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LISSA – MORTE E/O TRASFIGURAZIONE DELL’UMANO

A differenza del mito e della religione, la filosofia si guarda bene dal cedere alla tentazione di
partecipare all’esaltazione dell’umano.
Ma l’uomo greco, ansioso di certezza e stabilità, arretra con Platone al terreno della metafisica, in
cui i paesaggi e contenuti del mito e della religione sono mantenuti e trasfigurati in modo da dare
vita ad un discorso razionale e scientifico solo in apparenza.
L’uomo non si configura più come un semplice anello fra gli altri, ma è l’elemento attorno a cui
tutto ruota. È il giocatore per il quale il mondo del gioco è giocato.
In sintesi il discorso metafisico riscatta l’uomo dalla sua finitezza e lo trasfigura nell’eterno anello
intorno al quale prende forma la grande catena dell’essere. Il discorso metafisico approda più che
all’apologia, all’esaltazione dell’uomo.

Da qui il narcisismo universale dell’uomo, che però subisce, come afferma Freud, una serie di
umiliazioni nel corso della storia da parte dell’indagine scientifica:
1) L’umiliazione cosmologica grazie a Niccolò Copernico: banalmente la Terra non è al centro
dell’universo.
2) L’umiliazione biologica. Le ricerche di Darwin dimostrano che l’uomo non è né più né
meno dell’animale, è imparentato anzi con qualche specie animale. L’uomo quindi non è
signore delle creature e del mondo animale. “l’uomo nella sua arroganza si considera una
grande opera, degno dell’intervento della divinità. Più umile e più verosimile è ritenerlo
creato dagli animali” (Darwin)
3) L’umiliazione psicologica. L’uomo si sente sovrano della sua psiche poiché la sua coscienza
lo ragguaglia di tutti gli avvenimenti importanti della sua psiche. In realtà lo psichico e il
cosciente non coincidono. La dimensione psichica è multi dimensionale e la coscienza è
solo una parte di essa.

È la scienza moderna, fisica, biologica, psicologica, a determinare queste svolte. È la rivoluzione


che si produce e consuma tra Galilei e Newton che Kant coglie bene. Con questa rivoluzione
l’equazione Essere=Pensiero, leitmotiv della metafisica che va da Parmenide a Spinoza, poi
riabilitata da Hegel, viene messa in mora. Secondo la nuova impostazione il Pensiero non riflette
l’intima essenza dell’Essere. Distinguendo il fenomenico dal noumenico, Kant ci dive che il
secondo resta inattingibile, non posso sapere nulla della sostanza in sé di cui sono fatte le cose, né
del mio io. La conoscenza costruita dal pensare è sempre qualcosa di fenomenico.

L’uomo che costruisce la scienza moderna è l’uomo a cui si rivela l’impenetrabilità dell’Essere
restituendolo alla coscienza di ciò che veramente è, un essere situato entro i confini della sua
finitezza. Questi confini, mentre lo limitano, lo stimolano anche a uscire da sé per costruire, al
contatto con le cose, un mondo ordinato e che è sempre da ordinare e riordinare.
Questo ci porta a una conclusione: l’uomo non è, a-priori, quel che l’Essere lo fa essere, ma è
quello che gli sforzi congiunti della conoscenza che mette in campo e che l’azione cui dà corso lo
fanno essere. Separato dall’Essere, l’uomo è consegnato al limite, alla finitezza, che non vuol dire
impossibilità di eccedere questa finitezza.

Cartesio ricostituisce il legame fisica-metafisica che risultava implicitamente rotto nel concreto
agire scientifico di Galilei e ripristina l’equazione Essere=Pensiero, interpretando l’Essere come
idea, spirito e fondando così una metafisica spiritualistica in cui lo spirito e la liberà dell’uomo
sono di nuovo modellati sullo stampo della realtà divina.
Con Nietzsche viene posto invece il problema dell’oltrepassamento dell’uomo. Problema che si
ripropone dopo la II guerra mondiale. Certo di fronte ai 50 milioni di morti, al cospetto di
Aushwitz, Hiroshima e Naga-Saki era difficile celebrare i fastigi dell’umano. La seconda guerra
mondiale segna una frattura di dimensioni inedite e radicale. Una crisi decisiva che scuote l’albero
dell’umanismo alla radice.
L’io si rivela, da cima a fondo, vulnerabilità assoluta, esposizione, passività del vulnerabile.
Non ha più nulla a che fare con il terreno circoscritto dall’ontologia. Accetterà, come invita a fare
Lévinas, di mettere in campo un umanismo dell’altro uomo?

II. parole chiave: capitalismo informazionale, bit, dal transitor al circuito integrato, intelligenza
artificiale, trasfigurazione dell’uomo e non trascendimento
Verso la fine dello scorso secolo una grande trasformazione ha investito prima i paesi
dell’Occidente e poi tutto il mondo. Un rivoluzionamento tecnologico “incentrato sulle tecnologie
dell’informazione”. La fine del comunismo nell’89 innesca un processo di globalizzazione che
unifica, mai come prima, le economie di tutto il mondo.
Si edifica una nuova società che è sia capitalista che informazionale. L’informazionalismo è alla
base della ristrutturazione del modo di produzione capitalista alla fine del XX secolo.
Il principio operativo strutturale del capitalismo informazionale è lo sviluppo tecnologico,
l’accumulo di conoscenza e di complessità nell’elaborazione dell’informazione.

Nelle tecnologie dell’informazione rientrano le tecnologie della microelettronica, dell’elaborazione


dati (macchine e software), delle telecomunicazioni/trasmissioni, dell’optoelettronica. È bene
includere anche l’ingegneria genetica e la fisica dei quanti.
Sono scienze particolari in cui il conoscere, il trasformare, il fare e il produrre coincidono.
Ecco allora che la caratteristica più saliente di un sistema di informazione è la sua assoluta
flessibilità. Flessibilità che innesca un processo di diffusione istantaneo. Ragione per cui una volta
prodottosi in una parte del mondo questo sistema si diffonde con una velocità estrema.

Le tecnologie basate sull’elettronica si concentrano principalmente sui bit. Questo è il più piccolo
elemento atomico del DNA dell’informazione. È un modo d’essere: si no, vero falso, su o giù,
dentro fuori… per praticità diciamo che un bit è 1 o 0. È dunque un’entità matematica.
La digitalizzazione non è altro che la traduzione delle informazioni in entità matematiche
trasmissibili. Questo è consentito da una serie di invenzioni prima tra tutte il transitor e poi il
transitor in silicio, dopo ancora l’invenzione del processo planare. Infine il circuito integrato che
consentì il passaggio al microprocessore, ovvero il computer su un chip. Quest’ultima invenzione
innescò una vera e propria esplosione tecnologica.

Molti degli sconvolgimenti prodotti dall’introduzione delle tecniche informatiche hanno enormi
ripercussioni anche sugli assetti delle scienze della vita.
In un discorso tenuto nel 1959 dal premio Nobel della fisica Richard Feynmann, parlando del
problema di controllare e manipolare le cose su piccola scala, segnalò che il mondo là sotto è di
una piccolezza stupefacente e che come recita eminentemente il titolo della conferenza, c’è molto
spazio là in fondo. E noi possiamo perlustrarlo, con i microscopi elettronici. Ora lì in fondo c’è una
quantità sterminata di informazione che se fossero decrittabili si schiuderebbero infinite
possibilità di intervento e modificazione a tal punto da poter trasformarci da soggetti
all’evoluzione a soggetti dell’evoluzione.
Questo significa che potendo ad esempio intervenire sulla cellula, e ce ne sono di veramente
minuscole ma attivissime, ho un potere inimmaginabile di modificazione del mondo esterno.
Ad oggi questo già succede grazie anche alla nano-tecnologia.

Nel suo libro intitolato Nanosistems del 1992, Drexler sostiene che una volta costruito un
assemblatore, sarà possibile addirittura trasferire una mente da un cervello biologico a un
computer.
In poche parole queste prospettive vengono definite transumaniste. Condividere un modo di
pensare transumanista significa dare per scontato che tutte le prospettive si verificheranno
dimostrando la verità di quello che essi pensano (vedi Feynmann). Un transumanista coerente
tende a un fine: il post-umano.

Per stabilire cosa significa essere umani oggi è decisivo comprendere fino a che punto corpo e
mente siano veramente inscindibili. Se si ipotizza che questo rapporto è simile a quello che in
un’intelligenza artificiale come il computer intercorre tra l’hardware e il software, resta solo da
capire se ciò che nell’uomo è il software, la mente, è inscindibilmente legata all’hardware, il corpo.
Ora l’idea convenzionale tra i ricercatori nel campo dell’IA, è che l’intelligenza abbia a che fare solo
con l’informazione e la computazione e non con carne e sangue. Quindi è possibile costruire
un’intelligenza non biologica capace di “raggiungere qualsiasi fine, compreso l’apprendimento”, di
acquisire un’intelligenza generale. Di svolgere qualsiasi compito cognitivo come o meglio
dell’uomo. Questo apre a tutta una serie di preoccupazioni e giudizi (lettera aperta dei bioeticisti o
Hawking, Bill Gates e Elon Musk): che ne sarà dell’uomo nell’era dell’intelligenza artificiale?
Insomma per molti a lungo termine l’IA può diventare pericolosa.

Il dato fondamentale che bisogna assumere è che l’uomo va incontro a una totale trasfigurazione:
con il convergere dei progressi compiuti dalle Nanotecnologie, Biotecnologie, Intelligenza
Artificiale, Scienze Cognitive (NBIC), l’esistenza umana cesserà di dipendere da un corpo biologico
evolvendo verso qualcosa di ibrido tra biologia e non biologia. La rivoluzione transumanista
proietta l’uomo oltre se stesso, ma non lo trascende, non lo supera verso qualcosa d’altro, lo
trasfigura.

Ecco allora che si profilano tutti i grandi sviluppi della nanorobotica: grandi quantità di nanorobot
distribuiti nel nostro cervello porterà all’interazione di questi con i nostri neuroni biologici.
L’intelligenza sulla terra continuerà ad espandersi, tutto sarà riprogettato: sistema digestivo,
sangue programmabile, potremmo pian piano sostituire tutti gli organi umani.
Quindi ci sbarazzeremo della morte? Come scrive nel suo libro La mort de la mort il medico
francese Laurent Alexandre.

In realtà, confermato che l’esserci umano sia un work in progress e che non esista una “natura
umana” come entità fissa, l’uomo comunque non può fare altro che realizzare se stesso,
distendendosi tra due punti limite insormontabili: il nascere e il morire. Come ha detto Thomas
Mann: “veniamo dal buio e andiamo verso il buio”. (questa è la posizione del prof. Lissa).
Ancora l’intreccio che c’è tra la coscienza e il corpo è di ben altra natura rispetto a ridurre la
coscienza a un insieme di reti, a una vasta iterazione tra elementi molteplici e dissimili. Bisogna
distinguere il Korper (corpo inerte) dal Lieb (corpo vivente dall’interno, sensibilità, la sensazione
che si prova e negli umani si pensa e si parla, si evoca, si commenta e si divide).
La cartesiana distinzione tra res cogitans e res extensa non funziona, non può esserci un taglio
netto tra l’io e la cosa nella percezione, né tra l’io e il mondo in cui esso abita. (Ordine
compenetrativo, di intercompenetrazione).
Il corpo non è un oggetto così come la coscienza non è un pensiero.

In conclusione una mente disincarnata potrebbe anche sfuggire all’azione disgregatrice del tempo.
Potrebbe anche sfuggire alla morte. Ma quella mente non avrebbe più niente a che fare con un
uomo. Il corpo e la mortalità sono il sigillo dell’umanità.

Qui vedi ultima pagina del testo. “Nessuna reazione…” p. 110 IMPORTANTISSIMA
Tutto può accadere, fuorché che l’uomo non cammini più nella zona d’ombra dei suoi limiti. Philip
Roth.

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