiofonici e televisivi sostegno e
promozione. Lo stesso non poteva dirsi per la realtà italiana. Luciano
Berio, Nella premessa al suo breve intervento dedicato nel 1953 alle
nuove realtà musicali americane, giudica severamente la situazione
italiana, rimproverando un eccessivo attaccamento alla tradizione
popolare di “Tenori e Mandolini”, rispetto alla nuova musica ricercata nei
centri d’oltralpe (situazione evidenziata dall’assenza di centri specifici nella quale “giovani musicisti italiani
possano consumare con serietà e in patria, esperienze elettroniche di sorta” ) . Fino al 1953 infatti, solo
Bruno Maderna si Cimentò con la sperimentazione Elettroacustica con il brano “Musica su due dimensioni”
( realizzato a Bonn nel 1952, con l’assistenza di Meyer-Eppler). Più o meno negli stessi anni in cui Maderna
frequentava i primi incontri di tra quegli artisti uniti nell’ideali di “musica nuova” , Berio prendeva i primi
contatti con i nuovo mezzi di manipolazione e trasformazione di suoni fissati su nastro. Il 28 ottobre 1952
Berio ha l’opportunità di ascoltare presso il Museum of Modern Art di New York , “Tape recorder” di
Ussachevsky –Luening. Berio focalizza la sua attenzione non tanto su “lo Scarsissimo, intrinseco valore
musicale degli esperimenti” ma sulle applicazione ipotetiche di quel sistema di produzione sonora e
sull’ampliamento degli strumenti creativi a disposizione del compositore. Comprese come il nuovo
linguaggio, svincolato da schemi precostruiti e permeabile a differenti situazione psicologiche , insieme alla
possibilità di aprire il mondo dei suoni a inedite soluzioni ritmiche e timbriche, potesse adattarsi alla
sonorizzazione di copioni radiofonici, televisivi e cinematografici.

Al suo ritorno dall’America, Berio riuscì a prendere contatti con


l’unica istituzione Italiana che potesse in qualche modo
promuovere e finanziare la sperimentazione, la RAI. Nel ’53
figurava come Assistente al doppiaggio e consulente Musicale, e
allo stesso anno datano i primi lavori in ambito Radiofonico.
Accanto alla volontà di sperimentare, c’era infatti la Necessità
contrattuale di produrre commenti sonori e musiche per
radiodrammi, che all’inizio si dimostrava come un comodo
espediente per poter acquisire pratica e cimentarsi con le prime
sperimentazione elettroacustiche. Dello stesso anno è infatti “mimusique” , brano di musica concreta
basato su materiali derivati da 3 soli materiali (un colpo d’arma da fuoco, la voce umana e un suono di tam-
tam). La strumentazione allora disponibile era poca e relativamente arretrata rispetto a quelle in possesso
ai più importanti centri d’oltralpe, ma nonostante ciò rimane significativo come la ricerca di Berio sembri
inscriversi in un più ampio contesto relativo all’evoluzione del linguaggio musicale e all’organizzazione dei
materiali, che va al di là di una mera sperimentazione in cui il mezzo elettronico assurge a emblema del
nuovo.

L’intenzione di creare a Milano uno studio che potesse competere con i principali centri di sperimentazioni
esteri, portarono Berio, Maderna e tante altre personalità, alla stesura di vari progetti nei quali si andavano
definendo i tutti gli aspetti che avrebbero permesso la costruzione di un “centro sperimentale di ricerche
radiofoniche”. Negli Ultimi mesi del 1954, questi progetti sembravano preludere ad un imminente realtà.
L’istituto di Fonologia della RAI di Milano stava per prendere vita. In attesa del responso dall’alto dirigente
della Rai, Berio e Maderna vollero subito offrire un primo saggio delle possibilità espressive concesse dai
nuovi messi elettroacustici mediante la creazione di: “ritratto di Città”.

Ritratto di Città 1954


Radiodramma su testo di Roberto Leydi e Musicato da Luciano Berio e Maderna, Ritratto di città è un
opera composta in breve tempo e con un’esigua strumentazione. Nonostante ciò rimane uno dei più
interessanti e pioneristici tentativi di creare un’operazione conoscitiva (una Rappresentazione) mediata
solo dal senso dell’udito attraverso gli strumenti offerti dalla radio. Può essere considerata un ‘preludio’
dello studio di Fonologia della Rai solo se lo si interpreta come un trampolino sperimentale, e non come un
Overture ‘tematica’ con attinenze poetiche o estetiche rispetto alla produzione successiva. La più istintiva e
(apparentente fondata) interpretazione che si deduce dall’ascolto, è l’intenzione di creare una
‘rappresentazione teatrale’ sul palcoscenico intangibile che si forma attraverso la sola percezione uditiva
dell’ascoltatore. Ma Questo tipo di sperimentazione verrà ricercata soltanto più avanti da parte dei 2
compositori. Possiamo individuare due principali riflessioni che smentiscono la teoria secondo cui ritratto di
città sarebbe “teatro per gli orecchi”:

Rapporto Testo-Musica: le due componenti necessarie per un radiodramma, rimangono in quest’opera su


due livelli autonomi. La musica rimane entro i confini del commento sonoro e rimane un elemento
complementare e non c’è nessuna intenzione di svincolarla dall’elemento poetico. Ad eccezione di 2
momenti, Non vi è alcun tipo di interesse verso la parola in quanto suono.

Funzione del testo e del radiodramma: il testo nell’opera, è un appiglio, un pretesto per cimentarsi con la
nuova produzione e, contemporaneamente, giungere a creare un bisogno “funzionale” all’interno
dell’azienda RAI, dimostrando le potenzialità e le necessità delle nuove realtà sonore.

Per questi motivi, ogni tentativo di collegare a livello poetico, questo primo lavoro radiofonico a future
composizioni di Berio e Maderna, risultata vano oltre che fuorviante per una corretta interpretazione e
comprensione di ritratto di città che rimane quindi la prova di un esordio dove la libertà creativa, sottostà
a finalità dimostrative.

Dal punto di vista tecnico, è interessante notare come fin da questa opera prima, sia evidente quella che
risulta ancora oggi la caratteristica distintiva dell’istituto di Fonologia della RAI: la sintesi di esperienze
concrete ed elettroniche. Questo permette ai compositori di focalizzare la propria attenzione sul risultato
uditivo finale, senza occuparsi di attenersi a precise impostazioni tecnico-poetiche. Per quanto riguarda la
genesi di Ritratto di città, notiamo come le tendenze operative vengono miscelate fino a dimostrare un
ampio ventaglio di possibilità espressive e funzionali. Le sequenze a maggior valenza concreta sono mirate
a una diretta illustrazione delle “voci” della città, mentre quelle a maggior contenuto di suoni di sintesi
creano distacco e straniamento. Dopo l’esperienza di Ritratto di città che ricordiamo essere del dicembre
1954, bisognerà però aspettare il ’58 per poter rivedere opere di sintesi concreta-elettronica,o soltanto di
musica concreta. Questa ricerca in ambito principalmente elettronico all’inizio dell’esperienza dell’istituto
di Fonologia, da parte dei 2 compositori, potrebbe essere frutto di una decisione dettata dal doppio
impiego che per doveri contrattuali Berio e Maderna dovevano assolvere. Accanto al percorso di
sperimentazione infatti, i due compositori dovevano “sfornare” musica d’uso, pensata come commenti
sonori e “colonne sonore” di radiodrammi più o meno semplici. Con l’esperienza di Ritratto di città, si era
infatti evidenziata una propensione per la musica concreta al più “grafico” e diretto “setting acustico”, con
il quale provocare nell’ascoltatore evocazioni e immagini intersoggettive ed efficaci. La produzione in
ambito di musica concreta risulta quindi nei primi anni “relegata” alle numerose sonorizzazioni realizzate
per drammi radiofonici. Questo differente impiego delle possibilità insite nel nuovo linguaggio
elettroacustico sembra evidenziare un iniziale distinzione tra una ricerca autonoma che prende le mosse a
partire dallo strumento elettronico, e una ricerca ( magari meno esplicita, ma comunque sperimentale)
mirata alla destinazione funzionale del risultato sonoro. Ritratto di Città risulta ancora una volta essere
un’opera innovativa in cui ‘mezzo’ e ‘fine’ convergono.

“Il mio cuore è nel Sud” di B. Maderna e G. Patroni Griffi


Uno dei più celebri radiodrammi della produzione radiofonica italiana, secondo classificato al premio Italia
del 1949. Tratto da una ballata di Giuseppe Patroni Griffi, è stato musica nel 1949 da B. Maderna che per la
prima volta si metteva alla prova con un radiodramma. La prima esecuzione, registrata e ad oggi conservata
presso gli archivi della Rai, vedeva L’orchestra della Rai di Roma diretta da Maderna stesso, con Ronaldo
Lupi narratore. Dallo scambio epistolare che A.I. De Benedictis ha riportato nell’appendice III del suo saggio
Radiodramma e Arte Radiofonica” tra Maderna, Patroni griffi, Alessandro Piovesan e la direzione Generale
della RAI, si riesce a tracciare un esemplificativo percorso di una produzione radiodrammatica, dall’idea alla
stesura fino alla messa in scena.

Da quanto ci dice Piovesan nella lettera del 15 febbraio 1949 “la storia si svolge in una qualsiasi città del
sud, che può essere Napoli, come Marsiglia, come New Orleans, ed è una storia banale, solita, di ambiente
di miseria, che si svolge tra ladri e donne innocenti e allo stesso tempo perdute.” È in questa città che si
svolge il dramma di Dolores, giovane sposa e madre, ammaliata dal fischio di un invisibile carcerato
proveniente dal penitenziario vicino casa. Un fischio, monotono e lento che perr la donna diviene l’ipnotico
rifugio da una misera realtà A nulla valgono le semplici parole sincere di ravvedimento della sorella e le
minacce del marito. Geloso per un tradimento mai consumato con un uomo “sognato in mille modi”, questi
porrà fine alla vita del rivale nello stesso momento in cui Dolores sarà vittima di una visione di Sangue.
Questo radiodramma, (forse sarebbe più consono chiamarlo ballata) è rappresentativo della produzione
d’uso che Berio e Maderna produrranno poi nell’istituto di Fonologia della Rai. Da ciò che si deduce dal
resoconto epistolare è una limitazione parziale da parte dell’autore riguardo le scelte musicali di Maderna
che proprio in questi anni veniva incontro a ciò che stava succedendo nel resto d’Europa. L’ecletticità del
compositore è esplicitata nella commistione di generi che troviamo nella sua partitura. Il lavoro si apre con
un Blues, lento e quasi inquietante, sul cui procedere ritmico lento e swingato, entra il narratore che subito
ci mostra una “qualsiasi città del Sud”, povera, sporca e misera, attraverso un linguaggio semplice. Dopo
questa introduzione, una leggera e non invasiva sonorizzazione fa da sfondo al canto di una “ragazza di
facili costumi”. L’utilizzo di elementi dell’every day listening (nello specifico si sente un’ambientazione
sonora tipica di un mercato popolare) e l’assenza della musica in questa sezione della composizione
identifica questa parte come una fotografia di un’ambientazione abbastanza esplicita, dentro la quale
l’ascoltatore dovrà “mettere in Scena” la sua rappresentazione. Un breve silenzio introduce un nuovo
capitolo, la presentazione implicita, attraverso la descrizione del lavoro dei netturbini notturni, di Ciro
Marito violento di Dolores, che appunto fa il netturbino. Riprende il Blues. Piccola divagazione. Dal
rapporto epistolare si capisce che la scelta di un impianto jazzistico, fu quasi imposta dal giovane scrittore
Petroni Griffi. Il soggetto imponeva un particolare clima che un’orchestra jazz poteva dare. Ma per
completezza timbrica e effettistica, Maderna aggiunse archi e percussioni insolite nei complessi jazzistici.
L’alternanza di Musica - che nello svolgimento della vicenda, ovviamente, supera anche il linguaggio
jazzistico - e silenzi/sonorizzazioni, continua in progressivo rapporto con l’ascensione verso il climax finale
del lavoro, si mostrano come elementi volontari degli autori che vedevano nella frammentarietà del lavoro
un ulteriore elemento di rappresentazione del dramma narrato. I vari quadri che si susseguono, sono resi
coerenti dall’incedere semplice ed intuitivo della vicenda. La finale ripresa del Blues, si dimostra necessaria
(come dice Patroni Griffi) affinché la calma disperazione conclusiva rappresenti l’elemento chiave che
rende questo radiodramma una sorta di Ballata. Il “leitmotiv” della descrizione iniziale della città torna alla
fine per dare coerenza formale all’opera: il vero centro del lavoro è la rappresentazione di spaccati
quotidiani tipici di paesaggi cittadini poveri, ed esso viene esposto fin da subito, fin dalla prima battuta del
narratore. Citando Patroni Griffi nella lettere indirizzata a Maderna del 15 dicembre 1949: “ il nostro
lavoro non è drammatico, imperniato su una situazione; è uno squarcio di un ambiente, e la storia di Ciro e
Dolores, direi, non è importante. È la città che conta e la sua atmosfera, creata dalle parole e dalla
Musica. (…)”

“Words and Music” di Samuel Beckett, un’altra idea di Radiodramma


Il Genere radiodramma ha interessato scrittori e drammaturghi di diversa provenienza culturale e di diverse
epoche. Uno dei più importanti scrittori e drammaturghi del XX che ha affrontato questo genere è
l’irlandese Samuel Beckett.

Samuel Beckett
Nato il 13 aprile 1906 in un paese nei pressi di Dublino, dove vive un infanzia tranquilla. Ottimo studente,
con una forte attitudine per lo sport, dimostrò una personalità introversa fin dalla sua giovinezza. Durante
tutta la sua vita, ricercherà ossessivamente la solitudine . questa suo
malessere, condito da un atteggiamento ipercritico, lo condannerà ad
un’esistenza caratterizzata da un profondo malessere, che sederà parzialmente
conducendo una vita quasi eremitica (nei limiti concessi dalla società della
prima metà novecento nella quale visse). Ma proprio questo malessere lo
avvicina alla letteratura e alla poesia. Nel 1928, con la vincita di una borsa di
studio, si decida a trasferirsi a Parigi, dove studierà Francese e Italiano. In poco
tempo sembra rinascere: frequenta circoli letterari dove incontra James Joyce
che gli farà da maestro. L’interessa attivo per la cultura, e l’esercizio pratico
della scrittura hanno effetti rapidi e efficaci sulla sua condizione. La qualità dei
numerosi testi da lui prodotti, in poco tempo gli assicurano notorietà e
affermazione. un improvviso entusiasmo lo accompagna nei viaggi in giro per l’europa che decide di
intraprendere. Concluso il periodo “peregrinante” decide di stabilirsi definitivamente a Parigi. Qui negli anni
troverà moglie e parteciperà alla seconda guerra mondiale. dopo un periodo di difficoltà economiche, dal
45 in poi incomincia l’ascesa. Vasta produzione in ambito teatrale (che lo pone come uno dei principali
autori della seconda metà del ‘900) e diverse opere pensate per il teatro e per il cinema, oltre che ha
romanzi e poesie. Nel 1969 vinse il Nobel per la Letteratura. Morirà di Parkinson il 22 Dicembre 1989.
“Parole e Musica” 1961
Beckett seppe raggiungere risultati di grandissima originalità anche in lavori pensati per i nuovi Medium,
quali la radio e la televisione. Il primo incontro di Beckett con la radio, avviene nel 1956 con il radiodramma
commissionato dalla Bbc, tutti quelli che cadono. Beckett, studiando le capacità espressive della radio,
concepì un testo in cui non ci fosse niente da vedere, ma ci sono soltanto parole e suoni da ascoltare. La
ricerca sul medium radiofonico raggiunse con Parole e Musica il suo risultato più radicale.

Concepito e composto insieme a Radio I e Cascando nell’autunno 1961, i 3 lavori sono collegati da una
caratteristica comune: la presenza della Voce umana e della musica come entità partecipanti attivamente
all’azione drammatica. In Parole e Musica abbiamo 3 personaggi: Parole (detto anche Joe), Musica (detto
anche Bob) e Croak. Croak è un vecchio signore dall’indole poetica, che si reca periodicamente a trovare i
suoi due servitori Parole e Musica. Ad essi Croak affida dei temi che i due devono sviluppare insieme:
L’amore, la vecchiaia e un volto di donna. I 2 personaggi discutono e si trovano discordi circa l’argomento
(Joe/Parole all’inizio, vorrebbe parlare dell’Accidia) e il risultato da raggiungere. I tentativi di soddisfare la
richiesta del “padrone” di creare un poema musicale (con il suono verbale l’uno e con il suono musicale
l’altro), sono vani e Croak alla fine, avvilito e insoddisfatto, abbandona i due.

Il lavoro è stato interpretato come una drammatizzazione del processo creativo, del rapporto
contraddittorio tra il poeta, il suo mondo fantastico e le sue capacità espressive. È evidente anche
rapporto servo-padrone che scopriamo ricorrente nella produzione di Beckett.

Ciò che ancora di più ci interessa di Parole e Musica, è il modo assolutamente nuovo con cui viene trattato il
mezzo radiofonico, creando una situazione di pura astrazione, dove le parole e la musica (attraverso cui
prende forma la visione poetica) assumono il loro valore essenziale di Suono. Anche nei successivi lavori di
Radio I e cascando, quello che rimane esplicito è la completa assenza di evocazioni di immagini. Nello
stesso modo in cui nella produzione cinematografica ( ad esempio) Beckett arriverà a eliminare
completamente il sonoro in quanto non fondante del mezzo cinematografico, nella sua produzione
radiofonica, Beckett si concentra nello sviluppo dell’area sensoriale tipica del medium radiofonico, ossia
l’udibile. Anche la sola evocazione di immagini e rappresentazioni visive andrebbe in qualche modo “fuori
tema” e rappresenterebbe una commistione di generi che Beckett non ricerca.

Quello che a questo punto ci interessa è sviscerare il personaggio Bob, ossia la Musica. La maggior parte
della produzione Radiodrammatica del ‘900, vede la musica come una necessaria componente dell’opera
che però non partecipa così tanto attivamente alla vicenda. A diversi livelli di importanza e qualità, la
Musica nel radiodramma contestualizza e accompagna un testo che nella stragrande maggioranza di casi è
drammaturgicamente autonomo. Con questo lavoro Beckettiano cambiano completamente le carte in
tavola. Il drammaturgo delega la genesi del personaggio Bob a un terzo, al compositore, che ha la libertà (si
fa per dire…) di immaginarsi un proprio personaggio. Come una rappresentazione teatrale, il compositore
deve immedesimarsi nell’interprete di una messa in scena teatrale. Attraverso la comprensione del testo,
deve creare il suo personaggio, con una precisa delineazione emotiva e caratteriale. Il primo compositore a
cui venne commissionata la musica del radiodramma è John Beckett, cugino del drammaturgo, la cui
ideazione musicale, risulta anche oggi di difficile reperibilità. tra i molti compositori che msuciarono questo
radiodramma ricordiamo Morton Feldman, con il Suo “words and music” del 1987.

Morton Feldman
Morton Fedlman è stato un compositore statunitense, nato nel 1926 a New York e morto Nel 1987 a
Buffalo. Studiò pianoforte con Ferruccio Busoni e in seguito composizione con Stefan Wolpe, il quale
rappresenterà una figura molto importante per Feldman. Artista a tuttotondo, si interessò molto a tutta
l’arte a lui contemporanea, frequentando e stimando poeti
e letterati come Samuel Beckett e musicisti come John
Cage e Cristhian Wolff. un’attenzione particolare fu
riservata nei confronti delle arti figurative. Dal libro scritto
da Morton Feldman stesso, si delinea il profilo di un
compositore profondamente interessato e influenzato da
artisti dell’epoca come Philip Guston, Jackson Pollock,
Robert Rauschenberg e Mark Rothko. Nel libro si parla
quasi più di pittura che di musica. I collegamenti tra
composizioni e quadri dei suoi amici pittori è presente nella
stragrande maggioranza dei lavori di Feldman.

Il suo stile compositivo, derivato, nella primissima produzione, dallo stile di A. Scrjiabin, andrà via via
definendosi nel corso della sua carriera. Quel che è certo, è che rimase nell’ambito della musica
strumentale “tradizionale”. Ricordiamo infatti che negli stessi anni, in Europa le sperimentazioni in ambito
concreto e elettronico avanzavano rapidamente. Il compositore statunitense conobbe questi centri,
partecipò agli incontri di Darmstad e entrò in contatto con compositori come Boulez. Ma la sua poetica
compositiva si discostava dal gusto che andava affermandosi in Europa. In “Pensieri verticali” leggiamo
aperte critiche allo stile compositivo di Boulez, che viene definito privo di eleganza e di fisicità. Ne
rimprovera l’eccesiva componente studiosa, teorica, (“boulez incarna tutto quello che non voglio che l’arte
sia” M.F.) ma contemporaneamente riconosce l’importanza storica che il suo “magnifico accademismo”
avrà.

La concezione musicale di Feldman ( e di altri compositori affini alla sua poetica) è esplicata, a mio parere,
in un particolare capitolo di “Pensieri Verticali”. Rapportando la propria concezione compositiva con quella
in “voga” nell’Europa degli anni 50-60, Feldman traccia la base della sua poetica musicale.

PREDETERMINATO/INDETERMINATO

(1967)

“ (…) (parlando di Boulez) è stato lui, più di ogni altro musicista contemporaneo, a conferire nuovo prestigio
al sistema, lui che in un articolo aveva scritto di non essere interessato a come u pezzo è all’ascolto ma solo
a come è costruito. Nessun pittore parlerebbe mai così. Philip Guston mi disse una volta che quando gli
risulta evidente come è stato fatto un quadro, incomincia a trovarlo noioso. Questa attenzione per la
“fattura” di un’opera, per i sistemi e la costruzione, sembra essere una caratteristica della musica di oggi. È
diventata in molti casi, il soggetto della composizione musicale. (…) L’idea della costruzione come
“soggetto” della musica in gran parte fu prodotta dalla ventata innovativa degli ultimi cinquant’anni. Si
pensò che tutte quelle nuove idee potessero essere riportate entro l’ordine logico esistente. E nella prima
metà del secolo questo processo funzionò. Non si colse la rilevanza compositiva delle nuove possibilità
sonore suggerite dall’innovazione. L’accento fu posto sull’unificazione di tutti quei nuovi elementi musicali in
una forma significativa, perché il porre l’attenzione sul suono, questo elemento elusivo, avrebbe sconvolto
l’equilibrio instabile della “composizione Ideale”. ( con il complicarsi progressivo della musica nel secondo
dopoguerra, il suono prendeva mano a mano importanza. Diventò troppo ingombrante per essere ignorato,
e con il tentativo di sistematizzarlo, il suono tanto poco interessante per Boulez, diventò centrale). Tra il
1950 e il 1951, un gruppo di quattro compositori – John Cage, Earle Brown, Christian Wolff e io- diventarono
amici e presero a frequentarsi assiduamente. Accadde qualcosa. Ciascuno di noi a suo modo contribuì a
proporre una concezione della musica in cui i vari elementi ( ritmo, altezza,dinamica, ecc…) venivano
sottratti al controllo. Poiché non era fissa la mia musica, non poteva usare la vecchia notazione. Ciascun
pensiero nuovo, ciascuna nuova idea all’interno di questo pensiero, suggeriva una propria notazione. (…)
abbandonando i controlli, si scopre che quegli elementi perdono la loro iniziale intrinseca identità. Ma è solo
in virtù di tale identità che essi possono essere unificati nell’ambito della composizione. Ne consegue che
una musica indeterminata può solo portare alla catastrofe. Ebbene, noi lasciamo che la catastrofe abbia
luogo. Dietro di essa c’era il suono, il quale unificava tutto. (…)”

Da questo ragionamento deriva l’attenzione per il suono tipico della musica di Morton Feldman. Esso risulta
fondamentale e unico apparente soggetto della composizione musicale. Da questo preconcetto “ poetico”
si può arrivare a intendere maggiormente lo stile compositivo di Feldman generalmente caratterizzato da
un incedere lento e mai imponente. L’attenzione per il suono, causa una necessaria condizione per il “non-
suono” ossia per il silenzio. Particolare nella sua musica è la presenza cospicua di silenzi alternati a tappeti
sonori, tele di suono giustapposto a silenzi sfumati, che possono ricordare le tele di Mark Rothko.

“Words and Music” 1987


Nel 1987, ultimo anno di vita del compositore statunitense, Feldman musica il radiodramma “parole e
musica” di Beckett. Come già detto in precedenza, il cimentarsi nella composizione di musiche per questo
radiodramma, significa prendersi l’incarico di delineare il profilo di uno dei tre personaggi “in scena”,
coscienti di poter dare un impianto interpretativo all’opera. La totale maturità compositiva di Feldman nel
momento della composizione di questo radiodramma, gli permette di creare un’interessante gioco di
contrasti drammaturgici tra i Joe e Bob. La musica rimane sempre un tappeto sonoro uniforme, pacato, una
tela monocroma, e L’accostamento contrastante con le battute di joe e Croak caratterizzate anche da
momenti “violenti” e “impressivi”, pare spesso incoerente e al di fuori dello svolgimento drammaturgico.
Ma proprio questa violenta giustapposizione inaspettata, mostra ancora di più il significato poetico del
lavoro di Beckett che Feldman sembra aver inteso bene: il rapporto contraddittorio tra il mondo fantastico
del poeta e le sue capacità creative.

Morton Feldman e il rapporto con le arti visive


Come si è detto in precedenza, Morton Feldman frequentò molto gli ambienti artistici del suo periodo,
stringendo amicizie con molto pittori dell’epoca. Tra i suoi più cari amici, sappiamo esserci Jackson Pollock,
Philip Guston, Haward Kanovitz e molti altri pittori. Vedeva uno stretto collegamento tra la sua musica e la
pittura. In particolare individua analogie tra gli elementi fondamentali della pittura e quelli della musica. I
Colori ad esempio. Ritiene che i colori pretendano di avere una certa dimensione, indipendentemente dai
desideri del pittore stesso, il quale si ritrova davanti a due possibilità: poù sfruttare gli elementi illusionistici
del colore per integrarlo poniamo con il disegno o con altri mezzi di differenziazione, o può semplicemente
lasciarlo “essere”. Allo stesso modo il compositore con il suono. Per far si che il suono “sia” occorre che si
abbandoni ogni desiderio di differenziazione. Il risultato sarà l’apparire di tutti gli elementi di
differenziazione che esistevano già nel suono stesso.

“Rothko Chapel” 1976


la Rothko Chapel è un ambiente spirituale creato dal
pittore americano Mark Rothko come luogo di
contemplazione, dove uomini e donne di tutte le fedi, o
di nessuna fede, possano meditare in silenzio, in
solitudine o insieme. Per la Cappella, fatta costruire nel
1971 a Houston in Texas, Rotko dipinse quattordici
grandi tele. La forma è ottagonale per evocava gli
antichi battisteri, e ogni parete ospita opere di Rothko
in modo da circondare il visitatore. Per tutte le opere
l’artista scelse colori cupi, il nero opaco, il marrone, il
viola scuro,solo un pannello mostra una zona rossa , il
momento cromatico più vistoso dell’intero ciclo.
L’obiettivo della pittura di Rothko e dell’architettura
stessa della cappella è quello di infondere un clima di spirituale meditazione e di pace. La luce diffusa solo
dall’alto e filtrata da teli, che la rendono indiretta, creano un ambiente mistico che può far scaturire diverse
reazioni nell’ospite, dalla claustrofobica pressione del vuoto, alla serenità surreale. L’enorme dimensione
delle tele, le scelte cromatiche e le sfumature quasi tridimensionali, rispecchiano la poetica (influenzate dai
primi influssi Zen/orientali che in quegli anni arrivavano negli USA) caratterizzante del pittore newyorchese.
La calma, il rapporto con lo spazio, la pace interiore ed esteriore, caratterizzano la produzione artistica di
Rotkho. Lo stile innovativo delle sue opere, basato su distese di colore uniforme che delicatamente
sfumano e si uniscono fino a formare unità compatte, è riflesso nella stessa concezione della cappella
Meditativa.
A Morton Feldman , i proprietari e committenti dell’opera chiesero e commissionarono una composizione
in memoria dell’artista che da nome alla cappella morto suicida un
anno prima dell’inaugurazione dell’opera. Feldman compose una
musica che “come le immagini di Rothko arrivavano fino al bordo
della tela, permeasse l’intera sala ottagonale, senza un punto di
ascolto distante.” Così fu. La composizione vede l’utilizzo di un
soprano un contralto un coro misto e alcuni strumenti, che
all’interno della cappella danno all’ascoltatore l’effetto di un ascolto
molto coinvolgente. L’immagine a cui Feldman si ispirò, e che gli fu
suggerita proprio dalla successione dei quadri di Rothko, era quella
di una “processione immobile, come quella dei fregi greci” . la
composizione di un brano per un luogo così eremitico, gli suggerì di
inserire elementi derivati direttamente dalla sua fede. L’ultima melodia
che si percepisce ad esempio, affidata alla viola, la compose a 15 anni, con
esplicite riprese della tradizione musicale ebraica. altri intervalli invece,
rievocano nell’immaginario di Feldman ad una sinagoga. L’utilizzo del coro
senza testo, crea in generale un clima mistico che rimanda ancora a
evocazioni antiche e spirituali.

La Radio come Mass-Media


Durante tutto il ventesimo secolo, la Radio svolse principalmente il ruolo di Mass Media. Ha segnato la
svolta nel mondo delle comunicazioni di Massa, imponendosi in un panorama che vedeva nei giornali i
principali mezzi attraverso conoscere e vivere il proprio tempo. Il giornale nacque nel ‘600 come mezzo di
comunicazione destinato alla classe borghese urbana; per le sue caratteristiche e le sue funzioni, contribuì a
promuovere la democrazia e il cambiamento sociale. La Radio, si diffuse in un periodo storico complicato,
dove i primi totalitarismi si stavano andando affermando. ecLa diffusione della Radio in Germania e Italia fu
favorita (e finanziata) dai Regimi Fascista (in Italia) e Nazista (in Germania). Il ruolo delle radio nel sistema
propagandistico totalitario svolse un ruolo importantissimo: per la prima volta la voce del Duce o del
Fuhrer, entrava nelle case dei cittadini. Le distanze tra il regime e la popolazione si accorciavano, quasi a
cancellarsi. In Italia la situazione economica non permetteva alla maggior parte dei cittadini di possedere
una radio, che per ragione tecniche rimaneva un bene materiale costoso, e poco diffuso. Mussolini
promosse quindi una campagna di Incentivi economici per l’acquisto dello strumento radiofonico, e una
politica che tendeva a creare “ appuntamenti radiofonici” che coinvolgevano molte persone, che si
trovavano per ascoltare la voce del Duce alla Radio. La dimensione sonora della Radio, permetteva la
diffusioni di messaggi propagandistici che potevano superare le barriere sociali e culturali, che
inevitabilmente si venivano a creare con i giornali in un Italia dove l’analfabetismo era largamente diffuso.
Lo sviluppo tecnico dei sistemi di radiodiffusione permetteva anche di raggiungere geograficamente quei
luoghi relativamente isolati che nell’Italia era facile trovare.

Il nuovo Medium Radiofonico implicava un problema non indifferente: la necessaria ricerca di un nuovo
linguaggio, che riuscisse a trattare tutti i temi politico-culturali che si stavano verificando nel secolo breve,
ma che allo stesso tempo potesse essere compreso da una larga quantità di persone. In Italia il dibatto
riguardo le caratteristiche dello specifico linguaggio radiofonico, raggiunse molti letterati ed intellettuali,
tra cui anche Carlo Emilio Gadda.

Carlo Emilio Gadda


Nato a Milano nel 1893, è forse il più geniale narratore italiano novecentesco. Di famiglia borghese, vive in
una situazione economica che non era delle più rosee. La
condizione della famiglia era causata da un’incapacità
imprenditoriale del padre che investe molti soldi in “una
fottuta casa di campagna a Longone” in Brianza e in
investimenti imprenditoriali fallimentari. Da questo, il rapporto
contrastato, ma non per questo celato, tra Gadda e il padre.
Morto il padre nel 1909, la madre (donna di origine Ungherese
con “la testa sulle spalle”) sprona il figlio a laurearsi in
ingegneria al politecnico di Milano. Dopo la guerra alla quale Gadda parteciperà nei gruppi alpini e di
fanteria, praticherà la professione di Ingegnere, senza esserne davvero soddisfatto. Si iscrive quindi alla
facoltà di filosofia a Milano, dove però non arriva a conseguire la laurea. Deciso a intraprendere la carriera
letteraria, incomincia la sua produzione a partire dal 1924. Dopo la morte della madre, si trasferisce a
Firenze dove la sua produzione narrativa è abbondante. Dal 1950 si trasferisce a Roma dove Lavora alla Rai
come redattore letterario.

Gadda lavorerà alla Rai dal ’50 al ’55. Il suo ingresso nella nuova azienda radiotelevisiva, avviene in un
periodo di difficoltà economica. Il ruolo di redattore radiofonico, prima e di responsabile del terzo canale,
poi insieme agli antici arrivati da Einaudi per alcune pubblicazioni future, gli consentirono una maggiore
serenità a partire dal ’55. Il rapporto con la Rai è controverso. Spesso Gadda definì i cinque anni a Roma
come “ 5 anni persi”, ma ad una visione più possibilista possiamo individuarli come anni di transizione.
Gadda si avvicina alla Radio nel ’47 quando viene trasmessa nell’etere una sua recensione ad una mostra di
dipinti. È questo il primo episodio del Gadda Radiofonico e del Gadda esploratore delle insondate
possibilità dei nuovi media. Ma con l’assunzione in Rai, Gadda definisce la sua posizione nei confronti della
Radio: non si limita a partecipare, bensì mira ad attraversare il medium.
Il ruolo di Gadda alla Rai come si è detto all’inizio era quello di redattore. Il suo ruolo in pratica consisteva
nel rivisitare, rielaborare, correggere e ridurre radiofonicamente, dei testi destinati alla messa in onda.
Concettualmente si trattava quindi di un’operazione sul linguaggio e sulla sintassi per riadattare i testi
secondo le esigenze di semplificazione della comunicazione. Risultato di queste sue ricerche è individuabile
nella stesura di “Norme per la redazione di un testo radiofonico”.

Norme per la redazione di un testo radiofonico


Il testo pubblicato da ERI nel 1953, illustra le tecniche di scrittura per la radio. Un testo di “servizio” che
veniva allegato ai contratti di collaborazione dei neoassunti della Rai. Si tratta di undici punti, nei quali
abbastanza semplicemente vengono esposte “ inderogabili norme e cautele che devono osservarsi da parte
di chi parla al microfono o predispone, scrivendolo, un testo per la radio. La mancata osservanza di dette
norme e cautele, può rendere intrasmissibile uno scritto anche se per altri aspetti eccellete.” Interessante
è il cercare di interpretare questo testo dal punto di vista funzionale. Non si capisce fino a che punto Gadda
riverisce il codice del dispositivo per ironizzarlo o per estenderlo. Alcuni dei concetti e delle norme esposte,
vengono apertamente contraddette dal modo in cui sono esposte da Gadda stesso. L’ironia e la proverbiale
capacità di sparigliare il banco da parte di Gadda, possono legittimamente far apparire queste norme come
un divertissement.

“Norme per la redazione di un testo radiofonico” (testo)


1) Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per ogni periodo, i quattro righi
dattiloscritti; attenersi, preferibilmente, alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato
con i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo.

2) Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni


ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive). All'affermazione:
"Cesare, avendo accolto gli esploratori i quali gli riferirono circa i movimenti di Ariovisto, decise di
affrontarlo", sostituire: "Cesare accolse gli esploratori. Seppe dei movimenti di Ariovisto e decise di
affrontarlo".

3) Il tono gnomico e saccadé che può risultare da un siffatto incanalamento e governo della
piena (di idee) non dovrà sgomentare preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l'altra le
idee avranno esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una fila di persone
che porgono il biglietto, l'una dopo l'altra, al controllo del guardiasala. La consecuzione delle idee si
distende nel tempo radiofonico e deve avere il carattere di un "écoulement", di una caduta dal
contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al "vuoto
radiofonico".

4) Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. La
regìa si riserva di espungere dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi
coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile al microfono. L'occhio e la mente di chi
legge arrivano a superare una parentesi, mentre la voce di chi parla e l'orecchio di chi ascolta non
reggono alla impreveduta sospensione. Nel comune discorso, nel parlato abituale, nella
conversazione familiare non si aprono parentesi. Il microfono e il radioapparecchio con lui, è
parola, è discorso. Non è pagina stampata. La parentesi è un espediente grafico e soltanto grafico.
Seguendo nel parlato un'idea, non è opportuno abbandonarla a un tratto per correr dietro a
un'altra in parentesi. E meglio liquidare la prima, indi provvedere alla seconda; così il cane da
pastore azzanna l'una dopo l'altra le pecore per ricondurle al gregge: non può azzannarle a tre per
volta. Congiunzioni temporali e modali e gentilmente avversative (dunque, pertanto, in tal caso,
per tal modo, per altro, ma, tuttavia) permetteranno di agire in ogni evenienza con risultati
apprezzabili, senza ricorrere a incisi, a parentesi.

5) Curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante energica scelta di


congiunzioni o particelle appropriate, o con opportuna transizione, o con esplicito avviso (omettere
l'avviso, la frase di transizione, unicamente allorché il passaggio possa venir affidato alla voce).
L'ascoltatore non è profeta e non può prevedere "quando" il discorso muterà, "quando" il dicitore
lascerà un'idea, o un seguito d'idee e d'argomenti, per venire ad altro.

6) Evitare le litòti a catena, le negazioni delle negazioni. La litòte semplice - negare il


contrario di quel che si intende affermare - è gentile e civilissima figura. Molto redditizia al
microfono e in ogni forma di discettazione ragionata o di esposto critico o storico, attenua la
troppo facile sicurezza o l'asprezza eccessiva di chi afferma: crea un distacco ironico dal tema, o dal
giudizio proferito. "Questa lirica non è malvagia". "La prosa del Barbetti non è delle più
consolanti".
Ferale risulta invece all'ascolto la catena di litòti.
Alla seconda negazione la mente per quanto salda e agguerrita dell'ascoltatore si smarrisce
nella giungla dei "non". Ogni "non" della tormentosa trenodìa precipita dal cielo del nulla a
smentire il precedente, per essere a sua volta smentito dal seguente. Una doppia litòte è, le più
volte, un problema di secondo grado. Difficile risolvere mentalmente un problema di secondo
grado, impossibile risolvere un problema di terzo grado. Sarà bene vincere pertanto la seguente
catena di tentazioni: "Non v'ha chi non creda che non riuscirebbe proposta inaccettabile a ogni
persona che non fosse priva di discernimento, il non ammettere che si debba ricusare di respingere
una sistemazione che non torna certo a disdoro della Magnifica Comunità di Ampezzo". Più
radiofonico: "Tutte le persone di buon senso vorranno ammettere che la sistemazione onorevole
proposta dalla Magnifica Comunità di Ampezzo è senz'altro accettabile".

7) Evitare ogni infelice ricorso a poco aggiudicabili pronomi determinativi o disgiuntivi o


numerali o indefiniti, a modi qualificanti o indicanti comunque derivati o desunti dal pronome o dal
numero: quello-questo, l'uno-l'altro, il primo-il secondo, esso, quegli, chi, ognuno, il quale,
qualsivoglia d'essi, egli, ella, quest'ultimo. Deve apparir chiaro in su le prime a quali termini di una
serie enunciata i detti pronomi si riferiscono. In caso contrario è meglio ripetere il termine, cioè il
nome. Dopo aver elaborato una struttura sintattica risplendente di quattordici sostantivi singolari
maschili uno via l'altro, il riattaccarsi con un "quello" o un "esso" all'uno dei quattordici (a quale?)
induce l'ascoltatore in uno stato di tragica perplessità circa l'attribuzione del disperso trovatello
(esso, quello) all'uno piuttosto che all'altro dei nomi proferiti. Evitare, possibilmente, di mettere in
cantiere una frase come questa: "Il veleno del dubbio e per contro il timore del peggio si erano
insinuati fin dal vecchio tempo, e in ogni modo dopo il recente conflitto, non forse nell'insicuro
pensiero ma certo nel tremante cuore del popolano di borgo e del valvassore di castello in tutto il
territorio (tanto nel fertile piano che sul colle amenissimo) del piccolo ducato e del congiunto
priorato, protetti entrambi contro il tentato sopruso dell'esercito di Conestabile e contro il
sistematico assedio del reggimento di Catalogna dall'impeto stagionale dell'affluente del Rodano,
e sovrastati a tergo dal nero massiccio del Courtadet, già ricetto di un antico raduno conventuale
ed ora di un pauroso brigantaggio: quello non meno sciagurato di questo". Dove "quello" può
riferirsi a: veleno del dubbio, vecchio tempo, insicuro pensiero, popolano di borgo, fertile piano,
piccolo ducato, sopruso dell'esercito del Conestabile, impeto dell'affluente del Rodano, antico
raduno conventuale.

8) Evitare le rime involontarie, obbrobrio dello scritto, del discorso, ma in ogni modo del
parlato radiofonico. Una rima non voluta e inattesa travolge al ridicolo l'affermazione più pregna
di senso, il proposito più grave. La regìa si riserva la facoltà di emendare dal vezzo d'una rima il
testo che ne andasse eventualmente adorno.

9) Evitare le allitterazioni involontarie, sia le vocaliche sia le consonantiche, o comunque la


ripetizione continuata di un medesimo suono. Le allitterazioni sgradevoli costituiscono inciampo a
chi parla, moltiplicano la fatica e la probabilità di errore (pàpera). Ciò che è peggio interrompono
l'ascolto con dei tratti non comprensibili, e non compresi di fatto. All'udire, talvolta, certe frasi di
romanza, non si percepisce il significato dei vocaboli, che escono frantumati dalla gola di chi canta:
il motivo musicale, ossia l'aria, appoggiato sugli "are" e sugli "ore" di un poetico nonsense, ci
avvince con la sua mélode, esaudisce da solo la nostra sete di bellezza.
Ma il parlato radiofonico non è pretesto o supporto a una frase musicale; deve essere
compreso per se stesso; il suo valore deriva unicamente dal contenuto logico. Un esempio di
allitterazione vocalica: i versi danteschi:

Suso in Itàlia bella, giàce un làco


E quella a cui il Sàvio bàgna il fiànco

orchestrati in a sulle sedi toniche, risultano difficilmente comprensibili all'apparecchio: si


risolvono in una irruzione di a nella tromba timpanica dell'ascoltatore frastornato; irruzione a cui
non corrisponde, per cause meramente fisiche, un adeguato fissaggio di immagini.

10) Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti, e in genere un léssico e una
semantica arbitraria, tutti quei vocaboli o quelle forme del dire che non risultino prontamente e
sicuramente afferrabili. Figurano tra essi:
a) i modi e i vocaboli antiquati;
b) i modi e i vocaboli di esclusivo uso regionale, provinciale, municipale;
c) i modi e i vocaboli, talora arbitrariamente introdotti nella pagina, della supercultura (p. e.
della supercritica), del preziosismo e dello snobismo;
d) i modi e i vocaboli delle diverse tecniche; della specializzazione;
e) i modi e i vocaboli astratti.

11) Evitare le forme poco usate e però "meravigliose" della flessione, anche se provengono
da radicali (verbali) di comune impiego. Non tutti i verbi sono utilmente coniugabili in tutti i tempi,
modi e persone. È questa una superstizione grammaticale da cui dobbiamo cercare di guarirci. Il
verbo rappattumarsi genera uno sgradevole e male assaporato ti rappattumi (seconda singolare
indicativo presente), il verbo agire genera, al primo udirlo, un incomprensibile agiamo (prima
plurale indicativo presente), il verbo svellere uno svelsero (terza plurale indicativo remoto)
alquanto indigesto, il verbo dirimere e il verbo redigere degli insopportabili perfetti. Tali mostri
sono figli legittimi della coniugazione, ma la legittimità dei natali non li riscatta dalla mostruosità
congenita.

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