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Investimenti, innovazione e impresa

Alfonso Riccardi
Capua, 16 ottobre 2018
Inventore vs imprenditore

2 http://www.candy-group.com/ita/cento/cento.htm
Inventore vs imprenditore
La penna a sfera fu inventata dal giornalista e inventore László József Bíró (la penna fu chiamata biro in suo onore).
L’intensa attività giornalistica di Bíró, infatti, lo indusse a ricercare uno strumento scrittorio più efficace della penna
stilografica che, pur essendo il tipo di penna più diffuso a quei tempi, presentava diversi inconvenienti: l'inchiostro
impiegato da tali utensili, infatti, macchiava i fogli assai frequentemente, comportava tempi di asciugatura non indifferenti e
andava ricaricato spesso. Fu così che Bíró provò a sostituire il tipo di inchiostro che si usava per scrivere con quello delle
rotative che stampavano i giornali; il nuovo liquido, tuttavia, era molto viscoso, e rendeva la scrittura difficoltosa e poco
fluida. L'idea definitiva gli venne osservando alcuni bambini giocare a biglie per la strada: le palline, infatti, dopo aver
attraversato una pozzanghera, lasciavano dietro di loro una riga di fango uniforme e regolare. In conseguenza di ciò, Bíró
inserì all'interno della punta una piccola pallina metallica che permetteva la distribuzione omogenea dell'inchiostro, con lo
stesso principio che permetteva ai cilindri rotanti di stampare la carta dei giornali; il fratello György, invece, sviluppò la
formula di un inchiostro a rapida asciugatura ma comunque di buona qualità. Era nata la penna a sfera: il 15 giugno 1938 i
due fratelli crearono un primo prototipo soddisfacente e lo brevettarono in Ungheria e in Gran Bretagna.

Prima di essere commercializzata, la penna biro necessitò di molti perfezionamenti e di ingenti investimenti finanziari. L'approdo delle penne a
sfera sul mercato arrivò solo nel 1945 ma i costi di produzione erano però piuttosto elevati e la penna a sfera risultava essere un prodotto d’élite .
Le pionieristiche intuizioni di Bíró, infatti, non furono affatto seguite da un successo industriale e commerciale; per questo motivo l’inventore,
ormai disilluso, cedette il brevetto al barone italiano, naturalizzato francese, Marcel Bich. Il barone Bich intendeva creare uno strumento di
scrittura che fosse pratico ed economico: utilizzando materiali meno costosi, e facilitando il passaggio dell'inchiostro dal tubo alla sfera, riuscì a
produrre una penna abbattendo i costi del 90% (una Bic Cristal costava cinquanta centesimi di franco) e avviando la sua produzione in serie. A
partire dal dicembre 1950 Bich commercializzò la penna a sfera in tutto il mondo, ottenendo in questo modo uno sfolgorante successo.
Bíró, a causa della sua incapacità di gestione imprenditoriale, a differenza di Bich non si arricchì con i guadagni della sua invenzione.
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Inventore vs imprenditore
Fu in un momento di difficoltà per lo scoraggiato Bíró che Bich acquistò il brevetto della penna e riprese
il lavoro incompiuto, ovvero perfezionare quello che era ancora grezzo e gettarsi nell’arena.
Il barone iniziò dunque l’avventura delle penne Bic facendo costruire della macchine di precisione da
svizzeri e risolvendo definitivamente il problema di inchiostri poco adatti.
L’idea di realizzare un prodotto di plastica trasparente fu vincente; ora chi scriveva sapeva
esattamente quanto poteva ancora lavorare.
Il design esagonale fu studiato non tanto per estetica ma perché allora i banchi erano inclinati e in
questa maniera le biro non scivolavano giù.
I bassissimi prezzi di vendita garantirono un successo planetario, che ogni anno raggiungeva nuovi
picche di cifre e utili.

La penna Bic era ed è un oggetto d’uso quotidiano, diffusissimo a livello globale e “democratico” perché chiunque poteva permettersi di
acquistarlo. Ci fu un tempo in cui in Brasile si usava come moneta di scambio, i ragazzini di Bombay ne elemosinavano, e durante la Guerra Fredda al
di là della Cortina di Ferro la penna a sfera era considerata come un dono prezioso e passepartout per avventure erotiche al pari delle calze di nylon.
Fu un prodotto industriale che diventò uno di quei beni di consumo che si radicò nella storia dell’umanità recente, contribuendo e modificando gli
usi e costumi del mondo, al pari della Coca Cola o dei jeans.
Era la rivoluzione dell’usa e getta, del consumo perpetuo.
Dalle penne a sfera la multinazionale Bic si allargò ad altre genialità: l’accendino usa e getta, che sconvolgeva l’idea dell’accendino classico, costoso al
pari d’un orologio, e i rasoi di plastica, comodi, pratici e reperibili ovunque (un duro colpo per le sedie dei barbieri).
Era la nuova way of life che avanzava imperante. Era l’era della plastica che dettava le nuove regole industriali, commerciali e sociali.
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L’importanza della vision e della capacità di
anticipare i trend per creare valore

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Sviluppi tecnologici e
correlazioni

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Maionese, la querelle tra il business della multinazionale e la startup Hampton Creek

 Una startup della California con un prodotto innovativo a base vegetale che sta acquisendo sempre più mercato.
 La più grande multinazionale del settore che le intenta causa.
 Intrighi e macchinazioni da parte del consorzio dei produttori di uova per bloccarne l’ascesa.

 Il caso intorno a Just Mayo è simbolico: raffigura lo scontro inevitabile tra un nuovo modo di concepire l’alimentazione e la
sostenibilità e chi invece si arrocca per mantenere ben saldo lo status quo.
Tutto nasce quando la startup Hampton Creek lancia sul mercato una maionese vegana “Just Mayo” a un prezzo vantaggioso e con
sapore che a detta dello chef televisivo Andrew Zimmern è meglio dell’originale. E che al contrario di quella contenente uova non
ha colesterolo e non implica l’utilizzo di milioni di galline rinchiuse negli allevamenti.
In sintesi, si tratta di un prodotto alternativo alla maionese, ottenuto senza uova, sostituite da piselli gialli, che piace al pubblico e agli
chef, conquista fette di mercato e risponde perfettamente all'esigenza di cambiare radicalmente la (pessima) dieta degli Americani.
La Hampton Creek si espande e sale alla ribalta anche grazie ai lungimiranti finanziamenti di Bill Gates e Jerry Yang, uno dei fondatori
di Google.
Di lì a poco Just Mayo spopola nei supermercati degli Stati Uniti e viene scelta come base di preparazione dei tramezzini da catene
alimentari, un fatto che inizia seriamente a preoccupare chi produce la solita maionese, quella che in teoria dovrebbe essere
fatta con uova fresche crude, e anche chi produce le uova fresche.
Più in particolare, Just Mayo sta minacciando da vicino le quote di mercato della marca di maionese della Unilever, la Hellman's.
È del 2014 la causa che Unilever (proprietaria del noto marchio di maionese Hellman’s) ha intentato contro Hampton Creek,
adducendo il fatto che la parola maionese non possa essere utilizzata per un prodotto senza uova, sostituite da piselli gialli.

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 Più in particolare, Unilever accusa il brand “Just
Mayo” di utilizzare impropriamente il nome
“maionese” e di mostrare nella sua etichetta la
figura di un uovo (il disegno mostra in realtà una
pianta di piselli che 'rompe' la silhouette bianca
di un uovo). Ciò indurrebbe i consumatori in
errore e pertanto la versione vegetale della
maionese farebbe concorrenza sleale alla vera
maionese.
 “Just Mayo” violerebbe anche la definizione di
“maionese”, così come appare nelle linee guida
della FDA-Food and Drug Administration, le quali
però (come osservato da alcuni) risalgono al 1957
e forse necessiterebbero di un aggiornamento.

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 Nel commentare la notizia della causa legale, il fondatore della Hampton Creek, Josh Tetrick, si è dichiarato sorpreso che proprio
Unilever, che sta promuovendo un nuovo programma di sostenibilità, si sia scagliata contro una piccola start-up innovativa.
“Abbiamo consultato i nostri legali prima di creare il brand Just Mayo e non sono emerse problematiche di sorta; anche un'altra
ditta che si sta facendo strada con una maionese alternativa, priva di uova, ha chiamato il suo prodotto Mindful Mayo”.
 “Ritengo che la causa legale in corso sia sintomatica di un problema ben più grande, nel settore del food, rispetto a quello una
presunta pubblicità ingannevole: quanto accaduto ci indica che sono necessari dei cambiamenti nel nostro sistema di produzione
del cibo in generale e che dobbiamo trovare modi nuovi per risolvere gli impatti ambientali e salutistici di ciò che mangiamo”.
 La causa è stata ritirata dopo essersi risolta in un boomerang di proporzioni gigantesche, che ha creato solo articoli negativi sui
media ed enorme pubblicità ai piccoli rivali di Unilever, poiché una delle più grandi multinazionali del pianeta (un fatturato da circa
65 miliardi di dollari l'anno e vendite in quasi 200 Paesi del mondo) che si preoccupa dell’etichettatura di un prodotto di una startup
sembra proprio una sorta di bullismo.
 Nel settembre 2015 scoppia lo scandalo, pubblicato sul Guardian e moltissime testate anglofone: ci sono ben 600 pagine di mail e
conversazioni tra i membri della American Egg Board (Aeb – consorzio finanziato dai produttori di uova americani ma di fatto
dipendente dal Ministero dell’Agricoltura), che cercano la strategia per mettere i bastoni tra le ruote alla Hampton Creek e al suo
prodotto di maggior successo, utilizzando anche metodi non conformi allo statuto della Aeb stessa o persino illegali. E non
mancano anche battute in puro stile mafioso sul “far fuori” Josh Tetrick, fondatore di Hampton Creek. Insomma, una specie di “con
ogni mezzo necessario”.
 Se spopola una maionese vegana dopotutto ne va del futuro del mercato e della produzione di uova.
 Questa vicenda è un paradigma dei tempi che stanno cambiando: siamo nel bel mezzo di un periodo di transizione, in cui sempre
più persone stanno prendendo coscienza dei danni legati a un’alimentazione sconsiderata e del peso morale di tenere incatenati o
imprigionati negli allevamenti decine di miliardi di esseri viventi.
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 La posta in gioco non è da poco: basti pensare che proprio la maionese è il condimento più largamente utilizzato dalla
popolazione USA, con un giro d'affari di 2 miliardi di dollari e abbondantemente al primo posto anche sul popolare ketchup!

Andamento del mercato dei principali condimenti utilizzati negli Stati Uniti.

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At&T-Time Warner, scelta obbligata per competere con Netflix

 Il futuro delle telco e dei media è sempre più nei servizi on demand e su Internet: ne sono convinti i ceo dei due colossi Usa che si
sono accordati per la maxi-fusione: solo così si compete con gli Ott, dicono gli analisti. Ma il prezzo regolatorio sarà altissimo.
 La colossale acquisizione da 85,4 miliardi di dollari proposta da At&t a Time Warner servirà alla telco americana per costruire una
piattaforma di digital video in grado di rivaleggiare con Netflix: lo ha dichiarato la stessa At&t spiegando la strategia dietro
l'operazione che già preoccupa le autorità per il rischio oligopolio ma che, se andrà in porto, trasformerà il gruppo delle Tlc in una
delle più grandi aziende mondiali dei media, , come nota il Financial Times.
 Il merger è già stato approvato dai consigli d’amministrazione delle due società, ma il mercato teme che il regolatore non potrà fare
a meno di intervenire su quella che si presenta come la quinta maggiore fusione nella storia dei media e delle telecomunicazioni e
che porterebbe nelle disponibilità dell’operatore Tlc colossi come la catena televisiva Cnn, il maggiore studio cinematografico di
Hollywood Warner Bros e la casa di produzione di contenuti Hbo.
 La 21st Century Fox di Rupert Murdoch, uno dei tanti concorrenti di Time Warner, ha pubblicato una nota stampa chiedendo
un'attenta valutazione del deal: "Con queste dimensioni e questa portata, e con l'impatto che ci sarà sui consumatori, lo scrutinio
del regolatore deve essere attentissimo", si legge.
 Randall Stephenson, Ceo di At&t, resta ottimista: per lui l’accordo sarà approvato, perché sono pochi i precedenti in cui il
regolatore ha bloccato la fusione tra aziende con core business diversi. Stephenson ha sottolineato che per At&t possedere i
contenuti di Hbo e Warner Bros permetterà alla telco di muoversi velocemente nella trasformazione verso la fornitura di servizi
video di nuova generazione, bilanciando il calo di audience della sua attività nella Tv satellitare (DirecTv). Più di ogni possibile
ostacolo vale il desiderio degli operatori di mercati sempre più convergenti come Tlc e media di contrastare la forza di nuovi entrati
come Netflix e Amazon che raccolgono vaste fette del pubblico grazie a efficaci alleanze delle loro piattaforme tecnologiche on-
demand e case di produzione capaci di sfornare successi come House of Cards.

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 Unendosi a Time Warner, At&t cerca anche di aggirare alcuni ostacoli che finora hanno reso meno efficace e lenta la risposta a
Netflix e agli altri over the top. La telco per esempio sta per lanciare il suo servizio video Ott chiamato DirecTv Now, che eroga
contenuti direttamente su Internet, ma non ha potuto includere la possibilità di condivisione sui social e i servizi di messaggistica di
spezzoni dei programmi più amati, perché non ha ottenuto i necessari permessi dai proprietari dei contenuti. "C'è la tendenza
diffusa a proteggere gelosamente i propri contenuti. Così è difficile mandare avanti questo genere di innovazione che i consumatori
chiedono", nota Stephenson. E così At&t ha pensato di diventare essa stessa proprietaria del contenuto: prodotti di Time Warner
come Game of Thrones passerebbero sotto la sua ala e "potremmo innnovare molto più velocemente".
 Jeff Bewkes, Ceo di Time Warner, che ha già indicato che resterà alla guida del colosso dei media anche dopo il takeover, pensa che
l'on-demand sia l'unico futuro possibile: i clienti non sono più disposti a pagare abbonamenti da oltre 100 dollari al mese per una
quantità di canali che non vedono. Il modello della tradizionale pay-Tv non funziona più: "Tutte le piattaforme video devono essere
on-demand, come Hbo o Netflix”.
 L'evoluzione del deal è tutta da vedere. Probabilmente At&t vorrà riappropriarsi dei contenuti Time Warner togliendoli a Netflix e
trasferendoli in esclusiva sulla propria piattaforma, ma questo potrebbe pesare negativamente sul vaglio antitrust. Si prevedono
comunque tempi lunghi per l'intero processo, dall'esame e eventuale approvazione dei regolatori alla fusione dei due colossi.
Eppure, secondo il Financial Times, At&t non può che andare avanti su questa strada: l'anno scorso ha completato l'acquisizione
(costata 49 miliardi di dollari) dell'operatore del satellite DirecTV e questo le ha garantito sostanziose nuove entrate ma le mette
anche addosso la pressione di un business che ha "le ore contate", perché i clienti americani stanno abbandonando i servizi Tv più
tradizionali per abbracciare le alternative digitali.
 Nel giugno 2018 viene completata l’acquisizione, con l’approvazione da parte del giudice Antitrust. L’annuncio
dell’acquisizione era stato dato il 22 ottobre 2016.

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