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Critica dello spettacolo/divertimento

In un piccolo libro del filosofo situazionista francese Guy Debord (1931-1994) pubblicato nel 1967
intitolato La Société du Spectacle viene criticata, appunto, la società delle immagini, del
divertimento, dello spettacolo che, secondo l’autore, mistifica i rapporti sociali giustificandoli.
L’opera si apre con una citazione tratta dalla celebre opera del filosofo tedesco Feuerbach,
L’essenza del cristianesimo del 1841, opera dove l’autore di Landshut esprime per la prima volta il
capovolgimento tra soggetto e predicato, dove il prodotto umano appare all’uomo come altro da
se, come produttore di se stesso. L’estratto che prende Debord è quello in chi Feuerbach afferma
che l’epoca presente preferisce la rappresentazione alla realtà, incrementando il livello di illusione.

Analogamente procede Debord fin dall’inizio, ispirato chiaramente da Marx. L’accumulazione


delle merci come forma della ricchezza borghese, diventa accumulazione di spettacoli, ma, a
passo con Feuerbach, il vivente fa spazio alla rappresentazione. Tale accumulazioni di spettacoli è
una relazione sociale mediata da immagini, rappresentazioni. La rappresentazione non può che
essere unita come unità separate. La rappresentazione è perciò frammentaria. (È il modo
adeguato borghese di conoscere. Come espresso da Gabbani in una intervista su Rai1 il 24 marzo
2024: “la verità è soggettiva, dipende dal punto di osservazione…la mia verità, dato che la verità è
soggettiva…” e poi continua). Lo spettacolo è l’inversione concreta della vita, un movimento
autonomo di ciò che non vive, una negazione visibile della vita (cioè non negativo nel senso di
Hegel, bensì nel senso di Marx). Un medo veramente a testa in giù dove il vero è un momento del
falso. E qui emerge il discorso del feticcio automatico di Marx. Lo spettacolo si presente
simultaneamente come l’intera società, come parte della società e come mezzo di unificazione.
Lo spettacolo è il punto focale di tutte le visioni e coscienze, ma viste che è separato, è falsa
coscienza. Perciò, lo spettacolo è il linguaggio della separazione universale. Lo spettacolo, cioè la
relazione sociale mediata da rappresentazioni, è sia causa che effetto del modo di produzione
capitalistico. Lo spettacolo è il cuore di questa realtà sociale illusoria (così come per Marx è la
religione: il cuore di un mondo spietato, l’aroma spirituale, la ghirlanda sulle catene dell’uomo,
l’oppio dei popoli).

Lo spettacolo è l’onnipresenza del fatto che le scelte sono state già prese nella sfera della
produzione, e nel consumo implicato, cioè come effetto, di quella produzione. Lo spettacolo è la
costante presenza di tale giustificazione, di tale illusione, perché monopolizza la maggioranza del
tempo fuori il processo produttivo. Il linguaggio di tale spettacolo consiste di segni del modo di
produzione dominante, segni che sono il prodotto finale di tale sistema. Lo spettacolo è
tautologia, nonché la produzione principale della società odierna. Lo spettacolo è l’economia che
si sviluppa come fine a se stessa (è l’accumulazione di capitale). In un primo momento si è passati
dall’essere all’avere, poi successivamente dall’avere all’apparire. La realtà individuale appare solo
quando è illusoria, perché l’individuo reale è illusorio, illusione. Il comportamento diventa
ipnotico. Il senso del tatto fa posto a quello della vista. Lo spettacolo non è solo immagini, né solo
immagini e suono, è bensì tutto ciò che nega l’attività sensibile umana, è passività. Lo spettacolo
è la ricostruzione dell’illusione religiosa. Se prima la religione negava la vita terrestre per il
paradiso illusorio nell’aldilà, oggi lo spettacolo nega la vita terrestre per il paradiso illusorio
dell’aldiquà.

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