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Costruzione di Macchine
Vol.1
ITI OMAR Dipartimento di Meccanica Elementi di Costruzione di Macchine
Il dimensionamento viene condotto ipotizzando una sollecitazione ideale che compendi, in modo
opportuno, entrambe le sollecitazioni in gioco.
In modo del tutto analogo si può anche far riferimento ad una tensione ideale che compendi, in modo
opportuno, entrambe le tensioni in gioco.
Riportiamo di seguito le espressioni delle tensioni e delle sollecitazioni ideali1.
Sollecitazioni ideali
M fi = M 2f + 0.75M t2 M ti = 4 3M 2f + M t2 (1.1)
Tensioni ideali
σ id = σ 2f + 3τ t2 τ id = σ 2f 3 + τ t2 (1.2)
Circa i valori massimi ammissibili per le σ id e le τ id non è possibile indicare se non valori di larga
massima dipendendo essi sia dalla natura del materiale, dai trattamenti termici, dal grado di finitura
superficiale, dal tipo di sezione (presenza di cave, raccordi…) sia dalle modalità d’applicazione del
carico (costante, pulsante, impulsivo….)
Le norme ASME propongono, per un albero pieno con carico assiale trascurabile, di comporre le
sollecitazioni definendo un momento torcente ideale in accordo con la seguente equazione2:
(k ) + (k M )
2
M ti =
2
f Mf t t (1.3)
dove i coefficienti k devono essere scelti, in funzione della modalità di applicazione del carico, in
accordo con la tabella sotto riportata3:
Tipo di carico kf kt
costante 1.5 1.0
urto lieve 1.5-2.0 1.0-1.5
urto pesante 2.0-3.0 1.5-3.0
1
Le espressioni (1.1) e (1.2) sono in accordo con l’ipotesi di rottura, denominata ipotesi dell’energia di
distorsione, secondo la quale la rottura non avviene quando raggiunge il massimo tutta l’energia di deformazione,
ma solo quella parte di tale energia che corrisponde al cambiamento di forma dell’elemento di volume
infinitesimo, e che è uguale a tutta l’energia di deformazione meno la quota parte che produce esclusivamente
cambiamento di volume, senza cambiamento di forma. La formalizzazione della teoria si deve a Richard Edler
von Mises (Lemberg 19 April 1883 - Boston, 14 July 1953) uno scienziato che fornì importanti contributi nei
campi della fluidodinamica, dell’aerodinamica, della statistica e della teoria della probabilità
2
Le norme ASME a cui si fa riferimento, pur essendo superate, forniscono, per un calcolo di massima, valori
decisamente attendibili
3
I coefficienti k , detti anche coefficienti di fatica, tengono conto dell’affaticamento del materiale che dipende, tra
l’altro, dalla modalità di applicazione del carico, dalla finitura superficiale e dalle caratteristiche geometriche
dell’albero.
1
ITI OMAR Dipartimento di Meccanica Elementi di Costruzione di Macchine
Indicata pertanto con N la potenza trasmessa in kW, con n la frequenza di rotazione in rpm, il diametro
dell’albero, a sola torsione, può progettarsi con la semplice relazione:
N
d ≥ 365 3 (1.5)
n ⋅ τ amm
Per quanto riguarda il valore della tensione ammissibile da inserire nella (1.4) o nella (1.5), facendo
riferimento ad alberi con sedi di linguetta, essa può porsi pari al 22.5% del carico di snervamento senza
superare il 13.5% del carico di rottura a trazione.1
L’angolo di torsione θ (rad) tra due sezioni distanti L di un albero pieno con diametro costante d ,
indicato con G il modulo di elasticità tangenziale2 e con Mt il momento torcente (costante), vale3:
32 ⋅ M t L
θ= (1.6)
π d 4G
fissato pertanto l’angolo di torsione massimo ammesso θmax , il diametro dell’albero vale:
32 ⋅ M t L
d=4 (1.7)
π Gθ max
Con riferimento al limite tradizionale di una deformazione torsionale ammissibile di ¼ di grado per
metro, indicata con N la potenza trasmessa in kW e con n la frequenza di rotazione in rpm, si ottiene:
N
d ≅ 130 4 (1.8)
n
1
Ovviamente si tratta di valori puramente indicativi. Nel caso di alberi realizzati con acciaio “ordinario” la τ amm
da inserire nella (1.4) può aggirarsi, in un calcolo di massima, intorno 55 e 40 N/mm2 rispettivamente nel caso di
assenza o presenza di linguette.
2
Il modulo di elasticità trasversale G è legato, tramite il modulo di Poisson v , al modulo di elasticità normale E.
G = E / 2(1 + v)
Il modulo di Poisson misura, in presenza di una sollecitazione monoassiale longitudinale, il rapporto tra la
contrazione trasversale e la deformazione longitudinale.
v = −ε t ε n
In un materiale perfettamente isotropo il coefficiente di Poisson vale 1/4. Per l’acciaio può porsi v ≅ 0.3
3
Indicata con z l’ascissa di una sezione trasversale generica si ha:
dθ M (z)
=
dz G ⋅ J ( z )
considerando un albero a sezione costante sottoposto all’azione di un momento torcente anch’esso costante tra le
sezioni di ascissa 0 e L, l’equazione precedente è facilmente integrabile:
M ( z ) ⋅ dz L
M
L
M ⋅L
dθ = → ∫ dθ = ∫ dz → ∆θ =
G ⋅ J (z) 0 G ⋅ J 0 G⋅J
Poiché, per una sezione circolare piena J = π d 4 32 , è immediato ricavare la (1.7)
2
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Esempio 1. 1
Un albero è appoggiato su due cuscinetti posti a distanza L pari a 1524 mm. Una puleggia di massa 90
kg è posizionata equidistante dai due supporti ed è collegata all’albero tramite una linguetta. Sulla
puleggia è montata orizzontalmente una cinghia con tensione totale sui due rami pari a 6800 N.
Determinare il diametro dell’albero e l’angolo di torsione tra i due cuscinetti, sapendo l’albero stesso
riceve 14.7 kW a 150 rpm tramite un giunto flessibile posizionato subito dopo il cuscinetto di destra.
Il momento flettente raggiunge il massimo nella sezione equidistante dagli appoggi dove agisce anche il
momento torcente trasmesso dal giunto.:
M f max = 34590 2 + 2594252 = 2617209 Nmm
106 ⋅ 14.7 ⋅ 60
Mt = ≅ 935831 Nmm
2π ⋅ 150
Ipotizzando kt = k f ≅ 1.5 e considerando un albero in acciaio ordinario, quindi con τ max ≅ 42 MPa , il
diametro minimo dell’albero vale:
16
( k f M f ) + ( kt M t ) ≅ 80 mm
2
d=3
2
π ⋅τ amm
L’angolo di torsione tra i due cuscinetti, tenuto presente che il momento torcente sollecita l’albero solo
nelle sezioni comprese tra la puleggia e il giunto elastico, vale:
3
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Esempio 1. 2
Una puleggia di diametro pari a 610 mm e peso 1360 N, trascinata da una cinghia orizzontale,
trasmette, attraverso l’albero, potenza ad un pignone di diametro primitivo pari a 254 mm il quale a sua
volta muove una ruota dentata. Configurazione, tensioni di cinghia e componenti delle reazioni della
ruota sul pignone sono di seguito rappresentate.
Determinare il diametro dell’albero nell’ipotesi che sia realizzato in acciaio ordinario e che i
coefficienti di fatica siano kt = 1.5 e k f = 2.5
Il momento torcente, attivo nel tratto d’albero compreso tra la puleggia e il pignone, vale:
254 610
M t = 8710 ⋅ ≅ ( 5440 − 1810 ) ≅ 1107150 Nmm
2 2
considerando un albero in acciaio ordinario, quindi con τ max ≅ 42 MPa , il diametro minimo dell’albero
vale
16
( k f M f ) + ( kt M t ) ≅ 78 mm
2
d=3
2
π ⋅τ amm
4
ITI OMAR Dipartimento di Meccanica Elementi di Costruzione di Macchine
Esempio 1. 3
Il rullo industriale mostrato in figura è condotto a 300 rpm. Sulla primitiva di diametro 76 mm del
pignone dentato che lo comanda agisce una forza F come indicato. Tale rullo esercita una forza radiale,
per unità di lunghezza, di 5 N/mm sul materiale che vi passa sotto. Il coefficiente d’attrito si può
supporre pari a 0.40.
Scelti con giustificato criterio ogni eventuale dato mancante, si dimensioni in prima approssimazione il
diametro dell’albero porta rullo nel tratto compreso tra i cuscinetti O ed A
45 200 45 70
y Fy Fz
x p q x
O A z
5
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-60000
-50000
(Nmm)
-40000
Momento flettente Mfxy
-30000
-20000
-10000
0
0 100 200 300
Ascissa x (mm)
-50000
(Nmm)
-40000
Momento flettente Mfzx
-30000
-20000
-10000
0
0 100 200 300
Ascissa x (mm)
6
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80000
(Nmm)
60000
Momento flettente Mfr
40000
20000
0
0 100 200 300
Ascissa x (mm)
25000
20000
Momento torcente Mt (Nmm)
15000
10000
5000
0
0 50 100 150 200 250 300 350
Ascissa x (mm)
Si ipotizza di realizzare l’albero con un acciaio C40 bonificato. Inoltre si ritiene che i coefficienti di
fatica possano essere assunti pari a k f = kt = 2 .
7
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Con riferimento ad un acciaio C40 bonificato ( σ R = 670 MPa σ sn = 400 MPa ) può porsi:
τ amm ≅ 90 MPa
π ⋅τ amm
Bibliografia
Giovannozzi R Costruzione di Macchine vol.1 Patron
Hall AS et al. Costruzione di Macchine Etas
Shigley JE et al. Progetto e Costruzione di Macchine McGraw-Hill
8
ITI OMAR Dipartimento di Meccanica Elementi di Costruzione di Macchine
2. PERNI DI ESTREMITA’
Si definisce perno quella porzione di asse o albero che, accoppiata con il cuscinetto, viene sostenuta
dal supporto in modo da collegarla al telaio.
I perni si possono classificare come segue:
1. perni portanti: in cui la spinta esercitata dal cuscinetto sul perno ha direzione radiale;
1.1. perni di estremità: sono posti all’estremità di un asse o di un albero e non sono soggetti a
torsione;
1.2. perni intermedi: sono soggetti anche a torsione e si trattano semplicemente come porzioni
d’albero;
2. perni di spinta in cui la spinta esercitata dal cuscinetto ha direzione assiale
9
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1. Dimensionamento a flessione
Il perno viene schematizzato come una trave incastrata ad un estremo e caricata a metà dello
sbalzo da una forza concentrata P pari alla reazione perno cuscinetto.
(2.1)(2.2)
16 P l 5P l
d> ≅ (2.1)
πσ amm d σ amm d
Il rapporto caratteristico l/d è tabellato e dipende sostanzialmente dal tipo di utilizzo del
perno.
Valori di l/d troppo esegui espongono al pericolo di eccessive fuoriuscite laterali di olio; per
contro, valori di l/d troppo elevati inducono eccessive inclinazioni del perno nella sua sede.
La tensione ammissibile dipende dal tipo di materiale costituente il perno e dal tipo di
utilizzo.
Orientativamente si possono utilizzare le indicazioni contenute nella tabella sotto riportata.
2. Dimensionamento a pressione
Viene confrontata la pressione media p, di seguito definita, con valori tabellati. Tali valori
tabellati dipendono dai materiali costituenti la coppia perno-cuscinetto, dal tipo di
lubrificazione e dal settore di utilizzo del perno.
P
p≡ ≤ pamm (2.2)
l ⋅d
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3. Dimensionamento al riscaldamento
Viene verificata la seguente disuguaglianza1:
p ⋅v ≤ K (2.3)
Dove p è la pressione media (MPa) definita al punto precedente, v è la velocità periferica
del perno (m/s) e K è un fattore di riferimento funzione della finitura della coppia, del tipo
di lubrificazione e di raffreddamento.
Nel caso la disuguaglianza non fosse soddisfatta occorrerà modificare le condizioni di
funzionamento della coppia perno-cuscinetto oppure aumentare la lunghezza del perno,
mentre sarebbe ininfluente agire sul diametro del perno stesso.
1
La disuguaglianza si giustifica come segue:
Il calore sviluppato (calore generato) per attrito dalla coppia perno-cuscinetto, nell’unità di tempo, vale
ovviamente:
Qɺ gen = f ⋅ P ⋅ v dove f è il coefficiente d’attrito tra perno e cuscinetto e v la velocità periferica del perno
Il calore trasmesso, nell’unità di tempo, all’esterno per conduzione, e in parte per irraggiamento, si può ritenere
proporzionale alla superficie del supporto S = π d ⋅ l e alla differenza di temperatura ∆T tra supporto e ambiente.
Indicato con α un opportuno coefficiente di trasmissione del calore, il calore trasmesso, nell’unità di tempo verso
l’esterno (calore disperso) si può esprimere pertanto con la seguente relazione
Qɺ disp = α ⋅ ∆T ⋅ π dl
Uguagliando il calore generato al calore disperso si ottiene la condizione limite di equilibrio termico:
P α ⋅ ∆T ⋅ π
f ⋅ P ⋅ v = α ⋅ ∆T ⋅ π dl → v= → pv = K
d ⋅l f
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Materiale
Applicazioni l/d§ pamm (MPa) accoppiamenti
Cuscinetto¥
Trasmissioni meccaniche H7/f7
v < 3.5 m/s G 1÷2 1÷2 H7/e8
v > 3.5 m/s MB H7/d9
Macchine utensili G 4÷6 H7/f7
1.2÷2
B 2 H7/g6
Apparecchi di sollevamento B;MB 6 H7/e8
(pulegge, tamburi, ruote) G 0.8÷1.8 12 H7/d9
H8/d10
Pompe, compressori, ventilatori MB 0.8÷1.25 H6/g5
1÷4
v < 60 m/s BPB 0.8÷1.2 H7/f7
Motori elettrici H7/f7
MB 0.8÷1.5 1.5
v < 10 m/s H6/g5
Motori a carburazione e Diesel veloci
Spinotto BPB 20÷30
Manovella BPB 0.5÷0.6 8÷10
Banco BPB 8÷10 H7/f7
Motori Diesel lenti H7/g5
Testa a croce BPB 40÷60
Manovella MB 0.5÷0.6 12÷13
Banco MB 8÷9
Turbine a vapore MB 1.3÷1.6 0.5÷0.8 H7/f7
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Esempio 2. 1
Con riferimento ai dati dell’Esempio 1.3, determinare il diametro del perno accoppiato al cuscinetto O.
Il valore trovato risulta compatibile per un perno con lavorazione corrente, lubrificazione scarsa e
funzionamento in aria calma. Pertanto, se la realizzazione è in grado di garantire almeno le condizioni
prima definite, il perno è da ritenersi verificato.
Bibliografia
Ottani M Corso di Meccanica vol.3 Cedam
Pierotti P. Meccanica vol.3 Calderini
Malavasi Vademecum per l’ingegnere
Costruttore Meccanico Hoepli
13
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3. I GIUNTI
I giunti sono organi meccanici deputati al collegamento coassiale (o talvolta complanare) di un albero
motore ad un albero condotto.
Si distinguono in:
1. Giunti rigidi: non consentono spostamenti relativi tra i due alberi. Richiedono una perfetta
coassialità degli alberi e dei relativi sopporti. (giunti a manicotto, giunto Sellers, giunti a dischi,
etc.)
2. Giunti semielastici ed elastici: consentono lievi spostamenti assiali e/o angolari resi possibili
dall’utilizzo di elementi deformabili elasticamente (giunto Northon, Periflex, Steelflex o Bibby,
Hardy, etc.)
3. Giunti articolati: consentono spostamenti relativi di una certa ampiezza senza deformazione di
elementi elastici (giunto di Cardano, di Oldham)
4. Giunti omocinetici: sono dei particolari giunti articolati che assicurano, istante per istante, la
perfetta identità tra la velocità angolare dell’albero motore e dell’albero condotto (giunto
Rzeppa, Tracta etc.).
Il tecnico, se non impiegato nel settore specifico, non progetta i giunti, ma si limita semplicemente alla
loro scelta a catalogo. Nel seguito, tuttavia, riporteremo alcune indicazioni riguardanti il
dimensionamento dei principali organi di collegamento (pioli, bulloni, etc.) avvertendo comunque che
le indicazioni avranno un valore relativo rappresentando, il più delle volte, la rielaborazione
approssimata dei dati forniti dalle tabelle dei costruttori.
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ITI OMAR Dipartimento di Meccanica Elementi di Costruzione di Macchine
Il giunto a manicotto è costituito da due semigusci, generalmente realizzati in ghisa, che vengono serrati
mediante bulloni alle estremità degli alberi da collegare.
In un calcolo di massima, si può ritenere che il momento Mt si trasmetta dall’albero motore all’albero
condotto solo per attrito.
Per semplicità supporremo che la pressione radiale p tra albero e manicotto sia costante lungo tutta la
superficie di contatto. Con questa assunzione, per l’equilibrio, deve risultare:
F
p=
d ⋅L
dove con d si è indicato il diametro dell’albero, con L la lunghezza del manicotto e con F la forza
complessiva, esercita dai bulloni, che preme i due semigusci
Il momento d’attrito Ma trasmesso da ciascun semiguscio, vale:
d L d π⋅f
M a = p ⋅ f ⋅π ⋅ ⋅ = F ⋅d
2 2 2 8
dove con f si è indicato il coefficiente d’attrito tra albero e semigusci.
Il momento d’attrito trasmesso dai due semigusci vale ovviamente:
π⋅f
M at = F ⋅d
4
Per l’equilibrio deve essere
M t = M at
da cui, indicato con nb il numero dei bulloni, si ricava la forza premente che deve esercitare il singolo
bullone:
4M t
Fb =
π ⋅ f ⋅ d ⋅ nb
Il momento torcente applicato al fusto della vite vale1:
1
per viti ordinarie si può porre tan (α + ϕ ) ≅ 0.2
15
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d mv
M tv = Fb tan (α + ϕ ) ≅ 0.1 ⋅ Fb ⋅ d mv
2
dove d mv è il diametro medio della vite, α l’angolo di inclinazione dell’elica media del filetto, e ϕ è
l’angolo di semiapertura del cono d’attrito corrispondente al coefficiente d’attrito tra vite e madrevite.
Le due sollecitazioni sforzo normale Fb e momento torcente M tv inducono delle tensione normali σ e
tangenziali (di torsione) τ che dovranno essere composte, secondo von Mises, in un’unica tensione
ideale da confrontarsi con la tensione ammissibile del materiale costituente i bulloni.
4 Fb
σ ≅ π ⋅ d
→ σ id = σ 2 + 3τ 2 ≤ σ amm
r
τ ≅ 16 M tv
π ⋅ d r3
16
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Esempio 3.1.1
Assunto che il coefficiente d’attrito tra albero e semiguscio sia pari a 0.25, ogni bullone deve esercitare
una forza lungo il proprio asse pari a:
4M t
Fb = ≅ 12700 N
π ⋅ f ⋅ d ⋅ nb
Il corrispondente momento torcente sul fusto della vite vale:
M tv ≅ 0.1 ⋅ Fb ⋅ d mv ≅ 15240 Nmm
dove, senza commettere un grande errore, si è posto il diametro medio pari al diametro nominale della
vite.
Posto il diametro della sezione resistente al diametro nominale della vite, le tensioni normali e
tangenziali e ideale valgono:
4 Fb
σ = π ⋅ d 2 ≅ 122 MPa
→ σ id = σ 2 + 3τ 2 ≅ 145 MPa
v
τ = 16 ⋅ M tc ≅ 45 MPa
π ⋅ d v3
Ipotizzando di realizzare il bullone con un acciaio 8.8, si ha un grado di sicurezza rispetto alla rottura
pari a:
800
ξ≅ ≅ 5.5 valore che può essere giudicato accettabile.
145
17
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Ra
T
Sia:
f coefficiente d’attrito tra i semiconi e il manicotto
T il tiro totale esercitato dai bulloni
β l’angolo di inclinazione dei semiconi
Indicato con Dm il diametro medio dei semiconi, e con M t il momento torcente da trasmettere,
dall’equilibrio alla rotazione si ricava:
D 2M t
Mt = f ⋅ N m → T = ( sin β + f ⋅ cos β )
2 f ⋅ Dm
dove d mv è il diametro medio della vie, α l’angolo di inclinazione dell’elica media del filetto, e ϕ è
l’angolo di semiapertura del cono d’attrito corrispondente al coefficiente d’attrito tra vite e madrevite.
Le due sollecitazioni sforzo normale Tb e momento torcente M tv inducono delle tensione normali σ e
tangenziali (di torsione) τ che dovranno essere composte, secondo von Mises, in un’unica tensione
ideale da confrontarsi con la tensione ammissibile del materiale costituente i bulloni.
18
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4Tb
σ ≅ π ⋅ d
→ σ id = σ 2 + 3τ 2 ≤ σ amm
r
τ ≅ 16 M tv
π ⋅ d r3
19
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Esempio 3.2.1
Verificare le viti di serraggio di un giunto Sellers in grado di trasmettere a regime una potenza di 20 kW
alla velocità di 300 rpm.
Fissato un coefficiente ψ di amplificazione dinamica del carico pari a 1.2, il momento di calcolo
risulta:
M tc = 1.2 ⋅ M t ≅ 764 Nm
2M tc
Tb = ( sin β + f ⋅ cos β ) ≅ 9600 N
3 ⋅ f ⋅ Dm
Posto il diametro della sezione resistente al diametro nominale della vite, le tensioni normali e
tangenziali e ideale valgono:
4Tb
σ = π ⋅ d 2 ≅ 85 MPa
→ σ id = σ 2 + 3τ 2 ≅ 103 MPa
v
τ = 16 ⋅ M tc
≅ 34 MPa
π ⋅ d v3
Ipotizzando di realizzare il bullone con un acciaio 8.8, si ha un grado di sicurezza rispetto alla rottura
pari a:
800
ξ≅ ≅ 7.7 valore che può essere giudicato accettabile.
103
1
come specificato nella tabella di proporziona mento, il diametro dei bulloni può essere espresso in funzione del
diametro dell’albero d tramite la seguente relazione:
d v ≅ 0.2 ( d + 10 )
20
ITI OMAR Dipartimento di Meccanica Elementi di Costruzione di Macchine
Sia:
Dm diametro medio della fascia di contatto;
Dv il diametro della circonferenza a cui appartengono le tracce degli assi delle viti;
Mt il momento torcente trasmissibile dal giunto;
nv numero delle viti;
f coefficiente d’attrito tra le superficie delle flange a contatto.
dmv diametro medio delle viti
Dalla potenza N e dalla frequenza di rotazione n si determina il momento torcente Mt
eventualmente da maggiorare per tener conto di eventuali sovraccarichi dinamici. Noto Mt, dalle
tabelle del costruttore, ci si orienta sulla geometria del giunto e sul numero delle viti. Si determina
lo sforzo assiale presente su ogni vite con la seguente relazione:
2M t
F =ψ
fDv nv
dove ψ ≅ 1.1 ÷ 2 è un coefficiente che tiene conto di eventuali sovraccarichi dinamici.
Si calcola il Momento Mtv da applicare al fusto della vite per generare la forza F :
M tv = 0.1 ⋅ Fd mv . Si determinano le tensioni sul fusto delle vite, e infine si calcola la tensione ideale
confrontandola con la tensione ammissibile.
16 M tv 4F
τ= σ= 2 σ id = σ 2 + 3τ 2 ≤ σ amm
π d mv
3
π d mv
Nel caso la verifica non sia superata, si aumenta il numero e/o il diametro delle viti o si sceglie un
giunto di dimensioni maggiori.
1
Il procedimento di calcolo qui descritto fa riferimento alla trasmissione del momento per attrito. Qualora invece i
bulloni potessero lavorare a taglio, il momento massimo trasmissibile M, indicato con Dv il diametro della
circonferenza dei centri dei bulloni, sarebbe pari a:
π d mv
2
D
M = nv τ amm v
4 2
E’ facile rendersi conto che con bulloni lavoranti a taglio possono trasmettersi momenti più che doppi rispetto al
caso di quelli lavoranti a trazione. Tuttavia è opportuno ribadire che per poter far effettivamente lavorare tutti i
bulloni a taglio (e tutti sottoposti alla medesima forza tagliante) occorre però una costosa lavorazione di
precisione, consistente nel rettificare i gambi dei bulloni a un diametro leggermente maggiore di quello del foro,
alesare accuratamente e contemporaneamente i fori corrispondenti nei due dischi e infine montare i bulloni a forza
battendoli con la mazza.
Un sistema ancora più costoso per assicurare il forzamento dei bulloni nei fori è quello usare bulloni conici.
Per ragioni di costo, l’impiego dei bulloni calibrati è riservato di solito a diametri di albero oltre i 200-250 mm,
pur potendosi ricorrere ad esso anche per diametri inferiori quando le condizioni di funzionamento (urti) siano
particolarmente sfavorevoli. (R. Giovannozzi)
21
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22
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Esempio 3.3.1
Una macchina motrice sviluppante, a regime, la potenza N di 80 kW, è collegata, tramite un giunto a
dischi, ad una macchina operatrice il cui momento resistente Mr (comprensivo delle resistenze utili e
passive) è pari, a regime, a 400 N m.
Fissando con opportuno criterio i dati occorrenti, si calcolino le dimensioni dei bulloni di collegamento
dei dischi del giunto
Si adotta un giunto adatto a trasmettere un momento massimo pari a 500 Nm in grado di sopportare una
frequenza massima di rotazione pari a 4000 rpm
Il momento sul fusto della vite indotto da un serraggio tale da assicurare una trazione F sul gambo vale
d
M tv ≅ F m tan (α + ϕ )
2
Confondendo in prima approssimazione il diametro medio con il diametro nominale della vite e posto
tan (α + ϕ ) ≅ 0.2 si ha:
M tv = 14694 Nmm
Ipotizzato di realizzare il bullone con un acciaio 8.8, pertanto con una tensione di snervamento pari a
640 MPa, il coefficiente di sicurezza risulta:
640
ξ= ≅ 4.9
131
Valore decisamente accettabile, anche tenuto presente che si è adottata una sezione resistente pari alla
sezione nominale della vite.
23
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Il giunto è costituito da due dischi che portano, metà ciascuno, una corona di pioli incastrati ad esso ad
un estremo.
L’incastro dei pioli è normalmente ottenuto montando il loro gambo nel disco con un leggero
forzamento e serrando, mediante un dado, un collare.
L’appoggio dei pioli sull’altro disco è realizzato elasticamente mediante un blocco di gomma.
In ciascun disco i pioli sono alternati ai fori in modo che, a montaggio effettuato, il giunto costituisca un
insieme simmetrico ed equilibrato.
Giunti di questo tipo vengono usati per accoppiare albero e puleggia del freno degli apparecchi da
sollevamento, in modo da attenuare gli effetti provocati da brusche frenature.
Di seguito riportiamo un estratto del catalogo dei giunti Northon serie PN (produzione Trans-Moto srl).
Il calcolo di resistenza vero e proprio riguarda i pioli. Essi vengono verificati a flessione considerandoli
come mensole incastrate nel disco e caricate, in corrispondenza della mezzeria del tratto di appoggio
gommato, con una forza concentrata P di intensità pari alla forza periferica trasmessa diviso il numero
np dei pioli.
Indicato con Mt il momento torcente trasmesso e con Dp il diametro della circonferenza a cui
appartengono i centri dei pioli, la forza P che si scarica su un singolo piolo vale:
2M t
P=
Dp ⋅ n p
Indicata con h la distanza tra il punto di applicazione di P e l’incastro del piolo, il momento flettente
massimo sul piolo risulta pari a:
M f = P⋅h
Per tenere conto di sovraccarichi dovuti ad urti, normalmente la tensione ammissibile si tiene bassa,
adottando un grado di sicurezza rispetto alla rottura pari a ξ = 6 ÷ 12 .
Nella zona dove il piolo appoggia sulla gomma occorre verificare che la pressione “media” tra piolo e
gomma un superi il valore pamm ≅ 1 ÷ 5 MPa . Indicando con l la lunghezza della zona di appoggio e con
d1 il diametro del piolo in tale zona, deve risultare:
P
p= ≤ pamm
l ⋅ d1
24
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Esempio 3.4.1
Una macchina motrice sviluppante, a regime, la potenza N di 80 kW, è collegata, tramite un giunto
Northon, ad una macchina operatrice il cui momento resistente Mr (comprensivo delle resistenze utili e
passive) è pari, a regime, a 400 N m.
Fissando con opportuno criterio i dati occorrenti, si verifichino i pioli di collegamento del giunto.
Si sceglie un giunto, con 12 pioli, in grado di trasmettere un momento massimo pari a 600 Nm e in
grado di sopportare un velocità massima di rotazione pari a 6000 rpm.
Posto il diametro dei pioli pari a d ≅ 14 mm, la distanza pari a h = 15 mm e il diametro D p = 127 mm
(similitudine geometrica tra il giunto da verificare e il giunto rappresentato nel catalogo), si conduce
una prima verifica a flessione:
32 ⋅ P ⋅ h 32 ⋅ 525 ⋅ 15
σ≅ ≅ ≅ 29 MPa
π ⋅ d3 π ⋅143
2M t 800 ⋅ 1000
P= = ≅ 525 N
D p ⋅ nP 127 ⋅ 12
Considerato di realizzare un perno in C40 bonificato con ( σ R = 670 MPa σ sn = 400 MPa ) il grado di
sicurezza nei confronti della rottura risulta:
670
ξ≅ ≅ 23 del tutto accettabile.
29
Bibliografia
Giovannozzi R Costruzione di Macchine vol. 1 Patron
Pierotti P. Meccanica vol. 3 Calderini
Straneo SL et al. Disegno, progettazione… vol. 2 Principato
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Il giunto Periflex è realizzato con un elemento elastico costituito da un collare in gomma di sezione a C
i cui bordi sono bloccati a pressione su due flange mediante dischi di pressione serrati tramite viti.
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Il giunto Bibby è costituito da due dischi che portano delle fessure periferiche entro cui sono infilate
della lamine di acciaio a sezione costante. Al crescere del carico, e quindi della rotazione relativa dei
due semigiunti, la parte di lamina inizialmente libera va avvolgendosi sulla parte curva dei denti per un
arco sempre maggiore, aumentando la rigidezza del giunto.
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Il giunto flessibile Hardy è in grado di funzionare parzialmente come un giunto cardanico. E’ costituto
da dischi gommati che vengono attraversati da perni che sono alternativamente solidali all’albero
motore e all’albero condotto. Questi giunti hanno una buna capacità di smorzare le vibrazioni.
29
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Il giunto di Oldham si usa per la trasmissione del moto fra assi paralleli non coincidenti.
Il rapporto di trasmissione istantaneo di questo giunto è costantemente pari a uno: il giunto è pertanto
omocinetico.
L’elemento intermedio di collegamento ruota con velocità angolare comune a quella dei due alberi fra
cui trasmette il moto, mentre il suo centro descrive una circonferenza, avente per diametro l’eccentricità
e fra i due alberi, con velocità angolare doppia di quella degli alberi.
Pertanto tale elemento intermedio è soggetto ad una forza centrifuga pari a:
e
F = m ( 2ω ) = 2m ⋅ e ⋅ ω 2
2
Dove con m si è indicata la massa dell’elemento intermedio, con ω la velocità angolare degli alberi e
con e l’eccentricità dei loro assi.
Detti f il coefficiente d’attrito, l/2 la distanza alla quale si trovano, su ciascuna mezza scanalatura, le
risultanti delle pressioni, il rendimento del giunto ha la seguente espressione
Pl ⋅ θ 1 8 e
η= = ≅ 1− f
Pl ⋅ θ + 2 Pf ⋅
4e
2θ 1 + f
8 e π l
2π π l
30
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Il giunto di Cardano si utilizza quando occorre trasmettere il moto fra assi concorrenti formanti fra loro
un angolo generalmente diverso da zero
In seguito affronteremo lo studio cinematico particolareggiato del giunto, ora ci limiteremo ad
affermare quanto segue:
se l’albero motore forma un angolo δ col prolungamento dell’albero condotto, e se l’albero motore
ruota con velocità uniforme, il moto rotatorio dell’albero condotto non è uniforme. Si ha quindi una
irregolarità periodica della trasmissione che cresce rapidamente al crescere dell’angolo δ.
Quando questa irregolarità non possa essere tollerata, si ricorre al doppio giunto cardanico doppio
simmetrico (gli angoli formati dai due alberi concorrenti con il terzo albero devono esser uguali.
Il giunto di Cardano doppio e simmetrico si comporta come un giunto omocinetico: le velocità angolari
dell’albero motore e dell’albero condotto sono coincidenti istante per istante mentre entrambe
differiscono dalla velocità dell’albero intermedio
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Il giunto di Cardano viene usato per collegare due alberi con assi concorrenti formanti fra loro un
angolo generalmente diverso da zero.
Per effettuare lo studio cinematico del giunto si faccia riferimento alle viste in pianta e in prospetto
della trasmissione.
Quando gli alberi ruotano, gli estremi aa della crociera si muoveranno nel piano frontale a descrivere
una circonferenza, mentre gli estremi bb della crociera descriveranno un’ellisse (rappresentata con linea
a tratti).
Se l’albero A ruota di un angolo α (da aa a a1a1), anche la proiezione di bb ruoterà di un angolo α fino
a portarsi in b1b1. L’angolo β di rotazione dell’albero condotto B si ricava determinando la vera
posizione di b1b1 (ovvero vista lungo l’asse di B)
32
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Il punto b1 sul piano frontale corrisponde, in pianta, al punto b1’ . Il punto b1’ viene successivamente
ribaltato nel piano contenente aa (punto c2). La proiezione di c2 sul piano frontale determina il punto b2
permettendo la definizione dell’angolo β. Valgono allora le seguenti relazioni:
Derivando entrambi i membri della (3.1) rispetto al tempo si ricava la relazione tra le velocità degli
alberi.
dα dβ
sec 2 α = sec2 β cos δ
dt dt
sec 2 α ⋅ ωa = sec 2 β ⋅ ωb ⋅ cos δ
sec 2 α ⋅ ωa = (1 + tan 2 β ) ⋅ cos δ
tan 2 α
sec 2 α ⋅ ωa = 1 + ⋅ ωb ⋅ cos δ
cos δ
2
ωa =
( cos 2
δ + tan 2 α )
⋅ cos 2 α ⋅ ωb
cos δ
ωb cos δ
= (3.2)
ωa 1 − sin 2 δ ⋅ cos 2 α
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Il rapporto ωb/ωa ha un valore massimo pari a 1/cosδ che viene raggiunto quando cosα = ±1 ovvero
quando α vale 0, 180°, etc…
Il rapporto ωb/ωa ha invece un valore minimo pari a cosδ che viene raggiunto quando cosα = 0 ovvero
quando α vale 90, 270°, etc..
ωb max − ωb min ωb ω 1
I= = − b = − cos δ = sin δ ⋅ tan δ
ωbmedio ωa max ωa min cos δ
cos δ
=1
1 − sin 2 δ ⋅ cos 2 α
1 − cos δ 1
cos 2 α = =
sin δ
2
1 + cos δ
tan α = (1 + cos δ ) ⋅ sin 2 α = cos δ
2
Ci sono pertanto quattro angoli di rotazione in corrispondenza dei quali durante ciascun giro la velocità
dell’albero condotto uguaglia quella dell’albero motore
L’accelerazione dell’albero condotto si annulla per valori di α multipli di π/2 e assume valori uguali e
opposti per valori di α supplementari.
La posizione angolare in corrispondenza della quale si trova il massimo (minimo) dell’accelerazione
angolare si calcola ponendo a zero la derivata prima della (3.4)
d sin 2α =0
dt 1 − ( sin 2 δ ⋅ cos 2 α )2
(1 − sin δ ⋅ cos α ) ⋅ cos 2α = sin 2α ⋅ sin δ
2 2 2 2
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sin 2 δ ⋅ ( 2 − cos 2 2α )
cos 2α = (3.5)
2 − sin 2 δ
Facendo riferimento ai valori consueti di δ (valori non superiori a 30°) la soluzione della (3.5) fornisce,
per α, valori prossimi a 45°. In queste condizioni cos22α è molto piccolo e può senz’altro essere
trascurato nei confronti di 2. La (3.5) pertanto può essere semplificata come di seguito proposto:
2sin 2 δ
cos 2α ≃ (3.6)
2 − sin 2 δ
Ipotizzando che il valore massimo (minimo) dell’accelerazione si ottenga, come è stato detto in
precedenza, in corrispondenza di un angolo di rotazione α pari a 45°, tale massimo (minimo) può essere
immediatamente calcolato dalla (3.4):
dω b 2 sin δ ⋅ cos δ
2
≃ ±ω a 2
dt max/ min sin 2 δ
1 −
2
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Lo schema sopra rappresentato mostra l’equlibrio del giunto nelle due posizioni angolari estreme. La
parte superiore si riferisce ad un angolo di rotazione di zero gradi; mentre la parte inferiore della figura
si riferisce all’equilibrio della trasmissione in corrispondenza di un angolo di rotazione di 90°.
Angolo di rotazione α = 0°
In questa condizione il momento sull’albero motore M1 viene equilibrato da un momento resistente Mn
trasmesso dalla crociera e che vale:
cos δ M
M n = − M1 ⋅ =− 1 (3.7)
1 − sin δ ⋅ cos α
2 2
cos δ
cos δ
M 2 = − M1 ⋅ = − M 1 ⋅ cos δ (3.9)
1 − sin 2 δ ⋅ cos 2 α
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La coppia di cuscinetti montata sull’albero condotto dovrà sopportare un momento Mr2 pari, in modulo,
a:
Nelle condizioni estreme considerate, solo una coppia di cuscinetti risulta sollecitata. In una posizione
intermedia entrambe le coppie di cuscinetti risulteranno sollecitate con dei momenti pulsanti tra un
valore minimo nullo e un valore massimo definito dalle (3.8) e (3.10) rispettivamente per i cuscinetti
sull’albero motore e sul condotto.
Indicato al solito con M1 il momento trasmesso dall’albero motore, ruotante a velocità costante, i
momenti Mr1 e Mr2 agenti sui cuscinetti montati rispettivamnete sull’albero motore e su quello
condotto valgono:
M 1 ⋅ cos δ 1
M r1 = − M 1 ⋅ cos δ ⋅
1 − sin δ ⋅ cos α sin δ
2 2
(3.11)
M M 1 ⋅ cos δ 1
Mr2 = 1 − ⋅ (3.12)
cos δ 1 − sin δ ⋅ cos α tan δ
2 2
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E’ da notare in particolare che i rapporti Mr1/M1 e Mr2/M1 assumono valori massimi molto prossimi fra
loro, ma non coincidenti. Dalla (3.11) ponendo α = 0 si ha:
1
( M r1 / M 1 )max =
tan δ
Dalla (3.12) ponendo α = 90° si ottiene:
1
( M r 2 / M 1 )max =
sin δ
38
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Trasmissione Omocinetica
Come è già stato definito ai punti precedenti, il giunto di Cardano semplice non garantisce
l’omocinetismo. Il rapporto di trasmissione, infatti, varia al variare dell’angolo di rotazione secondo
quanto definito dalla (3.2).
Tuttavia una trasmissione omocinetica tra gli alberi estremi può essere ottenuta ricorrendo a una coppia
di giunti cardanici, collegati da un albero intermedio, come indicato dalla figure sotto riportate.
In tali condizioni, la variazione di rapporto di trasmissione introdotta dal primo giunto viene in ogni
istante esattamente compensata da quella dovuta al secondo.
39
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Esempio 3.9.1
In un giunto di Cardano l’albero motore trasmette un momento torcente pari a 41500 N.
1. determinare il momento torcente sullabero condotto con rifrimento alla disposizione angolare di
figura in cui gli alberi giacciono nello stesso paino orizzontale;
2. trovare il diametro dei prerni della crociera nell’ipotesi che la pressione ammissibile, la
tensione ammissibile a trazione e la tensione ammissibile a taglio siano rispettivamente pari a
14 MPa e 140 MPa e 70 MPa;
3. calcolare la massima tensione nella sezione E-E che si trova a 50 mm dall’asse Y-Y.
Il momento torcente sull’albero condotto, supposto costante il momento torcente motore, varia in
funzione della velocità di rotazione dell’albero condotto. Il momento massimo sull’abero condotto è
massimo quando la velcotà di rotazione dell’albero condotto eè minimo ossia in corrispondenza cioè di
un angolo α = 90, 270°...
Trascurando ogni fenomeno passivo si ha pertanto
ω Ma 41500
M aωa = M bωb → M b max = M a a = = ≅ 44163 Nmm
ωb min cos δ cos20°
40
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La sollecitazione più gravosa risulta quella di flessione e il perno dovrebbe essere realizzato con un
diametro minimo di 9 mm.
La sezione E-E è sottopsta al’azione combinata della compressione e della flessione. La tensione
risultante è pari a:
302 883 ⋅ 50
σt = σc + σ f = + ≅ 1.93 + 67.8 ≅ 70 MPa
25 ⋅ 6.25 1 6.25 ⋅ 252
6
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Anche se, come abbiamo visto in precedenza, con l’adozione del giunto cardanico doppio simmetrico si
raggiunge la condizione di omocinetismo, soprattutto per ragioni di ingombro, nelle costruzioni
automobilistiche, si sono imposti come dispositivi omocinetici altri tipi di giunti più compatti e leggeri.
I più comuni sono: il giunto Bendix-Weiss e il giunto Rzeppa (decisamente il più usato nelle costruzioni
meccaniche)
Il giunto è costituito da due forcelle, solidali con i due alberi, su cui sono ricavate delle superficie
sferiche (rispettivamente interna per l’albero motore ed esterna per l’albero condotto) i cui centri O1 e
O2 giacciono sugli assi dei due alberi a breve distanza dal loro punto di intersezione O. In ogni gola
trovano posto due sfere che, dovendo toccare entrambe le superficie sferiche attive delle due forcelle,
hanno una posizione ben definita in modo da assicurare che il loro centro giaccia nel piano bisettore
dell’angolo β formato dagli assi degli alberi.
42
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Bibliografia
G. Bongiovanni, G. Roccati Giunti fissi, articolati, elastici e di sicurezza Levrotto & Bella To
R. Giovannozzi Costruzione di macchine vol. I Patron
J.Hannah, R.C. Stephens Mechanics of machines Arnold
Jacazio G, Piombo B. Meccanica Applicata alle Macchine vol. 2 Levrotto & Bella To
Straneo SL et al. Disegno, progettazione… vol. 2 Principato
43
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P p
π dmv
Indicato con f il coefficiente d’attrito tra il filetto della vite e quello della madrevite, uguale per analogia
al coefficiente d’attrito tra corpo e piano inclinato, la condizione di equilibrio è espressa dalla seguente
relazione:
11
Nel caso di filetti triangolari con angolo al vertice del triangolo generatore pari a 2θ , vale sempre la (1.9) in
cui al posto di ϕ si sostituisca un angolo ϕ * definito dalla relazione:
cos α
tan ϕ * = tan ϕ
cos β
essendo β l’angolo che la normale alla superficie del filetto in corrispondenza all’elica media forma con l’asse
della vite, e per la quale vale la relazione:
cos θ
cos β = cos α
1 − sin 2 α cos 2 θ
Data la piccolezza dei valori di θ e α , si può spesso ritenere in pratica α = β e quindi ϕ * = ϕ giustificando
l’utilizzazione della (1.9) anche nel caso di filetti a pane triangolare o trapezoidale.
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P = F tan (α + ϕ ) (4.1)
Moltiplicando primo e secondo membro della (4.1) per il diametro medio della vite si ottiene la
relazione tra la forza assiale agente sulla vite e il momento torcente agente sul fusto della vite stessa1:
d
M tv = F ⋅ mv tan (α + ϕ ) (4.2)
2
In condizioni ordinarie, in mancanza di dati più precisi, si può porre tan (α + ϕ ) ≅ 0.2 da cui si ottiene
la seguente relazione approssimata:
M tv = 0.1 ⋅ F ⋅ d mv (4.3)
Ribadiamo che nella (1.10) M t non rappresenta il momento di avvitamento M avv bensì soltanto il
momento torcente che si scarica sul fusto della vite e che su di essa induce le tensioni τ di torsione.
Nel caso di viti con finitura superficiale ordinaria può porsi:
M avv ≅ 1.5 ⋅ M tv
1
La (1.9) esprime, nel caso di una vite di manovra, il momento torcente da applicare al fusto della vite per
sollevare un carico F (avanzamento in contrasto di carico). E’ facile ricavare che il momento da applicare al fusto
della vite permettere la discesa del carico F (avanzamento in direzione del carico) è espresso dalla seguente
relazione:
d
M = F m tan (α − ϕ )
2
Se il momento torcente espresso dalla relazione precedente risulta positivo significa che per abbassare il carico
occorre effettivamente applicare un momento esterno, in caso contrario, ovvero con memento negativo, il carico
scenderà spontaneamente. E’ evidente che la discesa spontanea (svitamento spontaneo) si ha quando α < ϕ .
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Esempio 4. 1
Indicato con i il numero di principi della vite, la relazione tra passo reale p e passo apparente pa risulta:
p = i ⋅ pa da cui p = 3 ⋅ 8.5 = 25.5 mm
Esempio 4. 2
La vite dell’esempio precedente, sotto l’azione del carico assiale W, può svitarsi spontaneamente?
Poiché l’angolo di inclinazione α = 9.22° è superiore all’angolo di semiapertura del cono d’attrito
ϕ = 8.53° il dispositivo non risulta spontaneamente reversibile.
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Esempio 4. 3
La bussola di serraggio di figura si aziona ruotando la manovella allo scopo di imprimere alla pinza un
moto assiale verso sx in modo da forzarla nella propria sede conica. In tal modo le quattro ganasce della
bussola vengono serrate contro il pezzo da lavorare mantenendolo nella corretta posizione.
Determinare il momento torcente M da applicare in modo ogni settore conico della pinza eserciti una
forza radiale contro il pezzo pari a 450 N nell’ipotesi che:
1. il coefficiente d’attrito tra bussola e sede conica sia pari a f = 0.20 ;
2. il coefficiente d’attrito tra volantino e mandrino sia pari a f ' = 0.15 ;
3. il coefficiente d’attrito tra vite e madrevite sia pari f '' = 0.10 ;
4. diametro medio di contatto volantino mandrino d c = 38 mm ;
5. diametro medio del filetto d m = 23.5 mm ;
6. passo della vite p = 1.6 mm .
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P ≅ 516 N W = 1094 N
Esempio 4. 4
Con riferimento al morsetto sotto rappresentato di cui si riportano i dati principali, determinare le
tensioni agenti nelle sezioni A-A e B-B nonché la lunghezza L dell’asta di manovra in modo che
l’operatore esercitando una forza di 90 N sia in grado di esercitare un carico W = 4540 N .
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Le due tensioni possono essere composte, secondo le indicazioni di von Mises, nell’unica tensione
ideale:
σ id = σ 2 + 3τ 2 = 982 + 37 2 ≅ 105 N/mm2
Le due tensioni possono essere composte, secondo le indicazioni di von Mises, nell’unica tensione
ideale:
σ id = σ 2 + 3τ 2 = 462 + 262 ≅ 53 N/mm 2
Bibliografia
Giovannozzi R Costruzione di Macchine vol. 1 Patron
Hall A.S. et al. Costruzione di Macchine Etas
O.Sesini Meccanica Applicata alle Macchine vol. 3 Ambrosiana
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5. LA
A TRASMISSIONE A CINGHIA
Le cinghie sono organi flessibili che si avvolgono su pulegge per trasmettere il moto fra due alberi
Si distinguono
1. cinghie piatte
2. cinghie trapezoidali
3. cinghie dentate (sincrone)
Nel seguito ci occuperemo soprattutto del calcolo delle cinghie trapezoidali e della loro scelta tramite le
indicazioni fornitee dai cataloghi delle case costruttrici. Per comprendere appieno tali indicazioni è
tuttavia indispensabile affrontare lo studio teorico della trasmissione che nel seguito viene riportato.
riportat
Le equazioni di equilibrio
Consideriamo un tratto di cinghia piatta avvolta su di una puleggia di raggio r. Sia m la massa della
cinghia per unità di lunghezza e v la sua velocità; la forza centrifuga dF agente su di un tratto di cinghia
che si impegna lungo un angolo dθ vale:
v2
dF = mr ⋅ dθ = mv 2 dθ (5.1)
r
Sia Tc è la tensione nella cinghia dovuta all’azione centrifuga, allora per l’equilibrio deve essere:
dθ
mv 2 dθ = 2Tc → Tc = mv 2 (5.2)
2
Se la cinghia sta trasmettendo potenza, indicando con T1 e T2 la tensione totale sui tratti condotti e
conduttori della cinghia, in condizione di incipiente slittamento si ha:
dT = f ( dN − dF )
dT = f (Tdθ − mv 2 dθ )
dT
= fdθ
T − mv 2
e integrando
T2 θ
dT
∫T T − mv 2 = ∫0 fdθ
2
50
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T1 − mv 2
= exp ( f θ ) (5.3)
T2 − mv 2
Qualora l’azione della forza centrifuga possa essere trascurata1 la (5.3) si semplifica nella (5.4):
T1
= exp ( f θ ) (5.4)
T2
Le zone in cui la cinghia non è a contatto con le pulegge vengono suddivise in due tratti:
1. un tratto in cui la tensione vale T1 (ramo più teso);
2. un tratto in cui la tensione vale T2 (ramo meno teso).
Sottolineiamo che lungo gli archi che sottendono gli angoli γ e γ’:
1. la tensione della cinghia è costante e vale T2 sulla puleggia condotta e T1 su quella motrice;
2. la cinghia ha la stessa velocità della puleggia;
3. non avviene nessun trasferimento di potenza (gli angoli γ e γ’’ vengono pertanto definiti angoli
inefficaci
ci o idle angles)
1
In pratica si constata che per velocità periferiche della cinghia inferiori a 10 m/s l’effetto della forza centrifuga è
decisamente trascurabile. D’altro canto, anche per velocità superiori si preferisce trascurare, per semplicità di
calcolo, l’effetto della
lla forza centrifuga salvo poi assumere dei carichi di sicurezza minori di quelli normalmente
ammissibili.
2
Si noti che, diversamente da quanto riportato in figura, nelle cinghie piatte è preferibile tenere ramo lasco (meno
teso) della cinghia sul lato supriore.
upriore.
51
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Pertanto il rapporto di trasmissione di due pulegge, collegate da una trasmissione a cinghia, non è
tamente pari al rapporto tra i diametri delle pulegge stesse1. Infatti dalla (5.5) indicate con ω le
esattamente
velocità angolari delle pulegge si ha:
ω2 r1 (T1 − T2 )
= 1 − (5.6)
ω1 r2 AE
Pertanto la trasmissione a cinghia, dato che le tensioni T variano al variare della potenza trasmessa, ha
un rapporto di trasmissione che varia al variare della potenza trasmessa.
Le cinghie trapezoidali
Per aumentare l’aderenza tra cinghia e puleggia si utilizzano, in luogo delle cinghie piatte, quelle
trapezoidali. A parità di ogni altra condizione,
condizione, una cinghia trapezoidale (con semiangolo di gola pari a
β) lavora come una cinghia piatta che faccia affidamento su di un nuovo coefficiente d’attrito
maggiorato (fittizio) pari a2:
f
f* = (5.7)
sin β
1
In realtà, agli effetti della trasmissione del moto, nelle cinghie piatte, il diametro delle pulegge è da considerarsi
aumentato di due volte s/2 /2 (con s spessore della cinghia). Pertanto nella (5.6) r1 e r2 sono i raggi delle pulegge
corrispondenti aumentati di s/2.
Nel caso di cinghie trapezoidali, r1 e r2 sono invece i diametri primitivi delle rispettive pulegge.
2
In prima approssimazione, il coefficiente
coeff d’attrito f* può porsi pari a circa 0.5.
52
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Tensione di pretensionamento
Indicata con 2T0 la tensione di pretensionamento, le tensioni T1 e T2 sui due rami di cinghia, valgono:
M
T1 = T0 + Tc + t
D
(5.8)
Mt
T2 = T0 + Tc −
D
dove D e Mt sono rispettivamente il diametro della puleggia e il momento torcente da essa trasmesso e
Tc la tensione dovuto alla forza centrifuga. Indicato con α l’angolo di avvolgimento sulla puleggia
minore, il tiro di cinghia minimo necessario per trasferire il momento torcente Mt vale:
2 M t exp ( f α ) + 1
2T0 = (5.9)
D exp ( f α ) − 1
Infatti
2M t
T1 − T2 =
D → 2T0 = (T1 + T2 ) − 2Tc
T1 + T2 = 2T0 + 2Tc
2T0 (T + T ) − 2Tc = (T1 − Tc ) + (T2 − Tc ) = (T1 − Tc ) (T2 − Tc ) + 1
= 1 2
2M t D T1 − T2 (T1 − Tc ) − (T2 − Tc ) (T1 − Tc ) (T2 − Tc ) − 1
2 M t exp ( f α ) + 1
2T0 =
D exp ( f α ) − 1
Sostituendo la(5.9) nelle (5.8) si ottengono le espressioni delle tensioni nei due rami di cinghia in
funzione di Tc, di T0 e di α che di seguito sono rappresentate graficamente.
exp ( f α ) 1
T1 = Tc + 2T0 T2 = Tc + 2T0 (5.10)
exp ( f α ) + 1 exp ( f α ) + 1
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Con riferimento alla figura precedentemente riportata, consideriamo una trasmissione funzionante a
velocità trascurabile e tesa, inizialmente, con un tiro tale da indurre le tensioni rappresentate dai pallini
bianchi: il momento torcente trasmesso è proporzionale ovviamente alla differenza tra le tensioni T1 e
T2.
Immaginiamo ora che la trasmissione raggiunga una velocità tale indurre un aumento di tensione nei
due rami pari a Tc: in questa situazione le tensioni dei rami di cinghia sono individuate dai pallini verdi
giacenti sulle corrispondenti rette: il momento torcente trasmesso e l’angolo si scorrimento non
cambiano, ma le tensioni nei due rami di cinghia sono aumentate.
Volendo mantenere la tensioni statica massima pari alla tensione dinamica massima, dovremo diminuire
il pretensionamento in modo tale che le tensioni dinamiche dei due rami di cinghia siano individuate dai
rispettivi pallini arancio: in questa situazione tuttavia il momento torcente trasmesso è minore.
Per quanto riguarda i valori correnti del pretensionamento ricordiamo che, in prima approssimazione,
considerando i due rami di cinghia quasi paralleli, può porsi:
2M t
2T0 = ( 4 ÷ 5 ) D cinghie piatte
(5.11)
2T = (1.2 ÷ 1.5 ) 2M t cinghie trapezoidali
0 D
La forza T , indicata con A la sezione trasversale della cinghia, genera una tensione di trazione pari a:
T
σt = (5.12)
A
La massima sollecitazione di trazione si nel tratto di cinghia in cui ovviamente T = T1
La tensione di avvolgimento si ricava facilmente ricordando che la relazione tra il raggio di curvatura
della deformata e il rispettivo momento flettente vale:
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1 M
= (5.13)
r EJ
dove al solito E è il modulo di elasticità normale e J il momento quadratico di superficie della sezione
trasversale.
Dalla (5.13) si ottiene:
EJ M EJ
M= → σf = = (5.14)
r W f r ⋅W f
Il raggio di avvolgimento r, indicato con r1 il raggio della puleggia minore1 e con s lo spessore della
cinghia, vale:
r = r1 + s 2
Il tratto di maggior sollecitazione della cinghia è pertanto il tratto, sottoposto a T1, e che si avvolge sulla
puleggia minore.
D d
L= (π + 2γ ) + (π − 2γ ) + 2 I cos γ (5.16)
2 2
∆R −1 ∆R
sin γ = → γ = sin
I I
Cerchiamo ora una espressione della lunghezza della cinghia che, seppur approssimata, è più
maneggevole.
Tenuto presente lo sviluppo in serie di Taylor di sin x
1
Ai fini della sollecitazione di flessione si è considerata soltanto la puleggia minore in quanto, avente il diametro
minore, induce il momento flettente maggiore.
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x 3 x5 xn πn
sin x = x − + + .... + sin
3! 5! n! 2
ed arrestando lo sviluppo al primo termine, si ha:
D−d
γ≅ (5.17)
2I
Sostituendo la (5.17) nella (5.16) e tenuto presente lo sviluppo in serie di cos x arrestato al secondo
termine1, si ha:
( D − d ) + 2I − 2I ( D − d )
2 2
D+d
L≅ π+
2 2I 4I 2 ⋅ 2
( D−d)
2
D+d
L ≅ 2I + π+ (5.18)
2 4I
Questa è l’espressione della lunghezza approssimata della cinghia che viene normalmente riportata sui
cataloghi delle ditte costruttrici.
La velocità ottima
Si definisce ottima la velocità di una trasmissione, la velocità a cui corrisponde, a parità di potenza
trasmessa e di ogni altra condizione, la minima sezione trasversale A di cinghia.
In condizione di incipiente slittamento, indicato con α l’angolo di avvolgimento sulla puleggia minore e
con m la massa per unità di lunghezza della cinghia, si ha:
D
( T1 − T2 ) 2 = M t
T1 − mv = exp ( f α )
2
T2 − mv 2
2M t exp ( f α )
+ mv 2
2M t exp ( f α ) T D exp ( f α ) − 1
T1 = + mv 2 → A = 1 =
D exp ( f α ) − 1 σ amm σ amm
2M t exp ( f α ) exp ( f α )
+ mv 2 N + mv 3
D exp ( f α ) − 1 v exp ( f α ) − 1
A= =
σ amm v σ amm v
La massa della cinghia per unità di lunghezza è ovviamente funzione della sezione trasversale. Posto
pertanto K = m A , si ottiene:
N exp ( f α ) KAv3
A= +
σ amm v exp ( f α ) + 1 σ amm v
KAv 2 N exp ( f α )
A− =
σ amm σ amm v exp ( f α ) + 1
x2 x4 xn πn
1
cos x = 1 − + + ..... + cos
2! 4! n! n!
56
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Kv 2 σ amm − Kv 2 N exp ( f α )
A 1 − = A =
σ amm σ amm σ amm v exp ( f α ) + 1
N exp ( f α ) σ amm
A=
σ amm v exp ( f α ) + 1 (σ amm − Kv 2 )
exp ( f α ) N
posto = C si ha:
exp ( f α ) + 1
C
A=
v (σ amm − Kv 2 )
d d C −σ ammC + 3Kv 2C
A= =
dv dv (σ amm v − Kv 3 ) (σ v − Kv 3 )2
amm
σ amm
v= (5.19)
3K
La (5.19) fornisce pertanto la velocità ottima, ossia quella velocità che a parità di ogni altra condizione
rende minima1 la sezione trasversale della cinghia.
Normalmente K ≅ 0.1 kg / ( m ⋅ mm 2 ) e σ amm ≅ ( 2.5 ÷ 3) N / mm 2 per cui la velocità ottima si aggira sui
25-30 m/s. E’ buona norma pertanto raggiungere velocità elevate adottando per le pulegge i massimi
diametri compatibili con le esigenze di installazione.
1
La (5.19) esprime una condizione di minimo. Infatti:
< 0 v < σ amm 3K
dA
= 0 v = σ amm 3K
dv
> 0 v > σ amm 3K
57
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Esempio 5.1
A pulley of 150 mm effective diameter running at 1500 rev/min drives a follower of 750 mm diameter,
the two shafts being parallel, 1 m apart, and the free parts of the belt considered straight. The belt has a
mass m of 0.4 kg/m and the maximum tension is to be 720 N. If the coefficient of friction f is equal to
0.4, estimate the maximum tension differences allowing for the inertia of the belt. If the belt has a cross
sectional area A of 320 mm2 and E for the material is 300 MN/mm2, estimate the speed of driven pulley
att the maximum condition and the power transmitted to it.
58
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L p = 2 I + 1.57 ⋅ ( D p + d p )+
p
4I
α Ampiezza dell'arco di contatto sulla puleggia minore
D − dp
α = 180 − 57 ⋅ p
I
Il fattore di servizio
Il fattore di servizio Fs è un coefficiente che, tenuto conto delle condizioni di carico, aumenta
opportunamente la potenza che teoricamente dovrebbe essere trasmessa.
I valori di Fs vengono stimati secondo le seguenti indicazioni
Potenza di calcolo
La potenza di calcolo PC si ottiene dalla potenza nominale PN dalla seguente relazione:
PC = PN ⋅ FS
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7.35
Z ⇒ p1 = (0.25V −0.09 − − 0.47 ⋅ 10−4 V 2 )V
de
19.61
A ⇒ p1 = (0.45V −0.09 − − 0.76 ⋅ 10−4 V 2 )V
de
51.3
B ⇒ p1 = (0.79V −0.09 − − 1.31 ⋅ 10−4 V 2 )V
de
V [m/s]; de [mm]; p1 [kW]
−0.09 143.2
C ⇒ p1 = (1.48V − − 2.34 ⋅ 10−4 V 2 )V
de
507.2
D ⇒ p1 = (3.15V −0.09 − − 4.76 ⋅ 10−4 V 2 )V
de
951.1
E ⇒ p1 = (4.57V −0.09 − − 7.05 ⋅ 10−4 V 2 )V
de
Coefficiente di correzione Fα
α 180° 170° 160° 150° 140° 130° 120° 110° 100° 90°
Fα 1.00 0.98 0.95 0.92 0.89 0.86 0.82 0.78 0.74 0.69
2. un coefficiente di correzione Fe, che tiene conto, a parità di altre condizioni, della
frequenza di flessione della cinghia e che si ricava dal diagramma di seguito riportato:
p = p1 ⋅ Fα ⋅ Fe
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Dp − d p
Ia = + dp se D p < 3d p
2
I a = Dp se D p > 3d p
p = p1 ⋅ Fe ⋅ Fα
14. Si determina infine il numero di cinghie rapportando la potenza di calcolo alla potenza p
determinata al punto precedente. Il numero di cinghie deve essere approssimato all’intero più
vicino in difetto o in eccesso
Sia Mt il momento torcente trasmesso da una puleggia con raggio pari a R. Il tiro totale F agente sulla
puleggia per effetto del pretensionamento della cinghia può essere posto pari a :
2M t
F = (4 − 5) per cinghie piatte
Dp
2M t
F = (1.2 − 1.5) per cinghie trapezoidali
Dp
65
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Esempio 5.1.1.1
Si progetti una trasmissione a cinghie trapezoidali che collega un motore elettrico da 3.5 kW, ruotante a
1500 rpm, ad un albero di una macchina utensile ruotante a 1200 rpm.
Nota la potenza di calcolo e la frequenza di rotazione della puleggia minore (1500 rpm) si determina la
sezione di cinghia. Sezione appropriata: sez. A
Si sceglie il diametro della puleggia minore. Per una sezione di cinghia tipo A, il diametro minimo
risulta 90 mm. Riteniamo, per ragioni di ingombro e di efficienza, di adottare una puleggia minore di
diametro 140 mm. Il diametro della puleggia maggiore risulta pertanto1:
D p = K ⋅ d p = 175 mm
In base all’interasse approssimato determinato al punto precedente, noti i diametri delle pulegge, si
determina la lunghezza teorica della cinghia:
(D + dp )
2
π
L ≅ 2I a +
2
(D p + dp ) +
p
4I a
= 1090.8 mm
Con la velocità della cinghia, la sua sezione e il diametro primitivo equivalente si determina la potenza
nominale p1 trasmissibile da una cinghia:
2π ⋅ n d 2π ⋅ 1500 140
V= = ≅ 11 m/s
60 2 60 2000
19.61
A ⇒ p1 = (0.45V −0.09 − − 0.76 ⋅ 10−4 V 2 )V ≅ 2.46 kW
de
1
La puleggia di diametro 175, in base alla nostra tabella non risulta unificata. Possiamo pertanto scegliere una
puleggia da 180 mm rinunciando al vincolo imposto sulla frequenza di rotazione della puleggia condotta (1200
rpm), oppure optare per una puleggia da 175 mm con un prevedile aggravio dei costi di produzione.
2
Ovviamente solo nel caso in cui l’interasse non sia imposto.
66
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Una volta definita la trasmissione, possiamo determinare il tiro di cinghia T0 a riposo e le tensioni nei
due rami a regime T1 e T2 .
Le tensioni a riposo e a regime, ritenuta trascurabile l’effetto della forza centrifuga, sono legate dalle
seguenti relazioni:
dp
(T1 − T2 ) = Mt
2
T + T = 2T
1 2 0
Facendo affidamento su un coefficiente d’attrito f tra cinghia e puleggia pari a 0.5, e fissando un angolo
θ di creep, pari per ragioni di sicurezza all’90% dell’angolo di avvolgimento α sulla puleggia minore,
si ha:
T1 T 173 ⋅ π
= exp ( f ⋅ θ ) → 1 = exp 0.5 ⋅ 0.9 ≅ 3.89
T2 T2 180
La forza che si scarica sui cuscinetti dell’albero per effetto del tiro di cinghia vale:
2T0 = 538 N
Bibliografia
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Ruota dentata: ruota munita di denti destinata a trascinarne un’altra o a essere trascinata mediante
scambio di forze periferiche.
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Ingranaggio: meccanismo elementare costituito da due ruote dentate fra loro ingrananti
Ingranaggi: sono costituti da coppie di ruote munite di denti che ingranano tra loro.
Rapporto di ingranaggio u: rapporto tra il numero di denti della ruota e quello del pignone. Il rapporto
di ingranaggio è sempre maggiore o uguale ad uno.
Rapporto di trasmissione i: è il rapporto tra le velocità angolari della prima ruota motrice di un
ruotismo e quella dell’ultima ruota condotta.
Diametro primitivo di funzionamento: diametro del cilindro corrispondente a ruote di frizione che
trasmettono il moto con uguale rapporto di trasmissione
Diametro primitivo di riferimento: è il diametro del cilindro convenzionale in riferimento al quale sono
definite le dimensioni della dentatura di una ruota considerata isolatamente e vale z volte il modulo (z
numero di denti della ruota)
Con riferimento ad una dentatura ad evolvente di cerchio è ben evidente che al variare dell’interasse,
pur variando i diametri primitivi di funzionamento, il loro rapporto di mantiene costante1 assicurando
l’invariabilità del rapporto di trasmissione
1
il rapporto dei diametri primitivi, in ogni condizione di funzionamento, risulta sempre pari, in una dentatura ad
evolvente, al rapporto tra i diametri delle circonferenze (circonferenze di base) sulle le quali si sono realizzate le
evolventi dei fianchi dei denti. Poiché i diametri di base, che rappresentano una caratteristica fisica delle ruota
indipendente cioè dalle modalità di funzionamento, sono immutabili, è immediato riconoscere che anche il
rapporto di trasmissione rimane costante.
69
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Diametro di testa da: è il diametro di tornitura esterna della ruota e contiene la sommità dei denti
Diametro di piede o di fondo df: è il diametro del cilindro tangente al fondo dei vani.
Denti: ciascuno degli elementi sporgenti di una ruota atti ad assicurare, tramite il contatto con i denti di
un’altra ruota, il trascinamento.
Fianco: è la porzione della superficie del dente compresa tra la superficie di testa e quella di piede.
I profili dei fianchi dei denti delle ruote dentate, per assicurare soprattutto la costanza del rapporto di
trasmissione , sono profilati secondo una evolvente di cerchio.1
Passo p: è l’arco di primitiva staccato da due profili omologhi successivi. Il passo è pertanto pari al
rapporto tra la circonferenza primitiva e il numero di denti.
Retta d’azione: è la normale comune ai profili dei due denti nel loro punto di contatto. Secondo questa
direzione agiscono, in assenza di attrito, le forze che si scambiano i denti durante l’ingranamento. Con
1
L’evolvente di cerchio è la curva generata da un punto appartenente ad una retta (retta d’azione) che rotola senza
strisciare su di una circonferenza (circonferenza di base o fondamentale)
PB
AB ≡ PB tan θ =
= ϕ +θ
OB
ϕ = tan θ − θ ≡ evθ
OB
ϕ = evθ OP =
cos θ
2
Nell’industria anglosassone, al posto del modulo, si usa il cosiddetto diametral pitch ovvero il rapporto tra il
numero di denti e il diametro primitivo espresso in pollici. A prescindere dalle diverse unità di misura il modulo è
il reciproco del diametral pitch.
70
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riferimento alla dentatura ad evolvente, la retta d’azione corrisponde alla tangente comune alle due
circonferenze di base.
Angolo di pressione α: è l’angolo compreso tra la retta d’azione e la tangente comune alle due
circonferenze primitive.
Altezza del dente h: distanza radiale tra il diametro di testa e il diametro di fondo.
Addendum ha: distanza radiale tra il diametro di testa e quello primitivo di riferimento. Nel
proporzionamento normale l’addendum è pari al modulo
Dedendum hf: distanza radiale tra il diametro primitivo di riferimento e quello di fondo. Nel
proporzionamento normale il dedendum è paria 1.25 volte il modulo.
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Linea di ingranamento
E’ il segmento della staccato dalle troncature esterne sulla retta d’azione.
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Consideriamo ora la coppia rocchetto ruota sotto rappresentata. Se si diminuisce il numero di denti del
pignone mantenendone costante il diametro primitivo, occorre aumentare parallelamente il modulo
della coppia; aumenteranno in tal modo sia l’addendum, sia sia il dedendum dei denti. Al diminuire del
numero di denti del pignone, i punti A e A’ si allontaneranno gradualmente da C fino a che il punto A’
verrà a coincidere con il punto T’. Diminuendo ulteriormente il numero di denti, il punto A’ andrà a
disporsi esternamente al segmento TT ' rendendo problematico l’ingranamento. Pertanto per ogni coppi
73
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ruota-rocchetto esiste un numero minimo dei denti del rocchetto zmin f (numero minimo di denti di
funzionamento) al di sotto del quale l’ingranamento è problematico. Il valore di zmin f può essere
ricavato da semplici considerazioni geometriche.
La (6.1) esprime il numero minimo di denti che deve avere un rocchetto per poter ingranare
correttamente1 con una ruota formante con esso un rapporto di ingranaggio paria u = 1 τ .
E’ ben evidente pertanto che il numero minimo di denti di ingranamento di un rocchetto dipende, oltre
che dall’angolo di pressione, dal numero di denti della ruota nonché dal proporziona mento della
medesima..
Nel caso particolare di un rocchetto ingranante con una dentiera (assimilabile ad una ruota con numero
di denti e raggio primitivo infiniti)2 , dalla (6.1) posto τ = 0 si ha immediatamente:
2k
zmin f = 2 (6.2)
sin α
Il numero minimo denti definito dalla (6.1), una volta che si ponga u = 1 , rappresenta anche il numero
minimo di denti intagliabile mediante fresatura. Se i denti sono tagliati per inviluppo (dentiera utensile,
1
Anche in presenza di interferenza, se vi è un gioco notevole tra i denti, la trasmissione del moto non è certamente
interrotta, ma il contatto avviene in pessime condizioni, dando luogo a variazioni di velocità, forti vibrazioni e
conseguentemente ad un’usura molto rapida. Solo se il gioco fra i denti è nullo o minimo ci può essere
inceppamento.
2
La dentiera è può essere considerata una ruota dentata di raggio infinito. Questa particolare ruota dentata ha i
fianchi dei denti rettilinei e perpendicolari alla retta di base a sua volta inclinata rispetto alla retta primitiva di un
angolo α. Al variare dell’angolo α corrispondono dentiere con denti di particolar inclinazione: l’angolo α serve a
caratterizzare un assortimento di ruote e viene chiamato angolo di pressione dell’assortimento. La forma semplice
che assume il dente della dentiera profilata ad evolvente (fianco rettilineo) permette la generazione precisa della
dentatura servendosi di attrezzi ad essa equivalenti, animati di moto relativo alla ruota da tagliare uguale a quello
che si ha durante l’imbocco.
74
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utensile creatore, stozzatrice Fellows) i numeri di denti intagliabili senza interferenza sono quelli
corrispondenti a un rapporto di ingranaggio u → ∞ nel caso di un utensile derivato da una dentiera, e a
un rapporto di ingranaggio u pari al numero minimo di denti intagliabile senza interferenza (incognito)
e il numero di denti della ruota utensile nel caso di taglio con stozzatrice Fellows.
Occorre ancora precisare che il dente dell’utensile, sia esso una ruota o una dentiera, deve avere un
addendum pari al dedendum della ruota da tagliare. Pertanto, con riferimento al taglio per inviluppo, il
numero minimo di denti intagliabili senza interferenza si determina con le (6.1) e (6.2) una volta che k
sia sostituto da kd rapporto tra dedendum e modulo1. Nel caso di un proporziona mento normale si ha
pertanto:
2k d τ 1 + 1 + τ ( 2 + τ ) sin 2 α
zmin i ≥ = 2k d (6.3)
1 + τ ( 2 + τ ) sin 2 α − 1 ( 2 + τ ) sin 2 α
2k d
zmin i = (6.4)
sin 2 α
1
In pratica, tuttavia, i denti della dentiera e della ruota utensile, hanno un profilo utile alla generazione del dente
solo per una sporgenza pari circa al modulo, oltre la quale esso si prolunga fino alla circonferenza di testa tramite
un raccordo. Ciò giustifica la determinazione del numero minimo di denti intagliabili direttamente tramite le (6.1)
e (6.2) anziché mediante le (6.3) e (6.4)
75
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1
In questo esempio (taglio con dentiera) e nel successivo (taglio con ruota utensile) si è posto kd ≅ 1.1
76
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denti scavati alla base anche se il numero di denti del rocchetto è superiore al numero minimo di denti
(14.16 denti) definito dalla (6.1).
77
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Continuità dell’ingranamento
Il segmento AA’, staccato dalle circonferenze di testa sulla retta d’azione, individua tutte le posizioni di
contatto tra il dente del pignone e della ruota.
Il punto A’ rappresenta l’inizio del contatto ed è determinato dall’intersezione tra il cerchio di testa del
pignone e la retta delle pressioni. Dualmente A rappresenta la perdita del contatto tra gli stessi denti ed
è individuato dall’intersezione tra il cerchi di testa della condotta e la retta delle pressioni.
Il segmento AA’ è chiamato linea di condotta. L’arco di accesso è l’arco di circonferenza e1,
misurabile sia sulla circonferenza primitiva della ruota condotta
che su quella della ruota motrice, definito a partire dal fianco del dente a inizio ingranamento fino al
punto di tangenza P tra le circonferenza primitive. L’arco di recesso è l’arco di circonferenza e2,
misurato, su ciascuna circonferenza primitiva, dal punto di tangenza P tra le circonferenze primitive
fino al fianco del dente a fine ingranamento.
La somma dei due archi rappresenta l’arco di condotta e
Evidentemente perché si abbia continuità d’ingranamento, ovvero al distacco di una coppia di denti in
presa sia già iniziata la fase di ingranamento della coppia successiva, è necessario che l’arco di condotta
sia maggiore del passo:
e> p (6.5)
78
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Definito il rapporto di condotta ε come il rapporto tra l’arco di condotta e il passo, la condizione
imposta dalla (6.5) può essere riscritta in modo del tutto equivalente:
e
ε ≡ >1 (6.6)
p
Come già accennato, per garantire una efficiente trasmissione del moto ε deve essere maggiore
dell'unità perché ciò comporta che, prima che la coppia di denti a contatto si separi, una seconda sia già
entrata nell'arco d'azione.
Nel caso in cui 1 < ε < 2 l'arco dei contatti risulta diviso in tre parti:
· due parti di lunghezza pari a e − p collocate agli estremi dell'arco dei contatti in cui si ha contatto
contemporaneamente tra 2 coppie di denti
· una parte centrale dell'arco dei contatti di lunghezza pari a 2 p − e in cui si ha il contatto di una sola
coppia di denti.
In genere si usano valori di ε maggiori di 1.2 e attualmente la tendenza è a salire sopra 2 in modo da
avere
sempre almeno 2 coppie di denti in contatto.
Per le note proprietà dell’evolvente la (6.6) può essere espressa come rapporto tra i rispettivi archi
misurati sulla circonferenza di base anziché sulla primitiva, si può scrivere pertanto:
e
ε= b (6.7)
pb
Sempre per la proprietà dell’evolvente è immediato riconoscere che eb = AA ' e pb = p cos α , da cui:
AA '
ε=
p cos α
La lunghezza del segmento AA’ può essere ricavata, con riferimento alla figura di seguito riportata,
con semplici considerazioni geometriche.
AA ' = A 'T + AT ' − TT '
79
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ε= − z ' 2
+ − z 2 − ( z + z ') tan α (6.8)
2π cos α cos α
ε= − z' +
2
− z 2 − ( z + z ') tan α (6.9)
2π cos α cos α
Pertanto in ogni ingranaggio, oltre a controllare che il numero denti del pignone sia superiore al numero
di denti zmin f definito dalla (6.1), occorre verificare che il valore di ε definito dalla (6.9), o più in
generale dalla (6.8), sia tale da garantire la regolarità del moto, tenuto presente la frequenza di rotazione
e il grado di finitura dei fianchi dei denti.
80
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Dentature corrette
Lo spessore del dente di una ruota a profili non spostati tagliata con un certo utensile è fissato in
corrispondenza della circonferenza primitiva (di raggio R0) e vale sempre lo stesso s0 caratteristico della
dentiera o del creatore. Come si nota dalla figura sottostante però, lo spessore alla base del dente
dipende, con una legge di proporzionalità inversa, dal numero di denti.
Il pignone è quindi l’elemento più “debole” dell’ingranaggio, in esso infatti le forze scambiate si
distribuiscono su una sezione resistente minore.
In molti casi dimensionare in sicurezza la ruota piccola aumentando il modulo della trasmissione
comporterebbe l'adozione di un pignone di dimensioni inaccettabili o per questioni di ingombro o per
questioni di costo. Molto più conveniente in tali situazioni è ricorrere a ruote a profili spostati ottenuti
allontanando il pignone dalla dentiera utensile (spostamento s positivo) e avvicinando la ruota alla
dentiera utensile (spostamento s negativo). In genere questi spostamenti vengono rapportati al modulo
introducendo il coefficiente di spostamento x come di seguito definito:
s
x≡ (6.10)
m
La correzione sul pignone, con spostamento positivo, mantiene l’altezza totale del dente, ma ne
aumenta l’addendum. Per contro, la correzione sulla ruota, con spostamento negativo, mantiene
l’altezza del dente ma ne diminuisce l’addendum.
La correzione delle ruote induce una modifica sostanziale della resistenza meccanica delle due ruote
ottenuta “allargando” i denti del pignone (dimensionati al limite) e “assottigliando” quelli della ruota
(sovradimensionati) senza agire sul modulo ossia sulle dimensioni della trasmissione.
Per quanto riguarda la scelta dei valori numerici dei coefficienti x, si sottolinea che una soluzione molto
usata consiste nello scegliere i coefficienti di spostamento x su ruota e pignone in modo tale che la loro
somma algebrica sia nulla.
In tale situazione l’interasse dell’ingranaggio corretto coincide con l’interasse nominale.
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Secondo le norme AGMA i coefficienti di spostamento standard sono ±0.25 e ±0.5 che producono un
aumento/diminuzione dell’addendum rispettivamente del 25% e del 50%.
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Controlli
I principali controlli che vengono effettuati sui denti delle ruote dentate cilindriche consistono nel
verificare i valori della corda e dell’altezza sulla corda nonché lo scartamento W di Wildhaber come di
seguito riportatato.
90° zm zm
ψ= s = zm ⋅ sinψ f = (1 − cosψ ) ha = m + (1 − cosψ )
z 2 2
Es.: ruota di modulo 2 e 25 denti: ψ = 3.6° s = 3.1395 mm ha = 2.0493 mm
84
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Dall’equazione di stabilità alla flessione, indicato con W f modulo di resistenza flessionale della
sezione maggiormente sollecitata, e con λ m la lunghezza del dente, si ha:
1
W Lewis. 'Investigation of the Strength of Gear Teeth.' Proc. Engng Club, Phil, 1893
85
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M f max Q ⋅l
σ max = = (6.11)
1
Wf
(λm)t 2
6
Sia l sia t sono quantità incognite che, tuttavia, possono essere ritenute proporzionali al modulo
m della dentatura. Si può scrivere pertanto:
l = k1m t = k 2 m (6.12)
Le indicazioni finali di progetto del modulo secondo Lewis possono essere sintetizzate come di
seguito riportato.
Sia:
z numero di denti del pignone (a parità di materiale il pignone è l’elemento più
sollecitato)
Mt momento torcente sul pignone
λ rapporto di fascia (8-20 rispettivamente per ruote grossolane e molto precise).
Rapporto tra la lunghezza del dente e il modulo
ψ fattore di riduzione dinamica della tensione ammissibile
σamm tensione ammissibile statica (vedi tabella)1
1
Per quanto riguarda il valore della tensione ammissibile, occorre tenere presente che non può trattarsi che di
valori di larga massima. Orientativamente si può dire che per velocità periferiche piccole e lavorazioni accurate si
possono adottare valori uguali alla metà o anche più del carico di rottura del materiale; per costruzioni correnti si
adottano valori alquanto minori pari a 1/3 ÷ 1/5 del carico di rottura. Nel caso degli ingranaggi, come per altro
nel caso degli alberi e di molti altri organi meccanici, è estremamente difficile, se non impossibile, stabilire dei
criteri generali per l’adozione delle tensioni ammissibili: infatti tali criteri dipendono fortemente dal tipo di
applicazione considerarta.
Consideriamo ad esempio i campi delle costruzioni automobilistiche e delle macchine utensili: è evidente che il
calcolo di organi meccanici pur simili differisce notevolmente nei due casi. Nelle costruzioni automobilistiche
dove sono predominanti i requisiti di elasticità e leggerezza si dovranno prevedere acciai legati e l’adozione di
tensioni ammissibili prossime ai carichi di snervamento. Nell’ambito delle macchine utensili invece, dove
predominano i requisiti rigidezza e sono per contro trascurabili le esigenze di alleggerimento, si potranno adottare
materiali meno pregiati e tensioni ammissibili convenientemente ridotte.
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2 F (1 − ν 1 ) E1 + (1 − ν 2 ) E2
2 2
2F
pmax = b= (6.17)
π bl πl 1 d1 + 1 d 2
dove con ν ed E si sono indicati rispettivamente il modulo di Poisson e il modulo di elasticità
normale dei materiali a contatto
Facendo ora riferimento al punto di contatto tra le due primitive di un ingranaggio, si pone:
Q 2M t
l = λm F= =
cos α d cos α
da cui sostituendo nella (6.17) si ottiene:
2M t 1 rb1 + 1 rb 2
2
pmax = (6.18)
d cos α ⋅ πλ m (1 − ν 1 ) E1 + (1 − ν 22 ) E2
2
1
Sottolineiamo infine che, anche se il metodo di Lewis trascura gli effetti della forza di compressione R, esso
tende a sovrastimare il modulo. Le ipotesi semplificative di Lewis implicano, tra l’altro, che i denti non si
ripartiscono il carico e che la condizione di maggiore sollecitazione si verifica all’estremità del segmento dei
contatti. Di fatto, poiché il rapporto di condotta è sempre maggiore di uno, la condizione di carico corrispondente
all’estremità del segmento dei contatti non è la peggiore, in quanto, in questa condizione, un’altra coppia di denti
sarà sicuramente in presa.
87
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in cui rc1 e rc 2 i raggi di curvatura dei profili dei denti, rispettivamente di pignone e ruota, in
corrispondenza del punto di contatto tra le primitive.
Esprimendo tali raggi di curvatura in funzione dei raggi primitivi e dell’angolo di
pressione,dopo alcuni passaggi, si ottiene:
2M t 1 1 1 2
2
pmax = 3
+
z1 ⋅ λ m z1 z2 π cos α sin α (1 − ν 1 ) E1 + (1 − ν 22 ) E2
2
1 2
posto K = si ha:
π cos α sin α (1 − ν 12 ) E1 + (1 − ν 22 ) E2
2M t 1 1
2
pmax = + K (6.19)
z1 ⋅ λ m3 z1 z2
dove K dipende dai moduli di Poisson e di elasticità dei materiali, nonché dall’angolo di
pressione dell’ingranaggio.
Il valore massimo della pressione ammissibile può essere espressa in funzione della durezza
superficiale dei fianchi dei denti e della vita dell’ingranaggio intesa come numero di cicli di
carico. numero di cicli . Indicati con n la frequenza di rotazione, con h il numero di ore di
funzionamento e con HB la durezza Brinell, si giustifica pertanto la seguente relazione:
25 ⋅ HB
pamm = 6 (6.20)
nh
sostituendo la (6.20) nella (6.19) e risolvendo rispetto al modulo si ottiene:
K 2 M t1 1 1 9
m ≥ 0.149 3 + n⋅h (6.21)
HB 2 ⋅ λ ⋅ z1 z1 z2
Le indicazioni finali di progetto del modulo secondo il calcolo di resistenza a pressione possono
essere sintetizzate come di seguito riportato.
Di seguito riportiamo i valori delle tensioni ammissibili e delle durezze corrispondenti ad alcuni
materiali nonché le ore di funzionamento tipiche di alcune applicazioni.
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R [N/mm2] σ amm [ N / mm ]
2
Materiale HB
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Esempio 6.1
Eseguire il dimensionamento di un ingranaggio cilindrico a denti diritti con le seguenti caratteristiche:
• Potenza nominale sull’albero del pignone N = 240 kW
• Frequenza di rotazione del pignone n = 1000 rpm
• Rapporto di ingranaggio u=2
• Durata richiesta h = 5000 ore
• Materiale pignone/ruota 16CrNi4 cementato e temprato
Risultati
N.B.: il numero di denti della ruota è stato posto pari a 55 per assicurare un consumo uniforme dei
denti.
90
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Esempio 6.2
Un pignone cilindrico a denti diritti, di modulo 4 mm, con 27 denti trasmette una potenza di 100
kW alla frequenza di 500 rpm ed è montato su di un albero secondo lo schema sotto riportato.
Determinare, in prima approssimazione, le reazioni sui sopporti.
Le forze Q ed R valgono:
2M t
Q= ≅ 35368 N R = Q tan α = 12873 N
d
91
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93
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Una ruota dentata cilindrica a denti diritti può pensarsi come il risultato di una traslazione assiale del
profilo della ruota. Se questa traslazione assiale viene accompagnata da un moto continuo di rotazione
si ha una ruota dentata cilindrica a denti elicoidali. L’angolo dell’elica è lo stesso per le due ruote
formanti l’ingranaggio, ma una delle due deve avere un’elica sinistrorsa e l’altra destrorsa.
Mentre il contatto iniziale tra i denti delle ruote cilindriche a denti diritti è un segmento che si estende
per tutta la lunghezza del dente, nelle ruote dentate cilindriche a denti elicoidali tale contatto iniziale è
un punto che diventa un segmento man mano che i denti entrano gradualmente in presa. Ed è appunto
questo ingranamento graduale che dei denti che conferisce alle ruote elicoidali la capacità di trasmettere
sforzi elevati ad alte velocità e, soprattutto, con silenziosità elevata.
Come vedremo successivamente, le ruote elicoidali sottopongono i cuscinetti dell’albero a carichi
radiali e assiali e quando questi ultimi diventano troppo elevati può essere consigliabile adottare ruote
bielicoidali1. Queste dentature provocano reazioni assiali uguali e contrarie scaricando assialmente i
cuscinetti.
Nel caso di profili ad evolvente, il fianco del dente di una ruota dentata cilindrica elicoidale è una
porzione di una superficie che può chiamarsi elicoide ad evolvente immaginata generata
dall’avvolgimento di un pezzo di carta tagliato ad un estremo secondo un angolo β b rispetto all’asse
del cilindro di avvolgimento.
1
Queste ruote furono introdotte da Andrè Citroën fondatore dell’omonima casa automobilistica francese il cui
logo rappresenta appunto la stilizzazione di una ruota bielicoidale.
94
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tan βb
tan β = (6.23)
cos α
Parametri frontali e normali
In una ruota dentata cilindrica a denti elicoidali possono essere considerati due profili:
a. profilo frontale: è il profilo che si vede osservando una faccia della ruota, profilo che è lo stesso
che si ottiene sezionando la ruota trasversalmente con un piano perpendicolare al proprio asse
(sez. B-B);
b. profilo normale: è il profilo che si ottiene sezionando la ruota con un piano normale all’elica
direttrice della dentatura (sez. A-A)
Le relazioni intercorrenti tra i parametri dei profili frontali e normali, possono essere facilmente
determinate facendo riferimento alla dentiera coniugata. Si ha quindi1:
pn = p cos β mn = mt cos β tan α n = tan α cos β (6.24)
Proporzionamento
Poiché il taglio delle ruote dentate elicoidali avviene generalmente mediante utensili aventi un
proporzionamento normale nella sezione normale, il modulo normale (il modulo dell’utensile
generatore) dovrà essere scelto all’interno della serie di moduli unificati, mentre il modulo trasversale si
ottiene dal modulo normale in funzione dell’angolo di inclinazione dell’elica secondo quanto indicato
dalla seconda delle (6.24).
Il diametro primitivo d , tenuta presente la definizione di passo, si determina dalla prima delle (6.24)
m
d = z ⋅ mt = z n
cos β
L’addendum e il dedendum, sempre con riferimento ad un proporzionamento normale (UNI 6587),
valgono:
ha = 1 ⋅ mn h f = 1.25 ⋅ mn
Pertanto i diametri di testa e di fondo valgono:
d a = z ⋅ mt + 2 ⋅ m d f = z ⋅ mt + 2.5 ⋅ mn
1
Si osserva che parlare di angolo di pressione in una sezione normale al dente ha strettamente senso solo per la
dentiera, non per la ruota. Il dente della ruota infatti, in tale sezione, non è intersecato secondo una evolvente.
95
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Esempio 6.3
Determinare l’angolo di inclinazione dell’elica di un ingranaggio cilindrico, di modulo normale
5 mm, avente interasse pari a 111.322 mm e numero di denti di rocchetto e ruota pari
rispettivamente a 22 e 23.
96
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In precedenza si è definito il proporzionamento del dente, ma nulla si è detto circa la forma che il dente
assume se sezionato con un piano perpendicolare all’elica primitiva1. Per dare una risposta a questo
interrogativo immaginiamo di tagliare la ruota appunto secondo un piano perpendicolare alla direzione
dell’elica primitiva. Per effetto di una tale sezione si genera un’ellisse primitiva di semiassi a e b pari
rispettivamente a:
d d
a= b=
2cos β 2
1
Per elica primitiva si intende l’elica giacente sul cilindro primitivo
98
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Quest’ellisse può confondersi, per il piccolo tratto considerato nell’ingranamento, con la sua
circonferenza osculatrice1 avente raggio R* pari a:
a2 d
R* = = (6.26)
b 2cos 2 β
Su di una tale circonferenza (immaginaria), considerata come primitiva, il modulo è quello normale e il
numero di denti corrispondenti è pari a:
z
z* = 3 (6.27)
cos β
Ossia il dente di una ruota dentata cilindrica elicoidale se sezionato secondo un piano perpendicolare
all’elica media ha una forma corrispondente al dente di una ruota dentata cilindrica a denti diritti avente
modulo pari al modulo normale e raggio primitivo e numero di denti pari rispettivamente a R* e z*.
z*, appunto perché si riferisce ad una ruota inesistente (ideale), viene detto numero di denti
immaginario ed in base ad esso si sceglie la fresa per il taglio della ruota e si calcola il fattore di forma
utilizzato nel calcolo a flessione secondo Lewis.
Esempio 6.4
Determinare il numero minimo di denti intagliabile senza interferenza di una ruota dentata
elicoidale avente proporzionamento normale e angolo di inclinazione dell’elica pari a 25°.
Il numero minimo dei denti intagliabile sulla ruota immaginaria, dalla (6.4) posto k d = 1 , vale:
2
i = = 17 → zmin int = zmin i cos β ≅ 13
* * 3
zmin
sin 20°
2
Continuità dell’ingranamento
Nelle ruote dentate elicoidali la continuità dell’ingranamento è quasi sempre garantita per effetto
dell’entrata e del distacco graduale dei denti in presa.
Pertanto il controllo del rapporto di condotta ε è, il più delle volte, superfluo.
1
Il cerchio osculatore è il cerchio che meglio approssima la curva in un punto. Il raggio del cerchio osculatore
corrisponde al raggio di curvatura nel punto considerato. Sia y = f ( x ) l’espressione in forma di una generica
curva. Il raggio di curvatura ρ è pari a:
ρ=
(1 + y ' )
2 3/ 2
y ''
Con riferimento ad un’ellisse di equazione y = b 1 − x 2 a 2 si ha che, nel punto di ascissa nulla, il raggio di
curvatura vale ρ = a 2 b . Poiché nel nostro caso a = R / cos β e b = R è immediato ottenere la (6.26)
99
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Il taglio si effettua disponendo l’asse del creatore inclinato rispetto all’asse della ruota da intagliare di
un angolo γ tale che la tangente all’elica primitiva del creatore, nel punto in cui si toccano i cilindri
primitivi della ruota e del creatore , coincida con la tangente all’elica primitiva del dente della ruota
nello stesso punto.
Con riferimento alla figura sopra riportata si ha pertanto:
γ = δ ± βC
dove il segno + è da considerarsi quando le eliche di creatore e dentatura sono concordi (entrambe
destrorse o entrambe sinistrorse), il segno – nel caso contrario.
100
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Esempio 6.5
Calcolare le spinte prodotte da una ruota dentata elicoidale che trasmette una potenza di 20 kW
alla frequenza di 250 rpm.
Caratteristiche della ruota:
modulo normale mn 5 mm
numero di denti z 27
angolo di pressione normale αn 20°
angolo di inclinazione dell’elica β 25°
20 ⋅ 1000 ⋅ 60
Mt = ≅ 764 Nm
2π ⋅ 250
m
d = z n = 148.96 mm
cos β
2M t
Q= ≅ 10258 N
d
A = Q ⋅ tan β ≅ 4783 N
Q 10258
R= tan α n = tan 20° ≅ 4120 N
cos β cos 25°
101
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M f max F ⋅ l ⋅ cos β
σ max = = (6.28)
1
Wf
( λ mn ) t 2
6
Sia l, sia t sono quantità incognite che, tuttavia, possono essere ritenute proporzionali al modulo
normale della dentatura. Si può scrivere pertanto:
l = k1mn t = k 2 mn (6.29)
Dove Y è un fattore di forma tabellato in funzione del proporzionamento della ruota, dell’angolo
di pressione α n e del numero di denti della ruota immaginaria z *
Esprimendo F in funzione del momento torcente trasmesso e del raggio primitivo si ottiene:
102
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2M t ⋅ cos β 2M t
σ max = = (6.31)
λ mnY ( z ⋅ m ) z ⋅ λ mn3 ⋅ Y
2M t 2 Mt
mn ≥ 3 =3 3 (6.32)
zλY * ⋅σ amm zY * λ ⋅ σ amm
Il valore della radice cubica contenente il fattore di forma Y* può essere approssimato
convenientemente come segue:
1 Mt
mn ≥ 3 (6.33)
3 z λσ amm
0.22 z − 1.15
z*
Al solito poi la tensione ammissibile statica σ amm dovrà essere convenientemente ridotta
tramite un coefficiente di riduzione ψ funzione della finitura della ruota e della frequenza di
rotazione.
1 Mt
mn ≥ 3 (6.34)
3 z ψλσ amm
0.22 z − 1.15
z*
Quindi, in base alla (6.34), il calcolo del modulo minimo del dente di un ruota cilindrica
elicoidale può essere condotto con le stesse formule introdotte per il calcolo del dente di una
ruota cilindrica a denti diritti con le seguenti precisazion1i:
i. il fattore di forma deve essere espresso in funzione del numero di denti
immaginario della ruota;
ii. il rapporto di fascia λ deve esprimere il rapporto tra la larghezza assiale della
ruota e il modulo normale.
Ricordiamo infine che il modulo normale ricavato dalla (6.34) dovrà essere arrotondato al
valore unificato, mentre il modulo frontale dovrà calcolarsi con la seconda delle (6.24) in base
all’angolo di inclinazione dell’elica media.
2. Calcolo a pressione
Con le medesime considerazione svolte in precedenza, anche nel calcolo a pressione dei denti
di un ingranaggio cilindrico a denti elicoidali possono usarsi le stesse formule utilizzate per il
calcolo dei denti di un ingranaggio cilindrico a denti diritti, con l’unica avvertenza, questa
volta, di sostituire i numeri di denti racchiusi entro parentesi nella (6.21) con i rispettivi numeri
di denti virtuali definiti dalla (6.27). Si ha pertanto:
K 2 M t1 1 1 9
mn ≥ 0.149 3 ± nh
HB λ z1 z *1 z *2
2
1
Queste precisazioni hanno un valore formale più che sostanziale. Tenuto presente che ordinariamente cos β ≅ 1 ,
le modificazioni indotte dalla (6.34) rispetto alla (6.16) sono minime se non del tutto trascurabili.
103
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Esempio 6.6
Eseguire il dimensionamento di un ingranaggio cilindrico a denti elicoidali con le seguenti
caratteristiche:
• Potenza nominale sull’albero del pignone N = 240 kW
• Frequenza di rotazione del pignone n = 1000 rpm
• Rapporto di ingranaggio u = 1.3
• Angolo dell’elica β = 20°
• Durata richiesta h = 5000 ore
• Materiale pignone/ruota 16CrNi4 cementato e temprato
Risultati
104
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Riduttore ad assi ortogonali costituito da un ingranaggio conico a denti dititti e due ingranaggi clindrici
a denti elicoidali
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Gli ingranaggi cilindrici sghembi, a causa della limitata zona di contatto dei denti coniugati,
(teoricamente puntiforme), possono trasmettere solamente potenze modeste. Il forte strisciamento,
conseguente alla diversa velocità periferica dei denti a contatto, induce un rapido consumo locale e
diminuisce notevolmente il rendimento. Come vedremo, per assi sghembi ortogonali e angoli dell’elica
comprese tra 20 e 70° il rendimento della coppia varia dal 70 all’80%.
Per descrivere la trasmissione del moto tra due ruote elicoidali ad assi sghembi conviene considerare
dapprima la ruota elicoidali 1 che ruota attorno al proprio asse e ingrana con la dentiera D1 ad essa
coniugata.
Analogamente si consideri la ruota dentata elicoidale 2 che ruota attorno al proprio asse, sghembo
rispetto all’asse della ruota 1, e ingrana con la propria dentiera D2.
Se i versi di rotazione delle ruote sono quelli indicati nella figura sopra riportata, le due dentiere
coniugate traslano anch’esse nelle direzioni indicate in figura.
Si noti che i piani primitivi delle due dentiere coniugate, pur essendo coincidenti, si muovono lungo
direzioni diverse.
Con la schematizzazione proposta, risulta chiaro che si può immaginare la trasmissione del moto come
una successione di tre sequenze:
1. trasmissione del moto dalla ruota 1 alla dentiera coniugata D1;
2. trasmissione del moto dalla dentiera D1 alla dentiera D2;
3. trasmissione del moto dalla dentiera D2 alla ruota 2.
107
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E’ allora evidente che per rendere possibile la trasmissione del moto tra le due dentiere (e quindi quella
del moto tra i due assi sghembi) è necessario che i denti delle due dentiere siano fra loro paralleli.
In altri termini, per consentire il corretto ingranamento, è necessario che le eliche delle due ruote siano
tangenti nel piano tangente comune ai due cilindri primitivi1.
Affinché possa essere rispettata tale condizione deve valere la seguente relazione tra l’angolo ψ formato
dagli assi delle ruote e gli angoli di inclinazione delle eliche medie β1 e β2.
ψ = β1 + β 2 eliche equiverse
(6.36)
ψ = β1 − β 2 eliche di verso opposto
Sempre con riferimento alle dentiere coniugate è immediato riconoscere che esiste una ulteriore
condizione per rendere possibile l’ingranamento, condizione che si esprime osservando che il passo
delle due ruote dentate, nella direzione normale alla tangente comune alle due eliche, deve essere il
medesimo.
1
E’ necessario rilevare che nel caso di ruote elicoidali ad assi sghembi si intendono come cilindri primitivi quei
cilindri che sono primitivi nell’ingranamento con le due dentiere coniugate. In realtà questi cilindri non
rappresentano affatto le superficie primitive relative all’ingranamento tra le due ruote dentate da cui si sono
originate le dentiere coniugate. Le due ruote infatti, nel punto di contatto dei cilindri primitivi prima definiti,
hanno velocità diverse.
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Rapporto di trasmissione
Siano z1 e z2 i numeri di denti rispettivamente della ruota motrice e della ruota condotta e si indichi con
C il punto di contatto dei due cilindri primitivi giacente sulla retta di minima distanza tra gli assi.
Le velocità periferiche del punto C pensato appartenente una volta alla ruota motrice e una volta alla
condotta valgono:
V1 = r1 ⋅ ω1 V2 =ω2 ⋅ r2 (6.41)
Poiché le eliche sono tangenti in C, le componenti delle velocità nella direzione perpendicolare alla
tangente comune devono essere uguali. Si ottiene pertanto la seguente relazione:
Sostituendo la (6.43) nella (6.41) e tenuta presente la definizione di rapporto di trasmissione si ha:
ω z
i= 1 = 2 (6.44)
ω2 z1
Esempio 6.7
Determinare le caratteristiche geometriche principali di un ingranaggio cilindrico, a denti elicoidali
(eliche equiverse) e ad assi sghembi, nell’ipotesi che:
il rapporto di trasmissione i valga 2
l’interasse a sia pari a 120 mm
l’angolo ψ formato dagli assi valga 70°
109
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110
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Rendimento
Annullando la derivata prima della (6.45) rispetto a β1, tenuto conto che ψ = β1 + β 2 , si trova che, a
parità di ψ, il massimo del rendimento si ha per:
ψ ϕ ψ ϕ ψ
β1 − β 2 = ϕ ; β1 = + ; β2 = − ⇒ β1 ≅ β 2 ≅
2 2 2 2 2
Infatti posto β 2 = ψ − β1 e sostituendo nella (6.45) si ha:
1 − f tan (ψ − β1 ) dη
= (1 − f tan (ψ − β1 ) ) 2
f f
η= → = 0 → (1 + f tan β1 ) 2
1 + f tan β1 d β1 sin (ψ − β1 ) sin β1
Esempio 6.8
Un ingranaggio è costituito da due ruote dentate cilindriche elicoidali montate con assi sghembi.
Sapendo che le eliche delle ruote sono equiverse e pari rispettivamente a 32 e 45°, determinare il
rendimento dell’ingranaggio nell’ipotesi che il grado di finitura delle ruote e il tipo di
lubrificazione siano tali da ritenere adottabile un coefficiente d’attrito, tra le superficie dei denti a
contatto, pari a 0.2.
Il rendimento η della coppia, considerando come motrice la ruota con angolo di inclinazione
dell’elica pari a 32°, vale:
1 − f tan β 2 1 − 0.2 ⋅ tan 45
η= = ≅ 0.71
1 + f tan β1 1 + 0.2 ⋅ tan 32
Il rendimento η della coppia, considerando come motrice la ruota con angolo di inclinazione
dell’elica pari a45°, vale:
1 − f tan β 2 1 − 0.2 ⋅ tan 32
η= = ≅ 0.73
1 + f tan β1 1 + 0.2 ⋅ tan 45
1 − f tan β1
1
Nel caso invece in cui fosse motrice la ruota 2 si otterrebbe: η =
1 − f tan β 2
111
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Le ruote dentate coniche a denti diritti sono ruote in cui le troncature interne ed esterne e le primitive
non appartengono più a delle superficie cilindriche, bensì a delle superficie coniche aventi asse e vertice
in comune. I diametri delle ruote variano da punto a punto e le sezioni dei denti decrescono
avvicinandosi al vertice. Il diametro primitivo, per convenzione, si assume pari al massimo diametro del
cono primitivo. Allo stesso modo il modulo e il passo della dentatura si assumono pari ai loro valori
massimi.
Assegnato l’angolo Σ compreso tra gli assi a e b ed il rapporto di ingranaggio u, i coni primitivi
risultano
112
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definiti dai valori δ1 e δ 2 dei rispettivi angoli di apertura che si deducono dalle seguenti relazioni:
z R sin δ 2 ω1 1
u= 2 = 2 = = = Ω = ω12 + ω22 + 2ω1ω2 cos Σ
z1 R1 sin δ1 ω2 τ
ω1 ω Ω
= 2 =
sin δ 2 sin δ1 sin (π − Σ )
sin Σ τ ⋅ sin Σ
sin δ1 = sin δ 2 = (6.46)
1 + τ 2 + 2τ cos Σ 1 + τ 2 + 2τ cos Σ
Il moto di un ingranaggio conico, come abbiamo visto in precedenza, può essere studiato facendo
riferimento al mutuo rotolamento dei coni primitivi corrispondenti.
Durante tale moto l’unico punto fisso è il vertice V dei due coni: il moto di ciascun punto dei due coni è
pertanto un moto sferico di centro V e su tale sfera vanno riferiti i profili dei denti delle ruote.
Consideriamo una sfera di centro V e due coni di base B1 e B2 non tangenti e avente vertice comune in
V. Le circonferenze cb1 e cb 2 siano le intersezioni di tali coni con la superficie della sfera.
Consideriamo ora un piano π tangente ad ambedue i coni, passante per V e avente come intersezione
con la sfera il cerchio massimo K.
Immaginiamo ora di far ruotare K intorno ad un asse passante per V e perpendicolare a π e che le
circonferenze cb1 e cb 2 siano trascinate in rotazione per attrito e senza scorrimenti relativi.
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Le velocità di rotazione dei due coni ω1 e ω 2 sono in rapporto costante infatti, indicate con δ e ψ le
aperture dei coni primitivi e di base e con Ω la velocità angolare di K, per l’ipotesi di non strisciamento
si ha:
Ω = ω1 sinψ 1 = ω2 sinψ 2 (6.47)
Indicate con δ le aperture dei coni primitivi a contatto, imponendo la medesima velocità dei punti
appartenenti alle generatrici comuni, si ha:
Gli assi dei coni tagliano la sfera nei punti O1 e O2 . Tracciata sulla sfera la congiungente O1O2 , si
individua il punto C come intersezione con la circonferenza K. Il punto C è il centro di istantanea
rotazione sulla sfera.
L’angolo di pressione α è l’angolo compreso tra la tangente n all’arco A1A2 in C e la tangente comune
t’ alle due circonferenze primitive c1 e c2 perpendicolare al piano O1VO2: le due rette n e t’ individuano
il piano tangente alla sfera nel punto C.
Tra l’angolo di pressione α e le aperture dei coni primitivi e fondamentali, considerati i triangoli sferici
rettangoli CA1O1 e CA2O2 e applicando il teorema dei seni, esistono le seguenti relazioni:
sinψ 1 sinψ 2
sin δ1 = sin δ 2 = (6.49)
cos α cos α
I profili dei denti si ottengono, sulla sfera, come traiettorie di un punto appartenente alla circonferenza
K rotolante su una delle circonferenze cb1 o cb 2 : si ha in tal modo un’evolvente che giace sulla sfera e
che perciò viene detta evolvente sferica. Pertanto facendo rotolare K prima su una e poi sull’altra
circonferenza di base si ottengono due superficie coniugate che formano i fianchi dei denti.
E’ evidente che, per quanto detto sopra, lo studio del contatto tra i denti e delle condizioni di
interferenza dovrebbe essere effettuato con riferimento ai profili dei denti giacenti sulla sfera di centro
V. Tale approccio presenta notevoli difficoltà derivanti soprattutto dalla non sviluppabilità della sfera in
un piano.
Si accetta pertanto la cosiddetta approssimazione di Tredgold1 consistente nell’approssimare la sfera S,
per la piccola zona corrispondente all’altezza del dente, con due coni complementari ai due coni
primitivi.
Sviluppando i coni complementari in un piano, come indicato nella figura sotto rappresentata, ci si
riduce alla considerazione di una coppia di ruote piane (ruote fittizie o immaginarie) avente lo stesso
modulo2 dell’ingranaggio conico e raggi primitivi pari rispettivamente a:
R1 R2
R *1 = R *2 = (6.50)
cos δ1 cos δ 2
Dalla definizione di modulo si ricava immediatamente il numero di denti delle ruote immaginarie:
z1 z2
z *1 = z *2 = (6.51)
cos δ1 cos δ 2
1
Thomas Tredgold (1788-1829), nacque a Brandon, presso Durham il 22 Agosto 1788, e all’età di 14 anni venne
assunto come apprendista carpentiere. Fu un autodidatta e fornì un notevole contributo allo studio della resistenza
dei materiale e delle macchine. Morì a Londra il 28 gennaio del 1829. Tra i suoi trattati si ricordano: Elementary
Principles of Carpentry (1820), Practical Treatise on the Strength of Cast Iron and other Metals (1824),
Principles of Warming and Ventilating Public Buildings (1824), Practical Treatise on Railroads and Carriages
(1825) e The Steam Engine (1827).
2
Nello sviluppo il passo, e conseguentemente anche il modulo, si conservano.
114
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z2 cos δ1 1
u* = = (6.52)
z1 cos δ 2 τ *
2 2
1 z1* + 2 z2* + 2
ε= − z1 + − z2 − ( z1 + z2 ) tan α
*2 *2 * *
(6.54)
2π cos α cos α
115
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117
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Le spinte prodotte da ruote coniche a denti diritti si possono calcolare, in prima approssimazione,
facendo riferimento alla sezione media della ruota e alla corrispondente ruota immaginaria di Tredgold.
Esempio 6.8
Una ruota conica a denti diritti di modulo 5 mm e 42 denti, con semiangolo del cono primitivo
pari a 40°, trasmette una potenza di 8 kW alla frequenza di 500 rmp. Determinare gli sforzi
sul dente in presa.
118
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La resistenza sia a flessione secondo Lewis, sia alla pressione degli ingranaggi conici può valutarsi con
le stesse formule usate per gli ingranaggi cilindrici a denti diritti, purché si faccia ora riferimento al
raggio medio e al modulo medio dell’ingranaggio conico e si considerino, in luogo dei numeri di denti
effettivi, i numeri di denti immaginari. Dal modulo minimo medio così ricavato si dovrà
successivamente determinare il modulo unificato della ruota, ossia il modulo valutato in corrispondenza
del diametro primitivo (diametro primitivo massimo).
Posta la lunghezza b del dente pari a:
dp
b≅ξ
2sin δ
Il modulo si ricava, in funzione del modulo medio, con la seguente relazione:
mm
m≅ (6.55)
1− ξ 2
Ricordiamo infine che, nel caso delle ruote coniche il rapporto di fascia λ inserito nella (6.15) e nella
(6.21) dovrà essere sostituito dal rapporto λ * tra la larghezza del dente b e il modulo medio, rapporto
che si determina noti il numero di denti e il rapporto ξ tra la lunghezza del dente b e la lunghezza R
della generatrice del cono primitivo.
b ξz
λ* = = (6.56)
mm 2sin δ ⋅ (1 − ξ 2 )
Esempio 6.9
Si determini il modulo minimo di un pignone conico a denti diritti avente le seguenti caratteristiche:
119
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120
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Geometria
Modulo m=5
Diametro primitivo d = zm = 27 ⋅ 5 = 135 mm
d
Generatrice R R= = 105.01 mm
2sin δ
Addendum ha = 1 ⋅ m = 5 mm
Dedendum h f = 1.2 ⋅ m = 6 mm
Diametro di testa d a = d + 2 ( ha ⋅ cos δ ) = 142.66 mm
Diametro di piede d f = d − 2 ( h f cos δ ) = 116.6 mm
Semiangolo cono esterno δ a = δ + tan −1 ( ha R ) = 42.726
Semiangolo cono interno δ f = δ − tan −1 ( h f R ) = 36.730
Angolo di addendum θ a = tan −1 ( ha R ) = 2.726
Angolo di dedendum θ f = tan −1 ( h f R ) = 3.270
Lunghezza del dente b ≅ 0.3R = 31.503 mm
Raggio immaginario R* = ( d 2 cos δ ) = 88.115 mm
Numero di denti immaginario z* = z / cos δ = 35.2
1 1
=3 = 0.582
0.22 z − 1.15 ( z z ) 0.22 ⋅ 27 − 1.15 ( 27 35.2 )
3 *
Mt 318310
3 =3 = 6.174
ψλ σ amm
*
0.73 ⋅ 7.41 ⋅ 250
Verifica modulo medio 4.25 mm = 4.24 ≥ 0.582 ⋅ 6.74 = 3.6 OK
Sottoponendo a verifica il modulo 4, a cui corrisponde un modulo medio di 3.4 mm, si vede che
tale modulo non è verificato. Pertanto si deduce che il modulo 5 è proprio il modulo minimo
con cui realizzare il pignone.
121
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Calcolo a pressione
473 acciaio/acciaio
K = 385 ghisa/acciaio
335 ghisa/ghisa
Come per il taglio delle ruote dentate cilindriche si può fare riferimento ad una dentiera fittizia da cui
derivare gli utensili, così nel taglio delle ruote dentate coniche ci si può riferire ad una fittizia ruota
piano- conica, cioè ad una ruota conica con angolo del cono primitivo di 180°. In effetti, attualmente,
gran parte delle ruote coniche vengono tagliate con utensili che, tramite la loro forma e il loro
movimento, simulano l’ingranamento della ruota da tagliare con una ruota piano-conica.
Se applichiamo alla ruota piano-conica il procedimento di Tredgold per il tracciamento dei denti, si
vede che questi ultimi saranno analoghi ai denti di una dentiera ossia avranno i fianchi rettilinei.
Quindi, utilizzando una ruota piano-conica con fianchi dei denti rettilinei possiamo realizzare un
metodo, seppure approssimato (il metodo di Tredgold è pur sempre una approssimazione), per la
realizzazione di ruote coniche a denti diritti.
Adesso vediamo di analizzare dove sta l’approssimazione introdotta, in questo caso, dal metodo di
Tredgold e le sue conseguenze.
A differenza da quanto avviene nella cremagliera, le superficie attive della ruota piano-conica non sono
piane. Il profilo effettivo dei denti della ruota piano-conico presenta infatti un punto di flesso in
corrispondenza della primitiva. Pertanto l’adozione di una ruota piano-conica con denti rettilinei indurrà
un errore nella generazione del profilo
122
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In effetti le ruote dentate intagliate con metodi che si riferiscono a ruote piano-coniche con fianchi
diritti non risultano profilate secondo un’evolvente sferica.
In particolare si vede che la linea d’azione non è un arco del cerchio massimo, ma una curva che
presenta un flesso nel punto di tangenza dei cerchi primitivi. Considerando assieme le due linee
d’azione possibili, esse formano una specie di otto, per cui alla linea d’azione delle ruote coniche così
realizzate si dà il nome di ottoide e per estensione si dà lo stesso nome anche al profilo del dente
corrispondente.
Tuttavia le differenze tra un profilo corretto (evolvente sferica) e un profilo approssimato (ottoide) sono
minime e, per numero di denti consueti, ben inferiori delle usuali tolleranze di lavorazione.
Ne consegue che il taglio di ruote dentate coniche a denti diritti con metodi simulanti l’ingranamento
con una ruota piano-conica a fianchi diritti permette di realizzare in modo semplice ed economico
l’utensile (utensile con fianchi diritti ottenuto con il metodo di Tredgold) introducendo degli errori
rispetto al profilo teorico decisamente trascurabili.
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Ingranaggio a vite
L’ingranaggio a vite viene usato quando vi è necessità di trasmettere il moto fra assi ortogonali e con un
elevato rapporto di trasmissione. La vite è sempre l’elemento conduttore e la ruota è sempre l’elemento
condotto (il meccanismo non è normalmente reversibile)
1. Ingranaggio senza gola. Sia la vite, sia la ruota hanno forma cilindrica. Questa soluzione, di
fabbricazione più economica, presenta l’inconveniente che il contatto tra i denti è limitato ad una
zona molto ristretta (teoricamente un solo punto).
2. Ingranaggio a gola semplice (il tipo più usato). La vite conserva la forma cilindrica mentre la
periferia della ruota è concava in modo da abbracciare la vite stabilendo in questo modo una
superficie di contatto più ampia.
3. Ingranaggio a doppia gola (globoidale). Sia la vite, sia la ruota hanno forma concava ottenendo
oltre che un aumento della zona di contatto, anche un aumento del numero di denti
contemporaneamente in presa. Tuttavia sia perché la costruzione dell’ingranaggio risulta alquanto
difficoltosa, e sia perché si ha un maggiore attrito dovuto agli strisciamenti multipli, questa
soluzione viene raramente usata.
126
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Rapporto di trasmissione
La vite di cui si fa uso può essere a uno o più principi cosicché sarà bene distinguere fra passo della
vite pv e passo dell’elica pe. E indicato con zv il numero di principi della vite si ha:
pe = zv pv (6.57)
La vite si comporta cinematicamente come una ruota avente un numero di denti uguali al numero
di principi della vite, pertanto il rapporto di ingranaggio1 u dell’ingranaggio a vite senza fine è
uguale al rapporto tra il numero di denti della ruota z2 e il numero di principi della vite z1
u = z2 z1 (6.58)
Il rapporto di trasmissione ovvero il rapporto tra la velocità di rotazione della vite e della ruota si
determina facilmente uguagliando le velocità del punto di contatto P vite ruota immaginandolo
prima appartenente alla vite e successivamente appartenente alla ruota.
1
Nell’ingranaggio a vite, dato che la vite stessa e sempre motrice, il rapporto di ingranaggio coincide con il
rapporto di trasmissione.
127
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Esempio 6.10
Una riduttore a vite è costituito da una vite a due principi e una ruota da 60 denti. Sapendo
che la vite ruota a 1500 rpm trovare velocità di rotazione dell’albero solidale alla ruota.
Dalla (6.58) si ha immediatamente:
n ⋅ z 1500 ⋅ 2
nr = v v = = 50 rpm
zr 60
Proporzionamento
Dalla figura sopra riportata si vede immediatamente che, per il corretto ingranamento devono
verificarsi le seguenti condizioni:
1. Il passo trasversale della vite pt1 corrisponde al passo assiale della ruota pa 2
2. Il passo assiale della vite pa1 corrisponde al passo trasversale della ruota pt 2
3. I passi normali di vite pn1 e ruota pn 2 sono coincidenti
128
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Indicato con β l’angolo di inclinazione dell’elica, con d il diametro media della vite
(impropriamente detto diametro primitivo) e con z1 il numero di principi della vite, si hanno le
seguenti relazioni:
z ⋅p
ma1 = mn / cos β mt1 = mn / sin β tan β = 1 a1
πd (6.62)
Noti il modulo normale, il numero di principi della vite e l’angolo di inclinazione dell’elica i
diametri medio, di testa e di fondo si calcolano con le seguenti relazioni1:
z1 ⋅ pa1 z ⋅m
d1 = = 1 n d a1 = d1 + 2ha = d + 2mn d f 1 = d1 − 2h f = d1 − 2.5mn (6.63)
π ⋅ tan β sin β
Noto il modulo normale, l’angolo di inclinazione dell’elica e il numero di denti z2 della ruota i
diametri primitivo, di testa e di fondo si calcolano nel modo consueto:
mn
d 2 = mt 2 ⋅ z2 = z2 d a 2 = d 2 + 2ha = d 2 + 2mn d f 2 = d 2 − 2h f = d 2 − 2.5mn
cos β (6.64)
1
In effetti il proporziona mento modulare, come vedremo in seguito, differisce a secondo se l’angolo di
inclinazione β è maggiore o minore di 15°.
129
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La forza Q si determina, al solito, una volta noto il diametro primitivo della ruota e il momento
torcente agente sul proprio asse:
2M tr
Q= (6.68)
d2
130
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131
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Il rendimento si definisce, al solito, come il rapporto tra la potenza uscente misurata sull’albero
della ruota e la potenza entrante misurata sull’albero della vite:
N
ηVR = R
NV
Esprimendo ora le potenze come prodotto delle velocità di rotazione per i rispettivi momenti si
ottiene:
M ω M z
ηVR = R R = R1 1 (6.69)
M V ωV M V z2
Il momento torcente trasmesso dalla ruota vale:
d m ⋅ z2 m ⋅z
MR = Q 2 = Q =Q n 2 (6.70)
2 2 2cos β
Il momento torcente trasmesso dalla vite vale:
d zm z m cos α n tan β + f
MV = A 1 = A 1 n = Q 1 n
2 sin β sin β cos α n − f tan β
Posto cos α n ≅ 1 e ϕ = tan −1 f si ottiene:
z m tan β + f z m tan β + tan ϕ zm
MV = Q 1 n =Q 1 n = Q 1 n tan ( β + ϕ ) (6.71)
sin β 1 − f tan β sin β 1 − tan β tan ϕ sin β
Il calcolo del modulo della coppia si può condurre, tra l’altro, seguendo lo schema semplificato di
seguito proposto.
Ci riferiremo, per semplicità, al solo caso in cui siano assegnate la potenza utile N2 sull’albero della
ruota e le velocità angolari ω1 della vite e ω 2 della ruota.
2. Il numero di denti della ruota si calcola dal rapporto di trasmissione, una volta noto il numero
di principi della vite.
ω1
z2 = z1 (è opportuno che z2 e z1 siano primi fra loro)
ω2
1
La (6.73) può essere ottenuta immediatamente dalla (6.72) una volta che si sostituisca β con ( π/2 – β) ovvero
con l’angolo di inclinazione dell’elica della ruota.
132
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3. Il diametro del nucleo della vite si calcola in base alla presumibile potenza N1 trasmessa dalla
vite.
La potenza N1 si ottiene dividendo N2 per il rendimento della trasmissione che, in prima
approssimazione, può essere stimato in funzione del numero di principi della vite secondo
quanto proposto dalla tabella sotto riportata.
z1 1 2 3 4
η 0.6 0.7 0.78 0.8
N2
N1 =
η
Il diametro del nucleo, per acciai di qualità, può essere normalmente calcolato a torsione
semplice facendo affidamento su di un carico ammissibile tra 12 e 25 MPa a secondo delle
caratteristiche del materiale e soprattutto dalla distanza tra i supporti.
16 M V N1
dn = 3 ≅ 365 3 (6.74)
πτ amm n1 ⋅ τ amm
Urti
Tipo di azionamento
Limitati Sensibili Notevoli
Motore elettrico 1.25 1.50 1.75
Mot. C.I. a più cil. 1.50 1.75 2
Mot. C.I. monocil. 1.75 2 2.25
8. Si fissa il rapporto di fascia λ (rapporto tra la larghezza utile della ruota e il modulo)
z
λ ≅ 2 1+ 1 (6.78)
tan β
9. Si calcola il fattore di forma q2 in funzione del numero di denti della ruota secondo la seguente
relazione:
133
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24
q2 = 1.85 − (6.79)
z2
La formula di progetto del modulo normale della coppia si ricava direttamente, con semplici
passaggi dalla (6.80).
fs ⋅ N2
mn ≥ 182.5 ⋅ cos β 3 (6.81)
n1 ⋅ z1 ⋅ λ ⋅ q2 ⋅ σ amm
11. Una volta determinato il modulo normale dalla (6.81), si procede al dimensionamento della vite
e della ruota secondo quanto di seguito indicato:
134
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a. Dimensionamento vite
b. Dimensionamento ruota
1. Il diametro definitivo d2 risulta:
d 2 = m ⋅ z2
2. Il proporzionamento modulare segue gli stessi criteri visti per la vite (addendum e
dedendum in funzione dell’angolo di inclinazione dell’elica media)
3. La larghezza totale B della ruota si calcola in funzione della larghezza utile b:
z
B = b + 2m = 2m 1 + 1 + 1 (6.85)
tan β
12. Calcolo di verifica. Una volta determinati gli elementi geometrici di vite e ruota, si procede a
determinare con maggiore precisione il rendimento della dentatura, la velocità di strisciamento,
la tensione ammissibile e il rapporto di fascia.
Si procede infine al calcolo di verifica ancora con la (6.81).
Per quanto concerne il calcolo del rendimento della coppia, espresso dalla (6.72), si tenga
presente che il valore dell’angolo d’attrito φ, per buone condizioni di lubrificazione e per
velocità di strisciamento inferiori a 1 m/s può porsi pari a:
135
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Esempio 6.11
In base al rapporto di trasmissione si determina il numero di principi della vite. Con riferimento
alla tabella di cui al punto 1 si stabilisce di a un principio, per cui il numero di denti della ruota
risulta pari a z2 = 36
Si calcola la potenza sull’albero della vite fissando il rendimento in accordo con la tabella di cui al
punto 2.
η ≅ 0.6
Assunta per la vite una tensione ammissibile a torsione pari, in prima approssimazione, a 12 MPa,
il diametro del nucleo dalla (6.74) risulta pari a:
1.3
d n ≅ 365 3 ≅ 18.2 mm
0.6 ⋅ 1450 ⋅ 12
Il diametro primitivo della vite, in accordo con quanto definito al punto 5, si assume pari a:
d1 = 2.5 ⋅ d n ≅ 46 mm
Si adotta, in accordo con la tabella proposta al punto 7, un fattore di sevizio fS pari a 1.25.
136
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Una volta definiti gli elementi geometrici della coppia possiamo procedere ad un calcolo di verifica.
Velocità periferica della vite
d
v = ω1 1 = 3.64 m/s
2
Velocità di strisciamento
v
vS = = 3.67 m/s
cos β
La tensione ammissibile viene rideterminata in base alla nuova velocità di strisciamento
σ amm = 3.5 + 0.5 ⋅ vS = 5.33 MPa
Angolo d’attrito
0.04
tan ϕ = 0.045 + → ϕ ≅ 3.2°
vS
137
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1
Questa verifica ovviamente ha senso solamente quando il rendimento effettivo risulta inferiore a quello stimato
nella fase precedente. Nel nostro esempio avendo stimato, in prima battuta, un rendimento di 0.6 a fronte di un
rendimento definitivo di 0.69 la verifica è del tutto superflua. Abbiamo esplicitato comunque i calcoli a titolo
puramente esemplificativo.
138
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140
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141
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I primi due metodi forniscono un profilo esatto mentre il terzo un taglio approssimato
Taglio al tornio
Il taglio viene effettuato tornio mediante un utensile il cui bordo rettilineo tagliente sia disposto in un
piano tangente il cilindro fondamentale inclinato in tale piano di un angolo pari a βf rispetto alla
traccia di un piano normale all’asse della vite. In tal modo lo spigolo tagliente assume, nel suo moto
elicoidale rispetto alla vite, le successive posizioni della retta generatrice dell’elicoide ad evolvente.
Con questo sistema occorre lavorare separatamente i due fianchi dei filetti.
La vite viene può essere realizzata, a secondo dell’impegno, con acciaio fuso o con acciai al Cr-Ni da
cementazione. La cementazione dovrà essere effettuata dopo il taglio e dovrà essere sempre seguita da
una adeguata operazione di rettifica tura.
La dentatura della ruota viene normalmente realizzata in bronzo fosforoso con durezza superficiale
assai minore di quella della vite, seguendo il principio che uno degli elementi della coppia, il meno
costoso, sia più logorabile dell’altro in modo da evitare scheggiature e rigature che si avrebbero se i
due elementi avessero la stessa durezza. La ruota, ghisa o in acciaio, viene poi opportunamente
collegata alla corona dentata. Tale collegamento può essere realizzato mediante accurato centraggio
e bulloni calibrati, oppure mediante forzamento a caldo oppure, infine, tramite fusione diretta della
corona sulla ruota.
La realizzazione di una coppia vite senza fine – ruota elicoidale è comunque abbastanza complesso: si
pensi ad esempio che, a differenza di quanto accade nel taglio delle ruote cilindriche, la ruota a gola non
può essere realizzata da un creatore di modulo assegnato e diametro qualsiasi, bensì solo da un creatore
di diametro primitivo uguale, o al più molto prossimo, al diametro primitivo della vite.
Ciò comporta che non è facile garantire l’intercambiabilità degli elementi formanti la coppia.
Per questo in genere chi costruisce la vite senza fine deve costruire la ruota elicoidale e viceversa
garantendo e certificando la coniugazione dell’accoppiamento. Inoltre per evitare possibili problemi con
i profili dei denti è consigliabile sostituire sempre la coppa vite senza fine – ruota elicoidale completa
recuperando eventualmente, in tempi successivi e con minore urgenza, il particolare da riutilizzare.
143
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Ruotismi ordinari
Per l’ipotesi di non strisciamento nel punto di contatto delle primitive si ha:
V1 = V2 → ω1 ⋅ r1 = ω2 r2
Esprimendo i raggi primitivi in funzione del modulo e del numero di denti si ottiene:
z ⋅m z ⋅m ω z
ω1 ⋅ r1 = ω2 r2 → ω1 ⋅ 1 = ω2 2 →i ≡ 1 = 2 (6.86)
2 2 ω2 z1
Dalla (6.86) quindi il rapporto di trasmissione può essere espresso semplicemente come rapporto tra i
numeri di denti delle ruote ingrananti.
Nel caso di dentature esterne le velocità di rotazione delle due ruote ingrananti sono opposte e il
rapporto di trasmissione si assume di segno negativo. Nel caso di dentature interne, in cui
evidentemente le velocità di rotazione delle ruote sono concordi, il rapporto di trasmissione si assume di
segno positivo.
Pertanto il rapporto di trasmissione di un ingranaggio, in cui la ruota 1 sia motrice, si assume pari a:
z
i=± 2 (6.87)
z1
Dove il segno negativo vale per ingranaggi esterni e il segno positivo per ingranaggi interni
Un ruotismo il cui valore assoluto del rapporto di trasmissione è maggiore di uno si comporterà come
riduttore di velocità, mentre un ruotismo il cui valore assoluto è minore di uno si compoterà come
moltiplicatore
Ruote oziose
Fissato il modulo e il rapporto di trasmissione può accadere che i raggi delle circonferenze primitive
non siano tali da garantire il rispetto dell’interasse fissato in sede di progetto.
Oppure può accadere che la ruota condotta debba avere lo stesso senso di rotazione della conduttrice.
Si ricorre in questi casi all’uso di una o più ruote oziose, ruote che funzionano contemporaneamente
come conduttrici e condotte.
Le ruote oziose devono ovviamente avere lo stesso modulo delle ruote ingrananti, ma possono avere un
numero qualsiasi di denti, perché esso non influisce sul rapporto di trasmissione.
144
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Esempio 6.12
Il rapporto di trasmissione i del ruotismo è pari, per definizione, al rapporto tra la velocità
angolare della prima ruota del ruotismo (ruota 1) e la velocità angolare dell’ultima ruota del
ruotismo (ruota 3).
Si ha pertanto1:
ω z
i= 1 = 3
ω3 z1
D’altra parte, considerato il ruotismo come costituito da una serie di due ingranaggi, il suo
rapporto di trasmissione può essere determinato come segue:
Rapporto di trasmissione dell’ingranaggio z1-z2
z
i1− 2 = − 2
z1
Rapporto di trasmissione dell’ingranaggio z2-z3
z
i2−3 = − 3
z2
Rapporto di trasmissione del ruotismo
z z z
i = i1− 2 ⋅ i2 −3 = − 2 ⋅ − 3 = 3 (6.88)
z1 z2 z1
Dalla (6.88) si deduce pertanto che il rapporto di trasmissione è indipendente dal numero di denti
della ruota oziosa2.
1
A questo punto non sappiamo tuttavia ancora se il rapporto di trasmissione sia positivo o negativo, ossia non
sappiamo se le velocità di rotazione delle ruote 1 e 3 siano concordi o discordi
2
La ruota oziosa si può a ragione definire come tale, nel senso che serve solo a cambiare il senso di rotazione
dell’albero d’uscita, ma non modifica il valore della coppia o della velocità angolare applicata.
145
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Esempio 6.13
Si determini il rapporto di trasmissione del ruotismo di seguito proposto.
z z z z ⋅z
i = − 2 − 3 − 4 = − 3 5 (6.89)
z1 z2 z5 z1 ⋅ z4
Dalla (6.89) si deduce che il rapporto di trasmissione di un ruotismo si ottiene come rapporto tra
il prodotto del numero di denti delle ruote condotte rispetto a quello delle ruote conduttrici.
Il numero di denti della ruota oziosa, da considerarsi una volta motrice e una volta condotta,
comparendo nella (6.89) sia a numeratore, sia denominatore non influenza il rapporto di
trasmissione del ruotismo.
146
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Esempio 6.14
Di seguito è rappresentato il disegno schematico di un cambio automobilistico a cinque marce con la
quanta marcia in presa diretta (in rosso magenta il numero di denti delle ruote).
55 38
Prima marcia iI ≅ 2.82
20 37
55 35
Seconda marcia iII ≅ 2.24
20 43
55 25
Terza marcia iIII ≅ 1.375
20 50
55 18
Quinta marcia iV ≅ 0.87
20 57
147
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Ruotismi epicicloidali
Si definiscono ruotismi epicicloidali quei ruotismi nei quali uno o più assi assumono un moto di
rivoluzione rispetto ad uno o più assi fissi.
Le ruote solidali con gli assi fissi sono dette planetari (solari)
Le ruote solidali con gli assi mobili sono dette satelliti.
Il telaio che serve a collegare gli assi mobili con gli assi fissi viene detto portatreno.
La prima e l’ultima ruota del ruotismo, percorso nel senso dei successivi concatenamenti delle
dentature, prendono il nome di ruote principali.
Nel seguito analizzeremo in dettaglio la cinematica di uno riduttori epicicloidali più utilizzati e che di
seguito è rappresentato.
148
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Le due ruote satelliti che ingranano con il pignone centrale (solare o planetario) rotolano sulla corona
dentata internamente e muovono la forcella porta satelliti calettata su di un albero che ruota
coassialmente al solare.
In un ruotismo epicloidale semplice, vale la seguente relazione, nota come formula di Willis, che
giustificheremo nelle esemplificazioni seguenti.
ωF − Ω ωF
= =i* (6.90)
ωL − Ω ωL ORD
Dove ω F è la velocità di rotazione del primo elemento del ruotismo, Ω la velocità di rotazione del
portatreno, ω L la velocità di rotazione dell’ultimo elemento del ruotismo ed i * è il rapporto di
trasmissione del ruotismo reso ordinario. Nel seguito esamineremo delle applicazioni della formula di
Willis, relativamente al ruotismo proposto in precedenza, cercando pure di darne una giustificazione
almeno intuitiva.
1. Consideriamo il caso in cui la corona sia mantenuta fissa e valutiamo il rapporto di trasmissione
del ruotismo.
Il centro del satellite O dista dal centro del solare di una quantità pari a:
R + RSO
RP = CO
2
La velocità angolare Ω del portatreno vale pertanto:
V VA RSO
Ω= O = = ωSO
RP RSO + RCO RSO + RCO
Ed esprimendo in funzione del numero di denti si ha:
ω z + zCO 2 ( zSO + zSA )
i = SO = SO = (6.91)
Ω zSO zSO
149
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Se dotassimo il ruotismo di una rotazione uguale e contraria a quella del portatreno, il ruotismo
stesso verrebbe a comportarsi come un ruotismo ordinario con rapporto di trasmissione i * pari a:
z
i* = − CO
zSO
Ma per effetto della rotazione esterna imposta, l’ultima ruota del ruotismo (la corona) assume una
velocità pari a –Ω, mentre la prima ruota del ruotismo (il solare) assume una velocità pari a
ωSO − Ω .
Ricordando la definizione di rapporto di trasmissione si ha pertanto:
ωSO − Ω
=i* (6.92)
−Ω
Da cui con pochi passaggi si ottiene:
ω 2 ( zSO + zSA )
i= 0 =
Ω zSO
La (6.92) è il risultato dell’applicazione della formula di Willis nel caso in cui l’ultima ruota del
ruotismo sia bloccata ( ωCO = 0 ) .
2. Consideriamo lo stesso ruotismo in cui si mantenga fissa la ruota solare, il moto entri dal
portatreno e lo si prelevi dalla corona.
Il rapporto di trasmissione del ruotismo reso ordinario rimane sempre quello calcolato al punto
precedente (il ruotismo fisicamente è immutato).
Dalla formula di Willis, ricordando che in questo caso ω F = 0 , si ha:
−Ω z
= i* = − CO
ωL − Ω zSO
Ω zCO + zSO
=
ωL zCO
Possiamo ottenere lo stesso risultato tracciando, come in precedenza il triangolo delle velocità
del satellite.
150
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ωCO ⋅ RCO VO
VA = ωCO ⋅ RCO VO = VA / 2 = Ω=
2 RP
Ω ωCO ⋅ RCO 1 RCO z + zSO
i= = ⋅ = = CO
ωCO 2 RP ωCO RCO + RSO zCO
Esempio 6.15
ωF − Ω
=i*
ωL − Ω
151
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Affinché il centro O del satellite sia fermo, le velocità dei punti A e B devono essere uguali e
contrarie. Deve pertanto essere verificata la seguente uguaglianza.
ωSO ⋅ RSO = −ωCO ⋅ RCO
Da cui si ha:
R z
ωCO = −ωSO ⋅ SO = −ωSO SO
RCO zCO
Esempio 6.15
Sapendo che la vite ruota a 1500 rpm, determinare la velocità di rotazione dell’albero solidale al
portatreno.
Dati:
Numero principi della vite 1
Numero di denti della ruota a gola 60
Numero di denti del solare 25
Numero di denti della corona1 83
1
I numeri di denti zSO, zSA e zCO, rispettivamente del solare dei satelliti e della corona, affinché sia possibile
disporre gli m satelliti ad una distanza angolare di 2π/m, devono rispettare la seguente imposizione
zCO +z SO = multiplo di m
152
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1500
nRG = = 25 rpm
60
La ruota a gola è solidale con l’albero porta solare la cui velocità vale pertanto:
nSO = nRG = 25 rpm
Esempio 6.16
Con riferimento al ruotismo epicicloidale sotto rappresentato e nell’ipotesi che l’albero S2 sia
mantenuto fisso, determinare:
1. il rapporto di trasmissione tra i due alberi coassiali (S1 motore, A2 condotto);
2. il modulo e il verso della coppia richiesta per mantenere fisso l’albero S2, nell’ipotesi che
sull’albero S1 sia applicata una coppia oraria pari a 300 Nm.
153
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Consideriamo il primo ruotismo epicicloidale (S1 solare, A1 corona, porta treno solidale con A2) e
applichiamo la formula di Willis:
ωS 1 − ω A 2 120
= i* = −
ω A1 − ω A 2 40
Consideriamo ora il secondo ruotismo epicicloidale (S2 solare fisso, A2 corona, A1 portatreno) e
applichiamo la formula di Willis:
ωS 2 − ω A1 100
=−
ω A2 − ω A1 30
Da cui risolvendo il sistema si ottiene:
ωS 1 22
=
ω A2 13
154
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Una più combinazioni di ruotismi epicicloidali vengono utilizzati nei cambi automatici. Di seguito
riportiamo il disegno del cambio automatico in dotazione ad una autovettura (FIAT 130 1970) e la sua
rappresentazione schematica.
155
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Ruota 1 2 3 3’ 4 5
Numero denti 33 20 21 21 81 39
Il cambio automatico consiste di due frizioni ( CA e CB), due freni (BC e BD) e un ruotismo
epicicloidale composto.
Esaminaimo ora le modalità con cui si ottengono i rapporti di trasmissione alle varie marce.
Prima marcia
Frizione CA e freno BD inseriti
Il cinematismo risulta ordinario (il portatreno è bloccato dal freno BD)
Il rapporto di trasmissione vale:
z z z z
iI = − 2 − 3 4 = 4 ≅ 2.45
z1 z2 z3 z1
Retromarcia
Frizione CB e freno BD inseriti
Anche in questo caso il ruotismo risulta ordinario
z z z
iII = − 3 4 = − 4 ≅ 2.08
z5 z3 z5
Seconda marcia
Frizione CA e freno BC inseriti
Il ruotismo è epicicloidale
156
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157
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Esempio 6.17
Lo schema sotto proposto rappresenta un riduttore epicicloidale. Gli alberi A e B sono accoppiati con
due motori autofrenanti, mentre l’abero U è accoppiato all’utilizzatore.
Dati
Motore autofrenante A Potenza 10 kW velocità 800 rpm
Motore autofrenante B Potenza 5 kW velocità 1600 rpm
Numero denti corona 80
Numero denti solare 22
Numero denti satelliti (3) 29
Numero denti pignone di uscita 43
Numero denti ruota finale 85
Determinare, in assenza di ogni fenomeno passivo;
1. i momenti torcenti trasmessi dall’albero U e le corrispondenti frequenze di rotazione;
2. i momenti torcenti assorbiti dai freni dei due motori
158
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43
CUB
C
F = mB = 85
rSO rCO
dove con rSO e rCO si sono indicati rispettivamente i raggi primitivi di solare e corona.
159
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E’ evidente pertanto che il momento assorbito dal freno del motore A, indicato con rSA il raggio
primitivo del satellite, vale:
C z + zSA
C fA = 2 F ( rSO + rSA ) = 2 mB ( rSO + rSA ) = 2CmB SO ≅ 140 Nm
rSO zSO
Allo stesso risultato si può pervenire considerando che la coppia resistente sulla corona vale:
43 80 z
CCOB = CUB = CmB = CmB CO
85 22 zSO
diretta secondo Cm.
La coppia assorbita dal freno del motore A vale:
z z + zSA
C fA = CmB + CCOB = CmB 1 + CO = 2CmB SO
zSO zSO
Allo stesso risultato si può pervenire considerando le forze scambiate tra i denti .
CmA CCOA
F= FCO = C fB = Fr ⋅ rso = F ( rso + rsa ) − FCO ( rso + 2rsa )
rso + rsa rso + 2rsa
C fB = Fr ⋅ rso ≅ ( CmA − CCOA )
160
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Esempio 6.18
Il motore elettrico mette in rotazione il solare A, mentre le corone C ed H sono solidali alla
carcassa. I portatreno sono indipendenti e liberi di ruotare attorno al loro asse comune. La
corona J, tramite una coppia conica trasmette il moto di rotazione delle pale.
zA zB zC zD zE zF zG zH zI zJ
13 56 125 48 117 17 30 77 26 73
Ruotismo A, B, D, E
ωA − Ω ωA z z
= = i2 = − B E
ωE − Ω ωE ORD z A zD
Ruotismo F, G, H
ωF − Ω ωE − Ω ω F z
= = = i3 = − H
ω H − Ω ωH − Ω ωH ORD zF
Ruotismo F, G, I, J
ωF − Ω ω E − Ω ωF z z
= = = i4 = − G J
ωJ − Ω ω J − Ω ωJ ORD zF z I
1
L’utilizzo di un tale dispositivo è giustificato dal fatto che la coppia richiesta per la rotazione dell’elica è molto
elevata e che per ragioni di carattere tecnico-costruttive il motore è di bassa potenza e ruotante a velocità elevata.
161
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Risolvendo si ottiene:
ωJ i −i i4 − i3 17 1
= 2 1 = ≅
ω A i2 (1 − i1 ) i4 (1 − i3 ) 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 73 8116
3
Esempio 6.19
La figura sotto riportata illustra un dispositivo atto ad assicurare la sterzatura di un veicolo cingolato.
Marcia rettilinea
L’albero di sterzata è fisso e con esso rimangono fissi i solari S1 e S2. L’albero di trazione
tramite una coppia conica mette in rotazione le corone C1 e C2.
Applicando la formula di Willis al ruotismo epicicloidale si ha:
ωS 1,2 − Ω ωS 1,2 z ωS 1,2 zS 1,2 + ωC1,2 zC1,2 zC1,2
= = − C1,2 → Ω = = ωC1,2
ωC1,2 − Ω ωC1,2 ORD zS 1,2 zS 1,2 + zC1,2 zS 1,2 + zC1,2
Dove con Ω, ωS e ωC si sono indicate rispettivamente le velocità di rotazione del portareno
(solidale con le ruote) del solare e della corona.
Sterzata
Ruotano l’abero di sterzata e l’albero di trazione. L’albero di sterzata, tramite l’ingranaggio
conico, mette in rotazione le ruote T1 e T2 le quali, a loro volta conferiscono velocità, di verso
opposto, alle ruote solari.
Indicata con ωT la velocità di rotazione dell’albero di sterzata, le velocità di rotazione imposte
ai solari S1 e S2 valgono:
z z z z
ωS1 = −ωT T 1 ωS 2 = ωT − T 2 − U 2 = ωT T 2
z R1 zU 2 z R 2 zR 2
Se, come avviene:
zT 1 zT 2
=
z R1 z R 2
162
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Allora le velocità dei portatreno saranno rispettivamente aumentate e diminuite di una stesso
valore ∆ω , quindi un cingolo sarà più veloce dell’altro e il veicolo sterzerà.
zT 1,2
∆ω = ωT
zR1,2
Aumentando ωT si può arrivare all’annullamento della velocità di un cingolo: in tali condizioni
il veicolo realizza una traiettoria circolare di raggio pari alla sua carreggiata (distanza tra i
cingoli).
Bloccando l’albero di avanzamento e mantenendo per contro sempre attivo l’albero di sterzata,
si ottengono, sui cingoli, velocità uguali ed opposte. In questa condizione di controrotazione dei
cingoli il mezzo può effettuare una piroetta su se stesso (neutral turn) senza descrivere una
curva.
Il differenziale automobilistico
Consideriamo un’auto che percorre un tratto di strada rettilinea alla velocità v. Quando la stessa auto
affronta una curva di raggio R il semiasse esterno ruoterà con una frequenza maggiore del semiasse
interno.
Più precisamente, se in curva si vuole mantenere la stessa velocità v che l’auto aveva nella marcia
rettilinea, indicate con c la carreggiata, con r il raggio delle ruote, le velocità dei centri delle ruote
rispettivamente esterne ed interne devono essere pari a:
R+c 2 R−c 2
ve = v vi = v
R R
E le rispettive velocità angolari dei semiassi esterno ed interno sono pari a:
R+c 2 R−c 2
ωe = v ωi = v
R⋅r R⋅r
Pertanto, indipendentemente dal raggio della curva, la somma delle velocità angolari dei semiassi si
mantiene pari al rapporto tra il doppio della velocità v e il raggio r dello pneumatico.
2v
ωe + ωi = = 2Ω (6.95)
r
163
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Il ruotismo differenziale classico è appunto un ruotismo in grado di garantire il rispetto della (6.95)
Il differenziale a ruote coniche ‘classico’ è costituito da una scatola (portatreno) che riceve il moto
dall’albero motore. Nella scatola solo alloggiati quattro perni, realizzanti una crociera, su cui ruotano
folli quattro satelliti. Ciascun satellite si impegna contemporaneamente con due solari solidali
rispettivamente al proprio semiasse.
164
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Il segno negativo nella (6.96) sta ad indicare che, con portatreno bloccato, le velocità di rotazione dei
semiassi, come si vede immediatamente dallo schema proposto, sono opposte.
Noto il rapporto di trasmissione del ruotismo reso ordinario, applichiamo la formula di Willis al
differenziale in studio indicando al solito con Ω la velocità angolare del portatreno:
ωe − Ω ωe − Ω
=i* → = −1 → ωe + ωi = 2Ω (6.97)
ωi − Ω ωi − Ω
Risulta pertanto dimostrato che il ruotismo proposto (differenziale classico a ruote coniche) è in grado
di garantire, come ipotizzato, il rispetto della (6.95).
Ipotizzando una trasmissione con rendimento unitario, indicati con Mc, Me e Mi rispettivamente i
momenti sulla scatola e sui semiassi, si ha:
M c Ω = M eωe + M iωi
→ Me = Mi (6.98)
M e + M i = M c
Pertanto, in un ruotismo differenziale classico con rendimento unitario, i momenti sui due semiassi si
mantengono sempre uguali. Tenuto presente che un semiasse può scaricare la propria coppia solo se
trova l’opposizione di un adeguato momento resistente, qualora una ruota dovesse perdere aderenza il
rispettivo semiasse non potrebbe scaricare coppia, ma per la (6.98) sarà nulla anche la coppia trasmessa
dall’altro semiasse e la trazione si annullerebbe con conseguenze negative per la stabilità del veicolo e
per la sua movimentazione.1
1
Il problema si risolve o con il bloccaggio selettivo del differenziale o con l’adozione di differenziali con basso
rendimento interno, ovvero differenziali che disperdono una quota di energia non trascurabile quando le velocità
dei due semiassi differiscono in misura notevole.
165
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1. Consideriamo dapprima l’equilibrio del differenziale quando semiassi e portatreno sono fissi.
Per l’equilibrio deve essere:
M rA + M rB + M C = 0 (6.99)
Dove MC è il momento trasmesso dal portatreno ed Mr sono i momenti resistenti ai rispettivi
semiassi.
Quando i tre elementi del differenziale ruotano alla stessa velocità e in condizioni di equilibrio, non si
avranno moti relativi tra di essi fino a che i momenti resistenti sui semiassi sono compresi nei limiti dati
dalle due relazioni precedenti.
M rA1 ≤ M rA ≤ M rA2
(6.102)
M rB1 ≤ M rB ≤ M rB 2
Tenuto presente che i momenti motori sono uguali e contrari ai momenti resistenti, nel moto a regime
del differenziale si riconoscono le seguenti ripartizioni dei momenti.
1. ω A < Ω ω B > Ω
M A1 + M B1 = M C 1 η
→ M A1 = M C M B1 = M C (6.103)
M A1 = η M B1 1+η 1+η
2. ω B < Ω ω A > Ω
M A2 + M B 2 = M C η 1
→ M A2 = M C M B2 = M C (6.104)
M A2 = M B 2 η 1+η 1 +η
3. ω A = ω B = Ω
In questa situazione la ripartizione della coppia è indeterminata. In condizione di regime i
momenti sui due semiassi possono variare tra i limiti:
166
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η 1
M C 1 + η ≤ M B ≤ M C 1 + η
(6.105)
M η ≤ M ≤ M 1
C 1 + η A C
1+η
Nella marcia in curva sul semiasse che comanda la ruota interna, in accordo con le (6.103) si ha un
momento motore:
1
M A = MC
1 +η
Mentre sul semiasse che comanda la ruota esterna, sempre in accordo con le (6.103), si ha un momento
motore:
η
M B = MC
1 +η
I momenti motori sui semiassi, che nel caso ideale (η=1) erano uguali fra loro e pari alla metà del
momento trasmesso dal portatreno, differiscono, nel caso reale ( η ≠ 1 ) nella marcia in curva, della
quantità:
1 −η
M A − M B = MC
1+η
e possono in marcia rettilinea differire al massimo della stessa quantità senza indurre rotazioni relative
tra gli elementi del differenziale.
Un parametro di confronto fra i due differenziali è il rapporto di bloccaggio b (locking factor) definito
come rapporto tra la differenza di coppia tra le due ruote e il momento trasmesso MC :
∆M 1 − η
b= = (6.106)
MC 1+η
Il rapporto di bloccaggio fornisce un’indicazione sulla differenza fra le coppie trasmissibili dalle ruote
dello stesso asse e quindi un grado di indipendenza l’una dall’altra. Un rendimento η elevato produce
un valore basso di b e dunque una forte dipendenza fra le coppie trasmissibili, viceversa con valori bassi
del rendimento. Per un differenziale ordinario con un rendimento η = 0.9 il rapporto di bloccaggio è
b ≅ 0.05 ; ciò significa che nel caso particolare in cui una ruota non possa trasmettere coppia la sua
coniugata è in grado di trasferire al suolo una coppia pari a bMC e quindi pari al 5% della coppia
riversata sull’assale.
167
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Il differenziale frenato
Le (6.98) riscritte, per tener conto dell’azione della frizione e nel caso di un suo slittamento, diventano:
M c Ω = M eωe + M iωi + M o (ωe − Ω )
M c = M e + M i
dove con Mo si è indicato il momento frenante. Tenuto conto della (6.97) si ottiene:
M c Ω = M eωe + M iωi + M o (ωe − Ω ) Mc − M0
M e = 2
M c = M e + M i → (6.107)
M + M0
ω + ωi M = c
Ω = e i 2
2
La (6.107) dice, tra l’altro, che durante la marcia in curva la ruota interna trasmette al terreno una
coppia maggiore di quella trasmessa dalla ruota esterna.
In caso di marcia rettilinea , qualora uno dei due semiassi possa trasmettere a terra una coppia limitata
al valore Mmin l’altro semiasse avrebbe ancora disponibile una coppia pari a M min + M 0 .
In questo caso il momento totale trasmesso alle ruote motrici sarebbe pari a 2M min + M 0 , mentre nel
caso di un differenziale normale tale coppia sarebbe solamente pari a 2M min .
In effetti in questo configurazione il rapporto di bloccaggio, trascurando il rendimento interno del
differenziale, risulta pari a:
M
b= 0
Mc
Nel caso in cui una ruota perda completamente aderenza sull’altra si rende ancora disponibile un
momento pari a M0.
Di seguito viene riportato il diagramma funzionale del differenziale frenato in cui il semiasse B è
collegato alla ruota con scarsa aderenza e il momento massimo trasmissibile dalla frizione M0 è pari al
25% del momento massimo trasmissibile dalla corona del differenziale.
168
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Nel caso in cui la ruota poco aderente (B) non trasmetta alcuno sforzo al suolo, la ruota che conserva
aderenza è in grado di trasmettere al suolo una coppia pari alla coppia massima erogabile dalla frizione
(25% MC) .
Qualora però la ruota poco aderente (B) sia in grado di trasmettere un qualche sforzo traente, il
diagramma fornisce sia la coppia sull’altra ruota, sia lo sforzo totale di trazione. Ad esempio se la ruota
poco aderente fornisce il 10%, la coppia su quella aderente sale al 30% e quindi lo sforzo di trazione
raggiunge il 40%.
Sotto l’azione della coppia applicata la scatola del differenziale (2) porta in rotazione gli spingidisco (3)
e i dischi di frizione conduttori (9). Viene inoltre messo in rotazione tutto il complesso dei satelliti (4) e
dei planetari (5) tramite i perni (6). Assieme ai planetari (5) ruotano i dischi di frizione (8) collegati ai
rispettivi semiassi.
Nella marcia normale i semiassi ricevono una coppia di reazione dovuta allo sforzo di avanzamento
della vettura. I perni (6) premono sui piani inclinati (3) tendendo a divaricarli e quindi a premere tra di
loro i dischi condotti (8) e conduttori (9). Tale pressione è tanto maggiore quanto più elevata è la coppia
di reazione sui semiassi.
1
LSD è l’acronimo di Limited Slip Differential
169
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Se una delle ruote dovesse perdere aderenza, i relativi semiasse planetario tenderebbero a ruotare più
velocemente della scatola del differenziale (2), ma ne sono impediti dalla forza di attrito che si sviluppa
tra i dischi di frizione condotti (8) e conduttori (9).
Il differenziale Torsen è un dispositivo che sfrutta il basso rendimento interno per diversificare le
coppie trasmissibili sui due semiassi. Può essere applicato come differenziale centrale nel collegamento
tra gli assali anteriore e posteriore di una trasmissione integrale (vedi figura sopra riportata) o può
essere applicato nel collegamento tra due ruote motrici.
Gli estremi dei due semiassi sono costituiti da viti senza fine e rappresentano i solari. Vi sono poi tre
coppie di ingranaggi elicoidali che fungono da satelliti. Questi sono collegati con la scatola del
differenziale mediante altrettanti perni e sono costantemente in presa fra loro mediante una coppia di
ingranaggi a denti dritti calettati alle estremità. Quando le due ruote dell’asse sentono la stessa
resistenza all’avanzamento tutti i satelliti ruotano rigidamente attorno all’asse del differenziale e non vi
è strisciamento alcuno tra viti senza fine e ruote elicoidali.
Se la differenza fra le aderenze e dunque fra le coppie resistenti fra le due ruote supera la somma degli
attriti di primo distacco che caratterizzano i componenti del Torsen, i satelliti iniziano a ruotare su se
stessi e dunque ingranano fra loro ed ognuno con la rispettiva vite senza fine.
Proprio il basso rendimento che caratterizza l’accoppiamento vite senza fine e ruota elicoidale è alla
base del funzionamento di questo differenziale.
Ora, con riferimento alla schematizzazione del dispositivo sotto rappresentata, ricaviamo il rendimento
interno del differenziale.
170
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Dalla (6.106) si vede che con i valori di η prima citati si ottiene un rapporto di bloccaggio pari a circa il
66%.
Ciò significa che nella peggiore delle ipotesi per cui risulti MA = 0 l’altra ruota può trasmetter fino al
66% della coppia motrice.
Dalla (6.105) si deduce infine che, nella marcia rettilinea, le rotazioni dei satelliti iniziano quando una
delle coppie resistenti scende sotto il 17% della coppia motrice trasmessa su tutto l’assale.
1
Considerando poi gli attriti di strisciamento prima trascurati (attrito tra perni e cuscinetto, tra gli ingranaggi
cilindrici etc…) si arriva comodamente a rendimenti dell’ordine del 20%.
171
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Come abbiamo visto in precedenza, in un differenziale classico con rendimento unitario, i momenti sui
due semiassi si mantengono sempre uguali.
Soprattutto nella trazione integrale sovente vi è l’esigenza di ripartire la coppia motrice in modo non
simmetrico tra i due semiassi (ad esempio 60% della coppia motrice sul semiasse posteriore e il 40% sul
semiasse anteriore)
Il problema potrebbe risolversi agevolmente adottando un differenziale in cui il rapporto tra i numeri
denti delle ruote solidali agli alberi colleganti i semiassi sia pari a 1.5.
Nella situazione in cui Ω, ωa e ωp assumono lo stesso valore, ovvero in assenza di rotazioni interne, è
facile riconoscere che il rapporto tra i momenti Ma ed Mp resi disponibili rispettivamente al semiasse
anteriore e posteriore vale:
M p zp
= (6.110)
M a za
dove con za e zp si sono indicati i numeri di denti dei solari collegati rispettivamente al semiasse
anteriore e posteriore.
Dalla (6.110), tenuto conto che la somma dei momenti sui solari deve essere pari al momento MC
trasmesso dalla scatola del differenziale si ottiene:
z p za
M p = M C
1 + z p za
(6.111)
M = M 1
p C
1 + z p za
Se za = 40 e zp = 60 e MC = 50 Nm, sui due assali, anteriore e posteriore, verranno rese disponibili
rispettivamente le coppie Ma = 20 Nm e Mp = 30 Nm.
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Esempio 6.20
1. la frequenza di rotazione dei solari (frequenza coincidente con quella dei semiassi ad essi
solidali);
2. la frequenza di rotazione dei satelliti intorno al proprio perno;
3. la frequenza di rotazione della scatola del differenziale;
4. la frequenza di rotazione del pignone in ingresso.
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Indicata con v la velocità dell’autocarro, con R il raggio medio della curva, si ha:
R+c 2 R−c 2
ve = v vi = v
R R
dove ve e vi sono le velocità dei centri rispettivamente della ruota esterna ed interna.
Tenuto presente il rapporto tra i numeri di denti della coppia cilindrica, la frequenza di rotazione
dell’albero intermedio nAI si ottiene da nD :
59
n AI = nD ≅ 1100.35 rpm
14
Tenuto presente il rapporto tra i numeri di denti della coppia conica, la frequenza di rotazione del
pignone conico np si ottiene da nAI :
29
n p = nAI ≅ 2127.34 rpm
15
Si indichino con ue e ui le velocità, in m/s, dei punti medi di contatto tra satellite e rispettivamente solare
esterno ed interno. Siano inoltre m il modulo comune ai solari ed ai satelliti e zso e zsa i numeri di denti
rispettivamente dei solari e dei satelliti. Si ha:
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2π zso ⋅ m 2π z so ⋅ m
ue = ne ui = ni
60 2 60 2
e quindi, vedi fig. sopra
2π zso ⋅ m 2π zso ⋅ m
ne − ni
∆u = 60 2 60 2 = 2π zso m ( n − n )
60 ⋅ 4
e i
2
da cui infine:
2π zso m
( ne − ni ) 60 z ( ne − ni )
nsa = 60 ⋅ 4 = so
zsa m / 2 2π zsa 2
Sostituendo i valori numerici:
2 ⋅ 35
nsa = ( 265.9 − 256.3) ≅ 5.6 rpm
30
Se l’asserzione al punto 2 è vera deve allora essere vera anche la seguente uguaglianza:
u ⋅ 2 60
nD = m
zso m 2π
Difatti:
um ⋅ 2 60 60 2π zso m ne + ni ne + ni
= = = nD
zso m 2π π zso m 60 ⋅ 2 2 2
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Bibliografia
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