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RETI, SAPERI.

LINGUAGGI - Registrazione al Tribunale di Messina n 3 del 2012


Corisco ..Marchio Editoriale.. EDAS Sas
via Concezione 6-8 Messina
Direttore Antonino Pennisi
Comitato scientifico
Francesco Ferretti, David Freeberg, Vittorio Gallese, Amelia Gangemi, Philip Johnson Laird, Paolo Leonardi, Alessandro Minelli, Sandro Nannini, Demetrio Neri, Pietro Perconti, Telmo Pievani, Alessio Plebe, Rui Braz Afonso.
Comitato redazionale
Domenica Bruni, Valentina Cardella, Vivian De La Cruz, Alessandra Falzone, Edoardo Fugali, Mario Graziano, Sebastiano
Nucera, Francesco Parisi, Maria Primo, Caterina Scianna.
Scopi scientifici ed editoriali
La rivista Reti, Saperi, Linguaggi promuove le proprie pubblicazioni allinterno della comunit scientifica, nazionale e internazionale, secondo le direttive del Consiglio Universitario Nazionale (adunanza dell11 Marzo 2009, prot.n 372), dellAnvur e
al decreto ministeriale del 28 luglio 2009, prot. n. 89/2009.
La selezione delle opere e degli articoli degni di pubblicazione avviene tramite peer review: il direttore approva le opere e
le sottopone a referaggio con il sistema del doppio cieco (double blind peer review process) nel rispetto dellanonimato
sia dellautore, sia dei due revisori che si scelgono: uno da un elenco deliberato dal comitato scientifico, laltro dallo stesso
comitato in funzione di revisore interno.

Indice
4

Scienza cognitiva incarnata e modelli evoluzionistici

12

Il ragionamento come superorganismo

19

Le categorie sociali e lorganizzazione lessicale-semantica delle conoscenze

22

Psicoanalisi: semantica del transfert

33

Sviluppo Cognitivo e Naming Explosion,


il contributo dei modelli computazionali nello studio delle tappe fondamentali dellacquisizione del linguaggio

38

Aveva ragione Whorf? La lingua embodied/embedded

44

Domenica Bruni e Edoardo Fugali


Francesco Bianchini

Andrea Carnaghi, Francesco Foroni e Raffaella I. Rumiati


Marco Casonato

Giuseppe Citt
Vito Evola

Specie-specificit, linguaggio, rappresentazione: la tecnologia uditivo-vocale nel sapiens

Alessandra Falzone

48

I limiti del mio corpo sono i limiti del mio mondo. IL tema del corpo proprio nella riflessione filosofica contemporanea e
nella scienza cognitiva incarnata

57

Embodied simulation theory and intersubjectivity

65

Who is reading the neural activity? Sulla funzione cognitiva dei neuroni specchio

73

Second nature. For a liberal naturalism of mathematics

77

Creatura collettiva. Note sul concetto di cognizione distribuita

82

Language patterns and innateness

88

La natura dinamica del suono tra fonetica e fonologia

93

Constraining language theories. Learning and evolution

98

La sinfonia mimetica dei corpi

106

Preghiere per una nazione malata. Le basi morali delle metafore di Silvio Berlusconi

111

Linguaggio, evoluzione, cognizione. Per una revisione della grounded cognition

Edoardo Fugali

Vittorio Gallese
Paolo Giuspoli

Mario Graziano

Francesco La Mantia

Edoardo Lombardi Vallauri


Maria Primo

Maria Grazia Rossi


Maria Grazia Turri
Elisabeth Wehling

Alessandra Falzone

Scienza cognitiva incarnata e modelli


evoluzionistici1
Domenica Bruni - dbruni@unime.it

Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e dellEducazione, Universit di Messina

Edoardo Fugali - efugali@unime.it

Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e dellEducazione, Universit di Messina

1.

2.

Ogni qual volta ci troviamo di fronte ad un titolo di un


libro, di una rivista o di un saggio che sembra farsi carico di
unanalisi di questioni ancora aperte e intorno alle quali il
dibattito non sembra essere concluso n pacificato siamo
come spinti a chiederci se, arrivati in fondo nella lettura,
troveremo anche solo un indizio che ci consenta di accostarci in modo nuovo alle questioni in oggetto. Questa
appena descritta sembra proprio essere la sensazione che
pu suscitare questo volume dal titolo Scienza cognitiva
incarnata e modelli evoluzionistici. Senza dubbio si tratta di
una sfida ambiziosa. La scelta dei due temi non casuale
ma motivata dalla convinzione che tanto levoluzionismo
quanto la cognizione incarnata rappresentino una radicale rivoluzione la cui portata va a scalfire la concezione che
luomo ha di stesso e il posto che da sempre le creature
umane occupano allinterno del mondo naturale.
La rivoluzione, seguendo lo schema di questo volume,
percorre due strade. Una mette in relazione mente, corpo
e lambiente biologico, sociale e culturale in cui lorganismo situato. Numerosi processi cognitivi, infatti, sembrerebbero estendersi al di l dei rigidi confini del sistema
nervoso centrale e dello stesso corpo dal momento che
sarebbero localizzabili allinterno dellambiente fisico e ricco di trame sociali in cui lorganismo agisce. Laltra strada
a cui facciamo riferimento quella tracciata dal naturalista inglese Charles Darwin che elabor, in unaffascinante
prosa britannica, la sua teoria dellevoluzione per selezione naturale estendendo le sue leggi anche alle creature
umane ed elaborando cos una genealogia naturale delle
nostre capacit intellettuali e morali (Franceschelli, 2009).
Darwin invita luomo a scendere dal suo trono negando
che la diversit tra uomo e mammiferi superiori riguardo
le loro facolt mentali sia qualitativa.
Anche la moralit, le inclinazioni e le attitudini ad essa connesse, lontane dallessere prerogative umane, sono declinate
come un volto maturo delle inclinazioni sociali che ci accomunano agli altri animali e come risultato di un progressivo
miglioramento delle facolt mentali che condividiamo con
le altre creature. Charles Darwin ci consente di ragionare,
proprio nel modo in cui siamo abituati a fare oggi, sulla natura umana. In alcuni saggi che compongono questo volume
emerge come la concezione evoluzionista della natura umana elaborata da Darwin viene fatta propria anche da molte
discipline, come le neuroscienze, la psicologia, letologia,
impegnate ad aggiungere qualcosa di nuovo al programma
darwiniano con lintento di portalo a compimento. Esiste,
dunque, un mondo prima di Darwin e uno dopo lelaborazione delle sue teorie, un mondo in un certo senso affrancato
dallidea che cultura, civilt e progresso fossero il risultato di
forze misteriose e indescrivibili dallindagine scientifica.

Nel corso degli ultimi ventanni ha progressivamente


preso corpo quella che a detta di molti interpreti verrebbe
a configurarsi come una vera e propria rottura paradigmatica nellambito delle scienze cognitive. In termini pi
precisi, la storia di questo complesso e composito campo
disciplinare sarebbe stata scandita da tre cesure rivoluzionarie, ossia la scienza cognitiva di prima generazione,
basata sullintelligenza artificiale forte e sullequiparazione
non solo metaforica della mente umana al computer,
che data agli anni Cinquanta del secolo scorso; negli anni
Ottanta questo indirizzo di ricerca poi stato affiancato,
in direzione di unintegrazione reciproca o, pi spesso, in
quella di un antagonismo irriducibile, dallaffermarsi del
connessionismo, che abbatte il dogma dellequivalenza mente/computer a favore di modelli maggiormente
aderenti alla realt biologica del cervello; infine, le ultime
decadi del secolo sono percorse da una terza ondata rivoluzionaria, i cui rappresentanti si riconoscono nelle parole
dordine della nuova scienza cognitiva incarnata, riassunte nel fortunato slogan delle 4E embodied, embedded,
enacted, extended: secondo la tesi fondamentale in cui
questo approccio si sostanzia, la mente non un sistema
isolato e conchiuso in se stesso, ma va indagata nelle relazioni essenziali che essa intrattiene col corpo e lambiente
biologico, sociale e culturale in cui lorganismo situato.
Ricostruire nel dettaglio le vicende di questa storia
un compito che sicuramente esorbita dai limiti di questa
introduzione, il che tuttavia non ci impedisce di offrire dei
ragguagli al riguardo, per quanto sommari possano essere. Se seguiamo la periodizzazione proposta da Varela
(1992), possiamo distinguere quattro stadi di sviluppo della scienza cognitiva: 1) un prologo, individuato in quella
che Varela chiama let dei padri fondatori (1943-1953),
che assiste alla nascita della cibernetica; 2) lascesa e la fioritura della scienza cognitiva classica propriamente detta;
3) il connessionismo e 4) lapproccio incorporato/enattivo.
Limpresa culturale della cibernetica animata dal proposito di fondare una scienza naturale del pensiero e della
conoscenza capace di spiegare questi fenomeni facendo
esclusivo riferimento a processi meccanici e modelli matematici. McCulloch e Pitts (1943) ad esempio partono dalla
duplice assunzione secondo cui a) la logica fornisce i modelli
esplicativi del pensiero e b) il cervello, a livello dei suoi elementi costitutivi, i neuroni, e delle connessioni che questi intrattengono, incorpora una struttura logica, tale da renderne
possibile lequiparazione a una macchina deduttiva. sulla
base di queste idee Von Neumann elabora il suo modello
di macchina calcolatrice, basato sullarchitettura seriale che
prende il suo nome. I risultati generali della cibernetica possono dunque essere elencati in sintesi come segue:

1. Il primo e il terzo paragrafo di questa Introduzione sono stati scritti da Domenica Bruni e il secondo da Edoardo Fugali. Il paragrafo conclusivo opera
di entrambi gli autori.

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1.

ladozione della logica matematica per la comprensione dellattivit del sistema nervoso e del pensiero
umano;
2. la fondazione di una metadisciplina, come la teoria
dei sistemi, cui spetta il compito di formulare principi
universali che valgano per tutti i sistemi complessi;
3. la teoria dellinformazione come teoria statistica della
trasmissione dei segnali e dei canali di comunicazione;
4. la possibilit di creare robot e sistemi capaci di autoorganizzazione.
La tesi fondamentale che caratterizza la rivoluzione cognitivista (che si diffonde a partire dal 1956, lanno delle
celebri conferenze di Cambridge e Dartmouth) che lintelligenza emula nei suoi tratti fondamentali il funzionamento di un computer, al punto che la cognizione pu
essere definita in termini di computazioni eseguite su
rappresentazioni simboliche, dotate di valore rappresentativo (Newell & Simon, 1972; Fodor & Pylyshyn, 1988). I
due concetti fondamentali che stanno alla base di questa
ipotesi sono quello di rappresentazione e di intenzionalit: i simboli posseggono entrambe queste propriet, ossia
rappresentano sotto determinate modalit gli oggetti del
mondo e vertono su di essi. Gli stati intenzionali e le rappresentazioni sono realizzati fisicamente sotto forma di
un codice simbolico implementato dal cervello o da una
macchina, il che non vale soltanto a mostrare in che modo
gli stati intenzionali e le rappresentazioni sono fisicamente possibili, ma richiede che venga spiegato anche come
essi possano determinare causalmente il comportamento
intelligente. qui che entra in gioco la nozione di simbolo,
inteso come unentit di natura fisica dotata al contempo
di valore semantico: viene dunque istituito un parallelismo
forte tra il piano fisico, ossia le operazioni sintattiche effettuate da una macchina, e il piano semantico delle rappresentazioni e dellintenzionalit, al fine di mostrare come
lintelligenza e lintenzionalit siano essenzialmente riconducibili a un meccanismo che obbedisce a leggi fisiche. Va
detto che per quanto sia necessaria la realizzazione fisica
del livello simbolico, questo resta irriducibile al medium
materiale, vale a dire che indifferente quale specifica modalit di realizzazione venga prescelta per implementare i
processi computazionali. In questa prospettiva, la mente
funziona come un elaboratore di rappresentazioni interne
al sistema, in cui possibile individuare unistanza pianificatrice centrale che processa le informazioni secondo la
sequenza lineare input/manipolazione di simboli/output,
laddove gli aspetti sensori-motori della cognizione si limitano alle informazioni veicolate dalle percezioni in entrata
e alle risposte comportamentali in uscita. Il cognitivismo
classico riesce dunque ad elaborare una concezione della mente compatibile con i requisiti di scientificit del
meccanicismo fisicalistico, ma al prezzo di estromettere
dallordine di considerazione prescelto due caratteristiche
che la psicologia del senso comune attribuisce agli stati
mentali, ossia il loro essere consci e la loro appartenenza
a un soggetto unitario. In primo luogo, i processi mentali
indagati dagli scienziati della cognizione sono inconsci e
subpersonali, nel senso radicale di una costitutiva incapacit da parte del soggetto che ne il portatore di accedere ad essi sul piano della consapevolezza: ci di cui siamo
coscienti al massimo una proiezione epifenomenica di
manipolazioni computazionali che hanno luogo a un livello profondo rispetto a quello apparente, ed questa pro-

priamente la sola dimensione in cui lecito attribuire agli


stati mentali efficacia causale. Larchitettura della mente
poi modulare (Fodor, 1983), giacch essa consiste di una
molteplicit di sottoinsiemi specializzati che espletano le
loro funzioni indipendentemente gli uni dagli altri, ferma
restando la natura amodale del codice simbolico impiegato nelle computazioni, laddove tali funzioni sono descrivibili in termini di processi meccanici conformi a leggi e
procedono nellordine della genesi dal semplice al complesso, in conformit allapproccio composizionale che del
modularismo un logico corollario.
Gi negli anni della cibernetica erano stati sviluppati
approcci alternativi al programma computazionale, mossi
da una generale insoddisfazione nei confronti dellassunto
teorico secondo cui nel cervello possibile individuare algoritmi computazionali e unit centrali di elaborazione. Il
cervello in realt non immagazzina informazioni avvalendosi di codici rigidi ed esatti; la sua attivit si basa piuttosto su una fitta e complessa rete di connessioni tra neuroni
che mutano in continuazione al variare delle nostre esperienze e mostrano poteri di auto-organizzazione che non
trovano riscontro nei modelli logici di indole cognitivista.
Con laffermarsi del modello cognitivista, queste ipotesi
retrocedono sullo sfondo, per venire poi riesumate soltanto sul finire degli anni settanta, in concomitanza alla contemporanea rinascita dellidea di auto-organizzazione in
fisica e della matematica non-lineare. A questo rinnovato
interesse hanno contribuito due motivi di insoddisfazione
per i modelli cognitivistici, ai quali veniva imputato 1) di
concepire i processi di elaborazione dei simboli in termini
di operazioni seriali e 2) di aver insistito sulla natura localizzata e modulare di questi processi: il malfunzionamento
di una parte del sistema compromette in maniera significativa il funzionamento globale del sistema stesso, il che
di fatto non avviene in sistemi biologici quali il cervello,
che lavorano secondo una modalit distribuita e parallela.
Le capacit adattive del cervello e il grado dimmunit che
esso presenta quando si verificano danneggiamenti non
vengono dunque spiegati in maniera soddisfacente sulla
base del paradigma computazionale classico. Di questapproccio il connessionismo mantiene lacquisizione fondamentale secondo cui i processi mentali sono da definire in
termini di computazioni, ma se ne differenzia per il fatto di
rifiutare lequivalenza tra la computazione e la manipolazione di simboli logici. In una rete neurale i processi computazionali occorrono in modo distribuito e parallelo, per
cui lattivit rappresentativa emerge come una propriet
globale del sistema non riconducibile a manipolazioni
puntuali e localizzate eseguite sui simboli discreti del linguaggio del pensiero, dal momento che ad essere determinante la configurazione complessiva della rete, il che
richiede limpiego di strumenti matematici maggiormente
sottili e sofisticati, quali le equazioni differenziali non-lineari. Il funzionamento concreto del cervello viene emulato
attraverso i modelli basati sulle reti neurali: ai simboli e alle
regole vengono sostituite le connessioni dinamiche tra i
neuroni, concepiti come elementi semplici, ognuno dei
quali opera in un ambiente strettamente delimitato, mentre il sistema nel suo complesso emerge spontaneamente dallazione reciproca di tutti gli elementi componenti,
senza che sia necessario postulare ununit di elaborazione centrale. dunque il carattere di auto-organizzazione
dinamica esibito dalle reti neurali quanto spiega il passaggio dal livello locale al livello globale, dato che gli elementi

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significativi di un sistema dinamico come il cervello non


sono i simboli, ma i modelli complessi che descrivono
in termini di vettori di attivazione le configurazioni che
emergono dalla rete delle connessioni neurali. Viene cos a
cadere uno dei dogmi centrali della scienza cognitiva classica, ossia il postulato dellesistenza di un livello simbolico
separato, che funga da mediatore tra il piano semantico e
quello fisico-meccanico. Il problema di questapproccio
che non riesce a spiegare in che modo delle unit simboliche discrete possano ottenere il loro significato. Secondo
i fautori dellapproccio connessionistico, il significato non
va localizzato in singole unit simboliche, ma la funzione
di uno stato complessivo del sistema, che emerge dalle interazioni tra le sue unit, di gran lunga pi fini di quanto
non siano i simboli. Ci ha indotto molti teorici a postulare
lesistenza di un livello sub-simbolico che, se non coincide
con quello biologico, sembra tuttavia ad esso molto pi
vicino di quanto non sia il livello simbolico.
Secondo gli esponenti della scienza cognitiva incarnata, il cui atto di nascita ufficiale pu essere ricondotto al
volume collettivo di Varela, Thompson e Rosch (1991), tanto il cognitivismo classico, quanto il connessionismo sono
affetti dallipoteca delleredit cartesiana, data lenfasi da
essi posta sul ruolo esclusivo della mente/cervello nella
genesi dei processi cognitivi, a prescindere dallapporto
dei processi sensori-motori corporei e dei fattori ambientali che pure concorrono a forgiare e a definire la cognizione. Intesa in senso pi ampio, la cognizione presuppone
invece lesercizio di capacit percettive e motorie che dipendono direttamente da caratteristiche del corpo fisico
e il suo essere situata ed estesa in uno specifico contesto
ambientale (Wilson & Foglia, 2011). In questa prospettiva,
gli stati cognitivi non sono pi equiparabili a rappresentazioni interne di un sistema isolato, passivamente esposto
agli impatti che gli stimoli sensoriali di input provenienti
dal mondo esterno esercitano su di esso, ma sono prodotte da un agente gi sempre in relazione col suo mondo
ambiente. su questa caratteristica che insiste in particolare lapproccio enattivista, che possiamo sintetizzare nei
cinque punti seguenti (Thompson, 2007:13):
1. gli esseri viventi sono agenti autonomi capaci di produrre e di mantenere in vita se stessi, delineando al
tempo stesso i propri domini cognitivi;
2. il sistema nervoso nel suo complesso e non soltanto
il cervello un sistema autonomo e dinamico che
genera le proprie configurazioni dattivit grazie a una
rete circolare di connessioni neurali rientranti;
3. la cognizione consiste nellesercizio di abilit pratiche
nel corso di azioni situate e incorporate;
4. il mondo non un dominio esterno da cui lorganismo
agente segregato, ma una struttura relazionale che
emerge dagli accoppiamenti adattivi che lorganismo
pone in essere con lambiente;
5. lesperienza cosciente non un abbellimento epifenomenico che si limita a tingere gli stati computazionali o neurofisiologici di una coloritura qualitativa, ma
svolge un ruolo centrale per la comprensione del funzionamento della mente.
Rispetto alla scienza cognitiva di prima e seconda generazione lapproccio enattivo promette dunque un pieno
recupero della dimensione dellesperienza soggettiva, cos
come stata codificata nella psicologia del senso comune.
I processi di conoscenza che caratterizzano la nostra prassi ordinaria non consistono nella risoluzione di problemi

predefiniti, ma nella produzione attiva di strategie dipendenti dal contesto in cui gli agenti cognitivi sono collocati,
dato che la mente non un dispositivo di immagazzinamento e di elaborazione di dati, ma un organo di controllo
del corpo biologico nelle sue interazioni con lambiente
(Clark, 1997). Questo mutamento di prospettiva comporta
una critica radicale del concetto di rappresentazione invalso nella scienza cognitiva tradizionale: il termine stesso
postula lesistenza di un mondo gi dato, che in seconda
istanza le nostre attivit cognitive si incaricherebbero di
riprodurre in modo speculare. A questo concetto i teorici
dellenattivismo contrappongono il modello della comprensione, da intendere come un processo circolare nel
quale individuo e ambiente sono i termini di una relazione
inscindibile che li precede entrambi e in cui agire e conoscere sono reciprocamente implicati nella produzione di
un mondo che siamo noi stessi a rifigurare di continuo.
evidente riguardo a questo punto lintento di riallacciarsi alla tradizione ermeneutica e fenomenologica e ai
suoi esponenti di punta, quali soprattutto Heidegger e
Merleau-Ponty, perseguito gi con un notevole anticipo
rispetto allaffermarsi del paradigma embodied/enacted da
H. Dreyfus intorno ai primi anni Settanta del secolo scorso.
Dreyfus imputa in sostanza alla scienza cognitiva tradizionale la pretesa di ricondurre lintelligenza a leggi espresse in algoritmi formali che governano processi interni di
computazione in modo indipendente dal contesto. A
rendere problematica lassimilazione del comportamento
umano a questo modello il fatto che la nostra capacit di
risolvere problemi e di entrare in relazione con gli oggetti
del mondo e le altre persone presuppone una conoscenza
di sfondo tacita che non codificata in formato proposizionale, ma discende da abilit pratiche spesso implicite e
altamente sensibili al contesto dellazione (Dreyfus, 1972;
1992). Dreyfus si riallaccia qui a due nozioni chiave della
filosofia heideggeriana, che costituiscono un precedente
teorico importante per lenattivismo, ossia lessere-nelmondo e la distinzione tra utilizzabilit e semplice-presenza. Lessere-nel-mondo, afferma Heidegger (1927), una
struttura costitutiva dellesistenza, in cui si esprime lapertura originaria e intenzionale dellEsserci ossia dellindividuo umano verso un mondo che lo trascende e con
cui nondimeno intrattiene una relazione di intrinseca appartenenza, nonch il suo carattere di progettualit. Nel
suo commercio quotidiano col mondo, in cui non semplicemente inserito come un oggetto inerte in un contenitore, ma che contribuisce esso stesso a forgiare nella sua
fisionomia caratteristica, lEsserci si rapporta alle cose anzitutto in quanto utilizzabili. Solo in situazioni limite, quali limprovvisa perdita di funzionalit che uno strumento
pu subire a causa di una rottura o di un guasto, o nel caso
delladozione deliberata dellatteggiamento teoretico, le
cose si appalesano allEsserci nel modo della semplicepresenza, ossia a partire da unattitudine obiettivante che
spoglia loggetto di ogni determinazione che non sia quella fisica della localizzazione spazio-temporale. Strettamente apparentata allaccezione heideggeriana di utilizzabilit
la nozione di affordance (dal tedesco Aufforderung) che
lo psicologo J. J. Gibson (1979) riprende dalla psicologia
della Gestalt a designare le caratteristiche degli oggetti
che ci spingono irresistibilmente a prenderli tra le mani
e a farne uso. I nostri sistemi percettivi sono sintonizzati
direttamente con le affordances mondane senza che sia
necessaria lintermediazione di rappresentazioni interne: il

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sistema visivo non deve risolvere il problema di ricostruire


nella sua pienezza un mondo tridimensionale di oggetti
a partire dalle informazioni che rifluiscono nellimmagine
bidimensionale della retina, ma si relaziona direttamente
alle invarianti dellarredo ambientale ottico grazie a movimenti desplorazione che chiamano in causa lattivit
corporea. Di tenore analogo sono le considerazioni di
Merleau-Ponty (1945), che vede nella percezione listanza primaria che garantisce la nostra inerenza al mondo:
la percezione sfocia direttamente sulle cose e non funzionale allelaborazione di rappresentazioni da processare
allinterno della testa, ma funge da dispositivo di controllo
dellazione e di orientamento motorio. Coerentemente a
questo assunto, Merleau-Ponty pu cos proporre una visione della cognizione come processo integrato costituito
dalla sinergia tra organismo, corpo e mondo sulla base di
un ampliamento della nozione tradizionale di intenzionalit: nellarco intenzionale rifluiscono infatti a pari titolo
non solo il momento percettivo, ma anche quello motorio
e pratico. Centrale nellimpostazione di Merleau-Ponty
il concetto di corpo vivo, o corpo proprio, le cui capacit
motorie danno luogo allintenzionalit originaria dellio
posso, per il quale primaria non la capacit di produrre
rappresentazioni fungenti da intermediari mentali tra noi
e il mondo, ma lautotrascendersi dellesistenza verso cose
gi immediatamente dotate di un significato. Gi prima di
Merleau-Ponty tuttavia era stato il tardo Husserl (1952) ad
aver attratto lattenzione sulla centralit del corpo proprio
nella genesi della percezione oggettuale, nella costituzione del nostro senso di autoconsapevolezza e nelle relazioni intersoggettive che intratteniamo con le altre persone.
Il corpo si configura in Husserl come un sistema integrato
di percezioni sensoriali, propriocettive, cinestesiche e affettive che determinano il riferimento a s dei vissuti desperienza e al contempo la sintesi multimodale delle differenti sorgenti di informazione sensoriale, in modo tale da
consentire la formazione di percetti unitari diretti intenzionalmente verso oggetti compiuti. Oltre a ci, il corpo
proprio loperatore che veicola e mobilita le risorse sensori-motorie necessarie per lempatia e per lattribuzione
ad altri soggetti di vissuti intenzionali analoghi ai nostri.
Proviamo ora a gettare un rapido sguardo sulle aree di
ricerca in cui il paradigma embodied si dimostrato pi
fertile, che possiamo classificare sommariamente nellelenco seguente (cfr. Gibbs, 2005; Wilson & Foglia, 2011):
il tema dellidentit personale e della consapevolezza di s:
il modo in cui facciamo esperienza della persona che noi
stessi siamo e le relative ascrizioni di significato sono modulate dal nostro senso di autoconsapevolezza corporea e
dal particolare corpo che ci capita di essere. In particolare,
sono le regolarit esibite dallesperienza cinestesico-tattile
a costituire non solo il nostro s nucleare a livello sensorimotorio, ma anche le rappresentazioni di ordine superiore
che lo riguardano;
percezione e azione: la percezione non un processo inferenziale interno alla mente/cervello scomponibile in stadi di elaborazione computazionale su informazioni estratte da invarianti ambientali statiche, ma intrinsecamente
connessa alle attivit esplorative esercitate dal corpo in
movimento, che concorrono a determinarla nel corso di
accoppiamenti strutturali e ricorsivi tra organismo e ambiente (cfr. No, 2004; 2009; ORegan & No , 2001);
concettualizzazione: contrariamente alla concezione
tradizionale, secondo cui i concetti consistono di simbo-

li amodali indipendenti dal contesto, le nostre capacit


concettuali sono modellate e strutturate da pattern ricorrenti di attivit corporea, in particolare atti di simulazione
percettivo-incorporata (Barsalou, 2008; 2009). Nella genesi dei concetti un ruolo fondamentale svolto dalle metafore: persino i concetti pi astratti sono in buona parte
forgiati sulla base di una mappatura metaforica che ha nel
corpo il proprio dominio dorigine e pu essere proiettata in differenti domini bersaglio (Lakoff & Johnson, 1980;
1999);
1. immaginazione, memoria e ragionamento: anche
questi processi cognitivi di ordine superiore dipendono da azioni incorporate che possono occorrere in tempo reale, nel caso delle nostre interazioni
immediate con lambiente durante lesecuzione di
compiti cognitivi complessi, o off-line, qualora il
compito non venga effettivamente eseguito, ma
solo immaginato o ricordato. Limitazione incorporata delle azioni altrui svolge inoltre un ruolo non
secondario nella cognizione sociale e presuppone
lesistenza di un meccanismo di risonanza i neuroni-specchio che ci consente di riconoscere in
modo immediato prima di ogni inferenza gli altri
in quanto persone simili a noi (Gallese & Goldman,
1998; Rizzolati & Sinigaglia, 2006);
2. linguaggio e comunicazione: il significato non
unentit astratta codificata a livello profondo in un
linguaggio del pensiero, in cui vengono tradotte le informazioni fisiche provenienti dal mondo
esterno, n il linguaggio pu essere spiegato soltanto sulla base della corrispondenza arbitraria di
simboli disincarnati alle entit del mondo esterno
e delle regole composizionali che presiedono alla
loro combinazione nella produzione di enunciati.
Tanto allapprendimento del linguaggio quanto
al suo esercizio prendono parte esperienze percettive e concettuali relative al contesto in cui gli
enunciati sono prodotti che rilevano da pattern di
attivit incorporata
In conclusione, come anche questa breve rassegna sembra in grado di suggerire, il paradigma embodied sembra
promettere non solo sul piano delle enunciazioni teoriche
ma anche su quello della ricerca sperimentale una visione
maggiormente aderente alla complessit e alla concretezza delle interazioni tra gli agenti cognitivi e il loro ambiente, e una spiegazione pi plausibile del modo in cui
vengono a generarsi lautoconsapevolezza e il senso del
proprio s personale. Questapproccio si contraddistingue
inoltre per il suo valore euristico, nel momento in cui capace di dare conto entro unottica integrata e in modo empiricamente plausibile di un ampio spettro di fenomeni, e
per la sua capacit di chiamare in causa, come del resto
avvenuto per la scienza cognitiva di prima e seconda generazione, uno spettro estremamente ampio di discipline,
in cui confluiscono lanalisi descrittiva fenomenologica, la
filosofia della mente, la biologia evoluzionistica, le neuroscienze, la psicologia dello sviluppo e la robotica di ultima
generazione, incentrata sullambizioso programma di ricerca sullArtificial Life. Un limite difficilmente aggirabile, di
cui lembodied cognition affetta soprattutto nelle sue versioni pi radicali, consiste tuttavia nellaver voluto sottoporre a una condanna senza appello affrettata e per molti
versi non giustificata la nozione di rappresentazione, precludendosi cos la possibilit di spiegare compiutamente

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aspetti della cognizione quali il problem solving, il decision


making, il ragionamento e il calcolo deduttivo-inferenziale
e limmaginazione controfattuale (Wilson & Foglia, 2011;
Shapiro, 2011). un fatto che per indagare esaustivamente lorigine di questi fenomeni lazione incorporata e i pattern ricorrenti di attivazione sensori-motoria costituiscono
una base empirica troppo esile e che i modelli rappresentazionali e simbolici tradizionali possono cooperare con
quelli embodied in unottica integrata, come suggerito dal
rappresentazionalismo minimale propugnato da Clark
(1997: 174-175), secondo cui le rappresentazioni sono
strutture semplici, localizzate nello spazio e nel tempo, codificate secondo molteplici formati e orientate allazione.
Non necessario postulare un linguaggio del pensiero o
del cervello che codifichi le informazioni secondo il medesimo formato e in tutte le specificazioni possibili, dato che
gli eventi interni possono includere sia i processi neurali
che possono essere spiegati con lausilio della teoria dei
sistemi dinamici, ma anche strutture rappresentazionali
interne nel senso classico.

3.
Studiare la cultura stata da sempre una caratteristica
propria degli antropologi e pi in generale delle scienze
sociali. Tuttavia, se si esamina come le scienze sociali affrontano la cultura si nota lassenza di una definizione che
metta daccordo gli studiosi. Su una cosa in effetti concordano, ossia nel considerare il loro oggetto di studio svincolato dalla biologia degli individui e autonomo rispetto
alle loro caratteristiche psicologiche. Lidea reiterata dalle
scienze sociali che le creature umane siano animali culturali, ossia che tutto ci che caratterizza il nostro comportamento sia determinato dalle pratiche sociali che veicolano
la trasmissione di valori e credenze (il linguaggio verbale
rappresenta il meccanismo principale di trasmissione),
escludendo qualsiasi considerazione di natura biologica e
psicologica. I fatti culturali sono, secondo questa visione,
autonomi. Siamo di fronte, dunque, a una prospettiva che
non si cura di ci che costituisce i singoli individui, ma si
sbilanciata verso le pratiche collettive che caratterizzano i
gruppi sociali. Scrive mile Durkheim: Vi sono [] modi
di agire, di pensare e di sentire che presentano la notevole
propriet di esistere al di fuori delle coscienze individuali
(trad. it., 1963: 25). I doveri dettati dai costumi e dal diritto,
le credenze e le pratiche della vita religiosa, il sistema dei
segni che ciascuno di noi utilizza per esprimersi, il sistema
monetario sono cose che esistono prima dellindividuo
proprio perch esistono al di fuori di lui. Si delinea cos
da un lato un mondo culturale completamente privo di
vincoli con gli esseri umani in carne e ossa, dallaltro un
modo di procedere dellindagine scientifica caratterizzata
profondamente dalla separazione tra fatti sociali e biologici. John Tooby e Leda Cosmides (1992) si riferiscono a una
simile prospettiva che giunge a una concezione dualistica
della natura umana usando lespressione Metodo standard delle scienze sociali (MSSS). immediatamente chiaro quale genere di problema emerga da una concezione
dualista. Il problema il seguente: come interagiscono i
due fenomeni? Chi adotta la prospettiva del MSSS sostiene che lagire nella societ che consente agli individui
di introiettare la complessit dellorganizzazione culturale
che si agita fuori di lui dal momento che i fatti sociali di-

spongono di un notevole potere coercitivo. Scrive ancora


Durkheim:
Indubbiamente, quando mi conformo ad essi di mia spontanea volont, questa coercizione non si fa sentire, o si fa sentire poco, perch inutile. Ma essa rimane tuttavia un carattere
intrinseco di tali fatti. [] Essi consistono in modi di agire, di
pensare e di sentire esterni allindividuo, e dotati di un potere
di coercizione in virt del quale si impongono ad esso. Di conseguenza essi non possono venire confusi n con i fenomeni
organici, in quanto consistono di rappresentazioni e di azioni,
n con i fenomeni psichici, i quali esistono soltanto nella e mediante la coscienza individuale. Essi costituiscono quindi una
nuova specie, e a essi soltanto deve essere data e riservata la
qualifica di sociali (trad. it., 1963: 27).

chiaro come in un siffatto modello che porta con s


un esplicito riferimento al primato dei fattori educativi e
ambientali occorra analizzare, seppur brevemente, il modello di apprendimento a cui si fa riferimento, ossia lassociazionismo. Per il modello associazionista la mente una
tabula rasa su cui la cultura imprime i contenuti. La natura
umana, proprio perch priva di determinazioni cognitive
interne, si classificherebbe come incompleta, plastica e
duttile. Lesperienza assume un ruolo centrale e si sostiene che tutto ci che caratterizza le creature umane sia da
ascrivere ai processi di apprendimento. La cultura diventa
qualcosa che si apprende. Questo sancisce una sorta di
primato dei fattori esterni allindividuo e una concezione
della mente priva di qualsiasi tipo di determinazione interna. Un simile modello, tuttavia, non sembra plausibile
da un punto di vista cognitivo. Resta, infatti, inevasa la
domanda su che genere di architettura cognitiva debba
possedere un individuo perch il modello proposto dai
sostenitori del MSSS funzioni. Proviamo a fornire un esempio prototipico utile a spiegare questa affermazione. Coloro che sostengono il MSSS considerano il linguaggio
uno strumento grazie al quale possibile la trasmissione
dei fatti sociali. Sia nella filogenesi che nellontogenesi si
assiste ad un forte legame tra linguaggio e cultura. Nella
filogenesi, infatti, la presenza della cultura sembra coincidere con la nascita del linguaggio (Deacon, 1997; Tattersal, 1998) e se il nostro sguardo si sposta sullontogenesi
notiamo che nello sviluppo individuale acquisire un linguaggio significa fare proprie e comprendere le pratiche
sociali e dunque la cultura in cui si immersi. Per questo
motivo lanalisi dellacquisizione del linguaggio sembra
essere un ottimo banco di prova per la plausibilit cognitiva del modello culturalista dal momento che ne costituisce uno degli esempi maggiormente perspicui. Il lessico
senzaltro un aspetto del linguaggio che sicuramente
appreso. La conoscenza del significato delle parole, infatti, rappresenta il caso di apprendimento pi chiaro che si
possa immaginare. Nessuno nasce con la conoscenza del
significato della parola inglese rabbit (Bloom, 2000:15).
Tuttavia lassociazionismo empiristico non affatto una
strada promettente. La maggioranza dei risultati che provengono dalla psicologia dello sviluppo, infatti, mal si
accordano con questo genere di modelli di acquisizione
lessicale sostenuti dallidea di una mente povera e priva
di alcun tipo di determinazione. Sembra alquanto lontano
dalla realt dei fatti che un bambino impari il significato
della parola coniglio perch fa caso al fatto che la parola
pronunciata in presenza di conigli. Le parole normalmente

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non sono usate in presenza dei loro referenti. Secondo lo


psicologo Paul Bloom lapprendimento del lessico affidato oltre a varie capacit come comprendere la struttura
sintattica delle frasi, acquisire concetti, avere memoria e
altre capacit simili, soprattutto al possesso di una teoria
della mente, ossia alla capacit di mettersi nei panni degli
altri e di inferirne le intenzioni (nel caso dellacquisizione
del lessico, Bloom si riferisce a intenzioni referenziali). La
conseguenza di tutto ci che le creature umane sia per
apprendere il linguaggio e la cultura sia per la loro trasmissione necessitano di una architettura cognitiva complessa e innata. Lo studio comparato delle culture, inoltre, fa
emergere la presenza di un set ricco di emozioni, comportamenti, visioni del mondo, di ci che possiamo definire
universali umani. Con lo sviluppo delle tecniche di neuroimaging stato possibile migliorare la conoscenza di sezioni del cervello coinvolte in compiti specifici, come lelaborazione sensoriale, lattenzione, la memoria e i processi
decisionali. I progressi delle neuroscienze stanno mostrando sempre di pi come lintricata e elaborata architettura
cognitiva sia influenzata da fattori genetici. Scrive Richard
Dawkins nellincipit de Il gene egoista:
La vita intelligente su di un pianeta diventa tale quando, per
la prima volta, elabora una ragione della propria esistenza. Se
delle creature superiori provenienti dallo spazio mai visiteranno la Terra, la prima cosa che domanderanno, per stabilire il
nostro livello di civilizzazione, sar: Hanno gi scoperto levoluzione?. Organismi viventi sono esistiti sulla terra senza mai
sapere perch, per pi di tre miliardi di anni prima che uno di
essi cominciasse a intravedere la verit. Il suo nome era Charles Darwin (trad. it., 1992, p.19).

Dello stesso parere sembra essere Michael Shermer, biologo sperimentale e professore di economia alla Claremont
Graduate University che nel suo Why Darwin Matters: The
Case Against Intelligent Design (2006) attribuisce un ruolo
centrale allevoluzionismo per il progresso della conoscenza scientifica. Dalle parole di Shemer: Darwin importante
perch levoluzione importante. Levoluzione importante perch la scienza importante. La scienza importante
perch rappresenta la storia fondante del nostro tempo,
una saga epica che ci racconta chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Viviamo in un universo pieno
di meraviglie e di stravaganze, i cui misteri la scienza sta
contribuendo a svelare. Una di queste meraviglie levoluzione, un concetto tanto affascinante quanto controverso
e dibattuto. La causa delle numerose controversie crediamo risieda in un motivo ben preciso: nessun fatto, nessuna
indagine scientifica ci coinvolge in prima persona come la
teoria dellevoluzione per selezione naturale. Ci di cui si
una piccola parte non pu essere n un mezzo per s, n
un fine al di l di s scrive Telmo Pievani ne La vita inaspettata (2011: 232). E ci di cui si una piccola parte siamo
noi, creature umane, profondamente convinti che lintelletto sia lunico scopo di questo mondo e ossessionati dal nostro posto nelluniverso. Levoluzione avvicina, in ununica
catena dellessere, tutte le creature quelle ancora viventi e
quelle scomparse gi da molto tempo e ci insegna non solo
che siamo tutti imparentati, ma che siamo anche il prodotto di forze impersonali e cieche.
Questo aspetto, da alcuni celebrato e da altri scetticamente respinto, rappresenta il cuore dellevoluzione che
Charles Darwin nel capitolo conclusivo dellOrigine delle
specie (1859) descrive con queste parole:

Vi qualcosa di meraviglioso in questa concezione della vita, con le


sue molte capacit, che inizialmente fu data a poche forme o a una
sola e che, mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge immutabile della gravit, si evoluta e si evolve, partendo da inizi cos
semplici, fino a creare infinite forme estremamente bellissime e meravigliose (Darwin, 1859, trad. it. pp. 553-4).

Ogni cosa ha avuto una storia e quando saremo in


grado di osservare ci che ci circonda in questo modo
diventer pi interessante lo studio della storia naturale.
Quando parliamo di evoluzione non facciamo riferimento
solo alla bellezza e alla semplicit di unidea e di unintuizione ma ci riferiamo ad un fatto concreto che, nel corso del tempo, i biologi hanno contribuito a spiegare e a
dimostrare. Psicologia e biologia, pur non condividendo
una medesima prospettiva, hanno in comune lattenzione al legame tra corpi e comportamenti (Baldwin, Piaget,
Koffka) e al modo in cui questi elementi interagiscono e si
relazionano tra loro. La psicologia, secondo Piaget (1977)
ha origine proprio quando lorganismo manifesta un comportamento rispetto a certe situazioni esterne e risolve dei
problemi. Gli psicologi, dunque, mettono al vertice della
loro indagine un particolare aspetto del comportamento
vale a dire il mentale. Il diffondersi dellevoluzionismo ha
favorito la nascita di un nuovo tipo di psicologia definita
evoluzionistica. lo stesso Darwin a indicare la strada futura derivante dallapplicare la sua teoria e i suoi principi
allindagine della natura umana universale e lo fa nel capitolo conclusivo dellOrigine delle specie:
Per lavvenire vedo campi aperti a pi importanti ricerche,
la psicologia sar sicuramente basata su nuove fondamenta, quelle della necessaria acquisizione di ciascuna facolt
e capacit mentale per gradi. Molta luce si far sulla origine
delluomo e sulla sua storia (Darwin, 1859, trad. it. p. 552).

Secondo Darwin la psicologia avr una nuova fondazione che si baser sui principi propri della selezione naturale
responsabili dellevoluzione delle capacit umane. Se le
nostre capacit cognitive si sono evolute al pari dellandatura bipede e della postura che ci caratterizzano, esse
sono soggette, dunque, alla selezione naturale. In un certo
senso questo potrebbe essere considerato un modo piuttosto minimalista di declinare la nuova psicologia ma, se
vogliamo, proprio questo senso che crediamo non susciti disaccordo fra gli studiosi o fra coloro che fanno propria
la teoria della selezione naturale e la straordinaria rivoluzione intellettuale che essa porta con s. La psicologia
evoluzionistica caratterizzata da particolari interrogativi
incentrati sullorigine della mente umana (Buller, 2005) e
viene ritenuta una sorta di paradigma unificante che sarebbe in grado di spiegare come nel corso della storia si
siano evolute le diverse funzioni della cognizione umana.
Essa un particolare tipo di approccio alle scienze psicologiche in cui i principi guida e i risultati derivanti dalla
biologia evoluzionistica, dalle scienze cognitive, dallantropologia e dalle neuroscienze vengono integrati con la
psicologia con un fine ben preciso, ossia dare vita a una
mappatura della natura umana. Con il termine natura
umana, gli psicologi evoluzionisti si riferiscono allindividuazione di tutto ci che caratterizza larchitettura computazionale e neurale della mente e del cervello tipica
delle creature umane. Secondo tale visione, le componenti funzionali dellarchitettura cognitiva sono state progettate dalla selezione naturale per risolvere i problemi

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adattativi che i nostri progenitori si sono trovati di fronte


e per regolare il comportamento in modo tale da affrontare tali problemi con successo. La conoscenza del contesto
evolutivo dei fenomeni psicologici contribuir, secondo la
PE, alla comprensione dei fenomeni stessi. Lantropologo
americano John Tooby e sua moglie, la psicologa evoluzionista Leda Cosmides, due dei principali rappresentanti di
questo campo di studi, hanno definito la psicologia evoluzionistica come lapplicazione della logica adattazionista
allo studio dellarchitettura della mente umana (1997, p.
14). Lapproccio evoluzionistico, infatti, lunico allinterno
delle scienze sociali che spiega perch le persone fanno
ci che fanno. Proprio per questo la psicologia evoluzionistica sembra smascherare le ipocrisie tipiche della specie
umana indagando cosa sta dietro alle nozioni delle quali
ci serviamo per descrivere i valori morali e sociali ai quali ci
appelliamo, rivelando il lato pi oscuro della nostra natura.

In questo numero
I contributi che presentiamo qui al lettore esibiscono
una rispondenza al doppio titolo che abbiamo scelto per
il secondo numero di Reti, Saperi, Linguaggi sia quanto
allo stile di ricerca che li anima sia quanto ai contenuti specifici in essi trattati. Direttamente ispirati alle tesi di Lakoff
e Johnson sul ruolo delle metafore concettuali nella genesi
e nella strutturazione della cognizione umana sono i contributi di Elisabeth Wehling e Marco Casonato. La Wehling
analizza le modalit in cui le metafore del discorso politico
di Berlusconi hanno permeato di s limmaginario collettivo della cittadinanza italiana, fino ad agire pervasivamente sui meccanismi inconsci soggiacenti al decision making,
mentre Casonato si concentra in particolare sullesempio
delle metafore concettuali dellamore e sulla funzione che
esse svolgono nella dinamica trasferenziale tra paziente e
terapeuta che si instaura nel setting psicoanalitico. In maniera analoga, e sulla scorta di unoriginale ripresa delle
tesi di Sapir e Whorf, insiste sulla preminenza degli aspetti
embodied e embedded della cognizione nella genesi delle nostre competenze linguistiche Vito Evola, secondo cui
la lingua naturale, parlata da un agente situato in un ambiente concreto e incarnato in un corpo fenomenologico,
plasma anche i processi di pensiero pi astratti.
La prospettiva incarnata lorizzonte di riferimento in
cui si colloca il tentativo intrapreso da Maria Primo di ricondurre i suoni linguistici alla loro origine gestuale e motoria,
in direzione di un superamento degli approcci formalistici in fonetica e del recupero dellunit tra il livello dellespressione e quello della programmazione. Vittorio Gallese sinserisce autorevolmente nel dibattito sulla embodied
cognitive science proponendo una teoria della costituzione
dellintersoggettivit a partire dal dispositivo della simulazione incarnata implementato a livello neuronale dal
sistema specchio che si fonda sulle pi recenti evidenze
sperimentali maturate in sede di neuroscienza cognitiva e
sul recupero delle teorie fenomenologiche dellempatia e
dellintracorporeit (Husserl, Stein, Merleau-Ponty).
Paolo Giuspoli offre una serie di interessanti spunti per
una riflessione critica intorno alle basi biologiche dellimitazione e della cognizione sociale individuate in letteratura neuroscientifica nel sistema-specchio, invitando
a mantenere un atteggiamento di cautela riguardo al rischio di incorrere in indebite sovrapposizioni tra il piano

10

dellesperienza soggettiva in cui ha luogo lattribuzione


di eventi motori ad altri soggetti e la loro interpretazione e quello dei meccanismi neurofisiologici soggiacenti.
Edoardo Fugali affronta poi il tema della genesi dellautoconsapevolezza corporea secondo la duplice prospettiva
della fenomenologia e della scienza cognitiva incarnata in
riferimento alla dimensione del corpo vissuto in quanto
strato esperienziale ontologicamente genuino ed esperienzialmente autonomo che non si lascia ridurre alla
componente del corpo materiale a cui essa pure inestricabilmente legata. Francesco Bianchini si confronta con il
fenomeno della swarm intelligence (intelligenza di sciame),
ossia con lidea che accosta il funzionamento del cervello
a quello delle colonie di insetti eusociali e considera il ragionamento stesso come un superorganismo. Da questo
confronto potrebbero emergere importanti conseguenze
che hanno a che fare con la produzione di modelli in cui
linformazione semantica trovi una sua applicabilit maggiormente plausibile dal punto di vista cognitivo e una
migliore comprensione del modo in cui essa determina gli
aspetti cognitivi delle creature umane. Francesco La Mantia prende in esame il concetto di cognizione distribuita
delineandone i suoi significati nel contesto della scienza
cognitiva per poi analizzare la sua interazione con la teoria
computazionale della mente, la social cognition e la mente
personale.
Edoardo Lombardi Vallauri offre un contributo, da una
prospettiva strettamente linguistica, alla comprensione
di che cosa potrebbero non essere le strutture presenti
nel cervello preposte al linguaggio mostrando, in particolare, che molte pretese evidenze a favore della Grammatica Universale non lo sono affatto. Le precondizioni
cerebrali per il linguaggio, infatti, potrebbero essere assai
meno dedicate di una Grammatica Universale e le diverse grammatiche delle lingue, prodotti storici della civilt
umana, possono essere acquisite per imitazione anche se
non sono cablate fina dalla nascita nel nostro cervello.
Maria Grazia Rossi pone invece laccento sulla natura
del linguaggio che deve essere affrontata affiancando al
vincolo della plausibilit psicologica quello della plausibilit evolutiva, sollevando numerose critiche sullipotesi
della natura culturale del linguaggio avanzata allinterno
dei modelli funzionali. Lanalisi del cambiamento storico e
osservabile delle lingue non sembra essere, infatti, la metodologia dindagine adeguata per dar conto dellevoluzione del linguaggio.
Giuseppe Citt si concentra sulluso di modelli computazionali nello studio dellacquisizione del linguaggio esaminando alcune questioni centrali che riguardano il processo di apprendimento di una lingua in una fase specifica
che quella dellesplosione del vocabolario e degli errori
linguistici. Il linguaggio umano considerato come una tecnologia al centro del saggio di Alessandra Falzone. La sua
analisi mette in evidenza come il linguaggio consente sia
la manipolazione e la trasformazione di elementi percepiti
in rappresentazioni sia di formulare materialmente necessit interne mettendole in relazione con il mondo esterno.
Con la sua tesi, la Falzone cerca di dimostrare che il linguaggio, per specifiche ragioni evolutive, la tecnologia
della nostra cognizione.
Maria Grazia Turri investiga il legame tra neuroni specchio, imitazione e il concetto di responsabilit. La socialit un fatto costitutivo delle creature umane, iscritto nel
nostro corpo. Questo aspetto implica di per s, secondo la

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Turri, la responsabilit verso se stessi e verso gli altri che


ciascuno di noi esercita al di l delle proprie intenzioni
consapevoli grazie al meccanismo di risonanza iscritto nel
nostro sistema motorio. Andrea Carnaghi, Francesco Foroni e Raffaella I. Rumiati si interrogano sullorganizzazione
cerebrale della conoscenza semantica concentrando la
loro attenzione sul modo in cui gli esseri umani organizzano la conoscenza dei conspecifici e delle categorie sociali. Dedicato a questioni epistemologiche di principio il
saggio di Mario Graziano, che contrappone al naturalismo
scientifico (espresso in modo esemplare nella versione
radicale di Quine) un naturalismo liberale che rispetto al
primo sembra offrire una base esplicativa maggiormente
adeguata a rendere conto delle entit e dei processi matematici nella loro genuina fisionomia.
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Il ragionamento come superorganismo


Francesco Bianchini - francesco.bianchini5@unibo.it
Dipartimento di Filosofia, Universit di Bologna

Abstract
The discussion concerning the new trends in cognitive science seems very strictly tied to two fields of research: neuroscience and biology. First of all, because cognitive phenomena are neuroscientific and biological phenomena as well.
Secondly, because such disciplines are able to contribute to the understanding of mental events and cognitive capabilities. In this paper, I deal with a special class of biological entities, superorganisms, in order to show how biological inspired
computation could benefit from the studies on such particular entities, that are intermediate between low organisms and
higher level organisms made by low organisms. Latest scientific outcomes about superorganisms are interesting from the
point of view of the notion of emergence, that is crucial in biological and cognitive science, for it explains phenomena by
means of two connected features: autonomy and dependence on lower levels of a certain phenomenon. In superorganisms we could see some ways in which high levels depends on low levels, and such a dependence arises from a connection
of cooperative and competitive actions of lower entities. I argue that biological inspired models of cognition could benefit
from some traits of superorganisms, in order to simulate cognitive capabilities as representation and perception.
Keywords
Superorganisms, emergence, biocomputation, representation, modularism, connectionism.

1. Introduzione su due vecchie scienze


Mentre la fisica contemporanea si interroga e si interrogher ancora a lungo sul significato dei recenti risultati
sulla scoperta del bosone di Higgs, entit postulata diversi
decenni fa e soltanto oggi trovata grazie alle sperimentazioni dellLHC di Ginevra, la biologia di questo stesso
periodo consolida le acquisizioni compiute nellultimo
decennio relative al superamento di una visione troppo
sbilanciata sulla genetica, inserendosi in un quadro teorico in cui la differenziazione e lintegrazione fra livelli sono
diventati il frame concettuale attraverso cui analizzare la
realt naturale vivente evoluzionisticamente intesa. Cos,
mentre la fisica soddisfa il suo bisogno di mattoni fondamentali della realt, la cui necessit prescritta dal Modello
Standard serve a conferire massa a quegli elementi oggettivisticamente elusivi della fisica subatomica che si trovano
al livello pi basso, la biologia sembra doversi confrontare
continuamente con lopposta tendenza alla ridefinizione
degli elementi oggettivi che compongono le entit dei
suoi vari campi di studio e non pu non avvicinarsi sempre di pi a una prospettiva in cui i livelli superiori sono
fondanti, e dunque causalmente esplicativi, tanto quanto
quelli inferiori.
La dottrina dellemergenza, intesa in un senso ontologicamente realistico ma debole, propugna infatti una relativa autonomia dei livelli superiori rispetto a quelli inferiori,
senza negare la dipendenza ontologica e linterdipendenza esplicativa delle realt che considera come oggetto (Bedau & Humphreys, 2008). Per quanto riguarda la biologia,
si pensi in particolare alla triplice interazione che avviene
fra il livello genetico, quello organismico e quello di specie, senza contare la relazione orizzontale di influenza reciproca e retroattiva che le entit di questi livelli instaurano
con lambiente (naturale e sociale) in cui si trovano1.
La tensione fra riduzionismo ed emergentismo, propria
di entrambe queste discipline, la fisica e la biologia, con
1. Per una presentazione della teoria dellevoluzione in senso gerarchico
si veda Eldredge (1999). Per una discussione e una relativa bibliografia si
rimanda a Pievani (2005).

12

una marcata tendenza costitutiva della prima per il riduzionismo e della seconda per lemergentismo, connessa
con gli studi sulla mente, il pensiero e la cognizione che si
sono sviluppati negli ultimi decenni e che in questo periodo stanno vivendo una fase di transizione da modelli
di spiegazione riduzionistici e analitici a modelli che adottano approcci integrati. Perci, se da un parte gli studi sul
pensiero in generale e la psicologia, nelle sue varie sottodiscipline, sembrano sulla soglia di essere assorbiti dalle
neuroscienze quanto a metodi, linguaggio e universo
ontologico, pagando in questo modo un forte tributo al
riduzionismo, dallaltra, la prospettiva integrata, multilivello, emergentistica della biologia sembra fornire agli studi
sulla mente nuove vie per sfuggire ad un riduzionismo ed
a un eliminazionismo intesi in senso forte2. Questa sembra
anche una delle lezioni che si pu trarre dalla modellistica
computazionale cognitiva biologicamente ispirata (biologically inspired) e dalla bio-computazione. Si pu vedere,
infatti, in questo tipo di ricerche una duplice motivazione
di fondo: quella di ricondurre gli studi sui vari aspetti del
pensiero a una pi generale cornice biologistica, essendo
esso, il pensiero, un fenomeno che trova origine, evolutivamente, nel mondo biologico e, ontologicamente, negli
organismi viventi, fatto ormai non pi trascurato dallinsieme delle discipline interessate a questo tipo di ricerche;
e quella di recuperare dal mondo del vivente schemi, forme e processi per simulare e modellare il pensiero senza
rinunciare alle sue peculiarit, ma neanche alla plausibilit
esplicativa da un punto di vista evolutivo.
Al di l delle questioni sollevate dalla psicologia evoluzionistica, che qui non possiamo affrontare e commentare per ragioni di spazio, uno degli aspetti pi interessanti
della prospettiva biologically inspired legato ai numerosi
tentativi che sono stati fatti attraverso di essa per spiegare
le forme di pensiero pi astratte, come i vari tipi di ragionamento logico e analogico, i quali sembrano implicare
imprescindibilmente aspetti rappresentazionali, sequenziali, top down e di controllo unificato e/o centralizzato del
2. Sul problema della spiegazione in scienza cognitiva da un punto di
vista epistemologico si rimanda a Marraffa, Paternoster (2011).

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processo di ragionamento. Le due cose paiono stare, infatti, su poli opposti, quasi antagonisti, e le vie daccesso per
arrivare a una comprensione dei secondi attraverso la prima sembrano molto strette, o molto difficili da percorrere,
e intrinsecamente correlate con il concetto di rete.

2. Biocomputazione e rappresentazione
Allo scopo di definirne alcune coordinate, si pu ricordare che
la biocomputazione, o computazione biologicamente ispirata,
un campo allinterno della computazione naturale, un filone di
ricerca a sua volta composito, perch comprende, fra gli altri, sia
i tentativi di utilizzare i computer per simulare e in questo modo
sintetizzare i fenomeni naturali, sia i programmi di ricerca basati
sulla costruzione di metodi per il problem solving che si ispirano
ad aspetti naturali, in particolare ripresi dal mondo biologico. A
questo complesso panorama va aggiunta la considerazione che
la robotica si pone al di fuori di, ma molto vicino e in stretta connessione a, questo tipo di ricerche, sfruttando cospicuamente i
risultati delle metodologie impiegate nella computazione naturale e nella biocomputazione.
Se vero che uno degli assunti epistemologici della biologia
si fonda sullidea che ogni fenomeno suo oggetto di studio per
essere compreso va vagliato anche, e necessariamente, dal punto di vista della sua storia evolutiva, questo aspetto solo una
delle variabili in gioco nella biocomputazione. In altri termini, la
biocomputazione, come la computazione naturale, pu portare
a comprendere, in un movimento di ritorno, alcuni fenomeni
biologici. Tuttavia, essa sfrutta piuttosto le caratteristiche dei fenomeni naturali, modellizzandole, come euristiche, prefiggendosi come scopo principale quello di risolvere questioni legate
alle computazione in modo migliore o ottimale rispetto ai metodi tradizionali dellintelligenza artificiale (IA). Tutto ci ha avuto
negli anni un forte impatto anche sulla scienza cognitiva, per
quanto riguarda la comprensione di quei fenomeni mentali che
sono stati al centro del dibattito degli ultimi decenni. Dunque,
la biocomputazione, come branca della computazione naturale, non ha prodotto solo nuovi strumenti per lo svolgimento di
compiti un tempo dominio esclusivo dellIA di tipo, cosiddetto,
ingegneristico, ovvero tesa al risultato pi che alla comprensione del fenomeno, ma anche nuovi metodi per ideare e realizzare
simulazioni a fini esplicativi della cognizione umana.
Alcuni campi allinterno della biocomputazione hanno avuto
uninfluenza fin dagli anni Settanta del secolo scorso, procedendo in parallelo con lo sviluppo delle reti neurali e del connessionismo. Si pensi, ad esempio, agli algoritmi genetici (Holland,
1992)3, sviluppati gi prima che il connessionismo ritrovasse
nuova fortuna dopo decenni di relativo oblio e che nascono
come algoritmi di ottimizzazione nella soluzione di problemi di
ricerca. Essi furono impiegati, anche se non esclusivamente, nel
campo dellIA per affrontare problemi difficili da risolvere con algoritmi di tipo classico e furono cos chiamati perch si ispirano
alla genetica e alla selezione naturale, costituendo una sottoparte degli algoritmi di matrice darwiniana, generalmente chiamati
algoritmi evolutivi. Il principio su cui si fondano gli algoritmi genetici quello della riproduzione selettiva di stringhe di codice,
chiamate geni, che codificano diverse soluzioni per un problema
di ottimizzazione. Tale riproduzione selettiva, di popolazione in
popolazione, avviene secondo i canoni classici della selezione
darwiniana: mutazione (casuale) e fitness (verso lobiettivo ottimale), con anche una certa misura di crossing-over genetico. Ci
che conta, per, che la facolt di ricorrere a questi principi
resa possibile dalla loro interpretazione funzionale, che ne permette una modellizzazione passibile di applicazioni ad ampio
raggio, dalla bioinformatica e allingegneria fino alleconomia e
alle scienze sociali.
La scelta di ricorrere a euristiche di ispirazione biologica e
naturale anche per risolvere problemi tipici dellIA e legati alla
3. La prima edizione del 1975.

13

scienza cognitiva comune a varie branche della biocomputazione. Oltre agli algoritmi genetici e alle reti neurali, possiamo
ricordare gli automi cellulari, i sistemi immunitari artificiali, la
vita artificiale, le reti di comunicazione, le reti sensoriali e altre
euristiche ancora, tutte ispirate a fenomeni specifici del mondo
biologico. Al di l degli indubbi progressi in termini di strumenti
messi a disposizione da questo tipo di ricerche, la scorporabilit
o separabilit funzionale di questo tipo di fenomeni, al di l delle critiche rivolte al funzionalismo computazionale4, ne ha permesso un uso anche in termini esplicativi per quanto riguarda
determinate capacit riconducibili al pensiero e allintelligenza.
Si tratta in particolare di quelle capacit che possono essere definite di alto livello, come il ragionamento, il senso di identit, la
pianificazione e altre, che appaiono tutte chiamare in causa una
sostanziale, imprescindibile capacit rappresentazionale. Lutilizzo di elementi funzionali ripresi da sistemi biologici, unitamente
al concetto di emergenza e ai contributi della matematica impiegata per spiegare i fenomeni complessi, ha dischiuso negli ultimi
decenni nuovi e interessanti tentativi di spiegazione dei fenomeni mentali di livello superiore.

3. La mente come societ, la coscienza come


competizione
Una delle principali prospettive che si sono occupate di spiegare il pensiero con metodi biologicamente ispirati , come
noto, il connessionismo, che si avvalso delle reti neurali, una
metodologia imperniata sullestrazione di alcuni aspetti del
funzionamento del cervello e dei suoi componenti, i neuroni.
Tuttavia, lutilizzo di reti per fornire una spiegazione emergente dei processi mentali a partire dallinterazione di componenti
di livello inferiore anche quella proposta da Minsky nello stesso periodo in cui si assiste alla proliferazione delle metodologie connessioniste (Minsky, 1986). In termini generali, lidea di
Minsky, nel tentativo di ricomprendere in un quadro unitario la
totalit dei processi mentali, quella di spiegare lintelligenza
come una combinazione di cose pi semplici (Minsky, 1986: 34).
A tale principio guida corrisponde un sistema basato su agenti,
identificati funzionalmente, la cui azione combinata produce il
fenomeno da spiegare e la cui spiegazione in termini funzionali
ottenuta grazie alla scomposizione in sottoagenti meno complessi fino ad arrivare, pena il regresso allinfinito, ad agenti che
compiano operazioni molto semplici, non ulteriormente scomponibili e direttamente eseguibili dalla macchina (cerebrale5).
Combinando i ruoli degli agenti e dei sottoagenti in modo gerarchico ed eterarchico, Minsky prova a dare una spiegazione, o
un quadro generale di spiegazione, allinterno del quale vanno
poste le singole ricerche specifiche, i vari aspetti del pensiero: il
ragionamento, lapprendimento, la memoria, la comprensione, il
S, ecc. Gli agenti preposti a un certo compito possono entrare in conflitto, uscirne indeboliti e trasmettere la loro debolezza
agli agenti di livello superiore, ma non in tutti i casi. La mente
come risultato generale del sistema emerge anche, e in certi casi
soprattutto, come comportamento coordinato, se non cooperativo, di agenti che solo da un certo livello in su sono in grado di
negoziare la loro attivit in modo da evitare interferenze reciproche. In molte situazioni anche la cooperazione degli agenti sar
un risultato emergente (Minsky, 1986: 54-55).
Lidea di una scomposizione delle capacit cognitive complesse in capacit pi semplici gi presente nella scienza cognitiva
prima di Minsky ed direttamente collegata al modularismo, che
si afferma definitivamente a partire dagli anni Ottanta (Fodor,

. Sono ben note a tale proposito le posizioni di Searle (1980) e Edelman (2004), che pure si riferiscono o sembrano intaccare solo una versione molto ristretta di funzionalismo, finendo per accettarne i principi
di fondo.

. Largomento del cervello affrontato solo tangenzialmente da Minsky (1986: 618-623), il quale si muove in unottica simulativa ancora largamente simbolica dal punto di vista tradizionale.

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1983). Il modularismo ha da subito suscitato un ampio dibattito.


Nel corso degli anni si assistito al tentativo di superare i vincoli
posti da una concezione di modulo come unit di elaborazione
specializzata, incapsulata e isolata informativamente, che impone restrizioni insormontabili nel momento in cui si intendono
spiegare le capacit cognitive di livello superiore. In questottica va visto il tentativo fatto da Minsky, ma sono da annoverare
anche gli altri compiuti allinterno di questo filone etichettabile
come analisi funzionale6. Uno dei pi riusciti, e dei pi completi,
quello compiuto da Dennett per spiegare la coscienza (Dennett, 1991).
La componente competitiva alla base del modello che Dennett fornisce per spiegare la coscienza, da lui chiamato Modello delle Molteplici Versioni (Multiple Drafts Model). Lobiettivo
di Dennett quello di fornire una spiegazione dei fenomeni
coscienti alternativa a quella da lui definita Teatro Cartesiano,
ovvero lidea che esista un luogo privilegiato nel nostro cervello
che costituisca il punto di arrivo nel quale i nostri contenuti di
pensiero diventano coscienti nellordine in cui vi arrivano. A tale
visione ingenua, materialistica, Dennett oppone un modello di
tipo eliminazionista (ma soltanto relativamente ai qualia, allio
e a ci che rientra nella categoria di fenomeno cosciente soggettivo o in prima persona), mantenendo comunque una forte
componente rappresentazionalista allinterno della sua proposta. Secondo il suo modello, i contenuti di pensiero sono editati
in parallelo nel cervello, ma una sola volta. Ci produce molteplici versioni della rielaborazione del materiale percettivo (o dei
contenuti di pensiero in generale) e la coscienza consiste nel
particolare sondaggio che in ogni dato momento viene fatto nel
flusso di queste versioni. Tale sondaggio non decide, ma indica
quale insieme di contenuti ha prevalso sugli altri, ed dunque il
risultato di un incessante confronto competitivo che porta bottom up a un determinato flusso narrativo cosciente, corrispondente a quella parte dei contenuti che in un certo momento
monitorata7. Dunque, la coscienza segue, e non guida, la produzione di contenuto, una produzione che di fatto ancora di tipo
rappresentazionale, anche se la teoria di Dennett consiste, nella
sua essenza, nel tentativo di mantenere gli o alcuni aspetti rappresentazionali che paiono molto difficilmente eliminabili nella
spiegazione dei sistemi cognitivi senza incorrere nel rischio del
regresso omuncolare allinfinito8.
Certamente, lidea che numerosi agenti e molteplici contenuti
siano il substrato funzionale da cui emerge il pensiero, la cognizione o anche la coscienza, si sviluppa ben prima delle proposte
di Minsky o Dennett, gi agli albori dellIA. Basti pensare allarchitettura Pandemonium proposta da Selfridge (1959), cui anche
Dennett esplicitamente si richiama. Ci che interessante, per,
il fatto che, per avvicinarsi a una spiegazione effettiva delle capacit cognitive, siano necessari al contempo processi bottom
up, parallelismo, laccettazione della validit di principi come
quelli dellemergenza, dellauto-organizzazione, e uninterazione dinamica fra cooperazione e competizione, con uno sbilan6. Per una presentazione e una discussione della questione e delle varie
posizioni in merito si rimanda a Marraffa (2008).
7. Come chiarisce Dennett, ci di cui siamo coscienti il risultato della
competizione, ma non ogni competizione porta a un contenuto cosciente, perch la competizione fra i contenuti del cervello avviene a pi livelli:
Io ho evitato di affermare che una qualche vittoria particolare in questo
turbinio competitivo equivalga allassunzione nella coscienza. In effetti,
ho insistito nel dire che non c alcun motivo giustificato per tracciare
una linea che divida gli eventi che sono definitivamente nella coscienza
da quelli che stanno per sempre fuori o sotto la coscienza []. Tuttavia,
se la mia teoria della macchina joyceana dovr gettar luce sulla coscienza, bene che ci sia qualcosa di notevole su alcune, se non tutte, le
attivit di questa macchina, perch innegabile che la coscienza sia, intuitivamente, qualcosa di speciale (Dennett, 1991: 308; corsivo aggiunto).
8. Dennett ha poi raffinato il suo modello della coscienza proponendone
alcuni aggiornamenti per rispondere alle critiche di insufficienza esplicativa. Egli ha parlato perci di modello della fama nel cervello o della
celebrit cerebrale. Per unesposizione di queste tesi, e una relativa bibliografia, si rimanda a Dennett (2005: 152-153).

14

ciamento sullaspetto competitivo tanto maggiore quanto pi si


tenta di spiegare gli aspetti unitari o unificanti della cognizione
(la coscienza, lio, lelaborazione centrale o lidea di ununit di
supervisione centrale dei processi di pensiero). Il tutto, senza rinunciare, o meglio, per non rinunciare, agli aspetti positivi della
componente rappresentazionale coinvolta nella cognizione. Nella convergenza che tutto questo apparato esplicativo manifesta
attualmente con il suo inquadramento in una cornice biologica,
attraverso lo sviluppo delle neuroscienze, unulteriore branca
della biocomputazione potrebbe essere in futuro ancora portatrice di ulteriori significativi progressi in questa direzione. Vediamo quale e come.

4. La nozione di superorganismo
Una delle modalit della computazione biologicamente ispirata cui non si accennato in precedenza, ma in cui rintracciabile in massimo grado la tendenza a recuperare gli aspetti
emergentistici tipici di alcuni fenomeni biologici, quella della
swarm intelligence (intelligenza di sciame). In natura esistono diversi esempi di comportamenti complessi che nascono dallinterazione del comportamento collettivo di molti agenti locali dalle
possibilit limitate. il caso delle colonie di formiche, vespe, api,
termiti, ma anche degli stormi di uccelli o dei banchi di pesce.
A differenza dei fenomeni complessi in fisica, nel caso biologico degli sciami o delle colonie, lenorme potere adattativo di tali
insiemi di esseri viventi ne ha fatto degli ottimi candidati per
la spiegazione bottom up di fenomeni altrimenti difficilmente
spiegabili allinterno di una cornice evolutiva, cio non come risultato di una creazione imposta dallalto. Tuttavia, limportanza
del fenomeno della swarm intelligence non sta soltanto nel comprendere come essa possa essersi determinata da un punto di
vista evolutivo, ma nel capire anche che cosa ha determinato la
nascita e lo sviluppo di questi fenomeni.
Dal punto di vista delle computazione, la prima applicazione degli elementi funzionalmente rilevanti e scorporabili della
swarm intelligence avvenuta in robotica (Beni, Wang, 1989; Beni
2007), ma essa ha influenzato anche altri campi di ricerca come
lIA o le neuroscienze (Bonabeau, Dorigo, Theraulaz, 1999), portando alla costruzione di algoritmi e sistemi di agenti in grado di
coglierne gli aspetti essenziali. Quello che a noi interessa valutare se i punti di forza di questo tipo di sistemi adattativi complessi, cio la robustezza e la flessibilit, possono essere utili nel
comprendere, e simulare, non solo il comportamento di sistemi
complessi, ma anche certe forme di ragionamento. Alcune indicazioni in questo senso possono venire dalla considerazione di
un fenomeno strettamente collegato a quello della swarm intelligence: il superorganismo.
Lidea di accostare il funzionamento del cervello a quello
delle colonie di insetti eusociali si sviluppa negli anni Settanta
anche a seguito della pubblicazione del noto studio di Wilson
sullargomento (Wilson, 1971). Un dialogo di Hofstadter (1979:
337-364) ne forse lesempio pi celebre e affronta il tema dellemergenza dei livelli in un sistema organizzato secondo caste di
individui che basano la loro linterazione e la loro comunicazione
su segnali di tipo prevalentemente chimico (ma non solo), collegandolo al problema della conoscenza e dellintelligenza: tutti
questi strati di struttura sono necessari ad immagazzinare quei
tipi di conoscenza che permettono a un organismo di essere
intelligente in un qualche ragionevole senso della parola. Ogni
sistema che possiede la facolt del linguaggio ha essenzialmente
lo stesso insieme di livelli sottostanti (Hofstadter, 1979: 351). Il
paragone fra un cervello e un formicaio serve a Hofstadter come
giustificazione della sua teoria simbolica, che, in aperto contrasto
con il simbolismo dellIA e della scienza cognitiva tradizionale
(che, da un punto di vista filosofico, possiamo far coincidere con
la Teoria Computazionale e Rappresentazionale della Mente di
Fodor), vuole essere un tentativo di spiegazione della capacit
di avere e costruire rappresentazioni mentali, che eviti le rigidit

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delle rappresentazioni tradizionali e salvi al contempo la flessibilit come tratto distintivo delle effettive rappresentazioni mentali umane. I simboli per Hofstadter rappresentano la realt grazie a
una relazione di isomorfismo e compiono la loro funzione quando sono attivi, cio quando inviano messaggi per risvegliare,
o attivare, altri simboli. In altri termini, forse pi vicini a quelli
delle contemporanee ricerche in ambito neurocomputazionale,
si potrebbe dire che lisomorfismo dei simboli non solo permette
il riconoscimento di pattern, ma lo fa proprio perch esso stesso una questione di pattern; , cio, la caratteristica di alcune
porzioni cerebrali di costituire pattern dotati della possibilit di
allinearsi, o sincronizzarsi, con la realt, in una continua dinamica di allineamento e disallineamento in cui consiste lessenza del
ragionamento umano (e forse di alcuni animali superiori) on-line
e off-line.
Se lintento di Hofstadter stato quello di dare una risposta
a un problema molto sentito negli anni Settanta anche nellIA,
il problema del significato, ci potremmo chiedere se il concetto
di superorganismo pu gettare luce ancora oggi non tanto sul
modo in cui funziona il cervello, ma sul modo in cui si strutturano alcuni tipi di ragionamento, anche in considerazione del
fatto che il problema del significato collassato in una duplice
questione a lungo, e tuttora, dibattuta: la questione dei concetti e delle rappresentazioni mentali. Tralascer ora di parlare dei
concetti9 e mi concentrer sulle rappresentazioni e sulla capacit
rappresentazionale, dopo aver brevemente illustrato alcuni tratti
rilevanti della nozione di superorganismo.
In un recente studio, Hlldobler e Wilson (2009) fanno il punto
in merito alle ricerche sulle colonie di insetti eusociali. Tale disamina diventa anche loccasione per fare alcune interessanti considerazioni sulla nozione di superorganismo, con cui possibile
caratterizzare talune particolari societ di insetti. Gli autori non
mancano di riconoscere che, nel corso degli ultimi decenni, le
reti di individui cooperanti delle societ degli insetti hanno suggerito nuovi schemi per la progettazione dei calcolatori e hanno fatto luce sul modo in cui probabilmente i neuroni cerebrali
interagiscono nella creazione della mente (Hlldobler, Wilson,
2009: 21). Tale affermazione, pur nella sua genericit, testimonia
linflusso non limitato alla biocomputazione, ma estendibile alla
(neuro)scienza cognitiva, allIA e alla filosofia della mente, che la
nozione di superorganismo ha avuto per alcuni suoi aspetti peculiari.
Gli elementi che hanno interessato gli studiosi delle capacit (neuro)cognitive sono in genere due: la presenza nei superorganismi di un sistema di comunicazione robusto, flessibile
e raffinato, gestito nella grande maggioranza dei casi da fattori
chimici, che assume il nome di stigmergia (ad esempio, la traccia
feromonica lasciata dalle formiche per costituire un percorso
fra il formicaio e una certa fonte di cibo); una suddivisione del
lavoro in caste, che diventa sempre pi rigida in quelle specie in
cui il superorganismo , o si considera, pi evoluto. Al di l delle spiegazioni su come si possa essere evoluto un superorganismo10, uno degli aspetti pi interessanti evidenziato dagli autori
limportanza che riveste in questo caso la selezione naturale
multilivello, la quale opera a livello genetico, ma anche a quello
degli organismi, dei gruppi e dellintera colonia. La suddivisione
in caste, ad esempio, diventa qualcosa di sempre pi evidente
nellevoluzione del superorganismo, fino a realizzarsi morfologicamente nei singoli individui, la cui diversa funzione si rispecchia
nella loro forma. Ci va a scapito della forza selettiva opposta,
quella imposta agli individui dalla lotta per la riproduzione individuale e quindi della trasmissione del proprio materiale genico,
e proprio per questo produce una eusocialit pi evoluta, in cui
9. Anche se la questione strettamente collegata, nonch piena di
numerosi aspetti irrisolti. Su questo tema si veda Cordeschi & Frixione
(2011).

. Che chiamano in causa il dibattito in merito allaltruismo sulla selezione di parentela (kin selection) di Haldane, poi ripresa da Hamilton e
inserita nel teoria pi generale della fitness inclusiva (Hamilton, 1964,
1972).

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ad alcuni individui la riproduzione negata. Da un punto di vista


teorico, nel superorganismo la dinamica competizione/cooperazione si sposta, nellavanzamento evolutivo, e dunque anche in
termini di complessificazione, da un atteggiamento competitivo
a uno cooperativo, generando in questo modo la forza del superorganismo. Va anche notato come la transizione a questo tipo di
eusocialit avanzata avvenga solo al di sopra di un certo valore
di soglia, e dunque in un certo senso rara dal punto di vista
naturale, a causa delle forze opposte che operano a livello di selezione individuale (Hlldobler, Wilson, 2009: 41-64).
Un superorganismo allo stadio pi avanzato, tuttavia, riesce
a incorporare alcune elementi tipici dellorganismo, ma con una
maggiore flessibilit e robustezza, risultando in un certo senso
vincente e superiore. La specializzazione dei compiti riproduttivi, di difesa, di esplorazione, di recupero e distribuzione del cibo
corrispondono ai vari elementi di un organismo normale. Cos
come gli individui corrispondono alle cellule, le caste possono
essere considerate come organi o le caste difensive come il sistema immunitario. Inoltre, nel parallelismo fra organismi e superorganismi (Hlldobler e Wilson, 2009: 96) anche altri organi
degli organismi possono essere ritrovati nel superorganismo,
realizzati in modo funzionale: gli organi di senso sono il risultato
dellazione degli apparati sensoriali dei membri della colonia; il
sistema nervoso corrisponde alle modalit di comunicazione fra i
vari membri della colonia (da cui laccostamento fra il cervello e il
formicaio); il nido pu essere considerato analogo (non in senso
specificamente biologico) allo scheletro dellorganismo. Secondo la teoria della selezione multilivello i cambiamenti evolutivi
avvengono anche a livello di gruppi di individui e, dunque, pu
essere considerata qualcosa che agisce direttamente sul superorganismo e solo indirettamente sugli individui, per quanto ogni
cambiamento a un livello si riverbera su tutti gli altri. La superiorit del superorganismo, che in questo modo sarebbe soggetto
alle stessi leggi evolutive dellorganismo, pu essere vista consistere nel fatto che lequilibrio coesivo che si crea tra i suoi membri pi difficilmente soggetto a distruzioni esterne (riattaccare
un arto unoperazione pi difficile che non ricostruire una fila di
formiche che viene interrotta). Ci avviene a scapito dellindividualit dei suoi membri. Unindividualit forte, un senso di identit maggiore dei singoli individui, sia esso il risultato, parlando
in termini astratti, di spinte genetiche o di un senso di identit
pi consapevole, chiaramente mina o impedisce la costruzione
del superorganismo. Tuttavia, proprio in una certa quantit di
individualit residua nei suoi singoli membri che risiede la forza
del superorganismo.
Come fanno notare Hlldobler e Wilson (2009: 68), in biologia
invalso luso di utilizzare concetti informatici per esprimere il
comportamento dei membri della colonia. Una simile influenza
di ritorno dallinformatica alla biologia11 pu essere certamente
utile a comprendere, e ad avallare, alcuni aspetti dellemergentismo che entra nella spiegazione di simili fenomeni biologici.
Ad esempio, i membri delle colonie vengono caratterizzati come
agenti che eseguono un (semplice) algoritmo. Si parla di algoritmo perch essi non compiono soltanto una sequenza lineare
di azioni, ma vanno incontro a occasionali, ma allo stesso tempo
geneticamente vincolati, punti decisionali, nei quali scelgono
sulla base del contesto la sequenza delle azioni che compiranno in seguito, cambiando a volte ruolo in maniera reversibile o
addirittura irreversibile. In questo modo la colonia non solo pu
portare avanti azioni che i singoli individui svolgono in serie
in parallelo grazie alle differenti caste, ma anche intrecciare i vari
processi in un andamento generale serie/parallelo attraverso gli
stessi membri, che sono in grado di passare da una sequenza di
esecuzione di un compito a unaltra. In questo modo, il parallelismo del livello superiore si ritrasferisce nel livello inferiore, rendendo molto elevata lefficienza del sistema. Ci pu essere visto

. Non lunica, n la prima, se si pensa allutilizzo di termini della teoria
dellinformazione per la genetica gi a partire dalla met del ventesimo
secolo. Per una discussione di taglio epistemologico su questo tipo di
contaminazioni si veda Boniolo (2003).

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anche come una realizzazione effettiva di uno degli aspetti peculiari dellemergenza, cio quello che accosta allautonomia dei
livelli superiori la loro influenza su quelli inferiori. Questo, per,
solo a patto di accettare come causa originaria di questa serie di
azioni una selezione evolutiva che operi a livello di colonia e non
a un livello dirigenziale autonomo in grado di prendere decisioni.
Il comportamento emergente sorge, perci, sulla base di algoritmi molto semplici ed eseguibili velocemente da individui
con cervelli molto piccoli. Tali algoritmi determinano lo sviluppo
e il comportamento dei membri della colonia facendo emergere,
grazie alle caratteristiche senzienti e alle modalit di comunicazione e interazione dei singoli individui, quellintelligenza complessiva della colonia che maggiore dellintelligenza di ciascuno dei suoi membri e che opera sulla base di uninformazione, di
una conoscenza, distribuita rappresentata in modo distribuito
tra tutti i membri specializzati della colonia. Hlldobler e Wilson
chiariscono, inoltre, che in questo processo di auto-organizzazione mantenere una visione separatista fra i livelli sarebbe sbagliato: per quanto tali propriet emergenti destino meraviglia in chi
le osserva, di per s i loro meccanismi non sono misteriosi. [ vi
in effetti] unampia gamma di fenomeni emergenti abbastanza
semplici da poter essere spiegati con un graduale aumento di
complessit a partire dal comportamento degli elementi costituenti. Questo il vantaggio offertoci dalle piccole dimensioni
del cervello degli insetti sociali e dalle decisioni generali, semplici e rapide, che essi devono prendere avvalendosi di algoritmi
limitati (2009: 74; corsivo aggiunto). Nel caso dei superorganismi
la complessit il portato di una specializzazione degli individui,
non di un loro comportamento individuale divenuto sempre pi
complesso (Hlldobler, Wilson, 2009: 129). Questo lelemento
che ha determinato lo sviluppo di simili entit, che sono intermedie fra organismi di diversa complessit (ad esempio, tra una
formica, unape o una termite e una scimmia o un essere umano),
in cui lunione pi flessibile fra i diversi organismi loro componenti ha prodotto vantaggi e svantaggi diversi da quelli dei organismi multicellulari, ma che, esattamente come in questi, possono essere studiati a differenti livelli. La compattezza e lunit
degli organismi multicellulari, infatti, non implica che non si possano ritrovare negli uni e negli altri in larga parte le medesime
caratteristiche biologiche. Daltra parte, come afferma il biologo
Thomas Seeley (citato in Hlldobler, Wilson, 2009: 163): la teoria
della selezione multilivello mostra che, quando la selezione tra
gruppi predomina su quella allinterno del gruppo, i gruppi stessi
possono raggiungere un elevato grado di organizzazione funzionale (Seeley, 1997)12.

5. Il livello del ragionamento


Ora non resta che vedere in che modo tutto ci pu avere
conseguenze sulla nostra comprensione delle capacit cognitive
di ragionamento. Per far questo faremo riferimento in particolare
ad alcuni modelli computazionali sviluppati nel corso degli ultimi decenni e definiti dai loro autori come subcognitivi13.
In primo luogo, occorre chiarire che qui ragionamento va
inteso non nel senso ristretto di un procedimento logico-deduttivo, ma in uno pi ampio relativo a tutte quelle modalit che
riguardano il prendere decisioni in un contesto in cui linformazione abbondante, diversificata e incompleta. Molti modelli
subcognitivi sono stati costruiti per simulare la capacit cogniti
. Va specificato che la teoria della selezione di gruppo (che sarebbe
sicuramente una delle prove a sostegno della selezione multilivello)
ancora allo stadio di ipotesi non comprovata, e sulla quale nel corso degli
anni si imperniato un lunghissimo dibattito fra sostenitori e detrattori.
I superorganismi appaiono essere un campo piuttosto fertile per arrivare
a comprendere meglio leffettiva validit teorica della selezione multilivello, pur tenendo conto di tutte le differenze che intercorrono fra colonie
di insetti eusociali ed altre societ di individui allinterno del mondo animale in cui essa potrebbe essere rintracciata.

. Si veda Hofstadter et al. (1995). Per una trattazione approfondita mi
permetto di rinviare a Bianchini (2008).

16

va del fare analogie, intesa nel senso pi ampio di scoprire o costruire relazioni di somiglianza a un qualche livello sulla base di
elementi (dellambiente di elaborazione) che costituiscono a un
tempo gli elementi del problema e lo spazio stesso del problema.
Tuttavia, non c una ragione di principio per cui larchitettura di
base su cui sono costruiti tali modelli debba essere confinata alla
costruzione di analogie.
In secondo luogo, laspetto pi interessante di questi modelli che rientrano nella pi generale categoria dei sistemi complessi adattativi, almeno dal punto di vista della dinamica della
loro elaborazione interna e, dunque, possono essere considerati
unaltra forma, specifica e particolare, di computazione biologicamente ispirata. Laspetto che ci interessa il modo in cui essi
affrontano il problema della rappresentazione, cercando di superare gli ostacoli della rappresentazione tradizionalmente intesa
in IA, ma anche di conservare un certo livello rappresentazionale
come elemento imprescindibile delle abilit cognitive14.
In linea generale, larchitettura di questi modelli si basa su tre
componenti fondamentali: una rete concettuale in cui rappresentata la conoscenza stabile del programma sotto forma di nodi
e archi etichettati; uno spazio di lavoro in cui sono rappresentati gli elementi del problema e che corrisponde alla memoria di
lavoro (o memoria a breve termine); un insieme di microagenti,
detti codicelli (codelets), in grado di eseguire semplici operazioni.
Lelaborazione del programma consiste nellinterazione tra queste tre componenti fondamentali. I codicelli esaminano gli elementi nello spazio di lavoro, costruendo e distruggendo relazioni di accoppiamento e raggruppamento sulla base dei concetti
della rete concettuale (opposizione, uguaglianza, a destra di,
ecc.); nel fare questo causano lattivazione dei concetti nella rete,
che a sua volta genera linvio di nuovi codicelli per stabilizzare le
strutture promettenti fino ad arrivare a una visione unica in base
alla quale dare la soluzione del problema (analogico) da risolvere (ad esempio in COPYCAT, trovare una stringa di lettere che
sia in relazione con unaltra, ma nella stessa relazione che c fra
due stringhe iniziali e che quella da analogizzare15). La visione
unitaria il risultato emergente dellagire dei singoli codicelli, la
cui attivit competitiva/collaborativa autonoma, ma allo stesso
tempo determinata sia dalla rete concettuale sia dallinformazione che viene costruita progressivamente, in termini di strutture
di dati, nello spazio di lavoro. Tale visione unitaria, e i passaggi
che portano ad essa, possono essere visti anche come linformazione totale di cui il sistema dispone in un determinato istante
di elaborazione, informazione che suddivisa fra le tre componenti del programma. Per tale ragione, essa una sorta di rete di
dati relazionalmente organizzati che sta a un livello superiore di
quello della rete concettuale che costituisce una sola delle componenti. Tale rete informazionale di livello superiore sembra cogliere la quintessenza degli aspetti rappresentazionali necessari,
ma non troppo rigidi, di cui un sistema cognitivo deve disporre
per poter essere intelligente, in un senso ampio del termine che
comprende anche lessere in grado di adattarsi autonomamente
allambiente/contesto in cui si trova. Ci conforta lidea che una
rappresentazione non reticolare (ad esempio, una lista di descrizioni) sia non tanto impossibile, quanto infruttuosa dal punto di
vista cognitivo; e per tale ragione non esplicativa degli aspetti
centrali della cognizione.
Una rappresentazione di questo tipo pu essere definita
parziale ma sufficiente (Lawson & Lewis, 2004) ed uno dei
pilastri alla base di modelli come MADCAT e STARCAT, che hanno cercato di estendere oltre la costruzione di analogie e verso
uninterazione effettiva con lambiente (ad esempio, in compiti
di mappatura e navigazione da parte di robot mobili) larchitettura dei modelli subcognitivi (Lewis & Lawson, 2004). Una rappresentazione parziale ma sufficiente in continua evoluzione

. A differenza, tanto per fare un esempio, delle architetture di sussunzione alla Brooks (1991).

. Si veda Mitchell (1993). Per un modello pi sbilanciato sulla simulazione di questo tipo di abilit in ambienti reali, ma non dissimile quanto ad
assunzioni di base, si veda French (1995).

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e si adatta al compito che il modello sta affrontando, nel senso


che sempre nuove rappresentazioni vengono prodotte e distrutte conformemente alla dinamica della sua attivit. Tale risultato
viene raggiunto attraverso lazione coordinata dei microagenti,
che sono generati e lanciati nellelaborazione sulla base della
situazione sia della rete concettuale, sia dellattivit e degli elementi presenti nello spazio di lavoro, o negli spazi di lavoro che
possono essere prodotti in parallelo. In tal modo, possibile che
gli attrattori del comportamento, cio i concetti della rete e gli
elementi dello spazio di lavoro (che sono il riflesso di quello che
il modello trova nellambiente), siano il punto di congiunzione
che permette laccoppiamento fra il sistema e il suo ambiente. In
tal modo, il sistema, grazie agli stessi meccanismi interiori, pu
compiere una serie di differenti attivit modificando i suoi scopi
senza che essi siano del tutto determinati in precedenza, come
nel caso dei problemi di analogia.
Lawson e Lewis paragonano il modo in cui questi modelli producono rappresentazione con lattivit stigmergica delle colonie
di insetti eusociali16. Anzi, essi fanno collassare le due attivit,
sulla base dellidea che la rappresentazione sia una conseguenza
dellattivit dei microagenti e dello spazio effettivo, ancorch simulato, in cui lattivit ha luogo. Il risultato emergente di questa
attivit rappresentazionale produce quellaccoppiamento sistema/ambiente che ha un riflesso nellinformazione globale contenuta nel sistema, esattamente come in un superorganismo, il
cui comportamento complessivo dovuto allattivit molto semplice degli individui che lo compongono, descritta in termini di
algoritmi sequenziali con una o poche possibilit di scelta.
Un accostamento fra questi modelli, in cui le capacit rappresentazionali sono uno degli elementi essenziali allinterno del
pi ampio tentativo di simulare il riconoscimento di pattern, e
aspetti del mondo biologico a livello di organismo, come il metabolismo cellulare o il sistema immunitario, non certamente
nuovo (Hofstadter et al., 1995: 154-159; Mitchell, 2006). Un contributo interessante che pu venire dallaccostamento con i superorganismi risiede invece nella maggiore flessibilit che essi
esibiscono in termini di rappresentazione pi che di elaborazione. La stigmergia sembra un candidato pi valido per cogliere
alcuni aspetti ineliminabili delle capacit rappresentazionali dei
sistemi cognitivi, essendo essa basata su capacit comunicative
fra microagenti preposti a svolgere ruoli in gruppi, che producono bottom up informazione per differenti livelli di attivit. Inoltre,
nei superorganismi sembra possibile rintracciare pi facilmente
quegli elementi di interazione fra livelli che caratterizzano la nozione di emergenza intesa in senso debole, ma che pure conserva quegli aspetti di dipendenza e autonomia che tale nozione incorpora. In senso pi specifico, lattivit di un microagente in un
superorganismo, e nei sistemi che ne simulano alcuni elementi
centrali dal punto di vista funzionale, allo stesso tempo produttiva di informazione e guidata dallinformazione che produce.
Di certo, restano fuori molti problemi che qui non sono stati
affrontati, relativi al modo in cui queste capacit rappresentazionali entrano nel computo e nella spiegazione di aspetti cognitivi
superiori, come il senso di identit, la coscienza o lauto-osservazione. Tuttavia, sar forse in futuro anche da una maggiore comprensione sul funzionamento delle colonie di insetti eusociali
che si potr avere una pi precisa intuizione su come funziona il
ragionamento inteso come processo di decisione in tempo reale,
che pure avviene a partire da un substrato a rete, la struttura cerebrale, che sembra condividere solo alcuni degli aspetti funzionali rintracciabili nella descrizione del superorganismo. Resta il
fatto che considerare il ragionamento come un superoganismo,
per gli aspetti che si sono detti e che riguardano la creazione di
reti di informazioni e dati analizzabili a pi livelli, ma compresi in
ununica entit, potrebbe avere in futuro due auspicabili conseguenze: 1) la produzione di modelli in cui linformazione semantica trovi una sua applicabilit pi plausibile dal punto di vista
cognitivo; 2) un maggiore comprensione del modo in cui essa

. In questo senso va visto il tentativo di simulare nello spazio di lavoro
algoritmi di Ant Colonie Optimization (Lawson & Lewis, 2004).

17

determina gli aspetti cognitivi umani, mantenendo intatte le


prerogative del substrato e la necessit del rappresentare.
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Le categorie sociali e lorganizzazione


lessicale-semantica delle conoscenze
Andrea Carnaghi - acarnaghi@units.it

Dipartimento Di Psicologia, Universit di Trieste

Francesco Foroni - fforoni@sissa.it


SISSA, Cognitive Neurosciences Sector

Raffaella I. Rumiati - rumiati@sissa.it


SISSA, Cognitive Neurosciences Sector

Abstract
A long-lasting question for philosophers and cognitive neuroscientists has been how knowledge is organized in our
brain. Insights from neuropsychological studies reporting patients with a selective impairment for processing natural or
artificial objects in cognitive tasks led to the development of important theoretical advancements on semantic knowledge organization. However, very little has been done to date regarding the way humans organize knowledge about
other humans and social categories. Starting from the current state of the research on the organization of semantic
memory, we review the reasons whereby social groups might be a category on its own and, as such, could have a distinct
and separate neural correlate.
Keywords
Semantic memory, category specificity, social groups, stereotypes.

1. Introduzione

2. Le principali teorie generate dalla neuropsicologia

Linteresse per come le nostre conoscenze siano organizzate


nella mente-cervello molto antico. Una delle prime teorie secondo cui tutto ci che sappiamo organizzato in categorie
stata introdotta e sviluppata dai filosofi (es. Kant, 1781/2003; Aristotele, I sec a.C./1975) molto tempo prima che le neuroscienze
abbiano fornito le prime prove empiriche di una organizzazione
categoriale nella mente umana. Le categorie in generale, e quelle sociali in particolare, ci permettono di ridurre la complessit
delle informazioni cui siamo continuamente sottoposti nellambiente in cui viviamo. In questo modo, ogni volta che incontriamo uno stimolo o un esemplare non lo trattiamo come se fosse
uno stimolo nuovo ma lo elaboriamo utilizzando quello che gi
conosciamo della categoria a cui appartiene. In altre parole, le
categorie ci permettono, ogni qual volta che riconosciamo un
oggetto, di accedere alle conoscenze generali che caratterizzano lintera classe alla quale quelloggetto appartiene. In questo
modo, oltre a semplificare lambiente, le categorie funzionano come information provider. Per esempio, quando vediamo
un certo oggetto e lo categorizziamo come una scarpa (cio lo
assegniamo alla categoria scarpe), recuperiamo subito linformazione relativa al fatto che esse si calzano, che devono essere
della nostra misura, che si presentano in coppie, e cos via. Dallo
studio delle funzioni cognitive in pazienti con lesioni cerebrali
risultato che ci che sappiamo a proposito delle entit naturali,
quali gli animali, la frutta e la verdura e, meno frequentemente,
le nostre conoscenze concernenti entit artificiali, quali i veicoli,
gli utensili o i mobili, pu risultare selettivamente inaccessibile
(si veda Capitani et al., 2003, per una rassegna). In base alla logica
della doppia dissociazione1 (Shallice, 1989), i pattern delle prestazioni compromesse e preservate nei compiti volti a testare le conoscenze concettuali di entit naturali ed entit artificiali hanno
portato a suggerire che questi due classi di concetti (entit naturali ed entit artificiali) siano rappresentate nel nostro cervello in
categorie differenti con correlati anatomici distinti.

Negli ultimi trentanni i neuroscienziati hanno suggerito diversi meccanismi che potrebbero essere alla base dellorganizzazione delle nostre conoscenze (si veda Forde & Humphreys,
2002). Qui di seguito presentiamo le pi importanti.
In una serie di studi, Warrington, Shallice e McCarthy (Warrington & McCarthy, 1983; Warrington & Shallice, 1984; Warrington & McCarthy, 1987) per primi hanno descritto pazienti con deficit categoriali-specifici, ovvero pazienti che mostravano enormi
difficolt nellesecuzione di compiti che riguardavano una categoria specifica, avendo per inalterata la capacit di eseguire
gli stessi compiti con altre categorie. Questi autori proposero,
quindi, che le categorie sono definite dal tipo dinformazioni su
cui si basa il riconoscimento dei loro esemplari. Secondo questa
teoria, nota come Sensory-Functional Theory (teoria sensorialefunzionale), mentre il riconoscimento delle entit naturali o viventi (per esempio unarancia) richiede principalmente lelaborazione di caratteristiche percettive (nel caso dellarancia, la forma
rotonda, il colore arancio, la caratteristica buccia e cos via), il
riconoscimento degli oggetti artificiali (o non viventi) dipende
principalmente dalle informazioni riguardanti le loro funzioni e
le azioni che essi permettono di eseguire (per esempio, un martello pu essere impugnato per piantare i chiodi nel muro).
Altri autori come, per esempio, Garrard, Lambon Ralph, Hodges e Patterson (2001) o Tyler e Moss (2001), hanno invece proposto la Teoria del Principio della Struttura Correlata, secondo cui
lorganizzazione concettuale rifletterebbe la co-occorrenza statistica delle propriet degli oggetti.
Infine, Caramazza e i suoi collaboratori (Caramazza & Shelton,
1998; Caramazza & Mahon, 2003; Mahon & Caramazza, 2011)
hanno sostenuto che la conoscenza concettuale organizzata
secondo vincoli specifici, caratteristici di un dato dominio concettuale (Domain-Specific Hypothesis, DSH in breve). Secondo la
DSH, levoluzione avrebbe favorito lesistenza di circuiti neurali
innati allo scopo di permettere unelaborazione efficiente di un
numero limitato di ambiti concettuali (vedi Mahon & Caramazza, 2011). Secondo questa ipotesi la spinta evolutiva potrebbe
aver favorito il modo in cui la conoscenza concettuale sia organizzata nel cervello, tale per cui le informazioni relative a ci che
rilevante per la sopravvivenza (cio, animali, frutta, verdura e
conspecifici) sarebbero rappresentate insieme. Questo spiegherebbe perch un danno alla corteccia temporale spesso riduca la

1. Una doppia dissociazione si osserva quando si osserva, da un lato, un


paziente P1 che cade a un compito A ma svolge normalmente il compito
B e, dallaltro, un paziente P2 che svolge normalmente il compito A ma
cade al compito B.

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capacit di riconoscere le entit naturali. Infatti, i settori centrali


e posteriori della corteccia temporale sinistra sembrano essere
necessari per il riconoscimento di frutta e verdura e le aree temporali anteriori sinistre per il riconoscimento di animali (Capitani
et al., 2003). Inoltre un deficit selettivo nel riconoscimento di entit artificiali stato osservato in pazienti con lesioni nelle regioni
dorsolaterale e peri-silviana sinistre (cfr. Gainotti, 2000, per una
rassegna), osservazione che stata in seguito confermata anche
da studi di neuroimmagine con individui sani (si vedano le recenti rassegne della letteratura: Martin, 2001; Gerlach, 2007).

3. Come sono organizzate le conoscenze sui gruppi


sociali?
Le categorie organizzano non solo le nostre conoscenze sugli
oggetti animati e inanimati ma guidano anche le nostre interazioni con tali oggetti allo stesso modo in cui guidano le nostre interazioni con le tante persone che incontriamo nella vita di tutti i
giorni.
Sappiamo dalla psicologia sociale che noi tutti tendiamo a categorizzare la maggior parte degli individui che incontriamo sulla
base della loro et (giovani e vecchi), del sesso (donne e uomini),
del loro gruppo etnico (europei, cinesi ecc.), del loro orientamento
sessuale (omosessuali, eterosessuali), della religione di appartenenza (ebrei, musulmani ecc.) e cos via (Allport, 1954). Anche nel
caso delle categorie sociali, infatti, la possibilit di categorizzare
una persona come appartenente a un gruppo sociale (es. i cinesi),
permette di accedere a diverse caratteristiche che descrivono gli
esemplari categoriali (es. lavora molto), sebbene tali caratteristiche
non siano necessariamente accurate o realistiche. Linformazione
recuperata in una categorizzazione sociale corrisponde alle conoscenze stereotipiche (o stereotipi) che abbiamo di quel gruppo. In
breve, uno stereotipo una conoscenza semplicistica largamente
diffusa e fissa su un particolare gruppo di persone accomunate da
certe caratteristiche o qualit (Katz & Braly, 1933).
Nonostante categorie sociali e categorie degli oggetti naturali e artificiali abbiano molto in comune, sorprendentemente
in nessuna delle teorie sullorganizzazione della conoscenza descritte brevemente nella sezione precedente, si trova alcun riferimento esplicito a come le conoscenze sui gruppi sociali siano
rappresentate, e tanto meno al fatto che siano eventualmente da
considerarsi come affini alle categorie naturali o artificiali.
Le ricerche nellambito della cognizione sociale presentano
teorizzazioni contradditorie in merito allo status delle categorie sociali. Secondo alcuni autori (Spears et al.,1997) le categorie
sociali e le informazioni ad esse collegate sarebbero elaborate
come le informazioni sugli oggetti naturali e artificiali. Altri autori, affermano invece che le categorie sociali, a differenza di quelle
riguardanti gli oggetti inanimati, siano strutture di conoscenza
pi complesse (Wattenmaker, 1995) e che sollecitino reazioni
emotive pi forti (Norris et al., 2004). Inoltre gli elementi sociali,
diversamente da quelli artificiali, sono solitamente soggetti ad
appartenenze categoriali multiple, cio una stessa persona pu
appartenere contemporaneamente alla categoria delle donne,
degli italiani e degli eterosessuali (Lingle et al.,1984). Le categorie artificiali sono soggette a unelevata formalizzazione (es.,
sono figure che hanno tre lati e la somma degli angoli d origine
a 180), mentre le categorie sociali non riescono a essere formalizzate accuratamente (Medin & Smith, 1984). Di conseguenza,
mentre la categorizzazione di un oggetto artificiale si basa sulla
co-presenza di tutti gli attributi definitori della categoria, linclusione (o lesclusione) di un membro sociale da una categoria
avviene attraverso criteri di family resemblances, ovvero criteri
di somiglianza percepita tra lesemplare da categorizzare e lesemplare che idealmente sintetizza le caratteristiche categoriali,
ossia il prototipo (Rosch & Mervis, 1975; Wittgenstein, 1953).
Come vengono rappresentate allora le categorie sociali nella
nostra mente/cervello? Una prima risposta a tale quesito stata
fornita da un recente studio di Contreras, Banaji e Mitchel (2011).

20

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale, stato possibile


dimostrare che i correlati neurali dellelaborazione degli oggetti
artificiali sono distinti da quelli implicati nellelaborazione delle
categorie sociali. Infatti, le categorie degli oggetti artificiali, ma
non degli stimoli sociali, erano associate a una maggiore attivit
nel giro frontale inferiore e nella corteccia inferotemporale dellemisfero sinistro. Le categorie sociali invece, rispetto agli oggetti
artificiali, attivavano maggiormente la corteccia prefrontale mediale, il cingolo posteriore, la corteccia temporale anteriore e, bilateralmente, la giunzione temporoparietale. Queste prime evidenze ci permettono di concludere che le due categorie (oggetti
artificiali e gruppi sociali) abbiano correlati anatomici distinti.
Rimane per irrisolto lo status delle categorie sociali rispetto alle
categorie dei viventi.
Tornando alle teorie neuropsicologiche che abbiamo presentato nella sezione 2, le prime due non ci permettono di fare una
previsione precisa sul modo in cui la conoscenza sui gruppi sociali possa essere rappresentata nel nostro cervello. Secondo la
DSH, invece, ci si dovrebbe aspettare che i gruppi sociali (es. altre
etnie, politici o ebrei) e le conoscenze ad essi relative (es. tratti stereotipici quali violenti, disonesti, e cos via), siano rappresentate congiuntamente agli esseri viventi poich come gli altri
esseri viventi, anche i gruppi sociali posso essere utili e persino
necessari per la sopravvivenza (si veda Adolph, 1999).
La nozione che i gruppi sociali e le informazioni sociali siano
molto importanti per la sopravvivenza in linea con i risultati che
mostrano come, quando le persone appartenenti a un gruppo
osservano volti di persone che appartengono a un gruppo diverso dal loro, si attivino regioni cerebrali, come lamigdala, che
normalmente sono associate alla percezione di stimoli rilevanti
per la nostra sopravvivenza o che mettono in pericolo la nostra
vita (es. Phelps et al., 2000; Wheeler & Fiske, 2005). Sebbene gli
stimoli sociali siano accomunabili agli stimoli legati alle categorie dei viventi per il loro cruciale ruolo nella nostra sopravvivenza, altres importante per la nostra esistenza che esistano due
meccanismi distinti per la loro organizzazione cognitiva. Infatti,
distinguere gli stimoli sociali dagli stimoli dei viventi funzionale
alla riproduzione e al soddisfacimento del bisogno di affiliazione
(Maslow, 1943; Baumeister & Leary, 1995). Inoltre i comportamenti pro-sociali, cos come i comportamenti di conflitto intergruppo, si generano da una primaria capacit di porre in essere
categorie umane, al loro interno divisibili in gruppi a cui apparteniamo e gruppi estranei, distinte dalle categorie di essere viventi
non umani (es. animali).
Un primo test di queste ipotesi alternative stato condotto da
un recente studio di Rumiati e colleghi (articolo inviato per la publicazione). Questo studio includeva 21 pazienti con diversi tipi
di demenza primaria. In questo studio, Rumiati e colleghi hanno
decritto doppie dissociazioni in compiti di categorizzazione di
nomi che designavano entit appartenenti a tre categorie (entit
naturali, entit artificiali e gruppi sociali). Queste doppie dissociazioni sembrano suggerire che queste tre diverse categorie siano rappresentate separatamente nella memoria semantica.
Le conoscenze concernenti i gruppi sociali potrebbero essere
indipendenti anche da quelle che codificano le parti del corpo,
volti o nomi di persone note. Evidenze precedenti, infatti, hanno dimostrato come le conoscenze delle parti del corpo, volti o
nomi di persone note possono risultare selettivamente compromesse (es., per le parti del corpo: Barbarotto et al., 2001; Sacchett
& Humphreys, 1992; per le facce: Forde et al., 1997; per i nomi di
persone note: Miceli et al., 2000). Queste osservazioni non dovrebbero sorprenderci poich, in effetti, i gruppi sociali non sono
parte di un individuo e non denotano singoli individui ma insiemi di individui con alcune caratteristiche condivise.

4. Direzioni future
Queste riflessioni aprono un ampio ventaglio di possibilit di
ricerca con implicazioni sia teoriche che applicative. Nellambito

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dello studio dellorganizzazione delle conoscenze in generale e


dei gruppi sociali in particolare, un aspetto che meriterebbe un
ulteriore approfondimento la relazione tra i concetti stereotipici legati ai gruppi sociali e le reazioni affettive ad essi associate.
Infatti, possibile che tali conoscenze non siano rappresentate
congiuntamente nel nostro cervello. Alcuni autori hanno gi
suggerito che questi due aspetti, ossia la componente semantica e valutativa della rappresentazione delle categorie sociali,
non coincidano e che siano probabilmente da considerare come
componenti di una rete di conoscenze (Amodio, 2008; Amodio
& Devine, 2006), sottolineando in questo modo limportanza di
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Psicoanalisi: semantica del transfert


Marco Casonato - marco.casonato@unimib.it
Dipartimento di Psicologia, Universit Milano-Bicocca

Abstract

Transference, itself a metaphorical concept, operates through metaphor. Conceptual metaphors for love underlie much psychoanalytic discourse about the patient-analyst relationship. We analyze a series of metaphors--e.g, love is magic, love is a collaborative work of
art, love is a journey--and examine how they may function within psychoanalytic therapy. Deeply entrenched metaphors like Love is a
journey and Therapy is a journey allow us to reason about love and therapy on the basis of what we already know about journeys. Metaphorical referencing to journeys commonly occur in both the narration of dreams and the general discourse of analytic patients, and they
may be used to monitor the progress of a treatment and to identify issues in it that require attention.

Keywords

Transference, Metaphor, Theory of Conceptual Metaphor, Dream, Transference Love

1. Introduzione
La Teoria della Metafora Concettuale (Lakoff & Johnson, 1980;
1999; Lakoff, 1987; 1996 inter alia), considera la metafora non tanto un mero strumento linguistico astratto, o retorico, ma un sistema adattativo per comprendere concetti pi astratti nei termini
di concetti pi concreti. Infatti, la metafora non solo permette
di comprendere nuovi domini attraverso proiezioni analogiche,
ma anche permette di moltiplicare lampiezza delle proprie basi
di conoscenza in modi fortemente adattativi. La metafora pu
essere intesa come uno schema processuale di corrispondenze,
detto mapping, che parte da un origine, il Dominio Fonte, ed
diretto al Dominio Target.
Laccezione della proiezione secondo la teoria di tipo matematico; ad esempio: di X Y, dove Y il dominio fonte e X
quello target. Ad esempio: Guarda sin dove siamo arrivati, La
nostra relazione andata fuori strada e altre metafore, sono solo
alcuni esempi in cui i termini che usiamo per esprimere una categoria concettuale astratta, amore in questo caso (Y = amore =
relazione), si rendono comprensibili grazie ai termini di unaltra
categoria concettuale, ma meno astratta: i viaggi (X = andare fuori
strada = viaggio).
Per Lakoff e Johnson (1980) il sistema concettuale umano, in
base al quale si pensa e agisce essenzialmente di natura metaforica.
La TMC (dora in avanti per semplificare si utilizzer lacronimo
che sta per Teoria della Metafora Concettuale) costituisce uno dei
pi rilevanti sviluppi della Linguistica degli ultimi trentanni ed
componete essenziale della linguistica cognitiva. La linguistica cognitiva pu essere considerata una linguistica semanticocentrica, laddove la linguistica chomskyana risulta grammaticoe sintattico-centrica.
La TMC si focalizza sulla natura di taluni processi mentali umani inconsci, cos come si manifestano nel linguaggio o in altre
attivit simboliche. Inoltre questa teoria pone laccento, come la
psicoanalisi, su come i processi mentali abbiano un fondamento
nellesperienza corporea. proprio laccento su questa derivazione che ha permesso lo sviluppo del paradigma dellembodiment
che oggi ampiamente accreditato.
Da quando questa teoria ha iniziato a fornire varie interpretazioni sulle manifestazioni del linguaggio umano, ha contribuito anche a fare chiarezza su importanti aspetti della natura del
dialogo psicanalitico, oltre che su sulla teoria psicanalitica stessa.
Gli psicoanalisti sono sempre stati consapevoli della natura
metaforica di molte faccende con cui hanno avuto a che fare.
Tuttavia sono solo agli inizi della nuova visione radicale prevista dalla TMC. Da parte loro, scienziati e linguisti cognitivi hanno
mostrato inizialmente scarsa consapevolezza del contributo che
la psicoanalisi e la psicoterapia pu ottenere dai loro rispettivi

22

ambiti.
Questo articolo intende fornire un ulteriore contributo (Casonato, 1998 a, 1998 b) allinterdisciplinarit tra Psicoanalisi e Scienze Cognitive. Ma pi in generale e, cosa pi importante, portare
la TMC nel mondo della Psicoanalisi e includere il sapere psicanalitico nella generazione di nuove teorizzazioni in TMC, promette di offrire una pi ampia e unitaria comprensione di processi
mentali inconsci finora ritenuta possibile.

2. Psichiatria biologica e psicoterapia


Nellattuale era della psichiatria biologica, la psicoanalisi e la
psicoterapia, ormai libere dalleredit metapsicologica del Novecento, sono in cerca di nuovi fondamenti.
Sfidare la psichiatria biologica non un compito facile. Richiede, per esempio, la convalida dellefficacia della psicoterapia
rispetto alle terapie farmacologiche. Significa anche cercare una
teoria neurobiologica per la psicoterapia che spieghi, con linguaggio scientifico contemporaneo (come ad esempio quella
dellaneuroplasticit)come agisce la terapia della parola.
Da sola per la psicoterapia non pu portare a termineuna
valida ricerca, per esempio, sul funzionamento del cervello.
quindi necessario creare interazioni tra psicoterapia, ricerca sul
cervello e psicopatologia sperimentale.
La Teoria Neurale del Linguaggio (Feldman, 2006) rappresenta
un importante e proficuo impianto concettuale che si muove in
tale direzione.
Questa teoria si propone come un ponte che collega neuroscienze cognitive, linguistica cognitiva, informatica, psicologia
cognitiva e neuro-filosofia. Trattando la mente in termini biologici, Feldman radica il linguaggio e il pensiero nellesperienza
corporea e nellattivit neurale: Il linguaggio indistricabile dal
pensiero e dallesperienza (Feldman, 2006, p.3).
Questo approccio lormai noto paradigma cognitivo dell embodiment, (Lakoff and Johnson, 1999; Johnson, 2007) che ha trovato sostenitori anche in altre discipline quali - si citano solo pochi
riferimenti non esaustivi - la biologia (Maturana e Varela, 1980), le
neuroscienze (Damasio, 1994; Edelman, 2004), la psicologia cognitiva (Barsalou, 1999) e la filosofia (Gallagher e Zahavi, 2008).
Embodiment un termine di difficile traduzione e si riferisce
alla inseparabilit tra facolt cognitive ed esperienza corporea. In
italiano si tende ad utilizzare il termine inglese o, laddove tradotto, si preferisce la forma aggettivata incarnato di derivazione religiosa o talora incorpato da affiancare ad altri termini: Facolt
cognitive incarnate, Significati incarnati ecc. oppure che coinvolgono anche il corpo.
Nellambito della psicopatologia clinica e della psicoterapia,
che si focalizzano sul discorso interpersonale e intersoggettivo, la

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Teoria Neurale del Linguaggio rappresenta senzaltro un valido


impianto scientifico di base in grado di spiegare come funzioni
una terapia psicologica.
Una prima applicazione della teoria di Feldman permette un
nuovo approccio al concetto principe della psicoanalisi, ossia il
Transfert.

3. Il Transfert
Il termine di paragone come se, utilizzato quando si parla di
transfert (ad esempio: il paziente inconsciamente tratta la sua
terapeuta come se ella rappresentasse la figura materna), basato su unampia quantit di metafore tramite cui gli psicoanalisti
costruiscono le peculiari realt dei loro differenti approcci alla
psicoanalisi classica.
Arlow (1969) fu un precursore nellaffermare che il processo
psicoanalitico in se stesso una metafora. Semi (1981) propone un punto di vista analogo. Schafer (1983) accentua la caratteristica intrinsecamente narrativa del transfert e definisce il
transfert come una macchina del tempo la quale, portando il
paziente a lavorare sulla propria infanzia, non altro che un abile
impiego di metafore che ri-definiscono, in termini psicoanalitici,
lesperienza clinica del paziente stesso. In altre parole lanalista
usa metaforicamente i richiami allinfanzia per costruire unesperienza psicoanalitica che segue diverse tradizioni, proprio come
possono essere utilizzate altre metafore psicoanalitiche di base,
che tratteremo in questo articolo .
Esperienze cos costruite entrano a far parte del dominio concettuale di transfert clinico: aspetto molto significativo perch il
transfert riveste unimportanza indiscutibile in psicoanalisi ed ha
avuto un forte impatto sulla cultura terapeutica che ne derivata.
Lidea di Transfert compare nel saggio Studi sullisteria di Breuer
e Freud (1895) nellaccezione di falsa connessione (nei termini
della scienza neurologica dellOttocento) nei ricordi dei pazienti.
Ci significava che il paziente stava trasferendo nella figura del
medico alcune idee emerse durante il processo analitico. Tale visione anche collegata al cosiddetto modello archeologico dell
attivit clinica ed alla concezione di Breuer della memoria come
un magazzino e sistema di archivio.
Nei successivi sviluppi del concetto di Transfert si mantenne
la nozione di falsa connessione, intesa per come una sorta
di distorsione della realt. In questa prospettiva sembrava che il
terapeuta possedesse la realt giusta mentre il paziente quella
sbagliata che andava corretta attraverso la psicoterapia.
Pi tardi emerse il concetto di Transfert come regressione e
venne considerato un tentativo di rievocare e riprodurre episodi
dell infanzia durante la seduta, grazie allo psicoanalista.
Oggi si preferisce il termine di ricostruzione o meglio di riattualizzazione o messa in scena dei contenuti intrapsichici e
relazionali dellindividuo.
Nel passato il modo di concepire il Transfert era legato anche allidea di natura ciclica e di reversibilit tipiche della cultura
scientifica del Novecento. Schafer (1983) ha sottolineato con forza alcune delle assurdit implicite nella metafora della psicoanalisi come macchina del tempo che fa uso della regressione per
riportare il paziente ad un momento della sua infanzia.
Il Transfert visto anche come una forma di spostamento, concetto che ha unorigine metapsicologica ed legato ad un altro
concetto, quello di energia psichica. Una scarica energetica viene
inviata lungo un percorso associativo, cio da un idea centrale
di forte intensit emozionale ad una pi periferica e debole. La
comprensione dello spostamento si basa sulla neurologia introspettiva degli ultimi decenni del Novecento: le idee contenute
nel sistema nervoso possono muoversi mosse dalle cariche energetiche.
Il Transfert stato considerato anche la manifestazione di una
coazione a ripetere a cui Freud (1920) assegn un fondamento
biologico. Una tale compulsivit porta inevitabilmente lindivi-

23

duo a riprodurre il passato, in accordo con il sopramenzionato


concetto di tempo ciclico, anchesso importante in termini biologici. Questa tendenza a rivivere il passato non migliorerebbe tuttavia la vita del paziente. Non modificherebbe neppure il ricordo
del passato o le aspettative per il futuro. La coazione a ripetere
finirebbe con il perpetrare vecchi schemi comportamentali ed
emozionali fino a quando questi non vengono incorporati nel
Transfert analitico, per essere cos analizzati e modificati sia da
unesperienza correttivo-emozionale che dal lavoro psicoanalitico di interpretazione.
La fenomenologia della coazione a ripetere deriva dal semplice fatto che una persona in grado di utilizzare solo gli schemi
comportamentali che ha gi a disposizione.
Alcuni osservatori clinici non sanno dare spiegazione a certe
compulsioni perch non riescono a prendere in considerazione
il punto di vista della persona che agisce dentro una realt che
egli stesso definisce cognitivamente e che quindi interpreta ed
esplora basandosi sulle proprie modalit comportamentali ed
emozionali.
Strutture mentali acquisite nel passato continuano, di fatto,
ad attivarsi nel presente, anche nel qui ed ora del setting analitico.
La coazione a ripetere perde quindi il suo carattere misterioso e si comprende come un fenomeno clinico abbastanza ovvio,
cio nellutilizzo, da parte del paziente, di pregressi schemi perch non ne ha altri a disposizione.
Gli psicoanalisti kleiniani (Racker, 1968; Bion, 1962) considerano il transfert come una manifestazione di proiezioni multiple.
Per Racker (1968), che ha fornito uno dei pi importanti contributi allo studio del transfert e del controtransfert, il transfert
lesito di proiezioni verso lanalista di oggetti interni rifiutati.
Attraverso questo processo alcuni conflitti interni intollerabili
vengono trasformati in conflitti esterni. Questo punto di vista
presente anche in Bion (1962) e ha goduto di grande popolarit
nei decenni successivi.
Kohut (1971, 1977) introdusse il concetto di transfert oggetto-s, diviso in transfert idealizzante e transfert speculare. Secondo Kohut il paziente, mediante un transfert oggetto-s, tenta di
ristabilire con lanalista quei legami del passato creatisi con certe
figure di riferimento e traumaticamente spezzati durante linfanzia.
Storolow, Brandchaft e Atwood (1987), concepiscono il transfert come una sorta di microcosmo della vita psicologica del
paziente. Lanalisi del transfert fornisce il focus attraverso cui
gli schemi che governano la vita di un paziente possono essere
chiariti e trasformati.
Il transfert visto come lespressione di principi organizzativi
ed immagini formatesi nel corso dellesperienza di attaccamento
della persona, ovvero come il processo che organizza lesperienza. Prende quindi parte alla costruzione della realt e consiste
nellespressione di strutture di significato che di norma includono lanalista, le sue azioni e ci che accade durante la seduta
analitica.
In questo modo il transfert soggetto ai meccanismi piagetiani di assimilazione e accomodamento (Watchel, 1980). Questo
processo attinge a pi fonti che vanno dalla storia personale agli
aspetti del qui ed ora della seduta analitica e ai significati e costrutti personali che la connotano, cos come alla vita reale del
paziente.
Il transfert appare quindi come una molteplicit di strutture
tematiche e livelli di organizzazione psicologica attivati dalla
psicoanalisi. Nella visione di questi autori il transfert si riferisce
allassimilazione della relazione psicoanalitica nelle strutture tematiche del mondo soggettivo del paziente. In questo modo il
transfert lespressione degli sforzi della psiche di organizzare
lesperienza. Da questo punto di vista le metafore esprimono
precisamente i temi personali utilizzati per organizzare il presente del rapporto paziente-analista.
Sia storicamente che attualmente linnamoramento da parte
di una paziente donna verso il proprio analista uno dei temi

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pi comunemente collegati al transfert (anche se non il pi importante).


Il fallimento nellanalizzare questo fattore ha contribuito
allinterruzione dellanalisi nel caso di Dora (Freud. 1901) ed ha
evidenziato lurgenza di una riflessione clinico-teorica sul fenomeno. In pi lamore, nella tradizione psicoanalitica, considerato un elemento particolarmente pertinente nella filosofia della
cura e per il processo di guarigione. Oggi anche ritenuto un
importante fattore terapeutico.
Ma lamore appartiene anche ad una solida e ben radicata
tradizione narrativa, elaborata proprio grazie alle nostre comuni
metafore.

4. Una questione cruciale in psicoterapia: lamore.


Lakoff e Johnson (1980, p.49) hanno fornito unutile analisi di
parecchie metafore di base1 riguardanti lamore, cos come ha
fatto Kvecses (1988). Tali metafore suggeriscono connessioni
con concetti metapsicologici o clinici di diversi metodi psicoterapeutici, sia psicoanalitici che non.
La prima delle metafore fondamentali individuate da questi
autori, che ha a che fare in particolare con lenergia psichica e la
libido, evoca anche concetti derivati dalla fisica utilizzati in psicoanalisi (metapsicologia).
lamore una forza fisica (elettromagnetica, gravitazionale, chimica ecc.)

Sento elettricit tra di noi, C stata una scintilla, Ero (magneticamente) attratto da lei, Sono attratti lun laltro, La sua vita intera
le ruotava attorno, Latmosfera intorno a loro sempre carica, C
unincredibile energia nella loro relazione, La nostra stata subito
unattrazione di pelle.

La relazione amorosa pu essere espressa anche tramite


unaltra metafora antropomorfica che rievoca le classiche pozioni damore preparate da streghe e maghi. Questa metafora richiama alla mente lamore ipocondriaco rilevato in donne spesso in cerca di prove o misure della loro relazione damore. Queste
donne infatti fanno spesso ricorso a maghi o anche a terapeuti,
dai quali ottengono una risposta.
lamore un paziente

Questo un rapporto malato, Loro due vivono un matrimonio


sano, Il matrimonio morto, non pu essere resuscitato, Il loro
matrimonio in via di guarigione, La loro relazione davvero in forma, Il loro matrimonio allo stadio terminale, una storia stanca,
Uccideranno il loro amore in questo modo, Hanno bisogno di una
terapia di coppia.

Connessa a questa metafora c la concezione che la relazione damore sia qualcosa di magico. In letteratura questa una
tipica qualit del potere che le donne possono esercitare sugli
uomini. Si pensi ad esempio a Circe nellOdissea: uomini comuni
trasformati in porci e la sottomissione sessuale dellincantatrice
su Ulisse. Quindi
lamore magia

Gett il suo incantesimo su di me, La magia non c pi, Ero incantato, Mi ha ipnotizzato, Lui mi tiene in uno stato di trance,
Ero estasiato da lei, Sono affascinato da lei, ammaliante.

Da tempi immemorabili lamore stato sovente paragonato


alla pazzia. Mentre anticamente era necessario salire su un ippogrifo e volare sulla luna, per recuperare la propria sanit mentale,
nellera delle esplorazioni spaziali la psicoanalisi sembra meglio a
suo agio a viaggiare nel mondo interiore o nel mondo interno
secondo laccezione kleiniana.
1. Le metafore di base sono le metafore convenzionali, come verr ripreso
pi sotto nellarticolo. Con queste accezioni gli autori intendono quelle
metafore di uso comune talmente radicate nel nostro sistema metaforico
concettuale da poter essere dei punti di partenza per la generazione di
nuove metafore e nuovi significati.

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lamore pazzia

Sono pazzo di lei, Mi fa andar fuori di testa, Spesso lui farnetica


di lei, diventata pazza di lui.

Infine unimportante metafora che sta alla base della pratica


clinica. Basti pensare ai conflitti di una coppia, guerre familiari
o tra gruppi istituzionali.
lamore una guerra

famoso per le sue numerose e rapide conquiste, Ha lottato per


lui, ma la sua amante vinse, fuggito dalle sue avances, Lei lo perseguita senza sosta, Sta lentamente guadagnando terreno nei suoi
confronti, Ha vinto la sua mano, Lha sopraffatta, assediata dai
pretendenti, Ha arruolato i suoi amici, Ha stretto unalleanza con
la madre.

Queste metafore damore costituiscono una sorta di nocciolo duro concettuale che plasma i linguaggi clinici specialistici
come le storie personali dei pazienti.
Lakoff e Johnson (1980, p. 173) hanno evidenziato che si tratta
di metafore convenzionali, ossia metafore che strutturano il sistema concettuale comune della nostra cultura, che riflesso nel nostro linguaggio quotidiano.
Esse sono accettate nella narrativa usuale della nostra comunit e costituiscono la rete entro la quale il linguaggio clinico
specialistico legittimato. Oltre a questo le metafore consentono la produzione di nuovi significati attraverso la ricombinazione
di differenti ambiti di esperienza.
Sia Lakoff e Johnson (1980) che Schafer (1983) suggeriscono
che le metafore possano dare nuovi significati al nostro passato e
a ci che conosciamo e in cui crediamo. Le metafore damore comuni nella societ occidentale coincidono con le caratteristiche
proprie della seduta analitica.
Queste straordinarie corrispondenze e sovrapposizioni sono
ci che produce luoghi comuni psicoanalitici che rendono la relazione terapeutica unesperienza da provare, plausibile e vera.
Le metafore damore permettono tutto questo.
Il ruolo dellamore, come fattore terapeutico tecnicamente
usato, riguarda la seguente metafora:
lamore unopera darte fatta in collaborazione

Questo un ottimo esempio di una metafora fondamentale, sottesa


ai concetti psicoanalitici, che governa il processo terapeutico. Questa
metafora particolarmente potente, perspicace e appropriata da imprimere la nostra esperienza come membri di una generazione e di
una cultura, rendendo le nostre esperienze amorose coerenti e conferendo loro una qualit condivisa.

Lakoff e Johnson elencano alcune metafore (1980, p. 174)


che possono, a nostro avviso, essere applicate anche a un certo numero di concetti psicoanalitici base che permettono di dispiegare la complessa mappatura dell Amore in senso clinicopsicoanalitico:
Lamore lavoro: la psicoanalisi un lavoro, lelaborazione [il
Durcharbeitung di Freud] la principale caratteristica del processo, il lavoro analitico, lalleanza di lavoro;
Lamore attivo: ad esempio la posizione di Ferenczi sulla guarigione (recentemente rivalutata in psicoanalisi);
Lamore richiede cooperazione: alleanza di lavoro, alleanza terapeutica;
Lamore richiede dedizione: motivazione analitica, motivazione
cercata nel candidato, processo secondario, capacit di rimandare la soddisfazione;
Lamore richiede compromesso: risoluzione analitica dei conflitti;
Lamore richiede disciplina: programmazione, setting, pagamento delle sedute saltate, dire tutto quello che passa per la
mente senza censure, un lungo e rigoroso periodo di training
richiesto per diventare psicoanalista;
Lamore implica responsabilit comuni: motivazione allanalisi
del soggetto nevrotico, transfert/ controtransfert, equilibrio personale dellanalista;

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Lamore richiede pazienza: analisi a lungo temine, processo


secondario, maturazione lenta, regola astinenza, atteggiamento
analitico, non cercare immediato sollievo dei sintomi o risultati
terapeutici rapidi;
Lamore richiede valori e scopi comuni: il paziente acquisir alcuni dei valori dellanalista, credenza certa nellesistenza dellinconscio o degli oggetti interni;
Lamore richiede sacrificio: rispetto delle regole dellastinenza,
non azione, soddisfazioni limitate e ritardate;
Lamore regolarmente si accompagna a frustrazioni: frustrazione ottimale, ruolo delle contro-domande;
Lamore richiede comunicazione istintiva: associazioni libere,
empatia;
Lamore unesperienza estetica: la psicoanalisi unarte e non
una scienza, ineffabilit dellinterpretazioni analitica;
Lamore ha valore per se: Non posso prometterti nulla, la conoscenza un valore intrinseco, ha detto un importante seguace di
Bion durante let doro della psicoanalisi;
Lamore implica creativit: psicoanalisi come processo creativo, linconscio creativo;
Lamore richiede unestetica in comune: lempatia rende possibile trasferire il S di una persona in quello di unaltra;
Lamore non si pu ottenere applicando una formula: parametri
della psicoanalisi, psicoanalisi euristica e psicoanalisi stereotipata, rifiuto della diagnosi, nessun DSM necessario per la psicoanalisi;
Lamore unico in ogni sua realizzazione: ogni analisi diversa
dallaltra, lesperienza analitica ineffabile, terapie basate sugli
schemi non possono essere efficaci come la vera psicoanalisi;
Lamore espressione di ci che uno : ogni psicoanalisi riflette
le profonde idiosincrasie della storia del paziente;
Lamore crea una realt: il processo analitico rende presente
il passato o libera il presente dal passato, crea una nuova realt
analizzata, cambia sia il mondo interno che gli oggetti interni;
Lamore riflette il modo in cui tu vedi il mondo: durante lanalisi
lanalista accede solo al modo in cui il paziente vede la propria
realt;
Lamore richiede la pi grande onest: il processo analitico
esclude qualsivoglia abuso sessuale o finanziario, come ha detto
Bion, la mente ha bisogno di verit;
Lamore pu essere passeggero o duraturo: la psicoterapia pu
essere breve, lunga o interminabile;
Lamore ha bisogno di investimenti: la psicoanalisi richiede investimenti nel senso del Besetzung [investimento di energia/ catessi] e nel senso di consistenti costi nel corso degli anni;
Lamore produce, da sforzi condivisi, una soddisfazione estetica
comune: insight, interpretazione empatica e buone sedute analitiche.
Come mostrano questi esempi, ci che implica la Metafora
dellAmore coincide con il maggiore dei luoghi comuni della psicoanalisi. Inoltre se consideriamo i cambiamenti occorsi nel concepire ed eseguire unopera darte, dal tempo di Freud ad oggi,
troveremo un corrispondente salto dal modello archeologicoinvestigativo (Fara, Cundo, 1981; Spence, 1982) a modelli meno
strutturati o univoci, esattamente come nellidea contemporanea di opera darte.
Le nostre esperienze formano un tutto coerente e supportano
levidenza della metafora che, attraverso la sua rete di implicazioni, ci permette di provare una sorta di riverbero. Questo riverbero risveglia e connette il nostro ricordo di una passata esperienza
damore e ci serve come guida per quelle future.
Lesplorazione narrativa adottata dalla psicoanalisi si basa
su tale connessione, come , ad un livello pi generale, la credibilit della concezione stessa della psicoanalisi. La metafora
lamore unopera darte fatta in collaborazione mette in evidenza e
in ombra alcuni concetti addizionali e caratteristiche degli ambiti che stiamo esplorando. Laspetto attivo dellamore messo
in primo piano attraverso la nozione di lavoro, nel senso sia di
opera collaborativa che di opera darte. Aspetti passivi dellamore

25

sono quindi mascherati. Infatti, secondo Lakoff e Johnson (1980)


il nostro sistema concettuale comune non si accorge degli aspetti emozionali dellamore come se fossero sotto il controllo attivo
di chi ama.
Per esempio, nella metafora lamore un viaggio e, per il discorso che qui ci interessa, anche la psicoanalisi un viaggio, entrambe
incluse nella pi generale metafora le relazioni sono un viaggio, la
relazione vista come un veicolo che non sotto il controllo attivo della coppia, dato che pu andare fuori strada, spiaggiarsi o
non andare da nessuna parte.
Lungo la stessa linea, in accordo con Lakoff e Johnson, nella
metafora lamore follia (Sono pazzo di lei, Mi fa andar fuori di
testa) si verifica lestrema perdita di controllo (ivi, p. 175).
In lamore salute, che gioca un ruolo nella valutazione dei risultati dellanalisi, la relazione un paziente: Questo un rapporto malato, Il matrimonio morto, non pu essere resuscitato, Il loro matrimonio in via di guarigione. In questo modo
la passivit che la nostra cultura attribuisce alla salute trasferita
allamore. Quindi, sempre in accordo con gli autori, questa metafora focalizzando vari aspetti dellattivit (opera, creazione,
perseguire gli scopi, costruzione, aiuto ecc.), fornisce unorganizzazione per importanti esperienze damore che il nostro convenzionale sistema concettuale non rende disponibile (ivi, p. 175).
Ad ogni modo la metafora non implica altri concetti, ma piuttosto ne specifica alcuni aspetti. Lakoff e Johnson sono convinti
che sebbene la metafora possa eliminare gli aspetti di perdita di
controllo propri della metafora lamore follia, essa mette per in
luce un altro aspetto, precisamente il senso di possesso quasi demoniaco che vi dietro al nesso che nella nostra cultura associa
genio artistico e follia (ivi, trad. it., p. 176).
Inoltre la metafora mette in evidenza e d coerenza a talune esperienze amorose, contribuendo cos alla strutturazione di
unattivit narrativa, mentre altre esperienze amorose sono messe in ombra.
La narrazione, con le proprie metafore chiave, assegna allamore un nuovo significato, proprio come pu succedere nel corso di una terapia.
Infine se gli elementi inclusi nella metafora rappresentano per
noi i pi importanti aspetti dellesperienza amorosa mai vissuti
o immaginati, allora essa pu essere considerata un truismo e
diventare un assunto di base della realt; per molte persone lamore proprio unopera darte.
La metafora pu in questo modo costituire un feedback per
guidare le nostre azioni future e per costruire ci che Schafer
(1983) definisce la natura del paziente in termini narrativi: ad
esempio una serie di strutture narrative del S che auto-attualizzano se stesse con lesperienza.
Ci significa che se considero la metafora lamore follia, difficilmente mi focalizzer su quello che dovrei fare per confermarla. Se invece vedo lamore come opera darte, allora mi attivo e, se
lattivit collaborativa piuttosto naturale collaborare col terapeuta.
Questo il tipo di cambiamento che la terapia produce nelle
metafore sottostanti le narrative analitiche. Oltre a ci, il significato di una metafora in parte determinato culturalmente e in
parte legato allesperienza del passato di una persona.
lamore unopera darte fatta in collaborazione assume un significato diverso nel caso di due quattordicenni al loro primo incontro o di una coppia matura di artisti, oppure nel caso di chi concepisce larte come un oggetto da sfoggiare o pensa che larte
produca solo illusioni. Ad esempio si pu descrivere il mapping:
Lamore un oggetto da ostentare, Lamore esiste solo per
essere giudicato e ammirato dagli altri, Lamore crea unillusione, Lamore obbliga a nascondere la verit. Questultima metafora, nellambito di una psicoanalisi, rappresenta una credenza
patogena (Weiss,1992).
In presenza di un paziente narcisista, che sviluppa relazioni
damore in base a modalit narcisistiche, la metafora dellopera
darte senzaltro appropriata, ma comprensibile in termini di
collaborazione costruttiva piuttosto che oggetto perfetto, nel-

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le sue profonde implicazioni personali, solo attraverso un lungo


lavoro clinico (Kohut,1977; Weiss, 1992).

5. Amore e Psicoanalisi come viaggi


La metafora concettuale lamore un viaggio sembra essere un
elemento chiave per la comprensione di alcuni aspetti dellanalisi clinica e della fenomenologia della seduta psicoanalitica. In
questi ambiti un ruolo ovvio giocato dai principi metaforici:
lamore terapia e lagente terapeutico della psicoanalisi lamore.
Infatti dalla metafora lamore un viaggio segue una sorta di secondo ordine di metafore,riscontrato nelpensiero dei pazienti,
nei loro sogni sia notturni che in quelli ad occhi aperti e anche
nellanalista stesso: la terapia un viaggio. Il mio analista mi sta
portando su un pendio irto di difficolt, Lanalisi mi ha portato
in un vicolo cieco, In seduta viaggio con la mente, Il mio analista una guida sicura.
Daltronde il viaggio uno dei grandi temi della narrativa
mondiale (si pensi allOdissea, alla Divina Commedia e ai Viaggi
di Gulliver). In epoca romantica, come noto, il viaggio divenne
metafora dellesplorazione interiore: il viaggio romantico a Pompei nella Gradiva di Wilhelm Jensen diviene per Freud (1906) un
modello dei cambiamenti indotti dalla psicoanalisi tramite il
viaggio analitico.
PerSchafer (1983)la metafora del viaggio, in senso pi ampio,
comprende il crocicchio di Edipo Re; inoltre possibile sussumere anche un concetto pi generale dei viaggi della droga e dei
viaggi egoistici di chi si sente superiore. Il viaggio pu anche
descrivere e implicare (allegoricamente) un viaggio attraverso il
prorio passato olo sviluppo del proprio mondo interiore, o essere implicito in essi (ivi, p.248)
precisamente la propensioneumana a raccontare storie che
fa s che la metafora del viaggio si possa applicarealla terapia,
laddove, nellambito del senso comune, lamore visto come
un viaggio. Infatti gli psicoanalisti appartengono alla stessa comunit narrativa dei propri pazienti e quindi condividono con
loro modelli e metafore del mondo reale nel corso della terapia.
Schafer (1983) parlando di competenza narrativa dice che questa sembra derivare da tre fonti principali: il linguaggio appreso,
i sogni a occhi aperti e lesperienza psicoanalitica. Proprio con
questultima possiamo diventare specialisti nellanalisi tra membri della stessa comunit narrativa. Non si tratta di comuni fantasie inconsce, ma di temi narrativiappartenenti alla propria culturautilizzati idiosincraticamente per raccontareesperienze di vita.
Basandosi sul pensiero di Sachs (1942), Arlow (1969) ha suggerito che noi apparteniamo alla stessa comunit dei sognatori
ad occhi aperti, dei nostri pazienti. Spesso, a seconda dei tratti
caratteriali del paziente, il viaggio diventa il modello narrativo
per la storia chesi raccontain analisi, almeno durante certe fasi.
In questo modo si assiste ad uninterazione tra la narrativa di un
viaggioverso una qualche destinazione e la narrativa dellamore,
oppure quella del viaggio iniziatico.
Data la natura metaforica dellinterazione tra due narrative,linterazione viaggio-amore stata riconosciutacomeun fattore terapeutico in psicoanalisi.
Lakoff precisa che esiste, nella nostra cultura, una metafora
pienamente sviluppata dellamore-come-viaggio, utilizzata per
comprendere certi aspetti dei rapporti sentimentali e ragionare
su di loro, in modo particolare per quegli aspetti che hanno a
che fare con la durata, la vicinanza, le difficolt e finalit comuni
(ivi., p. 216).
Molte espressioni del linguaggio comune riflettono la concettualizzazione dellamore come un viaggio (Lakoff e Johnson,
1980). Alcune hanno a che fare con lamore e altre vi si possono
adattare. Tutte possono essere applicate alla relazione psicoanalitica: Guarda fino a che punto siamo arrivati, stata una lunga
strada difficile, Non possiamo pi tornare indietro, Siamo a
un bivio, Dobbiamo prendere due vie separate, Siamo immobili, stiamo solo perdendo tempo, Questa storia non va da

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nessuna parte, Il nostro trattamento sta fallendo, Abbiamo


raggiunto un vicolo cieco.
Espressioni come Guarda fino a che punto siamo arrivati
non si riferiscono esclusivamente alla psicoanalisi o allamore,
ma sono comprese anche nella classe delle relazioni concettualizzate come viaggi. Le metafore damore appartengono a questa
classe esprimono un tipico modo di pensare allamore. Gli amanti sono viaggiatori in un viaggio che hanno intrapreso insieme,
proprio come la coppia paziente-analista con i loro obiettivi condivisi.
La relazione il veicolo che consente loro di raggiungere i
propri obiettivi condivisi. Il viaggio non facile, ci sono ostacoli
e crocevia dove decidere che direzione prendere e se continuare
insieme.
Appare chiaro dunque come le metafore sorreggano la tradizionale narrativa dei luoghi comuni psicoanalitici, trasmessi nei
training psicoanalitici e nelle supervisioni.
Tali luoghi comuni pretendono di essere fatti clinici scoperti
per merito di una speciale abilit psicoanalitica di arrivare a dimensioni nascoste, ma nei fatti queste dimensioni sono di natura
squisitamente metaforica.
Le cosiddette fantasie inconsce sono spesso, se non sempre,
metafore che operano a livello inconscio come processi cognitivi
e sono rese esplicite da una sorta di processo psicoanalitico di
mappatura delle metafore.
I modi di viaggiare possono essere diversi: in macchina (
stata una lunga strada accidentata, Siamo immobili, stiamo
solo perdendo tempo), in treno (Siamo usciti fuori dai binari),
in barca (Siamo andati a finire contro gli scogli, Stiamo naufragando) o in aereo (Stiamo decollando, Siamo in caduta
libera).
facile rendersi conto della rilevanza di queste metafore nelle
varie fobie, azioni contro fobiche o concezioni della realt indotte dal carattere di una persona. Per Lakoff (1986), come abbiamo
accennato nellintroduzione, le metafore implicano una mappatura (in senso matematico) da un certo dominio fonte dellesperienza (il viaggio, nel nostro caso) a un dominio target (amore e
terapia). A sua volta lamore diventa il dominio fonte per la metafora clinica di secondo ordine, il cui dominio target coincide con
la psicoanalisi.
La mappatura estremamente strutturata: ci sono corrispondenze ontologiche, per cui entit del dominio dellamore (ad
esempio gli amanti, i loro obiettivi comuni, le loro difficolt, la loro
relazione damore ecc.) corrispondono sistematicamente ad entit del dominio dei viaggi (i viaggiatori, il veicolo, la destinazione
ecc.). Queste corrispondenze possono essere facilmente estese
al dominio delle esperienze affettive nella terapia psicoanalitica
(coppia paziente-terapista, relazione terapeutica, transfert, compimento dellanalisi) ed esprimersi ad esempio nei sogni.
La metafora lamore un viaggio ci permette di leggere altrettanto facilmente i cosiddetti simboli onirici; questi infatti corrispondono a particolari strutture narrative (tipiche di certe culture e in
certi periodi della storia delluomo) che sono centrali anche per
lorganizzazione dellattivit immaginativa durante il sonno.
Elaborando la schematizzazione proposta da Lakoff (1986), la
mappatura tra la metafora ontologica2 lamore un viaggio e quella di secondo ordine, o strutturale,3 che ne deriva, la terapia un
viaggio, si pu costruire la seguente tabella (Tab. 1) che mostra
linterconnessione dei tre domini, come finora descritta, nella generazione di una nuova metafora:
La mappatura, oltre alla metafora ontologica (amore = viaggio) include corrispondenze epistemiche4 grazie alle quali la co2 Ossia una metafora che trae il proprio significato dalla nostra esperienza con gli oggetti fisici. La mappatura delle corrispondenze sistematica
e comprende eventi, attivit, azioni, oggetti percepiti nel campo visivo e
altri (Lakoff e Johnson, 1980).

Una metafora strutturale deriva da metafore convenzionali pi elementari gi sedimentate nel sistema concettuale di una cultura. inoltre in
grado di creare nuovi significati. (cfr. n. 2)
4. Quando le corrispondenze tra domini non sono di tipo ontologico (cfr

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Amore

Viaggio

Metafora strututrale (La terapia un viaggio)


Domino Fonte = Viaggio, Dominio Target: Terapia, Dominio Target
esteso = Terapia
Terapia/ Psicoanalisi

Amanti

Viaggiatori

Coppia paziente-terapeuta

Relazione damore
Essere in un rapporto
Essere intimi
Avere obiettivi in comune

Veicolo
Essere fisicamente vicini
in un veicolo
Mete comuni del viaggio
Ostacoli durante il
viaggio

La terapia
La relazione analitica; Transfert/ Controtransfert (Sogni sullanalisi)
Obiettivi terapeutici condivisi; Compimento della terapia

Metafora ontologica (Lamore un viaggio)


Dominio Fonte = Viaggio, Dominio Target = Amore

Difficolt relazionali

Problemi paziente-analista durante il percorso analitico; Resistenze

Tab. 1 - Mappatura corrispondenze tra domini concettuali

noscenza del dominio del viaggio viene proiettata in quella sia


dellamore che della terapia. Tali corrispondenze ci consentono
di ragionare sullamore tramite il concetto del viaggio, oltre che
di ragionare sulla psicoanalisi tramite i concetti sia dellamore
che del viaggio. Lakoff scrive:
Due viaggiatori stanno andando da qualche parte in un
veicolo quando questo incontra un ostacolo e si ferma: se non
fanno niente, non raggiungeranno la loro destinazione. Esiste un
numero limitato di alternative per lazione: a) essi possono cercare di far s che il veicolo riprenda a muoversi, sistemandolo o
portandolo al di l dellostacolo; b) possono restare nel veicolo
fermo e rinunciare ad arrivare alla loro destinazione con esso; e c)
possono abbandonare il veicolo. Lalternativa di restare nel veicolo fermo richiede lo sforzo minore, ma non soddisfa il desiderio
di raggiungere la destinazione. (1986, trad. it., p. 218) [Questa situazione si pu applicare anche al cosiddetto impasse analitico.]
Le corrispondenze ontologiche in questo modo mappano il
Frame del viaggio in quello corrispondente dellamore, che si
avvarr delle corrispondenti alternative per lazione. Applicando
dette corrispondenze a questa struttura di conoscenza, si arriva
a uno Script damore.
Due persone si amano e perseguono i loro obiettivi comuni
in un rapporto sentimentale. Incontrano alcune difficolt nel rapporto, difficolt che, se nulla viene fatto, impediranno loro di perseguire il loro obiettivi. Le alternative per lazione sono: a) possono cercare di fare qualcosa in modo che il rapporto permetta loro
nuovamente di perseguire gli obiettivi scelti; b) possono lasciare
il rapporto cos com e rinunciare a perseguire quegli obiettivi;
c) possono abbandonare il rapporto. Lalternativa di restare nel
rapporto richiede lo sforzo minore ma non soddisfa obiettivi
esterni al rapporto stesso (1986, trad. it., p. 218).
Lo stesso vale per il dominio della psicoanalisi. Paziente e
analista sono coinvolti una relazione analitica che li trasporta
in un mondo interno, labirinto di memorie o nel paese del
transfert. Incontrano resistenze che, se non appropriatamente
interpretate, impediranno il dispiegarsi del processo analitico. Ci
sono solo poche azioni che la coppia analitica pu intraprendere
rispettando il setting:
a) affrontare ed analizzare le resistenze che si presentano nel
prosieguo della cura (conoscenza psicoanalitica); b) impantanarsi in una interminabile e fallimentare psicoanalisi perch non
sono state analizzate le resistenze, o per collusioni, folie deux, e
cos via; c) interrompere la terapia.
Il tema narrativo implicito delle metafore lamore un viaggio e
la psicoanalisi/ terapia un viaggio non si trova in una particolare parola o espressione: sta nella mappatura ontologica ed epistemica
tra i domini concettuali, o conoscenze, che connettono una delle
nostre comuni modalit di comprendere lamore e la psicoanalisi. Se amore e terapia sono comprese nei termini di un viaggio,
n. 3) ma conducono comunque a una comprensione, grazie allutilizzo di
metafore pi generali. Questo processo di corrispondenze epistemiche
permette la creazione di nuove metafore e nuovi sistemi di pensiero.

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allora le espressioni vicoli ciechi e crocevia valgono sia per lamore che per la psicoanalisi.
Se si dispone di corrispondenze ontologiche e altre conoscenze sui viaggi, nuove estensioni per la mappatura saranno
rapidamente comprese (Lakoff, 1986). Ad esempio una forma
aberrante di terapia con caratteristiche ipo-maniacali ben resa
da questa metafora Stiamo guidando nella corsia di sorpasso in
autostrada che implica una conoscenza del tipo: Quando guidi
nella corsia di di sorpasso fai tanta strada in poco tempo e questo
s eccitante, ma efficace solo in apparenza e soprattutto pericoloso. Il pericolo sta nel veicolo (il rapporto pu non durare)
o nei passeggeri o nel guidatore spericolato. Questi, che corrispondono agli amanti o alla coppia paziente-analista, possono
ferirsi emozionalmente e la terapia-veicolo pu essere distrutta o danneggiata. Leccitazione del viaggio damore pu anche
trasformarsi in unattrazione sessuale. Sempre Lakoff scrive (ivi)
che la nostra comprensione di una nuova metafora (cfr. nota 2)
dipende, nella maggior parte dei casi, da una comprensione di
metafore convenzionali pre-esistenti, che fanno cio gi parte
del sistema concettuale di una cultura.
La TMC permette di affrontare nuovi e interessanti tematiche
e problemi mai prima dora formulati, oltre alla possibilit di generare nuove metafore.
Riprendendo la schematizzazione utilizzata da questi autori
(cfr. Tab. 1), possibile analizzare nuove metafore strutturali che
permettano alla psicoanalisi (o anche alla psicoterapia in generale) di fornire un Dominio Fonte concettuale, un sapere psicoanalitico-terapeutico, per possibili interventi clinici. Per fare questa
operazione bisogna partire da metafore pi elementari.
Una prima metafora (ontologica) i propositi come destinazioni o,
detta in altri termini le intenzioni sono spazi (Lakoff, 1986). La tabella
2 nella pagina seguente sintetizza le corrispondenze tra i domini.
Come nellesempio precedente anche qui si trovano corrispondenze epistemiche grazie alle quali la conoscenza del dominio dello spazio viene proiettata in quella sia delle intenzioni che
della terapia, dando origine alla metafora (strutturale) la terapia
una destinazione.
Espressioni metaforiche, estendibili in ambito terapeutico,
sono: Abbiamo ancora molta strada da fare, Ci siamo quasi, Il nostro obiettivo in vista, Abbiamo raggiunto il nostro
obiettivo, Per tutto il tempo stata una strada in salita, Ora
pu girarsi e guardare indietro.
Legata alla metafora dellamore come un viaggio la vita un
viaggio che influenza il modo di raccontare la propria biografia
durante unanalisi.
Una lunga relazione damore cos compresa come un viaggio attraverso la vita di coppia e il veicolo , come detto pi sopra, il rapporto stesso. Tutto questo corrisponde alla tipica concettualizzazione, in cui amore, viaggio, vita, storia di vita, storia
di un viaggio (transfert) si sovrappongono e si intrecciano lun
laltro. Metaforicamente chi vive una relazione damore da lungo
tempo, viaggia insieme al partner, poich scopi comuni corrispondono a destinazioni comuni.

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Metafora strutturale
(La terapia una destinazione)
Domino Fonte = Spazio, Dominio Target = Intenzione:, Dominio
Target esteso = Terapia
Terapia/ Psicoanalisi

Metafora ontologica
(Le intenzioni sono spazi)
Dominio Fonte = Spazio, Dominio Target = Intenzione
Spazio

Intenzioni

Destinazione

Proposito
Realizzazione del proposito

Giungere a destinazione
Impedimenti nel muoversi
Tenere bene in vista la
destinazione

Maturazione; Arricchimento personale; Normalit.


Compimento dellanalisi, analisi completa, analisi profonda.

Difficolt

Rimanere bloccati, Andare in salita, incontrare una barriera


autistica, una impasse analitica, resistenza.

Mantenere il proposito

Mantenere invariato il setting terapeutico.

Tabella 2 - Mappatura corrispondenze tra domini concettuali

Per capire in che modo la relazione damore venga compresa


come un veicolo dobbiamo prendere in esame una metafora il
cui dominio fonte uno spazio fisico e quello target una relazione interpersonale: Lintimit corrisponde alla vicinanza. La
mancanza di intimit corrisponde alla distanza. Gli esempi comprendono: Eravamo molto vicini ma ci siamo allontanati negli
anni. Oggi siamo piuttosto distanti (Lakoff, 1986: 223)
Queste espressioni metaforiche possono essere utilizzate
anche per discutere sullo sviluppo del transfert nel corso di una
terapia a lungo termine (si veda a tal proposito Kvecses, 1988,
1990).
Una terza metafora base (ontologica) una relazione damore
un contenitore. Chi ha una relazione damore corrisponde al contenuto di un contenitore. Gi Bion (1962) aveva parlato di setting
come un contenitore del rapporto analitico in cui si verificano
investimenti libidici. Siamo in grado ora di vedere negli sviluppi
successivi del concetto psicoanalitico bioniano di Contenitore,
delle ovvie estensioni metaforiche di concetti metapsicologici
classici.
Esempi includono: Ci siamo messi insieme senza pensarci,
entrato in analisi, difficile uscire da questa storia, Sto
pensando di tirarmi fuori da questa relazione (o dallanalisi).
Infine una quarta metafora (ontologica), particolarmente rilevante, un rapporto interpersonale un oggetto costruito.
Gli esempi comprendono: C voluto molto tempo per costruire
quel rapporto, Abbiamo un rapporto solido, Il loro rapporto
molto fragile e pu spaccarsi, Abbiamo bisogno di ricucire il nostro rapporto (Lakoff, 1986: 223).
Consideriamo ora alcuni esempi ricavati dalla conoscenza
popolare sui veicoli, sulle relazioni damore e sulla relazione paziente-terapeuta: Un veicolo un contenitore, Un veicolo un
oggetto costruito, Le persone allinterno di un veicolo sono fisicamente vicine, Le persone in un rapporto sentimentale sono
in intimit, Le persone nello stesso veicolo stanno facendo lo
stesso viaggio, Un veicolo agevola un viaggio.
Se, come Lakoff (ivi), mettiamo insieme tutto questo possiamo comparare metaforicamente la nostra conoscenza dei veicoli
alla relazione damore e a quella psicoterapeutica, dove lamore
un fattore terapeutico: un veicolo un oggetto costruito, un
contenitore con persone al suo interno che stanno vicine e stanno facendo lo stesso viaggio, e agevola il viaggio. Un rapporto
sentimentale, come anche un rapporto analista-paziente, un
oggetto costruito, un contenitore con persone al suo interno
che stanno vicine e stanno facendo lo stesso viaggio, e agevola
il viaggio.
Una relazione psicoanalitica un contenitore (Bion, 1962) in
cui la coppia vicina e empatica (Kohut, 1971), ed ha intrapreso
lo stesso viaggio. Tutto questo reso facile dal contenitore stesso. Le propriet che caratterizzano il veicolo in un viaggio sono
quindi propriet metaforiche che caratterizzano la relazione
damore nella metafora Lamore un viaggio e che, a sua volta,
caratterizzano la psicoanalisi come un processo clinico costituito

28

da un percorso nel tempo o nel ricordo del percorso della vita.


Le metafore fin qui prese in esame non sono certamente prodotti della fantasia, n idiosincrasie, per comprendere relazioni
damore, la vita e una psicoanalisi o psicoterapia in generale. Al
contrario, fanno parte della nostra cultura radicata nel sistema
cognitivo umano. Ogni aspetto della metafora dellamore come
viaggio motivato da altre metafore nel nostro sistema concettuale e nella conoscenza popolare.
Il resto del nostro sistema concettuale procurer le risorse necessarie per vedere amore, vita e terapia come viaggi.

6. Sogni e viaggi nel dominio del Transfert


I sogni sono unaltra importante manifestazione di pensieri
inconsci e fanno largo uso di metafore concettuali (Lakoff, 1996).
Come suggerisce Freud lattivit onirica essa stessa una forma
di pensiero. Sogni di potere sono forme di pensiero che esprimono contenuti emozionali di potere.
Proprio perch i sogni sono una delle modalit in cuisi esprime il pensiero, e il pensiero produce metafore, i sogni possonoavvalersi dimetafore.
Il processo del sognooffre infinitepossibilit per lespressione delle metafore. Queste possibilit sono date dalle metaforedi
base convenzionali fissate nel nostro sistema concettuale.
Si ricorda che le metafore, nellambito della teoria di Lakoffe
Johnson (1980) sonocorrispondenze fissate tra domini concettuali, a livello sovraordinato. Le corrispondenze fissate consentono al livello base dellimmaginazione di produrre nuovi significati sistematici.
Poich le possibilit per il livello, sia basechederivato, dellimmaginazione sono illimitate, le corrispondenze metaforiche fissate consentono illimitate possibilit costruttive in ogni particolare sogno.
In sintesi,il sogno un processo dinamico che fa uso di corrispondenze metaforiche fissate per costruire le sequenze di immagini che si verificano nei sogni stessi.
Il sistema metaforico potrebbe essereconcepito come un set
di principi generali fissi che permettela generazione diinfiniti
sogni, costruiti dinamicamente in accordo con tali principi. Capire il sistema delle metafore significa capire questi principi.
Un esempio di metaforabase profondamente radicato nel nostro sistema concettuale e che spesso si manifesta nelle immagini oniriche durante una psicoterapia la terapia un viaggio. La
metaforaprecedentemente analizzata,lamore un viaggio,si lega
a questultima, fonte di informazionisul transfert epermette di
esplorarelefondamenta della conoscenza.
Nei sogni deipazienti tutti i viaggivengono considerati viaggi nel territorio del transfert, o paese del transfert per dirla con
Schafer (1983).
Sogni tipici che le personeriferiscono mentre sono in analisi
sono infatti sogni che rappresentano laterapia come un viaggio.

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Segli psicoterapeuti, durante il loro lavoro,tengono ben presente sia il contenuto manifesto del sogno sia la direzione delle
relative associazioni fornite dal paziente, nonch le variazioni del
dominio dei viaggi, hanno la possibilit di meglio comprendereil
prosieguo dellanalisi.
Schafer (1983), nella situazione clinica, si domanda e risponde:
un viaggio solitario o ci sono dei compagni? Chi conduce,
pilota, guida o blocca la strada, e fino a che punto svolge bene
questo lavoro? Il viaggio viene fatto nellaria, in mare, nella giungla o in una cantina buia e piena di topi? La strada libera da
serpenti e trabocchetti? Chi viaggi ha perso la strada? Ha passato
la stazione? Ha perso il treno? La destinazione nota?C luce
alla fine del tunnel? Avendo a disposizione una serie di domande
e di aspettative analitiche, sappiamo come organizzare e seguire queste storie sognate ed elaborate mediante lassociazione
(1983: 248).
Per riconoscere i vari frammenti di storie di viaggi nei sogni,
come autobus che appaiono, un sentiero o un cartello stradale,
lanalista deve attingere ad altre fonti. Ad esempio la preoccupazione infantile per il via vai degli stimoli e delle persone in cui ci
si imbatte nel corso della sua crescita. Sempre Schafer (ibidem)
sottolinea come lanalista sia pronto per trovare altri frammenti
dalla narrazione del suo paziente in altro materiale. Ad esempio
lanalizzando chiede di prendere in prestito soldi per il taxi, imbocca luscita sbagliata dallautostrada mentre si sta recando in
seduta oppure inciampa mentre si avvia verso il lettino. Lanalista
sar allora prester particolare attenzione ad una ad una delle
metafore del viaggio espresse nel linguaggio del suo paziente.
Nelle metafore infatti si trova sempre un potenziale o implicito filo narrativo, che poggia su modelli concettuali dellinfanzia. Lachmann e Lichtengerg (1992) riportano un tipico sogno di
viaggio presentato in unanalisi, relativo ai costrutti transferali di
una paziente.
Inizialmente ella aveva assegnato allanalista (come anche al
fidanzato della donna o ad altre persone importanti della sua
vita) la parte della madre vulnerabile di cui doveva prendersi
cura, e doveva fare tesoro delle poche ore preziose durante le
quali sarebbero stati ancora a sua disposizione.
In un momento successivo, la paziente inizi ad esperire lanalista come un adulto competente, in grado di alleviarla dal precoce fardello provato nellaccudire gli altri. Sei mesi dopo laffiorare
del transfert, si smosse ulteriormente la sua precaria natura della
dipendenza dagli altri raccontando questo sogno:
Cera questa piccola automobile. Un uomo, abito grigio, paffuto, basso, un tipo anonimo. La macchina era a due posti, cos
piccola che io viaggiavo sul lato esterno, seduta sul tetto, nella
parte posteriore, tenendomi aggrappata con le dita. Pensavo
davvero che mi avrebbe permesso di viaggiare nei sedili davanti,
ma ero confinata nel mio posto (ivi: 126, trad. nostra).
La paziente ha continuato poi a parlare della sua burrascosa
relazione con il fidanzato. Durante la seduta lumore stato amichevole, anzi ha condiviso risate con il terapeuta per la chiarezza
delle immagini e allusioni del sogno, in particolare del piccolo e
paffuto uomo anonimo.
Il transfert che emerse era centrato sulla sua ammirazione e idealizzazione dellanalista. Si sentiva indegna e infantile. In particolare era acutamente consapevole di temere che lanalista perdesse
interesse nei suoi confronti e lei doveva tenersi aggrappata.
Schafer (1983) pone laccento sul fatto che lanalista non si
aspetta di trovare ununica storia di viaggio, ma si imbatte in una
serie di storie di viaggi, raccontate o implicite. La competenza
dellanalista a lavorare su tutte queste narrative e nellelaborarle
un aspetto essenziale della sua competenza generale nellinterpretazione analitica (ivi: 250).
Ci significa che la competenza psicoanalitica con la pratica
pu essere raffinata per la comprensione e lutilizzo del sistema
metaforico umano.
Vediamo ora come la terapia-come-viaggio possa manifestarsi nelle associazioni di un paziente.

29

In questo modo non so dove vado a parare (ivi: 249). La paziente di Schafer che ha espresso questo dubbio stava riflettendo, perplessa, sulle sue associazioni. La storia implicita del viaggio emersa dallanalisi era che la donna associava agilmente solo
quando le era nota la destinazione. Nonostante limpressione di
libera associazione, in realt stava seguendo un piano di viaggio
prestabilito. Schafer riusc a scoprire la sua strategia: a livello preconscio lottava contro lidentificazione con una madre disgregata, mentre a quello inconscio agiva unidentificazione, che le
metteva orrore, nei confronti di un padre troppo controllato e a
sua volta controllante.
In un successivo resoconto del suo viaggio, legato a prototipi
sessuali, emerse che la paziente viveva una doppia trappola: la
paura di perdere controllo e, allo stesso tempo, la sensazione di
essere imprigionata in una situazione in cui sarebbe stata troppo
strettamente controllata.
Questa simultaneit permise lemergere di due lati di ununica
posizione conflittuale, perch il viaggio e la prigionia si erano fusi
in ununica metafora. In quella che si poteva considerare unaltra
versione delle sue storie di prigione e di viaggio, storie condensate e conflittuali, la donna si presentava come un cane addestrato
con severit obbediente, pulito, protettivo, leale, che si rannicchiava tutto quando riceveva una parola dura e scodinzolava a
una parola gentile; cos, per lei, sapere dove andava a parare con
le associazioni significava anche essere un buon cane (ivi: 249).
Come abbiamo discusso in precedenza le immagini utilizzate
nei sogni non sono arbitrarie: sono vincolate da metafore generali. Le metafore generali sono dei set di corrispondenze, ad un
livello sovraordinato, tra domini concettuali, di cui uno la fonte
e laltro il target.
Le immagini del sogno vengono scelte da livello base (e subordinato), ossia da casi speciali di categorie sovra ordinate presenti nelle metafore generali.
Si supponga per esempio che la metafora lamore un viaggio
venga utilizzata nel sogno. In questo caso le immagini del sogno saranno di un particolare tipo di viaggio, come un viaggio
in macchina o su uno scuolabus. Il sogno includer quindi una
macchina, strade, ponti, brutto tempo, incroci e cos via.
Il pensiero metaforico naturale, di conseguenza anche luso
di immagini nei pensiero onirico naturale.
Schafer (1983) propone di arrivare a interpretazioni praticabili attraverso lesame in seduta di domande/interventi analitici
sul tipo: Il viaggiatore da solo o con qualcun altro? Chi guida ?
questi un bravo guidatore o no? Il viaggio in aria, per mare,
sulla strada, dentro unabitazione o in un luogo profondo, scuro
o sporco? possibile collegare ad un problema attuale il sogno
odierno del paziente che stava facendo il percorso camminando
tra la porta e il lettino dello studio dello psicoanalista?
Oppure quando, allinizio della sua analisi, una donna sogn
di iniziare il viaggio su uno scuolabus, ci si chiedeva se avrebbe
potuto avere fiducia nellautista? Nello sfondo del sogno la donna ricord pi avanti un incidente dauto in cui sua sorella perse
la vita.
Pu essere considerato un sogno orientato da un piano (Weiss,
1993) nelle prime fasi di una seduta psicoanalitica: il paziente sta
costruendo lesperienza di iniziare unanalisi e si chiede se pu o
meno avere fiducia nell analista-autista, incorporando nel presente viaggio-analitico, per il tramite del transfert, quello traumatico di uno scuolabus dirottato da un folle armato vissuto
durante linfanzia.
Il piano del paziente quello di viaggiare (entrare in analisi),
superando i sentimenti di paura grazie ad un autista-analista che
sia davvero bravo.
Troviamo un esempio anche nel sogno di Freud cosiddetto
della preparazione anatomica(1899) in cui la strada si stringeva
dopo un po e si trasformava in una strada piena di sporcizia. La
strada diventava sempre pi stretta e il terreno accidentato e pericoloso. Il sognatore, esausto, raggiungeva una capanna in cima
dove gli era apparso un abisso. Sapeva che al posto delle assi due
bambini potevano aiutarlo per attraversare labisso (Freud, 1899).

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Questo sogno stato considerato come lauto-rappresentazione del periodo della vita di Freud mentre scriveva Linterpretazione Dei Sogni (1899).
Alla luce della Teoria della Metafora Concettuale di Lakoff e
Johnson possibile rintracciare luso della metafora la vita un
viaggio, che consente di interpretare il sogno per il fatto che appartiene ad un sistema concettuale umano tipico e condiviso da
paziente ed analista.
Una metafora convenzionale che struttura questo tipo di sogno la Metafora della Struttura degli Eventi5 (Lakoff e Johnson,
1980) composta da un certo numero di parti:
gli stati sono luoghi;
le azioni sono movimenti autoprodotti;
i propositi sono destinazioni;
i significati sono sentieri;
le difficolt sono ostacoli al movimento.
Richiamando la metafora lamore un viaggio si pu vedere
come questa sia unestensione di una vita che persegue scopi un viaggio.
lamore un viaggio ha un doppio fondamento di cui uno una
vita che persegue scopi un viaggio, laltra di una vita che persegue scopi
un impresa.
Queste due metafore base si estendono sia a lamore un viaggio sia a lamore alleanza, ovvero unimpresa tra due persone. In
questo modo noi parliamo di amanti come partner. Sembra
quindi che ci sia un accordo implicito tra la coppia, o anche in
casi particolari un contratto di una sorta di amore perverso.
Si pu trovare unanalogia anche nella coppia analitica.
Le relazioni damore di lunga durata falliscono alle stesse condizioni di unimpresa che fallisce, quando quello che i partner disinvestono dalla relazione non importante quanto quello che
vi investono (esiti poveri di una terapia).
La linguistica cognitiva fornisce anche esempi sui sogni di
volo con metafore implicite come
le azioni sono movimenti autoprodotti;
la libert assenza di costrizione;
lazione intensa un movimento veloce.
Volare, in questultima metafora, una forma di movimento
senza costrizioni, ma con il sottinteso pericolo di cadere e crollare, con conseguente danno. Metaforicamente il volo unazione
intensa con un senso di libert in grado di esprimere immaginazione narcisistica grandiosa, cos come esplosioni maniacali.

7. Associazioni libere
Luso delle metafore per rappresentare lanalisi come un viaggio differente tra paziente e analista. Esiste anche un pericolo di collusione se si prende per garantito che lunico modo per
descrivere la situazione analitica la metafora del viaggio. Detta
visione unitaria esclude a priori luso di altre metafore che possono essere generate dal sistema concettuale umano. Se ci dovesse succedere, una proficua analisi del controtransfert (ovvero
che lanalista sia in grado di riconoscere consapevolmente le
metafore che egli stesso usa), dipenderebbe in parte dallabilit
dellanalista di rendersi conto quando rimane bloccato nelluso
della sola metafora la vita un viaggio. Se vi riuscisse potrebbe
cercare trame di storie e relative metafore che tendono a essere
nascoste nella narrativa del paziente.
Entro il contesto metaforico lo psicoanalista, comunque, potrebbe mettere in atto manovre per produrre validi interventi
nel corso della terapia. Detto altrimenti la metafora stabilisce un
contesto in cui diventa possibile introdurre differenti e peculiari
modi di pensare il viaggio-terapia. Lakoff e Johnson (1980) offrono degli esempi che possono essere estesi all ambito psicoanalitico:
Guardi fino a che punto siamo arrivati - un analista potrebbe dire al
paziente dopo cinque anni di terapia;
5. (cfr n. 3 e 4)

30

Siamo ad un crocevia - un analista potrebbe dire al paziente dopo


che questi avesse manifestato lintenzione di interrompere lanalisi.
Lo psicoanalista paragona la terapia in s ad un obiettivo di vita interessante e ragionevole. La sua interpretazione vorrebbe collocare
lanalisi sul lato opposto dellincrocio e prevenire interruzioni senza
bloccare gli sforzi del paziente;
Ormai non possiamo tornare indietro - direbbe un paziente dopo
varie sedute in cui sta in silenzio. Esattamente! - direbbe lanalista
con implicito, ma un po agito, riferimento al silenzio;
A che punto siamo? - direbbe un paziente disorientato esprimendo
il proprio dubbio che lanalisi assomigli a qualcosa che sa o di cui ha
letto qualcosa;
Siamo bloccati - direbbe un paziente, mostrando in tal modo le sue
paure claustrofobiche;
Lanalisi ha raggiunto un vicolo cieco - direbbe una paziente allanalista riproducendo nel transfert una situazione tipica delle sue relazioni damore e delle sue paure narcisistiche di restare imprigionata in
un rapporto simbiotico interpretabile in due modi: la donna intrappolata in una pericolosa morsa sessuale con lanalista, la donna lascia
intendere di voler interrompere lanalisi;
stato un percorso accidentato - direbbe una paziente dopo una
difficile ma soddisfacente seduta in cui avesse percepito inconsciamente una situazione simile a quando, nellinfanzia, si sarebbe masturbata senza volerlo mentre giocava a cavalluccio sulle spalle del
padre;
Lanalisi sta andando in profondit - direbbe un paziente che non sa
nuotare, con una malcelata paura;
Stiamo deragliando - direbbe un paziente particolarmente affezionato ai modelli giocattolo dei treni.

Dalla metafora centrale del viaggio si diramano differenti


tipologie di viaggio che possono essere ipotizzate nel corso di
una terapia. Non per possibile trovare ununica immagine del
viaggio che derivi in qualche modo interamente dallinterazione
tra altre metafore di viaggi possibili e dai vari significati del trasporto.
La psicoterapia dinamica a breve termine invece si focalizza
esclusivamente su ununica metafora del viaggio. Durante una
psicoanalisi classica, al contrario, vengono sperimentate con consapevolezza varie trame narrative. Lanalista deve tenere sempre
in mente che trame narrative standard valide con chiunque non
esistono, e che ci sono anche trame narrative inconciliabili.

8. Conclusioni
Dopo aver letto questo articolo, qualcuno potrebbe tornare ai
primi paragrafi e chiedersi ancora una volta come una metafora
abbia qualcosa da dirci sul funzionamento del cervello. Dovrebbe anche meravigliarsi di come delle semplici metafore possano
essere rilevanti anche in una terapia psichiatrica a cui la psicoterapia dovrebbe dare i suoi contributi in questo senso.
Infine dovrebbe affermare, in base alla teoria retorica classica,
che le metafore sono solo parole. Direbbe forse che migliorano
la comunicazione, ma creano facili illusioni e non possono essere
vere nellaccezione scientifica del termine che la psichiatria biologica contemporanea impone.
Un tale lettore tradizionale potrebbe insistere e dire che le
metafore servono solo per abbellire le nostre storie o i nostri
discorsi. Cosa hanno a che fare quindi con un serio trattamento
psichiatrico o psicoterapeutico? E come, ancora pi cruciale, possono essere connesse le metafore allattivit cerebrale al posto di
essere dei meri epifenomeni?
In breve possiamo ricordare che il grande contributo della
scienza cognitiva allo studio delle metafore risale alla fine degli
anni settanta, quando si riconobbe che le metafore, invece di es-

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sere solo delle parole, sono strutture di pensiero al lavoro.


Non solo, ma esiste un Sistema Metaforico Concettuale basato sullesperienza corporea, reso possibile da come fatto il corpo umano che interagisce con le costrizioni dellambiente terrestre (Lakoff e Johnson, 1999; Casonato, 2003; Johnson, 2007). In
particolare le emozioni e i sentimenti giocano un ruolo di primo
piano nellinterazione delluomo con il suo ambiente sia sociale
che fisico; le esperienze corporee forgiano il nostro modo di approcciarci ed adattarci al mondo.
Riprendendo lesempio dellesperienza del sentimento del
dubbio avanzata da William James pi di un secolo fa, Johnson
(2007) ricorda come questa si manifesti inestricabilmente con
sensazioni corporee ben precise: tensioni e costrizioni corporee
come quella del diaframma, del respiro e probabilmente anche
delle viscere. Il dubbio ritarda o ferma il flusso armonioso di ci
che si provava prima di averlo (Johnson, 2007: 53).
Allo stesso modo possiamo ritenere la terapia della parola,
che fatta di metafore e che ne fa ampio uso a sua volta, come
lespressione delle peculiarit del pensiero disturbato la psicopatologia unarea di ricerca e intervento pienamente legittimata della linguistica cognitiva.
Inoltre, grazie alla Teoria Neurale del Linguaggio (Feldman,
2006; Lakoff, 2009) per la quale il linguaggio, e le sue metafore, non sono simboli astratti, ma capacit umane biologiche,
sono possibili collegamenti interdisciplinari tra i vari ambiti delle
Neuroscienze Cognitive, che oggi sono la pietra angolare della
Psichiatria, e la Psicoterapia, anche psicoanalitica in questo contesto.
Lavorare con le metafore significa quindi lavorare con alcune
attivit cerebrali; basti pensare a funzioni cognitive legate al linguaggio come lapprendimento, ladattamento ai cambiamenti
ambientali, il problem-solving e altro ancora, su cui sono state
fatte numerose ricerche che mostrano come i meccanismi cerebrali vengono di fatto forzati o alterati.
Per concludere, lavorare con le metafore significa richiamare
alcune strategie relazionali e comunicazionali, con lobiettivo
di costruire esperienze fittizie che retroagiscono sui ricordi e
sullimmaginazione costituendo il nucleo tecnico operante della psicoterapia.
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32

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Sviluppo Cognitivo e Naming Explosion,


il contributo dei modelli computazionali
nello studio delle tappe fondamentali
dellacquisizione del linguaggio
Giuseppe Citt - langravio@gmail.com

Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina

Abstract

The aim of this article is to focus the use of computational models in the study of language acquisition. Specifically, we will refer to
a kind of model neural networks whose primary focus is to simulate the computations that occur in the brain. These models, moreover, assume the biological plausibility and the psychological plausibility as their hallmarks. After examining some central issues that
affect the process of language learning in the specific phase of the vocabulary spurt (the multimodality of human cognition and the
trajectory of cognitive and linguistic development), we will show, through the analysis of two computational approaches, how these
issues are computationally addressed.

Keywords

Neural networks, multimodality of cognition, naming explosion, shape of change, naming errors.

1. Strumenti ed oggetto danalisi:


computazionali e acquisizione del lessico

modelli

Lutilizzo dei modelli computazionali per lo studio di un fenomeno complesso quale lacquisizione del linguaggio implica
numerose riflessioni relative alla validit di tali modelli soprattutto in riferimento alla loro plausibilit biologica e psicologica.
In letteratura si possono distinguere due macro-classi di modelli computazionali. Allinterno della prima classe si possono
inserire tutti quei modelli basati sullintelligenza artificiale simbolica dei quali uno scopo primario di realizzazione lo studio
di determinati fenomeni cognitivi prescindendo dai processi cerebrali coinvolti.
Nella seconda classe, invece, si possono inserire tutti quei
modelli che assumono tra i loro fondamenti teorici la centralit
della simulazione delle computazioni che avvengono nel cervello. Un loro fine realizzativo primario generare comportamenti
simili a quelli osservati nella realt gettando luce, cos, su come il
cervello riesce ad implementare i vari compiti cognitivi.
Lo scopo di questo lavoro problematizzare lutilizzo delle
reti neurali, appartenenti, alla seconda tipologia di modelli sopra menzionata, nei termini di strumenti danalisi del fenomeno
dellapprendimento del linguaggio, in relazione a delle problematiche specifiche quali la traiettoria dello sviluppo cognitivolinguistico e la natura multimodale dellinput con cui il bambino
viene in contatto in determinate fasi del processo dontogenesi.
Come punto davvio si utilizzer la seguente definizione: un
modello la rappresentazione compatta di un fenomeno che pu
generare un comportamento paragonabile a quello sotto esame
nel sistema reale di riferimento. In pi un mezzo per rendere pi
evidenti le caratteristiche chiave di un oggetto danalisi (Nyamapfene, 2009: 36). Inoltre, un modello, incrementando la chiarezza
della teoria che affianca, offre la possibilit di formulare e verificare nuove ipotesi.
Generalmente lo si trova allinterno di una teoria, allinterno
cio di un modo ben preciso di guardare e concepire un determinato fenomeno. Lo si pu concepire, come detto, come ci che
articola con maggior precisione di dettaglio una teoria specifica, cosa che una descrizione semplicemente verbale potrebbe
non essere in grado di fare. Esso offre lopportunit di esplorare
aspetti di un fenomeno che pu non essere facilmente testato
nel mondo reale; lo si pu pensare come un vero e proprio generatore di ipotesi: suggerisce nuovi modi di comprendere un
fenomeno, anche se la validit di unipotesi dipender, in ultima
istanza, dai test empirici effettuati nel mondo reale.
Allo scopo di chiarire ulteriormente il ruolo giocato da tali di-

33

spositivi il primo passo da compiere esplicitare i loro oggetto


danalisi: il fenomeno dellacquisizione del linguaggio e in particolare i processi che interessano lacquisizione del lessico.
Lapproccio che si prediliger quello portato avanti da quegli studi che pongono il lessico come elemento cognitivo fondamentale (Elman, 2005). Particolarmente illuminante una metafora operativa (Elman, 2004) secondo cui molto pi fruttuoso
concepire le parole come operatori piuttosto che come operandi.
Esse hanno una funzione attiva che si viene a configurare come
la base di uno studio del rapporto che intercorre tra la struttura
del lessico stesso e i processi di organizzazione della conoscenza.
Un tal modo di pensare alle parole di una lingua, richiamando
una pregnante similitudine, consente uno studio di esse non
tanto come particelle linguistiche che danno vita a impalcature
grammaticali, ma quanto come elementi portanti che sono gi di
per s ricche entit grammaticali (Elman, 2009: 2).
Che le parole siano operatori suggerisce che esse sono molto
pi che semplici oggetti; suggerisce un abbandono della concezione di un lessico-lista in cui le parole sono degli elementi su cui
operare attraverso un gruppo di regole; suggerisce lassunzione
di una rappresentazione pi complessa, articolata e flessibile
nella quale linformazione lessicale sia sintattica che semantica gioca una partita fondamentale nella strutturazione e nella
costruzione on-line delle proposizioni (Elman, 1995, Jackendoff,
2007). Le parole, secondo la prospettiva che si sta sostenendo,
potrebbero essere di per s gli elementi fondativi dai quali epifenomenicamente emergerebbe la grammatica (Elman, 2009:
2); elementi che solo unosservazione che rimanga in superficie
restituirebbe come costituenti semplici del linguaggio celando
una loro natura predicativa interna molto pi complessa (Lenci,
2006).
Attribuire alle parole un tale ruolo, di conseguenza, significa
concepirle alla stessa stregua degli stimoli sensoriali, come componenti, cio, che agiscono direttamente sugli stati mentali (Elman, 2004).
Una prospettiva questa che si fa carico di ricercare nei processi cognitivi che interessano la strutturazione del lessico, delle
costanti, delle regolarit tra categorie lessicali, propriet percettive degli oggetti del mondo e propriet dei vari elementi
che compongono il linguaggio (Colunga & Smith, 2008), ed
proprio questo il terreno entro il quale si registra uno dei contributi maggiormente fruttuosi fornito dai modelli computazionali dellacquisizione del linguaggio, in particolare da quelli che
hanno come fulcro danalisi il processo di acquisizione: i modelli
connessionisti.

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2. Nuove ipotesi da vecchi problemi


Questo genere di modelli ha contribuito nel corso del tempo
a gettar luce su nuclei centrali del processo di acquisizione del
linguaggio e, pi in generale, dello sviluppo cognitivo di cui lapprendimento della lingua tappa fondamentale. Ora, proprio di
questi vecchi nuclei teorici sar opportuno occuparsi per fornire
al lettore gli strumenti necessari per una comprensione chiara
e lineare delle ipotesi che emergeranno nei paragrafi successivi
(Barsalou et al., 2007; Elman, 2005, 2006; Rogers et al., 2004).
Verranno presi in esame:

la multimodalit della cognizione umana;

la traiettoria dello sviluppo linguistico-cognitivo, la cosiddetta shape of change, e le correlate fasi critiche quali
limprovviso incremento quantitativo delle perfomance
linguistiche e la decadenza delle stesse.

2.1 La natura multiforme della cognizione

Un assunto fondamentale da cui opportuno trarre avvio la


tesi secondo cui la cognizione sia un fenomeno composito emergente da un insieme articolato di processi connessi tra loro e al
mondo (Smith, 2005), un fenomeno, cio, che emerge dalla stretta relazione tra i diversi sistemi cognitivi, quali, ad esempio, la
percezione, lazione, il linguaggio, lapprendimento, la memoria,
attraverso i quali interagiamo con la realt. Descrivere la cognizione in tal modo significa ancorarla a delle caratteristiche che
vanno a costituire ci che viene riconosciuto come la magia della
cognizione umana, espressione, questa, che sottolinea profondamente la capacit di costruire rappresentazioni e comportamenti che favoriscono il raggiungimento di obiettivi e la coordinazione sociale riferendosi tanto alla duttilit quanto alla solidit
dellapprendimento nei vari contesti (Barsalou et al., 2007). Si fa
riferimento ad alcuni tratti che sar opportuno scandire pi chiaramente marcando il fatto che, quando si parla di cognizione,
non ci si riferisce ad un insieme di contenuti mentali immobili
legati alla realt, contenuti che forniscano eventualmente una
spiegazione del fenomeno in termini di strutture cognitive rigide e astratte messe alla prova in contesti differenti e in modo
reiterato. Per comprenderne in pieno la vera natura, piuttosto,
la si deve legare alla comprensione e allo studio dei contributi
che hanno origine da quei sistemi che sono generalmente e a
torto classificati come sistemi non cognitivi. Ci comporta che
si metta da parte un approccio alla problematica che leghi la
cognizione esclusivamente alla sfera del pensiero. Una visione
che seziona la vita mentale in gradini separati quali, ad esempio,
pensiero, sensibilit e azione, e conferisce alla fase del pensiero
il ruolo di componente cognitiva, si concentra, di conseguenza,
sulla stabilit della cognizione e tende a darne una spiegazione
attraverso la formulazione di contenuti mentali (i concetti, le categorie) organizzati in rappresentazioni simboliche fisse e cristallizzate. Secondo questa prospettiva ognuno di noi avrebbe degli
schemi fissi di vario genere (temporali, causali, logici) relativi alla
struttura del mondo che per sarebbero nettamente separati da
processi in tempo reale quali il percepire, lagire e il ricordare. Imparare a pensare adeguatamente al fenomeno della cognizione
equivale a pensare ogni singolo processo cognitivo in stretta coordinazione con gli altri. necessario, cio, non perdere di vista la
relazione di co-azione tra percezione, linguaggio, azione, memoria che insieme ad altri elementi fondamentali quali, ad esempio,
le emozioni e lattenzione si configurano come i connotati peculiari di un elemento stratificato e multiforme.

2.2 La fisionomia dello sviluppo cognitivo


Allinterno di un contesto che fornisce una raffigurazione dinamica del fenomeno, pensare levoluzione di un determinato processo cognitivo come un percorso lineare che partendo da un minimo quantitativo approda ad un massimo quantitativo significa
abbracciare unimmagine della conoscenza poco fedele al reale.

34

In realt si di fronte ad un fenomeno ben pi complesso che


si configura come tuttaltro che statico e che strettamente legato al mondo (Smith, 2005) sia nello sviluppo dei suoi specifici
processi che nella sua generale evoluzione. E capire lo sviluppo
cognitivo richiede la comprensione di come i processi che legano il nostro sistema cognitivo al mondo fisico si modificano attraverso linterazione con il mondo stesso. Per dirla in altri termini, i
meccanismi di apprendimento che supportano levoluzione del
sistema cognitivo sono profondamente sensibili, nei vari domini,
compreso quello linguistico, alle variazioni e agli schemi di covariazione presenti nellambiente (Rogers et al., 2004). Facendo
riferimento agli schemi di sviluppo linguistico-cognitivo, quindi,
una traiettoria di sviluppo non-lineare appare molto pi adeguata per descrivere i processi relativi allacquisizione di una lingua,
processi che ci si troverebbe in profondo difetto nel leggere
come semplici eventi incrementali e progressivi. Tale traiettoria
sembra procedere, difatti, alternando lunghi periodi in cui sembra mutare ben poco a brevi fasi esplosive in cui si registra un
cambiamento significativo sia in termini di qualit che in termini
di quantit. Si tratta di un percorso evolutivo a cui generalmente
ci si riferisce con lespressione traiettoria di sviluppo ad U (o ad
N) la quale ha un ruolo cruciale nella formulazione di ipotesi teoriche circa i meccanismi coinvolti nei processi cognitivi6.

2.2.1 Il naming explosion: fisionomia dellevoluzione di un fenomeno


linguistico
Un esempio empirico di quanto descritto lo si pu rintracciare
nella specifica traiettoria ad U relativa al pi ristretto dominio del
processo di apprendimento del linguaggio nella fase dellesplosione del vocabolario e degli errori linguistici (naming errors) ad
esso connessi. Puntando la lente su uno di quei momenti critici
che rappresentano i due versanti opposti del percorso evolutivo7
delle prestazioni in un dominio circoscritto, il dominio linguistico, si potr comprendere con maggior chiarezza come si configura la parabola fin qui discussa.
La fase critica in questione la cosiddetta esplosione del lessico (vocabulary spurt) che da rintracciare in senso ampio nella
fascia det che va dai 18 ai 30 mesi e il cui picco quantitativo si
assesta mediamente nel periodo compreso tra i 18 e i 21 mesi. Si
tratta di quello stadio in cui i bambini attraversano un repentino
passaggio che interessa il loro vocabolario sia nella produzione
che nella comprensione. Generalmente lincremento del vocabolario ad un primissimo stadio, che da rintracciare nei 4-8
mesi precedenti al vocabulary spurt e che solitamente viene indicato con lespressione one-word stage, molto lento e a livello
quantitativo la vera e propria esplosione si verifica generalmente
quando tale vocabolario raggiunge un numero compreso tra le
cinquanta e le cento parole. Ora, nel momento in cui si verifica
una veloce crescita della massa del vocabolario specularmente,
in contemporanea al raggiungimento dellacme del processo
esplosivo, in contesti in cui il bambino si trova a dover denominare oggetti del mondo con dei termini che gi fanno parte del
suo lessico, ha luogo un cambiamento nelle abilit del bambino
nel recuperare i nomi dalla memoria. In altri termini, avviene un
incremento temporaneo degli errori di denominazione nel momento in cui il vocabolario produttivo viene, nella fase esplosiva,
inondato da nuove numerose componenti lessicali. Man mano
che il bambino continua ad usare gli elementi lessicali origine
degli errori, la frequenza e la quantit degli stessi comincia a diminuire e le performance corrette cominciano a stabilizzarsi8. Gli
errori di denominazione, dunque, sono da localizzare in una fetta
6. In Rogers et al. (2004) si mette in atto una simulazione che illustra come
un sistema di apprendimento generale in grado di produrre una traiettoria di sviluppo ad U man mano che esso progredisce in un compito di
categorizzazione di un dato numero di oggetti (animali e piante) sulla
base delle loro propriet fisiche specifiche.
7. Quello ascendente con lincremento quantitativo e qualitativo della
performance e quello discendente con il deterioramento quantitativo e
qualitativo della stessa.
8. Secondo versante della ormai famosa traiettoria ad U.

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temporale ristretta, in un punto in cui i bambini trovandosi con


un vocabolario quantitativamente numeroso e in rapida crescita
si trovano per la prima volta a dover nominare oggetti in scansioni temporali tra loro molto vicine e a ritmi pi veloci. Sulla base
di analisi ben precise (Gershkoff-Stowe & Smith, 1997) proprio il
ruolo centrale che gioca il tempo (tentativi di nominare oggetti
sempre pi vicini temporalmente quindi ritmi di performance
pi sostenuti) determina la natura specifica dellerrore che empiricamente appare come lerrata attribuzione di un etichetta
linguistica ad un determinato oggetto (labeling) ma che, in realt, strettamente legato al recupero della parola esatta (retrieval error) per un determinato oggetto in un particolare contesto.
Errore, quindi, non relativo alla conoscenza di una singola parola
ma relativo allaccesso alla parola corretta nel lessico mentale e
che con molta probabilit nasce da interferenze linguistiche provocate da parole recuperate immediatamente prima nel tempo
(repetition effects), o provocate da parole simili, fonologicamente
o semanticamente, a quella da recuperare9.

3. Due originali generatori dipotesi


Esposte alcune delle problematiche fondamentali relative al
processo di apprendimento della lingua, giunto il momento di
mostrare come queste stesse vengono affrontate computazionalmente traendo spunto dalla realizzazione di due modelli di
apprendimento linguistico. Il primo relativo a quella fase transitoria in cui il bambino passa dallutilizzo delle espressioni monoparola allutilizzo delle espressioni bi-parola10. Il secondo, invece,
relativo allacquisizione delle prime parole e al ruolo centrale
che hanno in questo compito la percezione visiva, la percezione
uditiva e le aree cerebrali ad esse dedicate. Dei due modelli si
prenderanno in esame principalmente la natura dellinput linguistico a cui essi sono esposti e la natura delle loro prestazioni in
seguito alle fasi di addestramento, in modo tale da evidenziare
allinterno dei processi di simulazione lemergenza dei fenomeni
fin qui discussi o di fenomeni ad essi connessi.

3.1 Una multirete multimodale


Il modello in questione una multirete neurale multimodale
non supervisionata11 (Nyamapfene & Ahmad, 2007; Nyamapfene 2009 e 2011) - simula quella transizione linguistica, proprio
a ridosso dellesplosione del vocabolario, che vede il bambino
passare dalla fase ad una parola (one-word stage) alla fase successiva a due parole. Esso, inoltre, ha come obiettivo primario
generare comportamenti specifici usando processi simili a quelli che si verificano nel cervello12. Lassunto teorico primario la
multimodalit del processo cognitivo che la rete deve simulare,
dove con il termine multimodalit qui ci si riferisce precisamente a quel processo che consente di stabilire delle connessioni tra
varie modalit e fonti di informazione agevolando la possibilit
di passare da un modalit allaltra (Nyamapfene, 2011: 1614).

Per uno studio dettagliato sulle varie tipologie di interferenze linguistiche cfr. Gershkoff-Stowe & Smith (1997: 52-54)

In questa sede ci si limiter a prendere in considerazione solamente
quella parte del modello dedicata alla simulazione della fase monoparola.

Cfr. Nyamapfene (2007; 2009; 2011).

Si prendono le distanze da quegli approcci secondo cui i processi multimodali sono processati nel cervello da diversi moduli specifici legati tra
di loro. Difatti, uno degli obiettivi primari del modello in questione la
fedelt ai processi cerebrali mantenendosi nella sfera della plausibilit
psicologica e biologica, in riferimento ai pi recenti risultati delle tecniche di neuroimaging dai quali emerge il fatto che gli input di diversa
natura convergono nello stesso gruppo di rappresentazioni che, quindi,
vengono ad essere rappresentazioni amodali (modal-nonspecific). E ci
equivale a dire che si tenta di simulare un sistema di rappresentazione
concettuale che in partenza sembra abbastanza indifferenziato. (Nyamapfene, 2011:1615)

35

questo, difatti, un tratto primario dei processi cognitivi che per


natura sono multimodali e ci evidenziato dallabilit che ha il
cervello di integrare informazioni provenienti da input di diversa
natura. Secondo tale assunto, e secondo quanto si sostenuto
nelle sezioni precedenti, lacquisizione del linguaggio bisogna
vederla, precisamente, come un processo multimodale in cui i
vari elementi sono intrinsecamente connessi.
In riferimento a ci la rete codifica le prime espressioni del
bambino come unit multimodali complesse a tre dimensioni
rappresentanti lentit percettiva di riferimento, lintenzione comunicativa, lespressione fonologica.

3.1.1 L input complesso della rete e la sua traiettoria dapprendimento


A livello di architettura il modello in esame una multi-rete
costituita da tre reti neurali in connessione reciproca di cui la prima simula il comportamento linguistico nella fase ad una parola,
la seconda simula il comportamento linguistico nella fase a due
parole e la terza mette in connessione reciproca le due precedenti13.
Nella simulazione della fase ad una parola la rete dedicata a
tale compito viene addestrata, come anticipato, su un gruppo
di dati trimodale comprendente ciascuno (1) lentit percettiva
a cui unespressione a parola singola si riferisce, (2) la relazione
concettuale che si inferisce dal contesto comunicativo da cui lespressione stata estratta, (3) lespressione vera e propria.
(1) Per quanto riguarda le entit viene usato uno schema di
codifica costituito da otto categorie base: (i) persona, (ii) animale,
(iii) veicolo, (iv) arredamento, (v) indumento, (vi) cibo, (vii) parte
del corpo, (viii) luogo. Ogni categoria possiede delle caratteristiche che distinguono le entit che ne fanno parte. Alcune di queste caratteristiche sono specifiche di una sola categoria, mentre
altre si spalmano su diverse categorie. Nel caso della categoria
animale, ad esempio, viene codificato se lentit in questione
munita di corna o no, se possiede una pelliccia folta oppure no,
ecc. La rete, durante la fase di addestramento, impara a discriminare la presenza-assenza di caratteristiche in generale, la presenza-assenza di una caratteristica specifica, la presenza-assenza di
caratteristiche non specifiche (Nyamapfene, 2011: 1625).
(2) Relativamente alle relazione concettuali si segue lassunto
secondo cui in questa fase linguistica il bambino impara a rappresentare le regolarit nel suo ambiente in termini di relazioni tra persone, oggetti ed eventi del mondo14 (Bloom, 1973). Ci
equivale, secondo questa prospettiva, al tentativo del bambino
di esprimere una propria intenzione comunicativa, dei tratti descrittivi di un evento, dei tratti peculiari di uno stato fisico, per
mezzo di una parola che, quindi, rappresenta la realizzazione
linguistica di una relazione concettuale determinata. La rete durante la fase di addestramento impara a discriminare la presenzaassenza di una specifica intenzione comunicativa15, la presenzaassenza di tratti descrittivi di un evento16, la presenza-assenza di
tratti peculiari di uno stato fisico (Nyamapfene, 2011: 1628).
(3) Infine, in relazione allespressione reale, alla parola vera e
propria, lo schema di codifica dellinput della rete rappresenta
ogni parola tenendo conto di tre peculiarit fondamentali. La prima riguarda le consonanti le quali vengono distinte in base alla
modalit di articolazione (le caratteristiche fonetiche composte
dai tratti acustici che costituiscono il suono)17 e in base alle propriet articolatorie (caratteristiche relative al modo in cui il tratto
13. Per unanalisi dettagliata delle diverse tipologie di reti utilizzate cfr.
Nyamapfene, 2011.

. Su un oggetto si esercita unazione, pu esistere, cessare di esistere o
ricorrere in diversi eventi, apparire e sparire.
15. Commentare, nominare, esprimere una posizione nello spazio, esprimere un possesso, formulare una richiesta, esprimere un rifiuto.
16. Ricorrenza, esistenza, non-esistenza, sparizione, cessazione di un
evento.

. Nasal, stop, fricative, approximant and lateral (Nyamapfene, 2011:
1629).

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vocale, la bocca, la lingua e gli organi associati creano il suono)18.


La seconda riguarda le vocali le quali sono distinte in base allaltezza19 e alla posizione della lingua20(Ladefoged, 1982). La terza,
infine, relativa allo status del fonema che rende chiaro se un
determinato fonema una vocale, una consonante sorda o una
consonante sonora (Li & MacWhinney, 2002).
Ricevuto un tale input la rete dedicata alla simulazione della
fase mono-parola, a seguito di un ben preciso addestramento,
mostra un comportamento che sembra simulare fedelmente lo
sviluppo del vocabolario produttivo nel bambino, andando incontro, per qualsiasi valore del ritmo di apprendimento, ad un
periodo iniziale ad alta percentuale di errore che va scemando
man mano che laddestramento prosegue. Essa segue, coerentemente con quanto precedentemente esposto, una traiettoria evolutiva ad U e mostra una simulazione psicologicamente
plausibile (a) dellabilit di padroneggiare luso delle espressioni
mono-parola e (b) una simulazione psicologicamente plausibile
del deterioramento della capacit di recupero della parola corretta, entrambi fenomeni che si potrebbero indicare come limite
interno e limite esterno dellesplosione del lessico.

3.2 Una multirete che vede e sente


Il secondo modello che verr preso in esame una rete che
simula i processi corticali di auto-organizzazione che si dispiegano lungo la fase dellapprendimento delle prime parole (Plebe
et al., 2010). La peculiarit primaria del modello in questione la
si deve rintracciare nel tentativo di simulare il pi fedelmente
possibile il contributo che alcune aree della corteccia forniscono
nellemergenza delle prime parole. Tale modello, quindi, evidenzia la centralit dei meccanismi interni del cervello sottolineando
la plasticit cerebrale come una delle propriet fondamentali dei
processi cognitivi in generale e dellapprendimento del linguaggio in particolare. La realizzazione della rete nasce dalla connessione di due differenti approcci di cui uno adatto a simulare le
mappe fisicamente esistenti nella corteccia e laltro adatto ad
astrarre funzioni di livello superiore che non sono processate in
aree definite del cervello ma che sono distribuite con molta probabilit in diverse zone (Plebe et al., 2010: 219).
Larchitettura del modello consta di una collezione di reti21
organizzate in modo da costituire una versione semplificata dei
percorsi visivi e uditivi della corteccia cerebrale. I percorsi principali sono due: uno relativo al processo visivo (LGN)22, laltro relativo al percorso uditivo (MGN)23. Per quanto riguarda il percorso
visivo i processi ad esso relativi confluiscono in una mappa corticale che simula larea che per prima, nelluomo, viene coinvolta
nel riconoscimento degli oggetti (LOC)24. In riferimento, invece,
al percorso uditivo i processi ad esso relativi confluiscono in una
mappa (STS)25 che simula i processi della principale area cerebrale sensibile ai suoni vocali. Le due mappe gerarchicamente superiori (LOC, STS) sono quelle che nel modello forniscono rispettivamente la rappresentazione delle caratteristiche visive di un
oggetto e la rappresentazione delle caratteristiche della parola.
Queste due rappresentazioni, in pi, sono connesse in una map
. Bilabial, labio-dental, dental, alveolar, palatoalveolar, palatal, velar
and glottal (Nyamapfene, 2011: 1629).

. High, mid-high, mid, mid-low and low (Nyamapfene, 2011: 1629).

. Front, central and back (Nyamapfene, 2011: 1629).

. LISSOM (Laterally Interconnected Synergetically Self-Organizing Map)
ad eccezione della mappa che simula i processi di astrazione che una
SOM (Self-Organizing Map).

. Nucleo genicolato laterale (LGN).

. Nucleo genicolato mediale (MGN)

. Complesso occipitale laterale (LOC). I processi che confluiscono nel
LOC viaggiano lungo due flussi: la componente acromatica processata
dallarea visiva primaria (V1) e dallarea visiva secondaria (V2) e le due
componenti spettrali processati dallarea occipitale ventrale (VO) (cfr.
Plebe et al., 2010: 220).

. Solco temporale superiore (STS).

36

pa astratta (ACM)26 che lunica componente non riconducibile


ad una precisa area del cervello essendo unastrazione di processi che interessano diverse aree cerebrali (Plebe et al., 2010: 221).

3.2.1 Linput bimodale nelladdestramento del modello


Nelladdestramento della multirete viene seguita una procedura che riproduce, in versione semplificata, le varie tappe
dellontogenesi del linguaggio che conducono allapprendimento delle prime parole: (1) prenatale, (2) prelinguistica e (2) linguistica vera e propria.
(1) Durante la fase pre-natale gli stimoli/input presentati alle
mappe che costituiscono il percorso visivo (V0,V1,V2) sono macchie casuali che riproducono onde di attivit spontanea e che
giocano un ruolo essenziale nello sviluppo precoce del sistema
visivo. Sul versante del percorso uditivo linput consta di catene
di onde sonore (Plebe et al., 2010: 222).
(2) Per quanto riguarda la fase pre-linguistica gli input relativi al percorso visivo, diretti alla mappa che simula il LOC, sono
costituiti da immagini di oggetti ritratti da otto prospettive differenti27 con lo scopo di modellare il pi realisticamente possibile le diverse facolt coinvolte nel processo di riconoscimento.
Omologamente la mappa che simula MGN e tutte le altre mappe
del percorso uditivo ricevono come input parole di lunghezza
compresa tra i tre e i dieci caratteri convertite in onde sonore.
In questa fase, al termine delladdestramento, accade che ogni
mappa evolve nelle proprie specifiche funzioni28 tra le quali una
delle pi importanti linvarianza visiva. Una propriet mostrata
dalla mappa che simula il LOC, riscontrata anche nel LOC umano,
e che consiste nella capacit che ha un neurone di rispondere a
delle caratteristiche specifiche di un oggetto nonostante i mutamenti dello stesso dovuti ai differenti punti di vista.
(3) La fase linguistica, infine, coinvolge direttamente la mappa
delle astrazioni ad alto livello (ACM) e comprende la simulazione
del processo di denominazione ostensiva intenzionale di un oggetto e la simulazione del associazione casuale di schemi sonori
a scene naturali. Linput formato (a) da 100 oggetti raggruppati
in 38 categorie e dai rispettivi nomi convertiti in onde sonore e
(b) da scene visive29 e suoni30 non connessi tra loro.
Nelle prime fasi daddestramento il modello viene esposto
molto pi spesso a coincidenze casuali tra suoni e scene e meno
alla denominazione intenzionale degli oggetti. Man mano che ci
si avvicina alle fasi finali, invece, la pratica si inverte privilegiando
un input linguistico in cui il rapporto oggetto-etichetta linguistica non casuale.
Alla fine del processo di addestramento31, la multi-rete mostra
una buona capacit di operare delle generalizzazioni, di estendere un nome a un nuovo oggetto, gi sulla base di brevi esposizioni ad un solo esemplare di una nuova categoria, evento questo
che si configura come una buona simulazione del fenomeno del
fast mapping32 riscontrabile nel processo reale di ontogenesi e
tutto interno al fenomeno dellesplosione del lessico.

4. Le prossime sfide computazionali


Nonostante la soluzione della multirete consenta di formulare
nuove ipotesi e di suggerire nuove soluzioni relative a problemi
centrali come quelli messi in campo nelle sezioni precedenti, la
strada che si pone davanti ai modelli connessionisti in salita e

. Mappa categoriale astratta (ACM).

. Estratti dal database COIL-100 (Murase & Nayar, 1995).
28. Per un resoconto dettagliato dellevoluzione delle funzioni delle diverse aree cerebrali del percorso visivo e uditivo cfr. Plebe et al. (2010: 222).

. Immagini di paesaggi e fiori.

. Suoni naturali.
31. Cfr. Plebe et al. (2010:222-224).
32. It has been shown that children [] can correctly and consistently map a novel word to a novel object in the presence of other familiar
object. (Alishahi, 2011:26).

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piena di difficolt. Pur essendo i modelli connessionisti, in definitiva, modelli dellapprendimento, bisogna considerare il fatto
che essi sono comunque delle semplificazioni relative a fenomeni molto complessi. Difatti, al di l della semplificazione offerta
da un modello, lo sviluppo cognitivo e linguistico di ogni bambino si presenta come un processo che si dispiega su diversi livelli
e a diversi gradi di complessit. A livello temporale, ad esempio,
esso sembra un processo di integrazione costante in cui ci sono
componenti che si dispiegano lungo scale temporali differenti.
Ci sono componenti che si dispiegano lungo lasse dellimmediatezza che orientano il processo nellimmediato e che possono
essere identificate con linput percettivo immediato loggetto e
le sue propriet sensibili tra le quali facciamo rientrare anche la
percezione del suo nome. Asse temporale immediato che si dispiega nel dominio della consuetudine, della reiterazione e della
sensibilit al contesto che di per s necessita e, nello stesso tempo, contribuisce a strutturare la storia a lungo termine di chi apprende facendo emergere regolarit di relazione tra le parole, le
propriet degli oggetti e le organizzazioni categoriali che sono
acquisite su una scala temporale molto meno frenetica. Spostandosi su un altro livello, invece, bisogna tenere in considerazione
anche il fatto che i bambini avendo pulsioni, desideri e attenzioni
nel processo di crescita recitano un ruolo di attori e non sono
mere entit passive che assorbono semplicemente stimoli esterni pi o meno complessi.
Bene, i modelli computazionali, quelli connessionisti in particolare, sapranno farsi carico di questi problemi?
Sapranno accettare queste sfide?

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37

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

Aveva ragione Whorf?


La lingua embodied/embedded
Vito Evola - evola@humtec.rwth-aachen.de

Natural Media & Engineering, HumTec, RWTH Aachen University


Bonn-Aachen International Center for Information Technology (B-IT)

Abstract

One of the fundamental premises of contemporary cognitive linguistics and psychology is that human perception and expression
are intimately coupled with human biology, to a much greater degree than linguists and psychologists had previously thought. In this
essay I provide an overview of contemporary literature from cognitive linguistics and psychology that posits language-thought independence. I also highlight the theoretical problems and the further empirical research specific to these issues which make this position
problematic. I then provide evidence for the counter-theory, that thinking in fact involves natural language and that language and
thought influence one another.
This position indexes the supposition that our minds are embodied in a phenomenological body built on our everyday experiences,
and daily external stimuli dynamically form our way of thinking. The mind is the product of the interaction of introspections and daily
interactions; it is influenced, and to a certain extent even conditioned, by language and how it is used. Understanding the dynamic
nature of language and thought will guide us in better understanding figurative language in general and metaphor in particular as well
as how they motivate our way of reasoning about our world.

Keywords

Sapir-Whorf, language-thought, language and culture, embodiment, cognition

1. Introduzione1
Uno degli assunti fondamentali della linguistica e psicologia
cognitive che ogni percezione ed espressione connessa alla
nostra biologia. Dopo una panoramica della letteratura cognitivista orientata per lindipendenza tra linguaggio e pensiero, evidenzier punti problematici di questa posizione avvalendomi di
ricerche empiriche da un lato condotti in ambito neuro-cognitivista e dallaltro di tipo psicolinguistico. Proporr degli spunti a
favore della contro-tesi per cui il pensiero implica la lingua naturale: linguaggio e pensiero, cio, si influenzano lun laltro.
Questa posizione (Evola, 2010a; 2010b; 2008) implica che la
mente umana sia in corpore (embodied) in un corpo fenomenologico e strutturata dalle nostre esperienze, e gli stimoli esterni quotidiani offerti dallambiente in cui si situati (embedded)
formino dinamicamente il modo di pensare degli esseri umani.
La mente costrutto pi filosofico che scientifico il locus di
formazione di concetti quali il S e il Mondo, il Reale e il possibile;
il prodotto dellinterazione delle proprie introspezioni con le interazioni quotidiane; influenzata, e in una certa misura persino
condizionata, dalla lingua parlata e da come usata. Conoscere
la natura dinamica del rapporto tra linguaggio e pensiero permette una migliore comprensione della natura del linguaggio
e di come la lingua motivi il modo in cui si ragiona del proprio
mondo.
Il nesso tra linguaggio e pensiero ha tormentato filosofi, linguisti e psicologi nel corso della storia, non solo dellOccidente
(e.g. Boas, 1911; Whorf, 1956; Vygotsky; 1962; Chomsky, 1968 e
2000; vedi anche Katz, 1998; Lakoff & Johnson, 1999; Cacciari,
1991) ma anche dellOriente (si pensi, ad esempio, ai grammatici
indiani dellantichit, Bhartrhari e Pnini). Sebbene si asserisca
che il linguaggio ha una funzione socio-comunicativa, molti studiosi mostrano forti riserve nei confronti di affermazioni come
quelle in Jackendoff (1992: 7): Meaning, of course, is presumably
the reason for there being such a thing as language at all, since
the language faculty is at bottom a device for externalizing and
communicating meaning. Eppure, per dirla con Katz (1998: 5):
[this] seeming obvious relation [] has not proven so obvious
to others, and one can discern several relations in the literature.

. Questa ricerca stata in parte finanziata dalla Bonn-Aachen International Center for Information Technology e dalla Excellence Initiative
(DFG) dei governi federale e statali tedeschi. Un ringraziamento particolare va a Luisa Brucale, Marco Casonato, Mara Green e Gina Joue per i loro
commenti e preziosi consigli.

38

Nelle pagine seguenti si riassumer (e criticher) la letteratura cui Katz (1998) si riferisce, ricapitolando la sua revisione della
letteratura precedente e integrandola con altri casi studio (cfr.
infra) relativi alle due tendenze costituenti e opposte nelle scienze linguistiche (indipendenza versus dipendenza nel rapporto
linguaggio-pensiero) rifiutando le prove comunemente usate a
favore dellidea secondo cui il pensiero si produce indipendentemente dal linguaggio.

2. Pro e contro di una visione funzionalmente


indipendente del linguaggio e del pensiero
Esistono molte prove e riflessioni teoriche che sostengono
la posizione dellindipendenza funzionale del linguaggio e del
pensiero. Vygotsky (1962) propone che una simile indipendenza
possa essere riscontrata nei bambini pi piccoli, dal momento
che i loro primi tentativi di risolvere problemi (problem-solving)
mostrano un pensiero privo di linguaggio e i loro enunciati olofrastici rappresentano delle manifestazioni di un linguaggio privo di comunicazione ed espressione del pensiero o di processi
ad esso relativi. Chomsky (1965, inter alia) propone una versione
pi forte di questa tesi anche negli adulti, evidenziando, allinterno del sistema lingua, lindipendenza delle funzioni specifiche di
sintassi (sistema produttivo) e semantica (sistema comprensivo)2,
considerando il linguaggio una facolt autonoma distinta dagli
altri processi cognitivi (come il pensiero). Seguendo Chomsky,
Fodor (1983) ipotizza che il linguaggio sia innato e risieda nelle
strutture del cervello umano, composto da un sistema centrale e
da moduli specializzati per varie funzioni (come il linguaggio o il
riconoscimento delle facce, ad esempio)3. Ogni modulo caratterizzato da informational encapsulation che consiste in unattivit quasi istantanea, cio non ostacolata da altri processi cognitivi
2. Pi recentemente Chomsky (1995) ammette anche un terzo e distinto
sottosistema della facolt linguistica, ovvero un sistema inferenziale, che
consentirebbe la rappresentazione solo in forma logica, cio indipendentemente da quanto prodotto fonologicamente. Si veda Carruthers
(1998: 48-49).
3. La medicina del Novecento condivideva una prospettiva del cervello
analoga, secondo la quale le formazioni craniali presumibilmente indicavano la qualit di certe facolt cognitive sottostanti. Secondo questa
prospettiva, il modulo del linguaggio, ad esempio, risiedeva sotto
locchio sinistro. Questa pseudo-scienza, sviluppata da Franz Joseph Gall,
prese il nome di frenologia, e ha influenzato, pi che verosimilmente, le
neuroscienze moderne sotto questo aspetto.

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elaborati negli altri moduli individuali, quasi fosse un riflesso. Il


modulo del linguaggio elabora linformazione e i risultati sono in
seguito analizzati dal sistema centrale; gli aspetti semantici del
linguaggio elaborati nel modulo linguistico, quindi, secondo alcune teorie modulariste, non sono influenzati n da conoscenze
empiriche, euristiche ed enciclopediche (viz. esperienze passate), n dalla contestualizzazione dellinformazione, provenienti
dagli altri moduli.
Pinker (1994) sviluppa la tesi della modularit e della scissione netta tra linguaggio e pensiero usando esempi provenienti
da casi clinici relativi alle sindromi di Down e di Williams. Nella
sindrome di Down lesecuzione linguistica in ritardo rispetto
al resto dello sviluppo cognitivo. Se il linguaggio dipendesse
dallinsieme dei processi cognitivi, secondo lautore, si dovrebbe
prevedere uno sviluppo parallelo per cui il soggetto Down dovrebbe utilizzare un linguaggio appropriato alla sua et mentale
(affidando la valutazione di tale appropriatezza a test cognitivi
non-linguistici); ma ci non si verifica. Pertanto, si potrebbe sostenere che le capacit cognitive non siano subordinate alle capacit linguistiche. La dissociazione inversa stata descritta nei
soggetti affetti dalla sindrome Williams; questi manifestano delle
buone competenze linguistiche (come luso della diatesi passiva
e del periodo ipotetico), ma esibiscono grosse lacune in campi
ragionativi, relazionali, e in altre funzioni cognitive pi complesse. Ad esempio, questi soggetti non superano regolarmente dei
compiti piagetiani tradizionalmente tesi ad indicare ragionamenti di tipo transitivo e categoriale.
Unaltra contestazione contro la teoria che postula lassociazione di linguaggio e pensiero nasce dallipotesi che il linguaggio sia innato, cio che ci siano delle funzioni linguistiche specifiche biologicamente hard-wired nel cervello umano insieme
a un sistema di regole atte a strutturare la lingua (la cosiddetta
grammatica universale). Unampia letteratura psicologica e
psicolinguistica ha teso a dimostrare che esistono delle zone
del cervello specificamente dedicate al linguaggio: esperimenti
condotti su soggetti destrimani cerebrolesi e sani, ad esempio,
hanno mostrato che entrambi presentano asimmetrie nel funzionamento cerebrale motivate, in questi soggetti, dal controllo
da parte dellemisfero sinistro di buona parte delle attivit linguistiche. (Hellige, 1990). Lo stesso fenomeno presente anche
nei segnanti, cio coloro che comunicano con il linguaggio dei
segni (Poizner, Klima & Bellugi, 1987), implicando lesistenza di
unarea cerebrale specializzata per il linguaggio in s e non solo
per quello parlato.
In particolar modo due aree dellemisfero sinistro sono state
chiamate in causa: larea di Broca e larea di Wernicke; lesioni a
questultima producono unafasia in cui i soggetti producono
fluidamente enunciati ma palesano problemi legati alla semantica, come lutilizzo di pronomi privi di riferenti evidenti. Al contrario, i soggetti affetti da cosiddetta afasia di Broca producono
enunciati semanticamente appropriati al contesto, ma mostrano
difficolt a produrre espressioni sintatticamente corrette. Queste
due forme di afasia sembrano offrire prove a favore dellipotesi della modularit e, quindi, dellindipendenza tra linguaggio e
pensiero.
Per quanto riguarda lasimmetria cerebrale degli emisferi, sono stati condotti studi che hanno fornito prove crescenti
dellimportanza dellemisfero destro nel processo lingui-stico. Ad
esempio, sono stati condotti studi relativi al priming semantico
sullemisfero destro (Chiarello, Burgess, Richards, & Pollock, 1990)
che hanno mostrato come le lesioni a suo carico comportino difficolt nella comprensione del linguaggio figurativo (Burgess &
Chiarello, 1996). Ci potrebbe implicare un forte impegno dellemisfero sinistro nellelaborazione fonologica e sintattica, ma non
necessariamente in quella pragmatica, per cui questautonomia
del linguaggio da altri aspetti cognitivi sembra ancora meno probabile (Gardner, 1983). Gli studi di Kimura (1993), inoltre, hanno
messo in evidenza la specializzazione dellemisfero sinistro nella
motricit dei muscoli della bocca e della mano, e hanno ricondotto lafasia ad alcune difficolt motorie di esecuzione.

39

Controversa
pu essere considerata anche la descrizione della dissociazione tra linguaggio e pensiero nelle sindromi di Down
e di Williams, soprattutto perch tra le due la sindrome di Williams relativamente poco documentata. Maratsos e Matheny
(in Katz, 1998: 8) sottolineano alcuni dei problemi succitati legati
a questa tesi, citando luso difettoso di compiti piagetiani per
misurare le capacit cognitive, i cui risultati negativi potrebbero implicare la presenza di problemi legati allattenzione e alla
memoria e non essere necessariamente connessi con lincapacit
relativa ad alcuni compiti cognitivi. Inoltre, la presenza di competenze grammaticali, tra cui luso del passivo e del condizionale,
non considerata dirimente dal momento che tali competenze
si riscontrano anche in bambini neurologicamente tipici.
I soggetti affetti da afasia di Wernicke mostrano una minore asemanticit (Heeschen, 1985) ma manifestano problemi di
ordine sintattico pi radicati di quanto si ipotizzasse negli studi
precedenti (cfr. Kolk, Van Grunsven, & Geyser, 1985). Daltro canto, a proposito dellafasia di Broca, essa potrebbe essere meglio
caratterizzata come un disturbo dellesecuzione piuttosto che
della competenza linguistica (Linbarger, Schwartz, & Saffran,
1983). Inoltre, gli studi di Kimura (1993) indicano che pazienti
con lesioni allarea di Broca o a quella di Wernicke si comportano
in modo analogo nei compiti di produzione o di comprensione,
ma in modo nettamente divergente per quanto attiene ai movimenti orali o motori. Sembra che non basti una lesione allarea
di Broca per soffrire di afasia (Mohr, 1976) e, al contrario, sono
documentati dei casi di afasia di Broca senza il coinvolgimento
dellarea di Broca (Dronkers et al., 1992). Discrepanze simili esistono anche per gli afasici di Wernicke (Dronkers, Redfern, &
Ludy, 1995). Verosimilmente i processi linguistici sono prodotti
da reti di zone individuali che danno un contributo specifico e
interattivo; tali reti sono diverse per uomini e donne, per monolingui e bilingui, per mancini e destrimani (Dronkers et al., 1992).
La teoria della modularit stata modificata negli ultimi anni
da scoperte rese possibili da nuove tecniche non-invasive e da
metodi di indagine elaborati negli studi psico- e neuro-linguistici
(ad esempio, eye-tracking, modellazione computazionale, fMRI,
MEG, TMS, gli ERP, etc.). Tali studi tendono a spostare lattenzione su alcune zone di convergenza connesse con lattivazione
di funzioni caratterizzanti, ma nelle quali tali funzioni non sono
propriamente eseguite (Casonato, 2003: 7; si veda in particolare
Damasio, 1994). Lipotesi di una doppia dissociazione, cio di una
visione funzionalmente indipendente del linguaggio e del pensiero, ha bisogno di ulteriori prove prima di potere essere accettata; al contrario, lipotesi secondo cui il pensiero sia dipendente
dal linguaggio appare pi convincente.

3. Casi studio a sostegno del rapporto linguaggiopensiero: il Neowhorfianismo


Una seconda prospettiva sul rapporto linguaggio-pensiero
quella per cui il pensiero condizionato dal linguaggio, almeno
ad alcuni livelli. Unimplicazione fondamentale di questa tesi
quella secondo cui le diverse comunit linguistiche pensano in
modo diverso perch parlano lingue diverse. Sebbene vada oltre
gli obiettivi di questo articolo una documentazione diacronica
delle varie versioni della cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf, sufficiente dire che la sua sostanza non nuova, ma gi presente in
Aristotele (Retorica, III), Vico (Scienza nuova), Humboldt (ber das
vergleichende Sprachstudium), e negli studi antropologici di Franz
Boas (1911). Lipotesi (meglio definita come assioma) che oggi
prende il nome dai suoi due fautori, Edward Sapir e Benjamin
Lee Whorf, stata scartata da molti studiosi perch poco convincente; negli ultimi anni si assistito ad una sua ripresa operata
soprattutto da unarea della linguistica cognitiva che ne ha licenziato una versione debole.
Lipotesi Sapir-Whorf ha due varianti principali: a) il determinismo linguistico, ovvero la convinzione per cui la struttura
di una lingua determini il modo in cui il parlante percepisce e

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ragiona sui fatti e sul mondo, e b) la relativit linguistica, per la


quale membri di comunit linguistiche diverse hanno visioni
diverse della realt, influenzate dalla propria lingua nativa. Lesempio classico proviene dalla lingua degli Inuit i quali hanno
un maggior numero di nomi per descrivere il fenomeno conosciuto genericamente in italiano come neve, come aput nevesul-terreno, qana neve-che-cade, piqsirpoq neve-a-vento, and
qimuqsuq valanga-di-neve (Boas, 1911). Secondo linterpretazione di Whorf (in Lucy, 1992: 148-149), ci manifesta linguisticamente che per eschimesi il lessico riferito al concetto neve indica
una raffigurazione senza attributi, mentre per un parlante inglese
dovrebbe avvenire una classificazione, cio il parlante inglese o
italiano, al contrario dellinuit, percepirebbe questi riferenti come
variet di neve. To an Eskimo, this all-inclusive word [snow]
would be almost unthinkable; he would say that falling snow,
slushy snow, and so on, are sensuously and operationally different, different things to contend with; he uses different words for
them and for other kinds of snow (Whorf, 1956: 216). Secondo
la versione deterministica dellipotesi Sapir-Whorf, un inuit percepisce un fenomeno fisico quale la neve in modo diverso, ad
esempio, di un tunisino.
In un mondo di viti spaccate, si potrebbe dire, un cacciavite a
croce inutile. Perch una comunit linguistica che non ha alcuna interazione con un mondo (reale o immaginario) dove esiste
la neve dovrebbe avere bisogno di distinzioni cosi dettagliate? In
una prospettiva funzionalista (o usage-based) come quella che si
propone qui, si sostiene che avere tante espressioni per un concetto come neve sia utile per alcuni e inutile per altri. Linterazione
tra gli oggetti, lesperienza percettiva, la dimensione sociale del
linguaggio formano s la percezione della realt del parlante, ma
non la forgiano di certo indefinitamente.

4. Il linguaggio come strumento semiotico-cognitivo


Vorrei proporre piuttosto una variante della metafora: viviamo
in un mondo di viti a croce con un cacciavite spaccato. Lo strumento che abbiamo (la lingua come parole e non come langue)
non quello adatto specificamente per quel tipo di lavoro (la
rappresentazione), e potrebbe non esserci sempre un fit perfetto, ma con un po di impegno il lavoro pu essere portato a termine. Un vento molto comune nelle estati siciliane lo scirocco, un
vento caldo che si origina secco dal Sahara e che diventa umido
passando sopra il Mediterraneo. Il vento presente nella lingua
quotidiana, e quando si dice c scirocco, non si vuole solo indicare la presenza del vento, ma anche di uno stato di sconforto,
inerzia e offuscamento causato dal calore e dallafa. Eppure chi
non ha mai esperito il vento di scirocco pu, tuttavia, averne unidea attraverso la lingua e attraverso il ricordo di altre esperienze
(la percezione dellaria calda sulla pelle, la necessit costante di
procurarsi aria fresca, lesperienza del caldo-umido, la sensazione di apatia e di disorientamento) anche se non possiedono il
lessema adatto nel loro repertorio linguistico o la sua conoscenza empirica nel loro repertorio esperienziale. Un turista in Sicilia
probabilmente lo percepirebbe come un semplice vento caldo,
mentre il siciliano lha categorizzato perch saliente nella sua
vita quotidiana. Le nuance di una lingua non sono sempre percepibili da parte di chi non usa quella lingua, e per questo motivo
difficile trasferirle in un altro codice, ma non impossibile. come
usare uno strumento non specifico per svolgere un determinato
lavoro: ci vorr pi sforzo, pi creativit per compiere quel lavoro.
La lingua, come altri processi cognitivi, tende verso uno stato
economico ed ecologico cos da operare quasi istantaneamente
e inconsciamente, e ci che si richiede nei casi dove bisogna essere creativi un investimento cosciente e volizionale da parte
di chi usa la lingua. In questo senso la lingua user-friendly:
stata progettata da e per gli esseri umani (Deacon, 1997). Cos
come cambia luso della lingua, cambia anche la lingua per avvicinarsi alluso, e il locus di questi cambiamenti nelle comunit (e sub-comunit) linguistiche. Sarebbe troppo riduttivo dire

40

che, poich in alcune lingue non ci sono le parole adatte per


esprimere le diverse sottigliezze di una nozione, questa non , o
potrebbe non essere, presente: una versione cos forte di questipotesi tradirebbe le capacit poetiche e la creativit lessicale degli esseri umani.4 Lesistenza di un concetto non dipende dalla
pre-esistenza della parola che lo designi: la rappresentazione
che precede logicamente e governa la comunicazione e, come
ci si augura di dimostrare in questo lavoro, gli individui tendono
a percepire diversamente la realt non a causa della lingua che
usano, ma a causa delle proprie esperienze culturali situate (embedded) allinterno di interazioni sociali e linguistiche.

5. Relativit Linguistica
Una versione pi moderata dellipotesi whorfiana come la
relativit linguistica pi convincente e ha pi prove empiriche a supporto. Questa versione pi debole (conosciuta come
Neowhorfianismo) ritiene che il linguaggio non determini il
pensiero, ma possa facilitarlo o inibirlo. Il genere grammaticale, il
lessico, e altri elementi linguistici hanno la capacit di alterare il
modo in cui si pensa.

5.1. Spazio
La propria lingua impone dei frame che condizionano in un
modo o in un altro il proprio modo di pensare (Evola, 2010a), ad
esempio, a proposito dello spazio. In alcune lingue come litaliano
o linglese, ma non in altre come il coreano, esiste una distinzione
codificata tra contenimento e supporto, cio tra ci che posto
dentro un contenitore (la mela nella ciotola, la lettera nella busta) e ci che posto sopra una superficie (la mela sul tavolo,
il quadro sul muro). In coreano invece esiste una distinzione linguistica relativa al grado di contatto/adesione pi o meno stretti
tra due oggetti. In coreano, dunque, come termine di rapporto
per esprimere che una mela dentro una ciotola si usa nehta,
ma volendo parlare di una lettera dentro una busta dovremo usare kitta in quanto questultima espressione veicola un rapporto
di contatto pi stretto. Lo stesso kitta verrebbe usato anche per
dire che il quadro sul muro perch c lo stesso rapporto di contenimento/adesione. McDonough et al. (2000; si veda Boroditsky,
2001) hanno studiato come questi due modi per rappresentare
i rapporti spaziali si manifestino anche nel modo di pensare di
parlanti nativi coreani o inglesi a cui sia stato assegnato il compito di identificare scene di contenimento o di supporto. I parlanti
coreani hanno mostrato tempi di reazione pi rapidi rispetto a
quelli degli inglesi quando veniva loro chiesto di scegliere limmagine che rispetto alle altre fosse dissimile relativamente al
parametro di contatto/adesione (ad esempio limmagine di un
oggetto con un alto livello di inclusione/adesione collocato tra
vari oggetti con un livello pi basso rispetto allo stesso parametro ). Ancora pi rimarchevole sono i risultati degli esperimenti
condotti su bambini in et prelinguistica provenienti da famiglie
di parlanti coreani e inglesi, i quali, in test di preferential looking
(fissazione preferenziale), erano ugualmente capaci di distinguere oggetti delluno e dellaltro tipo. I bambini in et prelinguistica
sembrano, quindi, non avere costrizioni per quanto riguarda le
rappresentazioni spaziali, pertanto possibile concludere sostenendo che le distinzioni spaziali si apprendono con la lingua e
sono rafforzate da essa (Choi & Bowerman, 1991; Choi & Gopnik,
1995; Boroditsky, 2001).
Prove di restrizioni sulla rappresentazione spaziale sono presenti anche nelle ricerche di Stephen Levinson (1996) che ha
studiato il sistema di riferimento assoluto in tzeltal, una lingua
parlata nella regione messicana del Chiapas da un popolo autoctono discendente dai Maya. A differenza dellitaliano e dellinglese, lingue in cui la posizione di un oggetto pu essere codificata
4. Per un resoconto su come alcuni individui religiosi descrivono le loro
esperienze mistiche e su come questi fenomeni si manifestino linguisticamente, si veda Evola (2010b).

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come a destra di o davanti a unaltra cosa, in tzeltal questi concetti non sono lessicalizzati e si usano invece termini propri di
un sistema di referenza assoluta (analogo al sistema di direzioni
cardinali nord/sud). Un parlante tzeltal direbbe che qualcosa si
trova in salita o in discesa rispetto a unaltra cosa, ponendo la
collina della comunit come punto di riferimento assoluto. Ci
vale per qualsiasi tipo di oggetto, anche piccolo, e anche in una
stanza chiusa o su un terreno piano. Secondo Levinson, i parlanti tzeltal sono fortemente influenzati dalla loro lingua anche in
compiti non prettamente linguistici come la creazione di mappe
mentali (si veda anche Levinson, 2003).

5.4. Attributi

5.2.Oggetti
John Lucy, antropologo dellUniversit di Chicago, ha notato
invece che i Maya dello Yucatec tendono a parlare delle cose nei
termini della materia di cui sono costituite, quindi una candela
cera lunga e sottile. In uno studio (Lucy & Gaskins, 2001) veniva chiesto a parlanti Yucatec-Maya di associare oggetti ritenuti
simili; quando veniva mostrato loro, ad esempio, un pettine di
plastica con il manico, veniva facilmente associato ad esso un
pettine di plastica senza manico, mentre i parlanti inglesi preferivano fare unassociazione per forma, abbinando un pettine
di legno con il manico. Per i Maya dello Yucatec, la somiglianza
si trova nella materia e non nella forma, proprio perch, come
lesperimento vuole suggerire, nella loro lingua, diversamente da
quanto accada in italiano o in inglese, predomina un sistema di
categorizzazione per materia e non per forma.

5.3. Tempo
Le ricerche di Lera Boroditsky al MIT hanno fornito prove
delle costrizioni che il linguaggio impone al pensiero. Concetti
astratti come quello di tempo sono fortemente influenzati dalla
rappresentazione dello spazio per mezzo di metafore (cfr. Lakoff,
1993; Haspelmath, 1997; Casonato, 2004; Evola, 2008; inter alia).
In uno studio (Boroditsky & Ramscar, 2002) si chiede ai soggetti
dellesperimento di immaginare una situazione in cui un incontro previsto per un giorno preciso della settimana, il mercoled,
sia stato spostato in avanti di due giorni. Viene poi chiesto ai soggetti di rispondere ad una domanda: Che giorno lincontro, ora
che stato riprogrammato? I soggetti, reclutati ad una stazione
dei treni, sono stati divisi in due categorie: chi viaggiava come
passeggero e chi aspettava un passeggero. I risultati hanno mostrato che coloro che hanno concepito il tempo come in movimento verso di loro (cio, chi aspettava) hanno percepito che in
avanti fosse pi vicino, rispondendo quindi al quesito con luned. Invece coloro che hanno percepito il proprio muoversi nel
tempo (i viaggiatori) tendevano a sentire in avanti5 pi lontano,
rispondendo quindi venerd. Questa unulteriore indicazione
di quanto contesto, linguaggio e cognizione siano intimamente
interconnessi. Il contesto dei parlanti o meglio, la loro interazione fenomenologica con il loro mondo condiziona il loro modo
di incarnare (embody) i loro percetti (in questo caso il Tempo percepito nei termini dello Spazio), e quindi la percezione della loro
stessa realt.
In un altro studio Boroditsky (2001) analizza la categoria del
tempo in inglese e in mandarino. Litaliano esibisce un comportamento analogo a quello inglese in quanto il tempo considerato
come qualcosa di lineare nello spazio, quindi il futuro davanti e
il passato dietro di noi.6 In mandarino, vengono usati sistema5. Next Wednesdays meeting has been moved forward 2 days. What day
is the meeting, now that it has been rescheduled? In inglese, move forward ambiguo, lecitando delle risposte in inglese forse improponibili
in italiano.

. Fino a poco tempo fa, si riteneva che in tutte le culture esistesse solamente un modello del Tempo, in cui il passato era concettualizzato come
dietro al concettualizzatore e il futuro davanti a lui. Ricerche sul campo
recenti sugli Aymara, un popolo indigeno delle Ande, condotti da Rafael
Nez (Nez & Sweetser, 2006) hanno mostrato che per i parlanti ay-

41

ticamente anche dei termini che indicano la verticalit spaziale,


quindi qualcosa che temporalmente successivo indicato con
xi (gi), antecedente con shng (su). Ad esempio i parlanti
mandarini dello studio erano pi propensi a ragionare a proposito del tempo in termini di verticalit quando si chiedeva loro
se marzo viene prima di aprile mentre i parlanti inglesi ragionano in termini di orizzontalit. A seconda della metafora spaziotemporale usata durante la concettualizzazione, lidea del tempo
rappresentata spazialmente secondo il modello linguistico del
parlante nativo.

Uno degli studi pi interessanti in cui si cerca di provare un


certo determinismo linguistico stato condotto ancora da Boroditsky et al. (2003). I soggetti dello studio sono, in questo caso,
dei bilingui tedeschi-inglesi e spagnoli-inglesi ai quali sono state
mostrate delle immagini di oggetti seguite dalla richiesta di attribuire degli aggettivi in inglese a ci che vedevano. Nellesempio
dellimmagine di una chiave, che ha come genere grammaticale
il maschile in tedesco (der Schlssel) e il femminile in spagnolo
(la llave), gli attributi erano prettamente relativi al genere della
lingua madre. Per il madrelingua tedesca, la chiave era dura,
pesante, metallica mentre per lo spagnolo era piccolissima,
adorabile, e dorata, rispettivamente attributi maschili e femminili. Oggetti inanimati che hanno il genere grammaticale
sono percepiti come aventi attributi coerenti con quel genere.
Jakobson (1966) riferisce qualcosa di concettualmente simile a
proposito dei parlanti russi cui viene chiesto di personificare i
giorni della settimana; tale personificazione avviene coerentemente col genere grammaticale: i giorni codificati con genere
grammaticale maschile (luned, marted, gioved) sono personificati come maschi, gli altri (mercoled, venerd, sabato) come
femmine.

6. Conclusione: Interazione con il mondo e la lingua


embedded
La lingua che si usa condiziona il modo di percepire, ma anche di interagire, con il proprio mondo. Luso della forma di cortesia come allocutivo di seconda persona singolare in molte lingue
(come litaliano o il francese) difficile da acquisire per un parlante nativo inglese il cui sistema linguistico non richiede questa
distinzione sociale categoriale, e viceversa, uno studente italiano che visiti ununiversit americana potrebbe sentirsi a disagio
a parlare in una lingua straniera e non avere gli strumenti per
mostrare questo tipo di formalit. Questo fenomeno comune potrebbe essere letto appunto nella chiave di lettura di questo saggio: la lingua saliente di un parlante bilingue influisce su come
questi percepisce la realt immediata e interagisce con essa.
Se il linguaggio di per s fornisce la motivazione al pensiero
del mondo e di s stessi, in un modo pi o meno condizionato,
in questo contesto necessario rivalutare il ruolo del linguaggio figurativo, e in particolare della metafora. Un aneddoto ben
conosciuto nel campo dellantropologia (Katz, 1998: 33-34) pu
servire da esempio di come una metafora possa condizionare il
nostro modo di pensare. Tra i primi europei che sono stati in contatto con gli Inuit cerano dei missionari che hanno voluto tradurmara il paradigma invertito e manifestato anche nella loro gestualit
coverbale con la quale codificano il passato come davanti a loro e il futuro dietro. Secondo (Sweetser, 1991) questa rappresentazione si fonda
sulla metafora conoscere vedere e pertanto ci che stato visto (il passato)
sta davanti agli occhi, al contrario del futuro che ancora da esperire.
Queste nozioni sono talmente radicate che anche nella gestualit, parlando di un evento passato, i parlanti tendono a portare avanti la mano,
e al contrario il futuro pu essere espresso facendo un gesto con la mano
che tende verso la parte posteriore del corpo. importante rilevare che,
anche in questo caso, il tempo organizzato in termini spaziali, il che
sembra essere un universale, e il modello linguistico usato condiziona la
cognizione (Casonato, 2004).

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re la Bibbia per il popolo indigeno. Uno dei problemi che hanno


incontrato riguarda la traduzione del Salmo 23 il cui incipit Il
Signore il mio pastore. Limmagine del buon pastore insieme
al suo gregge era difficile da tradurre, perch gli Inuit erano di
cultura nomade fondata sulla caccia. I missionari hanno quindi
tradotto la frase con qualche cosa di pi vicino alla cultura di quel
popolo e hanno deciso di parlare de il cacciatore e i suoi cani.
Questimmagine metaforica comunque non aveva la resa espressiva desiderata dai missionari cristiani perch un cacciatore Inuit
in stato di necessit potrebbe anche picchiare, nonch mangiare,
i propri cani, e quindi lidea del Dio cristiano per gli Inuit era quella di un potente e terribile cannibale.
Sembra quindi che il linguaggio condizioni il pensiero (e la
cognizione umana in genere) molto pi di quanto si pensasse in
precedenza. Sebbene gli esempi qui elencati si riferiscano a categorie come spazio e tempo, oggetti e attributi, esistono numerosi altri esempi concernenti il condizionamento nel campo dei
colori e dei numeri (e.g. Brown & Lenneberg, 1954; Lucy, 1992;
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Specie-specificit, linguaggio, rappresentazione:


la tecnologia uditivo-vocale nel sapiens
Alessandra Falzone - amfalzone@unime.it

Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina

Abstract

The term species-specificity has been often used to define what elements underlie human nature. It has had various meanings,
most of which can be interpreted as special, unique. A due definition of this term is not only necessary to move out linguistic misinterpretation from our research field, but it is also useful to investigate, in a non anthropocentric way, such anatomical and functional traits
that have been considered uniquely human since Aristotelian works. In the present paper a technical definition of species-specificity is
offered as a constraining capability: an auditory-vocal technology which influences the sapiens specific way to build representations
of reality. This is possible thanks to biological structure which have been selected during human evolution (including the loss of some
morphological aspects, i.e. gracilization, a process named handicap selection).

Keywords

Species-specificity, speech making, exaptation, gracilization, representation.

1. Specie-specificit: definizione tecnica


La definizione delle specie-specificit dellessere umano ha
appassionato i dibattiti recenti e passati sullevoluzione del sapiens e sulla natura stessa della cognizione umana. Le accezioni con cui questo termine stato impiegato in vari ambiti degli
studi sul linguaggio e sulla mente umani sono davvero molteplici. Spesso, infatti, specie-specifico stato impiegato, in linea
con la tradizione predarwiniana (linneana) caratteristico di una
specie (sulla base delle caratteristiche morfologiche). Pi di recente, in ambiti di indagine pi vicini agli studi sul linguaggio,
specie-specifico stato impiegato con laccezione di speciale
unico. Si pensi alla famosa definizione chomskiana di linguaggio (Linguaggio=capacit specie specifica=tipo unico di organizzazione intellettuale).
Una adeguata definizione di questo termine risulta non solo
necessaria per sgombrare il campo di indagine da equivoci puramente linguistici, ma anche utile per indagare in maniera non
antropocentrica quelli che almeno sin dagli studi aristotelici vengono considerati tratti strutturali e funzionali unicamente umani.
Questa definizione di tratto specie-specifico fa ricorso a quella
adottata in ambito etologico da Konrad Lorenz che ne propone
una adozione di tipo tecnico (Lorenz, 1978). Formulato in ambito
strettamente biologico, infatti, il concetto di specie-specificit indicherebbe il fatto che certi organismi sarebbero attivi solo verso
una determinata specie animale o vegetale (si pensi a quei parassiti che vivono esclusivamente in determinate specie di animali
o piante).
Lorenz ha mutuato questo concetto biologico assegnandolo a una sfera pi complessa rispetto alla compatibilit chimica,
quella del comportamento, che segue leggi di funzionamento
differenti rispetto a quelle della biologia animale o vegetale.
La componente centrale della nozione di specificit che Lorenz
intendeva applicare al comportamento animale era lelemento
costrittivo: i parassiti che non possono scegliere quale pianta
infestare, ma possono anzi devono attaccare, per la loro sopravvivenza e riproduzione, una sola specie, presentano Speziesspezifitt. Cos anche i comportamenti che i membri di una determinata specie sono costretti a mettere in atto in una data condizione
ambientale, sono specie-specifici (ad esempio, la ricerca dei pulcini da parte della chioccia, la costruzione del nido nelle femmine dei ratti, i riti di accoppiamento o di lotta per la dominanza
di gruppo e territoriale in numerose specie di animali). Questa
accezione di specie-specificit vicina al ruolo che secondo i sostenitori dellevo-devo svolgono i kit genetici sugli organismi e
le strutture anatomiche sulle funzioni che esse stesse rendono
possibili: costituiscono un vincolo, un dente darresto dal quale la
ruota strutturale e funzionale dellevoluzione non pu sganciarsi,

44

a meno di rivoluzioni che portano alla speciazione (cfr. Minelli,


2007; Pennisi-Falzone, 2010 e 2011.).
La definizione lorenziana di specie-specificit, e le recenti declinazioni nellambito della biologia evoluzionistica dello sviluppo, consente di considerare anche le funzioni cognitive pi complesse (ma soprattutto quelle che vengono ritenute unicamente
umane, prima tra tutte il linguaggio) come capacit determinate,
vincolate anatomicamente in quanto prodotte da unevoluzione
centrale e periferica che ci lega ai nostri predecessori evolutivi,
ma che ci differenzia nelle possibilit.
Se volessimo formulare questa tesi, cos come Ninni Pennisi
ha proposto a un recente incontro tra linguistica e scienze cognitive (Pennisi, 2012), il linguaggio specie-specifico del sapiens
in quanto tecnologia uditivo-vocale (speech making) applicata
ai bisogni simbolici e altamente specializzata almeno quanto la
tecnologia manuale (tool making). Niente specialit o unicit da
chiamare in causa: la tecnologia uditivo-vocale dipende dallevoluzione di strutture e funzioni che in parte provengono da una
storia evolutiva lunga, ma che nella linea dei primati non umani
hanno acquisito un ruolo adattativo in virt dellorganizzazione
sociale, ma anche di altri aspetti come il passaggio al bipedismo,
la cura della prole e il social learning. Ovviamente non dobbiamo dimenticare che si tratta di tecnologia specie-specifica che,
in quanto tale, racchiude in s tutte le possibilit articolatoriouditive cui la nostra cognizione condannata.
La nostra cognizione, dunque, non banalmente caratterizzata dalla presenza del linguaggio ma vincolata da condizioni
biologiche che, selezionate nel corso dellevoluzione, hanno offerto alcune possibilit funzionali, non altre. In sostanza il vincolo funziona sia da delimitatore delle possibilit di un organismo
di presentare una certa funzione (per levo-devo, ad esempio, la
relazione struttura-funzione non minimamente problematica:
non necessario chiedersi come da una certa struttura si sviluppata una certa funzione. Se la struttura presente o ha una
funzione o neutra), sia da costrizione alla funzione.

2. La specie-specificit umana: la tecnologia udito-voce


Lintroduzione della prospettiva etologica e quella evoluzionistica ha costituito una vera e propria rivoluzione nelle scienze
cognitive che, nate in un secolo fortemente antropocentrico, si
sono trovate a scontrarsi con una mole di dati sempre crescente
che dimostrava la derivazione filogenetica delle specialit umane almeno a partire dai primati non umani.
Come gi detto prima, lo scopo di questo lavoro individuare
nella tecnologia uditivo-vocale la specie-specificit della cognizione umana. Cercher di dimostrare questa tesi proprio a par-

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tire dai dati provenienti da discipline che erano state accusate


di investire di specialit le strutture anatomiche e le capacit
cognitive del sapiens (dagli studi filosofici sul linguaggio, alle
neuroscienze, alla paleoantropologia). Tali discipline, infatti un
po per lavanzamento delle metodologie multidimensionali che
permettono di intrecciare dati ottenuti in ambiti differenti, un
po grazie al salutare ingresso della prospettiva evoluzionistica
(e in particolare della sintesi moderna e dellevo-devo) e della
genetica negli studi sulle capacit delluomo si sono redente
dimostrando in maniera puntuale la innegabile derivazione filogenetica di strutture e capacit del sapiens da altre specie evolutivamente precedenti (alcune anche lontane da un punto di vista
filogenetico, se non addirittura non imparentate).

2.1. Vantaggi immediati ed exaptation


Negli ultimi quindici anni, infatti, sia in ambito comparativo,
che in quello ricostruttivo sono state formulate ipotesi che hanno
assegnato alle strutture anatomiche oggi utilizzate dal sapiens
dei vantaggi adattativi non direttamente connessi al linguaggio. Si pensi alla famosa ipotesi sulla centralit del tratto vocale
per linsorgenza del linguaggio nel sapiens. Studi comparativi e
paleoantropologici, infatti, avevano considerato tale struttura la
prova innegabile della presenza del linguaggio articolato: la configurazione anatomica del tratto vocale sarebbe stata lunica a
garantire la fonazione. Da questo assunto, ancora oggi valido, si
derivava la convinzione (spesso provata sperimentalmente) che
nel corso dellevoluzione il tratto vocale fosse stato selezionato
perch offriva un vantaggio enorme al sapiens: il linguaggio articolato (con conseguente miglioramento delle capacit comunicative e organizzative).
Diversi studi hanno smentito la connessione diretta tra adattativit del tratto vocale e linguaggio. Unipotesi famosa quella formulata da Aiello (1996), secondo cui durante levoluzione
che ha condotto al sapiens la laringe ha svolto varie funzioni di
protezione delle vie respiratorie, ma labbassamento della laringe sarebbe stato s conseguenza del bipedismo, ma sarebbe
selezionato positivamente in quanto consentiva di trattenere
la pressione intratoracica e intraaddominale (laringe valvulare).
Tale pressione nel tratto vocale del sapiens maggiormente
modulabile grazie alla membranosit delle pliche vocaliche e
alla flessibilit delle pareti faringali che consentono di variare la
geometria del tratto vocale e di produrre suoni acusticamente
armoniosi.
Unaltra ormai nota ipotesi formulata per dimostrare che il
linguaggio non ha costituito un vantaggio immediato per la selezione del tratto vocale quella di Tecumseh Fitch sullingrandimento della stazza. Secondo Fitch (2005) labbassamento della
laringe forzato muscolarmente presente in molte specie animali perch consentirebbe di fingere di avere dimensioni corporee
maggiori rispetto a quelle effettive, producendo suoni pi gravi e
definiti, caratteristica questa dei membri con la stazza maggiore,
e risultando cos pi appetibili per la riproduzione. Nel sapiens,
allora, labbassamento permanente della laringe sarebbe stato selezionato in quanto offriva la possibilit di operare questa
finzione senza alo sforzo muscolare continuo cui sono costrette
le altre specie animali. Il vantaggio immediato associato allabbassamento della laringe, dunque, non avrebbe direttamente a
che fare con il linguaggio, ma con un incremento della fitness. Il
linguaggio si sarebbe installato in un secondo momento (exaptation) e solo quando anche il cervello umano stato speech-ready,
cio pronto per la gestione volontaria dei movimenti articolatori.
Tali movimenti, inoltre, sono stati favoriti da un processo che
ha interessato il genere Homo e in particolare il sapiens: la gracilizzazione che ha determinato la riduzione delle dimensioni corporee. Tale processo in generale spiegato mettendo in relazione
le dimensioni corporee con le richieste energetiche che queste
comportano. Di norma, maggiore la stazza, maggiori sono le
risorse energetiche necessarie per il mantenimento dellorganismo. La gracilizzazione, infatti, presente nel genere Homo in

45

associazione allaumento delle dimensioni del cranio. come se


le dimensioni corporee (le viscere in particolare, Aiello, 1997; Mithen, 2007) fossero dovute diminuire in favore delle aumentate
dimensioni cerebrali che assorbono una alta percentuale delle
risorse energetiche dellorganismo. Nel sapiens questo processo
di gracilizzazione si verificato sia nella prima forma della specie
(il sapiens arcaico, che presentava gi una gracilizzazione rispetto
al Neanderthal) sia nella forma moderna (in cui si verificata una
ulteriore riduzione della massa corporea generale).
Ma interessante notare come la gracilizzazione non coinvolga solo in generale le dimensioni corporee: negli ominidi e
in particolare nel sapiens possibile rintracciare la cosiddetta
gracilizzazione del volto (diminuzione delle dimensioni della
mandibola e dellarcata sopraciliare). In particolare alcuni ricercatori (Stedman et al., 2004) hanno dimostrato come nei primati
non umani sia attivo un gene (il gene che codifica per la catena
pesante della miosina) che nel sapiens presente ma inattivo. In
sostanza la differenza nei muscoli masticatori tra gorilla e sapiens
sarebbe dovuta allinattivazione di un gene che codifica per la
miosina, una proteina che produce la forza contrattile dei muscoli. Meno miosina uguale meno forza muscolare, ma anche difformit nelle strutture ossee cui i muscoli si legano. A differenza dei
primati non umani, allora, luomo ha acquisito una mutazione in
questo gene ereditato filogeneticamente dai primati che impedisce laccumulo di miosina nei tessuti mascellari, inducendone
una riduzione dimensionale.
Tale processo, che ha determinato la liberazione delle strutture ossee dai compiti masticatori, con conseguente allargamento
del cranio (Rotilio, 2006), considerato un esempio chiaro della
cosiddetta selezione dellhandicap (Zahavi, 1975). Tale nozione
applicata ai casi evolutivi in cui i processi di speciazione si verificano per selezione di tratti minoritari presenti nella popolazione
che per risultano o neutrali o addirittura dannosi. La perdita di
fibre muscolari utili alla masticazione, infatti, costituisce un evidente svantaggio evolutivo, soprattutto in relazione alle aumentate esigenze energetiche indotte dalla presenza di una massa
cerebrale di dimensioni maggiori. Ma questo tratto anatomico
presente in tutti i sapiens e dunque deve essere stato associato a un vantaggio. Una delle prime e pi immediate spiegazioni
ipotizzate stata proprio la possibilit di produrre linguaggio
articolato: paradossalmente, la riduzione delle dimensioni dei
muscoli masticatori avrebbe consentito la selezione di una strutture ossea su cui si dovrebbero agganciare i muscoli temporali
relativamente pi piccola, consentendo la liberazione da compiti
masticatori del tratto orofacciale indispensabile per la produzione di suoni linguistici. Alcuni studi hanno cercato di individuare la compensazione adattativa al micrognatismo connesso a
variazioni dellarchitettura facciale e craniale con conseguente
aumento delle dimensioni cerebrali chiamando in causa motivazioni di tipo funzionale come lincremento delle attivit di cooperazione e di comunicazione che avrebbero favorito un miglioramento delle tecniche per il procacciamento del cibo. Queste
spiegazioni per sembrano non rispondere alla questione della
adattativit: un tratto handicap come un cervello che brucia
tantissima energia e che richiede molto cibo non pu attendere,
per venire selezionato, lattecchimento di comportamenti collaborativi. Questi semmai sono una conseguenza dellaumento del
volume cerebrale, non una causa. Sembrano, invece, plausibili
quegli studi che rintracciano nei cambiamenti genetici associati
alla struttura del tubo digerente e degli enzimi contenuti al suo
interno le cause dellattecchimento di una struttura cerebrale
cos grande (Rotilio, 2006).
Svante Pbo e collaboratori (Green et al., 2009) hanno individuato nel DNA del Neanderthal una differenza decisiva rispetto
al sapiens: in questultimo, infatti, sarebbe presente una variazione genica responsabile della scissione del lattosio in zucchero,
carburante per i processi metabolici del cervello, che sarebbe del
tutto assente nel Neanderthal. Mentre questultimo doveva recuperare le sostanze metaboliche e gli acidi polinsaturi necessari
per il funzionamento del cervello tramite processi complessi di

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trasformazione intestinale ed epatica, il sapiens poteva ottenerle


in maniera quasi immediata grazie ad una tipologia di alimentazione pi variata (il sapiens pi onnivoro del Neanderthal) e
pi ricca di costituenti essenziali immediati da assimilare.

3. Da speciale a specifico: la tecnologia uditivo-vocale


Gli esempi descritti sopra sembrano dimostrare come le modifiche anatomiche complessive che hanno riguardato i processi
di speciazione del sapiens non siano connesse direttamente alla
funzione linguistica. Questo ha finalmente consentito di eliminare ogni possibile preoccupazione antropocentrica e ha spinto
molti settori di indagine a occuparsi del linguaggio, della sua natura e della sua evoluzione senza la preoccupazione di apparire
antievoluzionisti, politicamente scorretti o, peggio ancora, saltazionisti!
Se un merito ha avuto questa sorta di moral suasion sulla
non centralit del linguaggio negli studi cognitivi ed etologici
di prima generazione stata proprio quella di dimostrare che il
sapiens non ha nulla di speciale e dunque ci si pu occupare
di comprendere cosa ha di specifico in senso tecnico lorenziano. A questo punto, infatti, ci si potrebbe chiedere: ma se gi da
un punto di vista strutturale stato da pi parti dimostrato che
le strutture anatomiche che si ritenevano selezionate per il linguaggio in realt si sono diffuse a livello di popolazione per altri
vantaggi (tipicamente associati alla riproduzione o al procacciamento di cibo), quando intervenuto il linguaggio nella storia
evolutiva delluomo? Perch solo il sapiens a mostrarlo? Diversi
studi paleoantropologici, paleoneurologici e psicobiologici hanno dimostrato come il linguaggio si sia installato su una morfologia pronta per larticolazione sia a livello centrale che periferico. Lieberman e McCarthy (2007) ad esempio hanno sostenuto
che nel sapiens anatomicamente moderno si sarebbe verificato
un ulteriore e definitivo abbassamento della laringe rispetto al
sapiens arcaico. Solo in questo caso sarebbe raggiunta la proporzione di 1:1 tra la canna verticale e quella orizzontale, aspetto
anatomico questo che ha aumentato la variazione geometrica
del tratto vocale e la possibilit di modulare laria non solo attraverso le pliche vocaliche ma attraverso il canale faringeo.
Anche da un punto di vista centrale, pare che la morfologia
adatta alla produzione del linguaggio articolato si sia affermata
con il sapiens, non prima: alcuni studi paleoneurologici hanno individuato nella Brocas cup (BA 44, 45, 47) e nelle aree del controllo motorio della vocalizzazione e le funzioni cognitive complesse
(BA 8, 9, 10, 13, 46) del sapiens le aree di pi recente modifica
rispetto ai calchi endocranici di ominidi precedenti (Holloway
2009). Inoltre studi comparativi hanno dimostrato lo sviluppo
specializzato nel sapiens di una parte della corteccia uditiva per
la comprensione del linguaggio articolato nella corteccia uditiva
secondaria (area di Wernicke), lorganizzazione tonotopica e la
presenza di una Vocal Area nella corteccia uditiva primaria, sensibile e specializzata per i suoni appartenenti alla lingua materna
(Belin, Grosbras, 2010).
Ulteriori studi sullevoluzione genetica hanno dimostrato che
alcuni geni regolatori sono coinvolti nella costrizione embrionale
di strutture cerebrali coinvolte nella articolazione del linguaggio
(i gangli basali). Si tratta della scoperta genetica del secolo, dopo
lindividuazione del DNA: il FOXP2, il cosiddetto gene dellarticolazione del linguaggio umano, che espresso a livello embrionale
codifica per la specializzazione dei gangli della base, strutture
cerebrali filogeneticamente antiche che svolgono un ruolo centrale nella gestione dei movimenti articolatori fini.
Il linguaggio allora, potrebbe essersi installato in un secondo
momento evolutivo del sapiens su strutture che hanno subito
ulteriori cambiamenti tali da rendere il nostro corpo speechready. a questo punto, per, che si manifesta la coazione funzionale del linguaggio: una volta instanziato, non pi possibile
per il sapiens scegliere altra modalit tecnologica per esprimere i
suoi bisogni simbolici che quella uditivo vocale.

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4. Conclusioni: specificit, linguaggio e rappresentazione


Questo il punto pi delicato dellipotesi che abbiamo in diverse occasioni sostenuto: il linguaggio umano non un semplice sistema di comunicazione, come di norma interpretato
dalla stragrande maggioranza delle teorie linguistico-evolutive
(Dunbar, Bickerton etc.). Il linguaggio una tecnologia, che consente la manipolazione e la trasformazione di elementi percepiti
in rappresentazioni e viceversa consente di formulare materialmente necessit interne mettendole in relazione con il mondo
esterno. La tesi secondo cui il linguaggio non uno strumento di
comunicazione ma una modalit di rappresentazione del mondo
non ormai pi relegata allambito filosofico-fenomenologico.
Studi neuroscientifici condotti con varie tecniche di valutazione
dellattivit cerebrale in vivo (PET, ERP) hanno messo in evidenza
che il linguaggio entra in gioco nella costruzione delle nostre conoscenze sul mondo, quelle che ci formiamo in quanto appartenenti ad una determinata comunit sociale e linguistica e questo
da un punto di vista non solo funzionale, ma anche anatomico.
Hagoort et al. (2004) hanno individuato nellarea di Broca il loco
neurale in cui si realizzerebbe la verifica delle espressioni linguistiche con la realt sociale in cui inserito il soggetto. Questi
dati confermerebbero la nostra ipotesi secondo cui il linguaggio
una tecnologia che serve a rappresentare la realt (conoscenze
sul mondo prodotte e categorizzate grazie allarea di Broca, larea
classicamente deputata alla produzione del linguaggio).
Esiste, inoltre, un dibattito abbastanza vivo sullidea che il
linguaggio articolato abbia fornito alla cognizione umana un
incremento di potenza legato al principio della segmentazione.
Secondo Wray (2002) e anche secondo Carruthers (2002) la segmentazione fonetica ha consentivo lo sviluppo del linguaggio
composizionale che ha funzionato da vincolo per gli altri processi cognitivi. Mithen (2007) sostiene che labilit di segmentare la
produzione, di combinarla e di decodificare tale segmentazione
combinata alla base persino della possibilit di trasmissione
delle nostre conoscenze (fluidit cognitiva), della nostra cultura. Proprio la composizionalit sarebbe il tratto distintivo tra la
comunicazione olistica che Mithen assegna ai Neanderthal e il
linguaggio umano.
Diverse sono le ipotesi che cercano di dare una spiegazione
del passaggio dalla comunicazione olistica al linguaggio articolato. La nostra tesi, invece, cerca di dimostrare che il linguaggio
la tecnologia della nostra cognizione (speech using) e questo
per ragioni evolutive specie-specifiche. Luomo non pu esimersi
dallimpiegare il linguaggio per rappresentarsi il mondo e la funzione linguistica influenza le altre funzioni presenti nella nostra
mente. In sostanza le possibilit offerte dalle modifiche biologiche del sapiens moderno avrebbero consentito linstallazione e
luso di una funzione che cognitivamente ha funzionato da catalizzatore delle altre, gi presenti, ereditare filogeneticamente e
adattativamente selezionate (core knowledge), che hanno subito
un processo di potenziamento dallinterazione con le possibilit
segmentatorie produttive e di decodifica del linguaggio.
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I limiti del mio corpo sono i limiti del mio


mondo. IL tema del corpo proprio nella
riflessione filosofica contemporanea e nella
scienza cognitiva incarnata
Edoardo Fugali - efugali@unime.it

Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina

Abstract

Consciousness and self-consciousness are not emanations of a disembodied mind, but presuppose the dimension of living body,
since it exhibits like our conscious experiences the property of self-reference. As the only substantial bearer of every mental state and
constitutive basis of personal subject, the living body is an ontologically genuine and epistemologically autonomous experiential layer
which can be reduced neither to the sole mental dimension nor to the component of objective body, although the latter is inextricably
bound with it. The objective body becomes the only subject of scientific explanation once the naturalistic attitude of cognitive science
has been adopted. With this article I will contribute to the attempt to give rise to an integrated approach which takes into account
both the phenomenological analyses about the living body and the experimental evidences relative to the cognitive mechanisms that
realize the sense of bodily self.

Keywords

Bodily self-awareness, body schema, body image, sense of ownership, sense of agency, living body.

1. Chi dice veramente io. Corpo vissuto e corpo


materiale
Coscienza e autocoscienza non sono emanazioni di una mente disincarnata, ma esprimono la propriet dellautoriferimento
esibita dai vissuti desperienza che presuppongono la dimensione del corpo vissuto, unico portatore sostanziale di ogni stato
mentale e istanza costitutiva del soggetto personale. Se non
riconducibile alla sola dimensione del mentale, il corpo vissuto
daltra parte uno strato esperienziale ontologicamente genuino
ed epistemologicamente autonomo che non si lascia ridurre alla
componente del corpo oggetto che pure ad esso inestricabilmente legata e si impone in modo esclusivo allo sguardo una
volta che sia stato adottato latteggiamento naturalistico delle
scienze della cognizione, pienamente legittimo a condizione che
non travalichi i limiti del proprio ambito di considerazione. Con
questo saggio intendo contribuire al tentativo di dare vita a un
approccio integrato, che tenga in debito conto sia le analisi fenomenologiche sullo strato del corpo vissuto sia le evidenze sperimentali relative ai meccanismi cognitivi e neurofisiologici che
implementano e realizzano il senso del s corporeo.
Una delle questioni principali che hanno attratto lattenzione
della maggior parte degli studiosi interessati al tema della corporeit e da cui qui voglio prendere le mosse quella relativa alla
relazione peculiare che intrattengono il s personale e il corpo.
Dobbiamo assumere questi due termini come due istanze inizialmente separate che verrebbero successivamente a incontrarsi in
modo misterioso, come sembra suggerire la locuzione s incorporato, o dobbiamo piuttosto supporre che la propriet dellessere incorporato preceda ogni distinzione tra s e corpo, tanto
che sarebbe pi appropriato parlare al riguardo di un s corporeo? In questa direzione si muove la proposta terminologica di
Legrand (2006, 89-91), secondo cui lespressione s incorporato
lascia ancora trapelare residui dualistici e suggerisce lidea di un
s puramente mentale collocato allinterno di un corpo inteso
ancora soltanto in termini oggettuali. Recentemente stata proposta una partizione sommaria che contempla tre opzioni teoriche riguardo al modo in cui intendere tale relazione (Cassam,
2011: 140). La prima espressa dal dualismo classico di ascendenza cartesiana, secondo cui le propriet che costituiscono il
soggetto personale sono individuate in via esclusiva da unanima
immateriale rispetto alla quale il corpo sarebbe del tutto subordinato. Allestremo opposto si situa il materialismo che postula

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una totale identificazione tra il s personale e il corpo, mentre


una soluzione intermedia offerta dal costituzionalismo di Baker
(2000), secondo cui il corpo una componente fondamentale
nella costituzione del soggetto personale pur senza esaurirne in
toto la consistenza ontologica.
A tale questione, che viene a porsi nel momento in cui si
adotta un punto di vista schiettamente metafisico-descrittivo (e
su cui in questa sede non intendo soffermarmi nel dettaglio),
fa da contraltare quella relativa alla certezza che ogni soggetto
personale ha del proprio corpo e che investe invece il versante
soggettivo-esperenziale della relazione tra s e corpo. La natura
peculiare della certezza del proprio s corporeo non ha mancato di suscitare una serie di interrogativi (Cassam, 2011: 140-141):
cos che contraddistingue questa certezza rispetto a quella
relativa a qualsiasi altro oggetto corporeo? Ci troviamo qui di
fronte a una certezza di tipo percettivo? Il corpo che di questa
certezza il contenuto e il latore da intendere come oggetto,
come soggetto o in entrambi i modi? Ci che sembra resistere
a ogni dubbio il dato della direzione di provenienza dellautoconsapevolezza corporea si tratta infatti di una certezza propriocettiva che proviene dallinterno e il tratto caratteristico
dellinemendabilit che laccompagna: in altre parole, i giudizi
emessi alla prima persona relativi ai nostri stati corporei sulla
base di questa certezza sono immuni dagli errori di autoidentificazione.

1.1. Alle radici della coscienza del S: schema corporeo e immagine corporea
Analizziamo partitamente entrambi questi punti, cercando
in primo luogo di individuare i contrassegni salienti della nostra certezza corporea, impresa questa che non si preannuncia
affatto facile, dati i molteplici modi grazie ai quali facciamo esperienza del nostro corpo e alla disparit di opinioni che regna nel
dibattito filosofico riguardo a quali siano tra questi quelli privilegiati. Si impone anzitutto a tal proposito una prima distinzione
tra il modo in cui percepiamo come dallinterno il corpo che noi
stessi siamo e con il quale intratteniamo una relazione talmente
intima da indurci allidea di coincidere in tutto e per tutto con
esso, e il modo in cui percepiamo il corpo che ci capita di essere
le nostre sembianze riflesse allo specchio e esibite allo sguardo
altrui e che spesso non manca di sorprenderci, magari ingenerando singolari effetti di estraniazione. Istruttiva a tal proposito

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lesperienza di cui riferisce il filosofo austriaco Ernst Mach in un


famoso aneddoto: una volta, dopo un viaggio notturno assai
faticoso in ferrovia, salii molto stanco su un omnibus proprio nel
momento in cui vi saliva dallaltra parte unaltra persona. Che
maestro di scuola mal ridotto sta salendo, pensai. Ed ero proprio
io, poich dinanzi a me si trovava un grande specchio. Laspetto
del ceto mi era dunque molto pi familiare della mia fisionomia
(Mach, 1900: 39). al primo tipo di esperienza che allude Cartesio nel celebre passo delle Meditazioni dedicato alla relazione tra
il s immateriale e il corpo: la natura insegna inoltre, per mezzo
delle sensazioni del dolore, della fame, della sete, eccetera, che io
non sto al mio corpo solo al modo in cui il nocchiero sta alla sua
nave, ma che sono congiunto ad esso in modo strettissimo e che
gli sono quasi mescolato, tanto da costituire con esso ununica
entit (Descartes, 1642: 116-117).
Il corpo che abitiamo dallinterno e il corpo che ci capita di
essere (che nel linguaggio fenomenologico corrispondono al
corpo vissuto e al corpo oggetto) sono dunque due contenuti
distinti che rinviano a due specifiche forme di certezza corporea,
ossia quella alla prima persona che viene a costituirsi sulla base
di informazioni intorno a processi che ricadono allinterno dei
confini del proprio corpo, e una certezza alla terza persona che
presuppone lesercizio delle capacit sensoriali dirette allesterno
e che sotto questo riguardo assimilabile alla certezza relativa a
ogni altro oggetto materiale. La partizione prima persona/terza
persona viene ad intersecarsi con le coppie conscio/inconscio e
concettuale/non-concettuale nella seguente tassonomia proposta da Bermdez (2011: 161):
1. le informazioni corporee alla prima persona inconsce
che comprendono le sensazioni vestibolari preposte al
controllo dellequilibrio e dellorientamento spaziale e le
sensazioni propriocettive relative alla posizione e ai movimenti delle membra, entrambe indispensabili per la
corretta esecuzione delle azioni;
2. le informazioni alla prima persona consce si suddividono a loro volta in informazioni concettuali, che mettono capo allimmagine corporea affettiva, fortemente
permeata da fattori di ordine valutativo e culturale, e in
informazioni non concettuali (enterocezione, propriocezione visiva, senso della posizione e del movimento);
3. le informazioni alla terza persona sono sempre consce:
quelle concettuali comprendono le conoscenze semantiche relative alla struttura del corpo e alla funzione delle
sue parti, mentre quelle non concettuali coincidono col
campo delle sensazioni esterocettive.
I dati provenienti da queste differenti fonti di informazione
confluiscono in due strutture integrate che in letteratura sono
state definite schema corporeo e immagine corporea. Il concetto
di schema corporeo, che andato incontro nel corso della sua
storia a una serie di fraintendimenti e di confusioni teoriche,
stato introdotto per la prima volta nella letteratura neuroscientifica da Bonnier (1905) in riferimento allassetto spaziale delle
sensazioni attinenti alla certezza corporea che consente lorientamento nellambiente esterno e invalso nelluso corrente grazie a Head e Holmes (1911/1912) nel quadro di una tassonomia
che distingue tre tipi specifici di rappresentazioni corporee, lo
schema posturale, che una rappresentazione continuamente
aggiornata relativa alla posizione delle membra e che funge da
istanza di controllo per lesecuzione dei movimenti corporei, lo
schema superficiale, preposto alla capacit di localizzare e organizzare gli stimoli sensoriali sulla superficie cutanea, e limmagine corporea che comprende le rappresentazioni consce del corpo e delle sue parti.
Lo schema corporeo comprende in s quali sue sub-componenti lo schema posturale e lo schema superficiale, e opera
a livello inconscio e preintenzionale. Secondo la definizione aggiornata che ne stata presentata nella letteratura pi recente
ad opera soprattutto di Gallagher (2005: 24 ss.), esso consiste
essenzialmente di un set di capacit sensori-motorie che danno
vita a processi sub-personali, modulari e automatici, finalizzati

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al mantenimento della postura e deputati al controllo dellazione. Questo non vuol dire per che qui ci troviamo di fronte
a un insieme pi o meno instabile di meri riflessi meccanici o di
rappresentazioni neuronali; vero invece che lo schema corporeo si configura grazie allapporto congiunto dei processi che lo
costituiscono come una struttura integrata e olistica che informa
di s azioni consapevoli e orientate a uno scopo e che quindi
coestensiva al corpo vissuto soggettivo cos come si offre sul piano dellesperienza preriflessiva e prenoetica. In quanto componente materiale dellazione e dellintenzione consapevole esso
partecipa dellintenzionalit ad esse sottese, pur senza rivestire
direttamente questa caratteristica. De Vignemont (2011a: 87) individua proprio nel fatto di essere impiegato per il compimento
dellazione il criterio funzionale che identifica lo schema corporeo e lo contraddistingue rispetto a ogni altra rappresentazione
del corpo. In modo pi radicale, Gallese e Sinigaglia (2010: 747748) attribuiscono direttamente allo schema corporeo una genuina intenzionalit di carattere motorio che guida e permea di
s lazione, senza limitarsi al monitoraggio e alla calibrazione dei
processi sensori-motori preposti allesecuzione dei movimenti.
Tra le informazioni processate al livello dello schema corporeo, corrispondenti in sostanza a quelle elencate sotto il primo
punto della tassonomia proposta da Bermdez, rientrano le sensazioni tattili e propriocettive, e in generale i contenuti spaziali di
tutte le sensazioni corporee, il che mostra come la localizzazione
degli stimoli costituisca una delle sue caratteristiche funzionali
principali (Longo et al., 2009: 167). Sotto questo profilo, lo schema corporeo si configura come un modello dinamico basato su
meccanismi bayesiani di integrazione multimodale, relativi cio
a inferenze probabilistiche soggettive operate dallagente sulle
informazioni sensoriali in entrata e gli output motori, dati determinati vincoli biologici e ambientali (de Vignemont, 2010:
669 e 678-679). Lo schema corporeo consta di due componenti, ossia un dispositivo di monitoraggio in tempo reale e
a breve termine delle informazioni relative alla postura corporea (Tsakiris, 2010: 707) e una struttura stabile a lungo termine, peraltro passibile di modificazioni anche significative nel
corso del tempo (Graziano & Botvinick, 2002: 151-152), anche
se nella sua costituzione entrano in gioco delle componenti
innate. A supporto dellipotesi dellinnatezza dello schema
corporeo, Gallagher (2005: 70 ss.) riporta gli studi di Meltzoff
e Moore sullimitazione neonatale (Meltzoff & Moore, 1977 e
1983) e il fenomeno degli arti fantasma aplasici (Weinstein &
Sersen, 1961) che, per quanto abbiano a stretto rigor di termini lo statuto di immagini corporee, si fondano sugli stessi
circuiti neurali preposti allo schema motorio di coordinazione
tra la bocca e la mano. Pienamente integrato con lambiente
circostante, lo schema corporeo abbastanza plastico perch
possa espandersi fino a incorporare al suo interno strumenti,
dispositivi prostetici e perfino avatar virtuali (Gallagher, 2005:
37; de Vignemont, 2011a: 84).
Limmagine corporea, che comprende tutte le rappresentazioni personali, intenzionali e consapevoli del proprio corpo
non finalizzate al compimento dellazione, si genera a livello riflessivo grazie allapporto congiunto di tutti i canali sensoriali,
sebbene a svolgere un ruolo preponderante sia la modalit visuale. A costituire limmagine corporea concorrono dunque tutte le rappresentazioni consce raggruppate nella tassonomia di
Bermdez sotto il secondo e terzo punto, ossia rappresentazioni
percettive, rappresentazioni concettuali (conoscenze semantiche, attitudini e credenze), affetti e valutazioni emotive, che nel
loro insieme hanno quale contenuto intenzionale il corpo come
oggetto compiutamente individuato e ben distinto dagli altri
oggetti dellambiente circostante. Sotto questo riguardo, il corpo viene appreso come qualunque altro oggetto materiale nel
corso di una successione di aspetti parziali e quindi in modo non
olistico, a differenza di quanto avviene nello schema corporeo.
Anche al livello dellimmagine corporea occorre distinguere tra
rappresentazioni a breve termine, ossia i percetti corporei, che
sono sempre consci, e rappresentazioni a lungo termine (atti-

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tudini valutative, credenze ecc.), che possono fungere anche a


livello prenoetico e non richiedono necessariamente di essere
riattualizzate da un atto cosciente (OShaughnessy, 2000: 638 ss.;
2008: 273 ss.).
Sul piano pragmatico (e in assenza di patologie dissociative)
i confini tra schema corporeo e immagine corporea, che concorrono in modo strettamente congiunto a strutturare la nostra coscienza e il nostro agire, sono molto pi sfumati di quanto non
possa apparire prima facie da questa sommaria caratterizzazione
concettuale. Questa circostanza ha ingenerato in molti autori un
senso di insoddisfazione nei riguardi di una distinzione talmente
rigida e artificiosa da indurli ad esprimersi a favore della necessit
di abbandonarla del tutto o quanto meno di integrarla con altre
tassonomie. A favore della prima opzione si esprime Stamenov
(2005), secondo cui n lo schema corporeo n limmagine corporea mettono capo a strutture rappresentazionali integrate e unitarie. La certezza del proprio s corporeo in realt un costrutto
precario ed evanescente che deve la sua apparenza olistica al
solo fatto che elegge a suo modello i contorni e la fisionomia del
corpo fisico. La certezza corporea non dunque che unistanza di
monitoraggio on-line, aggiornata di continuo, che emerge direttamente dallintegrazione multimodale tra una molteplicit dissipativa di stimoli neurofisiologici provenienti da fonti differenti
e di per s privi di organizzazione strutturale, grazie a meccanismi di estrazione cui preposto il sistema dei neuroni specchio,
che selezionano le informazioni necessarie da pattern sensorimotori frammentari secondo la logica opportunistica del first come-first serve. Nel quadro di unimpostazione teorica differente,
ma con analoghi esiti, Gallese e Sinigaglia (2010: 746-748) elidono ogni differenza tra schema corporeo e immagine corporea ad
esclusivo favore del primo termine per ricondurre nel suo alveo
tutte le rappresentazioni che rientrano nella seconda. In questa
prospettiva, fortemente permeata da unimpostazione enattivista che si ispira alla fenomenologia di Merleau-Ponty (1945) e
insiste sulla reciproca compenetrazione tra percezione e azione
nonch sulla preminenza di rango della seconda, il s corporeo
unistanza unitaria, depositaria di un potere dazione sempre
fungente in ogni atto intenzionale anche quando essa non viene
effettivamente eseguita. In questo senso, il s corporeo sotteso
globalmente allintegrazione sensori-motoria e svolge un ruolo
preponderante sia rispetto alle componenti del controllo posturale e cinetico su cui insistono gli approcci standard, sia rispetto
ad ogni rappresentazione di ordine percettivo e concettuale. Il
senso corporeo non trae la propria origine da uno specifico canale sensoriale come la propriocezione, che verte anche su oggetti
esterni al corpo, nella misura in cui intrattengono con esso una
relazione spaziale, e travalica i confini del corpo esperito come
oggetto. Occorre dunque distinguere tra unautocoscienza corporea preriflessiva e una coscienza del corpo che capita di essere il proprio, laddove solo la prima costituisce una coscienza
corporea in senso genuino. Ancora Gallese (2005: 24 e 42) rileva
come la distinzione tra schema corporeo e immagine corporea
vada impugnata anche alla luce dellinsostenibilit della dicotomia inconscio/conscio su cui essa imperniata. Sono infatti le
medesime strutture neurali preposte alla simulazione incorporata, ossia le reti corticali dellarea parietale posteriore premotoria
funzionali al controllo delle azioni proprie e altrui e degli oggetti
in esse implicate, quelle che presiedono tanto alla certezza del
corpo vissuto quanto alla certezza degli oggetti, ivi compreso il
corpo materiale. In altre parole, queste strutture non si limitano
soltanto alla mappatura degli stimoli sensoriali e motori, ma contribuiscono anche a generare la certezza del proprio s corporeo.
Verso una conclusione analoga convergono le considerazioni di de Vignemont (2010: 672), che osserva come lo schema
corporeo possa essere accessibile alla coscienza nellimmaginazione motoria o nella forma di una certezza marginale relativa
alle parti del corpo e alla sua postura di cui ogni nostra azione
consapevole continuamente circonfusa (Gurwitsch, 1985: 31).
De Vignemont (2010: 671) propone in alternativa al modello
binario schema corporeo/immagine corporeo una tassonomia

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tripartita che distingue tra: a) lo schema corporeo nel senso precedentemente precisato (fatte salve le riserve sulla sua natura inconscia), b) una descrizione strutturale del corpo che trae le sue
risorse dalla percezione e dalla propriocezione per dare forma a
una mappa corporea di natura visuospaziale, e c) una semantica corporea che presuppone lutilizzo di capacit concettuali e
linguistiche. Una classificazione analoga per molti versi a questa
stata proposta da Bermdez (2005: 303-308) e da Longo et al.
(2010: 655 ss.). Le rappresentazioni corporee si suddividono anzitutto in rappresentazioni di ordine inferiore e rappresentazioni di
ordine superiore (Bermdez tiene da parte sua a precisare come
tale distinzione non coincida con quella tra conscio e inconscio o
personale e sub-personale):
1. al livello base si collocano le sensazioni somatiche che
comprendono rappresentazioni somatosensorie della
superficie cutanea (Medina & Coslett, 2010: 645), informazioni sulla struttura e sui limiti del corpo, rappresentazioni in tempo reale delle parti corporee; queste rappresentazioni espletano la duplice funzione di localizzare
le sensazioni nello spazio intracorporeo e di specificare
le parti del corpo disponibili per lazione. Questo livello
preriflessivo, che coincide sostanzialmente con lo schema corporeo, si caratterizza per il suo legame diretto e
immediato con lazione.
2. al livello propriamente cognitivo sono situate le rappresentazioni di ordine superiore, che comprendono:

percezioni di alto livello del corpo e degli oggetti
che con esso vengono in contatto (somatopercezione):

conoscenze astratte, credenze e attitudini sul
proprio corpo e sui corpi in generale (somatorappresentazione), tra cui rientrano rappresentazioni concettuali e semantiche, rappresentazioni
affettive e rappresentazioni omeostatiche.
Vediamo di ricapitolare le considerazioni sinora svolte. La variet dei modi e delle prospettive secondo cui possiamo riferirci
al nostro corpo d luogo a una proliferazione di rappresentazioni e di esperienze refrattarie a lasciarsi classificare sulla base
di criteri univoci che consentano di tracciare una netta linea di
discrimine tra una categoria e laltra, tanto pi che sul piano
dellesperienza pratica e in assenza di dissociazioni patologiche
i differenti tipi di rappresentazione corporea sono inestricabilmente intrecciati tra loro. Tra i criteri passati in rassegna senza
dubbio quello basato sullorigine o sul tipo delle informazioni
processate a mostrarsi meno adeguato, mentre maggiormente
produttivi sembrano invece il criterio funzionale e quello offerto
dalla direzione del riferimento intenzionale. Quanto al primo, ho
gi avuto modo di rilevare come la possibilit di individuare il
concetto di schema corporeo e di distinguerlo da quello di immagine corporea (o per meglio dire da tutti i molteplici generi
di rappresentazione che a vario titolo rientrano sotto questetichetta) risieda nel suo essere finalizzato allesecuzione dellazione. In particolare, mentre lo schema corporeo preposto allazione e alla localizzazione degli stimoli corporei, rispondendo
alle domande relative al come e al dove, le rappresentazioni
dellimmagine corporea rispondono alla domanda relativa al
cosa e sono funzionali primariamente allesigenza di categorizzare le parti corporee, le sensazioni, gli affetti e in generale
tutte le attribuzioni di senso e di valore relative al corpo (de Vignemont, 2007: 439).
Riguardo al criterio della direzione del riferimento intenzionale, occorre in via preliminare sgombrare il campo da un equivoco
esiziale. Possiamo legittimamente attribuire allo schema corporeo il rango di una rappresentazione che in quanto tale definita
per il suo dirigersi verso un contenuto intenzionale oggettuale?
Gallagher (1986: 149; 1995: 239) e Legrand (2006: 97) assumono
al riguardo una posizione piuttosto netta: lo schema corporeo
rende s possibile e vincola al tempo stesso la coscienza intenzionale sottesa alla percezione e allazione; tuttavia, di per
se stesso considerato, non coincide n con una percezione, con

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unimmagine o anche solo con una forma marginale di consapevolezza, ma esprime piuttosto lassetto strutturale del corpo nel
compimento dellazione in ottemperanza a interessi di ordine
pragmatico. Se lo schema corporeo costituisce un sub-componente fondamentale per la genesi del senso di certezza corporeo, di certo non corrisponde allo strato del corpo vissuto come
proprio che qualifica in modo eminente questo tipo di consapevolezza. Quanto alle rappresentazioni che ricadono sotto il titolo
dellimmagine corporea, abbiamo rilevato a pi riprese come il
loro carattere oggettuale non le renda idonee a catturare nella
sua effettiva fisionomia qualitativa e nel suo modo soggettivo
di manifestazione la consapevolezza corporea. Occorrer allora
muovere un passo innanzi verso lesperienza della corporeit
cos come la viviamo ordinariamente e prendere in considerazione unulteriore coppia concettuale, che vede strettamente
congiunti e integrati i due poli del senso di propriet e di agentivit.

1.2. Il corpo che sente e il corpo che fa. Senso di propriet e


senso di agentivit
Lautoconsapevolezza corporea pu essere definita nel suo
nucleo minimale come la certezza irrefutabile di essere il latore
delle proprie sensazioni corporee e liniziatore dei propri movimenti volontari. Queste funzioni rimandano alle due componenti del s personale individuate nella letteratura pi recente
in sede di filosofia della mente, scienze cognitive e neuroscienze,
ossia il senso di propriet (corporea) e il senso di agentivit, che
condividono con le forme pi elaborate di autocoscienza la medesima struttura del riferimento a s e la propriet dellimmunit da errori di autoidentificazione (Bermdez, 2011: 157). Se il
senso di propriet definito come la sensazione o il sentimento
di appartenenza del proprio corpo che qualifica lesperienza che
ne faccio nella sua provenienza dallinterno e che contrassegna
questo corpo fisico che mi capita di essere in quanto il mio,
il senso di agentivit investe invece la certezza altrettanto indefettibile di essere lautore delle proprie azioni consapevoli e
volontarie (Gallagher, 2000: 16). Dal punto di vista funzionale,
le due componenti differiscono inoltre per il fatto che il senso
di agenzia induce una forma maggiormente globale e coerente
di certezza propriocettiva rispetto al senso di propriet e per la
relazione gerarchica che esse intrattengono (Tsakiris et al., 2006:
430-431; Tsakiris et al., 2007a: 651): attribuire a me stesso il ruolo
di iniziatore di unazione implica necessariamente essere consapevole delle membra corporee che impiego nelleseguire i movimenti che la realizzano, ma posso continuare a mantenere il
mio senso corporeo di propriet anche in assenza di movimenti
volontari. Nellesperienza quotidiana, senso di propriet e senso
di agentivit concorrono entrambi a dar vita alla certezza di s
corporea e a impregnare di s tutte le nostre azioni e movimenti, tanto da essere fenomenicamente quasi indistinguibili, data
limmediatezza con cui viviamo lesser sempre qui del corpo
(Van den Bos & Jeannerod, 2002: 178; Gallagher, 2005: 190).
Come vengono a combinarsi le rappresentazioni dello schema e dellimmagine corporea nel dar vita al senso corporeo di
propriet e di agentivit? Abbiamo notato come la distinzione
tra schema e immagine corporea abbia natura prettamente
concettuale, dato che, come nel caso del senso di propriet e
di agentivit, le due componenti concorrono in modo strettamente congiunto a strutturare la nostra consapevolezza e il nostro agire, cosicch nellesperienza normale i loro confini sono
molto pi sfumati di quanto non possa apparire a prima vista.
unacquisizione ormai consolidata in letteratura neuroscientifica e corroborata da solide evidenze sperimentali (ad es. lo
studio delle patologie dello schema e dellimmagine corporea
e gli esperimenti sullillusione della mano di gomma) che il senso di propriet sia costituito da un lato da sensazioni afferenti
momentanee e dallaltro da rappresentazioni cognitive off-line
preesistenti e permanenti (sulla distinzione tra rappresentazioni corporee on-line e off-line cfr. Carruthers, 2008). Tra le prime

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troviamo anzitutto informazioni di natura enterocettiva (Craig,


2003; de Preester, 2007: 605-606), quindi visiva, tattile, cinestesica e propriocettiva che si offrono in tempo reale e fungono
a livello bottom-up. Le rappresentazioni off-line ( di tipo visivo,
propriocettivo, affettivo, concettuale ecc.) modulano invece le
informazioni afferenti in direzione top-down e ne influenzano
i decorsi. Nessuna delle due componenti sufficiente da sola a
produrre il senso di propriet (Costantini & Haggard, 2007: 230231), mentre lo lapporto delle differenti modalit sensoriali
anche in assenza del senso di agentivit (de Vignemont, 2007:
440; Tsakiris et al., 2007b: 2235). Nella genesi della fenomenologia del senso di propriet corporea rifluiscono dunque informazioni sensorie provenienti tanto dallo schema corporeo, quanto
dallimmagine corporea. Va precisato tuttavia a tal proposito
che lo schema corporeo ci che in prima istanza fonda la certezza alla prima persona che caratterizza il senso di propriet
corporea, dato che non lo condividiamo con nessun altro e che
esso veicola le sensazioni corporee (tattili e propriocettive) che
danno vita al senso di propriet corporeo e allo spazio intracorporeo del corpo vissuto soggettivamente a partire dalla loro
localizzazione spaziale (De Vignemont, 2007: 438 ss.). Le cose
stanno diversamente col senso di agentivit, alla cui costituzione concorrono esclusivamente i comandi motori efferenti che
precedono lazione e traducono in movimento effettivo lintenzione motoria, nonch gli input sensoriali della copia efferente
di feedback, analoghi in tutto e per tutto alle sensazioni afferenti che a livello bottom-up fungono da materiale grezzo per
il senso di propriet. Pi che a strutture rappresentazionali, qui
ci troviamo propriamente di fronte a quegli eventi cinestesici,
tattili e propriocettivi che danno origine allo schema corporeo,
in conformit del resto alla fenomenologia sottile del senso di
agentivit, in cui il corpo non tanto loggetto di una certezza
tematicamente indirizzata verso un correlato oggettuale, quanto una struttura trasparente e pre-riflessiva che regredisce sullo
sfondo dei nostri pensieri e delle nostre azioni consapevoli (Tsakiris et al., 2007a: 645).
Anche riguardo alla specifica fisionomia del modo di manifestazione di queste forme di certezza corporea, notiamo dunque come tanto luna quanto laltra, piuttosto che presentarsi
come strutture monolitiche e compatte, siano articolate al loro
interno secondo una caratteristica stratificazione di componenti
ordinate gerarchicamente. A un livello base, individuiamo una
molteplicit di rappresentazioni non-concettuali momentanee
preposte alla registrazione sensoriale degli effetti delle proprie
azioni (ossia le informazioni afferenti e i comandi motori afferenti prima menzionati), quindi uno strato di rappresentazioni nonconcettuali e stabili (percezioni e sentimenti) che danno origine
al senso di propriet e di agentivit propriamente detto. A un
livello superiore si collocano le rappresentazioni concettuali
coinvolte nella formazione dei giudizi di propriet e di agentivit, quindi uno strato metarappresentativo, in cui rientrano
credenze culturali di sfondo e norme sociali condivise che concorrono allestensione del senso di propriet al di l dei confini
del s corporeo e allattribuzione della responsabilit morale al
soggetto dazione (Synofzik et al., 2008: 415-420; de Vignemont,
2011a: 83).
Alla luce di quanto detto finora, sorge linterrogativo relativo
a quale sia il livello in cui individuare propriamente la certezza di
s corporea, sotto il duplice riguardo delle sue modalit di strutturazione e degli aspetti qualitativi che ne contraddistinguono la
fenomenologia alla prima persona. Come accennato in apertura
del presente contributo, le esperienze in cui giunge a manifestazione il s corporeo sono accomunate dal possesso della struttura formale dellautoriferimento, che si annuncia in modo talmente immediato ed evidente da costringerci ad attribuire a noi
stessi i nostri stati corporei e le nostre azioni. Questa circostanza
ha indotto molti filosofi ad attribuire allautoconsapevolezza
corporea la propriet dellimmunit dagli errori di auto-identificazione, descritta da Shoemaker (1968: 556 ss.) sulla falsariga
della distinzione introdotta da Wittgenstein nel Libro blu tra usi

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soggettivi e usi oggettivi del pronome io (Wittgenstein, 1958:


90). Nel caso dei primi, che occorrono in espressioni come ho
mal di testa o sto alzando il mio braccio destro, non possiamo
ingannarci intorno al riferimento delle propriet espresse dal
predicato al soggetto stesso che le profferisce, a differenza degli
enunciati in cui il pronome io viene impiegato secondo luso
oggettivo (sono alto un metro e settantasette, la mia gamba
rotta ecc.). Va precisato per che nellottica di Shoemaker il fenomeno dellimmunit interessa soltanto gli stati mentali, dato
che la certezza introspettiva alla prima persona non ci rivela a
noi stessi come soggetti incarnati e laccesso ai nostri stati corporei in ogni caso mediato da rappresentazioni mentali (Shoemaker, 1984; 1986). Questo tuttavia non ha impedito a Evans
(1982: 220-224) di estendere la propriet dellimmunit anche
ai modi in cui noi veniamo a conoscenza delle nostre propriet
corporee, ossia 1) la capacit generale di percepire il nostro corpo basata sulle risorse fornite dalla propriocezione, dal senso di
equilibrio, dalle sensazioni enterocettive e nocicettive ecc., e 2)
la percezione del nostro corpo in relazione al suo orientamento
e alla sua posizione rispetto agli oggetti del mondo circostante.
Nella prospettiva di Evans, limmunit da errori di identificazione ci attesta del fatto che le esperienze di auto-attribuzione di
propriet corporee (e mentali) si impongono al soggetto che le
intrattiene con unevidenza diretta e immediata che non ha riscontro negli stati intenzionali in cui facciamo esperienza degli
oggetti del mondo esterno. Anche Legrand (2006: 93 ss.), che su
questo punto si richiama esplicitamente a Shoemaker e Evans,
attribuisce allautoconsapevolezza corporea cos come intrattenuta a partire dalla prospettiva alla prima persona la propriet
dellimmunit, dato che essa non mette capo a un contenuto
oggettuale, ma esprime direttamente la relazione a s del corpo soggettivo che esperisce se stesso come latore delle proprie
percezioni e delle proprie azioni.
Lelusivit della certezza di s corporea e della fenomenologia dellesser-mio che laccompagna rappresenta agli occhi
di molti autori la spia di unanomalia che rende problematico
assimilarla a questa o a quella categoria di stato cognitivo. Lo
stesso Shoemaker (1968: 563-564) afferma risolutamente che
per venire a capo della certezza di s occorre abbandonare ogni
modello basato sulla percezione e in generale sulla conoscenza
osservazionale. Sembra dunque che ogni definizione del senso
di certezza corporea non vada molto al di l di una ripetizione
tautologica dei termini in essa impiegati, in cui non si riesce ad
esprimere altro se non il puro fatto che il mio corpo ci che io
stesso sono, e non semplicemente un mio annesso o possesso
(Borghi & Cimatti, 2010: 767).
La difficolt di catturare in termini concettuali la dimensione
esperienziale e qualitativa in cui si offre lautoconsapevolezza
corporea forse il motivo che induce Bermdez (2011: 161-166)
ad avallare un approccio alla certezza corporea di sapore schiettamente eliminativista: non vi nulla come una dimensione distinta e fenomenologicamente rilevante del senso di propriet,
inteso al modo di una certezza immediata e non osservazionale,
non veicolata da percezioni o giudizi, contrariamente allipotesi
inflazionaria propugnata da Gallagher (2005: 29). Bermdez
adotta una linea argomentativa analoga a quella di Anscombe
(1962), secondo cui la conoscenza dei nostri stati corporei equivale a una certezza non osservazionale non mediata da sensazioni propriocettive o cinestesiche, dato che queste sono sottodeterminate rispetto alla conoscenza che dovrebbero fondare
e non sono descrivibili in modo indipendente da essa. Di per
s considerate, le sensazioni corporee non ci informano sullassetto delle nostre membra, e meno ancora su quellimpalpabile
sensazione di miit che dovrebbe accompagnarle: il contenuto
di queste sensazioni infatti estremamente povero e generico,
giacch si riduce ai dati relativi agli stimoli tattili esercitati sulla superficie cutanea, alla tensione muscolare ecc. e non dice
nulla di specifico riguardo a ci che provo ad es. quando le mie
gambe sono incrociate, a meno di non appellarsi a una sensazione particolare avente come oggetto lessere incrociato delle

52

gambe, col che ci troveremmo per dinanzi a una descrizione


non indipendente e tautologica. La descrizione di una rapida
discesa in ascensore nei termini di unimprovvisa sensazione di
leggerezza e di sobbalzo allo stomaco cattura invece sia pure
in modo approssimativo qualcosa di questa esperienza, poich
non menziona gli stessi termini impiegati nel fenomeno da descrivere ed quindi indipendente da questo.
Tutto ci che ci rimane in mano dunque quando parliamo
di senso di propriet si riduce ad alcuni fatti relativi agli aspetti
qualitativi delle sensazioni corporee e ai giudizi alla prima persona sul nostro corpo, che formuliamo a prescindere da ogni
contenuto sensoriale. Non c un senso qualitativo di propriet
che aleggia sulle nostre sensazioni corporee, che considerate
di per se stesse sono neutrali quanto alla possibilit di qualificarle come soggettive od oggettive, e si differenziano dalle
sensazioni esterocettive per il solo fatto di ricadere allinterno
dei confini del corpo (Dokic, 2003: 325; Martin, 1995: 270 ss.).
Bermdez attribuisce dunque la propriet dellimmunit da errori di identificazione soltanto ai giudizi in cui la certezza corporea trova espressione e non ritiene che gli aspetti qualitativi
delle sensazioni corporee costituiscano uno strato fenomenologico dotato di autonoma consistenza. Questa conclusione si
rivela problematica per almeno due ordini di motivi. In primo
luogo, se il senso di propriet di pertinenza esclusiva di un
atto cognitivo giudicativo e non osservazionale, non v nulla
che distinguerebbe lapprensione diretta del mio corpo da una
conoscenza anatomica relativa alla posizione dei miei organi
interni, di cui in condizioni normali non ho alcuna percezione
(cfr. de Vignemont, 2011b). In secondo luogo, non si comprende affatto su quale base percettiva dovrebbero fondarsi i giudizi del senso di propriet e la stessa autocoscienza corporea,
dato che Bermdez ha gi escluso in partenza che le sensazioni propriocettive e cinestesiche possano fungere da candidati
idonei. Del resto a non consentirlo la stessa caratterizzazione
che Bermdez imprime alle rappresentazioni corporee, equiparate in conformit a un pregiudizio empiristico ormai datato ad
aggregati puntillistici di atomi sensoriali, quando vero invece
che esse costituiscono la componente materiale degli eventi
percettivi unitari in cui sono inscritte e presuppongono la struttura olistica dello schema corporeo (cfr. Waldenfels, 2000: 45
ss.).

2. Lesperienza del corpo in fenomenologia: Husserl e


lautocostituzione del corpo vissuto
Come dovrebbe risultare dalle considerazioni precedenti, il
modo in cui il nostro corpo si manifesta a noi stessi contrassegnato da una fondamentale duplicit. Da una parte troviamo il corpo assimilato ad ogni altro oggetto intenzionale, che
come questi si offre alla nostra percezione solo attraverso scorci
parziali. In questa dimensione non rientra soltanto lesperienza
ordinaria del corpo reificato, ma anche limmagine della corporeit mediata dallanatomia, dalla biologia, dalla neurofisiologia
e dalle scienze cognitive, che eleggono il corpo a oggetto di indagine a partire da una prospettiva alla terza persona. Dallaltra
parte dobbiamo per confrontarci con una dimensione apparentemente intrattabile, che recalcitra ad ogni tentativo di lasciarsi catturare attraverso strategie dapproccio oggettivanti,
dato che propriamente non si presta a unapprensione di tipo
percettivo od osservazionale, ossia quella in cui si annuncia il
corpo come soggetto, il corpo che noi stessi siamo transitivamente e viviamo dallinterno e che, pur fungendo di continuo
alle spalle della nostra esperienza del mondo come sfondo unitario, si sottrae per lo pi alla nostra consapevolezza diretta. Ci
siamo imbattuti a pi riprese nelle difficolt inerenti a ogni tentativo di cogliere questo strato nella sua fisionomia originaria,
difficolt addebitabili anzitutto alla fenomenologia recessiva
che caratterizza la certezza di s corporea e che vengono ad
acuirsi ulteriormente nel momento in cui adottiamo nei con-

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fronti di questa esperienza lattitudine oggettivante che vige


negli orientamenti mainstream adottati in sede di scienze cognitive. Anche gli approcci animati dal proposito di riconoscere
la consistenza genuina dellautoconsapevolezza corporea (su
cui ci siamo soffermati nei paragrafi precedenti) tendono infatti
a risolverla senza residui nei meccanismi cognitivi e neurofisiologici di base che la implementano, e si contraddistinguono per
una sostanziale diffidenza nei confronti della visione inflazionaria offerta dalla fenomenologia della corporeit e della personale rilettura che ne propone Gallagher (per una posizione
che esemplifica appieno questo atteggiamento cfr. de Vignemont, 2011b).
In realt, a dispetto di queste difficolt, la fenomenologia
ha offerto unanalisi estremamente raffinata e minuziosa degli
aspetti soggettivi della dimensione della corporeit che rimane
a tuttoggi insuperata quanto ad aderenza e resa descrittiva, ed
senzaltro meritevole di un confronto con le evidenze sperimentali maturate dalle scienze della cognizione. Il corpo soggettivo,
che in fenomenologia designato col termine corpo vivo o corpo proprio (Leib), un sistema unitario e integrato di percezioni
sensoriali, propriocettive, cinestesiche e affettive che in quanto
tale costituisce il centro di irradiazione del senso di propriet e
di agentivit e si sorregge essenzialmente sulle risorse informazionali offerte dallo schema corporeo, in particolare i comandi
motori efferenti e le percezioni tattili e propriocettive. In modo
analogo allo schema corporeo, sia pure senza coincidere con
esso, il corpo vivo una struttura olistica e globale aggiornata
di continuo che accompagna in modalit on-line ogni nostro
vissuto e ogni nostra azione senza mai venir meno del tutto.
Alla costituzione del corpo oggetto (Krper) concorrono invece
tutte le informazioni percettive multimodali (ferma restando la
predominanza di quelle visive), nonch le rappresentazioni concettuali, affettive e valutative gi preesistenti e fungenti off-line
comprese sotto il titolo dellimmagine corporea. Il corpo oggetto ricade dunque in via quasi esclusiva nel versante del senso di
propriet corporea, dato che le capacit motorie implicate dal
senso di agentivit svolgono un ruolo marginale, che consiste
nel conferire unitariet alle rappresentazioni parziali veicolate
dallimmagine corporea.
Nel secondo volume di Idee Husserl (1952, 147-159) tenta di
ricostruire la genesi dello strato esperienziale del corpo vissuto
attraverso unanalisi regressiva mirante a individuare nelle sensazioni tattili di localizzazione e nelle cinestesie corrispondenti il
fattore fondamentale che presiede alla costituzione sintetica del
corpo vissuto. Le sensazioni di localizzazione si distinguono dalle sensazioni tattili esterocettive funzionali allapprensione degli
oggetti secondo le loro determinazioni materiali in quanto garantiscono un accesso diretto e immediato alla sfera del corpo
vivo senza che sia necessaria la mediazione di rappresentazioni
intenzionali dirette a un oggetto. Che le sensazioni di localizzazione possano ricoprire o percorrere la superficie dello spazio
somatico Husserl suggerisce per questo fenomeno il termine
Ausbreitung costituisce una propriet ben differente dallestensione delle propriet materiali della cosa naturale, dal momento
che qui non ci troviamo di fronte a caratteristiche reali. Lo strato
delle sensazioni e delle cinestesie di localizzazione una prerogativa che spetta in via esclusiva e originaria al corpo vissuto e
che esso non condivide con nessun altro corpo, in quanto esse
non manifestano il corpo-oggetto nella sua consistenza materiale, ma il corpo soggettivo come organo senziente.
Questo modo desperienza del corpo proprio si manifesta
appieno nel fenomeno del touchant/touch, che Husserl illustra
ricorrendo allesempio del contatto reciproco delle due mani al
fine di fare risaltare pi nitidamente la differenza tra lapprensione del corpo vivo e quella di un qualunque oggetto fisico.
Nel momento in cui una mano tocca laltra, la mano toccante
latrice di sensazioni tattili esterocettive dotate di funzione
rappresentante che mettono capo a una percezione oggettuale
e costituiscono la mano toccata come una cosa materiale. Dal
canto suo, nella mano toccata vengono a localizzarsi delle sen-

53

sazioni di contatto (Empfindnisse) di natura enterocettiva che


mi consentono di apprenderla come parte non separabile del sistema complessivo di percezioni sensoriali e di capacit motorie
che il mio corpo vivo e danno quindi luogo a una sorta di autorappresentazione riflessiva della superficie corporea nellunit
delle sue parti localizzata lungo tutto il campo delle rappresentazioni tattili. Le sensazioni di localizzazione non mettono capo
a una reificazione, ma piuttosto a una tematizzazione riflessiva
del corpo vissuto in quanto organo desperienza (Zahavi, 1999:
106). In altre parole, le sensazioni tattili che avvertiamo quando
un oggetto entra in contatto con la nostra superficie cutanea
suscitano simultaneamente una certezza relativa alla materialit delloggetto e una certezza quasi-spaziale non intenzionale
relativa ai limiti e alla sensibilit del corpo vissuto, che costituisce la base sensoria del senso di propriet corporeo (Slatman,
2005: 310; 2009: 323-324). Le intuizioni di Husserl sono state
recentemente corroborate in sede sperimentale: in uno studio
sulle manipolazioni indotte nellesperienza del doppio contatto
stata avanzata lipotesi che latto del toccare se stessi modula e
influenza la rappresentazione strutturale del corpo, anzich esserne tributario, e costituisce il fattore che guida lintegrazione
delle molteplici esperienze sensori-motorie che concorrono alla
sua genesi (Schtz-Bosbach et al., 2009).
Sono dunque le sensazioni tattili di localizzazione e le cinestesie che ne guidano i decorsi a fondare lesperienza del corpo
vissuto alla prima persona, realizzando la piena coincidenza tra
corpo senziente e corpo sentito secondo una modalit peculiare
che rimane preclusa agli altri sensi (Paterson, 2007: 30-31). Il fenomeno del doppio contatto istituisce la possibilit di una struttura di autoriferimento grazie a cui il corpo vivo si manifesta a se
stesso dando luogo a una certezza di s di ordine soggettivo e
preintenzionale, che non si origina da un atto categoriale, ma da
una sintesi estetica che non procede per adombramenti parziali
(Welton, 1999; 46; Legrand, 2011: 219 e 223-224), come avviene nel caso degli oggetti percepiti, bens retta dallesercizio
regolato di cinestesie tattili e motorie (Petit, 2005: 203; 2010:
210-212). Si tratta in altri termini di una forma primitiva e non
osservazionale di coscienza di s, che colora ogni mia esperienza fenomenica della qualit dellessere per me (Legrand, 2007:
584). Nel corso di questo processo, che chiama in causa tutte le
modalit sensori-motorie preposte alla formazione dello schema e dellimmagine corporea, trae origine al contempo anche
lapprensione del corpo oggetto. Tra la costituzione degli oggetti spaziali e quella del corpo proprio sussiste dunque una relazione di co-dipendenza: non mi trovo dapprima dinnanzi a un
corpo che utilizzo come strumento per orientarmi nel mondo e
fare esperienza degli oggetti, ma il mondo stesso mi si rivela simultaneamente al corpo che vivo dallinterno (Zahavi, 2002: 20).
Nel momento in cui accediamo al corpo attraverso le modalit percettive che lo costituiscono a cosa materiale in primo
luogo la vista , questo ci si manifesta secondo una caratteristica
e fondamentale incompiutezza, dato che senza lausilio di artefatti ne vediamo solo una parte e ce ne rimane precluso per di
pi proprio il volto, in cui sono inscritte la possibilit del nostro
sguardo sul mondo e le sembianze che esibiamo agli altri di ci
che siamo. Ci che di primo acchito contraddistingue la nostra
esperienza del corpo infatti il suo manifestarsi come una cosa
costituita in un modo curiosamente incompiuto (Husserl, 1952:
161). un fatto ovvio che del mio corpo non riesca a vedere in
condizioni normali che la parte anteriore, escluso il volto. Solo
grazie agli specchi sono in grado di apprendere di esso tutto ci
che precluso alla percezione che ne ho abitualmente senza
lausilio di artefatti. Queste limitazioni sono del resto insite nelle mie stesse possibilit cinestesico-motorie: non posso girare
attorno al mio corpo come faccio con gli oggetti, perch questo possa rivelarmi tutte le sue facce in un decorso sintetico di
adombramenti percettivi, cos come non posso muovere il mio
corpo come qualunque altro oggetto, ad esempio respingendolo via da me, proprio perch esso sempre con me. Linvisibilit
costitutiva del corpo un dato che contrasta in modo stridente

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con levidenza apparente dellunitariet del senso del nostro s


corporeo cos come lo avvertiamo momento dopo momento
nel corso delle pi banali contingenze quotidiane. Ogni oggetto
che si costituisca in via esclusiva attraverso la visione, ivi compreso lo stesso corpo, pu esibire solo lo strato ontologico della
cosa materiale. Posso palpare locchio, ma non percepirlo visivamente in quanto tale, e quando lo guardo riflesso allo specchio
ne ho unapprensione indiretta che costruisco sulla base di un
giudizio di identit tra locchio che palpo e avverto cinestesicamente e limmagine speculare che vedo di fronte a me. Oltre a
ci, le sensazioni visive come ad esempio quelle cromatiche
sono localizzate nelloggetto visto e non nellocchio stesso.
Tra gli oggetti e locchio e tra un occhio e laltro non si danno
poi sensazioni di contatto, come avviene per le due mani che
si toccano a vicenda. Riguardo allapprensione del corpo vivo,
tra vista e tatto sussiste una fondamentale asimmetria: il corpo
che vede e il corpo visto non intrattengono affatto una relazione
reciprocamente reversibile analoga a quella che vige invece tra
il corpo che tocca e il corpo che toccato, il che contribuisce a
spiegare perch la percezione visiva concorra in maniera solo
subordinata alla costituzione del corpo vivo.
Come dovrebbe essere chiaro da queste considerazioni, il
modello di costituzione del senso di propriet corporeo contemplato da Husserl rende superfluo il ricorso a rappresentazioni complessive del corpo gi previamente formate, dato che il
processo attraverso cui esso si genera si dipana nel corso di una
sintesi progressiva di sensazioni propriocettive e di cinestesie
che non procede per adombramenti, come il caso delle percezioni doggetto, ma d luogo a uno spazio intracorporeo non
egocentrico omogeneo e uniforme (Bermdez, 1998: 152-153;
Gallagher & Zahavi, 2008: 221). Le sensazioni di localizzazione
non si presentano infatti in ordine sparso, ma si diffondono in
un campo unitario coestensivo alla struttura del corpo fisico e
alla sua superficie che viene a prendere forma man mano che
i relativi decorsi sintetici procedono. Non ha senso chiedersi ad
esempio se siano pi vicini a me la mia mano o il mio piede, o
se si prova qualcosa di differente a sentire come proprio luna o
laltro, giacch in primo luogo il mio corpo nella sua interezza
a costituire il centro della mia prospettiva percettiva e del mio
campo dazione, e in secondo luogo le sensazioni propriocettive
che mi informano della posizione delle mie membra e della loro
appartenenza al mio corpo vissuto non ammettono differenze qualitative o di forma aspettuale, come avviene invece per
le rappresentazioni dellimmagine corporea, assimilabili sotto
questo riguardo a qualunque altra percezione doggetto. Queste ultime osservazioni ci consentono inoltre di rispondere alla
questione relativa alla portata intenzionale dei due fondamentali modi di apprensione del corpo contemplati in fenomenologia ossia il corpo oggetto e il corpo vissuto e alle strutture
cognitive profonde che li informano. In prima approssimazione
possibile affermare che alla costituzione del corpo-oggetto
presiedono le rappresentazioni intenzionali che rientrano sotto
il titolo dellimmagine corporea, mentre il senso di propriet e
di agentivit corporea presentano in modo diretto e immediato
il corpo soggettivo in quanto tale senza costituirlo come un oggetto intenzionale e traggono la loro origine dalle informazioni
sensori-motorie che rifluiscono nello schema corporeo, ferma
restando linfluenza che possono eventualmente esercitare su
di essi le rappresentazioni dellimmagine corporea. Sar unindagine pi approfondita sui meccanismi neurofisiologici sottesi
a questi due dispositivi cognitivi a doversi far carico del compito
di corroborare sperimentalmente o eventualmente di porre
in revoca le intuizioni al riguardo maturate in sede di analisi
fenomenologica.
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Embodied simulation theory and


intersubjectivity1.
Vittorio Gallese - vittorio.gallese@unipr.it

Dept. of Neuroscience Section of Physiology, University of Parma, Italy

Abstract

Primates and human beings are social animals whose cognitive development capitalizes upon the interaction with other conspecifics. Fundamental among social abilities is the capacity to accurately detect and understand the intentional conduct of others, to
anticipate their upcoming actions, and to appropriately adjust ones own behavior. From an evolutionary perspective, the traditional
view claims the existence of a sharp cognitive discontinuity between humans and nonhuman primates. However, recent findings in
cognitive neuroscience shed light on the existence of a common neural mechanism that could account for action and intention understanding abilities both in humans and nonhuman primates. The discovery of mirror neurons and of other mirroring mechanisms in the
human brain shows that the very same neural substrates are activated when these expressive acts are both executed and perceived.
I summarize here recent neuroscientific evidence shedding light on the neural mechanisms likely underpinning important aspects of
intersubjectivity and social cognition. I discuss this evidence in relation to empathy and introduce my theory of embodied simulation, a
crucial functional mechanism of intersubjectivity by means of which the actions, emotions, and sensations of others are mapped by the
same neural mechanisms that are normally activated when we act or experience similar emotions and sensations.

Keywords

Social cognition, mirror neurons, intersubjectivity, embodied simulation, empathy

Introduction
Primates, and particularly human beings, are social animals
whose cognitive development capitalizes upon the interaction
with other conspecifics (adults, siblings, etc.). During social interactions we manifest our inner intentions, dispositions and
thoughts by means of overt behavior. Similarly, we try to figure
out what are the intentions, dispositions and thoughts of others,
when witnessing their behavior. Detecting another agents intentions, or other inner states, helps anticipating this agents
future actions, which may be cooperative, non-cooperative, or
even threatening. Accurate understanding and anticipation
enable the observer to adjust her/his responses appropriately.
Fundamental among social abilities is the capacity to accurately
detect and understand the intentional conduct of others, to anticipate their upcoming actions, and to appropriately adjust ones
own behavior.
The phylogenetic origins of this capacity and its development
in ontogenesis are matters of debate in both comparative and
developmental psychology.
From an evolutionary perspective, the traditional view claims
the existence of a sharp cognitive discontinuity between humans and nonhuman primates. Humans supposedly understand
others by means of their capacity to mind read, that is, to attribute a causal role to internal mental states. All other animal species
would be confined to the observable causal aspects of reality,
that is, would be basically just behavior readers. From an ontogenetic perspective, theories differ about how and when the
supposed mind reading ability emerges during infant cognitive
development.
Recent findings in cognitive neuroscience shed light on the
existence of a common neural mechanism that could account for
action and intention understanding abilities both in humans and
nonhuman primates. These findings revealed that the motor cortex, long confined to the mere role of action programming and
execution, in fact plays a crucial role in complex cognitive abilities such as the understanding of the intentions and goals of actions. When observing other acting individuals, and facing their
full range of expressive power (the way they act, the emotions
and feelings they display), a meaningful embodied interpersonal
link is automatically established.

The discovery of mirror neurons and of other mirroring mechanisms in the human brain shows that the very same neural
substrates are activated when these expressive acts are both
executed and perceived. Thus, we have a neurally instantiated
we-centric space. I posit that a common underlying functional
mechanism embodied simulation mediates our capacity to
share the meaning of actions, intentions, feelings, and emotions
with others, thus grounding our identification with and connectedness to others.
The article is structured as follows. I summarize recent neuroscientific evidence shedding light on the neural mechanisms
likely underpinning important aspects of intersubjectivity and
social cognition. This evidence has accumulated since our discovery in the macaque monkey premotor cortex of a particular
class of neurons known as mirror neurons. I discuss this evidence in relation to empathy and introduce my theory of embodied
simulation, a crucial functional mechanism of intersubjectivity by
means of which the actions, emotions, and sensations of others
are mapped by the same neural mechanisms that are normally
activated when we act or experience similar emotions and sensations. Embodied simulation theory provides a model of potential interest not only for our understanding of how interpersonal
relations work but also for our understanding of important psychopathological aspects of intersubjectivity.

1. Mirror neurons
Mirror neurons are premotor neurons that fire both when an
action is executed and when it is observed being performed by
someone else. (Gallese et al., 1996; Rizzolatti, et al. 1996). Neurons with similar properties were also discovered in a sector of
the posterior parietal cortex (Gallese et al., 2002; Fogassi et al.,
2005). The same motor neuron that fires when the monkey grasps a peanut is also activated when the monkey observes another individual performing the same action.
Action observation causes in the observer the automatic activation of the same neural mechanism triggered by action execution. The novelty of these findings is the fact that, for the first
time, a neural mechanism allowing a direct mapping between
the visual description of a motor act and its execution has been
identified. This mapping system provides a parsimonious solu-

1.Versione modificata da: Gallese, V. (2010). Embodied Simulation and its Role in Intersubjectivity. In T. Fuchs, H.C. Sattel, P. Henningsen (eds.). (2010), The
Embodied Self. Dimensions, Coherence and Disorders. Stuttgart: Schattauer, pp. 78-92.

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tion to the problem of translating the results of the visual analysis


of an observed movement in principle, devoid of meaning for
the observer into something that the observer is able to understand (Gallese et al., 1996; Rizzolatti et al., 1996).
The proposal that mirror neurons activity reflects an internal
motor description of the perceived actions meaning rather than
a mere a visual description of its features has been demonstrated
in two seminal experiments.
In the first study, Umilt et al. (2001) found a subset of premotor mirror neurons that discharged also during the observation
of partially hidden actions, coding the action outcome even in
the absence of the complete visual information about it. Macaque monkeys mirror neurons therefore respond to observed
acts not exclusively on the basis of their visual description, but
on the basis of the anticipation of their final goal-state, simulated
through the activation of its motor neural motor representation
in the observers premotor cortex
Those data, of course, do not exclude the co-existence of a
system that visually analyzes and describes the acts of others,
most likely through the activation of extra-striate visual neurons
sensitive to biological motion. However, such visual analysis per
se is most likely insufficient to provide an understanding of the
observed act. Without reference to the observers internal motor
knowledge, this description is devoid of factual meaning for the
observing individual (Gallese et al., 2009).
A second study (Kohler et al., 2002) demonstrated that mirror
neurons also code the actions meaning on the basis of their related sound. A particular class of F5 mirror neurons (audio-visual
mirror neurons) responds not only when the monkey executes
and observes a given hand action, but also when it just hears
the sound typically produced by the same action. These neurons
respond to the sound of actions and discriminate between the
sounds of different actions, but do not respond to other similarly interesting sounds such as arousing noises, or monkeys and
other animals vocalizations.
Mirror neurons activity reveals the existence of a mechanism
through which perceived events as different as sounds, or images, are nevertheless coded as similar to the extent that they represent the assorted sensory aspects of the motor acts goal. It
has been proposed that mirror neurons by mapping observed,
implied, or heard goal-directed motor acts on their motor neural
substrate in the observers motor system, allow a direct form of
action understanding, through a mechanism of embodied simulation (Gallese, 2005; 2006; Gallese et al., 2009).

2. Mirror neurons and the understanding of action


intentions
So far we have seen that mirror neurons in macaque monkeys
likely underpin a direct form of action understanding. However,
human social cognition is far more sophisticated. We not only
understand what others are doing but also why, that is, we can
attribute intentions to others. Indeed, the mainstream view on
action and intention understanding holds that humans when
understanding others start from the observation of an intentionally opaque behavior, biological motion, which has to be interpreted and explained in mental terms. This explanatory process
is referred to as mind reading, that is, the attribution to others of
internal mental states, mapped in the mind of the observer as internal representations in propositional format. These representations supposedly play a causal role in determining the observed
behavior to be understood.
I challenge this purely mentalistic view of intersubjectivity. I
posit that at the basis of our capacity to understand others intentional behavior both from a phylogenetic and ontogenetic point of view there is a more basic functional mechanism,
which exploits the intrinsic functional organization of parietopremotor circuits like those containing mirror neurons. This proposal is based on the emergence of striking homologies betwe-

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en the neural mechanisms underpinning action understanding


in monkeys and humans.
In fact, a study by Fogassi et al. (2005) showed that parietal mirror neurons in addition to recognizing the goal of the
observed motor act, allow the observing monkey to predict the
agents next action, henceforth its overall intention. This neural
mechanism, present in a non-linguistic species, could scaffold
more sophisticated social cognitive abilities, as those characterizing our species (Gallese and Goldman, 1998; see also Gallese,
2006; 2007).
It must be emphasized that mirror neurons are not magic
cells. Their functional properties are the outcome of the integration they operate on the inputs received from other brain areas.
What makes the functional properties of mirror neurons special,
though, is the fact that such integration process occurs within the
motor system. Far from being just another species of multi-modal associative neurons in the brain, mirror neurons anchor the
multimodal integration they operate to the neural mechanisms
presiding over our pragmatic relation with the world of others.
Because of this reason they enable social connectedness by reducing the gap between Self and others (Gallese et al., 2009).

3. Mirroring mechanisms in humans


Several studies using different experimental methodologies
and techniques have demonstrated also in the human brain
the existence of a mechanism directly mapping action perception and execution, defined as the Mirror Mechanism (MM) (for
review, see Rizzolatti et al., 2001; Gallese, 2003a; 2003b; 2006;
Gallese et al., 2004; Rizzolatti & Craighero, 2004). During action
observation there is a strong activation of premotor and posterior parietal areas, the likely human homologue of the monkey
areas in which mirror neurons were originally described. The mirroring mechanism for actions in humans is somatotopically organized; the same regions within premotor and posterior parietal
cortices normally active when we execute mouth, hand, and foot
related acts are also activated when we observe the same motor
acts executed by others (Buccino et al., 2001). Watching someone grasping a cup of coffee, biting an apple, or kicking a foot-ball
activates the same neurons of our brain that would fire if we were
doing the same.
The MM in humans is directly involved in imitation of simple
movements (Iacoboni et al., 1999), imitation learning of complex
skills (Buccino et al., 2004a), in the perception of communicative actions (Buccino et al., 2004b), and in the detection of action
intentions (Iacoboni et al., 2005). Furthermore, the premotor cortex containing the MM is involved in processing action-related
words and sentences (Hauk et al., 2004; Tettamanti et al., 2005;
Buccino et al., 2005; see also Pulvermller, 2002), suggesting as
it will become clearer in the final part of this contribution that
mirror neurons together with other parts of the sensory-motor
system could play a relevant role in language semantics (Gallese
& Lakoff, 2005; Gallese, 2007; 2008).
The neurofunctional architecture of the cortical motor system
structures action execution and action perception, imitation,
and imagination, with neural connections to motor effectors
and/or other sensory cortical areas. When the action is executed
or imitated, the cortico-spinal pathway is activated, leading to
the excitation of muscles and the ensuing movements. When the
action is observed or imagined, its actual execution is inhibited.
The cortical motor network is activated, though, not in all of its
components and, likely, not with the same intensity1, but action
is not produced, it is only simulated.
Other mirroring mechanisms seem to be involved with our
capacity to share emotions and sensations with others (Gallese, 2001; 2003a; 2003b; 2006; de Vignemont and Singer, 2006).
When we perceive others expressing a given basic emotion
1. On average, the response of mirror neurons in monkeys is stronger
during action execution than during action observation.

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such as disgust, the same brain areas are activated as when we


subjectively experience the same emotion (Wicker et al., 2003).
Similar direct matching mechanisms have been described for
the perception of pain (Hutchison et al., 1999; Singer et al., 2004;
Jackson et al., 2005; Botvinick et al., 2005) and touch (Keysers et
al., 2004; Blakemore et al., 2005; Ebisch et al., 2008; 2010; 2012).
These results altogether suggest that our capacity to empathize with others is mediated by embodied simulation mechanisms, that is, by the activation of the same neural circuits
underpinning our own emotional and sensory experiences (see
Gallese, 2005a; 2005b; 2006; Gallese et al., 2004). Following this
perspective, empathy is to be conceived as the outcome of our
natural tendency to experience our interpersonal relations first
and foremost at the implicit level of intercorporeality, that is, the
mutual resonance of intentionally meaningful sensory-motor
behaviors (see below).
Recent studies suggest that these mechanisms could be
deficient and/or altered in individuals affected by the Autistic
Spectrum Disorder. In fact, autistic children experience severe
problems in the facial expression of emotions and their understanding in others. They do not show automatic mimicry of the
facial expression of basic emotions, as revealed by EMG recordings. When asked to imitate the facial expression of facial emotions they do not show activation of the MNS in the pars opercularis of the inferior frontal gyrus (for review, see Gallese 2003b;
2006; Gallese, Rochat, & Berchio, 2012). The lack of empathic
engagement displayed by autistic children could, at least partly,
depend on defective embodied simulation, likely underpinned
by malfunctioning and/or altered regulation of the MM (Gallese,
2003b; 2006; see also Oberman & Ramachandran, 2007).

4. Embodied simulation and intercorporeality


All of these intriguing findings link to our understanding of
broader contours of intersubjectivity, clarifying how intersubjectivity has a multilayered embodied basis mapped on shared
neural circuits. The discovery of mirror neurons provide a new
empirically based notion of intersubjectivity, viewed first and
foremost as intercorporeality the mutual resonance of intentionally meaningful sensory-motor behaviors as the main source
of knowledge we directly gather about others (Gallese, 2007;
2009). Intercorporeality describes a crucial aspect of intersubjectivity not because the latter is to be viewed as phylogenetically
and ontogenetically grounded on a merely perceived similarity
between our body and the body of others. Intercorporeality describes a crucial aspect of intersubjectivity because humans share the same intentional objects and their situated sensory-motor
systems are similarly wired to accomplish similar basic goals and
experience similar emotions and sensations.
Anytime we meet someone, we are implicitly aware of his/her
similarity to us, because we literally embody it. The very same
neural substrate activated when actions are executed or emotions and sensations are subjectively experienced, is also activated when the same actions, emotions and sensations are executed or experienced by others. A common underlying functional
mechanism embodied simulation mediates our capacity to
share the meaning of actions, intentions, feelings, and emotions
with others, thus grounding our identification with and connectedness to others.
The notion of simulation is employed in many different domains, often with different, not necessarily overlapping, meanings. Simulation is a functional process that possesses certain
content, typically focusing on possible states of its target object.
In philosophy of mind, the notion of simulation has been used
by proponents of the Simulation Theory of mind reading (see
Goldman, 2006) to characterize the pretend state adopted by the
attributer in order to understand another persons behavior. Basically, according to this view, we use our mind to put ourselves
into the mental shoes of others.

59

At difference with standard accounts of Simulation Theory, I


qualify simulation as embodied in order to characterize it as a
mandatory, non-metarepresentational, non-introspectionist
process. The model of mind reading proposed by standard accounts of Simulation Theory (Goldman, 2006) does not apply to
the pre-linguistic and non-metarepresentational character of
embodied simulation (Gallese, 2003; 2005a; 2005b; 2006). Embodied simulation theory is in fact challenging the notion that the
sole account of interpersonal understanding consists in explicitly attributing to others propositional attitudes like beliefs and
desires, mapped as symbolic representations. Before and below
mind reading is intercorporeality as the main source of knowledge we directly gather about others (Gallese, 2007).
A direct form of understanding of others from within, as it
were, intentional attunement is achieved by the activation
of neural systems underpinning what we and others do and feel.
Parallel to the detached third-person sensory description of the
observed social stimuli, internal non-linguistic bodily-formatted
representations of the body-states associated with actions,
emotions, and sensations are reused by the observer, as if he or
she were performing a similar action or experiencing a similar
emotion or sensation.
ES theory provides a unitary account of basic aspects of intersubjectivity showing that people reuse their own mental states
or processes represented in bodily format to functionally attribute them to others. Es theory does not provide a general theory of mental simulation covering all types of simulation-based
mindreading. ES aims at explaining the MM and related phenomena, like spatial awareness, object vision, mental imagery, and
several aspect of language (see Gallese & Sinigaglia, 2011). By
accounting for the MM in terms of mental states reuse, ES makes
reference to the intrapersonal resemblance or matching between ones mental state when acting or experiencing an emotion
or a sensation and when observing others actions, emotions,
and sensations. Inter-personal similarity between simulators
and targets mental state or process does not make for mental
simulation unless arising from intrapersonal reuse of the simulators own mental state or process (see Gallese, 2011; Gallese &
Sinigaglia, 2011). Being neurally implemented inside the brain,
of course, is not what makes a mental representation embodied.
A representational format is typically associated with characteristic processing profiles. Motor, viscero-motor, and somatosensory profiles characterize a bodily formatted representation, distinguishing it from a propositional representation, even in the
presence of (partially) overlapping content.
Mental states or processes are embodied primarily because of
their bodily format. As argued by Gallese and Sinigaglia (2011b),
like a map and a series of sentences might represent the same
route with a different format, so mental representations might
have partly overlapping contents (e.g. a motor goal, an emotion
or sensation), while differing from one another in their representational format (e.g. bodily instead of propositional). This is
crucial, because the format of a mental representation constrains
what a mental representation can represent. When planning
and executing a motor act, bodily factors (e.g. bio-mechanical,
dynamical and postural) constrain what can be represented. The
bodily representational format thus constrains the way a single
motor goal or a hierarchy of motor goals are represented, a way
that is different from a propositional representation of those
same goal or hierarchy of goals. Similar constraints thus apply
both to the representations of ones own actions, emotions or
sensations involved in actually acting and experiencing and also
to the corresponding representations involved in observing someone else performing a given action or experiencing a given
emotion or sensation. The constraints are similar because the representations share a common bodily format.
MM-driven ES plays a constitutive role in basic form of mindreading, not requiring the involvement of propositional attitudes, mapped onto mental representations with a bodily format
(i.e. motor representations of goals and intentions, as well as

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viscero-motor and somatosensory representations of emotions


and sensations). ES theory doesnt necessarily imply that we experience the specific contents of others experiences. It implies
that we experience others as having experiences similar to ours.

5. Embodied simulation and Empathy


The embodied simulation model, which stems from recent
neuroscientific evidence, has illustrious philosophical antecedents. The affective dimension of interpersonal relations has very
early on attracted the interest of philosophers, because recognized as a distinctive feature of human beings. In the eighteenth
century, Scottish moral philosophers identified our capacity to
interpret the feeling of others in terms of sympathy (see Smith,
1759). During the second half of the nineteenth century these
issues acquired a multidisciplinary character, being tackled in
parallel by philosophers and scholars of a new discipline, psychology.
Empathy is a later English translation (see Titchener, 1909) of
the German word Einfhlung. As pointed out by Pigman (1995),
Robert Vischer introduced the term in 1873 to account for our capacity to symbolize the inanimate objects of nature and art (on
the relationship between empathy and aesthetic experience, see
Freedberg & Gallese, 2007). Vischer was strongly influenced by
the ideas of Lotze (1854-64/1923), who already proposed a mechanism by means of which humans are capable of understanding inanimate objects and other species of animals by placing
ourselves into them ( sich mitlebend versetzen).
Lipps (1903), who wrote extensively on empathy, extended
the concept of Einfhlung to the domain of intersubjectivity that
he characterized in terms of inner imitation (Innere Nachamung)
of the perceived movements of others. When watching an acrobat walking on a suspended wire, Lipps (1903) notes, I feel myself
so inside of him (Ich Fhle mich so in ihm). We can see here a first
suggested relation between imitation, though inner imitation,
in Lipps words, and the capacity of understanding others by
ascribing feelings, emotions and thoughts to them.
Phenomenology has further developed the notion of
Einfhlung. A crucial point of Husserls thought is the relevance
he attributes to intersubjectivity in the constitution of our cognitive world. Husserls rejection of solipsism is clearly epitomized
in his fifth Cartesian Meditation (1977, English translation), and
even more in the posthumously published Ideen II (1989, English
translation), where he emphasizes the role of others in making
our world objective. It is through a shared experience of the
world, granted by the presence of other individuals, that objectivity can be constituted.
Interestingly enough, according to Husserl the bodies of self
and others are the primary instruments of our capacity to share experiences with others. What makes the behavior of other
agents intelligible is the fact that their body is experienced not as
material object (Krper), but as something alive (Leib), something
analogous to our own experienced acting body. Neuroscience
today shows that the scientific investigation of the Krper (the
brain-body system) can shed light on the Leib (the lived body
of experience), as the latter is the lived expression of the former.
From birth onwards the Lebenswelt, our experiential world
inhabited by living things, constitutes the playground of our interactions. Empathy is deeply grounded in the experience of our
lived-body, and it is this experience that enables us to directly
recognize others not as bodies endowed with a mind but as persons like us. According to Husserl there can be no perception without awareness of the acting body.
The relationship between action and intersubjective empathic relations becomes even more evident in the works of Edith
Stein and Merleau-Ponty. In her book On the Problem of Empathy
(1912/1964, English translation), Edith Stein, a former pupil of
Husserl, clarifies that the concept of empathy is not confined to a
simple grasp of the others feelings or emotions. There is a more

60

basic connotation of empathy: the other is experienced as another being as oneself through an appreciation of similarity. An
important component of this similarity resides in the common
experience of action. As Edith Stein points out, if the size of my
hand were given at a fixed scale, as something predetermined, it
would become very hard to empathize with any other types of
hand not matching these predetermined physical specifications.
However, we can perfectly recognize childrens hands and
monkeys hands as such despite their different visual size and
texture. Furthermore, we can recognize hands as such even
when all the visual details are not available, even despite shifts
of our point of view, and when no visual shape specifications is
provided. Even if all we can see are just moving light-dot displays
of peoples behavior, we are not only able to recognize a walking
person, but also to discriminate whether it is ourselves or someone else we are watching (see Cutting and Kozlowski, 1977). Since
in normal conditions we never look at ourselves when walking,
this recognition process can be much better accounted for by a
mechanism in which the observed moving stimuli activate the
observers motor schema for walking, than solely by means of
a purely visual process. Again we see how our understanding of
others cannot be reduced to a purely vision-driven enterprise.
This seems to suggest that our grasping of the meaning of
the world doesnt exclusively rely on the cognitive hermeneutic
of its visual representation, but is strongly influenced by actionrelated sensory-motor processes, that is, we rely on our own embodied personal knowledge. The monolithic character of perception must be refuted. There are different ways of perceiving
others, only some of which enable the sense of connectedness
that I define intentional attunement.
Merleau-Ponty in the Phenomenology of Perception (1945; English transl. 1962: 185) writes:
The sense of the gestures is not given, but understood, that
is, recaptured by an act on the spectators part. The whole difficulty is to conceive this act clearly, without confusing it with a cognitive operation2. The communication or comprehension of gestures come about through the reciprocity of my intentions and
the gestures of others, of my gestures and intentions discernible
in the conduct of other people. It is as if the other persons intention inhabited my body and mine his. These words fully maintain
their illuminating power in the present century, even more so as
they can now be grounded on solid empirical evidence.
By means of Einfhlung we come to know about the presence
of others and of the specific nature of their experiences directly,
rather than through a cognitive operation. This way of entering
intersubjectivity is the most basic; it includes the domain of action, and spans and integrates the various modalities for sensing
and communicating with others. It is at the core of our experience of self and other, the root of intersubjectivity.
It must be added, though, that while it is certainly true that
mirror neurons fire no matter whether the action is executed or
perceived, it is also true that the intensity of their response is not
the same in these two different situations. On average the motor discharge exhibited by mirror neurons in macaque monkeys
during action execution is significantly higher than that evoked
by the observation of a similar action performed by others. More
generally, it must be stressed that embodied simulation doesnt
imply that we experience others the way we experience ourselves. The I-Thou identity relation constitutes only one side of the
intersubjectivity coin. As posited by Edmund Husserl (1969;
1989), and recently re-emphasized by Dan Zahavi (2001), it is the
alterity of the other to guarantee the objectivity we normally attribute to reality.
The alterity character of others as we experience them also
maps at the sub-personal neural level, because the cortical circuits at work when we act neither completely overlap, nor show the
same activation intensity as when others are the agents and we
are the witnesses of their actions. The same logic also applies to
sensations (see Blakemore et al., 2005) and emotions (see Jabbi
2. My emphasis.

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et al., 2008). The study by Jabbi et al. is particularly informative


in this respect, because it shows that experiences as different as
being subjectively disgusted, imagining oneself being disgusted
and seeing disgust portrayed in the facial expression of others
not only encompass the activation of the same network of brain
areas (the anterior insula and the anterior cingulate cortex), but
also the activation of different brain areas according to the specific modality in which disgust is experienced (my real disgust, my
imagined disgust, your disgust).
It must also be added that the functional mechanism of embodied simulation is not to be conceived as a rigid, reflex-like input output coupling. Several brain-imaging studies have shown
that the intensity of the MM activation during action observation
depends on the similarity between the observed actions and the
participants action repertoire.
All of these considerations lead me to resist the notion that
simulation must necessarily be characterized in terms of the resemblance between target and simulator. As argued by the late
Susan Hurley (2007; 2008), and as mentioned in the previous section, simulation can be more plausibly characterized in terms of
reuse. According to the reuse notion of simulation, what distinguishes simulation from theorizing is the reuse of a mental state
or process for generating information about that process. Indeed
the neuroscientific evidence here reviewed shows that humans
do reuse motor processes in order to directly understand the actions of others and, similarly, reuse emotion-related processes to
directly understand others emotions.
What qualifies simulation as embodied is specifically this notion of reuse, describable as mapping in bodily format between
target and simulator. What makes the activation of mirror neurons during the observation of the actions of others an as-if process is not its resemblance aspect, but the fact that in spite of an
activation of the motor system in the observers brain the action
is not executed but only simulated. This is why I disagree with
Gallagher when he claims that in order to invoke simulation, mirror neurons must generate an extra copy of the actions as they
would be if they were the perceivers own actions (2001: 102).
That said, I think that Gallaghers and mine perspectives share a lot more than what transpires from Gallaghers critique of
embodied simulation. Both Gallagher and I think that the role
traditionally assigned by classic cognitivism to Folk Psychology is
exceedingly large and unjustified. Both Gallagher and I think that
mind reading should not be identified with a mostly theoretical
enterprise usually defined as Theory of Mind. This is the main
reason why I entitled my 2007 paper Before and below Theory of
Mind, where I wrote: social cognition is not only social metacognition, that is, explicitly thinking about the contents of someone elses mind by means of symbols or other representations in
propositional format (Gallese, 2007: 659). Finally, both Gallagher
and I think that the primary way of understanding others is direct in nature. However, I do believe, pace Gallagher, that such
directedness is completely compatible with the reuse notion of
simulation I am advocating. Claiming that the understanding of
others is mediated by mirror-based embodied simulation is not
tantamount to saying that a sort of pretence mediates the perception of others behavior. All of these considerations make it
difficult to account for mirroring phenomena as forms of direct
perception.
The concise overview of aspects of the phenomenological
tradition in philosophy offered in this section and the neuroscientific evidence presented throughout the chapter suggest
that the view heralded by classic cognitivism that considers
social cognition as a solely theoretical enterprise is confining,
arbitrary and reductive. The new empirically grounded perspective on Einfhlung I propose can be beneficial not only for a new
approach to our understanding of human intersubjectivity, but
perhaps also for new developments in psychopathological thought.

61

6. Embodied Simulation and Intentional Attunement


Our capacity to conceive of the acting bodies of others as selves like us depends on the constitution of a shared meaningful
interpersonal space. This shared manifold (see Gallese, 2001;
2003a; 2003b; 2005a; 2005b) can be characterized at the functional level as embodied simulation, a specific mechanism constituting a basic functional feature by means of which our brain/body
system models its interactions with the world. The different mirroring mechanisms described in this constitute the sub-personal
instantiation of embodied simulation.
According to my model, when we witness the intentional
behavior of others, embodied simulation generates a specific
phenomenal state of intentional attunement. This phenomenal
state in turn generates a peculiar quality of identification with
other individuals, produced by establishing a dynamic relation
of reciprocity between the I and the Thou. By means of embodied simulation we do not just see an action, an emotion,
or a sensation. Side by side with the sensory description of the
observed social stimuli, internal representations of the body states associated with these actions, emotions, and sensations are
evoked in the observer, as if he/she were doing a similar action
or experiencing a similar emotion or sensation. That enables our
social identification with others. To see others behavior as an action or as an experienced emotion or sensation specifically requires such behaviors to be mapped according to an isomorphic
format. Such mapping is embodied simulation.
Any intentional relation can be mapped as a relation between
an acting subject and an object. The mirroring mechanisms described here map the different intentional relations in a fashion
that is to a certain degree neutral about the identity of the
agent/subject. No matter who the agent is, by means of a shared
functional state realized in two different bodies obeying to the
same functional rules, the objectual other becomes another
self, a like-me, who nevertheless preserves his/her alterity character.
When we are exposed to the actions performed by others or
to the way they express the emotions and sensations they experience, we do not necessarily start from an opaque sensory
description of a given behavior to be interpreted and logically
analyzed with our cognitive and disembodied apparatus. In
many everyday situations others behavior is immediately meaningful because it enables a direct link to our own situated lived
experience of the same behaviors, by means of processing what
we perceive of others (their actions, emotions, sensations) onto
the same neural assemblies presiding over our own instantiations of the same actions, emotions and sensations.

7. More complex mechanisms of social cognition


Of course, embodied simulation is not the only functional mechanism underpinning social cognition. Social stimuli can also
be understood on the basis of the explicit cognitive elaboration
of their contextual perceptual features, by exploiting previously
acquired knowledge about relevant aspects of the situation to
be analyzed. Our capacity of attributing false beliefs to others,
among our most sophisticated mentalizing abilities, likely involve the activation of large regions of our brain, certainly larger
than a putative and domain-specific Theory of Mind Module.
It must be added that the neural mechanisms underlying
such complex mentalizing abilities are far from being understood. Furthermore, recent evidence demonstrates that infants as
young as 15 months behave as if they were able to attribute false
beliefs to others, when tested with pre-verbal tasks like preferential looking (Onishi and Baillargeon, 2005). This shows that even
apparently highly sophisticated mentalizing skills like the attribution of false beliefs to others might still be underpinned by
low-level mechanisms still to be thoroughly investigated.

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8. The developmental course of mirroring mechanisms


One crucial issue still not clarified is how the MM develops in
the course of development. We do not know yet to which extent
the mirroring mechanisms described in this chapter are innate
and how they are shaped and modeled during development.
We do know, however, that motor skills mature much earlier
on than previously thought. In a recent study (Zoia et al., 2007)
the kinematic of fetal hand movements were measured. The results showed that the spatial and temporal characteristics of fetal
movements were by no means uncoordinated or unpatterned.
By 22 weeks of gestation fetal hand movements show kinematic
patterns that depend on the goal of the different motor acts fetuses perform. This results led the authors of this study to argue
that 22 weeks old fetuses show a surprisingly advanced level of
motor planning, already compatible with the execution of intentional actions.
Given such sophisticated prenatal development of the motor system, it can be hypothesized that during prenatal development specific connections may develop between the motor
centers controlling mouth and hand goal-directed behaviors
and brain regions that will become recipient of visual inputs after
birth. Such connectivity could provide functional templates (e.g.
specific spatio-temporal patterns of neural firing) to areas of the
brain that, once reached by visual information, would be ready
to specifically respond to the observation of biological motion
like hand or facial gestures, thus enabling, for example, neonatal
imitation.
Neonates and infants, by means of specific connectivity developed during the late phase of gestation between motor and tobecome-visual regions of the brain, would be ready to imitate
the gestures performed by adult caregivers in front of them, and
would be endowed with the neural resources enabling the reciprocal behaviors characterizing our post-natal life since its very
beginning (see Gallese et al., 2009).
The earliest indirect evidence available to date of a MNS in
infants comes from a study by Shimada and Iraki (2006) who demonstrated by means of near infrared spectroscopy (NIRS) the
presence of an action execution/observation matching system
in 6-months-old human infants. Interestingly, this study showed
that the sensory-motor cortex of infants (but not that of adult
participants) was also activated during the observation of a
moving object when presented on a TV screen. These findings
suggest that during the early developmental stages, even nonbiological moving objects are anthropomorphized by means
of their mapping onto motor representations pertinent to the
observers acquired motor skills.
It can be hypothesized that an innate rudimentary MNS is
already present at birth and can be flexibly modulated by motor experience and gradually enriched by visuomotor learning.
Lepage and Theoret (2007) recently proposed that the development of the MNS can be conceptualized as a process whereby
the child learns to refrain from acting out the automatic mapping
mechanism linking action perception and execution. The development of pre-frontal inhibitory mechanisms likely turns motor
contagion into motor simulation. Such development leads the
gradual transition from mandatory re-enactment to mandatory
embodied simulation.

9. Intersubjectivity grounds the human condition


The shared intersubjective we-centric space mapped by mirroring mechanisms is likely crucial in bonding neonates and infants to the social world, but it progressively also acquires a different role. It provides the self with the capacity to simultaneously
entertain self-other identification and difference.
Once the crucial bonds with the world of others are established, this space carries over to the adult conceptual faculty
of socially mapping sameness and difference (I am a different

62

self). Social identification, the selfness we readily attribute to


others, the inner feeling of being-like-you triggered by our encounter with others, are the result of the preserved shared wecentric space. Self-other physical and epistemic interactions are
shaped and conditioned by the same body and environmental
constraints. This common relational character is underpinned, at
the level of the brain, by shared mirroring neural networks. These shared neural mechanisms enable the shareable character of
actions, emotions and sensations, the earliest constituents of our
social life. According to my model, we-ness and intersubjectivity
ontologically ground the human condition, in which reciprocity
foundationally defines human existence.
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Who is reading the neural activity? Sulla


funzione cognitiva dei neuroni specchio.
Paolo Giuspoli - paolo.giuspoli@univr.it

Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina

Abstract

The experimental investigations on the so called Mirror Neurons (MNs) have promoted an ample debate on the genesis and the
biological found of the imitation and, more generally, of the social cognition. Such debate is gradually strengthened on the wake of
numerous experimental confirmations of the presence of MNs even in the human brain. The presentation of the results of this investigations introduce, however, such logical-conceptual hybridizations to produce some ambiguities in the interdisciplinary discussion.
This paper proposes a brief recognition on some conceptual problems and their epistemological roots, that may interfere on a new
promising phase of research.

Keywords

Mirror Neurons, Intention attribution, Philosophy of Neurosciences

Introduzione
Titoli di opere di sintesi di successo internazionale come So
quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio (Sinigaglia
& Rizzolatti, 2006 e 2008), o Mirroring people. The New Science of
how we connect with Others (Iacoboni, 2008), e ancora articoli
come The Roots of Empathy e Le basi neurofisiologiche dellintersoggettivit (Gallese, 2003 e 2010) sono alcuni dei contributi di
una massiccia promozione in corso dellipotesi di un Mirror Neurons System (MNS). Secondo i suoi principali sostenitori, un vero
e proprio sistema di attivazione neuronale nel nostro cervello
fungerebbe da strumento di traduzione istantanea e diretta di
specifici atti motori compiuti da altri nel linguaggio del proprio
vissuto personale. Questo strumento di traduzione permetterebbe di evitare la mediazione degli strumenti rappresentazionali
e linguistici di interpretazione del comportamento degli altri,
generando una modalit immediata di condivisione dellesperienza. Un tale strumento di traduzione risulterebbe oltretutto
universale, in quanto radicato nel comune sostrato biologico.
Secondo questo orientamento interpretativo, tale sistema di
rispecchiamento andrebbe considerato, dunque, come il sostrato o la base neuronale per il riconoscimento della azioni entro
sistemi gestuali di comunicazione interpersonale, costituendo
un ponte necessario tra il fare e il comunicare (Rizzolatti &
Arbib, 1998); com stato suggerito, esso non solo pu rappresentare un sostrato neuronale per la comprensione di quello che
gli altri stanno facendo, ma pu contribuire alla scelta del modo
in cui io potrei interagire con loro (Caggiano et al., 2009: 406).
Lesame dei meccanismi di risonanza neurale verrebbe inoltre
ad avere un ruolo centrale nellilluminare la funzione del sistema
motorio nella genesi del senso del s, nel quadro di una indagine sulle radici mirror della distinzione tra s e laltro (Sinigaglia &
Rizzolatti, 2011). Per di pi, il loro studio permetterebbe di offrire
conoscenze necessarie per chiarire il sostrato neuronale del pensiero concettuale, al punto da consentire una nuova formulazione di quelli che sono stati denominati brains concepts (Gallese &
Lakoff, 2005) e risolvere problemi plurimillenari legati alla genesi
del pensiero, costruendo i ponti dal vedere al comprendere
(Keyers, 2006). In un senso pi ampio, si dovrebbe chiarire come
il sistema mirror svolga una funzione basilare di supporto allevoluzione culturale dei linguaggi umani in tutta la loro ricchezza (Rizzolatti & Arbib, 1998: 193).
Come si pu evincere da questa breve rassegna, la diffusa tendenza volta a interpretare i cosiddetti MNs come il sostrato o la
base neuronale dellempatia, del riconoscimento degli altri e dei
processi fondamentali della comunicazione, acuisce lesigenza di
unattenta valutazione di tali proposte interpretative. Nel presente saggio si propone una breve ricognizione su alcuni problemi
di carattere concettuale, e sulle loro radici metodologiche ed epi-

65

stemologiche, che possono interferire su quella che si presenta


come una promettente nuova fase di ricerca interdisciplinare in
questo ambito di indagine.

1.
Per chi abituato a considerare le funzioni cognitive fondamentali e il comportamento umano da una prospettiva topdown, come accade per lo pi nella riflessione filosofica, il campo
delle indagini interdisciplinari sui MNs presenta un aspetto disorientante: la diffusa contaminazione di usi concettuali e prospettive di osservazione diversi, dal livello di analisi elettrochimica
fino a quello proprio dellattivit mentale autocosciente. Tale
contaminazione pu apparire come un prezzo da pagare per
lapertura di un promettente nuovo campo interdisciplinare di ricerca. Dopotutto questa non una novit: spesso proprio da una
simile atmosfera culturale, caratterizzata da una febbrile attivit
per la definizione di nuove rappresentazioni della vita umana, oltre che da un notevole livello di competizione per attrarre risorse
per il potenziamento di alcuni promettenti settori di ricerca, si
approdati a delle straordinarie stagioni per linnovazione scientifica e culturale. In tali momenti di svolta, lo stato generale iniziale
di diffusa e confusa contaminazione s spesso evoluto verso una
pi chiara consapevolezza non solo della direzione di sviluppo,
ma anche dei modelli di ricerca scientifica, delle metodologie,
dei linguaggi e degli strumenti concettuali utilizzati.
Una tale consapevolezza maturata attraverso un faticoso lavoro di riflessione critica sui modelli e sui linguaggi dominanti in
un determinato mondo culturale. E le motivazioni fondamentali
di tale lavoro sono emerse in genere dalla percezione di un vuoto, o meglio, da un senso di vertiginoso disorientamento, contrastante con la pomposa ostentazione di innumerevoli prodotti di
ricerca, spesso accomunati dai medesimi presupposti, linguaggi,
procedure, prospettive di indagine.
Oggi questa vertigine si avverte intensamente. Pi precisamente, ci che si avverte uno scarto: quello tra la precisione con
cui, da un lato, si effettuano pregevoli microanalisi dellattivit
neuronale e i modi approssimativi con cui, dallaltro, si pretende
di lavorare a teorie generali unificate, che dovrebbero condurre in breve tempo a spiegare esaustivamente il perch e il come
dellintera estensione delle attivit cognitive, a partire dallanalisi
elettrochimica e neuronale dellattivit cerebrale.
Perch tale scarto sia esperito pi intensamente forse necessario che anzitutto si esplicitino i limiti costitutivi degli strumenti di osservazione utilizzati, che pure hanno raggiunto livelli
avanzatissimi di precisione quanto alla determinazione cronometrica e alla localizzazione dellattivit cerebrale, e dellutilizzo
di peculiari formati rappresentazionali (per la conversione di dati
in immagini, come avviene tramite PET e fMRI, o per la rappre-

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sentazione grafica di rilevamenti elettrici, come nel tradizionale


EEG o nelle misurazioni tramite micro-elettrodi di superficie o
intracranici). Tale esplicitazione funzionale alla considerazione
della prospettivit di ogni indagine e alla valutazione dei modelli
interpretativi adottati.
Ma un tale lavoro di esplicitazione degli strumenti linguistici,
dei formati rappresentazionali utilizzati e dei modelli interpretativi adottati entro una peculiare prospettiva di indagine risulta in
questo momento molto faticoso. Tale fatica data primariamente da un fattore: non sembra siano al momento disponibili concetti comuni, in grado di mediare adeguatamente il passaggio
da un livello ad un altro di osservazione, nonch dal piano del
vissuto soggettivo a quello della rilevazione esterna di determinate competenze cognitive.
B. Falkenburg ha sistematicamente considerato (Falkenburg,
2012) come in passato la fisica abbia dovuto affrontare questo
problema elaborando concetti, come quello di energia, che
consentono appunto la conversione di descrizioni tra livelli differenti di osservazione, nonch tra un punto di vista esterno ed
uno autocentrato (ad es. tra le sensazioni soggettive di suoni di
una certa intensit e la stima in decibel della diffusione di suoni
nellambiente), e formulando inoltre una molteplicit di regole in
grado di guidare le procedure per la descrizione dinsieme delle
diverse componenti di un sistema. Questo patrimonio di concetti
e regole di conversione viene invece a mancare nellambito delle
indagini neuroscientifiche, che tuttavia spaziano (per lo pi ricorrendo a strumenti di mediazione inadeguati, con funzione analogica o metaforica, oppure ad antiquati modelli metafisici) su un
campo di indagine non meno ampio: dallambito di microanalisi chimiche e bioelettriche a indagini sullattivazione di circuiti
neuronali che coinvolgono differenti strutture nervose corticali
e sottocorticali, e da ipotesi sullorganizzazione complessiva
dellattivit cerebrale e sui possibili correlati neuronali degli stati
di coscienza fino a considerazioni generali di carattere ontogenetico e filogenetico sullevoluzione dellintelligenza umana.

mulation), MEG (Motionsless Electromagnetic Generator), fMRI


(functional Magnetic Resonance Imaging) e PET (Positron Emission
Tomography) non solo hanno consentito di dimostrare effetti di
rispecchiamento nel cervello umano, ma anche di avanzare ipotesi sulla peculiarit degli effetti di rispecchiamento nelluomo
rispetto alle scimmie (cfr. Fabbri-Destro & Rizzolatti, 2008).
Solo di recente si riusciti a dimostrare, per la prima volta attraverso misurazioni dirette (con elettrodi intracranici), la presenza di MNs nel cervello umano, per di pi in aree in precedenza
non esplorate dalla letteratura critica, vale a dire nella corteccia
frontale media e nella corteccia temporale media (Mukamel et al.,
2010). Confrontando questi risultati con le indagini gi svolte sui
neuroni specchio nei macachi, sono state rilevate similarit per
quanto riguarda il rispecchiamento di atti di presa ed espressioni
facciali. Tuttavia non ancora possibile giungere alla delineazione di un quadro comparativo completo, in quanto lindagine sui
pazienti umani stata limitata solo ad alcune aree corticali.
Secondo Mukamel et al. si sta assistendo alla ripetuta conferma dellesistenza anche nelluomo di un multiple mirroring mechanism, attestante cio la presenza in parecchie aree corticali di
neuroni specchio, la cui funzione modulata dalla localizzazione
corticale. Ad es., se il meccanismo di rispecchiamento nellinsula
sembra essere correlato alla capacit di comprensione di specifiche emozioni, ad es. di disgusto rispetto a sostanze fortemente
maleodoranti (Wicker et al. 2003), le indagini condotte da Mukamel et al. rilevano lesistenza di meccanismi di rispecchiamento
in aree rilevanti per lavvio di un movimento, lesecuzione di una
sequenza di atti motori, ma anche per lesercizio della capacit
di ricordare (Mukamel, 2010: 754). Una recente meta-analisi condotta su 125 studi fMRI sul tema (selezionati a partire dallanalisi
di 438 pubblicazioni) conferma tale ipotesi, suggerendo limmagine di un core network di aree corticali con propriet mirror
(Molenberghs et al., 2012)2, in grado di svolgere una funzione
vicaria rispetto ad uno spettro molto ampio di attivit cognitive
(Keysers & Gazzola, 2009).

2.

3.

Fino ad un paio di anni fa, una delle questioni al centro del


dibattito internazionale sui MNs riguardava la possibilit di dimostrarne la presenza nel cervello umano. Ma che cosa significa
dimostrare la presenza nel cervello umano di neuroni con propriet di rispecchiamento o di eco-rispecchiamento?
La questione ha diversi risvolti. Primariamente si posto il
problema di rinvenire nel cervello umano la presenza di qualcosa
di simile a ci che gi si conosceva empiricamente dalle indagini sperimentali svolte sulle scimmie. In questo filone di indagini,
si sono fatti enormi passi avanti da quando il gruppo di ricerca
dellUniversit di Parma, coordinato da G. Rizzolatti, ha rilevato
la presenza di MNs nella corteccia premotoria ventrale di un macaco, e dalle prime ipotesi sul ruolo funzionale dei MNs nei processi cognitivi (Di Pellegrino et al., 1992). Si riusciti a dimostrare
empiricamente la presenza di MNs in altre specie animali (ad es.
i passeri di palude), ma, com noto, la presenza di neuroni specchio nelluomo rimasta invece per lungo tempo controversa.
In ventanni di indagini sono state effettuate numerose ricerche sperimentali di neurofisiologia e rilevazioni di brain-imaging
che hanno fornito prove indirette della presenza di neuroni
specchio nel cervello umano. Gi a partire dalla met degli anni
901, indagini condotte con ECG, TMS (Transcranial Magnetic Sti-

Se la rilevazione empirica di MNs nelluomo ha fornito una risposta certa su questioni relative alla presenza e alla localizzazione di neuroni specchio nel cervello umano, tuttavia rimangono
da affrontare ulteriori questioni, non propriamente secondarie,
anzitutto dal punto di vista concettuale. Prima di tutto si pu
legittimamente porre la domanda sui concetti fondamentali
utilizzati in questo ambito di ricerca: che cosa significa rispecchiamento neuronale e quale valore dobbiamo assegnare ad
espressioni come neuroni specchio? Dopotutto, se il riferimento alla bi-attivazione (in risposta sia allesecuzione sia allosservazione di tale esecuzione da parte di altri) risulta chiaro, non
invece chiara lattribuzione ad un neurone della propriet del
rispecchiamento, termine che etimologicamente e concettualmente si riferisce ad un livello descrittivo differente da quello di


. Per una rassegna sui progressi effettuati nelle indagini sui neuroni specchio, si veda: Rizzolatti & Sinigaglia, 2010. In anni recenti si dimostrata la
presenza di neuroni specchio non solo in due aree limitrofe (F5a ed F5p)
rispetto a quella delle prime rilevazioni, ma anche in altre aree intensamente connesse con larea F5, nella parte rostrale del lobulo parietale inferiore e nellintraparietale anteriore; queste ricevono informazioni visive sia
da aree prive di propriet motorie, del solco temporale superiore, sia dal
giro temporale mediale, il quale potrebbe essere coinvolto nei processi
di identificazione degli oggetti. La presenza di neuroni specchio stata
individuata recentemente anche nellarea intraparietale laterale (Sheperd

66

et al., 2009), in cui si mostrata la presenza di neuroni specchio che si


attivano sia quando la scimmia orienta lo sguardo in una determinata
direzione sia quando guarda unaltra scimmia orientare lo sguardo nella
medesima direzione) e ventrale. (Ishida et al., 2009) hanno mostrato come
alcuni neuroni si attivino sia quando uno stimolo si presenta nel proprio
spazio peri-personale sia quando questi si presenta nello spazio peripersonale di un altro individuo vicino a s).
2. Cos condensano i risultati della loro meta-analisi Molenberghs et al.:
we have uncovered a core network of brain areas, including the inferior frontal gyrus, dorsal and ventral premotor cortex, and the inferior
and superior parietal lobule, which in humans is reliably activated during
tasks examining the classic mirror mechanism, typically involving the visual observation and execution of actions. Our subanalyses showed that
additional areas involved in somatosensory, auditory and emotional processing complement these areas depending on the sensory modalities
involved. These results suggest that brain regions with mirror properties
extend beyond those identified as being part of the mirror network in
previous metaanalyses (Molenberghs et al., 2012, p. 348).

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indagine sulle funzioni di cellule neuronali. Questo problema


risulta particolarmente evidente quando si passa a considerare
le modalit di catalogazione di differenti tipi di MNs, secondo la
funzione cognitiva da loro esercitata.
Gi a partire dalla fine degli anni 80 (Rizzolatti et al. 1988a;
1988b), si evidenziato come alcuni tipi di MNs rispondano selettivamente rispetto ad aspetti intenzionali del movimento degli arti e della bocca. A tale scoperta stata data la giusta enfasi:
neuroni dellarea pre-motoria presentano una bi-attivazione (per
osservazione ed esecuzione) non, come ci si potrebbe aspettare, rispetto a particolari anatomici, funzionali e cinematici degli
atti osservati/eseguiti, ma in risposta ad obiettivi specifici come
prendere o sollevare. Ora, la classificazione funzionale di quelli
che sono stati denominati nel loro insieme goaldirected neurons risponde evidentemente ad una esigenza descrittiva, al fine
di tracciare un collegamento diretto tra il livello della descrizione
di comportamenti e il livello della rilevazione cronografica e topografica dellattivit neuronale. Di qui la distinzione tra holding
neurons, grasping neurons, tearing neurons, oppure tra graspingwith-the-hand-and-the-mouth-neurons, bringing-to-the mouthor-to-the-body neurons etc.
In questo modo si sono generati degli ibridi concettuali che
continuano a condizionare le proposte teoriche discusse in questo ambito di studi. In fondo, anche lespressione mirror neurons
pu essere considerata come lespressione paradigmatica di
questa ibridazione.
Certo, non si pu negare il valore euristico di queste importantissime scoperte empiriche. Tuttavia, lutilizzo di tale gergo
rischia di contrastare la chiarezza della discussione interdisciplinare su questi temi. Tali espressioni concettuali rendono certo
pi intuitivo il carattere automatico dei meccanismi neuronali di
traduzione istantanea di atti eseguiti e osservati. Tuttavia veicolano implicitamente alcuni presupposti che andrebbero attentamente considerati. In primo luogo, inducono a ritenere che si
abbia a che fare con meccanismi di trasposizione diretta di ci che
viene osservato nel linguaggio della propria esperienza motoria.
In secondo luogo, riflettono la credenza che le principali funzioni cognitive (come la cosiddetta comprensione delle intenzioni
degli altri, rilevabile attraverso losservazione dei loro atti motori) siano il prodotto automatico invariabile dellattivazione di
determinati circuiti neuronali localizzabili. In terzo luogo, esse
accompagnano la diffusa ma problematica affermazione del
ruolo causale diretto di tali meccanismi neuronali su funzioni
cognitive complesse, come quelle coinvolte nella comprensione
del comportamento degli altri3.

4.
Laffermazione che determinati tipi di neuroni rispondono selettivamente allosservazione di diversi tipi di atti motori (motor acts) viene diffusamente associata alla tesi che essi risultano
funzionali alla conoscenza del significato di tali atti, ovvero alla
comprensione delle intenzioni che li guidano.
Tuttavia, logicamente improprio affermare che un meccanismo neuronale in grado di distinguere tra tipi differenti di atti
intenzionali: solo se ci si riferisce ad un individuo consapevole,
sensato parlare di capacit di distinguere, di cogliere significati, di
comprendere4. In modo simile assurdo dire che un cervello capisce o apprende, o che una mano sente dolore. Eppure il problema si costantemente riproposto nellintera tradizione occidentale, sotto figure molto diverse; con la sua eccezionale sensibilit
teoretica, Wittgenstein aveva dedicato dense e importanti riflessioni a questa spinosa ma rilevante questione5. Evidentemente, il
3. Cfr. in proposito AA.VV., Mirror Neuron Forum, ed. by Glenberg (2011).
4. Com noto, questa modalit di attribuzione stata denominata da
Hacker e Bennett fallacia mereologica. Cfr. in proposito Bennett &
Hacker, 2005 e Bennett et al., 2007.
5. Il volume di Bennett e Hacker Philosophical Foundations of Neuroscience (2003, 2005) pu essere considerato come il tentativo di applicare

67

successo nella diffusione di un tale uso concettuale nella letteratura neuroscientifica non pu giustificare per s la validit di un
tale uso concettuale.

5.
Si pu allora legittimamente sollevare la domanda: in che
senso ci si riferisce alla capacit propria di un circuito neuronale di
elaborare una forma di conoscenza (understanding), precisamente quel tipo di conoscenza che ci permette di cogliere immediatamente e dallinterno (from the inside) il significato (meaning) di
un atto motorio compiuto da altri?
In From action to meaning, Rizzolatti e Gallese affermano che
la funzione fondamentale dei MNs la seguente: code actions. Ad
es., lattivazione dei MNs selettivi per la presa, secondo gli autori,
asserts that a object is graspable (Rizzolatti, Gallese, 1997, p. 222) .
Ci che si viene a presupporre che la comprensione del
comportamento degli altri avvenga attraverso una composizione di pi piani di elaborazione cognitiva. Per s, la percezione
visiva consentirebbe solo una pictorial description del reale, senza
rilievo, fornendo immagini che di per se stesse sarebbero meaningless; solo attraverso lassociazione di tali immagini alla propria esperienza motoria sarebbe possibile il riconoscimento del
significato di un atto.
In altri termini, come successivamente specificato (Rizzolatti
& Sinigaglia, 2010: 269-270), si ipotizza un livello di riconoscimento puramente descrittivo del comportamento motorio degli altri,
simile a quello effettuato dalle aree del ventral stream per il riconoscimento di oggetti inanimati. Nel caso in cui losservazione attivi il sistema motorio attraverso ci che viene denominato
Mirror Neurons System, allora latto pu essere non solo catalogato estrinsecamente, ma anche conosciuto e compreso. Per comprensione si intende in questo contesto la conoscenza del significato reale (real) del messaggio implicito nellatto osservato,
ossia la sua associazione con laspetto intenzionale dellazione.
Questo pu essere colto immediatamente per rispecchiamento
neurale, se lazione appartiene al repertorio motorio dellosservatore, e la rappresentazione del suo scopo pu quindi essere
compartecipata dallosservatore (ivi e Buccino et al., 2004).
Il valore euristico di questa proposta teorica e di domande del
tipo How the parieto-frontal circuit can give meaning to pictorial
descriptions? (Rizzolatti & Sinigaglia, 2010: 270), indiscutibile.
Rimangono invece seri dubbi sui presupposti teorici che stanno
alla base di questo tipo di domande. Laffermazione che objects,
as pictorially described by visual areas, are devoid of meaning (Rizzolatti & Gallese, 1997: 222) vale di per s unampia e articolata
analisi, anche solo sul piano della formulazione e delluso concettuale. In particolare, necessario discutere in che modo, in
quale formato e per quale osservatore le aree visive sarebbero
in grado di descrivere oggetti. In questo contesto rimane del
tutto problematica la netta separazione tra latto puramente descrittivo e latto con cui si attribuiscono dei significati al contenuto dellesperienza visiva, per lo meno se ci riferiamo a condizioni
non patologiche di attivit percettiva.

6.
Una delle questioni centrali, per i problemi che si vanno qui
discutendo, certamente il modo in cui negli studi considerati
ci si riferisce al significato (meaning) di un atto motorio. In un
noto articolo di Iacoboni et al. su questo tema, dal titolo Grasping
the Intentions of Others, si considera il cosiddetto Mirror Neurons
System (MNS) come un action recognition mechanism: lo si ritiene
sistematicamente al dibattito neuroscientifico contemporaneo alcune
dense riflessioni di Wittgenstein su questo tema, documentate soprattutto nelle Philosophische Unteruchungen, nelle Philosophische Bemerkungen
e nelle Bemerkungen ber die Philosophie der Psychologie.

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capace non solo di distinguere tra diversi tipi di azione, ma, per
la prima volta, lo si ritiene anche un meccanismo for coding the
intentions of others (Iacoboni et al., 2005: 529-530)6.
Sorvoliamo qui sul problema dellattribuzione al sistema
motorio della capacit di utilizzare un meccanismo neuronale
(il MNS), in modo tale da riconoscere le intenzioni che sottendono le azioni degli altri7 e limitiamoci a considerare il modo in cui
il problema viene concettualmente definito. Va specificato che
per azione viene inteso un atto motorio che goaldirected; per
intenzione si intende invece il motivo che sta dietro (behind) latto
motorio e lo guida alla realizzazione di quellobiettivo.
Si badi bene: ci che qui viene indicato non ha a che vedere con la dimensione complessa del proposito, delle riflessioni
e delle finalit che il soggetto si pone attraverso una riflessione
consapevole. N si fa riferimento a quello che viene denominato
agire teleologico (cfr. Csibra & Gergely, 2007).
Con quale significato vengono qui utilizzati i concetti di goaldirected action e di intention? Ci che chiaro che si presuppone una netta differenza tra la componente intenzionale e la
descrizione cinematica dellatto motorio. E proprio tale netta
separazione sembra rendere possibile la rappresentazione di un
atto motorio come non significante o ambiguo, o comunque
tale da richiedere uninterpretazione; questultima verrebbe ad
esplicitare ci che sta dietro e guida latto osservato.
Lesperimento presentato in Grasping the Intentions of Others
chiarisce questa impostazione concettuale, mostrando come la
capacit di comprendere le intenzioni che sorreggono e guidano
il comportamento degli altri venga ridotta, per essere pi facilmente valutabile sperimentalmente, allassociazione di un atto
motorio nel raggiungimento di un obiettivo (la presa della tazza)
con un determinato contesto (la tavola imbandita per una pausa
t).
Dallindagine sperimentale risulta che aree corticali correlate allafferrare e al controllo della presa sono particolarmente
sollecitate nello spettatore di un video-clip quanto le immagini rappresentano un atto motorio (la presa di una tazza) in un
preciso contesto (prima o dopo una pausa t), ma non quando
rappresentano isolatamente o latto di presa della tazza per s o
il mero contesto.

che viene indicato come contesto viene predisposto in modo


tale da spingere lo spettatore ad associare la presa di una tazza
di t allintenzione di bere (come nel fotogramma riportato sopra). Ma pu anche essere predisposto in modo tale da spingere
losservatore ad associare la presa con lintenzione di spostare o
sistemare (come nel fotogramma seguente)8.

Le risposte neuronali dellosservatore, che spinto ad associare un atto a un determinato contesto, vengono interpretate
dunque come lindizio della capacit del nostro MNS non solo
di discriminare un preciso atto motorio in quanto diretto ad un
obiettivo (afferrare la tazza), ma anche di determinare il significato intenzionale di unazione svolta entro un preciso contesto;
vale a dire, vengono interpretate come lindizio della capacit di
comprendere le intenzioni degli altri osservandone le azioni.
Ove per intenzione si intende il perch (the why) di una determinata azione (Iacoboni et al. 2005: 530).
Tuttavia, ci che conta per Iacoboni et al. non la teorizzazione di un atto intuitivo, ma il nesso funzionale tra latto motorio
osservato e lintenzione sottostante, vale a dire, nelles. considerato, tra la presa della tazza e lintenzione di bere o riordinare.
Gli autori si riferiscono esplicitamente ad un precedente studio
(Di Pellegrino et al., 1992), proponendosi di colmare quella che
appare una lacuna concettuale nellesplicazione di tale nesso
logically related9. Nelle pagine seguenti, tuttavia, gli autori non
sembrano fornire una chiarificazione concettuale allaltezza dei
risultati delle loro indagini empiriche10.

7.
Com possibile determinare per rispecchiamento neuronale
lintenzione che guida una goaldirected action? Com possibile
rispecchiare, automaticamente e inconsapevolmente, lintenzione sottesa ad unazione prima ancora di conoscere lintenzione
dellagente? Le indicazioni sperimentali fornite da Iacoboni et
al. hanno avuto il merito di aver contribuito a porre sperimentalmente la questione in modo fino ad allora inedito. I termini
della questione non risultano tuttavia del tutto chiari. Quello che
Lassociazione action-context consentirebbe, attraverso un
meccanismo di rispecchiamento neuronale, di rispondere allintenzione che sottende allatto di presa osservato. Di fatto, quello

. Rizzolatti e Sinigaglia hanno evidenziato come questo studio abbia fornito per la prima volta la prova empirica che il circuito di rispecchiamento neuronale parieto-frontale coinvolto nella codifica delle intenzioni
motorie, mostrando, in particolare, come losservazione del medesimo
movimento entro un contesto che esplica lintenzione dellatto induca
una pi intensa attivazione del caudal inferior frontal gyrus dellemisfero
destro (Rizzolatti e Sinigaglia, 2010: 270).
7. Conferma Iacoboni in unintervista pubblicata sulle pagine informative
dellUCLA: Our findings show for the first time that intentions behind
actions of others can be recognized by the motor system using a mirror mechanism in the brain. The same area of the brain responsible for
understanding behavior can predict behavior as well. Dan Page, UCLA
Neuroscientists Pinpoint New Function for Mirror Neurons; Specialized
Brain Cells Predict Intentions as Well as Define Actions, UCLA Newsroom, 23.2.2005.

68


. Le due immagini sono tratte da una composizione fotografica pubblicata in Iacoboni et al., 2005.
9. In that previous study, however, the role of these logically related
mirror neurons was never theoretically discussed and their functions remained unclear. The present findings not only allow one to attribute a
functional role to these logically related mirror neurons, but also suggest that they may be part of a chain of neurons coding the intentions of
other peoples actions (Iacoboni et al. 2005: 533)

. Secondo gli autori, the Intention condition contained information
that allowed the understanding of intention, whereas the Action and
Context conditions did not. Questo dimostrerebbe che the context
cued the intention behind the action.
Tuttavia i fotogrammi che presentano la mera Action condition risultano
ambiguous non solo perch presentano un atto di presa decontestualizzato, ma, a mio avviso, soprattutto perch presentano sempre e soltanto
una mano che afferra una tazza vuota. La visione di presa di una tazza piena, contenente un liquido del colore di una bevanda familiare, potrebbe
invece suggerire per s sola lassociazione allatto del bere, anche senza
alcun riferimento ad un before tea context.

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viene indicato come contesto suggerisce infatti esplicitamente


lassociazione al riordinare o al bere. Ma per quale motivo losservatore sarebbe indotto a rispondere automaticamente a tale
suggerimento?
Lesperimento evidentemente impostato per indagare meccanismi inconsapevoli, non inferenze razionali. Linterpretazione
data da Iacoboni et al. suggerisce che sia stata rilevata una sensibilit neuronale tale da fornire automaticamente e naturalmente risposte specifiche ad un determinato contesto: To ascribe an
intention annotano gli autori - is to infer a forthcoming new goal,
and this is an operation that the motor system does automatically
(Iacoboni et al. 2005: 533). Sembra invece che il modo in cui le immagini sono state predisposte vada a sollecitare principalmente
labitudine ad associare ad un determinato gesto un determinato contesto esperienziale.
In effetti, una delle variabili in gioco, che verosimilmente incide non poco sullintensit della risposta di risonanza neuronale,
linsieme di aspettative e abitudini che ciascuno osservatore
porta con s. Ad es., di fronte alle immagini proposte nellesperimento sopra considerato, c da aspettarci che sia differente
la reazione di un operatore alberghiero rispetto a quella di chi
si appena ustionato con una bevanda calda, oppure rispetto
alla risposta di chi, per la prima volta in grado di vedere dopo
unoperazione agli occhi, cerca faticosamente di comprendere il
significato di tale sequenza di immagini.

reazioni del tutto differenti a seconda dello stato danimo, della


storia personale, delle aspettative, degli usi, oppure anche del
compito assunto da colui che si sottoposto allesperimento.
In questultimo caso, se losservatore si propone di fissare nella
mente dei gesti per potere disegnare uno schizzo o una caricatura di ci che osserva, allora appare evidente che la risposta neuronale sar nettamente diversa rispetto a quella risultante da un
semplice stare a guardare i medesimi gesti.
Grezes, Costes e Decety hanno deciso opportunamente di
indagare sperimentalmente questa variabile, valutando quanto
essa incida sul tipo di risposta neuronale nellosservatore. I risultati della loro indagine sembrano confermare lipotesi sollevata:
se losservazione visiva accompagnata da un compito suppletivo (ad es. quello di osservare un gesto per poterlo imitare) allora ha luogo una risposta differente rispetto a quanto avviene
con la pura e semplice osservazione di quel medesimo gesto. In
particolare, losservazione che mira allimitazione comporta una
maggiore attivazione di aree nella corteccia prefrontale dorsolaterale e nel cervelletto, le quali sono chiamate in causa quando
si tratta di pianificare ed eseguire movimenti del proprio corpo.
Ci che il soggetto si propone mentre osserva un gesto va dunque a modulare, con un effetto top-down, i meccanismi neurali di
percezione di quei gesti, in vista, ad es., della riproduzione motoria di quei movimenti che si sono osservati attentamente proprio
a questo scopo (Grezes et al., 1998).

8.

10.

verisimile che il rispecchiamento dellintenzione di bere o


di riordinare, cos come stata definita nelle indagini sperimentali presentate in Grasping the intentions of Others, non sia necessariamente da considerare come la manifestazione di una qualche forma di comprensione del perch di unazione. Si potrebbe
forse definire la presunta intenzione sottesa a tali atti pi propriamente come una sorta di processo autoriflesso del nostro
stesso repertorio motorio, il quale si attiverebbe nellosservazione di atti a noi noti, quando osserviamo simili atti intenzionali
mentre vengono compiuti da altri (cfr. Stevens, 2000)11.
Se le cose stanno cos, allora leffetto di rispecchiamento dovrebbe risultare ridotto o assente nel caso in cui si osservino atti
che non rientrano nel nostro repertorio motorio12. Nellosservazione di atti compiuti davanti ai nostri occhi dovrebbe generarsi
invece un effetto di rispecchiamento soprattutto in presenza di
gesti compiuti in situazioni gi vissute, anche in contesti differenti rispetto a quelli a noi abituali: subiamo una sorta di contagio sensoriale ed emotivo al vedere un funambolo che d limpressione di perdere pericolosamente il controllo dellequilibrio, o
se osserviamo da vicino un giocoliere che passa da una mano
allaltra un oggetto infuocato.

V un altro aspetto importante da considerare: limprevedibilit del comportamento di soggetti agenti che conosciamo solo
attraverso la visione di brevi clip, tanto pi se ci si limita ad osservare fotografie o immagini povere di informazioni. Infatti, da una
singola immagine, o anche da una breve sequenza dimmagini,
non ci possibile in genere risalire alle intenzioni del soggetto
agente; semmai ci limitiamo ad aspettarci che egli vada a compiere una certa qual cosa. Una determinata scena (come quella
che raffigura una mano protesa ad afferrare una tazza, nel contesto di una tavola imbandita per una pausa t) potrebbe proseguire in modi molto diversi e comunque congruenti rispetto alle
immagini prima osservate.
Unequipe guidata da Buccino ha mostrato come di fronte
a sequenze di movimenti che terminano in modo inatteso losservatore presenti un incremento nellattivazione di aree corticali (in questo caso rilevate tramite fMRI), che andrebbero ad
integrare la debole risposta dei meccanismi di rispecchiamento
neuronale (Buccino et al., 2007). E cos, se il soggetto osservato,
mentre cammina, finisce per inciampare oppure per rovesciare il
contenuto del bicchiere, allora nellosservatore vengono sollecitate aree corticali (come il giro sinistro sopramarginale) che sono
in genere coinvolte nei processi attentivi legati al controllo dei
movimenti, nella loro articolazione spaziale e temporale. Nellosservazione di esiti imprevisti, si inoltre riscontrata lattivazione di altre aree corticali (nella giunzione temporale-parietale e
nelladiacente regione posteriore del solco temporale superiore),
in genere correlate ad attivit non intuitive, legate allinterpretazione di credenze. Questi risultati sono stati ribaditi da altre indagini sperimentali (ad es. Liepelt et al., 2008)13.

9.
Sono da considerare attentamente anche altre variabili in gioco in ci che viene indicata come la capacit di comprendere per
rispecchiamento neuronale le intenzioni degli altri. Se si formula
lipotesi che il cosiddetto MNS fornisce risposte automatiche e
naturali di rispecchiamento alla visione di determinati atti intenzionali, si dovrebbe valutare con attenzione il fatto che non ci
stiamo riferendo ad un sistema cognitivo che opera autonomamente rispetto al soggetto osservatore in carne ed ossa e alla sua
storia personale. Il medesimo atto pu suscitare nellosservatore

. Lo studio ha dimostrato come nella percezione visiva di movimenti
apparenti, le aree motorie e parietali non presentano unattivazione significativa in relazione a movimenti biomeccanicamente impossibili,
suggerendo che queste regioni si attivino selettivamente secondo le capacit motorie dellosservatore.

. Perch non ci sono noti, oppure perch non ci noto il modo di eseguirli.

69


. Si veda in proposito la meta-analisi curata da Van Overwalle &
Baetens (2009) e condotta su 200 indagini svolte con fMRI, dedicate allo
studio sperimentale dei circuiti neuronali correlati al riconoscimento di
atti intenzionali. Gli autori propongono la tesi della complementariet
del Mirror Neurons System, il quale sarebbe coinvolto nel rispecchiamento
percettivo dei movimenti corporei degli altri, rispetto ad un cosiddetto
Mentalizing System (situato, secondo Van Overwalle, 2009 in aree della
giunzione temporo-parietale e della corteccia prefrontale mediale),
il quale sarebbe coinvolto nella elaborazione astratta (per linguaggio
verbale o simbolico) di riflessioni relative al perch del comportamento
altrui. Cos gli autori: these two systems are never concurrently active.
This suggests that neither system aids or subserves the other. Rather,
they are complementary. This conclusion is contrary to suggestions that

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Se questi risultati dovessero essere confermati, si verrebbe


a ribadire per via sperimentale che il cosiddetto MNS svolge un
ruolo centrale nella responsivit neuronale correlata allosservazione e allesecuzione di movimenti molto semplici e automatismi
che fanno gi parte del repertorio motorio dellosservatore, mentre losservazione di azioni non stereotipiche comporta il coinvolgimento di aree associate a competenze cognitive molto pi
complesse, rispetto a quelle messe in campo dal modello di un
automatismo naturale di rispecchiamento.

11.
verisimile, dunque, che la responsivit dei MNs sia significativamente modulabile dallesperienza motoria dellosservatore. Lipotesi che tale responsivit sia modificabile attraverso uno
specifico allenamento stata sottoposta a indagini sperimentali
da parte di C. Heyes, C. Catmur et al. Il gruppo ha dimostrato che
attraverso un apposito training possibile arrivare a provocare
delle risposte neuronali inverse, le quali possono arrivare ad inibire anche completamente certi automatismi imitativi (Heyes et
al., 2005; Gillmeister et al., 2008, Cook et al., 2010). Ad es., si dimostrato come, addestrando qualcuno a ripetere con modalit
inversa un movimento delle dita osservato si riesce a inibire una
risposta di rispecchiamento motorio. Non solo: in questo modo si
riesce a modificare a tal punto la risposta soggettiva allosservazione da modificare anche il contenuto che oggetto del rispecchiamento neuronale; ad es. si pu ottenere il rispecchiamento
del movimento inverso rispetto a quello osservato (Catmur et al.,
2007), oppure, sempre attraverso un apposito training, si pu
ottenere che alla visione di un gesto della mano faccia riscontro,
nelle aree premotoria e parietale, una dominanza nel rispecchiamento neurale correlato al movimento del piede (Catmur et al.,
2008).
A supporto di questa tesi vanno considerati anche alcuni
studi che hanno confermato la maggiore attivazione di MNs in
ballerini esperti (Calvo-Merino, 2005 e 2006; Cross et al., 2006)
mentre osservano movimenti di loro competenza, rispetto a movimenti che invece non rispecchiano le loro competenze specifiche (ad es. quando un ballerino classico osserva movimenti della
capoeira). Tali scoperte sono state confermate da altre analoghe
indagini sperimentali condotte con esperti musicisti (Haslinger
et al., 2005) e arcieri (Kim et al., 2011).

12.
A conclusione, si pu rilevare che lampia discussione internazionale sui MNs esige oggi il passaggio ad un livello di maggiore
accuratezza concettuale ed epistemica. In questottica, sarebbe
opportuno concentrare lattenzione su problemi legati alla convergenza e alla composizione di livelli di descrizione differenti,
anche se rivolti alla comprensione di un medesimo oggetto di
indagine.
Da questa prospettiva allora rilevante la seguente precisazione di Rizzolatti e Sinigaglia: la comprensione della ragione
(reason) sottostante allintenzione motoria sembra essere localizzata in aree corticali, che fino ad ora non hanno mostrato avere
the mirror system might aid the mentalizing system to inferring intentions of others. Van Overwalle e Baetens specificano: Thus,we do not
at all suggest that these two systems are disconnected in real-world social inferencing. Quite on the contrary, in judging others, we often rely
on both a targets motor intentions and explicit verbal information (e.g.,
observing the target of a gossip and hearing harsh words spoken about
him or her). E concludono: How these two types of information interact
is still a newarea in social neuroscience, one that we are only beginning
to explore by means of tasks as exemplified by actions that are unexpected and inconsistent. One question for future research is to explore
what happens in the social brain when tasks potentially recruit both systems, but when the motor and the verbal inputs contradict each other
(ivi, 579).

70

propriet di rispecchiamento (Rizzolatti & Sinigaglia, 2010:271).


infatti evidente che la comprensione delle ragioni sottostanti al
comportamento altrui non possa che generarsi su un piano che
astrae da quello del semplice rispecchiamento visuo-motorio. Va
per aggiunto che la persistenza della tendenza alla localizzazione di competenze cognitive complesse (come il comprendere
ragioni) entro un preciso network neuronale appare problematico non solo per motivi epistemici e logici, ma anche dalla prospettiva neurobiologica, se si considera la costitutiva plasticit
neuronale e i rapidissimi e costanti processi ricorsivi attraverso
i quali lattivit cerebrale sembra incessantemente riaggiornarsi.
Ad ogni modo, queste riflessioni critiche non vanno certo a
sminuire il rilievo dei risultati delle indagini sui MNs di questi
anni, non solo per gli studi specialistici in campo neuroscientifico,
ma anche pi in generale per i progressi nella ricerca interdisciplinare sulla genesi delle relazioni intersoggettive. In particolare,
lidea della priorit dellesperienza motoria su quella puramente
osservativa, per la percezione del comportamento motorio degli
altri e per la costituzione degli aspetti basilari della prassi comunicativa, sicuramente una delle indicazioni di maggior rilievo
emergenti dallambito delle indagini sui MNs14.
Anche in questo caso, tuttavia, opportuno non assolutizzare
il valore euristico di indicazioni sperimentali che vanno attentamente interpretate e discusse. Se si ammette opportunamente
che mirror neurons data do not say who is reading the neural activity, non affatto chiaro il senso di affermazioni, secondo le quali
il sistema motorio gives meaning to objects ed responsible of the
interpretation of motor events, and, by inference, provide knowledge on the existence of their agents (Rizzolatti & Gallese, 1997:
226) . La

premessa vera perch la domanda sul chi non pertiene al livello di osservazione di peculiari meccanismi neuronali. Tuttavia, proprio per questo, la triplice asserzione che segue
risulta incomprensibile: il sistema motorio di un individuo per
s non pu essere n linterprete, n il responsabile dellinterpretazione di eventi motori, e nemmeno pu essere in grado di conoscere alcunch per inferenza, se non in senso metaforico o per
analogia.
Una tale ibridazione concettuale, sia pur efficace sul piano
euristico, pu certo risultare funzionale ad una sorta di soggettocentrismo biologico. Lesperienza umana in generale, con la sua
componente essenziale di relazioni interpersonali, risulterebbe
allora paradossalmente qualcosa che viene ad assumere un rilievo e un senso per il sistema motorio operante in un individuo,
rendendo inutile, in una tale fusione di orizzonti, non solo la domanda sul chi, ma anche quella sul perch.
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numero monografico di Brain and Language, 112 (2010) curato da G.
Hickok e da lui efficacemente presentato in The role of mirror neurons in
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Second nature
For a liberal naturalism of mathematics
Mario Graziano - mgraziano@unime.it

Department of Cognitive Sciences, Educational and Cultural Studies, University of Messina

Abstract

The term naturalism has, over the course of the history of philosophy, taken on different and changing meanings, so we can apply
it to a large number of philosophical areas, all having in common only an unspecified reference to the field of nature. Fortunately, contemporary naturalism has changed in recent years, with less erratic and ambiguous connotations, thus allowing for the possibility of
identifying two distinct meanings: scientific naturalism and liberal naturalism, respectively. In this paper, we shall demonstrate how
the distinction between different types of naturalism may more or less positively affect the field of numbers and arithmetic properties.

Keywords

Naturalism, liberal naturalism, mathematical naturalism, Maddy scientific naturalism.

Introduction
The term naturalism, over the course of the history of philosophy, has taken on different and changing meanings, so we
can apply it to a large number of philosophical areas (the Ionian
philosophers, Aristotle, the philosophy of Hume and Spinoza,
nineteenth-century positivism, logical empiricism and pragmatism, to name just the most popular areas), all having in common
only an unspecified reference to the field of nature. Fortunately,
contemporary naturalism has changed in recent years, with less
erratic and ambiguous connotations, thus allowing for the possibility of identifying some common traits in different fields of
application (De Caro & Macarthur 2004). Generally, two distinct
meanings can be identified, scientific naturalism (much better
known) and liberal naturalism (less known, but which in recent
years has had a rapid rise), respectively. Both of the two perspectives share what might be called the constitutive theory of naturalism, namely, the use of laws, explanations, and entities that
are given in nature and therefore do not belong to the realm of
the supernatural (religious beliefs, mysticism, demiurges, deities,
and so on). In addition, both modern conceptions of naturalism
agree that the natural sciences are the ideal model to which all
other sciences must comply in order to be legitimated in their
cognitive activity.
However, although both concepts make claims as to the value of natural science and the experimental data that can be
derived from it, the two views are divided on the role to which
philosophy should be assigned. In fact, according to the conception of scientific naturalism, which in its most radical form has
been commonly traced back to Quine (but which has also been
associated with the perspectives of the analytic philosophers
such as Dennett and Churchland), philosophy is not an activity
that arises from a point of view that is external to the natural
sciences (as theorised by, among others, Aristotle, Descartes and
Kant), but rather, philosophy is, in itself, a part of science: it arises
as part of our system of the world, in continuity with the rest of
science. In short, Quine argued for the need to abandon once
and for all the dream of a Philosophia Prima, a philosophy that
is more important than natural science: the Philosophia Prima
must give way to the Scientia Prima.
In contrast, theorists of the liberalised conception of naturalism, though they also believe that scientific knowledge is fundamental to philosophy and that philosophical formulations must
take into account the achievements of natural science, do not
accept the continuity thesis of scientific naturalism because for
those authors, philosophy differs from science in the method,
object and purpose of the research. According to the theorists,
only in this way can philosophy overcome the sharp division that
exists in the scientific version of naturalism, between the actual
phenomena of the physical world and those that relate to the

73

different fields of human existence. This allows the recovery concepts such as normativity, intentionality and free will, which are
hardly reducible to the physical world, thereby giving them the
dignity of belonging to the domain of the natural world, away
from any metaphysical contamination.
We shall see below how this distinction between different
types of naturalism may affect more or less positively the field of
numbers and arithmetic properties.

1. Scientific naturalism and the philosophy of


mathematics
As we have said, for Quine and for all of the scientific naturalists, the intent and purpose of mathematical research is to seek
solutions of science and philosophy together because they cannot be separated. In this sense, mathematics involves cognitive
processing, precisely like the theoretical aspects of science. In
the same vein, Quine asserted that, although not entirely faithful
to the original spirit of mathematics, the leading figure in twentieth-century mathematical naturalism is P. Maddy. In fact, even
referring to Quine in terms of the importance of the scientific
method, which can also be associated with the pragmatic approach more than that of the mathematical community, but convinced of the value of the presumed ability of mathematicians
to judge and control the construction of their theories, and thus
contradicting one of the main theses of scientific naturalism,
which only processes information in terms of that which is scientifically useful (and not according to the criteria that is defined
within the community of mathematicians) as the only criterion
of acceptability of a thesis. However, given the particular field of
her research, Maddy was able to provide definitions for the entities that philosophers discuss, but which, at least prima facie, are
not attributable to the entities that have been postulated by the
natural sciences (in her specific case, the abstract entities of mathematics). This is the so-called placement problem, otherwise
understood as the problem of identifying the location of these
entities in the natural world. To this specific issue, Maddy has
responded over the years, first by supporting a form of mathematical Platonism (called realism set theory), and even going
so far as to apply the principle of indispensability to justify the
realism of mathematical entities by virtue of her argument that
the objective existence of abstract entities is integral to the best
explanation we have of the world (according to Quines holistic
network and the role that mathematics plays throughout). However, justifying Platonism requires that we make room for the
faculty of mathematics, which, on the other hand, is criticised
from the point of view of nature in values.
Maddy has attempted to object to this criticism by exposing
the point of view that mathematical intuition is not only simi-

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lar to sensory intuition, as Godel claimed, but rather, it is a faculty of perception, i.e., the perception of sets of medium-sized
physical objects, whose formation can be detected in the brain
(Maddy, 1990). In this sense, we arrive at the second strategy that
has been adopted by Maddy, i.e., the reductionist strategy, according to which these properties are ontologically genuine, but
only because they are ontologically identical to, or occurring according to, scientifically acceptable properties. In Realism in Mathematics, 1990, Maddy indicates that the discoveries that were
made in those years came from neuroscience and experimental
psychology in order to focus on the analogy between the insight
of sets and the perception of objects (an idea was intuited by Godel, as mentioned above). Drawing on the findings of the neurophysiologist Donald Hebb (1980), who showed that neurons not
only confine themselves to carrying out immediate perceptual
activity but, on the contrary, they continue their mutual functional electrical stimulation well after the cessation of sensory stimulus, by which are formed cell assemblies (groups of neurons
in the connection), Maddy identifies in these groups of neurons
that maintain a connection with each other the neurophysiologic consideration of her idea of physical object.
In other words, according to the author, in order to form a gathering of cells that are capable of grasping an object, for example, delta, it will first require the gathering of the mobile phone
that is capable of detecting the angles. Then, these will give rise
to the gatherings that are able of capture a certain type of triangle from a certain perspective, and then a number of gatherings
of different perspectives give rise to a perspective that integrates
the various perspectives as described above, thereby referring
them to a single object. Maddy is convinced that these observations fully validate, from the neurophysiologic point of view,
Piagets theories concerning the formation of the concept of the
object by children. In fact, she also writes in the same work: This
expectation is substantiated by the experiments of Jean Piaget
and his colleagues. The childs ability to acquire perceptual beliefs about physical objects, as judged from behaviour, develops
between the ages of one and eighteen months. At the beginning
of this period, the childs world is a welter of isolated incidents
(Maddy, 1990: 54). Therefore, according to the author, the same
neurons are the ones that are set in motion by the continuing
perception of the object, although from different perspectives
by which it is perceived, which are continually challenged to
keep their electricity on each other and by then generating a
cell that serves as a gathering object detector. From these considerations, especially based on Piagets experiments of seriation
and commissioning, Maddy suggests a similar development
with regard to the formation of the assembly concept. In fact,
she goes on to say: In this way, even an extremely complicated
September would have a spatial-temporal location, as long as it
has things in the physical ITS transitive closure. And any number
of different sets would be located in the examination place, for
example, the set of the set of three eggs and the two set of hands
is located in. The same place as the set of the set of two eggs and
the set of the egg and the other two hands. (Maddy, 1990: 59).
Therefore, in Realism in Mathematics, Maddy is convinced of
the value of Piagets experiments and his idea that there is a relationship between a general intelligence structure and the evolution of mathematical competence. However, in the last 25 years,
the Piaget model has been questioned for evidence of numerical capacities in animals and children. Many works have, in fact,
shown that not only animals and children are able to represent
numbers crudely, but that this ability summons brain structures
that are similar among species. Furthermore, numerical experiments on adult cognition have highlighted the important role
played by nonverbal processes and have shown how logic is not
a primordial and primary aspect of numerical representation:
mathematical ability, albeit an approximate one, seems be present in children from the earliest days of life, constituting a sort of
universal jurisdiction that mathematical neuroscientist, Stanislas
Dehaene (2011), calls number sense, which we share with other

74

animal species. Dehaene further suggests that this instinct is the


expression of the operation of a mental organ, a set of brain circuits that are also present in other species, which functions as an
accumulator, i.e., as a type of counter that allows us to approximately perceive, store and compare numerical quantities. Numerous studies with brain imaging techniques have in fact shown
the role of a part of the parietal cortex, the intraparietal sulcus
(more precisely, the horizontal part of the parietal lobe, the bilateral horizontal segment of intraparietal sulcus, cfr. Dehaene
et al. 2003), which is active in those tasks that appeal to these
approximate representations.
In her 2007 book, Second Philosophy, Maddy (2007)
acknowledges that neuroscientific research has been enriched
by new discoveries, having become gradually more and more
precise in detail with regard to the research on the nature of
mathematical entities and that the field has improved decisively. Through the arguments of Realism in Mathematics, Maddy
claims that, aside from the neurophysiologic findings we have
today (especially those that are derived through the use of PET
and fMRI), things are very different from those of 1980, when she
addressed the work of Hebb. For these reasons, in Second Philosophy she refers specifically to Dehaene and Spelke and their
numerical experiments that were related to cognition. However,
even if the outcome of these experiments is unanimously certain, the fact remains that in terms of the latter interpretations,
Maddy turns out to be quite controversial because, once again,
she finds a way to make this material support the role that the
theory of sets plays in mathematics. The result is that Maddy manages to bring out certain cognitive invariants that, according
to her Platonist interpretation of set theory, correspond to the
elementary properties of the objects of such theory. However,
this is not enough to send us to some plausible epistemology for
mathematics because the role upon which set theory in mathematics depends is held by the whole theory. Furthermore, as is
shown by Parsons (2007), assuming that it is permissible to draw
a conclusion from the description of the phenomena of perception that would be at the base of our elementary numbers, there
remains the problem that both of the mathematical theories that
are applied in this description, both those used in the neural and
psychological theories, can be formulated, and, moreover, they
have been quietly made, without invoking set theory in any way:
so, It is just not plausible that the formulation in terms of set theory reflects the nature of things to that the degree Maddys view
presupposes (Parsons, 2007: 211). The problem, as evidenced by
Parsons, seems ultimately to depend on whether the transition
from elementary mathematical beliefs to empirically based processes that govern our mathematical theories cannot in turn be
justified empirically, although the transition is clearly crucial in
the building of mathematics itself. It is on this crucial point that
Maddys scientific naturalism has failed. However, has naturalism
itself failed?

2. The liberal naturalism of mathematical entities


As we have said, the scientific naturalism of natural science
constitutes the model to which all other sciences and philosophical reflection must comply in order to be legitimised in
their cognitive activities. But, despite being a legitimate criterion in its principles, it proves to have great limitations in the
face of mathematical concepts, such as numbers, time, and so
on. For some authors, the irreducibility of these objects and
the natural horizon that is based on the apparent intractability
of natural science would suggest the need to eliminate them
from the philosophical vocabulary and to replace them with
scientific terms and concepts that provide greater consistency
in the material plane. This is the view, for example, of Hartry
Field with respect to mathematical properties. According to the
author, in abstract classes, math does not exist, and therefore,
the truth value of mathematical statements is identical to that

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

of sentences like Oliver Twist lived in London, that is, they are
irrevocably false.
Fortunately, in recent years, a type of naturalism has become increasingly popular that is less radical than the scientific
modes proposed by Quine-Maddy or than the eliminativism
by Field, showing that there are other ways in which naturalists
can go beyond the reductionist model of scientific naturalism.
In this proposal, the key appears to be compatible (rather than
continuous) between philosophy and science, which forcefully
leads to the anti-reductionist focusing on themes of normativity. Scientific naturalism is not in fact able to provide an account
for the inadequate explanation of the constitutive features of
human nature. However, how can we reconcile the normative level with the causal (which is typical of the natural sciences)? This
question comes in response to John McDowell, whose proposal
is emblematic of the position that has been taken by mediating
liberalised naturalists. According to McDowell, the specificity of
human beings is unique because they come with a second nature (De Caro & Macarthur 2010). Referring to the notion of a
space of reasons by Wilfrid Sellars, McDowell argues that the
best way to explain some features of human behaviour is to refer
not only to the causes that govern bodily movement but also,
especially, the reasons for human actions: reasons. However,
these should not be considered to be abstract entities that are
independent of human experience but, in contrast, they are an
integral part of our nature (they are, in fact, our second nature). In this case, the liberal naturalism of McDowell meets the
first requirement (which we might call ontological) on which
scientific naturalism, as opposed to the difficulties presented
by Maddy, namely the investigation into the nature of the explanations of all types of entities that are required by paragraph
of this explanation, without a priori constraints: in this way we
will not have any difficulty in accepting the existence of entities
such as morals, as the modal or intentional (and the truth or falsity of the corresponding ratings), provided that these entities
are essential to take into account the important aspects of our
thinking, which means that no explanations can include supernatural entities that violate the laws of nature. In the case of mathematical entities, then, we must not commit a misrepresentation, and proceed to privilege the real, once and for all, which is
true only according to our beliefs and symbolic mathematics. To
clarify the issue on mathematical entities, we need two different
notions of existence, and liberal naturalism has no difficulty in
explaining both notions. We borrow the dual notion of existence
from a philosopher of language, Aldo Bonomi, who distinguishes
between r-esistance and l-existence: The r-existence is, in the
terminology above, the existence-in the ordinary sense. L - here
it means to belong to a certain domain of interpretation. It is an
existence that has a linguistic nature in the sense that objects
exist-that owe their identity to linguistic criteria. All you need to
state that something exists is that you can find that object in the
logical space of discourse in which it appears (Perconti, 2003:
10). Therefore, liberal naturalism as defined by McDowell, but
also all by others who are inspired by this form of naturalism,
has no difficulty in accepting conceptual analysis (and here we
come to a second requirement, which is that of methodology)
as a method that is a legitimate investigation unless it represents
a fruitful way to explain certain phenomena, as long as this method can be proved to be incompatible with the investigations of
the natural sciences, for example, neuroscientific investigations.
If this is true, then normativity is not incompatible with a descriptive and causal investigation: that is to say, logically at least, that
normativity can be compatible with descriptive and causal investigations.
However, does this hold for all knowledge? Lets review an
example, taken from Pascal Engel (2001), in a field that is close to
mathematics, which is that of decision theory. According to decision theory, in rational choice, Bayesian rational agents obey
a minimal standard, which is that of maximising expected utility.
The normative theory of rational choice under this formula and

75

the principles of choice that flow from it. The descriptive part
of the theory has the task of determining whether in fact these
agents follow rules. As has been highlighted by several experimental psychologists, in certain circumstances, the agents do
not follow the normative theory as theorised, which gives rise
to certain paradoxes (one of the most famous is that of Allais),
in which the agents will systematically move away from maximising their usefulness. Decision theorists may argue that this
response is so irrational that it contains an error of reasoning or
some factor that has influenced the response of causal agents.
In this case, it therefore appears that interpretive understanding
is not a causative factor. It is, as it were, opaque, and contains
no reference to a rule, but rather it refers only to a psychological
process that is responsible for the error, but to say what it means
give to understand that error, giving to understand why agents
do (Engel, 2001: 16).
While Engels warning does not require us to accept how
the cognitive epistemic is irreconcilable with the best available
practices, one must nevertheless emphasise the example that he
reported does not undermine liberal naturalism for several reasons. First, naturalisms apparent paradoxes includes errors, and
decision theory can easily explain such shifts for reasons that
are other than those prescribed by traditional the neoclassical
theory of utility maximisation, for example, an agent can decide
to give up today to try to maximise more tomorrow, or because they forego maximising, the agent thinks of acquiring social
prestige, and so on. Therefore, we are not always true and just
in advance of committing errors, as theorised by experimental
psychologists as well as by Engel. In secundis, a new paradigm
is having more success in explaining economic changes in the
context of a union between a formal explanation and a causal
explanation of economic factors: the neuroeconomy that does
not reject in toto the neoclassical explanation, but, rather, it tries to find neural correlates (Camerer, 2003). Finally, it should be
noted that the liberal naturalist (perhaps McDowell can be excluded in this case) will have no difficulty in accepting a reduction
or elimination, but only if this proves to be either impossible or
epistemically fruitful.
If anything, the real problem of liberal naturalism, considered in the positive light of Engel, is that if we want to provide
the description of not only a certain phenomenon but also the
adequate explanation of why a certain thing happens, we should
aim to answer the question of whether it is possible for humans
(unlike other physical systems), to participate in a second nature. In fact, when you engage in arguing that rational agents are
natural systems, then you have almost groped duty to provide
an answer to this question. To answer this question, however,
we do not have to abandon liberal naturalism because all of the
knowledge that is available to rational agents, including mathematics, is part of a natural process of adaptation. It is under such
a process that mathematics has occupied an important place in
the course of human evolutionary history as a decisive step towards the achievement of higher cognitive abilities, which has
supported the formulation of hypotheses about the shapes of
bodies that are present in the environment, as well as their position and their number. This has meant that humans have discovered more and more new properties of the environment that
have led us to advance towards more appropriate behaviours
and to have greater success. The need to formulate hypotheses
derived, therefore, in the simplified view, from the signals that
are provided by bodily sensory receptors, which were not sufficient and therefore required imbuing these signals with meaning, which, in itself, was ambiguous and susceptible to multiple
interpretations.
The notion that mathematics is part of a natural process of
adaptation is clear in arithmetic. As demonstrated by Stanislas
Dehaenes experiments and those of other cognitive neuroscientists, the idea of numbers is not derived from our sensations
(otherwise, children would have numerical concepts within
a few days after birth, requiring only the ability to manipulate

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

them) but we must assume that our brain has an innate ability
that allows us to detect small numbers and that this ability is a
product of evolution. Of course, arithmetic is not sufficient to develop these innate abilities, but we also need the ability to create
systems of symbols, both spoken and written. Only by virtue of
these additional skills may we appoint different infinite numbers,
address continuous quantities of discrete things and invent the
rules of arithmetic. The latter skills, however, are not the product
of biological evolution, but rather they are the product of another type of evolution, a cultural one, which, unlike the former, is
much faster and more accurate.
Therefore, the interrelationship of these considerations indicates that naturalism proves to be liberalised, even the best of
all possible naturalisms, if only because the objectivist view of
science is subjective and sees human beings as agents.
References
Camerer, C. F. (2003). Strategizing in the Brain. Science, 300, 167375.
De Caro, M., & Macarthur, D. (eds.). (2004). Naturalism in Question.
Cambridge, Mass: Harvard University Press.
De Caro, M., & Macarthur, D. (eds.). (2010). Naturalism and normativity. New York: Columbia University Press.
Dehaene, S. (2011). The Number Sense. How the mind creates
mathematics. Oxford: Oxford University Press.
Dehaene, S., Piazza, M., Pinel, P., & Cohen, L. (2003). Three parietal
circuits for number processing. Cognitive Neuropsychology,
20, 487-506.
Engel, P. (2001). L espace des raisons est sans limites? Paris: Gallimard Folio.
Maddy, P. (1990). Realism in mathematics. Oxford: Oxford University Press.
Maddy, P. (2007). Second Philosophy. A naturalistic method. Oxford: Oxford University Press Inc.
Parsons, C. (2007). Mathematical Thought and its Objects. Cambridge: Cambridge University Press.
Perconti, P. (2003). Leggere le menti. Milano: Bruno Mondadori
Editore.

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Creatura collettiva. Note sul concetto di


cognizione distribuita
Francesco La Mantia - francesco.lamantia28@unipa.it
Universit degli studi di Palermo/Dipartimento Fieri-Aglaia

Abstract

In this paper, I will examine some aspects of a research program called Distributed Cognition. My goal is twofold: a) to clarify the
many meanings of the word distribution in the context of cognitive science; b) to analyze the relationship between Distributed cognition and three distinct topics i.e: 1) Computational Theory of Mind; 2) Social Cognition; 3) Personal Mind. In the conclusions, I
will try to fomulate some questions that remain open in the debate on Distributed Cognition.

Keywords

Distributed cognition, social cognition, personal mind, computation, ants.


Dio non ha unit,
come potrei averla io?
(Fernando Pessoa)

1. Difficolt ed esitazioni
Discutere di cognizione distribuita dora in poi, CD pu forse sembrare un esercizio intellettuale sterile e privo di effettivo
interesse. Questa valutazione ha dalla sua parte un dato difficilmente contestabile: CD si trasformata rapidamente nelloggetto di culto di numerosi studiosi appartenenti ad aree diverse del
dibattito scientifico. Messo tra parentesi il potere banalizzante
delle mode culturali, rischio costantemente presente in queste
forme di venerazione religiosa, lostacolo principale che si oppone a un esame dettagliato di questo approccio allo studio della
cognizione sembra un altro: lassenza totale di novit. Rispetto
alla prima fonte di esitazione, questa seconda difficolt presenta un numero maggiore di elementi problematici. In fondo, le
mode culturali, se non sono esattamente un falso problema, restano una malattia comune di molte discipline per le quali esiste
gi una cura efficace: attendere che esse terminino. Ben diversa,
invece, la questione sollevata dal secondo capo daccusa. In
questo caso, non si tratta di neutralizzare i nefasti effetti di fraintendimenti e indebolimenti concettuali, ma di capire se CD abbia
in dotazione un potenziale euristico originale. Il dubbio che non
sia cos suggerito implicitamente dai partigiani pi autorevoli
di questo programma di ricerca.

2. CD: forme e significati.


Hutchins (2001) distingue tre letture di CD, ciascuna centrata
su aspetti particolari della cognizione: interindividuali, ecologici
e temporali. Le letture che interpretano CD in chiave ecologica
e interindividuale mettono sotto attacco uno dei dogmi centrali
del cognitivismo tradizionale: lindividuo come unit di analisi
fondamentale dellindagine cognitiva. Nel contesto di queste
letture, i confini della cognizione sono situati al di fuori degli individui: memoria, apprendimento, processi decisionali, inferenze
e, pi in generale, ogni forma di ragionamento sono funzione di
specifiche interazioni tra individui, ambiente e artefatti di vario
tipo. Le letture che interpretano CD in chiave temporale completano questo lavoro di revisione introducendo un punto di vista
dinamico nellanalisi della cognizione: i fenomeni cognitivi sono
descritti nei termini di processi che evolvono nel tempo e che
possono modificarsi sulla base di trasformazioni precedenti. Da
qui tre diversi impieghi della parola distribuzione: a) condivisione tra i membri di una comunit o di un gruppo sociale; b)
accoppiamento strutturale con lambiente; c) evoluzione temporale. Nelle parole di Hutchins (2001): [] risultano almeno tre
generi interessanti di distribuzione dei processi cognitivi: i pro-

77

cessi cognitivi possono essere distribuiti tra i membri di un gruppo sociale, oppure possono essere distribuiti nel senso che le
operazioni del sistema cognitivo comportano la coordinazione
di strutture interne ed esterne (materiali o ambientali), o ancora
possono essere distribuiti nel tempo in modo tale che i prodotti
di eventi passati possano trasformare la natura di eventi successivi (2068). Questo il repertorio concettuale primario di CD. Il
resto un lungo e articolato commento ai tre sensi di distribuzione introdotti.

3. Presupposti teorici di CD
Talora, i commenti possono nascondere gradevoli sorprese.
Una parte consistente dei contributi prodotti nellambito di CD ne
ha ricostruito i presupposti teorici di base. Il lavoro di ricostruzione condotto ha permesso di esaminare i contesti di provenienza
delle principali idee promosse da questo programma di ricerca.
Ne emerso uno scenario composito, di notevole ricchezza e variet. Dai grandi classici del pensiero sociologico, antropologico
e psicologico fino ad alcune pietre miliari delle scienze cognitive,
la letteratura sullargomento pullula di continui riferimenti alle
opere di Durkheim, Marx, Vygotsky, Wittgenstein ma cos pure
ai lavori di Minsky e del gruppo PDP. Le radici di CD, oltre che
profonde (Hutchins, 2001: 2068), sembrano spingersi cos nelle
direzioni pi disparate. Fuor di metafora: essa trae ispirazione da
prospettive teoriche differenti. La presenza di fonti tanto numerose e diverse costituisce nello stesso tempo un punto di forza e
di debolezza. un punto di forza perch garantisce un approccio
pluralistico ai problemi e allanalisi dei fenomeni esaminati; un
punto di debolezza perch presta il fianco a una critica fondamentale, cui si accennato poco prima: lassenza di novit.

3.1 Approfondimenti
Questa critica, sia pur nella forma di una cauta ammissione,
stata fatta propria anche da studiosi che militano nelle fila di CD.
Cole & Engestrm (1993), Karasavvidis (2002) e Angeli (2008)
solo per citare alcuni dei contributi pi interessanti sono casi
esemplari di questa tendenza. Nel contesto di tali lavori, lesame
delle caratteristiche peculiari di questo programma di ricerca
preceduto dallosservazione secondo cui distributed cognition
is not new. Probabilmente, nelle intenzioni degli autori, si tratta solo di unindicazione di chiarimento. Letta in unaltra ottica,
per, questa indicazione fa il paio con il dubbio precendentemente sollevato: se CD non una novit, allora non certo che
essa rappresenti un punto di vista originale nellanalisi dei fenomeni cognitivi. Questa incertezza dipende dal fatto che non sono
chiari i parametri in base ai quali valutato il potenziale euristico
di CD. Se essi si riducono a pochi criteri arbitrari che limitano tale
valutazione allesame di concetti e modelli provenienti da altre
discipline, allora questo potenziale ha ben poco da offrire. Ver-

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rebbe cos confermato il pregiudizio, spesso serpeggiante in letteratura (cfr. Grison, 2006: 31), secondo cui CD la riproposizione
aggiornata di categorie e metodi che appartengono a tradizioni
di ricerca pi antiche: La cognizione distribuita un programma di ricerca che oggi gode di notevole visibilit []. Resta il fatto tuttavia che lesistenza di questa corrente gi vecchia e risale a
parecchi decenni fa15. possibile per adottare una lettura diversa di questo programma di ricerca e sfatare cos il mito che esso
sia solo un revival cognitivo di vecchie glorie del passato. Questo mutamento prospettico pu essere innescato tenendo conto di pochi dettagli essenziali. Si tratta di valutare, da un lato, il
modo in cui CD integra i contenuti di istanze teoriche differenti e,
dallaltro, di esaminare il tipo di obiezioni che le vengono mosse.
Sul primo punto, vi poco da aggiungere: CD lungi dallessere
unaccozzaglia disordinata di metodi e strategie di analisi un
programma di ricerca consolidato che si imposto negli attuali
dibattiti per la capacit di coordinare in un quadro organico e
intuitivamente accettabile domini di indagine eterogenei. Naturalmente, questa capacit di coordinazione rappresenta gi un
segno di originalit non banale. Quanto al secondo punto, invece, si possono fare diverse considerazioni. Qui mi limiter a formularne una sola: quella principale. Nel corso degli ultimi anni,
CD stata sottoposta a un numero crescente di critiche, spesso
durissime, che hanno incontrato il favore di figure disciplinari
differenti. Etnoantropologi (Button, 2008), filosofi della mente di
orientamento analitico (Sprevak, 2009; Di Francesco, 2004; Rupert, 2004) e fisici dei sistemi complessi interessati a tematiche
di ontologia sociale (Chavalarias, 2006; 2007) hanno valutato
con profondo acume critico il valore epistemologico di alcune
sue proposizioni fondamentali. Al di l degli esiti cui ciascuna di
queste critiche pervenuta, il dato che emerso la centralit
indiscussa di CD come punto di riferimento di alcuni tra i pi interessanti dibattiti di filosofia delle scienze cognitive degli ultimi
ventanni. La forza delle obiezioni mosse stata direttamente
proporzionale al credito goduto da questo programma di ricerca
presso studiosi e appassionati. Pi che una moda culturale o una
stanca riproposizione di vecchie teorie camuffate, esso stato
linterlocutore credibile di punti di vista rivali, altamente qualificati, che ne hanno confermato, se non loriginalit, lo spessore
teorico. Da qui la necessit di analizzare le obiezioni in gioco e di
metterne a fuoco i contenuti essenziali.

4. CD: obiezioni
Le obiezioni rivolte a CD possono essere suddivise, grosso
modo, in due filoni principali: uno relativo al punto di vista delle
scienze umane dora in poi, PSU; un altro relativo al punto di
vista della filosofia della mente dora in poi, PFM. Iniziamo con
lesaminare il primo filone.

4.1 CD sotto attacco: la peculiarit degli esseri umani


Le obiezioni che PSU muove a CD toccano due ordini di
questioni: 1) i rapporti di CD con la teoria computazionale della
mente dora in poi, TCM e 2) i rapporti di CD con la cognizione
sociale dora in poi, CS. Quanto alla prima questione, si tratta
di stabilire in che misura CD rappresenti una rettifica effettiva
di TCM. Le letture ecologiche e interindividuali della parola distribuzione, cui si accennato nel paragrafo 2, dovrebbero dissipare ogni dubbio al riguardo. Nel contesto di TCM, lunit di
analisi fondamentale lindividuo o meglio: quel che accade
nella testa di un individuo. Poich CD espande i confini di questa
unit, essa pu essere considerata a buon diritto una rettifica di
TCM. Lesame di singole menti individuali cede il posto a indagini di pi ampia portata, centrate su multipli fattori correlati:
interazioni tra individui e individui, tra individui e ambiente, etc.
Tuttavia, nonostante questa espansione, il dubbio rimane. Alcuni
etnoantropologi, tra cui Button (2008), lo alimentano argomen-

tando che i rapporti tra CD e TCM sono, in realt, molto stretti


e in linea con i principali obiettivi del cognitivismo tradizionale.
Ridotte allessenziale, le critiche enucleate possono essere sintetizzate in questi termini: lo spostamento di attenzione dagli individui alle relazioni tra gli individui e lambiente circostante, che
CD ha sempre promosso, costituisce senza dubbio un elemento di novit rispetto al modo in cui le scienze cognitive hanno
tradizionalmente impostato lanalisi dellintelligenza e delle sue
principali operazioni. Questa trasformazione per non si spinge
a tal punto da modificare lidea generale di mente che sta dietro TCM. Nellambito di questo programma di ricerca, il termine
mente impiegato in riferimento a un dispositivo computazionale, implementato nel cervello, che opera secondo regole logico-formali ben codificate. In estrema sintesi, la mente computazionale un sistema di elaborazione dellinformazione basato
sulla manipolazione di simboli (o rappresentazioni) che hanno in
dotazione sia propriet sintattiche che semantiche. Le indagini
di CD, sebbene centrate su unit di analisi differenti, restano fedeli a un ideale computazionale di mente e interpretano le azioni
degli esseri umani in funzione di questo ideale:Seguendo una
tradizione cognitivista, la cognizione distribuita legge la mente
in termini di computazioni che operano su rappresentazioni interne ed in funzione di queste rappresentazioni che lazione
umana compresa (Button, 2008: 91). Diversi passi di Hutchins
(1996), pietra miliare di CD, recano tracce evidenti di questa lettura. Per esempio: quelli relativi alle azioni di gruppo compiute
dallequipaggio di una nave alla deriva. Il lessico adoperato per
descriverle fa riferimento, da un lato, al bagaglio di calcoli interni
che ciascun membro dellequipaggio deve eseguire per svolgere
certi compiti individuali, dallaltro, al bagaglio di calcoli interni
che ciascuno di essi deve eseguire per coordinarsi con gli altri
membri dellequipaggio ossia per svolgere un compito collettivo. Il lavoro svolto cos interpretato tramite categorie di ordine
computazionale radicalmente difformi dalle categorie di ordine
sociologico (e antropologico) comunemente adoperate nellanalisi di casi simili. Da qui il senso generale della prima critica: CD
non una rettifica di TCM perch essa lungi dal modificarne le
categorie di riferimento ne estende il raggio dazione alla sfera
dei rapporti sociali umani, ridotti cos a risultato di interazioni tra
dispositivi computazionali variamente sincronizzati. Nelle parole
di Button (2008:90): Hutchins descrive le loro attivit in termini
cognitivi come risultato sia dellelaborazione cerebrale nella testa dellindividuo sia dellelaborazione cerebrale coordinata tra
le teste.
La Cognizione Distribuita un chiaro tentativo di tirar fuori
dalla bottiglia il genio cognitivo per disperderlo nel mondo sociale. Una conseguenza di questo modo di fare che gli oggetti quotidiani nei luoghi di lavoro sono ridescritti nel linguaggio
arcano delle scienze cognitive e del modello computazionale
della mente. Quanto alla seconda questione i rapporti tra CD
e CS essa tocca un altro punto cruciale del dibattito. In questo
caso, si tratta di stabilire se le due nozioni sono equivalenti oppure no. La tendenza generale, diffusa tra numerosi studiosi di
economia e scienze sociali, di valutare luna come una variante
terminologica dellaltra. CS (esattamente come CD) coprirebbe
gli aspetti inter-individuali della cognizione, ossia tutti quei fenomeni cognitivi che riguardano linterazione tra i membri di una
comunit qualsiasi. In questo contesto, quindi, lanalisi tratterebbe indistintamente di societ di insetti, banchi di pesci, stormi di
uccelli o gruppi umani. C chi, per, come Chavalarias (2007), ha
sollevato alcune importanti obiezioni. Quella principale riguarda
il rischio di accorpare sotto una comune etichetta generale domini dindagine troppo diversi. Da qui la necessit di distinguere
in modo adeguato tali domini e presentare CS come una versione raffinata di CD. Sulla base di questa rettifica, CS, anzich comprendere tutte le forme di vita aggregate, si limiterebbe a coprire
soltanto quelle umane:Qui difendiamo lidea che la cognizione
sociale sia un raffinamento del concetto di cognizione distribuita
piuttosto che qualcosa di equivalente. Si tratta di un fenomeno


. Corsivi nostri.

78

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

proprio delle societ umane.16 Largomento di Chavalarias (2007)


, grosso modo, questo: le forme di interazione caratteristiche
di una comunit umana presentano propriet irriducibilmente
specifiche che non possono essere replicate nel contesto delle
forme di interazione animale su cui CD compie abitualmente le
sue previsioni. Per esempio: quelle che caratterizzano termitai o
formicai. Le differenze principali, che segnano uno stacco netto
con questo genere di interazioni, riguardano, essenzialmente,
due fattori: a) la capacit di leggere il comportamento altrui in
termini intenzionali (credenze, desideri, etc.); b) la capacit di
modificare condotte, schemi e regole di comportamento nel
corso delle interazioni che scandiscono la vita sociale della comunit. La letteratura entomologica conferma questo importante salto qualitativo offrendo esempi di comportamenti collettivi
che risultano privi di tali caratteristiche. Quanto al primo punto,
termiti e formiche tengono conto delle altre compagne di lavoro
solo sotto il profilo degli effetti fisico-chimici che le azioni di ciascuna sono in grado di indurre nellambiente circostante. La lettura mirmecologica (termitologica) del comportamento avviene
cos tramite secrezione e/o ricezione di particolari sostanze che
ricoprono le corazze chitinose degli insetti. Di conseguenza, non
vi spazio per altri generi di letture, giacch il comportamento
di formiche e termiti riducibile a cieche interazioni chemiotattiche tra unit di lavoro cognitivamente ottuse:Gli altri soggetti
sono considerati solo nella misura in cui la loro presenza ha un
effetto fisico sullambiente. Per quanto riguarda gli esseri umani
[] gli individui valutano ugualmente i partners delle loro interazioni nei termini di credenze, intenzioni, valori, etc..17 Quanto
al secondo punto, le azioni di formiche e termiti si ripetono sempre uguali, poich esse sono il riflesso di chimismi diffusi e reticolari che sincronizzano cooperativamente i movimenti di singole
micro-unit di lavoro. Nessuna formica o termite in grado di
sovvertire le regolarit di tali chimismi. Al contrario, gli esseri
umani dispongono di potenzialit bio-cognitive sufficientemente ricche per innovare e trasformare le regolarit di sistema in cui
essi sono immersi. Questa capacit di trasformazione, che fa di
ogni essere umano un agente creativo, allorigine di condotte
comportamentali inedite, suscettibili, a loro volta, di generare
nuove regolarit e nuovi vincoli di sistema. Di conseguenza, il
significato generale della seconda critica il seguente: CS non
una variante terminologica di CD, poich essa centrata su forme dinterazione umane che possiedono qualit irriducibilmente specifiche, ossia non replicabili nel contesto delle altre forme
di vita aggregate comunemente esaminate da CD.

4.2 CD sotto attacco: individui e mente personale


Esaminiamo adesso il secondo filone. Le obiezioni che PFM
muove a CD ruotano attorno a un tema classico della riflessione
filosofica: la dimensione soggettiva e individuale dellesperienza
o, con altra terminologia, lo statuto della mente personale (MP).
Le critiche enucleate in questo contesto puntano direttamente al
cuore del problema, ossia al fatto che, nellambito di CD, lo spazio riservato ad alcuni fenomeni essenziali della vita mentale
umana notevolmente ridotto o azzerato. Tra questi fenomeni
rientrano lesperienza cosciente di essere qualcuno (o individualit), la consapevolezza di essere lautore di unazione (o agenzia),
il senso di propriet di una sensazione (o egoicit), lassunzione
di un punto di vista situato (o prospetticit) e, pi in generale,
tutti quegli aspetti della cognizione riconducibili alla costituzione di uno spazio mentale unitario (o soggettivo) che garantisce
un accesso immediato e certo ai contenuti della coscienza. Nelle
parole di Di Francesco (2004: 120): [] la mente [] distribuita
trascura aspetti essenziali dei fenomeni mentali (soggettivit, natura prospettica e individuale, dimensione qualitativa, agenzia
libera e soprattutto [] unit della mente.18 Sulla base di queste

. Chavalarias, 2007: 1. Corsivi miei.

. Chavalarias, 2007: 3.

Corsivi nel testo.

79

lacune, lattacco a CD cos articolato in due passi. Il primo approfondisce alcune critiche gi formulate nel contesto di PSU; il
secondo, invece, sviluppa una serie di considerazioni originali su
alcuni limiti e problemi specifici di questo programma di ricerca.
Iniziamo con lesaminare il passo iniziale. Buona parte dei contributi consultati (Sprevak, 2009; Di Francesco, 2004) concorda nel
ritenere che il modello di mente ideato nellambito di TCM sia
compatibile, in linea di principio, con le assunzioni teoriche principali di CD:il funzionalismo computazionale [] inclina [] in
favore di una concezione distribuita e sostanzialmente a-personale
(della mente).19 Le ragioni di questa compatibilit (o inclinazione) sono profonde e risiedono nella possibilit di esportare il concetto di elaborazione dellinformazione, cuore pulsante di TCM,
al di fuori dei confini della scatola cranica. In fondo, a partire da
osservazioni del genere che Button (2008) imposta il proprio esame critico di CD. Nel nuovo contesto per questa prima valutazione associata a un secondo giudizio che riflette su alcune
importanti ricadute di tale esportazione. Gli esiti principali di
queste ricadute interessano la sfera delle esperienze vissute soggettive che compongono larga parte di MP. Il punto in questione , grosso modo, il seguente: nellottica di TCM, mente ed elaborazione dellinformazione possono essere facilmente
assimilate. Questassimilazione, per un verso, compatibile con
lapplicazione dei modelli di elaborazione dellinformazione al
corpo, allambiente e, pi in generale, alle interazioni individuo/
ambiente e individuo/individuo che costituiscono lunit di
analisi fondamentale di CD; per un altro, essa compatibile con
letture radicalmente antisoggettiviste della mente che fondano
la spiegazione delle sue principali operazioni su propriet specifiche dellelaborazione informazionale o, in taluni approcci, su
propriet specifiche della sua implementazione. Il primo aspetto
una diretta conseguenza dellalto grado di esportabilit dellelaborazione dellinformazione, che fa il paio con la tendenza, ampiamente sperimentata nei limiti di CD, di disperdere il punto di
vista computazionale nellambiente fisico e sociale. Il secondo
aspetto invece una diretta conseguenza del fatto che, nel contesto di TCM, lassimilazione di mente ed elaborazione dellinformazione determina una scollatura profonda tra le esperienze in
prima persona del soggetto e lattivit cognitiva in senso ampio:
se la mente elaborazione dellinformazione, allora essa dove
c elaborazione dellinformazione. E non [] dove c
esperienza.20 In altri termini, questa assimilazione esclude (o limita fortemente) la presenza di fattori soggettivi nella cognizione, che si trova cos ridotta a un insieme di computazioni eseguite per trasformare sequenze di input percettivi in sequenze di
output comportamentali. CD un effetto amplificato di questa
scollatura: i fenomeni cognitivi possono essere collocati al di fuori della scatola cranica e scaricati su interazioni di vario tipo perch essi sono il risultato di unattivit di pensiero che, in virt del
suo formato computazionale, risulta indipendente da qualsiasi
esperienza soggettiva e di conseguenza, svincolata da questo
o quel soggetto particolare. Da qui il passo successivo e conclusivo: CD un programma di ricerca incompleto poich scioglie la
cognizione in un flusso di interazioni computazionali che non si
fanno carico di riflettere gli aspetti soggettivi e individuali dellesperienza ossia le peculiarit di MP. Per evitare conclusioni cos
pessimistiche, si sostenuto che i rapporti tra CD ed MP possono
essere letti in termini emergentisti. Secondo questa lettura, i flussi
interazionali di CD costituirebbero una base di emergenza adeguata di MP. In altre parole, entro tali flussi, dovrebbe essere possibile delimitare un sotto-insieme dinterazioni specifiche da cui
avrebbe origine MP. Sebbene ragionevole, questa lettura deve
per misurarsi con parecchie obiezioni, una delle quali sembra
difficilmente aggirabile. Vediamo qual . Loperazione che permette di delimitare questo ipotetico sotto-insieme contraria
allo spirito di CD. Si tratta di unoperazione che comporta la determinazione immediata di un confine tra quel che cade allinterno del sotto-insieme e quel che ne resta al di fuori. Essa ripropone

. Di Francesco, 2004: 118.
.Ibidem, p. 118.

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

cio i termini di una distinzione (interno/esterno) che CD, per definizione, rigetta radicalmente. I fenomeni cognitivi possono distribuirsi in una rete di multiple interazioni correlate solo perch
i confini tra individuo e individuo (o individuo e ambiente) sono
fluidi. E tale fluidit, presa sul serio, rende del tutto obsoleta ogni
rigida distinzione tra interno ed esterno. Di conseguenza,
nellambito di CD, questa operazione perde qualsiasi valore epistemologico e conferma il sospetto per cui nessun flusso di interazioni pu offrire una base di emergenza adeguata per MP. Il
confine che dovrebbe delimitare un sotto-insieme di interazioni
adeguato allo scopo pu essere tracciato solo in un contesto in
cui le categorie di interno ed esterno hanno un chiaro valore epistemologico. Tolto CD, non resta che MP. Nel contesto delle
mente personali, infatti, la distinzione tra interno ed esterno
ha un valore fondativo, giacch su di essa che basata la nozione di mente personale. Da qui un paradosso e un limite. Il paradosso che lunico candidato ideale a fungere da base di emergenza per MP sia MP stesso, giacch solo nellambito di MP che
il confine pu essere tracciato ed solo grazie a questo confine
che il campo prospettico della soggettivit diviene intellegibile.
Il limite, invece, che, sulla scia di questo paradosso, CD non offre n una base di emergenza adeguata n una cornice epistemologica sufficientemente dettagliata entro cui esaminare questo campo. Le conclusioni pessimistiche, cui si accennava poco
prima, sono cos ancora una volta confermate. Nelle parole di Di
Francesco (2004: 125): Una possibilit piuttosto naturale per
colmare la distanza tra queste due nozioni del mentale potrebbe
essere quella di ritagliare allinterno della mente estesa un sottoinsieme di processi da cui emergerebbe la mente personale. Il
punto per che questo sotto-insieme non pu essere individuato utilizzando lapparato concettuale della mente estesa. Proprio per le ragioni affermate dai suoi sostenitori, questultima
cancella la distinzione tra interno ed esterno. solo a partire
dalla mente personale che sappiamo individuare i confini pertinenti alla nostra distinzione. Ma se cos il modello della mente
estesa da solo non potr fornirci unanalisi esauriente del fenomeno
della soggettivit.21

5. Conclusioni: riepilogo e questioni aperte


La breve ricognizione condotta su alcuni aspetti problematici
di CD ha evidenziato la presenza di tre nuclei teorici essenziali:
a) rapporti tra CD e TCM; b) rapporti tra CD e CS; c) rapporti tra
CD ed MP. Si tratta di argomenti che meriterebbero un esame
approfondito. In questo lavoro, mi sono limitato a darne una veloce descrizione provando a esaminare i principali punti di attrito
su cui studiosi e appassionati si sono pi volte soffermati. Vorrei
chiudere queste brevi note di commento riassumendo le linee
principali di ciascun argomento e sollevando, dove necessario,
alcune questioni che rimangono sostanzialmente aperte nel
contesto dei problemi esaminati.

5.1
Quanto al primo argomento, dalle analisi condotte emerso
chiaramente che tra CD e TCM sussistono affinit strettissime:
CD come sostiene Button (2008) aderisce a un ideale computazionale di mente e legge i comportamenti umani in funzione di
questo ideale. Daltra parte, vi sono aspetti di TCM che sembrano
anticipare aspetti specifici di CD. Il cerchio dei rapporti tra CD
e TCM sembrerebbe cos chiudersi perfettamente su se stesso.
Tuttavia, CD anche il nodo di una rete di programmi di ricerca
che si tradizionalmente costituita in aperta polemica con TCM.
Gli approcci allo studio della cognizione che si ispirano alla teoria qualitativa dei sistemi dinamici (TDM) rappresentano un caso
esemplare di questa tradizione. Entro tale contesto lappeal epistemologico di TCM risulta notevolmente ridimensionato e buona parte dei suoi concetti-cardine sono sottoposti a un lavoro di

. Corsivi miei.

80

revisione radicale. Da qui la formulazione di un primo quesito:


date queste interferenze con TDM, fino a che punto CD aderisce,
in senso proprio, a unideale computazionale di mente?

5.2
Quanto al secondo argomento, dalle analisi condotte emerso con altrettanta chiarezza che CD e CS non sono programmi di
ricerca equivalenti. Come sostengono Chavalarias (2007) e su
una linea interpretativa analoga Lvy (1997), CS un raffinamento di CD. Esso risulta centrato su comportamenti collettivi
umani che hanno in dotazione propriet irriducibilmente specifiche, ossia propriet non replicabili nel contesto di altri generi
di comportamenti collettivi. Tuttavia, vi un livello al quale queste forme differenti di comportamento sembrano assomigliarsi
moltissimo. Si tratta del livello costituito dai cosiddetti ordini
spontanei: forme di comportamento collettivo che emergono
dalla coordinazione di azioni individuali non intenzionali e che
ritroviamo tanto nei fenomeni sociali umani (per es: i mercati finanziari) quanto nei fenomeni sociali non umani (per es: formicai
e termitai). Alla luce di queste significative convergenze, c da
chiedersi allora fino a che punto i confini che distinguono un programma di ricerca dallaltro siano cos marcati e netti.

5.3
Quanto al terzo e ultimo argomento, dalle analisi condotte
emerso chiaramente che CD non in grado di tener conto di
MP. Come sostiene Di Francesco (2004), CD non offre una base
di emergenza adeguata per MP, giacch impossibile delimitare
nel flusso dinterazioni che essa identifica un sotto-insieme specifico da cui MP potrebbe avere origine. Su questo punto non
ho alcuna questione da sollevare. Mi limito a prenderne atto e
a farne idealmente loggetto di indagine di riflessioni successive. Resta il fatto per che questaspetto problematico, unito alle
osservazioni enucleate nei paragrafi 5.1 e 5.2, conferma quanto
indicato allinizio di questo lavoro: CD resta, nonostante tutto, un
punto di riferimento essenziale per gli attuali dibattiti in scienze
cognitive. E ci vale senzaltro per ciascuna delle questioni qui
brevemente trattate. Dai rapporti tra CD e TCM sino a quelli tra
CD e CS (o CD ed MP), emergono quesiti di grande interesse teorico per i quali per non disponiamo ancora di risposte adeguate
e certe. La formulazione di tali risposte, e il chiarimento preliminare dei domini di indagine correlati, costituiscono, da questo
punto di vista, unoccasione di confronto disciplinare singolare e
preziosa. C da augurarsi allora che le ricerche future procedano
esattamente in questa direzione.
Ringraziamenti

Dedico questo lavoro a Ugo Puccio, La societ.

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81

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Language patterns and innateness


Edoardo Lombardi Vallauri - lombardi@uniroma3.it
Dipartimento di Linguistica - Universit Roma Tre

Abstract

The question whether and to what extent language should be regarded as an innate endowment of the human brain or the result
of (ontogenetically) environmental stimulus and (phylogenetically) historical development is still open. The paper proposes some evidence, strictly linguistic in nature, against the widespread idea that the acquisition of language features from the stimulus available to
the child should be impossible without an innate Universal Grammar working as a Language Acquisition Device already present in the
brain at birth. It also evaluates in a methodological perspective the two main paths of explanation for the presence of linguistic features in our competence, namely their being encoded in a brain module and their being acquired from experience, concluding that - on
epistemological grounds - the latter has to be preferred.

1. Introduction

2. Describing language acquisition.

Language may be innate at birth, i.e. the brain may


(A) contain a specifically linguistic (grammatical) module1, or
not.
In the former case,
(B) such a module may have developed through natural selection, or not.
Question A logically precedes question B, because, if the
answer to it is negative, then question B is devoid of sense. But
euristically, question B can be treated as prior to question A, in
that a possible demonstration that a grammar cannot have developed in the brain according to the laws of natural selection
may rule out the very possibility of that grammars having developed inside the brain at all; at least if one accepts that natural
selection is the only way by which new features can come into
being in organisms2.
This may be one reason why some authoritative scholars3
have ended up denying that language may be the outcome of
evolution (intended as natural selection): admitting natural selection at the origin of language would oblige us to admit that
what we may have developed by selection in the brain is not the
Universal Grammar of all existing languages, rather a set of more
general predispositions to acquire and handle any language.
Actually, the Chomskyan idea that our brain contains an innate
Universal Grammar, also serving as a Language Acquisition Device, has been believed by virtually half of the linguists in the world
for some decades, and meanwhile has literally dominated the way
how non-linguists preferred to conceive of the results of linguistics.
Recently, it is being significantly re-examined. This has been (and
is being) done from at least five perspectives. We list them briefly
right away, and then we will concentrate on just one of them.

Well known experimental work4, mainly consisting of longitudinal studies on language acquisition by children, have shown
evidence that language competence ontogenetically progresses along patterns not easily compatible with the presence of a
grammar in the brain at birth. Roughly speaking, children first
manage linguistic expressions which they directly take from the
stimulus they receive, and then they increase such expressions
in variety and length by simple analogy, without having recourse
to grammatical patterns. Grammatical generalizations seem to
appear later.

1. The most influential representative of this idea is, as it is well known,


Noam Chomsky. It must be stressed that, although the foundations of
linguistic innatism have been established during the Sixties and the Seventies of the past century, this conception of language is still taken for
granted within the tradition of generative linguistics (cf. e.g. Chomsky,
1986; 1988; 2005; Hauser et al., 2002; Pinker, 1984; 1994; Pinker & Jackendoff, 2005; Jackendoff, 1997; 2002; 2007; Culicover & Jackendoff, 2005).
For some provisional surveys on the matter, cf. e.g. Lombardi Vallauri
(2004), Sampson (2005).

. Much in this way, Christiansen & Chater (2008) refute linguistic innatism by formulating a logical problem of language evolution, posed by
specific incompatibilities between the way language seems to be made,
and the possibility for it to have arisen in the brain through evolution.
3. No less than Chomsky and Fodor (with reference not only to language:
cf. Fodor 1998), just to cite the most influential. Chomsky thinks that
evolution theory, though explaining many things, has little to say on this
matter: In the case of such systems as language or wings it is not even
easy to imagine a course of selection that might have given rise to them.
A rudimentary wing, for example, is not useful for motion but is more of
an impediment. (Chomsky 1988: 167.)

82

3. Locating language in the brain.


The innatist standpoint has been seriously scaled down by
some interpretations concerning the results of research on mirror neurons5. The common localization, in the brain, of both
language and the sensory-motor system, together with the existence of neurons that allow what has been called an embodied
simulation of other individuals acts, has suggested a possible
origin of language from shared internal representations of sensory-motor events, including the movements by which we articulate linguistic sounds; and it has suggested that language may
be much less specific and per se than it would be in the hypothesis that a specifically linguistic module (a Universal Grammar)
readily exists in the brain at birth.

4. Interpreting language universals.


The necessity to postulate a Universal Grammar at the basis
of all actual languages is usually presented as also arising from
the presence of language universals, i.e. features common to all
languages: a linguistic module in the brain may be responsible
for this6. This argument has been challenged mainly from two
directions:

4.1. Denying language universals.


The first is the refusal of the idea that languages share features
that are really universal. Recent studies7 strongly argue against
the existence of any linguistic pattern that may be considered
4. Cf. e.g. Braine (1992), Braine & Brooks (1995), Tomasello (1995, 2000a,
2000b, 2003), Brooks & Tomasello (1999), Brooks et al. (1999), Diessel
(2004).
5. Cf. e.g. Rizzolatti & Arbib (1998), Gallese & Lakoff (2005), Gallese (2006).
6. Cf. Sampson (2005: 32-35, 50-54) for a summary of this opinion and
criticism on the matter.
7. Cf. Evans & Levinson (2009), Cristofaro (2010).

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properly universal, including features considered classical, bona


fide universals, such as the existence of the category Subject,
and even Verb. In this perspective, linguistic universals are just
prevalent features, strong tendencies that give rise to slightly different phenomena across languages: then linguists classify those
similar phenomena respectively by the same names for the sake
of practicalness8.

4.2. Explaining language universals.


The second objection (not unrelated to the first) against postulating Universal Grammar from the existence of features shared by all languages consists of explaining language universals9.
More precisely, of explaining language universals by other means than a universal grammar; typically, by showing what other
pressures constrain language to work as it does. Such constraints
are of many natures: physical limits of the body parts participating in communication, general elaboration and storage capacities of the brain, social patterns of human communication
situations, semiotic features that are required for any symbolic/
communication system to be efficient, etc.10 In this view, when a
linguistic universal can be explained by means of some of these
constraints, no universal grammar in the brain is needed to explain it anymore.
For all these lines of research, aimed at criticizing the opinion
that language as such is innate, we refer to the works cited so far.
We will concentrate here on a last one.

5.1. Disregarding semantics and context. Example: Basic Word


Order acquisition
Innatist arguments are too often undermined by reasoning
as if language were used and acquired in isolation from reality.
In other words, language is seen as coincident with syntax only,
disregarding semantics and the context where communication
takes place.
A typical example of this, among others, has been adopted in
one of the most important handbooks designed to summarize
generative linguistics, which explicitly presents a version of the
theory (the one called Principles and Parameters) particularly
suitable for being proposed as the innate Universal Grammar,
working as a Language Acquisition Device which should allow
children to acquire their language, overcoming the poverty of
the stimulus they receive13. According to Morgan (1986), children
must be endowed with some innate linguistic knowledge because they get to know the right word order of their language
although utterances like (1) do not help them understand if it is
SVO or OVS:
(1) The dog bites the cat
When confronted to such an utterance, children would have
no cues to establish whether its syntactic structure is (a) or (b):

5. Learning from the stimulus.


A further perspective11, that may shed some light on the nature of what we have in the brain as a language-handling device, is
strictly linguistic in nature. Over time, the innatist school has presented several linguistic features as proving that there is a grammar in the brain, because such features would be impossible
to acquire from the stimulus (i.e. from the samples of language
available to the child during acquisition). This idea, though not
shared by all linguists, has found enthousiastical acceptance by
scholars in neighbour disciplines, on several grounds we cannot
dwell upon here, such as the authority of Chomsky himself and,
more effectively, the intrinsical appeal of a theory that seems to
free language from its belonging to cultural products, by positioning it among natural phenomena. But, as Sampson (2002:
73) put it,
Widespread current acceptance of the poverty-of-stimulus idea has
apparently come about not because linguists have found the contrary view empirically unsatisfactory, but merely because poverty of
the stimulus is for one reason or another treated as an unquestioned
axiom.

In fact, demonstrations (to be found in the literature) that


linguistic features possessed by speakers cannot be acquired
from the stimulus are usually too easy. Our perspective consists
of showing that, instead, such features can be acquired from the
stimulus.
We will exemplify this on a couple of arguments most repeated in the innatist literature12. We will try to show that they reveal

. We agree with this perspective. Our use of the term language universal should be understood in this way.
9. Cf. the pathbreaking volume edited by John Hawkins (1982), Lombardi
Vallauri (1999).

. Cf. Lombardi Vallauri & Simone (2008, 2010, in press).

. This perspective is not new, though probably less developed than it
would deserve. Cf. Sampson (2002, 2005); Pullum & Scholz (2002), Lombardi Vallauri (2004, 2008, in press, to appear), Scholz & Pullum (2006).

. Further examples, more complex in nature and perhaps more significant, are to be found in Lombardi Vallauri (2004, 2008, in press, to appear).
Here we lack the space that would be necessary to explain them properly.

83

two fallacies in reasoning, which affect the innatist point of view,


preventing scholars from realizing that the facts at issue can be
explained as the effects of the environment.

(1a) The dog [bites the cat]


(1b) [The dog bites] the cat
This is to say that the utterances as such do not reveal who is
the Subject and who is the Direct Object of the verb. They would
do so iff they were presented to children with some signals (pauses, intonation) of existing syntactic structure, in this case the
bracketing of the Verbal Phrase given in (1a).
This way of reasoning is perfectly consequential if one conceives of the language as something purely formal, where meaning
plays no role14. But reality is different. Children listen to very many
utterances everyday, containing information absolutely not syntactical in nature, but very useful for them to establish who is
the Subject and who is the Object, such as The ball has broken
the window or Jenny stole my GameBoy. And even (1) probably
becomes quite clear on who is the subject if it is uttered in a real
context. Now, obviously, all the utterances a child listens to actually are produced in contexts.
Disregarding semantics and context is a side effect of the attitude which gives syntax the primacy in linguistic analysis. One of
its consequences, as we have seen, is to look at language acquisition as if it should be guided by syntax alone. This leads to believe that the information available to children in the stimulus is
not sufficient for them to build a theory of their language, exactly
because information deriving from semantics and context is not
taken into account. The final consequence of this fallacy is that
one is led to hypothesize that the lacking information, still only
syntactic in nature, must reside in the brain at birth (Scheme 1).
So, syntax is paradoxically promoted as far as to a module in our
brain, instead of being simply put next to semantics, pragmatics,
phonology, etc. as one of the components of our interpretation
of language.

13. Cf. Cook & Newson (1996:117), where Morgans argument is presented as valuable evidence.

. An important exposition of exactly the opposite view is in Chafe
(2002).

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Attributing the monopoly of language to syntax


-Disregarding semantics and context
--Conceiving of acquisition as guided only by syntax
---Believing that the stimulus lacks necessary information
----Postulating that such information must be in an innate UG
-----Promoting syntax to a module in the brain
Scheme 1. Ignoring everything except syntax leads to believing that
syntax is the only important thing.

5.2. Underestimating negative information. Example: (non)


pro-drop detection
Belief in the innateness of grammar is based also on disregarding the extension and nature of negative information, i.e. the
possibility of inferring the non grammaticality of a structure from
its systematic absence. It is reasonable to think that children
can infer that some elements do not belong to their language,
simply because such elements never appear, even if there are no
explicit warnings of their being unacceptable in the stimulus. Since Chomsky (1965: 25) innatists divide the information received
by children into positive and negative. The former consists of
utterances produced in their presence without warning of their
acceptability, and the latter consists of utterances for which they
receive (for instance by their parents) explicit warning of unacceptability, by way of some kind of correction. As Wexler and Culicover (1980: 63) put it:
If the learner hears a sentence, he can assume that it is in his language. But if he does not hear a sentence, it does not imply that the
sentence is ungrammatical. Possibly he has simply not yet heard the
sentence15.

This attitude fails to realize that the systematic absence of a


pattern, in spite of thousands of potential opportunities for its
occurrence, may be valuable (though implicit) negative information in that it may lead the acquirer to the certitude that such a
pattern does not belong to the language16. For instance, leading
innatists17 have claimed that the fixing of the so-called pro-drop
parameter cannot happen without a pre-existing, innate principle. Linguists classify languages into two types according to their
behaviour as concerns the explicit expression of the Subject. In
non-pro-drop languages (like English or French) the Subject
must always be expressed, and in pro-drop languages (like
Spanish or Japanese) it can be omitted. According to the innatist
opinion18, the only way children can understand how things work
in their language is a parametric predisposition resident in their
brains, which allows two values: pro-drop and non-pro-drop:
Children must be learning either from positive evidence alone or
from indirect negative evidence, such as the lack of null-subject sentences in English. This is possible only if their choice is circumscribed; if
they know there are a few possibilities, say pro-drop and non-prodrop, they only require evidence to tell them which one they have
encountered.19

This opinion leads Hyams (1986) to hypothesize that the


fixing of the innate non-pro-drop parameter by English acquirers
may be allowed by the existence of expletive subjects. Children

. Scholars usually focus on the idea that negative information, based
on corrections or failure of comprehension on the part of parents, is almost absent in the childs experience. Cf. for example Pinker (1984: 29).

. This is part of the phenomenon of entrenchment, described e.g. by
Braine and Brooks (1995), Brooks et al. (1999), Tomasello (2003: 178-182).

. Cf. Hyams (1986), Cook & Newson (1996: 110-111).

. A synthesis of the innatist position on the matter is offered by Cook &
Newson (1996), who cite Chomsky a number of times.

. Cook and Newson (1996: 110-111). Italics mine.

84

would understand that the expression of subjects is obligatory


in English only because the stimulus contains sentences like its
time for bed and once upon a time there were three bears.
All this is treating children as if they were just personal computers with a very poor software inside. The reason why English
speaking children quickly learn that they must always produce
sentences with subjects is that the overwhelming majority of
the sentences they hear every day all contain overt subjects. On
the contrary, Spanish children feel that they do not always need
to produce an overt subject because the subject is not always
overtly present in the sentences they hear. An innate switch in
the brain is not necessary for that.
Although nobody ever tells them, children know that material objects always fall downwards: this is why they are fascinated
by coloured balloons filled with helium. The fact that something
always happens and something else never does allows for generalizations. The argument that children have no elements to
exclude wrong structures because in their experience negative
stimuli (parents explicitly censuring a wrong sentence) are extremely rare, considers children as completely unconscious and
incapable of generalizations as Golds (1967) algorithm20, which
compares input data and grammars, accepting all (and only)
those grammars that are totally consistent with the input. But it
is not unwise to suppose that children can see the difference between a grammar that (though not violating any explicit prohibition) produces innumerable structures that are not to be found
in the input, and another grammar that (beside not violating any
prohibition) does not produce any structure unforeseen by the
input. Children, unlike Golds algorithm, induce that if something
never happens in thousands of utterances where it could theoretically happen, then such a thing is excluded.
That children may have such an elementary capacity seems
also proved by the fact that they give much more difficult performances in the same field. Spanish children (and all native speakers of pro-drop languages) learn by experience when to make
the Subject explicit and when not. This is determined by rules
(related to the informational status speakers want to give to the
Subject, and the degree of familiarity enjoyed by its referent in
the context) that are much more complex than the simple notion that the Subject is optional or not. To be precise, so complex
that it is virtually impossible to make them completely explicit in
linguistic theory and in the grammars of single languages. At the
same time, this information cannot be innate, because it follows
different patterns cross-linguistically.

6. Epistemological remarks
It may be objected that our explanations of how the child can
learn from the stimulus those linguistic patterns that are attributed to universal grammar actually go as far as telling how the child
migh well acquire those patterns, but do not demonstrate that the
same patterns do not exist in the brain at birth. In other words,
the Language Acquisition Device may be at work, and actually also
responsible for the acquisition of some features that - if it were not
at work - would be (less easily) acquired only from the stimulus.
In principle this is possible, but it must be stressed that different concurring explanations are not all equally worthy. In particular, the two alternatives considered here can be characterized in
terms of different epistemological legitimacy.
On the one side, the knowledge we have so far of the working of the brain is quantitative rather than qualitative, being
based on imaging techniques such as PET and fMRI, as well as
on the measurements of event related potentials (ERPs) in the
brain, such as (E)LAN, MMN or P600, and the like21. More specifically, what we know is that the brain activates (at best: in certain

. Cf. Gleitman & Wanner (1982: 5-7).
21. Cf. e.g. Moro et al. (2001), 2006), Friederici & Weissenborn (2007),
Friederici, Steinhauer & Pfeifer (2002), Friederici, Schlesewsky & Fiebach
(2008), Crinion et al. (2006).

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

precise areas) when performing certain tasks. We partially know


the nature of such an activation in terms of increased biochemical activity; but we completely ignore what the relation may be
between physical activity and its subjectively perceived counterparts, viz. thought, language, conscience and so on. There is
no cue to understand how something absolutely immaterial as
consciousness or meaning can arise from something material as
biochemical activity22. Just to quote one of the many possible
declarations in this sense (Libet 2005: 5.1.1.-5.5.7.):
Why subjective experience emerges from appropriate neuronal activities may be no more answerable than similar questions about other
fundamental phenomena. That is, why does mass have inertia? Why
do masses exhibit gravitational attraction? Why does matter behave
both in wave-like and quantal fashions? [...]
The emergence of conscious subjective experience from nerve cell
activities is still a mystery.

This is the extent to which we can grasp the relation between


the mind (including language) and the brain23. But, on the other
side, we have a sufficiently wide-ranging knowledge of how language works. On a phenomenological level, it is quite clear that
such inductions as those we have attributed to children in sections 5.1. (about word order) and 5.2. (about overt subjects) are
possible and even not difficult for a human mind. Similar inductions are possible for hundreds of other linguistic features.
Now, the conceptual links we can establish between our
knowledge of language and our knowledge of its anthropological bases (i.e. the explanationswe can give) vary dramatically according to whether we select the innatist approach or the environmental one. This is shown in Scheme 2:

Innatist approach

Premise:
the acquisition
of a linguistic Environmental approach
feature F
needs explanation

explanation is made in
terms of
a conjectured rule (R),
supposedly present
in the brain of the child

explanation is made in
terms of
inductions (I) from the
stimulus
on the part of the child,
semantic-contextual in
nature

R is a state of affairs that


is NOT
known or observable
independently
from its capacity to
explain F

I is a state of affairs that IS


known
and observable independently
from its capacity to explain
F

what we have
is an AD HOC
explanation

what we have is a
PROPERLY SAID
explanation

Scheme 2. Explaining through innatism or environment

The difference between these explanations is one of episte


. Of course there are hypotheses, such as those, e.g., of Edelman (1987,
1992, 2007). But they are just hypotheses.
23. Others express the same lack of confidence in the current possibility
to assess how the structure and working of the organism and especially
of the brain reflects itself in the working of language. See for instance,
Moro (2006: 234): Troppe sono le variabili fisiche, troppo profonda la
nostra ignoranza del sistema neuronale che sovrintende alle funzioni
linguistiche, troppo lontano il raggiungimento di una linguistica mendeliana che ci porti a individuare i geni che controllano la facolt di linguaggio.

85

mological dignity. This affects the interpretation of any linguistic fact. For instance, in order to explain how children get to
know that the language spoken by their parents has obligatory
Subject, we might search for an explanation in terms of brain organization. Since it is still impossible to establish what could be
in the brain such things as the anatomical/physiological basis for
a grammatical rule, we are compelled to suppose a hypothetical
structure in the brain whose existence makes it explicit to the acquirer that any language must have either obligatory Subject or
not, and that s/he must search confirmation for one of these just
two alternatives in the stimulus. It may be the right guess, but
there is no way to check it independently, by means of specific,
qualitative inquiry of brain phenomena. In sum, the only reason
to think that such a structure exists is that if it exists it may be apt
to explain this aspect of language acquisition. As a consequence,
if such a structure is meant to be an explanation for language
acquisition, it is an ad hoc explanation, circular and tautological
in nature.
Under such conditions, the best we can do may still be to assume a specialized brain module as an explanation for linguistic
facts, but just in case there is no other possible path to get an explanation for those facts. Otherwise, solutions in terms of brain
structure should be regarded as violations of Occams razor, since what they definitely do is creating entia (explicationis) praeter
necessitatem from scratch, in order to account for things that can
be explained in other terms with more connection to empirically
observable facts. For example, the speakers awareness that their
language has obligatory Subjet can be attributed to a mental
capacity which is separately observable in other domains of human consciousness (such as, in this case, the capacity to generalize a pattern from its overwhelming occurrence). This means
having recourse to real and observable facts: as a consequence,
this explanation must be preferred to the ones that consist in ad
hoc stipulations (such as the existence of a dedicated brain structure), and methodologically rules them out.

7. Conclusions
Although we have not directly addressed the problem of
what kind of structures devoted to language should have evolved in the human brain, in section 5 we may have added a little
contribution, specifically linguistic in nature, to the understanding of what those structures may not be. In particular, we have
tried to show that some pretended evidence of the presence of
an innate universal grammar is no evidence at all. Our argument
adds itself to the different ones we have summarized in sections
2-4, in supporting the view of language as a function managed
by more general-purpose brain modules, probably common to
other functions of the mind. In this view24, the brain preconditions for the management of language are not as specific as a
(universal) grammar; the (different) grammars of the languages
are historical products of human civilization, and we acquire
them from our environments because they are not in anyones
brain at birth.
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. Obviously, it is the view maintained in many different ways, against
Chomskys, by scholars from different disciplines such as, just to cite a
few, Jean Piaget (cf. Piattelli Palmarini (ed.) 1979), Hilary Putnam (cf. Putnam, 1967), Philip Lieberman (cf. Lieberman, 1984; 1991), and many others.

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RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

La natura dinamica del suono tra fonetica e


fonologia
Maria Primo - mprimo@unime.it

Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi culturali, Universit di Messina

Abstract

The aim of this paper is reunifying phonetics and phonology, and at a more abstract level, the overcoming of the mind-body problem. By calling some generativist theory into question, it will be argued that the nature of sound is not only acoustic but also articulatory, that is dynamic. To follow such a perspective is to reconsider phonetic and phonological primitives, that is considering that those
primitives are to be searched out of the linguistic domain. In conclusion, this hypothesis asserts that minimal units of linguistic production and perception are not phones or phonemes but articulatory gestures.
Keywords
Articulatory gestures, body, language, mind, phonetics, phonology

Introduzione
Questo articolo intende mettere in luce alcuni aspetti critici
della fonetica e della fonologia tradizionale rispetto alla natura
del suono linguistico. In particolare, lidea che tale approccio,
seppure di indubbia utilit per unanalisi descrittiva del fenomeno lingua, non sia altrettanto adeguato a rendere esplicativamente conto dello sviluppo ontogenetico dei fonemi negli infanti e nei bambini. A partire da questi suggerimenti proporremo di
riconsiderare lidea stessa di suono linguistico: dal suono linguistico inteso quasi esclusivamente come atto acustico, si cercher
di mettere in risalto la natura dinamica del suono. Lo si far attraverso tre approcci alla natura gestuale del suono: la fonologia
articolatoria, il modello di coarticolazione come coproduzione e
la teoria Frame/Content. In conclusione, sottolineare la natura
gestuale e articolatoria del suono un modo per mettere in relazione il piano dellespressione e quello del contenuto. In maniera
pi generale, questo anche un modo per minare il dualismo
mente-corpo, recuperando lunit tra il piano della programmazione e quello dellesecuzione, attraverso lanalisi dei movimenti
articolatori come gesti sovrapponentisi.

1. La fonologia classica
Secondo la categorizzazione in uso dalla fonologia un particolare fonema sia definito dalle relazioni contrastive che esso instaura con gli altri fonemi della lingua a cui appartiene: ad esempio la /t/ di tino un fonema della lingua italiana perch se a /t/
si sostituisce /p/, /l/ o /f/, la parola cambia significato. In effetti,
questa la pi importante caratteristica del fonema messa
in luce da Trubetzkoy (1939) vale a dire il fatto che il fonema
ununit del linguaggio, priva di significato ma che determina differenza di significato, e, ad esempio, /tino/, /pino/, /lino/
o /fino/, in italiano sono parole che si differenziano per un solo
suono ma che hanno significati diversi. Il fonema il correlato
psicologico, la rappresentazione o pi semplicemente lidea, che
sta nella mente dei parlanti-ascoltatori, del suono realmente e
concretamente proferito, ovvero il fono.
Nella visione tradizionale, fono e fonema sono considerate
le unit minime della produzione del linguaggio. Alla stregua
del fonema, anche il fono si definisce sulla base alle differenze
che intrattiene con gli altri foni allinterno del sistema. Tuttavia,
in questo secondo caso, le differenze si basano su unanalisi dei
tratti distintivi. I tratti distintivi sono delle caratteristiche che
qualificano i diversi foni, ad esempio: /p/ una consonante occlusiva (il modo di articolarla, infatti, prevede una stretta tale da
bloccare completamente il passaggio dellaria per un certo periodo di tempo), bilabiale (perch il luogo di produzione sono le
labbra), sorda (perch la vibrazione delle corde vocali assente).
Questo modo di categorizzare i suoni delle lingue, molto utile da

88

un punto di vista descrittivo, ha dominato a lungo nella comunit scientifica da Trubetzkoy, a Jakobson (che insieme a Fant e
Halle, nel 1952 ha stabilito i primi dodici tratti distintivi), a Chomsky (che in collaborazione con Halle, nel 1968, ha esteso a 25 il
numero dei tratti distintivi), solo per citarne i alcuni.
Sebbene questo modo di definire i foni sia di indubbia validit per la categorizzazione degli inventari fonologici tuttavia, dal
nostro punto di vista, la sua utilit resta limitata agli aspetti descrittivi, e non esplicativi, della natura dei suoni. In altre parole, la
nostra idea che la teoria dei tratti sia troppo formale e che non
renda conto della produzione effettiva dei parlanti. Per questo
motivo, la nostra proposta vuole aderire a un approccio che si
presenta in aperta opposizione alla fonetica tradizionale. In pratica, intendiamo assumere un paradigma teorico che si prefigge
di rendere conto, nella spiegazione dei fenomeni articolatori,
non solo delleffetto sonoro dei foni, ma anche dei movimenti
programmati e prodotti nel tempo che gli organi articolatori
compiono per realizzare i suoni delle lingue.

2. Fonetica e fonologia
Lapproccio a cui si intende aderire rappresentato dalla fonologia articolatoria, teorizzata da Browman e Goldstein. Catherine Browman e Louis Goldstein (1986; 1989; 1990a; 1990b; 1992;
1995; Goldstein & Browman, 1986) hanno sostenuto che le unit
minime di parlato non siano foni o fonemi, ma piuttosto dei gesti
articolatori:
a gesture is identified with the formation (and release) of a characteristic constriction within one of the relatively independent articulatory subsystems of the vocal tract [] As actions, gestures have
some intrinsic time associated with them they are characterisations
of movements through space over time [] gestures are the basic
atoms of phonological structures (Browman e Goldstein, 1989, p.
201).

In questa prospettiva, i gesti rappresentano unit naturali, non esclusivamente linguistiche, le quali hanno principalmente tre caratteristiche: (1) sono azioni, quindi sono
dinamiche e non statiche come i foni; (2) non sono neutrali
allarticolazione e allacustica, ma hanno piuttosto una natura
articolatoria; (3) sono unit gestuali potenzialmente sovrapponentisi. Tali gesti possono sovrapporsi perch, come ricorderemo dai paragrafi precedenti, gli organi dellapparato
vocale possono muoversi indipendentemente e contemporaneamente per raggiungere la posizione esatta necessaria alla
realizzazione dei foni.
La fonologia articolatoria ha degli importanti precursori, essa
deriva dalla Teoria della coarticolazione come coproduzione
(Fowler, 1980, 1981) e dalla Teoria motoria della percezione del
parlato (Liberman, Cooper, Shankweiler e Studdert-Kennedy,

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

1967, Liberman e Mattingly 1985), entrambi risultati di ricerche


portate avanti negli Haskins Laboratories (dov nata anche la
fonologia articolatoria).
La teoria motoria afferma che se ogni fono fosse prodotto in
serie, non sarebbe possibile la produzione di un elevato numero
di fonemi al secondo (circa 10/15, durante un eloquio normale,
ma anche 20/30 durante un eloquio veloce). Di fatto, solo grazie al controllo separato degli articolatori attraverso il quale
un singolo gesto porta informazioni in parallelo ai segmenti
successivi quali lingua, velo, laringe, labbra, che i movimenti
vengono prodotti in parallelo. Ci permetterebbe: (1) di ottenere una performance ad alta velocit con un meccanismo a bassa
velocit e (2) di abbassare la velocit di percezione.

Con coarticolazione, invece, intendiamo il fenomeno per cui


un segmento fonologico non realizzato allo stesso modo in tutti i contesti, ma , in qualche maniera, influenzato dai segmenti
circostanti. Le ipotesi tradizionali, come quelle di stampo generativo, sostenevano che le influenze tra i vari foni appartenessero
al dominio dellespressione: in pratica, lidea era che nella mente
dei parlanti ci fosse un certo tipo di programmazione (una serie
di fonemi discreti), ma che di fatto, la realizzazione dei fonemi
non rispettasse poi tale programmazione, perch la produzione
non discreta, al contrario continua e i tratti distintivi che caratterizzano i segmenti fonici, si diffondono lungo il continuum
fonetico. Nel 1980, Carol Fowler sulla base della teoria motoria,
critica gli approcci tradizionali al problema della coarticolazione,
sostenendo che lerrore di queste teorie sta nellescludere la temporizzazione (o timing, vale a dire il controllo delloccorrenza nel
tempo di una determinata sequenza di atti) dalla rappresentazione nella pianificazione articolatoria dei parlanti, e nel ritenere
che unespressione abbia una sua relazione col tempo solamente
nel momento della sua realizzazione.
La ricercatrice definisce tali ipotesi teorie della temporizzazione estrinseca, perch escludono la temporizzazione dalla
programmazione del parlante, relegandola al mero piano dellespressione. In particolare, Fowler critica la teoria generativista
della coarticolazione, basata sulla diffusione di tratti, per la dicotomia che crea tra le unit astratte e quelle fisiche. Secondo
tale ipotesi, infatti, le unit astratte, discrete in pratica i fonemi
sono posti al livello della conoscenza del linguaggio e non tengono conto della variabile tempo; al contrario, le unit fisiche, i
foni, sono movimenti continui e dipendenti dal contesto. In altre
parole, secondo Daniloff e Hammarberg (1973), ci che i parlanti
sanno delle categorie fonologiche diverso dalle unit utilizzate
nel discorso.
Lidea di Fowler che la coarticolazione sia una coproduzione
di gesti sovrapponentisi. In questo modo, la linguista americana
propone di superare la dicotomia tra unit astratte e unit fisiche
dando conto di un programma temporale che prevede la modifica delle unit fonologiche nella pianificazione stessa. Secondo la
teoria della coproduzione, i gesti non vengono modificati nellattuazione del parlato. La temporizzazione intrinseca permette
loro di sovrapporsi nel tempo in modo da non essere alterati dal
contesto, ma coprodotti con il contesto. Per esemplificare, diamo
uno schema nella figura 1. Lattivazione di diversi gesti (esemplificata dalla curvatura delle linee 1, 2 e 3) aumenta e diminuisce
nel tempo, e in tal modo esercitano la loro influenza sul tratto

89

vocale. Nella figura, le linee verticali delimitano un intervallo


temporale (che corrisponde ipoteticamente ad un segmento
acustico) durante il quale il gesto 2 prominente, ossia ha la sua
influenza massima sulla forma del tratto vocale, mentre i gesti 1 e
3 che vi si sovrappongono hanno uninfluenza pi debole. Prima
e dopo questintervallo (rispettivamente, durante il periodo di
implementazione e di rilassamento del gesto 2) la sua influenza
minore, mentre quella degli altri due gesti prende il sopravvento.
Riassumendo, lapproccio gestuale estremamente importante in quanto intende superare la distinzione tradizionale tra
la fonetica e la fonologia, tra il piano dellesecuzione e il piano
della programmazione, distinzione che si trasformata in una
forma molto evidente di dualismo. Separare, infatti, il piano della
produzione da quello della programmazione un modo per minare alla base lunit di mente e corpo. La fonologia articolatoria,
al contrario, supera tale dicotomia perch lunit minima della
produzione e lunit minima della percezione coincidono: in entrambi i casi tale unit il gesto articolatorio. Come abbiamo gi
messo in evidenza, tale unit non astratta e formale, bens
completamente concreta: in pratica, ci che si sostiene che il
livello della programmazione motoria strettamente vincolato
dalla corporeit umana.
Il rilievo dato agli aspetti dinamici della produzione sonora
non nuovo dellapproccio gestuale, anzi era ben presente tra i
fonetisti fin dalla prima met del 900. Nel 1948, ad esempio Martin Joos, propone unipotesi molto simile a quella della fonologia
gestuale. Joos collega gli effetti coarticolatori alla sovrapposizione nel tempo dei comandi neurali. Studiando le vocali dellinglese americano, rivela che, in funzione delle consonanti vicine, le
vocali variano non solo nelle transizioni ma anche nella parte
stabile. Il suo approccio contesta lipotesi glide, che attribuisce
alla coarticolazione fattori meccanici, vale a dire linerzia degli
organi vocali e dei muscoli (ipotesi sostenuta anche in seguito
da Chomsky e Halle, 1968). Secondo questultima ipotesi, poich
non pu avvenire alcun spostamento istantaneo da una posizione articolatoria allaltra, interviene una transizione tra i foni
successivi (un glide appunto, ossia un agevole scivolamento da
un fono allaltro). Al contrario, rispetto allevoluzione temporale
della seconda formante, Joos osserva che leffetto di ogni consonante si estende oltre la met della vocale facendo s che nel
mezzo i due effetti si sovrappongono.

Per spiegare questi fenomeni, il fonetista americano propone


la Overlapping Innervation Wave Theory (teoria dellonda dinnervazione sovrapponente): in base a questa ipotesi, ogni comando
per ogni segmento unonda invariante che cresce e decresce
dolcemente. In sostanza, Joos pensava che i centri neurali della parola mandassero simultaneamente i segnali ai muscoli e
che lo facessero tramite il cervelletto; inoltre, egli riteneva che
fosse il cervelletto a decidere nel caso in cui i comandi fossero in contrasto di dare priorit al comando pi forte. Nella sua
ipotesi, le onde sovrapponenti sono segnali inviati dal cervello
separatamente e simultaneamente agli organi vocali; in questo
senso, i segmenti sono onde non integralmente sequenziali ma
sovrapponenti (pp. 111-2) e le onde di innervazione sono ipotetiche [ma] sono ci che comunemente definiamo reale: in
altre parole, esse non sono costrutti astratti come 3 o lonest o
/ae/, ma ricorrenti sostanziali come domenica, torta di mele, o
taglio di capelli (p.112).

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Lidea di coproduzione che emerge nel lavoro di Joos e che


fondamentale nellipotesi di Carol Fowler, viene ripresa anche da
Robert Stetson (1951). Nel libro Motor Phonetics, egli mette chiaramente in primo piano gli aspetti motori e gestuali, sostenendo
che essi devono essere considerati come elementi essenziali del
parlato:
It is partly because the movements are hard to observe, and partly
because recent forms of recording apparatus have favored the study of the sound alone, that phonetic analysis is concerned so largely
with the tones and noises produced, rather than with the movements
of speech. But there are excellent reasons for considering the movements the primary essentials of speech, and for assuming that the
tones and noises and occasional silences figure merely as the means whereby the movements of speech are made audible (Stetson
1951:10-11).

Tuttavia possiamo andare ancora pi indietro, agli albori della fonetica acustica, per notare come gi Pierre-Jean Rousselot,
considerato il padre della fonetica sperimentale, aveva chiara in
mente limportanza degli aspetti dinamici del suono, nonostante
allepoca (i primi del novecento) non si disponesse ancora di una
strumentazione sofisticata come quella attuale.
Au point de vue physiologique, chaque articulation se divise en
trois actes: la mise en position des organes ou tension, la tenue et
la dtente. En effet, pour produire un son quelconque, lorgane vocale doit quitter un tat indiffrent pour prendre la position voulue,
maintenir celle-ci quelques instants et ensuite labandonner. [] On
croit gnralement que les voyelles correspondent des stations organiques, par opposition aux consonnes qui correspondraient des
mouvements. En dautres termes, les voyelles seraient produites au
seul moment de la tenue. Les tracs montrent ce quil y a dexagr
dans cette doctrine [Les tracs montrent] trs clairement que
la production du son ne concide pas exclusivement avec le moment
de la tenue, et que celleci mme ne peut pas tre dfinie strictement
comme une station organique (Rousselot, P.J., 1924: 334-337).

Labb Rousselot aveva verificato che la produzione del suono non coincide con il momento della tenuta, e che la fase della
tenuta non statica ma dinamica. Suo nipote, Fauste Laclotte
(1899), studiando la realizzazione di unit sillabiche giunge agli
stessi risultati, mostra che se cambia la vocale che segue la consonante, anche la consonante stessa sar prodotta in maniera
diversa. Non solo, Laclotte mostra che linfluenza di una vocale si
estende anche oltre il segmento precedente fino alla vocale che
precede quella consonante. Laclotte non definisce questo fenomeno coarticolazione, perch il termine allepoca non esisteva
sar coniato solo nel 1933 da due linguisti tedeschi, Menzerath
e de Lacerda; al contrario, considera tale fenomeno un caso di armonia vocalica (attualmente il termine coarticolazione si utilizza
per processi fonetici di base, quasi sempre impercettibili senza
unadeguata strumentazione, mentre larmonia vocalica si situa
al livello fonologico).
Ma non forse propria della natura del suono la dinamicit?
La fisica acustica ci insegna che per avere un suono sono necessarie tre condizioni, vale a dire: (1) la perturbazione prodotta da
una sorgente elastica, dunque in grado di emettere vibrazioni
(in altre parole movimenti), (2) la trasmissione di tali vibrazioni
attraverso un mezzo elastico, (3) la ricezione delle vibrazioni da
parte di un corpo elastico. In pratica, il suono si propaga solo attraversi corpi in grado di vibrare, ci significa che il movimento
indispensabile al suono. Dunque, non possibile pensare a gesto e suono come a una dicotomia perch il suono una forma
particolare di gesto.
Finora abbiamo considerato limportanza dei fattori motori nella produzione. Tuttavia la produzione solo uno dei due
aspetti in gioco nel parlato, laltro fondamentale aspetto la percezione. La domanda a cui vogliamo rispondere la seguente:
quanto contano gli aspetti motori nella percezione dei suoni? Un
buon punto di partenza la teoria motoria della percezione del
parlato di Alvin Liberman e colleghi (1967, 1985). Secondo Liber-

90

man una percezione tanto veloce di suoni, quale quella umana (nel parlato veloce si pu arrivare fino a circa 20/30 fonemi al
secondo), permessa dal fatto che i gesti articolatori che compongono i fonemi possono avere una durata anche pi lunga dei
suoni stessi, in questo senso la percezione non si basa sui foni ma
sui gesti che compongono i foni, in altri termini, il meccanismo
percettivo funziona a bassa velocit e tuttavia riesce ad avere
una performance ad alta velocit. Nellipotesi di Liberman la percezione, dunque, non solo non esclusivamente acustica, ma ha
anche una forte componente gestuale: la percezione possibile
perch vi una sorta di identit tra il sistema che produce e il
sistema che percepisce. In sostanza, la comprensione (al livello di
percezione) di unespressione linguistica in un individuo elaborata dallo stesso meccanismo che produce il parlato in quellindividuo. Questo tipo di comprensione motoria che Liberman
ipotizza ha trovato conferma scientifica in tempi recenti, grazie
alla scoperta dei neuroni specchio (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006).
Un secondo caso che vogliamo illustrare in favore dellimportanza degli aspetti motori nella percezione un esperimento
pubblicato su Nature nel 1976 da Harry McGurk e John MacDonald. I due linguisti americani avevano filmato un soggetto che
pronunciava la sillaba /ga/, a questo video avevano inserito
laudio della sillaba /ba/. Sottoponendo il video a un gruppo di
parlanti, essi osservarono che ci che la maggioranza dei parlanti sentiva non era n /ba/, n /ga/, ma piuttosto /da/ (McGurk e
MacDonald, 1976). Tale effetto, che prende il nome da uno dei
due sperimentatori, detto effetto McGurk e mostra che la percezione multimodale. In altre parole, il nostro sistema percettivo integra le informazioni appartenenti a diversi sistemi sensoriali. Lo stesso esperimento stato in seguito replicato con una
variante: questa volta, la voce e il video appartenevano a soggetti di sesso opposto. Leffetto McGurk si rivelato valido anche
in questo caso, difatti, ci che veniva percepito era il risultato
congiunto dello stimolo visivo e dello stimolo uditivo, sebbene
i soggetti avessero riconosciuto che la voce apparteneva ad un
individuo di sesso opposto rispetto a quello del viso che avevano
visto (Green, Kuhl, Meltzoff e Stevens, 1991).

3. Evidenze ontogenetiche
Chiamare in causa elementi come i gesti articolatori fondamentale per qualunque lavoro sulla produzione verbale che
intenda descrivere lo sviluppo ontogenetico delle abilit vocali.
I gesti non sono entit esclusivamente linguistiche, ma esistono
prima e indipendentemente dal linguaggio. In questo senso, si
possono prestare bene a fare da ponte tra il prelinguaggio e il
linguaggio. Un primo modo per mettere alla prova la fonologia
gestuale , allora, quello di vedere come essa spiega i processi
coarticolatori di sviluppo della vocalit nei bambini.
In questo ambito di studi un dato piuttosto condiviso quello secondo cui il parlato dei bambini ha una variabilit pi alta
rispetto a quello degli adulti. A tale dato, tuttavia, si offrono
spiegazioni molto diverse a seconda delle ipotesi teoriche a cui
i ricercatori aderiscono. Le teorie che si oppongono sono essenzialmente due: la prima, avanzata da Kent (1983) e Katz, Kripke
e Tallal (1991) (in linea con la Standard Theory chomskiana che
assume come unit distintive i segmenti e i tratti distintivi), laltra
sostenuta da Nittrouer, Whalen (1989) e Nittrouer, StuddertKennedy e McGowan (1989) in linea con la fonologia articolatoria.
Secondo i primi, i bambini hanno la tendenza a produrre un parlato pi segmentato rispetto agli adulti. Ci sarebbe dovuto al
fatto che labilit motoria per la produzione di sequenze sonore
ordinate serialmente viene acquisita prima della coordinazione
temporale. Si ipotizza, allora, che il bimbo acquisti dapprima la
padronanza articolatoria del segmento e, successivamente, la
capacit di adattarlo al contesto, in pratica, le unit invarianti si
adattano progressivamente al contesto variabile. Secondo tali
autori lestensione della coarticolazione negli adulti comparabile a quella osservata nei bimbi, la differenza sta soprattutto

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nella minor consistenza e maggiore variabilit delle produzioni


infantili.
Secondo Nittrouer e colleghi, la produzione dei bambini
caratterizzata da una coarticolazione maggiore; in altre parole,
i bambini hanno una variabilit pi alta che si traduce in una
maggiore ampiezza dellunit di produzione (che nella prima
fase della produzione verbale la sillaba) e solo gradualmente
restringono la loro organizzazione articolatoria a unit pi piccole (Khnert e Nolan, 1999). Avvalendosi di diversi dati sperimentali, Browman e Goldstein (1992) sostengono che le prime parole
di un bambino non siano fonemi, ma modelli olistici di routine
articolatorie. Le unit di base di queste routine articolatorie sono
gesti discreti che emergono prelinguisticamente (durante il babbling), e che possono essere considerate versioni primarie, non
raffinate, dei gesti che gli adulti usano. Lo sviluppo, in questo
senso, sarebbe una sorta di differenziazione e di coordinazione
di questi gesti di base.
Nella stessa direzione vanno gli studi sulla coarticolazione nei
bambini di Edda Farnetani (2003). La linguista ha sostenuto che
leffetto coarticolatorio tende a diminuire con la maturazione. I
dati presentati nel suo lavoro indicano che quando il bambino
produce una consonante (C) e una vocale (V) con lo stesso organo, non separa, ma assimila la C alla V, questo a causa di uninsufficiente differenziazione nel controllo Degli organi articolatori.
Studi, come quello appena citato, mostrano che la coordinazione, in unit della dimensione del segmento, appare solo gradualmente, durante lacquisizione di una lingua. Questo ci permette
di sostenere non solo che i fonemi non sono presenti nelle prime parole di un bambino, ma suggerisce anche che le unit di
livello pi alto sono costituite da unit pi piccole nel corso dello
sviluppo del linguaggio. Se i gesti emergono come unit prelinguistiche di azione, e si sviluppano gradualmente in unit di contrasto, allora possibile vedere una continuit nello sviluppo del
linguaggio. Una posizione di questo tipo torna esplicativamente
utile per mostrare il passaggio dal pre-linguistico al linguistico.
Peter MacNeilage e Barbara Davis (2001), anchessi sostenitori
di unipotesi continuista hanno sostenuto che nello sviluppo fonologico, le unit iniziali della produzione siano sillabe olistiche
(strutture unitarie, non segmentabili in consonanti (C) e vocali
(V)) che emergono da pure oscillazioni mandibolari: C e V compaiono solo gradualmente come unit controllabili separatamente, attraverso un processo di differenziazione che porta alla
completa separazione di C da V. In questo modo, lo sviluppo
visto come un processo in cui il bambino restringe gradualmente
il dominio dellorganizzazione articolatoria dalla sillaba al gesto
vocalico e consonantico e impara a coordinarli nel pattern temporale tipico delladulto.
In conclusione, secondo le ipotesi presentate ipotesi che
nellinsieme possiamo definire motorie con la maturazione la
coarticolazione dovrebbe tendere a diminuire, mentre la distintivit segmentale dovrebbe aumentare. In altre parole, nello sviluppo delle capacit articolatorie, le unit minime, i gesti, non si
presentano nella forma in cui noi li analizziamo negli adulti, ma
hanno unampiezza maggiore e una minore precisione. Possiamo considerare queste prime forme come delle sillabe olistiche,
indifferenziate allinterno, che pian piano evolvono nei gesti articolatori.

4. Conclusioni
Riepilogando, abbiamo mostrato come gli approcci formali e astratti alla fonetica e alla fonologia, mettendo da parte la
temporizzazione e di conseguenza gli atti necessari alla produzione articolata sebbene utili da un punto di vista descrittivo,
appaiano deboli e poco proficui da un punto di vista esplicativo.
A nostro avviso, necessario recuperare un approccio gestuale per superare la dicotomia tra piano dellespressione e piano
della programmazione in altre parole tra fonetica e fonologia
che si traduce a livello teorico in un dualismo mente-corpo.

91

In un approccio gestuale e motorio, come quello che abbiamo


sostenuto, lunit viene recuperata perch i gesti programmati
sono realizzati come entit concrete effettivamente invariabili;
la variabilit data dalla coproduzione e dalla sovrapposizione
di tali movimenti nel tempo. Un banco di prova per verificare
lutilit dellapproccio motorio senza dubbio lo sviluppo fonologico nellontogenesi: i dati mostrano che le prime produzioni
dei bambini sono delle sillabe olistiche e che consonanti e vocali
emergono come entit separate in un secondo tempo, con lacquisizione del controllo motorio che permette di realizzare gesti
articolatori sempre pi precisi.
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92

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Vincolare le teorie linguistiche


Apprendimento ed evoluzione
Maria Grazia Rossi - mgrazia.rossi@gmail.com

Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi culturali, Universit di Messina

Abstract

The warning coming from Chomskys lesson on language is that any philosophical investigation about the nature of mind must be
constrained in terms of psychological plausibility. Specifically in Chomskys model of language findings from learning theory led
to posit the existence of an innate and domain-specific biological organ for language acquisition, the Universal Grammar. However
when the question of the evolutionary plausibility is introduced as a further constraint, the hypothesis of Universal Grammar does not
seem so satisfactory. As it is shown in contemporary debate, Universal Grammars hypothesis seems implausible just from a biological
and evolutionary point of view. More broadly, scholars argue that by taking an evolutionary perspective, the assumption of a domainspecific Universal Grammar become superfluous and that language and language acquisition, rather than being a product of a biological organ, is a result of repeated cycles of cultural learning. The main aim of this paper is to discuss this conclusion and to analyze the
implication of this viewpoint on the nature of language. While we support the attempt to bind the problem of language acquisition
to an evolutionary perspective, we claim that considerations on the cultural nature of language are by no means conclusive. Further
arguments and evidences need to be found.
Keywords
Language Theories, Psychological Plausibility, Evolutionary Plausibility, Universal Grammar, Language Acquisition

1. Plausibilit psicologica e plausibilit evolutiva


I vincoli che la scienza empirica impone alla riflessione teorica
paiono particolarmente cogenti quando si ha di mira la costruzione di modelli della mente e del linguaggio naturalisticamente fondati. In particolare, lanalisi filosofica interna alla scienza
cognitiva stata a lungo legata alla questione della plausibilit
psicologica: da questo punto di vista ogni ipotesi interpretativa
sulla natura del mentale deve essere conforme a ci che sappiamo sul funzionamento dei sistemi cognitivi. A tal proposito, la
lezione di Chomsky sul linguaggio esemplare.
Decretando limplausibilit psicologica della teoria
dellapprendimento alla base del comportamentismo, la recensione di Chomsky (1959) al libro Il comportamento verbale (1957) di Skinner, pu essere considerata valida ancora
oggi per mettere in discussione qualsiasi modello empirista
sul linguaggio.
La critica alle teorie empiriste affonda le sue radici in quello
che Chomsky considera linterrogativo fondamentale della linguistica: il problema dellacquisizione del linguaggio (Chomsky,
1973). Lo schema stimolo-risposta alla base del comportamentismo non sufficiente; tra gli input (gli stimoli ricevuti dallambiente esterno) e loutput (la conoscenza dei parlanti allo stato
finale del processo di acquisizione) vi uno scarto incolmabile.
Ora, per dar conto dellacquisizione del linguaggio, dal momento
che linput linguistico sempre sotto determinato rispetto al sovrappi di informazione contenuta nelloutput, ci che bisogna
supporre cos recita largomento della povert dello stimolo
(APS), che una tale informazione dipenda da una competenza linguistica innata e sia quindi gi presente alla nascita nella
mente-cervello degli individui.
Non nostro interesse entrare nei dettagli di questo ragionamento (cfr. Laurence & Margolis, 2001). Laspetto che ci preme
analizzare ha a che fare con le implicazioni di questo argomento
sul modello del linguaggio proposto da Chomsky. In effetti, con
lAPS Chomsky sembra guadagnare un passaggio argomentativo
importante per giustificare la necessit teorica della Grammatica
Universale (GU): un sistema formale di principi linguistici astratti
e innati che sta alla base dellapprendimento, della comprensione e della produzione del linguaggio (Chomsky, 1965, 1988). Nonostante le continue revisioni nei modelli proposti, il riferimento
allinnatismo della GU rimane una costante della riflessione di
Chomsky: la GU d conto del fatto che siamo predisposti ad apprendere una lingua; il linguaggio essenzialmente una facolt
che riguarda la biologia degli organismi.

93

La validit generale dellAPS non qui in discussione. Come


sottolinea Fodor, il cognitivismo moderno nasce con limpiego di argomenti della povert dello stimolo (1990:197, citato
in Marraffa, Meini, 2005). Questultimo ha rappresentato e rappresenta tuttora uneuristica efficace per lo studio della struttura
della mente. La critica di Chomsky ai modelli empiristi costituisce, pertanto, un punto fermo nella riflessione contemporanea.
A dispetto di questa precisazione, il modello della GU attualmente al centro di unaspra controversia. Se infatti la pars
destruens dellAPS pu essere considerata, tutto sommato, una
conquista abbastanza pacifica, la pars costruens difesa da Chomsky naviga invece in cattive acque. Le critiche alla GU vengono
portate avanti su due fronti principali. Il primo, ruota proprio attorno allAPS; il secondo, ha a che fare con il test della plausibilit
evolutiva.
Per quanto riguarda la prima questione, come ha messo in
evidenza Stich, tutto ci che lAPS dimostra che the right acquisition theory is a non-Empiricist one (1978: 275); tuttavia, a
meno di presupporre assunzioni aggiuntive sulla natura del linguaggio e dei processi di acquisizione che ne stanno alla base,
dallimplausibilit dei modelli empiristi non sembra possibile
dedurre automaticamente la plausibilit della GU (Cowie, 1999;
Scholz, Pullum, 2006; Stich, 1978). Sebbene il dibattito sullestendibilit della validit dellAPS presenti ancora esiti incerti (Crain,
Pietroski, 2001; Pullum, Scholz, 2002; Scholz, Pullum, 2002), la
questione sollevata da Stich (1978) e ribadita recentemente anche da Scholz e Pullum (2006), ci sembra del tutto condivisibile (per una difesa dellAPS cfr. Laurence, Margolis, 2001). Tanto
vero che la polemica attuale non si gioca tanto sullesistenza
o meno dei vincoli e dei dispositivi di elaborazione alla base
dellacquisizione del linguaggio, ma sulla natura (linguistica vs.
cognitiva; specifica per dominio vs. dominio generale) di tali
vincoli: appiattire la questione sullopposizione tra empiristi la
Skinner e innatisti la Chomsky quindi poco produttivo oltre
che ingeneroso nei riguardi dei modelli alternativi in campo (cfr.
Tomasello, 2003).
Gli approcci funzionali rappresentano lalternativa pi promettente al modello formale della grammatica generativa di stampo
chomskiano. Lipotesi che il linguaggio non sia affatto un sistema formale bens funzionale: la struttura stessa del linguaggio,
pi che da regole dipendenti dalla GU, sembra interamente modellata da fattori inerenti ai processi di uso, di apprendimento
e di trasmissione culturale (Christiansen, Chater, 2008; Deacon,
1997; Evans, Levinson, 2009; Smith, 2006; Tomasello, 2008). Nel
3 esamineremo da vicino gli approcci funzionali, soprattutto in

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relazione al problema dellacquisizione del linguaggio; intanto,


per quel che riguarda lo specifico di questo paragrafo, bene
precisare che il tentativo di dar conto dellapprendimento del
linguaggio senza chiamare in causa una qualche forma di GU
in primo luogo interessante perch portato avanti nel rispetto
della sfida imposta dal test della plausibilit psicologica. E non
tutto. Quando si valuta il modello formale affrontando la seconda questione, quella della plausibilit evolutiva della GU, lattacco alla proposta di Chomsky diventa particolarmente stringente.
In effetti, per portare avanti un approccio genuinamente naturalistico, il riferimento esclusivo al test della plausibilit psicologica
non ancora sufficiente. In linea con linsegnamento darwiniano,
la nostra idea che siano ormai maturi i tempi per avanzare pretese anche sul rispetto del vincolo della plausibilit evolutiva. Su
questo piano che a nostro avviso dirimente largomento
di Chomsky risulta ulteriormente indebolito; ci troviamo a dover
fare i conti, come sottolineano Bates et al. (1989) con un vero e
proprio dilemma linguistico: Arguments for the biology of language rest on biologically implausible claims (ivi, p. 29).

2. Dilemma linguistico
Pur sostenendo la tesi che il linguaggio sia un componente
innato della mente-cervello, Chomsky non si impegna a sostenere che il linguaggio sia un adattamento biologico. Ci che
rende incompatibile la grammatica generativa con la teoria
dellevoluzione , secondo Chomsky (1988), la complessit della
GU. Riaprendo il dibattito su questo tema, Pinker e Bloom (1990)
hanno insistito sullo stretto legame tra complessit adattiva e
teoria dellevoluzione per selezione naturale, giustificando la
conclusione che anche la GU, proprio perch complessa, possa
essere considerata un adattamento biologico modellato dalla selezione naturale ai fini della comunicazione (Pinker, 1994,
2003).
La legittimit della darwinizzazione di Chomsky portata
avanti da Pinker e Bloom (1990) deve tuttavia essere valutata
prendendo in considerazione due aspetti differenti. Laspetto
convincente dellargomento che il riferimento alla complessit
della GU non possa essere utilizzato per motivare il rifiuto di una
spiegazione gradualista basata sul meccanismo della selezione
naturale; per spiegare la complessit adattiva che caratterizza
gli oggetti biologici non possiamo che chiamare in causa la selezione naturale (Dawkins, 1986). A tale riguardo, non casuale
che Chomsky (2010) abbia recentemente tentato di fare a meno
della complessit della GU. A dispetto degli esiti per nulla convincenti e comunque ancora troppo compromettenti sul piano
della plausibilit evolutiva (Kinsella, Marcus, 2009; Rossi, 2012),
unoperazione di questo tipo rappresenterebbe comunque una
vittoria pirrica: per un modello che per rispondere al problema
dellacquisizione del linguaggio ha fatto perno sulla complessit
della GU, rinunciare alla complessit della GU sarebbe come rinunciare alla GU stessa, vale a dire fare a meno del nucleo teorico
fondante del generativismo.
Laltro aspetto della questione capire se, pi nello specifico,
il modello della GU sia incompatibile con levoluzione per selezione naturale per problemi di altra natura che toccano la questione della complessit soltanto indirettamente e che hanno
piuttosto a che fare con delle assunzioni compromettenti dal
punto di vista evolutivo sulla natura del linguaggio e della GU
(Ferretti, 2010; Kinsella, 2006; Rossi, 2012). Puntando su questo
secondo aspetto, Christiansen, Chater (2008) sferrano un duro
attacco allidea che esista un meccanismo specializzato come
la GU. Tra le giustificazioni pi convincenti che scoraggiano lipotesi dellevoluzione di strutture specifiche per il linguaggio
fondate su principi astratti e arbitrari, i due autori propongono
un argomento che punta sulla tensione tra la tesi del linguaggio
come adattamento biologico e ladozione di un approccio funzionalista per spiegarne levoluzione. Gli adattamenti sono sempre selezionati perch funzionali per un ambiente locale; ma gli

94

ambienti linguistici sono soggetti a un continuo cambiamento


e sono enormemente differenti tra le popolazioni, quindi improbabile che i principi arbitrari della GU possano fissarsi tramite
un processo di evoluzione biologica. Il conseguente rifiuto della
GU , dal nostro punto di vista, pienamente condivisibile: se la
GU non supera il test della plausibilit evolutiva, non ci interessa
affatto salvare la GU.

3. Dilemma darwiniano
Rifiutando di caratterizzare il linguaggio naturale in analogia
coi linguaggi formali della matematica e della logica proposizionale, la tesi prevalente nei modelli funzionali che il linguaggio
sia soggetto a una evoluzione storico-culturale e sia, pertanto,
un adattamento di natura culturale: non il cervello che si
adattato al linguaggio, bens il linguaggio che si adattato al
cervello sfruttando sistemi cognitivi e meccanismi di apprendimento gi presenti.
Lipotesi della natura culturale del linguaggio poggia sostanzialmente su due capisaldi teorici: (1) una prospettiva organicistica sul linguaggio e (2) una concezione dellapprendimento del
linguaggio basata sulla semplicit duso da parte degli utenti. In
entrambi i casi, il peso dellargomento scaricato sulla centralit
teorica attribuita alla dimensione del cambiamento linguistico.
Per quanto riguarda la prospettiva organicistica, dallidea che
il linguaggio e soprattutto le lingue siano del tutto simili a degli
organismi possibile derivare il parallelismo tra cambiamento
biologico e cambiamento linguistico. Laltra evoluzione per
dirla con Deacon (1997: 91) quella delle lingue intese come
virus, parassiti benefici, organismi viventi (Christiansen, 1994).
Da questo punto di vista, il cambiamento linguistico pu essere
considerato eccola lanalogia con il cambiamento biologico
alla stregua di un processo evolutivo basato su meccanismi culturali di replicazione e di variazione. Scrivono Christiansen e Chater: Historical processes of language change provide a model
of language evolution: indeed, historical language change may
be language evolution in microcosm (2008: 503).
Discutere la questione del cambiamento linguistico in questi
termini ha senso soltanto allinterno di una prospettiva in cui occuparsi dellevoluzione del linguaggio significa sostanzialmente
occuparsi dellevoluzione delle lingue. sulla legittimit di questo passaggio argomentativo che si gioca la partita sulla natura biologica o culturale del linguaggio. In effetti, Christiansen e
Chater (2008) insistono proprio su questo tema per scongiurare lipotesi che il linguaggio possa essere lesito di un processo
di evoluzione per selezione naturale: The rapidity of language
change and the geographical dispersal of humanity suggests
that biological adaptation to language is negligible (ivi, p. 503).
La rapidit del cambiamento linguistico , in altri termini, il fattore determinante nello sbilanciare il processo di adattamento a
vantaggio dellevoluzione culturale.
Il secondo corno del problema tocca la relazione tra cambiamento linguistico e teoria dellapprendimento. Ci sono almeno
due ragioni per cui questi autori devono investire parecchie risorse argomentative sul piano della teoria dellapprendimento.
La prima ragione da prendere in considerazione, come abbiamo
gi specificato nel paragrafo iniziale di questo lavoro, che il piano dellacquisizione rappresenta storicamente il punto di forza
dei modelli formali: quando si deve dar conto di come sia possibile per il bambino acquisire sistemi linguistici cos complessi, il
riferimento a una competenza innata specifica per il linguaggio
sembra inevitabile. La seconda ragione deriva direttamente da
un presupposto interno al modello del linguaggio proposto dai
funzionalisti e sul quale si fonda, in ultima analisi, la critica allipotesi formale: concettualizzare levoluzione del linguaggio come
una dinamica sociale evoluzionistica delle lingue sposta automaticamente il carico esplicativo sulle condizioni socio-culturali
esterne alle menti dei parlanti o, in altri termini, su un modello
dellacquisizione basato pesantemente sullapprendimento pi

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che su un insieme di principi linguistici innati. A tal proposito,


sottolinea Deacon (1997):
La chiave per comprendere la capacit di apprendimento della lingua [] il mutamento linguistico. La velocit di cambiamento evoluzionistico sociale della struttura della lingua, pur manifestandosi
immutata rispetto al tempo necessario perch un bambino sviluppi le
facolt di linguaggio, un processo cruciale per comprendere come
egli apprenda una lingua che in superficie sembra di una complessit impossibile, oltrech insegnata in modo approssimativo. I meccanismi che dirigono il mutamento linguistico a livello socioculturale
sono anche responsabili dellapprendimento quotidiano della lingua (ivi, trad. it. p. 96).

A causa del cambiamento linguistico continuo, sembra necessario adottare una concezione radicalmente differente dellapprendimento. In effetti, la relazione tra cambiamento linguistico
e processi di apprendimento risulta del tutto invertita rispetto al
modello chomskiano: la continua variabilit delle lingue vincola
il tipo di processi di apprendimento cui necessario far riferimento per dar conto dellacquisizione e dellevoluzione storica
delle lingue. Insistendo sulla stretta relazione tra processi che
sottostanno allacquisizione, alluso e al cambiamento linguistico, il tentativo di mostrare che la tesi della natura culturale del
linguaggio sia sostenibile soprattutto quando si disposti ad affrontare la questione della plausibilit psicologica del modello di
acquisizione chiamato in causa unitamente alla questione della
plausibilit evolutiva. Su questo piano argomentativo, lobiettivo
di fondo di Chater e Christiansen (2010) mostrare che adottando una prospettiva evolutiva sul cambiamento linguistico si
possa anche restringere il ventaglio delle teorie sullacquisizione
a nostra disposizione. In un quadro di questo tipo, una qualche
forma di GU non ha pi ragione di essere presupposta.
La sfida riuscire a mostrare che la complessit del linguaggio
soltanto il prodotto di processi di trasmissione storico-culturali
che rendono le strutture linguistiche in continuo movimento,
e cio soggette incessantemente alla contingenza del cambiamento. Ovviamente, intendere in questo senso la complessit ha
profonde ricadute anche a livello dei meccanismi cognitivi sottostanti che ne stanno alla base. Non necessario chiamare in causa principi astratti specifici, basta il riferimento a semplici principi
dominio generali per spiegare al contempo lemergenza, levoluzione e lapprendimento delle strutture portanti delle lingue. In
questo senso, il processo di complicazione del codice espressivo
guidato da un processo di grammaticalizzazione che agisce
sulla dimensione storica delle lingue (Hopper, Traugott, 2003).
Nello spazio concettuale delle ipotesi sul linguaggio laltra
faccia del dilemma linguistico il dilemma darwiniano: una
prospettiva funzionalista ed evolutivamente orientata sembra
obbligare una conclusione culturalista sulla natura del linguaggio; i modelli che sembrano guadagnare terreno sul piano della
plausibilit evolutiva spostano il linguaggio fuori dallazione della selezione naturale. Eppure

3.1 Cambiamento, apprendimento, evoluzione


Il monito che arriva dai funzionalisti chiaro: legare levoluzione della GU allevoluzione di propriet astratte e arbitrarie significa rinunciare a un modello del linguaggio plausibile da un punto
di vista evolutivo. Non su questo punto che intendiamo avanzare la nostra critica. Tuttavia, dal fatto che il linguaggio non sia
un adattamento come la GU non si pu derivare che il linguaggio
non possa essere una forma diversa di adattamento biologico.
Insistere su un tale passaggio argomentativo fallace (Ferretti,
2010; Ferretti, Primo, 2008). Il punto rilevante da discutere riguarda lestendibilit delle conclusioni a modelli differenti rispetto a
quello della GU.
Come ammettono Chater, Christiansen (2010), largomento
fondamentale sul quale poggia la tesi che tenta di escludere la
possibilit di adattamenti biologici specifici per il linguaggio

95

largomento del bersaglio mobile. La struttura dellargomento


esplicitata da Winter (2010: 352) nel modo seguente:
Premise 1 Biological evolution is slow.
Premise 2 Language change is rapid.
Premise 3 Slow biological adaptation needs stable targets.
Conclusion Biology could not have adapted to language.
La tesi di Winter (2010) che le premesse di un tale argomento siano in realt ipotesi empiriche da verificare e che quindi, la
validit del ragionamento sulla natura adattativa del linguaggio
debba essere valutata in relazione alla validit empirica di ciascuna premessa. Data la rilevanza attribuita alla rapidit del cambiamento linguistico allinterno dei modelli funzionali, concentreremo la nostra attenzione sulla seconda premessa (cfr. Ferretti,
2009; Winter, 2010) per una discussione critica della prima e della
terza premessa rispettivamente).
Davvero tutti i tipi di cambiamenti linguistici sono di fatto cos
rapidi come sembra presupporre largomento che stiamo discutendo? Lidea di Newmeyer (2005) in proposito, che a dispetto
della centralit teorica attribuita dalle analisi funzionaliste alla
velocit del cambiamento linguistico, il mistero che rimane da
spiegare quando si discute di linguaggio e di grammatica la
loro stabilit. In maniera parzialmente analoga, Winter (2010) si
affida a questa tesi quando distingue tra cambiamenti minori e
cambiamenti maggiori interni al sistema linguistico; questi ultimi, al contrario della rapidit dei cambiamenti minori, hanno
bisogno di tempi pi lunghi (Nettle, 2007; Pagel, 2009).
La velocit del cambiamento linguistico non pu essere valutata a priori. A dispetto di questo fatto, la nostra idea che in
questo passaggio specifico, largomento di Winter (2010) non sia
cos determinante per inficiare la validit dellargomento del bersaglio mobile. Intendere la velocit dei cambiamenti linguistici
minori o maggiori che siano in senso assoluto non sembra una
strategia argomentativa efficace. Per quanto i tempi dei cambiamenti maggiori possano essere molto pi lenti rispetto ai tempi
necessari per i cambiamenti minori, i tempi cui si sta qui facendo
riferimento paiono comunque essere un battito di ciglia rispetto ai tempi naturali dellevoluzione biologica. Tuttavia, dietro la
critica di Winter si cela un elemento chiave per i nostri fini: una
critica pi generale alluniformitarianismo. su questo aspetto
che ora rivolgeremo la nostra attenzione.
Luniformitarianismo linguistico una posizione che attribuisce il medesimo status a tutte le lingue e a tutti i tipi di cambiamenti linguistici. Come ha notato recentemente Newmeyer
(2002; 2003), questa posizione pu essere messa in discussione
in diversi modi. Tra le critiche, quelle che ci interessano maggiormente, riguardano la relazione tra cambiamento ed evoluzione.
A tal proposito Heine e Kuteva (2007: 29) prendono in considerazione tre assunzioni specifiche sottostanti alluniformitarianismo:
Assumptions of uniformitarianism
U1 All modern languages are in some important sense equal.
U2 Since the general structure of human languages of 5000
years back was about the same as it is today, it must also have been
the same in early language.
U3 Linguistic change in early language was of the same kind
as we observe in modern languages.
Nellanalizzare ciascuna assunzione, Heine e Kuteva (2007)
sottolineano la rilevanza teorica della terza assunzione. Da un
punto di vista evolutivo, la prima assunzione non problematica; la seconda viene decisamente avversata, mentre la terza
decisiva: com ovvio, se i cambiamenti linguistici attuali fossero
differenti rispetto a quelli storici e, soprattutto, se i cambiamenti
linguistici attuali fossero differenti rispetto a quelli delle fasi iniziali dellevoluzione della struttura linguistica, studiare il cambiamento delle lingue e i processi di trasmissione culturale che ne
stanno alla base per gettar luce sullevoluzione del linguaggio,
sarebbe unimpresa votata al fallimento in via di principio. Per
scongiurare un esito di questo tipo, Heine e Kuteva (2007) tentano di conciliare una posizione uniformitarianista sul cambiamento linguistico con una posizione non-uniformitarianista sulla

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struttura linguistica; a questo livello di analisi lorigine (culturale) della struttura linguistica loggetto di tutta la riflessione.

Our concern [] is exclusively with the situation that we hypothesize to have characterized early language, when these processes took
place for the first time, that is, when there were, for example, verb but
no auxiliaries hence, when human language was less complex than
it is today. On the basis of this hypothesis, we see no reason to adopt
assumption U2 (Heine, Kuteva, 2007: 32).

possibile mettere in discussione questa posizione? Lessere apprendibile e la trasmissibilit sono propriet dimportanza
fondamentale, soprattutto per garantire la sopravvivenza del
codice espressivo nelle prime fasi dellevoluzione del linguaggio.
Il punto in questione capire se, a partire da queste considerazioni, sia obbligatorio guardare al linguaggio e alla grammatica
come al prodotto di cambiamenti linguistici ripetuti basati su
processi di apprendimento culturali. Unassunzione implicita
dietro a questo discorso che i meccanismi di apprendimento
nella filogenesi siano del tutto simili a quelli che regolano tanto
levoluzione storica delle lingue quanto lapprendimento del linguaggio nellontogenesi. Come precisano Beckner et al. (2009):
Given that grammaticalization can be detected as ongoing
in all languages at all times, it is reasonable to assume that the
original source of grammar in human language was precisely
this process: As soon as humans were able to string two words
together, the potential for the development of grammar exists,
with no further mechanisms other than sequential processing,
categorization, conventionalization, and inference-making
(Beckner et al., 2009:8).
Ancora una volta, il presupposto di questa considerazione,
spesso sottaciuto nella letteratura funzionalista, la tesi delluniformitarianismo del cambiamento linguistico che sta alla base
dellidentificazione tra evoluzione storica delle lingue ed evoluzione del linguaggio. Tuttavia, questa tesi pu essere considerata
valida soltanto a patto di equiparare o identificare tre processi
filogenetici, glottogenetici (o storici), ontogenetici che, per
quanto interdipendenti, sono solitamente mantenuti distinti.
The explanatory role of glossogeny commenta Fitch (2008)
is complementary to, not in competition with, that of biological
evolution (ivi, p. 522). Quanto meno, lidentificazione tra questi
processi non pu essere data per scontata (Argyropoulos, 2010).
Sostenere che alla base della glottogenesi, dellontogenesi
e della filogenesi debbano essere collocati processi differenti
ha ripercussioni interessanti sulla questione della tipologia dei
cambiamenti linguistici e, di conseguenza, sui meccanismi di apprendimento che ne stanno alla base. Dal nostro punto di vista
possibile mantenere la distinzione tra questi processi; se cos fosse, sarebbe possibile mettere in discussione luniformitarianismo
anche sul piano dei cambiamenti linguistici.
Unindicazione che va in questa direzione, arriva proprio dagli studi sullacquisizione del linguaggio. Come mostra un lavoro
di Diessel (in press), un parallelismo stretto tra processi storici e
processi ontogenetici sembra non funzionare: meccanismi di apprendimento differenti potrebbero regolare diverse tipologie di
cambiamenti linguistici. Pertanto lidentificazione tra evoluzione
del linguaggio ed evoluzione storica delle lingue non pu pi
essere presupposta.

4. Conclusioni
La questione della natura del linguaggio deve essere affrontata affiancando al vincolo della plausibilit psicologica quello
della plausibilit evolutiva. Il tentativo di vincolare sul piano evolutivo i modelli dellacquisizione del linguaggio ci sembra una
mossa ampiamente condivisibile. A non convincerci invece,
lipotesi specifica sulla natura culturale del linguaggio avanzata

96

allinterno dei modelli funzionali. I criteri teorici che stanno alla


base di una tale ipotesi sono, a nostro avviso, parecchio problematici: poich la posizione uniformitarianista sul cambiamento
linguistico pu essere messa in discussione, non pi lecito individuare nel cambiamento storico e osservabile delle lingue la
metodologia dindagine privilegiata per dar conto dellevoluzione del linguaggio. Se i processi e i meccanismi di acquisizione,
di trasmissione e di evoluzione delle lingue non sono del tutto
equiparabili, la possibilit che il linguaggio sia un adattamento
biologico resta ancora unipotesi possibile.
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La sinfonia mimetica dei corpi


Maria Grazia Turri - mariagrazia.turri@unito.it
Universit degli Studi di Torino

Abstract

We are capable of imitating movements, gestures, actions, skills, behaviors, pantomimes, sounds, vocalizations, speech, emotions
and we have particular imitation system in the brain, the mirror neurons, their properties indicate that they represent a mechanism
that areas onto their motor counterpart. This matching mechanism may underlie a variety of functions that the first and sound are
emulation, imitation and understanding of intentionality. The researches say that society is not formed by autonomous unit, but by
relations. In the 20th century, social scientists and philosophers began to study how and why people imitate actions, emotions and
processes how the ideas come up because is necessary to explain how human society come up and how people related to each other
through persistent relations. The consequences of this mechanism is that responsibility have to became the centre of the reflection.
Keywords
Imitation, mimic, mirror neurons, motor system, learning

1.Emulazione versus imitazione


Limitare connaturato agli uomini fin dalla puerizia (e in ci luomo
si differenzia dagli altri animali, nellessere il pi portato a imitare e
nel procurarsi per mezzo dellimitazione le nozioni fondamentali)
tutti traggono piacere dalle imitazioni noi siamo naturalmente in
possesso della capacit di imitare (Aristotele, Poet. 4, 1448b 5-10).

Aristotele riassume cos gli elementi salienti che caratterizzano lorigine e il perch dellimitazione. Per imitare bisogna sapere che cosa, da chi, come, quando e perch imitare e soprattutto
individuare lorigine della facolt di saper copiare, in che cosa
consiste e a che cosa serve. Per strade diverse a questa abilit
sono stati connessi termini come emulazione, mimesi, mimica e,
ovviamente, imitazione. Per molti versi sul termine imitare, che il
dizionario considera sinonimo di copiare, a livello accademico
in corso una vera e propria contesa, a colpi di nuove definizioni e
introduzioni quotidiane di nuovi livelli.
Molti studiosi evoluzionisti attuano per una netta distinzione fra emulazione (Romanes, 18831; Vallortigara, 2000), la capacit di copiare in modo approssimativo poich non se ne comprende la finalit - il senso - , e imitazione, la facolt di copiare
dettagliatamente. In questultimo caso si tratterebbe della perizia di ricopiare la struttura organizzativa di un comportamento, il
che porterebbe con s una comprensione analitica del processo
di ci che vale la pena copiare e un raffinato intendimento della
finalit dellatto imitativo. Infatti, se dichiariamo che una persona
tenta di emularne unaltra pensiamo che la prima tenta di copiare la seconda, ma non che riesce a eguagliarla. Questa distinzione trova fondamento scientifico in molti lavori fra cui quelli
di Deborah Custance (1996) dellUniversit di Londra, che sulla
scia delle considerazioni dellantropologo Marcel Jousse sul mimismo (1974; 1975), ha misurato labilit di copiare di diverse
specie di scimmie e quella dei bambini da uno a tre anni e ha
quantificato che, in media in un gesto ripetuto, la precisione in
questi primati rispetto alluomo circa il 40 per cento inferiore.
Ed questa difformit relativa alla precisione che fa s che molti
etologi sostengano che quello che chiamiamo imitazione per gli
esseri umani in realt emulazione nel caso dei primati diversi
dalluomo2 e nei bambini al di sotto dellanno di et.
1. John George Romanes, discepolo di Charles Darwin, individua lesistenza di una sorta di scala della facolt imitativa fra animali e umani,
costruita sulla base della complessit e della precisione, sia per quanto
riguarda gli oggetti fisici, sia per quanto concerne i soggetti.
2. Negli animali, le forme base di inganno involontario sono dette mimicry, termine con il quale di solito si intende lemulazione di modelli pericolosi per mezzo di una mimica innocua fatta di segnali visivi o uditivi, o di
odori sgradevoli, allo scopo di ingannare i predatori.

98

Lemulazione per poter avvenire deve comunque essere supportata da due condizioni: la capacit di riproduzione di atti che
diano vita tecnicamente a oggetti simili o a gesti approssimativamente equivalenti e dalla capacit osservazionale circa le propriet degli oggetti e dei soggetti e dei potenziali rapporti fra di
loro e fra le componenti che li costituiscono3.
Storicamente, limitazione spesso stata proposta come un
meccanismo o il meccanismo centrale di mediazione culturale
per spiegare, da un lato, le origini e i processi di trasmissione,
dallaltro la stabilizzazione dei fenomeni culturali, sia nelle specie
animali, sia in popolazioni umane con specifiche tradizioni comportamentali, o a fronte di fenomeni di massa come i processi e
le modalit di consumo.

2. Imitazione incarnata: sistema motorio e correlato


neurale
Sherlock Holmes sosteneva che I am a brain, my dear Watson,
and the rest of me is a mere appendage. In realt noi siamo in
primo luogo il nostro sistema motorio, cio la struttura portante
che consente ai soggetti di compiere atti come il percepire, leseguire compiti, lemozionarsi, il riflettere, il parlare, il provare sensazioni. Senza sistema motorio esseri umani, animali e piante non
sarebbero oggetti biologici, capaci di atti autonomi ma oggetti
fisici passivi (Turri, 2011). Negli ultimi ventanni si assistito a una
completa revisione del modo semplicistico di concepire il funzionamento e lorganizzazione del sistema motorio ed andato in
frantumi lidea che questo svolga un ruolo periferico, seriale, unicamente esecutivo e passivo, mentre emerso il fatto che questo
in primo luogo condizione e attore della percezione e della cognizione, tanto che passiamo da una fase emulativa a una vera e
propria abilit imitativa solo nel tempo e man mano che il sistema
motorio evolve e si affina (Watkins, Strafella, Paus, 2003).
Lindividuo, imitando, fa proprio il comportamento altrui; un
comportamento che probabilmente non avrebbe mai adottato
senza esservi stato esposto e stimolato. La forma di copiatura
per antonomasia si ha nei geni, tanto che lespressione comunemente utilizzata che i geni sono soggetti a imprinting (Burt,
Trivers, 2008:107).
Se latto che sintende replicare appartiene al corredo motorio del soggetto, siamo sul terreno dellimitazione, altrimenti
se il corredo motorio non del tutto identico siamo sul terreno
dellemulazione.
3. Lo studio sulla facolt emulativa delle taccole di Konrad Lorenz (1973)
rimane una pietra miliare nella storia di questa capacit del genere animale.

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Come si crea la corrispondenza tra latto motorio altrui e quello originario, cio come si fa, per esempio, a imitare un tuffo come
quello eseguito da una nuotatrice provetta?; oppure come si fa
a essere tristi ogni volta che si vede qualcuno triste?; o ancora
come si fa a provare il dolore quando si vede qualcuno che soffre
per un dolore fisico? In fondo si tratta di comportamenti perlopi
acquisiti senza riflettere. A questo quesito se ne aggiunge uno di
natura contigua e parallela: com possibile replicare un gesto
osservato, fare qualcosa che si visto fare ma non si mai fatto prima? Come avviene la trasmissione di competenze motorie
da un individuo che le possiede gi a un altro a cui non appartengono? Riprodurre per la prima volta atti concerne aspetti e
movimenti nuovi e coordinati, il che implica lindividuazione di
soluzioni, che probabilmente i soggetti stessi sono sul punto di
scoprire autonomamente, ma che losservazione dellesecuzione
da parte di altri rappresenta lultimo anello che ne consente la
riproduzione. Perlopi questo avviene o percependo latto altrui
o seguendo istruzioni vocali.
Affinch possa esservi imitazione, una coemergenza psicofisica, due soggetti devono contestualmente possedere lidentico
corredo motorio e un medesimo pattern neurale; infatti necessario che non appena un soggetto vede compiere un atto si attivano in lui i suoi neuroni motori che governano i muscoli degli
arti coinvolti nellatto percepito, consapevolmente o inconsapevolmente. Questa corrispondenza neurale governata dal sistema specchio (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006), che nel momento in
cui si sta osservando un atto responsabile della segmentazione
dellatto osservato e dei singoli elementi da cui esso composto.
Se ad esempio linsegnante di pianoforte esegue un accordo che
lallievo non ha mai compiuto, pressoch fuor di dubbio che,
salvo un deficit stabile o temporaneo allarto, lallievo in grado
di muovere le dita della mano con le stesse modalit con cui lo fa
linsegnante; se egli inarca le dita e allunga il mignolo per concludere laccordo, chiaro che questo movimento delle dita sar dal
discepolo facilmente ripetibile, anche se dopo molto esercizio.
Ogni atto motorio composto di pi atti diversificati che congiunti portano alla fluidit del movimento che ognuno esegue
o vede eseguire. In colui che deve apprendere inizia cos un processo neurale volto alla frammentazione di questo atto continuo
nei suoi singoli atti, appartenenti tutti anche al suo patrimonio
motorio. Successivamente, lo stesso processo neurale che ha
dato inizio al frazionamento di ci che viene percepito, avvia un
procedimento inverso volto alla ricostruzione, al riassemblamento dei singoli atti motori in un avvicendamento adeguato affinch latto che deve essere eseguito si approssimi verosimilmente
a quello osservato. Questo processo avviene sia che latto sia solo
percepito, sia che esso venga effettivamente eseguito, infatti
non tutti gli atti percepiti vengono riprodotti, anche se vengono
sempre internamente copiati.
Il fatto di copiare internamente latto osservato non implica
quindi che noi ripetiamo effettivamente ogni atto che osserviamo dato che entra in gioco perlopi un meccanismo di inibizione
(Baldissera et al.,2001; Ramachandran, 2011)4, che blocca il passaggio dallazione potenziale a quella reale, bench la potenzialit evocata consenta di rilevare comunque unattivazione dei
muscoli corrispondenti. Ogni nuovo atto prospettato deve fare
necessariamente riferimento a schemi di movimento gi posseduti, cosicch conoscere un atto significa riconoscerlo, ricollegarlo
a un atto simile che si trova o gi in potenza eseguibile o gi nella
memoria; esso viene dunque solamente riletto e se rieseguito,
riscritto. Cera una traccia e la traccia viene approfondita e raffinata e, probabilmente, leggermente variata. I circuiti neuronali
cos modellati creano una sorta di calco che fa s che i nostri movimenti nel tempo divengano automatici, fluidi e naturali.
Lapprendimento e la fluida effettuazione degli atti richiede
tempo, attenzione e costanza e il risultato del processo imitati4. Si tratterebbe di uninibizione a livello spinale. Si basa su questa dinamica lallenamento ideomotorio, cio lallenamento mentale utilizzato
dagli atleti per prendere sempre maggiore familiarit con lesercizio da
eseguire.

99

vo, esogeno o endogeno, tanto pi efficace quanto pi il grado di attenzione, analisi, applicazione e riproduzione intenso.
Pertanto vedere, guardare e notare sono atti contigui ma non
identici. Se vuoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva (Kay
Kaus Ibn Iskandar, 1981), lesortazione al prestare attenzione,
allavere occhio, al vedere come, al vedere cosa, al saper vedere,
ad attuare il passaggio da un vedere che passivo e convergente
al guardare che attivo e irradiante, al notare che la presenza
piena di noi stessi al contesto. Losservare, il notare i dettagli e le
sfumature a sua volta un esercizio, il frutto di una riscrittura
frequente di un processo che mnesticamente si consolida, il consolidarsi dellabitudine allessere attenti, cosicch da eccezionale
il notare diventa normale e fluido e facilita la qualit dei processi
imitativi.
Il sistema specchio in realt non si attiva in base alla codifica
e alla decodifica di singoli atti, ma alla loro natura teleologica,
per cui lapprendimento imitativo, che in questo quadro si configura fondato sullimitazione incarnata, risulta poco efficace se
allesecuzione di un atto o peggio ancora di singoli movimenti o
di singoli gesti non se ne identifica la finalit. Inoltre, gli obiettivi
perseguibili dipendono da un contesto (Schwarz, 2010), lambito
che consente la significazione dellagire e della consapevolezza
del suo effetto. possibile apprendere un gesto, un atto, un movimento, pi o meno complesso, per semplice percezione, cio
per semplice esposizione allo stimolo, unicamente perch ne
viene intesa la finalizzazione e quindi lintenzione: io so gi quello
che tu stai per fare e sono in grado di prevedere il fine cui tende
il tuo gesto e questo perch sono io stesso in grado di identificarne lobiettivo, lo scopo o la motivazione (Turri, 2012). Tutto
ci significa che il percettore possiede un vero e proprio meccanismo di previsione che gli permette di essere proiettato anticipatamente verso lesito dellatto motorio che sta percependo.
Il contesto in cui si svolge latto suggerisce con pi forza quale
quello che con maggiore probabilit si dimostrer vero e se
poi un individuo conosce il comportamento consueto adottato
dallaltro individuo, labitudine, dato il particolare contesto in cui
si vede svolgere lazione, sar naturale che inizialmente questi
presupponga lesito motorio che solitamente conclude latto in
quel contesto di quellindividuo. Qualora per si capisse che la
persona porter a termine diversamente il gesto motorio, non
preclusa la facolt di correggere immediatamente lintuizione
del fine cui il suo gesto tende. Di conseguenza, in base al diverso tipo di movimento che si vede fare, si pu ugualmente con
facilit comprenderne la finalit. Nel caso in cui latto motorio
osservato faccia gi parte delle competenze motorie dellindividuo che osserva, come saper nuotare, avviene unattivazione dei
neuroni specchio ancora pi marcata, perch ci che percepito
risulta essere familiare e quindi saldamente inscritto nel patrimonio motorio dellosservatore.
Il sistema specchio quindi in grado di selezionare sia il tipo di
atto, sia la sequenza dei movimenti che lo compongono e si attiva
anche nel caso di atti mimati, cio nelle pantomime che non richiedono una effettiva interazione fisica con oggetti, o nel caso di
gesti intransitivi, cio quei gesti che sono privi di un correlato oggettuale come quando per esempio si alza un braccio o lo si agita
e quindi questa tipologia di neuroni si attiva sia durante la visione
di un atto motorio visto, sia durante la messa in opera in prima
persona dello stesso atto, sia negli atti comunicativi oro facciali.
Ma c di pi. In una ricerca stato chiesto a due soggetti
di sincronizzare il tamburellare delle loro dita su una scrivania:
si sincronizzavano con maggior precisione senza utilizzare un
metronomo rispetto a quando stato loro chiesto di usarlo (Levintin, 2008:47). Ci potrebbe sembrare controintuitivo, giacch
un metronomo ha un battito molto pi regolare, e quindi pi
prevedibile. Tuttavia lesperimento ha dimostrato che gli esseri
umani si adattano alla reciproca performance, in un processo di
coadattamento. In pratica interagiscono tra loro, ma non con il
metronomo, dal che evidente che fra due oggetti con sistema
motorio e la presenza di uno privo di sistema motorio assiologicamente prevale la relazione fra i primi.

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Pertanto apprendere per imitazione un processo complesso, correlato allobiettivo da perseguire, carico di significazione
e che privilegia lefficacia e la funzione alla forma, dove questa
la conseguenza di quella. Quindi per imitare necessario che
lorganismo abbia la capacit di costruire strutture gerarchiche di
atti, con una competenza pi generale di comprenderne le conseguenze e che per essere qualitativamente raffinato richiede
attenzione ed esercizio.
Nellatto dellimitare il soggetto imitante essendo il suo movimento appartenente al proprio patrimonio motorio potenziale,
sar logica conseguenza che il suo personale approccio allatto
sar per certi versi dissimile da quello di colui che imitato, e da
ci dipender la differente interpretazione ed esecuzione di uno
stesso atto. Essendo il suo movimento, appartenente al suo patrimonio motorio, sar logica conseguenza che il suo atto sar per
certi versi dissimile da quello del soggetto imitato e anche da ci
dipender la differenza di stile; aspetto facilmente riscontrabile
osservando sia chi pratica uno sport sia chi suona uno strumento
musicale.
Possiamo imitare gli atti altrui, perch il nostro corpo riflette in tempo reale, per dir cos, quello della persona che stiamo
percependo, permettendo cos una sorta di comunicazione non
linguistica fra corpi, il che fa s che limitazione sia ben al di l di
un atto meccanico, poich non rispecchia lo schema rigido del
se deve, ma riproduce le procedure di sviluppo della biologia,
racchiuse nella formula se allora. C di pi: se quel che fai tu
simile a quel che faccio o potrei fare io, allora io sono in qualche
modo te, simile a te e tu a me. Ma io sono immediatamente e ancor pi con il passare del tempo diverso da te perch attivo unimitazione di te con il mio stile personale, la mia haecceitas, cio
per molti versi mentre copio interpreto. Pertanto limitazione non
necessariamente un processo passivo e depersonalizzante, ma
piuttosto di unattivit potentemente creativa.
Possiamo quindi affermare che limitazione una raffinata
impresa cognitiva, in primo luogo embodied e perlopi inconsapevole, e solo successivamente o secondariamente riflessiva
(intellective) e volontaria (Turri, 2012). Un esempio di imitazione
riflessiva e volontaria sia ha per esempio quando per realizzare
delle performance in coppia, come nel caso del nuoto sincrono,
le atlete si copiano vicendevolmente nel dettaglio di ogni singolo movimento in modo da coordinarne ciascuno gesto con quello dellaltra, spesso sulla base delle istruzioni di un allenatore.
Per copiare bene bisogna sapere che cosa, da chi, come, quando e perch copiare, e poi trovare un linguaggio proprio, realizzando cos unimitazione che incorpora lo stile personale e per
fare questo, salvo rari casi, ci vuole molto tempo, esercizio, attenzione, riflessione su di s e sugli altri. Copiare, riscrivere quello
che fa un altro, , se ci pensiamo bene, la forma principale e iniziale di apprendimento per tutti noi. Il copiatore ha necessit di
uno sperimentatore da copiare, ma una societ di copiatori senza stile personale si avvierebbe inesorabilmente alla decadenza.
Persino gli amanuensi medioevali, che non facevano altro che
copiare, nel riprodurre hanno compiuto trascrizioni non fedeli e
per questo foriere di innovazioni che hanno dato vita a lunghi
dibattiti in ambito ermeneutico.

3. Imitazione, mimesi, mimica


Con lobiettivo di spiegare al contempo lapprendimento, lidentit e lautonomia dei comportamenti e soprattutto la comunicazione sociale, compresa la discomunicazione, psicologi, filosofi e insegnanti di mimo si sono arrovellati soprattutto intorno
al concetto di mimesi.
Gli insegnanti di mimica sin dalla prima lezione non mancano di sottolineare con forza che la mimica non imitazione. I
termini mimica e imitazione, cos come il pi colto mimesi,
derivano dal greco mimesis, introdotto da Platone nel terzo libro
de la Repubblica5 e utilizzato da Aristotele nella Poetica, testo nel
5. Platone riferisce il termine mimesis alla poesia, del tutto in linea con

100

quale il filosofo stagirita assegna autonomia sia al processo mimetico inteso come attivit ed esperienza estetica fondamentale,
sia al mthos come suo prodotto. Da allora questo termine non
mai scomparso dal pensiero filosofico in generale e soprattutto
dallestetica. Infatti, se esiste un termine nella tradizione artistica
che risulta inflazionato questo proprio mimesi, tanto che le ambiguit connesse con il termine mimica, al confronto, sono poca
cosa. Nella cultura occidentale lorigine del termine mimesi sicuramente ascrivibile alle ragioni che sono state indicate da Eric
Havelock (1963), secondo il quale la filosofia nasce quando la
scrittura sorge e si sostituisce alla comunicazione orale6, quando
cio alle regole della rappresentazione teatrale, in cui trionfa la
mimesi, interviene appunto la scrittura.
Il termine mimica non risolve il problema di una polisemia di
significati, ma indubbiamente li circoscrive allindividuo e al suo
agire con il corpo, in quanto possiede qualcosa di cui il termine
mimesi non invece dotato: il riferimento costante e irrinunciabile alla fisicit. La stessa parola mimica indica unassunzione
della nostra postura speculare a quella di chi ci di fronte, quando mimiamo gli stessi gesti, come in una danza non verbale.
il corpo il veicolo e lattore della mimica e non c mimica senza
corpo: una mimica astratta, dietro la quale non vi sia un corpo
agente, almeno come ricordo, unassurdit. E ci che distingue
la mimica dal fisionomico che la prima fa riferimento al fenotipo
e la seconda al genotipo. Cosicch il termine mimica ha un utilizzo corrente molto pi ristretto del termine imitazione e viene
in genere adoperato come termine tecnico nella critica teatrale e
cinematografica per esprimere gli atti espressivi che chiamano in
causa il sistema motorio, con particolare riferimento alla mimica
corporea e soprattutto a quella facciale, di cui il gioco dei mimi
ne la plastica rappresentazione, visto che richiede di comprendere in primo luogo la classe delloggetto dellimitazione: persona, animale, pianta, oggetto fisico o immaginario (gli angeli) e
poi di quale oggetto specifico si tratta.
Quando noi parliamo di mimica ci riferiamo a una pratica, a un
atto, latto mimico, consapevole o inconsapevole, mentre quando parliamo di imitazione, possiamo riferirci sia agli individui che
agli oggetti e in questultimo caso non c ombra di dubbio che
latto imitativo consapevole e necessita della conoscenza sia
delloggetto finale che si desidera realizzare, con tutti i suoi particolari, sia del processo da attuare per realizzarlo.
Fuor di dubbio il termine imitazione e il termine mimica
hanno una relazione ma non si identificano e questa mancata
identit risulta pi chiara grazie allausilio di esempi linguistici.
Mettiamo a confronto due locuzioni:
- Lucia imita la smorfia di Elisabetta e produce una smorfia;
- Lucia imita la torta di Elisabetta e produce una torta.
Se a entrambe le locuzioni sostituiamo al termine imita il
termine mima, ne deriverebbe che la prima locuzione assume
la seguente forma Lucia mima la smorfia di Elisabetta e produce una smorfia e la seconda Lucia mima la torta di Elisabetta e
produce una torta.
Indubbiamente la seconda non risponde a verit, non ha un
il fatto che nellantica Grecia la mimesi era in primo luogo connessa alla
musica e alla danza, alla rappresentazione che il corpo attuava nella
vita cultuale, come nelle feste dionisiache; tuttavia esiste una tradizione
neoplatonica che attribuisce il termine mimesi anche ad arti diverse. In
Platone il termine mimesi fa riferimento sia a chi compie un atto compositivo sia a chi riproduce un testo (poesia, brano musicale, ecc.) come
tradizionalmente solito fare un attore o un musicista, cosicch dietro
allaccezione platonica si possono rintracciare sia il gesto di imitazione
della realt costituita da oggetti fisici, sia la mimica corporale di altri individui. Nel capitolo decimo della Repubblica egli compara la mimesi alla
doxa perch il carattere soggettivo sottende sia la mimesi rispetto alloriginale sia la dxa rispetto allaltheia.
6. Nella scrittura necessario riprodurre in modo inequivocabile le lettere o gli ideogrammi. Nella stessa storia della scrittura ritroviamo il ruolo
centrale che limitazione rappresenta per gli individui, poich la scrittura
ha avuto la necessit di definire una grafica uniforme imitata e imitabile per essere veicolo di comunicazione in modo da creare identit
culturali.

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correlato oggettuale. Non possiamo quindi invertire meccanicamente i termini, perch mentre il termine imitare utilizzabile
al posto di mimare, non si d linverso, cio non siamo in grado
di dire, se non modificandone la semantica che Lucia mima la
torta di Elisabetta. In questultimo caso immediatamente pensiamo che Lucia non sta facendo qualcosa di reale ma qualcosa di fittizio; compie un atto che non produce un oggetto fisico.
Possiamo invece dire che Lucia imita la smorfia di Elisabetta e
produce un smorfia. Quindi entrambi gli atti hanno a che vedere
con la produzione di un oggetto (torta, smorfia) operata da un
soggetto (Lucia) a partire da un oggetto (la torta, la smorfia); ma
mentre il termine imitare pu fare riferimento a oggetti appartenenti a classi differenti, mimesi ha come referente ununica
classe di oggetti: quelli prodotti dagli atti degli individui .
Il termine imitazione quindi inclusivo del termine mimica.
Nel caso dellimitazione di una torta latto prodotto scientemente con il fine di produrre un oggetto il pi possibile alloggetto da imitare (la torta) - il che possibile anche in modo
indipendente dal singolo soggetto tramite processi produttivi
standardizzati - e con lo scopo di rassomigliare in modo pressoch indistinguibile alloggetto originale. Il caso pi significativo,
in tal senso, quello delle banconote false: il soggetto che opera
limitazione, in un certo senso non deve inserire nulla di proprio.
Nel caso della mimica loggetto prodotto, la smorfia, dipende
invece fortemente dal soggetto, poich la sua fisionomia, il suo
grado di attenzione ai particolari, la sua conoscenza, le sue abilit
svolgono un ruolo fondamentale. Tanto che se Lucia e una terza
amica imitano entrambe la torta di Elisabetta otterranno due oggetti, due torte, molto simili fra loro e molto simili alloriginale; viceversa, se Lucia e una sua amica mimano la smorfia di Elisabetta
otterranno due atti, le due smorfie, che probabilmente saranno
molto diverse fra loro. Per esempio, quando Elisabetta da bambina faceva finta di essere mimava - una trottola o una libellula
non si pu certo dire che imitava la trottola o la libellula, poich
non aveva alcuna consapevole accuratezza del meccanismo che
mette in moto una trottola o non era in grado di alzarsi davvero
da terra; semplicemente nel primo caso Elisabetta ruotava su se
stessa con le braccia divaricate fino a perdere lequilibrio e nel
secondo caso distendeva le braccia e le muoveva leggermente
su e gi con delicatezza.
Cosicch, se la loro terza amica vedendo le due torte pu essere tratta in inganno e valutare che siano state fatte dalla stessa
persona tanto sono identiche (un esempio sono anche gli oggetti di marchi famosi contraffatti, che vengono imitati avendo
come modello un originale indistinguibile dal falso); viceversa
quando la loro terza amica vede le loro due smorfie non valuta
affatto che si tratti della medesima smorfia e quando Elisabetta
mima la libellula, nessuno sano di mente pensa che ella sia effettivamente una libellula. Dal che si deduce che mentre limitazione pu essere ingannevole, la mimica non lo .

4. Limitazione fra psicologia e filosofia


Lo psicanalista Eugenio Gaddini il primo ad aver introdotto il
concetto di imitazione nella letteratura clinica7. Egli sostiene che
limitazione va ricondotta alla fase in cui il lattante, incorporando il cibo, struttura il prototipo somatico dellintrospezione dei
fantasmi e successivamente dellidentificazione propriamente
detta. La sua tesi tanto pi originale e innovativa in quanto contrasta fortemente con la teoria dellidentificazione proiettiva di
Melania Klein (1930), che considera la fase neonatale come priva
di influenze relazionali. Non quindi un caso che il discepolo di
Klein John Bowlby (1969), con il suo approccio sociobiologico,
abbia dovuto rifiutare la teoria dellidentificazione proiettiva per
sviluppare la tesi sugli stili di attaccamento, in modo da spostare
7. Studi sul tema erano stati condotti sin dalla fine del 1800 e avevano
visto il loro apice alle soglie degli anni Trenta del XX secolo, con il lavoro
di Paul Guillaume (1925) e di Jean Piaget (1925).

101

per questa via lattenzione dal singolo alla relazione8, circoscrivendo per lanalisi del processo imitativo alla sola infanzia.
Riguardo alla tendenza innata dellessere umano a imitare e
a conoscere il mondo attraverso la mimesi degli altri individui,
lantropologo Marcel Jousse (1974:79) lo studioso che propone
le riflessioni pi consonanti con ci che emerge dalla scoperta
del sistema specchio; egli avanza la nozione di mimismo, definendo con questo termine la tendenza dellessere umano a mimare nellambito dellinterazione sociale, e per lui limitazione
ascrivibile a un sistema innato connesso con lintenzionalit e la
gestualit e che si manifesta sin dalla nascita.
Ren Girard (1972) ha invece sostenuto che la facolt imitativa
la caratteristica che definisce la dimensione sociale, in quanto
essa rappresenterebbe la base sia dellintersoggettivit che della
societ stessa, e sarebbe la modalit permanente del funzionamento mentale e una prerogativa che si esplicherebbe lungo lintero arco della vita. La riflessione di Girard prende avvio dalla tesi
che nelle societ primitive le rivalit allinterno dei gruppi umani
generavano situazioni di violenza indifferenziata, che si propagavano per mimetismo9 e trovavano soluzione solo in una crisi sacrificale che causava lestromissione, perlopi con luccisione, di
una persona o di gruppi di persone, designate come responsabili
della violenza10. il meccanismo del capro espiatorio che risolverebbe la crisi, una crisi che i miti raccontano insieme ai suoi benefici effetti, distorcendone per la realt, dato che contengono
solo la versione della folla, la quale ritiene se stessa innocente e la
vittima colpevole. Lessere umano sarebbe caratterizzato, secondo Girard, dal valore imitativo delle percezioni come lo stesso
Freud aveva dapprima intuito e poi trascurato che lo conducono fino allimitazione vera e propria di un modello, che viene
copiato consapevolmente. Per Girard lapprendimento imitativo
sarebbe la condizione delladattamento culturale e alla base delle acquisizioni negli esseri umani e il rapporto sarebbe sempre
triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato. Egli sostiene
che limitazione di un modello, bench siano gli oggetti e non
i soggetti che regolano e determinano leffetto imitativo, crea
sentimenti di rivalit e invidia; sentimenti che danno cos vita a
un antimodello, a unimmagine speculare riflessa del soggetto.
La trasformazione da Dottor Jekyll a Mr Hyde sarebbe dovuta
quindi al fatto che limitazione (un meccanismo) non riguarda il
modello in quanto tale, ma il suo desiderio (uno stato mentale).
Secondo Girard noi imitiamo dagli altri, come in uno specchio,
i nostri desideri, le nostre opinioni, il nostro stile di vita e il contesto sociale-educativo sarebbe il responsabile nella definizione
dei desideri11, cio della molla dellimitazione, ma nel contempo
ne rappresenterebbe anche la fonte del conflitto intersoggettivo
e sociale. Secondo Girard la rivalit mimetica si svilupperebbe a
partire dai conflitti per lappropriazione degli oggetti, che in una
condizione di contagio mimetico, genererebbe la violenza generalizzata. Limitazione sarebbe cos un modo di essere con laltro,
la modalit che permeerebbe e genererebbe la totale trasformazione della vita, il che richiederebbe la partecipazione intensa e
libera della volont, base della nostra capacit di apprendimento
8. Si tratta di una teoria che ha subito interessanti rivisitazioni da parte di
Giovanni Liotti, ma che vedeva gi la luce in Spinoza, con le argomentazioni sullimitatio affectuum, cio sullautomaticit del processo imitativo,
e sullinfluenza della letteratura rinascimentale sulla vis imaginandi, cio
sulle propriet di trasmissione e contagio dellimmaginazione.
9. La rivalit mimetica, quale fondamento mitologico dei reali rapporti
umani, al centro anche delle elaborazione di Kroly Kernyi (1944).

. Lunica alternativa che Girard intravvede per far s che non si producano conflitti generalizzati, che prima i miti e poi la storia remota e
ancor pi quella recente hanno prodotto, il monito di Paolo di Tarso:
Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo (1Cor 11,1). Il conflitto
trova sempre una vittima sacrificale come fu il Cristo individuale o
sociale, come le vittime dei totalitarismi (ebrei, zingari, malati psichiatrici
e oppositori politici per il nazismo); la soluzione per Girard farsi martire
votivo.

. Richiama a suo sostegno una frase di Andr Gide, evocativa di un testo leopardiano, secondo il quale esistono persino le mode nella maniera
di soffrire.

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e luomo sarebbe ci che perch imita intensamente i suoi simili.


Il centro della riflessione di Girard lio e la facolt imitativa ha
una valenza morale, dove lambizione, la finalit, dellindividuo
imitare coloro che si ritengono individui felici; dal che imiteremmo le persone che stimiamo e rispettiamo, mentre rifuggiremmo
dal copiare le persone che disprezziamo, cio cercheremmo di
fare il contrario di ci che loro fanno e svilupperemmo opinioni
opposte. Nellottica di Girard la visione della felicit dellaltro susciterebbe in noi, perlopi inconsapevolmente, il desiderio di fare
come lui per ottenere la stessa felicit, o, ancora pi intensamente,
susciterebbe in noi il desiderio di essere come lui, generando un
contagio imitativo, per la fame bulimica delle menti altrui.
Quelle di Girard sono argomentazioni ben lontane dalle teorie evoluzionistiche e neoevoluzionistiche che sottendono la visione che dellimitazione emerge dalla concomitante interazione
fra sistema motorio e meccanismo specchio. In particolare, per
quanto riguarda questultimo, indubbio che il suo funzionamento non ha nulla a che vedere con lattribuzione di stati mentali, quale il desiderio.
Prima di Girard gi Gabriel Tarde (1890) aveva indicato nella
tendenza innata a imitare la condotta di altri individui il fondamento della societ, basando cos il discorso sociologico su presupposti psicologici. Per Tarde limportanza dellimitazione nelle
societ umane consiste nel fatto che essa costituisce un oggetto
oggettivo di conoscenza scientifica, poich la scienza trova il suo
fondamento nella descrizione delle uniformit, nella scoperta
delle ripetizioni e limitazione, essendo generatrice di costanze
disincentiverebbe i conflitti. Come si pu constatare una argomentazione opposta a quella avanzata da Girard.
Le tesi sociologiche di Tarde vengono confutate da mile
Durkheim (1895), il quale reputa sostanzialmente infondato il
modello di societ da lui configurato, perch atomistico e meccanico e giustificato unicamente dal contagio imitativo. Durkheim
non nega lesistenza di un processo imitativo ma lo considera
un fenomeno marginale e non un fenomeno sociale primario,
in quanto il gioco reciproco di imitazione, opposizione e adattamento conduce, a suo avviso, al caos pi che allordine sociale.
Un aspetto accomuna per le tesi di Tarde a quelle di
Durkheim, ed lidea che limitazione sia un processo che avviene con lintroduzione dellindividuo in un contesto sociale e sia
prettamente un processo riflessivo. Invece, quello che emerge
dalla descrizione del funzionamento del sistema specchio sottrae alla pura dimensione individuale, solipsistica, le tesi di Tarde
e dallaltro ne consente la ricongiunzione con la visione delloggettivit sociale portata avanti da Durkheim, superando a tutti
gli effetti anche la dicotomia cartesiana.
Anche Walter Benjamin (1933a; 1933b) sostiene sostanzialmente che la societ organizzata non tanto dalla legge quanto
dalla tendenza, per lo pi inconsapevole, allimitazione reciproca, alla similitudine degli atti e allanalogia delle riflessioni fra
campi diversi del sapere umano e alla traslazione di processi riflessivi da un ambito della vita a un altro. Egli ritiene, per, che il
processo imitativo svolga un ruolo assai meno significativo nel
tempo a lui contemporaneo che nel passato e mette in luce nelle
sue riflessioni il fatto che lanalisi dei processi imitativi sia stata
eccessivamente concentrata sul linguaggio verbale, e questa
concentrazione spiegherebbe il valore attribuito dal Platone socratico alloralit rispetto alla scrittura.

5. Perch, da quando e che cosa imitiamo


Letologo Frans de Waal (2001:173) sostiene che limitazione
non avviene per ricompensa ma per una sorta di conformismo;
sarebbe cio il risultato della necessit adattativa di appartenere
a un gruppo e di inserirsi ed essere accettato in esso. Legame,
identificazione e affiliazione sono le parole chiave che per questo
studioso giustificano il processo imitativo12.

. Anche Michael Tomasello (2003) sostiene che si imitano elementi che

102

Il nostro corpo con i suoi particolari (labbra, sopracciglia,


apertura degli occhi o delle narici, postura) uno specchio su cui
linterlocutore pu vedere ci che siamo, uno specchio della personalit su cui si inscrivono gli anni che passano, i dolori, le preoccupazioni, le ansie, le gioie e di conseguenza le rughe e i solchi
che si formano sul volto e che a causa della contrazione abituale
diventano, col passare del tempo, pi profondi e vistosi. I movimenti espressivi danno vivacit ed energia alle parole che pronunciamo; rivelano i pensieri e le intenzioni e sono un sistema
di comunicazione potente e universale e prevalentemente non
intenzionale. Il corpo, con la sua espressivit, il primo mezzo di
comunicazione fra la madre e il bambino: la madre sorride per
approvare oppure aggrotta le sopracciglia per esprimere perplessit o disapprovazione. Il corpo della madre esegue compiti,
prova emozioni e sensazioni, percepisce e parla.
Nella consuetudine limitazione perlopi relegata allambito
dellesecuzione di compiti e raramente associata alla strutturazione della capacit riflessiva; non si valuta come plausibile che si
imitino modi di ragionare, ma piuttosto si sottolinea il fatto che si
possano copiare i contenuti del ragionamento. Scarsa rilevanza
si in genere data anche al fatto che le emozioni si apprendano
per imitazione, sia per quanto riguarda la perizia nel riconoscimento della singola emozione (forma e intensit) sia per quanto concerne la capacit di espressione della stessa. Invece, cos
come si ha contagio linguistico - tanto che inconsapevolmente
imitiamo i termini che con maggiore frequenza vengono utilizzati dai contesti che frequentiamo compresi i media che utilizziamo per informarci o intrattenerci -, cos di ha contagio emotivo13.
Cos come le istruzioni fornite dagli istruttori o dalle istruttrici
vengono trasformate da vocaboli - singole parole o locuzioni - in
atti, cos allesposizione di emozioni altrui il nostro sistema motorio, coadiuvato dal sistema specchio, riflette e copia le emozione altrui e riceve e genera emozioni anche tramite il sistema
linguistico.
La psicobiologia infantile e la biologia evoluzionistica hanno
concentrato gli studi sullimitazione in relazione allapprendimento sia dei gesti che delle emozioni.
Nella letteratura connessa allo sviluppo dellindividuo limitazione indubbiamente un fenomeno riscontrato sin dai primi
momenti di vita, osservabile una volta usciti dal grembo materno, ed rinvenibile negli adulti. Noi copiamo e replichiamo e
per questo creiamo e quindi generiamo differenziazioni fra noi
e gli altri. Cosicch, limitazione che fonda lidentit personale non necessariamente uniformando e rappresenta essa
stessa la possibilit della differenziazione fra individui. Differenziazione che comincia proprio con la vita nellambiente uterino,
come mostrano molte ricerche di neuropsicologici infantili. Ricerche che sfatano anche due tesi antinomiche: in primo luogo
quella che, fino a una ventina di anni fa, riteneva che il cervello
del neonato fosse una tabula rasa, unargilla che sarebbe stata
plasmata dallesperienza; in secondo luogo, quella che riteneva
che per quanto riguarda la vita intrauterina fossero rilevanti i dati
ambientali (alimentazione della madre, vita emotiva e sociale dei
e fra i caregiver) e invece mettono in evidenza linterazione fra
sistema endocrino e sistema nervoso centrale.
Dopo lattenzione che Freud ha dedicato ai bambini, cambiando sostanzialmente la prospettiva con la quale si guardava
allinfanzia, stato necessario arrivare agli anni Settanta del XX
secolo, per produrre una conoscenza dello sviluppo del bambino senza precedenti, favorita secondo Daniel Stern - i cui studi
sullinterazione madre lattante rappresentano dal 1985 una pietra miliare per le teorie dello sviluppo evolutivo - da due cambianon fanno riferimento ad alcun vantaggio immediato, ed questo fattore che spiegherebbe il passaggio da una visione dove dominante nel
ruolo dellimitazione la dimensione sociale e non quella individuale,
per quanto le due dimensioni inesorabilmente interagiscano.
13. Se i neuroni di von Economo sono compromessi gli individui manifestano una indifferenza emotiva, una apatia, ovvero unassenza di motivazione a intraprendere atti (Allman et al., 2010; Seeley, 2010).

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menti sostanziali nei metodi sperimentali. Il primo cambiamento avvenuto in relazione al modo di formulare le domande:
chiedersi se il neonato odora, sente, vuole e pensa comporta
lindividuazione di un modo per domandarglielo. Il secondo
mutamento ha valorizzato il fatto che i bambini non sono solo
indaffarati nel dormire, mangiare, piangere, ma fin dalla nascita
durante la veglia hanno momenti di inattivit vigile, una condizione ideale per la ricerca sperimentale, poich il lattante non
attratto da attivit ben identificate.
Questo sguardo innovativo alla vita neonatale ha riorientato
lo stesso significato di imitazione, connotando limitazione come
scambio, come modalit costitutiva delle relazione fra individui,
nella direzione di come Helmuth Plener (1975) aveva indicato
con riferimento alla mimica. Diventa lapalissiano che in prima
istanza la finalit dellabilit imitativa sia comunicare per rispondere a un gesto comunicativo e viceversa.
Per lo psicologo Andrew Meltzoff (2009) la capacit emulativa
riscontrabile alla nascita (da lui registrata dopo 42 minuti dal
parto), ma le ecografie relative alla vita intrauterina consentono di osservare che quando il feto porta il dito alla bocca quasi
sempre si attivano anche movimenti anticipatori della bocca, che
non si verificano mai quando il feto porta le mani sul viso; il che
porterebbe a dire che si attivano assai precocemente le catene
motorie che portano a gesti imitativi complessi, a dimostrazione
che la mente umana predisposta a incontrare gli altri virtuali
ancora prima di incontrare gli altri reali.
Un compito fondamentale nel processo imitativo svolto sin
da subito dagli oggetti. La relazione con gli oggetti, ovviamente
considerati dai neonati un gioco, come gi argomentavano il filosofo Benjamin e lantropologo Jousse, rappresentano un divertimento, un modo di scoprire e di verificare le proprie abilit, il che
contribuisce a sviluppare quel senso di agentivit che il lattante
ha gi esperito nellinterazione fisica con ladulto; e proprio questo consolidamento del senso di agentivit, unito allesperienza
di attenzionalit condivisa su certi oggetti, sembra assecondare
la comparsa di una primigenia consapevolezza della relazione fra
latto delle persone e gli oggetti; si attiverebbe cos un importante
precursore della capacit di comprendere laltro come agente che
ha delle intenzioni rispetto agli oggetti che non ne hanno. Cosicch
limitazione nei neonati si presenta come una modalit di abbinamento a un obiettivo, il cui discrimine la percezione del possesso
o meno che gli oggetti hanno di un sistema motorio (Turri, 2011).
Tesi enattive e teleologiche sullimitazione sono state avanzate da molti studiosi14 e fra questi Colwyn Trevarthen (2001), le
cui riflessioni sono coerenti con la teoria dellattaccamento e che
lo vedono sostenitore di una teoria innatista dellintersoggettivit, che mette in luce il ruolo delle emozioni come regolatore del
contatto mentale. Trevarthen utilizza sia i lavori di Meltzoff sullimitazione, sia la teoria dellaltro virtuale del filosofo Stein Brten
(1988a, 1988b, 1989, 2004) che ha ipotizzato sin dalla met degli
anni Ottanta che la mente umana sia di per s dialogica, tanto
che per questo filosofo la stessa percezione comporterebbe la
presenza reale o virtuale di un altro, ed questa realt, o virtualit, che consentirebbe la percezione dei propri movimenti.
indubbio che le emozioni si comunichino fra soggetti e
svolgano funzioni cardine15: dirigono la cognizione e generano
valutazioni essendo esse stesse una modalit espressiva delle
valutazione e rappresentano lorganizzazione adattativa innata,
creano la possibilit della cooperazione e favoriscono lacquisizione del bagaglio educativo, sociale e culturale, approssimano
o definiscono le dinamiche morali (Turri, 2012)16.

. Fra I tanti mi sembra rilevante ricordare Louis Sander, Esther Thelen,
Linda Smith, Edward Tronick, Beatrice Beebe, Alan Fogel, Daniel Stern,
Kenneth Keye e Frank Lachmann.

. Proteggono lintegrit vitale, guidano la percezione e lapprendimento
attraverso la valutazione precognitiva delle situazioni composte da
oggetti e soggetti, promuovono e sviluppano linterazione con i comportamenti e le motivazioni di altri soggetti nellambiente di riferimento e
nel mondo.
16. Per Darwin la mimica ha negli atti volontari la sua genesi bio-etologi-

103

Anche le sensazioni svolgono un ruolo centrale nel processo di rispecchiamento imitativo e quindi rappresentano uno dei
contenuti dellintersoggettivit, tanto che gli esperimenti mostrano che i muscoli di uno spettatore che guarda unaltra persona a cui viene inflitto un dolore in un punto specifico di un arto
si rilassano e si bloccano nelle identiche parti in cui viene inflitto
dolore allaltro (Avanzati et al., 2005) . In altre parole si verificano
reazioni imitative basate sulle caratteristiche sensoriali del dolore provato dallaltra persona a carico delle stesse aree del corpo
di chi osserva.

6. Imitazione e responsabilit
Lapprendimento per imitazione - esistono altre modalit di
apprendimento - ha luogo prevalentemente in presenza di un
elemento di novit, sorpresa o violazione delle aspettative, sia
esso un ragionamento logico, un gesto o unemozione. Per imitare necessario che gli obiettivi stessi siano familiari o siano
identificabili e quindi si tratta per lo pi di imitazione di processi,
anche se limitazione include sia il processo imitativo sia ogni singolo atto, e allinterno degli atti include sia limitazione di oggetti
sia la mimica dei soggetti. Il procedimento descritto non coinvolge unicamente lapprendimento per imitazione dei gesti ma
anche labilit nel campo emotivo, visto che il sistema specchio
presidia gli atti, presidia tutte le tipologie di atti: esecuzioni di
compiti, emozioni, linguaggio, pensiero. Infatti si imitano gesti,
compiti ed esecuzione di compiti, ragionamenti e forme di ragionamento, fonologia, sintassi e semantica, emozioni, reazioni, stili
di comportamento.
Le ricerche hanno mostrato che quando percepiamo un nostro simile eseguire un compito o provare una certa emozione o
sensazione si attivano nel nostro cervello gli stessi neuroni che
entrano in funzione quando siamo noi stessi a compiere quel
gesto, a provare quella emozione o sensazione, rivelando cos
che noi siamo il risultato delle nostre relazioni, involontarie e
volontarie e queste sono immediatamente condivise. Visto che riproducendo azioni, emozioni e sensazioni degli altri nella nostra
mente, esse vengono riprodotte-imitate al nostro interno, anche
e soprattutto quando non lo sappiamo. Imitiamo costantemente
qualcuno, sia esso reale o immaginario. Limitazione reciproca
di fatto un atto comunicativo per lo pi inconsapevole, una sincronizzazione dei corpi, dei singoli movimenti, che suscita senso
di intimit e gradimento, per lo pi inconsapevolmente, nella
persona imitata.
La gran parte del mio tempo la passo in contesti diversi dai
tuoi e i miei circuiti cerebrali e con questi il mio corpo si attivano
su sollecitazione di fattori differenti dai tuoi, cosicch sin da bambini, al pari di alcuni uccelli canterini, non ci limitiamo a imitare
ma innoviamo, tanto che lo stile che fa la differenza. La soggettivit umana, il cui epifenomeno lo stile individuale, scopre se
stessa come quel certo corpo, quelle emozioni, quei sentimenti,
quei pensieri, quellesecuzione di compiti, quel linguaggio che ,
soltanto attraverso la relazione con laltro, ma proprio per questo
essa un processo e quindi soggetta a modifiche nel tempo.
Se la socialit un fatto costitutivo, inscritto nel nostro corpo,
ci implica di per s la responsabilit verso se stessi e verso gli
altri, che esercitiamo al di l delle nostre intenzioni consapevoli,
la cui dimensione si amplia perch qualunque cosa noi facciamo
o proviamo trova una cassa di risonanza nel nostro sistema motorio e nel sistema nervoso centrale e la medesima cosa avviene
per laltro; ed per questa via che le persone, i libri e i film con
i quali decidiamo di passare il nostro tempo producono quello
che siamo, poich sono questi gli oggetti con i quali facciamo
esperienza (Turri, 2011). come se allinterno di vincoli biologici
e ambientali la fisionomia naturale, fosse costituita dalla reciproca. Theodor Piderit (1919) va oltre e sostiene che i movimenti muscolari
mimici determinati dagli stati danimo non si riferiscono unicamente a
soggetti o eventi allo stato presente reale, ma fanno riferimento in parte
anche a oggetti immaginari.

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cit degli sguardi e dove lidentit individuale venisse definita


da colui che guarda-colui che guardato e viceversa, costituendo
per questa via fisionomia e patognomica di ciascuno di noi.
Lorganizzazione funzionale del sistema motorio intorno allobiettivo dellatto spiega la genesi dellelasticit dei meccanismi
di apprendimento, la notevole potenzialit in direzioni spesso
opposte che il sistema imitativo produce e la corrispondente responsabilit nel modo in cui trascorriamo il nostro tempo,
con chi e facendo che cosa e con quali pensieri conviviamo, cos
come la responsabilit di chi ha dato vita a processi educativi sociali e culturali che ci hanno visti coinvolti. Una maggiore esposizione a uno stimolo, la sua ripetizione, ha un impatto differente
sulla modulazione del cervello, poich lesposizione a stimoli differenti comporta modifiche interne, prima cerebrali e poi comportamentali nellinterazione sociale. Pi lesperienza motoria
ricca, nel senso ampio di unesperienza variegata e articolata sul
piano pratico, emotivo, intellettivo e sensitivo, tanto pi i circuiti
neuronali possono essere ricchi di intrecci e ramificazioni. Con chi
e il modo in cui entriamo in contatto con gli altri assume cos una
rilevanza degna di nota, proprio per la plasticit descritta e ci
fa s che lencefalo muti a seconda di ci che facciamo, di quali compiti eseguiamo, di cosa guardiamo, di cosa tocchiamo, di
chi frequentiamo, di come ci emozioniamo, di cosa pensiamo, di
cosa immaginiamo e come riflettiamo.
La rivelazione del sistema specchio e gli studi sulle plasticit
cerebrali e allepigenetica hanno fornito un nuovo paradigma
che non riconducibile a riduzionismi genetico-biologici o educativi, sociali e culturali del funzionamento della mente umana
dal quale partire per ridisegnare la responsabilit delle relazioni
fra persone: un paradigma che non potr mai dare conto in via
definitiva di quello che la singola persona, poich essa sempre altro da quello che era un istante prima. Un paradigma che
non fornisce certezze meccaniche, ma unicamente il bozzetto
del funzionamento, il cui quadro invece definito dal processo
evolutivo dellindividuo, un quadro mobile, in cui mutano costantemente sia le componenti del processo evolutivo che il prodotto finale, lindividuo.
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Preghiere per una nazione malata. Le basi morali


delle metafore di Silvio Berlusconi1
Elisabeth Wehling - elisabethwehling@berkeley.edu
Department of Linguistics, University of California, Berkeley

Abstract

Silvio Berlusconis public discourse is jam-packed with potent conceptual metaphors (CMT: Lakoff & Johnson, 1980); such metaphors
are known to have a strong impact on unconscious decision-making, especially when they relate to political morality. This article discusses the structure and the (conservative) moral bases of two of Berlusconis metaphors: The framing of his political leadership as
divine and his social and political opposition as a fatal disease.
Keywords
Berlusconi, metaphors, Conceptual Metaphor Theory.

Introduzione
Iniziamo con questa prima metafora: Sono lunto del signore,
c qualcosa di divino nellessere scelto dalla gente1, pronunciata
da Silvio Berlusconi il 25 novembre 1994. Parlava agli italiani del
suo primo mandato da Primo Ministro. Diciassette anni pi tardi
al suo quarto mandato il suo partito, Popolo delle Libert,
viene sconfitto dalla sinistra alle amministrative di maggio con
le sorprendenti vittorie di Milano e Napoli. Rivolto ai cittadini
dice: Vi pentirete [] pregate il buon Dio che non vi succeda nulla di male [] ora che gli altri hanno vinto.2 Sono passati circa
ventanni ma le metafore che usa il Presidente del Consiglio sono
sempre le stesse. Proprio lui, Silvio Berlusconi, stato scelto dal
Signore per guidare il popolo italiano. Lopposizione quindi il
contrario di Dio: il male. Chi ha permesso che il male vincesse
ha voltato le spalle a Dio, motivo per cui verr da Lui punito: pregate il buon Dio che non vi succeda nulla di male.
Proseguiamo ora con una seconda metafora: Il sistema giudiziario un cancro che non pu pi essere tollerato a lungo, deve
essere estirpato, pronunciata da Berlusconi il 9 marzo 2003. Dalla
prima volta in cui sceso in campo, per usare unaltra sua nota
espressione metaforica, si instancabilmente prodigato per una
legge che garantisse limmunit alle quattro pi alte cariche dello stato, tra cui la sua. Alla fine stato in grado di beneficiare di
ben tre immunit3 per se stesso. Nel gennaio 2011 - dopo che la
Corte Costituzionale ebbe dichiarato incostituzionale il legittimo
impedimento il Primo Ministro, a Berlino, fece questa dichiarazione alla stampa: Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra Democrazia la presenza di un ordine giudiziario che si trasformato in un potere giudiziario [].4 Nel corso
degli anni Berlusconi sempre rimasto fedele alla sua metafora:
il sistema giudiziario, in particolare i giudici, a suo dire ideologizzati e politicizzati dalla sinistra, sono i sintomi di una patologia,
di una malattia letale capitata allItalia: il cancro. I giudici e i pm
ideologizzati sono una metastasi della nostra democrazia.5
1. http://www.repubblica.it/2003/k/rubriche/cartacanta/28ago/28ago.
html [28/07/2011]
2. http://www.corriere.it/politica/speciali/2011/elezioni-amministrativeballottaggi/notizie/30_maggio_pdl_commenti_9326e2b0-8ad7-11e093d0-5db6d859c804.shtml. [28/07/2011]
3. Il caso Mills, il processo per la compravendita dei diritti televisivi e quello per diffamazione aggravata dalluso del mezzo televisivo (cooperative
rosse e camorra). [NdT]
4. http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Berlusconi-Nessunpericolo-per-il-governo-da-decisione-Consulta_311529923226.html
[28/07/2011]
5. http://www.corriere.it/politica/08_giugno_25/berlusconi_confeser-

Silvio Berlusconi utilizza dunque queste due potenti metafore per strutturare6 la sua leadership politica e, come vedremo,
anche quella dellopposizione. Ci chiediamo: le sue scelte linguistiche sono consapevoli? Pu un qualsiasi politico, di destra
o di sinistra, utilizzare le stesse metafore per guadagnare consensi? Non del tutto. Dietro queste si nascondono infatti i valori del conservatorismo di destra, rappresentati dalle dicotomie
bene - male e ci che giusto - ci che sbagliato. Entrambe le metafore hanno profonde radici in una visione del mondo
conservatrice e il loro uso coerente da parte del Primo Ministro
produce conseguenze importanti: esse evocano, nelle menti di
chi le ascolta, nozioni di moralit che, a loro volta, ne influenzano
il comportamento politico (per una revisione: Wehling, 2011).
Diamo uno sguardo ad alcuni dati di fatto.

1. Perch il Liberalismo e il Conservatorismo sono cos


distanti: gli effetti di framing delle metafore
Gran parte del nostro pensiero quotidiano governato da
metafore concettuali (Lakoff e Johnson, 1980). Si consideri la
metafora LA SOMIGLIANZA PROSSIMITA che nasce dal fatto
che oggetti simili tra di loro sono spesso anche fisicamente vicini lun laltro. Come un bambino, ad esempio, impariamo che
i nostri giocattoli devono stare al loro posto, in una scatola, e i
libri sulle mensole. A livello linguistico notiamo questa metafora in frasi come questo vestito si avvicina abbastanza a ci che
stavo cercando o il liberalismo e il conservatorismo sono cos
distanti. La metafora struttura il nostro linguaggio, ragionamento e la nostra presa di decisione. Studi sperimentali che hanno
testato i suoi effetti mostrano che le persone categorizzano concetti astratti come pi simili tra di loro quando vengono presentati vicini nello spazio fisico (Casasanto, 2008)7. Il nostro cervello,
basandosi sulle mappature metaforiche apprese nel corso della
vita, computa in questo modo: pi vicini nello spazio, pi simili. Questo un dato di fatto del nostro cervello, una verit che
presiede il nostro quotidiano modo di ragionare. E una verit
metaforica.
Le metafore vengono evocate tramite il linguaggio, quindi
centi_a63176fa-429f-11dd-94ab-00144f02aabc.shtml [28/07/2011]
6. Con strutturare si traduce il verbo inglese to frame, termine chiave
per le scienze cognitive e informatiche. Altri sinonimi utilizzati in questo
contesto: far da cornice, formare. Frame e Framing (struttura, cornice
ecc.) verranno invece lasciati in inglese poich ormai consolidati in letteratura scientifica internazionale. [NdT]
7. Per input visuali, ad esempio oggetti concreti, leffetto lopposto, probabilmente dovuto al fatto che le differenze visibili spiccano in modo pi
forte quando gli oggetti sono vicini luno allaltro (Casasanto, 2008).

1. Traduzione di Gabriele Cerioli. Tit. orig. Praying for a sick nation. Silvio Berlusconis metaphors and their moral bases

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quelle che i politici utilizzano nel dibattito pubblico influenzano


notevolmente le decisioni dellelettorato. Se Berlusconi parla di
divinit e malattia, il nostro cervello evoca un frame di riferimento in cui ci che detto, ad esempio in un dibattito pubblico,
viene interpretato nei termini di divinit e malattia. Questo processo si chiama framing metaforico.
Tuttavia le persone non si accorgono quasi mai quando
prendono decisioni grazie al condizionamento di una metafora
(Thibodeaux e Boroditsky, 2011): quando per esempio alcuni
leggono un testo basato su termini che attivano il framing del
crimine come una bestia selvaggia, risultano favorevoli ad una
severa politica di intervento anti-crimine, rispetto invece a coloro
che leggono lo stesso testo ma basato su unaltra metafora. La
ragione piuttosto semplice: non appena viene attivata la metafora IL CRIMINE UNA BESTIA, la mente trasferisce interi settori
di conoscenza dal dominio concettuale della bestia a quello del
crimine, tramite un processo noto come mappatura metaforica
(Lakoff e Johnson, 1980). Durante questo processo cognitivo, le
strutture inferenziali di dominio vengono mantenute e gli attributi relativi alle bestie vengono mappati in quelli del crimine.
Ad esempio, nellesperimento appena citato (Thibodeau e Boroditsky, 2011), le persone suggerivano che i criminali avrebbero
dovuto essere braccati e messi in gabbia, effetto questo del framing metaforico. Ai partecipanti, dopo aver espresso la propria
opinione sul da farsi, venne domandato su cosa ritenessero fosse basata. E emerso un dato interessante: nessuno ha in alcun
modo considerato la metafora come un fattore determinante nel
proprio processo di decision-making. Tutti invece hanno fatto
riferimento alle statistiche e ai fatti forniti nel testo.

2. A qualcuno piace la purezza: le radici e la struttura


delle metafore morali
Le metafore concettuali nel discorso politico sortiscono effetti particolarmente forti quando evocano le attitudini morali
delle persone, quali le ideologie. Differenti punti di vista sulla
moralit, come quelli rispettivi del liberalismo e del conservatorismo, poggiano su differenti valori centrali, tanti quanti sono le
metafore concettuali che li incarnano (Lakoff, 1996). Ad esempio
lauto-disciplina morale un valore centrale per i conservatori,
un attributo che ritengono altamente morale e che vogliono
promuovere (ad esempio riflesso in un mercato altamente competitivo) (Lakoff, 1996). Lauto-disciplina legata concettualmente alla nozione di purezza: chi puro ha un alto grado di autodisciplina e rispetta le regole (auto-indulgente) che vietano atti
impuri come i rapporti sessuali prima del matrimonio, definiti
impuri a causa di severe e rigorose interpretazioni religiose. A
volte, addirittura, ritengono impure cose banali come un cortile
trasandato che fa chiacchierare i vicini. I conservatori hanno una
predilezione per la purezza (Lakoff, 1996; 2009; Jost et al., 2009;
Graham et al., 2009). La focalizzazione sullauto-disciplina non
lunico motivo per questa attitudine, ma di certo uno di quelli
pi fondamentali.
Vediamo ora come la purezza si presenti in due forme. C una
purezza in senso letterale: dopo aver lavorato tutto il giorno in
un cantiere le mani sono sporche, impure, devono quindi essere
lavate prima di mettersi a cena, C poi una purezza metaforica:
tradire la propria moglie rende un uomo uno sporco bastardo,
intraprendere atti criminali porta la persona ad una irreversibile
perdita di coscienza pulita. Tramite la metafora LA MORALITA
PUREZZA si pu vedere come la mappatura metaforica permetta uninferenza - in una sorta di passaggio tra frame - con forti
conseguenze. Ad esempio le persone che ricordano di aver commesso un comportamento immorale - ad esempio imbrogliare in
un test - e successivamente si lavano le mani, provano un minor
senso di coscienza sporca rispetto a quelle che invece non hanno avuto la possibilit di lavarsele (Zhong et al., 2006). La purificazione del corpo ha effetti diretti sul nostro modo di pensare ci
che buono e ci che cattivo: pi siamo puliti fuori, pi siamo

107

morali dentro.
Come molte metafore concettuali anche LA MORALITA PUREZZA deriva dalla nostra esperienza quotidiana che accumuliamo crescendo. Ogni volta che facciamo esperienza di due cose
insieme, il nostro cervello rafforza le connessioni neurali che le
associano e, passato del tempo, lassociazione diventa automatica. Riprendiamo la metafora LA SOMIGLIANZA PROSSIMITA:
cose simili stanno spesso vicine fisicamente le une alle altre. Vediamo questa correlazione nel mondo sempre pi spesso. Alla
fine la nostra mente decide: LA SOMIGLIANZA PROSSIMITA.
La metafora LA MORALITA

PUREZZA deriva inoltre da una correlazione tra purezza e benessere. Ognuno impara che mangiare
cibo avariato provoca malattie e quindi fa male. Bere acqua torbida da un ruscello in un bosco causa mal di stomaco, mentre
bere acqua pulita dal rubinetto fa bene ed quindi una cosa
buona. Benessere e moralit sono concettualmente connesse in
tal modo, cos noi impariamo e utilizziamo regolarmente questa
metafora (Lakoff, 1996). Comunque, mentre i conservatori enfatizzano fortemente questa metafora nel loro discorso sociale e
politico, essa non occupa un simile posto, altrettanto fondamentale, nel pensiero liberale.8 Perch i conservatori si focalizzano
maggiormente sulla purezza rispetto ai liberali? Perch, come
spiegato pi sopra, questo concetto si collega alla preferenza accordata dai conservatori allauto-disciplina e allobbedienza alle
regole.
A volte la nozione di purezza si fonde con quella di contaminazione allinterno di un unico frame concettuale: la metafora LA
MORALITA PUREZZA si lega a L IMMORALITA UNA MALATTIA
CONTAGIOSA. Ecco come lavora la base esperienziale tra le due
metafore.
Dunque il concetto di moralit si connette con quello di benessere: stare bene una cosa buona, ovvero morale. Come un
bambino, se non ci assicuriamo di rimanere puliti, ci ammaliamo
e stiamo male. A volte fare questo semplice: non mangiamo
cibo avariato cos non ci viene il mal di pancia. Laviamo

la sporcizia dalla nostra pelle perch non inizi a pruderci. Cos impariamo: LA MORALITA PUREZZA. Altre volte invece le cose sono un
po pi complesse e questo quanto capita con la metafora L
IMMORALITA

UNA MALATTIA CONTAGIOSA: le malattie contagiose, come linfluenza e la varicella, ci fanno star male quando
le prendiamo. Per evitare di contrarle possiamo fare due cose:
una tenerci molto puliti, per esempio lavarci spesso le mani.
Linferenza metaforica e morale che ne deriva : Meglio stiamo,
meno saremo infettati dallimmoralit degli altri. Laltra stare a
debita distanza da chi ammalato finch guarisce, come nellesempio dei genitori che tengono a casa dallasilo i propri figli malati di varicella fino a che il pericolo di contagio non sia cessato9.
In questo secondo caso linferenza : per non infettare gli altri
con la loro immoralit, i cattivi devono tenersi a debita distanza
dai buoni.
Quali sono gli effetti politici di queste due metafore morali?
Che inferenze si possono trarre da esse? LA MORALITA

PUREZZA permette di inferire una politica di promozione dellastinenza dai rapporti sessuali. LIMMORALITA UNA MALATTIA
CONTAGIOSA permette invece di inferire atteggiamenti a favore
dellimprigionamento dei criminali per contenere la diffusione
della criminalit e posizioni contro ladozione tra coppie gay:
lomosessualit, spesso interpretata come un vizio immorale o
una malattia, potrebbe contaminare i bambini. Si pu vedere un
ulteriore effetto framing di questa metafora nelle politiche antiimmigrazione (Landau et al., 2009).
Entrambe le metafore pervadono il discorso pubblico conservatore. Si pensi a questa considerazione dellora ex arcivescovo
di Milano Dionigi Tettamanzi, pronunciata lo scorso anno in occasione della celebrazione di un santo: LItalia di oggi malata
come lo era Milano ai tempi di San Carlo e della peste. [] Lim8. Anche a sinistra pu esprimersi la metafora della purezza ma in tuttaltri ambiti rispetto alla destra, ad esempio laria pulita e lambiente pulito.
9. Per un approfondimento di queste metafore e della loro relazione con
il pensiero politico liberale e conservatore, si veda Wehling (in revisione).

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moralit dilagante, a tutti i livelli della societ. []10

3. Le decisioni politiche sono questione di purezza:


metafore morali ed effetti di framing
LA MORALITA

PUREZZA e la metafora complementare LIMMORALITA

UNA MALATTIA CONTAGIOSA sono centrali nel sistema di credenze del conservatorismo (Lakoff, 1996). Possiamo
quindi aspettarci due comportamenti quando queste si esprimono nel discorso pubblico: primo, dalle persone estremamente
conservatrici, come la base dei partiti conservatori, una pi forte
reazione alle metafore. Il loro quotidiano modo di ragionare fa
affidamento molto pi pesantemente ad esse rispetto a quelle
dei liberali. Secondo, dalle persone politicamente posizionate
al centro, disposte ad appoggiare entrambe le visioni del mondo, di destra e di sinistra (i cosiddetti biconcettuali: Lakoff, 1996;
2008), ci si aspetta che si spostino a destra quando sono esposte
alle metafore centrali del conservatorismo, perch queste evocano una morale conservatrice.
In letteratura si trovano evidenze per entrambi i fenomeni.
Sul primo, uno studio recente mostra che i conservatori reagiscono pi intensamente alle attivazioni concettuali della
purezza, rispetto ai liberali (Feinberg e Willer, in preparazione): i
partecipanti sono stati invitati a leggere testi differenti sul riscaldamento globale. Un testo era impostato nel frame della purezza, cio con concetti quali laria inquinata e ci sta contaminando. Laltro era invece centrato sulla protezione dellambiente dai
danni. Chi si dichiarato liberale si dimostrato favorevole ad
una politica ambientalista, indipendentemente dal tipo di testo
a cui era stato sottoposto. Chi invece si dichiarato conservatore
risultato pi preoccupato per lambiente e per una politica ambientalista solo dopo aver letto il testo strutturato con i concetti
di purezza e contaminazione.
Sul secondo, vediamo come le persone si spostano a destra
quando vengono attivate dalla metafora della contaminazione
(Landau et al., 2009). Quando sono portate a pensare a malattie
contagiose e, simultaneamente, alla propria nazione nei termini
di un essere umano (questa metafora molto comune, si pensi alle espressioni nascita e morte di una nazione), le persone
manifestano posizioni estreme anti-immigrazione che, come
noto, sono ben radicate nella cultura conservatrice di destra.
Si noti inoltre la complessit del processo di framing metaforico: attivare la metafora LA NAZIONE UNA PERSONA insieme
ad uno stato di allerta che riguarda malattie contagiose, porta
a esprimere pensieri e comportamenti molto pi estremi. I partecipanti allesperimento che invece non erano stati attivati da
questa metafora, prendevano posizioni meno forti nei confronti
dellimmigrazione.11
Dopo aver mostrato limportanza e limpatto che il framing
metaforico ha sulle menti, torniamo ora alle due metafore usate
da Silvio Berlusconi.

4. La morale religiosa: una narrativa di ordine morale,


autorit assoluta e obbedienza
Iniziamo con la dichiarazione del Cavaliere al suo primo mandato del 1994 Sono lunto del signore12,13. Queste sue parole
attivano lidea di una gerarchia morale naturale, che una metafora molto comune nel sistema di pensiero conservatore (metafora dellordine morale: Lakoff, 1996). Essa implica, accanto ad altri
10. http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/11/04/news/tettamanzi_c_
un_immoralit_dilagante_l_italia_come_milano_ai_tempi_della_peste-8730729/ [28/07/2011]
11. Per studi approfonditi sulle metafore della purezza: Wehling, in revisione.
12. Cfr nota 2.
13. Per maggiori dati e analisi: Di Pietro e Wehling, in stampa.

108

concetti: Dio per definizione unindiscutibile autorit morale


al di sopra delluomo sta sul gradino pi alto della gerarchia
morale.
Si pu cos inferire: egli non stato eletto Presidente del Consiglio dal popolo ma stato designato tale da unautorit che sta
al di sopra degli uomini, Dio. Con questa metafora Berlusconi
rende obsoleti i concetti, di stampo sia conservatore che liberale,
di ci che giusto e sbagliato, perch Dio al di sopra di entrambe le posizioni e ne sa di pi.
Dubitare di Berlusconi vorrebbe quindi dire dubitare di Dio.
E proprio una metafora estremamente potente se si considera
che in Italia la maggior parte delle persone si dichiara cattolica.
Questo frame ci pu dire anche qualcosa sullopposizione sociale e politica mossa dalla sinistra nei confronti di Berlusconi?
Possiamo rispondere affermativamente perch, seguendo la metafora, attaccare Berlusconi vuol dire attaccare Dio. Lopposizione
politica a Berlusconi lopposizione a Dio stesso.
Il Presidente del Consiglio incrementa lidea del suo status
privilegiato, grazie al framing che lo pone sotto lala protettrice di un potere sovrannaturale. Come noto, il 13 dicembre 2009
Berlusconi viene ferito in piazza Duomo a Milano dal lancio di
una statuetta di ferro in pieno viso. Il giorno seguente, dal suo
letto di ospedale, pronuncia queste parole: Sono miracolato14.
Il messaggio agli italiani chiaro e limpido: Dio ha una mano
protettiva su Berlusconi, luomo scelto, lunto del Signore, e gli ha
risparmiato la vita affinch continui la sua missione politica, che
una missione divina.
Si noti anche questaltra inferenza dal framing metaforico religioso: non serve che Dio approvi esplicitamente loperato di Berlusconi perch potrebbe togliergli la carica con la stessa facilit
con cui glielha data. Quindi, quanto pi egli resta Primo Ministro,
tanto pi sta conducendo un ottimo lavoro agli occhi di Dio.
Si consideri ora il detto le vie del Signore sono infinite. Seguendo sempre il processo di inferenza che stiamo qui evidenziando,
si deduce che non necessario che tutti gli italiani capiscano
le decisioni del Primo Ministro, anche se queste possono sembrare sbagliate o addirittura folli; come pu infatti un comune
mortale conoscere a fondo i dettagli di un piano divino? Tale
inferenza importante perch contraddice direttamente il concetto di responsabilit politica incondizionata: il sapere e lautorit assoluti di Dio non possono essere messi in discussione.
Un concetto questo che si collega direttamente ai valori centrali
conservatori dellautorit assoluta e dellobbedienza (Lakoff,
1996). Lidea di una siffatta autorit assoluta si materializza, ad
esempio, nel celebre inno dellallorapartito di Forza Italia: Forza
Italia tempo di credere [...]. Forza Italia [...] ad una gente che rinasce con noi e cos via. I seguaci di Forza Italia sono credenti,
non sono solo membri di un partito o sostenitori politici. Credere
in senso religioso significa anche seguirela paroladi unautorit
divina e dei suoi portavoce, anche senza un effettivo riscontro
di quanto viene detto (addirittura credere anche quando vero
il contrario) e senza essere a conoscenza degli scopi di un pi
ampio progetto divino. Questo framing si poi rafforzato quando Berlusconi, il 4 aprile 1995, rivolto allabase del suo partito, ha
pronunciato queste parole: Voi dovete diventare dei missionari,
anzi degli apostoli, vi spiegher il Vangelo di Forza Italia, il Vangelo secondo Silvio.15 I termini missionari e apostoli si possono
mettere in relazione anche ad un altro valore centrale del conservatorismo: la promozione di una moralit di gruppo che sia in
grado di difendersi da altre moralit che, per default, secondo il
sistema concettuale conservatore, sono percepite come immorali (Lakoff, 1996).
Che altro si pu aggiungere? Le autorit assolute non solo definiscono le regole, ma fanno s che esse vengano interpretate
tramite un sistema di riconoscimenti e punizioni. Questultima
inferenza si mostra nella sua chiarezza pi cristallina nella reazione di Berlusconi alla sconfitta elettorale a Napoli e Milano dello
14. http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/articolo468512.shtml
[28/07/2011]
15. Il messaggero 04/04/1995

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scorso maggio 2011: Vi pentirete [] pregate il buon Dio che


non vi succeda nulla di male [] ora che gli altri hanno vinto.16
Tramite la metafora della sua leadership come derivazione
divina, Berlusconi propone una narrativa fatta di ordine morale,
autorit assoluta ed altrettanta obbedienza.
Se gettiamo uno sguardo dallaltra parte dellOceano Atlantico, vediamo che il concetto di leadership politica divina non
rara tra i conservatori. Si consideri questo passaggio di unintervista fatta a George W. Bush nella stanza ovale nel 2007:
Int: Ma signor presidente, con tutto il rispetto dovuto, non cos che funziona la democrazia. In America si d per scontato che chi viene eletto
debba seguire la legge e obbedire alla Costituzione. Bush: Forse vale per
i presidenti che mi hanno preceduto, ma non per me. Int: E perch mai?
Bush: Perch, a differenza di tutti gli altri, io sono stato scelto da Dio.17

5. Limmoralit una malattia: una narrativa di


contaminazione e morte della morale
Diamo ora uno sguardo al secondo tipo di narrativa morale
usata da Silvio Berlusconi. Nel 2003, anno in cui inizi a combattere per la sua immunit politica, in occasione del lodo MaccanicoSchifani, pronunci queste parole nei confronti della magistratura: [] esigenza che riguarda non solo questo momento storico,
ma la vita della normale democrazia. [...] Questo un cancro che
non si pu pi tollerare, che deve essere estirpato, altrimenti non
diventeremo mai una vera e compiuta democrazia.18 E chiaro
qui limpiego della metafora di una malattia letale: il cancro.
Vediamo quindi come il suo discorso evochi le due metafore
care al conservatorismo che abbiamo precedentemente preso in
esame: LA MORALITA

PUREZZA e L IMMORALITA

UNA MALATTIA CONTAGIOSA.


Possiamo poi aggiungere che il Cavaliere usa un frame che
consente linferenza di una minaccia fatale: la questione della
magistratura ideologizzata riguarda la vita della normale democrazia. In questo modo egli sta comunicando che la malattia
in fase terminale, che quindi le parti del corpo infette devono
essere rimosse e che non ci sono cure alternative. LItalia, si inferisce, vicina alla morte. Questo un potente effetto di framing
che segue al discorso della destra italiana. Studi sperimentali
ci dicono che quando si ricorda alle persone di essere mortali,
queste tendono a spostare a destra le proprie opinioni politiche
(Pyszczynski et al., 1999, per una revisione; Landau et al., 2004).
Silvio Berlusconi

rimasto fedele alla metafora del cancro negli anni seguenti, e se ne serve ogniqualvolta la legge sullimmunit viene discussa nel dibattito pubblico. Nel 2006, quando la
sua prima legge venne dichiarata incostituzionale, al programma
Matrix su Canale 5 disse: La magistratura una malattia della
nostra democrazia, dobbiamo assolutamente cambiare lordine
giudiziario, [].19 Nel 2008, appena un mese dopo lapprovazione del lodo Alfano, il Presidente del Consiglio si rivolse cos agli
italiani: I giudici e i pm ideologizzati sono una metastasi della
nostra democrazia.20 E nel 2010, pochi giorni prima che venisse
approvato il legittimo impedimento, dichiar: necessario porre fine a una terribile malattia che inquina la nostra democrazia:
linfluenza della magistratura nella politica []21, di conseguenza riformeremo la giustizia per guarire la democrazia.22
16. Cfr nota 3
17. http://assimilatedpress.blogspot.com/2007/02/bush-interview-pt1-i-was-chosen-by.html, [23/06/2011].
18. http://www.repubblica.it/online/politica/giustiziascontro/premier/
premier.html [28/07/2011].
19. Matrix, Canale 5, 10/03/2006
20. Cfr n. 6
21.
http://www.tt.com/csp/cms/sites/tt/berblick/Politik/463402-6/
berlusconi-italien-braucht-radikale-reform-der-justiz.csp [02/05/2011].
22.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Berlusconi-nonsono-un-monarca-Successione-Offensivo-parlarne_159354892.html

109

Grazie alla metafora dellopposizione di sinistra come un cancro, Berlusconi propone una narrativa infarcita di contaminazione e morte della morale.
La metafora della minaccia sociale e politica come malattia
letale popolare tra i leader conservatori. Si consideri questa dichiarazione di Wladimir Putin del 2004: Il terrorismo la peste
del ventunesimo secolo23

Conclusioni
Introducendo nel discorso pubblico italiano le sue due metafore, Berlusconi propone un punto di vista conservatore su ci
che giusto e sbagliato. Non ne parla per esplicitamente, n
dovrebbe daltro canto prestarvi particolare attenzione, perch
le sue concezioni sono espresse grazie alla struttura inferenziale
dei frame metaforici.
Ecco a cosa assomigliano le due narrative morali quando si
decodificano le rispettive metafore concettuali: a un film in 3D ci serviamo anche noi di una metafora. Uno sguardo superficiale
permette la versione a due sole dimensioni del discorso di Silvio
Berlusconi e la nostra mente probabilmente sta commentando:
Il Primo Ministro italiano parla di divinit e cancro, che fatto
astruso! Ad unanalisi pi approfondita tuttavia possibile decifrare le inferenze morali tratte dalle metafore. Il nostro cervello
funziona in 3D.
Nella versione a tre dimensioni Berlusconi propone un discorso di ordine morale Dio al di sopra delluomo -, di obbedienza ad
unautorit assoluta le vie del Signore sono infinite -, e di un sistema di ricompense e punizioni paradiso e inferno, tutti concetti
centrali per la fede cattolica che prevale in Italia. Egli propone
anche un discorso di purezza morale la democrazia infestata,
impura e sta male -, di contaminazione dellimmoralit la metastasi si sta diffondendo nel corpo della democrazia -, infine di una
lotta tra la vita e la morte la democrazia sta morendo.
Dato quello che sappiamo su come la nostra mente funziona
nelle decisioni sociali e politiche, i discorsi in 3D, proseguendo
con la metafora cinematografica, sono quelli che governano il
nostro comportamento politico. Silvio Berlusconi stato eletto
Primo Ministro ben quattro volte; complesso spiegarne i motivi
ma le metafore che usa in pubblico possono senza dubbio considerarsi degli ottimi indizi.
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110

RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 2 | 2012 | ISSN 2279-7777

Linguaggio, evoluzione, cognizione. Per una


revisione della grounded cognition
Alessandra Falzone - amfalzone@unime.it

Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi culturali, Universit di Messina

Abstract

In the last few years, investigations about embodied nature of language have had a crucial role in the definition of linguistic function
as a biological one. This perspective accounts for a more general epistemological domain which aims to consider human cognition
as the result of a process of natural selection. According to this view human mind cannot be considered only as an epiphenomenon
of the brain. Neither one can assume a phrenologically based perspective, as the majority of the first neuroscientific researches. This
perspective includes the grounded cognition approach by Barsalou (1999), which shows that language is strictly constrained by basic
cognitive abilities vampirized by language during evolutionary path. In this work we propose to review the classical argument of
anchored cognition in which basic linguistic skills influences language by developing the idea that even language (as a pervasive
cognitive function) has a return effect on our perceptive abilities. Studies on the shift of visual attention in linguistic tasks, for example,
demonstrate a selective influence of language on visual perception. In this view, linguistic function, from one hand, is constrained by
our perceptive abilities, from the other, it influences and redefines perceptive abilities, often considered neutral, that is free from complex cognitive processes.
Keywords
Grounded cognition, language grounding, evolution, exaptation, mutlimodal representation

Introduzione
La funzione linguistica stata considerata nelle ultime tre decadi di studi come esito di un processo di selezione naturale. In
sostanza il linguaggio non una capacit cognitiva che si distanzia qualitativamente dalle altre ed frutto di un salto evolutivo
che ha differenziato Homo sapiens dagli altri ominidi, ma una
funzione cognitiva che si potuta affermare grazie alla presenza
di altre capacit di base precedenti che sono state rifunzionalizzate (esattate) dal linguaggio.
In questa prospettiva rientrano gli studi di grounded cognition
(Barsalou, 1999) che cercano di dimostrare come il linguaggio sia
strettamente vincolato a capacit cognitive che potremmo definire di base (come la percezione o la capacit di interagire con
il mondo circostante tramite lazione) che sono state vampirizzate dal linguaggio durante il percorso evolutivo. Fin qui, per,
nulla di nuovo rispetto alle prospettive etologiche sui vincoli cognitivi (le cosiddette cecit cognitive, cfr. Pennisi, 2003) che ogni
specie animale presenta in base alla selezione ambientale.
In questa lavoro viene proposto di rivedere la versione classica
della cognizione ancorata che prevede un modello di influenza
delle capacit di base sul linguaggio, ampliandola verso lidea
che anche il linguaggio in quanto funzione cognitiva pervasiva
(presente, cio, in circuiti autonomi nel cervello ma che influenza
molti altri processi cognitivi) agisca retroattivamente sulle nostre
capacit percettive. Studi sullo spostamento dellattenzione visiva in base ai compiti linguistici, ad esempio, dimostrerebbero
proprio uninfluenza selettiva del linguaggio sulla percezione
visiva, (cfr. Papafragou et al., 2008). In questo modo si potrebbe
sostenere che la funzione linguistica, se da un lato vincolata
nella sua realizzazione dal basso cio dalle nostre capacit percettive, dallaltro influenza e ridefinisce, almeno durante compiti
di attenzione visiva, verso il basso proprio le capacit percettive
spesso ritenute neutrali, non condizionate dai processi cognitivi
complessi.

1. Stato dellarte negli studi sulla cognizione ancorata


Gli studi sulla grounded cognition propongono lidea secondo cui la cognizione umana sia caratterizzata e condizionata
dalla connessione tra il soggetto e il mondo esterno. Tale connessione viene realizzata principalmente tramite il sistema sensori-motorio cio il sistema di organizzazione corporeo-cerebra-

111

le che permette di avere una percezione del mondo esterno sulla


base della quale agire in esso. Lintento di questa prospettiva
dimostrare che la cognizione umana non pu essere spiegata
utilizzando un modello computazionale, simbolico e amodale,
indipendente dal sostrato cerebrale e dai vincoli che esso impone (Prinz, 2002).
La critica di questa prospettiva, dunque, rivolta ai modelli di cognizione disincarnata proposti dalle scienze cognitive
classiche, il cui obiettivo era quello di rintracciare le componenti formali che costituiscono i processi di pensiero umani per
implementarle su strutture non necessariamente biologiche.
Anzi, il proponimento principale della prima fase delle scienze
cognitive era proprio quello di riuscire a descrivere il pensiero
come una serie di simboli connessi in strutture algoritmiche cos
da poter costruire una macchina pensante i cui processamenti
sarebbero stati indistinguibili da quelli compiuti da una mente umana (Turing, 1950). Il progetto dellintelligenza artificiale,
almeno nella sua versione forte, per si rivelato difficilmente
realizzabile: non solo la costruzione di una macchina pensante
rimasta solo allo stato teorico-progettuale, ma la realizzazione
di robot che riuscissero a ottenere risultati apprezzabili persino
nella coordinazione motoria per lesplorazione dello spazio
tuttoggi in discussione. Le teorie standard che hanno seguito
questo ridimensionamento epistemologico delle scienze informatiche sono partite da un assunto: la conoscenza risiede in un
sistema di memoria semantica separato dai sistemi di elaborazione modali (cio basati sulla diversa tipologia di afferenza sensoriale) presenti nel nostro cervello. Secondo questa prospettiva
le rappresentazioni dei sistemi modali sono strasdotte in simboli
amodali (cio privi della caratterizzazione percettiva) che rappresentano le conoscenze relative alle singole esperienze che vengono poi immagazzinate allinterno della memoria semantica. Le
conoscenze sul mondo, dunque, sarebbero immagazzinate nella
memoria semantica tramite simboli amodali.
In opposizione alla posizione defisicizzata dei modelli simulativi della cognizione e alle teorie standard, i sostenitori della
gronded cognition sostengono che lintera cognizione umana si
basa sulla costruzione e la conservazione di simulazioni modali.
Secondo questa visione, improbabile che il cervello contenga
simboli amodali o, al minino, questi collaborano con le rappresentazioni modali per costituire la nostra cognizione. A questa
idea hanno contribuito numerose ricerche che dimostrano il
coinvolgimento degli stati del corpo nella determinazione degli stati cognitivi (Barsalou et al., 2003; Lakoff & Johnson, 1980;
L. Smith, 2005). In particolare lazione e linterazione motoria

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con il mondo giocherebbero un ruolo decisivo nei processi di


costruzione delle nostre rappresentazioni: il cervello umano, infatti, sarebbe in grado di catturare gli stati esperienziali prodotti
dallinterazione col mondo esterno nelle varie modalit percettive, di integrarli e produrre una rappresentazione multimodale
che vengono conservate nella memoria semantica. Queste poi
vengono richiamate quando lindividuo deve avere nuovamente
a che fare con le esperienze catalogate, simulando nel cervello
le rappresentazioni percettive prodotte durante il primo immagazzinamento.
In sostanza i meccanismi di simulazione cerebrali permettono
di riconoscere oggetti ed esperienza poich richiamano in causa
(con una attivazione simulativa, non con una riproposizione del
grado di attivazione prodotto al momento della prima costruzione della rappresentazione) le strutture anatomiche implicate
nella costruzione della rappresentazione multimodale.
In ambito linguistico le teoria della cognizione ancorata possono essere considerate come lesito della reazione alla deficalizzazione proposta dalla linguistica teorica e chomskyana. Questo approccio, infatti, ha cercato di dimostrare come il corpo, la
simulazione e la cognizione situata siano parte costitutiva della
funzione linguistica. Lakoff e Jahnson (1999) ad esempio hanno
sostenuto lidea che gli individui posseggano una conoscenza
estensiva del loro corpo e delle situazioni e che i concetti astratti (come le metafore) in realt sono completamente immersi in
conoscenze corporee. Diverse ricerche supportano lidea che i
parlanti di una lingua si riferiscono, anche per i concetti astratti, a
metafore concrete questo perch il riferimento a metafore corporizzate sarebbe il modo in cui gli esseri umani pensano (Boroditsky & Ramscar, 2002; Gibbs, 2006). Anche aspetti pi formali
come la sintassi e soprattutto la semantica del linguaggio naturale sembrano connesse fortemente con componenti dellesperienza come lo spazio, le relazioni dimensionali, le forze fisiche, la
struttura del contesto situazione etc. (cfr. Coulson, 2001; Kaschak
& Glenberg, 2000; Kemmerer, 2006; Tomasello, 2003).

2. Language grounding
Ma fino a che punto possibile legittimare il funzionamento del linguaggio tramite una teoria dellancoraggio al mondo?
possibile rintracciare una base percettiva modale solo da un
punto di vista delle componenti linguistiche (sintassi, semantica
et.) o si tratta di una relazione vincolante per la decodifica del
linguaggio? Ecco, questo uno degli aspetti pi interessanti della prospettiva grounded applicata al linguaggio: questultimo,
infatti, funzionerebbe grazie al fatto che il nostro cervello in
grado di simulare modalmente le rappresentazioni percettive
connesse alla parola che utilizziamo. Questo processo avviene
sia in fase di decodifica (la comprensione delle parole e delle frasi si verifica tramite processi simulativi che abbinano significati
a rappresentazioni sensoriali connesse) sia in fase di codifica, di
produzione delle parole. Questultimo aspetto particolarmente
interessante per coloro che desiderano fornire una spiegazioni evoluzionista su alcune propriet del linguaggio. In maniera
particolare, potrebbe essere utile per comprendere come il linguaggio, tradizionalmente descritto come un sistema simbolico,
riesce a descrivere la realt esterna.
Come avviene questo processo di connessione tra il livello
simbolico del linguaggio e il mondo? Tramite quali processi la
funzione linguistica si aggancerebbe alla realt?
Secondo Pulvermller (2005) il linguaggio si ancora al mondo
proprio tramite dispositivi percettivi e motori, gli stessi che adoperiamo per metterci in relazione con lambiente in cui viviamo.
In sostanza la relazione tra il linguaggio e la realt sarebbe mediata dai dispositivi senso-motori e il linguaggio parassitario di
questi meccanismi.
In questo senso il grounding, lancoraggio, sarebbe il processo attraverso cui un individuo che agisce in un ambiente connette le rappresentazioni modali a eventi tramite dei precisi schemi

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di azione con gli oggetti presenti in una scena. Questi schemi di


azione costituiscono delle vere e proprie strutture di informazione, cio un insieme di azioni da eseguire in relazione a input
percettivi. In questo modo, in una determinata condizione ambientale un individuo pu applicare un certo schema dazione
che gli consente di reagire efficacemente rispetto agli input. Inoltre questa capacit di interazione con lambiente tramite schemi
comportamentali permette a ogni persona di predire gli esiti di
una azione in caso di interazioni sia on line, sia offline, tramite la
costruzione di modelli appropriati dellambiente (Roy 2005).
Il language grounding o symbol grounding, di conseguenza,
sarebbe il processo attraverso il quale parole e espressioni del
linguaggio vengono agganciate alla realt tramite schemi motori dazione. La base sperimentale di questa assunzione ampia
ed costituita da una metodologia empirica che cerca di dimostrare come i meccanismi della percezione e dellazione non siano semplicemente connessi alle nostre abilit mentali, ma ne
siano costitutivi.
In sostanza la cognizione umana intrinsecamente legata alla
percezione tramite lazione, in un rapporto pluridirezionale che
va dallazione alla percezione e da questa alla cognizione (Gallese 2003; Glenberg et al. 2007; Wilson 2002). La teoria classica
di riferimento negli studi che cercano di mettere insieme percezione e cognizione la teoria ecologica di Gibson. Come noto,
secondo questa posizione noi percepiamo il mondo che ci circonda non in maniera neutrale ma rilevando affordances utili per
lazione. Le affordances ci spingono allazione facendo in modo
che il nostro corpo sia pronto per una relazione opportuna con
loggetto rispetto al condizionamento motorio che tale oggetto
determina e questo coinvolgimento motorio si verificherebbe
anche quando non siamo direttamente interessati a interagire
con loggetto percepito (Churchland et al. 1994; No 2004).
Come accennato sopra Barsalou (2008) ha proposto un modello tramite cui riuscire a spiegare questa connessione. Si tratta della teoria dei simboli percettivi secondo cui la mente un
sistema di simboli, organizzati categorialmente e combinabili
in maniera produttiva, caratterizzati dal fatto di determinare un
coinvolgimento evidente delle aree cerebrali che si occupano di
elaborare input sensoriali e di determinare risposte motorie adeguate. Non sarebbe, dunque, una serie di simboli astratti a determinare le nostre conoscenze del mondo esterno e soprattutto le
nostre rappresentazioni, ma un insieme di condizioni/stati motori modali, percettivamente motivati. In particolare Barsalou prevede un meccanismo preciso che consente la produzione di rappresentazioni simboli modali a partire alle percezioni e in stretta
connessione con la dimensione motoria che tali input sensoriali
incentivano. In sostanza, il sistema sistema senso-motorio seleziona, rispetto allinsieme di stimoli presenti nellambiente, un
determinato stato percettivo; a questo punto lattenzione selettiva estrae alcuni sottoinsiemi di questo stato. Questi elementi
selezionati di solito corrispondono alle propriet pi rilevanti da
un punto di vista di risposta motoria cio rispetto allazione che
si intende intraprendere. La selezione di caratteristiche sensoriomotorie viene immagazzinata nella memoria a lungo termine. A
questo punto si verificherebbe un passaggio decisivo nella teoria di Barsalou: immagazzinate nella memoria a lungo termine,
le percezioni multimodali che spingono allinterazione attiva con
lambiente costituiscono dei referenti astratti, seppure impastati di percezione, e quindi possono essere manipolate come
simboli.
Una volta accumulati pi simboli modali organizzati sulla
base di esperienze percettive che consentono di simulare lazione connessa allo schema, questi simboli determinano la base
della cognizione umana, agendo come dei simulatori delle rappresentazioni modali. In particolare questo insieme organizzato
di simboli determina un sistema concettuale prelinguistico che
pu essere considerato (utilizzando una terminologia tipica delle
teorie classiche) un types, una categoria astratta, ma contemporaneamente motivata dal ricorso costante della reazione motoria
innescata dalla simulazione. La teoria dellancoraggio al mondo

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della cognizione tramite percezione e azione, dunque, applicabile anche alle funzioni cognitive pi complesse come memoria, azione e soprattuto linguaggio. Altre teorie hanno cercato di
giustificare il funzionamento del linguaggio tramite meccanismo bottom-down come quello previsto dal symbol grounding.
Secondo Harnad (1996), ad esempio, i simboli deriverebbero da
processi sensoriali che danno vita a categorizzazioni. Le forme
linguistiche elementali sarebbero costituite dai nomi delle categorie di oggetti o eventi. Il linguaggio pu funzionare in maniera
efficiente solo perch costantemente ancorato alla percezione
della realt.
Lipotesi dellancoraggio del livello simbolico (linguistico) alla
realt tramite la percezione e lazione non si basa solo sulla modellizzazione teorica, ma corroborata da un numero elevato di
ricerche empiriche. Tramite metodiche di visualizzazione dellattivit cerebrale in vivo, queste ricerche hanno dimostrato che i
processi linguistici di codifica e decodifica di oggetti o accadimenti determinando attivazioni cerebrali sensori-motorie. Tali
attivazioni avrebbero una corrispondenza significativa con quelle prodotte durante lazione reale con quelloggetto/in quel
contesto (Goldberg et al. 2006; Jeannerod 2008a, 2008b; Martin
2007; Pulvermller 2008; Raposo et al. 2009). Anche i casi neursopsicologici in cui soggetti presentavano danni specifici nel sistema visivo hanno dimostrato come la capacit di nominazione
ma anche quella di categorizzazione di nomi relativi allafferenza
sensoriale visiva, e che quindi richiedono nella norma il coinvolgimento della rappresentazione percettiva visiva per produrre
una categorizzazione modale, vengono alterati nel caso di contesti che prevedono una dipendenza da azioni (Damasio 1989;
Damasio & Damasio 1994; Martin & Caramazza 2003).
Secondo i dati raccolti nellambito del language grounding,
dunque, il linguaggio assume una plausibilit cognitiva e semantica perch agganciato al mondo, nel senso che il primo
intrattiene una relazione motivata dalla percezione e col secondo. In questo senso, il linguaggio sfrutta strutture cognitive sviluppatesi per altre funzioni (percezione e azione) e determina la
possibilit di categorizzare percezioni modali e trattarle come
simboli motivati.

3. Conseguenze e sviluppo della cognizione ancorata


applicata al linguaggio
Lidea che il linguaggio vampirizzi strutture e funzioni evolutesi per ragioni adattative differenti, e contemporaneamente ne
venga condizionato, permette di considerare percezione e azione come precursori cognitivi e cerebrali del linguaggio. Ci permette di ipotizzare una spiegazione evolutiva continuista della
funzione linguistica, senza necessit di sostenere lesistenza di
salti o di cambiamenti qualitativi. Il coinvolgimento del sistema
sensori-motorio, infatti, presente in maniera specifica in tutte
le specie animali, condizionandone le forme di rappresentazione tipica. Nellessere umano, allora, la rappresentazione specie
specifica chiama in causa un livello simbolico fortemente condizionato dal linguaggio umano, che condiziona la categorizzazione di oggetti ed esperienze e funge da modello interpretativo e
previsionale nelle esperienze future.
La teoria del language grounding pu portare a due possibili
interpretazioni dei passaggi evolutivi che ha subito il linguaggio
nella sua affermazione allinterno del sapiens: la prima vede i
processi pre-linguistici come condizioni necessarie e vincolanti
(in un certo senso determinanti) il linguaggio; la seconda invece
prevede una coevoluzione di questi meccanismi in cui lo sfruttamento da parte del linguaggio di funzioni e strutture selezionate per altro (exaptation) determina delle modifiche funzionali
di secondo livello in cui il linguaggio pu condizionare il livello
percettivo e di certo il livello percettivo seleziona gli input categorizzabili e simbolizzabili dal linguaggio umano. probabile
che linteresse per il livello di dipendenza di percezione/azione
rispetto alla funzione linguistica non sia solo utile per smontare

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ipotesi formalizzanti come il modello della percezione a sandwich in cui input, elaborazione e output sono processi separati
e autonomi, ma anche per comprendere il ruolo del linguaggio
allinterno della cognizione umana.
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