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L’impresa è un costrutto economico e sociale per la produzione di beni servizi, che implica un
organizzazione e l’impresa è precedente alla vita umana in quanto è nata ai tempi della
preistoria. Ovviamente l’impresa non è solo FOR PROFIT non è necessariamente di GRANDI
DIMENSIONI e anche la grande impresa è PRE INDUSTRIALE.
La STORIA DELL’IMPRESA è diversa dalla storia dell’economia e questa disciplina è utile agli
stakeholders, al mondo imprenditoriale e alla società in generale perché ci aiuta a
comprendere di più e prendere delle buone scelte di marketing
CAPITOLO 2
1.1 I fattori culturali
La storia dello sviluppo economico ci insegna che a fare la differenza è la cultura (Landers)
La cultura: è un insieme di valori e credenze condivise .
La definizione di cultura può evidenziare come la cultura favorisca l’efficienza con cui le risorse
scarse vengono utilizzate da un gruppo sociale, migliorando la quantità e qualità di informazioni a
disposizione degli individui; oppure come un valore come l’onestà promuova il coordinamento
dell’attività economica, dato che incoraggia i cittadini a essere sinceri e onesti, riducendo allo
stesso tempo l’incertezza riguardo il comportamento della controparte.
Il contesto in cui operano le imprese è il risultato di un processo culturale. Ad esempio
confrontando la concezione americana dell’impresa con quella europea:
Prospettiva Americana: considera l’impresa una cosa, ovvero un bene o un insieme di
risorse da mettere sul mercato. L’assenza di personificazione dell’impresa ha reso più
semplice il processo di separazione fra proprietà e controllo, ovvero l’affermazione delle
burocrazie manageriali, e quindi la crescita delle dimensioni dell’impresa.
Prospettiva Europea: identifica l’impresa con una persona, o un insieme di persone
(famiglia), o una comunità: ovvero un’attività che genera lavoro e ricchezza per i suoi
referenti
Un’altra differenziazione può essere fatta in merito alla cultura orientale e occidentale:
Cultura orientale (Giapponese): molto forte è la presenza del senso collettivo
Cultura occidentale: molto individualismo
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C’è chi abbraccia in modo positivo i cambiamenti, mentre la maggior parte possono avere dei
comportamenti di reazione. Questo determina un’idealizzazione del passato, delle epoche
precedenti ovvero alcune persone (soprattutto più anziane) che dicono “un tempo si stava
meglio”, mettendo in evidenza tutte le cose negative dei nuovi anni.
Il disprezzo per il presente e l’idealizzazione del passato fa si che ci sia una difficoltà ad accettare i
cambiamenti
Un crescente numero di studi mostra anche che la presenza femminile negli affari è stato molto
più importante di quella che la storiografia d’impresa, con l’eccezione degli Stati Uniti e Gran
Bretagna, le ha riconosciuto.
Non a caso negli Stati Uniti e Gran Bretagna si erano maggiormente sviluppati gli studi di genere.
L’approccio di genere cerca di sviluppare un più profondo livello di d’analisi e di proposi come una
metodologia per affrontare temi generali delle imprese e dell’industria, non solo quelli interessati
da rapporti di genere.
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A livello microeconomico perché agiscono come fattori modernizzanti della mentalità e
dei comportamenti degli operatori economici;
Il confronto tra Gran Bretagna di vecchia industrializzazione e Stati Uniti e Germania è
particolarmente efficacie nell’evidenziare come le differenze nei modelli di formazione del
capitale umano abbiamo impattato sulla loro storia economica e d’impresa.
In Gran Bretagna i ritardi e le difficoltà di adattamento del sistema dell’istruzione trovavano radice
dalla Prima rivoluzione industriale, che si sviluppò da tecnologie relativamente semplici, prodotte
dal lavoro di artigiani e operati, attraverso pratiche di apprendimento sul campo. La maggior
parte degli imprenditori durante l’Ottocento non aveva seguito studi regolari e aveva affinato le
proprie capacità attraverso la pratica.
Del resto l’Inghilterra era un paese in cui a metà dell’Ottocento, il tasso di analfabetismo era
ancora superiore al 30% maggiore di quello di aeree meno progredite economicamente.
Ben diversa era la situazione della Germania e Stati Uniti. Landes ha identificato l’istruzione con la
somministrazione di quattro tipi di conoscenza:
1. La capacità di leggere, scrivere e fare i conti;
2. Le conoscenze professionali dell’artigiano e del meccanico;
3. La combinazione di principi scientifici e di addestramento pratico che è propria
dell’ingegnere e del tecnico;
4. La conoscenza scientifica, teorica e pratica;
I vari stati tedeschi svilupparono fin dal 1820 una rete di scuole commerciali e di scuole tecniche
che formarono le basi per un sistema di scuola superiore. Le imprese tedesche, dalle piccole ditte
commerciali alle grandi società per azioni, si mostrarono felici di assumere diplomati di questi
istituti.
Il caso degli Stati Uniti presenta molte affinità con quello tedesco. Le considerazioni di ordine
religioso e fattori politici con la progressiva estensione del suffragio elettorale portarono
l’educazione dell’uomo ad essere sempre più riconosciuta come essenziale soprattutto per
un’adeguata partecipazione alla vita politica. In poco tempo il principio dell’educazione gratuita e
obbligatoria per la popolazione bianca si affermò in tutti gli stati. Più del 90% dei bianchi era in
grado di leggere e scrivere.
Istituzioni: l’insieme di attività necessarie alla formazione di un efficiente mercato dei fattori della
produzione dei beni e servizi. Le istituzioni svolgono azioni che soltanto un’autorità superiore può
svolgere. Queste azioni sono di due tipi:
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Progressiva riduzione dei costi di transazione: ovvero i costi necessari per far funzionare il
mercato;
Creazione di istituzioni: ovvero gli interventi atti a garantire la titolarità di beni e servizi
oggetto di transazione, cioè i diritti di proprietà;
L’impatto della politica istituzionale e legislativa sulla crescita delle economie e sull’attività delle
imprese è meno evidente di altre forme di intervento dello stato (come la politica economica), ma
più duraturo e continuo. Ad esempio, uno studio ha cercato di dimostrare che il successo
economico di un paese dipende dalle sue origini legali e dalle sue tradizioni normative.
Gli interventi più significativi dello Stato si verificarono nel secolo e mezzo precedente alla
rivoluzione industriale. L’Inghilterra poté beneficiare con grande anticipo rispetto ai suoi
concorrenti di un sistema fiscale, commerciale e monetario unificato; vennero prese anche misure
per proteggere le innovazioni, con l’introduzione dello Statuto dei monopoli. Inoltre a partire dalla
prima metà del Seicento, vennero sempre più favorite le richieste di enclosure: ovvero recinzione
delle terre aperte, per stimolare l’applicazione delle moderne tecniche di coltivazione intensiva.
Questi vantaggi dell’Inghilterra risultano tanto più evidenti se si pensa che nell’Europa fu
necessario attendere la rivoluzione francese perché si abbattessero quelle istituzioni che
impedivano lo sviluppo delle società industriali.
Uno degli effetti più importanti della rivoluzione francese fu l’abolizione delle strutture feudali e
l’emancipazione della classe contadina. La soppressione delle corporazioni sancì per ciascun
individuo la libertà di esercitare qualsiasi attività commerciale e professionale. Questi cambiamenti
rimossero gli ostacoli allo sviluppo dello spirito imprenditoriale. In seguito Napoleone favorì
l’elaborazione di un codice di leggi fra cui il Code de commerce: che introduceva la distinzione tra
tre principali forme di società.
L’impatto della rivoluzione francese fu notevole e questo cambiamento aprì la strada alla
creazione (a partire dalla Francia) di un mercato istituzionalmente e territorialmente unificato,
dove beni, persone e idee potevano circolare senza restrizione favorendo il sorgere di
un’economia nazionale.
L’attività degli stati americani in materia di diritto d’impresa fu significativa per la creazione di un
contesto istituzionale favorevole allo sviluppo delle attività economiche.
Ricordiamo che in tutto il mondo occidentale erano entrate in vigore nel corso del Settecento
severe limitazioni per le iniziative di associazione del capitale. Per creare una società era
necessaria una specifica autorizzazione parlamentare, ma non veniva mai riconosciuta la
responsabilità limitata degli azionisti. Queste norme furono emanate per evitare <<bolle
speculative<< (aumento ingiustificato dei prezzi di uno o più beni) ed erano un vincolo alla libertà
di iniziativa d’impresa.
Diversi stati nel Nordamerica si resero conto del problema e vennero adottati dei provvedimenti
che liberalizzavano l’atto di creazione d’impresa.
I paesi europei tardarono ad intraprendere queste iniziative.
(pp. 83-84 non mi sembrava importante dilungarmi)
Nel caso degli Stati Uniti, fino alla creazione delle compagnie ferroviarie, la dimensione ridotta
delle imprese facevano sì che il ricorso bancario si limitasse alle esigenze di breve termine.
Tuttavia dopo un ventennio di instabilità finanziaria provocata dall’assenza di disciplina nell’attività
delle banche venne introdotta una severa regolamentazione:
Il numero degli istituti fu ridotto
Venne creato un sistema di banche di primo livello: le banche nazionali. A queste venne
vietato di mantenere filiali al di fuori dello stato in cui avevano sede e posti limiti al
finanziamento alla singola impresa
La crescente esigenza di finanziamento industriale indotte dalla espansione delle imprese vennero
soddisfatte dal moltiplicarsi di istituti specializzati nel finanziamento a lungo termine e dalla
contemporanea esplosione del mercato borsistico.
Investment banks: svolsero un ruolo importante: oltre a fornire capitale, favorivano fusioni tra i
propri clienti, fornendo consulenza finanziaria e organizzativa.
Complessivamente le banche ebbero un ruolo nel finanziare la crescita del paese, ma esso fu
indiretto.
L’evoluzione delle istituzioni finanziare e della finanza d’impresa in Inghilterra rappresenta un caso
di prolungato condizionamento del contesto socio istituzionale. Ricordiamo he le imprese sorte
durante la rivoluzione industriale erano per la maggior parte di dimensioni contenute, con impianti
relativamente semplici. Date le ridotte esigenze di investimenti si provvide in larga parte con
l’autofinanziamento contribuendo in parte al ritardo nella formazione di un dinamico sistema
bancario. In secondo luogo, l’Inghilterra dovette a lungo scontare la conseguenza della bolla
speculativa del 1720. Venne promulgata una normativa molto restrittiva in materia societaria al
fine di evitare speculazioni, fu imposta la responsabilità illimitata ai soci, ridotto a 6 il numero
massimo, proibito il trasferimento delle azioni. Venne così inibita la creazione di banche in grado
di effettuare investimenti industriali di larga portata.
Ci volle più di un secolo intero perché si desse avvio ad un lento processo di attenuazione delle
restrizioni, al momento della seconda grande onda industriale il sistema bancario inglese si mostrò
inadeguato a fronteggiare i cospicui investimenti richiesti da impianti di grandi dimensioni: a
questa carenza in parte fece fronte lo sviluppo della Borsa di Londra, accompagnato dalla crescita
dei merchant banks specializzate in attività di consulenza e intermediazione finanziaria.
L’investimento azionario riguardò azioni privilegiate che assicuravano dividendi più elevati ma che
non davano diritto di voto e si indirizzò verso settori tradizionali.
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SISTEMA FINAZIARIO BANK ORIENTED ORIENTATO AGLI INTERMEDIARI (Giappone ed Europa)
Il sistema orientato agli intermediari è associato a Germania e Giappone e a vari paesi dell’Europa:
in esso la forma prevalente di finanziamento esterno alle imprese è il CREDITO BANCARIO.
Le banche quindi hanno un ruolo fondamentale nella trasformazione industriale di questi paesi.
In questi sistemi le banche assumono la dorma di BANCHE MISTE: in quanto forniscono
finanziamenti sia a breve che a lungo termine.
Un effetto condiviso dai sistemi così strutturati è stata la stretta partecipazione tra banca e
imprese, che in alcuni casi ha assunto la forma di: capitalismo finanziario caratterizzato da una
relativa subordinazione dell’impresa alla banca.
Così:
Un sistema orientato al mercato: sembra mostrare maggior efficienza allocativa in un
contesto di stabile crescita delle imprese;
Un sistema orientato agli intermediari: sembra favorire una logica di accumulazione di
lungo periodo, mostrandosi però più adeguato in situazioni di rapido cambiamento e più
reattivo di fronte alle innovazioni tecnologiche.
Negli ultimi decenni sembra essere in atto una certa convergenza nei due modelli, come
conseguenza della progressiva globalizzazione del mondo finanziario.
Così negli Stati Uniti, di fronte alla sempre più frequenti richieste di regolamentazione il
Congresso seppur tardivamente varò una legislazione. La nuova normativa dettò alcune regole
generali che dichiaravano incostituzionale la pratica dei pools (accordi stabilito tra imprese
concorrenti di uno stesso settore) e degli accordi di cartello, ma che lasciavano ampio spazio a
fusioni. Poco dopo la Corte Suprema rese illegale ogni forma di accordo fra imprese formalmente
indipendenti. In tale frangente la fusione rimaneva l’unica via di controllo del mercato praticabile
dall’imprese. Frutto del mutato clima politico e istituzionale furono le coraggiose decisioni della
Corte Suprema di smembrare i due potentissimi gruppi che controllavano il mercato del petrolio e
il tabacco: la Standard Oil e l’American Tabacco.
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In Germania, la tendenza alla cartellizzazione nella forma di accordi volontari fra imprese per una
politica solidale di mercato venne riconosciuta come legittima e protetta dallo Stato: i cartelli
avevano lo scopo di limitare la concorrenza, di stabilizzare i prezzi e i profitti e riaffermare il
controllo monopolistico del mercato.
La politica antitrust, in Germania e Stati Uniti costituisce un esempio emblematico di come i diversi
contesti istituzionali possono influenzare il comportamento delle imprese.
La tendenza tedesca possono essere accostate quelle di altri paesi ritardatari: in Francia nel 1884
viene abrogata legge napoleonica che vietava accordi sui prezzi, in Giappone il governo Meiji aiutò
in svariati modi la formazione di gruppi conglomerati di imprese.
CAPITOLO 3
L’evoluzione delle dimensioni e delle forme delle imprese
Fino agli anni '80 la storia d'impresa tendeva ad identificarsi con la storia della grande impresa.
Ciò era dovuto sia da ragioni pratiche, in quanto le grandi imprese tendono a lasciare maggiori
tracce di se sia negli archivi che mediante celebrazioni di ricorrenze permettendo agli studiosi di
disporre di una notevole quantità̀ di volumi (i quali però possono fornire solo quadri parziali
dell'ascesa delle imprese, tralasciando il declino di esse, dato che sono scritti dalle medesime), sia
da ragioni scientifiche, collegate al prevalere nella storia economica e nella storia d'impresa di un
approccio funzional determinista, per il quale la produzione di massa e la grande impresa non
rappresentano che l'inevitabile sbocco delle trasformazioni dell'economia e della società
contemporanea.
Negli anni '80 gli studiosi di impresa hanno cominciato a mutare il loro modo di accostare
l'impresa. Si sono così affacciate nuove linee di indagine che da un lato hanno dato spazio alla
contestualizzazione geografico-temporale delle diverse esperienze di crescita delle imprese, e
dall'altro hanno abbandonato il concetto di generalizzazione di impresa simile al modello
americano, per iniziare a studiare le specificità̀ delle imprese difformi dal modello degli Stati Uniti.
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L'economista Leslie Hannah a supporto delle nuove linee d'indagine propone una similitudine,
ossia compara:
le grandi imprese americane alle grandi sequoie (nome di due gigantesche piante);
le piccole-medie imprese al resto della foresta.
Studiare solamente la crescita delle sequoie non dice nulla sul comportamento generale della
foresta, così come studiare solamente il comportamento delle grandi imprese non da alcuna
informazione sul comportamento delle piccole-medie imprese.
1.1 Piccola, media e grande impresa
I parametri più utilizzati per la valutare la dimensione d’impresa sono: numero di dipendenti,
fatturato, ranking (posizione). Non c'è tuttavia un criterio univoco, a causa delle diverse situazioni
nei vari paesi (ad esempio un’impresa considerata piccola in Inghilterra viene considerata medio-
grande in Italia).
Le dimensioni d0impresa dipendono anche dalle strategie competitive delle singole imprese:
se si vogliono sfruttare economie di scala → sarà necessaria impresa grandi dimensioni
se si vuole attuare una produzione specializzata o di nicchia → piccola-media impresa
La struttura dimensionale di un’impresa dipende dalla storia, dal contesto istituzionale, dalla
cultura di ogni singolo paese.
Dai dati emerge che le piccole imprese sono soprattutto diffuse in Italia e Giappone, piuttosto che
negli Stati Uniti, Inghilterra, Germania, dove le grandi imprese sono le principali.
Tuttavia è riscontrato che il processo di americanizzazione del secondo dopoguerra, oggi entra in
crisi. Due sono le teorie che tentano di fornirne una ragione:
1. teoria post-industriale → attribuisce la causa alla perdita degli occupati del settore
industriale, senza tuttavia spiegarne le cause; debole
2. teoria neoindustriale → dovuto ai processi di decentralizzazione e disgregazione, a
vantaggio di una maggiore flessibilità̀ produttiva e organizzativa; più quotata.
Per superare tali conflitti lo storico di impresa Youssef Cassis ha proposto una suddivisione dei
diversi criteri di valutazione del comportamento delle imprese in cinque categorie categorie:
dimensione, rendimento, sopravvivenza, competitività̀, etica.
Sono quindi ancora relativamente pochi gli studi di performance d'impresa, in quanto è un campo
di ricerca recente e complesso. Gli studi fino ad ora svolti sono stati fatti su grandi imprese, sulla
base delle due uniche variabili di cui è stato possibile ricostruirne l'andamento per periodi
prolungati: sopravvivenza e redditività̀.
Lo spunto per tali studi è avvenuto dalle ricerche di Alfred Chandler, nell'opera Scale and Scope,
dove mette a confronto la dinamica delle 200 maggiori imprese di Stati Uniti, Gran Bretagna, e
Germania del XX secolo.
In esso sostiene che la grande impresa industriale moderna abbia continuato a dominare per tutto
il Novecento i settori ad alta intensità di capitali mantenendosi ai vertici della graduatoria
mondiale delle grandi imprese.
L’economia di scala (se aumenti le dimensioni perché aumenti il prodotto: abbatti i costi fissi) e
l’economia di scopo (sinergia tra i diversi prodotti che produci. Concetto anche di filiera).
Per studiare l’economia utilizza un modo: ranking-> all’interno di uno stato classifica le imprese
per dimensioni (dalla più grande a scendere) e si concentra tra le prime 100.
L’obbiettivo è di vedere quali rimangono nel raking, salendo, scendendo, uscendo, etc.
Gli elementi che interessano sono la permanenza nel raking, e la longevità.
Per Chandler sopravvivenza e redditività̀ sono i migliori indicatori per valutare il successo di
un'impresa. Tale studio ha suscitato un dibattito:
Louca e Mendonca → stesso campione Chandler; affermano che ciò che caratterizza
maggiormente il campione nella lunga durata è la turbolenza piuttosto che la continuità̀
Giannetti e Vasta → metodologia simile a quella sopra descritta applicata all'Italia; hanno
riscontrato maggior turbolenza per le imprese italiane piuttosto che per quelle americane
Hannah → interpreta la turbolenza delle imprese americane come un qualcosa collegato ad
un ambiente più propenso ed aperto ad abbracciare nuoe invenzioni e mutamenti
tecnologici
Carreras e Taffunel → ritengono sia necessario cogliere i valori di fondo piuttosto che
valori contabili per spiegare la dinamica e l'evoluzione delle imprese.
2. L’impresa familiare
L’impresa famigliare non ha avuto l’attenzione di una specifica letteratura economica o
manageriale che tende a definirla come un retaggio del passato e come un ostacolo al
funzionamento dei meccanismi del mercato, a causa delle sue rigidità in materia di proprietà e
management.
Essa si caratterizza per:
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Dimensione ridotta
Lento tasso di crescita
Agli investimenti prediligono la distribuzione dei dividenti (che corrisponde al
sostentamento della famiglia)
Autofinanziamento quindi riluttanza ad attingere a finanziamenti esterni
Se si ricorre a finanziamenti esterni preferenza a quelli bancari a breve termine rispetto al
mercato azionario che potrebbe diluire il controllo famigliare
Scarsa propensione alle fusioni
Affidamento sui componenti della famiglia che impediscono l’ingresso di talento
imprenditoriale esterno
Questa raffigurazione dell’impresa famigliare sembra pienamente condivisa dalla scuola
chandleriana. In questo approccio emerge la contrapposizione fra impresa famigliare e quella
manageriale verso cui convergerebbero tutti i percorsi di crescita.
Successivamente sono state approfondite le motivazioni alla base del duraturo successo che le
imprese famigliari hanno incontrato in determinati contesti e della minor facilità con cui esse sono
state gradualmente sostituire da organizzazioni più complesse come imprese manageriali o
imprese pubbliche. Si è notato che l’impresa famigliare si adatta meglio a condizioni di elevata
incertezza del mercato e scarsa efficacia del contesto normativo, consentendo di ridurre i costi di
transazione, di far circolare meglio le informazioni e di limitare con la successione all’interno del
gruppo famigliare i rischi connessi alla sostituzione di leadership.
Il tema dell’impresa famigliare occupa un notevole spazio nella storiografia d’impresa europea,
dove tale forma di organizzazione produttiva manteneva e mantiene una discreta vitalità. Le
esperienze dei paesi europei mostrano che alcune connotazioni negative attribuite alle aziende
famigliari non corrispondo appieno alla realtà.
Durante il Novecento: in Gran Bretagna il controllo famigliare sulle 200 maggiori imprese è
cresciuto fra le due guerre dal 55 al 70%; in Francia i gruppi famigliari hanno manutenuto il
controllo di grandi imprese fino agli anni Sessanta; anche n Germania, Svezia, Italia le imprese
famigliari hanno detenuto il primato.
La duratura presenza dell’impresa famigliare ai vertici delle big business non è soltanto una
caratteristica europea: oltre ai casi di Corea del Sud, Cile, dove continuano a permanere imprese di
impronta famigliare, negli stessi Stati Uniti, non sono rari i casi di capitassimo personale che si
prolunga per tutto il Novecento.
L’impresa famigliare va considerata una fra le molte imprese che si pongono nel continuum di
gerarchie e mercati.
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chiave fu rappresentato dalla necessità di far fronte ai grandi investimenti richiesti: la
formula preferita fu quella delle obbligazioni, ma non fu raro il ricorso ad emissioni
azionarie.
L'entità̀ di tali imprese richiedeva nuove strutture organizzative e nuove procedure di
coordinamento. Ciò comportò l'introduzione di un'organizzazione per funzioni basata su gerarchie
formali distinte per linee d'autorità̀ e deleghe di responsabilità̀, nonché́ la sperimentazione di
sofisticate tecniche contabili.
Era evidente che negli ultimi decenni dell'800 negli Stati Uniti aveva preso avvio un processo
irreversibile di integrazione delle attività̀ produttive, dal quale sarebbero ben presto emerse
poche grandi imprese dominati. Si sostituì la “mano visibile” della grande impresa, con la “mano
invisibile” del mercato: si andava delineando in modo sempre più̀ netto la tendenza
all'internalizzazione di operazioni e transazioni fino ad allora lasciate al mercato, i cui meccanismi
non sembravano in grado di assicurare le economie di scala e di ampiezza necessaria a garantire
quel flusso di prodotto che era ormai condizione indispensabile per lo sviluppo dell'impresa.
Negli Stati Uniti di fine '800 la grande impresa si diffuse soprattutto nelle industrie e nei settori
caratterizzati da un elevato tasso di cambiamento tecnologico e sollecitati da una domanda in
rapida espansione. Vi erano sostanzialmente due categorie di imprese:
1. Settori leggeri: i del tabacco, alimentare, meccanica leggera → caratterizzate da un
processo di crescita interno, attraverso strategie di integrazione a valle nel campo della
distribuzione e del marketing e a monte nell'acquisizione delle materie prime.
Tali strategie potevano essere sostenute con proprie risorse finanziarie, assicurate
dall'elevato cash-flow generato dalla produzione e distribuzione di massa.
Godono di un mercato di massa.
Cash Flow: pagamenti dilazionati nel tempo, questo fa si che tu abbia un “bafer” di
liquidità, cioè hai disposizione dei soldi per fare degli investimenti .
2. Settori pesanti: Settori del petrolio, chimica, elettromeccanica pesante, gomma,
automobile → operavano in settori ad alta intensità̀ di capitale, e che sono cresciute
attraverso strategie di integrazione orizzontale per il controllo dei prezzi e della
produzione. La concorrenza non é spietata, in quanto sono decisamente ridotte le imprese
che operano in tali settori.
Elemento di differenziazione rispetto alle imprese del primo gruppo, e cioè un ben più
ampio ricorso al mercato dei capitali.
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3.1 Economie di scala e diversificazione: i <<first movers>>
Per Chandler tutte queste imprese (settori leggeri e pesanti) avevano in comune il fatto di essere
dei first movers, cioè le prime imprese ad aver effettuato investimenti su larga scala in una triplice
direzione:
1. In adeguate economie di scala e di scopo → per rafforzare produzione
2. In un'organizzazione della distribuzione → per rendere fluido il collegamento fra impresa
e mercato
3. In una struttura manageriale → coordinamento e controllo delle attività precedenti
Gli imprenditori che per primi hanno effettuato tali investimenti hanno potuto godere di un forte
vantaggio competitivo, creando barriere all'entrata in grado di essere superate dagli sfidanti
soltanto con sforzi ancora più̀ rilevanti e rischi maggiori. Solo pochi sono riusciti a superare
queste barriere, e quindi il mercato si è trovato in una condizione di oligopolio.
Oligopoli ; situazione di mercato composto da poche imprese che producono lo stesso prodotto,
presente principalmente per il secondo gruppo
Ricerca e sviluppo nelle grandi imprese ci sono persone apposite che si occupano
esclusivamente di innovazione, di ricerca. L’innovazione é fondamentale per il successo
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Tariffe doganali: producendo direttamente in un altro paese, non vi sono le tariffe doganali
per importare il prodotto. Ad esempio Brasile che comprava automobili chiede alla fabbrica
di spostarsi in cambio dell’annullamento dei dazi di importazione nel paese: fabbrichi
prodotto, lo vendi nel mercato e dai lavoro alla popolazione.
Costo del lavoro: in determinati paesi il costo del lavoro é inferiore al paese dove si trova la
sede principale della multinazionale
Nuovi mercati: considerando che il trasposto é costoso, é conveniente aprire sedi nei paesi
in cui si vuole vendere
Differenziare il prodotto per esigenze locali: ogni paese ha una propria cultura e abitudini.
È conveniente diversificare il prodotto in base alle esigenze locali.
Ad esempio: prodotti farmaceutici tipo le pastiglie che contengono un granulare nella
capsula: queste capsule non devono essere velenose, devono sciogliersi nello stomaco,
contenere senza alterale principio attivo -> queste capsule sono fatte di midollo di mucca
(per la maggior parte). In alcuni paesi tipo India che non possono mangiare carne le case
farmaceutiche
FDI (investimenti esteri diretti): É uno strumento per misurare le multinazionali. É un indicatore
delle attività produttive di un paese che sono di proprietà di una società straniera.
Nel 1913 l’80% dei FDI proveniva dall’Europa e solo il 14% dagli Stati Uniti.
La maggior parte delle multinazionali era rappresentata da imprese si registrate nella
madrepatria, ma che all'interno di essa non svolgeva alcuna attività̀, non erano quindi filiazioni
estere di grandi imprese nazionali, bensì aziende specializzate in una singola
attività/prodotto/servizio solitamente in un solo paese (free standing companies). Questo
fenomeno si andò attenuando negli anni '20, lasciando spazio alle classiche multinazionali.
Negli anni '30, a causa della crisi mondiale, rallentò la crescita degli FDI, a vantaggio della
costituzione di cartelli internazionali per il controllo di specifici mercati.
A partire dagli anni '50 si ebbe una forte ripresa degli FDI (flusso crebbe di 5 volte tra fine anni '50
e 1980); tuttavia erano gli USA a far la parte del leone, con il 40% del totale degli FDI; in tale
periodo inizia a risaltare anche il Giappone (7%).
Dagli anni '80 vi è un vero boom degli Fdi, cresciuti ad un ritmo del 15% annuo, aprendo le strade
alla globalizzazione; si segnala anche la presenza di multinazionali tascabili, ovvero di medie
dimensioni.
Negli anni '90 si segnala il nuovo sorpasso dell'Europa sugli USA, mentre l'aumento della quota
asiatica è da ricollegarsi all'ascesa cinese.
Il primo modello è quello giapponese degli zaibatsu, grandi gruppi di imprese diversificate
posseduti e controllati da ricche famiglie che le avevano acquistate dallo Stato.
Dopo la seconda guerra mondiale vi fu lo smantellamento di tali imprese e delle grandi proprietà̀
famigliari che li controllavano ad opera degli americani. Con il recupero della sovranità̀ il governo
tornò a favorire la formazione di gruppi d'impresa (keiretsu) che si differenziavano dai precedenti
per l'assenza di controllo famigliare, sostituito da una rete di partecipazioni incrociate fra le
imprese del gruppo.
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In tali gruppi l'aspetto della flessibilità̀ è fondamentale (si spiega a causa della forte diversificazione
delle imprese che facevano parte del gruppo). La gestione si è conseguentemente sviluppata sulla
base di un sistema di lavoro collettivo.
Il secondo modello è quello dei chaebol coreani, gli aspetti principali sono uguali al modello
giapponese, tranne che per il fatto che non possono controllare banche, permettendo così al
governo di controllare il processo di industrializzazione e di guidare le scelte decisionali.
Contribuiscono molto al PNL coreano (più del 60%) e possono essere molto influenti.
Infine vi sono i groupos sudamericani, imprese multisocietarie che operano su diversi mercati ma
con gestione finanziaria e imprenditoriale unificata. I primi si sono formati agli inizi del '900, ma
dopo la grande crisi scompaiono praticamente tutti.
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Il mercato del distretto → Il mercato del distretto non è un vasto e omogeneo mondo di
compratori, ma è flessibile e specializzato.
Su tale mercato, la merce rappresentativa di ogni distretto deve essere riconoscibile per
determinati standard qualitativi, per tipicità di produzione, regolarità delle consegne.
Oltre a queste caratteristiche se ne aggiungono altre due:
Percezione delle innovazioni: vi è una maggior resistenza rispetto alla big corporation,
all’introduzione di tecnologie in una realtà dominata dall’uomo. Tale introduzione è
graduale e non sostitutiva all’uomo.
Ruolo della banca locale: le banche locali hanno maggior flessibilità rispetto alle banche
nazionali dato che sono nate nel distretto e conosce meglio degli altri operatori
economico-finanziari propri interlocutori.
La storiografia è unanime nell'individuare l'inizio della moderna era delle cooperative nella
costituzione della Rochdale Equitable Piooners Society nel 1844: si trattava di uno spaccio
cooperativo di prodotti alimentari e candele, messo in piedi da una decina di operai, con lo scopo
di acquistare all'ingrosso beni di prima necessità e cederli ai soci a prezzi vantaggiosi, in risposta
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allo strozzinaggio. Tale iniziativa diede l'imprinting alla tradizione cooperativa britannica, che nel
settore del consumo trovò la sua principale applicazione.
In Italia il movimento mosse i primi passi nel Regno di Sardegna, quando nel 1854 venne costituita
la prima cooperativa di consumo a Torino. Le culture promotrici furono i demoliberali,
repubblicani, socialisti e cattolici.
Nel 1882 c'è il riconoscimento legislativo: ciò apre all'epoca d'oro delle cooperative in Italia che
corrisponde all'età giolittiana.
Ai giorni nostri le cooperative rappresentano una componente importante dell'economia italiana.
Infine si segnala una peculiarità tutta italiana, ovvero le cooperative sociali.
Possono essere di 3 tipi:
tipo A → gestiscono servizi socio sanitari o educativi
tipo B → gestiscono attività finalizzate all'inserimento o reinserimento nel mercato del
lavoro di persone svantaggiate; nascono negli anni '70 come alternativa ai manicomi, su
iniziativa di Basaglia; l'Italia fu prima in tutto il mondo (approfondimento su miei appunti
sula Legge Basaglia)
tipo C → modello ibrido fra le precedenti
Concludendo si può dire che le cooperative hanno si dei vantaggi; sono infatti un fenomeno
globale che è in crescita, particolarmente in Italia, e promuovono la cultura del reinvestimento;
hanno però anche svantaggi, come la difficile gestione, la non sempre piena consapevolezza da
parte dei soci, e un difficile equilibrio da mantenere.
CAPITOLO 4
1. L’evoluzione dell’organizzazione
Il processo di crescita della grande impresa non avrebbe potuto compiersi senza le profonde
TRASFORMAZIONI ORGANIZZATIVE che l’accompagnarono: esse resero efficiente e veloce il flusso
della produzione all’interno dell’azienda e portarono al coordinamento ottimale di questi flussi.
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affiancato da qualche collaboratore tecnico per la supervisione dell'officina e della contailità. È un
modello che non può funzionare per imprese di grandi dimensioni.
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La spiegazione rinvia ancora una volta a fattori esogeni all’impresa, cioè alla storia e al contesto
istituzionale delle singole realtà nazionali
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all’esecuzione di ogni operazione e quindi di definire l’unico modo migliore per compiere
un’operazione.
Con l’uso sistematico delle macchine e la standardizzazione della produzione la fabbrica era
divenuta un sistema complesso, formato da processi meccanici, che poteva essere controllato e
diretto solo da tecnici selezionati per svolgere mansioni organizzative.
Le aristocrazie del lavoro videro diminuire la loro forza contrattuale poiché le tecniche di
produzione spinsero gli imprenditori ad assumere operai despecializzato.
I ritmi di lavoro subirono una forte accelerazione e la spersonalizzazione divenne caratteristica
specifica del sistema di fabbrica: gli uomini costituivano elementi intercambiabili.
L'organizzazione taylorista si basava su una serie di principi:
Netta separazione fra operaio e direzione d'impresa
Esproprio delle tradizionali work rules (regole di lavoro) e la raccolta e la codifica in
formule e principi matematici di tutte le conoscenze tacite
Sostituzione della routine con un rigoroso calcolo dei tempi richiesti per ogni singolo
aspetto della produzione
Selezione scientifica dei lavoratori in base alle competenze e potenzialità̀
Tale dottrina suscitò numerose critiche, accusandola di essere promotrice di una liquidazione delle
professionalità̀ tradizionali, oltre che causare alienazione nei lavoratori; inoltre il sindacato fu
sminuito.
Guardando il rovescio della medaglia, la produzione di massa tagliò i tempi e i costi di produzione,
e quindi diminuzione del prezzo di vendita: nel 1925 la Ford era in grado di immettere nel mercato
un modello T ogni 15 secondi mentre i costi di produzione si riducevano di tre volte. Ma come
detto più volte la produzione di massa implicava anche un mercato di massa. Ford vedeva nei suoi
operai potenziali consumatori, e li poneva nella condizione per diventare suoi clienti aumentando i
salari (con 60 gg di lavoro un operaio poteva permettersi l'automobile, inoltre furono destinatari di
un welfare aziendale).
Questa visione entrò tuttavia in crisi durante la grande depressione, quando disoccupazione e
stenti rilanciarono il movimento sindacale. Gli scioperi potevano causare enormi perdite, poiché
bloccando anche un singolo reparto si bloccava l'intero sistema. Inoltre il governo degli Stati Uniti
portò avanti una politica favorevole al mondo del lavoro, dapprima con il National Recovery
Industrial Act (1933), che riconosceva il diritto alla contrattazione collettiva, e nel 1935 con il
National Labor Relations Act, che eliminava restrizioni al sindacato.
La Ford intraprese una battaglia che la portò sull'orlo del fallimento prima di cadere nel 1941.
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l'auto veniva collaudata nella pista sul tetto.
Tuttavia la ristrettezza del mercato italiano sminuì̀ di molto il significato dell'iniziativa.
Fra le due guerre in Italia la rivoluzione tayloriana rimase confinata in alcuni ambiti specifici: al
controllo del lavoro operaio, all'analisi dei tempi, al metodo dei calcoli dei costi di produzione, e
alla razionalizzazione del lavoro d'ufficio. Un salto di qualità̀ si ebbe nel secondo dopoguerra con
l'inaugurazione dell'impianto di Mirafiori, che capovolgeva le logiche organizzative del Lingotto,
proponendo lo sviluppo in orizzontale delle attività.
Sono 3 gli elementi che producono una sinergia che produce l’innovazione:
1. Processo di apprendimento specifico: le innovazioni sono riconducibili a un individuo che
possedeva conoscenze, competenze su quel campo specifico
2. Crescita della domanda: elemento di carattere economico. Maggiore richiesta del prodotto
con determinate caratteristiche
3. Creazione di nuova conoscenza scientifica e tecnologica: le discipline devono produrre
ricerche autonomamente non per forza sulle esigenze del mercato, ma mettono in atto un
avanzamento scientifico rispetto a ciò che già si conosceva
Sull’innovazione ci sono due punti di osservazione e giudizio completamente in opposti tra di loro
La scuola classica
La New Growth theory
Il progresso tecnico e la New growth theory, sostiene un’idea totalmente differente alla scuola
classica
L’innovazione è programmabile: assumendo personale qualificato, con ottimi strumenti,
possono dare una data di arrivo per raggiungere gli obbiettivi (vaccini COVID)
L’innovazione è misurabile: da una stima di analisi di mercato si determina il numero di
persone che sono interessate, il prezzo di produzione, il prezzo di vendita, il margine, i costi
di ricerca sostenuti e quindi siamo a conoscenza della quantificazione
L’innovazione necessita di un approccio quantitativo
L’innovazione non é riconducibile, schematizzabile in punti fissi validi per tutti i prodotti. A
seconda del punto di osservazione dove ci si colloca possono prevalere punti di vista della
scuola classica o della scuola New Growth, a seconda delle situazioni.
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E’ solo tecnologica esistono altre forme di innovazione (organizzativa, sociale)
E’ legata al genio (e quindi alla “follia”) ; gli inventori non sono individui fuori dal comune
E’ talvolta associata a comportamenti etici ad esempio le case farmaceutiche che non
producono un farmaco che potrebbe svoltare la medicina perché non c’è convenienza
economica.
Procede a salti anziché step by step la maggior parte delle volte si lavora alle migliorie
sul prodotto o processo di produzione già esistente. É incrementale
Caratteristiche dell’innovazione:
Ricerca attorno a ciò che non si conosce l’innovazione é scaturita da tale attività
Screening prevede una valutazione che conduce a trovare effettivamente il risultato
sperato
Trials
Errors
Metodo sperimentale prevede che l’innovatore abbia già intuito quale sia l’innovazione.
È l’esperimento che si basa sull’intuito dell’innovatore
“Dall’alchimia alla chimica” l’alchimista mischia gli elementi che ha a disposizione per
ottenere la formula. Il chimico mischia gli elementi non a caso, ma intuendo già il risultato.
Altre caratteristiche dell’innovazione che nella realtà sono in contrasto tra di loro
Processo cumulativo ogni generazione che nasce ha a disposizione conoscenze che sono
state elaborate dalle generazioni precedenti che sfruttano per raggiungere i propri
obbiettivi
Processo irreversibile mano a mano che vengono messe a disposizioni nuove tecnologie
vengono utilizzate quelle e messe da parte le tecnologie precedenti
É giusto sapere la storia, ma é anche giusto utilizzare le ultime conoscenze. Dipende dal settore
Innovazione sociale
È un’innovazione altrettanto importante ma meno “percepita”
L’effetto Beck
Harry Charles Beck é un disegnatore britannico. Passato per la storia per aver disegnato una
cartina nel 1931. È una cartina altamente innovativa. Precedentemente le cartine venivano
tracciate come erano nella realtà, Beck prevede delle linee ortogonali con una chiarezza di fondo
di come i tracciati fossero organizzati, che non seguivano i tracciati reali ma andavano in contro ai
bisogni della persona. Facilita la comprensione
La distanza fra le singole fermate, nella cartina di Beck, é più o meno la stessa
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Le varie attività che caratterizzano l’interconnessione fra produttore e consumatore possono
essere raggruppate sotto il termine marketing.
Queste linee evolutive si riferiscono all'esperienza americana, l'unica per la quale si dispone di una
reale riflessione storica, a differenza di un'assenza di ricostruzioni di questo tipo riguardanti
l'esperienza europea.
Lo sviluppo del marketing thought americano può rappresentare una via proficua per ricostruire la
storia del marketing americano. La più efficace è sicuramente quella proposta da Tedlow, che ne
ha modellato la vicenda in 3 fasi, successivamente arricchite di una 4:
1. Frammentazione del marketing precedente al 1880 → a causa della scarsa integrazione del
mercato interno americano
2. Unificazione (ultimi decenni 1800-1950) → fase in cui si forma e si consolida un mercato
integrato nazionale che assume man mano le caratteristiche di un mercato di massa a
seguito della rivoluzione dei trasporti innescata prima dalla costruzione delle grandi linee
ferroviarie e poi dalla motorizzazione su larga scala.
In questo periodo emerge il nuovo protagonista del mass marketing, ossia la marca, che
permetteva al produttore di lanciarsi in campagne pubblicitarie su scala nazionale. Era il
classico caso dei first movers che oltre alle innovazioni nella produzione rivoluzionarono le
tecniche di distribuzione e commercializzazione: Duke nelle sigarette, Heinz nelle conserve
alimentari
3. Segmentazione (1950-2000) → il passaggio a questa fase fu l'esito di trasformazioni
economiche, con una crescita esponenziale di offerta dei prodotti, e di cambiamenti
socioculturali. Il messaggio pubblicitario arrivava ora direttamente nelle case dei
consumatori. Il marketing andò̀ così segmentandosi per venire incontro alle esigenze di un
pubblico sempre più̀ differenziato. Tale fase fu dunque caratterizzata da una crescente
attenzione per il consumatore nelle sue diverse declinazioni, il che implicò lo sviluppo di
sempre più̀ sofisticate ricerche di mercato.
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4. Ipersegmentazione e micromarketing (oggi) → dovuta allo sviluppo delle nuove tecnologie
e dell'informazione. Essa sembra avvicinarsi al sogno di ogni uomo di marketing: vendere al
potenziale consumatore esattamente ciò che egli vuole rendendolo da soggetto passivo e
inconsapevole a protagonista attivo delle proprie scelte.
Questa segmentazione ha portato al problema dell’iper scelta: sei davanti a così tanti
prodotti che non hai la possibilità di valutare in modo razionale ciò che più è adatto alle tue
esigenze. Non valuti in modo razionale ma emozionale.
Anche se non esente da difetti, il modello Tedlow ha avuto il merito di fornire una griglia
interpretativa per la storia del marketing. Al di fuori del mondo anglosassone l’evoluzione
del marketing è stato un campo ampiamente trascurato dalle indagini della storia
d’impresa
Più consistente fu il gap temporale fra l'America e l'Europa riguardo alla diffusione dei
supermercati. La loro comparsa dovette attendere il secondo dopoguerra, con tassi di sviluppo
diversi a seconda delle leggi in vigore, e fu anche rallentata dalla resistenza dei piccoli
commercianti.
In Italia il primo aprì nel 1957 a Milano su iniziativa da una società̀ controllata da Rockfeller, e fu
l'Esselunga (all'epoca Supermarkets Italiani).
Oggi si è arrivati al consumismo, descritto come l'identificazione della felicità personale con
l'acquisto, il possesso, o il consumo di beni materiali, favorito dall'eccesiva pubblicità̀. Vi sono sia
pro, come lo sviluppo economico e la libertà di scelta, ma anche contro, come l'iperscelta, la
schiavitù̀ del consumatore e la necessità di risorse.
Come risposta al consumismo si è creato il Consumerismo, ovvero l'unione dei consumatori per
fronteggiare il potere dei produttori e rivendicare i propri diritti, su tutti la sostenibilità̀ e la lotta al
consumo critico.
Approfondimento supermercati
Il supermercato deve il suo successo alle sue grandi superfici di vendita che consentono la vendita
di alti volumi, con la prevalenza di self-service, il tutto in modo conveniente, inoltre offre comodità
(ampi parcheggi) e risparmio in termini di tempo. Inoltre pesso rientrano nei Piani di edilizia
economica e popolare, ossia sono costruiti nei pressi di aree residenziali.
Nel tempo si sono diffusi altri modelli, quali:
- ipermercato → simile al supermercato, con l'aggiunta dei prodotti non food. Oggi entrano
in crisi a causa dei cosidetti category killer, ossia specifici supermercati per vari segmenti
del mercato (decathlon, obi..)
- discount → supermercati con prezzi più bassi ma bassa qualità e meno possibilità di
scelta (inizialmente erano di 2 tipi, hard, con prodotti ancora negli imballaggi e prezzi
ancora più stracciati, e soft, che corrisponde alla tipologia oggi esistente più vicina al
supermercato)
- superstore → via di mezzo tra supermercato e ipermercato
- minimarket → marchi dei supermercati in strutture più piccole, per rispondere alle
diverse esigenze di un'utenza con poco tempo a disposizione
Debolezze della grande distribuzione organizzata:
la gestione accessoria è in perdita nella maggior parte dei casi → compensata da quella
finanziaria (dispone di liquidità per fare investimenti) e da quella immobiliare (affitti da
altre attività nello stesso complesso)
prezzi differenti in diversi punti vendita, stabiliti in base alla concorrenza
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rapporti coi fornitori in contrasto, in qunato si cerca di lucrare sul posizionamento dei
prodotti e si cerca di ottenere pagamenti posticipati
orari di apertura
spese per vigilanza
sviluppo dell' e-commerce
Punti di forza:
o convenienza sul rapporto qualità/prezzo
o rispetto del contratto collettivo nazionale del lavoro, non vi è nero
o assenza di evasione fiscale
o capacità di adattamento ai cambiamenti
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Ancora le tecniche contabili possono essere usate per ricostruire l'evoluzione delle tecniche
ragionieristiche e delle convenzioni ad essa collegate.
Un uso recente ha dato vita ad un nuovo fine di studi: è una linea di ricerca nella quale l'enfasi
storica ha come oggetto di indagine non tanto l'impresa privata, ma il comportamento di
organizzazioni produttive di grandi dimensioni gestite da amministrazioni pubbliche, arsenali
militari, monopoli dei tabacchi. Da queste indagini risultato la modernità delle scritture per
spiegare le origini del moderno management e del coordinamento burocratico dell’attività
produttiva.
Fino alla seconda rivoluzione industriale la buona contabilità̀ fu soprattutto un'arte e non una
scienza. Con l'avvio del processo di industrializzazione, l'arte dei conti in Inghilterra non fu in
grado di tenere il passo con la fabbrica capitalistica: da un lato vi era il problema dei sempre più
ingenti quantitativi di capitale fisso, di cui soltanto una tecnica dell'ammortamento via via più
raffinata poteva rendere conto in maniera adeguata, dall'altro vi era la necessità di conoscere nel
modo più̀ preciso la gestione reddituale dell'impresa, così da tenere sotto controllo i costi e da
correggere le aree operative di scarso rendimento. Tali problemi erano comuni a tutti i paesi
occidentali che si andavano man mano industrializzando.
Un importante contributo all'evoluzione della contabilità̀ venne dal mondo degli accountants
(contabili).. Fin dal 1860 un crescente numero di professionisti del ramo venne impiegato in
qualità̀ di analisti del bilancio, contribuendo in maniera decisiva alla formazione dei principi di
base ai quali, da allora in poi, le società̀ inglesi si sarebbero attenute nella stesura dei propri
bilanci.
A partire dal 1880 erano disponibili i primi manuali di contabilità̀, una disciplina che si era
guadagnata un proprio spazio, diverso da quello tradizionalmente occupato dalla ragioneria. Già
da allora si potevano considerare definitivamente formati i criteri per la valutazione dell'attivo
dello stato patrimoniale e per la determinazione dei profitti reali.
Rimaneva ancora il problema dei costi, più̀ precisamente l'esatta determinazione dei costi fissi e di
quelli variabili e l'individuazione di criteri attendibili per l'allocazione dei costi generali ai vari
centri di spesa in quanto si era sempre proceduto facendo rozze stime.
La soluzione venne dal mondo dei tecnici e degli ingegneri, che sotto l'incalzare della grande
depressione che negli anni '70 spinse verso il basso i profitti delle fabbriche brittaniche, si pose il
problema della riduzione dei costi industriali, che poteva essere raggiunta solamente mediante
informazioni sui costi dettagliate. Un primo successo nacque dalla collaborazione tra un
ingegnere, Garke, ed un contabile, Fells, con la pubblicazione nel 1887 del manuale Factory
Accounts, con la novità̀ che per la prima volta i costi fissi venivano distinti con chiarezza da quelli
variabili.
Da un altro ingegnere, Matheson, negli stessi anni proveniva un'altra dimostrazione che la
contabilità̀ industriale si stava evolvendo: egli fu il primo a distinguere fra svalutazione degli
impianti e loro obsolescenza ed a introdurre quindi i concetti di ammortamento tecnico ed
ammortamento economico.
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La contabilità̀ britannica avrebbe a poco a poco perso la sua supremazia, esattamente come la
sua industria avrebbe a poco a poco perso competitività̀ nei confronti di Stati Uniti e Germania.
In Germania verso fine secolo si assistette ad un grande risveglio in materia di elaborazione di
bilanci aziendali, grazie al moltiplicarsi delle scuole tecnico-commerciali superiori e all'attività̀ di
ricerca (studioso Schmalenbach). Col nuovo secolo, l'elaborazione della contabilità̀ e della
ragioneria si consolidava in un indirizzo, che sottometteva l'analisi contabile allo studio
dell'azienda come unità unica ed indissolubile, della quale essa ne rappresentava solamente un
aspetto. Ciò causò una brusca frenata nello sviluppo di tali studi.
La crescita delle dottrine americane fu rapidissima. Intorno al 1880 la contabilità̀ americana era ad
un livello rudimentale, in quanto era sconosciuto l'uso di presentare alle banche bilanci per
ottenere aperture di credito; in questo periodo comparvero i primi contabili di professione, ma
non erano legalmente riconosciuti.
Le cose mutarono nel nuovo secolo, con l'applicazione dello scientific managment anche in campo
contabile, grazie allo sforzo di tecnici e ingegneri (tra quest'ultimi spicca Hess, al quale viene
attribuito di aver messo a punto il concetto di break even point). A partire dagli anni '10, il mondo
dell'accounting americano tentò di individuare gli standard ratios (rapporti standard), ossia
indicatori che costituissero un valido punto di riferimento per una corretta gestione contabile
dell'azienda; essi trovarono progressiva applicazione a partire dagli anni '20, ma fu dal secondo
dopoguerra che si diffusero in tutto il mondo occidentale.
5.2 Indici e flussi, gli Stati Uniti e <<l’analisi scientifica>> del bilancio
Con la ratyo analysis (le cui fondamenta teoriche furono ideate da Justin), il bilancio cessa di
essere un mero rapporto di ciò che l'impresa fa, ma diviene uno strumento d'analisi dell'impresa
stessa.
Alle nuove e complesse forme organizzative che andava assumendo l'industria degli Stati Uniti
erano inoltre necessari nuovi strumenti di comunicazione all'interno dell'impresa, in modo da
rendere più̀ rapido ed efficiente il flusso di informazioni e che il controllo operativo divenisse
sistematico e continuo. L'analisi dei quozienti economici e finanziari, l'esame dei flussi, il
budjeting divennero allora elementi irrinunciabili della gestione finanziario-amministrativa.
Inoltre a seguito del processo di separazione fra proprietà̀ e controllo e del crescente ricorso al
mercato finanziario per il reperimento dei fondi necessari all'espansione dell'impresa, divenne
necessaria l'analisi di bilancio.
La ratio analysis fu dominata soprattutto dalle esigenze del mondo creditizio e si incentrò
essenzialmente su due quozienti statici di situazione finanziaria: current ratio e quick ratio, che
mettevano in relazione rispettivamente disponibilità̀ e passività correnti e disponibilità e
passività liquide.
Lo sviluppo di quozienti di analisi reddituale fu invece un fenomeno che prese avvio all'interno
dell'impresa e che soltanto successivamente trovò un'adeguata sistemazione teorica.
Si riteneva che la formula Brown ( (R/K)= (V/K) x (R/V) ), che mette in relazione il ROI con il
turnover del capitale e i profitti di vendita, fosse stata impiegata per la prima volta alla Du Pont nel
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1919. Studi successivi hanno dimostrato che già nel 1904 Du Pont era in grado di presentare ogni
mese dati accurati su costi, sull'utile e sui tassi di rendimento del capitale; tuttavia l'assunzione di
Brown portò a ulteriore affinamento le tecniche di controllo operativo e di valutazione della
redditività̀ dell'azienda. La sua formula forniva all'alta dirigenza informazioni strategiche a getto
continuo, di primaria importanza per le previsioni a breve e medio termine dello sviluppo
dell'azienda; ricava infatti le informazioni necessarie alla valutazione delle performance delle
singole divisioni, e della capacità del managment di far rispettare i piani di espansione aziendale.
La struttura organizzativa della Du Pont e i sistemi contabili ad essa funzionali vennero applicati a
partire dal 1920 anche dalla General Motors.
CAPITOLO 5
1. Lo sviluppo delle imprese pubbliche
Con il termine impresa pubblica ci si riferisce a quella molteplicità di attività̀ in qualche modo
collegate allo stato: esse riguardano tanto le imprese possedute e/o gestite a livello centrale
(imprese pubbliche vere e proprie, aziende autonome, imprese a partecipazione statale...) quanto
quelle che operano a livello decentrato (aziende municipali).
In Italia ad esempio l’IRI (Istituto di ricostruzione industriale 1933), fu concepito come ente per
liberare le tre maggiori banche dai loro eccessivi immobilizzi.
In Germania, prima del nazismo, lo stato venne coinvolto nella ristrutturazione del sistema
bancario e divenne grande azionista delle principali Grossbanken: dato lo stretto legame tra
banca e industria, queste misure conferirono allo stato un potere su tutte le maggior imprese,
alcune delle quali furono acquistate e poste sotto il suo controllo diretto.
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Verso la fine della guerra lo stato nazista controllava circa il 50% del capitale delle società per
azioni tedesche.
In Spagna, la creazione dell’INI (Instituto nazional de Industria 1941), che si ispirava all’IRI, fu
motivata dalla volontà di stimolare l’industria nazionale, con obbiettivo principale di ridurre la
dipendenza dell’estero (importazioni).
La Francia, si spense sul terreno delle nazionalizzazioni: la più importante fu quella delle ferrovie
con la creazione di una società mista con partecipazione maggioritaria dello stato.
Altri interventi riguardarono il settore delle armi e delle costruzioni aereonautiche, mentre venne
avviata la nazionalizzazione della Banca di Francia.
In Gran Bretagna le nazionalizzazioni realizzate nel decennio furono limitate, le più importanti
riguardano il sistema dei trasporti passeggeri, ma furono gli anni in cui presero forma i progetti di
intervento dello Stato elaborati dal Partito Laburista che avevano l’obbiettivo di contrastare la crisi
economica e il declino industriale.
Nei paesi come Svezia, Norvegia, Paesi Bassi, il processo di nazionalizzazione stentò a decollare:
tuttavia lo stato entrò con consistenti partecipazioni nel settore dei trasporti e in alcuni istituti di
credito.
Anche in Giappone, America Latina, Stati Uniti, si preferì ricorrere a forme di intervento indiretto
per stimolare la ripresa.
In Gran Bretagna il settore pubblico si andò̀ allargando soprattutto sotto i governi laburisti,
durante i quali passarono in mano pubblica la Banca d’Inghilterra, l’industria del carbone, le
ferrovie, la navigazione interna, l’industria elettrica e del gas, del ferro e dell’acciaio, etc.
In Francia le fasi più importanti di espansione postbellica del settore pubblico si sono avute in due
fasi 1944-1948 e nel 1982.
Nella prima fase 1944-1948: caratterizzata dalla partecipazione dei socialisti e dei
comunisti al governo, nazionalizzarono: la Banca di Francia, quattro principali banche di
deposito, trasporto aereo, gran parte del settore assicurativo e imprese come Renault.
Nella seconda fase 1982, sotto il governo socialista Mauroy il 53% delle società francesi
venne a trovarsi in mano pubblica. Inoltre furono nazionalizzati l’industria siderurgica, la
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quasi totalità del sistema bancario, l’industria delle telecomunicazioni e cinque gruppi
industriali di primo piano.
Tuttavia il governo di centrodestra insediatosi nel 1986 provvide nel giro di pochi anni a
riprivatizzare gran parte delle attività e smantellando l’apparato di imprese pubbliche
preesistenti.
Nei paesi scandinavi: in Belgio e nei Paesi Bassi le forze socialdemocratiche al governo attuarono
una politica di riforme e stimolarono los viluppo delle imprese pubbliche soprattutto nel settore:
delle comunicazioni, dei servizi e delle risorse naturali.
In Italia, la convergenza della sinistra cattolica e dei partiti della sinistra laica su posizioni si
sostegno alle nazionalizzazioni portò a un ulteriore ampliamento dello stato imprenditore.
Nel 1976 lo Stato imprenditore era giunto a fornire 1/5 del valore aggiunto del settore industriale
e il 12% del PNL. All'inizio degli anni '80 circa 1/3 delle società̀ italiane era in mano pubblica.
Le nazionalizzazioni più importanti furono quelle: dell’ENI, creazione del ministro delle
Partecipazioni statali e nella nazionalizzazione pressoché̀ totale dl settore dell'energia elettrica.
Questa tendenza, nel secondo dopoguerra non riguardò solo l'Europa, fra tutti spicca il Canada.
Ma riguardò inoltre anche il mondo non industrializzato, India su tutti, che mediante il Bombay
Plan, portò il paese a possedere la più ampia economia non di mercato al di fuori del mondo
comunista.
Nella stessa Unione Sovietica è stata caratterizzata da continui mutamenti indotti dal succedersi
delle diverse fasi della vicenda politica ed economica. Si possono tuttavia evidenziare due elementi
di continuità̀: la grande dimensione e la natura della governance.
Il primo traeva origine da una tendenza alla concentrazione già̀ emersa nel periodo pre-
rivoluzionario. I grandi trust pubblici furono protagonisti anche della ripresa economica dopo il
periodo critico della guerra e della rivoluzione, durante la NEP (Nuova Politica Economica). C'è da
dire tuttavia che, con l'avvio della fase dei piani quinquennali, la concentrazione industriale e la
crescita dimensionale mediante economie di scala e di ampiezza divennero ancora più evidenti.
Il secondo tratto concerneva più direttamente la gestione delle grandi imprese: se durante la NEP
venivano tollerate piccole iniziative private nell'industria e nel commercio, fin dalla rivoluzione le
grandi imprese non furono dotate di capacità decisionali autonome, poiché́ la strategia veniva
imposta dal governo; era il cosiddetto Gosplan, cui facevano riscontro a livello locale unità
amministrative di produzione territoriale, i glavk.
Caso emblematico è quello della Cina, che continua a sopravvivere ancora oggi, è che ha portato il
paese a divenire la seconda potenza mondiale. Non c'è dubbio che all'origine del grande balzo vi
sia stata in concomitanza dell'ampio potenziale di mercato e dell'elevata arretratezza dei consumi,
ma è certo che senza le politiche economiche adottate dopo la morte di Mao tale risultato non
sarebbe mai stato raggiunto; la maggior parte di tali politiche ha riguardato l'organizzazione
produttiva e il sistema delle imprese, sino ad allora improntati ad una rigida e greve
pianificazione.
Nel 1992 si è teorizzato un sistema di economia sociale di mercato, che ha fatto emergere tutte le
potenzialità̀ del mercato. E’ stato un processo graduale, ben differente dalla terapia d'urto
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praticata dalle economie pianificate dell'est Europa: nella prima fase esso ha reintrodotto
elementi di capitalismo nell'economia pianificato. Allo smantellamento delle cooperative ha fatto
seguito un sistema semiprivato di gestione della terra e delle attività produttive collaterali nei
mercati periferici, organizzato in imprese collettive. In una seconda fase la Cina ha poi aperto le
frontiere agli investimenti delle multinazionali estere, preferibilmente nella forma di joint-
venture con imprese locali, concentrandoli in 4 zone con un regime fiscale favorevole, creando
così opportunità̀ di apprendimento tecnologico e organizzativo potenzialmente riversabili
sull'intera economia.
Con il nuovo millennio si è poi accentuata la politica di ristrutturazione e parziale smantellamento
dell'impresa di stato, con l'attenzione del governo che si è concentrata su una piccola quota di
esse operanti nei settori strategici, con l'obiettivo di creare dei campioni nazionali sotto la
supervisione di un'agenzia specializzata; in questo modo 3 imprese di stato cinesi figurano oggi fra
le 10 maggiori imprese mondiali.
2. Il processo di privatizzazione
2.1 La cornice analitica: cause e obbiettivi
La convinzione che denazionalizzare (=privatizzare) rappresenti uno strumento fondamentale di
modernizzazione dell'economia è il frutto di profonde modificazioni dell'opinione pubblica e
dell'atteggiamento della politica nei confronti dello stato imprenditore, che ha guadagnato
consenso a partire dai tardi anni Settanta.
E’ possibile individuare una serie di cause che sono all’origine del processo di privatizzazione:
1. Ragioni economiche → frequenti i casi di government failure (fallimenti di governo) che
hanno dato luogo a cattivi risultati sotto il profilo della gestione e della profittabilità̀
dell'impresa pubblica. Spesso hanno tratto origine da politiche governative troppo rivolte
ad assegnare all'iniziativa pubblica obiettivi di carattere sociale piuttosto che economico,
ma anche da un'eccessiva burocratizzazione delle pratiche manageriali e da un rapporto
perverso principale/agente. Infine vi fu la volontà̀ di spezzare i monopoli pubblici, che
determinò scarsa qualità̀ in assenza di concorrenza
2. Ragioni finanziarie → le privatizzazioni sono una leva importante per diminuire il debito
degli stati e contribuiscono a comprimere il disavanzo in varie maniere: tramite la
riduzione dei finanziamenti a fondo perduto, il calo degli interessi sul debito pubblico, la
destinazione dei proventi delle dismissioni a fondi di ammortamento del debito pubblico.
3. Ragioni politiche e ideologiche → l'allargamento della partecipazione della classe media
al capitale delle imprese è stato visto come un importante tassello delle moderne
democrazie. Inoltre privatizzare è parso uno strumento utile a spezzare i legami perversi
che si erano creati fra lo stato e i potenti economici. Non a caso vi è una correlazione tra i
governi conservatori e fasi di accentuazione della produzione (UK, Francia), l'Italia ha
costituito un'eccezione, visto che la quasi totalità̀ delle privatizzazioni è stata condotta da
governi di centrosinistra o esecutivi tecnici.
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stimolare l'allargamento della proprietà̀ azionaria: quando veniva privatizzata un’azienda
pubblica poteva esserci il caso di una società privata che la comprasse interamente, ma più
di frequente veniva divisa in azioni comprate dai risparmiatori
introdurre maggior concorrenza e competitività̀
esporre le imprese pubbliche alla disciplina del mercato
sviluppare il mercato nazionale dei capitali
Per ciò che riguarda le modalità̀ attraverso le quali sono state attuate le politiche di
denazionalizzazione, la ricerca ha evidenziato alcune tendenze di fondo:
nei casi di dismissione di imprese pubbliche di grandi dimensioni è prevalso il sistema
dell'offerta pubblica di vendita, mentre il sistema di trattativa privata è prevalso nei paesi
in via di sviluppo
nella vendita delle prime tranche azionarie spesso i governi hanno fatto ricorso
all'underpricing, cioè hanno praticato un notevole sconto sul valore effettivo dell'azienda
per invogliare gli acquirenti
la maggior parte dei governi si è spesso riservata poteri speciali di veto in materia di
cambiamenti dell'azionista di controllo e di investimenti esteri
In ogni caso, perché̀ un programma di denazionalizzazione abbia successo, sono necessarie alcune
precondizioni:
1. un mercato dei fattori e dei prodotti concorrenziale
2. legislazione a protezione di azionisti e risparmiatori
3. mercato dei capitali sufficientemente evoluto, sul quale le imprese siano contendibili
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Circa la metà degli introiti realizzati nel periodo 1977-2003 si è concentrata nei paesi dell'UE
allargata, il 90% dei quali nei paesi dell'Europa occidentale, dove era già sviluppato il mercato
azionario, mentre nei paesi di nuova accensione, specie in quelli ex socialisti, il mercato dei capitali
ha dovuto essere creato ex novo, e pertanto i singoli governi nazionali hanno dovuto trovare nuovi
metodi per procedere alla privatizzazione, su tutti la distribuzione di voucher ai cittadini.
Nei paesi cosiddetti in transizione, cioè nei paesi ex socialisti nella loro fase di passaggio verso
l'economia capitalista, quasi ovunque (anche a causa di forti pressioni della Banca mondiale e del
FMI) si sono avuti massicci e rapidi interventi di smobilizzo delle imprese pubbliche; ciò è avvenuto
attraverso cessioni a investitori esteri, ma soprattutto mediante privatizzazioni di massa forzate,
che quasi sempre hanno assunto la forma della distribuzione diretta e gratuita di voucher ai
cittadini, mentre in altre si è diffusa la forma del managment-employee buyout. Tali modalità
erano finalizzate a radicare il diritto di proprietà̀ nelle società ex comuniste; ciò tuttavia ha influito
sulla qualità̀ delle privatizzazioni, impedendo il consolidamento di una corporate governance.
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