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CAP.

2 SENSORI DI GRANDEZZE MECCANICHE

Nella categoria dei sensori di grandezze meccaniche sono normalmente inclusi i sensori utilizzati
per la misurazione di deformazione, forza, posizione (spostamento), velocità lineare, velocità
angolare e coppia.

2.1. SENSORI DI DEFORMAZIONE


L’applicazione di una forza F ad un corpo solido posto in condizioni stazionarie produce la
generazione di uno sforzo e di una deformazione.
Con il termine sforzo (stress) s’indica il complesso delle forze che si generano all’interno del corpo
per reazione alla sollecitazione esterna. Se esse sono distribuite uniformemente lo sforzo può essere
calcolato dividendo la forza applicata F per l’area della superfice S. Si misura quindi in N/m2.
Lo sforzo produce una deformazione (strain) del corpo, definita come il valore della variazione
dimensionale per unità di lunghezza. La deformazione può essere calcolata dividendo la variazione
dimensionale complessiva conseguente allo sforzo per la lunghezza totale del corpo L. È quindi un
parametro adimensionale.
Esistono diverse tipologie di sensori di deformazione (detti comunemente estensimetri). Spesso
sono realizzati sotto forma di piastrine di materiale metallico o semiconduttore che vanno installate
sulla superficie dell’oggetto in esame. Le modalità d’installazione degli estensimetri, li distinguono
profondamente dagli altri sensori. Essi vanno installati con un particolare adesivo, per cui la loro
installazione è da ritenersi permanente. Non possono essere rimossi e riutilizzati.
Sollecitazioni di trazione o compressione producono la variazione di una grandezza elettrica nel
sensore, misurabile in uscita. I più diffusi convertono una deformazione in una variazione di
resistenza. Se ne impiegano di due tipi: a filo ed a semiconduttore.

2.1.1. Estensimetri a filo


Gli estensimetri a filo o strain gages, internamente sono costruiti con fili molto sottili di materiale
conduttore con resistività ρ che, se sottoposti ad una sollecitazione meccanica che ne varia la loro
lunghezza L e la loro sezione S, varieranno la loro resistenza:
L
R=ρ , (1)
S
stabilendo quindi un legame fra ΔR e la sollecitazione che l’ha determinata.
Ad una trazione (aumento di L e diminuzione di S) corrisponde un aumento di R, mentre ad una
compressione una riduzione di R.
Per rilevare la deformazione di corpi rigidi, si realizzano sensori con strutture tali da ottimizzare
l’effetto della deformazione sull’estensimetro. Entro la base di misura il filo è ripiegato a griglia in
modo che ΔR risulti dalla deformazione contemporanea di più sezioni affiancate di conduttore
(Fig.1).
Tipicamente, sono impiegati materiali conduttori ad alta resistività, come:
- Karma (Ni + Cr + Al + Fe),
- Isoelastic (Ni + Cr + Fe + Mo),
- Cromel-C (Ni +Cr + Fe),
ridotti in fili di sezione contenuta, correntemente del valore di 1 ÷ 5 μm2 .
Uno dei parametri caratteristici degli straun gages è la sensibilità (gage factor), definita come il
rapporto tra la variazione di resistenza unitaria e la variazione di lunghezza unitaria:

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Fig.1 - Estensimetro a filo

ΔR / R
Gf = , (2)
ΔL / L
ossia il rapporto fra le variazioni relative di resistenza e di lunghezza. Si può dimostrare che
G f = 1 + 2ν , (3)

dove ν denota il modulo di Poisson del materiale, nell’ipotesi che sotto sforzo non si abbiano
variazioni di resistività. Questo non è sempre vero, perché i valori di Gf superano agevolmente il
valore 1,5 ÷ 1,8 che dovrebbe essere invalicabile (poiché ν = 0,25 ÷ 10,40 in tutti i materiali
metallici). Pertanto si deve riconoscere che
ΔR ΔL ΔL Δρ
= + 2ν + , (4)
R L L ρ
ovvero che, sotto sforzo meccanico, la resistenza del filo varia anche per effetto di una variazione di
resistività Δρ , il cui contributo è assai considerevole (piezoresistività). Il valore dei gage factor è
pertanto
Δρ L
G f = 1 + 2ν + . (5)
ρ ΔL
Anche qui è importante il coefficiente di temperatura.
In definitiva i requisiti per avere un buon estensimetro sono i seguenti:
- elevata resistività;
- piccola sezione;
- basso coefficiente di temperatura;
- elevato ΔR allorché avviene la deformazione (elevato Gf );
- elevata corrente di assorbimento;
- elevata resistenza meccanica;
- trascurabile isteresi elastica.
Il valore della corrente nominale è determinato dalla quantità di calore dissipabile, poiché non si
possono superare temperature di esercizio che, anzitutto, danneggerebbero supporto e adesivo. Di
norma In = 15 ÷ 20 mA.
L’isteresi elastica dell’estensimetro definisce il campo entro cui la risposta è lineare. Va notato che,
sotto questo aspetto, il punto debole dell’estensimetro è l’adesivo. Questo infatti deve assolvere la
funzione fondamentale di trasmettere al filo estensimetrico la deformazione del pezzo senza
alterarla, e quindi avere, teoricamente, modulo elastico infinito. In secondo luogo esso deve
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conservarsi isotropo, al fine di mantenere lo stesso legame fra sforzo e deformazione in ogni
direzione, in un intervallo ampio di temperature di funzionamento. In terzo luogo esso contribuisce
all’isolamento elettrico verso massa del filo estensimetrico (una resistenza finita verso massa si
tramuta in una variazione apparente di deformazione). Oggi si impiegano adesivi in grado di
soddisfare questi requisiti, ciascuno per un opportuno campo di temperature e di deformazioni.
Gran parte dei problemi sopra esposti pare in via di soluzione con l’evolversi della tecnologia
costruttiva, che oggi ha condotto alla quasi completa sostituzione dei fili con le lamine (fogli di
lamierino dello spessore di alcuni micron) su cui sono incisi o fotoincisi i conduttori estensimetri.

2.1.2, Estensimetri a semiconduttore


Gli estensimetri a semiconduttore sfruttano fondamentalmente l’effetto della piezoresistività, poiché
essa è oltremodo accentuata per alcuni semiconduttori drogati con impurità trivalenti (tipo P) o
pentavalenti (tipo N), nei quali la tensione meccanica determina una variazione del salto di energia
fra le bande di valenza e di conduzione. Per aumentare la sensibilità si aumenta la percentuale di
drogaggio, anche se ciò aumenta la dipendenza dalla temperatura.
In questi tipi di estensimetri, il valore di Gf è 50 ÷ 60 volte più grande rispetto al caso degli
estensimetri a filo. Le dimensioni sono molto piccole (fino a spessori di 0,013 mm e larghezza di
0,5 mm), i campi entro cui Gf è costante sono molto ristretti e la sensibilità alla temperatura è assai
alta. Si possono però, con notevole cura nell’installazione, misurare deformazioni anche di 10–1 μm,
cioè cento volte più piccole di quelle rilevabili con i tipi a filo, ma non si possono superare i 2000
μm, circa 1/3 del limite massimo per i tipi a filo.
Gli estensimetri sono utilizzati in vari tipi di sensori, tra cui le celle di carico, utilizzate per la
misura della pressione. Essi forniscono in uscita tensioni continue di basso valore.
Un sensore di questo tipo contiene uno strain-gage connesso a 3 resistori, in modo da formare un
circuito a ponte (ponte di Wheatstone a squilibrio). I 4 vertici del ponte sono accessibili all’esterno
per l’ingresso del segnale di eccitazione e per l’uscita.

2.2. SENSORI DI FORZA


L’unità di misura della forza è il newton (N), definito come N= kg m/s2. I sensori di forza
generalmente utilizzano materiali elastici che trasformano la forza applicata in una deformazione,
che è poi convertita in una grandezza elettrica. Tipicamente si utilizzano alcuni tipi di acciaio
lavorati con precisione allo scopo di ricavare particolari forme geometriche, come ad esempio barre
(Fig.2), anelli (Fig.3 ) o colonne (Fig.4 ).

Fig.2. - Sensori di forza con configurazione a barra


A seconda del tipo di grandezza elettrica fornita in conseguenza della deflessione dell’elemento
sensibile, si hanno diverse tipologie di sensori, quali i capacitivi ed i riluttivi (LVDT) anche se poco
diffusi sul mercato, oppure quelli piezoelettrici e ad estensimetri, che risultano i più diffusi.

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Fig.3. - Sensori di forza con configurazione ad anello

Fig.4. - Sensori di forza con configurazione a colonna

2.2.1. Sensori piezoelettrici


I sensori piezoelettrici convertono sforzi di trazione, compressione o di taglio in forze
elettromotrici.
Sottoponendo dei cristalli opportunamente tagliati a tali sforzi, sulle facce si originano cariche
elettriche dell’ordine di 10–9 C/N, che producono sulla capacità propria del cristallo e su eventuali
capacità esterne delle differenze di potenziale misurabili con strumenti ad alta impedenza. Il
materiale solitamente usato è il quarzo. Per un sensore piezoelettrico si definisce sensibilità di
carica Sc la grandezza
Q
Sc = , espressa in C/N (coulomb/newton), (6)
P
dove Q denota la carica elettrica generata e P la forza esercitata sul sensore.
Poiché
Q Sc
V= = P, (7)
C C
dove V è la forza elettromotrice generata e C è la capacità equivalente dell’intero sistema a monte
del punto dove si rileva V (inclusi i cavi di collegamento e la capacità d’ingresso dello strumento di
misura).
La sensibilità in tensione del sensore è data da
S
Sμ = c (8)
C
Si vede che Sμ varia con C e quindi con le condizioni d’impiego (cavi di collegamento e strumento
di misura).

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Questi sensori hanno frequenze di risonanza elevate (10 MHz) e quindi si prestano bene a rilievi in
regime dinamico. Inoltre sono molto robusti e di ridotte dimensioni. Essi sono però sensibili alla
temperatura ed all’umidità e sono difficili da calibrare in condizioni statiche.

2.2.1. Sensori ad estensimetri (celle di carico)


Una cella di carico è costituita da un cilindro di materiale dotato di una certa elasticità, sulla cui
superficie esterna sono applicati quattro strain gages (Fig.5) disposti in modo da essere assoggettati
alle deformazioni trasversali (S1, S2) ed a quelle di compressione (S3, S4).
F
F

S3
S3
S1 S2
S4
S4 S2
S1

Fig.5 - Disposizione degli estensimetri in una cella di carico


I quattro estensimetri sono collegati in modo da realizzare un circuito a ponte di Wheatstone a
squilibrio, ottenendo in tal modo elevata sensibilità ed una compensazione automatica delle
variazioni termiche e dei disturbi che interessano simultaneamente tutti gli elementi del ponte
(Fig.6).

+ +
_ -

Fig.6 - Circuito a ponte di Wheatstone a squilibrio per il condizionamento di una cella di carico

2.3. SENSORI DI POSIZIONE (SPOSTAMENTO)


I sensori di posizione possono essere:
- assoluti, se il segnale elettrico fornito può rappresentare un qualsiasi valore tra quelli assunti dal
segnale relativo alla grandezza fisica d’ingresso;
- incrementali, se ogni valore della grandezza misurata è scelto come origine per la successiva
lettura, non potendo essere fissata un’origine comune.
Le due classi principali di sensori di posizione sono quelli elettrici (potenziometrici) e quelli ottici.
I principali sensori di spostamento hanno range operativi che vanno da pochi μm ad alcuni metri.

2.3.1. Sensori di posizione potenziometrici


I potenziometri sono sensori assoluti che convertono lo spostamento (lineare o angolare) in un
segnale elettrico, per mezzo di un partitore resistivo (Fig.7). La resistenza del partitore può essere in
carbone (nei sensori a basso costo), in ceramica conduttiva o può essere costituita da un filo
metallico.

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Il principale vantaggio è rappresentato dal basso costo e dalle piccole dimensioni. Sono inoltre
estremamente versatili, potendo avere un andamento dell’uscita anche di tipo logaritmico o
quadratico.
Il principale svantaggio è associato alla necessità di avere un contatto fisico con l’oggetto e quindi
all’usura meccanica che ne riduce il tempo di vita.
I potenziometri a rotazione sono molto diffusi ed hanno linearità di 0,1% o migliori.

Fig.7 – Potenziometri lineare ed angolare

2.3.1. Sensori di posizione ottici


Molti sensori di posizione sono di tipo ottico, ossia trasformano la posizione di un corpo mobile in
un segnale elettrico digitale, mediante un fotoaccoppiatore.
I fotoaccoppiatori sono di due tipi:
- a forcella, in cui la radiazione emessa da un diodo emettitore (led) è inviata ad un fotorivelatore
mediante un supporto a forma di forcella (Fig.8). Se lo spazio tra la forcella è libero, la luce
colpisce il fototransistor e lo pone in stato di saturazione (uscita “0”). Se nello spazio interno c’è
un corpo opaco, il fototransistor si pone in stato d’interdizione (uscita “1”).

Fig.8 - Sensore ottico a forcella


- a riflessione, il cui principio è analogo al precedente, con la differenza che in questo caso il
corpo in moto deve avere una zona riflettente ed una assorbente (tacche) per modificare
l’accoppiamento ottico tra il led ed il fotoricevitore (Fig.9).

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Fig.9 – Sensore ottico a riflessione
L’elemento che interrompe l’accoppiamento ottico è generalmente a forma di riga, nei sensori a
moto lineare, o di disco, nei sensori a moto circolare. Il movimento della riga o del disco produce
una successione di “0” e di “1”. Il circuito di condizionamento per sensori di questo tipo prevede
sempre un circuito squadratore (trigger di Schmitt), posto all’uscita di un fototransistore (Fig.10),
per aumentare la pendenza dei fronti del segnale.

Fig.10 – Circuito di condizionamento per sensori ottici


Il principio della trasmissione di un segnale ottico è sfruttato anche nei sensori di spostamento
angolare (encoder). Questi sfruttano il controllo della trasmissione di un fascio luminoso,
trasformando la posizione angolare dell’asse del motore nell’uscita elettrica di un fotorivelatore
(Fig.11). Un disco provvisto di fenditure equispaziate è collegato all’asse rotante di cui si vuole
misurare la posizione. Il disco rotante è interposto tra una sorgente luminosa ed un sensore
luminoso (fotodiodo). Il conteggio delle oscillazioni del segnale in uscita dal circuito di
amplificazione successivo al fotodiodo consente di determinare l’intervallo angolare di cui il disco
ha ruotato. La risoluzione angolare dipende dal numero di fenditure presenti sul disco. Per
aumentare la risoluzione si può far ruotare il disco più velocemente, facendogli percorrere più giri
per ogni giro dell’albero. Gli encoder possono essere assoluti o incrementali.
Gli encoder assoluti forniscono in uscita un segnale digitale diverso per ciascuna delle posizione
che può assumere la parte mobile. Ad esempio (Fig.12) la parte mobile può essere divisa in più
fasce, ognuna delle quali presenta zone diversificate, tali da fornire in uscita un codice di posizione
multibit. Il difetto di questo sistema è la sensibilità ai disallineamenti tra i fotoaccoppiatori ed ai
diversi tempi di risposta.

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Fig.11 - Encoder assoluto

Fig.12 - Codici digitali per encoder assoluti


Gli encoder incrementali forniscono la posizione contando il numero di impulsi che si sono
verificati a partire da una posizione di riferimento (zero). La forma del segnale digitale è
indipendente dalla posizione. In Fig.13 è rappresentato un esempio di encoder incrementale, in cui
un contatore provvede al conteggio degli impulsi (CK) generati dal fotoaccoppiatore. Un altro
fotoaccoppiatore individua il riferimento di zero, ed abilita il contatore.

Fig.13 - Encoder incrementale lineare


Se è necessario conoscere anche il verso dello spostamento, si utilizza un encoder a doppio canale
(Fig.14), in cui ci sono due fotoaccoppiatori allineati tra loro. La riga presenta due file di tacche
sfalsate tra loro di un quarto di periodo. La sequenza dei valori letti dai due canali sarà diversa a
seconda del verso di spostamento:
• 00 - 01 – 11 – 10 – 00 in un verso
• 00 – 10 – 11 – 01 – 00 in verso opposto.

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Fig.14 – Encoder incrementale a doppio canale
In Fig.15 è rappresentato un encoder incrementale di spostamento angolare.

Fig.15 – Encoder incrementale


I sensori incrementali, rispetto a quelli assoluti, hanno dei circuiti elettronici più complessi. Quelli
assoluti richiedono una realizzazione meccanica di maggior precisione. Per questo motivo in
passato erano più diffusi i sensori assoluti, mentre oggi lo sono quelli incrementali.

2.4 SENSORI DI VELOCITÀ LINEARE

2.4.1. Sensori elettromagnetici


Molti sensori di velocità lineare hanno un dispositivo installato direttamente sull’oggetto in
movimento. Il principio fisico di funzionamento si basa sulla variazione prodotta nella forza
elettromotrice e indotta in un avvolgimento, al variare della velocità di un magnete permanente. In
particolare essa dipende dal numero di spire N e dalla variazione del flusso φ, legata a sua volta alla
velocità relativa magnete-avvolgimento:

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e = −N (9)
dt
In particolare la fem sarà tanto maggiore quanto maggiore è la velocità.
Ad esempio si può tenere l’avvolgimento fisso ed il magnete può essere mosso assialmente
(Fig.16), o viceversa.

Fig.16 – Sensore elettromagnetico di velocità lineare

2.4.2. Ruote…….
La velocità lineare può essere misurata anche con sensori di velocità angolare, misurando la
velocità di rotazione n (giri/s) e determinando quindi la velocità lineare v (m/s) a partire dal raggio r
del dispositivo rotante:
v=nr (10)
Questa tecnica fa riferimento a ruote di dimensioni note, montate su un albero e messe a contatto
con il misurando di cui si vuole misurare la velocità (ad esempio nella produzione di carta,
materiale tessile, cavi). La ruota essenzialmente converte una velocità lineare in una velocità
angolare che è poi la grandezza misurata.
2.4.3. Sensori ad effetto Doppler
La velocità può essere misurata anche con dispositivi non a contatto. Un esempio è quello che fa
uso di sensori ad effetto Doppler, in cui si genera una variazione della frequenza di un treno di onde
(ad esempio onde sonore o elettromagnetiche) a causa della velocità relativa tra due oggetti (la
sorgente del segnale ed il corpo in movimento). Il misuratore può essere separato dal generatore di
segnale, oppure no, come avviene nei sensori Doppler ad onda riflessa. In questi sensori la
frequenza dell’onda riflessa da un oggetto in movimento a velocità v è pari a
f ± fD (11)
dove f è la frequenza del segnale trasmesso ed fD è la variazione di frequenza dovuta all’effetto
Doppler e data da
fD = 2 v’/ λ (12)
dove v’è la componente della velocità nella direzione di propagazione dell’onda e λ è la lunghezza
d’onda del segnale. Il segno + o – dipende dalla direzione del movimento dell’oggetto.

I sensori di velocità lineare sono molto utilizzati per la misura delle vibrazioni (intesa come
oscillazione della velocità). Consentono inoltre la misura dell’accelerazione, eseguendo la
determinazione della derivata (dv/dt) della velocità, come pure dello spostamento, eseguendo
l’ìntegrale (∫ v dt) della velocità.

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2.5. SENSORI DI VELOCITÀ ANGOLARE

2.5.1. Generatori tachimetrici


I generatori tachimetrici convertono la velocità di rotazione di un organo rotante in una forza
elettromotrice continua o alternata e sono essenzialmente dinamo o alternatori a magnete
permanente.
A condizione che lo strumento di misura connesso al sensore sia a basso consumo, la forza
elettromotrice prodotta è proporzionale con buona approssimazione alla velocità di rotazione. La
forza elettromotrice prodotta è dell’ordine di alcuni volt (piccole dimensioni sono necessarie per
ottenere una buona velocità di risposta).
Nei generatori in dc le spazzole potrebbe comportare dei problemi connessi essenzialmente con la
loro usura. Il vantaggio è che la polarità della tensione indica direttamente il verso di rotazione.
Nel caso di alternatori, poiché l’erogazione di corrente può comportare elevate reazioni d’indotto, a
volte si preferisce rilevare la grandezza d’uscita con frequenzimetri numerici (ad altissima
impedenza d’ingresso) stabilendo perciò un legame fra velocità di rotazione e frequenza del
segnale. Tale metodo però non è adatto a misure in transitorio.

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