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Giuditta e Oloferne

Quando il femminile è pericoloso


Storia del tema
Il tema si Giuditta e Oloferne si riprende dal racconto biblico di
Giuditta, che in ebraico significa lodata o ebrea, ed è la
trasformazione in femminile di Giuda. Il racconto è presente nei
testi deuterocanonici, infatti la religione ebraica non riconosce
codesto racconto nei suoi testi sacri.
Si narra che Giuditta liberò la città di Betulia dagli Assiri del re
Nabucodonosor. Ella si invaghì del generale nemico Oloferne, tanto
che lo trattenne con sé in un banchetto. Vedendolo ubriaco,
Giuditta decapitò Oloferne e fece ritorno in città. Gli Assiri si
spaventarono per la morte del loro generale e vennero messi in
fuga dai Giudei.
Riprendendo i temi del racconto, nell’arte Giuditta viene
rappresentata come un’eroina che riesce a sconfiggere l’invasore
maschile tramite seduzione e violenza basata sul senso amoroso.
Gli artisti che hanno ripreso il racconto di Giuditta e Oloferne
vanno da Rinascimento, con Donatello, al periodo del Barocco,
senza dimenticare che rimarrà popolare anche nel periodo del
Neoclassicismo. Ogni tela possiede la stesso tema ma viene
interpretato in chiave diversa in base al periodo.
Donatello

La prima rappresentazione del racconto di Giuditta e Oloferne


proviene dal lavoro dell’artista rinascimentale Donatello, il quale
fabbrica una statua bronzea tra il 1453 e il 1457.
L’idea originale di Donatello nel rappresentare figure provenienti da
iconografie cristiane libere da strutture architettoniche ne sancirà il
suo successo, come in codesta statua, commissionata da Cosimo de
Medici.
La struttura dell’opera è piramidale e rappresenta il momento in cui
Giuditta sferra il secondo colpo di spada per staccare la testa di
Oloferne. Descritto nudo, in maniera anatomica, e con un panneggio
di capelli selvaggi, Oloferne rappresenta i vizi descritti dalla Bibbia,
facendo caso anche ai vari gioielli che indossa. Diametricamente
opposto a lui, Giuditta rappresenta, grazie alla chioma perfetta e alle
vesti sobrie e lisce, ella rappresenta le virtù dell’uomo e riprende il
destino degli eroi tragici, poiché lei disobbedisce al comandamento di
“non uccidere” per salvare il suo popolo.
Sandro Botticelli

Il Ritorno di Giuditta a Betulia è un dipinto di Sandro


Botticelli datato 1472, facente parte del dittico delle Storie
di Giuditta. Esso è una delle prime opere di Botticelli, e in
esso si nota lo stile dell’artista che assumerà nel resto della
sua vita.
Nella prima opera, la Scoperta del cadavere di Oloferne, vi
si è la scoperta del corpo senza testa di Oloferne, con luce
abbondante verso il corpo e un’aura cupa nella tenda;
invece tutto questo scompare nel secondo panneggio, dove
Giuditta e la sua serva, la quale porta la testa di Oloferne,
scappano girandosi indietro per vedere se non erano seguite.
Infatti i colori diventano più chiari e le vesti, insieme ai
copri, sembrano fluttuare. In entrambi i panneggi, vi si è una
grande drammaticità e attenzione minuziosa ai dettagli.
Mantegna
Tradizionalmente attribuita ad Andrea Mantegna sebbene non tutti i critici siano
d’accordo.
La trattazione che ne ha fatto Mantegna è forse quella meno drammatica, meno
sanguinolenta. La sua è una versione molto aderente al testo biblico. L’uccisione è già
avvenuta. La fantesca sta aiutando Giuditta ad infilare nel sacco il macabro bottino.
La resa delle figure, soprattutto della protagonista, è fortemente scultorea. Di
Oloferne oltre la testa vista di nuca vediamo un piede sul ricco letto dorato. Tutto
qui. La serva anziana, abbigliata con pantaloni e veste con un vago accenno orientale,
è una figura di complemento.
Giuditta è la protagonista. La donna elegantemente abbigliata con una veste bianca e
un mantello di colore blu, mentre porge la testa alla serva, volge lo sguardo
malinconico altrove. Non c’è patos in realtà, non c’è orrore o ribrezzo nel suo
sguardo. La testa non ha peso, il sangue non colora. L’azione è come bloccata in quel
preciso istante. Sembra quasi una sacra rappresentazione. La tenda rosa alle spalle
delle due donne amplifica il senso scenico fungendo da sipario.
C’è un ricordo pierfrancescano in questa tenda e nella chiarezza della scena (Il Sogno
di Costantino, ciclo Le Storie della vera Croce, Chiesa di San Francesco, Arezzo), le
cui opere aveva sicuramente conosciuto a Ferrara tra il 1449 e il 1451.
Giorgione

Giorgione decide di rappresentare, nel 1504,


Giuditta in Giuditta con la testa di Oloferne, ed essa
fa parte del periodo giovanile di Giorgione.
La tela è verticale e rappresenta Giuditta, con vesti
rosate, che tiene una spada, con il quale ha
decapitato Oloferne, il quale lo tiene sotto la pianta
del piede. La posa è riconducibile alle opere
classiche, per l’ispirazione rinascimentale, ma l’uso
dei colori richiama al tonalismo veneto.
Giorgione sfrutta lo sfondo architettonico per dare
maggiore importanza al soggetto, infatti pone una
quercia dietro a Giuditta.
Michelangelo

Oltre alle tele e alle statue, il tema di Giuditta viene ripreso


anche negli affreschi di Michelangelo, come testimonia la
Cappella Sistina. Infatti, in una lunetta, è presente il racconto di
Giuditta e Oloferne, datato nel 1508.
Essa prende parte ai 4 pennacchi con le storie provenienti dal
Vecchio Testamento legate alla protezione del popolo d’Israele.
La scena è divisa in due parti, divise da una parte di parete: nella
sinistra abbiamo Giuditta e la sua ancella che portano il vassoio
metallico con la testa di Oloferne, coperta da un panno; mentre
sulla destra il corpo di Oloferne è in preda alle convulsioni,
rendendo rigide le lenzuola del letto.
La differenza tra le parti è la presenza più marcata o meno della
luce, tra la scena di Giuditta con luce intensa e la scena di
Oloferne con una grande zona d’ombra.
Caravaggio

Anche Caravaggio utilizza il tema di Giuditta nella sua tela, datata 1597, per una
commissione da parte di Ottavio Costa.
Caravaggio rappresenta con grande realismo la scena, dove Giuditta è intenta a
decapitare Oloferne con una scimitarra mediorientale, e vicino a le è presente la
vecchia serva, che tiene un drappo con il cesto dove porrà la testa di Oloferne.
Lo sfondo è coperto da una tenda rossa e scura e richiama ai soggetti
rappresentati. Caravaggio attualizza questa opera tramite le vesti
contemporanee di Giuditta, con colori chiari, per rimarcare la drammaticità del
momento. Lo sguardo di Oloferne è particolare, poiché l’immobilità del volto fa
intendere che sia morto, invece la rigidità dei muscoli facciali afferma il
contrario. Invece Giuditta mostra un misto tra orrore e fatica nell’uccidere
Oloferne, come se si stesse muovendo il più velocemente per andarsene via da
lui.
Ella viene rappresentata come la salvezza inviata da Dio al popolo d’Israele, e
richiama a un grande valore simbolico anche nell’età contemporanea a
Caravaggio, nel suo ruolo di salvatrice per la Chiesa. Si può ipotizzare che il volto
di Oloferne possa essere quello dello stesso Caravaggio, dove il dolore richiama al
valore della paura e dell’incertezza.
Preti

La tela fino al 1806 si trovava nella chiesa della comunità calabrese di San Domenico
Soriano a Napoli; in seguito, con l’abolizione degli ordini ecclesiasti, fu trasferita
nelle Reali Collezioni Borboniche e da queste entrò a far parte delle collezioni del
Museo Nazionale di Capodimonte, dove è ancora oggi custodita.
Una tenda semichiusa sembra fare da sipario e introdurre il riguardante all’interno di
una scena efferata, ma allo stesso tempo eroica, poiché la bella Giuditta prima
invoca per sé la protezione del Dio di Israele a salvezza delle sue genti e solo dopo
con tutta la forza di cui era capace colpì due volte Oloferne al collo staccandogli la
testa. Preti dispone in primo piano il corpo esamine del nemico sconfitto, ancora
grondante di sangue, che giace incartato tra lenzuola fra le cui pieghe si riflette la
luce; in secondo piano vi è Giuditta, che tiene in mano la testa di Oloferne appena
mozzata, la sua pelle è bianca ebano, illuminata da una luce fuori campo che,
scendendo dall’alto, la fa emergere in tutta la sua tempra e forza emotiva.
Rimane in penombra la serva, testimone di una scena che continua, nella sua
drammaticità, a essere carica di sentimenti composti e intimi. Preti, infatti, ci vuole
proiettare verso l’essenza del gesto, facendoci restare indifferenti alla morte, come
prima di lui, con la stessa tematica, avevano fatto Caravaggio e Artemisia
Gentileschi.
Goya

Goya dipinge il momento topico di tutta la vicenda, ovvero la decapitazione di Oloferne: si


tratta di una rappresentazione “speciale” perché l’artista ha realizzato questo disegno
sulle mura della sua casa, alla Quinta del Sordo. Non si tratta dell’unico lavoro che Goya
ha realizzato all’interno di casa sua, anzi, ce ne sono molti altri e fanno parte della serie
chiamata Pitture Nere (perché il colore nero è la tonalità che accomuna tutti i lavori).
Anche in questo quadro biblico, Giuditta ed Oloferne sono avvolti dall’oscurità: ci sono
pochi colori chiari, i quali mettono in risalto la donna e la sua arma. Anche guardando con
attenzione, non è ben chiaro se Goya abbia dipinto l’istante precedente all’uccisione di
Oloferne oppure il momento successivo alla decapitazione del generale assiro. Ci sono
alcuni dettagli che potrebbero aiutarci a comprendere meglio questo mistero: la lama che
Giuditta mostra non è sporca di sangue, ed inoltre, alle sue spalle c’è Oloferne sdraiato, e,
seppur poco chiaramente, ancora vivo.
Se guardi con attenzione il volto di Giuditta, puoi vedere che i suoi occhi sono chiusi:
questo particolare potrebbe indicare che stia agendo guidata dalla mano di Dio, oppure, al
contrario, potrebbe essere in preda ad una furia cieca, che l’ha portata (o la porterà) ad
eliminare il generale assiro. I colori molto scuri, così come l’illuminazione, servono a
mettere in risalto la figura di Giuditta, protagonista indiscussa di tutta la scena;
allegoricamente, Goya mette in primo piano la vittoria della virtù, facendo scivolare
nell’oscurità il vizio rappresentato qui da Oloferne.
Klimt

Il volto della giovane eroina biblica è incorniciato da lunghi capelli neri. Il seno
destro dell’eroina è coperto da un velo traslucido e dall’oro dei gioielli. Una fascia
con pietre preziose circonda il collo della giovane. Giuditta tiene la mano sulla testa
di Oloferne che si trova in basso a destra.
La figura della Giuditta biblica dipinta da Gustave Klimt ritrae una donna forte.
Inoltre la protagonista è interpretata come una provocatrice dallo sguardo lascivo.
L’interpretazione di Klimt della giovane di Betulia ne propone così un’immagine
ammiccante e sensuale. Inoltre la donna guarda con decisione di fronte a sé, verso
l’osservatore, con un’espressione di sfida. La Giuditta I è considerata dagli storici
dell’arte come una delle prime opere del periodo aureo di Gustav Klimt.
Si tratta quindi di un primo esempio del suo linguaggio semplificato e sintetico nel
quale l’oro e la decorazione hanno un’importanza fondamentale. Utilizzando questi
semplici strumenti figurativi Gustav Klimt creò il prototipo di donna-gioiello che
riscosse immediato successo. Klimt giunse a questa sintesi figurativa e formale.
Grazie!
Fatto da: Barbone e Bellini

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