Sei sulla pagina 1di 24

ALESSANDRA PERONI

I TEMPLARI IN ROMAGNA

L’Ordine dei Templari, a dispetto delle erronee definizioni pretta-


mente cavalleresche, era formato in realtà da una molteplicità di persone
dal ruolo e dal livello sociale differenti. Esso si fondava certo su un corpo
militare composto da milites nobili, ma anche da semplici soldati, ben-
ché la regola inizialmente prevedesse che si trattassero di cavalieri, figli o
comunque discendenti di cavalieri e in grado di divenirlo, i quali veniva-
no armati qualche giorno prima del loro ingresso nell’Ordine. La realtà
delle domus era dunque articolata a più livelli: vi erano i milites, i fratres
servientes che svolgevano lavori più umili ma comunque necessari, come
il mantenimento dei campi, e oltre a essi anche donati, oblati, confratres,
ossia persone associate all’Ordine che tuttavia non ne pronunciavano i
voti e non abitavano nelle case del tempio. La struttura che ospitava i
membri dell’Ordine poteva provenire da lasciti o compravendite oppure
essere costruita ex novo ed era spesso affiancata da una chiesa, a volte già
piuttosto antica e derivante da permute o locazioni con altri istituti reli-
giosi oppure da concessione pontificia o vescovile. Era inserita altresì nel
contesto delle mansiones, che racchiudevano in sé gli hospitales per i pel-
legrini e potevano disporre anche di una stalla per i cavalli. I beni della
mansio erano amministrati da un precettore, spesso assistito nel suo
ruolo da un dispensiere o da un luogotenente, che gestiva la comunità
526 ALESSANDRA PERONI

religiosa ivi abitante così come il personale agricolo al lavoro nei posse-
dimenti della commenda. Si può facilmente comprendere dunque che la
vita quotidiana delle mansiones non fosse affatto contemplativa: scandi-
ta certo dalle funzioni religiose, ma caratterizzata dall’efficiente svolgi-
mento dei compiti assegnati a ognuno.
Per quanto concerne la questione patrimoniale, va detto che fino alla
caduta di Acri nel 1291 i Templari disponevano di una gran quantità di
ricchezze e possedimenti derivanti soprattutto dalle donazioni effettuate
dai nuovi membri, da coloro che si associavano all’Ordine, ma anche da
laici e chierici, mantenute grazie ai privilegi e alle esenzioni concesse dal
papato. Pertanto sin dal principio si adoperarono al fine di far conver-
gere donazioni di natura diversa in gruppi omogenei dal punto di vista
territoriale, soprattutto per quanto concerne i terreni, amministrandoli
in un sapiente gioco di permute, vendite e acquisti atti ad accrescere la
produzione, selezionare le terre situate in aree più favorevoli al fine di
farle fruttare al meglio affidandole ai fratres servientes rustici ma anche a
lavoratori salariati, oppure concedendole in enfiteusi o addirittura ad
vitam. Prediligendo com’è ovvio donazioni di lotti già coltivati, ma ado-
perandosi anche nei confronti di quelli incolti, essi si adattarono alla
molteplicità di situazioni apportando miglioramenti innovativi e nuove
tecniche di gestione, puntando alla valorizzazione dei propri possedi-
menti, il tutto nella dichiarata finalità di far confluire il frutto di questi
investimenti in Oriente.

1. Le mansiones romagnole

I membri dell’Ordine, fossero essi preti, sergenti o fratres, erano tenu-


ti a pronunciare i voti di obbedienza, castità e povertà e in virtù di que-
st’ultimo dovere il soccorso agli indigenti e ai pellegrini era un’attività
cardine, che in Romagna portò alla realizzazione di una rete di punti di
riferimento dislocati a circa 20 o 30 km tra loro – la distanza media per-
corsa dai fedeli in viaggio – disposti prevalentemente lungo la via Emilia,
costituiti da mansioni, ospedali, chiese 1.
1 E. BELLOMO, The Templar Order in North-west Italy (1142-c. 1330), Leiden 2008,

pp. 64-81, 119-128; R. CARAVITA, Rinaldo da Concorrezzo arcivescovo di Ravenna (1303-1321)


al tempo di Dante, Firenze 1964, p. 105; A. DEMURGER, Vita e morte dell’ordine dei Templari,
Milano 1996, pp. 59-61, 133-151; M. RONCETTI, P. SCARPELLINI, F. TOMMASI, Templari e
Ospitalieri in Italia, in The Hospitallers of Rhodes and their Mediterranean World, a cura di
A. LUTTRELL, Aldershot 1992, pp. 2-4.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 527

Le ipotesi sulle modalità d’insediamento e soprattutto sulla cronolo-


gia possono basarsi soltanto sui pochi documenti superstiti, i soli in gra-
do di provare la loro presenza in loco nella data indicata nei singoli atti.
La maggior parte di queste attestazioni indurrebbe ad affermare che i
milites Templi siano giunti in quest’area in un tempo relativamente tardo,
e cioè durante la seconda metà del XIII secolo, momento che paradossal-
mente coinciderebbe con un periodo di diminuzione della partecipazio-
ne pubblica nei loro confronti. Va ricordato infatti che i Templari giun-
sero in Italia già pochi decenni dopo la loro istituzione e che la loro pri-
ma chiesa venne costruita nel 1160 a Piacenza, la quale rimase a lungo
centro nevralgico dell’Ordine per l’area settentrionale della penisola uni-
tamente a un’altra città destinata a un ruolo di grande importanza: Bo-
logna 2.
Attualmente l’unico documento in grado di fornire una visione com-
plessiva delle mansiones di area romagnola è l’atto di cessione dei beni
templari all’Ordine di San Giovanni trascritto dal notaio Bertolino Spe-
ciari nell’estate del 1312 e depositato presso l’archivio dell’abbazia di
Nonantola.
Esso si prefigura come una vera e propria cronaca dell’itinerario
seguito dal frate giovannita Atto dal 21 luglio al 17 agosto di quell’anno
sulle direttive del subesecutore Filippo «prepositus ecclesiae Sancti
Silvestri de Crepacorio Bononiensis»: un resoconto che oltre a citare le
singole strutture templari riporta anche altri dati fondamentali ai fini
della ricerca, come indicazioni topografiche, nomi dei personaggi incon-
trati ed eventuali problemi sopraggiunti al momento dell’esproprio 3.

2. Faenza

2.1. San Sigismondo

La chiesa templare di San Sigismondo, sopravvissuta fino ad oggi sep-


pur con rifacimenti ottocenteschi, si trovava e si trova tuttora appena al
di fuori di Porta Montanara, l’odierna via Marconi, lungo la strada per

2 CARAVITA, Rinaldo da Concorrezzo arcivescovo di Ravenna (1303-1321) al tempo di


Dante, cit., pp. 104-105; E. BELLOMO, The Templar Order in North-west Italy (1142-c. 1330),
cit., pp. 262-276.
3 ARCHIVIO STORICO ABBAZIALE DI NONANTOLA (ASANo), Serie registri, 5, Protocollo

Notaio Bertolino Speciari, cc. 7v-16v.


528 ALESSANDRA PERONI

Modigliana, ubicazione confermata da Tonduzzi nel suo trattato sulle


mura cittadine 4.
Possiamo attingere la prima attestazione della struttura da una quasi
romanzesca descrizione di Marchesi, che riporta come nel 1180 i faentini
si fossero sottomessi volontariamente in segno di riconoscenza al conte
francese di Vitry, il quale era sopraggiunto in loro difesa contro i raven-
nati; egli tuttavia rifiutò concedendo la libertà ai cittadini i quali, per
dimostrare la loro gratitudine, durante l’ultima sera di aprile portarono
gli stendardi presso la chiesa di San Sigismondo, omonima del conte,
dando inizio a una tradizione che si protrasse a lungo nel tempo 5. Stan-
do a questa testimonianza dunque la struttura doveva già esistere nella
seconda metà del XII secolo, ma dobbiamo attendere quello seguente per
concrete attestazioni documentarie.
Al 20 aprile del 1255 risale un testamento in cui un certo Ugo Gui-
doni dispone che vengano lasciati dei legati ad alcune chiese ed ospeda-
li di Faenza, tra i quali figura anche quella di San Sigismondo 6. In un
documento del 29 aprile del 1270 invece, in merito a questioni di confi-
ne, si cita un terreno posto sotto «iura ecclesie Sancti Sygismundi», men-
tre in un atto di vendita del 1279 compare come puro riferimento in
merito alla provenienza di un tale «Johannes Pallothellis» 7.
La presenza templare è ufficialmente attestata solo a partire dalle
decime del 1301, dove si riporta il pagamento di «dominus frater Symon
preceptor domus militie Templi Sancti Ghesmondi de Faventia et Sancti
Iacobi de Cerro plebatus Corlete», ma si può presumere che l’Ordine
fosse già presente a Faenza se prestiamo fede al testamento del 31 mag-
gio del 1286 di Guido di Sesso di Reggio Emilia, che così afferma:
Et si aliquis vel aliqua heredum meorum impedirent et molestarent predictos
commissarios in predicto vel aliquo predictorum distribuendis et faciendis,
ipsum heredem vel ipsam heredem privo a mea hereditate et meis bonis, et insti-

4 F. BRAMATO, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le fondazioni, Città di Castello

1991, p. 99; M. MARIANI, Il fenomeno dei pellegrinaggi nel medioevo, in Templari, miniere e pit-
tori nella storia antica di Sant’Agata: atti del I convegno di studi storici, Rimini 1995, p. 50;
G. C. TONDUZZI, Historie di Faenza, Faenza 1675, p. 48.
5 S. MARCHESI, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì in cui si descrive la provincia

di Romagna, Forlì 1678, pp. 137-138.


6 ARCHIVIO DI STATO DI FAENZA (ASFa), CRS, Monastero di S. M. Foris Portam, c. A. 1-4.24

del 20 aprile 1255.


7 BIBLIOTECA COMUNALE MANFREDIANA DI FAENZA (BCFa), Schede Rossini, 29 aprile

1270; ASFa, CRS, Convento Padri Domenicani, c. B. 1, 4-7, del 3 giugno 1279.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 529

tuo michi heredes fratres de Templo et ipsam domum de Templo in omnibus


meis bonis, solvendo omnis supradicta legata et male ablata 8.

All’interno dello schedario compilato da mons. Rossini troviamo inol-


tre un riferimento a un documento del 3 settembre del 1291 in cui tale
Giacomo, converso di San Sigismondo, effettuò un altro pagamento per
la domus Templi e l’ospedale del Cerro, pur ritornando nel 1301 il nome
di frate Simone, che sempre in qualità di precettore versò il pagamento
delle decime per entrambe le strutture templari 9.
Il 4 agosto del 1312 il giovannita fra Atto prese possesso della chiesa
per mezzo del subsecutore Filippo per affidarla a fra Guido, precettore
di Santa Maria Maddalena di Faenza, ed inglobarla così tra i possedi-
menti dell’Ordine di Malta a cui appartenne fino alle soppressioni napo-
leoniche, quando venne messa all’asta ed acquistata da Alessandro Dan-
zi, per poi subire i rifacimenti visibili ancor oggi negli anni Trenta del
XIX secolo, per opera di Pietro Tomba 10.

2.2. Hospitale dei Santi Giacomo e Cristoforo del Cerro

L’ospedale dei Santi Giacomo e Cristoforo si trovava lungo la via Emilia


in direzione di Forlì, tra la strada consolare romana e la via del Cerro vici-
no alla via Cavaliera, nel plebato faentino di Sanctus Stephanus in Colorita,
ossia Corleto (Basiago), e a non molta distanza dalla Bastia forlivese di San
Bartolo, dove si trovava un’altra mansio templare. Se ne hanno notizie a
partire dal 9 febbraio 1163, in un lascito nel quale si parla di un pezzo di
terra posto «in loco vocato Cerro [...] iuxta hospitale de Cerro, territorio
faventino et plebe», mentre nei documenti successivi compare la dedica-
zione a san Giacomo, talvolta affiancata da quella a san Cristoforo 11.

08 ASFa, Famiglia Mazzolani-Sessi di Rolo di Faenza, I, 9; BCFa, Schede Rossini, 31 mag-

gio 1286.
09 BCFa, Schede Rossini, 3 settembre 1291; A. MERCATI, E. NASALLI ROCCA, P. SELLA (a

cura di), Rationes decimarum Italiae dei secoli XIII-XIV: Aemilia, Città del Vaticano 1933, p. 211.
10 ASANo, Serie registri, 5, Protocollo Notaio Bertolino Speciari, c. 8v; BCFo, Raccolte

Piancastelli, Sezione Carte Romagna, busta 486/92; A. MESSERI, A. CALZI, Faenza nella storia
e nell’arte, Faenza 1909, p. 452.
11 BCFa, Schedario G. Rossini, ad vocem Cerro e in data 9 dicembre 1163; BRAMATO,

Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le fondazioni, cit., p. 99; MARIANI, Il fenomeno dei
pellegrinaggi nel medioevo, cit., p. 50; L. MASCANZONI, San Giacomo: il guerriero e il pellegri-
no. Il culto iacobeo tra la Spagna e l’Esarcato (secc. XI-XV), Spoleto 2000, pp. 450-451;
G. B. MITTARELLI, Monumenta Faventina, Venezia 1771, p. 442.
530 ALESSANDRA PERONI

Mascanzoni, in riferimento alla dedicazione a san Giacomo, propone l’i-


potesi che quest’ultima derivasse proprio dal tramite templare del
culto compostellano o che quantomeno da esso sia stato in seguito
influenzato, anche in virtù della sua posizione sulla via Emilia, luogo di
transito di pellegrini e religiosità. Va detto, infatti, che immagini del
santo, spesso affiancato da san Cristoforo, andarono proliferando soprat-
tutto tra Tre e Quattrocento, a conferma della diffusione del culto iaco-
beo e della grande partecipazione al pellegrinaggio verso Santiago de
Compostela 12.
La località di Cerro si trovava sul tratto della via Emilia chiamato via
magna citra Cosnale, che si trovava tra Cosina e Faenza ed è proprio apud
Cerrum che nel 1179 i faentini si scontrarono con le truppe dell’arcive-
scovo di Magonza, cancelliere di Federico Barbarossa 13.
Se la struttura è nota già dal 1163 come ospedale vi è tuttavia un atto
di vendita del 3 dicembre 1224 di un terreno posto nel fondo Fuscarino
in plebe Corletae dove tra i confinanti viene citata espressamente un’ec-
clesia Cerri; ritroviamo poi il medesimo fondo «Fuscarino iuxta iura
monasterii Sancte Reparatae et iura ecclesie de Cerro» in un documento
del 31 agosto 1332 14. Come precedentemente affermato trattando dei
pagamenti delle decime della domus Templi, il priore di San Sigismondo
era responsabile anche dell’hospitale, tanto che negli stessi elenchi si può
riscontrare come sempre nel 1301 risulti un prete Alberto, della chiesa di
San Giacomo e Cristoforo plebatus Corlete, che non effettua il pagamen-
to, probabilmente per il fatto che si trattava della medesima chiesa per la
quale già fra Simone aveva versato la somma 15.
Con l’atto nonantolano si sancisce il passaggio dell’hospitale a frate
Guido precettore di Santa Maria Maddalena, oggi chiesa della Commen-
da di Borgo Durbecco, ed i Giovanniti risultano pagare un canone annuo
al vescovo di Faenza per tutto il XIV secolo 16. Oltre ai più tardi cabrei

12 MASCANZONI, San Giacomo: il guerriero e il pellegrino. Il culto iacobeo tra la Spagna e

l’Esarcato (secc. XI-XV), cit., pp. 450-451; R. STOPANI, Il “camino” italiano per Santiago de
Compostela, Firenze 2001, p. 29.
13 G. ROSSINI (a cura di), Statuta Faventiae, «RIS», XXVIII, V, Bologna 1929-1930, p. 245.
14
ACFa, Capitolo, Pergamene, 3 dicembre 1224 e 31 agosto 1332; BCFa, Schedario
G. Rossini, 3 dicembre 1224, 31 agosto 1332; MITTARELLI, Monumenta Faventina, cit., p. 550.
15MERCATI, NASALLI ROCCA, SELLA (a cura di), Rationes decimarum Italiae dei secoli XIII-
XIV: Aemilia, cit., p. 219.
16 Statuta Faventiae, p. 245n.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 531

dei commendatori dell’Ordine di Malta, documentazione delle attività


svolte in questa struttura si ritrova anche nel Liber Solutionum Censuum,
conservato presso l’archivio capitolare di Faenza, che attesta la presenza
dell’hospitale per almeno tutto il XIV secolo 17.

3. Forlì

3.1. Nota sul toponimo de Scossolis

Grazie al documento di Nonantola siamo a conoscenza del fatto che il


5 agosto 1312 fra Atto ricevette le chiese forlivesi di Santa Maria de Sco-
fano e di San Giovanni in Via, che affidò al confratello fra Bonaventura
de Porta, mentre la chiesa di San Bartolo venne rilevata il 12 agosto 18.
Agli inizi del XIV secolo dunque le intitolazioni di queste chiese templari,
poste tutte e tre ad ovest della città, corrispondevano con queste indica-
zioni. In merito a Santa Maria de Scofano tuttavia è sorta una querelle tra
storici in merito ad un toponimo comparso qualche anno dopo.
Già in un documento del 31 marzo 1319 infatti viene citato un certo
«Iacobo de Tochalmatto praeceptore domus Sancte Marie de Scossolis
de Forlivio» 19. Al 10 aprile del 1392 risale un testamento in cui viene
destinato a «Sancte Marie in Scossoli de prope Forlivium XX solidos pro
fabrica ipsius ecclesie», mentre in una carta staccata del notaio Alberti
databile tra il 1377 e il 1398 troviamo un elenco di chiese tra le quali
quella di «Sancte Marie in Scossulis alias Templi» 20.
Il medesimo toponimo scossoli si ritrova poi nell’atto del notaio Lo-
renzo Maldenti del 24 agosto del 1401, ed in quello del 10 febbraio del
1469 del notaio Asti Astio Filippo: «scosoli versus ecclesiam Templi»,
riferimento al tempio che si riscontra anche nel 1425, nel 1453, e nel
1463 21. Troviamo la dicitura «villa scossoli» in un documento del 19 di-

17 ACFa, Pergamene, Liber Solutionum Censuum, 1340.


18 A. CALANDRINI, G. FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, Forlì 1993, I, pp. 852-853.
19 ASFa, Raccolta Azzurrini, perg. B. 9-3.12, del 31 marzo 1319.
20 ARCHIVIO DI STATO DI FORLÌ (ASFo), AN, N. Menghi, II (7), c. 23; ne ho dovuto con-
sultare il regesto all’interno dello schedario ZACCARIA, scheda 6255, in quanto di difficile let-
tura; ivi, A. Lazzari (o L. Degli Alberti), 1, ultima carta staccata.
21 Nel primo si parla di «I tornatura di terra arativa posta in fundo Scossoli, laterum

Sancti Agustini extra, iuxta viam comunis a tribus lateribus, carariam et alios», mentre nel
secondo di una «terra arativa di 2 tornature e mezzo posta in Comitatu Forlivii extra portam
Sclavanie in lateribus Scossoli, versus ecclesiam Templi iuxta Magistrum Simonem muratorem
532 ALESSANDRA PERONI

cembre del 1401, e «Sancte Marie scossoli» in un atto del 2 agosto del
1404 22. Tale toponimo ritorna poi nel 1429 in un atto che cita un certo
Giovanni «quondam Thofani» di Faenza, giovannita, come «preceptor
domorum Sancti Iohannis de Palareto, districtus Meldule, et domus
Sancte Marie Bilaque de Scossolis de Meldola, que olim fuit militie
Templi de Forlivio» 23. Altra citazione che ricondurrebbe il toponimo a
Meldola si riscontra poi in un atto di Bartolomeo de Grassis Seniore del
1495 24. Importante si rivela un documento del 1456 dove vengono indi-
cati alcuni riferimenti in merito al luogo chiamato “tempio”: tale zona
era posta «extra porta Sclavanie, lateribus fundo Sancti Augustini extra
teritorii Forlivii» 25.
Queste citazioni confuse sul toponimo scossolis hanno dunque costi-
tuito un vero rompicapo per gli studiosi, i quali si dividono nell’attri-
buirle ora alla chiesa di Santa Maria de Scofano di Forlì, ora a quella di
Santa Maria Biaque di Meldola.
Mariani ipotizza che dopo la cessione ai Giovanniti il termine de
Scofano attribuito alla domus Templi forlivese fosse stato sostituito dalla
dicitura de Scossolis in riferimento al fondo omonimo che quindi si sareb-
be trovato nelle sue vicinanze, come riscontrato nei primi due atti nota-
rili del 1401 e del 1469 26. Anche Luttrell la cita come Santa Maria in
Scossolis di Forlì, facendo cenno alla confusione toponomastica creatasi
tra la città liviense e Meldola e riportando due documenti maltesi dell’a-
prile del 1331 27. Calandrini e Fusconi invece attribuiscono il toponimo
alla chiesa meldolese, riecheggiando il documento nonantolano in meri-
to al passato templare della struttura e poggiandosi sulla Storia di
Meldola di Zaccaria, il quale a sua volta in una nota scrive: «[…] perché
fosse detta anche de Scossolis non sapremmo. Pure la chiesa di Santa

de Forlivio, Guglielmum de Romagnolis, carariam et alios», ASFo, AN, L. Maldenti, I (158),


cc. 70v, 107; ivi, F. Astio Asti, VI (16), c. 124r; XI (21), c. 46v; XXXI (41), c. 62r; G. ZACCARIA,
Storia di Meldola e del suo territorio, Meldola 1974, I, p. 388 n.
22 ASFo, AN, L. Maldenti, I (5), c. 126; ivi, L. Morattini, II (10), c. 231.
23 Ivi, Meldola, B. De Grassis sen., II (7), c. 46a; V (10), parte II, c. 36 citate da ZACCARIA,
Storia di Meldola e del suo territorio, cit., I, p. 90.
24 ASFo, AN, Meldola, B. De Grassis sen., I (6), c. 151r.
25 Ivi, F. Astio Asti, XXVII (37), c. 98v.
26 M. MARIANI, Templari a Forlì, Ravenna 1992, p. 90.
27A. LUTTRELL, The Hospitaller Priory of Venice in 1331, in E. COLI, M. DE MARCO,
F. TOMMASI (a cura di), Militia Sacra, Perugia 1994, pp. 123, 125, 140, 142.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 533

Maria di Forlì, che fu dei Templari e poi dei Giovanniti, veniva chiama-
ta de Scossolis» 28.

3.2. Domus Templi, ossia la chiesa di Santa Maria de Scofano

Se dunque identifichiamo la chiesa di Santa Maria de Scofano riporta-


ta sul documento nonantolano con la domus Templi di cui sopra dobbia-
mo pertanto presumere che fosse posta tra l’attuale via Emilia e lo scolo
dei Padulli, sull’argine dell’antico corso del fiume Montone, a causa del
quale la via romana all’epoca doveva deviare, ed in prossimità del guado
per la strada che portava a Villafranca, detto “dei Cavalli”; situata all’al-
tezza della Cava, ove fino a non molti anni fa sorgeva la Celletta del
Divino Amore, viene indicata nella pianta del Coronelli come tempio 29.
Data la sua posizione a circa un chilometro dall’ingresso della città la
struttura costituiva dunque un importante punto di passaggio anche per
coloro che non intendevano fermarsi per la notte, bensì proseguire in
direzione di Meldola o di Cesena.
Essa compare come «mansio Templi» o «domus Templi» nei paga-
menti delle decime dal 1290 al 1292. La prima attestazione della presen-
za templare risale al 23 luglio del 1248 in un testamento che tra i benefi-
ciari dell’eredità di tale «Guilielmus Anne» riporta anche un ospitale
«Tenpli de Forlivio», unitamente ad un ospitale «Sepulcri de Faven-
tia» 30. Risulta poi nel 1268, in occasione del capitolo generale dei mae-
stri delle case templari dell’Italia settentrionale e poi ancora in quello del
1271, entrambi svoltisi a Piacenza. Si distingue pertanto come sede tem-
plare principale della città ed il termine “tempio”, come abbiamo visto,
si può riscontrare in diversi atti notarili anche di molto successivi in fun-
zione locativa o di provenienza 31.

28 CALANDRINI, FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., I, p. 834n; ZACCARIA, Storia di Meldola

e del suo territorio, cit., I, p. 388.


29 CALANDRINI, FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., I, p. 834; MARIANI, Templari a Forlì,

cit., p. 90.
30 ARCHIVIO DI STATO DI RAVENNA (ASRa), CRS, pergamene, S. M. in Porto, G 1856; MER-
CATI, NASALLI ROCCA, SELLA (a cura di), Rationes decimarum Italiae dei secoli XIII-XIV: Aemilia,
cit., pp. 171, 175, 178, 184, 191.
31 ASFo, AN, G. Dall’Aste, XXXIV, p. 5, 10 febbraio 1467; M. MARIANI, Gli insediamenti

degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo, in Vie di pel-
legrinaggio medievale attraverso l’Alta Valle del Tevere, Citta di Castello 1998, pp. 256-257;
MARCHESI, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì in cui si descrive la provincia di
Romagna, cit., p. 607.
534 ALESSANDRA PERONI

A partire dal 1312 passò dunque ai Giovanniti e divenne il centro


della Commenda de’ Romiti, la quale faceva capo alla chiesa parrocchia-
le di San Giambattista del Ronco. Siamo a conoscenza della sua demoli-
zione approvata nel 1784 a causa dell’incuria e del decadimento della
struttura; in sua memoria venne eretto un piccolo «pilastro di pietra col
suo nicchio sulla sommità, dentro cui un quadretto di maiolica rappre-
sentante l’assunta di Maria Vergine» 32.
Di essa si conserva ancora la casa conventuale posta in Viale Bologna
120 nei pressi del fiume Montone, all’interno della quale sono presenti
ancora porzioni di muratura originali 33.

3.3. San Bartolo (Bartolomeo)

La chiesa di San Bartolomeo era situata nel luogo della bastia costrui-
ta dai forlivesi vicino a Villanova come difesa dai faentini e dai bologne-
si, località posta a due chilometri da Forlì che risulta ben individuabile
già dal Duecento pur comparendo anche in documenti anteriori. Si tro-
vava a poca distanza dall’ospitale di San Lazzaro, a circa un chilometro
dalla domus Templi, e situata anch’essa lungo la via Emilia, non lontano
da un piccolo ponte sul Rio San Bartolo 34.
Cobelli nel narrare le controversie tra forlivesi e bolognesi riporta
come nell’agosto del 1273 il campo felsineo si trovasse «longio San
Bartolo presso li porte de Forlivio fino al Cassirano», dove si svolse una
«grande et fulta bataglia» 35. Nella cronaca di Cantinelli si racconta poi
di come nel giugno del 1281 le truppe pontificie
[…] posuerunt eorum tenptoria et tendas in loco ubi dicitur Villanova, intra
districtum Forlivii, ibique steterunt V diebus; singulis vero dictis quinque diebus,
faciebant parari milites exercitus eorum armis et equis, facientes et ponentes
acies ipsorum militum usque prope locum infectorum [probabilmente San

32 Cabreo del 1784, in ARCHIVIO DEL GRAN PRIORATO DEI CAVALIERI DI MALTA DI

VENEZIA (AGPCMV), Commenda di S. Giovanni del Ronco di Forlì, b. 595, c. 176, p. 43, cita-
to da MARIANI, Gli insediamenti degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella
Romagna del Medio Evo, cit., p. 257.
33 M. FERRETTI, Testimonianze Templari nella Valle del Lamone, fra Forlì, Faenza e Raven-

na, «EE I Sensi di Romagna», 6/2004, p. 5; R. BAGATTONI, L’Ordine di Malta a Forlì, «La
Madonna del Fuoco», 1919, p. 186.
34 L. COBELLI, Cronache forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’an-

no 1498, Bologna 1874, p. 437; MARIANI, Templari a Forlì, cit., p. 86.


35 COBELLI, Cronache forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno

1498, cit., pp. 37-38.


I TEMPLARI IN ROMAGNA 535

Lazzaro], faciendo spanari fossata ex utraque parte strate usque [ad ecclesiam]
Sancti Bartoli 36.

La struttura compare nei pagamenti delle decime degli anni dal 1290
al 1292, versate tutte da «domino Liunardo», tuttavia gli storici locali
non riportano alcunché sui Templari, incluso il Marchesi, che pur rac-
conta di battaglie svoltesi tra la metà del Duecento e la metà del Trecento
nella bastia omonima 37. Interessante risulta la notizia di un testamento
del 12 aprile 1289 con il quale una certa Bionda lascia «laboreriis eccle-
sie Sancti Bartolli duos solidos» 38. Tale documento viene citato da mons.
Zaccaria all’interno del suo schedario, ma risulta privo di coordinate
archivistiche che possano ricondurre all’originale. Tenendo conto della
posizione di confine della mansio si potrebbe presumere che gli inter-
venti si fossero resi necessari in seguito ai ripetuti scontri avvenuti in
prossimità della bastia cui si accennava in precedenza, ma ciò non è dato
a sapersi.
Ghini afferma che dopo la cessione ai Giovanniti essa divenne «Com-
menda di Villanova» e riporta che un tempo sorgeva nei pressi della Villa
Samorè 39. Sempre grazie al cabreo del 1784 ci giunge anche la notizia
della sua demolizione, così come per Santa Maria de Scofano, con l’ap-
posizione anche in questo caso di un quadretto in sua memoria, raffigu-
rante San Bartolomeo, posto all’apice di un pilastrino 40. Alla fine del-
l’Ottocento Cobelli la descrive ancora come una chiesa antichissima,
ridotta a casa colonica e di proprietà della famiglia Olivon 41.

36 P. CANTINELLI, Chronicon, «Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecin-

quecento», 28.2, fasc. 14/15, Citta di Castello 1902, pp. 48-49; COBELLI, Cronache forlivesi di
Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno 1498, cit., p. 59; CALANDRINI, FUSCONI,
Forlì e i suoi vescovi, cit., I, p. 583.
37 MARCHESI, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì in cui si descrive la provincia di

Romagna, cit., pp. 204, 222, 227, 229, 292- 295; MERCATI, NASALLI ROCCA, SELLA (a cura di),
Rationes decimarum Italiae dei secoli XIII-XIV: Aemilia, cit., pp. 166-167, 174, 179, 185, 191;
MARIANI, Gli insediamenti degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna
del Medio Evo, cit., pp. 256-257.
38 Schedario Zaccaria, n. 5705.
39C. M. GHINI, L’Ordine Gerosolimitano di Rodi e di Malta nella Romagna, Castrocaro
Terme 1975, pp. 11-12.
40 Cabreo del 1784 di Venezia, p. 15, cfr. nota 32; MARIANI, Gli insediamenti degli ordini

ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo, cit., p. 258.
41 COBELLI, Cronache forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno

1498, cit., p. 437.


536 ALESSANDRA PERONI

3.4. San Giovanni in via (Magione)

Di questa chiesa non si conosce più nulla in seguito al passaggio di


proprietà ai Giovanniti, la cui citazione permane nei cabrei più tardi con
il solo titolo di Magione 42.
Dai pagamenti delle decime risulta il solo pagamento effettuato per la
seconda rata del 1291, il che può far presumere che si trattasse di una
struttura di recente costruzione o caratterizzata da scarsi proventi, situa-
ta nel plebato di San Mercuriale 43. Risulta un’attestazione del 22 dicem-
bre del 1465 in cui tale Andrea del fu Antonio di Castelnuovo della dio-
cesi di Tortona «fuerit factor et negotiorum gestor mansionis et precep-
torie Sancti Iohannis Ierosolimitani Forlivio, Templi et ecclesie de
Roncho, comitatus Forlivii» 44.
La sua localizzazione, non ancora perfettamente documentata, si
fonda su supposizioni logiche: in primis l’impossibilità d’identificazione
sia con la chiesa di San Giovanni Battista del Ronco, facente parte all’e-
poca della diocesi di Forlimpopoli, sia con la chiesa di San Giovanni in
Vico, come si evince dai pagamenti delle decime nelle quali sembrano
due strutture ben distinte; il locativo in via fa altresì supporre che la man-
sio si trovasse in prossimità della via Emilia così come gli altri hospitales,
ulteriore elemento che induce a non identificarla con l’omonima situata
in vico, appartenuta ai Giovanniti fino al 1541 e situata presso l’attuale
chiesa dei Cappuccini, non sulla via; al 1312 non ci sarebbero poi altre
chiese intitolate a san Giovanni poste lungo la strada consolare romana.
Si potrebbe dunque ipotizzare una sua identificazione con la struttura
definita «mansio Sancti Ioannis Ierosolimitani» situata in contrada Scla-
vanie che viene citata nel Liber solutionum censuum in data 18 ottobre
del 1351 45.
Calandrini e Fusconi si basano sulla pianta del Coronelli dove viene
indicata la Commenda dei Cavalieri di Malta e si riporta che era la più
vicina alla città, a sinistra della via per Faenza 46. Dalla cronaca di Nova-
42 MARIANI, Gli insediamenti degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella

Romagna del Medio Evo, cit., p. 259.


43 MERCATI, NASALLI ROCCA, SELLA (a cura di), Rationes decimarum Italiae dei secoli
XIII-XIV:Aemilia, cit., p. 180.
44 ASFo, AN, G. Dall’Aste, VIII (18), 22/12/1465, p. 308.
45 ACFa, Pergamene, Liber Solutionum Censuum, 1340, 18/10/1351; MARIANI, Templari
a Forlì, cit., p. 85.
46 CALANDRINI, FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., I, p. 834n.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 537

cula del 1502 apprendiamo che la Masone era «la prima dentro da la
porta di Schiavonia» 47.

4. Meldola

4.1. Santa Maria Zanis biaque (San Giovanni)

Memoria più antica di questa chiesa la ritroviamo in un documento


del 10 maggio del 1191. La prima attestazione della presenza templare in
questa città risale invece al 1300 e cita semplicemente un «rector domus
Templi de Meldula», incaricato di versare la decima ai collettori ponti-
fici 48. Dopodiché si passa direttamente all’atto nonantolano del 1312,
nel quale si riporta come il 6 agosto il giovannita fra’ Atto prese posses-
so della chiesa di «Sancta Maria Zanis biaque districtus Meldule de Ro-
maniola», per affidarla a Bencevenne di Oddone e prendendo nota del
fatto che la struttura già all’epoca fosse destructa. Essa infatti fu rico-
struita ed utilizzata come magione 49.
La chiesa, oggi intitolata a San Giovanni Battista, si trovava nel fundo
Muzani in un luogo chiamato la Crusetta per via della presenza di una
croce proprio di fronte ad essa, struttura da non confondersi con l’altra
chiesa giovannita dedicata a San Giovanni Evangelista situata in villa
Palareti che ne raccolse, per così dire, l’eredità. La via petrosa o romipe-
ta infatti dopo aver superato San Martino in strata giungeva nei pressi di
Meldola passando proprio per l’antico fondo Muzzano, risalente all’epo-
ca romana, per poi entrare nel centro del castrum Meldule, situato secon-
do la Descriptio Romandiole «in flumana Aqueductus», ovvero sul fiume
Bidente, in coincidenza con la strada che proseguiva fino ad Arezzo. La
domus si trovava quindi al termine del fondo templare del Ponte delle
Rose nel punto di congiunzione dei due fiumi della zona, collegati in
quel luogo da un canale: il Ronco e il Rio dei Cavalli, rivus caballorum o

47 A. BERNARDI (NOVACULA), Cronache forlivesi, I, Bologna 1897, p. 39.


48 V. BASSETTI, La diocesi di Forlimpopoli ai tempi del primo anno santo (1300), Bologna
1975, p. 15; BRAMATO, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le fondazioni, cit., p. 99;
C. MAMBRINI, G. MARCUCCINI, W. ROSSI VANNINI, Vie dei romei nella provincia di Forlì-
Cesena, Bagno di Romagna 1995 p. 20; MARIANI, Gli insediamenti degli ordini ospitalieri lun-
go le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo, cit., p. 238.
49 ASANo, Serie registri, 5, Protocollo Notaio Bertolino Speciari, c. 10v; CALANDRINI,

FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., I, pp. 834, 852; CARAVITA, Rinaldo da Concorrezzo arcive-
scovo di Ravenna (1303-1321) al tempo di Dante, cit., p. 161.
538 ALESSANDRA PERONI

equorum oggi chiamato fosso di San Giovanni 50. Lo ritroviamo in un do-


cumento del 25 agosto del 1495 in cui vengono concesse due pertiche «in
fundo Canoveti o la Crocetta, iuxta ortum Sancte Marie Bilaque» 51. In
un documento del 1460-1461 si parla della possessione «mansionis San-
cti Iohannis de Meldula citra flumen Aqueductus [...] sub titulo Sancte
Marie de Bilaque [...] cum omnibus singulis terris aratoriis, saldis, pratis,
silbis, vineis, nemoribus, et aliis omnibus» 52.
Meldola ospitava diverse strutture per l’accoglienza dei pellegrini
oltre a quella templare, come quelle di Santa Maria della Misericordia, di
San Uberto, di San Lazzaro, dei Battuti Neri: ragione d’essere di tutte
queste strutture era la posizione della cittadina in un luogo di transito
assai importante per l’attraversamento dell’Appennino tosco-emiliano
come conferma la presenza di toponimi quali Ospedaletto e Magiona.
Attualmente rimangono l’edificio rusticale nominato Magiona e la
chiesa, inglobata in una struttura privata, all’interno della quale, sotto
un arco a sesto acuto, si conserva il più antico affresco della città
raffigurante San Giovani Battista con la Madonna e il Bambino, co-
perto da una tela del Settecento ed appartenente forse alla scuola
ferrarese 53.

5. Cesena

5.1. La Domus di San Martino (San Martino in Fossa)

La chiesa templare di San Martino era situata appena all’interno della


città, in contrada Chiesanova o Chiesa Nuova, tra le attuali vie Mazzoni
e San Martino in prossimità della porta di accesso al ponte di San Mar-
tino e di fronte alla chiesa di San Domenico. Sirotti riporta che antica-
mente il fiume Savio dopo aver lambito l’imbocco dell’odierna via Saffi

50 ASFo, AN, M. di Forlimpopoli, I (159), c. 1v; ivi, Meldola, N. Salvolini, I (14), p. 121;

ivi, Meldola, B. De Grassis sen., I (6), cc. 13a, 14, 17, 19, 130r; FERRETTI, Testimonianze Tem-
plari nella Valle del Lamone, fra Forlì, Faenza e Ravenna, cit., p. 5; MARIANI, Gli insediamenti
degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo, cit., p. 240;
ZACCARIA, Storia di Meldola e del suo territorio, cit., I, pp. 88-90, 224, 228-229, 389.
51 ASFo, AN, Meldola, B. De Grassis sen., I (6), c. 151r; Schedario Zaccaria, n. 9614.
52 ASFo, AN, G. Morattini, IV (190), cc. 14-15.
53 FERRETTI, Testimonianze Templari nella Valle del Lamone, fra Forlì, Faenza e Ravenna,
cit., p. 5; ZACCARIA, Storia di Meldola e del suo territorio, cit., I, p. 228.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 539

formava un’ansa nei pressi del colle dove si trova la chiesa, erodendone
il basamento: venne pertanto raddrizzato il corso del fiume sopra al
quale fu edificato un nuovo ponte, detto “di San Martino” a congiun-
zione delle due sopraelevazioni naturali delle attuali via Mazzoni e via
Saffi 54.
In merito alla sua appartenenza ai Templari si è a conoscenza di un
solo documento, quello nonantolano, oltre al quale nulla si sa della loro
permanenza in tale chiesa, di cui si hanno notizie a partire dal 1155, o
addirittura al 914. Al 5 febbraio di quell’anno risale infatti una conces-
sione livellaria di cinque terreni fatta dall’arcivescovo ravennate Gio-
vanni alla famiglia del contadino Rodolfo nel quale si cita un appezza-
mento di terra «in integrum posita non longe ad monasterium Sancti
Martini qui vocatur in strata, ab uno latere possidet Iohannes tabellio, ab
alio latere limite publico et ab aliis duobus lateribus ius supradicti Sancti
Martini» 55. Sorgerebbe dunque spontanea l’identificazione con la strut-
tura posta in prossimità del ponte di San Martino sul Savio, che quindi
potrebbe indurci a ipotizzare una trasformazione del monastero in quel-
la che poi divenne San Martino in Fossa, ritenuta la struttura templare di
cui si parla nell’atto nonantolano. Nell’Ecclesiografia di Burchi troviamo
infatti un privilegio del 1155 concesso dal vescovo Oddone a favore del

54 E. ANGIOLINI (a cura di), Annales Caesenates, Roma 2003, pp. 122, 138; P. BURCHI, Le

antiche pievi e le chiese di Cesena nella storia, Forlì 1970, pp. 81-83; MARIANI, Gli insediamenti
degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo, cit.,
p. 272; B. MONFARDINI, Gli ordini religiosi maschili (secc. XV-XX), in M. MENGOZZI (a cura di),
Storia della Chiesa di Cesena, Cesena 1998, I/1, p. 480; C. RIVA, Città e territorio, in A. VASINA
(a cura di), Storia di Cesena, Rimini 1985, II. Il medioevo, 2, p. 263; G. SIROTTI, Cesena. Di-
ciotto secoli di storia, Cesena 1982, pp. 40-41, 96, 128, 195.
55 Il passo dell’atto è stato interpretato in maniera diversa dai vari storici: Fantuzzi infat-

ti trascrive «non longe a monasterio Sancti Martini in Strata territorio Cesinate», versione sulla
quale concorda anche Dolcini, mentre Amadesi lo riporta come «non longe ad montem Sancti
Martini qui vocatur in strata», nonostante sia difficile immaginare a uno ius appartenente
ad un monte, e ancora Burchi afferma si debba leggere «non longe ad Pontem Sancti Martini
qui vocatur in fossa», pur senza giustificare la scelta di questa trascrizione, contrastante con
le caratteristiche formali dell’atto. Effettivamente l’abbreviazione posta sul termine mon
dovrebbe essere sciolta con monasterium, in relazione allo «ius supradicti Sancti Martini», che
risulta quindi coerente con il contesto. AARa, L 4775; C. L. AMADESI, In antistitum
Ravennatum Chronotaxim, Faenza 1783, II, pp. 228-230; BURCHI, Le antiche pievi e le chiese di
Cesena nella storia, cit., pp. 81-82; C. DOLCINI, La storia religiosa nell’alto medioevo, in
MENGOZZI (a cura di), Storia della Chiesa di Cesena, cit., I, 1, p. 34; M. FANTUZZI, Monumenti
ravennati dei secoli di mezzo, per la maggior parte inediti, Venezia 1803, V, p. 160; MARIANI, Gli
insediamenti degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo,
cit., p. 272.
540 ALESSANDRA PERONI

Capitolo di Cesena con le parole «largio vobis ecclesiam Sancti Martini


prope pontem fluminis» 56.
Emblematico si rivela il testamento del 19 maggio del 1169 di Pietro
de Aricio, il quale «consentiente Maria uxore sua fecit testamentum ante-
quam iret ad Sanctum Sepulcrum» e dunque «reliquit legata Congrega-
tioni sue Templarii»: un’attestazione precoce rispetto alle testimonianze
provenienti dalle altre città romagnole, che ci informa altresì del fatto
che il testatario in procinto di partire per la Terrasanta era sposato, nono-
stante la sua appartenenza all’Ordine 57.
La chiesa viene poi citata in una concessione del 7 novembre 1175
fatta dal vescovo Leonardo ai canonici della chiesa di San Giovanni Bat-
tista, dove viene riportata ancora una volta la sua vicinanza con il ponte
sul fiume Savio; non risulta tuttavia negli elenchi dei pagamenti delle
decime negli anni dal 1290 al 1292 58.
Si giunge così all’atto di cessione del 1312, dove in data 8 agosto si ri-
porta come fra Atto trovò la chiesa occupata dal prete Rainerio da Ce-
sena, trovandosi costretto a dover far valere le direttive papali con mag-
gior vigore 59. A nulla valsero le minacce di scomunica rivolte dal primo
nei confronti dell’altro, al quale venne intimato di presentarsi al precet-
tore della domus Dei giovannita cittadina, don Guglielmo, né tantomeno
le richieste di intervento rivolte il giorno seguente all’arcivescovo di
Ravenna. Atto nominò dunque un procuratore che, quando egli fosse
rientrato a Bologna, andasse avanti in sua vece nel tentativo di riappro-
priarsi della chiesa, ma le ragioni del Capitolo evidentemente prevalsero,
accolte probabilmente in cambio di altre proprietà: il 26 marzo del 1354
infatti la chiesa risulta retta dal canonico Giovanni 60.
All’autunno del 1390 risale invece un documento riportato da Burchi
in cui si afferma che il 10 novembre «dominus Francischus quondam
[...] de Tudurano, rector ecclesie Sancti Martini in Fossa de Cesena, con-
trate Ecclesie Nove, capitulo immediate subiecte, coram preposito et
canonicis supradictis » rinunciò alla «prefatam ecclesiam », la quale nel

56 BCCe, Ces. D. 12, P. BURCHI, Nuova ecclesiografia cesenate, p. 215; BCFo, Raccolte

Piancastelli, Manoscritti, coll. VI/30, F. ZARLETTI, Cesena sacra, p. 36.


57 AARa, Capitolo, Porto, A 178.
58 BURCHI, Nuova ecclesiografia cesenate, cit., p. 215; F. UGHELLI, Italia sacra sive de epi-
scopis Italiae, Roma 1647, II, p. 449.
59 ASANo, Serie registri, 5, Protocollo Notaio Bertolino Speciari, c. 12v.
60 P. BURCHI, Tre antichi manoscritti della valle del Savio, Faenza 1962, p. 17.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 541

medesimo giorno venne data in commenda al frate camaldolese Giovan-


ni di Rimini, priore dell’ospedale di Rovereto della diocesi cesenate che
il 26 dello stesso mese viene confermato rettore di San Martino «in Fossa
de Ecclesia Nova». Il 15 luglio del 1433 Bartolomeo rettore di San Marti-
no, paga il versamento dovuto al Capitolo del Monastero «Sancti Mathey
de Ecclesia Nova» 61.
Dall’atto nonantolano sappiamo che la chiesa almeno agli inizi del
XIV secolo era dotata di un campanile, poiché fra Atto per formalizzarne
la presa di possesso ne aveva tirato la fune campanaria, ma non cono-
sciamo con esattezza le modifiche architettoniche che sopraggiunsero nei
secoli seguenti. Fino al XIX secolo possiamo ad ogni modo fare riferi-
mento ad un volume manoscritto custodito presso l’archivio vescovile di
Cesena in cui ritroviamo alcune notizie inerenti il succedersi dei rettori
di San Martino: tra essi don Simone Versari, incaricato il 21 settembre
del 1737 della custodia della chiesa, che si occupò della ricostruzione
della struttura e della canonica 62.
Zarletti alla metà dell’Ottocento citandola come «San Martino nella
Murata», la descrive così:
Chiesa è questa antichissima prima del 1400, situata circa 100 passi distante
dal ponte del fiume nel qual ponte oggi scorre le acque del canale, il quale anco-
ra conserva il nome di ponte di San Martino. [...] Questa chiesa era ridotta ulti-
mamente in questa forma era tutta a volto con stucchi aveva 3 altari [...] Aveva il
campanile di tre colonne con due campane la prima assai antica di libbre 200 e
l’altra di 100. Questo corrispondeva colle corde nella sagrestia e questa chiesa
unitamente colla casa parrocchiale era unita colli muri alla chiesa del conserva-
torio di Sant’Antonio Abate delle Bastarde. [...] Anche questa chiesa di San
Martino venne privata per la venuta dei Francesi di quanto aveva d’argenteria e
di più fu ridotta ad uso profano, allorché il suo parroco don Agostino Gazzoni
venne sforzato a ridursi ad officiare la chiesa del soppresso convento dei Padri
Domenicani, dopo l’espulsione dei medesimi dalla città di Cesena. Le campane
vennero vendute per Cesenatico e li quadri di detta chiesa riposti nella munici-
palità, che poi riavuti vennero collocati per la chiesa di San Domenico 63.

61 ARCHIVIO VESCOVILE DI CESENA (AVCe), Libro nomine del capitolo, prima capsa cano-

nici, citato da P. BURCHI, Nuova ecclesiografia cesenate, cit., p. 215; ID., Le antiche pievi e le
chiese di Cesena nella storia, cit., I, p. 82; ID., Tre antichi manoscritti, pp. 6-7, 24.
62 AVCe, vol. ms, ff. 1-5, 46-72, 92s citato da BURCHI, Nuova ecclesiografia cesenate, cit.,

pp. 215-216; ID., Le antiche pievi e le chiese di Cesena nella storia, cit., II, p. 165.
63 Ivi, p. 168; MONFARDINI, Gli ordini religiosi maschili (secc. XV-XX), cit., p. 480; SIROTTI,

Cesena. Diciotto secoli di storia, cit., p. 195; ZARLETTI, Cesena sacra, cit., pp. 36-37.
542 ALESSANDRA PERONI

Sul sito ove sorgeva la chiesa di San Martino, oggi non più esistente,
fin dal secolo scorso è stato costruito un condominio prospiciente la fac-
ciata di San Domenico.

6. Budrio di Longiano

6.1. Chiesa dei Santi Simone e Giuda

La chiesa dei Santi Simone e Giuda era un insediamento posto sul


confine naturale fra il territorio riminese e quello cesenate, più vicino
geograficamente a Cesena, ma appartenente alla giurisdizione ecclesia-
stica di Rimini. Era situata lungo l’attuale via Emilia all’incrocio con la
via che porta a Gambettola e a ridosso del guado del torrente Rigossa,
chiamato nell’antichità Budrio o Butrius, nome di origine umbro-toscana
che sta per “corso d’acqua”, dal greco bòqro$. Situato in una zona
boschiva ma al tempo stesso acquitrinosa, Budrio rappresentò tuttavia
già da epoca antica un territorio di confine prima tra la Gallia Cisalpina
e Roma, in seguito tra la Pentapoli e l’Esarcato, e tra i comuni di Rimini
e Cesena poi. Si può pertanto presumere che la sua posizione abbia
determinato la costruzione di una mansio già in epoca romana, come
sembrerebbe confermare il rinvenimento nel 1963 di monete di età
repubblicana (140-180 a.C.) proprio ai margini della via Emilia, e che
questa stazione sia stata nel corso dei secoli restaurata e fortificata, tanto
che Fantuzzi riporta un documento del 1059 dove si cita la «curtis de
Bulgaria et Butrio» 64. L’ospitale compare nel libro Censuum Romanae
Ecclesiae a Centio Camerario composito, nel quale si attesta un pagamen-
to di 12 soldi lucensi alla Chiesa di Roma nel 1192 65. Nel decennio
seguente divenne suo malgrado teatro degli scontri tra cesenati e rimine-
si, avendo i primi invaso i confini di Longiano nel 1202 rubando due
buoi da lavoro nei pressi di Bulgaria. La diatriba si risolse nel 1205 gra-
zie all’accordo tra i podestà delle due città, Bonifacio Errero di Cesena e
Madio di Rimini, e l’intervento del podestà di Bologna Uberto Visconte:

64 FANTUZZI, Monumenti ravennati dei secoli di mezzo, per la maggior parte inediti, cit., V,

pp. 278-283, 301-302; MARIANI, Il fenomeno dei pellegrinaggi nel medioevo, cit., p. 50; MA-
SCANZONI, San Giacomo: il guerriero e il pellegrino. Il culto iacobeo tra la Spagna e l’Esarcato
(secc. XI-XV), cit., p. 502; A. M. PEYLA, La “masona” dei S.S. Simone e Giuda di Budrio di Lon-
giano (FO), «Atti del VI convegno di ricerche templari», Torino 1988, pp. 5-7, 11.
65 A. BRIGIDI, Memorie cronologiche di Longiano, Rimini 1988, p. 62; L. TONINI, Storia

civile e sacra riminese, Rimini 1971, II, pp. 424, 595-596.


I TEMPLARI IN ROMAGNA 543

fu stabilito che il confine dovesse passare per Sasso di Strigara ed il rio


del Faggeto nel Rubicone, il vado di Sant’Apollinare, e da questo alla
strada, tra gli ospedali di Banzola e di Budrio e poi ancora tra Bulgaria
vecchia e nuova, prendendo le mosse dalle Cortine di Branchisio per
arrivare fino al mare 66.
In diversi documenti ricorre dunque la citazione dell’ospedale, pur
senza riferimenti all’Ordine del Tempio, come quello del 27 aprile del
1218 in cui troviamo la dicitura «iuxta clusam hospitalis Budrii» 67.
Troviamo menzione dei Templari nel 1290, in occasione del paga-
mento delle decime che venne effettuato dal precettore della chiesa di
San Michelino di Rimini, Albertino da Reggio. Egli fu infatti il responsa-
bile del primo versamento e del terzo, mentre del secondo si occupò
frate Pietro da Parma, precettore di Budrio. L’anno seguente fu la volta
del suo successore, frate Pasqualino, di adempiere ai pagamenti. I ripe-
tuti interventi da parte della domus riminese a favore di quella di Budrio
inducono a credere che quest’ultima non disponesse di entrate sufficien-
ti, probabilmente a causa di scarsi lasciti e di condizioni climatiche avver-
se ai raccolti, tanto che nel 1292 «frater Pasqualinus […] dixit se nihil
recepisse a primo termine citra» 68.
Torniamo dunque a fare riferimento al documento nonantolano, che
attesta anche la chiesa dei Santi Simone e Giuda tra le mete di fra Atto.
Nella struttura risiedeva ancora fra Giacomo da Modena, appartenente
all’Ordine dei Templari, il quale affermò che avrebbe continuato ad abi-
tare presso la casa e l’ospedale di San Giovanni Gerosolimitano fino al

66 ANGIOLINI (a cura di), Annales Caesenates, cit., pp. 8-9; BIBLIOTECA CIVICA GAMBA-
LUNGA RIMINI (BCRn), Ms. 1160, Liber instrumentorum Comunis Arimini, cc. 7r-11r, citato da
A. TURCHINI, Comune di Rimini e famiglia Malatesta. Gli Archivi antichi, il Liber instrumen-
torum del Comune e dei Malatesta, e scritture in Archivio Segreto Vaticano, Cesena 2009,
pp. 172-174; C. CLEMENTINI, Raccolto istorico della fondazione di Rimino e dell’origine e vite
de’ Malatesti, Bologna 1969, I, pp. 335-340; BCRn, ms. SC-CI.2, L. NARDI, Indice ragionato
delle cose più riservate della biblioteca Gambalunga di Rimino fatto dal bibliotecario canonico
D. Luigi Nardi e terminato nell’anno MDCCCXXVIII, p. 27; FANTUZZI, Monumenti ravennati dei
secoli di mezzo, per la maggior parte inediti, cit., V, p. 301; TONINI, Storia civile e sacra rimine-
se, cit., III, pp. 1-8, 383-392; BRIGIDI, Memorie cronologiche di Longiano, cit., pp. 66-68.
67 ARCHIVIO DI STATO DI RIMINI (ASRn), Pergamene, n. 252.
68 BRIGIDI, Memorie cronologiche di Longiano, cit., p. 87; MERCATI, NASALLI ROCCA,
SELLA (a cura di), Rationes decimarum Italiae dei secoli XIII-XIV: Aemilia, cit., pp. 64, 70, 83,
91, 100, 104; MARIANI, Gli insediamenti degli ordini ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio
nella Romagna del Medio Evo, cit., p. 279; PEYLA, La “masona” dei S.S. Simone e Giuda di Bu-
drio di Longiano (FO), cit., pp. 7-8; TONINI, Storia civile e sacra riminese, cit., III, pp. 668-672.
544 ALESSANDRA PERONI

consenso del priore del detto ospizio. Atto lo incaricò quindi di recarsi a
Cesena «ad mansionem dicti hospitali Ierosolimitani ibi habiturus vic-
tum et vestitum». Nel frattempo l’arcivescovo ravennate intervenne nella
procedura di esproprio stabilendo che l’ospedale passasse ai camaldole-
si del monastero di San Giovanni inter Ambas Paras. Eppure nel 1368
compare come concessione enfiteutica concessa al precettore di San
Michelino in Foro di Rimini, fra Leonardo Francisci di Cividale, per
«ulteriori 50 anni», dato che, portandoci a cinque decenni indietro, pro-
verebbe che la chiesa fu poi concessa ai Gerosolimitani già nel 1318,
quindi dopo soli sei anni dalla controversia. Già in un estimo dei reddi-
ti dei Gerosolimitani del 1331 custodito nell’archivio di Malta e trascrit-
to da Luttrell troviamo infatti il priore della domus cesenate, frate
Bencivenne da Ferrara, come referente anche per la domus Budrii 69.
In merito all’ospedale è degna di nota l’informazione riportata da Ri-
va riguardo alle controversie territoriali tra Sigismondo Pandolfo Mala-
testa e suo fratello Malatesta Novello, soprattutto per quanto concerne-
va i confini di Cesena: scrive infatti che nel 1454 Angelo Gambiglioni di
Arezzo, chiamato ad emettere sentenza in merito, dopo essersi docu-
mentato sulle risoluzioni adottate nel 1205 per ordine del podestà di
Bologna, dovette constatare che uno dei motivi della diatriba sorta tra i
suoi contemporanei derivava dal fatto che gli ospedali delle Banzole e di
Budrio, ancora funzionanti due secoli prima quando avevano costituito
riferimenti ben precisi, erano ormai scomparsi. L’arbitro dunque tentò di
ritrovare i luoghi ove un tempo sorgevano e li individuò nel “terreno ten-
zonato”, che venne dichiarato zona franca 70.

69 ASANo, Serie registri, 5, Protocollo Notaio Bertolino Speciari, c. 11r; BGRn, ms 200,

Garampi, Schede, n. 1063; BRAMATO, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le fondazioni,
cit., p. 99; BRIGIDI, Memorie cronologiche di Longiano, cit., p. 92; CARAVITA, Rinaldo da Con-
correzzo arcivescovo di Ravenna (1303-1321) al tempo di Dante, cit., pp. 161-162; FANTUZZI,
Monumenti ravennati dei secoli di mezzo, per la maggior parte inediti, cit., VI, p. 125; LUTTRELL,
The Hospitaller Priory of Venice in 1331, cit., p. 140; MARIANI, Gli insediamenti degli ordini
ospitalieri lungo le vie di pellegrinaggio nella Romagna del Medio Evo, cit., p. 280; PEYLA, La
“masona” dei S.S. Simone e Giuda di Budrio di Longiano (FO), cit., p. 8; L. TONINI, Rimini dopo
il Mille, Rimini 1975, p. 96.
70 RIVA, Città e territorio, cit., pp. 280-281.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 545

7. Rimini

7.1. San Michelino in Foro

Della piccola chiesa di San Michelino i documenti iniziano a parlare


a partire dalla prima metà del XII secolo, pur trattandosi di una struttura
databile già dalla fine del V secolo o inizi del VI. Le porzioni di muratu-
ra ancora evidenti, sulle quali si possono riscontrare diversi momenti
costruttivi susseguitisi nel corso dei secoli, presentano nello strato più
antico frammenti di materiale lapideo di recupero derivante da strutture
attribuibili al VI secolo, ma se vogliamo prestare fede ai racconti degli
storici locali l’impianto originario sarebbe addirittura di epoca post-
augustea. In diverse opere sulla storia di Rimini infatti si riporta la leg-
genda secondo la quale in quell’area sorgeva l’antico Pantheon cittadino,
la cui presenza nella città verrebbe confermata dal ritrovamento di una
lastra marmorea nel fiume Ausa recante l’iscrizione: PANTHEVM SACRVM
L VICRIVS CYPAERVS SEX VIR ET SEX VIR AVGVSTALIS. Sarebbe stato il vesco-
vo Gaudenzo, divenuto poi patrono della città, a sopprimere nel V seco-
lo tutti i luoghi di culto pagani ancora presenti sul suolo riminese. Che si
voglia credere o meno alla veridicità di questa storia non si può tuttavia
trascurare la nota di Tonini il quale afferma che il pavimento della chie-
sa «fu alzato più volte», nonché gli studi di Rimondini e della Pauselli,
che dimostrano la presenza di una pavimentazione romana ad un livello
notevolmente inferiore. La struttura si affacciava su quello che antica-
mente era il foro romano, attuale piazza Tre Martiri, dal quale venne pro-
gressivamente separata a partire dalla fine del XV secolo con la costru-
zione delle beccherie e poi ancora della torre dell’Orologio 71.
Il primo documento attestante la presenza della chiesa risale al 1144:
si tratta della Bolla del 21 maggio di papa Lucio II con la quale quest’ul-
timo, su richiesta del vescovo Rainerio, confermava al clero riminese i

71 La lastra fu rinvenuta dal medico ed appassionato di storia Giovanni Bianchi, noto

anche con lo pseudonimo di Jano Planco, fortemente convinto dell’autenticità della tavoletta
nonostante la perplessità dei suoi contemporanei. Si veda G. BIANCHI, Raccolta di dissertazio-
ni intorno l’inscrizione del Panteo Sagro d’Arimino, Rimini 1751; C. CLEMENTINI, Raccolto isto-
rico della fondazione di Rimino e dell’origine e vite de’ Malatesti, II, p. 520; V. PAUSELLI, Edilizia
di culto tardoantica: fonti documentarie e indagini archeologiche sul sopravvissuto, in P. NOVARA
(a cura di), Rimini tra tarda antichità e Altomedioevo, Rimini 2004, pp. 56-64; G. RIMONDINI,
L’arcano abita qui, «Il Resto del Carlino», 27 gennaio 1989; TONINI, Rimini dopo il Mille, cit.,
pp. 23, 95; ID., Storia civile e sacra riminese, cit., III, p. 289, 422.
546 ALESSANDRA PERONI

suoi diritti e i suoi beni, elencando perciò le chiese del territorio; in una
pergamena del 3 novembre 1225 si cita invece un Rainerius de hora
Sancti Michaelis, indicazione che ci consente di capire l’importanza della
chiesa nel XIII secolo tale da dare il nome ad un’area cittadina 72.
La presenza templare è tuttavia attestata solo a partire dal 1257, in
documento in cui si legge che
[…] Riclelmus Forliviensis executor et vicarius a Mutinensi episcopo constitutus
in provincia Romandiole et in Marchia Anconitana in negotio domus milicie
Sancti Templi Hierosolimitani – commise al Preposto di Rimini – quatenus com-
pellat singulos in civitate et diocesi Ariminensi ut satisfaciant fratribus dicte
domus usque ad summam X millium marcarum argenti de redemptionibus voto-
rum viarum omnium et crucesignatorum nec non de usuris rapinis et aliis illici-
te aquistis que fideles mandant restitui in ultima voluntate 73.

In una carta del 27 luglio del 1283 si cita più chiaramente un «domi-
nus Ranutius de Florentino sive frater mansionis Templi que [...] mora-
tur apud ecclesiam Sancti Michaelis de Arimino», mentre in un docu-
mento del 1284 troviamo «frater Albertinus de Regio praeceptor domus
militie de Arimino pro ecclesie Sancti Michaelis de Arimino», il quale
compare anche in una pergamena dell’anno seguente. Costui risulta an-
cora precettore negli elenchi delle decime che vanno dal 1290 al 1292,
versando la somma anche per la mansio di Budrio in occasione del primo
e del terzo pagamento del 1290, ponendo così in evidenza la dipenden-
za della chiesa dei Santi Simone e Giuda da quella di San Michelino 74.

72 ASRn, ex Fondo Principale 93 Regesto Nardi; ARCHIVIO VESCOVILE DI RIMINI (AVRn),

perg. n. 275, copia dell’originale realizzata nel XV sec.; F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di
Rimino e de’ suoi signori artatamente scritte ad illustrare la zecca e la moneta riminese, Bologna
1789, pp. 124-125; C. CLEMENTINI, Raccolto istorico della fondazione di Rimino e dell’origine
e vite de’ Malatesti, I, p. 160; O. DELUCCA, L’abitazione riminese nel Quattrocento, La casa cit-
tadina, Rimini 2006, I, pp. 989-990; P. F. KEHR, Italia Pontificia sive Repertorium privilegiorum
et litterarum a romanis pontificibus ante annum 1198, Berolini 1911, p. 158; L. NARDI, Cro-
notassi dei pastori della santa Chiesa Riminese, Rimini 1813, p. 39; TONINI, Storia civile e sacra
riminese, cit., II, pp. 570 ss.; BGRn, Sc-ms 287, M. ZANOTTI, Collezione di Atti e Documenti,
parte II, p. 89.
73 BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi signori artatamente scritte ad illu-

strare la zecca e la moneta riminese, cit., p. 63.


74 Tutti e tre i documenti sono custoditi presso l’ASRn, Fondo diplomatico, D.I. 4, Mi-

scellanea quaderno delle pensioni dell’Ospedale di S. Lazzaro del Terzo; MERCATI, NASALLI
ROCCA, SELLA (a cura di), Rationes decimarum Italiae dei secoli XIII-XIV: Aemilia, cit., pp. 64,
72, 83, 91, 101, 105.
I TEMPLARI IN ROMAGNA 547

Abbiamo poi notizia dell’esproprio cautelare della chiesa avvenuto il


3 dicembre del 1309 in seguito alle inchieste avviate da papa Clemente V
nei confronti dell’Ordine. Nel documento si riporta come
[…] Henricus, abbas monasterii Sancte Marie in Cosmedin Ravennatis, et Hen-
ricus, plebanus de Lardença, Pisane diocesis, procuratres dominorum R(ainal-
di), Ravennatis, et fratris I(ohannis), Pisani, archiepiscoporum, curatorum et
administratorum omnium bonorum ordinis milicie Templi Ierosolimitani in pro-
vincia Romaniole et aliarum parcium, ornamenta et alia utensilia ecclesie Sancti
Michaelis de Arimino, ordinis predicti, ut in inventario continetur, presbytero
Gaudencio, capellano ibidem, in custodiam consignarunt et mandaverunt
eidem, quod hodie per totam diem asignet dictas res duobus parochianis ipsius
ecclesie et maxime Sampirolo, eiusdem ecclesie parochiano 75.

Nel 1310 seguì l’interrogatorio cesenate dei due Templari di San


Michelino, Giovanni da Todi e Andrea da Siena, che ci fornisce nume-
rose indicazioni sulla vita della mansio di Rimini: il
[…] presbiter Iohannes de Tuderto [...] Interrogatus quot fuerunt plures fratres
in conventu seu loco, ubi moram contraxit ex quo fuit professus ordinem illum,
respondit quod tres»; riguardo all’articolo «Item quod elimosine» egli rispose
che «numquam fuit ultra mare, nec contraxit moram in aliquo loco ordinis, nisi
in Arimino» e più avanti affermò che «in Arimino, ubi morabatur, fiebat die
dominico elimosina generalis et aliis diebus dabatur omnibus petentibus panis;
et, si qui forenses venissent ad domum, curialiter recipiebantur 76.

Il 7 agosto 1312 frate Atto ricevette la chiesa dal subsecutore Filippo,


dopo aver ammonito Malatestino Malatesta il quale sembra avesse
approfittato del congelamento dei beni templari per impossessarsene
indebitamente; la chiesa passò dunque ai Giovanniti, ai quali rimase fino
alla soppressione avvenuta nel 1806 e confermata poi nel 1809 77.
Ad oggi è ancora visibile la parte absidale della struttura, all’interno
della quale si conservano ancora tracce di affreschi pregiotteschi e sette-
centeschi.

75 Paris, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 2573, n. 92 (2), citato da F. TOMMASI, Interroga-

torio di Templari a Cesena (1310), in ID. (a cura di), Acri 1291: la fine della presenza degli ordi-
ni militari in Terra Santa e i nuovi ordinamenti nel XIV secolo, Perugia 1996, p. 300.
76 Ivi, pp. 288, 291.
77 ASANo, Serie registri, 5, Protocollo Notaio Bertolino Speciari, c. 12r.
548 ALESSANDRA PERONI

8. Conclusioni

Lo studio delle fonti superstiti suggerisce una modalità d’insedia-


mento che sembra aver preso avvio da Piacenza e Bologna per avvicinarsi
all’Adriatico e da questo alla Terrasanta, unitamente alla volontà di man-
tenere i legami con i percorsi in direzione degli Appennini verso la
Toscana e Roma, con particolare attenzione alla scelta, ove possibile, di
luoghi particolarmente strategici: un’impostazione che riflette la volontà
di distribuirsi in maniera razionale sul territorio, anche in relazione agli
altri Ordini religiosi, primo tra tutti quello giovannita.
Una cronologia degli insediamenti risulta tuttavia ardua in quanto,
come si è visto, i documenti attestanti la presenza dei milites Templi nelle
mansiones romagnole risalgono prevalentemente alla seconda metà del
Duecento. Il testamento cesenate del 1169 così come la bolla in favore
dei Templari emanata a Rimini da papa Lucio III nel luglio del 1184, sep-
pur privi di riferimenti precisi in loco, mantengono però aperta la que-
stione, suggerendo l’ipotesi che l’Ordine fosse già presente sul territorio
dalla seconda metà del XII secolo 78.

78 TONINI, Storia civile e sacra riminese, cit., II, pp. 372-373; NARDI, Cronotassi dei pasto-

ri della santa Chiesa riminese, cit., p. 100; BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi
signori artatamente scritte ad illustrare la zecca e la moneta riminese, cit., p. 126.

Potrebbero piacerti anche