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Fonti storiche non cristiane su Ges

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Ritratto di Ges, fine del IV-inizio del V secolo, catacombe di Commodilla, Roma. I testi di autori non cristiani su Ges sono parte delle fonti utilizzate nella ricerca sulla storicit di Ges: si tratta di testi di autori greci, romani ed ebrei in gran parte risalenti al II secolo. Le fonti antiche non cristiane sono in generale meno numerose e dettagliate dei testi cristiani su Ges, ma consentono al tempo stesso di attingere a risorse indipendenti e di documentare l'atteggiamento dei contemporanei verso la vita di Ges[1].
Indice
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1 Testi di origine ebraica o 1.1 Giuseppe Flavio, "Antichit giudaiche" o 1.2 Giustino, in "Dialogo col giudeo Trifone" o 1.3 Il Talmud di Babilonia o 1.4 Le Diciotto Benedizioni 2 Testi di origine romana o 2.1 Corrispondenza tra Plinio il Giovane e l'imperatore Traiano o 2.2 Svetonio in "Vita dei dodici Cesari" o 2.3 Cornelio Tacito negli "Annales" o 2.4 Tiberio, riportato da Tertulliano o 2.5 Lo scritto dell'imperatore Adriano o 2.6 L'imperatore Marco Aurelio in "A se stesso" o 2.7 Lettera di Publio Lentulo o 2.8 Orazione di Frontone o 2.9 Il Satyricon di Petronio 3 Testi di origine greca o 3.1 Epitteto in "Dissertazioni" di Arriano o 3.2 Galeno in "Historia anteislamica" di Abulfida o 3.3 Lettera di Mara Bar Sarapion o 3.4 Luciano di Samostata

o 3.5 Celso in "Discorso Veritiero" 4 Note 5 Voci correlate

Testi di origine ebraica [modifica]


Giuseppe Flavio, "Antichit giudaiche" [modifica]

Edizione del 1552 di "Antichit Giudaiche" Riferimenti a Ges sono presenti in alcuni passi delle Antichit giudaiche, un'opera scritta dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (c.37 - c.100) nel 93 e dedicata alla storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66. Nel testo tramandato ci sono tre riferimenti a Ges e ai cristiani: il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119); il secondo la morte di Giacomo il Giusto, che Flavio Giuseppe qualifica come fratello di Ges chiamato il Cristo (XX, 200); il terzo, il pi noto, conosciuto come Testimonium Flavianum (XVIII, 63-64). In particolare il secondo brano recita:

Cos (il sommo sacerdote Anano) convoc igiudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un
(Flavio Giuseppe, Antichit giudaiche, XX, 200)

uomo di nome Giacomo, fratello di Ges, che era soprannominato Cristo, e certi altri, con l'accusa di avere trasgredito la Legge, e li consegn perch fossero lapidati.

Il testo, che contiene alcune informazioni sintetiche su Ges (il nome, il titolo con cui era conosciuto, il nome e la sorte di un suo fratello), si presenta come genuino e non pone particolari problemi agli storici. Pi complessa invece la valutazione del terzo brano, noto appunto come Testimonium Flavianum, che afferma:

Ci fu verso questo tempo Ges, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore

di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verit, ed attir a s molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo pun di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo gi annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non venuta meno la trib di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. (Giuseppe Flavio, Antichit giudaiche, XVIII, 63-64. In corsivo i principali passi che potrebbero essere stati aggiunti successivamente al testo originale)

Su questo terzo passo, il Testimonium Flavianum, il giudizio degli studiosi da tempo molto vario[2]. Molti studiosi ritengono che il testo sia stato rielaborato da copisti medioevali inserendo alcune note, in particolare sulla natura divina di Ges e sulla sua risurrezione, in modo da allineare il contenuto con l'insegnamnento della Chiesa[3]. Alcuni studiosi lo ritengono comunque integralmente autentico[4] o al contrario interamente oggetto di interpolazione[5]. Nei primi anni 70 per, grazie agli studi del filologo ebreo Shlomo Pines, professore all'Universit di Gerusalemme, stata trovata la forma originaria del Testimonium Flavianum, una forma diversa, contestualizzata all'interno della "Storia Universale " di Agapio di Ierapoli, uno storico di lingua araba vissuto nel X secolo. Tale citazione del Testimonium, non edulcorata e non interpolata, evidenzia come Giuseppe Flavio, senza entrare nel merito della divinit di Ges, ne parli come personaggio storico realmente esistito[6].

Giustino, in "Dialogo col giudeo Trifone" [modifica]


Giustino di Nablus (100-162/168), nel Dialogo col giudeo Trifone, riporta un avvertimento che sarebbe stato inviato dagli ebrei della Terra d'Israele a quelli della diaspora.[7]

sorta un'eresia senza Dio e senza Legge da un certo Ges, impostore Galileo; dopo che noi lo

avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che sia risorto dai morti ed asceso al cielo (Trifone, CVIII, 2)

probabile che Giustino si sia servito di un artificio retorico per riportare l'opinione dei giudei del suo tempo a proposito dei cristiani.

Il Talmud di Babilonia [modifica]

Moderni volumi del Talmud di Babilonia Il Talmud di Babilonia, testo ebraico che raccoglie tradizioni molto antiche e messo per iscritto nel V-VI secolo, contiene un riferimento a Ges, nel quale si dice che egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua perch "praticava la stregoneria". Questo sembrerebbe confermare che Ges abbia compiuto dei prodigi, che i suoi avversari attribuivano all'opera del demonio. Esistono peraltro scarsissimi documenti storici relativi all'era del Secondo Tempio: a parte i lavori di Giuseppe Flavio, il pi antico testo del periodo, da ricordare la Mishnah, che comunque pi un codice di leggi piuttosto che un registro di procedimenti giudiziari o un testo di storia generale. Dai documenti giudaici del periodo, sia orali che scritti, venne compilato il Talmud, una collezione di dibattiti legali e di aneddoti che riempiono trenta volumi. In essi non vi menzionato mai il nome Ges (ebraico Yehoshuah): il riferimento pi vicino il nome Yeshu presente nel Talmud di Babilonia e riferito ad uno o pi individui, oltre a designazioni inderette e tramite epiteti[8]. La descrizione di Yeshu non corrisponde comunque a quella cristiana di Ges; inoltre si pensa che la parola sia piuttosto un acronimo di yemach shemo vezichro ("sia cancellato il suo nome e la sua memoria") che indica chi cerca di convertire i Giudei dal Giudaismo. Per giunta, il termine non compare nella versione di Gerusalemme del testo, che ci si aspetterebbe menzionasse Ges maggiormente rispetto alla versione di Babilonia. Occorre comunque tener conto che l'esiguit dei riferimenti a Ges negli scritti talmudici potrebbe semplicemente essere dovuto al fatto che il Cristianesimo fosse ancora una realt di minore importanza ai tempi in cui la maggior parte del Talmud stato redatto, unito al fatto che il testo stato concepito pi per insegnare la legge che come manuale storico.

Le Diciotto Benedizioni [modifica]


In una delle redazioni pervenute delle "Diciotto Benedizioni", testo liturgico ebraico, compare un riferimento ai cristiani (o "nazareni")

Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio

dell'usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani (nserm) e gli eretici (minim): siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti

La preghiera, chiamata Birkat Ha Minim, risale alla fine del I secolo, ma non chiaro quando sia esattamente stato inserito il riferimento ai cristiani, visto che le altre redazioni del testo menzionano solo "gli eretici" [9].

Testi di origine romana [modifica]


Corrispondenza tra Plinio il Giovane e l'imperatore Traiano [modifica]
Circa nel 112, in una lettera[10] tra l'imperatore Traiano e il governatore delle province del Ponto e della Bitinia Plinio il Giovane, viene fatto un riferimento ai cristiani. Plinio chiede all'imperatore come comportarsi verso i cristiani che rifiutano di adorare l'imperatore e pregano "Cristo" come dio.

I Cristiani... Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'esser soliti riunirsi
prima dell'alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere n furti, n frodi, n adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. (Plinio il giovane a Traiano imperatore, Lettere 10.96 97)

Il testo si limita a indicare Cristo come persona (venerata quasi deo), ma non fornisce ulteriori informazioni dirette su Ges: Charles Guignebert ha quindi evidenziato come questo breve passaggio non fornisca, da solo, elementi utili a definire i contorni della sua figura storica[11][12]. La lettera documenta piuttosto la diffusione delle prime comunit cristiane e l'atteggiamento dell'amministrazione romana nei loro confronti[13]. Nella sua risposta a Plinio, che li considera colpevoli di una deplorevole superstitio[14], Traiano dispone che i Cristiani non debbano essere ricercati dalle autorit, ma possano essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purch non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.

Svetonio in "Vita dei dodici Cesari" [modifica]


Lo storico Svetonio (70-122), nella sua opera dedicata alle Vite dei dodici Cesari (112), scrive di "giudei, che, istigati da Cresto (sic) durante il regno di Claudio avevano provocato dei tumulti", e che perci l'imperatore aveva espulsi da Roma. Questo passo, comunque, testimonia la presenza di cristiani a Roma in epoca molto antica (Claudio mor nel 54)[15], anche se l'utilizzo del termine cristiani per indicare i seguaci di Ges a Roma probabilmente pi tardo[16].
(LA) (IT)

Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit


(Gaio Svetonio, Vite dei dodici cesari)

Dato che i Giudei, istigati da Cresto,

provocavano costantemente dei tumulti, [Claudio] li espulse da Roma.

Chrestus pu essere interpretato come una distorsione del nome Christus (Cristo) e quindi un possibile riferimento a Ges. Il termine Chrestus appare infatti anche in testi successivi riferito a Ges: un errore di scrittura quindi plausibile, anche perch forse le due parole in greco antico venivano pronunciate in modo identico, il che pu aver influito nella redazione del testo. Del resto a

quel tempo i termini crestiani e cristiani venivano usati comunemente e con lo stesso significato, cos come documentato, ad esempio, da Tertulliano[17]. Secondo alcuni studiosi la scelta delle parole nel passo di Svetonio sembra per implicare la presenza di "Chrestus" a Roma nell'anno 54 dopo Cristo: in questo caso l'identificazione con Ges sarebbe molto improbabile. Chrestus era inoltre un nome comune tra gli schiavi a Roma, significava buono o utile, ed il passo tratta di una rivolta di schiavi. L'interpretazione del passo quindi, nel complesso, controversa[18][19]. Oltre al passo citato, Svetonio nelle sue opere fa inoltre un riferimento ai cristiani nella sua Vita di Nerone:

sottopose a supplizio i Cristiani, razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica


(Vita Neronis XVI, 2)

Cornelio Tacito negli "Annales" [modifica]

Publio (o Gaio) Cornelio Tacito, conosciuto semplicemente come Tacito (55 - 117), oratore, avvocato e senatore romano, considerato uno degli storici pi importanti dell'antichit. Il nome di Cristo viene citato dallo storico latino Tacito (56-123) nel quindicesimo libro degli Annali, quando narra della persecuzione dei cristiani ad opera di Nerone: egli afferma che i cristiani avevano avuto origine da Cristo, il quale era stato condannato a morte sotto Ponzio Pilato[20]. Tacito scrive due paragrafi che menzionano Cristo e i Cristiani nel 116. Il primo afferma che alcuni cristiani erano presenti a Roma al tempo dell'imperatore Nerone (dal 54 al 68) e che egli, per evitare di essere accusato dell'incendio di Roma del 64 li incolp:
(LA) (IT)

subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit,


quos per flagitia invisos vulgus Chrestianos

ne present come rei e colp con supplizi

raffinatissmi coloro che il volgo, odiandoli per i

appellabat. (Annales, XV, 44)

loro delitti, chiamava Crestiani.

Il secondo che la fede cristiana si era diffusa a Roma e in Giudea e che 'Crist fu messo a morte dal 'procuratore Ponzio Pilato'.
(LA) (IT)

Auctor nominis eius Christus Tiberio

imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam, quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. (Annales, XV, 44)

L'autore di questa denominazione, Cristo,

sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose

La descrizione del cristianesimo fatta in chiave decisamente negativa, bollata come "pericolosa superstizione" e "primitiva e immorale", cosicch improbabile che il testo sia un'interpolazione di epoca cristiana. Tacito si riferisce semplicemente a 'Crist - traduzione dal greco della parola ebraica "Messia" invece di nominare esplicitamente "Ges", e attribuisce a Ponzio Pilato la precisa carica di procuratore, carica differente sia da quelle menzionate nei Vangeli di prefetto e governatore, sia da quella attestata da evidenze archeologiche (un'iscrizione riporta che Pilato era prefetto). Nel secondo paragrafo esprime il suo giudizio negativo sulla diffusione del cristianesimo. Alcuni studiosi ritengono che Tacito si basi comunque su fonti cristiane, mentre altri, tra cui Karl Adam, ritengono che Tacito, come nemico dei cristiani e storico, abbia investigato sull'esecuzione di Ges prima di riportarne la notizia. Una minoranza di studiosi ipotizza che il passo sia stato falsificato.

Tiberio, riportato da Tertulliano [modifica]


Tertulliano (150-220) fa cenno nell'Apologetico al fatto che l'imperatore Tiberio avrebbe proposto al Senato romano di riconoscere Ges come dio (i romani spesso incorporavano nel loro pantheon le divinit dei popoli da loro sottomessi). La proposta fu respinta il che, secondo l'autore, costitu la base giuridica per le successive persecuzioni dei cristiani, seguaci di un "culto illecito". Un frammento porfiriano (fr. 64 von Harnack) conferma la notizia di Tertulliano[21], Apol. 5, 2 sul senatoconsulto del tempo di Tiberio che, rifiutando la proposta dellimperatore di riconoscere il Cristianesimo, faceva di questa religione una superstitio illicita, i cui seguaci potevano essere messi a morte come tali. Non tutti gli storici sono concordi nel ritenere attendibile la notizia poich potrebbe essere stata sia inventata dallo stesso Tertulliano (spesso acceso nel sostenere le proprie tesi, ma con l'attenuante di scrivere oltre 160 anni dopo i presunti fatti, a Cartagine e in un periodo di persecuzioni), sia alterata successivamente. Secondo invece lo storico ebreo Edoardo Volterra, Tertulliano appunto perch cristiano in anni di persecuzioni, non aveva alcun interesse a inventare l'esistenza di un senatoconsulto che aveva dichiarato il cristianesimo una "superstitio illicita". Anzi, aveva l'interesse opposto. Proprio l'esistenza di quel senatoconsulto infatti rendeva legali le persecuzioni contro i cristiani.

Lo scritto dell'imperatore Adriano [modifica]


Per approfondire, vedi la voce Rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano.

Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica, riporta la risposta dell'imperatore Adriano al proconsole della provincia d'Asia Quinto Licinio Silvano Graniano che in una lettera aveva richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani che fossero stati oggetto di delazioni anonime o accuse[22].

Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani,
in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. infatti assai pi opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravit del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravit e abbi cura di punirlo (Eusebio, Hist. Eccl., IV.9, 2-3)

La risposta era indirizzata a Caio Minucio Fundano, nuovo proconsole d'Asia, che fu in carica dal 122 al 123.

L'imperatore Marco Aurelio in "A se stesso" [modifica]


Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, in un'opera intitolata "A se stesso" riporta un accenno ai cristiani[23].

Oh, come bella l'anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o

estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralit (Ad sem. XI, 3)

Lettera di Publio Lentulo [modifica]


Per approfondire, vedi la voce lettera di Publio Lentulo.

La lettera di Publio Lentulo un presunto rapporto di un procuratore romano in Giudea, nel quale egli riferirebbe a Tiberio di Ges, descrivendone anche l'aspetto fisico. Tutti gli storici concordano per che si tratti di un falso di epoca molto posteriore; Publio Lentulo, a quanto si sa, non mai esistito.

Orazione di Frontone [modifica]


Minucio Felice, nel suo Octavius (II secolo), cita un'Orazione contro i Cristiani di Marco Cornelio Frontone[24], definendo quest'ultimo "non un teste diretto che arrechi la sua testimonianza, ma solo un declamatore che volle scagliare uningiuria"[25], a causa delle sue accuse infamanti verso i cristiani. L'invettiva, che aveva l'obiettivo di aizzare la popolazione contro i seguaci della nuova

religione, va infatti probabilmente inserita nel quadro delle persecuzioni contri i cristiani condotte sotto il regno di Marco Aurelio (161-180)[26]. Risalgono a quel periodo, in particolare, gli episodi di violenza popolare contro i cristiani di Smirne, Vienne (Vienna) e Lugundum (Lione)[27]. L'orazione pu essere ricostruita, a grandi linee, in base alle citazioni[28].
(LA) (IT)

Qui de ultima faece collectis imperitioribus et

mulieribus credulis sexus sui facilitate labentibus plebem profanae coniurationis instituunt, quae nocturnis congregationibus et ieiuniis sollemnibus et inhumanis cibis non sacro quodam, sed piaculo foederatur, latebrosa et lucifuga natio, in publicum muta, in angulis garrula, templa ut busta despiciunt, deos despuunt, rident sacra, miserentur miseri (si fas est) sacerdotum, honores et purpuras despiciunt, ipsi seminudi! [...] Occultis se notis et insignibus noscunt et amant mutuo paene antequam noverint: passim etiam inter eos velut quaedam libidinum religio miscetur, ac se promisce appellant fratres et sorores, ut etiam non insolens stuprum intercessione sacri nominis fiat incestum. Ita eorum vana et demens superstitio sceleribus gloriatur. Nec de ipsis, nisi subsisteret veritas, maxime nefaria et honore praefanda sagax fama loqueretur. Audio eos turpissimae pecudis caput asini consecratum inepta nescio qua persuasione venerari: digna et nata religio talibus moribus! Alii eos ferunt ipsius antistitis ac sacerdotis colere genitalia et quasi parentis sui adorare naturam: nescio an falsa, certe occultis ac nocturnis sacris adposita suspicio! Et qui hominem summo supplicio pro facinore punitum et crucis ligna feralia eorum caerimonias fabulatur, congruentia perditis sceleratisque tribuit altaria, ut id colant quod merentur. Iam de initiandis tirunculis fabula tam detestanda quam nota est. Infans farre contectus, ut decipiat incautos, adponitur ei qui sacris inbuatur. Is infans a tirunculo farris superficie quasi ad innoxios ictus provocato caecis occultisque vulneribus occiditur. Huius, pro nefas! sitienter sanguinem lambunt, huius certatim membra dispertiunt, hac foederantur hostia, hac conscientia sceleris ad silentium mutuum pignerantur. Haec sacra sacrilegiis omnibus taetriora. Et de convivio notum est; passim omnes locuntur, id etiam Cirtensis nostri testatur oratio. Ad epulas sollemni die coeunt cum omnibus liberis, sororibus, matribus, sexus omnis homines et omnis aetatis. Illic post multas epulas, ubi convivium caluit et incestae libidinis

Essi, raccogliendo dalla feccia pi ignobile i

pi ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne, sacri digiuni o banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scellerataggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se lecito dirlo), disprezzano le dignit e le porpore, essi che sono quasi nudi! [] Si riconoscono con contrassegni e segnali e si amano vicendevolmente quasi prima di essersi conosciuti: regna infatti tra loro una specie di religiosit di sfrenatezze, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicch, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. Cos la loro vana e stolta superstizione si vanta dei delitti. Riguardo a loro, se non ci fosse un fondo di verit, non circolerebbe una penetrante diceria cos tremenda, della cui ci si debba scusare prima di parlarne. Sento dire che venerano la testa consacrata di una bestia sconcia, un asino, non saprei per quale convincimento: religione degna e nata con comportamenti del genere! Altri raccontano che essi venerano e adorano i genitali dello stesso celebrante e sacerdote, quasi ad adorare la natura di chi li ha generati: non so se il sospetto falso, ma di certo si sostiene sul carattere dei loro riti occulti e notturni! E chi ci dice che il loro culto riguarda un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e i lugubri legni della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, ascrive a quei corrotti e scellerati gli altari che pi ad essi convengono, perch adorino ci che si meritano. Quanto alla iniziazione dei novizi, la diceria tanto esecrabile quanto risaputa. Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli incauti, viene posto innanzi a colui che devessere introdotto ai riti. Invitato questi a infliggere colpi come se fossero inoffensivi, il bambino viene ucciso dal novizio con ferite inferte alla

ebriatis fervor exarsit, canis qui candelabro nexus est, iactu offulae ultra spatium lineae, qua vinctus est, ad impetum et saltum provocatur. Sic everso et extincto conscio lumine inpudentibus tenebris nexus infandae cupiditatis involvunt per incertum sortis, etsi non omnes opera, conscientia tamen pariter incesti, quoniam voto universorum adpetitur quicquid accidere potest in actu singulorum

cieca e senza consapevolezza, visto che in superficie c' la farina. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidit il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e su questa vittima stringono un patto, si impegnano reciprocamente al silenzio a motivo della complicit in quel delitto. Questi i loro riti, pi funesti di tutti i sacrilegi. Il loro banchetto, ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente unorazione del nostro retore di Cirta. Si riuniscono a banchetto in un giorno solenne con tutti i figli, le sorelle, le madri, persone di ogni sesso e di ogni et. L, dopo un lauto banchetto, quando i convitati si sono riscaldati e, tra i fumi del vino, la febbre di una libidine incestuosa li brucia, un cane che legato a un candelabro viene aizzato grazie al lancio di una focaccia, perch si lanci e faccia un balzo al di l del limite consentitogli. Cos, una volta estinto il lume che rendeva tutto consapevole, essi stringono gli amplessi di una nefasta cupidigia nelle tenebre che ignorano il pudore, affidandosi alla sorte, tutti incestuosi, se non nelle azioni, almeno nella coscienza, poich nel desiderio tutti mirano a quello che pu accadere ad alcuni

(Octavius VIII,4-IX,7 [29])

Il Satyricon di Petronio [modifica]


Non c' accordo tra gli storici sui possibili riferimenti ai cristiani e al vangelo di Marco nel Satyricon[30] di Petronio Arbitro.

Porta anche dell'unguento e un assaggio da quell'anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa

[...] Subito apr l'ampolla del nardo, unse tutti noi e disse Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo. Poi comand che fosse infuso del vino in una brocca e disse Fate come se foste stati invitati ai miei funerali

Questo passo ha delle somiglianze con il vangelo di Marco:

Ges si trovava a Betnia nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse
una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e vers l'unguento sul suo capo. [...]"Essa ha fatto ci ch'era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura." (Marco 14,3-9)

Un altro passo che potrebbe avere riferimenti evangelici:

Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cant. Turbato da quella voce, Trimalcione

comand che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi pass l'anello nella mano destra e disse: Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovr scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovr morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porter questo accusatore ricever un premio. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordin venisse cotto in pentola (Satyricon LXXIV, 1-4)

Il canto del gallo visto come un segno di sciagura, contrariamente alla tradizione greca e romana in cui il canto del gallo simboleggia la vittoria ma simile all'episodio del tradimento di Pietro descritto in tutti i quattro vangeli canonici (mostra). Anche il racconto della matrona di Efeso pu essere significativo.

Una matrona di Efeso, [...] avendo perso il marito, [...] segu il defunto persino nel sepolcro. [...]

Nello stesso tempo il governatore della provincia comand che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinch nessuno togliesse i corpi per seppellirli, not un lume splendere tra le tombe e ud il gemito di qualcuno che piangeva [...] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. [...] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. [...] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono gi di notte l'appeso e gli resero l'estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato [...] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccont alla donna quello che era successo. [...] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall'arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfitt dell'ingegno dell'avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce (Sat. CXI-CXII)

Tutte questi passi possono comunque essere interpretati in modo indipendente dai vangeli, oppure si possono interpretare i vangeli come dipendenti da Petronio; peraltro se si accetta la possibilit che esista un rapporto tra il Satyricon il cristianesimo altri passi possono essere letti in modo simile.

Testi di origine greca [modifica]


Epitteto in "Dissertazioni" di Arriano [modifica]
In "Dissertazioni" del filosofo stoico Arriano (95 circa 175 ca) riportato uno degli insegnamenti del suo maestro Epitteto, che parlando della morte, indica i "galilei" (intendendo probabilmente i cristiani) come persone che non ne hanno paura[31].

Anche per follia uno pu resistere a quelle cose (atti compiuti dai tiranni, ndr.), o per ostinazione, come i Galilei
(Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6)

Galeno in "Historia anteislamica" di Abulfida [modifica]

Abulfida nella "Historia anteislamica" riporta un giudizio di Galeno (129 216) sui cristiani[32].

I pi tra gli uomini non sono in grado di comprendere con la mente un discorso dimostrativo

consequenziale, per cui hanno bisogno, per essere educati, di miti. Cos vediamo nel nostro tempo quegli uomini chiamati Cristiani trarre la propria fede dai miti. Essi, tuttavia, compiono le medesime azioni dei veri filosofi. Infatti, che disprezzino la morte e che, spinti da una sorta di ritegno, aborriscano i piaceri carnali, lo abbiamo tutti davanti agli occhi. Vi sono infatti tra loro sia uomini che donne i quali per tutta la vita si sono astenuti dai rapporti; e vi sono anche coloro che sono a tal punto progrediti nel dominare e dirigere gli animi, e nella pi tenace ricerca della virt, da non cedere in nulla ai veri filosofi (De sentent. Pol. Plat[33])

Galeno non ha solo una visione positiva dei cristiani:

Nessuno subito da principio, come se fosse pervenuto alla dottrina di Mos o Cristo, ascolti leggi
indimostrate, nelle quali non si deve per nulla credere [...] Infatti si potrebbero dissuadere prima quelli che provengono da Mos e Cristo, che non i medici o i filosofi, i quali si sono consumati sui loro principi (De differentia pulsuum libri quattuor II, 4 e III, 3)

Lettera di Mara Bar Sarapion [modifica]


Per approfondire, vedi la voce lettera di Mara Bar Serapion.

La lettera di Mara Bar Serapion fu scritta da Mara bar Sarapion, uno stoico siriano che si trovata in un prigione romana, a suo figlio; la lettera stata variamente datata dal 73 al 260.[34]. In questa lettera si tratta dell'uccisione di tre uomini saggi della storia e uno di questi stato da alcuni identificato con Ges:

A che cosa servito ai giudei uccidere il loro saggio re, visto che il regno stato poi tolto loro. [...]
Socrate non morto, grazie a Platone; n Pitagora, per la statua di Hera. Nemmeno il saggio re, per la nuova legge che ha dato

Luciano di Samostata [modifica]


Luciano di Samostata (120 circa 186 ca) riporta il suicidio di Peregrino Proteo facendo vari accenni ai cristiani ed al loro "primo legislatore"[35].

Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina

i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d'occhio li fece apparire tutti bambini, poich egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l'uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione. [...] Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l'eternit, per cui

disprezzano la morte e i pi si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoch abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, pu subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi (De morte Per. XI-XIII)

Celso in "Discorso Veritiero" [modifica]


Il filosofo Celso, nel II secolo, polemizza contro i cristiani nella sua opera "Discorso Veritiero" (Aleths lgos). Questo scritto ci pervenuto attraverso il "Contra Celsum" di Origene, in cui l'autore riporta molti passi per confutarli[36]. In alcuni dei passi tratta direttamente di Ges, ad esempio:

Spinto dalla miseria and in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di
(Aleths lgos, I, 28)

quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, torn dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclam da solo Dio a motivo di esse

Ges raccolse attorno a s dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e l, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste
(Aleths lgos, I, 62)

Colui al quale avete dato il nome di Ges in realt non era che il capo di una banda di briganti i cui
miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verit che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilit. noto a tutti che ci che avete scritto il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate (Celso, Contro i Cristiani, traduzione, premessa e note di Rizzo S., Biblioteca Universale Rizzoli, 1989 )

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