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Politica sbobina

Leviatano
Di massimo boldi
Prima lezione
Autori scelti padri principali correnti politiche della modernità:
Hobbes padre assolutismo;
Locke padre liberalismo e costituzionalismo;
Rousseau padre della democrazia;
Marx padre del socialismo declinato comunista;
Queste teorie che hanno avuto anche dei corsi d’azione storici, ed hanno influenzato molto la storia
dell’occidente, che fino alla caduta del muro in Europa questi paradigmi furono presenti in essa.
Filosofia politica si occupa delle ricadute sul piano pratico delle impostazioni
teoretiche/concettuali; dato una certa visione del mondo la filosofia politica si occupa dei risvolti di
essa sul piano pratico; secondo movimento (quasi opposto) data una visione del mondo la filosofia
politica risale ai presupposti teoretici di essa.
Data una certa definizione(etichetta) cambiano, le pre-cognizioni (morali teoretiche ecc.), e le
conseguenze (del definito). Ed il contrario, si parte dall’organizzazione e si vede quali sono gli assunti
impliciti. Molti degli autori, studiati e non, sono approdati al ragionamento politico in tarda età quando
i loro sistemi filosofici erano già formati e maturi, Hobbes stesso giunge alla sua riflessione politica
quando il suo sistema era già completato, e stessa cosa per Locke, Kant, Platone, Aristotele, Rousseau;
filosofia politica molto spesso era uno sviluppo di quanto era stato ipotizzato, dal punto di vista
epistemico, non esiste pressoché filosofo politico che nasca e muoia cosi. Lo stesso vale per Hobbes, di
cui la prima opera di filosofia politica, de civae, è l’ultimo capitolo di una trilogia: de corpore, parlando
del corpo umano come materia conoscente (sensibilità intelletto idee innate), de homine, l’uomo con le
sue passioni e appunto de civae, uomo in rapporti istituzionalizzati. La fortuna di Hobbes arriva nel
‘900, ritenuto iniziatore della modernità politica, l’alternativa generale è machiavelli, perché teorico
dello stato, perché lo stato del novecento cominciava a concentrare molte risorse.
Hobbes riconosce la finzione storica dello stato di natura che precede la società civile, e che essa venga
creata attraverso un contratto tra i singoli individui, nella realtà non è mai un patto a far nascere uno
stato ma un’imposizione, quindi non è sostenibile la tesi che Hobbes sia un teorico della nascita dello
stato. Ed Hobbes viene “riscoperto” nel ‘900 proprio perché lo stato stava diventando sempre più
centrale e totale, come aveva preteso lui stesso; l’opera più sistematica di Hobbes è il leviatano (1651)
è un testo che oltre alla teoresi prende parte in una viva lotta politica ad Hobbes contemporanea. I
capitoli che vanno dal I al XIII coprono un approccio teoretico epistemico al mondo, preparazione
(premesse) che senza di essa la parte politica successiva non può reggersi, parlano di come è fatto
l’uomo come conosce, cosa spera, come si muove nel mondo.
Nella prefazione dedicatoria Hobbes dice chiaramente che il suo discorso sullo stato si pone a meta
strada tra chi è a favore di una liberta troppo grande e chi è favore di un’autorità eccessiva, Hobbes
pensa di trovare il giusto mezzo per equilibrare liberta e coazione/coercizione, dove il coercitivo è
quella macchina/autorità che si chiama stato (machiavelli scrive di principati), che viene caratterizzato
da un consolidamento dei confini all’interno dei quali un autorità centrale esercita poteri
fondamentali, l accento d importanza che bisogna dare a questa definizione è la stabilità dei confini
territoriali, perché permette un controllo più capillare del territorio, che permette al potere di divenire
più centrale e potente ed inscalfibile da quelle passate realtà feudali che creavano negli stati(regni)
medievali tante dispute interne, dal momento in cui il potere centrale sovrasta di forza tutto il resto da
diventare inattaccabile; al culmine di questo processo (1400-1600) Hobbes scrive il leviatano, grande
celebrazione dello stato, che da un idea da battaglia della nascita dello stato, per rafforzarne la
legittimità, il grande patto a cui abbiamo tutti concordato va ad oscurare la realtà dei fatti, ovvero l
imposizione di un potere grazie alla forza. Certa narrazione si porta dietro certe conseguenze.

Lezione 2
Frontespizio leviatano
La figura del leviatano è una citazione
biblica, del mostro marino(Giobbe),
questo dio mortale, che è la potenza più
irresistibile sulla terra, in quanto su essa
non ha rivali e che dio ucciderà alla fine
dei tempi; Hobbes cosi facendo vuole
creare un parallelismo stato-leviatano,
ovvero lo stato come quel dio mortale
(quindi con una fine) che pero non ha
eguali sulla terra ed ha la capacita di
esprimere una potere gigantesco, non est
potestas superterram quae comparetur
ei (Giobbe 41 24), non esiste potere sulla
terra che possa essere comparato ad esso,
questa frase viene riportata in cima al
frontespizio, esso è un ottima
prefigurazione del idea statale che esporrà
Hobbes col proseguimento del trattato, in
quanto possiamo vedere un signore al
centro del frontespizio che tiene una
spada sulla mano destra ed un pastorale
sulla sinistra, ad indicare che il potere
statale detiene il potere sulla giustizia e
sul sacrale/ecclesiastico; in basso a
sinistra si vedono 5 immagini che
rappresentano il potere civile: la fortezza,
la corona, il cannone, i fucili incrociati e
la battaglia. A destra 5 immagini che
rappresentano il potere spirituale: una
chiesa, una mitra, fulmini della
scomunica, i 3 poteri del sillogismo ed il
tribunale inquisitorio. L’ impugnatura
della spada e del pastorale formano un
triangolo, e forse questo va a richiamare il
simbolo della trinità, questo va ad immettere Hobbes in una disputa religiosa, sulla divisione, padre,
figlio e spirito, delle tre persone non di paro grado (questione del triangolo), ovvero che lo spirito ed il
figlio sono subordinate a dio, quindi sarebbe dio (rappresentato sovrano nel frontespizio) che quindi
rappresenta le altre due persone. Il corpo del sovrano è costituito da uomini materialmente), tranne
braccia e viso(perché i sudditi fanno parte del corpo ma non vanno a ricoprire la parte decisionistica e ,
tutti la parte applicativa) questi uomini sono rivolti verso il sovrano, questo va ad implicare che il
sovrano non è interno al sovrano, patto hobbesiano è tra noi sudditi a favore di un beneficiario terzo,
richiamato dal fatto che tutti noi guardiamo al sovrano ma lui non a noi; le persone indossano anche dei
cappelli che vanno a rassomigliare alle squame del leviatano biblico e della protezione ( corazza di
maglia dei cavalieri dell’epoca). Il mostro sorge dal mare e ce una citta deserta sotto se non fosse per
alcuni soldati e di medici della peste, quindi viene rappresentata una situazione di crisi/momento
eccezionale, sulla destra nel mare si vedono delle navi e dei barrage per respingerle; sotto i due gomiti
ci sono dei tratti lunghi, molte discussioni, una scaturita dal fatto che nel frontespizio non ci sia un
mostro vero e proprio, anzi il leviatano è ben costituito ed il suo volto e curato e alla moda dell’epoca, e
si è ipotizzato che questi spuntoni non sono altro che aculei che spuntavano dal mare. L’immagine del
leviatano si apre con uno stato di guerra, che è un fattore determinante degli atteggiamenti umani in
Hobbes.

CAP XI (78)
Hobbes rompe nettamente con la tradizione:

non si da né un fine ultimo né un sommo bene (contro Aristotele), la conseguenza di questo


ragionamento non si da un obiettivo predeterminato, le azioni dei singoli o della collettività non hanno
già inscritti nella loro costituzione ontologica dei fini da dover raggiungere.

La ricerca della felicita è un


continuo progresso dal desiderio di un oggetto all’altro senza fine. Quindi gli individui sono mossi dal
desiderio di acquistare un potere dietro l’altro e questo continuo desiderare che non si accontenta mai
finisce solo con la morte del singolo; la causa è che non ci si può accontentare di quello che si ha
adesso senza acquisire un potere maggiore per conservare il mio benessere, perché siamo in
competizione con tutti gli uomini per proteggere ciò che è nostro anche preventivamente, quindi la
politica per Hobbes non è mossa dalla contesa per i beni ma dalla paura che un altro possa attentare ai
miei beni e la prevenzione del rischio, Hobbes è l anticipatore della politica del pericolo in atto, se si ha
paura che una cosa accada bisogna regolarsi come se quella cosa è certa che avvenga al di la dello
sguardo pragmatico. Scienze sociali hanno coltivato una teoria chiamata mimetica/mimetismo: i
desideri umani tendono a desiderare cio che desiderano gli altri, andando a legittimare Hobbes in un
qualche senso. Quindi non esiste modello ultimo e gli uomini creano i loro
Secondo attacco alla tradizione, siccome noi ignoriamo come nascano gli usi e costumi che adottiamo,
questa ignoranza delle cause dispone a fare della consuetudine e dell’esempio la regola delle proprie
azioni, fonti della morale della classicità e della pre-modernità (consuetudine ed esempio),
atteggiamento simile ai bambini. Questo discorso fatto prima della presentazione dello stato di natura ci
mostra l’uomo mosso da alcune spinte fondamentali: quella del desiderio (ricerca di un bene)
incessante(pleonexia se vogliamo usare il greco), e della paura che tale bene ci venga strappato da altri
ed i suoi effetti, diffidenza tra gli uomini e attacchi preventivi.

Cap XIII stato di natura


Fino all‘800 (Ferguson) società civile=stato. E lo stato di natura è una condizione.
Hobbes riconosce che lo stato di natura sia un esperimento mentale, mitica o non (non importa) in cui
gli uomini si sono trovati prima della creazione di uno stato.
E per la linearità del discorso parte dai presupposti dell’indole del movimento dell’uomo: lo stato di
natura serve per la legittimazione dello stato, e gran parte (di questa legittimità) sta nella
caratterizzazione dei moventi del essere umano; e a seconda a come si caratterizza lo stato di natura ed
i moventi dell’uomo cambiano i presupposti per la creazione di uno stato.

Gli uomini, per Hobbes, nello stato di natura sono uguali, e anche se tra i singoli individui ci siano delle
sproporzioni di forza e intelletto esse non sono cosi grandi da costringere l’individuo in difetto alla
sottomissione, equilibrio statico tra gli individui, se un singolo ha più risorse gli altri si coalizzano per
contenerlo, per quanto possano essere grandi le disuguaglianze fra gli individui nello stato di natura ci
sarà sempre una risposta automatica di autoorganizzazione degli individui che si organizzeranno
spontaneamente per contenere la supremazia di altri uomini, sia sul piano fisico che intellettuale.

Dall’uguaglianza di capacita
nasce la speranza di raggiungere i propri fini, ogni individuo ha le stesse chance di raggiungere il suo
obbiettivo rispetto agli altri (principalmente lo scopo degli individui è la propria conservazione e
talvolta il proprio piacere),
e allora il mezzo più efficiente per ottenere il proprio scopo è la prevenzione, quindi la politica diventa

senza oggetto, non è più rilevante che esista un bene, ma la paura che quel bene venga attentato dagli
altri muove i disegni di prevenzione di tale paura; l’agire preventivamente si arresta quando si incontra
un altro potere più grande che mi sconsiglia di agire in tal modo (dilemma di Tucidide).
Hobbes si difende da accuse di pessimismo dell’uomo dicendo che se lui non conoscesse la natura
dell’uomo, questo stesso atteggiamento ne esce ancor più rafforzato, dal momento in cui gli uomini
agirebbero lo stesso per prevenzione perché gli individui non sanno che comportamento avranno gli
altri, dal momento in cui l’uomo è un enigma io non posso dargli fiducia, l’imprevedibilità dell’uomo
non andrebbe ad intaccare il discorso hobbesiano; la sospensione del giudizio non va a cambiare i
risvolti che dice Hobbes. Diffidenza a base dei rapporti tra individui. Insicurezza costitutiva dello stato
di natura, unica condizione che una volta concessa sorregge tutto il discorso del leviatano.
Primo movente dell’individuo è conservare la propria vita
Ma un secondo movente dell’individuo, che le persone hanno bisogno di riconoscimento (amati stimati
onorati ecc.) potenzialmente l’altro è colui che mi uccide ma è l’unica cosa che può darmi quello che
voglio oltre alla propria conservazione; l’altro lo si teme e lo si desidera. In questa tensione si gioca la
partita hobbesiana.

Cosicché si trovano tre cause principali della contesa tra gli uomini: rivalità, diffidenza e orgoglio
(desiderio di essere riconosciuti). Se prima i moventi erano due qua Hobbes ne distingue un altro che
proviene sempre dalla volontà di autoconservazione, e distingue tra la rivalità effettiva (scontro
effettivo) e la diffidenza (atteggiamento ostile) che dipende, anche se anche non nasce da una rivalità
effettiva, dalla paura di perdere i propri beni per mano altrui; mentre l’orgoglio dipende sempre dalle
relazioni con gli altri. L’unica logica che lega Hobbes è una volontà di autoconservazione e di
accrescimento dei propri beni (materiali sociali).

Gli uomini in un stato di natura si trovano in uno stato di guerra perpetua; guerra di ogni uomo contro
ogni altro uomo; e la guerra non è solo la guerra guerreggiata, rarissima, ma come condizione di guerra
è la predisposizione condivisa dagli individui a trovarsi di fronte ad uno stato di guerra sempre
potenziale (atteggiarsi come se arrivi sempre la guerra), ogni altro tempo si chiama pace (pregnanza
negativa), qualsiasi pretesa più alta è da viziati. La differenza di condizione all’interno della categoria
di assenza di guerra è arbitrario, la cosa su cui tutti si accordano è la non desiderabilità della guerra, e
tutti si dividono su cos’è desiderabile oltre l’assenza di guerra.

Stato di natura stato di brutalità vita dell’uomo misera, solitaria, ostile, animalesca e breve. In questa
situazione i desideri e le passioni dell’uomo non sono un peccato, sino a quando non vi sono leggi in
vigore, la legge non la si puo conoscere sino a che non venga fatta, e nessuna legge può essere fatta
sino a che non ci si e accordati sulla persona che la fà; se non esistono leggi che regolano non esiste
neanche giusto e ingiusto, ed a questa condizione ne consegue che non esiste distinzione tra mio e tuo,
nello stato di natura una cosa è propria quando si riesce a dimostrare concretamente, tramite inganno
forza ecc., di riuscire a farla mia. Questa condizione non è sopportabile dall’uomo ed è razionale
uscirne, ma da soli non si ha un mezzo per uscirne, bisogna trovare un mezzo razionale che spinga tutti
ad uscirne, che quindi garantisca la conservazione di tutti gli individui.
Lezione 2/3
Cap XIV
Premessa; le passioni ci inducono ad uscire dallo stato di natura, l’uomo nello stato di natura sente e
subisce il proprio malessere a livello passionale, d’altro canto pero il mezzo a cui l’uomo deve fare
affidamento è la ragione(guida quasi dantesca), la ragione suggerisce, dice hobbes , opportune clausole
di pace sulle quali si possono portate gli uomini ad un accordo, clausole che vengono chiamate in altri
termini le leggi di natura; nel mezzo di uno stato di passioni, istinti, di moventi a riflessivi (stato di
natura) ad un certo punto spunta la ragione, chiamata a soccorrere una condizione umana miserevole
votata alle passioni. Questa definizione delle leggi di natura si allontana molto da quel concetto che
dallo stoicismo fino a tutto il pensiero tomistico, cristiano o meno, venivano diversificate sulla base di
due fonti principali, indiscutibili auto evidenti, che potevano essere o tratte dal cosmo (ordine nel
creato per i cristiani), o dalla ragione, essa riflettendo ci dice cio che è bene per noi esseri umani all
interno di una società; Hobbes rompe totalmente con questa tradizione ( vedi anche Cap XI ‘sommo
bene’).

Le leggi di natura sono, quindi, le clausole di pace grazie alle quali gli uomini possono accordarsi.
Il diritto di natura per Hobbes è la liberta che ciascuno ha di usare il proprio potere per conservare la
propria vita, questo diritto non è esterno all’uomo; per liberta si intende l’assenza di impedimenti
esterni (liberta negativa, libero da qualcosa, non libero di). Quindi il diritto nello stato di natura, dice
che l’individuo ha diritto a tutto, tutto ciò che serve per conservare nella vita, e dal momento in cui cio
può spingere anche ad uccidere il prossimo, è chiaro che si puo tutto, il diritto di natura coincide con
una liberta sfrenata senza limiti (qualsiasi cosa sia in proprio potere per conservare la propria vita).

Legge di natura quindi è una regola che vieta all’uomo di distruggere la sua vita e dunque per converso
gli impone di fare tutto ciò che serve per conservarla. Legge di natura è un precetto trovato dalla
ragione tratto dalla ragione applicando il quale i massimizza la propria conservazione in vita, con
questo diritto di natura nessun individuo è vincolato. Diritto e legge sono diversi perché una libera
l’altro obbliga (differiscono tra loro come l’obbligazione e la liberta). Siccome che nello stato di natura
non ce nulla che ci garantisca che la nostra vita sia protetta ne segue il diritto a tutto fino alla vita del
prossimo, chiaro esempio della conseguenza del ragionamento. Dato questo stato di guerra continua è
ragionevole ( cioe legge di natura) che ciascuno debba cercare la pace e che se non gli sia possibile
cercare, gli sia lecito cercare e utilizzare tutti gli aiuti della guerra (legge fondamentale), prima
legge di natura.
Quindi questo precetto è diviso in due parti una è la prima legge e altra il primo diritto di natura.
La seconda legge di natura:

la seconda legge di natura quindi mi impone di limitare il proprio diritto di natura nella misura in cui lo
limitano anche gli altri, gli altri lo limitano a loro volta perché bisogna cercare la pace (1° legge), e
anche perche non si puo cercare la pace da soli, quindi la seconda legge impone di cedere una propria
parte del diritto a tutto a patto che anche gli altri cedano egual parte, senza questa equivalenza si
andrebbe a creare uno squilibrio di forza tra le parti che andrebbe a minare la stabilita della pace.
Quindi si apre la questione sulla possibilità che si possa cedere reciprocamente una quota di diritto pari;

abbandonare il diritto su qualcosa significa che l’individuo si priva della liberta, auto-ascritta nello
stato di natura, di impedire agli altri di prenderlo, il termine abbandonare constata l’irreversibilità di
tale azione; si rinuncia alla propria pretesa sul diritto (qua pero ci sarebbe da specificare una cosa,
ovvero che per diritto si intende anche diritto di possedere un bene qualsiasi) e a tutti i mezzi concreti
per difendere tale pretesa. Ci sono due modalità per abbandonare un diritto: o per rinuncia o per
trasferimento; con la rinuncia non ci si preoccupa su chi ricade il proprio diritto abbandonato, per
trasferimento si intende quando l’individuo abbandona il proprio diritto ma solo a patto che vada ad
una certa persona, altrimenti si mantiene il proprio diritto.
Con questo ragionamento sorge un “ingiustizia” ed essa si da quando si ha rinunciato ad un diritto e
tuttavia non si rinuncia ai mezzi per far valere tal diritto, questa è l’unica circostanza in cui si può
parlare di ingiustizia, ci si è impegnati a rinunciare un proprio diritto ma non ci si comporta di
conseguenza (concezione contrattualistica della giustizia, cefalo!!!!). Questa ingiustizia non è
propriamente ingiustizia ma è un criterio comune ricavabile dallo stato di natura, essa può essere
propriamente nominata, come nelle dispute scolastiche, assurdità, è una contraddizione della ragione, e
quindi delle l’un altra cosa che la fa differire è che in uno stato di natura non si può dare una punizione
certa (o comunque delle conseguenze negative), ma non si può razionalmente negare che colui che si
sta ritraendo dal proprio impegno sta commettendo ingiustizia. Quindi non ce ingiustizia senza prima
impegnarsi (ma giusto ed ingiusto non si concretizzano mai nello stato di natura), tutto questo dato
dalla logica consequenziale di Hobbes. Ed alcuni diritti sono inalienabili, come quello alla vita.

Che cos’è un contratto? Il trasferimento (cessione una di frazione di diritto a persona determinata)
reciproco di diritto è ciò che si può chiamare un contratto, quindi il contratto è la cessione di un diritto
che prevede reciprocità (lo faccio solo se lo fai anche tu), quindi il contratto è una rinuncia specifica
dell’abbandono di un diritto. Trasferimento del diritto di una cosa, è diverso dal trasferimento(cessione)
della cosa stessa, la cosa può essere ceduta assieme con la traslazione del diritto, e può essere ceduta
qualche tempo dopo. Quando si cede un proprio bene l’effettivo godimento di quel bene da parte della
persona a cui l’ho ceduto può slittare di qualche tempo (non ne può godere subito), quindi si è un po
più garantiti sull’inaffidabilità degli altri perché l’atto di cessione del proprio diritto non coincide
immediatamente con l’entrata in possesso degli altri del mio bene, come se ci fosse una cauzione.
Da questi due presupposti, le due leggi di natura, ne segue una terza:

In questa legge di natura consiste la fonte e l’origine della giustizia, infatti dove non è intercorso alcun
patto, non c e neanche trasferimento del diritto con la conseguenza del diritto a tutto su tutti e che
nessuna azione sia ingiusta, ma il non adempimento del patto una volta stipulato allora è ingiusto
infrangerlo, giusto è poi tutto ciò che non è ingiusto. Si ha diritto a tutto tranne che non rispettare i
patti. Per come stanno le cose pero c e bisogno di un altro fattore che in questi passi hobbes ancora non
delinea del tutto ma accenna: quello della necessita di un garante esterno ai contratti che se ne faccia
carico, dal momento in cui all’interno di un insieme di persone nello stato di natura non puo esserci
reciproca fiducia che tenga.

Hobbes qui profila la figura dello stolto, e pensa che non esiste una cosa come la giustizia, siccome è
alla cura di ciascun uomo che è affidata la conservazione di sé stesso, non ci può essere alcuna ragione
per la quale ognuno non possa fare quello che pensa che conduca a questo, allora ci potrà essere
qualcuno che pensa di avvantaggiarsi dei diritti ceduti dagli altri senza cedere il proprio essendo magari
questa azione funzionale al proprio progetto di vita, beneficiando dei vantaggi della cessione altrui
senza perdere nulla; quindi qua si va a creare la questione se si puo veramente constatare che non è
razionale rompere i patti stipulati, ma anche in questa situazione il non rispettare i patti non è
ragionevole

La vera ragione contro lo stolto, appunto è che non conviene non rispettare i patti, perché la persona
che si sottrae, non solo avrà tutti contro (cosa che neanche accenna Hobbes), ma si è autocondannato a
far leva sulle proprie uniche forze per sopportare la condizione dello stato di natura, perché nessuno si
fiderà più di lui; colui che agisce contro la comunità di affranca anche da essa, e colui che pensa di
sopportare la condizione dello stato di natura da solo Hobbes dice che è uno stolto (pazzo). Ed è
razionale che coloro che hanno stretto il patto lo mantengano anche quando lo stolto se ne sottrae,
perché si avrebbero meno persone con cui condividere i beni che lo stolto ha ceduto e che non puo
riappropriarsene. Non esiste alcun patto che una volta stipulato peggiori le condizioni di vita rispetto
allo stato di natura, eccetto un patto che obblighi a cedere il diritto alla conservazione della vita, e che
venga rispettato da tutti.
Perche è contro ragione anche la ribellione?

Due ragioni: 1°, più probabile che il tentativo di ribellione abbia insuccesso, perché ci si va a ribellare
contro un potere costituito, quindi saldo e forte, 2°, sia perché tramite la ribellione di successo si
istruisce ad altri a far altresì, non stare ai patti mette a rischio la propria vita e quindi non è razionale
(razionalità minimale).
Prime tre leggi di natura fondamentali, dalla IV alla IXX sono leggi di prudenza che rendono piu facile
un accordo rispetto alla loro assenza, mosse dal principio generale delle leggi di natura (lex naturalis).
Mezzo principe per la conservazione della vita è il patto (terza legge) tutte le altre leggi sono leggi che
favoriscono al patto, tramite rendendo più affidabili i contraenti cercando di costruire dei rapporti di
fiducia tra loro, tolte le prime tre non si può uscire dal patto, le altre non per forza.

Riassunto delle leggi (IV IXX).


Le leggi di natura obbligano in “foro interno”, vale a dire vincolano a desiderare che abbiano
attuazione, ma non obbligano sempre in “foro esterno”, obbligano internamente (morale sui generis)
cioe come convinzione che non puo non vincolarci, che non ci obbligano a portare a compimento
quella convinzione, perche non si ha nessuna garanzia.

Non possiamo servirci del patto fino a che non siamo del tutto concordi e ci diamo reciproca garanzia.
La scienza di queste leggi è la vera ed unica filosofia morale; la morale vera è solo quella in cui
possiamo riconoscere come vincolante reciprocamente, e siccome cio che vincola reciprocamente sono
le prime tre leggi di natura tutto ciò che è esterno ad esse non è morale.
Pero tutti questi dettami della ragione che Hobbes chiama leggi, impropriamente, poiche esse non sono
che conclusioni o teoremi (pur sempre dettati dalla ragione), obbligante ed obbligato coincidono dal
momento in cui è la ragione di ogni singolo che detta queste leggi, mentre la legge propria è la parola
di colui o coloro che sostengono per diritto l’Impero

Lezione 4
Razionalità e giustizia nello stato di natura coincidono nello stato di natura, tentativo di ancorare il
giusto nella ragione.
Dopo l’enunciazione delle leggi di natura Hobbes chiude la prima parte del libro, l’uomo, per aprire
quella sullo stato. Hobbes ha preteso che se si è una persona razionale non si può non volere uscire
dallo stato di natura, e quindi stringere un patto; la questione ora è come garantire la precondizione
fondamentale che stringere un patto sia razionale e che l’altro faccia lo stesso, che sia reciproca del
diritto di tutti su tutto. Pero Hobbes prima di trattare su quest’argomento inserisce il
capitolo XVI
a funzione di giunzione, persone autori e cose impersonate, che va ad indagare sul problema
dell’affidamento del diritto a tutto su tutti, perché tale persona avrebbe un potere straordinariamente
superiore a quello di ogni altro; a chi si cede il diritto questo diritto a tutto su tutti visto che il garante
deve essere esterno al patto? La risposta di Hobbes è quella di parlare di una persona, una persona,
giuridica, non sara identica a nessuna persona fisica, anche se potrà essere coincidente con un singolo
individuo
Quindi si danno due tipi di persone la persona le cui parole o azioni sono considerate proprie, e la
persona le cui parole o azioni rappresentano quelle di un altro. Il secondo tipo di persone fa riferimento
ai rappresentanti che sono considerati come persone fittizie o artificiali; anche per questo Hobbes viene
conclamato come grande teorico dello stato artificiale, e quindi non ce nulla di naturale in ciò che porta
alla costruzione dello stato, dal momento in cui costruiamo lo stato per uscire da uno stato naturale, e
anche linguisticamente artificiale, perché lo stato va costruito e pensato. Hobbes riesce a slegare le
persone fisiche con quelle giuridiche, dunque ha un doppio piano su cui muoversi in questo problema
delle garanzie di sicurezza nel passaggio tra stato di natura e la creazione di uno stato.
Data questa distinzione

Cap XVII
Date queste precondizioni è inevitabile che si figuri un obiettivo come quello che Hobbes chiama stato.
In tutte le teorie politiche si è sempre tenuto conto della legge del più forte, ognuna di esse a trovato
soluzioni diverse (come l’annichilimento di qualsiasi potere), ed Hobbes trova la soluzione
radicalizzando ancora di più la logica dello stato di natura, ovvero dal momento in cui nella condizione
naturale ogni individuo agisce preventivamente sugli altri fino a che non ne trova uno troppo forte da
non poter permettersi di rischiare di attaccarlo, Hobbes radicalizza questa logica di potere, andando a
costruire un potere cosi tremendamente più forte rispetto agli altri il quale sarebbe illogico sfidarlo,
unificare le disuguaglianze dello stato di natura, che rendono uno più forte dell altro (per qualsiasi
motivo che sia), in un unica entità tale per cui tutti avremo paura di quella persona e quindi tutti saremo
uguali, dal momento in cui nessun individuo si azzarderebbe a sfidare tale potere, e se tal potere è
vincolato dal rispetto della vita di ciascuno, si avrà trovato il modo per il quale ogni individuo desisterà
dal recare danno ad altri per paura di questo potere terrificante.

Se non esiste un potere costituito, o uno troppo debole, ognuno vorrà e potrà legalmente fare
affidamento sulla sua sola forza ed abilita per difendersi da tutti gli altri uomini

Un potere che spinga i contraenti sia a condurre il patto sia a mantenerlo, tutti noi se siamo razionali
dovremo cedere il nostro diritto originale ad un solo uomo o ad un’assemblea di uomini (importante è
che ci sia un potere centrale assoluto, non importa la forma di governo), la moltitudine diventa persona,
e accetta che tale persona la rappresenti in tutto.
Lo stato nasce quando l’insieme di individui nello stato di natura diventa persona, riconoscendo in un
unico sovrano il proprio rappresentante. Dunque il leviatano (dio mortale), è il rappresentante in terra
di dio. In hobbes non ce nessuna legittimizazione sacrale del potere, ma quando hobbes insiste nell
opporre dio mortale (leviatano) e dio immortale ha due obbiettivi: l’antipapismo e di esplicitare tramite
metafora che solo dio è piu potente dello stato. Quindi lo stato è:
Lo stato è l’unificatore della quota di potere e anche di forza materiale che hanno ceduto i singoli
individui che avoca a sé questo potere in modo da dar vita ad un potere unico che non possa essere
resistito da nessuno.
Chi incarna la persona dello stato si chiama sovrano, chiunque altro è chiamato suddito.
Esistono due modi per il raggiungimento del potere sovrano: per forza naturale, d’imposizione (per
acquisizione) ; il secondo modo è tramite la sottomissione volontaria dei singoli individui ad un uomo o
assemblea con la fiducia di essere protetti dal sovrano, chiamato per istituzione.

Cap XVIII

Si apre cosi il capitolo diciottesimo, e da ciò derivano tutti i diritti e le facoltà del potere sovrano
derivante dal consenso popolare. Tutto quello che lo stato ed il sovrano ha diritto e fare, quindi tutto cio
su ciò i sudditi non hanno più diritto, ciò crea dei vincoli ai sudditi

Il sovrano non è uno dei contraenti, perché non esiste il sovrano prima del patto, con la conseguenza
che non può essere neanche uno dei violatori del patto; quindi il sovrano non può mai violare il patto. Il
sovrano non è tra i contraenti del patto tra la moltitudine ma il beneficiario del contratto tra la
moltitudine ed il sovrano. Patto di tutti con tutti, perché tutti cedono in egual misura una quota di potere
che essa viene ceduta tramite un contratto alla persona che incarna il potere sovrano.
Quando un suddito rompe il patto allora il contratto tra sovrano e quel singolo suddito viene sciolto, e
quindi il sovrano è autorizzato alla punizione senza rompere alcun contratto. I motivi del perché il
sovrano è esterno al patto sono tre: perché non può stipulare esso con la moltitudine, dal momento in
cui si va a creare solo dopo la stipulazione del patto; e se andasse a stipulare patti con ogni singolo
individuo essi sarebbero nulli, poiché qualsiasi atto del sovrano possa essere inteso da almeno un
individuo come infrazione del patto stesso; la seconda è che c’è sempre bisogno di una parte terza che
faccia da garante (e giudice), e nel caso in cui il patto venga rotto nessuno potrebbe farlo, sarebbe l
opinione del sovrano contro quella dei sudditi; i patti essendo solo parola e fiato non hanno nessun
garante se non quello della spada pubblica. Il sovrano diventa giudice ultimo di ciò che è opportuno
fare o non fare, ed è razionale dargli tutti i mezzi per questo fine. Ed una volta stretto il contratto tra
sudditi e sovrano essi non possono assolutamente cambiare forma di governo.
Come riassunto delle prerogative del sovrano è che esso diventa decisore ed interprete ultimo di
qualsiasi necessita dello stato. Il sovrano quindi è in potere di fare essenzialmente ogni cosa, tranne
mettere a rischio la vita dei sudditi; questi dodici punti servono, oltre a delineare i poteri del sovrano,
per contrastare dottrine alternative del governo limitato.

Lezione 5
Continuo Cap XVIII
Punto terzo: se non si è d’accordo con una decisione del sovrano, o qualsiasi altro aspetto che derivi da
una sua decisione, i sudditi non hanno diritto di protestare, è diviso in due argomentazioni, la prima più
normativistica la seconda più di fatto; una volta che si son ceduti tutti i diritti, tranne quello alla vita,
non è giusto manifestare dissenso dal momento in cui andando ad aderire al patto si è ceduto anche tale
diritto; mentre l argomentazione più pragmatica, indipendentemente da questioni di giustizia od
ingiustizia, il dissenziente, dissentendo, si ritroverebbe di nuovo in quella condizione miserevole dello
stato di natura. Come si può vedere da questo esempio, c’è spesso in Hobbes questo doppio registro,
ancora oggi in uso per legiferare, che da delle ragioni ai sudditi per obbedire, e che se queste ragioni
non sono ascoltate, i sudditi hanno un’altra fonte, più stringente, di obbedienza ovvero la pressione che
ciascuno subisce se si rimette in uno stato naturale. Quindi chi dissente o non ha diritto o non gli
conviene.
Punto VIII, non esiste altro giudice ultimo che non si il sovrano, quindi possono esistere dei delegati,
ma l’ultima parola, se questi non d’accordo, spetta al sovrano. E questo non solo per giudizi giuridici,
ma anche per questioni e diatribe, scientifiche, teologiche, culturali ecc., il sovrano è portato spesso ad
esprimere un giudizio sulla verità.
Tutti questi diritti sono non trasmissibili (da Rousseau in poi inalienabili) ed inseparabili (indivisibili),
non esiste divisione dei poteri, che Hobbes riconduce ad una più alta instabilità dello e ad una sua
inevitabile dissoluzione; dal momento in cui se esistono poteri divisi non si può escludere la possibilità
che essi siano in contrasto tra di loro.
I rischi che possono derivare da un’assolutezza del potere sono in ogni circostanza inferiori ai rischi di
qualsiasi altra alternativa: il bene primario dell’uomo è la sua conservazione, ed ogni altro bene viene
messo in secondo piano quando il primo è a rischio; non bisogna fare un bilanciamento tra i beni, dal
momento in cui se mancasse il primo (la propria conservazione) non si avrebbero neanche gli altri, e se
anche si volesse fare un bilanciamento tra i beni esso sarebbe totalmente a favore della conservazione.
Qualsiasi teoria politica, ed esistenziale, non può prescindere dal grado 0 della propria sicurezza (la
propria conservazione), ed ogni questione secondaria sorge solamente se la sicurezza di tutti è stabile
ed inattaccabile. Il sovrano non ha alcun interesse, e vantaggio, ad andare contro i sudditi se non nella
misura in cui essi attentano alla sicurezza dello stato, perché nel vigore dei sudditi consiste la forza e la
gloria dei sudditi.

Cap IXX: Diverse specie dello stato per istituzione. La successione al potere del sovrano

Hobbes riprende uno dei criteri classici di classificazione statale, ovvero quello del numero di
governanti, uno solo monarchia, se sono tutti si chiamerà democrazia, se sono una parte (ne migliori ne
pochi, basta tutti meno uno) si chiamerà aristocrazia.
Già nell’antichità esisteva questa distinzione di forme di governo, ma oltre a queste, grazie
principalmente a Platone e Aristotele, esistevano delle controparti o degenerazioni delle varie forme di
governo, che invece di fare gli interessi della moltitudine facevano i loro: dalla monarchia degenerata la
tirannide; dall’aristocrazia l’oligarchia; dalla democrazia (formalmente sia Platone ed Aristotele
indicavano con questo termine la forma degenerata di politiá) degenerata la demagogia, o anarchia.
Hobbes considera queste degenerazioni non come tali, ma come nomi non già di altre forme di
governo, bensì delle stesse quando sono considerate con avversione, queste etichette non hanno
nessun criterio oggettivo se non le nostre preferenze personali, mentre il numero dei governanti è
oggettivo. Qualsiasi criterio di giudizio a riguardo della bontà dell’operato di governo è del tutto inabile
come fondamento ad una distinzione delle forme di governo per una questione di soggettività, non si ha
un criterio assoluto, e questo va a creare un problema perché questo contrasto andrà a creare la
dissoluzione dello stato.
Hobbes dice che non sono ammesse realtà politiche altre dallo stato stesso, tutte quelle realtà
comunitarie, associative, di condivisione della vita, con una qualche rilevanza, anche potenziale,
pubblica o politica; esse vanno del tutto sradicate perché possono essere degli stati in piccolo, e
possono pretendere quell’assolutezza, fedeltà, che possa andare in contrasto con quella statale. La
prima di queste realtà a cui pensa Hobbes sono le chiese, che sono le realtà comunicative che possono
richiedere una fedeltà talmente forte da ritenersi prioritaria quando entra in contrasto con qualsiasi
altra, in quanto quel periodo è stato segnato duramente dallo scontro tra cattolici e anglicani. Una sola
persona puo parlare a nome dei sudditi: il sovrano.
La scelta della forma di governo come forma di governo migliore è l’unica parte del suo sistema che
non pretende di essere valida per tutte le persone razionali, semplicemente Hobbes dice che ci sono più
vantaggi a sostenere un governo monarchico; ed esso presenta sei argomentazioni per mostrare la
sensatezza della forma monarchica di stato. La differenza delle forme di governo non sta nella
differenza di potere, uguale in tutte in quanto assoluto, ma nella differenza di vantaggi ed
idoneità che presentano per produrre la pace e la sicurezza.
Nella sostanza queste sei argomentazioni che il monarca non si deve mettere d’accordo con nessun
altro, per il fatto che governa da solo. Il sovrano non deve essere limitato, altrimenti quello stesso
potere non sarebbe sovrano (sopra di tutti) perché andrebbe a crearsi un potere ancor più superiore per
limitarlo. Successione al potere sovrano (cap IXX) disputa delle case regnanti in Inghilterra nel periodo
in cui scrive Hobbes, quindi è un po’na cagata.

Cap XX
Fino ad ora si sono visti i diritti del sovrano per istituzione (creato da un patto), mentre ora passa a
parlare dello stato per acquisizione (uno stato istituito tramite la forza).

Sembra molto simile allo stato per istituzione, perché le persone autorizzano il sovrano per le stesse
condizioni dello stato di natura (paura della morte o di vincoli), in ambedue i casi i singoli erigono lo
stato per paura, ma nello stato d’istituzione le persone hanno paura del prossimo non del sovrano
stesso, non esistono condizioni che rendono nullo un patto, neanche quello della coartazione, che se
non fossimo stati costretti a firmare non avremmo stipulato; dal momento in cui tutti i patti
fondamentali si firmano per paura: la limitazione volontaria dalle proprie facoltà e azioni da parte
dell’uomo viene fatta esclusivamente con l’unico presupposto della paura. Quando il consenso non
viene chiesto o viene estorto, i diritti del sovrano non cambiano lo stesso. Che il potere centrale sia
costituito di fatto o di diritto garantisce l’unica cosa che per gli esseri umani deve essere pensata come
desiderabile, cioè un potere centrale non resistibile, come questo sia istituito non cambia nulla, e se
anche non si pensi sia desiderabile non si può fare nulla al riguardo. La legittimità dello stato coincide
con la convenienza della sopravvivenza.
Una delle grandi legittimazioni del potere era quella del potere paterno: ovvero colui che meglio
rappresenta meglio quel rapporto di paternità, che riesce a garantire a livello comunitario quello che il
buon padre di famiglia garantisce a livello contestuale, perfetta omologia, ma c’è anche un padre
superiore (dio) a tutti gli altri padri. Il dominio paterno ed il dominio dispotico, si differenziano perché
il primo deriva dal consenso, come nel rapporto genitori figli, l’altro no.

Non si discute il potere sovrano perché una volta che si discute il potere esso non regge, perché è una
cosa fragilissima. Perché è sempre possibile un’alternativa con pari legittimità che discutendo il potere
si da la strada all’anarchia

Cap XXI Libertà dei sudditi


Definizione meccanicista, e sta in tutti gli oggetti, perché è semplicemente un grado di relazione
causale nel mondo fisico, si è liberi quando non si è impediti.

È sensato parlare di liberta per Hobbes solamente per quanto riguarda atti esterni, questo per smontare
ogni fonte interna di libertà, e per far coincidere timore e liberta: se si è costretti da qualcosa, altro
dall’impedimento materiale, non si può dire di non essere liberi (questo anche per giustificare poteri
dispotici)

Non viene mai tolta la possibilità materiale di fare un’azione tramite una legge, tant’è che liberta e
necessita sono compatibili.
Quindi il timore non lede nulla alla libertà, semmai è una condizione in più da tener conto quando si
prende una decisione. Il sovrano non può impedire nulla materialmente, ma può solamente far
diminuire le probabilità che una cosa avvenga.
A questo punto parla della liberta dei sudditi, che consiste esclusivamente nel regolarsi come credono
in quelle materie che non vengono regolate dalla legge, laddove la legge civile regoli una determinata
materia gli uomini non possono pretendere nessuna liberta altra.

Il potere può disporre di tutto ma non per forza deve, un conto è la disponibilità del potere, un altro è
come questo potere si serba di tale diponibilità, non sembra cosi totalitario, il potere sceglie e legifera
solamente in quegli ambiti in cui l’assenza di legge andrebbe a compromettere il potere e l’incolumità
dei sudditi. Non è tra le prerogative essenziali del potere la meta ultima che quest’ultimo si pone
(nazisti comunisti e compagnia).
Se il sovrano condanna a morte il sovrano non sta violando alcuna clausola del patto, perché è
solamente un beneficiario, quando attenta alla vita del singolo il sovrano ha reso insensato il sottostare
al patto, e non c’è alcun rapporto di giustizia/ingiustizia, e di fatto il condannato ripiomba nello stato di
natura e si troverà di fronte una forza inarrestabile quale è il sovrano.

Lezione 6
Continuo cap XXI
Hobbes fa capire chiaramente che il potere deve essere assoluto ma deve limitarsi a quelle poche
regolamentazioni che sono sufficienti a garantire la sicurezza.
Per Hobbes è completamente concepibile una democrazia assoluta, che dispone di tutto il potere
politico (simile a quella di Rousseau), basta che il potere non abbia vincoli.
Hobbes vuole demolire l’idea che la liberta degli esseri umani si accresca nel caso in cui siano
idealmente o fattualmente autorizzati, o si arroghino il diritto di trasgredire la legge, Hobbes risponde
che le leggi garantiscono l’unica precondizione solo stando alla quale si può fare ciò che si vuole, allora
pretendere che ci sia più liberta tramite la scomparsa delle leggi sarebbe un controsenso, ed andrebbe a
coincidere con i rischi di ricadere in uno stato di natura. Se si fosse liberi contra legem, in tutti i casi in
cui le leggi regolano una certa materia, si sarebbe stolti, perché non si andrebbe ad avvedere del fatto
che la legge esistono per conservare la propria vita, e dunque la precondizione della propria libertà.
Il massimo grado di liberta co-possibile, chiama una limitazione reciproca delle proprie liberta (la mia
liberta finisce dove inizia la tua essenzialmente), bisogna fare un compromesso tra la liberta e la
sicurezza dei singoli.
Ma ci sono alcuni casi particolari in cui il suddito può rifiutarsi di fare un comando del sovrano (non
rispettare la legge), senza compiere ingiustizia; dal momento in cui non si possono stringere patti che
cedano il diritto alla conservazione, o se si fa essi sono nulli, qualsiasi comando o legge del sovrano
che vada contro questo unico diritto inalienabile, allora il suddito ha la liberta di disobbedire; e di
conseguenza a ciò gli individui non sono obbligati ad accusare se stessi.

Qui Hobbes dice che se i il sovrano concede ai sudditi delle liberta troppo grandi, che con la loro
presenza andrebbero a minare la stabilita dello stato, allora sarebbe ragionevole ritenerla nulla; qui pero
si incappa in un paradosso, perche se sia sudditi che sovrano sono d’accordo con tale liberta concessa
allora nessuna delle due parti potrebbe riconoscere l’errore portando alla dissoluzione dello stato, qua si
apre una teoretica svolta paternalistica (ovvero chi deve essere colui che fa riconoscere l’errore al
sovrano e ai sudditi, e chi classifica una decisione non ragionevole) di cui Hobbes pero non parla mai.

Se il sovrano non protegge più la vita dei sudditi essi non hanno più nessun obbligo verso il sovrano, e
chi valuta il rischio della propria vita sono gli individui stessi, che giudicano se la loro vita è in pericolo
o no, fintanto che durano le garanzie della vita il patto non può essere sciolto.

Cap XXVI
Regolamentazioni delle condotte umani una volta passati dallo stato naturale a quello civile;

Quando si parla di leggi in generale caratterizzanti a forma stato non uno stato in particolare.
Il criterio di giustizia lo dettano le leggi, quindi non esisto giusto od ingiusto precedente alla legge; in
Hobbes tutto quello che si da alla civiltà lo si da grazie allo stato, nello stato di natura non c’è nessuna
condizione per creare qualcosa di costruttivo; le leggi civili le fa il sovrano (diventa il legislatore),
l’assolutezza del potere in Hobbes è riprovata dallo svincolo del sovrano dalla legge, perché di fatto
può farlo, e se anche si sottoporrebbe alla legge esso può cambiarla a suo piacimento (classica
argomentazione di fatto e di diritto).
Lezione 7
Continuo cap XXVI
A fare la legge non è la verità, vuol dire che quello che diventa legge lo determina la capacita di
qualcuno di saperlo imporre, non ha nulla a che fare col suo contenuto, quello che conta è la capacita di
imporre un comando, il suo contenuto non è rilevante. Quello che determina che qualcosa diventa legge
è la sua, della legge, non è più nessun fondamento veritativo, ma solamente per la sua capacita ad
imporsi, è l’autorità a fare la legge.
Ed la grande alternativa a questa idea di Hobbes era che il vessillo della verità venisse portato dalla
consuetudine, che nell’Inghilterra di Hobbes, ma anche in quella moderna, ha influenzato molto il
sistema giuridico, quello del common law, che non ha una carta costituzionale singola, ma diversi
documenti costituenti, e da molta più importanza ai precedenti in campo giuridico per determinare
l’interpretazione della legge (per un giudizio in tribunale), stare a quello che è stato già deciso, mentre i
sistemi di civil law non danno ai giudizi dei tribunali precedenti molto rilievo. Ed ai tempi di Hobbes il
dibattito si concentrava tra la primazia esecutivo/parlamentare, e giudici, chi sarebbe il guardiano
ultimo della legalità, per la primazia potestativa Hobbes si schiera con l’autorità statale.
Se a far la legge sia il sovrano, o se invece il sovrano debba ricavare la legge dalla tradizione
(propriamente detta consuetudine); i vantaggi della consuetudine sono due uno pratico ed uno
epistemico, il primo è che la consuetudine è tale perché già seguita, e quindi non si avrebbe il problema
di implementare una nuova norma sconosciuta, mentre il vantaggio epistemico è che la consuetudine è
seguita perché le persone sono convinte che sia il modo migliore di svolgere una certa cosa,
raggiungere un certo obbiettivo; il problema della consuetudine è che decide gli indirizzi di una
comunità politica indipendentemente da ogni altra cosa, bisogna essere ciò che si è sempre stati, il
secondo problema è che la consuetudine non è mai seguita da tutti, 3° la consuetudine assomiglia
troppo alla legge del più forte. La consuetudine diventa la potenziale alternativa alle leggi redatte
solamente dal sovrano.
Ma Hobbes al diritto consuetudinario vuole sostituire un diritto completamente volontaristico, è legge
quello che vuole il sovrano (cosa vuole il sovrano? Quello che gli pare) non c’è nessun vincolo alla
liberta e alla volontà sovrane

Queste leggi consuetudinarie sono tali non perché quella certa abitudine è seguita da tanto tempo, il
tempo è irrilevante, al contrario di come affermano coloro che appoggiano il diritto consuetudinario,
dicendo che il tempo è l’unica riprova della saggezza di una scelta politica, dal momento in cui è stata
adottata da molteplici generazioni; il tempo comprova la validità delle leggi, dal momento in cui esso è
un criterio oggettivo.
Hobbes valuta le consuetudini del suo tempo, e dice che non è l’adozione concreta e reiterata di una
prassi che fa di quella prassi una legge, ma è il fatto che il sovrano non ha legiferato nulla di diverso
dalla legge consuetudinaria a riguardo di quella materia, è il fatto che il sovrano sia silente a conferire
autorità alla legge (ex negativo) perché il sovrano non è interessato a legiferare altrimenti. Dunque
l’autorità ultima nel fare la legge rimane nel sovrano.
Dal punto 4 Hobbes valuta i rapporti tra diritto scritto (civile) e non scritto (naturale), e dice che non
c’è alcun contrasto perché entrambi hanno pari estensione. Le leggi di natura non sono propriamente
leggi ma qualità che rendono gli uomini inclini alla pace e all’obbedienza, e solo con la costituzione
dello stato possono obbligare in foro esterno e che la riempia di contenuti incontrovertibili, ed
interpretabile in maniere infinite. Quindi essenzialmente per non poter mai far contraddire diritto civile
e leggi naturali Hobbes rende quest’ultime oggetto d’interpretazione del sovrano

tra legge di natura non ci può essere contrasto perché non sono due contenuti in potenziale conflitto, ma
c’è una legge indeterminata e una determinazione di tale legge, che è la decisione del sovrano riguardo
a quella legge. Hobbes richiama portando all’estremo questa necessita del diritto che è quella delle
definizioni dirimente delle categorie giuridiche, quindi la legge di natura non può mai essere diversa da
quella del sovrano, perché il sovrano solo decide il contenuto di essa. Legge naturale e legge civile non
sono differenti specie di legge ma differenti parti dell’ordinamento giuridico, la parte scritta è detta
civile quella non scritta naturale, e quest’ultima coincide con quella porzione di realtà in cui il sovrano
non ha legiferato.
Hobbes è stato anche considerato il padre del liberalismo (contro-intuitivo lo so), perché lo stato civile
si rivolge ai singoli individui, forte rilevanza degli individui; e l’obbiettivo della legge è la sicurezza
dei cittadini, ed una volta raggiunto tale obbiettivo ogni altra legiferazione è superflua. La legge ti dice
cosa non devi fare, che è ben diverso dell’imposizione di un singolo comportamento (funzione
limitativa della legge); atteggiamento limitante dell’attività dello stato, deve limitarsi a vietare quelle
cose che se si dessero renderebbero impossibile la convivenza pacifica.
Nel punto 5 Hobbes ribadisce il concetto che solo il re può istituire le leggi, e non la consuetudine.
Nel punto 6 Hobbes attacca il parlamentarismo inglese, dicendo che forza e giustizia non possono
risiedere in due organi diversi e indipendenti tra loro, re e parlamento, così facendo si andrebbe ad
indebolire lo stato ed aprire le porte ad una guerra civile.
Nel punto 7 Hobbes intavola il discorso a chi spetta interpretare le leggi, e le categorie di esse (cos’è
omicidio, furto, padre madre), dice che la legge non può essere contro ragione, e che non debba essere
ogni interpretazione letterale di essa, ma deve essere conforme all’intenzione del legislatore. Il dubbio
sorge su di chi sia quella ragione che andrà accettata come legge; Hobbes dice che ne ogni ragione
privata, ma neanche una ragione artificialmente raffinata con lunghi studi, osservazioni e esperienze,
dai giuristi, perché quest’ultimi non sono in grado di andare a creare un contenuto incontrovertibile alla
legge dal momento in cui sono molto spesso sono discordi tra loro sull’interpretazione della legge; il
consustanziale disaccordo all’interno della classe dei giuristi riguardo l’interpretazione rende inutile
affidarsi ad essi per la determinazione dirimente del contenuto della legge (tot capita tot sentetiae); a
far legge non è la juris prudentia, ma la ragione e il comando dello stato (del sovrano). Il giudice
subordinato non deve interpretare la legge personalmente, ma nell’ottica di cosa aveva in mente il
legislatore.

Cap XXVII
Il peccato non per forza è un reato commesso, ma basta anche solamente l’intenzionalità di fare una
certa azione “criminale” per definirla peccato.
Il crimine, è la trasgressione della legge, quindi ogni crimine è peccato, ma non ogni peccato è crimine.
Non esistono crimini se non c’è un atto esterno di violazione della legge, il che implica una
laicizzazione della legislazione, le intenzioni non rilevano, la legge è conformità di atti esterni ad una
certa prescrizione.

Lezione 8
Continuo Cap XXVII
Affinché si possa parlare di peccato sono necessarie due caratteristiche, commettere qualcosa che è
vietato è l’omettere qualcosa di obbligatorio, il 2° è avere intenzione o proporsi di trasgredire; per il
crimine, che è una sottospecie di mercato, è sufficiente che ci sia il fatto senza che ci sia l’intenzione, di
offesa al legislatore. Questa distinzione è dovuta perché nel periodo in cui Hobbes ha scritto, ci sono
stati molti conflitti civili e religiosi, e per ovviare a questo problema taglia fuori dall’insieme giuridico
tutta la parte di giudizio alle intenzioni, perché se eclissi l’intenzionalità dal giudizio allora le credenze
religiose e culturali non vengono chiamate in causa. Allo stato non interessa ciò che i sudditi pensano,
ma interessa che essi obbediscano; la politica si distacca da ciò che uno crede personalmente e si
incentra più su i comportamenti. Schmitt dirà che questo è un problema, perché se non si interessa a ciò
che le persone credono, prima o poi lo stato ci rimetterà per colpa dei comportamenti (che derivano
dalle credenze).
Togliere dalla pertinenza dello stato le intenzioni significa che lo stato non deve più preoccuparsi di ciò
che le persone credono ma di quello che fanno; la liberta di coscienza è garantita.

Cap XVIII punizione e ricompense

Qui, nonostante la pacificità della definizione, punizione è un male (danno) inflitto, non serve a farti
scontare una vendetta pubblica, la punizione serve a presentarti uno svantaggio superiore al vantaggio
potenziale se si andasse ad infrangere la legge; lo stato presenta uno scenario in cui se si infrange la
legge l’individuo ha più svantaggi che vantaggi.

Se dato per grazia (gratise), senza aver nulla in cambio, e viene fatto sempre dal sovrano come
incentivo per i loro servizi.
Alla fine di questo capitolo Hobbes ribadisce il paragone dello stato-leviatano e la sua mortalità; in
conseguenza a ciò Hobbes dice che non bisogna affidarsi ad un potere divino, dal momento in cui dio
su questa terra non esercita potere.

Cap IXXX
Qua Hobbes scrive quali sono le possibili cause di collasso dello stato.
Il leviatano è destinato a morire perché lo operano i mortali, tutta via se gli uomini che la operano sono
ragionevoli essi possono scampare per lo meno le cause interne della morte dello stato. Gli stati
sarebbero destinati a vivere quanto l’umanità, e allora Hobbes si pone la domanda: come mai gli stati
periscono? Le cause di morte degli stati che sono messe nel nodo delle possibilità, sono quelle di causa
esterna: la guerra, perché gli stati sono tra di loro in condizione di natura (dal momento in cui quando i
costituenti di uno stato stringono il patto vanno a traslare il loro rapporto nello stato di natura nei
rapporti interstatali), e quindi in una perenne guerra dei tutti contro tutti; quindi la sicurezza assoluta
non è garantitile, perché una soluzione a livello interstatale non esisterà mai. Quindi ci si dovrebbe
ravvedere in particolare sulle cause interne di morte, da ricondurre al disordine interno, e nel caso in
cui succeda ciò (la morte dello stato per cause interne), gli uomini sono gli artefici della morte dello
stato perché hanno volontariamente minato la sua costituzione, i congiuratori non sono razionali pero,
dal momento in cui stanno agendo per tornare allo stato di natura.

Hobbes affaccia delle motivazioni, che fino ad ora non aveva mai tratteggiato, sul perché gli uomini
compiono azioni irrazionali: sia per mancanza dell’arte di fare leggi, che va ad indebolire lo stato e
quindi esso non sembra desiderabile ai cospiratori (pero a fronte di questo problema non sono
totalmente irrazionali, perché essi potrebbero cospirare per uno stato più solido e sicuro); e perché le
persone più forti non hanno l’umiltà e la pazienza di perdere il loro prestigio che si ha nello stato (di
natura e non). Per questi motivi Hobbes imputa come più grave infermità dello stato la mal’
costituzione esse sono: lo stato può nascere male, perché al sovrano viene devoluto un potere
insufficiente per garantire tutto quello che l’istituzione dello stato deve garantire, e quando deriva che,
in vista della pubblica sicurezza, questo potere ceduto debba esser ripreso, ciò acquista l’apparenza di
un atto ingiusto.
Al secondo posto mette la possibilità di un privato di giudicare le azioni buone e cattive, ciò è vero
nello stato di natura e nello stato civile nel caso in cui la legge taccia. La prima causa delle guerre civili
di opinione (religione, ideologia, ecc) è superata se si rimette al sovrano la decisione su tutto quello che
è dibattibile ed ha conseguenze sullo stato. Se ciò non accadesse l’obbedienza al sovrano sarebbe
condizionata (dalle opinioni dei molti) e lo stato si troverebbe confuso in questa moltitudine di dissensi
ed opinioni, e nessuno si periterebbe di non obbedire al sovrano più di quanto apparisse bene ai propri
occhi.
Se si ammette che la fede e la santità non sono frutto di studio, ma di ispirazione sovrannaturale, allora
di nuovo non c’è l’esclusività di interpretazione della legge da parte del sovrano, e anche la possibilità
di diventare sovrano, perché la legge viene ispirata da dio; e si ricade nella valutazione di ogni singolo
del bene e del male.
Quarta malattia inconciliabile, chi detiene il potere sovrano è soggetto dalle leggi civili (cosa non
logica, come visto nel capitolo dei prerequisiti del sovrano), e che se si ponessero le leggi sopra al
sovrano ci dovrebbe essere un potere superiore a lui, che per definizione non esiste, il che equivale a
fare un nuovo sovrano, che a sua volta deve avere un potere superiore ad esso, cosi fino all’infinito,
verso la confusione e la dissoluzione dello stato.
Quinta: non esiste proprietà potenzialmente alienabile dal sovrano, dal momento che solo con
l’istituzione dello stato si va a creare la proprietà privata, e non si può opporre al sovrano il diritto di
proprietà.
Sesta: il potere sovrano non può essere diviso, dato che i poteri separati si distruggono reciprocamente.
Andando a parlare del governo misto, ovvero quel governo che si fonda sul prestito di un istituto
rappresentativo da ogni forma di governo (monarchia oligarchia democrazia), ed esso come la divisione
dei poteri è maligno per lo stato, per lo stesso motivo della divisione dei poteri.
Queste malattie sono il rovescio dei requisiti ottimali per la costituzione dello stato.

Cap XXX funzione del rappresentante del sovrano


La funzione del sovrano consiste nel procurare la sicurezza del popolo, a ciò è obbligato dalla legge di
natura e di ciò deve rendere conto a dio.
Cio deve essere svolto attraverso una genrale previdenza attuata nell’educazione pubblica: è contro il
dovere del sovrano permettere che il popolo resti ignorante sui fondamenti e le ragioni di quei suoi
diritti essenziali, perchè a causa di tale disinformazione gli uomini sono facilmente sviati e indotti a
resistere al sovrano. Quello che deve esser insegnato al popolo è che:
1° essi non devono innamorarsi di nessuna forma di governo altra dal proprio, dal momento in cui la
prosperita di uno stato non deriva dalla forma di governo ma dall’obbedienza dei sudditi (primo
comandamento);
2° al popolo va insegnato che l’ammirazione di uno dei sudditi o di un’assemblea (tranne che quella
sovrana), non deve trascinarlo fino a prestare un’obbedienza o un onore appropriamente tributabili solo
al sovrano stesso (secondo comandamento);
3° bisogna far comprendere ai sudditi che grave colpa venga commessa parlando male del
rappresentato sovrano, o mettendone in discussione e contestandone il potere (quarto comandamento)
4° l’istituzione di tempi precisi distinti da quelli di lavoro ordinario nei quali i sudditi possano dedicarsi
a coloro che sono incaricati d’istruirli, per riunirsi e ascoltare l’esposizione dei propri diritti e doveri
(terzo comandamento);
5° ai bambini si deve insegnare il rispetto e la riconoscenza per i genitori (loro sovrani nello stato di
natura) e per il sovrano stesso (quinto comandamento)
6° i sudditi vanno istruiti ad astenersi alle reciproche violenze, vendette private ecc. e le conseguenze di
tali trasgressioni (sesto, settimo, ottavo e nono comandamento)
7° bisogna insegnare ai sudditi che non solo l’atto ingiusto provoca ingiustizia, ma anche le intenzioni
ed i progetti potenziali, tramite la summa biblica “ama il prossimo tuo come te stesso” (decimo
comandamento).
A cura del sovrano promulgare delle buone leggi, ovvero quelle necessarie per il bene del popolo e
perspicue, per indirizzare le azioni dei singoli nei limiti in cui non ledano sé stessi a causa dei loro
desideri impetuosi.
Alle funzioni del sovrano appartiene anche somministrare correttamente punizioni e ricompense, e
scegliere buoni consiglieri.
In generale ogni sovrano ha nella ricerca della sicurezza del suo popolo, lo stesso diritto di cui si
può disporre ogni individuo per garantire la sicurezza del proprio corpo.
Cap XXXI Il regno di Dio per natura.

Hobbes pone questa casistica per rispondere ad una visione alternativa piuttosto diffusa, e fa questa
ipotesi in modo tale da poterla disinnescare, altrimenti andrebbe a minare tutto il sistema da lui finora
costruito; per stabilire un eventuale contrasto bisogna prima conoscere queste leggi divine. E qui
Hobbes comincia a riassorbire questa eventualità in qualcosa che è perfettamente rovinabile sia sul
piano terreno e non in contrasto con quanto richieda il sovrano.

La ragione naturale è la ragione comunicabile con la ragione umana: un messaggio cogliibile dal
raziocinio umano.
Il senso soprannaturale si può dare, ma non è desumibile dal messaggio singolo di dio ad una persona
un messaggio universale; mentre rispetto alle altre due specie della parola di dio, si puo attribuire ad
esso un duplice regno: naturale e profetico: in quello naturale egli governa per mezzo dei dettami della
retta ragione (leggi di natura) in quello profetico egli governa gli ebrei non solo con i dettami della retta
ragione ma anche con leggi positive.
La fonte del diritto divino è l’onnipotenza, non la generazione, esattamente come il sovrano. Bisogna
obbedire e alle sue leggi divine per la sua onnipotenza; le leggi divine sono identificate solamente con
una sola delle parole di dio (ragione, rivelazione e profezia), e non sono tutte quelle che uno può
ricavare dai testi sacri e dalle loro interpretazioni teologiche, e sono o i doveri che si devono gli uni con
gli altri o sono doveri che si devono a dio, le prime sono le leggi di natura ricavate in precedenza.
Mentre ora bisogna considerare i precetti dettati dalla ragione naturale riguardanti l’onore e il culto da
dovere a dio. Riduzione delle questioni di fede ad un’interiorità e ad una parziale inclusione in un
ordinamento giuridico assoluto. Cosicché la religiosità dei sudditi non pertiene più tanto alla cosa
pubblica, perché dio salva e danna in maniere inscrutabili (Lutero), indipendentemente dalle nostre
opere su questa terra, ma salvezze e dannazione sono già predestinate, quello che si può conoscere è
solamente un indizio di riprova indiretta della propria appartenza a salvati/dannati, tramite il successo
materiale che si ha nella propria vita (calvinismo); queste nuove riflessioni teologiche di
interiorizzazione della religiosità vengono assimilate in Hobbes per avere una realtà esterna più
indipendente da credenze e chiese varie. Quindi l’onore diventa riconoscere, interiormente, che ci sia
qualcuno onnipotente che ama, pertanto significa avere l’opinione più alta possibile del suo potere
e della sua bontà. L’onore si esaurisce nel riconoscimento della sua infinita potenza di dio e della sua
infinita bontà; e l’atto esteriore più grande di questa opinione, definito culto, è l’obbedienza alle leggi
di dio, ovvero quelle di natura; cosi facendo Hobbes riconduce il culto alla legge ed esso diventa
pubblico solo in funzione alla legge. Quindi il comando divino e quello del sovrano non sono in
contrasto.
FINE LEVIATANO
Carl Schmitt Sul Leviatano
Approfondimento

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