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STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE VOL.

PARTE PRIMA
PREMESSA
I postulati estetici del romanticismo

Non è facile equiparare Ottocento a Romanticismo, infatti secondo Ernst Bloch le epoche storiche
non marciano in fila indiana.
Tra il Settecento e l’Ottocento va registrato un netto dualismo stilistico: tra il modo tradizionale di
intendere la musica tipico dell’opera italiana ed uno totalmente divergente, realizzatosi nella musica
strumentale.
A ciò va sommato il controverso rapporto tra Classicismo viennese e Romanticismo, correnti
musicali collegate da alcuni elementi in comune ma separate da posizioni inconciliabili: nel nord il
settecentesco stile galante, coagulatosi sotto forma di stile della sensibilità, sarebbe approdato
direttamente al Romanticismo; al sud, questo percorso sarebbe stato inframezzato da una fase detta
Classicismo viennese.
Si spiegherebbe così una contraddizione del periodo: la compresenza di un articolato pensiero
romantico filosofico-letterario a nord, e di una musica nettamente legata all’Illuminismo al sud.
Furono i primi letterati romantici ad inaugurare, alla fine del Settecento, una nuova concezione della
musica: nella riflessione estetica del Settecento il ruolo della musica era quello di rendere un
determinato affetto, potenziando le capacità evocatrici della parola. La musica strumentale non era
che una pallida imitazione di quella vocale, irrimediabilmente inferiore poiché priva della
possibilità di comunicare con la parte razionale dell’uomo.
Un avvenimento che potrebbe aver contribuito ad accelerare la propulsione verso il Romanticismo
fu la morte di Federico II di Prussia: il venir meno delle speranze di realizzare gli ideali illuministici
contribuì a determinare quella fuga verso l’utopia che costituisce il fondamento dell’ideologia
romantica.
Ma nella riflessione dei primi letterati romantici la visione cambiò radicalmente: crollata l’illusione
illuministica di poter dare una spiegazione razionale alla realtà e di poterne risolvere tutti i problemi
con la ragione, ci si rese conto che l’essenza del mondo continuava a rimanere oscura e i
ragionamenti dell’intelligenza non bastavano a fornire una risposta ai quesiti dell’esistenza.
L’unica chiave per attingere a questi segreti è l’intuizione artistica; mentre tra le arti la più adatta a
tendere verso l’assoluto è la musica, soprattutto quella strumentale.
Si compie così un ribaltamento rispetto alla concezione passata: per la prima volta nella storia la
musica è elevata ai massimi livelli dell’attività umana, in più quella vocale viene considerata
inferiore a quella strumentale perché costretta ad attenersi ad un significato ristretto e determinato.
La musica strumentale, che nasce dalle energie più profonde dell’uomo, può slanciarsi con
maggiore libertà verso l’infinito e il divino, assumendo una vera funzione metafisica; l’arte deve
cogliere ciò che si cela al di là delle apparenze in quanto individuale ed eccezionale.
L’estrema importanza conferita alla musica è il solco più netto tra la musica d’arte e la musica
d’uso: se comporre musica è attingere alle vette dell’umano e del divino, non c’è più spazio per le
musiche di circostanza, di intrattenimento o commissionate dall’esterno, poiché ogni composizione
deve essere una summa dell’esperienza interiore del compositore, un messaggio da inviare
all’umanità intera.
L’atto creativo andò accentuando la sua indipendenza poiché si aveva l’ambizione di catturare con
la musica, pertanto ogni singola intuizione espressa con un’irripetibile individualità formale doveva
mescolare generi diversi.
Il musicista romantico è coinvolto in un attivismo culturale che si esplica in molteplici direzioni:
egli è contemporaneamente compositore, strumentista, direttore d’orchestra, direttore artistico e
fondatore di una lega artistica; in oltre può lavorare anche sul piano letterario.
La consuetudine del concerto pubblico a pagamento che andò diffondendosi nell’Ottocento si
coniugò con la costituzione di un repertorio formato da musiche di autori non viventi; era la prima
volta che accadeva.
Accanto all’esecuzione delle musiche del passato prese corpo anche la riflessione storiografica che
vide la nascita di numerose biografie su autori scomparsi.

Capitolo primo
Gioacchino Rossini

àDualismo stilistico

Il mondo musicale del primo Ottocento era diviso da un profondo dualismo stilistico: le due culture
musicale pressoché inconciliabili se ne contendevano il predominio.
La prima, la più tradizionale e diffusa, trovava il suo territorio nell’ambito dell’opera italiana:
Gioacchino Rossini fu il compositore più noto nell’Europa dell’epoca; la seconda cultura musicale
fu avviata da Beethoven e si esplicò principalmente nella musica strumentale.
Quelli impersonati da Rossini e Beethoven erano due modi antitetici di pensare la musica: o il
centro della musica era fatto convergere sul concreto evento sonoro, oppure veniva posto
nell’astratto pensiero musicale del compositore. Nonostante la differenza tra i due, un legame più
sottile accomuna questi musicisti, ovvero la Restaurazione successiva alle guerre napoleoniche:
questa fase era caratterizzata dal desiderio di pacificazione, di disimpegno dalle passioni politico-
ideali e di ritorno alla mentalità borghese.
Ciò costrinse i compositori ad assumere un atteggiamento distaccato e critico verso la realtà
contemporanea: Beethoven si isolò e la sua musica assunse un carattere esoterico; la musica di
Rossini pareva immediata e di facile fruizione, ma in realtà nascondeva un messaggio ironico e
amaro.

àLa vita, le opere buffe

Nato a Pesaro nel 1792 da una famiglia di musicisti, da madre cantante e padre suonatore di corno e
tromba, il giovane Gioacchino usufruì tanto di una precoce esperienza nella viva pratica musicale
quanto di veri studi di composizioneàla precocità del talento rossiniano è fuori discussione: le sue
Sonate a quattro per due violini, violoncello e contrabbasso furono composte a dodici anni.
Intorno ai quattordici anni compose per un’occasione privata la sua prima opera, il dramma serio in
due atti Demetrio e Polibio, rappresentato pubblicamente nel 1812 al Teatro Valle di Roma; mentre
il suo debutto come compositore teatrale era avvenuto a Venezia con la rappresentazione della farsa
in un atto La cambiale di matrimonio.
I primi sette anni della sua carriera operistica furono dedicati al genere comico, una serie di opere
prodotte di getto, tra cui troviamo L’italiana in Algeri, Il turco in Italia, Il barbiere di Siviglia, La
Cenerentola e l’opera semiseria La gazza ladra.

àIl rapporto ritmo-parola

Secondo il musicologo Luigi Rognoni, la grande carica della musica rossiniana risiede nel ritmo:
nelle sue opere non è il ritmo musicale ad adattarsi alle parole del testo, ma sono le parole travolte
dal ritmo che si spezzano in modo innaturale, si frantumano in fonemi senza senso, si
ricompongono e si trasformano in puro pretesto sonoro. Il linguaggio umano viene stritolato da un
meccanismo senza scampo, rendendo impossibile qualunque comunicazione; l’uomo diventa una
marionetta agitata da altri, che si illude di essere il padrone delle proprie azioni. Il trattamento
rossiniano della voce non prescinde dal contenuto delle parole, infatti l’apice della frammentazione
sillabica è raggiunto nei momenti in cui i personaggi sono in preda alla massima confusione
possibile e la loro mente non riesce a coagulare alcun pensiero logico.
Il rapporto rossiniano tra musica e testo è esplicitato da lui stesso: la musica teatrale non deve
rappresentare i singoli avvenimenti; la musica è l’atmosfera morale che riempie il luogo in cui i
personaggi del dramma rappresentano l’azione.

àLe opere serie

Le opere serie erano il più prestigioso banco di prova per il musicista dell’epoca, tra queste
troviamo Tancredi, Elisabetta regina d’Inghilterra, Otello, Mosè in Egitto, La donna del lago,
Maometto II, Semiramide e infine Guglielmo Tell.
Le sue opere serie sono il doppio rispetto a quelle buffe, ma sono anche di una maggiore importanza
storica rispetto alle comiche: se nell’opera buffa egli portò a compimento un genere musicale,
nell’opera seria avviò nuove convenzioni che vigeranno nell’opera italiana per circa mezzo secolo,
soprattutto dal punto di vista formale.
Sin dalla fine del Settecento l’opera sera era stata vivificata con impulsi provenienti da altri generi
teatrali; dalle opere buffe e semiserie erano defluite altre tipologie di arie, soprattutto le arie divise
in più sezioni dell’andamento contrastante. La loro caratteristica principale era quella di far
penetrare al proprio interno lo svolgimento dell’azione, anche attraverso la partecipazione di
petrichini, personaggio che interloquiva col protagonista dell’aria senza però trasformarla in un
duetto, poiché l’andamento differente delle sezioni era causato da un mutamento nella situazione
emotiva del personaggio. Inoltre, poiché l’azione si svolgeva in presa diretta aumentarono i pezzi
d’assieme anche nell’opera sera cosicché la grande forma del finale interno valicò il confine tra
opera buffa e opera seria.
Giunsero novità per l’opera italiana anche da un altro versante: chi voleva scrivere per l’Opéra di
Parigi doveva adattarsi alle convenzioni della tragedia lirica, ovvero una maggiore presenza del
coro, una ricca orchestrazione, un abbandono del recitativo secco per quello accompagnato, la
tendenza a saldare le singole scene in grandi blocchi unitari.
Le novità formali codificate da Rossini nella sua opera:
1. Impiego nell’opera seria di arie in più sezioni di andamento contrastante con la seguente
struttura:
-scenaàrecitativo con coro
-cantabileàsezione lenta dell’aria
-sezione intermediaàcon coro
-cabalettaàsezione veloce dell’aria;
2. Impiego nell’opera seria del finale concertato, costituito secondo la tipologia:
-allegro
-largo di stupore
-stretta;
3. Incremento dei pezzi d’assieme rispetto alle arie;
4. Grandi scene unitarie;
5. Uso dell’armonia;
6. Importanza del ritmo;
7. Abolizione del recitativo secco nell’opera seria;
8. Scrittura delle fioriture vocali;
9. Importanza del coro, in alcuni casi vero e proprio personaggio.
Tutte queste tendenze furono accentuate nell’opere di Rossini per il pubblico parigino dell’Opéra;
ma con Guglielmo Tell varca addirittura i confini del Romanticismo: soggetto storico-patriottico,
elementi del folclore popolare, prevalenza degli ensemble sulle arie solistiche, grande importanza
del coro, presenza della natura come personaggio.

àIl grand opéra

L’opera Guglielmo Tell costituisce uno dei primissimi esempi del principale genere operistico
romantico francese: il grand opéra.
L’antica tragedia lirica, che fondeva lo stile francese con contaminazioni italiane e tedesche, si era
trasformata a quello che stava diventando il suo pubblico principale: la ricca borghesia finanziaria
di una grande e cosmopolita metropoli ottocentesca.
Nacque così il grand opéra, il cui nome ne sottolinea la principale caratteristica: la spettacolare
grandiosità. A differenza della tragedia lirica, l’azione drammatica nella grand opéra non era più
condotta dal testo, che ormai retrocede ad una semplice funzione di libretto operistico: persa la
fiducia nella parola, si confida nel potere comunicativo della pantomima e degli effetti scenografici.
La drammaturgia del grand opéra si fonda su due principi: l’arrestarsi dell’azione su grandi quadri
corali, ovvero sontuose scene di massa nelle quali il coro assume il ruolo principale; l’interesse
dello spettatore è ravvivato da improvvisi colpi di scena che ribaltano il suo stato d’animo e portano
ad alternare un vasto campionario di soluzioni musicali.
àLe ultime composizioni

A soli 37 anni smise di scrivere per il teatro e nei restanti 39 anni della sua vita compose pochissime
musiche, quasi tutte di destinazione sacra o cameristica: Soirées musicales, Stabat mater, Petite
messe solennelle per dodici cantori di tre sessi, due pianoforti e armonium.
Ma sono i Peccati di vecchiaia a rappresentare lo spirito dell’ultimo periodo di Rossini: brevi
composizioni cameristiche per pianoforte-voci e pianoforte; si tratta di un condensato di ironia
sofisticatissima e di programmatica ingenuità musicale.
Il lungo silenzio di Rossini può essere fatto risalire alla questione dell’estetica romantica: il suo
pessimismo non nutriva fiducia nella forza del sentimento e nel coinvolgimento emotivo del
compositore con la propria musica, poiché egli guidava i suoi personaggi dall’alto senza mai
identificarvisi.

APPROFONDIMENTO
v L’opera buffa nell’Italia del primo Ottocento

L’italiana in Algeri costituisce l’atto di nascita dell’Ottocento musicale italiano e ci offre il


presupposto per mettere in luce alcune importanti convenzioni drammaturgiche operanti nell’opera
italiana, ma anche alcuni tratti stilistici della scrittura rossiniana.
Il re di Algeri decide di cercarsi una nuova moglie, possibilmente italiana, ripudiando la moglie
Elvia e destinandola al suo schiavo italiano Lindoro, ancora innamorato di Isabella, strappatagli con
la forza.
Nel frattempo arriva una nave i cui passeggeri sono catturati dai corsari del re e capeggiati dal
capocorsaro Haly. Sulla nave vi è proprio Isabella, partita alla ricerca di Lindoro, e viene portata dal
sultano che ne resta ammaliato. Nel frattempo Isabella e Taddeo, suo spasimante spacciatosi per suo
zio, si imbattono nella coppia Lindoro-Elvira e nell’imbarazzo la fanciulla pretende dal sultano di
tenere presso se il ragazzo come suo schiavo e che Elvira resti presso il sultano. Chiarite le
peripezie Isabella decide di liberare i suoi compatrioti prendendosi gioco del sultano grazie ad una
festa dove a costui sarebbe stato conferito il titolo di “pappataci”; durante la cerimonia il sultano
deve dar prova di saper vincere, tacendo, ogni impulso che non sia verso il cibo o il sonno. Nel
frattempo Isabella fugge con Lindoro e gli altri italiani, mentre il sultano, accortosi tardi
dell’inganno, riprende Elvira con se.
I personaggi principali sono quattro: i due amanti, soprano e tenore, e i due spasimanti della
fanciulla, due bassi; mentre i personaggi secondari, a parte i recitativi, prendono parte solo ai pezzi
d’insieme.
I personaggi principali si presentano ciascuno con la famosa cavatina, un’aria cantata appena
entrano in scena.

v Le tipologie dell’aria bipartita

Il modello formale di maggior successo nell’opera italiana è quello dell’aria bipartita: erano un
canale necessario per consentire la comunicazione tra palcoscenico e platea. Il pubblico si aspettava
che il materiale musicale si organizzasse secondo moduli già noti e gli autori giocavano con tali
atteseànella cavatina “Languir per una bella” con cui Lindoro si presenta nella terza scena, lo
schema base lento-veloce è conservato, mentre il cantabile e la cabaletta sono entrambi nella
medesima tonalità, mi bemolle magg.

v Il finale I

Il culmine degli spettacoli operistici nei primi decenni dell’Ottocento era costituito dal finale
interno, ossia il finale I, il momento in cui la vicenda si ingarbuglia maggiormente. Musicalmente
corrisponde ad un concertato in cui molti o tutti i personaggi si ritrovano sul palcoscenico assieme
al coro.
Viene diviso in tre parti:
- Allegro: basato su uno o più temi;
- Largo: il tempo lento in cui i personaggi si ritrovano a non capire più il senso della
situazione:
- Stretta: ammutolimento della fase precedente seguito da una vorticosa agitazione.

Capitolo secondo
La prima generazione romantica: Weber e Schubert

àWeber e l’opera romantica tedesca

i musicologi non sono concordi su quale sia l’opera a cui attribuire la qualifica di “prima opera
romantica tedesca”, poiché la palma potrebbe spettare sia all’Undine, opera magica in tre atti di
Hoffmann, sia al Faust di Louis Spohr.
Ciò su cui tutti gli studiosi convengono è che l’opera che fu salutata come prima opera romantica
tedesca fu Il franco cacciatore di Carl Weber, con libretto scritto da Johann Kind e la trama
proveniente da un’antica leggenda tedesca: il cacciatore Max, per ottenere il posto di guardiacaccia
del principe e la mano della sua innamorata, deve superare una prova di tiro con l’arco; così si
lascia convincere dal cacciatore Caspar ad usare pallottole magiche, ma per un increscioso incidente
colpisce l’uomo anziché una colomba bianca, per poi rivelare tutto e ottenere il perdono dal
principe.
Formalmente l’opera è un Singspiel in tre atti: in lingua tedesca, è costituito da dialoghi recitati
inframezzati da pezzi chiusi musicali e attinge soprattutto all’opera comica francese, di cui Weber
aveva avuto ampia esperienza come direttore di teatro a Praga e Dresda; non mancano neppure gli
influssi dell’opera italiana poiché all’interno del secondo atto alla protagonista femminile è riservata
una vera e propria scena ed aria in stile italiano, con recitativo accompagnato.
Weber seppe perciò unificare questi elementi conferendo all’insieme un colore davvero tedesco e
romantico, non solo per i canti e le danze popolari o per la vivida presenza della natura, ma anche
per ragioni musicali e drammaturgiche poiché Il franco cacciatore era un Singspiel a numeri
staccati e per saldarlo in una struttura unitaria utilizzò dei motivi ricorrenti associando le tonalità
maggiori ai personaggi positivi e quelle minori ai personaggi demoniaciàai piani armonici
corrisponde la forma classica, equilibrata, mentre la forma complessiva è decisamente romantica,
squilibrata, dove la tensione monta sempre più e la fine cala troncando un’ascesa giunta al suo
punto culminante.
Dato il successo de Il franco cacciatore, Weber decise di scrivere una grande opera eroico-
romantica, l’Euryanthe, rappresentata a Vienna nel 1823 su commissione di Domenico Barbaja;
l’ambizioso progetto di allargare il materiale del Singspiel e dell’opera comica in una grande opera
interamente musicata e senza dialoghi fallì miseramente per la frammentarietà del libretto. Stesso
discorso per Oberon, rappresentata a Londra nel 1826 che, nonostante la tipologia del Singspiel e
l’ampio successo, purtroppo non raggiunse la fama della sua prima opera.

àL’attivismo culturale dei Romantici

Il musicista romantico si sentiva di dover essere attivo su molti fronti, di agire sulla realtà
propiziando l’avvento di un’epoca più poetica e meno materialistaàlotta contro i filistei, ovvero
aristocratici e borghesi legati alla loro mediocrità, al vecchio mondo.
Weber non si esprimeva soltanto componendo musica, ma la eseguiva in prima persona come
strumentista virtuoso e direttore d’orchestra poiché si sentiva impegnato come diffusore della nuova
musica, tanto quella sua quanto quella degli altri compositori romantici.
L’attivismo del musicista romantico si esplicava anche in qualità di organizzatore: direttore artistico
di teatri o istituzioni, fondatore di una lega artistica per scongiurare l’isolamento sociale in cui il
musicista rischiava di essere respinto dalla società borghese.

àSchubert e Vienna

L’appartenenza di Schubert alla corrente romantica è stata ampiamente discussa: egli trascorse la
sua vita nella propria città natale, Vienna. Ma vivere a Vienna nei primi anni dell’Ottocento voleva
dire essere sovrastati dall’ombra di Beethoven e di Rossini sul versante teatrale; Schubert, infatti,
visse troppo poco per poter competere con costoro e l’unico spazio che riuscì a ritagliarsi fu quello
dovuto a serate musicali con gli amici.
Inizialmente studiò nel Regio-Imperial Convitto cantando come voce bianca nella cappella diretta
da Antonio Salieri, col quale poté studiare composizione per circa quattro anni; a 21 anni lasciò la
famiglia e l’impiego come maestro nella scuola diretta dal padre trovandosi così a lottare contro
molte ristrettezze dato che i proventi derivatigli dalla musica erano insufficienti.
In campo teatrale Schubert tentò la produzione di Singspiele e opere, ma la maggior parte di esse
furono rifiutate dalle direzioni dei teatri e il viennese ottenne solo qualche rappresentazione del
Singspiel in un atto I gemelli, della commedia musicale in tre atti L’arpa magica e delle musiche di
scena per Rosamunde, un dramma.
Le critiche che gli venivano rivolte più frequentemente erano quelle di scrivere in modo troppo
complicato, troppo difficile tecnicamente, di usare modulazioni troppo audaci e un
accompagnamento troppo pesante, oltre allo scrivere per il teatro senza averne una sufficiente
esperienza.
àLa svolta

Nel 1825 la reputazione di Schubert avviò la sua vera ascesa: alcune sue musiche vocali furono
eseguite sia dalla Società degli Amici della musica quanto al Conservatorio di Vienna; nel 1827 fu
ammesso come socio della Gesellschaft e l’anno seguente riuscì ad organizzare un concerto
dedicato alla sua musica.
Nel vastissimo catalogo dei Lieder schubertiani si segnala il ciclo Il viaggio d’inverno che mette in
musica le poesie di Wilhelm Muller; tra le composizioni per pianoforte vi sono le sonate in do
minore, la maggiore e si bemolle maggiore, le raccolte di pezzi caratteristi dal titolo Momenti
musicali e Improvvisi, varie composizioni per pianoforte a quattro mani tra cui la Fantasia in fa
minore e l’Allegro in la minore.
Oltre alla musica sacra, danze per pianoforte e altre composizioni, vanno segnalate le sinfonie: dopo
le sei sinfonie giovanili non riuscì a completare i suoi brani, anche se uno di essi può essere
annoverato tra i suoi massimi capolavori, l’Incompiuta in si minore, di cui furono scritti solo due
movimenti.
Nel 1824 i due quartetti in sol maggiore e uno in la maggiore, assieme ad un ottetto, furono intesi
da Schubert come studi preparatori per incamminarsi lungo la strada della sinfonia: dal 1825 al
1828 lavorò alla stesura della sua ultima sinfonia in do maggiore, definita La grande.

àGli elementi classici in Schubert

Nelle sue composizioni Schubert non rinnegava il concetto di Classicismo, ovvero il progetto di
costruire grandi forme basate sull’elaborazione motivico-tematica; anzi, egli sfruttò il principio
haydniano di presentare all’inizio di ogni composizione un materiale musicale ricco di possibilità
latentiàle musiche di Schubert erano intessute di affinità nascoste, di richiami tematici appena
ombreggiati e relazioni impercepibili, tuttavia egli vi inserisci i tratti tipici della musica romantica:
- Tendenza verso un tono lirico-contemplativo che privilegia la plasticità melodica dei
temi sulla loro funzione di propulsori della forma;
- Dal punto di vista dell’armonia usa cromatismi ed enarmonia;
- Dal punto di vista della forma il compositore è libero di scegliere il punto di climax,
collocandolo alla fine della composizione e generando una forma sbilanciata;
- Dal punto di vista del ritmo esso si fa uniforme e genera un progressivo accumulo di
tensione;
- Dal punto di vista del rapporto tra le parti, va ad affievolirsi l’equilibrio dello stile
spezzato in favore della polarizzazione tra melodia e accompagnamento;
- Dal punto di vista della fraseologia, essa va facendosi sempre più regolare e simmetrica.
APPROFONDIMENTO

v La preistoria del Lied

Il Lied era originariamente una semplice melodia vocale di carattere popolare in forma strofica. A
questa varietà se ne aggiunse quella sacra e quella cortigiana. Parallelamente il Lied andò
arricchendosi poiché nell’originaria melodia si affiancarono due o tre voci.
A partire dal Cinquecento questo genere si evolse seguendo le tappe della musica colta: l’assetto
sonoro venne assimilato a quello di generi come villanella, canzonetta o balletto, finché dal primo
quarto del Seicento prese piede l’uso del basso continuo che prima si integrò, poi sostituì il tessuto
polifonico aggiunto alla voce principaleàtesto e melodia erano opera dello stesso autore,
successivamente si diversificarono.

v Il Lied nel secondo Settecento

La semplicità popolareggiante continuò ad essere il tratto qualificante della letteratura liederistica;


tale semplicità non era in linea con gli ideali estetici barocchi e pertanto si preferivano le arie al
lied.
Attorno al 1770 vi fu la fioritura della scuola liederistica berlinese e i compositori che vi
appartennero si segnalarono per l’attenzione riservata alla scelta dei testi.
A Vienna il Lied si trovò a convivere con l’opera e con la musica strumentale, e ciò ne favorì la
diffusione in una nicchia più riservata.
Anche i tre grandi compositori classici si accostarono alla liederistica: quelli di Haydn sembravano
avere come ascendente il pezzo pianistico e lo stile di sonata; Mozart diede il meglio di sé anche
dove il testo presupponeva allusioni a gestualità drammatica; e infine in Beethoven, dove troviamo i
caratteri principali sposati alla tecnica pianistica viennese.

v Il tipo ideale del Lied

Per quanto riguarda il testo, la struttura è tipicamente strofica: la tematica è quella soggettiva della
poesia lirica; aleggia il presentimento di un’incombente sciagura o la percezione di un’intima
sofferenza.
I caratteri musicali sono mirati alla comprensibilità del testo: accompagnamento discreto;
coincidenza tra verso e frase musicale, melodia sillabica o semisillabica.
Questi tratti corrispondono al “tipo ideale” del Lied configurato tra la fine del Settecento e l’inizio
del secolo seguente.
v Il ciclo di liriche e Il viaggio invernale

I primi romanzi dei maggiori scrittori romantici si presentarono incastonati di strofe liriche inserite
nella narrazione; nel secondo decennio dell’Ottocento queste poesie si resero autonome dal contesto
in prosa, ma ne assorbirono la dimensione del racconto. In conseguenza di ciò in Germania
iniziarono a pubblicare alcuni cicli di liriche, i cui singoli componimenti erano autonomi e
contemporaneamente legati reciprocamente.
Tra i primi esempi di questo genere si annovera la raccolta Il viaggio invernale del 1824 del poeta
Wilhelm Mulleràin questo ciclo l’elemento narrativo è ridotto al minimo e l’evento chiave è già
avvenuto; l’io narrante, di cui ignoriamo il nome, è innamorato e corrisposto da una fanciulla che lo
ospita in casa, ma successivamente lei preferisce un altro pretendente più ricco. Il ciclo è incentrato
sulle riflessioni ispirate al viandante da personaggi naturali o particolari situazioni.
Il ciclo di Lieder si presenta diviso in due parti e a ciascuna di queste viene affidato un versante
della vicenda psicologica che coinvolge il viandante: nella prima si racconta il suo struggimento
amoroso; nella seconda il suo disagio si trasferisce su un piano più generale ed esistenziale.
àIl tiglio
La dimensione della memoria, o meglio, dell’accostamento di diversi piani temporali è alla base del
celebre Lied, Il tiglio, che nell’opera occupa il quinto postoàstrutturato in sei strofe che si
distribuiscono nel tempo in tre diversi momenti, il Lied presenta un’introduzione pianistica in otto
misure e vi si possono distinguere due elementi: un suono di corni e l’evocazione del mormorio
delle foglie del tiglio. Gli squilli di corno erano un elemento abbastanza comune nella musica
dell’epoca e sono associati ad un effetto d’eco che funge da “metafora sonora” della lontananza e
dell’assenza; ma la lontananza viene espressa anche dal fruscio delle foglie che richiamano la
primavera.
Nel passaggio alla terza strofa corrisponde una metamorfosi da modo maggiore a minore sulla
stessa melodia che rappresenta uno dei tratti stilistici tipici di Schubert; nella quarta strofa si torna al
modo maggiore; la quinta strofa, invece, è incentrata su una melodia divisa dalle altre ed è l’unica a
non essere preceduta dall’interludio strumentale, inoltre è saldata a quella precedente sia
armonicamente che per l’assenza dell’interludio pianistico.
La forma di questo Lied è tripartita e nella sezione centrale prevale il modo minore, dove si cerca di
far conciliare la forma esterna del testo con la sua forma interna del contenuto poetico.
àL’uomo dell’organetto
Ultimo Lied dell’opera, è una composizione a dir poco enigmatica in cui tutto nella musica è privo
di vita, meccanico, irrigidito da un gelo funebre. L’introduzione pianistica ci sovrappone una smorta
cantilena su una formula ritmica di due misure e il ritmo della linea di canto è ancora più
uniformeàl’armonia prevede un’alternanza tra accordi di tonica e di dominante, mentre la melodia
e l’accompagnamento sembrano ignorarsi a vicenda. Solo verso la fine sembra stabilirsi un rapporto
tra la parte pianistica e quella vocale: l’una imita l’altra, mentre nell’ultima strofa il canto e
l’accompagnamento si sovrappongono.
Il Lied rappresenta l’espressione prediletta del nascente spirito romantico perché Schubert seppe
valorizzare il retaggio della musica popolare mediandolo con alcuni elementi tipici del nuovo
movimento: l’attenzione per l’elemento paesaggistico.

v La sinfonia n.9

Schubert compose la sua nona sinfonia nell'estate del 1825 e la portò all'orchestra
della Gesellschaft der Musikfreunde perché fosse eseguita. L'orchestra però rifiutò l'incarico,
trovandola troppo difficile.
L'autore a questo punto accantonò la partitura, che fu ritrovata nel 1838 da Schumann in una
montagna di manoscritti accatastati in casa del fratello del compositore.
La prima esecuzione, un evento memorabile nella storia della musica, avvenne a Lipsia, nel 1839,
con Mendelssohn alla direzione della Gewandhaus.
La sinfonia si compone di quattro movimenti:
I - Andante. Allegretto ma non troppo
II - Andante con moto
III - Scherzo. Allegro vivace
IV - Allegro vivace

Capitolo terzo
Tre compositori romantici: Mendelssohn, Schumann e Chopin

àMendelssohn, o la facilità

Nonostante Mendelssohn sia nato un anno prima rispetto a Schumann e Chopin, questi viene
considerate più anziano di costoro poiché quando erano ancora giovanotti sconosciuti, Mendelssohn
aveva già scritto un centinaio di composizioni, tra cui opere e sinfonie.
Nacque il 3 febbraio del 1809 ad Amburgo e trascorse la sua giovinezza a Berlino dove ricevette
l’educazione più elevata e completa, abbracciando sia gli studi umanistici che le arti figurative e
musicali: oltre al pianoforte e al violino studiò composizione fin dall’età di 10 anni. La casa dei
Mendelssohn era il salotto più importante di Berlino, dove si tenevano concerti ogni domenica,
letture poetiche e rappresentazioni teatrali.
Per completare la sua formazione musicale, Mendelssohn compì numerosi viaggi tra i quali quello
in Svizzera, in Francia, in Inghilterra, in Scozia e in Italia.
Educato sulla musica di Bach e dei classici viennesi, si cimentò in qualsiasi genere musicale con
stupefacente naturalezza: sonate, pezzi per pianoforte, fughette per organo, Lieder vocali o cori,
Singspiel e sinfonie per archi.
Verso i sedici anni acquisì un proprio stile indipendente e maturo, con l’Ottetto per archi op.20 e
l’ouverture per orchestra op.21.
Anche lui era uno strumentista virtuoso al pianoforte e all’organo, oltre ad essere un direttore
d’orchestra tra i più famose dell’epoca. Nella scelta dei suoi programmi si pose sempre finalità
pedagogiche di diffusione della nuova musica e di quella antica, rendendo così la città di Lipsia uno
dei più propulsivi centri musicali d’Europa.
A fianco della musica contemporanea e a quella dei classici viennesi, tra il 1834 e il 1838 inaugurò
la pratica dei “concerti storici”, ovvero la storia della musica in concerto con un repertorio che
spaziava da Bach ai suoi contemporaneiànel 1829 vi fu l’esecuzione della Passione secondo
Matteo di Bach, in una versione rimodernata per renderla più accetta al pubblico ottocentesco.
L’assidua riproposizione degli oratori handeliani lo stimolò a comporne alcuni: Paulus, Elias,
Christus.
Come direttore artistico fu impegnato tanto a Düsseldorf quanto a Lipsia, ma nel 1841 fu chiamato
a Berlino dal nuovo re di Prussia che aveva ambizioni progetti di riforme musicali: allestì delle
tragedie greche e drammi shakespeariani con musiche di scena scritte appositamenteàMendelssohn
compose quelle per Antigone, Edipo a Colono, Sogno di una notte di mezza estate.

àIl Conservatorio di Lipsia

Mendelssohn fu il fondatore e direttore del Conservatorio inaugurato nel 1843 e vi chiamò


insegnanti di altissimo livello come i coniugi Schumann, il danese Niels Gade e molti altri.
Nonostante l’atteggiamento mentale di stampo romantico, la sua formazione compositiva fa pensare
tutt’altro: basata principalmente sulle opere di Bach, Handel, Mozart e Beethoven e coagulata in
una scrittura classicamente limpida e netta, aliena dalle torbidezze armoniche, in molti lo hanno
definito un neoclassico, oppure un romantico classicheggiante.

àSchumann, o la duplicità

La caratteristica di Schumann era appunto la duplicità tipica del romanticismo: egli sentiva di essere
scisso in una doppia natura, simboleggiata con i personaggi Florestano ed Eusebio.
La sua duplicità più profonda regnava nel suo animo: da una parte la prosaica mentalità borghese
desiderosa di affermazione economica e sociale, dall’altra parte una poetica esigenza di dedicarsi
all’arte anima e corpo.
Verso i vent’anni le sue ambizioni musicali prevalsero su quelle letterarie ed abbandonò l’università
per tornare a Lipsia; purtroppo a Schumann non bastava essere un brillante pianista, perché egli
voleva fare il compositore ma le sue basi tecniche di cui disponeva erano insufficienti dato che era
un autodidatta.
Nel 1831 iniziò a prendere lezioni di composizione da Heinrich Dorn, ma per tutta la vita mantenne
costante tensione di apprendimento studiando solo le opere di Bach e il trattato sulla figura di
Cherubini.

àAttivismo culturale di Schumann

Tra il 1832 e il 1835 pose le basi per il suo attivismo culturale troncando la carriera di strumentista
virtuoso per dedicarsi esclusivamente alla composizione, prodigandosi come diffusore della nuova
musica in qualità di critico musicale.
Iniziò con la recensione delle Variazioni su “La ci darem la mano” op.2 dello sconosciuto Chopin;
nel 1834 fece uscire il primo numero di una rivista da lui stesso fondata, Nuova rivista
musicaleàdalle due colonne di questo periodico avviò una battaglia culturale con triplice scopo:
ricordare l’epoca antica e le sue opere, lottare contro il più recente passato in quanto epoca
antiartistica e, infine, preparare una nuova età poetica e contribuire ad affrettarne l’avvento. A
questo scopo egli radunò tutti i compositori che riteneva poetici e romantici, fiutando numerosi
talenti come Chopin, Mendelsson, Brahms..
Parallelamente, intorno al 1833, fondò la Lega dei seguaci di David: tutto nacque dai nomignoli con
cui battezzava i frequentatori della casa a Lipsia. I personaggi principali erano tre: Florestano, il
beethoveniano impulsivo e ardente; Eusebio, il sognatore riflessivo e dolce, e infine Maestro Raro,
la saggezza e la maturità.

àOdio e amore

Nel 1833 si innamorò della figlia del suo maestro, Clara Wieck, quattordicenne e promettente
pianista che in pochi anni divenne uno dei maggiori concertisti di fama internazionale.
Nel 1835 i due si fidanzarono segretamente, poiché il padre di lei non approvava, e cinque anni più
tardi si sposarono nonostante le battaglie legali con Wieck.
Il rapporto con Clara mette a nudo un’altra duplicità nella vita di Schumann: contemporaneamente
all’intenso coinvolgimento sentimentale, egli era professionalmente molto geloso di lei, provando
un astioso complesso di inferiorità nei suoi confronti.
Nel 1850 gli fu conferita la carica di direttore musicale a Düsseldorf, ma le critiche si attirò furono
così aspre che tre anni dopo dette le dimissioni.
Dopo un primo periodo oscuro della sua vita, causato da una malattia psichica, egli tentò il suicidio
gettandosi nel Reno; ripescato e ricoverato in una clinica psichiatrica privata, morì due anni dopo.

àChopin, o la barbaricità

Nato in Polonia nel 1810 da padre francese e madre polacca, di buona cultura e modesta estrazione
sociale, che avviò il figlio allo studio del pianoforte.
Chopin compì gli studi al liceo di Varsavia studiando privatamente musica e composizione;
terminato il liceo si iscrisse al Conservatorio di Varsavia conseguendo il diploma nel 1829.
La sua prima uscita dalla Polonia come concertista fu nel 1829 a Vienna dove, tramite il suo ex
maestro di organo, ottenne la possibilità di suonare due volte, gratuitamente, nel teatro dove
lavorava il maestro e vi eseguì le proprie Variazioni su “La ci darem la mano” op.2 assieme al
rondò Krakowiak op.14, entrambi per pianoforte ed orchestra.
Tornato a Varsavia, in vista di una tournée europea, compose i due Concerti per pianoforte ed
orchestra in fa minore op.21 e in mi minore op.11, Andante spianato e Grande polacca brillante per
pianoforte ed orchestra.
Il suo secondo soggiorno a Vienna fu una vera delusione poiché in otto mesi riuscì soltanto a
partecipare, gratuitamente, a due concerti; nel 1831 si avviò verso Monaco, deciso a recarsi a
Londra via Parigi, ma lungo la strada apprese che Varsavia era nuovamente caduta nelle mani dei
russi, così Parigi divenne la sua seconda patria.

àParigi, seconda patria

La capitale francese era una delle più importanti città europee e lì Chopin ebbe la possibilità di
conoscere sia i francesi di nascita o di adozione come Rossini, Liszt, Mendelssohn, ma anche
fuoriusciti polacchi e artisti come Balzac e Delacroix.
Inizialmente scartato, nel 1832 riuscì a ritagliarsi uno spazio nell’alta società parigina che se lo
contendeva per farlo suonare nei propri salotti o per insegnare pianoforte ai propri figliàrari i
concerti in pubblico.
Nel febbraio del 1848 si esibì un’ultima volta nella Salle Pleyel, ottenendo uno strepitoso successo.
Pochi giorni dopo partì per l’Inghilterra e la Scozia dove effettuò numerosi concerti; rientrato a
Parigi trascorse il suo anno di vita, a causa della sua malattia polmonare, in condizioni difficili
poiché la rivoluzione avvenutavi sconquassò il mondo aristocratico e la sua stessa salute si era così
aggravata, tanto da rendergli impossibile un’attività lavorativa di qualche impegno. Negli ultimi
anni scrisse soltanto un valzer, oggi perduto, e due mazurche.

àFondamentale estraneità di Chopin al mondo classico-romantico

Chopin veniva percepito come proveniente da un mondo estraneo alla civiltà dell’antica Europa;
questo non va addebitato solo al legame di Chopin con la sua patria, manifesto nell’adozione della
sfera artistica di danze o canti autoctoni, ma dalla sua formazione che scavalca il Classicismo
viennese riallacciandosi al mondo settecentesco.
Era contrario all’ideologia per cui il compositore deve innalzare grandi architetture formali dalla
logica razionale, poiché respirava ancora lo stile galante e sensibile, l’arte del porgere che fa
dell’ornamento la sostanza espressiva della musica, un’arte che pone al centro dell’attenzione la
capacità espressiva e parlante dell’interprete piuttosto che il compositoreàforse per questo motivo
riuscì ad inserirsi nei salotti dell’aristocrazia.
Chopin compose: 4 ballate, 4 improvvisi, 59 mazurche, 21 notturni, 26 preludi, 4 rondò, 4 scherzi,
20 valzer e tre sonate; si trattava, dunque, di qualcosa di gradito negli ambienti da lui frequentati.
Quando si dedicò alla forma-sonata, non la lesse attraverso lenti beethoveniane come i suoi
contemporanei, bensì sul modello della sonata haydniana o preclassica.

APPROFONDIMENTO

Nel corso degli anni Schumann si volse ai grandi generi strumentali della tradizione, la sinfonia e la
sonata; ma quando tornò ad occuparsi delle collane di miniature plastiche, mutò l’esigenza di
stabilire un fattore musicale che unificasse i pezzi appartenenti a ciascun ciclo. Fu così che questa
esigenza trovò realizzazione in alcune composizioni pianistiche degli anni Trenta, il Carnaval op.9.

Capitolo quarto
Berlioz e Liszt

àGli stimoli extramusicali nel Romanticismo francese

Il problema del rapporto contraddittorio tra musica e stimoli extramusicali nel periodo romantico fu
avvertito in Francia, terra propizia per la nascita della musica strumentale autonoma. Il
Romanticismo francese si differenziò da quello tedesco: quest’ultimo attribuiva il primato estetico
alla musica, soprattutto strumentale, mentre per i compositori francesi la parola musica rimaneva
coniugata con la parola teatro, così la musica operistica era considerata superiore rispetto a quella
strumentale.

àBerlioz, o la musica teatralizzata

Nato il primo dicembre del 1803 vicino Lione, ebbe una formazione letteraria: la musica gli fu
insegnata solo a livello dilettantistico, ma prese comunque delle lezioni private a 19 anni da
Lesueur.
Il contatto con Lesueur gli instillò uno stimolo particolare: questi sosteneva l’ida di attribuire un
determinato soggetto alla musica, esplicandolo attraverso la redazione di un programma. Egli, fin
dal 1786, in occasione dell’esecuzione delle sue messe a Notre Dame, forniva agli ascoltatori un
programma scritto poiché prendeva a soggetto della sua musica qualche episodio tratto dalla Bibbia.

àLa Sinfonia Fantastica

Nel dicembre del 1830 fu eseguita la celebre composizione di Berlioz, che successivamente ebbe
grande influenza sui compositori contemporanei, la Sinfonia Fantastica, ovvero una sinfonia per
orchestra il cui ascolto andava integrato con la lettura di un programma scritto dal compositore
stesso, poiché i movimenti sono collegati ad una trama narrativa: gli incubi di un uomo sotto
l’effetto della droga.
Il desiderio di sospingere la sinfonia verso il teatro si inserisce in una teatralizzazione di fondo dello
stesso Berlioz: egli era stato abituato a percepire il mondo reale attraverso un filtro teatrale, vivendo
la sua vita come se stesse recitando un copioneàinfluenza delle opere di Shakespeare.
Quindi, l’io agente in questa sinfonia adombra l’autore stesso e il tema musicale che ricorre è il
pensiero musicale che nella mente del protagonista si associa all’immagine della donna amata.
Successivamente Berlioz si distaccò da questa istanza narrativa, però il programma doveva essere
distribuito nel caso di un’esecuzione congiunta della Sinfonia Fantastica con la prosecuzione in
stile melologo, Il ritorno alla vitaàquesto melologo, molto più autobiografico della sinfonia, fu
scritto durante il suo soggiorno in Italia; egli aveva ricevuto nel 1830 il Premio di Roma con la
cantata L’ultima notte di Sardanapalo poiché comportava una permanenza biennale a Roma presso
l’Accademia di Francia.
Il fatto che la sinfonia fosse una sinfonia a programma, o un dramma strumentale, porta alla luce un
atteggiamento che il compositore francese condivideva con numerosi musicisti romantici: il
desiderio di abolire la distinzione tra generi musicali e tra le artiàtra questo nuovo genere
troviamo: Aroldo in Italia, sinfonia in quattro parti con una viola principale; Romeo e Giulietta,
sinfonia drammatica per soli, coro e orchestra; La dannazione di Faust, una leggenda drammatica e
impegnativa composizione in musica degli echi emozionali; la trilogia sacra L’infanzia di Cristo per
soli, coro e orchestra e rientra nel genere musicale dell’oratorio. Infine le opere liriche: Benvenuto
Cellini, fallimentare per via del mescolamento dei generi dell’opera comuna e della grand opera;
Beatrice e Benedetto, un opera comica ispirata a Shakespeare; I troiani, grand opera ispirata a
Virgilio.
L’esecuzione di questa destò scalpore negli ambienti musicali parigini per la presenza di cinque
movimenti anziché quattro e del programmaàla struttura interna attirò le critiche dei filistei che
credettero di riconoscervi una mancanza di forma; tra i giovani romantici, invece, suscitò
entusiasmo.

àDifficoltà in patria e successi all’estero

Dopo il viaggio in Italia, Berlioz si divise tra Parigi e le numerose tournée all’estero dal 1842 in poi.
In patria, invece, dovette lottare contro l’indifferenza del pubblico e l’ostilità delle istituzioni, infatti
capitò che i concerti e le pubblicazioni delle sue musiche fosse realizzati a sue spese e il bilancio fu
quasi sempre fallimentare.
A Weimar, invece, Liszt organizzò una settimana dedicata alle sue musicheàla rarità delle
esecuzioni di musiche berlioziane dipendeva dagli stessi atteggiamenti dell’autore: l’esigenza di
dirigere sempre di persona per evitare fraintendimenti e interventi arbitrari altrui, ma anche la sua
concezione della musica come un evento rituale da realizzare con il coinvolgimento di grandi masse
corali e orchestrali.
Sia per il suo carattere, sia per la sua attività di critico musicale si era creato una folta schiera di
nemici, soprattutto nella cerchia delle istituzioni ufficiali.

àLiszt, o la musica letterarizzata

Franz Liszt raccolse il messaggio di Berlioz rilanciandolo verso nuove mete.


Benché nato in Ungheria, fu considerato un compositore cosmopolita: iniziò a studiare pianoforte e
composizione, e a soli 11 anni iniziò una carriera concertistica professionale ad alto livello che lo
condusse a primeggiare a Londra, capitale del concertismo pianistico, e a Parigi, centro musicale
europeo.
Fu proprio a Parigi che avvenne la sua piena maturazione compositiva: egli scriveva pezzi di
bravura per il proprio strumento, soprattutto fantasie o parafrasi su temi operistici, ma tra il 1830 e
il 1831 attraversò due esperienze musicali significativeàla prima fu l’ascolto della Sinfonia
Fantastica, grazie alla quale capì l’importanza di inserire elementi extramusicali nella musica
sinfonica; la seconda fu l’ascolto di Paganini a Parigi che gli servì da stimolo per tracciare strade di
tecnica pianistica mai percorse da qualcuno.
Liszt sentiva l’esigenza di realizzare in musica quella rivoluzione romantica auspicata da Hugo
attraverso l’uso di un materiale musicale nuovo, rivoluzionario e sperimentale, e ciò poteva basarsi
su un intervallo come il tritono, intervallo formato da tre toni interni.
Il virtuosismo paganiniano gli offrì il modo di inserire queste forze tonalmente disgregatrici
all’interno di un discorso compiuto: la tecnica della variazione virtuosistica gli consentiva di
costruire grandi forme musicali pur utilizzando materiali non suscettibili di sviluppo. Così Liszt
superò la barriera del dualismo stilistico traghettando lo stile rapsodico e parlante dei virtuosi verso
una forma chiusa e compiuta in ogni sua parte; il virtuosismo giunse a trascendere la fisicità del
suono, rendendolo un veicolo trasparente per il messaggio poetico che Liszt voleva proporre: egli
sosteneva che si potevano raggiungere le massime vette dell’arte attraverso la fusione della musica
strumentale con la poesia, unendo l’ispirazione letteraria con la musica strumentale pura,
esprimendo in musica quelle azioni interiori che sono oggetto dell’espressione poetica stessa.
La prima pubblicazione importante di Liszt fu Armonie poetiche e religiose; successivamente
compose Anni di pellegrinaggio per pianoforteàin questa composizione appare la Fantasia quasi
sonata dopo una lettura di Dante, nella quale sono coagulate tutte le principali caratteristiche della
sua musica: ispirazione letteraria, uso di materiale musicale sperimentale come il tritono, il
cromatismo inserito in un tessuto di virtuosismo; unione tra libertà improvvisata della fantasia e il
rigore costruttivo della sonata.

àIl poema sinfonico

Nel 1848 Liszt assunse il posto di direttore musicale presso la corte granducale di Weimar,
dedicandosi alla composizione e avviando la stagione del poema sinfonico, dirigendo musiche
proprie e dei compositori a lui contemporanei come Schumann, Wagner, Verdi.
Il poema sinfonico congiunge i due poli da cui trae origine il genere musicale introdotto da Liszt, la
poesia e la musica sinfonica: si tratta quindi di una composizione sinfonica costituita da un unico
movimento, corredato di programma scritto che ne illustra il contenuto poetico. Il primo
esperimento fu la Bergsymphonie ispirata ad un’ode di Hugo.
Il ceppo su cui il genere del poema sinfonico si innestò non era costituito dalla sinfonia, ma
dall’ouverture de concerto, che aveva incorporato l’intenzione descrittiva attraverso la presenza del
titolo.
Nel classicismo la forma-sonata era determinata dalla dialettica tra aree tonali contrapposte; in
epoca romantica i compositori e i teorici la intesero come dialettica tra temi di carattere contrastante
e quindi l’aspetto melodico prendeva il sopravvento su quello armonico. A questo modello poteva
quindi adattarsi la Bergsymphonie, anche se la forma-sonata di Liszt implicava l’ambivalenza delle
sezioni componenti la forma, intese sia come parti un movimento che come movimenti di un ciclo.
La Bergsymphonie era articolata in due parti: nella prima è riconoscibile lo schema della forma-
sonata; la seconda è senza soluzione di continuità, ossia senza interruzioni come quelle che
intercorrono in una normale sinfonia tra un movimento e l’altro.
Nella struttura armonica si sovrappongono tre tipi diversi di logica: la tradizionale armonia
funzionale costituita dall’accordo di tonica, il principio armonico simmetrico, che evoca l’emergere
dalla voce immensa di altre voci più distinte, e il principio armonico tematico, ovvero la
successione delle tonalità di una composizione secondo la sequenza degli intervalli presenti in un
frammento melodico.

àLa sonata ciclica

Nel 1852 Liszt si cimentò con una delle sue poche composizioni assolute, la sua unica Sonata in si
minore per pianoforteàsi colloca tra i suoi massimi capolavori ed è una vera e propria ciclica
perché in un unico movimento sono compressi tutti i movimenti di un’intera sonata tradizionale,
con i relativi cambi di andamento.
Dati i forti dissapori con la corte di Weimar, Liszt rassegnò le dimissioni e si trasferì a Roma, dove
accentuò l’interesse verso la spiritualità religiosa che lo condusse a comporre una gran quantità di
musica sacra: La leggenda di santa Elisabetta per soli, coro e orchestra; Christus; Cantico del sol di
S.Francesco d’Assisi per baritono, coro maschile ed orchestra.
Negli ultimi anni della sua vita il compositore rivelò una straordinaria capacità di superamento dei
suoi stessi confini, producendo pagine sconvolgenti per la loro modernità: non usa
abbondantemente solo tritoni e settime diminuite.

Capitolo quinto
L’opera italiana dell’Ottocento

àTeatro, società e cultura


La grande tradizione strumentale italiana del Seicento e Settecento si era affievolita fino a ritrovare
spazio nel mercato musicale ottocentesco; tutto un insieme di circostanze collegate tra loro impedì
che in Italia fiorissero le società per concerti, facendo quindi rimanere lo spettacolo operistico uno
dei principali centri di attrazione sociale e artistica nazionale.
Il teatro manteneva la sua funzione di luogo di ritrovo serale e veicolo di divulgazione culturale per
un pubblico ancora spartito in classi.
La concezione drammaturgica si era differenziata rispetto al secolo passato, infatti lo spettatore
ottocentesco non poneva in primo piano il godimento estetico ma la propria partecipazione
emozionale: egli voleva identificarsi con i personaggi e le loro vicendeàil primato del
coinvolgimento emotivo presuppone una buona dose di verosimiglianza nella rappresentazioni;
voler stimolare l’emozione dell’ascoltatore richiede una certa elementarità nei caratteri dei
personaggi, esasperando i sentimenti di cui essi sono portatori e sfumando le infinite sfaccettature di
cui è composto ogni vero essere umano.
La musica retrocedeva da fine dello spettacolo a mezzo per realizzare un dramma coinvolgente, ma
ciò non significa il predominio del librettista sul musicista, anzi, il vero drammaturgo del teatro è
proprio il compositore, che assume il ruolo di ultimo di tutti gli aspetti dello spettacolo.

àLa scomparsa del recitativo secco

La progressiva scomparsa del recitativo secco in favore di quello accompagnato ebbe varie e
importanti conseguenze: prima di tutto vi fu una drastica riduzione del numero di versi da cantare
dato che la declamazione era meno ripida; in secondo luogo mutò la loro qualità metrica, quindi i
versi misurati prevalsero sui versi sciolti; la terza conseguenza riguardava lo stile poetico, infatti
anche il testo dei libretti si adattò al fatto di essere più cantato che recitato, innalzando così lo stile
trasformando la discorsività dei dialoghi in linguaggio aulicoàsi crea così una lingua dei libretti.

àOperisti del primo Ottocento


Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini

Attraverso il suo maestro Johann Simon Mayr, il giovane Donizetti conobbe non solo l’opera
francese, ma anche la musica strumentale del Classicismo viennese; e da essa apprese l’arte di trarre
tutte le conseguenze possibili da un materiale musicale di partenza molto ristretto.
Donizetti ebbe anche la possibilità di studiare a Bologna con il celebre contrappuntista padre Mattie
e, munito di solida formazione, ottenne i migliori successi a Roma e Napoli. In queste città pose le
basi per la sua fama con l’opera buffa L’ajo nell’imbarazzo, la farsa Le convenienze e
inconvenienze teatrali, e l’opera sera Elisabetta al castello di Kenilworth; inoltre produsse opere
serie molto significative come Anna Bolena, Torquato Tasso, Lucrezia Borgia, Lucia e
Lammermoor, oltre all’opera comica L’elisir d’amore.
Nel frattempo Bellini, nato a Catania nel 1801, a diciotto anni ottenne una borsa di studio per
approfondire la sua formazione al Conservatorio di Napoliàla formazione di Bellini era basata
sulla ricca tradizione operistica della scuola napoletana.
La sua prima produzione teatrale fu Adelson e Salvini, con la quale riscosse un grandissimo
successo che gli fruttò la commissione di un’opera seria, Bianca e Fernando; l’anno successivo
scrisse un’altra opera seria, Il Pirata, che lo consacrò tra i massimi operisti viventi. Le sue opere
erano talmente retribuite che poteva concedersi il lusso di scriverne una all’anno, infatti ne scrisse
solo dieci: La straniera, Zaira, I Capuleti e i Montecchi, La sonnambula, Norma, Beatrice di Tenda
e l’ultima, I puritani.
Entrambi gli operisti lasciarono l’Italia per Parigi nello stesso periodoàil primo a compiere il passo
fu Bellini, dove rappresentò il Pirata e I Capuleti confermando così la sua notorietà e la
rappresentazione della sua ultima opera su libretto del Conte Carlo Pepoli.
Donizetti si trasferì a Parigi tre anni più tardi rispetto a Bellini, dopo avervi già rappresentato Il
Marino Faliero; non avendo più rivali in campo, in poco tempo conquistò il tempio della musica
teatrale parigina, l’Opéra, dove vi vennero rappresentati I martiti e La favorita. Anche Vienna lo
consacrò tra i massimi compositori dell’epoca, ospitando la prima rappresentazione dell’opera
semiseria Linda di Chamouix e dell’opera seria Maria di Rohan, nominandolo così direttore
musicale di corte. La sua carriera si arrestò sui palcoscenici parigini con l’opera buffa in italiano
Don Pasquale e il grand opera Dom Sébastien.
Differenze e similarità si rispecchiano anche nella produzione dei due artisti: entrambi dovettero
fare i conti con l’eredità rossiniana e l’influenza del maestro era avvertibile sia dal punto di visto
drammaturgico, per i cambiamenti, sia dal punto di vista tecnico-musicale.

àBellini, musicista italiano

Cercò di crearsi una posizione personale e tentò di rendere meno evidenti i confini fra tali pezzi
chiusi; la grande differenza con lo stile rossiniano risiede nella vocalità: Bellini abolì le colorature,
sia scritte che improvvisate, in favore di un melodizzare più sillabico e spianato dal sapore
inconfondibile. La sua linea melodica cerca di evitare le cadenze armoniche nette, le ripetizioni
melodiche, gli accenti ritmici regolari per snodarsi in un arcata che accumula una struggente
tensione sino alla fine.
Per far si che le melodie possano ottenere l’effetto di trascinare in un’intensissima sfera emotiva,
devono stagliarsi su uno sfondo orchestrale quasi neutro.

àDonizetti, musicista europeo

Egli si aprì ad una dimensione più sfaccettata ed europea: innanzitutto non condivideva la dedizione
assoluta di Bellini per l’opera seria, infatti buona parte della sua produzione fu dedicata all’opera
buffa, della quale fu l’ultimo grande esponente. Va sottolineato che Donizetti fu il primo ad avviare
una mescolanza tra i due generi, inserendo elementi comici nelle opere serie e instillando una vena
patetica anche nelle opere buffe.
Nei rapporti tra opera italiana e francese si comportò nello stesso modo poiché praticò tanto l’una
quanto l’altra, cimentandosi anche con il contaminare le due tradizioni all’interno della stessa opera.

àGiuseppe Verdi

Nato nel 1813 da una modesta famiglia, ricevette la paterna protezione da un commerciante e
dilettante di musica, Antonio Barezzi, ricevendo anche un’ottima educazione musicale da
Ferdinando Provesi, organista parrocchiale e direttore della scuola locale di musica.
Compiuti i diciotto anni proseguì i suoi studi a Milano come allievo privato di Vincenzo Lavigna,
ma l’avvio della sua carriera professionale coincise con anni molto duri: nonostante il successo
della sua prima opera Oberto, conte di San Bonifacio e dell’opera buffa Un giorno di regno, Verdi
cadde in miseria e depressione, anche per la perdita della moglie e dei figli. Scoraggiato, decise così
di abbandonare l’attività di compositore, ma l’impresario della Scala, Bartolomeo Merelli, lo
convinse delle sue doti, così compose il Nabucco, che sancì un grandissimo trionfo sia per il suo
valore artistico che per il messaggio di ottimismo politico: i dolori sofferti da un popolo oppresso
troveranno il loro riscatto nella libertà che sta per giungere.
Si aprirono i famosi “anni di galera”, durante i quali dedicò anima e corpo alla composizione: I
longobardi alla prima crociata, Ernani, I due Foscari, Macbeth.
Le opere di Verdi composte fino al 1848 erano incentrate su un fervoroso ottimismo: anche se il
protagonista soccombe al potere, rimarrà comunque un trionfatore per la propria carica di energia
interioreàVerdi costruisce la sua drammaturgia puntando sul perfetto incastro di una storia che
deve proseguire a grande energia sino alla fine e i personaggi e la musica sono nitidi, senza aloni di
mistero.
La sua musica forniva un’impressione di slancio: l’arcata melodica parte con estrema vitalità e con
un andamento a frecciate successive, sostenuto da un supporto armonico semplice e chiaro, senza
ambiguità cromatiche; il ritmo è impetuoso e travolgente; gli stili teatrali di cui subisce l’influenza
sono il melodramma italiano dell’epoca, il grand opera, e il teatro parlato francese contemporaneo.
Il 1848 comportò grandi mutamenti sia nel mercato operistico, sia nella vita e drammaturgia di
Verdi: gli interventi della censura si inasprirono ovunque e la crisi economica di quegli anni fece
sorgere la figura dominante dell’editoreàquesti commissionava le opere ai compositori,
noleggiandone poi le partiture ai teatri.
Dopo Luisa Miller e Stiffelio, la celebre trilogia dei capolavori che non hanno più abbandonato i
teatri di tutto il mondo: Rigoletto, Il trovatore e La traviata. Nel 1855 scrisse un nuovo grand opera,
I vespri siciliani per l’Opéra di Parigi, al quale seguirono Simon Boccanegra e Un ballo in
maschera. Per circa vent’anni abbiamo solo tre opere: La forza del destino, Don Carlo e Aida.
Dopo la morte di Rossini cercò di organizzare una Messa da requiem in suo onore coinvolgendo
altri dodici compositori italiani, ma questa non ebbe mai luogo; successivamente completò la messa
che venne poi eseguita a Milano in memoria di Alessandro Manzoni.
Dal 1878 al 1887 Verdi lavorò alla composizione della sua penultima opera, ovvero il dramma lirico
Otello, che il suo nuovo librettista aveva tratto dall’omonima tragedia di Shakespeare; l’ultima
pubblicazione fu quella di Quattro pezzi sacri, ovvero Ave Maria per coro, Laudi alla Vergine
Maria, Te Deum, Stabat mater.
Negli anni ’50 Verdi fece delle forme musicali un uso sempre meno dipendente dalla tradizione e
sempre più pertinente alla situazione drammatica: si considerava un uomo di teatro più che un
semplice compositore e l’importante era costruire un vero dramma che coinvolgesse lo spettatore
dall’inizio alla fine.
Verdi si accostava alle tendenze più moderne, ma non aveva intenzione di abolire le forme chiuse;
egli voleva introdurre movimento nelle forme, evitandone l’applicazione meccanica, la struttura
statica e quadrataàl’aria rinuncia all’alternanza tra cantabile e cabaletta e tende a saldarsi alla
scena iniziale; si dilatano le parti più libere dell’aria affinché il tempo d’attacco e di mezzo possano
rappresentare il culmine emotivo di tutto l’episodio.
Con Otello e Falstaff, Verdi raggiunse la vicinanza del dramma parlato, ma non vennero aboliti i
confini tra parti dialogico-drammatiche e parti liriche, ma vennero comunque capovolti i loro
rapporti: prima il dialogo era un trampolino di lancio per lo sfogo emozionale del pezzo lirico,
adesso è la parte più coinvolgente e vibrante.

Capitolo sesto
Richard Wagner e il dramma musicale

Richard Wagner nacque a Lipsia nel 1813. Appassionato di letteratura, si cimentò nella stesura di
una tragedia all’età di quindici anni. Dall’età di vent’anni iniziò a lavorare in provincia allestendo
moltissime opere come maestro di coro, e successivamente come direttore musicale di vari teatri:
ebbe modo di praticare la produzione operistica di autori di area tedesca come Weber o Mozart,
francese come Cherubini e italiana come Rossini e Bellini. Per la sua situazione economica
piuttosto precaria e per alcuni debiti decise di fuggire a Parigi insieme alla moglie dove, nel 1840,
portò a compimento la sua prima opera importante: Rienzi che, redatto in lingua tedesca, può essere
assimilato ad un grand opera di soggetto storicoàopera che destò interesse in Meyerbeer, fu
rappresentata nel 1842 al teatro della corte di Sassonia a Dresda e l’anno seguente Wagner fu
nominato direttore di teatro di tale corte.
Successivamente comparirono L’olandese volante e Tannhauser; per Lohengrin si dovettero
aspettare due anni prima di rappresentarla a Weimar con la direzione di Liszt. Nel frattempo fuggì a
Zurigo con l’aiuto di Liszt per il mandato di arresto ottenuto a Dresda.
àLe opere romantiche

Le sue tre grandi opere romantiche presentano caratteristiche molto personali: per quanto
riguardava il testo, Wagner scrisse sempre da solo le sue produzioni teatrali, rifiutando soggetti
storici in favore di argomenti tratti da antiche leggende. Solamente l’amore spinto fino al sacrificio
può redimere l’uomo dal maleàl’associazione romantica tra amore e morte si allarga ad una
visione più esistenziale, che abbraccia il destino stesso dell’uomo.
L’olandese volante: un olandese maledice Dio durante una tempesta, e viene quindi condannato a
navigare per i mari fino al giorno del giudizio. La sua unica speranza di salvezza è trovare una
donna che gli sia fedele fino alla morte; la troverà in Senta che, innamorata di lui, si immolerà
gettandosi in mare, mente il vascello fantasma sprofonderà tra le onde del mare e il suo capitano
troverà la pace con la morte.
Tannhauser: il protagonista prova un amore sensuale per Venere, che esalta in una tenzone poetico-
canora contro i valori dell’amore spirituale. Nonostante il pellegrinaggio a Roma, il protagonista
non riceve l’assoluzione; ma alla morte della sua antica fidanzata, egli conquista il perdono e la
morte in pace con Dio.
Lohengrin: Elsa non può ricevere il perdono dal suo sposo e salvatore perché non riesce ad essere
fedele ad un divieto da lui impostole: non avrebbe mai dovuto chiedergli il nome. Il suo sposo le
rivela la sua identità di cavaliere del sacro Graal, ed è costretto ad abbandonarla per sempre.
Questi testi vengono interamente musicati, a differenza dei dialoghi parlati de Il franco cacciatore
di Weber, e la struttura generale è stata definita opera a scene, dove l’unità minima fondamentale è
la scena, intesa come un blocco ampio e articolato in pezzi non chiusi ma collegati tra loroàper
agevolare la continuità musicale usa i motivi di reminiscenza.
Lo stile wagneriano si appropria di un legame parola-musica divergente da quello dei
contemporanei: per fare aderire la musica alla parola viene adottata una declamazione in stile
arioso.

àDalla tetralogia al Parsifal

Nel 1848 Wagner abbozzò un poema in musica, La morte di Sigfrido, ma negli anni seguenti il
progetto si allargò per proliferare in un gigantesco dramma quadripartito dal titolo L’anello del
nibelungo: una tetralogia scandita in una vigilia e tre giornate, intesa come il dramma dell’inizio e
della fine del mondo. Questi quattro testi furono completati a Zurigo alla fine del 1852, e l’anno
successivo li mise in musica; purtroppo interruppe i lavori per comporre due drammi musicali
diversi, Tristano e Isotta e I maestri cantori di Norimberga.
Dopo un breve soggiorno a Venezia tentò la strada per Parigi, dove ottenne l’attenzione di
Napoleone III: questi volle l’allestimento del Tannahauser all’Opéra, ma l’opera suscitò uno dei
maggiori scandali musicali e, al contempo, ottenne l’effetto di risonanza europea al compositore.
Successivamente fu aiutato economicamente da Ludwig II di Baviera, suo ammiratore, per
completare L’anello del nibelungo; grazie ad un ulteriore sovvenzione da parte del re, Wagner riuscì
nella costruzione di un teatro dedicato alla musicaàcostruzione celebrata con la Nona sinfonia di
Beethoven, fu eretto nella Baviera del Nord e per la sua inaugurazione fu rappresentata la tetralogia
integrale.
Dal 1877 al 1882 si dedicò completamente alla composizione del Parsifal, ultimo dramma musicale
rappresentato a Bayreuth; morì per un attacco di cuore nel 1883.

àLa concezione wagneriana del dramma musicale

Wagner era contrario alla definizione delle sue opere “drammi musicali” poiché gli sembrava troppo
simile alla vecchia dicitura “dramma per musica”: egli non voleva introdurre un nuovo genere, ma
aspirava a realizzare una musica dell’avvenireàegli partiva da una premessa radicale che troncava
alla base ogni idea di musica assoluta: la musica ha bisogno di una giustificazione esterna di
carattere poetico, drammatico o coreografico sennò sarebbe priva di senso.
Successivamente arriva a formulare quella che per lui doveva essere l’opera d’arte dell’avvenire,
ovvero il Wort-Ton-Drama, cioè l’unione di parola-suono-azione in un’opera d’arte totaleàWagner
ritiene che una simile unità tra parola, musica e gesto fosse lo stato dell’arte primigenia, giunto alla
compiutezza nella tragedia dell’antica Grecia.
Fra le tre costituenti dell’opera d’arte totale non si deve instaurare una democratica parità, poiché il
fine di tutto è il dramma, ovvero l’azione scenica che si realizza, mentre la musica e la parola sono i
mezzi per realizzarlo. Il dramma, secondo Wagner, deve raffigurare il puramente umano, la vera
natura umana spoglia dalle convenzioni che il cammino storico le ha lasciatoànon a caso i suoi
drammi attingono alla mitologia, poiché i caratteri umani sono mostrati nella loro essenza più pura e
universale.
La musica viene messa al servizio del dramma, ma contemporaneamente è anche il grembo
maternoà tecnica del Leitmotiv, del motivo conduttore, che genera azioni della musica: questi sono
motivi musicali, senza accezioni, affidati all’orchestra e che compaiono con una
situazione/personaggio/sentimento; i motivi già uditi ritornano come ricordo o presagio, si
trasformano gli uni negli altri finché la musica strumentale non diventa una fitta rete di Leitmotiv.
Molto spesso l’orchestra raffigura l’inconscio dei personaggi mostrandoci i loro pensieri più riposti
o le pulsioni di cui essi non sono a conoscenzaàtecnica che conferisce uno spessore
drammaturgico notevolissimo.
Dal punto di vista tecnico-compositivo le conseguenze dell’uso dei motivi conduttori è l’uso
notevole del cromatismo, artificio musicale che sospende ogni contorno tonaleàil cromatismo
wagneriano celebra il suo trionfo nel Tristano e Isotta.

àLa melodia infinita


Si tratta di una tecnica dell’elaborazione motivico-tematica del Classicismo viennese: il periodo
regolare veniva interrotto ed esteso in continuazione di modo che ogni nota tendesse a scorrere
senza che se ne avvertisse mai la fine. Una siffatta melodia (definita perciò “infinita” da Wagner nel
suo saggio La musica del futuro) doveva variare ad ogni alterazione dello stato d’animo e seguire
parole e azione in modo quanto più possibile aderente.

àContraddizioni in Wagner

Nella sua ricerca della “musica d’avvenire” retrocede verso gli antichi miti germanici, una
mitologia fatta rivivere forzatamente perché mai presente nell’immaginario tedesco; il dramma
moderno, inoltre, rinuncia a molte conquiste operistiche più recenti, ovvero il proferire
contemporaneamente parole diverse senza che ciò generi confusione; i suoi personaggi non hanno
un carattere suscettibile di evoluzioni, ma sono dotati di coerenza e la loro psicologia è piuttosto
elementare.
Altra incongruenza si trova nell’animo del compositore, dove convivevano atteggiamenti reazionari
e atteggiamenti rivoluzionari.

àGeorge Bizet

Studiò al Conservatorio di Parigi e fu allievo di Charles Gounod. Il suo lavoro più celebre fu la
Carmen, rappresentata nel 1875 all’Opéra-Comique.
Don José, brigadiere dei dragoni spagnoli, si innamora di Carmen, zingara rom. Integerrimo prima
di incontrarla, ha il suo primo cedimento lasciandola fuggire all’arresto, venendo così imprigionato
a sua volta. Tornato in liberà diserta il suo reggimento per seguire la zingara, diventando
contrabbandiere e bandito da strada; quando la donna si innamora di un altro, Don José la uccide
perché folle di gelosia.
La più grande novità della Carmen consiste nell’aver introdotto nel mondo operistico personaggi
nuovi e un nuovo tema: l’amore scandaloso e sensuale, mancante di senso moraleàla protagonista
era così provocante che favorì il fiasco della prima esecuzione perché il pubblico era a dir poco
indignato; vi andava aggiunto anche l’omicidio di Carmen, finale che non si era mai visto poiché si
prediligevano lieto fine.

Capitolo settimo
Il sinfonismo del secondo Ottocento, da Brahms e Mahler
àL’estetica formalista di Hanslick

Nel 1854 venne pubblicato a Lipsia un volume di estetica di Eduard Hanslick, Del bello nella
musica, dove la sua posizione, definita poi formalismo, era molto semplice: la bellezza della musica
non consiste nel sentimento che essa vorrebbe esprimere, ma è interna alla musica stessa; il bello
della musica è un bello musicale poiché la musica non ha altro contenuto che i suoni e il loro
collegamento, ovvero le forme sonore in movimento.
Nella sua epoca non fu l’unico ad andare controtendenza: nel 1860 un piccolo gruppo di musicisti
decise di firmare un manifesto per dichiarare la propria indipendenza dai neotedeschi; tra questi vi
era Brahms.
àBrahms, il conservatore

Dopo aver compiuto nella natia Amburgo seri studi di contrappunto e composizione, intraprese a
soli vent’anni una tournée pianistica attraverso la Germania. Fu l’incontro con Schumann a
Düsseldorf che condizionò la sua vita: la stima e l’amicizia col compositore gli concessero sia un
conforto personale che un concreto appoggio presso gli editori, consacrandolo nel suo articolo un
geniale astro della musica tedesca.
Al contrario di Wagner, il suo sguardo non si protese in avanti: esso si rivolse all’indietro, studiando
la musica del passato per estrarre da essa la linfa che gli era necessaria, creando così uno stile
musicale personale e solido.
Brahms riuscì a coniugare l’insegnamento di Bach e Beethoven nella sua musica, dove il
contrappunto di stampo bachiano diventa un mezzo onnipresente per realizzare il principio
beethoveniano dell’elaborazione motivico-tematicaàquesto intenso lavorio compositivo viene
esteso anche nella musica sinfonica, sinfonico-corale e al Lied con pianoforte.
Nonostante rifiutasse qualsiasi stimo extramusicale per le composizioni musicali, non abbandonò la
struttura sinfonica in quattro movimenti, Brahms giunse a risultati simili a quelli dei neotedeschi,
tanto dal punto di vista armonico quando quello fraseologico.
In una conferenza del 1933 Brahms venne definito progressivo, conferendogli così la palma di
iniziatore della modernità; tuttavia, nella sua epoca non venne affatto percepito così: nonostante il
manifesto da lui firmato, egli si tenne lontano da polemiche pubbliche e il suo crescente prestigio lo
fece individuare come capofila dei conservatori.

àApproccio metodico ai generi musicali

Le sue prime esperienze compositive si riversarono naturalmente sul pianoforte: tre sonate op.1-2-5,
le quattro ballate op.10, tre raccolte di Lieder per voce e pianoforte ed un trio per pianoforte e archi.
Nella prima metà degli anni ’60 esplorò il campo della musica da camera, trascurato dai neotedeschi
perché connesso alla tradizione che essi volevano superare; accanto alle composizioni per
pianoforte solo e pianoforte a quattro mani scrisse due sestetti per archi, un quintetto e due quartetti
per pianoforte e archi, il trio per pianoforte, violino e corno, la sonata per pianoforte e violoncello
op.38.
Ma fu una composizione con coro a contribuire in modo decisivo alla sua notorietà, ovvero Un
requem tedesco per soli, coro ed orchestra liberamente tratto dalla bibbia in tedesco e suddiviso in
sette parti.
Altre composizioni sinfonico-corali arricchiscono la sua produzione: Rinaldo per tenore, coro
maschile e orchestra, Rhapsodie per contralto, coro maschile e orchestra, Canto del destino per coro
e orchestra, Canto trionfale per coro e orchestra, Nenia e Canto delle parche, entrambi per coro e
orchestra.
Il definitivo suggello alla sua fama giunse con le Variazioni su tema di Haydn per orchestra, ma era
il momento per lui di approdare alla sinfonia: la Prima sinfonia in do minore vide la luce nel 1876,
ma gli furono mosse due accuse: quella di essere accademico e quella di scrivere musica difficile,
comprensibile solo per intenditori. Nonostante le critiche egli non si fermò, dando alla luce la
Seconda sinfonia in re maggiore, il Concerto per violino e orchestra in re maggiore, due ouvertures
per orchestra, una Accademica e l’altra Tragica, la Terza sinfonia in fa maggiore e la Quarta in mi
minore; l’ultima grande composizione è il Concerto in la minore per violino e violoncello.

àGli altri progressisti

Caso emblematico fu quello di Hans von Bulow che, dopo una divergenza con Wagner, il direttore
d’orchestra si ritrovò inquadrato nello schieramento opposto per poi legarsi amichevolmente a
Brahms; assai diversa fu la pozione tra i due maggiori compositori dell’Ottocento: Anton Bruckner
e Hugo Wolf.
Anton Bruckner fu assimilato ai neotedeschi, anche per l’amicizia e l’ammirazione per Wagner,
tanto da essere definito un “sinfonista wagneriano” e da essere attaccato da Hanslick, suo
precedente sostenitore.
Bruckner scrisse sinfonie in quattro movimenti e non poemi sinfonici, non affrontò mai l’opera, non
si espresse mai con articoli o saggi e non scrisse altro che musica strumentale puraàil suo stile
musicale segue una strada molto personale: la coerenza interna delle sue sinfonie è dettata da
affinità di carattere ritmico; attinge dal primo movimento della Nona sinfonia di Beethoven il creare
di volta in volta il suono.
Hugo Wolf, molto più giovane degli altri compositore, si schierò dalla parte dei “progressisti” nella
sua qualità di critico musicale e nel breve arco della sua produttività si dedicò al Lied, conferendo a
questo un’inedita dimensione concertistica e drammatica. Egli scelse sempre testi di grandi poeti,
riunendoli in vaste raccolte unitarie e desiderando che venissero letti prima dell’esecuzione
musicaleàil rapporto musica-testo raggiunge uno spessore “wagneriano”: lo stile vocale è un
declamato rispettoso delle parole, mentre la parte del pianoforte diventa densa tanto dal punto di
vista dell’elaborazione motivica, quanto da quello della sperimentazione armonica.

àIl tramonto dell’Ottocento: Gustav Mahler e Richard Strauss

Dietro i bagliori della belle époque, sfavillante di operette e valzer, germinavano i fermenti di una
crisi profonda, destinata a deflagrare nel periodo tra il 1914 e il 1945.
Queste crepe furono messe in evidenza da Gustav Mahler, le cui sinfonie erano percorse da musica
bassa: fanfare o marce militari, motivetti da orchestrina zigana, ballabili alla moda, canti popolari o
musiche di birreriaàin Mahler l’arte si appropriava del brutto o del banale per rendere in musica la
tonalità del mondo, con tutta l’ipocrisia e le sue laceranti contraddizioni.
Purtroppo il pubblico dell’epoca non era preparato ad accogliere questo nuovo atteggiamento del
direttore d’orchestra, infatti fu inteso come un cucire assieme frammenti sparsi dal suo repertorio e
dal mondo sonoro.
Le sue prime quattro sinfonie erano dotate di una specie di programma, ma successivamente venne
eliminato poiché l’autore sottolineava la necessità di un programma interno, di sensazioni oscure
che possono essere rese in musica solo quando è impossibile esprimerle con le parole; il programma
esterno può quindi fornire un impulso iniziale per una composizione e può servire come una serie di
segnali stradali.
Di natura diversa è la presenza all’interno delle sinfonie di testi cantati: la Prima sinfonia, per sola
orchestra, utilizza temi dei Canti di un giramondo; la Seconda sinfonia impiega due voci femminili
e il coro; la Terza sinfonia, per contralto, coro femminile, coro di voci bianche e orchestra si rifà al
testo di Nietzsche Così parlò Zararhustra; la Quarta sinfonia prevede la presenza di un soprano; la
Quinta, la Sesta e la Settima sinfonia sono per sola orchestra; mentre con l’Ottava si torna all’uso di
un testo; negli ultimi anni scrisse la Nona sinfonia per orchestra sola e l’incompiuta Decima
sinfonia.
C’è comunque da sottolineare che alcuni caratteri della musica di Mahler erano anticipatori delle
nuove tendenze: il suo situarsi al di fuori dell’estetica romantica, utilizzare elementi precostruiti
assemblandoli insieme, sovrapponendoli, giustapponendoli con fratture stilisticheàebbe eco nel
secolo che si schiudeva.

àStrauss: dalla musica moderna all’accademismo

Richard Strauss si ritrasse sgomento quando queste tendenze, anticipate da Mahler, iniziarono a
germogliare; eppure negli ultimi anni del XIX secolo la sua musica contribuiva a formare una sorta
di musica moderna: egli si dedicò principalmente al poema sinfonico, anche se respingeva la
concezione di una musica costruita su un programma poiché essa doveva avere fondamento in se
stessa.
Tra i suoi poemi sinfonici ricordiamo Don Giovanni, Morte e trasfigurazione, I tiri burloni di Till
Eulenspiegel, Così parlò Zarathustra, Don Chisciotte.
L’atmosfera espressiva di Strauss era diversa da quella di Mahler: in lui dominava un acceso e
intenso vitalismo, una concezione della composizione come robusto artigianato, temperato da una
vena di satira graffiante e lontana dall’aura di misticismo wagneriano.
Per quanto riguardava l’opera, Strauss si dimostrò molto moderno: le sue opere, Salome ed Elektra,
si servono della tecnica del Leitmotive, creando con essi una trama fittissima e inestricabile, quasi
come un commento psicoanalitico; la sua modernità si trova nell’uso dei testi che non vengono
alterati da alcun intervento librettistico, ma lasciati drammi in prosa.

PARTE SECONDA
PREMESSA
Le strade della nuova musica

Il sistema tonale era giunto nel tardo Ottocento alla saturazione ed urgeva cercare nuove possibilità
musicali; gli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento vennero percepiti dai contemporanei come
periodo della musica moderna fremente di novità.
Alcuni compositori, come Stravinskij, attinsero al folklore dei loro paesi, mentre Debussy si rivolse
al patrimonio musicale orientale e dell’antica modalità ecclesiastica; altri come Berg e Webern,
percorsero strade nuove e tagliando i ponti con il passato tonali giungendo ad una completa
atonalità.
Tra i materiali nuovi che gli altri compositori avevano estratto dalle musiche etniche, orientali o
antiche, ve ne erano alcuni dalla carica dirompente, primo tra questi la negazione del concetto di
musica come divenire: dalle musiche “altre” proveniva una visione statica della musica, una musica
in cui non esiste “fine” àl’arrestarsi dello scorrere del tempo ebbe due conseguenze: prima si
prestò attenzione al singolo suono, sciolto da ogni legame con un prima e con un poi, una
concezione atemporale della musica coltivata nel mondo francese e la ritroviamo in Debussy, Satie
e Stravinskij; successivamente si considerava la musica come oggetto sonoro da costruire con rigore
artigianale e non come parabola di sentimenti umani.

Capitolo primo
Nazionalismo e realismo nella musica dell’Ottocento
àLe scuole nazionali

Quasi tutta la storia della musica occidentale ha avuto un ambito geografico piuttosto delimitato,
passando dall’Italia, Francia e Germania con incursioni in Inghilterra e Spagna; la produzione
musicale negli altri paesi europei si svolgeva ancora secondo le modalità della tradizione orale,
mentre i musicisti professionisti erano attirati nel versante della musica “occidentale”.
Con il Romanticismo le cose cominciarono a cambiare e si assistette alla fioritura delle scuole
nazionali.
RUSSIA: alla fine del Settecento l’imperatrice Caterina II aveva reso Pietroburgo una delle
principali capitali europee, imprimendo al suo teatro di corte un impulso verso l’opera italiana e
l’opera comica francese. Con Nicola I, l’opera imperiale italiana assorbiva le risorse finanziarie
destinate alla musica, allestendo opere di autori stranieri con cantanti e strumentisti: esisteva quindi
un’opera imperiale Russa, ma il suo repertorio e i suoi interpreti provenivano dall’estero. Vi si
eseguivano anche opere russe dalla tipologia comune a quella dell’opera comica francese, i cui
protagonisti si esprimevano in russo e interrompevano i dialoghi recitati con canzoni popolari.
Michail Glinka è l’autore più segnalato nella produzione russa, benché la sua formazione fosse
occidentale; tra il 1830 e il 1834 compì un viaggio in Italia, Austria e Germania; scrisse l’opera Una
vita per lo Zar, riconosciuta come opera nazionale russa ma debitrice dello stile di Bellini e
Donizetti, il grand opera francese e il sinfonismo tedescoàargomento della storia russa, uso di canti
popolari e melodie, presenza della balalaika nell’orchestra, importanza del timbro che prevale
sull’armonia e il contrappunto.
Nella seconda metà dell’Ottocento il compositore di stampo occidentale Anton Rubinstein fondò la
Società Musicale Russa, la quale voleva porre un freno al dilagare dell’opera italiana favorendo la
esecuzioni dei compositori russi e propugnando il loro inserimento nel filone della tradizione
occidentaleàla società venne accusata da un gruppo di cinque compositori che ambivano a porsi
come unici difensori della musica d’arte russa; questo gruppo dei Cinque nacque sotto la guida di
Milij Balakirev e Tzezar’ Cui, ai quali si aggiunsero Modest Musorgskij, Nikolaj Rimskij-
Korsakov e Aleksandr Borodin, e organizzavano letture di musica e discussioni sulle
composizioni di ciascuno di essi. Tutti quanti erano dei dilettanti, mentre Modest Musorgskij si
serviva di materiali musicali folkloristici e per questo non fu capito dai suoi stessi compagni,
ritenendo la sua musica frutto di inesperienza e ignoranza tecnicaàsecondo Dahlhaus con lui si può
parlare di realismo musicale, fattore che colma il divario che nell’Ottocento separava la musica
dalla letteratura e dalla filosofia: il suo realismo si manifesta all’interno della sua produzione sia per
quanto riguarda i testi prevalentemente in prosa, ma anche nelle caratteristiche tecniche della sua
musica.
Nel frattempo lo schieramento opposto si era arricchito del contributo Cajkovskij che, nonostante
la sua collocazione stilistica di stampo occidentale, dimostrò una componente russa e realistica nella
sua produzioneànelle sue sinfonie si congiungono i due poli del Romanticismo: la tecnica della
trasformazione tematica e la pluralità di movimenti in uno solo. Nelle sue sinfonie compariva una
dose di programmaticità, come nella Patetica, che raffigura la vita negli slanci delle passioni,
dell’amore e del dolore; per il pubblico dell’epoca era principalmente un compositore teatrale sia
per le numerose opere che per l’inaugurazione della stagione del balletto russo: Il lago dei cigni, La
bella addormentata nel bosco, Lo schiaccianoci.
Seguace di Cajkovskij fu Sergej Rachmaninov, pianista eccezionale che confezionò musiche di
stampo tardo-romantico come quattro Concerti per pianoforte ed orchestra e le due raccolte di
Étudies-tableaux.
PAESI DELL’EUROPA DELL’EST: anche nelle altre nazioni dell’est europeo la spinta
nazionalistica si appropriò di alcune composizioni musicali eleggendole rappresentanti dello stile
nazionale. Vi fu il caso della Polonia, con l’opera Halka di Stanislaw Moniuszko, e dell’Ungheria,
con Bank bank di Ferenc Erkel.
In Boemia fu acclamata La sposa venduta di Bedrich Smetana che, nonostante si trattasse di
un’opera comica, mantenne il primato rispetto alle successive opere; ma anche Antonin Dvorak
ricoprì un ruolo emblematico inserendosi nella corrente sinfonica europea, dimostrando che
l’accostarsi alla musica folklorica era un’esigenza più romantica che patriottica.
Leos Janacek, il più grande compositore della Moravia, si spinse fino dentro i confini della nuova
musica del Novecento: gran parte delle sue composizioni furono scritte nel nuovo secolo ed egli
non si limitò ad inserire le citazioni di canti popolari; si dedicò allo studio della musica etnica
morava e nell’uso di testi in prosa con decisa adesione al realismo, tentando di far scomparire la
presenza emotiva dell’autore lasciando che il dramma musicale si svolgesse in maniera oggettiva.
Rifiutò la tecnica del Leitmotive che rendeva troppo distante l’intreccio motivico dell’orchestra dal
declamato vocale.
EUROPA DEL NORD: per la Danimarca si fa riferimento a Niels Gade, insegnante del
Conservatorio di Lipsia, a Carl Nielsen che, oltre ad usare uno stile armonico personale, definito
tonalità estesa poiché usa liberamente tutti e dodici i semitoni all’interno di una tonalità, si dedicò
alla rielaborazione di canti popolari del suo paese. In Svezia si annovera Frenz Berwald, musicista
estraneo alla mentalità nazionalistica, mentre in Norvegia si parla di Edvard Grieg, il quale seppe
contemperare la sua formazione lipsiense con lo studio della musica folklorica norvegese. Il
massimo compositore della Finlandia fu Jan Sibelius, che ebbe una particolare parabola creativa:
dedicandosi a poemi sinfonici ispirati a saghe finlandesi, riuscì a raggiungere nella quarta delle sette
sinfonie una prossimità al mondo musicale contemporaneo, senza però mai valicare quel confine.
INGHILTERRA E IRLANDA: interamente nella corrente romantica va collocato William
Bennett, mentre in quella del tardo Romanticismo appartiene Charles Parry, compositore e
musicologo, e Charles Stanford, che divulgò la musica folklorica del suo paese di origine,
l’Irlanda.
SPAGNA: si affacciò più tardi alla ribalta della musica europea e un gran lavoro preparatorio fu
svolto da Felipe Pedrell, che si dedicò alla riscoperta delle musiche popolari autoctone e della
tradizione polifonica del Cinquecento spagnolo. Quando apparvero le composizioni dei tre allievi di
Pedrell il folklore spagnolo aveva attratto numerosi musicisti europei.

APPROFONDIMENTO
v Le due versioni del Boris Godunov

A Musorgskij venne suggerito di trarre un’opera dal dramma recitato Boris Godunov di Alexandr
Puskin; entusiasta dell’idea, Musorgskij abbandonò la composizione di Zenitba per iniziare a
stendere il nuovo libretto, basandosi anche sui volumi X e XI della Storia dell’impero russo.
L’opera fu musicata sotto forma di opéra dialogué e presentata alla direzione dei Teatri imperiali,
ma fu rifiutata per i suoi caratteri innovativi (mancanza di una melodia e di un intrigo amoroso).
Fortunatamente Musorgskij si era dato a rimaneggiare il Boris e ne risultò una nuova versione che,
tutt’oggi, viene considerata quella definitiva.
La vicenda è ambientata nel XVI secolo e l’opera è articolata in un prologo e quattro atti, tutti divisi
in due scene salvo il secondo.
PROLOGO1: Boris Godunov è in ritiro in un monastero presso Mosca perché ha ucciso l’erede al
trono quando questi era ancora fanciulli. La folla intona un canto per supplicarlo di accettare la
nomina a successore, ma il segretario della Duma informa il popolo che Boris ha rifiutato di sedere
sul trono di zar; PROLOGO2: l’indomani nella piazza del Cremlino la folla festeggia
l’incoronazione di Boris, tuttavia scettico e turbato.
ATTO I, SCENA I: Sei anni dopo Pimen, un monaco anziano, scrive una cronaca della storia russa.
Il giovane novizio Grigorij si sveglia da un sogno orribile e profetico, e lo confessa a Pimen:
quest’ultimo scorge nel novizio i segni dell’ambizione del giovane e gli racconta nei dettagli la
scena dell'uccisione di Dimitri Ivanovič, da parte di Boris. Avendo appreso di essere pressoché
coetaneo dell'erede trucidato, Grigorij concepisce immediatamente l'idea di spacciarsi per lui, così
dichiara a Pimen che Boris non potrà sfuggire alla giustizia degli uomini, né tantomeno a quella di
Dio. Quindi fugge dalla cella del monastero.
ATTO I, SCENA 2: Un mese dopo, in una taverna al confine tra Russia e Lituania, mentre
l'ostessa canta una filastrocca (Avevo un anatroccolo grigio-azzurro), viene interrotta dall’arrivo di
due vagabondi Varlaam e Misail, che chiedono offerte per le anime, ed il loro compagno Grigorij, in
abiti da contadino. I due vagabondi bevono a lungo ed invitano il compagno a fare altrettanto.
Grigorij, non avendone voglia, domanda all'ostessa della strada in direzione dei confini con
la Lituania. Un ufficiale di polizia entra alla ricerca di Grigorij, che è scappato del monastero di
Čudov dichiarando di voler diventare zar a Mosca. I sospetti dell'ufficiale di polizia ricadono su di
Varlaam, tanto da fargli dire di aver trovato colui che cercava. Egli però non sa leggere l'ordinanza
di arresto, così Grigorij si offre volontario per farlo ma, guardando con cautela Varlaam, ne
sostituisce abilmente la descrizione alla sua. L'ufficiale dà ordine di bloccare Varlaam, che protesta
la sua innocenza e domanda di leggere lui stesso l'editto. Quando legge la vera descrizione del
sospetto, che naturalmente corrisponde a Grigorij, costui con destrezza brandisce un coltello e salta
dalla finestra.
ATTO II: nell’appartamento della famiglia di Boris si vede sua figlia Xenia piangere per la morte
del fidanzato, assieme al fratello e alla nutrice che tentano di consolarla. Entra in scena Boris,
turbato per l’antico delitto, e riceve la notizia che in Polonia un pretendente al trono di spaccia per
Dimitri. Allontanato il figlio, lo zar vede apparire davanti a se lo spettro del giovane fanciullo
ucciso.
ATTO III, SCENA 1: siamo in Polonia e l’ambiziosa Marina, figlia del principe di Sandomir, viene
convinta dal gesuita Rangoni a sedurre Grigorij per poter ricondurre gli ortodossi russi alla chiesa
cattolica.
ATTO III, SCENA 2: Rangoni organizza l’incontro tra i due e Marina, dopo aver appreso che il
giovane sta per partire per Mosca per conquistare il trono dello zar, gli rivela il suo amore.
ATTO IV, SCENA 1: è in corso una sessione della Duma e, dopo alcune discussioni, i boiardi
proclamano che Grigorij ed i suoi simpatizzanti devono essere messi a morte. Šujskij, del quale
diffidano, arriva in sala per raccontare che, mentre lasciava l'appartamento privato dello zar, lo ha
visto tentare di scacciar via il fantasma del defunto zar Dmitrij. I boiardi lo accusano di diffondere
notizie inventate, ma proprio in quel momento Boris entra, sconvolto. Dopo che Boris ha ripreso
lucidità, Šujskij lo informa che un anziano monaco chiede di essere ascoltato. Pimen entra e lo
informa di un miracolo avvenuto sulla tomba del piccolo Dimitri. Questa storia è il colpo finale per
Boris: nomina suo figlio erede e poi cessa di vivere, in una scena drammatica e lacrimevole.
ATTO IV, SCENA 2: la scena si svolge nella foresta di Kromy dove un nutrito gruppo di
vagabondi, capeggiato da Grigorij, ha catturato il boiardo Chruščov. Varlaam e Misail ascoltano a
debita distanza i canti sui crimini commessi da Boris e dai suoi seguaci prima di entrare in scena.
Due gesuiti vengono sentiti a distanza cantare in latino, pregando il loro Dio che salvi Dmitrij, poi
entrano in scena ed i vagabondi si preparano a giustiziarli sommariamente impiccandoli, e fanno
appello alla Vergine Santa per avere aiuto. Una processione di araldi annuncia l'arrivo dell'esercito
di Dmitrij così, Varlaam e Misail, non riconoscendo in lui il compagno che avevano seguito
all'osteria al tempo del suo ingresso in Lituania, lo glorificano insieme alla folla. Il pretendente
richiama e fa spostare da un lato tutti i perseguitati da Boris Godunov, libera il boiardo Chruščov e
continua la sua marcia verso Mosca. La scena si conclude con l'Innocente, unico a rimanere, che
canta una canzone struggente sull'arrivo del nemico, delle tenebre oscure e impenetrabili e del
dolore che è sta per abbattersi sulla Russia.
Tra i tanti cambiamenti rispetto alla prima versione vi è l’aggiunta del terzo atto, e quindi della
figura di Marina, e della scena finale nella foresta di Kromy.

v L’estetica dei Cinque nel Boris: il declamato

Il tipo di condotta musicale più comune nel Boris è costituito dal declamato, una prosa musicale che
si diversifica grandemente dalla melodia vocale wagneriana. Il carattere di opéra dialogué del Boris
imponeva che i personaggi sul palcoscenico si esprimessero come si esprime la gente viva, e che la
musica fosse una riproduzione artistica del linguaggio in tutte le sue più sottili sfumature.

v Melodie popolari e folkloristiche


Quando Musorskij rivisitò il Boris, vi aggiunse alcuni pezzi in forma chiusa che attenuavano il
rigore del declamato continuo della precedente versione del 1869àvi aggiunse generi provenienti
direttamente dal folklore russo, nonché canti popolari, canzoni per bambini e lamenti.
Tutto ciò portava dietro un bagaglio di stilemi estranei alla tradizione operistica che servivano a
conferire all’azione il famoso “colore locale”, contribuendo ad evocare agli ascoltatori le diverse
ambientazioni della vicenda. Il primo stilemi riguardava l’uso di scale modali tipiche della
tradizione russa, come il lamento di Xenia per la morte dell’amato; il secondo stilema si trova
nell’uso di ritmi additivi, ovvero nell’aggregarsi della musica in unità metriche variabili.

v Il coro in primo piano

Nel Boris è stato più volte riconosciuta la centralità assunta nella vicenda della folla, una specie di
“personaggio collettivo” che costituisce il vero antagonista dello zaràmolto rilevante il fatto che il
popolo compare come protagonista in una tragedia e non in una commedia.
Non viene solamente ampliato il ruolo del protagonista: la folla contesta, subisce, commenta;
Musorgskij rompe la convenzionale impermeabilità tra parti solistiche e parti corali.
Nella scena iniziale, dopo un breve preludio strumentale, il sipario si apre sulla folla che si aggira
per il palco; successivamente un gendarme ordina alla plebe di inginocchiarsi e intonare un tono di
supplicaàla melodia del popolo è di carattere popolare, non aliena da inflessioni modali e
accompagnata da lunghi bordoni al basso.

v Debiti con la tradizione operistica del Settecento

I portatori dell’estetica dei Cinque e della musica folklorica si incrociano nel Boris con quelli della
drammaturgia musicale europea, che vengono usati dal compositore per conferire maggiore
coesione all’insieme. Essi sono costituiti dalla disposizione simmetrica delle scene, dall’uso di
Leitmotive e dall’uso della tonalità come segnale.
La corrispondenza simmetrica tra la prima e l’ultima scena si inserisce in una grande architettura
speculare che coinvolge l’opera tutta intera; l’uso del Leitmotive fu mutato dalla Sinfonia fantastica
di Berlioz, infatti i temi del Boris richiamano alcune situazioni, sentimento o personaggi.

Capitolo secondo
Francia e Italia tra Ottocento e Novecento
Nel tardo Ottocento, inizialmente in Francia e poi nel resto dell’Europa, dopo il fallimento del
Positivismo, si aprì la fase storica del Decadentismo, inaugurata da Paul Verlaine nel suo incipit.
Iniziarono quindi a fiorire correnti di pensiero irrazionali e mistiche, dedite all’esoterismo e
all’occultismo o alla ricerca di una religione alternativa a quella tradizionaleàfu il Simbolismo ad
incarnare queste tendenze all’interno di una produzione artistica di altissimo livello.
I simbolisti, riallacciandosi alla poesia di Baudelaire, ritenevano che la realtà visibile fosse collegata
a quella invisibile, essendone quasi uno specchio simbolico e l’unica via di conoscenza sarebbe il
potere evocatorio dell’arte.
Nel campo musicale il realismo era rimasto un fenomeno abbastanza marginale e l’avversario da
dover battere rimaneva ancora Wagner: la sua influenza fu così potente da riverberarsi anche sul
nascente Simbolismo franceseàla musica wagneriana era stata respinta più volte dal pubblico
francese, poiché considerata la quintessenza della germanicità; ma il vero interesse era suscitato
dall’aspetto tecnico della sua musica, soprattutto per le sue sconvolgenti innovazioni armoniche e
alla tecnica del Leitmotiv. Fu la Società Nazionale di Musica ad adoperarsi per arricchire la musica
francese con il linguaggio wagneriano, nobilitando il genere della musica strumentale. Il Parsifal
ebbe modo di colorare l’incipiente Decadentismo, installandovi la passione per il medioevo, mistico
e sensuale, in cui la tematica della redenzione dal male trovava una risposta esternizzante.

àClaude Debussy

Compositore francese in voga tra Ottocento e Novecento, risentì dell’ambiguo rapporto che il
mondo francese intratteneva con Wagner. Nonostante gli studi musicali al Conservatorio di Parigi,
egli frequentò più assiduamente i letterati rispetto ai musicisti, tanto da essere ammesso ai
“martedì” in cui Mallarmé riceveva in casa i massimi scrittori e pittori del momento.
Nel 1889 ebbe l’occasione di assistere all’esibizione di un’orchestra gamelan costituita da
strumenti a percussione di metallo, e a rappresentazioni del teatro di corte dell’Annam, rimanendo
colpito dalla musica e drammaturgia di questi popoli tanto che ne trasse alcuni stimoli:
àuso di scale pentatoniche ed esatoniche;
àconcezione statica del rimo;
àconcezione statica e circolare della forma;
àdrammaturgia.
Altro repertorio che servì ad indirizzarlo verso nuove soluzioni musicali fu il canto gregoriano, dai
modi ecclesiastici e dal ritmo fluido e non incasellato in rigide battute. Debussy utilizzò un termine
particolare per definirlo: arabesco.
Il suo protendersi verso tradizioni esterne a quelle europee lo portò a considerare la musica di
Musorgskij, poiché questi gli offrì spunti per sistemi armonici di tipo modale, per ritmi di tipo
additivo e per una drammaturgia diversa da quella di Wagner.
Debussy riuscì quindi a costruirsi una concezione drammaturgica assolutamente personale: secondo
lui il librettista ideale sarebbe quello che gli permetterebbe di innestare il suo sogno su quello del
librettista, mentre la musica dovrebbe cominciare quando la parola diviene impotente e non si
esprime, poiché è fatta proprio di questoànella sua prima opera, Pelléas et Mélisande, dramma in
prosa di Maeterlinck, i principi drammaturgici sono applicati con coerenza, infatti il testo mostra
personaggi fragili, perdenti, diversi dagli eroi wagneriani: Pelléas è un personaggio dalle
caratteristiche androgine, tanto che Debussy prese in considerazione l’idea di affidare la parte ad
una cantante; mentre Mélisande è un personaggio misterioso e la sua morte avviene nel silenzio,
senza alcuna spiegazione. La musica asseconda la tendenza al silenzio: l’uso dei Leitmorive non
appesantisce l’orchestra, che supporta il sillabico declamato delle voci.
Pelléas et Mélisande: il principe Golaud trova nel bosco una fanciulla piangente e fuggiasca che gli
rivela soltanto il suo nome, Mélisande. I due si sposano e vanno a vivere nel castello di lui, ma
scocca l’attrazione tra Mélisande e il fratello del principe, Pelléas, che pian piano finisce per
diventare amore. Nel momento in cui i due giovani confessano il loro amore, Golaud uccide Pelléas
e ferisce la ragazza; nella camera dove si trova Mélisande il principe, torturato dai sensi di colpa,
chiede ad essa di sapere la verità ma lei muore senza dissipare i suoi dubbi.
Appare quindi chiaro come non si possa ridurre la figura di Debussy a quella di impressionista
musicale poiché quasi tutta la sua produzione andrebbe collocata in un tardo Romanticismo, come
musica a programma, poiché il suo scopo sarebbe stato quello di creare un’atmosfera musicale
mediante il gioco di sonorità.
Le composizioni più famose di Debussy hanno titoli che instaurano una tendenza descrittiva: per
orchestra si va dal Preludio al pomeriggio di un fauno; ai tre Notturni costituiti da: Nuvole, Feste,
Sirene; ai tre schizzi sinfonici Il mare, Immagini, Ronde di primavera. Le musiche per pianoforte
abbondano di titoli pittoreschi come Stampe, Immagini, Preludi, L’angolo dei bambini, anche se la
qualifica di impressionista non si adatta alla produzione debussiana più tarda come il balletto
Giochi.
Oggi su guarda Debussy in modo molto diverso: egli frequentava assiduamente gli ambienti
simbolisti rispetto a quelli impressionisti, traendo spunto per i suoi testi da musicare esclusivamente
dai poeti simbolisti. Egli respingeva con fastidio la qualifica di impressionista, definendosi così
simbolista.
Fin dal secondo dopoguerra si è iniziato a guardare Debussy come uno degli iniziatori del
Novecento musicale, non solo per il suo voler “annegare la tonalità” attraverso il ricorso a scale
modali, pentatoniche, esatoniche e per toni interni, ma anche per la sua concezione del tempo: egli
cercò di arrestare il flusso del tempo, di disintegrare il processo lineare dell’inizio-svolgimento-fine,
per accostare frammenti di tempo assoluti e indipendenti tra loro. Il suono, singolo o in agglomerati
sonori, è l’attimo fuggente bloccato e divenuto un valore a se stante, non in quanto legato ad un
prima e ad un poiàun suono nasce dal silenzio e ad esso vi ritorna. Da qui scaturiscono le
conseguenze della musica di Debussy: gli accordi perdono la loro funzionalità armonica per
divenire aggregati sonori con valore timbrico; l’armonia si scinde dalla melodia; la ritmica si fa
statica e non più soggetta ad armonia e melodia, mentre la forma assume una connotazione
circolare.
àMaurice Ravel

La modernità del linguaggio debussiano non venne percepita dai contemporanei: nel periodo tra le
due guerre il musicista francese Maurice Ravel fu considerato all’avanguardia ma gli venne negato
il conseguimento del Prix de Rome, benché vi avesse concorso per tre volte. Vi furono molti
scandali che costellarono le sue prime esecuzioni, tanto che il suo stile venne considerato
provocatorio.
Agli inizi non si avvertì la differenza tra lo stile di Ravel e quello di Debussy, tanto che il primo fu
considerato un imitatore debussiano.
Vi sono dei punti di contatto tra i due, infatti anche Ravel si servì di stilemi musicali desunti dalla
musica orientale, dal clavicembalismo francese o dal jazz americano, per i ritmi sincopati; ben
presto lo stile di Ravel venne contrapposto a quello dell’avversario perché la sua musica si spinse
più lontano nel trattamento ardito e libero della dissonanza e non disgregò i presupposti del sistema
tonale e della concezione del tempo musicale, mantenendosi sempre all’interno di un binario
costruito con chiarezza e razionalità.
Recentemente si è avviata una valutazione oggettiva della figura raveliana, rivendicandole un
atteggiamento estetico radicale come quello di Debussy: Ravel si distanzia dalla musica e si pone in
un’estetica antiromantica, ironica e disincantata, apparentata con le idee professate
contemporaneamente professate da Erik Satie.
Gli unici approcci di Ravel al teatro musicale si concretizzarono in due operine comiche: la prima,
una commedia musicale in un atto, L’ora spagnola, tramuta i personaggi in marionette meccaniche
le cui azioni sono regolate da ruote dentate. Gli spasimanti della moglie di un orologiaio si
nascondono dentro le pendole in riparazione e vengono trasportati su e giù da un mulattiere, di cui
si invaghisce la moglie dell’orologiaio; nella seconda opera, la fantasia lirica Il bambino e i
sortilegi, i protagonisti sono animali e oggetti inanimati che si ribellano alla cattiveria di un
bambino finche questo non si ravvede curando uno scoiattolo ferito.

àItalia tra Ottocento e Novecento

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fu difficile sfuggire al rapporto intrinseco della
musica italiana con l’opera lirica. In questo periodo vi fu un’intensa attività di compositori-
strumentisti che diffusero in Italia la tradizione strumentale d’oltralpe come Giovanni Sgambati,
Giuseppe Martucci e Marco Enrico Bossi.
Ciò che rimane di questo periodo nel repertorio è la produzione operistica di una generazione di
musicisti nominati veristiàil verismo operistico italiano non ha a che vedere con quello letterario,
basato principalmente sugli strati diseredati della società. Il verismo musicale era molto più
superficiale poiché il mercato operistico non consentiva fughe troppo audaci. Ciò che viene
battezzato come “verismo”, altri non era che un’estrema intensificazione di quel carattere
melodrammatico tipico del Romanticismo.
Capostipite del movimento verista fu l’opera Cavalleria Rusticana.
CAVALLERIA RUSTICANA: di Pietro Mascagni, tratta dalla novella di Verga, fu realizzata come
atto unico e la prosa dell’originale fu trasformata in versi poetici; la cupa vicenda dei protagonisti
diviene un dramma di affetti contrapposti, di gelosia; la musica porta l’immedesimazione romantica
dello spettatore con la vicenda rappresentata diversificandosi tra pezzi chiusi popolareggianti e un
arioso ardente.
Il successo di Cavalleria, non più avuto dopo questa nelle successive opere L’amico Fritz e
Parisina, spinse alcuni veristi a percorrere la stessa strada di Mascagni, anche se le opere non
presentavano caratteri “rusticani”à I pagliacci di Ruggero Leoncavallo, Andrea Chénier e Fedora
di Umberto Giordano, L’Arlesiana e Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea.

àGiacomo Puccini

Rispetto ai precedenti veristi, Puccini riuscì ad elevarsi ad un livello più provinciale arricchendo il
suo stile con le novità musicali e drammaturgiche europee. La sua è una figura piuttosto
controversa: i pubblici reputano a Puccini un successo intramontabile, mentre la critica ne ha
sempre preso le distanze; l’accusa che gli venne maggiormente rivolta alle sue opere fu quella di
indulgere troppo volentieri a solleticare la lacrimosa commozione del pubblico.
Puccini partecipava “romanticamente” alle vicende infelici dei suoi personaggi grazie alla sua
musica piangente, che freme o sorride con loro, ma è anche vero che scrisse sempre la stessa opera:
in Manon Lescaut, La bohème, Tosca, Madama Butterfly, La fanciulla del West e Suor Angelica vi è
un solo protagonista: l’eroina, dolcissima e tenerissima innamorata dal cuore puro; ed è proprio per
questo suo amore appassionato a costituire una colpa che espierà attraverso le sofferenze.
Tra tutti gli italiani della scuola dei veristi, Puccini fu l’unico ad accostarsi al verismo e ciò si nota
principalmente nella scelta del soggetto della Bohème, ovvero Parigiàsenza l’aiuto dei librettisti
Luigi Illica e Giuseppe Giacosa non ci sarebbe mai riuscito: questi erano sensibili agli influssi del
naturalismo francese, ma anche agli ambienti della scapigliatura milanese.
Nella sua ultima opera, l’incompiuta Turandot, Puccini cercò di cambiare l’impostazione tipica dei
suoi soggetti: il personaggio femminile innamorato e dolce retrocede ad un ruolo secondario per
fare posto alla gelida e crudele protagonista, la principessa cinese, che solo nel finale dell’opera
avrebbe potuto umanizzarsi, conquistata e sgelata dal bacio di Calaf.
Puccini è l’unico erede del Falstaff verdiano: nelle sue opere non vi sono più pezzi chiusi ma un
gioco condotto con una percezione del ritmo teatrale; la sua musica era raffinata sia dal punto di
vista timbrico che da quello armonico e ritmico.

APPROFONDIMENTO
v La Cathédrale engloutie

I ventiquattro Prèludes per pianoforte di Debussy costituiscono un caso emblematico: ciascuno di


essi è associato ad una espressione allusiva, posta alla fine della composizione; più che di titoli veri
e propri si tratta di “evocazioni”àconforme all’estetica simbolista il compositore ricorre alle
immagini della natura per una ricerca di corrispondenze tra esse e il mondo umano.
Molto celebre è il Preludio n.10 dal primo libro, La Cathédrale engloutie: esso fa riferimento ad una
città sorta al largo delle coste bretoni, difesa dal mare mediante una diga, e sommersa dalle acque
come castigo per il comportamento scorretto dei suoi abitanti.
Alla base della musica del Preludio n.10 vi è una straordinaria invenzione sonora, quella
dell’aggregazione-dissoluzione delle componenti di un determinato assetto musicale che retrocede
nell’indeterminatezza e nel silenzio. La musica debussiana porta in primo piano la sonorità, ovvero
sia tutto quello che in musica riguarda il timbro e il tipo di tessuto musicale, ossia al modo in cui
lo spazio sonoro è occupato momento per momento, ma anche le dinamiche. L’assetto sonoro del
Preludio n.10 è composto dalla sovrapposizione di materiali musicali di vario genere: un primo
livello è costituito dai tre elementi tematici principali: vi è poi un alone sonoro determinato da
accordi fermi che durano un paio di misure; un terzo livello dove compaiono delle figurazioni
arpeggiate in crome; e nell’ultima fascia vi sono le singole note o accordi che si prolungano per
alcune misureàsi presenta in un assetto stratificato dalla densità variabile.
v Le novità della forma debussiana

Debussy si rese conto che le tecniche compositive tradizionali e le forme su di esse costruite non
avevano futuro, così sintetizzò la differenza per l’elaborazione tematica: i temi non hanno una
storia, ma vengono ripetuti o sottoposti a variazioni nella sonorità o nel registro; tra i temi non si
determina alcun rapporto dialettico: essi vengono accostati, ma in un modo che sembrano ignorarsi
a vicenda; la tensione armonica è assente.
La forma ignora qualsiasi direzionalità e la musica non va da nessuna parte, piuttosto emerge dal
silenzio e dall’indeterminatezza, per poi ritornarvi.
Debussy introdusse all’interno di determinate creazioni artistiche la sezione aurea come struttura
portante.

Capitolo terzo
La scuola musicale di Vienna

àFerruccio Busoni
Si situa a metà tra il mondo italiano e quello tedesco: nato a Empoli, trascorse gran parte della sua
vita in Germania, sebbene la sua attività di pianista lo portò a viaggiare in Europa e negli Stati
Uniti. Egli auspicava l’avvento di una nuova classicità, traendo ispirazione da Bach, nella quale la
polifonia avrebbe potuto rivitalizzare tanto l’armonia quanto la melodia, sganciando la musica dal
soggettivismo romantico; inoltre desiderava un superamento sia del sistema tonale che di quello
temperato, ipotizzando la divisione nell’intervallo di tono non più in due semitoni, ma in terzi o
sesti di tono.

àAleksandr Skrjabin

Di taglio completamente diverso è la ricerca del pianista-compositore del primo Novecento,


Skrjabin, che assorbì pienamente l’atmosfera mistica e irrazionale del wagnerismo e del
Decadentismo, sentendosi investito di una missione profetica: migliorare l’umanità attraverso l’arte.
Le sue composizione avevano uno scopo mistico e per realizzarlo giunse, nel Prometeo, il poema
del fuoco, a correlare simbolisticamente i suoni di orchestra, coro e pianoforte solista con luci
colorate; nelle ultime opere utilizzò una tecnica compositiva basata sull’accordo mistico: le sue
note, poste ad intervalli di quarta, potevano essere impiegate sia orizzontalmente che verticalmente.

àArnold Schonberg

Fu egli ad aprire una strada che si rivelò gravida in futuro. Arnold si sentiva legato alla tradizione
musicale austro-tedesca di cui voleva essere figlio e continuatore, e tutto il suo cammino
compositivo si pose in una linea di rigorosa continuità rispetto ad essa.
Nelle sue prime composizioni rielabora l’atmosfera tardo-romantica dell’epoca in modo personale:
il suo linguaggio è debitore sia verso quello di un progressista come Wagner, sia verso quello di un
conservatore come Brahms; a ciò si aggiunse la sua venerazione per Mahler, il quale ricambiò
facendo eseguire alcune musiche del giovane Schonberg da parte di Strauss, Reger e Zemlinsky.
Nel 1908 avviene il grande balzo verso l’atonalità: scompare il sistema tonale tanto lacerato,
corroso, negato in mille modi per favorire il trattamento della dissonanza libera, sciolta da ogni
obbligo di risoluzione su una successiva consonanza. A determinare il maggiore o minore grado di
tensione sono la dinamica, il timbro, la collocazione delle note all’interno dello spazio sonoro.
Non è scomparsa però l’intensità dell’espressione, che si è acuita fino allo spasimoàcorrente
diffusa in quegli anni prese il nome di Espressionismo, il cui connotato principale era una visione
angosciosa della realtà, dolorante e allucinata.
àIl periodo atonale di Schonberg

Schonberg rifiutava il termine “atonale” perché in tedesco voleva dire “non attinente al suono”, ma
in italiano indicava qualcosa che stava “al di fuori del sistema tonale”; è la seconda accezione che
va collegata al compositore.
Le più note composizioni di questo periodo sono Tre pezzi per pianoforte op.11, George-Lieder
op.15, Sei piccoli pezzi per pianoforte op.19 e i Cinque pezzi per orchestra op.16.
A ciò vanno aggiunti due capisaldi del teatro musicale espressionista: il melodramma per soprano e
orchestra Attesa, e il dramma musicale per baritono, coro e orchestra La mano felice. Infine il
Pierrot lunare op.21.
Questo stile di atonalità che rifiutava la tradizionale logica armonica e tematica, se non si
raggrumava in una densa concentrazione o non si appoggiava ad un testo, rischiava di disperdersi in
un’incoerenza frammentaria.
La dodecafonia fu inizialmente sperimentata nel Walzer dei Cinque pezzi per pianoforte op.23 e
successivamente nella Serenade op.24 per sette strumenti, per poi essere applicata integralmente
nella Suite op.25 per pianoforte. Il culmine si trova nelle Variazioni op.31 per orchestra: la serie vi è
trattata secondo tutti gli artifici possibili, ma sempre al servizio di un’intensa emotività e con una
gran varietà di risultati stilistici.
Nel 1933 con l’avvento di Hitler al potere fu licenziato dall’Accademia delle Arti e fuggì in Francia;
nello stesso anno ottenne asilo negli Stati Uniti, dove rimase fino alla morte.
Le composizione del periodo americano vanno tutte verso il recupero di atteggiamenti più
tradizionali e regressivi rispetto alla sua produzione precedente, come ad esempio il Concerto per
violino e orchestra op.36, Quarto quartetto per archi op.37, Concerto per pianoforte ed orchestra
op.42.
Negli anni della seconda guerra mondiale mise in musica per voce recitante, quartetto d’archi e
pianoforte Ode a Napoleone e la composizione per voce recitante, coro maschile ed orchestra Un
sopravvissuto a Varsavia.

àAlban Berg

Allievo di Schinberg, la sua Sonata per pianoforte op.1 era costituita da un solo movimento, intenso
per temperatura emotiva e lavorio tematico; tra il 1909 e il 1910 iniziò ad avviarsi verso l’atonalità,
per concludersi nel 1912 con le Cartoline postali op.4 per voce e orchestra.
Nel 1913 i Cinque pezzi op.5 per clarinetto e pianoforte segnarono per Berg l’approccio ad un tipo
di musica aforistica e rarefatta; ma egli non continuò verso quella direzione.
Il suo talento aveva il desiderio di dispiegarsi in un lavoro drammatico: nacque il Wozzeck,
un’opera in tre atti rappresentata nel 1925 all’Opera di Stato di Berlino. L’opera fu accolta con
grande successo e replicata sia in Germania che all’estero, assicurando al suo autore fama e
tranquillità economica.
WOZZECK: la vicenda nasconde un’accusa contro lo sfruttamento del proletariato, anticipando le
tematiche cardine del Positivismo. Il soldato Wozzeck è al servizio di un frivolo Capitano ed è
sottoposto a strani esperimenti da parte di un dottore; pian piano finisce per alienarsi e uccidere la
sua amata Maria. Sconvolto, nel tentativo di nascondere le prove del delitto, egli morirà affogato.
Nell’opera si coniugano il principio wagneriano del dramma musicale con la concezione dell’opera
italiana a numeri chiusi; egli realizza ciò senza uscire dalla tradizione tedesca e prende in prestito le
principali forme della musica strumentale.
Nelle composizioni degli anni seguenti il raffinato, libero e mai banale impiego delle forme
classiche va a congiungersi con la tecnica della dodecafonia; ecco nascere il Concerto da camera
per pianoforte, violino e tredici fiati, la Suite lirica per quartetto d’archi, l’opera incompiuta Lulu e
la sua ultima composizione, il Concerto per violino “alla memoria di un angelo”.

àAnton von Webern

Altro grande allievo di Schonberg, fu decisivo per la sua formazione compositiva essersi laureato in
musicologia all’Università di Vienna con una tesi sul Choralis Constantinus di Heinrich Isaac.
La tecnica del canone compare fin dalla prima opera di Webern, Sfuggita su barche leggere op.2;
ma da qui iniziò anche la sua strada in direzione dell’atonalità.
A partire da Cinque movimenti per quartetto d’archi op.5 si delinea la caratteristica principale del
suo stile: l’ascetica rinuncia ad ogni forma di retorica per raggiungere la più scarna essenzialitààle
sue composizioni diventano più brevi temporalmente e al loro interno dilagano pause e le note
galleggiano su un mare silenzioso (ciò sarà chiamato puntillismo); vi è l’attenzione al singolo
suono e al singolo silenzio.
Webern fa ampio uso della melodia di timbri coniugandola con lo stile spezzato o intrecciato del
Classicismo: le sue figure tematiche sono costituite dal linee i cui singoli punti sono affidati a
strumenti diversi e che danno un colore timbrico diversoàle sue composizioni non vanno suonate
diligentemente e freddamente, ma come vibrante gamma di emozioni.
Alla fine del 1920 iniziò il periodo più ascetico della sua esistenza, durante il quale si dedicò a
composizioni di musica pura, quindi senza il supporto di un testo. Le principali sono il Trio per
archi op.20, la Sinfonia per orchestra da camera op.21, il Quartetto per clarinetto, sassofono
tenore, violino e pianoforte op.22, il Concerto per nove strumenti op.24, le Variazioni per
pianoforte op.27, il Quartetto per archi op.28 e le Variazioni per orchestra op.30.

Capitolo quarto
Stravinskij e il Neoclassicismo

àHindemith e la Nuova Oggettività

La fine della grande guerra aveva lasciato un’Europa profondamente mutata. Alcuni compositori si
dedicarono alla famosa “musica d’uso”, una musica con funzione didattica ma allo stesso tempo
ben costruita, artistica e artigianale, destinata ai cori dei lavoratori o a studenti per contrastare la
musica “leggera”.
In questo periodo, definito Nuova Oggettività, per il netto rifiuto al soggettivismo romantico, si
inserì il compositore Paul Hindermith che compose musica a scopo didatticoàproveniva da
esperienze espressioniste, concentrate in due opere che suscitarono un forte scandalo: Assassino,
speranza delle donne, su testo del pittore e drammaturgo Kokoschka, e Santa Susanna. La sua
commistione tra un contrappunto di ispirazione bachiana ed un linguaggio musicale moderno, duro
e dissonante si svela nella serie delle Musiche da camera per orchestra da camera e uno strumento
concertante, oppure in composizioni come la Suite 1922 per pianoforte, dove fece uso di musica da
ballo americana.

àIl teatro epico di Brecht

In campo teatrale fu Bertolt Brecht a caricare lo spettacolo di una funzione didattica e di denuncia
sociale, non solo attraverso la scelta dei soggetti ma per mezzo del tipo di drammaturgia, epica
appunto, e di recitazione. Egli rifiutava l’idea che il pubblico potesse immedesimarsi nei suoi
personaggi; infatti voleva stimolarlo ad un atteggiamento critico, facendogli prendere coscienza di
quando l’ingiustizia sociale fosse determinante nelle vicende umane. L’attore doveva estraniarsi dal
suo personaggio, doveva situarglisi a fianco in modo da guardarlo agire come al di fuori di lui,
effetto di straniamento.
Per stimolare la riflessione del pubblico Brecht si rivolse alla tipologia del Singspiel, mutandone
però la struttura: un testo in un linguaggio semplice alternato a inserti musicali costituiti da canzoni
popolariàsi rivolse a Kurt Weill, che introdusse un atteggiamento estraniante: vi impiegò materiali
desunti dal jazz, dalle danze moderne, dalle musiche di livello basso. Dalla loro collaborazione
nacquero quelli che furono i capisaldi del teatro novecentesco: Mahagonny e L’opera da tre soldi.

àErik Satie

L’atmosfera della musica d’avanguardia parigina degli anni ’20 fu segnata dallo scritto del poeta
Jean Cocteau, Il giallo e l’Arlecchino, che inaugurò il movimento del Neoclassicismo.
Cocteau indicò ai suoi compatrioti la figura di un musicista fino ad allora tenuto in disparte, per
sventare alla pesantezza della musica di stampo germanico; si trattava di un musicista eccentrico e
considerato ai limiti del dilettantismo: Erik Satie.
I due avevano collaborato per un balletto che aveva causato grande scandalo: Parata di artisti da
strada. Il soggetto era di Cocteau, le scene e i costumi di Picasso, e venne rappresentato a Parigi dai
Balletti Russi, calandosi totalmente nell'estetica antiromantica dell’epoca, mostrando il mondo
chiassoso e colorato della fiera e del circo.
Ben presto Satie divenne la guida dei giovani compositori che volevano sciogliersi da ogni
suggestione germanica, costruendo una musica francese fatta di nitore e umoristica razionalità.
L’atteggiamento ironico di Satie rende difficile capire quando le sue prese di posizione vadano
intese seriamente: la sua adesione mistica dei Rosacroce o la rivoluzionaria concezione della
musica da arredamento.
La musica di arredamento consiste in una musica di sottofondo da situare in luoghi dove si fa altro,
la cui funzione è quella di creare comfort: si tratta di un semplice elemento di arredo. Si tratta di un
prodotto industriale, non di arte.

àIl gruppo dei Sei

Erano un gruppo di musicisti che ruotavano intorno alla figura di Satie, ma questi non afferrarono la
radicale eversione insita negli atteggiamenti provocatori del musicista, né dal punto di vista
concettuale, né da quello tecnico-musicale; essi si limitarono ad usare una tonalità sporcata da
numerose note dissonanti e di contaminarla con elementi provenienti dal jazz, dai ritmi
sudamericani e dal mondo del circo. Fecero largo uso della politonalità, nonché la sovrapposizione
di due o più tonalità.
Tra i Sei, soltanto tre furono i musicisti di una discreta levatura: Darius Milhaud, Arthur
Honegger e Francis Poulenc; alla morte di Satie il gruppo si divise e questi tre virarono verso una
scrittura più accademica e tradizionalista, mentre Louis Durey e Germaine Tailleferre cessarono
l’attività compositiva, mentre Georges Auric si dedicò alle musiche di scena e da film.

àIgor Stravinskij

Nel frattempo Parigi ospitava il colosso della musica del Novecento: Stravinskij.
Dopo aver studiato a Pietroburgo, fu notato da Diaghilev per l’ascolto di Fuochi d’artificio per
orchestraàebbe inizio il periodo russo dell’autore, che ripensò in maniera personale alla musica del
folklore russo, ma anche alla produzione dei Balletti Russi allestiti da Diaghilev a Parigi: L’uccello
di fuoco, Petrouschka, La sagra della primavera. In essi Stravinskij crea un linguaggio sonoro
inedito, basato su scale modali, su vivacità ritmica e su una struttura a blocchi contrapposti;
l’atmosfera è partecipe e stimolatrice dell’amore parigino per il mondo del circo e della musica jazz.
LA SAGRA DELLA PRIMAVERA: il suo tessuto si presenta ordito in modo stratificato; gli strati
sono composti da linee che vengono ripetute rimanendo ciascuna affidata ad un determinato
strumento e confinata in un dato registro. Le ripetizioni sono realizzate in modo da dar luogo a due
tipologie ritmiche ricorrenti: la prima è sincronizzata, all’interno della quale il materiale musicale si
presenta organizzato in due o più blocchi contrastanti e giustappostiàle parti componenti ciascuno
dei blocchi possono essere allungati o accorciati; la seconda è lineare, essa infatti tende a comparire
verso la fine di strutture esteseàsi presenta come un grande blocco unico, costituito dalla
sovrapposizione di più linee indipendenti.
Si apre con una melodia affidata al fagotto solista, mentre i temi provengono direttamente dalla
musica etnica. Si tratta di una composizione in cui è costante l’impiego di scale ottatoniche, ma vi
compaiono anche sezioni basate su scale diatoniche; le strutture armoniche sfruttano i tratti più
qualificanti delle scale ottatoniche: la distanza di 11 semitoni che intercorre tra la prima e l’ultima
nota della scala che delimita il tetracordo superiore.
Durante la guerra andò in Svizzera, dove compose alcuni lavori di teatro musicale da camera:
Renard, in scena c’erano solo attori, danzatori e acrobati, mentre i cantanti sono in orchestra; La
storia del soldato, gli otto strumenti stanno sul palcoscenico e sono visibili al pubblico; e Le nozze.
Questa separazione dei parametri genera uno straniamento nella percezione dell’ascoltatore,
costretto a rinunciare ad ogni pretesa di immedesimazione nella vicenda per guardarla da vari punti
di vista contemporaneamenteàperiodo cubista di Stravinskij.
Con il balletto Pulcinella si fa iniziare il suo periodo neoclassico, che qualcuno preferisce definire
neobarocco: in esso il compositore russo si appropria di alcuni tratti stilistici e formali della musica
antica, specialmente di quella baroccaàin questo periodo nascono: l’opera buffa Mavra, che
mescola lo stile del Settecento col folklore russo; l’Ottetto per fiati, ricco di contrappunto e forma-
sonata; il Concerto per pianoforte e strumenti a fiato, che ricalca il concerto barocco e la sonata
classicistica per pianoforte; l’opera-oratorio Edipo re, simile ad una tragedia greca; il balletto
Apollo protettore delle Muse; il Concerto Dumbarton Oaks, con struttura del concerto grosso; il suo
massimo capolavoro, la Sinfonia di salmi e la Messa per coro e strumenti a fiato che segnano il
ritorno del compositore ad una profonda religiosità e al mondo musicale medievale.
L’originalità della creazione musicale e la sua funzione di esprimere l’interiorità genuina del
soggetto erano due postulati che Stravinskij rinnegò nella sua musica; egli dichiarò che la musica
non poteva e non doveva esprimere nulla di esterno a sé, poiché era un organismo autosufficiente.
Il Neoclassicismo di Stravinskij si differenzia da quello dei suoi contemporanei e dei suoi epigoni:
costoro consideravano la grande musica del passato come garanzia di solidità, con ironia ma
rispetto; Stravinskij, invece, considerava il passato come modo per vivere il presente.
L’ultima svolta avvenne negli anni ’50: egli si accostò alla dodecafonia, attraverso le composizioni
di Webern. Questo suo periodo si inserisce nell’evoluzione della sua personalità poiché fin dagli
anni ’30 egli aveva intrapreso un cammino ascetico verso l’astrazione, in cui voleva domare gli
elementi dionisiaci e sottometterli ad una legge che facesse regnare l’ordine più chiaroàdopo
l’addio al suo Neoclassicismo si concentrò su composizioni di grande rigore espressivo, legate a
suggestioni liturgiche. La sua prima composizione contenente episodi dodecafonici fu il Cantico
Sacro in onore del nome di San Marco per soli, coro e orchestra, commissionato dalla Biennale di
Venezia; fu inoltre applicata a Threni: ovvero Lamentazioni del profeta Geremia per soli, coro e
orchestra, scritto per commemorare le vittime di Hiroshima.

àSergei Prokof’ev

Nella sua musica la grande vitalità ritmica e l’amore per le dissonanze si sommano, senza
distruggerle, ad una limpida chiarezza formale: ne è l’esempio la sua Prima sinfonia, detta Classica
perché in stile haydniano, ma anche la violenta Suite scita per orchestra.
Per molti anni egli visse tra Europa e Stati Uniti, acclamato principalmente come pianista;
successivamente si stabilì in Unione Sovietica, dove la sua musica fu accettata dall’estetica
imperante del “realismo socialista”àle composizioni di questo periodo sono i noti balletti Romeo e
Giulietta e Cenerentola; si ricorda anche la favola per bambini Pierino e il lupo per narratore ed
orchestra.

àBela Bartok

Altro grande compositore dell’est fu toccato da Neoclassicismo, l’ungherese Bela Bartok. Costui si
dedicò, approfonditamente e scientificamente, allo studio della musica contadina del suo paese e di
quelli vicini poiché tale studio aveva un duplice scopo: da una parte contribuire alla conoscenza di
un patrimonio ricchissimo e antico, in grado di illuminare gli studiosi su problemi di natura storia,
ma dall’altra rivitalizzare la musica colta fornendole stimoli nuovi.
Secondo egli il compositore può accostarsi alla musica del suo popolo seguendo un triplice grado di
profondità: può limitarsi ad armonizzare le melodie autentiche rispettando la loro natura modale;
può creare musica nuova che si cali nello stile di quella popolare; infine, il musicista può arrivare a
creare senza porsi più il problema di imitare qualcun altro.
Gli influssi della musica contadina furono determinanti per la sua produzioneàle sue composizioni
sono caratterizzate da una ritmica non convenzionale, percussiva e barbara: Allegro barbaro per
pianoforte e l’opera Il Castello di Barbablù, la Suite op.14 per pianoforte e le Sette danze popolari
rumene per orchestra.
Dal 1926 egli si avvicinò al Neoclassicismo, ma non accolse né il distacco espressivo né l’amore
per la musica popolaresca urbana, solo l’attenzione ai valori formaliàle forme musicali
diventarono solide e razionali, approfondendo l’antico ed esoterico principio della sezione aurea
accanto ad un uso intensivo di canoni e fugati.

Capitolo quinto
Darmstadt e le avanguardie
àI corsi di Darmstadt

Per molti anni la Germania fu tagliata fuori dal mondo musicale, perché il regime nazista aveva
costretto all’emigrazione i maggiori compositoriàciò comportò l’emigrazione verso gli Stati Uniti,
arricchendo il paese di stimoli insostituibili.
Terminata la guerra, i giovani compositori avevano il bisogno di aggiornarsi su ciò che era avvenuto
nel frattempo così, su iniziativa di Wolfgang Steinecke, dal 1946 si organizzarono dei Corsi estivi
internazionali per la nuova musica a Darmstadt. Col tempo la notorietà musicale della cittadina
tedesca crebbe, attirando musicisti anche dall’estero.
Uno degli elementi catalizzatori di questo processo fu un concerto retrospettivo dedicato alle
musiche di Webern che, grazie a ciò, contribuì ad accrescere la fama del musicistaàegli divenne
un punto di riferimento per tutti i giovani compositori degli anni ’50, soprattutto per il suo rigore
costruttivo e il valore conferito al suono singolo.

àModo di valori e di intensità di Messiaen

Altro avvenimento che segnò una pietra miliare per le avanguardie musicali fu la composizione di
Oliver Messiaen, il Modo di valori e di intensità per pianoforte.
Fin dal 1928 egli aveva elaborato un suo linguaggio musicale incentrato sui modi della musica
orientale o creati da lui stesso. Nel Modo di valori e di intensità cercò di applicare le sui ricerche sui
modi ai valori musicali e alle intensitààcompilò un modo in cui erano uniti tutti i parametri del
suono ed ogni nota era fornita di una durata, una dinamica e un tipo di attacco di sua pertinenza.
MODO DI VALORI E DI INTENSITA’: questa composizione utilizza un modo composto da
trentasei altezze, ciascuna associata ad un certo valore ritmico, ad un certo segno dinamico e ad un
determinato tipo di attacco. La successione delle trentasei altezze è divisa in tre parti di 12 altezze
ciascuna e ognuna di queste parti comprende tutti e dodici i suoni del totale cromatico; a ciascuna
delle tre parti è associata una successione di durate ottenute moltiplicando un trentaduesimo, un
sedicesimo ed un ottavo per ognuno dei numeri interi fino a 12.
La sua composizione attirò l’attenzione di due giovani compositori: Pierre Boulez e Karlheinz
Stockhausen.
Entrambi i giovani si incamminarono verso la serialità integrale, ovvero un’applicazione rigorosa
del criterio seriale anche agli altri parametri del suono: Boulez con Polifonia X per diciotto
strumenti, mentre Stockhausen con Gioco incrociato per sei esecutori. Se la dodecafonia aveva
cancellato qualsiasi traccia del sistema tonale, la serialità integrale finì per atomizzare la musica in
singoli punti isolati nel tempo e spazio sonoro.
La serialità integrale rispondeva ad un’esigenza di carattere più generale: i musicisti sentivano il
bisogno di ripartire da zero, cancellare i ponti col passato e col soggettivismo romantico.
L’operazione più radicale fu compiuta da Boulez con Strutture I per due pianoforti: si tratta di una
composizione costituita da tre pezzi, il primo dei quali utilizza la serie di dodici note; la prima delle
tre parti vuole annullare la soggettività emotiva dell’autore ma anche il suo agire
compositivoàtutto diviene serializzato e nulla può ripetersi finche la serie a cui appartiene non è
trascorsa; l’ascoltatore galleggia in balia di eventi sonori imprevedibili; contemporaneamente il
compositore si annulla per consegnarsi alla razionalità del numero. Boulez raggiunge ciò che egli
stesso definisce “i limiti della terra fertile”. Nella seconda e nella terza parte il musicista ricostruisce
una discorsività “umana”.
Le successive composizioni di questo periodo, chiamato strutturalismo, rappresentarono per gli
esecutori un compito arduo perché richiedevano un approccio alla musica del tutto nuovo: calcoli
ritmici intricati, salti di estensione, controllo del timbro di ogni nota.

àLa rivoluzione di Cage

Negli stessi anni dello strutturalismo, sulla costa americana del Pacifico, un compositore
statunitense, John Cage, aveva scritto qualcosa di veramente insolito. Egli era noto per aver usato il
“pianoforte preparato” in numerose delle sue composizioni. La preparazione consisteva nell’inserire
in determinati punti tra una corta e l’altra vari oggetti, in modo che il timbro del pianoforte ne
risultasse modificato.

v La musica aleatoria

Cage era a conoscenza del tentativo di Boulez di comporre una musica in cui i parametri fossero
predeterminati, ma per lui era il risultato di una musica senza alcun filo logico percepibile: una
composizione realizzata con note messe a casoàcosa che fece nel suo Musica di mutamenti, una
composizione per pianoforte divisa in quattro quaderni: tutto ciò che vi accade venne deciso da
Cage mediante il lancio di tre monetine, secondo la tecnica cinese de I-Ching; la stessa tecnica fu
utilizzata per un’altra composizione, Paesaggio Immaginario n.4 per apparecchi radio e
ventiquattro esecutori: in questo caso alla casualità con cui era stata scritta la partitura si somma la
casualità della programmazione radiofonica al momento dell’esecuzione. L’utilizzazione del caso
viene chiamata alea, e la musica ottenuta prende il nome di musica aleatoria.
Cage proseguì su questa linea, che trovava assonanza con gli studi compiuti sulle filosofie orientali
e sul buddismo zen, ripensando al concetto di ciò che è musica e di ciò che non lo èàsecondo Cage
l’uno non deve tendere a modificare l’ambiente circostante, ma deve adattare se stesso a ciò che lo
circonda; l’ideale non è la figura del compositore che costruisce le forme musicali: la forma deve
crearsi ogni volta all’interno di ciascun ascoltatore, a seconda delle modalità della sua percezione.
La composizione che rappresenta in pieno questo atteggiamento è il celebre 4’33’’ per qualsiasi
strumento: chi la esegue deve limitarsi a presentarsi al pubblico e a non suonare, per la durata esatta
di quattro minuti e trentatré secondi.
Questa composizione non solo ha una valenza negativa, il compositore non può comunicare niente
all’ascoltatore, ma vuole stimolare un ascolto del silenzioàquesto silenzio non è un non-suono, ma
è qualcosa fatto dai rumori interni ed esterni all’ascoltatore.

v La forma aperta e l’happening

Dalla fine degli anni ’50 le sue composizioni si affidarono all’indeterminatezza umana, realizzando
quella che è stata definita la forma aperta. Nel Concerto per pianoforte ed orchestra non vi è
partitura, ma solo singole parti composte con metodi aleatori: gli esecutori decidevano da soli quali
parti suonare, per quanto tempo, in quali raggruppamenti; mentre il direttore fungeva da orologio
che segnava lo scorrere del tempo.
Questo tipo di composizioni rientravano nel concetto di happening, ovvero “avvenimento”, che
divenne la cifra caratteristica della produzione di Cage dagli anni ’60àil termine si potrebbe
tradurre con “evento”, eventi in cui l’autore si limita a suggerire agli esecutori cosa devono suonare.

v I rapporti con la pop art

Vi sono molti punti di contatto tra Cage e la contemporanea pop art americana, poiché in entrambi i
casi si verifica la scomparsa dell’autore per lasciare spazio ad oggetti o avvenimenti della vita
quotidiana così come sono, senza che abbiano subito una manipolazioneàfamoso esponente della
pop art fu Andy Warhol che realizzò alcuni film ponendo una cinepresa in un punto a caso e
filmando gli eventi in modo casuale.
In realtà l’autore assume un’importanza potenziata, poiché grazie alla sua scelta può conferire una
funzione estetica a cose che non l’anno, isolandole da ogni altra loro funzione.

v Gli influssi di Cage sui compositori americani

Nonostante le numerose critiche, Cage lasciò un’impronta profondissima sia in Europa che in
Americaàcompositori come Morton Feldman, la cui musica era caratterizzata da singoli suoni o
agglomerati sonori lasciati vibrare fino all’estinzione; Earle Brown, che raccolse il suggerimento
della
“forma aperta”; David Tudor presentò a Darmstadt la famosa Musica di mutamenti.
I compositori europei rifletterono sul concetto di alea, ma non si accettò il concetto di musica come
esperimento dal risultato imprevedibile: il compositore rinunciava a determinare ogni particolare,
lasciando alla casualità dell’interprete un certo campo di libere scelte, da lui preventivamente
valutate e accettateàteoria dei campi di Stockhausen principalmente rappresentata dallo stesso e
da Boulez: la Terza sonata di Boulez prevede da parte dell’interprete una certa libertà nella scelta
del percorso; il Pezzo per pianoforte di Stockhausen è costituito da diciannove frammenti isolati
sullo spazio di un vasto foglio e al termine di ogni frammento vi sono istruzioni su andamento,
dinamiche e modi d’attacco con cui va suonato il frammento successivo.

Capitolo sesto
Elettronica ed altro

àIl futurismo italiano

Una decisa rivalutazione del rumore avvenne con il futurismo italiano del Novecento. Il Manifesto
tecnico della musica futuristica, scritto da Francesco Pratella, si pronunciava in favore di una
musica atonale, auspicando la realizzazione del modo enarmonico. Successivamente il pittore Luigi
Russolo nel suo scritto L’arte dei rumori. Manifesto futurista, propugnava la creazione del rumore
musicale, del suono rumoreàil rumore era esaltato come quintessenza della modernità, come
espressione della macchina e della guerra.
Russolo costruì degli strumenti, gli intonarumori, per poter esercitare un controllo musicale
sull’emissione dei vari tipi di rumore, ma purtroppo il suo Grande concerto futurista d’intonarumori
finì per scandalizzare l’intero pubblico.
Purtroppo il futurismo non fu mai spalleggiato da musicisti di rilievo: i compositori di quest’epoca
si limitarono a guarnire con rumori una musica assolutamente banale.

àLa generazione dell’Ottanta

Molti risultati ottennero i compositori italiani della generazione definita dell’Ottanta, poiché tutti
questi erano nati attorno al 1880. Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco
Malipiero e Alfredo Casella si adoperarono per sprovincializzare l’Italia, sganciandola dalla sua
predilezione per il melodramma ed aprendola verso le recenti esperienze europee.
Elemento caratteristico del loro stile era il collegamento con l’antica tradizione polifonica e
strumentale italiana, di cui assumevano l’inflessione modale e il gusto per piani sonori netti e ben
delimitati.
Respighi produsse poemi sinfonici molto noti, Le fontane di Roma, I Pini di Roma e Feste romane;
Pizzetti si dedicò interamente all’opera, collaborò con D’Annunzio musicando Fedra, inserendovi
notevoli arcaismi provenienti dal canto gregoriano, dalla polifonia modale e dal recitar cantando
fiorentino; con Malipiero si affronta la musica strumentale, privilegiando sinfonie, concerti,
quartetti, Rispetti e strambotti n.1, Stornelli e ballate n.2, Cantari alla madrigalesca n.3, ma anche
Ricercari e Ritrovari per undici strumenti; Casella fu molto sensibile a ciò che accadeva oltralpe
poiché aveva studiato presso il Conservatorio di Parigi: la prima parte della sua produzione si
inquadra in un atteggiamento cubista, antiromantico e spigoloso nel ritmo, nelle dissonanze, nella
politonalità (Pupazzetti per pianoforte a quattro mani, Sonatina per pianoforte); successivamente vi
fu l’assonanza col Neoclassicismo e con gli ideali fascisti che lo condussero a seguire uno stile
“italiano” fatto di diatonismo e recupero di forme antiche (Concerto romano per organo, ottoni,
timpani e archi, Scarlattiana per pianoforte e piccola orchestra).

àGhedini, Petrassi e Dallapiccola

Queste atmosfere “italiche” furono il punto di partenza per i compositori della generazione
successiva, entrando comunque in contatto con le più recenti novità europee.
Giorgio Ghediniàdi lui è stata più volte sottolineata la raffinatezza timbrica, sia vocale che
strumentale; prima di ritirarsi in una scrittura più tradizionale egli la riversa in composizione che
sfiorano l’atonalità (tra queste troviamo il Concerto dell’Albatro per voce recitante, violino,
violoncello, pianoforte ed orchestra).
Goffredo Petrassiàil patriarca della musica italiana si staglia nel panorama novecentesco per il
suo profondo e pessimistico senso religioso. Lo stile delle sue prime composizioni venne definito
“barocco romano”, per l’unione di cattolicità, grandiosità fonica e senso di morte (Salmo IX,
Magnificat, Coro di morti, Notte oscura); ma nonostante ciò vi fu anche una vena ironica nel
compositore: nell’opera Il Cordovano e Tre per sette. Gli otto Concerti per orchestra sono un
ripensamento del concerto grosso barocco: in essi vi è un iniziale stile concertante neoclassico che
cede il posto alla dodecafonia per accostarsi infine ad una musica in cui le figure sembrano perdere
il loro carattere tematico.
Luigi Dallapiccolaàconvinto assertore della dodecafonia, utilizzò ampiamente la voce umana; egli
si sentiva impegnato a trasmettere un messaggio etico. Il tema della libertà è essenziale nei Canti di
prigionia per coro e strumenti, ma anche nell’opera Il prigioniero; vi è poi una profonda riflessione
sulla condizione umana nella sacra rappresentazione di Giobbe e nell’opera Ulisse.

àCritiche di Varèse ai futuristi

Egli auspicava la nascita della musica elettronica, perciò nel 1917 espresse il suo parere dissacrante
sui futuristi: secondo lui questi imitavano solo gli aspetti più banali e ovvi delle attività della vita
quotidiana; il suo sogno era la creazione di strumenti docili che rendano possibili timbri finora
insospettati e si aprano a qualsiasi combinazione che egli proponesse, soddisfacendo le richieste che
provenivano dal suo ritmo interiore.
Nella sua ricerca di nuove sonorità si avvalse di strumenti a percussione, ecco allora: venti
percussioni in Americhe per grande orchestra, sedici in Iperprisma e diciassette in Integrali, e la
stupefacente Ionizzazione, interamente affidata a tredici percussionisti. Nella composizione
successiva, Equatoriale, affiancò alla voce di basso e agli strumentisti anche due Thereminvox,
uno strumento elettronico le cui onde sonore non erano soddisfacenti; così, nella rielaborazione
della partitura, egli le sostituì con un altro strumento elettronico: le onde Martenot.
L’elettronica gli serviva per realizzare la sua personale concezione della musica: masse sonore
composte da suono organizzato che si muovono l’una contro l’altra, variando sia il volume che
l’intensità dei raggi sonori.
Successivamente venne commissionato all’architetto Le Corbusier la realizzazione del padiglione
Philips per l’Esposizione Universale di Bruxelles; l’architetto affidò a Iannis Xenakis la
realizzazione pratica del progetto, e richiese a Varèse un Poema elettronico per nastro magnetico,
una serie di diapositive sonore da far ascoltare all’interno del padiglioneài suoni registrati erano
rumori o suoni concreti che potevano essere distorti, accelerati, ritardati, sovrapposti. Questo
indirizzo, detto musica concreta, fu praticato a Parigi dove, nel 1951, venne fondato il Gruppo di
Ricerche di Musica Concreta.
àPrecedenti esperimenti americani

v Charles Edward Ives

La prima vera figura di musicista americano fu quella di Charles Ives, figlio di un maestro di banda
che amava realizzare arditi esperimenti sonori. Per poter scrivere con libertà e senza scendere a
compromessi col mercato musicale, egli non volle mai esercitare la musica come professione; le sue
musiche, infatti, non rientravano nei canoni di scrittura tradizionaleàil suo linguaggio era non
tonale, con contrappunti che creavano la sovrapposizione di elementi diversi e con frequenti
poliritmie. La sua caratteristica principale fu l’uso della citazione musicale, quasi distorta, come
fosse il rimembrare di alcuni ricordi. Inoltre giunse di proprio conto alla formulazione di una specie
di dodecafonia, anche se non la sviluppò in un vero e proprio sistema, scrivendo anche
composizioni per due pianoforti accordati alla distanza di un quarto di tono l’uno dall’altro.
v Henry Cowell

Questi elaborò una particolare tecnica per pianoforte ottenendo così effetti sonori di natura nuova,
inaugurando la pratica del cluster: un insieme di note ravvicinatissime da suonare tutte insieme.
Cowell ne fece un uso suggestivo ne Le onde di Manaunaun e Tigre; mentre in Arpa eolia alcuni
tasti devo essere abbassati con una mano, ma senza suonare, in modo che le corde possano vibrare;
in Lo spirito che annuncia la morte il pianista di deve mettere dalla parte della coda del pianoforte,
per suonare sulla cordiera mentre un assistente tiene abbassato il pedale della risonanza.

àLa musica elettronica


Altra possibilità per creare musica consisteva nell’ottenere suoni di tipo sintetico, intervenendo
sulle componenti dell’onda sonora per forgiare elementi del tutto nuovi. A questa vera e propria
musica elettronica si dedicò lo Studio per la musica elettronica in Germania, fondato da Herbert
Eimert.
Fu proprio l’ampliamento della tavolozza timbrica generato dalla musica elettronica che consentì ad
alcuni compositori si imprimere nuove direzioni alla musica del loro tempo.

v Bruno Maderna

Figura fondamentale sia come compositore che come direttore d’orchestra. La sua musica non
sacrificò mai una fondamentale esigenza espressiva alla tentazione della scientificità pura, neppure
nelle sue composizioni più tecnologiche come Musica su due dimensioni.

v Luigi Nono

La sua Polifonica-monodia-ritmica per sette strumenti fu salutata come la prima composizione


interessante del dopoguerra. Nel 1959, in una conferenza a Darmstadt, si schierò contro l’estetica
mistico-ironica di Cage: egli inquadrava l’attività compositiva all’interno di un imperioso compito
di natura etico-politica.
Nono si discostò dalla serialità integrale per ricercare un linguaggio rigoroso ma non privo di
tensione emotiva. Un ruolo importante nella sua produzione lo assume il testo affidato al coro,
poiché ha la funzione di veicolare il messaggio esplicito e stimolare l’autore a costruire un nuovo
stile vocale.
Negli anni ’60 fu affascinato dalla musica elettronica per le sue inedite possibilità timbriche ed
espressive: dopo alcune composizioni egli integrò il mezzo elettronico con le sonorità degli
strumenti tradizionali e delle voci, producendo alcuni lavori molto rilevanti, ad esempio Come
un’onda di forza e luce per soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico, Sofferte onde serene
per pianoforte e nastro magnetico; dagli anni ’80 si fece ancora più poetico, con sonorità preziose e
distillate da lunghi silenzi. Il rapporto con l’elettronica si tradusse in una presenza delle
manipolazioni elettriche dal vivo, come nel caso del Prometeo. Tragedia dell’ascolto, ovvero una
tragedia fatta senza scene.

v Luciano Berio

Collaboratore di Bruno Maderna, egli concepiva l’accostamento tanto al nuovo mezzo elettronico,
quanto alla serialità integrale e all’aleatorietà, come un intervento empirico sul suono e di profonda
volontà comunicativa. La direzione più importante nella sua ricerca musicale si rivolse verso la
vocalità: l’unico materiale utilizzato in Thema consisteva nella registrazione di voci che leggono
alcuni frammenti de L’Ulisse di Joyceàla manipolazione elettroacustica gli permette di isolare i
singoli fonemi e trattarli in modo musicale, come fossero timbri allo stato puro.
Tanto nelle sue composizioni con la voce, quanto in quelle strumentali, Berio si caratterizza per un
uso spregiudicato di tutti i materiali musicali possibili.

v Iannis Xenakis

Dopo aver studiato architettura e musica ad Atene si spostò a Parigi, esercitando entrambe le
professioni.
La sua mentalità matematica si riversò all’interno della sua musica, anche se egli rifiutò la
concezione puntillistica della serialità integraleàsi servì spesso di procedimenti stocastici, basati
quindi sul calcolo delle probabilità, per realizzare ampie masse sonore; ne sono un esempio le
composizioni ST/4, ST/10 ed ST/48, dove ST sta per stocastico e il numero indica il numero dei
compositori.
In Trasformazione per orchestra, tentò il continuo spostamento di linee rette; in composizioni come
Duello e Strategia, entrambe per orchestra, utilizza la teoria dei giochi.

àUso delle fasce sonore: Ligeti e Penderecki

Ciascuno con le proprie caratteristiche, utilizzarono una scrittura musicale basata su grandi clusters,
i quali formarono fittissime fasce sonore immobili, ma brulicanti di vita.
Di Ligeti citiamo Luce perpetua per sedici voci e Continuum per clavicembalo; mentre per
Penderecki Trenodia per le vittime di Hiroshima per 52 archi.

àIl teatro strumentale di Kagel e il teatro gestuale di Bussotti

Kagel apprese da Cage a servirsi di tutti i tipi di materiale sonoro: il suo giovanile Eterofonia per 42
strumenti solisti, utilizza materiali musicali di altri autori. La caratteristica di questo musicista è
l’uso della gestualità, al fine di oggettivare l’assurdità e l’alienazione della condizione umana
modernaàla partitura deve specificare sia le note da suonare che i gesti da compiere; si tratta
quindi di un tipo di scrittura il cui scopo è stimolare l’inventiva e le azioni dell’interprete, definibile
come scrittura d’azione.
Bussotti usò spesso la scrittura d’azione, principalmente in Cinque pezzi pianistici per David Tudor.
Emblematico il suo “mistero da camera” La passione secondo Sade: in esso sia il mimo che gli
interpreti devono effettuare particolari azioni suggerite da insoliti grafismi.

àGli atteggiamenti negativi di Donatoni e Clementi

Una componente gestuale era presente anche nel compositore Franco Donatoni, ma
successivamente questi andò ripensando un atteggiamento negativo avviato dallo strutturalismo.
Donatoni portò alle estreme conseguenze questa spaccatura tra processo compositivo e risultato
sonoro, forgiandosi un sistema di scrittura automatico: stabilendo alcune regole, il materiale si
assembla nell’assoluta indifferenza del compositore al risultato che ne uscirà.
Aldo Clementi riteneva che la musica sia in lenta estinzione: la musica dei grandi maestri era
godibile sia con l’intelletto che con i sensi; oggi tutto ciò è stato perduto, e la musica attuale non
può essere che una musica al quadrato che afferra brandelli di qualcosa già composto.

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