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Gli scavi, ovvero sbancamenti con rimozione delle strutture materiali (naturali o meno)
precedentemente esistenti, costituiscono l’operazione iniziale fondamentale per l’esecuzione di
qualunque piano costruttivo, modellativo o adattativo, sia destinato alla realizzazione di manufatti
semplici che a quella di grandi progetti.
4.1.1 - Generalità
Circa la distinzione tra scavi in terra comune e scavi in roccia è opportuno riportare quanto
specificano i Capitolati in campo internazionale:
"Lo scavo in terra comune consiste nella rimozione e soddisfacente collocamento di materiali di
origine eolica, alluvionale o residui, di particolari strati e massi di volume < 2 m3.”
- per materiali eolici o alluvionali s’intendono ceneri vulcaniche, löss, dune sabbiose, loams,
sabbie, limi, ghiaie, argille ed ogni combinazione di questi materiali;
- per materiali residui s’intendono scisti, calcare, arenarie, conglomerati e rocce ignee e
metamorfiche che si presentano alterate, degradate, decomposte e comunque non compatte;
- strati particolari sono quelli che, pur essendo formati da roccia compatta, per il loro spessore e la
loro posizione non sono sufficientemente rigidi da essere classificati tali.
Lo scavo in roccia include le rocce compatte, non alterate o degradate, solide, rigide, di origine
ignea, metamorfica o sedimentaria; include inoltre i massi o trovanti > 2 m3 di volume, le solette in
calcestruzzo unitamente agli strati di base, stabilizzati con cemento o in conglomerato bituminoso,
aventi uno spessore > 10 cm.
E' ancora comune l'usanza di definire scavo in roccia quello in cui il terreno resiste all'azione di
un solo dente di scarificatore trainato da trattore cingolato di 250 Hp di potenza. Poiché tale
verifica, peraltro non sempre di facile attuazione, dipende in buona parte dalla capacità ed
esperienza dell’operatore alla guida del trattore, è prevalente oggi affidarsi ai mezzi della
Geotecnica.
- livellatrici o graders;
e, meno di frequente:
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- escavatori a cucchiaio frontale, a cucchiaio rovescio e a benna trascinata;
E' indubbiamente il sistema più antico e nella maggioranza dei casi il meno economico. E' oggi
limitato a casi particolari nei quali o per difficoltà del terreno o per l'entità e qualità dei lavori (tipici
quelli di finitura) non è consigliabile l'uso delle macchine.
La natura del terreno influisce notevolmente sulla resa; le argille sature, ad es., risultano di difficile
maneggio e quindi estremamente costose. L'impiego di carriole è limitato ai 60÷90 m di distanza di
trasporto; per distanze maggiori vengono impiegati autocarri ribaltabili o vagonetti su rotaie spinti a
mano per distanze fino a 200÷300 m.
E' un mezzo efficace di scavo per terre di media consistenza, argille compatte, rocce tenere,
pietrame, ghiaie e quando la distanza di trasporto non supera i 40-60 m.
Per la sua manovrabilità viene impiegato col massimo risultato in zone scoscese per l'apertura di
accessi a mezza costa, per la formazione di gradoni, per la rimozione di massi e trovanti, per un
livellamento grossolano del terreno così da permettere ad altro macchinario di operare.
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Fig. 4.1 – Scavo a mezzo bulldozer.
La ruspa è una macchina completa poiché riassume in se l'attrezzatura per lo scavo, il trasporto, lo
scarico e lo stendimento di materiale. Trova il più largo impiego nei terreni poco accidentati, non
eccessivamente duri e plastici per distanze di trasporto variabili da m 25 a m 150 se il mezzo è
cingolato e da m 50 a 600 e più se gommato. L'impiego delle ruspe viene preceduto da una
grossolana livellazione dell'area di operazione con piazzole d’accesso ed inversione ad U come
schematicamente indicato in Fig. 4.2. Si deve inoltre studiare il piano di operazioni in modo da
evitare virate inutili, interferenze con altre macchine, percorrendo le distanze più brevi, caricando
possibilmente in discesa e verso la zona di scarico. Il cosiddetto percorso a 8 è, ad es., tra i più
razionali quando due tagli sono intercalati dal riporto (Fig. 4.2A); altri temi operativi sono illustrati in
B e C. A prescindere dalla scelta iniziale del tipo di scrapers da adottare per quel determinato
lavoro, scelta che riguarda soprattutto la capacità delle macchine ed il sistema di locomozione
(cingoli o ruote), esiste una tecnica di lavoro, derivata dall'esperienza, da impiegare per le diverse
terre incontrate.
Data la tendenza di questi materiali a fluttuare davanti al cassone dello scraper senza entrarvi si
deve iniziare il carico col grembiule alzato di 15÷30 cm e con l'espulsore arretrato; quando il
cassone è caricato a metà circa alzarlo per un tratto e quindi riabbassarlo ripetendo la procedura
precedente. Caricato lo scraper al massimo possibile fare in modo che il grembiule chiuda per
gravita valendosi del suo peso, scaricando poi strati sottili per favorire il costipamento e facilitare il
traffico. Questo metodo, detto a pompaggio, è illustrato in Fig. 4.3.
Fig. 4.3 – Metodo a pompaggio per facilitare il carico di sabbia e ghiaia allo scraper.
- avanzare con l'espulsore a tratti di cm 30 per volta lasciandolo quindi arretrare leggermente per
permettere al materiale di sbriciolarsi; ripetere l'operazione fino allo scarico completo del cassone.
Grossi massi o ceppi possono essere caricati dalle ruspe mantenendo il grembiule completamente
alzato e l'espulsore arretrato ed eseguendo una virata ad angolo retto come indicato in Fig. 4.4.
Per lo scarico si ripeta la virata, accentuandola il più possibile ed agendo con l'espulsore; è
opportuno evitare, poi, con opportuna manovra, che le ruote motrici o i cingoli urtino l'oggetto
deposto.
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Fig. 4.4 – Virata ad angolo retto di uno scraper.
Con poche eccezioni, l'impiego dei pushers cingolati (e in particolari condizioni, gommati) per
aiutare gli scrapers nella fase critica del carico è sempre vantaggioso. La tecnica, già descritta in
parte al Capitolo relativo a tali mezzi, serve a ridurre i tempi di carico sopratutto per gli scrapers
gommati evitando, inoltre, che i costosi pneumatici slittino sotto lo sforzo.
Poiché la massima potenza richiesta allo scraper si sviluppa durante il carico è possibile, col
pusher, utilizzare uno scraper di capacità maggiore di quella normalmente attribuita alla potenza
del trattore oppure, nel caso di scraper semovente, di sovraccaricarlo.
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Per motivi economici è necessario determinare il numero approssimato di scrapers che un pusher
può servire dividendo il tempo impiegato da una ruspa nel suo ciclo completo di carico, trasporto,
scarico e ritorno per il tempo impiegato dal pusher a caricare; ad es., un ciclo di 10 minuti richiesto
da una ruspa diviso per il tempo di un minuto richiesto da un pusher dà un rapporto di 10 ruspe per
pusher che, in pratica, tuttavia dovrebbe essere ridotto ad 8 ed anche meno in quanto è buona
norma avere il pusher in attesa invece della ruspa, tanto più che ben difficilmente svariate ruspe
riuscirebbero a mantenere gli arrivi all'area di carico ad intervalli regolari. In terreni di media
consistenza si considera ottimale il tempo di 50÷60” per caricare lo scraper nello spazio di ~30 m;
un tempo di carico più lungo è giustificato solo nel caso di trasporti lunghi per cui risulti
conveniente sovraccaricare lo scraper.
Fig. 4.6 – Formazione di una scarpata in sterro nei successivi passaggi con lo scraper.
Assumendo, infatti, un tempo di 2’ per caricare al 100% il cassone, il materiale caricato nei
successivi periodi risulta mediamente dalla tabella in Fig. 4.6. Dal che si arguisce che l'ultimo tratto
di percorso di carico è il più costoso.
L'esperienza, inoltre, insegna che i tempi di carico di uno scraper monomotore e di un tandem
sotto pusher sono praticamente i medesimi in quanto il pusher deve sollevare le ruote posteriori
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dello scraper diminuendone l’aderenza e lo sforzo trattivo. I tandem-pusher, in ogni caso,
abbreviano il tempo di carico di ~15%.
E’ buona norma, ancora, attendere sempre il pusher prima di cominciare a caricare per evitare
sforzi inutili della ruspa e percorsi oziosi del trattore, così come risulta sempre conveniente
scarificare il terreno quando presenti una certa resistenza allo scavo mentre allo scarico le ruspe
debbono preferibilmente depositare il materiale prima della virata di ritorno per facilitare
quest'ultima (Fig. 4.8).
Fig. 4.8 – Caratteristiche operative di uno scraper in funzione dell’accoppiamento con un pusher.
Infine risulta sempre della massima importanza mantenere in buono stato la pista percorsa dalle
macchine ricorrendo, di volta in volta, al grader o al bulldozer. Nel caso di molte macchine in
operazione si rende conveniente la presenza di un coordinatore per evitare tempi d’attesa
diluendone gli arrivi.
II grader non è una macchina da scavo bensì una finitrice impiegata usualmente nella
regolarizzazione di scarpate in terreno di natura sabbio-argillosa, nel livellamento di superfici, nello
spandimento di materie sciolte etc.
Tuttavia, quando la consistenza del terreno lo consente e lo scavo, oltre al livellamento della
piattaforma stradale, consiste nella formazione delle cunette laterali, è il mezzo più conveniente
per una tale tipologia di lavori (Fig. 4.9).
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L'uso degli escavatori a cucchiaio è conveniente nella escavazione di terre comuni quando la
superficie è irregolare e lo strato d’asportare è rilevante, oppure quando, per la presenza di massi,
non si rende possibile l'utilizzo di ruspe e, infine, quando la distanza di trasporto è lunga e pertanto
si rendono più convenienti i ribaltabili.
L'escavatore a cucchiaio frontale è inoltre ideale per il caricamento dei detriti dopo l'uso
dell'esplosivo.
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Fig. 4.9 – Scavo a mezzo graders. Formazione di una cunetta stradale: a) apertura dello scavo; b) regolarizzazione della
scarpata; c) formazione del fondo cunetta; d) riporto del materiale su piattaforma stradale; e) eventuale spandimento.
L'altezza ottimale del fronte di scavo è quella pari all'altezza del braccio o poco più; se il fronte è
maggiore è conveniente procedere per gradoni (Fig. 4.10).
Nella Fig. 4.11 sono riportati 2 metodi razionali di carico dei ribaltabili con escavatore a cucchiaio
frontale mentre in Fig. 4.12 è riportato uno schema operativo di scavo di una grande trincea
utilizzando i vagonetti Decauville.
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Fig. 4.12 – Schema di trincea per utilizzo vagonetti Decauville.
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4.2 - Scavi in roccia
La resistenza offerta allo scavo dalle rocce e dalle terre in genere è funzione della loro durezza,
attrito, aderenza, coesione, peso e dimensioni.
Per durezza si intende la resistenza alla penetrazione del mezzo di scavo; questa dipende dalla
densità della massa e dalle caratteristiche cementanti del fine contenuto; le argille sono molto dure
se il contenuto di umidità è minimo e viceversa per l'azione lubrificante dell'acqua. L'attrito, con la
progressiva penetrazione della lama dell'attrezzo assorbe una percentuale sempre più elevata
della potenza della macchina mentre l'aderenza, o attitudine del materiale ad attaccarsi
all'attrezzo, é trascurabile nelle rocce e rilevante nelle terre fini e bagnate.
La coesione varia con la natura delle rocce: quelle stratificate tendono a sfaldarsi quando il mezzo
meccanico agisce tra gli strati a contatto.
Nei lavori stradali si usa suddividere le rocce a seconda delle difficoltà di escavazione in 2
categorie:
- Rocce tenere, decomposte, agglomerati e argille compatte che possono essere rimosse
soltanto con picchi, barre, demolitori, scarificatori ed escavatori a cucchiaio frontale di media e
grande capacità (da 1/2 m3 o più).
- Rocce dure, compatte, indecomposte che non possono essere rimosse se non a mezzo di
esplosivo.
Nella scelta del metodo di scavo, mentre è determinante la durezza della roccia, incidono altri
fattori quali:
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Tab. 4.2 – Caratteristiche macrofisiche delle rocce.
Per l’escavazione delle rocce del tipo a si usa l'escavatore a cucchiaio frontale quando l'altezza di
scavo è notevole, oppure le difficoltà del terreno o, ancora, i trasporti lunghi sconsigliano l'uso degli
scrapers che vengono invece utilizzati negli altri casi preceduti dal ripper, col compito di
sminuzzare i materiale per facilitarne il carico.
Per la escavazione delle rocce del tipo b si ricorre all'esplosivo; il materiale di risulta è rimosso col
bulldozer se il trasporto è breve ed è destinato a rifiuto oppure con gli scrapers quando il materiale
è sufficientemente frantumato mentre nella maggioranza dei casi si fa uso dell’ escavatore
meccanico che carica su dumpers.
A prescindere dalla classificazione della roccia, e conseguente applicazione del relativo prezzo
unitario di scavo, all'impresa si pone di frequente il problema se usare lo scarificatore oppure
l'esplosivo quando la durezza della roccia lascia aperta la scelta. Per quanto costoso si riveli il
dispositivo, !'impiego del ripper costa dal 50 al 70% in meno del lavoro ad esplosivi. Inoltre il
materiale scarificato si presenta più frantumato e caricabile dalle ruspe mentre quello ricavato
dall'uso dell'esplosivo, se non ulteriormente ridotto, è accessibile solo agli escavatori a cucchiaio
ed ai dumpers, più costosi delle ruspe.
E' comunque necessaria un’oculata scelta tra i 2 metodi (quando evidentemente la durezza della
roccia lasci dei dubbi) ricorrendo eventualmente all'uso parziale dell'esplosivo.
Un’analisi superficiale della roccia è in ogni caso la prima operazione da compiere tenendo
presente che:
- è difficoltoso scarificare le rocce ignee, quelle a grana fine ben cementate e le rocce non
cristalline;
- le rocce metamorfiche variano grandemente sotto questo aspetto dagli gneiss agli scisti, alla
quarzite etc. ed un giudizio probante deve espresso caso per caso;
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- non è tanto l'origine della roccia quanto il suo aspetto esteriore a contare: fratture, difetti di
continuità, presenza di piani di sfaldamento, granulometrie grosse o fini e presenza d’acqua a
livello saturazione sono tutti elementi che confermano una possibile scarificabilità.
Le analisi superficiali tuttavia non dicono molto degli strati più profondi e anche la prova diretta con
lo scarificatore, sempre ché lo scavo non superi m 1÷1.5 di profondità, può ingannare; è pertanto
più sicuro ricorrere all'indagine sismografica esistendo una ben definita relazione tra la velocità
delle onde sismiche ed i vari gradi di durezza della roccia come appare evidente dalla Tab. 4.3
dove sono riportati i valori normali.
Tab. 4.3 – Rapporto tra velocità sismica delle onde longitudinali e durezza della roccia.
E' da tener conto, peraltro, che le onde sismiche aumentano di velocità man mano ci si allontana
dalla superficie del suolo in quanto, generalmente, agli strati superiori si trovano le terre e le rocce
degradate e pertanto la durezza aumenta con la profondità.
Anche la velocità delle onde sismiche, tuttavia, può indurre in errore quando, ad es., si hanno
grossi massi o formazioni colonnari mescolati a terre sciolte per le quali risulta una velocità non
corrispondente alla reale situazione del sottosuolo.
Un esplosivo è una sostanza che, a mezzo d’idoneo trattamento a tempo appropriato, può
rapidamente convertirsi in un gas ad alta temperatura e che, espandendosi, viene ad occupare un
volume molte volte superiore a quello originale.
La rapidità con la quale la reazione ha luogo esercita un effetto dirompente sul materiale a contatto
dell'esplosivo tanto più efficace quanto più completo è tale contatto; in pratica ciò si ottiene
comprimendo l'esplosivo in fori di diametro adeguato e facendolo quindi reagire per mezzo di un
innesco.
- la potenza o effetto utile o contenuto d’energia in rapporto al peso; questa dipende dalla
velocità dell'onda esplosiva, dal calore di esplosione e dalla densità di carica: il potenziale
dell'esplosivo, valore teorico, è espresso in dinamodi (1 dinamodo = 1000 kgm);
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- la velocità di reazione (m/s): l'esplosione si propaga attraverso l'intera massa tramite le onde
esplosive; gli effetti pratici dipendono dall'onda fisica generata da quella esplosiva: negli esplosivi
da mina la velocità varia da 1.800 a 8.000 m/s.
Gli esplosivi possono essere classificati: da mina, da scoppio (prevalentemente per usi militari), di
sicurezza (senza fiamma e quindi utili nelle miniere) e detonanti (che agiscono per percussione,
urto od accensione).
- esplosivi detonanti: ad alta velocità (1-10 km/s) e pressioni ~200.000 atm. Si dividono in
primari o innescanti che detonano semplicemente all'urto (tra i più noti il fulminato di mercurio,
l'azotidrato di piombo, lo stifnato di piombo, il tetrazene, la nitromannite) e secondari, o da scoppio,
detti anche frantumanti o dirompenti che richiedono l'intervento di un detonatore primario
(nitroglicerina, nitrocellulosa, pentrite,T4, tritolo, tetrile, acido picrico, nitrato d'ammonio etc.)
- la nitroglicole: analoga alla precedente è però molto più volatile ed è usata nelle dinamiti
gelatinose eventualmente miscelata con citroglicerina;
- la nitromannite: viene utilizzata nei detonatori in quanto molto potente ed è ancora meno stabile
della nitroglicerina;
- la pentrite: si trova allo stato solido cristallino; è stabile, potente e tra gli esplosivi più dirompenti;
detona facilmente e viene usata nelle micce;
- il tetrile: abbastanza stabile ma sensibile all'urto è usato come detonatore in miscela col TNT;
- l'exite: è una polvere giallo-bruna simile alla precedente ma meno sensibile all'urto;
- il T4 o anche RDX o, ancora, cyclonite: é solido, bianco, ad alto punto di fusione; è poco solubile
ed abbastanza stabile; viene impiegato come innescante o, se mescolato al 30÷50% col tritolo,
viene usato nelle cave e per scopi militari;
- il fulminato di mercurio; con gli azotidrati, è un esplosivo detonante molto sensibile allo
sfregamento ed utilizzato nelle capsule dei detonatori:
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- lo stifnato di piombo è molto sensibile allo sfregamento ed alla scarica elettrica: non è mai
usato da solo;
- la polvere nera o pirica (75% di nitrato potassico,15% di carbone e 10% di zolfo): è un esplosivo
da lancio: non detona ma brucia rapidamente; è oggi d’impiego molto limitato;
- gli esplosivi al clorato comprendono le note chedditi (70÷80% di clorato di potassio aggiunto a
sostanze riducenti);
- gli esplosivi al plastico sono a base di RDX o cyclonite (85÷90%), poli-isobritene ed agenti
tensioattivi; possono rivelarsi adattati in cavità etc.
- le gelatine esplosive sono una miscela di nitroglicerina e cotone collodio: la gomma A contiene
il 92% di nitroglicerina e l’8% di cotone; si presenta in pasta ed è forgiata in cartucce; per i lavori da
mina si aggiunge il nitrato potassico che attenua la violenza dell'esplosione; è molto potente
sviluppando un volume di gas 1.350 volte il proprio volume iniziale: viene usata anche nei lavori
subacquei; la gelignite ammonica al 74% ed al 60% è usata, specie quest'ultima, nelle zone
molto umide e dove gli esplosivi debbono essere conservati per molto tempo in condizioni
ambientali avverse.
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Tab. 4.4 – Esplosivi da mina comunemente usati in Italia.
Gli esplosivi sono disponibili in cartucce di carta o di plastica (Tab. 4.4) in tubi rigidi di plastica
oppure sciolti.
Le cartucce di carta sono usate per lavori da mina a scala ridotta: piccoli fronti di cava, trincee per
tubazioni e cunicoli; le cartucce di plastica sono più adatte per fori di largo diametro e forniscono
una elevata concentrazione di carica al fondo del foro.
Gli esplosivi sciolti sono allo stato liquido e richiedono speciali inneschi perché difficili da detonare;
sono adatti per fronti di cava di eccezionali dimensioni con fori di diametro di almeno 150 mm.
Un esplosivo sciolto molto usato è l'ANFO (ammonium nitrate fuel oil) per la sua economicità.
Tab. 4.5 – Varietà delle cartucce nei diversi lavori da mina e dimensioni usuali delle medesime.
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4.2.4 - Criteri di scelta degli esplosivi
La formazione di roccia da abbattere è quella che detta il tipo di esplosivo più efficace ed
economico da usare. Tenendo conto che gli esplosivi leggeri e lenti tendono a sollevare la roccia
ed a spostarla lateralmente mentre quelli ad alta velocità provocano una forte frantumazione locale
mentre i gas generati espellono i detriti provocati dall'esplosione senza troppo interessare i lati ed il
retro, è opportuno ricordare che:
- rocce fessurate a strati orizzontali di circa 30÷50 cm richiedono fori distanti tra loro ed esplosivi
lenti con alto volume di gas;
- velocità e densità dell'esplosivo debbono, possibilmente, andare di pari passo con la velocità
sismica e la densità della roccia da abbattere anche se la velocità sismica (onde L) di molte rocce
non eccede i 4800 m/s mentre esistono parecchi esplosivi con velocità superiori. Tenendo conto
anche della densità, infatti, vale la seguente esemplificazione: un granito con vs = 4500 m/s ed una
densità di 2.6 dà un coefficiente 4500 2.6/103 = 11.7 mentre un dato esplosivo con velocità
detonante = 5250 m/s ed una densità nel foro di 1.3 dà un coefficiente 5250 1.3/103 = 6.8 e
pertanto troppo basso;
- l'esistenza di piani inclinati od orizzontali nella roccia è vantaggiosa agli effetti dello
spezzettamento specie se vicini e richiede inoltre un esplosivo leggero; le fratture verticali hanno
un comportamento analogo;
- quando si abbatte roccia da passare al frantoio per ottenerne pietrischi, è opportuno impiegare
esplosivo ad elevato potenziale per una maggiore frantumazione e, conseguentemente, una
maggior percentuale di elementi a granulometria più fine.
La velocità di combustione è fissata per ragioni di sicurezza in 90÷110 s per m di miccia e deve
mantenersi tale anche dopo immersione in acqua 24 h.
La lunghezza della miccia va regolata in rapporto al tempo a disposizione per portarsi in zona di
sicurezza dopo l'accensione e quindi in ragione del numero delle cariche da accendere nella
medesima volata, delle difficoltà del terreno etc.; lunghezze di 1.0÷1.8 m sono comuni e per
distinguere rapidamente gli spezzoni di diversa lunghezza si usano differenti colori.
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Fig. 4.14 – Tipi di detonatore e collegamento del sistema a miccia.
I detonatori elettrici si differenziano dai precedenti per avere due fili conduttori uniti alle loro
estremità da una sottile resistenza imbevuta di una composizione simile a quella delle teste dei
fiammiferi (Fig. 4.14b: dove 5 sono i fili o reofori; 6 il cappuccio di piombo; 7 la resistenza e 8
l’elemento ritardante).
Resistendo ad elevate pressioni idrostatiche sono adatti anche in immersione. I detonatori elettrici
possono essere del tipo istantaneo o ritardato; di quest'ultimo tipo si distinguono quelli lenti
(ritardi dell'ordine di 0.1÷1.0 s) e rapidi (OMS) il cui ritardo si misura in millesimi di secondo (ms).
I vari ritardi sono necessari per poter intervallare opportunamente le esplosioni nei fori (vedi
paragrafo 4.2.9). In commercio, i vari tipi di detonatori elettrici si riconoscono per le diverse sigle e
colori: ad esempio un detonatore istantaneo porta la sigla BRW col colore bianco; un detonatore
con ritardo di 80 ms porta la sigla MIZP80 ed una fascetta blu a due tonalità.
c) Gli accenditori, usati per accendere le micce, consistono di una miscela infiammabile pressata
in cilindretti di cartone lunghi 20-25 cm e del diametro di 1 cm con un’estremità in legno per evitare
ustioni. Durano ~4 minuti consentendo pertanto l'accensione di numerose micce e 30” prima di
spegnersi, la fiamma cambia colore.
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Fig. 4.15 – Attacchi con miccia detonante.
d) Cappucci e cordino: i primi sono dei cilindretti metallici muniti di appiglio che vengono fissati
all'estremità delle micce fuoriuscenti dai fori, il secondo è un cavetto plastificato che viene fatto
passare in successione per i vari appigli di una serie di cariche. Mediante la polvere nera
contenuta nel cordino, è possibile dar fuoco a svariate micce accendendone una sola; il sistema è
molto usato quando, ad es., si debbano minare svariati massi sparsi in quanto evita all’artificiere di
tralasciare accensioni.
e) Gli esploditori (blasting machines) sono dei generatori di corrente portatili: una dinamo
azionata da una manovella fornisce l'energia elettrica per fare azionare più detonatori.
Ne esistono di svariate capacità dai piccoli (450 V/160 Ω, sufficienti per 30 detonatori) ai maggiori,
sufficienti per 400 detonatori.
Una volta sgombrata l'area interessata da macchinari, attrezzi etc. si procede al caricamento dei
fori ognuno dei quali va preventivamente ispezionato con un bastone per accertarsi dell'assenza di
ostruzioni; le cartucce vanno poi infilate pressandole ognuna col bastone.
In nessun caso si deve lasciare l'esplosivo esposto per rottura dell'involucro. Riempito per 2/3 il
foro si tampona con sabbia o argilla (borraggio o stemming) e se l'accensione della miccia avviene
a mano se ne dispone l'estremità fuoriuscente in modo da facilitare l'operazione ricorrendo ad un
nodo o collegando più micce tra loro.
L'accensione delle micce viene iniziata solo dopo le opportune segnalazioni di sicurezza.
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4.2.6.2 - Impiego della miccia detonante (cordoncino, cordtex etc.)
Il diametro della miccia così formata è di 5 mm, con un peso di 25 g/m; tale confezione ne
permette una lunga durata anche se conservato in avverse condizioni. La velocità di detonazione è
dell'ordine di 6.500 m/s; la miccia detonante può essere maneggiata con sicurezza, non si
accende, infatti, alla fiamma, difficilmente può detonare se esposta al calore e richiede, pertanto, il
detonatore (comune o elettrico) che va fissato col fondo rivolto alla carica di esplosivo mentre la
miccia può essere fissata alla cartuccia con nastro adesivo.
Utilizzando il caricatore pneumatico per introdurre le cartucce nei fori, al vantaggio della rapidità si
unisce la maggior sicurezza ed efficienza. Il dispositivo si rileva utilissimo per i caricamenti
subacquei e per fori molto profondi per i quali non è necessario rimuovere il cappellaccio.
Il suo uso prende via via maggior diffusione nei lavori in galleria anche perché dà modo di
conoscere, sopratutto se si tratta di rocce fratturate, se il foro è ostruito prima di iniziare il
caricamento. I caricatori operati a mano sono composti:
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- da una valvola di riduzione (3 atm con un max di 10 atm) per il collegamento col compressore
d'aria ed una valvola a pedale per scaricare l'eventuale eccesso di pressione nel tubo flessibile;
- da una bocca di carica (Fig. 4.17) provvista di un portello che si chiude automaticamente
quando s’immette l'aria compressa;
Per le operazioni di caricamento il tubo va introdotto fino a fondo foro. Immettendo nel circuito l'aria
compressa questa spinge le cartucce (10 m/s) fino al getto dove, essendo il diametro interno del
tubo pari a quello della cartuccia, la velocità diminuisce, le lame dei coltelli tagliano l'involucro e
l'esplosivo viene così pressato alla massima densità (~ 1.5 kg/dm3).
Fig. 4.17 – Caricamento pneumatico dei fori: in A la bocca di caricamento nel tipo semi-automatico; in B il getto con
visibili i 3 coltelli.
Più sofisticato è il robot loader (Fig. 4.18) che mediante un movimento alternativo (corsa 10÷15
cm) di un pistone contenuto in un cilindro, introduce le cartucce in continuazione comprimendole
lungo il foro proporzionalmente alla pressione dell'aria; in tal modo è possibile ottenere una
maggiore densità di esplosivo al fondo rispetto alla colonna. L'apparecchiatura consente anche di
introdurre la cartuccia-innesco col relativo detonatore.
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Fig. 4.18 – Dispositivo Robot Loader.
L’accensione elettrica é basata sul principio del riscaldamento di una resistenza elettrica alla
temperatura necessaria per accendere una miscela detonante con la quale è a contatto.
I detonatori possono essere connessi in parallelo o in serie (Fig. 4.19) a seconda del tipo di lavoro
che s’intende eseguire.
Fig. 4.19 – Circuiti elettrici 1 e 2: connessione dei fori in parallelo semplice e bilanciato; 3 e 4: connessione in serie; 5:
connessione in serie di 3 file di fori.
II collegamento in parallelo si distingue dal secondo per il fatto che i detonatori formano ognuno
un circuito collegato al principale mentre, come si rileva dalla figura, nel collegamento in serie si
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ha un solo circuito; ne consegue che richiedendo ogni detonatore 500 mA la corrente richiesta è
troppo elevata per comuni esploditori. Il metodo è impiegato in grandi operazioni dove la velocità è
essenziale; è anche molto usato nell’escavazione delle gallerie (circuito in parallelo ad anello di cui
alla Fig. 4.20).
Nei circuiti in serie il diverso colore dei due spezzoni uscenti dal foro evita la possibilità di
dimenticare la connessione di qualche foro; si può rapidamente controllare il circuito col
galvanometro ed è facile individuare un collegamento difettoso.
Il calcolo del circuito è basato sulla Legge di Ohm (I = E/R) dove I è l’intensità di corrente (A), E la
ddp (tensione) (V) ed R la resistenza (Ω).
Se una ddp di 220 V viene applicata ai capi di un circuito che oppone una resistenza di 5 Ω,
l'intensità della corrente passante è pari a 220/5 = 44 A.
Si abbia, ad es., un circuito con 75 detonatori (6 m di filo ognuno) connessi a 120 m di filo del
numero 14 e due fili del numero 12, ognuno di 300 m, del collegamento principale.
Nel collegamento in parallelo è norma concedere 0.5 A per detonatore; pertanto: 75 x 0.5 = 37.5 A.
Quando i detonatori sono collegati in parallelo la loro resistenza totale è pari a quella di uno
singolo diviso per il loro numero: 1,74/75 = 0,0232 Ω e pertanto ininfluente (in pratica non la si
tiene in considerazione). La resistenza del filo di collegamento secondario è usualmente calcolata
su metà della sua lunghezza e pertanto: 120/2 x 8/103 = 0.5 Ω, mentre quella dei due fili principali
è: 2x300 x 5.3/103 = 3.2 Ω; la resistenza totale è quindi 0.5 + 3.2 Ω = 3.7 Ω.
La potenza richiesta per questa volata è (almeno in teoria): (37.5)2x3 7 = 5.2 kW.
Nel caso di circuito in serie, viceversa, si abbia, ad es., un circuito di 50 detonatori elettrici collegati
da due fili del numero 14 di 300 m ognuno: ogni detonatore ha 6 m di filo di rame ed una
resistenza di 1.74 Ω (Tab. 4.6).
Con un collegamento in serie la corrente deve essere almeno 1.5 A; il voltaggio richiesto per
qualsiasi serie si ottiene calcolando la resistenza totale del circuito e moltiplicandola per 1.5 A e
quindi: 50x1.74 = 87 Ω per i detonatori, 2x300x2.5/103 = 5 Ω per il filo; in totale 92 Ω mentre il
voltaggio richiesto è pari a 92x1.5 = 138 V che rappresenta la caduta di tensione nella volata
portando alla conclusione che un generatore da 220 V è più che sufficiente.
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La potenza (teorica) richiesta è allora pari a (1.5)x92 = 207 W.
Tab. 4.6 – Resistenze dei fili di rame e d’alluminio (sx) e Resistenze dei detonatori con filo di rame.
E' la tecnica, chiamata in campo internazionale a short delay, per la quale serie di cariche vengono
fatte esplodere, secondo un programma prestabilito, in tempi diversi con intervalli (delays) che
vanno da 5 a 40 ms a seconda del tipo di lavoro che s’intende realizzare.
- aumento della frantumazione della roccia e maggiore uniformità di pezzatura nei lavori di cava;
- riduzione delle vibrazioni e del rumore, apprezzabile quando si lavora vicino a centri abitati;
- riduzione del cosiddetto back-break, cioè degli effetti dell’esplosione oltre la superficie prevista
del taglio;
- economia nella perforazione dei fori e nell'esplosivo per le maggiori distanze consentite tra i fori
stessi.
24
I detonatori a tempo possono essere collegati in serie e fatti esplodere con un comune esploditore
oppure con la corrente di rete.
I relè detonanti sono usati assieme alla miccia detonante, inseriti sul circuito di questa tra fori o
gruppi di fori adiacenti fornendo un ritardo di 17÷20 ms nella propagazione dell’esplosione
attraverso la miccia al punto d’inserimento. Sono sicuri e di facile uso; offrono, inoltre, la possibilità
di infinite combinazioni.
Per conseguire i migliori risultati nelle tecniche precedentemente descritte è utile seguire le regole
seguenti valide nella maggioranza dei casi:
- più breve è l'intervallo di tempo tra l'accensione delle successive cariche e maggiore è il grado
di frantumazione della roccia; tale intervallo deve comunque essere tanto breve da permettere la
rottura e lo spostamento della roccia prima che sia cessato l'effetto dell’esplosione precedente in
ogni direzione; il suo valore è dell'ordine di 5÷3 ms dipendentemente dalla formazione rocciosa e
dallo schema circuitale;
- due o più cariche contigue, sia di lato che in profondità non dovrebbero mai esplodere con-
temporaneamente;
- l'intervallo tra i fori deve essere almeno ≥ 35 cm (Fig. 4.22) ad evitare la rottura tra foro e foro;
- la profondità del foro deve eccedere tale misura per evitare il cosiddetto effetto a cratere e
conseguente deformazione del fronte.
Le cause del mancato funzionamento dei congegni di un circuito sono quasi sempre da attribuire:
- ad eccessive resistenze nel circuito per connessioni difettose, cavi troppo lunghi o di sezione
inadeguata;
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- a perdite di corrente tra uno dei cavi principali ed un punto del circuito oppure nel sistema delle
connessioni ai detonatori;
- a corti circuiti di alcuni detonatori in serie dovuti a fili non ben isolati o a contatto.
Nel controllo del circuito s’ispezionano dapprima a vista i fili; qualora non si notasse alcun
apparente difetto si procede per eliminazione controllando prima i cavi principali per constatare se
l'interruzione è in questi oppure nei circuiti dei detonatori.
Se l'interruzione è nei fili conduttori ad un detonatore entro il foro si rimuove prima il tampone e si
inserisce una nuova cartuccia-innesco connettendo i relativi fili al circuito dopo aver staccato quelli
difettosi. Quando si verifica la mancata accensione di una o più cariche, prima di procedere ad una
verifica, è obbligatoria l'attesa per almeno 15 minuti.
26
4.2.11 - Distruzione degli esplosivi
Può essere a volte necessario distruggere esplosivo deteriorato oppure cartucce danneggiate etc.
Premesso che si dovranno seguire scrupolosamente le norme locali, le aree più adatte sono quelle
sabbiose evitando possibilmente pietraie o zone a densa vegetazione.
I detonatori, tagliati prima i fili se elettrici o la miccia fuoriuscente, si avvolgono in un pacco di carta
con un detonatore in buone condizioni o una cartuccia-innesco; quindi si pone il pacco in una buca
e si fa esplodere.
Un altro metodo è quello di scavare una piccola trincea da riempire con segatura mettendo poi i
detonatori in fila distanziati di circa 10÷20 cm; si spande successivamente petrolio (non benzina) e
si dà fuoco.
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4.3 – Tecniche di scavo in roccia nelle cave e nella costruzione di strade
Nell’ambito delle attività di un cantiere applicato al movimento terra non è compresa, in generale,
la presenza di un laboratorio attrezzato per la valutazione dei parametri geomeccanici in grado di
definire qualità e caratteristiche di una roccia e stabilirne, di conseguenza, i criteri di perforazione
in funzione dell'esplosivo che sarà impiegato per abbatterla.
Non rimanendo che il rilevamento speditivo è opportuno rammentare che sono 4 gli aspetti da
rilevare in una roccia: durezza, tessitura, caratteristiche di rottura e tipo di formazione.
Per durezza s’intende la resistenza che una superficie levigata offre alla abrasione con riferimento
alla nota Scala di Mohs; per quanto riguarda le rocce più dure, un pezzo di vetro scalfisce una
roccia di durezza fino al grado 6 di tale scala; un pezzo di quarzo fino a 7 mentre una punta di
roccia di durezza pari ad 8÷9 scalfisce il vetro ed il quarzo (ma è già difficile incontrarla nei lavori
da mina). Nelle prove occorre accertarsi che effettivamente sia scavato un solco nella superficie
esaminata estendendo inoltre il tentativo a varie parti del campione potendo influire sia la diversa
direzione che la presenza di altri minerali.
Per quanto riguarda la tessitura e con riferimento alla velocità di perforazione, le rocce possono
essere divise in 5 categorie:
- rocce granulari, contenenti frammenti consolidati sparsi (durezza 3÷4) che richiedono velocità
da rapide a medie;
- rocce a tessitura molto fine (tipo selce) che si perforano meglio a media-bassa velocità;
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- rocce dense in cui non si distinguono i granuli, usualmente molto dure e per le quali sono
consigliabili le basse velocità.
Un campione, colpito col martello, si anche distingue per i diversi modi di rottura:
- se si spacca con un leggero colpo in pezzi minuti richiede alta velocità di perforazione:
- a strati inclinati o contorti: bassa-media velocità per la tendenza che ha il fioretto a seguire
l'andamento dello strato;
- molto fratturata, con larghe aperture : si richiede bassa velocità; è facile inoltre che il fioretto si
inceppi e che il foro si ostruisca.
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4.3.2 - Scavo con esplosivo nelle cave
Nelle cave è reperito il materiale che attraverso i frantoi fornirà il pietrisco nelle varie pezzature.
- eventuale disboscamento e rimozione del cappellaccio per mettere a nudo la roccia madre;
- lavori da mina primari coi quali si riduce la roccia compatta in detriti di dimensioni variabili;
- lavori da mina secondari(o alternativi) per ridurre le dimensioni dei massi troppo grossi peri il
trattamento ai frantoi;
La seconda fase, che è la più complessa, ha inizio con la formazione di una faccia (Fig. 4.22-A1)
da sviluppare con le successive volate in un unico fronte di cava (Fig. 4.22-A2-3) oppure a gradoni
(Fig. 4.22-B2) a seconda del tipo di roccia, della morfologia del terreno, dell’utilizzazione del
materiale e dell'equipaggiamento disponibile.
E' sempre opportuna, all'inizio dei lavori, la ricerca di un eventuale letto o frattura orizzontale da
utilizzare come piattaforma operativa sia per le successive volate che per il carico materiale.
L'avanzamento a fronte di cava unico se, come spesso avviene, si sviluppa su un pendio in salita
diventa ad un certo punto pericoloso per l'eccessiva altezza; questa può anche raggiungere i
30÷40 m anche se è consigliabile evitare tali valori sia con una opportuna scelta dell'orientamento
del fronte che ricorrendo ai gradoni i quali peraltro creano notevoli problemi di rampe e accessi.
Nei fronti unici d'altezza rilevante (> 9÷10 m) che si estendono su tutta la larghezza della cava
(soluzione adottata quando si richiede un’elevata produzione di aggregati) il lavoro da mina
primario viene effettuato saltuariamente, anche solo 3÷4 volte l'anno, ottenendo un effetto maggior
oltre ad una più grande sicurezza operativa.
In un fronte di cava lo spessore dello strato verticale di roccia compreso tra la faccia libera e la fila
dei fori verticali e, di conseguenza, lo spessore che viene abbattuto con la volata viene detto piede
o burden; e sfondo se in galleria.
30
La perforazione, per piccole altezze di fronte, può essere orizzontale od obliqua; in entrambi i casi
viene spinta normalmente ad un livello 5÷10% oltre il previsto piano di frattura.
Anche nella perforazione verticale si adotta tale eccesso sempre che non esista una frattura
orizzontale al piano di cava nel qual caso l'extra perforazione sarebbe dannosa.
Ad evitare una scarsa frammentazione della roccia e per ottenere un regolare arretramento del
fronte, quest'ultimo deve mantenersi verticale così che il piede sia costante sia alla base che in
sommità. Per raddrizzare un fronte, un metodo comunemente usato è quello delle buche di
serpente (U in Fig. 4.23) costituite da fori orizzontali o leggermente inclinati verso il basso alla base
del fronte da brillare contemporaneamente ai fori verticali.
A titolo indicativo, il piede deve risultare, grosso modo, pari all'intervallo tra i fori e ~2/3 dell'altezza
del fronte. Tuttavia i 2 valori sono funzione della natura e densità della roccia, del tipo d’esplosivo e
della sua quantità, del diametro dei fori e, infine, della tecnica usata.
Il calcare è, usualmente, una roccia di media durezza ma sovente tenace e a volte spugnosa; in
questi casi una buona distribuzione dei fori, e quindi dell'esplosivo, risulta essenziale per una
frammentazione soddisfacente.
L'arenaria, viceversa, è porosa, tenace ed è frequentemente più dura da spaccare del calcare.
L'intervallo deve essere scelto in rapporto alla carica per ogni foro ed il cosiddetto sistema di
perforazione sbilanciato per il quale gli intervalli sono maggiori dei piedi è considerato oggi molto
efficace specie per formazioni massicce di roccia.
Tipici schemi di perforazione nel calcare sono: intervallo 6 m e piede 4.2 m con diametro del foro
5÷6.5" per fronti di 9÷15 m e, rispettivamente, 7.2 m e 4.8 m per fronti di 15÷23 m con
un’eccedenza della profondità dei fori, rispetto al piano cava, di 80÷150 cm per tener conto anche
della fanghiglia e della polvere prodotta con la perforazione accumulatisi al fondo.
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La perforazione viene eseguita su un’unica fila eccetto che per fronti < 6÷12 m dove 2 o 4 file sono
più frequenti per fornire una maggior quantità di materiale all'escavatore.
Nei fronti di cava < 12 m d’altezza s’impiegano per la perforazione i wagon-drills con fori da 2.5÷4"
purché la roccia non sia troppo aperta o stratificata.
Dovendo scegliere tra questi diametri e quelli maggiori è necessario tener conto che, stante la
piccola differenza nella quantità percentuale dell'esplosivo riferita all'unità di roccia, è da preferire il
diametro col costo di perforazione minore tenendo tuttavia presente che, dove la roccia è dura, la
migliore distribuzione dell'esplosivo (quindi minori diametri ) si rivela più vantaggiosa.
L’utilizzazione di una singola fila di fori è la regola specialmente nelle rocce dure in quanto un
numero maggiore accumulerebbe ad ogni volata troppo materiale di difficile maneggio e
renderebbe più problematico mantenere il fronte.
Sempre per quanto concerne i grandi fronti di cava, è molto in uso la perforazione detta deep hole
ottenuta con macchinario non più a percussione ma a rotazione con punte a coni rotanti provvisti di
bottoni al carborundum che scheggiano la roccia mentre l'aria, spinta a pressione lungo il fioretto,
porta in superficie i detriti; alternativamente si usa la perforazione a rotazione idraulica, con
immissione di fango nel foro, anche se quella ad aria è preferita perché più semplice, di maggior
velocità e minor consumo delle punte.
La scelta dei compressori d'aria con entrambi i metodi deve tener conto della pressione e del
volume richiesti. La prima è molto importante nel deep hole in quanto deve vincere anche la
resistenza della pressione statica causata dall’eventuale colonna d'acqua che si forma nel foro e
che può essere assunta, in bar, al 10% dell'altezza della colonna (pertanto per 40 m d’altezza la
pressione è 4 bar o ~ 4 kg/cm2).
Ulteriori funzioni dell'aria sono quelle di raffreddare e tener pulita la punta e far salire i detriti di
roccia, operazioni, queste, in cui ha valore il volume d'aria immesso e lo spazio anulare tra aste e
foro. Esiste, infatti, una velocità minima dell'aria (normalmente 900 m/min) al disotto della quale i
detriti non possono essere eliminati; la velocità ottimale può essere calcolata con la formula
empirica: (V (m3) x 104)/spazio anulare (m3) nella quale V rappresenta il volume d’aria al minuto
fornito dal compressore all'attrezzo. Un calcolo speditivo, per i comuni diametri di foro ed asta, può
essere eseguito con la Tab. 4.9.
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Tab. 4.9 – Relazioni tra Ø aste, Ø fori, Volumi d’aria e Velocità di perforazione.
L'esperienza indica che, in via di massima, una quantità pari a 0.5 kg d’esplosivo ad alto
potenziale è in grado capace di rompere da 1 a 3 m3 di roccia e pertanto, in mancanza di altre
indicazioni, per la prima volata si può adottare il rapporto 0.5 kg per 1.5 m3 dopodiché è possibile
osservare il grado di frammentazione ottenuto oltre alla forma del cumulo di detriti e quindi
adottare le modifiche più opportune.
Per quanto concerne la gradazione dell'esplosivo è preferibile, per rocce dure, partire a valori ~
40% per aumentare il livello al 50÷60% a cava avviata. Dalla quantità di esplosivo per m3 di roccia,
stabilita la carica per buca, si calcola il piede e l'intervallo dei fori.
Tab. 4.9 – Relazioni tra Ø fori, Ø cartucce da usare e peso dell’esplosivo per metro lineare di foro.
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Tab. 4.10 – Valori del piede e dell’intervallo in m in rapporto ai m3 di roccia spostata per m lineare di foro.
Esempio di calcolo
Sia un fronte cava alto13.5 m in granito; diametro dei fori 75 mm; esplosivo → gelignite 60% in
cartucce di 55 cm di lunghezza e 62 mm di diametro; peso 1.2 kg. Si presume che i fori siano
borrati per 1/5 dell'altezza del fronte e quindi ~2.7 m per cui l'altezza della colonna d’esplosivo,
tenuto conto di un valore extra perforazione del 10%, risulta pari a 12.15 m.
eguagliato alla relazione (peso esplosivo per foro = peso esplosivo/min x 0.90 H) dà:
P x S = 1.56 √peso/mlin
Assumendo per semplicità P = S ed essendo il peso della gelignite pari a 4 kg/mlin si ottiene:
P = S = ~3.1 m mentre il Peso dell'esplosivo per buca è pari a (4 x 12,15) = 48.6 kg.
Nella scelta del diametro della cartuccia in rapporto a quello del foro si deve tener conto che se
troppo piccolo, il vuoto risultante limita la resa dell'esplosivo; per contro, se la cartuccia forza nel
foro si perde tempo nel caricamento.
La Tab. 4.11 fornisce valori comprensivi del fatto che anche la miccia deve trovar posto nel foro.
Tab. 4.11 – Lavori da mina. Dati speditivi per fronti di cava fino a 9÷10 m d’altezza.
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4.3.5 - II lavoro da mina secondario
In tutte le cave, dopo ogni volata, è invariabilmente necessario un ulteriore lavoro di riduzione degli
elementi di roccia che si sono staccati dal fronte di cava conservando dimensioni eccedenti la
capacità dell'escavatore ed ancor più del frantoio primario. I metodi impiegabili sono 3:
a) Con l'impatto, a mezzo di un maglio d’acciaio del peso di 500÷4000 kg che, sospeso o fissato
ad un braccio, viene fatto cadere sul masso da frantumare;
b) Con l'esplosivo, senza ricorrere alla preventiva perforazione. E' un metodo applicabile solo
quando i massi sono pochi risultando troppo oneroso portare in sito martelli, compressore etc. in
quanto l'effetto non risulta spesso proporzionale alla carica d’esplosivo applicata. Si può porre
direttamente l'esplosivo in una cavità naturale del masso coprendolo poi con argilla (Fig. 4.24A)
nel qual caso una carica di 0.2 kg di dinamite rompe un masso di circa 0,15 m3 ed una di 0.6 kg un
masso di circa 0.5 m3 (la stessa quantità di esplosivo, se agisce all’interno della massa produce
effetti 5÷10 volte maggiori); oppure si può infilare la carica in un foro praticato sotto al masso (Fig.
4.24B) con effetto più accentuato.
c) Con l'esplosivo previa perforazione degli elementi da ridurre. E' il metodo applicato nella
maggioranza dei casi anche perché, dopo la volata principale, è spesso necessario regolarizzare il
fronte di cava con buche di serpente o con operazioni analoghe. S’impiegano normalmente i
martelli perforatori a mano con fioretti da 1÷1.2”. Data l’irregolare disposizione dei massi è
necessaria la massima attenzione per non dimenticare di perforare qualche masso che
ostacolerebbe in seguito le operazioni di carico, oppure per non lasciare qualche foro vuoto al
momento della carica (col medesimo inconveniente) ed infine per non lasciare cariche inesplose o
perché dimenticate nell’accensione a mano o perché non collegate al circuito principale nella
accensione comandata. Con l'accensione manuale di ogni singola carica si utilizza la miccia
comune, tagliata in spezzoni di lunghezza tale da lasciare tempo ai minatori di attivare tutte le
cariche; a tale proposito si rammenta come risulti buona norma usare 2 detonatori-segnale con
miccia più corta di quelle impiegate nelle cariche con il compito di preavviso.
L'accensione mediante circuito elettrico è sempre consigliabile quando le mine sono numerose in
quanto è possibile individuarle con calma e collegarle al circuito principale effettuando eventuali
controlli prima dell’attivazione che può realizzarsi con la tensione normale (220v) dell'impianto
fisso di cava o tramite esploditore.
Un terzo metodo, che ovvia agli inconvenienti del primo ed alla possibilità di accensioni premature
per tempo perturbato o per altri impulsi esterni come può accadere coi circuiti elettrici, è quello che
utilizza una speciale miccia rapida (ad es. quarrycord DuPont) attivabile con qualsiasi fiamma e
che brucia alla velocità di 1 metro ogni 3 secondi ed alla quale si collegano le micce comuni
fuoriuscenti dai massi (Fig. 4.26).
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Fig. 4.25 – Impiego della tensione di rete per detonare circuiti elettrici in impianti fissi.
Una importante precauzione con questo metodo è di assicurarsi che tutte le micce siano già
accese prima dello scoppio della prima carica per evitare che sassi volanti trancino qualcuna di
esse lasciando le relative mine gravide.
Nell’escavazione per formare una sede stradale, a seconda della profondità del taglio in roccia, si
può procedere per fronte di cava oppure, più frequentemente e per spessori massimi di qualche
metro, con la perforazione verticale della superficie di roccia esposta procedendo, se è il caso, per
successivi strati.
In entrambi i casi la frantumazione della roccia va sempre portata oltre (25÷30 cm) il piano
d’appoggio del pavimento (che sarà temporaneamente anche il piano d’operazione dell' attrezzo
escavatore) in modo che lo strato di fondazione così formato coi detriti possa essere costipato alla
quota di progetto; conseguentemente i fori, a seconda del tipo di roccia, esplosivo etc. dovranno
sopravanzare tale piano d’appoggio di almeno 50÷60 cm.
Il materiale sciolto e la roccia degradata vengono prima asportati con gli scrapers intervenendo col
ripper ogni qual volta il terreno diventi troppo duro; messa a nudo la superficie rocciosa si sceglie il
metodo di perforazione in base allo spessore della roccia ed alla sua conformazione tenendo
presenti le esigenze dell'escavatore e, soprattutto, dei mezzi di trasporto impegnati a portare i
detriti nei luoghi prestabiliti.
Difficilmente si possono utilizzare gli scrapers nel trasporto di tali detriti per le difficoltà di carico.
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Fig. 4.27 – Schema di perforazione di una trincea stradale: a) miccia comune; b) detonatore di partenza; s) detonatori a
tempo; P) piano appoggio pavimento; G) limite del taglio.
Operando per strati orizzontali, lo spessore più economico da rimuovere volta per volta è di 5÷6 m
quando s’impiegano i wagon-drills; il cumulo è così sufficiente per riempire il cucchiaio
dell'escavatore con una sola manovra. Chiaramente se lo spessore totale da rimuovere è poco di
più vale la pena rimuovere l'intero strato in una volta sola.
Nei tagli profondi, dell'ordine di 15 m e più, è conveniente l'apertura di un fronte con perforazione a
grande diametro (60÷120 mm) e 2 o 3 file di fori attraverso tutta la sezione stradale per ogni volata.
Laddove si rivelasse fattibile (strade a 4 e più carreggiate) la convenienza è maggiore nell'apertura
di un fronte parallelo all'asse stradale.
Per quanto attiene alla quantità di esplosivo da usare, a titolo indicativo, in presenza di arenaria o
calcare di media durezza, impiegando dinamite al 40%, ne occorrono circa 450 g/m3 di roccia.
Se si tratta invece di scisti, soprattutto se laminati, possono essere sufficienti anche 200 g.
I valori si riferiscono al procedimento per strati orizzontali; con il fronte di cava la quantità richiesta
di esplosivo è minore.
II taglio in roccia lungo un piano stabilito, quale può essere una scarpata, risulta sempre
difficoltoso sopratutto se la roccia non è d’uniforme consistenza o si mostra stratificata, in quanto
l'esplosivo ha effetti diversi nelle diverse zone col risultato di disporre una superficie irregolare
sovente non accettata dalla direzione lavori in quanto antiestetica e comunque onerosa per
l'impresa cui spetta il compito, non remunerato, di rimuovere i detriti derivanti dagli eccessi di
scavo (overbreak) che si verificano spesso dove la roccia è meno compatta nonché gli spuntoni
rocciosi rimasti qua e là dove la roccia era più dura.
Il fenomeno, cui è sempre stato difficile porre rimedio, è oggi maggiormente controllato mediante
una oculata disposizione dei fori e delle cariche di esplosivo. Le tecniche correnti di controllo dell'
overbreak sono:
a) Metodo della perforazione marginale che consiste nell'eseguire delle linee di fori di piccolo
diametro a distanza ravvicinata, la più esterna coincidente col piano di taglio previsto così da
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ridurre la resistenza. I fori esterni non sono caricati mentre le linee intermedie vengono caricate
solo a metà. I migliori risultati si ottengono su rocce omogenee e ben consolidate. La minima
distanza richiesta tra i fori, tuttavia, rende costosa la procedura.
b) Metodo del cuscinetto (trim-blasting) che è usato quando la roccia è poco consistente ed
allentata. Consiste nel perforare e brillare le cariche interne così da rimuovere il grosso della roccia
per poi perforare lungo la linea di scavo una fila di piccoli fori alternati ad altri di maggior diametro;
soltanto questi ultimi vanno poi caricati e brillati utilizzando esplosivo di limitata potenza ma ben
distribuito lungo i fori. Il metodo presenta l'inconveniente che il macchinario da perforazione deve
essere rimosso dopo la prima operazione e quindi riportato in sito per la seconda.
c) Metodo del taglio anticipato (pre-splitting): è il più usato in campo stradale e consiste nel
perforare come in a). I fori ravvicinati al limite dello scavo vanno però caricati e brillati prima di
quelli interni così da fratturare in precedenza la superficie di taglio.
Questo metodo si basa sul principio che se due cariche sono brillate contemporaneamente in due
fori contigui, la collisione delle onde d'urto crea una frattura tra i due fori così che la volata
successiva delle cariche principali rimuove la roccia solo fino al limite di scavo prestabilito.
Nelle Figg. 4.28-A e B sono riportati schemi di perforazione e di caricamento dei fori in una trincea
di m. 1.3÷1.5 di larghezza in roccia scistosa con mica ed in una trincea larga 0.7 m in arenaria.
E' opportuno procedere con 4 fori centrali (a circa mezza via tra il centro e le pareti del pozzo)
convergenti; caricati e brillati si perfora ai bordi con fori leggermente divergenti. Dopo ogni volata è
bene attendere il tempo necessario per la fuoriuscita dei gas prima di ripetere il ciclo.
Per rimuovere ceppi di 30 e più cm di diametro è a volte conveniente l'esplosivo. Scavata una
buca a mezzo trivella nel terreno sottostante la radice in modo che ne oltrepassi grosso modo il
suo centro, la si carica nel modo usuale con dinamite. Se il ceppo è di notevoli dimensioni si
esplode una prima, leggera carica sotto di esso per formare una cavità e quindi dopo una mezz'ora
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si carica quest'ultima con una maggiore quantità di esplosivo. Normalmente occorrono 0.6÷0.8 kg
di dinamite per ogni 30 cm di diametro del ceppo.
Si ricorre alla perforazione manuale quando ovviamente non si dispone di attrezzatura meccanica
oppure non vale la pena, per l'esiguo numero dei fori richiesti, di provvedere al suo impianto. La
massima profondità raggiungibile è comunque intorno ai 2÷2.5 m impiegando punta e mazza
oppure con la barra a gravità.
Col primo sistema s’impiegano barre a sezione ottagonale, o circolare, da 1", di diverse lunghezze
(0.6-1.2-1.8-2.1-3.0 m) munite di taglienti fissi o staccabili di larghezze decrescenti da 2" ad 1.5" e
che vanno affilate ogni 30÷60 cm di foro.
La penetrazione delle successive barre di lunghezza crescente è ottenuta con una mazza di 3 kg
di peso, ruotando ad ogni colpo la barra di 1/8 di giro e ripulendo di tanto in tanto il foro con un
apposito estrattore. Occorrono normalmente 3 operatori dei quali uno a tenere la barra e due alle
mazze; la resa è la seguente:
Con la barra a gravità il foro è ottenuto sollevando la barra per circa 30 cm e lasciandola quindi
cadere con una leggera rotazione dell'attrezzo ad ogni colpo. Si impiegano due barre a doppia
punta, lunghe rispettivamente m 1.8 e 3.5 iniziando con la punta più larga ed il progresso orario in
roccia media è di 40÷50 cm.
39
Tab. 4.12 – Materiali e mano d’opera nei lavori da mina nelle cave per aggregati.
40
4.4 – Scavi in galleria
Le gallerie sono oggetto di particolari ricerche e controlli a partire dalla progettazione e fino ad oltre
l'ultimazione dei lavori per le numerose, impreviste difficoltà che possono insorgere. Le ricerche
sono volte a stabilire:
- la presenza d’acque;
I controlli sono necessari per verificare in continuazione la congruità dei calcoli e delle metodologie
adottate sia per prevenire inconvenienti più o meno gravi che per evitare extracosti. Si distinguono:
- gallerie artificiali (galleries) che vengono costruite sulle mezze coste dei rilievi e che per la loro
scarsa copertura sono considerate, dal punto di vista dello scavo, quali trincee e quindi ricoperte
da solette per proteggere la strada dalla caduta di massi, frane o valanghe;
- gallerie naturali (tunnels) o a foro cieco, che si sviluppano interamente nel sottosuolo con lo
scopo di attraversare tramite un percorso più breve ed agevole rilievi montagnosi od agglomerati
urbani.
Ai problemi individuabili con la ricognizione si aggiungono gli imprevisti quali, ad es., un’imprevista
venuta d'acqua a forte pressione in grado di bloccare il lavoro per lunghi periodi di tempo o, al
limite, porre in discussione la fattibilità dell'opera.
La ricognizione inizia quasi esclusivamente con gli studi di superficie in fase di progetto sommario
per poi continuare nel seguito dei lavori.
Nella prima fase si tratta di scegliere il miglior tracciato con l’identificazione dei terreni attraversati
e delle falde e conseguentemente decidere i metodi esecutivi con l'ausilio della documentazione
già citata, col rilievo degli affioramenti e con un approfondito studio stratigrafico-tettonico.
Col progetto definitivo si passa ai sondaggi e relativi esami di laboratorio e in situ, alla sismica a
rifrazione (per la ricerca del substrato roccioso, dello spessore delle alterazioni etc.), alla
gravimetria (o misura delle variazioni di peso specifico per localizzare eventuali cavità sotterranee),
ai test elettrici ed elettromagnetici (per l’interpretazione della natura mineraria, delle falde, di
depositi ghiaiosi) al telerilevamento ed ai test sonici per individuare faglie antiche o in atto,
anomalie meccaniche, cavità etc. All'inizio degli scavi si proseguono i sondaggi ricorrendo quando
è il caso alla galleria pilota o di ricognizione. La presenza dell'acqua si rileva con l’individuazione di
41
sorgenti e di pozzi, con la misurazione delle loro portate, col rilevamento delle zone d’infiltrazione e
coi metodi di ricerca precedentemente elencati.
Evidentemente, se il tracciato generale di una via di comunicazione non può essere mutato per
effetto delle più diverse considerazioni, modifiche limitate dell'asse viario possono essere imposte
dalla natura sfavorevole dei terreni sia per la loro qualità che per la presenza di rilevanti
discontinuità e, soprattutto, per la presenza dell'acqua che, nel caso di terreni comuni, causa
cedimenti in volta, assestamenti sotto i piedritti etc. rendendo disagevoli gli scavi e, nel caso di
rocce, provoca pressioni e rigonfiamenti (anidriti, marne), alterazioni rapide del tessuto roccioso e
venute improvvise con ulteriori problemi d’avanzamento (Fig. 4.29).
I metodi empirici applicabili sono diversi e prendono il nome dagli studiosi che li hanno eseguiti.
Alcuni di questi, peraltro, sono ormai da ritenere sorpassati quali il metodo Terzaghi (1946) o quelli
di Protodiakonov (1954) e Lauffer (1958).
Il metodo R.Q.D. (Rock Quality Designation) di D.Deere (1964), visto nel 1° vol., prende avvio,
come visto, da osservazioni eseguite su campioni prelevati col carotaggio al fine di ricavare
l’omonimo parametro, e cioè:
Si devono utilizzare carote di almeno 50mm di diametro e per pezzi di 10 cm si intendono quelli di
roccia sana mentre la lunghezza della carota è quasi sempre presa pari ad 1 metro.
L'R.Q.D. è utilizzato da vari autori (→ metodo Barton di cui alla Tab. 4.14).
Z.Bieniawski (1983) viceversa, utilizza 5 parametri (Tab. 4.15) attribuendo ad ognuno di essi un
punteggio ed il totale dei punti serve a qualificare la roccia previa una correzione a seconda
dell’orientamento dei giunti (correzione = 0 se molto favorevole ; = -12 se molto sfavorevole
come, ad es., se giunto parallelo, o quasi, all'asse della galleria). I parametri sono:
- la classe R.Q.D. di cui sopra che caratterizza la qualità della roccia: 20 punti per R.Q.D.
compreso entro 90÷100: 3 punti se < 25;
- la spaziatura dei giunti tra strati o fratture o scistosità (da 30 punti se ≥ 3 m a 5 punti se < 50
mm);
- la natura dei giunti (25 punti per superfici molto rugose fino a 0 per giunti aperti o molli);
La Tab. 4.14, dove al punteggio totale (N) più basso corrisponde il materiale più scadente, serve in
via di massima ad orientare il tecnico sulle modalità di scavo e sulle opere di sostegno del
manufatto.
La galleria naturale, a seconda della lunghezza, comporta uno o più cantieri d’estrazione che
avanzano per incontrarsi. E' opportuno prevedere una pendenza verso l'imbocco più basso per
facilitare il deflusso delle acque d'infiltrazione anche se, nel caso di doppio attacco, si possono
creare problemi nell’escavazione dall'imbocco superiore.
Per accelerare i tempi in gallerie molto lunghe si aprono attacchi intermedi ricorrendo a pozzi e
finestre (Fig. 4.30) utilizzando eventualmente quelli perforati durante gli studi geologici.
43
Tab. 4.14 – Metodo di Barton per progettare le opere di sostegno in galleria in base alla classificazione della roccia da
Eccellente (Q = 1000) a Mediocre (Q = 1) a Pessima (Q = 0.1).
La distribuzione di questi pozzi o finestre dovrebbe essere tale da consentire il completamento dei
vari cantieri nel medesimo periodo di tempo. Le finestre risultano molto utili per l'evacuazione dello
smarino e dell'acqua ragion per cui vengono possibilmente aperte in corrispondenza dei compluvi
e, comunque, dove il percorso per raggiungere l'esterno è più breve.
Nella scelta dei luoghi ove ubicare i cantieri esterni si deve tener conto che:
- l'area deve essere sufficientemente piana ed estesa (tenendo conto del materiale di smarino), in
posizione favorevole per clima ed esposizione (sicurezza da frane, slavine, valanghe etc.) e
facilmente collegabile alla rete stradale esistente;
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- il tempo programmato per l'esecuzione dei lavori determina il numero e il tipo di maestranze e di
mezzi e, per conseguenza, la quantità delle strutture che usualmente comprendono:
Tab. 4.15 – Metodo di Bieniawski: classificazione degli ammassi rocciosi, modalità d’avanzamento in galleria e principali
provvedimenti di sicurezza in base alla classe per γ x h < 250 kg/cm2.
- impianti per la produzione d’aria compressa con serbatoi di raccolta e serbatoi equilibratori lungo
la tubazione principale entro la galleria;
Fig. 4.30 – Profilo longitudinale e planimetria di una galleria con diversi fronti d’attacco:
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E, imbocchi; W, pozzi o camini; F, finestre; S, fronti d’attacco degli scavi.
- tecniche per le quali le due prime operazioni, e talvolta anche la terza, vengono effettuate in
continuità con macchine da scavo ad attacco globale.
Fig. 4.31 – Diagramma di classificazione delle rocce con riferimento allo scavo in sotterraneo (Louis).
M, modulo di fatturazione o distanza media delle fratture (cm); S, velocità sonica misurata in situ; C, velocità sonica
misurata su carota; IR, classificazione RQD; RC, resistenza alla compressione (MPa); A, esplosivo; B, esplosivo o
escavatori per rocce dure; C, escavatori comuni; D, fresa o martello idraulico; E, pala.
Nelle sezioni di galleria oltre i 40 m2 risulta necessaria, tuttavia, la presenza di macchinari molto
costosi il cui ammortamento è possibile solo se la galleria è molto lunga oppure se i tratti in galleria
si susseguono per uno sviluppo notevole.
L’avanzamento a sezione intera si conferma la tecnica più usata nelle rocce di buona o discreta
tenuta. Quando, invece, la qualità del terreno è scadente si procede col metodo parziale. Quello
detto austriaco prevede lo scavo di un primo cunicolo in basso; quello detto italiano, adatto per
rocce spingenti anche dal basso, simile al precedente, e assieme il belga modificato,
rappresentato in Fig. 4.32, sono quelli oggi più in uso.
Si tratta, evidentemente, di procedimenti lenti e costosi; per contro, la decompressione del terreno
è più facilmente controllabile e gli effetti di cattive sorprese vengono limitati.
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Fig. 4.32 – Metodo d’attacco parziale: terminologia.
Sono prevalentemente applicati nello scavo di grandi sezioni quali ad es. centrali idroelettriche
sotterranee, in campo autostradale oppure sotto centri urbani con una copertura limitata.
Lo scavo può essere eseguito con esplosivo oppure meccanicamente o con la combinazione di
entrambi i metodi o ancora, in casi particolari dove si debbano evitare eccessivi rumori, vibrazioni
del terreno, emanazione di gas etc., impiegando particolari sostanze chimiche che attaccano la
roccia disgregandola e facilitandone di seguito la rimozione.
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4.4.4 – Scavo con esplosivo
In teoria, l'effetto dell'esplosivo dovrebbe limitarsi alla demolizione della roccia seguendo il profilo
trasversale previsto, tenuto conto dell'eventuale rivestimento. Un eccesso, infatti, di tale azione
potrebbe scuotere violentemente la roccia circostante portandola a fessurazione, con la
conseguenza di un dimensionamento delle opere di sostegno più oneroso e, particolarmente se la
stratigrafia e sfavorevole, una maggiorazione dello scavo (il cosiddetto overbreak o hors profil)
rispetto a quanto previsto, scavo che dovrà poi essere riempito con calcestruzzo nel caso in cui
segua il rivestimento. Un’azione difettosa dell'esplosivo, per contro, lascia un profilo trasversale
incompiuto che costringe ad una seconda operazione di scavo selettivo alterando oltretutto anche i
tempi previsti per le diverse fasi dei lavori.
All’atto pratico, tuttavia, anche conseguendo i migliori risultati ad ogni volata, l’overbreak è spesso
presente sia pure in misura limitata al punto che risulta quasi sempre necessaria, prima di
procedere alla rimozione dei detriti (marinaggio o smarino), la purga dell'intradosso e del fronte al
fine di regolarizzare la sezione e per rimuovere i lastroni di roccia instabili.
In galleria si usano perforatori pesanti che aprono fori da 1.7÷2" (40÷50’) e diametri maggiori per
rocce più compatte. La necessità di forare in spazi limitati (scavo parziale) unita al peso degli
attrezzi esclude che questi possano essere usati senza l'ausilio di servosostegni o di slitte
funzionanti ad avanzamento automatico: i wagon-drills, tuttavia, non sono di norma usati in galleria
ma solo per lavori complementari. Vengono usati, invece, gli air-tracks, più pesanti e montati su
cingoli, che funzionano anch'essi tramite aria compressa, elemento che aziona l'unità perforatrice,
controlla i congegni aerodinamici per il brandeggio della slitta ed infine alimenta i motori che
consentono al veicolo di spostarsi.
4.34 – Martello con servosostegno: 1, perforatore; 2, tubo aria compressa; 3, oliatore; 4, tubo acqua; 5, sostegno con
asta a tenuta ed azionata dall’aria compressa.
L'esigenza della rapidità nella perforazione che richiede, per la sezione intera, l'uso
contemporaneo di numerosi perforatori e la riduzione dei tempi morti che si verificano col
posizionamento degli stessi, è soddisfatta dall' unità di perforazione meccanizzata che completa di
tutta l'attrezzatura occorrente, autonoma per quanto riguarda i comandi di distribuzione dell'aria e
dell'acqua e quindi delle manovre di avvicinamento al fronte di scavo e del successivo
arretramento per consentire la volata, rappresenta l'equipaggiamento più idoneo nel campo.
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4.35 – Schema di carro Jumbo a struttura fissa con piattaforma di carico estensibile e 2 bracci per gallerie di sezione
limitata (40÷50 m2) visto di lato (a) in pianta (b) e di fronte (c).
Elementi principali di questa unità, nota col nome di Jumbo (Fig. 4.35), sono i bracci aerodinamici
che mediante pistoni idraulici portano i perforatori nella posizione voluta e ne consentono
l'operazione oggi completamente computerizzata. A prescindere dai vari modelli di diverse
dimensioni, 2 sono i tipi di Jumbos: quelli a portale che permettono il passaggio dei mezzi di
smarino verso l'uscita della galleria e quelli a struttura piena.
Un Jumbo a portale si muove su ruote pneumatiche o su binari attraverso carrelli bilanciati a più
ruote; è costruito a più piani ed il vano centrale ha un ponte levatoio per consentire appunto il
passaggio dei mezzi di carico.
Esistono Jumbos a struttura deformabile che si aprono fino a coprire una sezione di 100 m2 e più
per ridursi quindi in fase di smarino a dimensioni tali da consentire agevolmente tale operazione.
L'aria compressa, ovvero il fluido motore della maggioranza delle macchine di galleria in quanto
non inquinante, viene fornita dai compressori che, nel caso di un cantiere a lunga durata, sono del
tipo stazionario, e installati, nel numero e capacità richiesti, fuori della galleria anche a motivo di un
più facile controllo e manutenzione.
Utilizzando l'esplosivo in galleria è da tener presente che maggiore è la superficie libera verso la
quale possono spostarsi i frammenti di roccia al momento della volata (o tiro) e più grande è la
resa unitaria dell'esplosivo impiegato. Da ciò la convenienza a scegliere la migliore disposizione
dei fori sul fronte di scavo e a differenziare i tempi di detonazione delle cariche per aumentare tale
superficie.
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Lo scopo è usualmente raggiunto facendo esplodere per prime alcune cariche al centro della rosa
dei fori (mine di rinora o tir de bouchon). La sezione è poi allargata ai valori previsti con
l'esplosione delle altre cariche (tiro principale o dégraissage) utilizzando dei ritardi (intervalli di 0.5
s) e microritardi di 25 ms per grandi sezioni.
Il posizionamento dei fori determina, in larga misura, la dimensione e giacitura dei detriti ed è
pertanto opera di specialisti sopratutto quando, subito dopo la volata e prima dello smarino, è
necessario procedere alla posa di un primo strato di rivestimento della volta.
La tecnica di far convergere i fori verso il centro, o svedese (Fig. 4.36-sx), limita la profondità dello
sfondo ed è usata raramente. Preferita quella canadese, a fori paralleli, sia per i migliori risultati
(tanto migliori quanto più accurato è il parallelismo) che per l’impiego generalizzato dei Jumbos
che, operativamente, impongono tale di tipo di tecnica. In Fig. 4.36-dx è rappresentata una tipica
volata con 41 fori per una galleria di m 4.2x4.2 inclusa una doppia combinazione di fori convergenti
per le mine di rinora.
Perforazioni di questo tipo richiedono un Jumbo a 4÷5 perforatori con uno sfondo di 2.5-3.0 m per
volata. Onde limitare i danni alla roccia fuori del taglio previsto e perché quest'ultimo risulti più
preciso si ricorre a due procedure poco diverse l'una dall'altra: il prédécoupage dei francesi e lo
smooth-blasting statunitense.
Nel primo caso dopo le mine di rinora, per levare il tappo centrale e prima del tiro principale, si
fanno esplodere simultaneamente i fori cosiddetti di réglage in volta ed ai piedritti in modo tale che
la roccia si fessuri solo tra foro e foro. Ciò richiede fori perfettamente paralleli, vicini, di grosso
diametro e poco caricati.
Con lo smooth-blasting, oggi il più usato, la detonazione dei fori di regolazione (sempre molto
ravvicinati (Tab. 4.16) segue quella del tiro principale.
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Tab. 4.16 – Tecnica smooth-blasting: valori tabulari.
La profondità dei fori e quindi lo sfondo è di ~3÷4 m. Quando con lo scavo della galleria ci si
avvicina ad edifici ed altre strutture che potrebbero essere danneggiate dalle vibrazioni il controllo
di queste ultime viene affidato a geofoni, installati o sigillati sui muri delle strutture interessate posti
verso le volate.
Lo scavo meccanico della sezione della galleria senza cioè ricorrere all'esplosivo,ha preso piede
sopratutto dagli anni ‘70 col progresso delle macchine escavatrici capaci di scavare le rocce più
dure. Esistono evidentemente delle limitazioni di carattere economico quando il rendimento della
macchina non è in rapporto favorevole con la sua usura, effetto che può essere accertato a priori a
mezzo dell’esame della resistenza della roccia e della sua abrasività.
Per contro evitare l'esplosivo significa realizzare un taglio più regolare (minimo overbreak e minor
fatturazione della roccia e quindi minor spessore del rivestimento) oltre che minori vibrazioni in
riferimento a strutture esterne.
Due sono i tipi di macchine escavatrici: ad attacco globale o a scudo (TBM o Tunnel Boring
Machines) e ad attacco parziale o puntuale (BTM o Boom Type Machines).
Lo scudo o TBM di cui alle Figg. 4.37, 4.38 e 4.39, noto fin dagli albori del secolo scorso (sia pure
con una struttura ben più rudimentale dell'odierna) è una macchina molto complessa e costosa,
non sempre disponibile che trova i suoi vantaggi in gallerie a sezione circolare di notevole
lunghezza e in presenza di rocce non molto dure (sovente il rivestimento segue immediatamente lo
scavo) evitando l'impiego dell'esplosivo con tutti i suoi inconvenienti.
Tra gli svantaggi, oltre al notevole impegno finanziario che non consente valutazioni errate, il suo
diametro fisso che può creare costosi contrattempi quando il rivestimento deve avere uno
spessore superiore al previsto con conseguente riduzione del diametro libero e per la difficoltà di
accesso al fronte di scavo a fini ricognitivi quando la macchina è in posizione e tanto meno quando
è in funzione.
Le macchine usate in questi casi sono dette a scudo (senza riferimento al TBM ) in quanto sono
provviste di un sistema di protezione delle pareti dietro il quale viene subito eseguito il rivestimento
spesso costituito da conci prefabbricati.
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Fig. 4.37 – Funzionamento di uno scudo per scavo in roccia.
Si distinguono:
- scudi aperti che lasciano il fronte accessibile al macchinario da scavo (a fresa o a cucchiaio)
e, nel caso di terreni molto franosi, consentono di limitare l'area di scavo con l'applicazione di
pannelli mobili;
- scudi rotativi del tipo OCMS (Okumura Circulation Mechanical Shield) sulla cui corazza sono
applicate feritoie ad apertura variabile dalle quali, mentre questa avanza, sono iniettati fanghi a
bentonite che facilitano la rimozione dei detriti, successivamente convogliati mediante un tubo fuori
della galleria. Una centrale automatica controlla l'avanzamento dello scudo, la circolazione dei
fanghi, la loro densità e pressione, rispondendo alle fluttuazioni della pressione idrostatica sul
fronte di scavo. Tale metodo evita la necessità di abbassare la falda freatica e quindi il pericolo di
cedimenti del suolo in superficie quando siano presenti centri abitati; richiede inoltre poco
personale addetto per lo più alla centinatura; ancora, non è necessaria la pressurizzazione
dell'ambiente ed infine, nel caso di forti venute d'acqua, lo scudo agisce da sigillo. L'avanzamento
è dell'ordine di 2÷3 m giornalieri.
Oltre agli scudi sopradescritti, altre tecniche sono correntemente applicate in presenza d’acqua
sotto pressione associata con masse mobili di terreni incoerenti: quella delle iniezioni solidificanti
(grouting) e quella del congelamento (→ vol. 3°).
Come già accennato nel precedente paragrafo è abbastanza frequente la necessità di demolire la
roccia, o opere in calcestruzzo, nelle vicinanze dei centri abitati oppure in ambiti molto ristretti dove
l'esplosivo, per i suoi effetti e con riferimento alla sicurezza, all’inquinamento acustico e dei gas,
non trova possibilità d’impiego. Si possono utilizzare in questi casi agenti chimici che attaccano la
roccia e il calcestruzzo sgretolandoli.
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Allo scopo, sul fronte di scavo, vengono effettuati dei fori nei quali viene poi introdotta una miscela
composta dall'agente (all'aspetto simile al cemento e consistente in silicati e sostanze organiche la
cui formula è brevettata) unitamente ad un’appropriata quantità d’acqua.
Indurendo la miscela si espande esercitando una fortissima pressione che provoca un progressivo
sgretolamento dell'ammasso.
Fig. 4.38 – Funzionamento dello scudo per terre sciolte: a,b,c,d elementi del rivestimento posti in opera man mano che
lo scudo avanza; m, martinetti; s, scudo; r, armamento del fronte di scavo.
Per ottenere i migliori risultati evidentemente dipendenti dal tipo di materiale da demolire si
effettuano prove iniziali variando diametro, spaziatura e profondità dei fori tenendo presente che il
massimo effetto è ottenuto con fori verticali.
Gli scudi moderni, pur diversificandosi in alcune caratteristiche, hanno in comune l'avanzamento
automatico (dell'ordine di 12÷20 m al giorno) con scavo, carico e allontanamento del marino
meccanizzati; operazioni, queste, che, assieme all'eventuale rivestimento, condizionano la velocità
d’avanzamento.
Fig. 4.39 – Schema di fresa puntuale a braccio brandeggiabile per lo scavo e la profilatura delle gallerie.
Uno tipico scudo è contenuto in un cilindro d’acciaio di sezione pari all'estradosso del rivestimento
della galleria. Il suo corpo principale, o corazza, ruota sul suo asse (che è anche l'asse della
galleria) e porta i taglienti, i motori e i comandi per l'avanzamento. Questo è usualmente
conseguito mediante martinetti idraulici (fino a 36 in taluni modelli) che servono anche da guida
allo scudo nei tratti in curva o in pendenza e che spingono la corazza facendo forza sul
rivestimento che procede al seguito della macchina.
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Trovandosi di fronte a terre sciolte o a rocce tenere l'escavazione è ottenuta con frese a tagliente,
del tipo a braccio rotante oppure a denti radiali. Per rocce dure si preferiscono i rulli taglienti o
mole.
Un compromesso tra il metodo di scavo con lo scudo e con l'esplosi vo è costituito da una speciale
macchina attrezzata con una sega a catena (del tutto simile a quelle utilizzate per il taglio degli
alberi) che si sposta lungo l'arco della galleria mediante una cremagliera tagliando la roccia lungo
la linea prevista per una profondità variabile entro 1.5÷4.0m.
Segue poi l'esplosivo col vantaggio del controllo del taglio, di una buona frammentazione della
roccia e della riduzione delle vibrazioni.
In presenza di rocce non eccessivamente dure (dolomite, calcare, arenaria, tufi e simili) con
resistenza a compressione semplice max 50÷80 MPa si preferisce a volte all’esplosivo il cosiddetto
scavo puntuale impiegando macchine provviste di una testa posta all'estremità di un braccio
mobile e provvista di uno scalpello o di un disco o di un rullo a punte.
Lo scalpello è l'attrezzo più comune, escluse le rocce più dure dove sono più efficaci dischi e rulli
puntati.
Pur essendo il procedimento più lento rispetto allo scudo, i vantaggi sono molteplici: minor costo e
maggiore mobilità della macchina, possibilità di scavare qualsiasi tipo di sezione con una
precisione nella profilatura dell'ordine di 10 cm eliminando quindi overbreak e rifilaggi, attacco nei
punti stabiliti con libero accesso al fronte di scavo per la ricognizione.
L'impiego delle frese è peraltro richiesto anche quando lo scavo è eseguito con lo scudo che per
la sua conformazione produce un foro circolare che deve essere modificato, appunto con le frese,
in quanto la sezione della galleria stradale è usualmente a D ribaltato.
Le frese ad attacco puntuale (roadheaders) oggi sono mosse con sistemi computerizzati di
allineamento e profilatura e vengono usate anche nei casi in cui si nutrono timori sulla tenuta della
roccia per cui, adottando lo scavo a sezione parziale, scavano in calotta mentre il successivo
ribasso è affidato a demolitori o rippers.
Anche i martelli idraulici sono impiegati con successo quando la roccia non è molto tenace.
I martelli più pesanti (2.5÷3.0 t) vengono impiegati per gallerie di almeno 25÷30 m2.
L'energia d’impatto, comunque, sebbene il martello sia più leggero, non deve essere < 6 MJ.
Il martello può essere montato in pochi minuti su di un normale escavatore cui è stata tolta la
benna; operativamente s’inizia al centro della sezione e in basso (m 1.0÷1.5 da terra) per poi
aprirsi verso l'alto ed ai fianchi per uno sfondo max di 1.5÷2.0 m con un avanzamento giornaliero
di 4÷7 metri nelle 12 ore su sezioni di 60÷90 m2 (300÷900 m3).
Nello scavo meccanico (scudo, frese, martelli) il marino o materiale di risulta dello scavo è
usualmente raccolto da pale rotanti e trasferito ad un nastro trasportatore; s’impiegano anche
pompe a pistoni simili a quelle per calcestruzzi e pompe ad aria aspiranti dal fronte di scavo.
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Nello scavo con esplosivo lo smarino è condizionato dal metodo usato: se a sezione intera o
parziale, ed assume grande importanza l'efficacia del sistema di ventilazione.
Con lo scavo a sezione intera infatti e per gallerie molto corte e dotate di un buon impianto di
ventilazione (sempre necessario quando la galleria supera i 150 m di lunghezza) capace di
eliminare rapidamente i gas di scarico degli automezzi, si usano le comuni pale ed i dumpers nei
loro diversi modelli. Negli altri casi si usano pale elettriche o ad aria compressa che si muovono su
ruote, cingoli o binari (questi ultimi poco preferiti per gli ostacoli che rappresentano all'interno della
galleria).
L'aria compressa impiegata alla pressione di esercizio, che s’aggira sulle 6÷7 atm, muove i motori
pneumatici a pistoni o a palette (analoghi a quelli dei compressori) e tutti gli ingranaggi ad essi
collegati; anche la sterzatura è ottenuta con un servosterzo ad aria compressa sulle ruote motrici.
Più rapide sono le macchine a carico e scarico continuo che in luogo della cucchiaia portano
anteriormente una apparecchiatura a dischi rotanti che fanno convergere il marino su di un nastro
trasportatore centrale; questo a sua volta fa cadere posteriormente il materiale sui mezzi di carico.
L'impiego dei binari a scartamento ridotto e dei vagonetti trainati da locomotive elettriche ad
accumulatori presenta, come s’è detto, l'inconveniente dell'intralcio dei binari stessi sul pavimento
della galleria e quello dei tempi morti dovuti all'avvicendamento dei vagonetti pieni e vuoti se lo
spazio è ridotto.
Lo scopo dell'apertura dei camini è quasi sempre quello di aerare la galleria sia durante la
costruzione che quando essa è in esercizio; più di rado, quando l'apertura di una finestra non
risulta fattibile nella pratica, gli stessi servono ad aprire fronti d'attacco intermedi.
I camini possono essere verticali oppure inclinati; se l'inclinazione rispetto all'orizzontale non
supera i 45° prendono il nome di discenderia.
La metodologia di scavo dei camini cambia a seconda dello scopo cui sono destinati; se per aprire
nuovi fronti di attacco, s’inizia dall'alto, se per ventilazione dal basso.
Anche la natura del terreno influisce: se si tratta di materiale sciolto la procedura di scavo è lenta e
costosa dovendosi continuamente armare la sezione man mano che s’avanza.
Qualunque sia il metodo adottato, la prima operazione consiste nel perforare dall'alto un foro di
100÷300 mm di diametro eseguito con wagon-drill o air-track.
Il foro, oltre a servire di controllo per una corretta localizzazione del pozzo, ha lo scopo di
alloggiare la fune di traino dell'elevatore, di aerare il pozzo durante la sua costruzione (soprattutto
per lo sfumo delle volate) ed infine serve come foro di rinora (→ sistema d’intesto volate).
L'elevatore consiste in una gabbia metallica, nella quale prendono posto gli operatori addetti alla
perforazione ed alla carica dei fori, che viene portata in posizione di attacco mediante un argano e
quindi defilata al momento dell'esplosione.
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Con la ventilazione s’abbassa anche la temperatura della rocce (e quindi dell'ambiente) che, come
è noto, aumenta con la profondità (1°C ogni 30 m in verticale) e che diventa poco tollerabile oltre i
25°C.
L'eliminazione dell'aria viziata e dei gas è ottenuta normalmente immettendo aria fresca durante la
perforazione e lo smarino (facendo quindi funzionare rimpianto a pressione) ed aspirando i gas
dopo ogni volata portandoli all'esterno prima che si disperdano lungo il percorso (impianto in
aspirazione).
Il calcolo della quantità d’aria fresca Q (m3/sec) necessaria per diluire il tappo gassoso tossico
prodotto dall'esplosione può essere calcolato con la relazione empirica:
Q = 0.003 n P + 0.1 C
dove n è il numero delle volate nelle 24 ore; P il peso dell’esplosivo in kg per volata e C la potenza
(Hp) dei trattori diesel in servizio nella galleria. Con la formula si suppone che il pericolo di
intossicazione sia raggiunto a 20 ppm di CO.
Ogni impianto deve essere dotato di meccanismi di riserva per scongiurare pericolosi ristagni
d’aria viziata e gas in caso di rotture.
Nello scavo della galleria del Monte Bianco (sezione m2 82, lunghezza 11,6 km, 2 fronti d’attacco
senza camini intermedi) la portata dell'impianto, pari a ~140 m3/sec, é stata prodotta da 6 gruppi
elettroventilatori per un totale di 2700 Hp con 2 tubazioni (funzionanti quasi sempre in aspirazione)
del diametro di m 2 e 2.5 appese alla calotta e con uno dei tubi che arrivava a 100 m dal fronte di
scavo; l'ultimo tratto era aerato da un ventilatore da 20 m3/sec.
Protezione del personale e dei macchinari dagli effetti delle volate: ogni esplosione produce
polvere e gas, rimossi con la ventilazione, e frammenti di roccia di varie dimensioni che vengono
proiettati all'intorno a forte velocità. Da ciò la necessità in galleria di arretrare a distanza di
sicurezza personale e macchine, condutture d'aria e d’acqua ed altri servizi prima di ogni volata
per poi riportarli avanti per il successivo sfondo.
L'operazione è sempre lenta ed influisce notevolmente sul progresso generale degli scavi, pertanto
qualsiasi mezzo che accorci il ciclo pur mantenendo gli standards di sicurezza è sempre da
prendere in considerazione.
L'uso di schermi di protezione è oggi a volte adottato pur presentando l'inconveniente che tanto più
sono robusti da resistere ad un uso ripetuto, tanto più sono pesanti e complicati da maneggiare.
Si preferisce uno schermo fatto di fibra poliammide ad alta resistenza che viene tenuto aderente
alla parete dello sfondo mediante sacchi di gomma rinforzata gonfiabili; sullo schermo sono
praticati dei fori da 25 mm che consentono ai gas ed alla polvere di essere assorbiti e convogliati
all'esterno.
Illuminazione della galleria: la visibilità, durante i lavori, deve risultare significativa per una
migliore resa del personale e delle macchine ed una maggior sicurezza. Nell'area di lavoro sono
richiesti almeno 20 lux mentre ne sono richiesti 10 nei tratti di carreggio. Si ricorre ad impianti
elettrici fissi, in cavi sottopiombo mantenendo la tensione molto bassa.
Acque di infiltrazione: in galleria sono frequenti infiltrazioni d’acqua, più o meno consistenti, delle
quali si deve tener conto nella progettazione mediante la convessità del profilo longitudinale per
facilitarne lo scolo verso gli imbocchi se questi ultimi sono alla medesima quota. Se ciò non è
possibile si dovranno prevedere impianti di pompaggio per la galleria in esercizio. Quando, durante
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la costruzione, risulta dall'osservazione che le infiltrazioni sono in aumento (acque meno chiare e
più fredde) è necessario prendere immediatamente misure per aumentare la capacità di drenaggio
e di aggottamento provvedendo nei casi più seri allo sgombero delle maestranze e delle macchine.
Tali misure vanno prese quando il quantitativo di acqua eccede i 5 l/sec misurato strumentalmente
a circa 50 m dal fronte di scavo.
In linea di principio non bisogna opporsi con mezzi risolutivi allo scorrimento delle acque
d’infiltrazione cercando, al contrario, di facilitarne il deflusso lungo le cunette verso l'uscita; infatti ,
nel caso opposto, il loro livello potrebbe pericolosamente aumentare provocando crolli e frane.
E' tuttavia evidente che l'incontro di una sorgente o di una falda acquifera avente portata superiore
al previsto richiede una sua riduzione ricorrendo a sacchi di cemento o di malta o di argilla o,
ancora, ad iniezioni di cemento o di miscele impermeabilizzanti.
Il drenaggio della parete rocciosa è ottenuto generalmente con l’inserimento di tubi Ø 40÷70 mm
porosi o perforati, in fori preparati con martelli che durante l’operazione utilizzino, eventualmente,
fanghi bentonitici ad evitare crolli. Numero e posizionamento dei tubi variano evidentemente caso
per caso; in ogni caso vanno spinti a 10÷30 m oltre il fronte di scavo interrompendo poi lo scavo
stesso quando la stabilità è minacciata dall’eccessivo afflusso di acqua per poi riprendere non
appena posizionati nuovi tubi.
L’acqua proveniente dai vari drenaggi deve essere convogliata ad un unico punto di raccolta per
essere misurata (anche a fini contabili per i compensi all’impresa costruttrice) e quindi portata fuori
galleria o mediante cunette laterali oppure pompe del tipo a pistone, se la quantità di acqua è
rilevante, oppure ad aria compressa, più leggere, maneggevoli e non inquinanti.
Natura delle terre attraversate: per quanto siano stati accurati gli studi geologici eseguiti sia in
fase di progetto che durante gli scavi, le terre attraversate riservano quasi sempre sorprese.
Oltre alla instabilità che può verificarsi per effetto della decompressione causata dal vuoto della
galleria, si possono incontrare sabbie allo stato fluido (le cosiddette sables boulants), marne
porose, rocce solubili come il gesso decomposto dall’infiltrazione delle acque, oppure che
rigonfiano (scisti) o che reagiscono all'aria umida come l'anidrite (solfati di calcio anidri), terre
plastiche e comunque instabili, rocce degradate etc.
La continua osservazione man mano che avanzano gli scavi, della natura del suolo, delle piccole
frane (fornelli), degli stillicidi e delle vene d'acqua, consente nella maggioranza dei casi di
provvedere per tempo evitando danni gravi.
Assai utile (→vol. 3°) è l'osservazione delle deformazioni subite dalla struttura della galleria nei vari
stadi della sua costruzione e del loro comportamento nel tempo per avere indicazioni sulla entità e
distribuzione delle pressioni e per individuare i possibili punti di cedimento prima che questi siano
visibili ed i rimedi diventino più costosi.
Allo scopo si usano strumenti topografici di precisione (distometri, Fig. 4.40), oppure sensori
elettronici, coi quali si possono tenere sotto controllo bulloni infissi nella roccia in successive
sezioni della galleria presso il fronte d’avanzamento, rilevandone ad intervalli di tempo la loro
posizione reciproca.
- se la roccia diventa friabile al contatto con l'aria o per altre ragioni diventa superficialmente
instabile si può provvedere ad una stabilizzazione chimica o più frequentemente, alla gunitatura;
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Fig. 4.40 – Diagramma di controllo dei movimenti in calotta a mezzo Distometro.
- in presenza di anidrite, che si rivela facilmente per il rigonfiamento che subisce la roccia
assorbendo acqua, si rimuove lo strato superficiale tenero che s’intonaca con prodotti bituminosi
prima di procedere al rivestimento.
- il contenimento di masse plastiche fino alla esecuzione del rivestimento può essere raggiunto, se
non si dispone di mezzi meno costosi, con la tecnica del pre-grouting o del congelamento.
- il pericolo del distacco di lastroni di roccia dalla volta o dalle pareti della galleria si evita con
bulloni e tiranti cui può essere fissata una rete metallica;
- in assenza di roccia compatta, oltre alle iniezioni (grouting), l'armatura provvisoria è sempre
necessaria in attesa del rivestimento definitivo entro il quale la centinatura è spesso annegata;
oppure si può ricorrere agli ancoraggi mediante chiodi e tiranti da porre in opera subito dopo ogni
sfondo, appena esaurito Io sfumo e prima dello smarino. Ai chiodi verrà fissata una rete metallica
per procedere poi alla gunitatura per uno spessore di 5÷10 cm;
- quando la situazione consigli di procedere col cunicolo iniziale ancora frequente è l'impiego del
legname col quale si montano i quadri composti da cappello, gambe e traversa, che serrano contro
la parete di scavo i correnti longitudinali o guarniture, in legno tondo o tavolame. Il legname deve
essere verde, in tronchi senza corteccia possibilmente diritti e con pochi nodi, delle seguenti
tipologie: pino, faggio, olmo, castagno, acacia (conservandone la corteccia) mentre se in galleria
l'umidità è elevata si preferiscono il rovere ed il larice rosso. I tronchi debbono arrivare sul luogo
d’impiego già tagliati nelle lunghezze previste per limitare al massimo il lavoro dei carpentieri in
galleria ed ancor più nel cunicolo dove dispongono di pochi e semplici attrezzi. I quadri metallici
per cunicoli e sezioni ridotte sono simili a quelli in legno (il cappello viene imbullonato alle gambe
mediante staffe); sono generalmente in profilato a doppio T e poggiano, se il terreno è
sufficientemente duro, su una semplice immorsatura. Le centine sono calcolate per una pressione
superiore ai 1500 kg/cm2 e, se è il caso, vengono montate anche a soli 50÷60 cm d’interasse
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mentre la guarnitura può essere in lamiera, rete metallica o marciavanti. Le strutture reticolari sono
preferite per il minor peso a parità di resistenza. Dallo scavo a sezione completa si deve subito
passare alla sezione parziale o al cunicolo pilota non appena si prospetta un quadro d’instabilità
per il quale potrebbe essere pericoloso adottare misure meno drastiche ed, al limite, è sempre
preferibile cambiare il tracciato della galleria quale alternativa ad opere di consolidamento incerte e
comunque sempre onerose.
Attraversamento di zone abitate: le vibrazioni del terreno per effetto delle esplosioni possono
costituire un pericolo per la stabilità di edifici, possono danneggiare impianti ed installazioni
soprattutto elettroniche (centrali telefoniche, computers etc.) ed arrecare disturbo alle persone. La
considerazione è valida sia che si tratti di gallerie sotto-passanti centri abitati che di trincee; in
questo secondo caso si aggiunge il pericolo creato dai detriti di roccia proiettati all'intorno nella
volata. Studi recenti hanno provato che la velocità delle vibrazioni nel terreno è un valido
parametro per valutare le possibilità di danno delle vibrazioni stesse. La Tab. 4.17 è indicativa a
riguardo. Nel progettare il lavoro da mina si deve pertanto tener conto della relazione esistente tra
distanza, quantità d’esplosivo e vibrazione del terreno, espressa dalla formula di Langefor:
dove Q è la carica detonante istantanea (kg), R la distanza (m), k una costante dipendente dalla
compattezza della roccia e da determinare sperimentalmente (per il granito è pari a ~ 400). Ne
consegue la necessità di ridurre la detonazione istantanea al minimo con l'uso di detonatori a
tempo per diluire l'intensità delle vibrazioni diminuendo se necessario la spaziatura dei fori e,
conseguentemente, la quantità d’esplosivo per foro.
Tab. 4.17 – Entità delle vibrazioni nel terreno normalmente ammesse nella valutazione del rischio di danni agli edifici.
Pertanto all'inizio degli scavi nell'area interessata ci si atterrà alle seguenti misure cautelative:
- limitare la profondità dei fori per uno sfondo compreso tra m 1 e 1.6;
- impiegare detonatori microritardati (25 ms per le mine di rinora e 0.5 s per le altre,
soprattutto quelle perimetrali);
- misurare le vibrazioni del terreno dopo ogni volata per poter apportare quelle variazioni che,
aumentando lo sfondo, non modificano le vibrazioni stesse oltre i limiti di tolleranza.
In Fig. 4.41 è illustrato un metodo di perforazione e brillamento intesi a ridurre le vibrazioni sul lato
destro della galleria e pertanto i fori per le mine di rinora sono state perforati nell’angolo sinistro in
basso coi 2 fori di maggior diametro (75 mm) al centro e non caricati.
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Fig. 4.41 – Metodo di perforazione riducente le vibrazioni.
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