Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Percussioni abolite (primi schiavi non avevano cultura del tamburo – Senegal, Gambia, Mali)perche usate per mandare
segnali tra una piantagione e l’altra. Banjo e patting juba come percussione.
Danza e canti di lavoro → solista chiama e gli altri rispondono, o i field hollers, solitari che attraverso i canti (cries)
esprimevano tristezza solitudine e fatica. (Go down moses, old Hannah).
1740-1800 → Grande Risveglio, ondata di fervore religioso che avvicinò gli schiavi alla religione cristiana.
Rielaborazione di canti metodisti aggiungendo ritornelli frasi vaganti, o canzoni di forte carattere ritmico → Spirituals.
(Go Down Moses, “let me people go!” presentano un carattere di forte resistenza)
1787 a Philadelphia (nord non schiavista) → African Methodist Episcopal, con a capo Richard Allen, che nel 1801
pubblica un innario di spirituals in arrangiamenti corali o per piano (Slave Songs of the United States).
Ambiente clandestino dove si pratica culto Yoruba o Legba → Ring Shout, che si diffonde poi in tutti gli stati uniti
(solista e coro battendo le mani si incalzano con brevi frasi botta e risposta, a voce sforzata e ricca di abbellimenti; “See
god’s ark a moving” dei Moving star hall singers, Sign of the Judgement, Lay down body dei macintosh country
singers)
Gli schiavi predominanti erano i Bambara (Senegambia), i loro proprietari venivano chiamati Creoli → venivano dal
Canada Francese. Più in la il termine creolo verrà usato per definire i neri di pelle chiara con nome Francese.
Gli schiavi fuggitivi si mescolarono con i nativi Americani favorendo una mescolanza di etnie (maroon).
La musica bambara era swingante, prediligeva gli strumenti a corda piuttosto che le trame poliritmiche (la cultura dello
strumento ad arco è più antica di quella francese)
Nel 1763 New Orleans fu ceduta agli spagnoli che la trasformarono in una vera e propria città. Gli fu impedito di
importare schiavi dal senegambia perché troppo rivoltosi, cominciarono quindi ad importare schiavi Kongo-Angola →
etnia più diffusa negli stati uniti ma pochi a new Orleans.
Musica Kongo-Angola → uso di tamburi, odiofoni, frasi brevi e ripetitive che si incastrano con la poliritmia dei tamburi
Danza → zarabanda, bamboula. (Bamboula di Gottschalk, alla sua esecuzione parigina siede Chopin)
Con gli spagnoli (sia europei che Crillios, quelli nati negli stati uniti) la danza afro-mediterranea-cubana comincia a
fluire a new orleans.
1804 → si proclama terza repubblica autonoma dopo la ribellione degli schiavi e molti si rifugiarono a santiago de
cuba.
Nel 1801 → New Orleans torna in mano ai francesi, Napoleone la vende agli stati uniti nel 1803. Gli spagnoli per
ritorsione espellono da Cuba tutti i francesi dominguani, bianchi e neri, che andarono a New Orleans → introduzione
del voodoo e della danza cubana.
Nel 1793 → ci fu il boom della coltivazione del cotone grazie all’invenzione di una nuova macchina che facilitiva la
lavorazione.
Nel 1805 → nel sud era permesso solo il commercio di schiavi tra gli stati uniti e cominciò un vero e proprio
programma di allevamento di schiavi che andò a formare la prima generazione di Afroamericani.
Place Congo (poi ribattezzata Congo Square) → balli straordinari tenuti in piazza, prima voudou, successivamente
svuotati della religiosità, tenuti la domenica: fino a seicento persone raggruppate in etnie con la propria orchestra (banjo
del senegambia e tamburi del Kongo). I canti erano bantu con brevi frasi botta e risposta tra solisti e coro su un tappeto
percussivo. (Viene usata la parola rock “scuotere” per descrivere i balli in piazza a Congo Square).
Il teatro d’opera → ruolo fondamentale, accoglieva tutti senza distinzione di razza, abituò le orecchia a mozart, rossini,
weber… la minoranza di neri liberi portò alla diffusione di importanti attività nel mondo della musica classica
statunitense (Negro Filarmonic society)
Anni quaranta e cinquanta → nuova ondata di migrazione irlandesi, tedeschi e italiani (piroscafo montebello sicilia-new
orleans).
In città più tolleranti come New York, Charleston e New Orleans, si aprirono spazi che permisero a metà dell’ottocento
l’ascesa di intrattenitori neri (Master Juba).
Thomas Rice → comico bianco che raggiunse la fama con la canzone Jim Crow (1833) – (Jim Crow, personaggio
inventato per esprimere in modo negativo uno schiavo. Crow era il termine per indicare gli schiavi nel 1700. “jump jim
crow” jump è riferito ai padroni che davano del mais con alcol ai corvi; i corvi saltavano perché non riuscivano a volare
e i padroni approfittavano uccidendoli a bastonate.
Jim Crow negli anni 40 aprì la strada ai Minstrel Show → spettacoli itineranti dove comici bianchi si dipingevano il
viso di nero (blackface) e mettevano in scena stereotipi del mondo della schiavitù (in termini razzisti).
Negli Anni 50 → i minstrel show prevedevano 4 attori e 4 atti (1. ouverture →parodie; 2 “olio” → assoli
strumentali/danze; 3 afterpiece → ambientato in una piantagione del sud; 4 walk around → ballo con facce dipinte).
Minstrel show → mezzo più diffuso (prima della guerra civile) per stare in contatto con la cultura afroamericana.
Consentiva inoltre ai bianchi di comportarsi in modi che la società beneducata trovava incivile, e fare commenti critici
sulla società.
metà degli anni 50 → entrarono a far parte dei minstrel show anche i neri, ma è con l’abolizione della schiavitù nel
1863 che cominciarono a formarsi le prime compagnie di afroamericani (Georgia Minstrels) che inclusero anche canti
delle piantagioni e composizioni originali dalle sonorità più nostalgiche e meno rozze.
1905 → fu fondata la Memphis Students, che comprendeva compositori il banjonista James A. Bland (1850-1911) e il
cantante Ernest Hogan (1865-1909) in cui compariva per la prima volta il sassofono con chitarre banjo mandolini e
pianoforte.
Francis Johnson (1792-1844) fu il primo musicista (virtuoso della tromba) nero statunitense la cui musica venne
pubblicata. Le esecuzioni di Johnson presentavano tratti espressivi che esulavano dalla partitura: questo ci permette di
immaginare una certa forma di sensibilità legata alla musica orale degli schiavi.
Ma prima della guerra civile è soprattutto nella musica dei bianchi che troviamo la presenza di musica nera come Louis
Moreau Gottschalk (1829-1869) (Bamboula) uno dei primi compositori ad aprire la strada del jazz in Italia.
Negli anni novanta prende piede in tutti gli stati uniti una vera e propria scuola pianistica, cucivano varie danze di
provenienza orale con sincopi afroamericane. 1893 → durante la fiera mondiale di chicago del 1893 si ritrovarono
pianisti neri di tutto il paese. Qualche anno più tardi quello stile fu chiamato Ragtime.
Ragtime→ si ispira alla musica afroamericana ma anche alle marce che risuonavano spesso in quel periodo. (john philip
sousa, grande compositore di marce più famose). Insieme alle marce venne inventato un ballo chiamato one-step, una
camminata di coppia svelta e sincronizzata.
Nel ragtime confluì anche un passo di danza chiamato cakewalk, che risaliva ai tempi della schiavitù (cakewalk perché
alla coppia più creativa veniva regalata una torta). I bianchi non si accorsero che questo goffo passo di danza era in
realtà la parodia della cerimonialità dei padroni.
Il cakewalk confluì nel minstrel show, influenzando Ernest Hogan (entertainer di quel periodo) che nel 1895 scrisse “all
coons look alike to me”(primo pezzo con la parola “rag” all’interno dello spartito, tempo stracciato, sincopato)
iniziando la moda delle “coon song” canzoni fortemente razziste e stereotipate, dove il nero veniva dipinto come un
omaccione tonto e buono di cuore, o veniva dipinto come un uomo che provava a vestire come i bianchi risultando
goffo.
1897 → il pianista william krell pubblica “mississippi rag” primo brano a contenere la parola rag nel titolo.
St. Louis → emerse come centro più importante di produzione del ragtime, grazie al rosebud bar di Tom Turpin (st.louis
rag e the buffalo rag). Molti compositori si spostarono a New York come John stark (il più grande editore di ragtime)
ma soprattutto Scott Joplin (1867-1917) che pubblicò nel 1899 Maple Leaf Rag→ divenne un modello: costituito da un
flusso coerente di sedici battute, di cui il secondo e il quarto sono alla sottodominante secondo lo schema
AABBACCDD; la mano sinistra fa pulsare un movimento di marcia, ricco di fermate, contrappunti, passaggi cromatici,
e su di esso la mano destra innesta poliritmi di chiara provenienza bantu, di cui conserva la struttura matematica.
1902→ Elite Syncopations (Scott Joplin) : il primo tema, pianistico, si apre su un pulsante ritmo di danza cubana, per
poi proseguire con una melodia da ballo americano; il secondo è un cakewalk per strumento monodico (flauto) e
accompagnamento, il terzo è derivato da una danza pentatonica per fiddle e riecheggia la melodia americana del primo
strain, l’ultimo tema è una scatenata fantasia poliritmica per banjo.
Bethena: scritta dopo la morte della seconda moglie, più malinconica rispetto alle altre composizionei, un valzer (tempo
ternario).
Tra il 1899 e il 1907 (data della morte di Joplin) → il ragtime raggiunse lo status di moda nazionale di vasto consumo.
In quanto musica scritta andava eseguita secondo il dettato dello spartito, anche se esistevano varianti e abbellimenti
che risalivano alla prassi orale, anche se a molti compositori, come allo stesso Joplin, la cosa non era gradita.
Oltre a Joplin ricordiamo James Scott (frog legs rag 1906) e il bianco Joseph Lamb (Ethiopia Rag 1908) . Più ricchi a
livello melodico e armonico.
Ai primi del 900 i minstrel show non erano più spettacoli di tendenza.
Nel 1881 → Tony Pastor ideò a New York, una forma di spettacolo più rispettabile, dal giocoliere al musicista, rivolto
ad un ampio pubblico borghese, non più sotto i tendoni ma nei teatri. Rispetto al minstrel show, che si presentava nelle
grandi città due volte l’anno, questi nuovi spettacoli venivano presentati ogni lunedì. Vaudeville (nominati così nel 1885
da due impresari di Boston).
Vaudeville raggiunse in pochi anni tutto l’est, il sud ed il midwest, grazie alla nuova rete ferroviaria.
Il crescente successo dell’intrattenimento afroamericano convinse due impresari bianchi a fondare la TOBA, la nuova
compagnia che aveva lo scopo di far girare solo artisti neri. Ma visto che la paga e le condizioni di lavoro non erano
migliori rispetto alle altre compagnie, la TOBA fu rinominata dagli afroamericani come Tough On Black Asses (dura
con i culi neri).
I Vaudeville garantivano lavoro continuo e stabile e favorì una maggiore professionalizzazione dei neri. In un’epoca in
cui ne il disco ne la radio avevano ancora preso piede, i vaudeville davano maggiore spazio alla diffusione e
cominciarono a circolare cantanti blues e gruppi jazz; questo non fece che incuriosire il pubblico ed avvicinarlo sempre
di più alla musica.
Molti degli ingredienti jazz maturarono in questo ambiente: King of the bungaloos (gene Green-1911) swinga con un
relax moderno e alla fine del brano esegue uno scat (una volta chiamato jig chorus) arrochendo la voce come forse
facevano i cantanti blues.
Questo stimolò anche la regolamentazione del diritto d’autore, visto che lo spartito era ancora il metodo più efficace per
distribuire ed ascoltare musica, e alla fine dell’ottocento si pose fine alla libera stampa di musica, cossicchè l’editoria si
convertì in impresa regolata da leggi e fino agli anni venti fu la maggiore fonte di guadagno di tutta la scena musicale.
A new york gli editori cominciarono a diventare vere e proprie potenze, provando a piazzare nuove canzoni a cantanti o
bande in voga; successivamente lasciarono questo lavoro ai “song pluggers”: pianisti in stanze insonorizzate che
suonavano pezzi del catalogo ai bandleader o agli agenti che andavano a caccia del prossimo potenziale successo. Tra
l’ottocento e il novecento la tipica struttura della canzone si apriva con una breve strofa che spiegava l’antefatto, di
carattere recitatio, seguita dal ritornello ungo e articolato che si estendeva per 32 battute divise in quattro segmenti in
una forma aaba o abac.
Tin Pan Alley → uffici di editori musicali sulla ventottesima strada, tra broadway e la quinta avenue. Chiamata così
perché il suono dei pianoforti che proveniva dalle sale prova a tutte le ore diede ispirazione ad un giornalista di
chiamarla il viale del pianino di latta.
Qui si trasferirono anche editori neri tra cui Cecil Mack (gotham e attucks), william handy e harry pace da Memphis,
Clarence Williams da New Orleans, Perry Bradford (black tin pan alley) da Atlanta.
Nel 1871 circolarono compagnie nere tra gli spettacoli minstrel e poi vaudeville, ma è nelle riviste e nelle commedie
musicali che lasciarono un segno nella cultura americana a cavallo tra i due secoli. Broadway era piena di spettacoli che
si, erano gestiti da bianchi ma con compositori parolieri, attori e cantanti neri.
Uno di questi fu il violinista Will Marion Cook, che si era visto precluso il mondo del concertismo classico a causa del
colore della pelle, si rivolse così alle composizioni teatrali come In Dahomey (1902) dove reciterà anche Bert Williams
(primo nero della storia americana a recitare a broadway e primo intrattenitore a diventare una celebrità internazionale).
La morte di Hogan, Walker e Cole (1910) mise fine al dominio afroamericano di Broadway, fu questa la causa del
successivo fallimento di Joplin che scrisse due opere teatrali (a Guest of honor e Treemonisha → storia di una ragazza
che sottrae la sua comunità alla superstizione e all’ignoranza, diventandone la leader. Dal messaggio politico forte e
innovativo, treemonisha è una sintesi senza precedente della cultura musicale americana: dal ring shout al teatro verista,
dal cakewalk alla musica descrittiva teatrale ecc..venne riscoperta col revival del ragtime del 1972.
New York era dominata da un’altra personalità musicale afroamericana: John Reese Europe (1880-1919) che fondo nel
1910 il clef club che tutelava i musicisti neri fungendo da agenzia di ingaggi, sindacato, sale prova e luogo di rirovo.
L’orchestra che dirigeva divenne nel 1913 partner ufficiale di Vernon e Irene Castle, una coppia di ballerini bianchi
famosi in tutto il paese che portò all’invenzione di nuovi passi di danza come il two step e il fox trot. Portarono la
cultura della moderna sala da ballo. Buddy, primo batterista spettacolare della storia faceva parte della banda. Separatosi
dal clef club e dagli altri soci ma sempre promotore della cultura nera ad harlem e nel centro di manhattana, europe
portò in francia durante la prima guerra mondiale una banda di soldati musicisti chiamati Hellfighters.
BLUES
new orleans rimane la città dove sorge un’impulso per la nuova musica, ma è errato pensare che tutte queste realtà siano
state fondamentali per la nascita e lo sviluppo del jazz; le musiche folcloriche svillupate in tutta l’america conservano
una loro autonomia e il loro sviluppo toccherà solo sporadicamente il jazz.
Nel 1836 → la città era divisa in tre municipalità – canal street divenne l’asse attorno a cui si distribuivano diversi
gruppi etnici: neri bianchi e in seguito irlandesi e italiani ad Uptown; creoli francesi e dominguani a downtown. La
divisione in gruppi etnici era ancora abbastanza fluida, ma si andò ad irrigidire nella seconda metà dell’ottocento con
l’americanizzazione della città. Nel 1910 furono approvati dei provvedimenti legislativi atti a definire la purezza della
razza, equiparando neri e creoli sullo stesso piano (legge one drop – una goccia di sangue nero e sei nero). Il sistema
discriminatorio si faceva sentire anche per la classe e il ceto: neri, ricchi/poveri ecc…
In quel periodo a new orleans si faceva musica da ballo in luoghi al chiuso e all’aperto:
1. sale da ballo – ospitavano una fusione di danze inglesi (country dance) e francesi (contredanse, quadriglia);
mentre i bianchi ballavano nelle sale pubbliche, i creoli si riunivano in associazioni e gestivano le feste facendo pagare
10 o 15 centesimi di biglietto. In queste feste c’erano diversi gruppi di strumenti a corde (string band), che a new
orleans significava un piccolo organico di almeno due chitarristi, un violino e uno strumento a fiato che poteva
essere un clarinetto o una cornetta. Band più popolare: Tio-doublet string Band. In quel periodo i creoli dominavano
il giro dell’intrattenimento. Tra le più in voga vi era la john robichaux orchestra (due violini, clarinetti, cornette un
trombone contrabasso, batteria), legata al rifornimento di spartiti che arrivavano direttamente dagli editori di New York.
2. Storyville – quartiere a luci rosse ufficializzato nel 1893 ( qui risiede il mito della nascita del jazz, ma è solo un
mito). Nei bordelli si usavano pianole meccaniche e in quelli più ricchi suonavano solo pianisti neri e creoli. I posti più
in voga erano Basin Street, Mahogany Hall di Lulu White, Anderson Annex di Tomas Anderson. In questi posti si fecero
le ossa pianisti come Jelli Roll Morton e soprattutto Tony Jackson (1876-1921). Autore di Pretty baby del 1916 (uno dei
primi standard jazz). I gruppi invece suonavano non nei bordelli manei cabaret o nelle bettole (esempio Big 25 e Pete
Lala’s), dove si affollavano i clienti e a tarda sera le prostitute dopo lavoro. Tra i più noti c’era il trombonista Kid Ory, i
cornettisti Manuel Perez, Freddie Keppard, Joe Oliver che nel 1916 sfidò Keppard e si guadagnò il titolo di king, re dei
cornettisti.
Molti grandi del jazz erano ancora troppo piccoli ma alcuni giravano intorno al ghetto facendosi influenzare da suoni e
suggestioni tipo Nick La Rocca, Paul Mares, Tony Sbarbaro ecc.. Per i neri invece era difficile girare da quelle parti ma
quasi sicuramente il clarinettista Albert Nicolas, il chitarrista danny barkey e il cornettista Natty dominique furono di
sicuro influenzati da quello che riuscirono ad ascoltare. Armstrong invece viveva nella Black Storyville, dove si
trovavano bordelli e locali di livello ancora più infimo come la union sons hall, ribattezzata funky butt hall, in cui buddy
bolden costruì la sua fama.
3. Congregazioni della chiesa unificata – parte del movimento Holiness diffuso nella prima metà del 19esimo secolo,
durante il secondo grande risveglio religioso diede la possibilità di dare libero sfogo all’espressione musicale spontanea,
fortemente partecipativa “usavano il tamburo, il piatto, il tamburello e il triangolo, tuttiva cantavano, battevano le mani i
piedi e cantavano con tutto il corpo. Qui si sono conservate, indifferenti all’americanizzazione degli altri generi, le
pratiche del ring shout e i tratti afroamericani più arcaici. Questa attitudine e modo espressivo è contenuta anche
all’interno del jazz. Le tecniche di wa wa sulla cornetta ad imitvazione della voce umana adottate da chris kelly o king
oliver; il growl blues di buddy bolden; l’accompagnamento ritmico con il battito delle mani.
4. bottega del barbiere – mestiere che era prerogativo per i neri, anche con clientela bianca. Un gruppo di quattro
uomini cantavano melodie popolari armonizzandole li per li. Gli accordi, spesso in contrasto con le norme dell’armonia
accademica, contenevano dissonanze di vario genere o seguivano una peculiare condotta delle parti (armonia barbeshop
→ play that barbershop chord, 1910). Si credeva che i barbershop facevano parte della cultura italiana bianca, invece
furono una creazione squisitamente nera. Le prime registrazioni di quartetti di neri e bianchi risalgono alla fine
dell’ottocento, ma esistono esempi più tardi: the steamboat (1927) dei birmingham Jubilee Singers, (contiene way down
in the cornfield e massa’s in the cold ground di Sthepene Foster. L’idea dei quartetti si allargò al gospel e agli spiritual e
diede ai neri una sensibilità armonica senza ricorrere alla formazione accademica. E’ da qui che sorge il gusto per
un’armonizzazione delle parti stretta, per il colore tattile degli accordi, cercati e trovati attraverso una ricerca
pragmatica sullo strumento. In un mondo in cui lo studio regolare della musica era precluso ai neri, i quartetti
funzionarono come una vera e propria scuola di musica. (the steamboat 1927 – idea della varietà umorale del genere).
Più tardi anche il gospel ne risentì, mescolando l’instabile armonia dei barbershop e disciplina jubilee, che fece
scoppiare la moda dei quartetti gospel negli anni Trenta. Passeggiando per new orleans si potevano incontrare all’angolo
della strada cori barbershop: quartetti di ragazzini come Jelly Roll Morton o Louis Armstrong chiedendo qualche
spicciolo ai passanti.
5. Funzioni funebri – come raccontano sia Morton che Armstrong, cantare durante le funzioni funebri permetteva ai
ragazzi di sfamarsi gratis.
Approfondimento: Gli schiavi provenivano da una cultura africana dove c’erano riti di iniziazione in società segrete.
Vennero a formarsi, grazie ai neri liberi, delle associazioni di beneficenza e mutuo soccorso, per dare assistenza agli
schiavi. Queste società posero le basi per l’affermazione di diritti come scuole, chiese indipendenti, compagnie
assicurative e cooperative di credito. Nel sud gli schiavi conservarono la loro segretezza. Anche qui le associazioni si
occupavano di controllare la buona condotta dell’affiliato, lo richiamavano alla morale e fornivano una giusta sepoltura
ed erano coinvolte nell’organizzazione di rivolte fondamentali per la liberazione di molti schiavi. Undergound
railroad di Harriet Tubman, forniva assistenza agli schiavi fuggiti da nord a sud (Inoltre, per guidare gli schiavi che
aveva liberato, cantava la canzone Go Down Moses, cambiando il ritmo in caso di pericolo, e utilizzandolo per
comunicare agli eventuali Railroad che stava guidando degli schiavi liberati. In effetti non esisteva un codice universale
nella loro organizzazione, ma in questo caso la canzone era cantata spesso dai reggimenti neri dell'esercito dell'Unione,
e ciò la rese abbastanza appropriata e riconoscibile). Non mancarono gli adepti alla massoneria (tra cui Duke Ellington),
all’interno della quale vennero fondate logge per soli neri, che avevano lo scopo di raggiungere l’uguaglianza,
proteggersi dallo sfruttamento del lavoro, distribuzione equa del lavoro ecc...La sepoltura dunque era garantita dalle
associazioni di cui l’affiliato faceva parte e il funerale a new orleans non era altro che una manifestazione della cultura
Kongo, dove all’andata del corteo veniva suonato un inno funebre (flee as a bird) e al ritorno un ragtime swingante, tra
le gioise danze della second line, corteo di uomini donne e bambini (Dead Man Blues di Jelly Roll Morton). La second
line rappresentava l’unione tra danza e musica ma anche un luogo dove venivano esibiti simboli riconducibili al
voudou, forme mascherate come quella detta “black indians” in cui neri indossavano i costumi tradizionali nativi
americani. “tu non vuoi che questi defunti siano tristi e tornino indietro a perseguitarti.”
Luoghi all’aperto:
1. Strutture turistiche: (forte spagnolo e milneburg) sul lago pontchartrain: ogni stabilimento o albergo aveva la
sua orchestra per intrattenere i villeggianti. Anche se neri e bianchi facevano picnic in aree diverse, la musica si sentiva
e non conosceva barriere. Gli ensamble, anche suonando in stabilimenti diversi si trovarono a condividere un unico
spazio acustico, influenzandosi l’un l’altro.
2. Marching bands: in città le occasioni per poter ascoltare musica all’aperto erano le parate con le marching bands.
Dagli anni 80 dell’ottocento le marching bands erano molto popolari perché condivise e sostenute da gran parte dei
gruppi etnici presenti. (fino a 50 musicisti nelle altre città, a new orleans erano di solito 10 o 11).
Si vennero a formare marching bands creole: la Onward Brass Band (diretta dal maestro Lainez) e la excelsior brass
band (diretta dal maestro T.V. Baquet) costituite da tre cornette, di cui una più acuta in mib, un genis (corno contralto,
detto peck horn, corno a becco perché ribatteva le note interne all’armonia), un corno baritono, una tuba, uno o due
clarinetti, rullante e cassa. Però tra tutte le marching bands che c’erano, quella che dominò fu la Reliance Brass band,
fonda da un certo jack Papa Laine, che in realtà era un italiano col nome di George Vitale (1873-1966). Alcuni dei
musicisti che vi suonarono: Nick La Rocca, Lawrence Veca (italiano, il migliore cornettista della città, morto a 22 anni).
Le bande erano richieste per molti eventi come fiere comizi ecc… in più venivano usate dalle associazioni per ostentare
la propria ricchezza, e il repertorio comprendeva: walzer, polke, mazurke, marce, ragtime, habanera messicana → La
grande banda messicana si esibì più volte a new orleans tra l’84 e l’85, probabilmente la fusione tra la marcia e
sincopi latino americane ha dato il via al tipico swing dei funerali di quel periodo.
Tra il 1880 e il 1910 circa quarantamila neri fuggirono dalle campagne dove c’era molta povertà e violenza razziale per
trasferirsi nei quartieri uptown. Da qui la cultura del “Ragging”, prendere una melodia variandola e sincopandola
(motivo con formule e soluzioni prefissate, non improvvisate), e l’intonazione blues, che andò a sovapporsi ai canti
di chiesa. Il mescolamento più efficace avvenne in quelle aree di downtown, come il seventh ward, algiers e tremè,
dovevano vivevano insieme neri, creoli e immigrati italiani (piroscafo Montebello), dove per strada potevi incontrare
orchestre di ottoni bianche, nere e creole, battaglie tra jazz band sui carri merci, dove i quartetti barbershop facevano la
serenata a potenziali benefattori, una cosa che nessun altra città americana poteva eguagliare. La melodia era il punto
focale, doveva essere nitida e meglio se suonata dal violino, strumento fondamentale nei primi anni di sviluppo del jazz.
Quasi un terzo della prima generazione di jazzisti ha origini italiane: Nick La Rocca, Tony Sbarbaro, Santo Pecora,
Tony Schiro → avevano una cultura bandistica, prediligevano il repertorio operistico, enfasi arabeggiante nel suono e
nel fraseggio del clarinetto.
Buddy Bolden (1877-1931), da molti considerato il primo jazzista della storia. Suonava a notte fonda insieme al suo
gruppo quando il locale si svuotava dei soliti clienti per accogliere le prostitute dopo il lavoro, attaccando pezzi ad un
tempo lento: blues, che accompagnavano lo “slow drag”, un ballo sensuale e strascicato. Non si trattava del moderno
blues in 12 battute, ma canzoni di 8 o 16 misure, suonate a tempo medio lento con dei testi pesantemente osceni (make
me a pallet on the floor e buddy bolden’s blues (incise da Morton nel 38). Fu di Bolden la prassi di improvvisare sotto
alla melodia suonata dal violino: faceva del ragging, con un effetto che poteva essere eterofonico o realmente
polifonico, a seconda del grado di autonomia che la cornetta assumeva rispetto al violino. Questi gruppi suonavano con
un senso ritmico rilassato e oscillante che venivano chiamato “lilt” e più tardi “swing”. Il gruppo di Bolden era una
sintesi tra band e string band (cornetta, due clarinetti, trombone a pistoni, chitarra contrabasso, violino.
Niente batteria e pianoforte, questo estraneo al jazz almeno fino agli anni 10 quando i gruppi di new orleans si
adattano ai cabaret di Chicago e New York. La batteria invece è già presente nel 1896 nell’orchestra di
Robichaux: il suo inventore, Dee Dee Chandler aveva ideato un sistema per manovrare la grancassa con il
pedale, riunendo attorno ad un unico esecutore rullante grancassa e piatti.
I creoli e gli italiani dovettero adattarsi ed imparare il nuovo swind di Buddy Bolden per non rimanere senza lavoro. Il
cornettista Manuel Perez, chiamò il cornettista nero Joe Oliver nella sua orchestra (onward brass band) per mettere in
pratica il ragging nella musica da ballo di downtown, e trovare nuovi lavori nell’uptown. Il gioco tra lead e secondo è
ben documentato in dischi registrati: Stock Yard Strut (1926) → Keppard e il trombonista Eddie Vincent suonano la
prima voce in eterofonia, mentre il clarinettista Johnny Dodds improvvisa il ragging; Mabel’s Dream (1924) → nel
terzo tema Oliver suona la melodia mentre armstrong fa del ragging.
Anche il repertorio tradizionale subì dei cambiamenti. Ad esempio la quadriglia di tradizione orale si trasforma in Tiger
Rag: la velocità rimane la stessa, ma le parti in tre quarti vengo fatte quadrare in quattro, e la melodia sottoposta a
ragging. Nessuno si considerava proprietario di un pezzo, quindi si suonava di tutto perché tutte le fonti erano condivise
e suonare era un’esperienza d’insieme. I creatori del jazz erano dei ragazzini e nessuno era un musicista professionista.
Però molti musicisti venivano da famiglie musicali, soprattutto chi viveva nell’area creola di downtown ed era insegnata
in modo formale, spesso su manuali del conservatorio che arrivavano da parigi. Quindi la leggenda che il jazz nasce da
musicisti analfabeti va ridimensionata. Molti provenivano da vere e proprie famiglie musicali. I tio e i baquet ad
esempio erano molto apprezzate dai clarinettisti creoli o neri. C’erano anche maestri di musica afroamericana come
James Humphrey e William Nickerson (diede lezioni a jelly roll morton, anche la scuola elementare per neri Fisk
School, che aveva avuto un preside musicista. Molti musicisti italiani che introdussero tecniche come il solfeggio.
C’erano anche molti musicisti analfabeti, o alcuni che avevano la possibilità ma non volevano imparare (i fakers non in
grado di leggere lo spartito, ad esempio Sidney Bechet. Nei gruppi era sufficiente che ci fosse un musicista che
sapeva leggere ed era in grado di dettare le parti a tutti, di solito un pianista (henry ragas della original dixieland jazz
band). Questo aiutava i musicisti ad interpretare il brano e favoriva un’esecuzione più libera. Tra il 1908 e il 1914 si
modifica il modello orale di bolden, di 8 e 16 misure, allo spartito di 12 misure. Derivato dalla banda e dal ragtime, il
primo jazz era una musica collettiva e gli assoli avevano un certo significato ed erano molto rari: esempio High Society
della King Oliver’s Creole Jazz Band (1923) dove l’assolo non fu un’invenzione del clarinettista ma di un arrangiatore
per uno spartito commerciale.
La ditta Streckfus gestiva battelli che scendevano da st loud e quando nel 1918 un pianista del kentucky di pelle chiara
si spinse fino a new orleans, cominciò ad ingaggiare i migliori musicisti (es. armstrong che leggeva anche lo spartito)
quindi la scena di St Louis cominciò ad arracchirsi ancora di più di musica, visto che c’era già un gran movimento. I
primi gruppi non suonavano jazz ma musica da ballo scritta. In più molti musicisti si spostarono a st louis per la
crescente violenza e povertà. Il primo gruppo di proto-jazz fu la Creole Jazz Band, una string band allargata che
comprendeva violino, cornetto, trombone, clarinetto, chitarra, contrabasso, e cantante ballerino. Si fece conoscere tra il
1914 e il 1918 nei vari circuiti di vaudeville, suonavano 7 pezzi al massimo (da ballo come Walking the dog, blues, rag
come roustabout rag, plantation song come My old Kentucky home con tanto di sketch minstrel). Erano soprattutto i
bianchi a spingersi verso nord per cercare lavori più sicuri: non suonavano un bluesy swingante, ma piuttosto una
versione frenetica nervosa e piena di effetti comici mimati sul palco e prodotti dagli strumenti: IL NUOVO JASS, usato
dalla stampa per indicare i quartieri più degradati di chicago, ma che Tom Brown adottò chiamando la sua band la
Brown’s Dizieland jass band). Una prima meta per i jazzisti era stata la california. Ifratelli Johnny e Reb spikes,
dell’oklahoma, aprirono un negozio di musica a Los Angeles nel 1914, che divenne il polo a cui ruotavano i musicisti
della zona, come il pianista sonny clay. Nello stesso anno vi si trasferirono anche jelly roll morton e kid ory. I fratelli
Spikes incisero anche dei dischi: il 78 giri di Kid Ory con la sua band, che contiene Society Blues e Ory’s creole
trombone, è uno dei primi dischi di jazz nero.
E’ in california che appare la parola jazz (1913) su una cronaca sportiva per indicare un giocatore di baseball
particolarmente brillante ed estroso. Forse perché suonavano anche agli eventi sportivi, la parola cominciò ad essere
riferita alla musica; in poco tempo il termine si ritrovò a viaggiare in poco tempo verso ovest con gli sportivi e i
musicisti. (citare documentario youtube, jazzy e jizz).
L’accesso dei neri ai dischi risale agli inizi della riproduzione sonora ma in modo del tutto occasionale. Il primo artista
afroamericano ad incidere fu George W. Johnson nel 1892 e Bert Williams. Nel 1903-4 venne inciso Maple Leaf Rag da
Wilbur Sweatman che divenne un piccolo caso nazionale nel 1917 con i dischi di novelty rag. Poi ci fu James Europe
tra il 1913 e il 1919 e quelli di Handy nel 1917. Lo strapotere delle case discografiche Victor e Columbia fu messo in
crisi da una piccola casa discografica, la Okeh, fondata da Heinemann, un impreditore emigrato dalla Germania. Sfidò
le grandi case discografiche producendo i dischi ad incisione laterale e vendendoli a 75 centesimi l’uno, rivolgendosi al
grande bacino della cultura popolare americana, in particolare nera. Quando si affiancò a Bradford, modesto
compositore e brillante talent scout, quest’ultimo chiamò Mamie Smith, cantante nera, a fare qualche seduta di
registrazione. Non si era mai sentita una voce femminile nera su un disco fino ad all’ora, ed era appunto la novità che
Okeh cercava. Pianificato per il mercato dei bianchi, in realtà i dischi della Smith ebbero successo soprattutto tra il
proletariato nero urbano. Nel 1920 gli fecero incidere Crazy Blues, affiancondala ad un gruppo di strumentisti neri
chiamati Jazz Hounds organizzati da Willie The Lion Smith. Ebbe un così grande successo che ci fu il boom di cantanti
donne: su disco debuttarono nel 1921 Alberta Hunter, Trixie Smith, Edith Wilson e Ethel Waters; nel 1923 vennero
scoperte Ma Rainey, Bessie Smith, Ida Cox, Rosa Henderson, Sara Martin, Clara Smith e Eva Taylor, Victoria Spivey e
Bertha Chippie Hill, tutte accompagnate da piccoli gruppi strumentali raccolti in studio dal produttore: si andava dal
solo pianista accompagnatore a ensemble con cornetta, clarinetto, trombone, a volte sassofono e banjo. Raramente c’era
qualcosa di scritto. Questi ensemble chiamavano a raccolta alcuni dei migliori musicisti di New York e Chicago,
rivestirono un ruolo importante nel formare quella flessibilità professionale. Ovviamente questo successo discografico
ebbe delle durevoli conseguenze. Vennero create collane apposite per le varie etnie, chiamate Race Records, e
ovviamente promossi dai quotidiani locali afroamericani e venduti un po’ ovunque, dal negozio di musica ai grandi
magazzini. I produttori erano principalmente bianchi, ma si creò uno spazio significativo anche per alcuni neri: Perry
Bradford ma soprattutto J. Mayo Williams, architetto dei race records della paramount. Quando si incideva un disco,
l’etichetta pagava un forfait all’artista e versava due centesimi per ogni copia venduta all’editore proprietario della
composizione. Dopo la prima registrazione, le alrte etichette potevano inciderla se pagavano i due centesimi all’editore
attraverso un contratto di licenza. Più dischi si smericavano, più royalties arrivavano all’editore. Questo ovviamente
spinse le case discografiche a creare loro una delle società di edizione di cui avevano il totale controllo, così se le
vendite dei dischi andavano bene (circa 10.000 copie vendute) avevano il doppio incasso: uno con la vendita dei dischi,
l’altro con le royalties legate alle edizioni. Molte volte i musicisti venivano raggirati facendogli firmare contratti
capestro, una prerogativa anche dei Fratelli Melrose di Chicago, che intascavano mazzette scambiandole per
fantomatiche Royalties, rimasero coinvolti in questa truffa anche Jelly Roll Morton o Fats Waller, che buttavano giù
canzoni e le vendevano in cambio di pochi soldi, preferendo meno soldi ma subito.
1909 venne approvata la legge su copyright, e questo non fece che spingere gli editori e i compositori a depositare come
propri anche brani di pubblico dominio, facendo sorgere numerso conflitti. Il caso più clamoroso fu nel 1919 quando i
Williams e Piron depositarono il pezzo I Wish I Could Shimmy Like My Sister Kate, che Armstrong considerava come
proprio e che suonava spesso a New Orleans in quel periodo e se ne risentì per tutta la vita. Le eccezioni allo
sfruttamento dei neri erano rare, King Oliver, abile affarista, o Bessie Smith, che inizialmente protetta da Williams e
mediatore della Columbia, passò a Frank Waller e alle edizioni connesse alla Columbia, guadagnando quindi sia come
cantante che come autrice. Le case discografiche erano tutte in mano ai bianchi, ad eccezione della piccola e sfortuna
Black Swan di Harry Pace, perché con l’arrivo delle radio nel 1922-23 si ritrovò tagliato fuori per questioni razziali,
subendo il boicottaggio degli editori bianchi. Negli anni 20 c’era anche una zona razziale grigia, dove J. Mayo Williams
lavorò dal 23 al 32 con la paramount, senza contratto, facendo la fortuna dell’etichetta: portò cantanti come Ida Cox, nel
‘23 Ma Rainey (aveva cantanto in giro con i Rabbit foot Minstrels e poi dal 1914 con la sua compagnia, dal pittoresco
nome Rainey and Rainey, Assassinators of the Blues. Divenne la regina della paramount, che fece discreti affati con lo
straordinario See See Rider del 1924, registrato con Louis Armstrong alla cornetta. Ma Rainey e il suo andamento
cadenzato creava uno swing contagioso, che si conservava anche sui tempi più rapidi di ma rainey’s black bottom. Tra i
suoi pezzi più famosi troviamo Bo weavil Blues (1923) o Moonshine Blues. Gli accompagnatori nelle registrazioni
erano in gran parte musicisti di Chicago, come il citato Tommy Ladnier, il pianista Jimmy Blythe ecc… e quando nel
1925 la Rainey fu a New York, si ritrovò nell’eccellente giro organizzato da Fletcher Henderson, intorno a cui
gravitavano louis armstrong, il versatile Joe Smith, Coleman Hawkins e il trombonista Charlie Green. Ma i race records
avevano regole ferree: essendo dischi etnici era richiesto un repertorio etnico, cioè blues. Quindi nei titoli doveva
esserci la parola Blues (es. Wolverine-Wolverine blues o Stack o Lee- Stack o Lee Blues). Nei race records rimanevano
fuori tutti quelli che suonavano generi al di fuori del blues o jazz; questa regola non scritta è rimasta in vigore fino agli
anni Quaranta. Il produttore della Columbia Frank Walker incontrò Bessie Smith, ritrovandosi davanti una cantante
sulla trentina, talento rozzo e abbastanza incolto. La fece esercitare e ne raffinò la tecnico, e nel 1923 uscirono i primi
due dischi, Down Hearted Blues e Gulf Coast Blues. Il successo fu immediato, e rapidamente bessie smith divenne la
cantante di blues più popolare del decennio. Prima cantante jazz a valorizzare nei dischi la chiarezza della pronuncia per
comunicare stati d’animo. Molte sue colleghe, compresa Ma Rainey, cantavano con una dizione approssimativa,
orientata ai risultati vocali. Il miracolo di bessie fu che la sua pronuncia non andò mai a scapito della fluidità musicale o
dello swing. Si possono ascoltare i portamenti ascendenti di Gin House Blues, che sospingono la melodia in avanti.
Inoltre Bessie Smith aveva un singolare modo di respirare, che spezzava le frasi in modo irregolare, mantenendo in
questo modo una costante tensione drammatica, come nel crescendo emotivo di Reckless Blues. All’inizio la
produzione scelse di accompagnarla solo con il pianoforte: dal 1924 il sostegno strumentale si fece più ricco. Nelle
celebri sedute del 14 gennaio e del 26 maggio 1925, la smith dialoga con louis armstrong, in un affascinante contrasto
tra il suo contralto statuario e leacrobazie capricciose della cornetta, che raggiunge il culmine nel monumentale st. louis
blues, con armstrong e fred Longshaw all’harmonium. La smith si avvicina al blues bilanciando intensità interiore e
ferreo controllo del fraseggio, come nel celebre Back Water Blues, accompagnata da James P. Johnson, e raggiunge
vette di viscerale lirismo nel tardo In The House Blues. Alla fine del decennio la moda del blues cominciò a declinare, e
per tenere alto l’interesse del pubblico, cominciarono a puntare a testi più espliciti (es. me and my gin). Si è voluta
vedere una forza femminista in lei, un pensiero estraneo al suo individualismo, ma non c’è dubbio che no pochi suoi
pezi esprimono una forza dominatrice dall’autorità femminile sul maschio (es. You’ve Been A Good Old Wagon). La
rainey, nonostante la sapienza spettacolare ha conservato una forza emotiva rurale, un abbandono quasi estatico che la
Smith ha invece trasformato in controllo e raffinata calibratura del disegno vocale. L’emotività della rainey è radicata
nell’immediatezza travolgente di un’espressività imprevedbile e avvincente; quella della smith è scolpita nell’equilibrio
tra verità espressiva e disegno teatrale. Quanto al produttore J. Mayo Williams, ebbe fiuto anche nel registrare i pianisti
di booie woogie come Cow Cow Davenport, e nell’avviare nel ‘24 una serie di registrazioni di cantanti di blues uomini.
La paramount iniziò con Papa Charlie Jackson ma poi Williams incapp in Blind Lemon Jefferson (costavano poco e non
avevano pretese). Le case discografiche si buttarono a capofitto alla ricerca di cantanti e chitarristi girovaghi da fissare
su disco. Il lavoro sul campo era competenza di talent scout (H. C. Spier, Ralph Peer, prima per la okeh e poi per la
victor ecc ecc..). Chiedevano ai musicisti di incidere solo materiale originale, per assicurare i profitti all’etichetta e alle
edizioni, e non dover pagare diritti ad altri, e chi non aveva pezzi propri o non riusciva a imbastirne in tempo utile
rimaneva fuori dal gioco. Registrando esclusivamente blues, i produttori hanno di fatto inventato la figura del “cantante
di blues”, un profilo artistico specializzato che però non esisteva al di fuori dello studio di registrazione, visto che i
cantanti d’estrazione rurale suonavano un repertorio di generi molto diversi. Una delle acquisizioni più importanti della
recente ricerca storica riguarda il ruolo centrale degli spartiti: STOCK ARRANGEMENTS. Gli stock, consistevano in
arraniamenti realizzati da artigiani della musica, spesso anonimi, che preparaano versioni orchestrali dei successi del
momento in funzione dell’organico standard delle orchestre da ballo. La stragrande maggioranza delle orchestre jazz,
quando suonavano pezzi o canzoni di altri autori, leggevano dagli stock a stampa: a volte alla lettera, a volte usando lo
spartito come traccia su cui imbastire delle varianti. Questa scoperta costringe a ripensare radicalmente il rapporto tra
scrittura, improvvisazione autorialità nel primo jazz. Oggi sappiamo che passaggi che si credevano improvvisati in
realtà erano letti dallo spartito anonimo, e orchestazioni di un certo interesse artistico si sono rivelati non il frutto di
autori celebrati ma prodotti di serie. Quando giunse nelle grandi città del nord, il jazz dunque fu accolto come una
musica che stimolava atteggiamenti disinibiti. Danze come il charleston e il black bottom, ricche di movimenti pelvici
ecc ecc, stavano riportando correnti corporee africane al centro della moderna cultura occidentale. Per i guardiani della
moralità il jazz era l’anticamera della perdizione, la musica che minacciava di sgretolare ogni valore di pudore,
educazione, senso della misura. Intellettuali francesi degli anni 20, vedevano l’irrompere di una benefica energia
primitiva che spazzava via con una ventata di vitalità, i cascami decadenti della cultura borghese. Questa dialettica tra
moderno e primitivo emanva riverberi razzisti ed eurocentrici. Il nero in quanto inferiore o comunque più primitivo,
dava libero sfogo a istinti primordiali. Ma proprio per questo era anche terribilmente attraente: in lui la superiore
razionalità occidentale vi scorgeva un sano contrappeso istintuale. Nell’immaginario collettivo, i jazzisti degli anni venti
non studiavano, non andavano a lezione di musica, non la sapevano scrivere, non avevano studiato armonia o
composizione. Non è forse vero che lo studio corrompe il talento? I musicisti neri a loro volta assecondarono questa
ideologia: la loro sopravvivenza dipendeva dal ruolo che forzatamente la società bianca gli aveva assegnato e si
guardarono bene dal far cambiare idea al pubblico.
King Oliver
La scena del jazz nero di Chicago fu dominata sostanzialmente da quattro personalità provenienti da New Orleans: King
Oliver, Jelly Roll Morton, Jimmie Noone e Louis Armstrong. Joe Oliver (1885-1938) lasciò definitivamente new
orleans nel 1918, per spostarsi a Chicago. Nel giugno del 22 fondo la Creole Jazz band per suonare al lincol gardens.
Un mese dopo, con l’arrivo di Louis Armstrong, la Creole Jazz Band assunsè l’organico stabile con Oliver e Armstrong
alla cornetta, il clarinettista Johnny Dodds, il trombonista Honorè Dutrey, la pianista Lil Hardin, il bassista e banjonista
Bill Johnson e il batterista Warren Baby Dodds. Tra l’aprile e il dicembre 1923 la Creole Jazz band registrò trentasetta
brani per la Gennett, la Okeh, la Columbia e infine la Paramount. I dischi del gruppo riflettono fino ad un certo punto il
sound del gruppo, che dal vivo doveva beneficiare della spinta del contrabbasso di Johnson e dei giochi ritmici di
Dodds, che si colgono solo occasionalmente, come ad esempio in Mandy Lee Blues. Il gruppo utilizzava due cornette,
per cui la prima (oliver di regola) canta il tema, la seconda (armstrong) segue in armonia o da del ragging, il clarinetto
di Dodds disegna delle linee sinuose che attraversano i registri mentre il trombone di Dutrey, nel registro medio-basso,
colma i vuoti d’armonia. In questo schema la melodia è quindi nel registro centrale, e per questo è più difficoltosoa da
seguire sui vecchi dischi. L’ascoltatore può penetrare nella polifonia di New Orleans concentranosi sulla cornetta di
Oliver nel primo tema di Froggie Moore, dopo la parte accordale, o seguendo la nitida lettura che armostrong fa del
terzo tema. In genere si crede che le cornette suonino a valori più lunghi mentre il clarinetto procede a valori brevi. Le
analisi invece hanno dimostrato che tutti procedono tendenzialmente a crome, ma mentre le cornette fraseggiano in
modo segmentato, il clarinetto fluisce con continuità. Come ha mostrato Schuller, i ruoli melodici sono distribuiti su tre
piani, in tre aree di registro solo in parte sovrapposte mentre la sezione ritmica procede compatta. Chicago si fondava su
un 4/4 rallentato, nel procedere delle cornette o del trombone, da una sensibilità in due. La magia del relax di questo
stile scaturisce proprio da questa doppia oscillazione interna: la spinta in avanti del 4/4 e il più pigro abbandono in 2/2.
In almeno quattro casi il gruppo registrò degli stock arrangements: Sobbin’ Blues, Buddy’s Habit, Room Rent Blues e
Riverside Blues. Quest’ultimo, il secondo tema tradisce la passione operistica dei jazzisti di New Orlenas, poiché non è
altro che La vergine degli angeli da La forza del destino di Verdi. Anche quando il gruppo suonava arrangiamenti più
liberi, il confronto tra le diverse take o tra ritornelli uguali ci mostra molto bene come la polifonia della Creole Jazz
Band nascesse da variazioni estemporanee di parti fisse: ognuno dei fiati seguiva una propria traccia prestabilita, su cui
imbastiva al momento delle varianti. Oliver e i suoi erano costretti a suonare a velocità più rapide di quelle
normalmente utilizzate a New Orleans. Le associazioni di buoncostume e moralità si preoccupavano infatti dei risvolti
sessuali dei balli più lenti e costrinsero l’amministrazione cittadina ad emettere un’ordinanza nella quale si obbligava le
orchestre da ballo a non suonare tempi troppo lenti. La struttura ragtime come Snake Rag, dove il pubblico del lincoln
gardens non riusciva a capacitarsi di come oliver e armstrong potessero sincronizzarsi a sopresa nei break a due
cornette. Nelle versioni Gennett e Okeh di Snake rag, registrate a due mesi di distanza, Oliver e Amstrong suonano
break diversi, segnalando la scelta del frammento poche battuta prima con delle frasi segnale (es. a 2’30’’ della versione
Gennett si sente Oliver suonare le due note ripetute che, poche battute dopo, diventano il break in armonia; in I Ain’t
Gonna Tell Nobody Oliver chiama una frase blues (2’10’’) che un attimo dopo diventa il break a due cornette. Canal
street blues: si apre con un’introduzione chiaramente preordinata e due chorus polifonici, seguiti da un altro chorus di
tipo corale-parafrasi della popolare canzone religiosa The Holy City (1892)- e una ripresa grintosa del chorus
polifonico; quindi il clarinetto solista viene in primo piano per due chorus, un lamento vocale con un basso in quattro
suonato dal banjo nel tipico swing New Orleans; cuira per gli arrangiamenti, anche se organizzati oralmente, è la
conseguenza dell’esperienza in banda. Alcuni assoli sono semplicemente temi eseguiti da un singolo strumento, come il
famoso obbligato di High Society, spesso equivocato come improvvisazione, la parte per cornetta di Louis Armstrong
verso la fine di Chimes Blues, temi suonati dal trombone e dal clarinetto di Camp Meeting Blues e il più celebre di
Oliver, il solo su Dipper Mouth Blues, che è diventato il primo ad essere copiato e risuonato in varie fogge, la più
famosa è quella di Sugar Foot Stomp di Fletcher Henderson. Nell’assolo di Dipper Mouth Blues oliver apre e chiude la
campana con una sordina plunger, ma nei break e nel finale di Mandy Lee Blues utilizza un pixie, nei dischi gli ottoni
del gruppo suonano molto spesso con le sordine straight, cosa che probabilmente non riflette la prassi reale al Lincoln
Gardens, dove c’era bisogno di volume sonoro. La creole jazz band si sciolse all’inizio del 1924 per contrasti
economici: sembra che Oliver facesse la cresta sui compensi. Ma il cornettista mise in piedi i Dixie Syncopators, suono
in tour nel corso del ‘24 e infine si stabilì al Plantation Cafe ed erano una vera e propria orchestra, con due trombe, un
trombone, tre ance e ritmi, cercando di mettersi sulla scia delle nuove orchestra jazz. I dischi dellavocalion sono una
vivace testimonianza di questa svolta modernista di Oliver. Snag it, Jackass Blues, Deep Henderson, Wa Wa Wa, Black
snake Blue. Oliver, spesso con sordina, ha ancora dei momenti gloriosi sui blues più intimisti, come In the Bottle Blues
o Tin Roof Blues. New Orleans Rhythm Kings: nel pieno della carriera Oliver influenzò diversi trombettisti a New
Orleans, come Louis Armstrong, Johnny Dunn e Paul Mares, che nel 1922 registrò i primi importanti dischi di jazz
bianco con un gruppo passato alla storia come New Orleans Rhythm Kings. Lasciarono New Orleans Per Chicago e
vennero ingaggiati al Friars’ Inn. Il gruppo prese il nome di Friars Society Orchestra, ed è il primo gruppo di bianchi a
suonare con un vero swing rilassato, lontano dallefrenesie parodiche dei gruppi in stile ODJB, che pure ispirò una parte
del loro repertorio (eccentric, Panama, tiger rag ecc…) Schoebel (pianista del gruppo) era l’arrangiatore per le edizioni
Melrose Music, curava gli adattamenti a stampa di molti pezzi ragtime e jazz che poi venivano suonati dalle band di
mezza America, e compose egli stesso diversi pezzi desinati a diventare degli standard del jazz pre-bop, come Nobody’s
Sweetheart, Prince Of Wales, Farewell Blues e soprattutto Bugle Call Rag. Si sciolsero quasi subito ma Mares riuscì a
portare ancora in studio, nel marzo del ‘23. un quintetto in formato ODJB con Brunies, Roppolo, il pianista Mel Stitzel
e il batterista Ben Pollack, utilizzando il nome di New Orleans Rhythm Kings (ricordiamo la prima versione veramente
jazz di Maple Leaf Rag).
Bix Beiderbecke
Nato a Davenport da immigrati tedeschi. Scoprì il jazz a quindici anni ascoltando la ODJB e cominciando a suonare da
autodidatta la cornetta, e grazie anche ai musicisti neri che suonavano sui battelli del mississippi. Cominciò a
frequentare locali più equivoci di Chicago, come il Friar’s inn per ascoltare i New Orleans Rhythm Kings (ci suonò
Jelly Roll Morton, primo creolo a suonare con i bianchi). La sua sensibilità strumentale discendeva da Emmett Hardy,
un ragazzino prodigio di New Orleans che aveva suonato la cornetta nei primi NORK e che va considerato il primo
grande lirico del jazz, che ispirò molto i Wolverines, primo gruppo di Beiderbecke. Beiderbecke faceva largo uso di
colpi di liungua, assai difficile da controllare e ancor oggi raro nel jazz, come nell’articolato Clarinet Marmalade.
Veniva chiamato il padre dei chorus correlati. <<Suoni due misure, poi due che le sono correlate, e fanno quattro
misure da cui suoni altre quattro che sono in relazione alle prime e così via all’infinito fino alla fine del chorus>>.
Certo è che in jazz me blues la tecnica è già perfettamente padroneggiata. Lui tende ad iniziare gli assoli sul registro
acuto per poi gradualmente scendere di registro, dinamica e forza emotiva: un arco declinante che diventa sguardo
introspettivo, ripiegamento emotivo sensibilissimo a ogni minima sollecitazione interiore. I conflitti interni che
tormentavano bix son qui trasmutati in musica della più squisita profondità e sottigliezza. (Singin the Blues e I’m
Coming Virginia, Riverboat Shuffle). Con singing the blues beiderbecke ha conquistato al jazz lo spazio
dell’introspezione, aprendo la strada a Lester Young, Miles Davis, Chet Baker, Bill Evans. Il primo ad usare le
acciaccature nel fraseggio per strumento a fiato: ma invece della classica notina che sfugge sulla vicina nota principale,
preferisce una ghost note, cioè una nota appena accennata, quasi inudibile, sul registro grave (di solito il sib) che salta
verso una nota acuta, con un rimbalzo che conferisce colore e dinamismo a frasi. (jazz me blues,1927). Dal 1927
fioriscono quelli che sandke chiama <<ritmi irregolari>> ovvero pronuncie irrazionali e allargate, soprattutto di terzine
di crome, che per qualche istante galleggiano sganciate dalla pulsazione. Alcuni tra gli esempi più significativi si
trovano in Goose Pimples, Sorry, Cryin All day. La cantabilità è uno dei tratti più celebrati del suo stile. Eppure gli
assoli spesso sono pieni di salti, come Way Down Yonder in New Orleans. Nel ‘27 registrò come pianista due singolari
brani in trio, For No Reason in C e Wringlin and Twistin, con Frankie Trumbauer al C melody sax e il chitarrista Eddie
Lang: sulle ultime battute imbraccia al volo la cornetta e chiude con un paio di frasi geniali, buttate li con disinvolta
casualità. Amava la moderna musica classica di Debussy e Ravel, conosciuti attraverso la mediazione di Eastwood
Lane, un compositore americano di scuola impressionista, e scrisse quattro pezzi ispirati a lui: in a mist, in the dark,
flashes, candlelights. Sono brevi pagine novelty. Beiderbecke, musicalmente analfabeta, li compose al pipano facendoli
trascrivere all’arrangiatore Bill Challis. Lui stesso incise In a Mist. Tutte e quattro le composizioni entrarono nel
repertorio dei pianisti jazz e classici. Grandi idee come il break esatonale di Davenport Blues o il tema che è esposto
alla fine, esattamente il contrario della prassi corrente dell’epoca. Uno dei primi musicisti maledetti della storia del jazz:
geniale, poeta autodistruttivo, il primo grande musicista cool da imitare non solo per la posa, l’alcolismo, lo stile di vita,
ma soprattutto per la forza creativa Il culto dei suoi assoli era già diffuso quando lui era ancora vivo, e questo culto
superò le barriere razziali: il grande sassofonista nero Lester Young scrisse nel ‘40 un tema, Tickle Toe, la cui ripresa si
chiude, testualmente, con le ultime quattro battute dell’assolo di Beiderbecke su When.
IL DUCA
Tra tutti, la personalità più geniale e singolare nella new york degli anni venti è senza dubbio edward Duke Ellington.
Cresce a washington in una famiglia piccolo borchese, influenzato da j.p. johnson diventa un buon pianista di ragtime e
un richiesto leader per feste e gruppi da ballo- Nel ‘23 i Whashingtonians arrivano a new york e ellington ne prese la
guida per lavorare stabilmente all’hollywood club. Inizialmente l’orchestra di ellington non si distingueva per via
dell’appiattimento dovuto agli stock arrangements. Quando però sidney bechet vi passò per poche settimane, si ritrovò
faccia a faccia con un mondo sconosciuto: il jazz di New Orleans (swing travolgente, ubriacante inventiva melodica ecc
ecc). Così ingaggiò subito il bassista di New Orleans Braud. Per molto tempo il metodo compositivo all’intero
dell’orchestra è stato collaborativo. Lungi dall’essere un compositore da tavolino, ellington ha immaginato i suoi
capolavori in funzione della personalità musicale di specifici individui: una scrittura in attribuzione di ruoli,
disposizioni di registro ecc ecc. In Creole Love Call gran parte del materiale deriva dal disco Camp Meeting Blues di
King Oliver; probabilmente un membro della band portò queste idee perché aveva suonato con Oliver. (vedere schema
p.136). Nel ‘26 ellington scrisse un patto professionale con Irving Mills, tra i manager più potenti di new york e lo
promosse attraverso l’immediata pubblicazione a stampa e le registrazioni con varie case discografiche del tempo.
(Birmingham Breakdown o Washington Bobble, forma rag tritematica, sospinta dal 4/4 di braud). Ma è nei pezzi dal
sapore blues che ellington rivela una capacità timbrica e narrativa senza precedenti: immigration Blues si divide tra un
primo tema che aggiorna armonicamente il blues e un secondo più tradizionale. Blues i love to sing mostra un’altra
ossessione di ellington: quella delle forme simmetriche. Il brano si apre infatti con un giro di 24 battute, seguito da un
tema di otto per poi tornare indietro, dal giro di otto al tema di 24, secondo la forma ABBA. Inoltre A e B, pur essendo
entrambi di carattere malinconico, hanno caratteristiche espressive opposte: A, probabilmente un invenzione di Miley, è
bluesy, aggressivo e terragno; B suonato da Hardwick, è sofisticato e urbano. Si potrebbero definire una parte maschile
e una femminile. In black and tan fantasy trova un’inedita composizione formale: il bitematismo imperfetto, in cui il
tema A è seguito da un tema B constrastante, che però è esposto una sola volta e poi abbandonato seguito da ulteriori
variazioni del tema A. Black and Tan Fantasy si apre con un timbro inedito nel jazz: tromba e trombone sordinati che
eseguono un tema blues in minore creato da Miley, che altro non è che una variante in minore dell’inno The Holy City.
Il tema B, composto da Ellington, è ancora per il sax alto di Hardwick ed è armoicamente raffinato e cromatico, con
l’enfasi iniziale sull’accordo del sesto grado abbassato, una firma ellingtoniana. L’assolo seguente di miley è
un’interminabile nota tenuta che si frantuma in una iridescente fantasia di suoni, con sordina aperta e chiusa, con o
senza growl, staccato o legato, ribattuto o blues, che non solo aderisco al ritmo e alla prosodia del parlato, ma sventaglia
tutte le sfumature delle vocali a ed e, come a sostenere un vero discorso in inglese. Non si era udito mai nulla di simile
nella storia della musica. A sorpresa, le ultimissime battute sono una citazione della Marcia Funebre della Seconda
Sonata per pianoforte di Chopin. Quindi la cornice delle due citazioni, The Holy City e Chopin, va interpretata come
una scena di ballo a due che mima la cacciata dal paradiso di adamo ed eva secondo la narrazione della bibbia di Re
Giacomo. L’altro capolavoro è East St. Louis Toodle-o, anch’esso una struttura bitematica imperfetta. Ellington staglia
l’assolo di tromba su una cupa armonia a tre parti per due sax alto e sax baritono, raddoppiato dal basso tuba un’ottava
sotto, contrasta con un giro in maggiore il cui tema per ottoni, però, secondo una strategia non rara in ellington, appare
solo alla fine. Alla fine del ‘27 Duke Ellington ottiene l’ingaggio al cotton club, il locale più esclusivo di Harlem, con
cabaret black and tan. L’attrazione principale erano le riviste musicali sfornate dal compositore McHugh e la paroliera
Fields ed Ellington li eseguiva. La sensibilità drammatica maturò quando aggiunse nuove voci solistiche, fondamentali
per la definizione del sound dell’orchestra: clarinetto Bigard, sax alto Hodges. Questa fedeltà fu un prerequisito
essenziale per la grandezza artistica di Ellington: scrivere per specifici musicisti richiedeva la loro costante presenza,
una dedizione conquistata esaltando il valore dei solisti e compensandoli adeguatamente. Al cotton club l’orchestra
eseguiva brani come Hot and Bothered, Ring Dem Bells o Old Man Blues, o Black Beauty dedicato alla scomparsa
prematura di Florence Mills, una delle massime stelle dello spettacolo afroamericano. Ellington ritrae la Mills e il suo
mondo per mezzo di una forma bitematica imperfetta. Questa volta il tema femminile apre la composizione: la
bellissima melodia ritrae la mills incorporando la cellula melodica di I’m a Little Blackbird, una canzone tratta dalla
rivista dixi to Broadway che era stato il più grande successo della cantante. Il secondo tema ritrae il partner maschile,
cioè il trombone, con cui la mills si esibiva nei duetti di ballo. Con Awful sad, Ellington si rese conto che il cromatismo,
nella melodia e nella condotta delle parti, dava a questi pezzi il tocco giusto di tristezza e nostalgia. Mood indigo nel
primo tema è una ballad a note lunghe, si concentra su tre strumenti della tradizione new orleans-tromba trombone e
clarinetto. Il tema è alla cornetta con sordina, il trombone sordinato è posto subito sotto, in un tesissimo e sommesso
registro acuto, mentre il clarinetto è posto nel registro grave, una combinazione timbrica che ellington tornerà ad usare
ad esempio su Dusk. Mood Indigo è forse la prima ballad del jazz, come un brano da suonare vicino ai microfoni
radiofonici, con una dinamica molto sommessa altrimenti inudibile nei grandi locali. The mooche (mafia) invece è uno
dei pezzi più cupi in Jungle Style, come era stato ribattezato quel coacervo di sonorità aspre, esotiche, vocalizzanti per
gli spettacoli del cotton club. La struttura è ancora una volta simmetrica: un blues in minore espanso a ventiquattro
misure-un urlo lamentoso per tre ance acutissime (soprano e due clarinetti), notturno e misterioso-incornicia in apertura
e chiusura una serie di blues che tra luce e ombre trascolorano continuamente dal minore al maggiore, in un
disorientante cambio di colori graffiati dal growl di Miley. Ancora più ambiziosa fu la composizione della creole
Rhapsody, modellata formalmente sulla durata del disco: si estende su entrambe le facciate di un 78 giri a dodici pollici,
più di sette minuti di musica (si noti l’allusione gershwiniana nel titolo poiché studio con una collana di partiture che
ambiva a rinnovare la musica moderna americana). Oscilla tra il conciso chiaroscuro primo tema, in equilibrio su
armonie cromatiche e il memorabile, schubertiano tema di ballad che chiude la prima parte, subito ripreso sull’altra
facciata in una cremosa armonizzazione per sassofoni. A tratti fa ricordo al consueto armamentario del novelty
(cromatismi, improvvise interruzioni, passaggi virtuosistici). É la prima opera estesa del jazz che travalica il linguaggio
del numero teatrale e si offre come opera dal fruire attraverso il disco e non attraverso l’esecuzione dal vivo.
Il lindy Hop
La depressione economica iniziata nel 29, che toccò i momenti più bui tra il 32 e il 34, anche nel jazz si coglie una
spiccata continuità storica, perché molte avvisaglie della crisi si colgono tra il ‘27 e il ‘28. E’ in questo periodo che la
scena jazz di chicago subisce un rapido declino, che spinge molti musicisti a migrare verso new york. I gestori dei locali
furono costretti a lasciare il centro e traslocare verso la periferia della città, dove aprirono numerose taverne. Uno
spostamento che per i musicisti non si tradusse in un nuovo lavoro perché moltissimi locali preferirono dotarsi del
nuovissimo amplivox, il primo jukebox ad essere commercializzato. I club che sopravvissero alla pressione di mafia e
polizia, riuscivano a permettersi un pianista, scelta che favorì la intensa ma breve fioritura del boogie woogie. L’avvento
del cinema sonoro mise in cristi i teatri e le loro orchestre di fossa, sostituite da un organista. Meglio avere lavori stabili
nelle sale da ballo pubbliche, ritenute più salubri dei cabaret legali, perché era un giro che non subì crisi e anzi ricevette
un notevole impulso all’apertura, nel ‘27, del Savoy, gemella dell’omonima sala da ballo di new york, in uno stabile a
Chicago. Il ballo pubblico fu perciò una delle salvezze del jazz negli anni della depressione. Le sale da ballo erano
esclusivamente per bianchi, i neri invece ballavano in feste private (rent parties). La scena cambiò quando a new york
aprì la sala da ballo per neri della città e forse la pi importante della storia: il savoy ballroom. Il Savoy si conquistò
rapidamente un posto centrale nell’intrattenimento a new york, punto che buchanan aprì anche una sala gemella a
chicago. Il lindy hop prese forma tra il ‘27 e il ‘28 proprio al savoy, organizzando gare da ballo: un’occasione che si
caricò di rivalsa razziale per surclassare, seppure a distanza, i ballerini bianchi. Fu la danza a spingere verso una
mutazione dello stile musicale. E’ più ragionevole pensare che tra le due forze sia avvenuto un processo di osmosi.
Abbiamo già osservato come il tap dancing influenzò la musica di armstrong. Quando il rhythm club si spostò più a
nord, nel ‘32, il locale originario divenne il quartier generale e il posto preferito dei ballerini di tip tap più innovativi
d’america. Questi locali erano frequentati anche dai jazzmen, soprattutto batteristi,che nelle acrobazie incontravano i
ballerini su un fertile terreno di scambio. Il lindy hop a differenza del black bottom o fox trot, prese forma come ballo di
coppia, richiedeva un movimento per ogni pulsazione, quattro passi per battuta, divenendo la danza simbolo dell’era
dello swing, non è altro che il rock n roll inventato e danzato dai neri vent’anni prima. Furono i bassisti di new orleans a
portare a nord il senso del 4/4 swing. Il jazz di new orleans oscillava in equilibrio tra sensibilità in due e in quattro e la
varietà di stili richiesta alle orchestre costringeva il bassista a essere multistrumentista: basso tuba e contrabbasso, come
perarltro era la regola a new orleans. Si poteva intuire il successo della musica se questa suonava bene per i loro
ballerini, e avrebbe funzionato anche su disco. In particolare ad ispirare i musicisti era il ritmo dei piedi. Il primo grande
artefice di questa transizione fu il giovanissimo benny carter. Quando iniziò a lavorare per fletcher henderson, la sua
scrittura si focalizzò sulle emergenti novità del lindy hop. Carter abbandona la frammentazione di redman e il continuo
gioco di sorprese del novelty e lascia invece montare lo swing attraverso i riff, come con Come on, baby. La ritmica è
ancorata al vecchio andamento in due. Lo stile maturo di carter si coglie a meraviglia negli arrangiamenti per fletcher
henderson (keep a song in your soul; il vecchio procedere in due si va sciogliendo episodio dopo episodio nel nuovo
quattro quarti. Somebody loves me illustra molto bene come i cambiamenti investirono non solo la condotta del basso
mal’intera sezione ritmica: il pianista evita l’accompagamento in due, il banjo viene sostituito dal timbro più leggero
della chitarra e la batteria, abbandonato il gioco delle interpunzioni frammentarie, focalizza sull’hi hat semiaperto uno
swing continuo, regolare e propulsivo. Però è interessante scoprire che al centro del lindy hop c’è la tardiva
affermazione della ritmica new orleans, con l’impasto morbido di chitarra, contrabbasso e batteria, aggiornato con un
4/4 più rapido e continuo, e una nuova tecnica batteristica. Il lindy hop è una danza acrobatica fluida e continua, quindi
richiede strutture musicali lineari. Con il dominio del riff- che sarà la forma melodica dominante del decennio, un
principio dell’estetica africana conquista la musica occidentale. E non è detto che il tempo debba essere rapido. (es. hot
and anxious). Uno di questi riff è una figura che circolava tra i musicisti: una triade arpeggiata su un ritmo di secondary
rag (0.41 secondi di hot and anxious), che glenn miller riprese in In the mood del ‘39. Il continuo discutere sulla
giustezza dei tempi e dei riff tra ballerini e musicisti, pose le basi per uno dei grandi cambiamenti nel danzare il lindy
hop e lo swing-l’emergere ei passi acrobatici (air-step) e l’uso crescente dopo il ‘32 di tempi più rapidi. L’air step
consisteva nel partner che veniva presa per i fianchi e sollevata per aria. La necessità di eseguire una musica fluida e
lineare condusse al graduale abbandono delle strutture multitematiche di derivazione ragtime a favore della forma
chouse, ovvero un ritornello che si ripete a volontà, su cui i solisti improvvisano insieme ai ballerini. Ci sono casi in cui
il pezzo viene costruito perfino senza l’ausilio di un arrangiatore o della partitura: sono gli head arrangements,
assemblati collettivamente durante le prove con proposte dei muscisti, riff mandati a memoria e lasciando ampio spazio
ai solisti. Uno degli esempi di questo nuovo approcciò furono le varie versioni di king porter stomp di jelly roll morton.
Nel ‘28 l’orchestra di henderson, organa di don redman, assemblò un head arrangement con il contributo di vari
musicisti, soprattutto di coleman hawkins. Così l’introduzione viene allungata a otto battute ma solo per far
improvvisare il trombettista bobby stark; i giri A e B non sono ritornellati e non presentano il tema, costituendo così
meri giri armonici su cui improvvisano stark e hawkins. La transizione e l’esposizione del tema C sono lasciati intatti
dall’originale. Ma a questo punto, il giro di C viene ripetuto talmente tante volte da diventare un ritornello su cui sfilano
vari solisti, mentre sullo sfondo si succedono svariati riff di accompagnamento. Nell’ultimo chorus l’orchestra raccoglie
il riff originale di morton: ma mentre il pianista lo suonava e poi faceva una pausa, qui la frasetta viene ripetuta i un
incalzante botta e risposta a eco fra tre ottono e tre clarinetti. Tre anni dopo nel ‘32, l’orchestra reincise il brano come
new king porter stomp. La struttura segue le linee guida della versione del ‘28 ma è ulteriormente semplificata, dopo
l’ntroduzione e il tema A, sempre guidati da Bobby Stark, il tema B viene del tutto saltato per andare direttamente al
terzo giro, stavolta infilando subito la serie degli assoli. Il primo solista è stark, e il tema di morton viene retrocesso a
riff di accompagnamento. Alla batteria swingano compatti su un 4/4 veloce e limpido, senza alcuna memoria del tempo
in due del ‘28. Semplificazione della forma, dal multitematismo di derivazione ragtime alla forma chorus, con un solo
tema rifotto a ritornello armonico su cui improvvisare. I temi stessi si trasformano in riff. Nel ‘33 hawkins scrisse per
l’orchestra di henderson un singolare esperimento esatonale, Queer Notions. Henderson compose uno dei suoi
capolavori, Down South Camp Meetin’.
La radio e il management
La grande Depressione portò ad un ricambio generazionale di artisti per via delle malattie e degli incidenti molto più
diffusi in quel periodo. Ad esempio Bix beiderbecke morì a 28 anni per colpa dell’alcolismo. La depressione favorì un
processo di aggregazione di singoli agenti o piccole società in poche, grandi agenzie – su tutte la music corporation of
america, che alla fine del decennio avevano in mano il mercato delle orchestre e dei gruppi che contavano, chi era fuori
da questo sistema rischiava di scomparire. Nel pieno del crollo dell’industria dell’intrattenimento, la radio permise a
milioni di americani di continuare ad ascoltare la musica a costi minimi, trasmettendo in diretta da sale da ballo e hotel
di lusso altrimenti inaccessibili. Il grande capostipiti fu Bing Crosby, e la diffusione della radio attrasse diversi sponsor
che finanziarono trasmissioni musicali in cambio di pubblicità. Le stazioni radiofoniche erano concentrate soprattutto a
new york, e si servivano di orchestre costituite da musicisti a contratto solo ed esclusivamente bianchi. Anche broadway
continuò a offrire sbocchi professionali, soprattutto per i bianchi e trovarono tre gemme su cui avrebbero improvvisato
per decenni: I got rhythm, but not for me e embraceable you. I neri non cantavano più nulla a broadway. Con
pochissime ma significative eccezioni. Il musicista nero più fortuna dal teatro fu louis armstrong. Le storie del jazz
abitualmente ignorano le questioni relative al management; negli anni venti i musicisti si affidavano a manager
individuali, spesso con contatti nella malavita organizzata in un ambiente quasi totalmente controllato dalla mafia. Per
un musicista nero era essenziale avere un manager bianco e ben introdotto tra i mafiosi. Abbiamo più volte citato i
fratelli melrose, ma a new york il managare più importante era senza dubbio Irving mills. Mills deteneva i diritti di
edizione dei suoi artisti e lucrò apponendo il suo nome di paroliere, senza aver mai scritto nulla. Un altro potente
manager fu Joe glaser. Negli anni la associated booking agency di Glaser gestì nomi stellari come Brubeck, ellington,
barbra streisand. In questo mondo di mali neccessari non mancavano i gestori che si guadagnarono il rispetto dei
musicisti, come charles e si shribman. Con la depressione, le piccole agenzie e i songoli agenti furono assorbite da
Rockweel- O keefe, la music corporation of american e la William Morris. La prima fu fondata da Rockwell che portò
armstrong da chicago a new york e lo introdusse a broadway con hot chocolates. La mca invece era legata al teatro e al
cinema. Dopo la guerra, il jazz cominciò a circolare sempre più in teatri e sale da concerto, e la malavita allentò il
controllo sul mondo dei locali di jazz,ormai poco profittevole. A partire dalla fine degli anni quaratna, la figura del
managare che si muove ai margini della legalità andò scomparendo. Anche i boppers più ribelli avevano bisogno di un
manager. Charlie parker mise a dura prova la pazienza di Billy Shaw e Teddy Blume (Shaw nuff e bloomdido). Agli
artisti maggiori le agenzie affidavano un manager specifico (esempio artisti del calibro di Miles Davis o Thelonious
Monk). Con la conquista dei diritti civili si fecero strada diversi manager afroamericani, i fratelli Charles e Richard
Carpenter. Con il declino economico del jazz negli anni 70 le grandi agenzie persero interessere per questi artisti. La
maggioranza dei manager è di origine ebraica,erano ebrei molti proprietari di locali e gestori di teatri e sale da ballo
legati al jazz: Mediatore di minoranza <<membri di un gruppo di minoranza che agiscono da intermediari, in senso
sociale ed economico tra chi produce e i cosnumatori. Mettono in contatto gruppi disparati di persone che comunicano
meglio attraverso terze parti intermediarie.
Louis Armstrong fu uno dei pochi artisti, che grazie al manager Rockwell, riuscì a scampare alla crisi della grande
depressione. Decise di promuoverlo non come un musicista legato a new orleans, ma come un interprete di canzoni
moderne. Il grosso repertorio viene ormai dalla grande canzone contemporanea, brani freschi di stampa scelti da
rockwell o Armstrong, che diventarono standard jazz (body and soul, i got rhythm, all of me, star dust, georgia on my
mind). Dovendo interpretare canzoni destinate a raggiungere un grande pubblico, armstrong scatena la sua
immaginazione intorno al tema piuttosto che in assoli costruiti ex novo, le linee di tromba danzano ondeggianti intorno
alla tracia del tema, senza affidarsi a una struttura prefissata, interpolati nei registri più diversi, fluttuando con imprevisti
raddoppi di tempo, ritmi irregolari lontani dalle figurazioni scolpiti nei dischi degli hot five e hot seven. Quando canta
armstrong preferisce ferma su una corda di recita, una nota che rimbalza su ritmi imprevedibili, che poi cadenza con
eccentrici ritmi armonici. Le parole vengono frrantumate, ripetute, interpolate con uoni scat o mugugni, a volte
liquefatet in singole vocali o sillabe, con inediti effetti timbrici o ritmici. La fantasia dispensata da armstrong in questo
formato tripartito (assolo tromba, canto, assolo tromba), non conosce limiti e ogni brano conquista terreno nuovo al
mondo espressivo del jazz. Secondo schuller, gli assoli di armstrong erano improvvisati, il profilo generale era
preparato in anticipo, certe frasi sono identiche. Le risorse musicali di armstrong sia musicali che tecniche, non
potevano essere eguagliate da nessun collega all’epoca. Lasciata la okeh per la victor, armstrong continuò a incidere
dischi di valore (i gotta right to sing the blues). Emerge una nuova tensione lirica: note lunghe, linee melodiche più
complesse, suono sostenuto, come se armstrong si trasformasse in una di quelle cantanti liriche, come amelita galli
curci, amate e ammirate, e intanto si espande il registro acuto, sempre più giubilante.
Symphony in black
La registrazione di ellington di più successo fu if don’t mean a thing. Il tema un richiamo ritmico in toanlità minore con
inflessioni blues, è sostenuto da uno swing tra new orleans e lindy hop: dopo la prima parafrasi aspra e eccitante di Joe
Nanton entra la voce di ivie anderson, che negli ottoni trova una risposta vocale e poliritmica, un coro strumentale in
risposta alla voce umana, presto diventata proverbiale. La vera rivoluzione inizia con l’arrivo di un terzo trombonista,
cosa unica nelle orcehstre jazz di quegli anni. Negli anni venti la sezione ottoni consisteva di regola di due trombe e un
trombone per un’armonia a tre parti. Nei primi anni trenta le trombe divennero tre. Ellington così sperimentò l’armonia
a tre parti per i tromboni.Un altro unicum nel panorama delle orcehstre jazz erano i quattro sassofoni (dal ‘32), con il
sax baritono di Carney, cosa che le altre orchestre nere usavano solo occasionalmente. Sono questi gli anni in cui
ellington sfrona alcune delle sue memorabili ballad, il cui successo però arrivò per vie indirette (es. Solitude ebbe
successo quandò la registro Benny Goodman). Il brano pià sperimentale del periodo è però il celebre Daybreak express,
il tema della mimesi del treno ha sempre affascinato i compositori moderni. Nella musica afroamericana il treno poi
occupa un posto simbolico speciale: nel blues per la carica di valenze sessuali e per il simbolismo della fuga;
perl’incessante dinamismo motorio del boogie woogie. Ma ellington va oltre: nel costruire l’intero brano come una
partenza, corsa e frenata finale, tocca un vertice di mimetismo e virtuosismo compositivi rimasti ineguagliati, con
l’imitazione dello sferragliare della locomotiva, il rumore delle traversine, l’accelerazione con una modulazione, il
fischio della locomotiva, fino allo stridore finale dei freni. Il linguaggio è arditamente sperimenatle, con quegli accordi
che salgono cromaticamente, fino al culmine dell’episodio centrale, su una serie di chorus sul trio di tiger rag, con un
episodio per quattro sax che all’epoca fu percepito come il non plus ultra del virtuosismo. Il crescente successo
dell’orchestra si deve anche ad un piccolo cortometraggio: simphony in black. Si tratta di una storia d’amore e gelosia
in quattro episodi ambientata nella harlem contemporanea. Girato dal regista fred waller solo con azione, musica e
danza, senza dialoghi, ha come protagonisti la coppia di ballerini Dudley e Tucker, abituali collaborato di ellington sin
dai tempi del cotton club; e nella profetica parte della donna tradita e maltrattata appare, al suo debutto sullo schermo,
billie holiday, cantando Saddest tale ribattezzata Big City Blues. IN simphony in black il flusso musicale si snoda
attraverso una vicenda che esibisce una certa coerenza rispetto alle tradizionali, eclettiche riviste degli anni venti.
Questo genere di esperimenti iniziano ad attirare su ellington critiche negative, da parte di critici e musicisti che
intendevano il jazz quale musica da ballo in cui la spontaneità e l’improvvisazione erano qualità da cui non ci si poteva
allontanare, pena il tradimento dei più freschi e sani valori orginari del jazz.Un’incompresione che lo perseguiterà per
tutta la vita.
Coleman Hawkins
Presente solo occasionalmente nel jazz di New Orleans, il sassofono divenne uno strumento fisso del jazz a new york
per effetto dell'influenza delle orchestre di paul whiteman. La sezione sax doveva funzionare come gli archi in
un'orchestra sinfonica: suonare la melodia, con un legato luminoso. Lo stile rapido a scale e arpeggi, vagamente
rapsodico, delle composizioni di wiedoeft influenzò tutti i sax contralto e tenori jazz emersi negli anni venti, ma fu
coleman hawkins a compiere un processo epocale: trasformare uno strumento senza storia, senza suono e personalità, in
una delle voci distinte del jazz e divenne per più di un decenssion il riferimento per tutti i sax tenori. Nato nel missouri,
hawkins arrivò al sax tenore passando per il c melody sax, che allora era il taglio tenorile più utilizzato. Entrò nel 1923,
appena diciannovenne, nell'orchestra di Fletcher Henderson, con cui rimase fino allo scioglimento nel 1934. Nell' assolo
The Stampede (1926) tutto è plasmato con un suono inedito, potente, di grande proiezione sonora, che su disco a
malapena si intuisce. Il breve ma storico assolo di The new King Porter Stomp, promana una potenza michelangiolesca;
pieno di nervature, il suono è attaccato con tagliente potenza, ogni nota è sbalzata con una dinamica diversa, il colore
strumentale è tutt'uno con il senso armonico, certi gruppetti di note rotolano via in rapide figurazioni e in alcuni punti
improvvise svolte suadenti ripiegano in torsioni sull'acuto. Lo spirito di Hawkins, è quello di un retore, di una voce
proiettata verso una grande platea, che parla ad alta voce a tutti. Hawkins, come John Coltrane, è uno sperimentatore
instancabile. Ogni occasione è utile per tentare soluzioni ritmiche diverse: in At Darktown Strutters' Ball dei Mound
City Blue Bowers oscilla tra 2/2 e 4/4, mentre Strangers, viene ravvivata dal sensazionale effetto di tempo doppio che fa
volare il suo intervento. One Hour è almeno su disco, l'atto di nascita della ballad jazz. Negli anni venti e trenta i brani
“lenti” scorrevano a tempi di metronomo più rapidi. Pur nell'atteggiamento da retore, il sassofono ora si atteggia con
movenze più seducenti. Il tema è sepolto sotto una fioritura di abbellimenti, la parafrasi si dissolve in un nuovo flusso
melodico; le frasi sorgono dall'esplorazione dell'armonia accordo per accordo, con dissonanze espressive ed assillanti,
arpeggi a cascata, sovrapposizioni di accordi che scuotono piccole, continue tensioni interne. L'assolo è al tempo stesso
flusso emotivo e complessa architettura discorsiva. Lo strumento si fa voce maschile confidenziale, protagonista erotico
assoluto.
La scena europea
Oltre agli espatriati, nei primi anni trenta il pubblico europeo potè finalmente ascoltare alcuni giganti del jazz americano
in tour: louis armstrong, per sfuggire alle minacce incrociate di bande mafiose che se lo contendevano tra new york e
chicago, fu costretto a girovagare per un po': prima a londra, tra il 33 e il 35 in danimarca, norvegia, svezia, olanda,
italia (a torino). Armstrong non è il solo a girare l'europa: Coleman Hawkins decise nel pieno della depressione
economica di attraversare l'oceano. Suonò tra l'olanda, francia, belgio, germania, senza purtroppo mai toccare l'italia.
Quanto a duke ellington, suonò nel 33 in inghilterra. Tuttavia, i sindacati inglesi posero severe restrizioni all'esibizione
di gruppi e orchestre americani. In unione sovietica si distingueva la formazione del pianista Alexander Tsanfsman che
rimase una delle più brillanti fino agli anni cinquanta; in italia la formazione che ci ha lasciato i dischi più belli è
l'orchestra jazz columbia diretta da edoardo de risi. In francia, il paese jazzisticamente più avanzato e consapevole,
l'attenzione per questa nuova ondata di musica si concretizzò con la fondazione, nel 32, del primo hot club. L'hot club
de france, divenne rapidamente un importante centro di elaborazione intellettuale e diffusione del miglior jazz in
europa. L'associazione organizzò anche concerti di musicisti americani e francesi, e si adoperò per costituire e lanciare
un nuovo gruppo, il quintette du hot club de france, con due musicisti formidabili: Django reinhardt e Stephane
Grappelli.
La cosiddetta era dello swing è racchiusa in circa un decennio, tra il 35 e il 45, anni in cui la musica popolare americana
fu dominata dalle big band. Per quanto una larga fetta dell'america ballasse al ritmo del jazz, non bisogna dimenticare
che esso fu si un fenomeno di massa ma non davvero dominante. Il decennio dello swing può essere diviso in varie fasi:
una prima maturazione tra il 35 e il 37 legata alla ripresa dell'economia americana; uno straordinario momento di picco
tra il 38 e il 41 e un lento declino negli anni della guerra che raggiunse proporzioni drammatiche subito dopo il 45. Lo
swing non fu tanto la conseguenza della spinta psicologica e sociale del new deal, piuttosto una delle sue cause.
L'america ritrovò l'energia per andare avanti grazie al relax e al senso di benessere della musica di una minoranza
oppressa: gli afroamericani. Trionfano l'estetica musicale e corporea africana. Ora l'era dello swing segnala
l'africanizzazione della melodia. La musica più ballata e amata è costituita da riff sovrapposti, brevi frasi ripetute che si
incastrano a diversi registri tra le sezioni orchestrali: una forma compositiva verticale di squisita ascendenza africana. Il
lindy hop esce da harlem per diventare ballo nazionale, la danza di tutti gli americani. Nel corso del 1933 i vari stati
americani aderirono all'abolizione del volstead act, che proibiva la vendita degli alcolici nei locali pubblici; i club e i
cabaret persero così quel carattere corrotto e peccaminoso per convertirsi in ambienti socialmente più accettabili. Le
sale da ballo, economiche, accessibili e sicure, si moltiplicarono. Sul palco, le big band non si limitavano a suonare
musica da ballo ma offrivano spettacoli completi con cantanti, intermezzi per piccoli gruppi jazz e numeri con ballerini
professionisti. Insomma questi ragazzi e ragazze preferivano sperimentare nuove forme di socialità. La sala da ballo era
anche relativamente libera da pregiudizi razziali.