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Processo e prodotto: il giornalismo nellindustria editoriale

Negli anni 80, contemporaneo al mutamento dei media, avviene quello delleditoria, sotto il duplice aspetto
professionale ed imprenditoriale. Non si tratta soltanto della spettacolarizzazione, dellaggiunta di gadget
ed il collegamento, fin troppo demarcato, con la televisione. Tra il 92 e il 97 torna a calare la vendita dei
quotidiani, fino a scendere sotto i sei milioni nel 1997, ormai i 6 milioni ed ottocentomila sembrano quanto
mai irraggiungibili. Il Censis attribuisce il calo alla scarsa capacit dei media di quel periodo di sviluppare
strategie di offerta coerenti e razionali, una sorta di vuoto contenutistico. E un periodo di contrattura per
lo stesso sviluppo del paese e dunque diviene forse difficile introdurre nuovi prodotti narrativi che possano
stimolare bisogni originali, laddove le disponibilit degli italiani si sono ridotte.
C unurgenza drammatica di rinnovo dei contenuti, come sottoline al tempo Lombardi, vicedirettore
della federazione degli editori, perch lo sviluppo simmetrico di media e modo di fare giornalismo, aveva
privilegiato pi il processo che il prodotto. Non si era data priorit alla qualit del prodotto, dove per
qualit si intende anche quella capace di creare differenziazione ed adattamento per rispondere a bisogni
di informazione sempre nuovi.
La flessione va attribuita dunque, oltre allaumento dei costi ed alla contrazione della pubblicit,
soprattutto dalle difficolt contenutistiche. Non da sottovalutare neppure la tendenza che vede i
redattori pi esperti confinati nelle redazioni, addetti quasi esclusivamente allaumento della foliazione. Chi
fa la cronaca vera sono soprattutto esterni, che poi non hanno voce nella vera e propria progettazione del
giornale. I capiredattori non hanno pi rapporti con la citt, vivono in redazione dal mattino alla sera,
lasciando totalmente scoperto il turno notturno. In questo sistema, senza contatti col mondo esterno,
impossibile per un giornale uscire dal proprio schema ormai rigido, ed ancor di pi avventurarsi in un
prodotto nuovo. Perci, quando il mercato cambia, il castello di carte rischia un rovinoso crollo.
In questo periodo a produrre utili sono le redazioni che tirano pi di duecentomila copie, sono in perdita
quelle sotto le ventimila, e a met tra le due c quella classe di giornali che non ha rinunciato alla qualit e
si fa forza sulle caratteristiche economico sociali dellarea stessa dov realizzato. Servirebbe agli altri uno
scatto di fantasia, cui nemmeno le sinergie editoriali, portatrici di grandi risparmi, possono supplire.
Scoppia in quel periodo inoltre il caso delle promozioni editoriali, a partire dall87 con Repubblica che
distribuisce assieme al giornale Portfolio, un gioco a premi . La segue il Corriere con 7, un supplemento
settimanale e Replay . il numero di copie sale vertiginosamente, con un po di melanconia per chi come
Bocca vede un giornalismo che fa come la rana che cerca chi impressionare chi la guarda gonfiandosi al
rischio di scoppiare. La qualit degli articoli data per assunta, e quello che conta sono gli strumenti di
marketing per aumentare gli introiti pubblicitari. Il giornale diventato quasi un prodotto industriale, senza
forse accorgersene. Come dice Montresor, ex direttore commerciale della Stampa, nel giornale c una
vera e propria concorrenza tra redattore e uomo di marketing poich entrambi sono depositari di una loro
verit, che credono assoluta e che spesso in contrasto. La lotta inevitabile. Ma sebbene il marketing
talvolta non sia compreso o sia addirittura disprezzato dai giornalisti, risulta comunque market-oriented,
assimilando la tecnica pubblicitaria a quella giornalistica stessa per assecondare la domanda del mercato,
ma inquinando la propria qualit e venendo meno alla propria responsabilit sociale ( tesi di Ostellino).
Daltro canto, attorno agli anni 90 nascono anche prodotti di valori come Affari e Finanza, Corriere
delleconomia e Corriere del lavoro. Dunque alla fine degli anni 80 cambia tutto: processo, prodotto e
consumatori.
Tra le due crisi?
Significativo che il testo di Paolo Murialdi, ripercorrendo la storia del giornalismo dal 1943 al 1995, si
intitoli la stampa italiana, dalla Liberazione alla CRISI di fine secolo. Quello che certo, che il
giornalismo ha vissuto una stagione di mutamento compresa tra due crisi, quella a met degli anni 70, e
quella a met degli anni 90. Alcuni elementi di continuit per ci sono come il divario nord-sud, la angusta
diffusione della stampa, il mercato editoriale e i suoi assetti proprietari. Castronovo e Tranfaglia, autori di
unaltra importante storia del giornalismo vedono la nuova crisi pi complessa della precedente e con una
posta in gioco molto pi alta. Negli anni del 2000, il mercato pubblicitario conosce nuovi equilibri: stampa e
radio crescono nonostante la insistente presenza della televisione. Nel 99 si era arrivati al punto in cui gli
introiti derivanti della pubblicit avevano superato addirittura quelli della vendita dei giornali. I giornali
italiani arrivano cos a combaciare col modello di redditivit, sulla scia di quanto gi successo al giornalismo
inglese e statunitense. I gruppi editoriali arrivano addirittura a quotarsi in borsa, espandendosi anche sul
web. Quotata la Mondadori, Espresso, Caltagirone, Poligrafici,Class,Seat, e pure e.Biscom e Tiscali. Le
eccezioni sono altres vistose: il gruppo Sole 24ore, Rcs corriere della sera. Nel 2001 per, come riportato
dal dossier intitolato la stangata del Corriere delleconomia, i titoli editoriali scesero moltissimo dopo la
salita ai vertici non avvenuta molto tempo prima ( magari questo a causa della crescita della pubblicit
bloccata all8%?). Tutto questo spiegato dal tema della differenziazione dei gruppi editoriali dai loro
settori tradizionali verso il digitale. Negli anni 90 erano cambiati infatti i modelli editoriali e dunque anche
le strategie, cera stato un cambio negli equilibri tra chi addetto al core business ( giornalista) e chi invece
crea la vera e propria diversificazione ( manager). Multimedialit e oligopolio sono le caratteristiche,
secondo Mosconi, del giornalismo degli anni 90. In sintesi muta la natura delle imprese mediatiche, la loro
presenza sui mercati finanziari, la definizione delle politiche editoriali, i rapporti interni alle imprese tra
redazioni e management.
Il duopolio monopolistico
Negli anni 90 il ruolo della televisione quasi pervasivo; il piccolo schermo detiene la supremazia come
modello culturale in campo informativo; ivi si inserisce la tesi di Eco il quale vede la stampa italiana ormai
succube della tv, e che vede i giornali ridotti a parlare soltanto di quanto si dice in tv. Mentana invece, in
occasione della partecipazione del pontefice ad una partita di calcio, ribadisce la superiorit tecnica del
mezzo televisivo, poich una notizia si esaurisce completamente nella visione e dunque nella fruizione
televisiva dellavvenimento. Questo spiega la tesi di Eco: la tv inespugnabile ed i giornali vanno al
rimorchio. Il problema che i giornali tramutano in notizia qualunque cosa riguardi il mondo e il mondo
come lo si mostra proprio attraverso il mezzo televisivo. La soluzione proposta da Eco la cosiddetta via
figiana, quella dettata dalla sua esperienza alle isole Figi dove i giornali riportano solo le notizie essenziali,
mettendo laccento che le altre non siano poi cos importanti. La soluzione per Eco questa, la
scarnificazione delle notizie, ma questo un vero e proprio paradosso perch al giornale richiesto di
informare proprio laddove la televisione non arriva, con una foliazione sempre crescente. La tv che finisce
sui giornali la cosiddetta Neotv, quella tv che secondo Grasso fa di s loggetto del proprio discorso,
mitizzandosi ed organizzando le basi per il proprio culto. In tv il pubblico, come sottolineato da Colombo,
per un pubblico massivo, non pi destinatario di un prodotto, ma al centro di un processo dove il fine
quello della pubblicit. Viene meno quindi la centralit del contenuto, la valenza istituzionale e pubblica; il
perno la pubblicit in quello che si pu, o poteva, definire parte dellindustria culturale. La televisione
diviene generalista, si rivolge al grande pubblico e si conferma un duopolio: Rai e Fininvest, poi Mediaset;
questo duopolio dal punto di vista culturale si mostra invece monolitico, insomma un monopolio
culturalmente ed economicamente egemone fino alla met degli anni 90. Questo duopolio monopolistico
ha affermato cos in Italia una sola forma di televisione su tutte le altre possibili. In ogni caso il rapporto tra
stampa e tv non si esaurisce nel conto svantaggioso di spazi e tagli regalati dai giornali alla televisione.
La manutenzione dei luoghi comuni
Di Eco non condivisibile forse lipotesi per cui il giornalismo italiano stia nella subalternit della stampa
verso la televisione. Intuizione saggia di Eco del 69, poi ripresa in un convegno organizzato dal comitato di
redazione del corriere, dallistituto Gramsci e dalla casa di Cultura di Milano, quella per cui non esistano
pi fatti, o meglio il numero di fatti si sia significativamente ridotto. Questo perch levento diviene notizia
solo in funzione della interpretazione che ne viene data, ovvero in base alla significativit che gli viene
riconosciuta. Il senso che un fatto, per risultare concreto, debba essere riconosciuto come tale dai media.
Il concetto sostante quello di notiziabilit dunque la selezione dei fatti da impaginare avviene secondo
due imperativi: fatti lavorabili ed in sintonia con quello che il mondo si aspetta. La notiziabilit cos legata
ai processi di routinizzazione e standardizzazione delle pratiche produttive . E unidea che semplificata
suona come non esisti se non stai in prima pagina, e si rappresenta bene in un giornalismo cruna dago
che la realt deve attraversare per arrivare al pubblico. Esempio ne sono tutte le notizie censurate ed
autocensurate, subito dopo l11 settembre. In momenti come quello la selezione delle priorit copre la
cosiddetta normalit per lasciar spazio al fatto eccezionale ( non a caso in quei giorni i quotidiani
diventano enciclopedie brulicanti di cultura internazionale), questo un argomento a favore della
notiziabilit sostenuta dai sociologi. Lanalisi di sintesi la seguente: qualora avvengano fatti che si
impongono allattenzione collettiva per la loro stessa forza, il giornalismo italiano sa proporre anche un
contenuto qualitativamente buono; quando invece la cronaca povera, si atrofizza la capacit di critica e ci
si rigetta nei luoghi comuni, nella cosiddetta coazione allendogamia, creazione e manutenzione dei
luoghi comuni.

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