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Questo materiale non è altro che una miscellanea di sbobine, appunti e dispense
degli anni passati. Le informazioni contenute non sono state oggetto di revisione da
docenti o esperti.
SEPSI 4
ENDOCARDITI INFETTIVE 15
MENINGITI E INFEZIONI DEL SISTEMA 28
NERVOSO
EPATITI ACUTE E VIRALI 47
MALARIA 69
DENGUE 97
CHAGAS 102
LEISHMANIOSI 107
LEPTOSPIROSI 114
RICKETTSIOSI 120
MALATTIA DI LYME 128
FEBBRE Q 134
BRUCELLOSI 139
LINFOADENOPATIE ACUTE FEBBRILI 144
INFEZIONI IN GRAVIDANZA 150
HIV 157
TUBERCOLOSI 168
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE 187
INFEZIONI ORTOPEDICHE 202
INFEZIONI DI CUTE E TESSUTI MOLLI 207
INFLUENZA 212
INFEZIONI DELLE VIE AEREE SUPERIORI 218
POLMONITI 229
DIARREE 269
TETANO 308
TIFO ADDOMINALE 313
ZIKA VIRUS 322
SCHISTOSOMIASI 327
SIFILIDE 330
VARICELLA 335
PARVOVIRUS 19 337
TOXOPLASMOSI 339
ROSOLIA 342
COLECISTITE ACUTA 343
COLECISTITE CRONICA 349
COLEDOCOLITIASI E COLANGITE 351
STRONGYLOIDES STERCORALIS 355
Malattie
Infettive
Sbobinature
ed
appunti
A
cura
di
Matteo
P.
e
Maximilian
F.
2 / 356
Disclaimer
Questi
appunti
rappresentano
il
lavoro
di
un
vostro
compagno,
basato
su
lezioni,
appunti,
informazioni
trovate
su
libri
e
su
internet.
Non
sono
trattati
tutti
gli
argomenti
del
programma
d’esame
(mi
faceva
fatica),
pertanto
questo
lavoro
non
può
essere
considerato
completo
e,
comunque,
non
sostituisce
in
alcun
modo
lo
studio
personale
e
la
frequenza
alle
lezioni.
Onestamente
mi
fa
anche
ribrezzo
pensare
che,
mettendo
a
disposizione
questi
appunti,
anche
cani
e
porci
potranno
farne
uso,
ma
tant’è.
Attenzione:
Ci
sono
errori?
Avete
voglia
di
scrivere
i
capitoli
mancanti?
Vorreste
aggiungere
qualcosa?
Scriveteci
a
matteo.piccini2@stud.unifi.it
o
maximilian.fischer@stud.unifi.it!
…
Infine,
se
qualcuno
tenta
di
vendervi
questa
roba,
siete
autorizzati
alla
lapidazione.
Questi
appunti
sono
gratis,
e
se
non
ci
guadagno
io
non
vedo
chi
altri
avrebbe
il
diritto
di
farlo.
Eccheccazzo.
2
3 / 356
1.
Sepsi
Il
termine
sepsi
definisce
una
sindrome
clinica
scatenata
da
un
processo
infettivo
e
provocata
da
un’abnorme
risposta
infiammatoria
sistemica
(SIRS),
per
parlare
della
quale
devono
essere
presenti
almeno
due
delle
seguenti
condizioni:
- Febbre
>38°C
o
ipotermia
<36°C
L’ipotermia
è
un
fattore
prognostico
negativo.
- Tachicardia
(>90
bpm)
- Tachipnea
(>20/m
o
pCO2
<32
mmHg)
- Leucocitosi
(>12.000/mm3
o
leucopenia
<4000/mm3
o
forme
immature
<10%)
Anche
la
leucopenia
è
un
indice
prognostico
negativo.
La
sepsi
non
è
una
“semplice”
infezione
del
torrente
circolatorio,
bensì
una
complessa
sindrome
multisistemica
che
nasce
dall’interazione
tra
agente
patogeno
e
sistema
immunitario
dell’ospite,
inteso
come
immunità
innata
ed
immunità
acquisita,
nelle
loro
componenti
umorali
e
cellulari.
La
sepsi
si
caratterizza,
inoltre,
per
un
quadro
clinico
sintomatologico
e
semeiologico
specifico.
Nell’ambito
di
questa
complessa
sindrome
è
possibile
identificare
stadi
successivi
a
severità
progressivamente
crescente,
da
considerarsi
momenti
evolutivi
di
un
unico
processo
fisiopatologico;
la
sepsi
presuppone
inoltre
l’esistenza
di
un
focolaio
primitivo
localizzato
in
un
qualsiasi
punto
dell’organismo
(focolaio
sepsigeno),
a
volte
manifesto,
altre
volte
occulto,
da
cui
microrganismi
e/o
tossine
e/o
mediatori
flogistici
diffondono
nel
torrente
circolatorio.
In
passato
esisteva
molta
confusione
circa
la
terminologia
delle
condizioni
batteriemiche,
finchè
una
Consensus
Conference,
nel
1991,
ha
chiarito
l’aspetto
lessicale:
- Batteriemia
è
la
condizione
in
cui
si
trovino
batteri
vitali
nel
torrente
circolatorio.
(le
sepsi
batteriemiche
sono
sicuramente
il
gruppo
più
numeroso
e
frequente
ma
non
necessariamente
queste
due
condizioni
sono
clinicamente
associate)
- Sepsi
designa
propriamente
la
risposta
infiammatoria
sistemica
che
si
ha
in
corso
di
batteriemia.
- Sepsi
grave
è
quella
condizione
in
cui
la
sepsi
si
associa
ad
una
disfunzione
d’organo,
con
ipoperfusione
tissutale
ed
ipotensione.
- Shock
settico
definisce
uno
stato
di
ipoperfusione
generalizzata
conseguente
ad
un
aumento
non
compensato
della
capacità
del
letto
vascolare
e
all’alterata
distribuzione
della
massa
sanguigna;
riconosce
tipicamente
tre
fasi
distinte
(fase
dello
shock
caldo,
dello
shock
freddo
e
dello
shock
refrattario)
che,
se
non
controllate,
evolvono
inesorabilmente
in
una
MOF
(o
MODS).
- MODS,
cioè
multi-‐organo
disfunction
syndrome,
una
condizione
di
disfunzione
multiorgano
(ARDS,
shock,
insufficienza
renale)
in
pazienti
con
malattia
acuta,
tale
che
l’omeostasi
dell’organismo
non
possa
essere
conservata.
Nel
1991,
inoltre,
è
stato
infine
introdotto
il
termine
SIRS:
systemic
inflammatory
response
syndrome,
che
configura
quindi
una
abnorme
risposta
infiammatoria
sistemica,
non
necessariamente
causata
da
una
batteriemia
(può
infatti
riconoscere
molti
altri
agenti
causali),
contraddistinta
da
almeno
due
delle
condizioni
che
abbiamo
citato
nella
definizione
ma
che
riportiamo
anche
qua
sotto:
4
4 / 356
- Febbre
>38°C
o
ipotermia
<36°C
L’ipotermia
è
un
fattore
prognostico
negativo.
- Tachicardia
(>90
bpm)
- Tachipnea
(>20/m
o
pCO2
<32
mmHg)
- Leucocitosi
(>12.000/mm3
o
leucopenia
<4000/mm3
o
forme
immature
<10%)
Anche
la
leucopenia
è
un
indice
prognostico
negativo.
Questa
immagine
spiega
abbastanza
bene
la
relazione
tra
SIRS,
sepsi,
infezione,
! !
batteriemia
e
altre
condizioni
che
possono
causare
SIRS
con
meccanismo
non
infettivo,
come
ustioni,
pancreatite,
traumi
ed
epatopatie.
Sintomatologia
La
febbre,
associata
a
brivido,
è
un
segno
costante.
Il
momento
in
cui
si
hanno
brividi
è
il
momento
migliore
per
prelevare
il
sangue
per
le
emocolture,
in
quanto
dovrebbe
rappresentare
il
picco
della
batteriemia.
Possono
essere
associati
anche
altri
sintomi,
quali
cefalea,
nausea,
confusione.
L’alterazione
del
sensorio
è
un
segno
tipico
di
SIRS
ed
è
frequente
soprattutto
nei
pazienti
anziani.
Esistono
poi
i
sintomi
da
localizzazione
d’organo:
Febbre,
tachicardia
ed
estremità
calde
sono
segni
presenti
praticamente
nella
totalità
dei
pazienti
settici.
La
comparsa
di
segni
di
localizzazione
d’organo
(es:
tachipnea,
oliguria,
confusione…)
è
spia
dell’aggravarsi
della
condizione,
che
sta
progredendo
verso
un
quadro
di
lesioni
organiche
(da
ipossia
e
accumulo
di
cataboliti)
ed
infine
5
5 / 356
insufficienza
multiorgano.
I
determinanti
del
danno
tissutale
sono
principalmente
l’ipossia
tissutale,
la
conseguente
acidosi,
il
ridotto
apporto
di
substrati
energetici
e
la
mancata
rimozione
di
cataboliti
tossici.
Ogni
organo
darà
luogo
a
manifestazioni
specifiche,
cui
sono
associati
reperti
anatomopatologici
altrettanto
caratteristici:
Epidemiologia
La
letalità
delle
sepsi,
invece,
è
notevolmente
diminuita
rispetto
a
30
anni
fa,
pur
essendo
ancora
importante:
questo,
perché
disponiamo
oggi
di
antibiotici
e
antinfiammatori
più
potenti,
nonché
di
terapie
di
supporto
più
avanzate
ed
efficaci.
I
pazienti
ricoverati
in
terapia
intensiva,
di
sesso
maschile
e
di
età
avanzata
sono
i
più
a
rischio
di
fare
una
sepsi,
in
assoluto.
La
presenza
di
cateteri
venosi
deve
far
sospettare
una
sepsi
a
partenza
primaria
dal
torrente
circolatorio,
mentre
un
catetere
urinario
può
essere
veicolo
di
patogeni
che
causano
sepsi
a
partenza
urinaria.
I
cateteri
vascolari
sono
di
gran
lunga
il
più
importante
fattore
di
rischio
per
lo
sviluppo
di
sepsi
nei
pazienti
nosocomiali.
Per
i
cateteri
vascolari,
il
rischio
aumenta
se
il
catetere
è
inserito
in
un
vaso
femorale
o
in
giugulare.
Anche
il
tipo
di
catetere
impiegato
e
la
durata
della
cateterizzazione
sono
fattori
di
cui
tenere
conto.
I
port
che
si
usano
in
ambito
oncoematologico,
tra
i
cateteri
a
lungo
termine,
sono
quelli
che
presentano
il
rischio
infettivo
più
contenuto.
Patogenesi
Le
molecole
associate
ai
patogeni
(anche
dette
PAMPs
–
pathogen
associated
molecular
profiles)
giocano
un
ruolo
essenziale
nella
patogenesi
della
sepsi
e
dello
shock
settico:
infatti,
essi
possono
essere
riconosciuti
da
speciali
recettori
situati
sulle
cellule
dell’immunità
innata:
per
esempio,
possono
essere
attivati
i
Toll-‐like
Receptors
delle
cellule
mononucleate
ed
endoteliali.
Questo
evento
porta
all’avvio
di
un
processo
flogistico
acuto
generalizzato
(SIRS),
in
cui
le
citochine
infiammatorie
giocano
un
ruolo
centrale.
In
particolare
è
da
ricordare
il
ruolo
di
IL-‐1,
TNFα,
IL-‐6
e
IL-‐8.
6
6 / 356
Il
TNFα
viene
rilasciato
principalmente
dai
macrofagi,
in
questo
caso
attivati
dai
PAMPs,
ed
esercita
a
livello
sistemico
importanti
azioni
che
spiegano
molte
delle
alterazioni
che
!
si
osservano
in
corso
di
sepsi:
!
1) Febbre
–
TNF
e
IL-‐1
sono
sinergici
nello
stimolare
cellule
dell’ipotalamo
alla
produzione
di
prostaglandine.
Queste
molecole
sono
in
grado
di
spostare
il
set-‐
point
della
termoregolazione
nell’ipotalamo.
Gli
inibitori
delle
COX
hanno
effetto
antipiretico
perché
inibiscono
la
biosintesi
di
queste
sostanze
contrastando
l’azione
del
TNF
e
dell’IL-‐1.
7
7 / 356
formavano
dei
trombi
nella
circolazione
della
massa
tumorale
che
quindi
presentava
zone
necrotiche:
da
qui
il
nome
di
tumour
necrosis
factor.
Alla
luce
di
queste
considerazioni
possiamo
ben
capire
la
patogenesi
dello
shock
settico.
Lo
shock
settico
è
la
condizione
verso
la
quale
tende,
fatalmente,
qualsiasi
condizione
di
shock
(emorragico,
ostruttivo,
cardiogeno,
neurogeno
ecc…),
e
la
ragione
è
piuttosto
banale:
talmente
banale
da
essere
alla
fine
sconvolgentemente
letale.
Nelle
fasi
avanzate
dello
shock
si
producono
delle
vere
e
proprie
ulcerazioni
nelle
mucose,
in
particolare
in
quella
intestinale.
Questo
permette
l’entrata
nel
circolo
sanguigno
del
più
letale
cavallo
di
troia
contenuto
all’interno
del
nostro
organismo:
una
schiera
infinita
di
batteri
gram
negativi
che
fino
a
pochi
minuti
prima
erano
i
nostri
alleati
irrinunciabili
nella
digestione…!
La
quantità
di
LPS
che
entra
in
circolo
è
esorbitante,
così
come
è
esorbitante
la
quantità
di
TNF
che
si
libera.
Il
risultato
lo
conosciamo
bene,
si
tratta
solo
di
guardarlo
da
un
altro
punto
di
vista:
! !
Un
altro
attore
importante
è
il
monossido
di
azoto.
I
macrofagi
attivati
e
le
cellule
endoteliali
producono
enormi
quantità
di
NO:
se
pensiamo
che
la
sepsi
è
una
condizione
8
8 / 356
infiammatoria
sistemica,
possiamo
immaginare
l’entità
della
produzione
di
monossido
d’azoto
in
questa
situazione:
in
effetti,
oggi
si
ritiene
che
le
elevatissime
quantità
di
monossido
d’azoto
che
si
ritrovano
in
corso
di
sepsi
siano
importanti
nel
determinismo
della
grave
ipotensione
che
si
ha
in
questa
condizione.
Quali
sono
le
sostanze
batteriche
che
causano
l’attivazione
della
risposta
infiammatoria,
cioè
i
PAMPs?
Diagnosi
Di
fronte
ad
un
paziente
che
matcha
i
criteri
per
la
SIRS,
è
importante
stabilire
se
si
tratti
di
una
SIRS
infettiva
o
meno.
Esistono
indagini
che
ci
possono
orientare:
9
9 / 356
L’oliguria
e
l’anuria
sono
segni
di
progressione
verso
lo
shock.
-‐ Funzionalità
epatica
Indici
di
citolisi:
AST,
ALT,
LDH,
bilirubina
-
Albumina
Tende
a
decrescere
-
Glicemia
La
glicemia
tende
a
calare,
poiché
inizialmente
il
TNFα
induce
una
massiva
utilizzazione
di
glucosio
da
parte
del
tessuto
muscolare;
in
un
secondo
momento,
però,
esaurito
il
glucosio,
si
va
incontro
ad
ipoglicemia,
in
quanto
risulta
essere
inibita
l’attiva
gluconeogenetica
a
livello
epatico.
Inoltre,
essendo
inibita
l’attività
lipolitica
periferica,
sempre
ad
opera
del
TNFα,
si
assisterà
all’inizio
del
breakdown
muscolare,
che
potrà
anche
dare
origine
a
quadri
di
chetosi.
-
Acidosi
Ovviamente,
in
condizioni
di
ipossia
tissutale
si
avrà
accumulo
di
lattato:
la
lattacidemia
è
un
parametro
importante,
e
livelli
elevati
sono
prognosticamente
sfavorevoli.
-
EGA
Inizialmente
si
avrà
alcalosi
respiratoria
a
causa
della
tachipnea.
Con
l’avanzare
della
situazione,
si
instaura
invece
acidosi
metabolica.
Emocolture
10
10 / 356
Eziologia
Il
setting
clinico
in
cui
si
verifica
la
sepsi
è
spesso
predittivo
dell’agente
eziologico.
Per
esempio,
pazienti
con
ferite
chirurgiche
pulite,
CVC,
protesi,
tossicodipendenti
e
neutropenici,
splenectomizzati,
quasi
sempre
fanno
sepsi
da
Stafilococchi
(aureus,
epidermidis,
coagulasi
negativi).
I
pazienti
in
cui
la
sepsi
è
il
risultato
di
un’infezione
!"#$%$&#'()*+(,-%%-(#./-"#$.#(
urinaria
o
del
posizionamento
di
un
catetere
vescicale,
si
ha
spesso
l’eziologia
da
E.
coli
(o
comunque
Enterobacteriaceae)
ed
Enterococci.
Nei
pazienti
che
fanno
sepsi
in
un
contesto
nosocomiale,
e
nei
pazienti
immunodepressi,
sono
comuni
le
sepsi
da
bacilli
&0'1#(,-%(2$00-.2-(3#03$%'2$0#$
gram
negativi,
stafilococco
aureo
e
miceti.
"#$%%!&'!($)!*+,!-../)!0!123-45!20678/
intravascolari
ed
esposti
alla
tipica
flora
nosocomiale,
le
infezioni
da
S.
aureus
MRSA,
! !
Pseudomonas
e
bacilli
gram
negativi
sono
molto
più
frequenti
rispetto
a
quanto
si
veda
nei
pazienti
domiciliari.
Nei
pazienti
domiciliari,
invece,
prevale
l’eziologia
da
S.
pneumoniae
(polmoniti,
meningiti,
sinusiti,
otiti
medie),
anaerobi
(diabetici),
MSSA
ed
E.
coli
(infezioni
urinarie).
Chiaramente,
nel
paziente
domiciliare
gli
stafilococchi
sono
quasi
sempre
meticillino-‐sensibili.
Inoltre,
nei
pazienti
nosocomiali,
la
durata
della
!"#$%$&#'()(%)*'%#*+(,)%%'(-).-#(
degenza
correla
con
il
tipo
di
patogeno
responsabile
della
sepsi:
se
un
paziente
ricoverato
fa
una
sepsi
nei
primi
giorni
di
degenza,
si
tratta
quasi
sempre
di
uno
/$-$0$1#'%)
stafilococco
o
di
un
E.
coli.
Andando
avanti
con
la
degenza,
invece,
aumenta
l’incidenza
delle
sepsi
da
gram
negativi
difficili
e
da
miceti.
Terapia
Terapia antibiotica
Quando
il
laboratorio
ci
fornisce
la
diagnosi
eziologica
precisa,
possiamo
attuare
una
de-
escalation
therapy:
ovvero,
si
passa
ad
antibiotici
a
spettro
meno
ampio,
magari
anche
meno
costosi,
per
evitare
di
sprecare
antibiotici
a
largo
spettro
che
a
questo
punto
non
sono
più
necessari.
Un
esempio
operativo:
abbiamo
un
paziente
con
sepsi
a
partenza
cutanea.
Iniziamo
una
terapia
con
ceftriaxone
e
clindamicina
(che
si
concentra
molto
bene
nella
cute).
Arriva
la
risposta
delle
emocolture,
che
riporta
la
presenza
di
streptococchi
penicillino-‐sensibili.
A
questo
punto
possiamo
tranquillamente
passare
!"#$"%&'%()'("%#$*'$($+"','-"'.$(
all’amoxicillina-‐clavulanico,
oppure
addirittura
alla
semplice
penicillina
G
in
infusione
continua.
%/*'#'.$
!"#"$%&'&()*+,(-".&/0 1$%&'&()*+,(-".&/0
"#$%&'(&)!*+*,*)-%!).!)/$*#! "#$%&'(&)!*+*,*)-%!)!0$%''&#!
0$%''&# &*0'&%''#
! !
1*.(,*#+%!*+!2)0%!)*!.)'*!.*! ;--)&6)/%+'#!*+!2)0%!)--)!
-)2#&)'#&*# &*0$#0')!9-*+*9)
345*6-*#&%!$+#0* 345*+#&%!$&%00*#+%!0%-%''*<)
745*+#&*!/#.*8*9:%!$%&! 745*+#&*!9#0'*
8)--*/%+'#!9-*+*9#
! !
12
12 / 356
Per
la
terapia
empirica
della
sepsi
ad
acquisizione
domiciliare,
in
genere
causata
da
Streptococchi
e
Stafilococchi
penicillino-‐sensibili,
o
al
massimo
da
un
E.
coli,
può
andare
benissimo
una
monoterapia
con
una
penicillina
protetta
(oltretutto
attiva
anche
contro
anaerobi
ed
enterococchi),
oppure
una
cefalosporina
di
terza
generazione.
In
soggetti
allergici
!"#$%$&#$'&#()*+$*,(-+$)$'*
ai
β-‐lattamici,
possiamo
impiegare
un
fluorochinolone.
Da
valutare,
semmai
l’aggiunta
.(//*,0(+0$,.&-$'$/$*)(
di
un
aminoglucoside
per
coprire
meglio
i
gram
negativi.
>!?0%$+1'<&+4%5#
! !
Diverso
è
il
discorso
per
la
sepsi
ad
acquisizione
nosocomiale,
in
cui
sono
implicati
patogeni
difficili
e
multiresistenti.
Dobbiamo
coprire,
quindi,
Pseudomonas,
gram
negativi
difficili
e
stafilococchi,
in
particolare
gli
MRSA.
Utilizzeremo
quindi
piperacillina
(o,
in
pazienti
allergici,
un
fluorochinolone
di
seconda
generazione),
più
un
aminoglucoside
per
fare
sinergia,
più
un
glicopeptide
(o
daptomicina
o
linezolid).
In
!"#$%$&#$'&#()*+$*,(-+$)$'*
alternativa,
possiamo
sostituire
la
piperacillina
e
l’aminoglucoside
con
un
.(//*,0(+0$,"&0&'&-$*/(
carbepenemico,
sempre
però
in
associazione
al
glicopeptide.
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()!%$$1.2(,(!%$$1!31&%#$%&&%'()14
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5!2$(,+-1-&(81!*+!8%-&+'(,()%!+!$()1:+$(84
! !
Resistenze
Le
resistenze
sono
oggi
un
problema
importantissimo,
all’ordine
del
giorno
nella
sepsi
nosocomiale,
ma
purtroppo
in
evidente
espansione
anche
in
comunità.
Tradizionalmente,
i
gram
negativi
sono
produttori
di
β-‐lattamasi:
le
enterobacteriaceae
mostrano
sempre
più
frequentemente
resistenze
alle
β-‐lattamine
mediate
dall’acquisizione
di
β-‐lattamasi
ESBL
(a
spettro
espanso).
Gli
E.
coli
ESBL,
per
esempio,
sono
sensibili
solamente
ai
carbapenemici,
ma
purtroppo
si
comincia
ad
avere
notizia
anche
di
patogeni
in
grado
di
produrre
carbapenemasi.
Gli
stafilococchi
mostrano
sempre
più
spesso
il
fenomeno
della
meticillino
resistenza;
oggi,
però,
anche
negli
stafilococchi
si
comincia
ad
osservare
la
vancomicino-‐
resistenza,che
può
essere
mediata
sia
dall’acquisizione
di
plasmidi
VanA
da
enterococchi,
sia
dall’aumento
dell’espression
del
dimero
D-‐alaninico
(resistenza
intermedia,
VISA).
13
13 / 356
Gli
enterococchi
sono
sempre
più
spesso
vancomicino-‐resistenti
ad
alto
grado
(vanA)
e,
purtroppo,
anche
resistenti
agli
aminoglucosidi,
fatto
che
vanifica
le
classiche
associazioni
terapeutiche
che
si
usano
nelle
gravi
infezioni
enterococciche
(es:
ampicillina
+
aminoglucoside
+
vancomicina).
Se
i
pazienti
evolvono
verso
una
sepsi
grave
o
uno
shock
settico,
in
genere
si
cerca
di
rimuovere
il
catetere.
Altre
indicazioni
alla
rimozione
sono:
tromboflebite
o
arrossamento
nel
sito
di
inserimento;
presenza
di
microrganismi
particolarmente
virulenti
o
difficili
da
eradicare.
!"#$%&$'(&')*%%+#,+'("--$')"%)&'.#$/"
Terapia
di
supporto
"#$%&'()* ! 3(89:#;($#)!4&-3($.&84$'&-)
! 3(89:#;($#)!3(!&',-(!$-1&#(!)!8(8,)%(
! (6$,)#8($#)
! (6$6)-9:8($#)!,(88:,&')
+#,)-.)#,(* ! %$#(,$-&11($!/<=>?!<"?!8@A7
/)&-'0!1$&'2 ! )86($#)!.$':%)!4(-4$'&#,)!
3(-)4,)3! /4-(8,&''$(3(?!4$''$(3(7
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C)''(#1)-!),!&'?!>-(,!>&-)!D)3!AEEF?!GH*!AIH2GAJ
! ,$)*%#"))*#&-'.&/0&*#$#"'&0'+*1*'($)2*0$#"
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" :$#.$2*' 7&' )2"0+$-' 7*%$.&1$ '*' 1*#$7#"1$0&1$'
8$0251&'%#"4"#&)2*1*'1*#$7#"1$0&1$9
" ;7#"1$0&1$' "' ($)*%#"))&1$-' $0' .*."1+*' 7$'
2*1)&7"#$#"')*0*'1"00*')<*2='#"4#$++$#&*
" >*?5+$.&1$-'&1'2$)*'7&'7&)4516&*1"'.&*2$#7&2$'
"'?$))*'*5+%5+'2$#7&$2*
Per
quanto
riguarda
l’uso
degli
steroidi,
una
metanalisi
ha
evidenziato
come
essi
peggiorino
l’outcome
nei
pazienti
meno
gravi,
e
come
invece
siano
benefici
nei
pazienti
! >"00&1/"#'"+'$0@'A#&+'A$#"'B"7'CDDE@'FG-'CHGIFCJ
con
! sepsi
grave
e,
soprattutto,
shock
settico.
In
quest’ultimo
caso,
sembra
particolarmente
indicata
la
somministrazone
di
steroidi
a
basse
dosi.
In
tutti
gli
altri
casi,
il
gioco
non
vale
la
candela.
14
14 / 356
2.
Endocarditi
infettive
Insieme
di
condizioni
clinico-‐patologiche
caratterizzate
da
un
interessamento
flogistico
dell’endocardio.
E’
possibile
suddividere
le
varie
forme,
da
un
punto
di
vista
ezio-‐
patogenetico,
in
due
categorie
principali:
Endocarditi
Infettive
e
Endocardite
Non
Infettive.
Le
forme
non
infettive
sono
decisamente
più
rare
e
sono
caratterizzate,
per
definizione,
da
emocolture
negative
e
vegetazioni
endocardiche
sterili;
l’endocardite
marantica,
associata
alla
presenza
di
tumori
maligni,
e
la
Sindrome
di
Liebmann-‐Sacks,
manifestazione
endocardica
del
LES,
sono
i
due
esempi
più
eclatanti
di
questa
categoria.
Tuttavia,
quando
parliamo
di
endocarditi,
il
riferimento
è
in
genere
alle
forme
infettive,
di
gran
lunga
più
frequenti.
Le
endocarditi
infettive,
per
definizione,
rappresentano
stati
infettivi
delle
strutture
cardiache,
ovvero
sia
delle
componenti
biologiche
esposte
all’interno
delle
camere
cardiache
sia
degli
eventuali
dispositivi
di
natura
artificiale
ivi
inseriti/impiantati
(ad
esempio
pacemaker,
cateteri,
ecc).
Il
processo
infettivo
è
in
genere
localizzato
sulle
superfici
valvolari
(N.B:
l’agente
patogeno
si
localizza
più
frequentemente
dal
lato
della
cavità
a
minor
pressione),
ma
possono
essere
interessati
anche
difetti
settali,
corde
tendinee
e
endocardio
murale.
La
tipica
lesione
endocarditica,
dal
punto
di
vista
anatomo-‐patologico,
è
rappresentata
dalla
vegetazione
endocardica,
che
può
essere
fissa
o
mobile,
e
che
può
raggiungere
dimensioni
notevoli,
fino
anche
ad
occludere
completamente
un
ostio
valvolare
determinando
un
gravissimo
quadro
di
stenosi
valvolare
acuta.
Le
vegetazioni
sono
inoltre
substrato
fertile
per
la
formazione
di
trombi
intracavitari
e
per
la
generazione
di
emboli
settici
(cioè,
contenenti
anche
batteri)
che
possono
impegnarsi
nel
circolo
sistemico
determinando
fenomeni
ischemici
(es:
stroke)
o
anche
infettivi:
ascessi
splenici,
ascessi
polmonari,
aneurismi
micotici,
soprattutto
a
carico
del
circolo
cerebrale.
Classificazione
-‐ Acute
-‐ Subacute
-‐ Croniche
15
15 / 356
Eziologia
16
16 / 356
I
possibili
patogeni
si
associano
anche
ai
vari
tipi
di
decorso:
Streptococchi
Gli
streptococchi
erano
tradizionalmente
i
principali
patogeni
alla
base
delle
endocarditi
infettive.
Molto
frequentemente
implicati
erano
quelli
che
popolano
la
cavità
orale,
e
che
possono
dare
batteriemia
in
corso
di
procedure
dentistiche,
ritenute
classicamente
alla
base
delle
endocarditi
streptococciche.
Questi
streptococchi
sono:
S.
mutans,
S.
viridans,
S.
salivarius,
S.
mitis.
Sono
generalmente
sensibili
alla
penicillina
G
e
la
terapia
può
essere
di
breve
durata.
Tradizionalmente
si
raccomandava
la
profilassi
antibiotica
in
caso
di
procedure
dentistiche:
oggi
sappiamo
che
anche
azioni
banali
e
quotidiane,
come
la
masticazione
di
una
caramella
dura,
possono
causare
una
batteriemia
transitoria,
pertanto
si
sono
ampiamente
riviste
le
linee
guida
relative
alla
profilassi
delle
endocarditi
infettive,
limitando
l’indicazione
a
soggetti
a
rischio.
Gli
streptococchi
davano
endocarditi
con
il
corteo
sintomatologico
classico,
comprendente
anche
splenomegalia
e
noduli
cutanei
di
Osler,
tutti
segni
da
microembolizzazione
settica.
-‐ S.
milleri
e
S.
anginosus:
questi
due
streptococchi
pososno
diffondere
per
via
ematogena
e
richiedono
terapia
protratta.
-‐ S.
abiotrphya
e
S.
granulicatella:
sono
in
genere
scarsamente
sensibili
alla
penicillina
G.
Enterococchi
Rappresentano
un
vero
problema
a
causa
della
sempre
più
frequente
resistenza
alla
vancomicina,
generalmente
causata
dalla
presenza
di
plasmidi
codificanti
per
operoni
denominati
VanA,
B,
C,
D
ed
E.
I
VanA
sono
resistenti
ad
alto
grado
e
neppure
la
teicoplanina
è
in
grado
di
ucciderli.
I principali enterococchi patogeni sono: E. faecium, E. faecalis, E. durans.
Stafilococchi
Oggi
gli
stafilococchi
sono
i
principali
responsabili
delle
endocarditi
infettive
(31%
nelle
casistiche
europee,
42%
in
quelle
americane).
Nelle
infezioni
su
protesi
valvolare
tendono
a
prevalere
gli
S.
aureus,
mentre
sui
device
cardiaci
troviamo
principalmente
i
coagulasi
negativi.
Sono
molto
spesso
meticillino-‐resistenti,
soprattutto
nel
caso
delle
endocarditi
nosocomiali.
Ricordiamo
che
lo
S.Aureus
può
colpire
direttamente
valvola
sana
diversamente
dagli
altri
agenti
patogeni
che
necessitano
particolari
condizioni
favorenti
l’infezione,
tra
cui
un
danno
endoteliale.
Miceti
17
17 / 356
!"#$%&#'(')#*+$%((,%-$'.*/$#0%+#-1%00#2*
Epidemiologia
! !
! "#$!%&'()!'&(!*)+(&,#(-!./0/1!),,(!234!.5065!),,(!
'&778&9)!*9&),#(:(;#(<)=
! >,<('&,+)!),,?)7&!%&'()-!.@/AB55C555
"DEAB55C555!*&9!&#$!DE5!),,(
"FBEAB55C555!*&9!&#$!F/E!),,(
! G)**;9#;!%)4<H(AI&%%(,&-!JK-B
! L&#)7(#$!;4*&')7(&9)!%&'()-!B/M
! "4(4#;,;! <)#&N;9(&! )! 9(4<H(;@! !"# $%!&!' !!
#;44(<;'(*&,'&,#(! &C3C! &! 4;NN&##(! O>P0*;4(#(3(!
,;,<HQ!*)+(&,#(!<;,!*9;#&4(!3)73;7)9(
!"##$%&'(&'%&)*+&$'(,--.,/($*"%(&#,'
R;9&(77;,!S!T?&@!L),<&#!K556@!./.-!B.1061
Si
riconoscono
fattori
di
rischio
nell’insorgenza
delle
endocarditi:
! !
!"#$%&'(#)&#!*'+,-+&)#
!"#$%&'(#)&#!$-./#)&*#
!0+1.22&*&-+3#! /&)$#4&*#! %#! ($'4#11'! '!
%-,-+-$#3&'+-!1-+&4-
!5)-+'1&!#'$)&*#!#)-$'1*4-$')&*#
!6$'&+'/#+&#! 789:;! )$&*.1(&%-<! /&*-)&=!
!"#$%&'()*+#>
!?&1&! 7-/'%&1&! 8! %&1&! (-$&)'+-#4-<!
,"#&%$&+!89:;>
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!A0BC('1&)&D&)E! *'+! "?FG! HI::! 7-#%.*)$//#=!
,#/0*)$//#=!1(+.$%(#>
! !
18
18 / 356
Patogenesi
I
soggetti
di
età
superiore
a
65
anni
hanno
un
rischio
relativo
di
sviluppare
endocardite
infettiva
nove
volte
superiore
a
quello
di
individui
giovani.
Le
endocarditi
infettive,
inoltre,
sono
più
frequenti
negli
uomini,
forse
perché
negli
uomini
si
trova
più
spesso
l’aorta
bicuspide,
condizione
predisponente.
!"#$%&'(&)'*+,--).."'*)&'/,00)1&
5+,6(,+!+(1*+
8'2097')%
5+,60,(7+*'+
!4'*1+,'2+!1%04+*'2+
! !
2. Manovre
ed
eventi
che
determinino
una
batteriemia
transitoria
Qui
abbiamo
cure
odontoiatriche
(anche
una
semplice
pulizia
dei
denti),
procedure
5&1361."'1%6"40(%71%8"//(&1(91"
endovascolari,
endoscopiche,
urologiche.
6$*1(*"#-*'(#3,.')*'7#%%.$*./*#
" !"#$% $&"'()% *+,#! ! $%&'($)%$! *'%+,-$'.! /,%)0-'! " !""#$#%&' (#$)*&+#,(&-#$.#! $%&'&'()! *'+,-)! '!
)*)%+)1+)/,+)2)3$45'.! $%+67,($)%'! )-)+-,45',2'.! %(&'(),-).! /%$'0%1'(! &'0/,(%+')! '! 2'3)+)&)*).!
$%&'($)%$!)+)$,+-$45' %+4),4(%3)'.! 2)-/,-)&)*)! 0'$$%+)$)! 2)! %--)-&'+5%!
" -.."&"/$% &(0.1&"/$&1$#! 7-)%4)14)8$'.! *$18)1$+$0$! $)($,6%&,()
/'44,%$4$!*$!,11$1+'%(,!-'18$-,+)-$, " !""#$#%&'-&(&/&%&$.#!!)+3'5),+)!,--''.!)+3'5),+)!
" -.."&"/$% 2"0/&$13/(0/13"'(#! '1)&,3)9 %(&)$,6%()
3,1+-)*6)*'%)14)8$,.! 4)2)%14)8$,.! ,2$/'%+,($)%$! " 01%.$+.1%*' (2*$3$4*(*#! ! $%(2),$7)(8(4)$)! '!
8,-'%+'-,2$ *%-$,6%().! 8(,4'+)&%6).! ,(,94%-&(,'+&'(,6,4)$).!
" -.."&"/$% 2(31/$4&13"&1$#! 4$1+)14)8$,.! $7)(8(4)%!/6%-&)$%
4,+'+'-$1/)! 6-'+-,2'! '! 0'14$4,2'.! 6-'+-)+)/$,.! " 5.$#"*.' *//31&,&""$.,,*+.#!! *)(86'+&%5),+'! 2)!
8-)1+,+'4+)/$,.!'/)*$,2$1$.!,7)-+):8,-+) 4'(0)!-%/(,&)3)!'!38+47)
! !
! !
19
19 / 356
3. Tropismo
dell’agente
infettivo
per
l’endocardio
4. Incapacità
del
sistema
immunitario
nell’eradicare
l’infezione
dal
tessuto
valvolare,
che
non
possiede
vascolarizzazione
e
quindi
non
è
raggiungibile
dalle
cellule
immunocompetenti.
Inoltre,
la
vegetazione
endocardica,
in
relazione
alla
sua
struttura,
composta
di
fibrina,
detriti
cellulari,
batteri
e
leucociti,
è
difficilmente
accessibile
e
costituisce
un
ideale
pabulum
di
crescita
per
i
batteri.
Clinica
I
sintomi
sono
dovuti
agli
effetti
locali,
cioè
alla
presenza
della
vegetazione
valvolare
e
alla
progressiva
distruzione
del
tessuto
valvolare
con
possibile
evoluzione
anche
improvvisa
in
insufficienza
cardiaca
acuta,
e
alle
conseguenze
dell’embolizzazione
a
distanza
dalla
vegetazione
endocarditica.
L’embolizzazione
sistemica
può
causare
lesioni
miliariformi
a
carico
di
un
vasto
numero
di
organi:
fegato,
milza,
polmoni,
meningi,
sistema
nervoso
centrale.
Gli
effetti
dell’embolizzazione
possono
essere
di
tipo
ischemico
(infarto
splenico,
ictus,
infarto
miocardico,
infarto
renale,
infarto
retinico,
insufficienza
vascolare
acuta
dei
grandi
vasi)
oppure
a
carattere
infettivo:
ascessi
ed
aneurismi
micotici.
La
semeiotica,
oltre
alla
rilevazione
del
soffio
cardiaco,
ci
permette
di
osservare
alcune
conseguenze
dell’embolizzazione
a
distanza:
1. Petecchie:
sono
piccoli
spot
emorragici
che
si
possono
trovare
sulla
cute,
sulle
mucose,
nel
cavo
orale,
sulle
congiuntive.
2. Emorragie
del
letto
ungueale
e
sui
polpastrelli.
3. Macchie
di
Roth:
macchie
retiniche
di
colore
rosso
con
centro
chiaro,
dovute
a
fenomeni
infiammatori
ed
ischemici.
4. Noduli
di
Osler:
piccoli
noduli
sottocutanei
molto
dolenti,
color
porpora,
fugaci.
Si
trovano
soprattutto
a
livello
dei
polpastrelli,
dell’eminenza
tenar
e
al
livello
della
pianta
dei
piedi.
5. Chiazze
di
Janeway:
a
livello
delle
piante
dei
piedi
e
del
palmo
delle
mani,
sono
macule
eritematose
con
centro
emorragico,
non
dolenti.
6. Ippocratismo
digitale
in
caso
di
infezioni
croniche.
20
20 / 356
Complicanze
Laboratorio
[N.B
In
questo
caso
non
è
necessario
attendere
il
picco
febbrile
(con
brivido)
per
effettuare
il
prelievo
ematico,
in
quanto
la
batteriemia
in
corso
di
endocardite
è
in
genere
piuttosto
costante!]
Esami Strumentali
21
21 / 356
TC
spirale
e
RMN
sono
importantissime
per
localizzare
i
fenomeni
embolici,
ma
non
danno
informazioni
primariamente
utili
per
la
diagnosi
di
endocardite
infettiva.
Criteri Duke
La
diagnosi
di
endocardite
infettiva
viene
posta
sulla
base
dei
criteri
della
Duke
University,
riguardanti
diversi
parametri
clinici.
Riportiamo
qua
sotto
la
tabella
completa
in
lingua
inglese.
! !
Per
la
diagnosi
di
endocardite
infettiva
è
quindi
necessario
che
siano
soddisfatti
contemporaneamente
o
due
criteri
maggiori
o
uno
maggiore
e
tre
minori
o,
tuttalpiù,
cinque
minori
(meno
attendibile).
Prognosi
L’endocardite
ha
un’elevata
letalità
(se
non
trattata,
la
letalità
sale
al
90%),
intorno
al
15-‐20%
anche
nel
caso
venga
trattata
adeguatamente.
In
più
dell’80%
dei
casi
è
necessario
l’approccio
chirurgico.
La
storia
naturale
dell’infezione
non
trattata
culmina
ineluttabilmente
con
la
morte
del
paziente
per
insufficienza
cardiaca
acuta.
1. Età
avanzata
2. Endocardite
su
protesi
3. Diabete
mellito
4. Altre
comorbidità
importanti
5. Complicanze
emboliche
6. Sepsi
22
22 / 356
7. Riscontri
ecocardiografici
particolari
! !
8. Tipo
di
patogeno
S.
aureus,
P.
aeruginosa,
Enterobacteriaceae
e
miceti
sono
i
patogeni
associati
alla
prognosi
peggiore.
Terapia
• Endocardite streptococcica:
Ampicillina + Gentamicina
23
23 / 356
• Endocardite
stafilococcica:
• Enterococco
! !
24
24 / 356
"#$%
1223
! !
Oggi,
inoltre,
abbiamo
il
problema
emergente
delle
infezioni
fungine:
purtroppo
la
terapia
delle
infezioni
fungine
è
complessa
e
ci
troviamo
sostanzialmente
sforniti
di
farmaci
completamente
efficaci.
I
nuovi
azoli,
come
posaconazolo
e
voriconazolo
hanno
elevata
attività
sulle
candide.
25
25 / 356
I
principali
predittori
della
necessità
dell’intervento
chirurgico
sono:
! !
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26
26 / 356
! !
La
società
Europea
di
Cardiologia
ha
stilato
le
seguenti
linee
guida
per
quanto
riguarda
la
profilassi
dele
endocarditi
infettive
in
occasione
di
manovre
medico-‐chirurgiche
e
odontostomatologiche,
tenendo
conto
dei
vari
gradi
di
evidenza
e
fornendo
un
livello
di
raccomandazione:
Le
linee
guida
della
Società
Italia
di
Malattie
Infettive
e
Tropicali
suggeriscono
invece
la
profilassi
in
tutti
i
tipi
di
procedure
diagnostiche
a
rischio,
anche
quelle
che
secondo
la
Società
Europea
di
Cardiologia
non
lo
richiederebbero.
Ognuno
è
quindi
libero
di
agire
in
accordo
all’uno
o
all’altro
criterio.
27
27 / 356
3.
Meningiti
e
altre
infezioni
del
SN
Processo
infiammatorio
di
Aracnoide
e
Pia
madre
(leptomeningi)
provocate
dalla
localizzazione
diretta
di
un
agente
infettivo;
si
parla
quindi
di
meningiti
quando
sono
interessate
le
leptomeningi,
mentre
utilizziamo
i
termini
meningoencefaliti,
nevrassiti
ed
encefaliti
quando
è
interessato
il
sistema
nervoso
centrale
nella
sua
interezza.
Le
meningiti
batteriche,
per
fortuna,
non
sono
frequenti
(incidenza:
5-‐10
casi/100000
abitanti/anno
e
più
colpite
le
età
estreme).
Lo
sono
di
più,
invece,
quelle
virali
(incidenza:
5-‐35
casi/100000
abitanti/anno
e
sono
più
colpiti
bambini
e
giovani
adulti),
specialmente
in
alcuni
periodi
dell’anno.
Qualsiasi
patogeno,
in
teoria,
può
causare
un’infezione
meningea,
ma
quelli
che
temiamo
di
più
sono
di
natura
batterica;
certamente,
però,
dobbiamo
tenere
presente
anche
la
possibilità
che
virus,
miceti,
protozoi,
elminti
e
micoplasmi
siano
causa
di
meningite,
specialmente
in
alcuni
contesti
socioepidemiologici.
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Gli
agenti
più
comuni
di
meningite
a
liquro
torbido
sono
sicuramente
la
Neisseria
meningitidis
(cocco
gram
negativo),
l’Haemophilus
influenzae
(bacillo
gram
negativo
non
appartenente
alla
famiglia
delle
enterobatteriacee)
e
lo
Streptococcus
pneumoniae
(cocco
gram
positivo).
Gli
stafilococchi
e
gli
Streptococchi
di
gruppo
B
sono
frequentemente
agenti
di
meningite
nel
neonato.
Possibili
agenti
sono
anche
i
bacilli
gram
negativi
enterobatteriacei
e
Pseudomonas;
infine,
Listeria
monocytogenes,
un
bacillo
gram
positivo.
Quindi,
anche
l’esame
batterioscopico
–
oltreché
colturale
–
è
importante,
poiché
se
anche
non
identifica
esattamente
il
patogeno,
ci
può
dire
a
quale
categoria
appartiene
(es:
bacilli,
cocchi,
gram
positivi,
gram
negativi)
e
ci
permette
una
terapia
empirica
più
razionale.
28
28 / 356
!"#$%&'(&')#$&$"&%#'!'*&+,-.'*&)/&(-
-
Meningiti
a
liquor
limpido
!"#$% &'(()#"
! %012343 ! !"#$%&'($)*+,+
! #56- ! -'$(&))./+0"
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! 6&? ! 1'90.6*+*3.
! /3=<0<9=>1
Tutti
i
virus
neurotropi
possono
dare
meningiti
a
liquor
limpido
e
qui
da
noi
il
più
frequente
è
senza
dubbio
il
virus
Toscana.
Tra
i
batteri,
molto
importante
è
ricordare
il
micobatterio
tubercolare,
anche
in
relazioni
a
particolari
caratteristiche
liquorali
che
si
ritrovano
in
questo
caso.
L’eradicazione
del
M.
tuberculosis
dal
sistema
nervoso
è
incredibilmente
lunga
e
richiede
24
mesi
di
terapia;
la
meningite
tubercolare
è
spesso,
comunque,
fatale.
Histoplasma,
criptococco
e
toxoplasma
sono
tipici
agenti
di
meningite
nei
pazienti
immunodepressi.
Il
Trypanosoma
rhodesiensis
è
l’agente
eziologico
della
malattia
del
sonno.
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29
29 / 356
Alla
base
della
patogenesi
del
danno
da
meningite
non
vi
è
tanto
un’azione
citopatica
diretta
degli
agenti
infettivi,
quanto
piuttosto
la
reazione
che
si
sviluppa
in
seguito
all’infezione.
I
componenti
batterici
determinano
attivazione
dell’immunità
innata
e
dell’endotelio,
con
ingente
richiamo
granulocitario
e
linfomonocitario;
anche
la
glia
partecipa
attivamente,
con
alterazione
della
struttura
della
barriera
ematoencefalica
e
attivazione
delle
funzioni
microgliali.
Le
citochine
ed
i
mediatori
della
flogosi
determinano
l’interruzione
della
BEE,
edema
vasogenico
e
citotossico
(swelling),
con
conseguente
compressione
dei
vasi
ematici
e
dei
ventricoli
cerebrali:
si
ha
così
accumulo
di
liquor,
possibile
idrocefalo,
aumento
della
pressione
endocranica
e
ostacolo
all’afflusso
ematico,
con
possibile
ipossia
tissutale
a
carico
dei
distretti
colpiti.
A
quest’ultimo
punto
contribuisce
anche
l’alterazione
vasculitica
che
di
può
avere
a
causa
della
flogosi
in
spazio
subaracnoideo.
Clinica
I
sintomi
cardine
sono
la
febbre,
la
cefalea
e
la
sindrome
meningea,
ovvero
un
corteo
di
segni
e
sintomi
che,
in
base
al
meccanismo
fisiopatologico,
si
distinguono
in:
segni
e
sintomi
di
ipertensione
endocranica,
i
segni
e
sintomi
di
irritazione
delle
radici
spinali
e
i
segni
e
sintomi
di
iperestesia
diffusa
delle
componenti
sensitivo-
sensoriali,
vegetative
e
psichiche.
!"#$%&'(#)(#(*%+,%'-(.'%#%')./+0'(/0
I
segni
di
ipertensione
endocranica
sono:
! !"#$%&'()*(+,$"+-)*,)+)./"&%$+01&1(""&+,&+2#&2(3
! 4%&,(.&%,(&
! 5$-&"$&
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! <$*2()*$+,$""&+-)*#&*$""&+:%$97&#(.&+0*$)*&#(3
!"#$%&'(#)(#(**(+,-(.'%#)%//%#*,)(0(#12(',/(
I
segni
di
irritazione
delle
radici
spinali
sono:
30
30 / 356
Brudzinski
I
Il
paziente
deve
stendere
supino,
con
le
dita
incrociate
dietro
la
nuca
e
le
gambe
allineate,
deve
rilassare
i
muscoli;
si
flette
con
una
mano
la
nuca
del
paziente
mentre
con
l'altra,
poggiata
sul
petto,
si
impedisce
l'alzarsi
del
torso
(col
movimento
risultante
è
come
se
il
paziente
dovesse
guardarsi
i
genitali).
Questo
movimento
causa
lo
stiramento
delle
meningi,
se
il
paziente
reagirà
cercando
di
flettere
ginocchia
e/o
anche
il
segno
si
dirà
positivo,
se
ciò
non
avviene
sarà
negativo.
Brudzinski II
Dopo
aver
fatto
stendere
il
paziente
supino
si
effettua
una
flessione
passiva
di
uno
degli
arti
inferiori.
Se
tale
flessione
provoca
un
riflesso
analogo
nell'altro
arto
allora
il
segno
è
da
considerarsi
positivo.
Segno
di
Kernig
Volendo
flettere
la
coscia
di
un
soggetto
supino
sul
bacino
mantenendo
la
gamba
estesa
(articolazione
del
ginocchio
bloccata)
si
ottiene
invece
la
flessione
della
gamba
sulla
coscia.
Analogo
significato
ha
il
fatto
che,
se
il
soggetto
è
seduto,
non
riesce
a
mantenere
l'estensione
delle
gambe
e
tende
a
fletterle.
Viene
messo
in
evidenza
con
la
flessione
della
coscia
sul
bacino
a
gamba
estesa:
il
malato
avverte
un
dolore
vivo
provocato
dallo
stiramento
del
nervo
ischiatico
che
si
irradia
alla
colonna
vertebrale.
Esso
può
essere
indicativo
anche
di
irritazione
meningea.
Nelle
meningiti
virali
questo
segno
è
in
genere
molto
sfumato.
31
31 / 356
Segno
di
Binda
!"#$%&'(#)(#(*%+%,-%,(.#)(//0,.#)%11.#,/%+.#
,%',(-(234,%',3+(.1%5#2%&%-.-(2.#%#*,(67(6.
Segni
di
iperestesia:
! !"#"$"%&'
! ()*+,*-,&%&.&#/0'&0+12"+&
! ()*+'.3*,&'
! 41+%*05*.0+*,)&+"
! 63&#'7&"-*0),&8"2"#"+&'0
! 4"+)"+*90,#'#"0,#1)"+","905*.&+&"908"2'
!"#$%&'()&*#($)#"+
Nella
valutazione
neurologica
è
chiaramente
importante
anche
la
Glaskow
Come
Scale,
che
riportiamo
qui
sotto.
I
pazienti
con
meningite
virale
in
genere
hanno
punteggi
di
13-‐15,
mentre
i
pazienti
con
meningite
batterica,
anche
a
seconda
!"#$%&&'(della
fase
in
cui
si
trovano,
possono
anche
arrivare
al
danno
cerebrale
grave
(4-‐8)e
al
coma
profondo
(3).
! )*+*,(-.*/0(1(#2(3-(0$%
La
clinica
è
utile,
ma
la
diagnosi
definitiva
si
può
avere
solo
con
l’esame
del
liquor
cefalorachidiano,
! 456*+*2.##(*,%0%70.8%*&0.9%
che
si
articola
in:
-‐ ! c:5;<*+*2.##(*,%0%70.8%*-(2%0.$(
Esame
himico-fisico
-‐ Esame
citologico
-‐ !m
Esame
;)5;=*+*2.##(*,%0%70.8%*8'%9%
icrobiologico
Sono
inoltre
importanti
criteri
epidemiologici
ed
esami
sierologici,
soprattutto
laddove
non
si
riesca
ad
isolare
il
patogeno
dal
liquor
(soprattutto
virus,
quindi).
Le
metodiche
radiologiche
possono
essere
d’aiuto
ma
hanno
un
valore
diagnostico
limitato.
L’elettroencefalogramma
ha
la
sua
utilità
soprattutto
nella
diagnosi
delle
forme
herpetiche.
Quindi,
possiamo
dire
che
quella
di
meningite
sia
una
diagnosi
relativamente
semplice
grazie
all’obiettività
clinica,
ma
talvolta
può
essere
difficile,
specialmente
nei
bambini,
che
possono
manifestare
convulsioni
–
che
possono
essere
dovute
anche
semplicemente
ad
una
patologia
febbrile
-‐
o
solo
vomito,
senza
cefalea.
Negli
anziani,
inoltre,
abbiamo
la
comparsa
di
alterazioni
dello
stato
di
coscienza,
abbastanza
poco
specifiche.
Nei
soggetti
32
32 / 356
immunocompromessi,
inoltre,
il
quadro
tende
ad
essere
più
sfumato
a
causa
della
minore
reazione
immunitaria.
La
rachicentesi
andrebbe
fatta
in
tutti
i
pazienti
con
sospetta
meningite.
Può
essere
procrastinata
solo
per
permettere
indagini
radiologiche
mirate
ad
escludere
la
presenza
di
edema
cerebrale
significativo,
poiché
in
tal
caso
potrebbero
verificarsi
complicanze
gravi,
come
l’erniazione
cerebellare
e
dei
lobi
occipitali
in
fossa
cranica
posteriore.
!"#$%"&#'&()*&"#&+),,)+%)(-&(.#$./&
"##$%&'( @(%"'9E(
! )! *+,--./0,! .01+23+20.32! ! #,*-.?.*/1,0-./0,
4*2*.55,6,728 ! F.-/+6.0.!3/2=<521.D.!4>9FC!
! 90:,;./0,! 3<120,2! .0! -,6,! 6.! *.2-1+.0,!GHIIIIC!<-/!6.!
*<01<+2 J2+:2+.028
! #,=0.! '>?@A! 6.! ,6,72! ! #,=0.!0,<+/5/=.3.!:/325.
3,+,B+25,C!.6+/3,:25/!/-1+<11.D/C! ! K>#!GL
,+0.2;./0, ! #121/!,*.5,11.3/
! !
La puntura lombare si effettua in genere in sede L3-‐L4 o L4-‐L5 , raramente in sede L5-‐S1.
33
33 / 356
In
corso
di
meningite
a
liquor
torbido,
si
presenta
invece
intorbidito
a
causa
della
presenza
di
batteri
e
leucociti.
!"#"$$%#&'$&!(%)*%+)
La
glicorrachia
è
pari
al
60-‐/0%
dei
valori
glicemici
contemporanei,
pertanto
può
essere
utile
fare
anche
una
glicemia
quando
si
effettua
la
rachicentesi.
+&,-.#)/%++%)0%/&/1&$&
I
neutrofili
non
sono
un
riscontro
normale
nel
liquor,
che
contiene
al
massimo
5
cellule
per
microlitro,
per
lo
più
linfociti.
Con
6
cellule
per
microlitro
si
potrebbe
già
fare
diagnosi
di
meningite.
Esistono
esami
da
effettuare
sul
liquor
che
possono
rendere
più
semplice
e
rapida
la
diagnosi.
Per
le
forme
a
liquor
torbido:
-‐ Esame
batterioscopico
diretto
con
colorazione
Gram:
Può
dare
falsi
negativi,
soprattutto
se
è
già
stata
iniziata
una
terapia
antibiotica.
La
sensibilità
è
maggiore
per
le
forme
da
S.
pneumoniae
e
minore
per
le
forme
da
Gram
negativi.
La
specificità,
invece,
è
del
100%.
Può
esistere
l’evenienza
di
inquinamento
cutaneo
da
puntura
lombare:
in
questo
caso
in
genere
si
trovano
S.
epidermidis
e
coagulasi
negativi.
-‐ Test
al
latex
per
la
ricerca
di
antigeni
Si
usa
per
N.
meningitidis,
H.
influenzae
e
S.
pneumoniae,
ma
ha
una
sensibilità
non
eccezionale.
-‐ Esame
colturale
(sensibilità
100%)
Ci
serve
per
isolare
il
patogeno
e
testare
la
sua
sensibilità
agli
antibiotici,
ma
purtroppo
i
risultati
arrivano
dopo
due
giorni,
pertanto
l’inizio
della
terapia
è
sempre
su
base
empirica.
-‐ Esame
diretto
per
l’isolamento
di
funghi
e
protozoi
-‐ Esame
diretto
e
colturale
solo
per
la
ricerca
di
M.
tuberculosis
-‐ PCR
Si
può
usare
per
il
M.
tuberculosis
e
per
i
virus.
E’
molto
rapida
ed
è
assolutamente
specifica.
-‐ Ricerca
degli
antigeni
(PCR)
Utile
soprattutto
per
i
virus,
ma
anche
alcuni
batteri.
-‐ Identificazione
di
funghi
e
parassiti
34
34 / 356
Altre
indagini
di
laboratorio
-‐ Indici
di
flogosi:
VES
e
hsPCR
sono
alterate,
nelle
forme
batteriche
in
misura
maggiore.
-‐ Neutrofilia:
Indirizza
per
una
forma
batterica.
-‐ Aumento
numero
linfociti:
può
essere
rilevabile
in
corso
di
meningiti
virali.
-‐ Emocolture:
Sono
sempre
da
fare
(almeno
2-‐3),
perché
alcune
forme
sono
anche
batteriemiche,
soprattutto
quelle
da
S.
pneumoniae
e
da
N.
meningitidis.
Radiologia
La
prognosi
è
quasi
sempre
benigna
nelle
forme
virali;
è
invece
generalmente
infausta
nelle
forme
batteriche
qualora
non
si
instauri
un’appropriata
terapia.
Purtroppo,
però,
anche
con
la
terapia
c’è
una
certa
mortalità,
questo
anche
in
relazione
al
tempismo
nella
diagnosi
e
nell’inizio
del
trattamento,
al
particolare
patogeno
che
ha
causato
l’infezione
e
alla
scelta
dell’antibiotico
(ritmo
di
somministrazione
compreso).
La
terapia
empirica
è
in
realtà
una
terapia
che
deve
essere
ragionata:
dobbiamo
considerare
la
probabilità
che
un
paziente
abbia
una
particolare
forma
piuttosto
che
un’altra.
Per
esempio,
se
abbiamo
di
fronte
un
bambino
che
ha
avuto
recentemente
un’otite
media,
possiamo
ragionevolmente
pensare
che
la
meningite
sia
una
complicanza
di
questa
infezione
sostenuta
quasi
sempre
da
S.
pneumoniae,
e
iniziare
una
terapia
mirata
verso
questo
patogeno.
Lo
stesso
discorso
vale
per
qualsiasi
altra
infezione
batterica
a
rischio
concomitante
o
precedente.
Oppure,
possiamo
tenere
conto
dell’andamento
stagionale
delle
epidemie:
se
sappiamo
che
un
determinato
patogeno
(es:
un
virus)
è
più
frequente
in
un
dato
periodo
dell’anno,
saremo
più
o
meno
portati
a
sospettare
la
sua
presenza
a
seconda
del
periodo
in
cui
ci
troviamo.
Inoltre
sono
importanti
i
parametri
clinici
ed
i
!"#$!%#$&'()*'+"!!$',"-%-.%#"'
dati
che
possiamo
ottenere
dall’esame
del
liquor.
Infine,
dobbiamo
avere
un’ottima
conoscenza
degli
antibiotici,
cioè
dobbiamo
conoscere
alla
perfezione
gli
spettri
d’azione
/$##"0%1$'2"0'%!'0%#$0+$#3'%-%4%3'
e
la
farmacocinetica,
nonché
effetti
avversi
e
controindicazioni.
+"!!$'#"0$2%$'$-#%/%3#%1$
Qui
vediamo
la
correlazione
tra
mortalità
e
ritardo
nell’inizio
della
terapia:
$!
#!
! ! "
35
35 / 356
!"#$%$&#'()*+(,!%%'(-!.#.&#/!(
Meningiti
Batteriche
0'//!1#2'
!"#$%&'()&( *"+","#&(-. DE<F;GH=F@I; 6 B
!"#$%&'($)*% 34 5 'J9:@(K:IH(L 6 6M
+"'%$)$,)-).)/ 67 6 .=F(N;:H;F9IF9@ M 4
0"'($(12-(,%$%/ 66 3 !F9;:=>=>>?@ M 3
89:;<9=>=>>?@ A B 82. M B
!"*&3%&/ 5 B 'J9:@ C C
4")$56&%$7*% 7 7 O=J@H@>:=P@>I C A
8"1(6) C 66 2=J9G:I(F;KI9@QI 63 66
,G:IFR(;9(IJS(.!T-(6BB3S(3C4U(C6L4
,G:IFR(;9(IJS(.!T-(6BB3S(3C4U(C6L4
Questo
schema
mostra
come
l’Haemophilus,
un
tempo
agente
tipico
di
meningiti
nell’adolescenza
e
nell’infanzia,
oggi
non
sia
più
molto
diffuso,
grazie
anche
all’introduzione
della
vaccinazione.
Oggi,
fondamentalmente,
i
principali
patogeni
!"#$%$&#'()*+(,#(-./(0'1#(,#(
comunitari
sono
lo
pneumococco
ed
il
meningococco.
Nelle
meningiti
nosocomiali,
invece,
bisogna
tenere
presente
la
maggiore
importanza
dei
Gram
negativi,
primi
tra
2!3#3!(5'44!6#0'
tutti
E.
coli
e
Klebsiella,
e
degli
Stafilococchi
(soprattutto
nelle
forme
post-‐
neurochirurgiche).
Questo
$
!
# # %&'()*+,(-.) grafico
/&+)(-(0-1-2-3 riporta
!"
4&+,(,561,0)()3 statistiche
%&.*7)*3 più
recenti,
#!
8&-(9:*)(;.) ma
il
<:17- discorso
non
cambia.
;&)#*<)=7
>?*@A#*&!06B Si
nota
anche
>!"#$%&'($)*%!41B
>+"'%$)$,)-).)/!CB
DE1+116 il
contributo
alla
mortalità
globale
specifica
da
parte
delle
forme
pneumococciche,
e
–
seppure
in
misura
minore
–
! ! "#$!%&!'&&(!&)!#*+!,-./!01123!4567!6829:59
delle
forme
meningococciche.
36
36 / 356
Meningite
Meningococcica
I
sierogruppi
A
e
B
!"#$$"%#&'(")#)*#+#,#$ possono
essere
coperti
abbastanza
facilmente
dal
! !"#$%&%&&%'()*+,-.(*/"0%1'2#.22%'*'2.3.'"-/)*&.$$4$*). vaccino,
mentre
per
! 5(.-/.'3"'+.-"-("/.'*'$"64%)'/%)7"3% il
sierogruppo
C
è
più
difficile.
Il
contagio
! 8.&%-3*'&*42*'3"'+.-"-("/.'7*//.)"&*'-.$$9*34$/% avviene
per
via
! :*/%(.-.2";')4%$%'.-3%/%22"-* respiratoria
attraverso
droplets,
! <='2".)%/"#"'3"'*-/"(.-.'#%$"2*&&*)"3"&%'&*#24$*). e
in
caso
di
contatto
! 51'>1'?;'2".)%()4##"'#"@'3"AA42"'.'0")4$.-/" con
persone
malate
è
necessario
effettuare
! B#"3.+".'%(-"'=,C'*--"
la
profilassi.
! ?%-/*("%'"-/.)4+*-%'D0"*').2#")*/%)"*E
Diventa
il
principale
! :)"-&"#*$.')"2.)0*;'#%)/*/%)"'2*-" patogeno
se
si
!"#$$"%#&'(")#)*#+#,#$
considerano
le
meningiti
del
giovane
e
del
bambino:
chiaramente,
allora,
il
problema
principale
ai
fini
del
contagio
è
rappresentato
dalla
frequentazione
di
comunità
semichiuse
come
scuole,
collegi,
colleges,
strutture
sportive,
caserme.
! !"#$%&'() $*(+,#(-.(/(-.() 0,/0%-%) () 1%"+,-%) I
sierogruppi
più
,23#.%)4$%5)6*(73(-.()-(#)&(&&")/,&'8%#(9 frequenti
nelle
epidemie
sono
A
e
B.
! :%(*"1*3$$");))))))<=>)2(%)',&%)&$"*,2%'%)4%#)$%5)
Il
quadro
è
quello
6*(73(-.()%-)?.,#%,9 classico
di
una
! :%(*"1*3$$%) @) () ! )) ) ) $%5) 6*(73(-.%) -(##() meningite
batterica,
ma
c’è
un’importante
($%2(/%( peculiarità:
la
sepsi
! A,.."*%)2%)*%&'8%")))))))))2(6%'%.)!<)B)!C da
meningococco,
che
si
verifica
in
caso
di
grande
ritardo
diagnostico,
comporta
una
porpora
con
esantema
petecchiale
diffuso
e
piccole
emorragie
che
possono
confluire
e
formare
addirittura
grandi
ematomi.
Se
queste
alterazioni
compaiono,
il
paziente
è
difficilmente
recuperabile
e
sta
progredendo
rapidamente
verso
la
morte
per
shock
settico
da
gram
negativi.
Questo
quadro
configura
!"#$%&%'&(&)&*+,!"#$%&'(&)%*+,,%
la
sindrome
di
Waterhouse-Friederichsen,
che
ha
il
suo
effetto
più
drammatico
nelle
necrosi
emorragica
bilaterale
del
surrene,
che
può
portare
a
crisi
Addisoniana
acuta.
Il
pattern
febbrile
prevede
di
solito
una
febbre
remittente,
con
andamento
a
dente
di
!-+!!&$+./+0+1
sega.
La
letalità
è
del
5-‐15%,
ma
'#(1se
%1 si
schizza
alle
stelle
!&.0+00%1 ,0(#00%
sviluppa
1#.0(&1 231di
&(#1
la
sindrome
Waterhouse-‐Friederichsen.
Le
possibili
/+**4#,'&,%5%&.#
sequele
sono
alterazioni
a
carico
dei
nervi
cranici,
soprattutto
III
e
VIII
paio.
La
chemioprofilassi
prevede
!-%)+$'%!%.+16771$81'#(1&,1&8.%1921"1'#(1218%&(.%
tre
alternative
e
deve
essere
effettuata
in
tutte
le
persone
che
hanno
avuto
contatti
stretti
!:*0#(.+0%;#<
con
il
paziente:
è
il
servizio
di
Igiene
territoriale
ad
occuparsi
= !%'(&)*&>+!%.+1?771$81&,1%.1$&.&/&,#
di
avvertire
gli
interessati.
= !#)0(%+>&.#12?71$81%@$@1%.1$&.&/&,#
37
37 / 356
Per
quanto
riguarda
i
vaccini,
oggi
si
impiega
il
vaccino
monovalente,
attivo
solo
sul
sierotipo
C
(anche
se
in
Italia
il
più
frequente
è
il
B).
Fino
a
poco
tempo
fa,
invece,
si
!"##$%&'"%($)*%$%+&#&##$#&
utilizzava
il
tetravalente.
! #,-./.0/./'12'3,4/-25526/1/'523-0426/
! 76858189.8':.8.62;2489.8<=
>2../;,'5,9.6,'/'-/86,./3/'"?'#?'@?'A>BCD
>/91/52.,'/9'-,EE8../'1/'8.F'GH'299/
! %0,;,':I,9,;2489.8<='
>2../;,'5,9.6,'/4'-/86,./3,'#'
>/91/52.,'/9'-,EE8../'1/'8.F'
''''''''''''JH'299/':8KK/525/2'LCM<'
''''''''''''H>BL299/':8KK/525/2'LLM<
Meningite Pneumococcica
La
meningite
pneumococcica
va
sospetta
qualora
vi
sia
storia
di
un’infezione
recente
a
rischio
di
complicanze
cerebrali,
in
particolare:
-‐ Otiti
-‐ Mastoiditi
-‐ Sinusiti
In
questi
casi,
oltre
alle
meningiti,
possono
verificarsi
empiemi
subdurali,
ascessi
cerebrali,
tromboflebiti
dei
seni.
Fortunatamente,
queste
complicanze
sono
rare.
38
38 / 356
!"#$%"&'&''()*%+$(,&+-.$
Vaccini
!"##$%"&$'%()*+',$-"..$/
! !"##$%'/ 01-2$3"-(%2( /#'%2(%(%2(/ 45 /2$*$/ 6$/ Anche
per
lo
pneumococco
*'-$."##"+$6(/#"*.1-"+( abbiamo
un
vaccino
! 7+'2(88(/ 3(+.'/ -"/ 0"88$'+"%&"/ 6($/ #(**$/ mutivalente
che
copre
23
+(.*'%."9$-$/6$/0(%$%8$2(/ sierotipi
(purtroppo
lo
pneumococco
ha
veramente
! !"##$%"&$'%(/#'%.$8-$"2"/$%/.'88(22$/"/+$.#:$'/
un’infinità
di
sierotipi
capsulari,
"10(%2"2'/ 6;$%,(&$'%( /<.*-(%(#2'0$&&"2$=/ più
di
90,
raggruppati
in
40
"%(0$"/,"-#$,'+0(>/ gruppi).
Il
sierotipi
più
comunemente
implicato
nelle
meningiti
è
il
23.
La
vaccinazione
è
consigliata
in
tutti
i
soggetti
a
rischio
di
contrarre
l’infezione,
come
gli
splenectomizzati,
che
sono
particolarmente
esposti
alle
infezioni
da
cocchi
capsulati
(quindi:
Streptococchi,
Stafilococchi,
Haemophilus).
G+&>'<&)1)@&-$>'11-$<'7&7@&*'$>-$!"#$%&"'
Meningite
da
Listeria
La
meningite
da
Listeria,
inoltre,
può
dar
luogo
con
una
certa
frequenza
ad
ascessi
e
ad
una
meningoencefalite.
39
39 / 356
Meningiti
Virali
Qualunque
sia
il
virus
causale,
non
esistono
quadri
patognomonici
per
la
meningite
virale;
semmai,
il
quadro
appare
più
sfumato
rispetto
alle
meningiti
batteriche
a
liquor
torbido.
L’inizio
è
insidioso,
subacuto.
Quasi
mai
si
tratta
di
una
meningite
pura,
ma
piuttosto
si
tratta
di
meningoencefaliti
o
encefaliti
pure.
In
questi
casi
la
sintomatologia
encefalitica
può
essere
preminente,
con
confusione,
coma,
convulsioni,
segni
di
lato.
Per
le
mengiti
virali
ci
aiutano
le
indagini
sierologiche
(ricerca
di
antigeni
ed
anticorpi)
e
la
PCR,
che
può
essere
fatta
anche
su
liquor
e
ci
aiuta
soprattutto
nei
casi
di
meningiti
virali
da
virus
Toscana
e
da
virus
erpetici.
!"#$#%$&$'($)*+$
Virus
Toscana
!"#$%&'(%)*+*
! (,-./'0110-2343423'0550'607,85,0!"#$%&'()(*&+9'8343-3',-.+/0'()#1
! &-0/7,//,:43'73;,0423'50',-./-01&23&45678/893'<,-.+/0203#1!4+)$(5(01#19''
,64+)7(.(+8(=
! *71,0';,66./,:43'43553'-38,:4,'>342-05,';35'4:/2-:'103/3'<&:/>040=9'1-3/3423'
,4'052-3'?:43',205,043'3';355@0-30'73;,23--04309'/,0'3.-:130'>A3'4:-;06-,>040
! )011-3/3420' ,5' BCDECF' ;3,' >0/,' 3/2,G,' ;,' 734,48,23' 0' 5,H.:-' 5,71,;:' ,4'
&:/>040
! $4>,;34?0'/:883220'0553'G0-,0?,:4,'>5,702,>A3I',5'G322:-3'1-3;,5,83','73/,'3/2,G,'
! $463?,:4,',40110-342,'0//0,'1,J'>:7.4,';,'H.3553'/,42:702,>A3'
! K.L'>:3/,/23-3'/,42:702:5:8,0'34>3605,2,>0
! K-:84:/,'60G:-3G:53
! M,084:/,I':360858;31&<";=>?&@)#&:-&53A-80
Il
virus
Toscana
è
stato
isolato
per
la
prima
volta
40
anni
sull’Argentario,
pertanto
porta
il
nome
della
nostra
regione.
È
frequente
nell’Italia
centrale
e
nelle
isole,
sicuramente
è
l’agente
di
meningite
di
più
frequente
riscontro
nei
mesi
caldi,
poiché
trasmesso
da
un
!"#$%"&'(")*+,-+",./#",.)*0+%1/$",-2"*0+(")*+,-/,3456
flebotomo
che
ovviamente
predilige
i
mesi
estivi.
40
40 / 356
@!C%!D.6!C+/!89
Non
sono
presenti
alterazioni
del
sensorio.
Anche
solo
effettuando
la
rachicentesi
si
apporta
sollievo
al
paziente,
poiché
si
va
a
diminuire
la
pressione
endocranica.
! !
La
diagnosi
si
fa
con
la
sierologia:
si
cercano
IgM
ed
IgG.
Con
le
IgM
presenti,
si
fa
diagnosi
di
infezione
da
Toscana
virus.
La
PCR
sul
liquor
è
chiaramente
l’esame
più
specifico
e
sensibile.
!"#$#%$&$'($)*+$
Meningiti
da
Herpes
Simplex
1
e
2
!"#$"%&%'($)"*&+'#,%&-'$.&/&"&0
La
meningite
erpetica
è
il
prototipo
delle
meningiti
virali.
Può
avvenire
come
infezione
primaria,
come
reinfezione
esogena,
o
come
riattivazione
di
una
infezione
latente.
In
G854335=495-.0'65'5.7095-.0';430.30
genere
è
molto
difficile
!,-./0120.30'4 capire
di
quale
caso
si
tratti.
È
una
meningite
a
liquor
limpido,
G5.7095-.0'@85<4854
G805.7095-.0'0/-10.4
con
modesta
protidorrachia
e
pleiocitosi
linfocitica.
''
!#-.'/5'6577080.954':;5.5:4<0.30'64'4;380'7-8<0'=584;5>'34;-84'/5'4//-:54'4'?08@0/';4A54;0'
B35@-'CD'-'10.534;0'B35@-'ED
!+5F2-8';5<@56->':-.'@;05-:53-/5';5.7-:534854'0'<-60/34'5@08@8-356-884:?54
O80//-:?P'.0;;4'3-34;53Q'605':4/5'64'HI('35@-'C
!"=-;295-.0'5.'"12"34)'-"
+5<53434'4'/-110335'5<<2.-:-<@8-<0//5'0'
.0-.435'@08'7-8<0'64'HI('35@-'E
!'GHI('35@-'C'80/@-./4A5;0'65'JKL'65'0.:074;535'5.70335=0
!'GHI('35@-'E'80/@-./4A5;0'65'MNL'65'0.:074;535'.0-.434;5'B:-.34<5.4':4.4;0'60;'@483-D'
'''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''7-:4;0
!O8-:0//-'0.:074;535:-'35@5:4<0.30''''''''''''''''.0:8-35:-G0<-88415:-
'''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''5.3080//4.30'5;';-A-'30<@-84;0'
41
41 / 356
!"#!$%&'(!)!*+!('#%,)-./0123452-5
+*6#!776)!"#!$%&'('#6)$6#%&!)%)
Dal
punto
di
vista
clinico,
abbiamo
segni
e
sintomi
tipici
delle
meningiti
a
liquor
limpido,
ma
soprattutto
&6#%&'88%8'6"!)(!9+6*%&!
segni
neuropsichici
che
fanno
sospettare
lesioni
in
sede
temporale:
afasia,
alterazioni
psichiche,
convulsioni,
allucinazioni
e
uno
stato
alterato
di
coscienza.
La
letalità,
in
assenza
di
trattamento,
è
elevata
(60%
e
70%,
risp.
Per
HSV1
e
HSV2).
Con
trattamento,
scende
!"#$%&!'($)(&!&#*)+(,!-#).!/!(!-#).!01!
al
20%.
*(2#23.4(25(67+#-(
!5+#2#57!"
""""#$%&&'%
""""#(%$)*%)
""""#'+,+-+./"01()*%"%"')(2+-%)
""""#)*.%')3+40+"0%1'4#56+(2+(2%"647%0.%"+0-+().+7%"-+"*%6+40%"-%*"*4&4".%854')*%!
""""""""""""""""""""""""""!"#$%&'("#()*"!+&(),)-,#,.+&(//+0,
))))))))))))))))))))))))))1+.+&('(
))))))))))))))))))))))))))2"3(*(!+/("#()3()1,.'"#+&(04),)+&0,.+/("#()1'(!5(!5,
))))))))))))))))))))))))))+*+'(+
))))))))))))))))))))))))))+&&%!(#+/("#(
))))))))))))))))))))))))))'0%1".)6)!"2+
!)$.32.&#!"
Diagnosi
"""""""""""""""""""""""
""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""9:;"5%'"*%"$4'8%"-)"<=>".+54"?
L’esame
fisico
del
liquor
ci
può
dire
poco:
avremo
liquor
limpido,
pressione
liquorale
di
"""""*%.)*+./"%*%7).)"""""
poco
aumentata,
glicorrachia
appena
ridotta,
protidorrachia
modesta,
cellule
presenti
in
))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))@:;"5%'"*%"$4'8%"-)"<=>".+54"A
decine
o
centinaia,
prevalentemente
mononucleate.
Per
questo
è
fondamentale
la
PCR,
anche
"""""BCDC==EFG"HE"IBJ"HEJKBL=E"MJNEHJ""O""EP"FMJFFJQCBFL""""
perché
sono
disponibili
batterie
specifiche
per
virus
herpetici
su
liquor.
JBFE>EMJPC"MEHIDC"PJ"PCFJPEFG"JP"A:;
La
sierologia
ha
importanza
relativa
(diversamente
dal
caso
del
virus
Toscana).
Terapia
La
terapia
è
mirata
e
si
fa
con
Acyclovir,
la
molecola
antierpetica
per
eccellenza.
Si
fa
per
via
parenterale,
alla
dose
di
10
mg/kg
tid
per
2
o
3
settimane.
La
terapia
è
fondamentale,
poiché
riduce
la
letalità
e
la
possibilità
di
sequele.
Acyclovir
è
potenzialmente
nefrotossico,
pertanto
bisogna
idratare
a
sufficienza
il
paziente.
42
42 / 356
Meningiti
Micotiche
Per
quanto
riguarda
il
Criptococcus,
generalmente
si
tratta
di
infezioni
disseminate
(può
causare,
oltre
a
meningite,
quadri
encefalitici
o
quadri
neurologici
focali
dovuti
alla
formazione
di
ascessi
o
di
lesioni
granulomatose
nel
tessuto
nervoso
cerebrale)
ad
origine
da
un
focolaio
pneumonico
criptico,
che
può
passare
inosservato
anche
a
causa
della
presentazione
subdola
dell’interessamento
polmonare
da
parte
di
questo
fungo
dimorfico.
Mentre
C.
neoformans
è
considerato
un
patogeno
dell’ospite
immunocompromesso,
C.
gattii
è
stato
descritto
anche
come
patogeno
dell’ospite
immunocompetente.
La
terapia
consiste
nella
somministrazione
di
Amfotericina
B.
Mucormycosis
frequently
involves
the
sinuses,
brain,
or
lungs
as
the
areas
of
infection.
While
oral
or
cerebral
mucormycosis
are
the
most
common
types
of
the
disease,
this
infection
can
also
manifest
in
the
gastrointestinal
tract,
skin,
and
in
other
organ
systems.
In
rare
cases,
the
maxilla
may
be
affected
by
mucormycosis.
The
rich
vascularity
of
maxillofacial
areas
usually
prevents
fungal
infections,
although
more
virulent
fungi,
such
as
those
responsible
for
mucormycosis,
can
often
overcome
this
difficulty.
There
are
several
key
signs
pointing
towards
mucormycosis.
One
such
sign
is
fungal
invasion
into
the
vascular
network,
which
results
in
thrombosis
and
death
of
surrounding
tissue
by
loss
of
blood
supply.
If
the
disease
involves
the
brain
then
symptoms
may
include
a
one-‐sided
headache
behind
the
eyes,
facial
pain,
fevers,
nasal
stuffiness
that
progresses
to
black
discharge,
and
acute
sinusitis
along
with
swelling
of
the
eye.
Affected
skin
may
appear
relatively
normal
during
the
earliest
stages
of
infection.
This
skin
quickly
progresses
to
an
erythemic
(reddening,
occasionally
with
edema)
stage,
before
eventually
turning
black
due
to
necrosis.
In
other
forms
of
mucormycosis,
such
as
pulmonary,
cutaneous,
or
disseminated
mucormycosis,
symptoms
may
also
include
dyspnea
(difficulty
breathing),
and
persistent
cough;
in
cases
of
necrosis,
symptoms
include
nausea
and
vomiting,
coughing
blood,
and
abdominal
pain.
Terapia Antibiotica
43
43 / 356
Inoltre,
essendo
scarsa
la
reazione
immunitaria
nel
SNC
(immunoglobuline
e
costituenti
!"##$%&'()*'"+,*-#"-$'."'
del
sistema
del
complemento
spesso
assenti
+
fagocitosi
inefficiente),
c’è
bisogno
di
farmaci
con
rapida
citocidia,
che
siano
in
grado
di
raggiungere
nel
sito
di
infezione
/*-*#%"0&$-*'1*2.&'
concentrazioni
20-‐30
volte
superiori
alla
concentrazione
minima
battericida
(MBC).
Questo
è
abbastanza
difficile,
perché
sono
pochi
i
farmaci
che
soddisfino
questi
criteri.
I
"-#&3&$#&(&'-*.'.&4+$%
fattori
che
condizionano
la
concentrazione
tissutale
nel
SNC
di
un
farmaco
sono:
! "#$%&'$'!(%&)%'*+#+$,!-%##'!*'&&+%&'!%)'$./%01%2'#+1'
! 3#%4'$'!#+(.5.#6*+#+$,
! 7'55.!(%5.!).#%1.#'&%!%!5$&6$$6&'!5%)(#+1%
! 7'55.!8&'-.!-+!+.0+99'9+.0%
! 7'55.!#%8')%!2'&)'1./(&.$%+1.
! :+5$%)+!-+!$&'5(.&$.!'$$+4.!;<%=+$!(6)(>?
! ! @'A!"0$+*!B#+0!CDDEA!CF!GD/HI
Qui
troviamo
i
dati
relativi
alla
penetrazione
liquorale
di
varie
classi
di
antibiotici:
Certamente,
a
meningi
flogosate
si
ottiene
una
penetrazione
notevolmente
migliore
per
farmaci
che
altrimenti
la
avrebbero
estremamente
scarsa:
è
il
caso
del
ceftriaxone
e
delle
cefalosporine
di
terza
generazione,
per
esempio.
Inizialmente
la
terapia
sarà
necessariamente
empirica;
poi,
una
volta
noti
i
risultati
dell’esame
batterioscopico,
potrà
essere
effettuata
una
terapia
“più”
mirata,
che
diventerà
“totalmente”
mirata
quando
saranno
note
l’identità
del
microrganismo
e
la
sensibilità
antibatterica.
La
terapia
deve
essere
iniziata
subito
dopo
la
puntura
lombare.
Dobbiamo
tener
presente,
come
si
diceva,
i
fattori
che
predispongono
il
paziente
ad
un’eziologia
piuttosto
che
ad
un’altra.
-‐ Nel
neonato
sono
prevalenti
gli
Streptococchi
di
gruppo
B
(es:
agalactiae),
gli
E.
coli
e
altri
Enterobacteriaceae,
e
la
Listeria.
Quindi
la
terapia
empirica
deve
coprire
questi
tre
principali
patogeni.
Utilizzeremo
ceftriaxone
e,
per
coprire
la
Listeria,
ampicillina.
-‐ Nel
lattante
e
nel
bambino
fino
a
due
anni
possiamo
trovare
N.
meningitidis,
Haemophilus,
E.
coli,
Streptococchi
di
gruppo
B
ma
non
Listeria:
pertanto
ci
basterà
il
ceftriaxone.
-‐ Nel
bambino
psopra
ai
due
anni,
nel
giovane
e
nell’adulto
fino
ai
50
anni
sono
prevalenti
S.
pneumoniae
e
N.
meningitidis,
pertanto
ci
basta
il
ceftriaxone.
Da
noi
la
penicillino-‐resistenza
negli
Streptococchi
non
è
ancora
un
problema
importante,
per
cui
possiamo
evitare
la
vancomicina.
-‐ Nell’anziano
possiamo
avere
pneumococco,
raramente
meningococco,
ma
anche
Listeria,
i
bacilli
aerobi
gram
negativi:
pertanto
useremo
ceftriaxone
ed
ampicillina
per
coprire
la
Listeria.
-‐ Nei
pazienti
con
trauma
cranico
con
frattura
della
base,
possiamo
trovare
pneumococco,
haemophilus
e
streptococchi
di
gruppo
A:
pertanto
useremo
la
nostra
solita
cefalosporina
di
terza
generazione.
-‐ Nei
pazienti
con
trauma
penetrante,
possiamo
trovare
Stafilococchi
e
bacilli
aerobi
gram
negativi:
in
questo
caso
dovremo
utilizzare
cefepima
o
ceftazidime
o
meropenem
per
avere
una
migliore
copertura.
La
vancomicina
non
è
in
genere
necessaria.
44
44 / 356
-‐ Nei
pazienti
neurochirurgici
o
con
shunt
liquorale,
abbiamo
un’importante
presenza
di
S.
aureus
nosocomiali
(MRSA)
e
allora
avrà
senso
utilizzare
la
vancomicina
e
una
molecola
attiva
anche
contro
i
gram
negativi,
come
cefepima
o
un
carbapenemico.
!"#$%&'($)*%+./012
!"#$%&'($)*%+./012'3456789:-;<=>
'3456789:-;<=> ."(&,&==&($'?'+',=+#$-@"(&,+=+
!"#$%&'($)*%+./015
!"#$%&'($)*%+./015'3456'89:1:-;<=>
'3456'89:1:-;<=> 6"@)#&$A+("'+',"@+)$A&-"
!"#$%&'($)*%+./01E
!"#$%&'($)*%+./01E'3456F:-;<=>
'3456F:-;<=> 6"@)#&$A+("'3+',"@+)$A&-">'B'C$(,+-&,&($9'
+%%D#"''C$(,+-&,&($'B'#&@$-%&,&($'
3"'%$)$0)2)4)5 ."(&,&==&($'?'+',"@)#&$A+("
,")$-.&%$/*%
6"@)#&$A+("'+',"@+)$A&-"
!"*0*.*12)*%
6"'($(172(0%$%5 G-%&,&==&($'B';"()$-&,&($
!"*&9%&5'4/!12
!"*&9%&5 4/!12 LA$,&==&($
!"*&9%&5'4/!1E
!"*&9%&5 4/!1E K$(,+-&,&($
/()"#+*$,)"#&$,"$"' 6"@)#&$A+("'3+',"@+)$A&-">'B'$-&H$,&($
! 8"*%9&0)$(5* ! 6"@)$I&J&-"'B'$-&H$,&($
NB:
Gli
aminuglucosidi
sono
da
somministrare
preferibilmente
per
via
intraventricolare
o
intratecale
poiché
diffondono
molto
male
altrimenti.
45
45 / 356
!"#$#%$&"'()&&"*$+)
,-./0/'1233/'02./45/'/605758059/
! "#$%&!'#'!()&*+,+*-.&/!01203!4+#$'+
! !"#$$"%#&'(")#)*#+#,#$/!5!4+#$'+
! -&"(./0#12$'#)312")4&"/!5203!4+#$'+
! 5+%"/+.6.662$'/)"2(.)#&"/!01203!4+#$'+
! 6.$&).#*#**7+!8+!4$9))#!:/!032;0!4+#$'+
! :-*+<<+!4$-%2=!7#$+"%#&'(.).68+.*")"$/!>;0!4+#$'+
Anche
più
d?9'@&<!&.!-<=!ABC!;113=!DE/!0;F52G3H!I"J6=!I9$!K!J&9$#<!;11G=!0L/!F3E2LE
i
28
giorni
in
pazienti
immunodepressi.
! !
46
46 / 356
4.
Epatiti
acute
virali
Le
epatiti
sono
un
gruppo
eterogeneo
di
condizioni
clinico-‐patologiche
caratterizzate
da
una
o
più
lesioni
necro-‐infiammatorie
a
carico
del
parenchima
epatico,
nella
cui
patogenesi
sono
implicati
agenti
eziologici
di
diversi
natura.
Sulla
base
dell’eziologia
le
epatiti
si
classificano
in
autoimmuni,
virali,
batteriche,
protozoarie,
da
micoplasmi,
"#$%&!'()*#*#+#
rickettsie,
farmaci
alcol
e
ridotto
apporto
ematico.
Le
epatiti
di
gran
lunga
più
frequenti
sono
quelle
virali,
causate
da
virus
epatici
maggiori,
virus
epatici
minori
e,
più
raramente,
da
virus
esotici.
I
principali
virus
epatotropi
sono
fondamentamente
cinque,
e
nella
tabella
sono
riportate
le
caratteristiche
più
importanti.
Tuttavia,
i
virus
sopra
menzionati
non
sono
gli
unici
agenti
in
grado
di
dare
infezioni
"#$%&!"'()$&!(*"$+$%+*&!,!-
epatiche:
.&%/0 4"$$(%&
1 23. 1 !"#$%&&'%
1 (4. 1 ()*#&'"%+,-,
1 "5. 1 .%/-0+%&&'%
1 26789:;<=!4 1 .%1*0,1-"'%
1 >=??@=!A<9BB9 1 2'&30+%&&'%
1 >=??@=!C<!#9889 1 4)5#"+%*--
1 >=??@=!C=BB9!%<DE!.9BB=F 1 6)1+%#30+-'%
! !
Tra
i
virus,
particolare
attenzione
meritano
EBV
e
CMV;
alle
nostre
latitudini,
invece,
non
si
riscontrano
i
virus
delle
febbri
emorragiche,
che
sono
invece
presenti
nei
Paesi
tropicali
e
sono
causa
di
infezioni
gravissime.
47
47 / 356
Mentre
le
epatiti
virali
si
presentano
con
elevazioni
imponenti
del
valore
di
ALT
e
AST
(fino
anche
a
8000-‐10000
U),
le
infezioni
epatiche
sostenute
da
batteri
si
presentano
con
quadri
meno
eclatanti,
sebbene
possano
causare
uno
screzio
epatico
anche
notevole.
Come
si
vede,
sono
spesso
batteri
che
causano
infezioni
respiratorie:
ebbene,
in
questi
casi
è
possibile
che
si
verifichi
anche
una
concomitante
infezione
epatica.
Tra
gli
agenti
epatotropi,
però,
esistono
anche
protozoi:
il
plasmodium
falciparum
è
molto
importante
a
questo
proposito.
Altri
agenti
capaci
di
causare
un
danno
epatico
"#$%&!"'()$&!(*"$+$%+*&!,!-
acuto
sono
riportati
nello
schema
sottostante.
*%+$+.+& 3"%2"0&
/ !"#$%&'' / "789:;<=>=
/ ()*+,$&'* / "7;<?;?=>=
/ "7?=7;@A98<?=>=
"#0++# / "7?=B=@?=>=
10+2*()1+ / "7?=,$40
&)3(.&+)&!4&#&"%& / *<=>@C8DE8>=
")+11&"
"5$+&225)&$"6
! !
Modalità
di
trasmissione
di
HAV
e
HEV
• Parenterale
-‐ Sangue
ed
emoderivati:
ormai
è
fortunatamente
una
rarità
assoluta.
-‐ Aghi:
puntura
accidentale,
agopuntura,
piercing,
tatuaggi,
strumenti
chirurgici,
siringhe
(scambio
di
siringhe
tra
tossicodipendenti,
oppure
siringhe
di
vetro
multiuso
che
erano
utilizzate
in
ambito
sanitario
qualche
decennio
fa),
endoscopia.
-‐ Emodialisi
-‐ Dialisi
peritoneale
-‐ Trapianto
di
organi
infetti
• Parenterale
inapparente
-‐ Articoli
da
toiletta:
rasoi,
forbicine
per
unghie,
pettini,
spazzolini.
-‐ Contatto
sessuale:
rappresenta
la
via
di
contagio
più
frequente
per
l’HBV.
-‐ Graffi
e
morsi
• Via
materno-‐fetale
Per
HBV
le
più
frequenti
vie
di
trasmissione
sono
quella
sessuale,
quella
materno-‐fetale
(70-‐90%
se
la
madre
è
HBeAg+)
e
anche
i
trattamenti
estetici.
Per
HCV,
al
giorno
d’oggi,
la
via
di
contagio
più
comune
è
la
tossicodipendenza
per
via
endovenosa,
seguita
dal
contagio
nosocomiale
e
dal
contagio
attraverso
articoli
da
toiletta
condivisi.
48
48 / 356
Patogenesi
L’HAV
è
un
piccolo
virus
a
RNA,
appartenente
alla
famiglia
dei
picornaviridae,
genere
degli
enterovirus,
specie
heparnavirus.
Causa
un
danno
citopatico
diretto,
più
raramente
immunomediato.
Ha
un
virione
sferico,
contenente
RNA
monocatenario
a
polarità
positiva.
Possiede
un
unico
antigene
(HA-‐Ag),
un
unico
sierotipo
che
contempla
4
genotipi
diversi.
In
Italia
è
ormai
raro,
se
ne
vedono
pochissimi
casi,
ma
era
frequente
fino
agli
anni
’60,
quando
le
condizioni
sociosanitarie
del
nostro
paese
non
erano
ancora
ai
livelli
attuali.
Pertanto,
la
prevalenza
di
IgG
anti
HA-‐Ag
è
andata
scemando
negli
anni:
questo
significa
anche
che,
se
si
hanno
in
programma
viaggi
in
aree
endemiche
per
HAV,
è
consigliabile
effettuare
la
vaccinazione
(vaccino
inattivato).
Si
tratta
di
un
virus
un
po’
più
complesso.
Appartiene
alla
famiglia
degli
hepadnavirus,
genere
Reversivirus.
Ha
un
virione
sferico
dotato
di
envelope,
sul
quale
è
presente
l’antigene
HbsAg.
Il
nucleocapside
presenta
gli
antigeni
del
core
(HBcAg),
l’antigene
solubile
(HBeAg)
e
contiene
un
genoma
a
DNA
bicatenario.
Il
virus
HBV
causa
un
danno
immunomediato,
e
non
citopatico
diretto.
Bisogna
considerare
che
in
Italia
il
90%
dei
49
49 / 356
portatori
di
epatite
cronica
HBV
ha
la
variante
pre-‐core,
cioè
un’epatite
HBeAg-‐.
HBV
possiede
anche
una
proteina
X,
dotata
di
effetto
cancerogeno
diretto.
$<&#
$<?
&<"
!"# &<># &<=#
$%"# &<@
&%$# &<A
'&# &<$
&<?
?<"#
?<" ?<@>#
?<@
?<A
?<$
?<?
()*+,-../0-1/2345+,562157+()*89:;* B1/6C3/ D51E/63/ F2/.3/+ GH/I6/ D15C3/
! !
I
portatori
cronici
di
HBsAg
nel
mondo
sono
circa
400
milioni,
e
4
milioni
sono
i
coinfetti
HIV/HBV,
concentrati
soprattutto
nell’Africa
subsahariana.
Un
tempo
era
più
frequente
la
coinfezione
da
virus
delta,
cosa
che
oggi
si
vede
tutto
sommato
raramente.
Se
prima
l’HBV
era
un’importante
causa
di
epatite
cronica,
oggi
la
causa
più
importante
dal
punto
di
vista
infettivo
è
senz’altro
l’HCV.
Storia naturale
L’infezione
è
asintomatica
nel
50-‐90%
dei
casi,
soprattutto
in
età
pediatrica.
In
età
adulta
l’infezione
si
manifesta
in
una
certa
percentuale
di
casi
come
epatite
acuta
(10-‐
50%,
a
seconda
delle
casistiche)
che
può
cronicizzare,
sebbene
questo
si
verifichi
raramente.
Se
contratta
per
via
materno-‐fetale,
quasi
sempre
si
ha
la
cronicizzazione,
e
anche
nel
bambino
in
età
pediatrica
si
ha
una
più
elevata
probabilità
di
cronicizzazione.
L’89-‐90%
dei
soggetti
guarisce
completamente
a
seguito
dell’infezione
acuta.
La
manifestazione
fulminante
è
molto
più
frequente
rispetto
a
quanto
si
vede
con
il
virus
dell’epatite
A.
50
50 / 356
Infezione
da
HDV
Scoperto
in
Italia,
il
virus
delta
è
un
virus
difettivo,
sul
tipo
dei
viroidi
delle
piante.
Per
infettare,
necessita
della
presenza
dell’HBsAg.
Pertanto,
coinfetta
o
sovrinfetta
insieme
all’HBV.
Oggigiorno
è
diventato
più
raro
(negli
anni
’70
in
Italia,
infettava
il
25%
dei
portatori
di
HBV).
"#$%&!'(!&)#*(*&!+(,#-&!
#"$*#!./0!(1!(*#-(#2!3445
!#)
''#(
!"#$ *+,
*-,
*.,
+/012
%&#"
6789:;!%&(&+#
!
Decorso
! virali
acute
clinico
delle
epatiti
Le
forme
più
lievi
o
asintomatiche
in
genere
si
risolvono
con
un
decorso
più
o
meno
protratto
o,
nel
caso
di
epatiti
B
o
C,
possono
andare
incontro
a
cronicizzazione.
Le
forme
itteriche
hanno
un’evoluzione
più
variegata:
• Possono
risolversi
con
un
decorso
più
o
meno
protratto
(a
volte
anche
mesi)
• Possono
cronicizzare
(se
B
o
C)
• Possono
avere
un
decorso
fulminante
(subacuto)
nel
giro
di
2-‐3
settimane,
portando
il
paziente
a
morte
in
circa
la
emtà
dei
casi.
I
prodromi
sono
quelli
classici
da
viremia
e
in
genere
non
consentono
di
fare
diagnosi
di
epatite,
ma
fanno
piuttosto
pensare
ad
una
sindrome
simil-‐influenzale:
51
51 / 356
• Artralgia
• Mialgia
• Cefalea
• Tosse
• Malessere
generalizzato
• Anoressia
• Vomito
• Febbre
• Intolleranza
per
il
fumo
Nell’epatite
B
può
essere
presente
un
rash
cutaneo
acrale
di
tipo
eritemato-‐papuloso,
da
deposizione
di
immunocomplessi,
ma
oggi
si
vede
molto
raramente.
Nel
periodo
itterico
il
paziente
si
accorge
dell’epatite
a
causa
della
comparsa
di
ittero
(soprattutto
sclerale)
e
a
causa
della
produzione
di
urine
ipercromiche,
scure,
e
di
feci
ipocoliche
o
acoliche.
L’ittero
è
da
iperbilirubinemia
mista.
Tipicamente,
nel
periodo
itterico
i
sintomi
prodromici
si
attenuano
ma
emerge
un
senso
di
prostrazione
profonda
e
di
malessere
generale.
È
quasi
sempre
presente
epatomegalia,
talvolta
anche
splenomegalia.
L’elevazione
delle
transaminasi
è
un
riscontro
tipico,
soprattutto
si
assiste
ad
un
aumento
della
ALT
rispetto
alla
AST.
Aumenta
anche
l’LDH
come
indice
di
citolisi,
mentre
ipoalbuminemia
e
ipoprotrombinemia
sono
riscontri
incostanti
e
comunque
di
grado
lieve
(eccetto
che
nelle
forme
fulminanti,
dove
queste
alterazioni
sono
evidenti).
Epatite Fulminante
Dopo
un
periodo
di
incubazione
variabile
da
un’ora
a
varie
settimane
subentra
in
genere
la
fase
itterica,
contraddistinta
da
ittero
intenso
e
ipertransaminasemia;
la
situazione
inizierà
a
precipitare
piuttosto
rapidamente
con
sviluppo
di
segni
e
sintomi
tipici
di
un’encefalopatia
epatica
e
crollo
della
funzionalità
del
fegato
(insufficienza
epatocellulare).
Riassumendo,
il
quadro
dell’epatite
fulminante
è
quindi
caratterizzato
da:
52
52 / 356
• Edema
cerebrale
• Instabilità
emodinamica
• Diatesi
emorragica
• Sepsi
• Acidosi
Per
HAV
ed
HEV
è
semplice:
esistono
test
immunoenzimatici
(ELISA)
che
mettono
in
evidenza
le
IgM
e
le
IgG
dirette
contro
il
virus.
Se
si
trovano
IgM
e
non
IgG
siamo
di
fronte
alla
fase
di
acuzie
di
un’epatite;
se
facciamo
il
test
in
fase
più
avanzata
riscontriamo
anche
le
IgG;
pazienti
che
hanno
solo
IgG
e
non
IgM
sono
vaccinati
oppure
hanno
contratto
in
precedenza
l’infezione,
e
si
può
escludere
che
abbiano
un
processo
epatitico
da
virus
in
atto.
Le
IgM
scompaiono
dopo
pochi
mesi.
HBV
DNA
(Si
usa
solo
nelle
forme
croniche
per
monitorare
‘efficacia
della
terapia
e
•
decidere
quando
iniziarla,
non
si
usa
mai
per
la
diagnosi
delle
forme
acute!)
• Per
la
diagnosi
di
epatite
acuta
da
virus
B
occorre
il
riscontro
dell’HBsAg
e
delle
IgM
anti
HbcAg.
• Nella
fase
di
convalescenza
compariranno
le
IgG
anti
HBcAg.
!"#$%$!&#'($#&)*+ ,
&-&%./!0%1.!&'1.&2(#3%2%1.!
• Precocemente
riscontreremo
l’HBeAg,
mentre
più
tardivamente
ma
sempre
in
fase
acuta
si
avrà
sieroconversione
da
HBeAg
and
anti-‐HBeAg.
• Se
troviamo
anticorpi
anti-‐HBs
47:6;87 significa
che
siamo
in
fase
di
)*5#= 9:67-)*5
guarigione
e
che
il
)*+-H.# paziente
non
sta
$;69<7&9:67-)*> cronicizzando:
ovviamente
$76;<;
ritroveremo
tali
anticorpi
anche
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vaccinati.
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53
53 / 356
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54
54 / 356
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Una
terapia
specifica
esiste
solo
per
l’epatite
C.
Per
il
resto
le
misure
da
attuare
sono
mirate
al
supporto
del
paziente:
• Astensione
dall’alcol
• Dieta
leggera
• Riposo
• Polivitaminici
• Glucosata
• Vitamina
K
Epatite C
HCV
è
un
virus
a
RNA
appartenente
alla
famiglia
dei
Flaviviridae.
Esso
è
dotato
di
un
envelope
lipoproteico
e
possiede
un
singolo
filamento
di
RNA
a
polarità
positiva.
Oltre
ad
essere
un
virus
epatotropo,
HCV
può
a
tutti
gli
effetti
infettare
le
cellule
B
umane.
Il
virus
si
localizza
nel
citoplasma
delle
cellule
infettate;
qui,
utilizzando
la
sua
RNA
polimerasi
RNA-‐dipendente,
trascrive
il
suo
RNA
in
un
nuovo
filamento
di
RNA
monocatenario
a
polarità
negativa,
che
sarà
successivamente
utilizzato
come
stampo.
Alla
fine,
l’RNA
virale
è
tradotto
come
un’unica
poliproteina,
che
successivamente
sarà
55
55 / 356
clivata
dalle
proteasi
virali
a
formare
le
diverse
proteine
costituenti
il
virus.
Tali
proteine
sono
strutturali
(Core,
E1,
E2)
e
non
strutturali
(NS1-‐5).
Epidemiologia
Nel
Nord
Africa
l’epatite
C
è
estremamente
frequente:
addirittura,
in
Egitto,
si
stima
una
prevalenza
superiore
al
20%
della
popolazione.
La
modalità
principale
per
la
trasmissione
del
virus
è
quella
parenterale
apparente
o
inapparente.
Per
modalità
parenterale
apparente
si
intendono
tutte
quelle
situazioni
in
cui
è
palese
il
contatto
con
sangue
o
emoderivati
provenienti
da
individui
affetti,
per
esempio:
56
56 / 356
resistere
nell’ambiente
mantenendo
la
sua
capacità
infettante
fino
a
circa
72
ore.
Esempi
di
modalità
parenterali
inapparenti:
a. Uso
di
droghe
per
via
endovenosa
con
uso
promiscuo
delle
siringhe
b. Uso
promiscuo
di
articoli
personali
potenzialmente
contaminati
(es:
pettini,
rasoi,
forbici,
spazzolini
da
denti,
…)
c. Puntura
accidentale
con
siringhe
e
aghi
in
ambito
professionale
(infermieri,
medici,
personale
di
laboratorio…)
d. Cure
estetiche
o
odontoiatriche
effettuate
con
materiali
non
adeguatamente
sterilizzati/monouso
(modalità
oggi
abbastanza
rara,
specialmente
nei
Paesi
industrializzati)
e. Tatuaggi
e/o
piercing
effettuati
in
condizioni
igieniche
non
adeguate,
con
materiali
non
sterili
o
utilizzati
da
altre
persone.
Quest’ultima
modalità
ha
assunto
grande
rilevanza
negli
ultimi
due
decenni,
con
la
diffusione
delle
pratiche
di
tatuaggi
e
piercing,
spesso
effettuate
da
personale
non
autorizzato
in
condizioni
igieniche
non
idonee.
Sono
tuttora
molto
rischiosi,
per
esempio,
i
tatuaggi
effettuati
in
Paesi
stranieri
con
livello
socioeconomico
basso
(es:
Sud-‐Est
asiatico…).
Tuttavia,
esistono
casi
in
cui
la
trasmissione
per
via
sessuale
di
HCV
appare
rilevante
(sebbene
non
frequente):
57
57 / 356
a. Non
condividere
oggetti
per
l’igiene
personale
(es:
rasoi,
pettini,
spazzolini,
ecc…).
b. Promuovere
la
massima
igiene
e
pulizia
degli
ambienti
(ma
senza
esagerare!)
c. Per
le
coppie
eterosessuali,
spiegare
che
l’uso
del
preservativo
non
è
strettamente
raccomandato,
sebbene
costituisca
un
ulteriore
elemento
di
protezione.
Ovviamente,
però,
la
protezione
diventa
necessaria
durante
il
ciclo
mestruale.
d. Per
le
coppie
omosessuali,
raccomandare
caldamente
l’uso
del
preservativo
per
i
rapporti
anali.
Ovviamente,
contatti
quali
il
bacio
e
il
sesso
orale
sono
sostanzialmente
a
rischio
zero.
Clinica
Da
quanto
abbiamo
appena
detto
risulta
evidente
che,
nella
maggior
parte
dei
casi,
l’infezione
da
HCV
non
comporta
alcuna
sintomatologia
acuta
che
possa
destare
sospetto:
al
massimo,
possono
essere
presenti
sintomi
simil-‐influenzali
che
difficilmente
potranno
indirizzarci
al
sospetto
di
un’epatite
C.
Per
questo,
nella
maggior
parte
dei
casi,
l’epatite
C
è
diagnosticata
in
fase
di
cronicizzazione,
in
seguito
al
riscontro
occasionale
di
ipertransaminasemia
o
di
positività
allo
screening
per
HCV
in
popolazioni
particolari.
Ai
fini
prognostici,
tuttavia,
lo
sviluppo
di
un’epatite
acuta
vera
e
propria
ha
un
impatto
ben
definito:
si
è
osservata,
infatti,
una
percentuale
di
guarigioni
spontanee
molto
più
elevata
nei
pazienti
che,
in
fase
acuta,
avevano
sviluppato
una
vera
e
propria
epatite;
"#$%&'!('#)%'*+!,&!-./
questo
dato
potrebbe
essere
spiegato
da
una
risposta
immunitaria
più
intensa
e,
quindi,
più
efficace
nell’eradicazione
dell’infezione
sul
nascere.
!"#$%!&"$
!'()*+,')
$8-/+/)2-19/-265:47
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A<,'+1+**-*+,')2B47 ;9-<+=+,')2>47
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! !
58
58 / 356
2. Infezione
cronica
da
HCV
A
prescindere
dallo
sviluppo
o
meno
di
un’epatite
acuta,
la
guarigione
spontanea
dall’infezione
da
HCV
si
osserva
soltanto
nel
20%
dei
pazienti
infettati.
Nel
restante
80%,
l’infezione
assume
le
caratteristiche
di
un’epatite
cronica.
Questo,
perché
la
particolare
biologia
del
virus
HCV
rende
la
risposta
immunologica
nei
suoi
confronti
scarsamente
efficace
nell’eradicazione.
Esistono,
tuttavia,
fattori
che
influenzano
in
modo
notevole
la
probabilità
di
guarigione;
in
particolare,
le
probabilità
di
eradicazione
spontanea
dell’infezione
sono
più
elevate
per:
- Soggetti
giovani
- Soggetti
di
sesso
femminile
- Soggetti
di
razza
caucasica
- Soggetti
con
presentazione
acuta
-
Molto
importante
è
anche
il
locus
IL28,
che
codifica
per
un
interferon
umano.
Esistono
due
possibili
alleli,
denominati
C
e
T.
L’allele
T
produce
una
forma
di
interferon
apparentemente
meno
efficace
nella
risposta
innata
antivirale.
Per
questo,
i
soggetti
con
genotipo
T/T
o
C/T
sono
svantaggiati
rispetto
ai
soggetti
con
genotipo
C/C
–
quest’ultimi,
infatti,
tendono
ad
eradicare
più
facilmente
l’infezione
e
mostrano
comunque
una
migliore
risposta
alla
terapia.
Il
genotipo
C/C
è
molto
diffuso
tra
i
caucasici,
laddove
gli
alleli
T
sono
maggiormente
presenti
nelle
etnie
ispaniche
e
afroamericane.
Quindi,
di
per
sé,
valori
di
ALT
nella
norma
non
escludono
la
possibilità
di
avere
un’epatite
C
cronica.
Da
qui,
l’importanza
dello
screening
–
per
lo
meno
in
individui
per
i
quali
è
ipotizzabile
un
certo
rischio.
La
progressione
del
danno
epatico
in
pazienti
con
infezione
cronica
da
HCV,
in
assenza
di
terapia,
segue
tempi
e
modalità
variabili,
ma
è
generalmente
lenta,
sviluppandosi
nell’arco
di
decenni.
In
effetti,
l’80%
dei
pazienti
con
epatite
cronica
C
mantiene
un
ottimo
compenso
e,
anche
dopo
20-‐30
anni
di
malattia
non
mostra
segni
di
significativa
fibrosi.
Al
contrario,
il
20%
circa
dei
pazienti
progredisce
in
un
arco
di
tempo
variabile
(comunque
lungo)
a
fibrosi
epatica
e
cirrosi
conclamata.
In
questo
caso,
si
osserva
un
incremento
importante
del
rischio
di
epatocarcinoma,
sebbene
in
misura
nettamente
minore
rispetto
a
quanto
osservato
per
HBV.
Specialmente
in
passato,
la
diagnosi
di
epatite
C
veniva
frequentemente
posta
al
manifestarsi
di
una
cirrosi
epatica
conclamata.
La
cirrosi
epatica
conclamata
è
ovviamente
un
fattore
prognostico
negativo,
e
comporta
una
mortalità
annua
del
2-‐3%.
59
59 / 356
Il
decorso
della
malattia
è
in
qualche
modo
influenzato
da
una
serie
di
fattori.
In
particolare,
alcuni
di
essi
possono
accelerare
in
modo
notevole
la
progressione
del
danno
epatico:
ricordiamo,
per
esempio,
l’abuso
di
alcoolici
(le
cirrosi
miste
HCV-‐alcool
correlate
sono
una
percentuale
estremamente
importante
della
casistica)
e
le
condizioni
di
immunodepressione
(prima
tra
tutte,
la
coinfezione
HIV-‐HCV).
Al
contrario,
la
terapia
antivirale
sembra
esercitare
un
effetto
protettivo
anche
in
quei
pazienti
che
non
riescono
a
ottenere
l’eradicazione
dell’infezione,
e
persino
in
pazienti
con
cirrosi
epatica
già
manifesta
al
momento
del
trattamento.
L’infezione
da
HCV,
oltre
ad
interessare
in
modo
diretto
il
fegato,
può
avere
importanti
ripercussioni
su
altri
organi
e
apparati;
la
patogenesi
di
tali
manifestazioni
extraepatiche
risiede
per
lo
più
in
meccanismi
di
deregolazione
immunologica:
come
precedentemente
detto,
HCV
possiede
un
certo
tropismo
per
le
cellule
B,
che
costituiscono
a
tutti
gli
effetti
un
target
di
infezione.
I
cloni
B
infettati
dal
virus
vanno
incontro
a
deregolazione
della
propria
funzione
fisiologica
e
a
difetto
di
attivazione
delle
vie
apoptotiche.
In
breve,
le
sindromi
cliniche
a
patogenesi
potenzialmente
HCV-‐
correlata
sono:
60
60 / 356
1. Test
indiretti
Ovvero,
test
che
evidenziano
la
risposta
anticorpale
nei
confronti
di
uno
o
più
antigeni
di
HCV.
Le
indagini
di
questo
tipo
sono:
- Anti-‐HCV
CLIA
- Anti-‐HCV
CMIA
- RIBA
2. Test
diretti
Ovvero,
test
che
mettono
in
evidenza
la
presenza
del
virus
stesso
attraverso
la
ricerca
di
sue
componenti
antigeniche
o
del
suo
genoma.
In
questo
senso,
troviamo:
- HCV-‐RNA
- HCV
Core-‐Ag
In
che
modo
differiscono
i
due
tipi
di
test?
In
generale,
possiamo
dire
che
i
test
indiretti,
tesi
a
dimostrare
l’esistenza
di
una
risposta
anticorpale
specifica,
sono
penalizzati
da
un
periodo finestra, esattamente come accade nel caso dell’infezione da HIV.
Nel
caso
dell’infezione
da
HCV,
un
titolo
anticorpale
tale
da
rendersi
evidenti
ai
test
indiretti
(CLIA,
CMIA
e
RIBA)
è
generalmente
dimostrabile
non
prima
di
circa
70
giorni
dall’avvenuta
trasmissione.
Di
questo
si
deve
ovviamente
tenere
conto
al
momento
della
richiesta
dell’esame.
Al
contrario,
i
test
diretti
godono
di
un
periodo
finestra
molto
più
breve:
in
particolare,
l’antigenemia
(HCV
Core-‐Ag)
è
evidenziabile
generalmente
a
circa
2
settimane
dall’infezione,
e
rappresenta
quindi
il
test
di
scelta
in
caso
si
sospetti
una
trasmissione
recente
(<70
giorni).
Inoltre,
esiste
un’altra
importante
differenza
tra
test
diretti
ed
indiretti:
i
test
indiretti
valutano
esclusivamente
l’esistenza
di
una
risposta
immunologica
nei
confronti
degli
antigeni
di
HCV
e
non
consentono,
quindi,
di
stabilire
lo
stato
di
attività
o
meno
di
un’eventuale
infezione
da
HCV,
né
tantomeno
di
distinguere
tra
infezione
attiva
e
infezione
pregressa
eradicata
con
persistente
memoria
immunologica.
Al
contrario,
la
positività
dei
test
diretti
testimonia,
di
fatto,
l’esistenza
di
una
replicazione
virale
attiva.
61
61 / 356
I
test
diagnostici
nel
dettaglio
1. Anti-‐HCV
Rappresenta
il
principale
test
sierologico
di
screening
ed
è
oggi
effettuato
con
tecnologia
CMIA
(chemiluminescent
microparticle
immunoassay).
Si
tratta
di
un
test
di
III
generazione
dotato
di
elevatissima
sensibilità
e
specificità,
ma
l’interpretazione
del
risultato
richiede
alcune
precisazioni.
Per
prima
cosa,
occorre
spiegare
che
il
test
CMIA
(come,
del
resto,
il
“vecchio”
CLIA)
valuta
–
attraverso
reazione
antigene/anticorpo
con
liberazione
di
chemiluminescenza
–
la
presenza
–
nel
siero
del
paziente
–
di
anticorpi
in
grado
di
reagire
con
una
batteria
di
antigeni
di
HCV,
ovvero:
antigene
“core”
C22,
NS3,
NS4
ed
NS5.
Il
risultato
è
espresso
come
rapporto
tra
densità
ottica
del
campione
in
esame
(S)
e
valore
cut-off
(CO)
–
S/CO
ratio.
A
seconda
del
valore
di
S/CO
ratio,
si
aprono
diversi
scenari,
che
determinano
interpretazioni
differenti
del
risultato
ottenuto:
a. Il
test
può
essere
negativo,
se
non
si
osserva
reattività
tra
siero
del
paziente
e
antigeni
in
esame.
A
meno
che
non
si
tratti
di
un
paziente
severamente
immunodepresso
o
agammaglobulinemico,
non
occorre
effettuare
ulteriori
indagini.
b. In
presenza
di
S/CO
ratio
>5,
si
conclude
che
il
test
CMIA
è
positivo.
Dal
punto
di
vista
clinico,
il
paziente
può
essere
affetto
da
epatite
C
oppure
può
aver
contratto
in
passato
l’infezione
riuscendo
ad
eradicarla.
Il
test,
in
sostanza,
non
è
in
grado
di
stabilire
lo
stato
di
attività
o
meno
dell’eventuale
infezione
da
HCV.
c. Se
S/CO
ratio
<
5,
il
referto
riporterà
“reattività
debole”
o
“borderline”.
Per
questo,
il
test
anti-HCV
rappresenta
una
metodica
di
screening
che
richiede,
in
caso
di
risultato
positivo
o
debolmente
positivo,
la
conferma
tramite
altri
test.
In
particolare,
i
test
di
conferma
più
utilizzati
sono
il
RIBA
e
l’HCV-‐RNA.
2. Immunoblotting
(RIBA)
L’immunoblotting
su
striscia
è
il
principale
test
indiretto
di
conferma
in
caso
di
sospetta
infezione
da
HCV.
È
più
specifico
dell’anti-‐HCV
e
pertanto
è
l’indagine
di
elezione
in
caso
di
S/CO
ratio
<5.
I
risultati
possono
essere:
62
62 / 356
b. Indeterminato
!
Il
test
è
non
valutabile
e
sarà
necessario
ripeterlo
dopo
circa
un
mese.
c. Negativo
! Il
test
di
conferma
è
negativo;
a
meno
che
il
paziente
non
sia
gravemente
immunodepresso,
non
è
necessario
effettuare
altri
esami.
63
63 / 356
3. HCV-‐RNA
(viremia
quantitativa)
La
ricerca
dell’HCV-‐RNA
tramite
RT-‐PCR
quantitativa
è
un
importantissimo
strumento
diretto
per
la
conferma
laboratoristica
dell’infezione
da
HCV
e
per
il
monitoraggio
degli
effetti
della
terapia.
Il
test,
infatti,
consente
di
verificare
la
presenza
del
genoma
virale
nel
siero
del
paziente
e
di
caratterizzarla
dal
punto
di
vista
quantitativo
(range
dinamico
30
–
2x108
UI/ml),
fornendo
uno
strumento
utilissimo
per
il
monitoraggio
in
corso
di
trattamento.
Inoltre,
i
livelli
di
viremia
forniscono
importanti
indicazioni
circa
la
probabilità
di
risposta
al
trattamento,
laddove
viremie
>2x108
rappresentano
un
fattore
predittivo
di
scarsa
risposta.
4. Genotipizzazione
Sono
stati
identificati
6
genotipi
di
HCV
(da
1
a
6)
e
diversi
sottotipi
degli
stessi
(a,
b,
c).
Sono
disponibili
diversi
test
commerciali
per
la
determinazione
dei
genotipi
e
sottotipi:
il
più
diffuso
è
il
test
Inno-‐Lipa.
La
determinazione
del
genotipo
è
utilizzata
per
studi
epidemiologici
o,
nel
singolo
individuo,
per
determinare
la
probabilità
di
risposta
e
il
protocollo
terapeutico
con
antivirali.
Viene
pertanto
eseguito
soltanto
in
previsione
della
terapia
per
valutare
la
probabilità
di
risposta
e
per
stabilire
la
durata
del
trattamento.
La
conoscenza
del
genotipo,
di
per
sé,
non
determina
la
decisione
terapeutica.
In
casi
in
cui
la
decisione
terapeutica
è
difficile
(ad
esempio
nei
soggetti
di
età
avanzata)
può
rappresentare
un
dato
aggiuntivo
che
aiuta
a
scegliere
se
trattare
o
no
il
soggetto.
5. Antigenemia
HCV
Core-‐Ag
La
ricerca
dell’antigene
Core
rappresenta
un
utile
test
di
conferma
diretto.
Come
abbiamo
visto,
presenta
il
grosso
vantaggio
di
un
periodo
finestra
molto
breve
(circa
2
settimane),
di
una
grande
sensibilità
e
di
un’assoluta
specificità.
E’,
ovviamente,
il
test
di
scelta
in
soggetti
immunodepressi
in
cui
una
ridotta
risposta
anticorpale
potrebbe
determinare
una
falsa
negatività
agli
anti-‐HCV
o
all’immunoblotting.
Un
risultato
positivo,
in
ogni
caso,
conferma
l’attività
replicativa
di
HCV
e
consente
di
fare
diagnosi.
Un
risultato
negativo
in
caso
di
positività
ad
altri
test
(es:
immunoblotting)
si
riscontra
talvolta
in
casi
di
infezione
attiva
con
minima
replicazione
virale
o,
a
maggior
ragione,
in
casi
di
infezione
pregressa
con
guarigione.
Di
seguito,
riportiamo
una
utile
flow-‐chart
che
ci
guida
all’utilizzo
e
all’interpretazione
dei
test
diagnostici.
64
64 / 356
Trattamento
dell’infezione
da
HCV
La
scelta
di
iniziare
il
trattamento
è
un
momento
molto
importante:
la
terapia
durerà
a
lungo
(48
settimane
per
i
genotipi
1
e
4,
24
settimane
per
i
genotipi
2
e
3),
dovrà
essere
assunta
rispettando
la
totale
aderenza
al
regime
terapeutico
prescritto
(puntualità
nelle
dosi,
ecc…)
e
comporterà
effetti
collaterali
estremamente
importanti,
causati
soprattutto
dalla
somministrazione
di
IFN
2α
(molto
importante,
però,
anche
la
tossicità
da
ribavirina,
che
può
esprimersi
anche
in
forma
di
anemia
emolitica
potenzialmente
severa).
E’
quindi
assolutamente
necessario
che
il
paziente
sia
motivato
e
in
buone
condizioni
di
salute,
o
almeno
in
assenza
di
comorbidità
che
controindichino
in
modo
assoluto
il
trattamento.
Come
accennato,
sebbene
il
genpotipo
virale
non
condizioni
la
gravità
della
malattia,
le
probabilità
di
eradicazione
dell’infezione
sono
più
elevate
per
i
genotipi
2
e
3,
mentre
nel
caso
del
genotipo
1
si
osserva
la
percentuale
più
elevata
di
insuccessi
terapeutici
(e,
purtroppo,
il
genotipo
1
è
responsabile
del
55%
delle
infezioni
in
Italia…).
E’
quindi
importante
considerare
i
fattori
prognostici
pre-‐terapia
per
farsi
un’idea
della
probabilità
di
eradicazione
dell’infezione;
sono
fattori
che
influenzano
negativamente
la
riuscita
del
trattamento:
a. Genotipo
2
e
3
b. Infezione
recente
c. Età
<40
anni
d. Genotipo
C/C
al
locus
IL28
e. Etnia
caucasica
f. Sesso
femminile
g. Bassa
carica
viremica
65
65 / 356
Tuttavia,
è
stato
dimostrato
in
modo
inequivocabile
che
il
trattamento
dell’infezione
è
in
grado
di
migliorare
la
storia
naturale
della
malattia
a
prescindere
dal
successo
terapeutico:
ovvero,
anche
in
caso
di
insuccesso
terapeutico,
la
terapia
esercita
comunque
un
effetto
benefico
sulle
condizioni
generali
del
paziente,
e
può
anche
rallentare
o
bloccare
la
progressione
a
cirrosi
epatica;
nei
pazienti
cirrotici,
la
terapia
sembra
in
grado
di
rallentare
sensibilmente
la
progressione
del
danno
epatico.
Come
si
monitora
l’efficacia
della
terapia?
Attraverso
l’HCV-RNA
quantitativo
dosato
al
tempo
“0”
e
poi
a
time-points
codificati
durante
la
terapia.
In
particolare,
è
molto
importante
la
determinazione
dell’HCV-‐RNA
dopo
la
12esima
settimana
di
terapia:
in
questo
contesto,
un
HCV-‐RNA
negativo
o
la
sua
riduzione
di
almeno
2
log
rispetto
ai
livelli
pre-‐terapia
configura
la
cosiddetta
risposta
virologica
precoce
(EVR).
Il
time-
point
più
importante
è
però
quello
della
24esima
settimana:
in
questo
caso,
un
HCV-‐RNA
negativo
o
la
sua
riduzione
di
almeno
2
log
rispetto
ai
livelli
pre-‐terapia
configura
la
sustained
virological
response
(SVR),
obiettivo
che
prelude
all’eradicazione
completa
dell’infezione.
Circa
l’85%
dei
pazienti
con
genotipo
2
e
3
raggiunge
la
SVR;
in
caso
di
mancata
SVR,
per
questi
genotipi
esiste
comunque
una
probabilità
non
indifferente
di
ottenere
l’eradicazione
dell’infezione
con
la
prosecuzione
del
trattamento.
Al
contrario,
solo
il
50%
dei
pazienti
con
genotipo
1
raggiunge
la
SVR:
in
caso
di
mancata
SVR,
per
questi
pazienti
la
probabilità
di
risposta
alla
terapia
è
solo
dell’1%.
Pertanto,
quando
un
paziente
con
genotipo
1
non
ottiene
la
SVR
alla
24esima
settimana,
si
può
valutare
eventualmente
la
possibilità
di
rinunciare
alla
prosecuzione
del
trattamento.
Al
contrario,
quando
un
paziente
con
genotipo
1
ottiene
la
EVR,
si
può
valutare
la
possibilità
di
ridurre
la
durata
del
trattamento
a
24
settimane
(sebbene
questo
comporti
un
leggero
aumento
del
tasso
di
recidiva
al
follow-‐up).
Ovviamente,
al
termine
di
una
terapia
che
abbia
avuto
successo
(HCV-‐RNA
negativo
alla
24esima
settimana
e
a
fine
terapia)
si
instaura
un
follow-up
basato
sul
dosaggio
periodico
dell’HCV-‐RNA.
Le
recidive
sono
possibilissime,
ma
si
concentrano
nei
primi
mesi
dopo
la
fine
del
trattamento,
dopodiché
divengono
progressivamente
sempre
meno
probabili.
Un
paziente
persistentemente
HCV-‐RNA
negativo
dopo
6
mesi
si
può
ritenere
con
elevata
probabilità
guarito,
e
sarà
seguito
nel
tempo
per
valutare
eventualmente
la
presenza
di
danno
epatico.
Un
paziente
ancora
HCV-‐Rna
positivo
dopo
la
fine
della
terapia
potrà
essere
avviato
ad
altre
linee
terapeutiche
o
terapie
sperimentali,
molte
delle
quali
estremamente
efficaci
e
promettenti.
66
66 / 356
Genotipo
Schema
Durata
1a,
1b,
4
a. Ribavirina
48
settimane
- 1000
mg/die
(<75
kg)
- 1200
mg/die
(>75
kg)
24
settimane
in
caso
di
- 1400
mg/die
(>105
kg)
EVR
Interferon
α-‐2a
(Pegasys)
- 180
mcg/settimana
sottocute
- 135
mcg/settimana
sottocute
(insufficienza
renale)
b. Ribavirina
(vedi
sopra)
Interferon
α-‐2a
(vedi
sopra)
Boceprevir
(Telaprevir)
c. Ribavirina
(vedi
sopra)
Interferon
α-‐2a
(vedi
sopra)
Sofosbuvir
d. Sofosbuvir
Ledipasvir
Ribavirina
2,
3
e. Ribavirina
24
settimane
- 800
mg/die
Interferon
α-‐2a
(Pegasys)
- 180
mcg/settimana
sottocute
Nuovi farmaci
Una
novità
ancora
più
entusiasmante
è
però
rappresentata
da
una
nuova
classe
di
farmaci,
noti
come
agenti
antivirali
diretti.
Si
tratta
di
inibitori
diretti
della
polimerasi
di
HCV
(NS5B)
e
di
inibitori
della
componente
strutturale
NS5A.
67
67 / 356
Ledipasvir
è
il
primo
inibitore
di
NS5A:
attualmente
è
allo
studio
in
combinazione
con
il
solo
sofosbuvir
(è
prodotto
dalla
stessa
casa
farmaceutica)
in
formulazione
unica
precostituita,
da
associare
a
ribavirina:
i
risultati
dei
trials
effettuati
sino
a
questo
momento
sono
stati
strabilianti:
una
SVR
è
stata
ottenuta
in
più
del
95%
dei
pazienti
con
genotipo
1
(a
prescindere
dallo
stato
di
treatment-‐naive
o
meno)
con
cicli
terapeutici
molto
più
brevi
di
quelli
attualmente
in
uso,
con
un
profilo
di
tollerabilità
assolutamente
favorevole.
68
68 / 356
5. Patologie
infettive
di
importazione
Una
caratteristica
ormai
strutturale
del
mondo
attuale
è
l’accresciuta
mobilità
umana,
divenuta
un
fenomeno
stabile
e
sempre
più
consistente.
Anno
dopo
anno,
sono
sempre
di
più
le
persone
che
intraprendono
viaggi
internazionali
(circa
700
milioni)
ed
è
in
aumento
la
quota
di
persone
che
si
recano
in
aree
tropicali
(circa
18
milioni
gli
italiani)
con
un
rischio
significativo
di
ammalarsi
e
di
diventare
un
veicolo
di
infezione.
Secondo
recenti
studi,
dal
15
al
37%
di
persone
che
fanno
viaggi
internazionali
(soprattutto
in
aree
tropicali)
manifestano
uno
o
più
problemi
di
salute
e
l’11%
contrae
la
febbre;
è
quindi
essenziale
valutare
se
l’individuo,
al
suo
ritorno,
ha
eventualmente
contratto
una
patologia
infettiva
potenzialmente
letale
e/o
decisamente
contagiosa,
con
alto
rischio
per
la
sanità
pubblica!
Un’utile
regola
pratica:
“Chiunque
sviluppi
febbre
di
qualsiasi
tipo
dopo
un
viaggio
in
un’area
a
rischio
di
trasmissione
malarica
deve
essere
considerato
affetto
da
malaria
fino
a
prova
contraria!”
A)
Malaria
Malattia
infettiva
febbrile
diffusa
in
tutto
il
mondo,
ad
andamento
acuto
o
subacuto,
a
trasmissione
vettoriale,
provocata
da
alcune
specie
di
protozoi
del
genere
Plasmodium.
69
69 / 356
Questo
grafico,
invece,
mostra
il
tasso
di
mortalità
specifico:
Il
vettore
del
patogeno
responsabile
dell’infezione
malarica
è
la
femmina
della
zanzara
anopheles,
rinvenuta
in
fossili
che
ne
testimoniano
la
presenza
già
30
milioni
di
anni
fa.
Questo
insetto
predilige
le
aree
paludose
dei
paesi
caldi,
e
anche
molte
aree
del
mediterraneo
rispondono
a
queste
caratteristiche;
nel
nostro
paese,
infatti,
la
zanzara
anopheles
(specialmente
Anopheles
labranchiae)
ha
sempre
goduto
di
una
notevole
diffusione,
specialmente
nelle
aree
paludose
e
costiere.
Questa
era
la
situazione
nel
1946:
!
!"#$%&'%$#&$(')
! Certamente,
però,
il
legame
della
()*)+',)%#$*%-./0! zanzara
con
la
patologia
non
era
evidente,
per
lo
meno
agli
occhi
della
popolazione.
Si
sapeva
che
esistevano
"#$%##& malattie
febbrili
ricorrenti
che,
prima
"'(%#$%)&*+% o
poi,
potevano
portare
a
morte.
Il
"'(,)%-(%#$%)&*+%
"'%.%#$%)&*+% nome
stesso,
“malaria”,
significa
“aria
cattiva”,
proprio
perché
si
riteneva
che
la
patologia
fosse
da
mettere
in
relazione
con
una
generica
corruzione
! ! dell’aria.
! !
70
70 / 356
L’uso
e
la
diffusione
del
chinino
(1901-‐1904)
furono
in
grado
di
determinare
una
prima
significativa
discesa
del
numero
di
morti
per
malaria
in
italia;
durante
la
prima
guerra
mondiale
si
ebbe
un
nuovo
aumento
dei
morti
–
com’è
normale
in
condizioni
di
guerra
e
carestia.
Negli
anni
’20,
le
opere
di
bonifica
e
la
migliore
organizzazione
del
sistema
assistenziale
determinarono
una
seconda
significativa
diminuzione
della
mortalità,
che
comunque
rimase
considerevole
fino
al
secondo
dopoguerra.
Nel
dopoguerra,
fu
introdotto
il
DDT
ad
opera
degli
Alleati,
e
la
disinfestazione
portò
gradualmente
alla
eradicazione
della
malaria.
Gli
ultimi
casi
autoctoni
(da
Plasmodium
vivax)
in
Italia
si
sono
registrati
negli
anni
’60
(Sicilia),
dopodiché
non
se
ne
sono
più
verificati.
Oggi
l’Italia
è
considerata
come
area
Malaria-‐free.
La
malaria
ha
comunque
inciso
moltissimo
sulla
storia
del
nostro
Paese
in
termini
di
abbandono
delle
aree
infestate
e
in
termini
di
mortalità.
La
scomparsa
della
malaria
in
Italia
ha
determinato
un
certo
disinteresse
nei
!"#"$%"&'(%)*+$,"-%+./&%.&0,"#%"1&233456447
confronti
della
malaria,
con
conseguente
minore
conoscenza
di
questa
infezione
da
parte
dei
medici,
che
sempre
più
spesso
non
sono
sufficiente
istruiti
su
questa
patologia.
89&:";%
! !
Negli
ultimi
due
decenni,
M-#-8.-$.+$>,-#.-
vediamo
come
i
casi
tra
gli
italiani
continuino
a
diminuire,
grazie
anche
alla
maggiore
educazione
che
è
stata
impartita
ai
viaggiatori
e
a
chi
si
trovi
a
!soggiornare
!"#$%&&%'%&&($)*+*$),-,.$+*,./.0-,.$12134$0-).
in
aree
endemiche,
e
grazie
anche
alla
profilassi
che
viene
effettuata.
I
viaggi
in
Africa
(soprattutto
in
Kenya)
sono
il
principale
fattore
di
rischio
che
va
!5*+,.+6-$.#$7"08"9"+,*$7.$0-).$.+$0.,,-7.+.$.,-#.-+.$
ricercato
nell’anamnesi.
Per
quanto
riguarda
gli
stranieri
immigrati
in
Italia
–
%1:1;$+"#$%&&($8.)<",,*$-#$%=;$+"#$%&&%
soprattutto
africani,
si
vede
come
dalla
fine
degli
anni
90
diventino
sostanzialmente
il
4$0-).$-6,*0,*+. principale
!$>#$!"#$7".$0-).$).$?"8./.0-+*$.+$)*@@",,.$7.$*8.@.+"$A/8.0-+-$BC4;$7"##D$ gruppo
sociale
A/8.0-$E00.7"+,-#"F responsabile
dell’incidenza
dei
!"##D=4:(;$7".$0-).$).$,8-,,-$7.$!"#$%&'()%*+, casi
di
malaria
in
Italia.
Essi,
nei
G*+*$.+$.+08"9"+,*$.$0-).$7*?6,.$-$!"#-.%&/ paesi
d’origine
!".(.%0$H$#-$0-6)-$<.I$.9<*8,-+,"$7.$.+/"J.*+"$0*+,8-,,"$.+$ sviluppano
uno
A).-$"$A9"8.0-$7"#$G67 stato
di
semi-‐
immunità
(o
tolleranza)
nei
confronti
del
patogeno,
sottoposti
a
continui
stimoli
infettivi;
pertanto,
!
vivono
normalmente
!con
un
esiguo
numero
di
parassiti
nel
proprio
organismo.
K*9.:$L*00*#.+.:$M-N*8.$O.*8+-#"$>,-#.-+*$7.$M"7.0.+-$P8*<.0-#":?*#2Q:$!$R'4:$%&&%
71
71 / 356
questo
stato
di
tolleranza:
pertanto,
se
queste
persone
fanno
ritorno
nel
proprio
paese
!"#"$%"&'(%)*+$,"-%+./&%.&0,"#%"&
d’origine
(per
un
viaggio)
hanno
la
possibilità
di
contrarre
la
malaria
e
di
sviluppare
quadri
gravi
come
quelli
che
sviluppano
gli
italiani
“naifs”.
*/$&1*/2%/&*#"1)+'%"#/3&4554657
Questo
grafico
a
fianco
mostra
la
diversa
!"#3(3%4 67$89#,(:;8#
#5/512 1/<12 prevalenza
delle
varie
specie
plasmodiche
!"#,%&%*(%8#
>/?12
nelle
infezioni
malariche
di
importazione,
mettendo
in
evidenza
come
il
P.
falciparum
!"#=3%&8
02 sia
il
patogeno
prevalente.
! Nel
1997,
a
Castiglione
della
Pescaia,
si
verificò
un
caso
di
malaria
in
una
anziana
contadina
dell’area.
Si
scoprì
che
poco
distante
viveva
una
ragazzina
indiana,
da
poco
rientrata
dall’India,
che
fu
constata
essere
parassitemica.
La
trasmissione,
però,
richiede
J%#%2/%*/5*:)%#/%
il
vettore:
in
effetti,
fu
riscontrata
la
presenza
di
ceppi
di
Anopheles
labranchiae
in
grado
di
essere
infettate
dal
plasmodium
e
quindi
di
farsi
vettore.
Teoricamente,
quindi,
in
!"##$%&'()'*+"#*,--.*(/*0*1"2/3/4%)'*/5*62'1/54/%*+/*72'((")'*/#*62/8'*"+*
Italia
è
possibile
la
trasmissione
perché
le
Anopheles
sono
ancora
presenti;
95/4'*4%('*+/*8%#%2/%*%9)'4)'5%*/5*:)%#/%*+'6'*#$"2%+/4%;/'5"*****************
fortunatamente,
però,
esse
non
sono
in
grado
di
trasmettere
il
P.
falciparum.
Nel
caso
di
95$%5;/%5%*+'55%*4'5)%&/%)%*+%*95%*<%8</5%*/5+/%5%*6%2%((/)"8/4%
Castiglione,
si
trattava
di
P.
vivax,
molto
meno
temibile.
;""#$%&".&"10#&.&6$".$"!"#$#%&"'"!(")#%*'
;""5$<$1&$"#1&/7&#$"-".$"=$>$><&2"0".$"$102/21728
;""5$<$1&$"&3.277$"-71$%?9%&23&".&"%$3>90@"71$/&$372".A21>$32@"
72%%.&/03.037&"/01"6&$"03.26032%$@$##&.037$<&8
Anche
se
il
potenziale
malariageno
del
territorio
italiano
è
decisamente
basso,
con
un
basso
numero
di
portatori
di
gametociti
(vulnerabilità)
nei
mesi
di
maggiore
densità
dei
vettori,
una
più
attenta
opera
di
sorveglianza
e
prevenzione
e
un
adeguato
monitoraggio
!3.&6&.9$B&230".0&"?$7721&".&"1&%#4&2
ambientale,
comporterebbero
un
rischio
ancor
più
ridotto.
! !
72
72 / 356
I
plasmodi
• Plasmodium
vivax
• Plasmodium
falciparum
• Plasmodium
ovale
• Plasmodium
malariae
• (Plasmodium
knowlesi)
Ciclo
sporogonio
(sessuato):
La
Anopheles,
con
il
pasto
(tramite
capillary
feeding
su
uno
dei
nostri
vasellini)
ai
danni
di
un
paziente
con
gametociti
circolanti
assume,
assieme
al
sangue,
anche
i
suddetti
gametociti
del
plasmodium;
giunti
all’interno
dello
stomaco
della
anopheles,
i
gametociti
maschili
e
femminili
si
uniscono
ed
avviene
la
fecondazione;
si
forma
quindi
lo
zigote,
che
diventa
oocinete
ed
infine
oocisti,
una
struttura
piena
di
nuovi
sporozoiti.
L’oocisti
esplode,
e
la
zanzara
si
riempie
di
sporozoiti,
che
si
concentrano
specialmente
nelle
ghiandole
salivari
(NB
la
saliva
serve
per
“anestetizzare-‐lubrificare”
durante
l’incannulamento
del
capillare
ma
anche
per
“anti
coagulare”
il
sangue).
Gli
sporozoiti
sono
quindi
inoculati
nell’uomo
una
volta
che
questo
venga
punto
dall’Anopheles,
che
contemporaneamente,
come
si
è
detto,
assume
anche
i
gametofiti
e
il
ciclo
può
ricominciare.
73
73 / 356
Il
ciclo
sporogonico
impiega
complessivamente
dai
10
ai
25
giorni,
in
dipendenza
soprattutto
dalla
temperatura
ambientale.
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! !
Cicli
Asessuati:
Nell’ospite
umano,
si
devono
verificare
due
cicli
asessuati,
il
primo
epatico,
il
secondo
ematico
e,
una
volta
che
gli
eritrociti
cominciano
ad
essere
lisati
ciclicamente,
si
ha
lo
sviluppo
della
malattia
conclamata.
L’Anopheles
inocula
nell’essere
umano
gli
sporozoiti.
Essi,
nel
giro
di
pochi
minuti,
vengono
trasportati
dal
circolo
ematico
fino
al
fegato,
dove
riconoscono
gli
epatociti
(
si
74
74 / 356
legano
ai
recettori
per
la
trombospondina
e
la
properdina),
li
invadono,
e
danno
inizio
ad
un
ciclo
di
riproduzione
asessuata,
definito
schizogonia
intraepatica.
Attraverso
questo
processo
di
amplificazione,
ciascuno
sporozoite
genera
da
10.000
a
30.000
merozoiti
figli.
Gli
epatociti,
infarciti,
esplodono
(in
modo
asintomatico!)
e
riversano
in
circolo
i
merozoiti.
Nel
caso
di
P.
vivax
e
P.
ovale,
esistono
anche
forme
di
latenza
epatica,
gli
ipnozoiti,
fonte
di
recidive
di
malattia
e
raggiungibili
solo
con
la
primachina.
I
merozoiti,
in
seguito,
invadono
gli
eritrociti,
all’interno
dei
quali
si
moltiplicano
da
6
fino
a
20
volte
in
48-‐72
ore,
per
poi
causare
l’esplosione
dei
globuli
rossi
e
la
parassitemia;
all’interno
degli
eritrociti
i
merozoiti
divengono
trofozoiti:
le
piccole
forme
ad
anello
con
castone
che
caratterizzano
le
prime
fasi
dello
sviluppo
dei
trofozoiti
sono
indistinguibili
tra
una
specie
e
l’altra
di
Plasmodium;
diversamente,
andando
avanti
con
la
maturazione
è
possibile
distinguere
le
varie
specie.
Il
ciclo
eritrocitario
dura
circa
48
ore,
durante
le
quali
il
parassita
consuma
praticamente
la
totalità
dell’emoglobina
e
occupa
tutto
il
volume
eritrocitario
sotto
forma
di
schizonte
eritrocitario.
Infine,
l’eritrocita
esplode
rilasciando
merozoiti,
tutti
in
grado
di
riprodurre
il
ciclo
in
altri
eritrociti,
ovviamente
amplificandolo,
dato
che
sono
numericamente
superiori
alla
generazione
precedente.
Quando
i
parassiti
raggiungono
nel
sangue
una
densità
di
circa
50
per
microlitro,
iniziano
i
sintomi
malarici.
Alcuni
merozoiti,
ad
un
certo
punto
della
loro
vita
in
circolo,
evolvono
in
gametociti:
essi,
assunti
dalla
zanzara
tramite
un
pasto
di
sangue,
si
fonderanno
nel
suo
intestino
medio
a
formare
l’oocinete.
E
il
ciclo
ricomincia.
Risposta dell’ospite
75
75 / 356
Col
tempo,
infine,
si
sviluppa
una
risposta
specifica
in
grado
di
bloccare
la
malattia,
ma
non
di
prevenire
l’infezione:
è
lo
stato
in
cui
si
trovano
molti
abitanti
delle
aree
endemiche,
che
sviluppano
difese
per
un
vasto
repertorio
di
ceppi
di
Plasmodium.
Questo
stato
di
tolleranza
immunitaria,
contraddistinto
da
bassissimi
livelli
di
parassitemia
in
assenza
di
malattia,
può
essere
perduto
se
il
soggetto
si
trasferisce
in
un’area
non
endemica.
!"#"$%"&'#%(%'"
Clinica
!"#!!"#$%&'()*+,%-%+&!$!%&''()(%#!(* In
definitiva,
comunque,
quanto
tempo
passa
dall’infezione
alla
+,!.*)%&$&'$%'./0.120341-!
manifestazione
dei
sintomi?
Si
ritiene
che
il
minimo
tempo
'.//0!(*123(#*2!.//.!'(4#%56.3(#*2!'2(!7.6.%%(5(!*2/!%.*8&2 necessario
sia
di
8-‐9
giorni,
mai
9!"#$%&'($)*+!+:!88 comunque
meno
di
una
settimana.
Generalmente,
nel
9!",',$-./.!"0,$%/!+;<+=!88
viaggiatore,
si
verifica
entro
un
9!"+$%$)'$/!:><;?88 mese
dal
rientro.
Per
q!uanto
riguarda
le
principali
!
differenze
cliniche:
76
76 / 356
Il
nostro
principale
obiettivo,
allora,
è
riuscire
a
capire
il
più
rapidamente
possibile
se
siamo
di
fronte
ad
un
paziente
affetto
malaria
e
poi
se
questa
è
causata
da
Plasmodi
falciparum
o
non
falciparum
(la
prognosi
e
l’approccio
terapeutico
sono
assolutamente
differenti!).
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! !
2.5:+.!+!-1>061
Il
classico
attacco
malarico
è
il
culmine
di
un
ciclo
che
si
ripete
con
cadenza
terzana
o
quartana
e
si
articola
in
questo
modo;
il
paziente
inizia
ad
accusare
brivido
scuotente,
violentissimo.
Appare
un
po’
cianotico
a
causa
della
vasocostrizione
periferica.
Dopo
un
paio
d’ore
di
brividi
e
sensazione
di
freddo,
sale
la
febbre
alta
e
si
ha
intensa
sensazione
di
calore,
spesso
cefalea,
a
volte
nausea
e
vomito.
Nei
bambini
si
possono
verificare
episodi
convulsivi.
In
genere
questa
fase
dura
circa
6
ore
(una
notte,
più
o
meno).
Infine,
l’ingente
sudorazione
riporta
la
temperatura
su
livelli
normali
e
il
paziente
è
fortemente
spossato.
In
realtà,
però
queste
manifestazioni
“tipiche”
non
si
osservano
quasi
mai
nei
pazienti
che
vediamo
in
Italia,
soprattutto
perché
ci
troviamo
ad
affrontare
quasi
sempre
casi
di
falciparum
contratti
in
viaggio
o
importati,
quindi
non
c’è
il
tempo
materiali
affinché
!"#"$%"&'#%(%'"
si
sviluppi
il
quadro
ciclico
sopra
descritto.
I
!"#$"%&'()*(+$(,(+$(%-%.-+$",-%."+"%/0123454346
sintomi
che
osserviamo
in
Italia,
sono
molto
più
aspecifici:
77
77 / 356
• Aumento
del
PT
• Iperbilirubinemia
• Ipocolesterolemia
(parametro
più
specifico
nella
malaria
da
falciparum)
• Ipertrigliceridemia
• Ipoglicemia
(nelle
forme
gravi)
Tutti
questi
esami
comunque
non
sono
conclusivi.
L’unico
metodo
per
fare
diagnosi
di
certezza
è
lo
striscio
di
sangue
periferico.
• Malaria
cerebrale
Stato
confusionale,
insufficienza
cerebrale,
convulsioni,
coma.
• Edema
polmonare
acuto
E’
un
quadro
di
ARDS.
• Insufficienza
renale
grave
La
creatinina
è
elevata;
può
esservi
oliguria,
• Ipoglicemia
Complicanza
molto
grave.
Recidiva:
ricaduta
causata
dalla
persistenza
di
merozoiti
nel
fegato
(ipnozoiti);
può
(ma
non
dovrebbe)
accadere
infatti
che
un
paziente
venga
erroneamente
considerato
guarito
dopo
un
trattamento
con
clorochina
sulla
base
della
distruzione
completa
di
schizonti
e
parassiti
circolanti.
Gli
ipnozoiti
però,
non
essendo
sensibili
alla
cloro
china,
possono
permanere
e
dare
vita
ad
un
nuovo
ciclo
eso-‐eritrocitario
5-‐6
mesi
dopo!!
'+,+-.+/0.+1234.
Diagnosi
78
78 / 356
!!!!!!!!!!!!!!!!!!"#!$%&'%!()!)#*+,)%#+!-./.&)$.
"!#$!%&''(&!)!*+!,&-+.!/+0/,1&+,$'/2&3!4$!+.+!,&41(&!)!0/!
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"!#&!4$+/%&,6$7/.+/!52/+/58&!1.,,.+.!&,,&(&!4.26&12/5/!&!4$/!!!!!!!!!!
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*+*(&--#$.#'#)"#$,"$".(+)-#7"+%&1$*"#$#,$#8"-#%-"$"%$#)&&$
&%,&."/0&$.#$3)#2&.&%-&$#..#'#-"
!
Esame
emoscopico
!
79
79 / 356
Così
appare
uno
striscio
di
sangue
periferico
con
una
notevole
parassitemia.
Esistono
anche
test
rapidi
per
la
diagnosi
di
malaria,
utilizzabili
quando
non
sia
! disponibile
un
! operatore
per
l’esame
emoscopico.
Si
basano
su
metodi
immunocromatografici
che
funzionano
in
modo
analogo
ai
test
di
gravidanza.
Sono
venduti
anche
come
kit
che
eventualmente
i
viaggiatori
possono
portarsi
in
viaggio
ed
utilizzare
autonomamente.
La
PCR
non
è
molto
utile,
anche
perché
non
è
molto
rapida.
Può
essere
invece
molto
utile
per
la
diagnosi
di
specie
e
per
evidenziare
una
malaria
da
forme
miste.
I
metodi
sierologici
sono
poco
utili,
perché
raramente
si
ritrovano
anticorpi
in
fase
acuta.
Terapia
! !
80
80 / 356
!"#"$%"&'($")%"
I
plasmodi
sensibili
alla
clorochina
devono
essere
trattati
con
la
clorochina.
La
clorochina
è
uno
dei
più
importanti
agenti
antimalarici
e
può
essere
somministrato
sia
per
via
orale
che
!"#$%#&"'()*+,%('%&$'+-+$.%/+&)#/)%0%'%
via
parenterale.
1'+-+$.%/(
2#-"&
56&*7897&,%&$'+-+$.%/(&0()#&)#7:%;(&,(&<&*7897&(&=&>&?@>&@A&.3&
2#-&+3)3&
=66&*7&):0%;+&)#7:%;%&,(&B66&*7&(&=>&?@>&@A&.3&C%/&D;('%(&$%&)+/+&
E:#''#&,(&5<6&*7&'#&);#))#&,#''(&"-+F%'())%&#&E:%/,%&@&"%G&?&C=.H&>?&
C?@.H&>?&C@A.H3
1+*"'#;(*#/;+&%/&;-#&7%+-/%&C)+/+&?<&*7897&;+;('%H
La
clorochina
è
efficace,
ben
tollerata
e
quindi
è
certamente
la
soluzione
ideale.
Purtroppo,
però,
la
resistenza
alla
clorochina
è
ormai
molto
diffusa.
Nella
malaria
grave
! !
!"#"$%"&'($")%"
da
falciparum,
pertanto,
usare
la
clorochina
può
essere
un
rischio
e
quindi
si
preferiscono
altri
agenti.
Nel
vivax
e
nell’ovale
la
malaria
è
la
scelta
migliore.
Per
la
malaria
grave
da
falciparum
si
impone
un
trattamento
d’emergenza,
che
viene
#)."#%.KD&
effettuato
per
via
parenterale,
fermo
restando
che
in
caso
di
ritardo
diagnostico
si
ha
!LME?NO&85&;/2725P0&@8&12/0;80&051860<0/8:0&0@243010
comunque
un
15-20%
!Q/277B:FR& di
mortalità
726;/2&A010<2 anche
con
una
terapia
corretta.
Quindi,
per
la
&85&07725P0&@8&12/0;80&0@243010&
terapia
endovenosa
delle
forme
complicate
si
usano:
?&:<0778&@8&A0/60:8&@87;B58C8<8&;2/&8<&1/01106251B&;0/2512/0<2&@2<<0&
60<0/80D
E&,2/89018&0<:0<B8@8&@2<<0&:85:FB50&G:F8585BH&:F858@850I
E&,2/89018&@2<<J0/1268785850&G0/1273501BH&0/12621F2/H&0/126B18<I
! !
81
81 / 356
!"#$#$%&!'%(#)(*+%,&
! *-./01&/223&4-3./&1-53617103./&73.8-9315/&3-&:40/;1
*-./01&/223&4-3./&1-53617103./&73.8-9315/&3-&:40/;1&&<:=:*>&
;80&7?4@/&8-A/B8-/@/&36;3821C378&;80&71&5801;31&A8771&6171031&
201B8
! D.E39/-53.3A1&A3&F1@8&86153.1G&1553B/&@4&54558&78&@;8.38&
;71@6/A3.E8
! D;/01A3.E8&@82-17193/-3&A3&.8;;3&A3&!"#$%&'()%*+,
D;/01A3.E8&@82-17193/-3&A3&.8;;3&A3&!"#$%&'()%*+,&08@3@58-53&3-&
&08@3@58-53&3-&
D:*&8&%.81-31
! $4680/@3&8B8-53&1BB80@3G&17.4-3&A3&201B8&8-535H,
"&$14@81G&B/635/G&.8F1781G&53--35/G&B805323-3G&A3@F/031&<.3-./-3@6/>&&
"&#;/273.8631&201B8
"&:6/73@3&61@@3B1&./-&3-@4FF3.38-91&08-178&1.451&<C71.IJ1580&F8B80>
"&*774-2168-5/&K+G&1035638&<&<-.'.//(01#,2-(02*%33(2#'%*4(%'25#
-.'.//(01#,2-(02*%33(2#'%*4(%'25#
*(/'6(2#,%33(2*.#(-#/233.00(#'%*4(2)%0('(7#)2//(8(&(01#4(#(-0.*%9(2-(#
'2-#$%*,%'(#%-0(%*(0,('(>
'2-#$%*,%'(#%-0(%*(0,('(>
! !
!"#$%&'&(&(!)*)+*,-./0-1
L’artemisina
è
l’estratto
! 2,-34-5-6)/00-.6)*70,/006)+/88*)96:8-*)+-)!"#$%&'&()(**+(
2,-34-5-6)/00-.6)*70,/006)+/88*)96:8-*)+-)!"#$%&'&()(**+(;)5-/30/)
;)5-/30/) di
una
pianta
che
in
Cina
<9*==,-9>:/?)463674->0/)-3)@-3/)+/)ABBB)/33-
è
conosciuta
da
millenni,
! !C-63*)/30-5/,/77-0/,-/)*7*,4-0/0/)7>)0>00-):8-)70/+-)5/,/77-0/,-)+-)9/7*) usata
per
curare
le
*D/0-4/E)/:-74636)/34F*)7>-):/D*064-0-)+-)
*D/0-4/E)/:-74636)/34F*)7>-):/D*064-0-)+-),-).(/0&1("+%-)
,-).(/0&1("+%-)!00-.-)7>)0>00*)
!00-.-)7>)0>00*)
8*)75*4-*)+-),/('%23&+%
8*)75*4-*)+-),/('%23&+% febbri.
E’
stato
scoperto
! @8*/,/34*))5/,/77-0/,-/)5-G),/5-+/)+-)6:3-)/80,6)/30-D/8/,-46)H
@8*/,/34*))5/,/77-0/,-/)5-G),/5-+/)+-)6:3-)/80,6)/30-D/8/,-46)H! !)IBJBBB)
che
i
suoi
principi
attivi
.680*)-8)3K)+-)5/,/77-0-)/)6:3-)4-486),*58-4/0-.6E)/80,*)D68*468*)!)IBBLIBBBM) hanno
un
potentissimo
.680*)-8)3K)+-)5/,/77-0-)/)6:3-)4-486),*58-4/0-.6E)/80,*)D68*468*)!
! $99-4/4-/)4637*,./0/)/34F*)7>)4*55-)58/7D6+-4-)D>80-,*7-70*30- effetto
antiparassitario
! N00-D/)0688*,/=-8-0O;)363)*99*00-)4/,+-60677-4-)HP#)4637*,./06M;)363)
N00-D/)0688*,/=-8-0O;)363)*99*00-)4/,+-60677-4-)HP#)4637*,./06M;)363) su
tutti
gli
stadi
di
fase
3*4*77-0O)D63-06,/::-6)4/,+-/46J)2677-=-8-)+-70>,=-):/70,6-30*70-3/8-) ematica,
compresi
i
8-*.- gametociti.
È
il
più
! !,0*7>3/06)
!,0*7>3/06)Q)+*,-./06)5*,)>76)5/,*30*,/8*)5-G)>0-8-CC/06J)$R)768>=-8*)-3) potente
farmaco
/4S>/;)7-)5>T)76DD-3-70,/,*)5*,).-/)*J.J)6)-JD
/4S>/;)7-)5>T)76DD-3-70,/,*)5*,).-/)*J.J)6)-JDJJ
antimalarico,
abbatte
! U/)>0-8-CC/,7-)-3)0*,/5-/)46D=-3/0/
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tollerabilità.
Per
questo,
le
linee
guida
internazionali
oggi
impongono
l’uso
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dell’artesunato
in
prima
istanza
come
agente
parenterale
nelle
gravi
forme
malariche.
Purtroppo
però,
ancora
tale
farmaco
non
è
stato
registrato
in
Europa.
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INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
5. ENTOMOPROFILASSI
Chi viaggia o soggiorna, anche per brevi periodi, in zona di endemia malarica e indipendentemente dal fatto che
effettui una profilassi farmacologica (chemioprofilassi) o meno, deve adottare una o più misure di prevenzione
del contatto col potenziale vettore rappresentato da femmine di zanzara appartenenti al genere Anopheles. Il
complesso di queste misure è riunito sotto l’unico termine di entomoprofilassi [Dutto 2011].
le misure di entomoprofilassi sono tese a impedire che il vettore localizzi l’ospite umano e/o riesca ad effettuare
su di lui il pasto di sangue, e quindi, in termini generali, ad interrompere il contatto tra uomo e vettore [Malaria
Site 2015, Zelinski-Gutierrez 2012, Ng’ang’a 2009, WHO 2006]. Dal momento che la chemioprofilassi potrebbe
risultare inefficace su P. vivax e P. ovale, l’entomoprofilassi assume una particolare importanza nelle zone ove
queste specie sono prevalenti [Gething 2012]: in questi casi deve essere enfatizzata la sua utilità.
la scelta del tipo di entomoprofilassi è legata a due ordini di fattori: quelli di tipo ambientale/epidemiologico
che determinano i livelli di trasmissione (stabilità, periodicità e entità dell’endemia) e quelli di tipo individuale
(periodo, durata, tipo di viaggio e di attività da svolgere) che quantificano le opportunità di esposizione alla
puntura del vettore. l’obiettivo di interrompere il contatto uomo/vettore può essere raggiunto in modi diversi:
1) adottando comportamenti atti ad evitare la puntura delle zanzare Anopheles; in tal caso si parlerà di
profilassi comportamentale;
2) frapponendo barriere chimiche (repellenti, insetticidi piretroidi) o meccaniche (reti o zanzariere) tra la
zanzara e il suo ospite; parleremo allora rispettivamente di profilassi chimica e meccanica.
3) adottando contemporaneamente barriere meccaniche-chimiche, realizzabile praticamente mediante
l’impregnazione di tessuti con insetticidi o repellenti.
la scelta dei mezzi più opportuni dovrà essere individuale e adeguata alle diverse realtà locali (Tab. 1). Va
invece decisamente scoraggiato l’impiego di apparecchi che emettono ultrasuoni o generano campi magnetici
perché privi di alcuna evidenza scientifica circa la loro efficacia.
5.2.1. L’impiego dei repellenti per uso topico contro i vettori di malaria in zona di endemia
Si definiscono repellenti quei preparati che, applicati sulla cute dell’ospite vertebrato o sugli indumenti creano,
evaporando, barriere invisibili che allontanano gli insetti (nel caso della malaria, le zanzare del genere
Anopheles). l’effluvio di queste sostanze è percepito dagli organi di senso delle zanzare in volo di
avvicinamento, disturbando l’insetto nell’attività di ricerca dell’ospite tanto da non permettergli di localizzarlo.
Tanto più un prodotto evapora abbondantemente tanto maggiore è l’effetto protettivo; ne consegue che la durata
d’azione può diminuire nel tempo, ad esempio a causa di una eccessiva sudorazione, e può risultare necessario
applicare di nuovo il prodotto per mantenerne l’efficacia.
I repellenti sono formulati prevalentemente per uso topico e pertanto vanno applicati direttamente sulla cute
nelle parti lasciate scoperte dagli abiti. l’efficacia e la durata dell’azione protettiva dipendono, oltre che dal
principio attivo e dalla sua concentrazione, come già detto anche da fattori estrinseci, quali assorbimento,
strofinamento, temperatura corporea e ambientale, sudorazione, ecc. Alcuni formulati sono particolarmente
adatti ad essere impiegati sul vestiario in situazioni di rischio elevato.
I prodotti per uso topico sono generalmente efficaci per un tempo limitato, in media 3-4 ore, con l’eccezione di
alcuni formulati con elevate concentrazioni di principio attivo (p.a.) che arrivano anche a 6-8 ore di protezione.
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QUADERNI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA TROPICALE E SALUTE GLOBALE N. 4, 2018
Tabella 1 - Indicazioni sul tipo di entomoprofilassi da adottare per entità del rischio malarico e per tipo e modalità di viaggio.
N.B.: Nella valutazione dell’entità del rischio malarico in una zona di endemia bisogna tenere conto che esso può variare molto
all’interno dello stesso paese, tra zone urbane e zone rurali, con l’altitudine e seguendo il ritmo delle stagioni. Ad esempio, in molte
capitali degli Stati africani e asiatici dove la malaria è endemica, non vi è trasmissione, così come in molti circuiti turistici lungamente
sperimentati.
In termini generali, a concentrazione più alta di principio attivo corrisponde un tempo di protezione maggiore,
ma questo è vero fino al 30-50% di concentrazione del p.a. quando l’efficacia del repellente ha raggiunto il
tempo di protezione massimo. Concentrazioni di p.a. maggiori dunque non proteggono ulteriormente dalle
punture delle zanzare.
I repellenti di sintesi (ovvero molecole chimiche interamente create in laboratorio), sono ancora oggi quelli che
garantiscono la miglior protezione dalle punture d’insetto rispetto a quelli di origine naturale che non possono
ancora competere con le molecole chimiche in termini di efficacia e protezione; questi ultimi, tuttavia possono
rappresentare una valida alternativa in zone di basso rischio di trasmissione della malaria e, soprattutto,
sostituire i prodotti di sintesi nell’impiego sui minori tra 2 e 12 anni di età. I repellenti per uso topico più efficaci
disponibili in Italia, sono quelli autorizzati dal Ministero della Salute, che portano in etichetta il relativo numero
di registrazione. Si tratta di 4 prodotti, di cui 3 di sintesi e uno di origine naturale ma comunque amplificato
industrialmente:
- la N, N-Dietiltoluamide o DEET, è la molecola più efficace in assoluto e la più sperimentata essendo
utilizzata da oltre 40 anni; è presente nella maggioranza dei prodotti in commercio (dal 5% a oltre il 30% di
principio attivo). Può risultare irritante per la pelle a concentrazioni uguali o maggiori al 10% di p.a.
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INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
Va infine ricordato che l’assunzione per via orale di pastiglie di aglio, di vitamina B1 o di altri prodotti di natura
varia, non ha alcun effetto repellente nei confronti delle zanzare.
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QUADERNI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA TROPICALE E SALUTE GLOBALE N. 4, 2018
5.2.2. Insetticidi
Al contrario dei repellenti, gli insetticidi producono un effetto mortale nei confronti degli insetti che ne vengono
a contatto per un tempo sufficiente ad assorbire la dose letale; tuttavia alcuni insetticidi possiedono un effetto
irritante/disorientante, più o meno marcato, che si manifesta per contatto in tempi brevissimi; prima che l’insetto
abbia assunto la dose letale del prodotto, questo lo porta a subire comunque una alterazione del comportamento
che non gli consente più di effettuare il pasto di sangue (effetto anti-feeding).
Prodotti che presentano, oltre all’effetto insetticida vero e proprio, una particolare azione irritante verso alcuni
gruppi di insetti, sono i cosiddetti piretroidi fotostabili, appartenenti a generazioni successive a quella dei primi
derivati del piretro, la cui grande stabilità della molecola consente una lunga attività residuale nel tempo; questi
prodotti, oltre che nella lotta anti-vettoriale vera e propria, possono anche essere utilizzati per l’impregnazione
di abiti.
Invece sia gli insetticidi di prima generazione derivati dal piretro, che riproducono molecole naturalmente
presenti nel fiore tropicale (piretrine), sia derivati completamente di sintesi, possono essere impiegati per
bonificare ambienti occasionalmente frequentati da zanzare o comunque dove queste siano presenti in piccoli
numeri. Ad esempio, se si presenta la possibilità di pernottare in ambienti non completamente sicuri, si può
ricorrere all’impiego di bombolette spray a base di estratto di piretro (piretrine) o piretroidi di 1° generazione
(come la tetrametrina e la bioresmetrina), detti anche fotolabili perché la molecola viene rapidamente disattivata
dalla luce solare. Questi prodotti si possono facilmente acquistare sul posto (direttamente in zona di endemia-
ricordiamo che non è consentito di portare bombolette sotto pressione in aereo).
In alternativa, sempre per la bonifica di ambienti ove dormire, possono invece essere portati in valigia gli
elettro-emanatori a piastrina o a carica liquida, da alimentare alla rete elettrica locale per uso notturno nelle
situazioni in cui si può contare sull’approvvigionamento di energia elettrica in modo continuativo (esistono
anche modelli a batteria da campeggio). Ricordiamo che questi piccoli strumenti iniziano la loro opera protettiva
solo 30-45 minuti dopo l’accensione (dipende della cubatura della stanza) perché l’insetticida volatile deve
saturare tutto il locale, che va quindi “preparato” prima di dormire. Questi prodotti vanno utilizzati
scrupolosamente a finestra aperta (ovviamente schermata). Altro piccolo aiuto può essere fornito dall’impiego di
spirali fumigene (zampironi) per uso esclusivamente all’esterno.
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INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
6. CHEMIOPROFILASSI ANTIMALARICA
6.1.1. Atovaquone-proguanil
6.1.1.2. Formulazione
Compresse adulti: 250 mg di atovaquone e 100 mg di proguanil idrocloruro; compresse bambini: 62,5 mg di
atovaquone e 25 mg di proguanil idrocloruro.
6.1.1.3. Dosaggio
Adulti > 40 Kg: 1 cpr al giorno; bambini: in base al peso corporeo: 11-20 Kg: 1 cpr pediatrica, 21-30 Kg: 2 cpr
pediatriche, 31-40 Kg: 3 cpr pediatriche, > 40 Kg: una cpr adulti.
Non sono state valutate la sicurezza e l’efficacia del farmaco per la profilassi della malaria nei bambini di peso
inferiore a 11 Kg.
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di P.falciparum clorochino-resistente.
Numerosi studi su soggetti non immuni hanno confermato l’elevata efficacia di questo schema (protezione tra il
95 ed il 100%) [Hogh 2000, Overbosch 2001, Ling 2002, Castelli 2007, Nakato 2007]. l’efficacia preventiva
nei confronti di P.vivax è inferiore (84%) [Ling 2002, Jiménes 2006].
la precoce segnalazione di sporadici insuccessi terapeutici con questo farmaco non è stata seguita
dall’emergenza di significativi tassi di insuccesso profilattico, il che è verosimilmente dovuto al fatto che gli
insuccessi terapeutici sono imputabili nella maggior parte dei casi ad inadeguate concentrazioni plasmatiche.
Sono comunque descritti fallimenti profilattici di atovaquone/proguanil in viaggiatori dal Sud Est asiatico
[Jiménes 2006], e sono note mutazioni geniche (codon 268 del gene cytb: Tyr268Ser, Tyr268Asn and
Tyr268Cys) che conferiscono resistenza alla combinazione. Tali mutazioni sono rare in isolati della Thailandia
[Khositnithikul 2008].
l’acquisto del farmaco per l’impiego chemioprofilattico non prevede in Italia la rimborsabilità da parte del
Sistema Sanitario Nazionale (SSN): i costi sono quindi più elevati, rispetto alla meflochina e alla doxiciclina, e
rappresentano un fattore limitante l’uso soprattutto per le fasce di viaggiatori meno abbienti, ed in particolare
per gli immigrati che rientrano al paese di origine.
6.1.1.7. Controindicazioni
Ipersensibilità al farmaco, grave compromissione renale (clearance della creatinina < 30 ml/min) [Paredes
2006].
Il farmaco non è consigliato in gravidanza perché non vi sono dati sufficienti a supporto della sicurezza [Nakato
2007]. In caso di gravidanza in corso di chemioprofilassi con atovaquone/proguanil, il medico deve informare
l’assistita che non è possibile escludere effetti sul nascituro.
Il farmaco non dovrebbe essere impiegato dalle donne che allattano e nei bambini di peso inferiore ad 11 kg
[Paredes 2006].
6.1.2. Doxiciclina
6.1.2.2. Formulazione
Compresse da 100 mg di principio attivo.
6.1.2.3. Dosaggio
Adulti: 1 compressa al giorno; bambini (> 8 anni): 1,5 mg/Kg al giorno se peso ≥25 kg.
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INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
6.1.2.7. Controindicazioni
le controindicazioni assolute all’uso di doxiciclina in chemioprofilassi includono l’età inferiore a 8 anni, la
gravidanza, l’allattamento (l’assunzione del farmaco può danneggiare le strutture ossee e dentali del feto e del
neonato), l’ipersensibilità nota al farmaco, e l’insufficienza epatica grave [Aupee 2009]; sono controindicazioni
relative l’età inferiore a 12 anni e l’impiego di terapia anticoncezionale ormonale (potrebbe esserne ridotta
l’efficacia).
In caso di gravidanza in corso di chemioprofilassi con doxiciclina, il medico deve informare l’assistita dei
possibili effetti sul nascituro.
6.1.3. Meflochina
6.1.3.2. Formulazione
Compresse da 250 mg di principio attivo.
6.1.3.3. Dosaggio
Adulti 250 mg (1 compressa) alla settimana; bambini 5 mg/Kg alla settimana.
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QUADERNI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA TROPICALE E SALUTE GLOBALE N. 4, 2018
6.1.3.7. Controindicazioni
le controindicazioni assolute includono la storia di allergia al farmaco o ai farmaci con struttura chimica
analoga (chinino, chinidina); epilessia, gravi disordini psichiatrici (o storia di); attività che richiedono un fine
coordinamento dei movimenti e discriminazione spaziale (per es. i piloti d’aereo, i subacquei); insufficienza
epatica.
Sono controindicazioni relative: bambini di peso inferiore a 5 Kg o età inferiore a 3 mesi, disturbi neurologici o
psichiatrici anche non gravi (o storia di), trattamento con meflochina o sostanze analoghe nelle 4 settimane
precedenti.
l’allattamento al seno non è una controindicazione, ma non fornisce al bambino dosi profilattiche del farmaco.
la gravidanza non rappresenta una controindicazione all’assunzione del farmaco, anche se la scarsità di dati
sull’uso nel primo trimestre ne consiglia un uso prudente e ben ponderato.
6.1.4. Clorochina
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INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
6.1.4.2. Formulazione
Compresse da 250 mg pari a 150 mg di principio attivo (clorochina base).
6.1.4.3. Dosaggio
In adulti oltre 45 Kg di peso: 300 mg di prodotto base (due compresse/settimana); bambini: 5 mg/Kg di
clorochina base una volta alla settimana. la clorochina può essere somministrata anche ai neonati.
6.1.4.7. Controindicazioni
Sono controindicazioni assolute: l’ipersensibilità al farmaco o a sostanze chimicamente correlate
(aminochinoline), l’epilessia in atto, le retinopatie, la psoriasi generalizzata, l’insufficienza epatica grave.
Sono controindicazioni relative: altre malattie del sistema nervoso contrale, neuropatie periferiche, favismo,
insufficienza epatica moderata.
la clorochina può essere somministrata in gravidanza e durante l’allattamento.
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QUADERNI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA TROPICALE E SALUTE GLOBALE N. 4, 2018
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INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
Nelle tabelle in appendice 1, le aree malariche sono state suddivise per macro-zone, e sono riportate le
indicazioni di prevenzione (comportamentali e chemioprofilattiche). le stesse indicazioni sono state riassunte in
modo schematico nella cartina (appendice 2). le raccomandazioni specifiche per area geografica vengono
fornite con il massimo di dettaglio compatibile con linee guida generali, ma è necessario tenere conto del fatto
che il rischio malarico presenta variazioni significative anche all’interno di singoli Paesi. Per alcune destinazioni
il dettaglio dell’itinerario può essere il fattore decisivo nella scelta dell’eventuale chemioprofilassi, e questo
livello di dettaglio può essere ottenuto solamente mediante l’accesso dei centri di medicina dei viaggi a banche
dati informatizzate, o talora mediante informazioni reperibili solo sul posto, in particolare per soggiorni
prolungati stanziali.
Nella cartina (appendice 2) è riportata la distribuzione della malaria nel mondo con diverso livello di endemia a
seconda della diffusione di P. falciparum, calcolata mediante il P. falciparum Parasite Rate (PfPR).
la differenza nel rischio malarico su base geografica presenta un range molto ampio, superiore ad un fattore
100, tra le aree a massimo rischio (ad esempio: 4% o più, per un soggiorno, in alcune zone rurali piovose
dell’Africa dell’Ovest, in assenza di chemioprofilassi; ancora superiore in Papua Nuova Guinea e Isole
Solomon) e quelle a rischio molto basso (alcune zone malariche dell’Asia e dell’America latina).
20
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Appendice 1.
34
Tabelle delle indicazioni preventive secondo l’area geografica.
REGIONE NOTE AB PRIMA SECONDA
SCELTA SCELTA
EUROPA -Riportati casi sporadici di malaria autoctona (P.vivax 100% ) si D
Grecia
94 / 356
limitrofe), Swaziland
AFRICA AUSTRALE sì D
Botswana (escluse le regioni settentrionali), Namibia (escluse le regioni
settentrionali e lungo i fiumi Kavango e Kunene), Sud Africa (escluso
Kruger e zone limitrofe)
95 / 356
Messico, Nicaragua, Panama, Repubblica Dominicana (eccetto zone al
confine con Haiti)
SUD AMERICA -rischio nullo lungo la fascia costiera si C E-D
Guyana, Guyana francese, Suriname, Colombia (fascia costiera del
Pacifico), Venezuela (a sud dell’Orinoco)
SUD AMERICA -rischio basso presente nella parte amazzonica di tutti questi paesi si E-D C
Bolivia (regione amazzonica), Brasile (bacino amazzonico e -Venezuela (rischio minimo nelle zone costiere)
Maranhao), Colombia (regione amazzonica e costa Atlantica), -Perù solo P.vivax
Ecuador (regione amazzonica), Perù (regione amazzonica), Venezuela
(a nord dell’Orinoco)
SUD AMERICA -Argentina: rari casi di malaria solo da P.vivax nel nord-ovest del Paese si D
Argentina, Bolivia (eccetto regione amazzonica), Colombia (eccetto -Paraguay: rari casi nella zona orientale del Paese ottobre-maggio
regione amazzonica), Ecuador (eccetto regione amazzonica),
QUADERNI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA TROPICALE E SALUTE GLOBALE
35
Nota: La “seconda scelta” indica una soluzione accettabile nell’ambito della doverosa discussione tra operatore sanitario e viaggiatore, in particolare in caso di controindicazione o rifiuto (o richiesta)
dei farmaci, o in presenza di fattori che modifichino nettamente il rischio di infezione in più o in meno
INDICAZIONI PER LA PROFILASSI ANTIMALARICA NEI VIAGGIATORI IN AREA ENDEMICA
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B)
Dengue
Malattia
infettiva
febbrile
acuta,
a
trasmissione
vettoriale,
provocata
da
virus
appartenenti
alla
famiglia
dei
Flaviridae,
specie
Arbovirus,
identificabili
in
quattro
diversi
sierotipi
(DEN
1-‐4).
83
97 / 356
I
virus
DEN
1-‐4
sono
trasmessi
principalmente
con
la
puntura
della
zanzara
Aedes
aegypti,
specie
invasiva
e
“domestica”,
originante
in
Africa
ma
con
distribuzione
tropicale
e
subtropicale
in
tutto
il
mondo.
Un'altra
importante
zanzara-‐vettore
della
dengue
è
l’Aedes
albopictus
(la
bastardissima
zanzara
tigre!),
una
specie
invasiva
originaria
dell'Asia.
Clinica
Prima
infezione
(forma
tipica
del
viaggiatore):
una
“semplice”
sindrome
febbrile.
E’
così
che
il
più
delle
volte
un
paziente
affetto
da
dengue,
di
ritorno
da
un
viaggio
in
aree
tropicali,
arriva
all’attenzione
del
medico.
E
cosa
dovrebbe
sospettare
in
prima
istanza?
La
Dengue?
No,
la
malaria!
(per
la
diagnosi
differenziale
è
ovviamente
necessaria
l’esecuzione
di
test
di
laboratorio
specifici,
senza
limitarsi
in
nessun
caso
al
solo
dato
clinico).
Talvolta
disturbi
gastrointestinali,
dolori
muscolari,
dolori
agli
occhi,
cefalea,
rash
aspecifici,ecc
possono
accompagnare
la
febbre.
L’esecuzione
dell’esame
emocromocitometrico
riporta
il
più
delle
volte
leucopenia
e
piastrinopenia,
rafforzando
quindi
la
necessità
di
un’accurata
diagnosi
differenziale
con
la
malaria.
In
ogni
caso,
il
più
delle
volte
il
paziente
accusa
un
bel
“febbrone”
per
4-‐5
giorni
e
poi
guarisce
spontaneamente,
senza
sviluppare
alcuna
complicanza,
non
curandosi
neanche
di
sentire
il
medico,
pensando
ad
una
banale
influenza
o
ad
una
virosi
(l’incidenza
è
quindi
decisamente
superiore
ad
ogni
possibile
stima
sulla
base
di
studi
clinico-‐
epidemiologici!).
[Una
raccomandazione:
non
somministrate
FANS
a
questi
pazienti
(aumentano
notevolmente
il
rischio
di
emorragie),
in
caso
solo
paracetamolo!
]
84
98 / 356
Esistono
tuttavia
alcuni
campanelli
di
allarme,
a
cui
è
necessario
fare
molta
molta
attenzione;
infatti,
verso
la
fine
dell’episodio
febbrile,
quando
la
febbre
sta
calando
e
si
suppone
che
il
paziente
vada
verso
la
guarigione,
può
accadere
che
improvvisamente
il
paziente
accusi
uno
o
più
tra
i
seguenti
segni
e
sintomi:
dolori
addominali
importanti,
vomito
persistente,
aumento
del
volume
epatico,
ascite
e
versamenti
in
fase
iniziale,
sanguinamenti
mucosali
e
vari
livelli
di
alterazione
dello
stato
di
coscienza.
In
tal
caso,
soprattutto
se
gli
esami
di
laboratorio
riportano
una
diminuzione
importante
del
tasso
di
piastrine
circolanti
e
un
parallelo
aumento
dell’ematocrito
(da
aumento
rapido
e
deciso
della
permeabilità
vasale
e
conseguente
diminuzione
del
VCE),
è
necessario
sospettare
l’evoluzione
in
dengue
grave
e
avviare
tempestivamente
un
adeguato
iter
terapeutico
teso
a
sostenere
delle
funzioni
vitali
dell’individuo.
Il
rischio
maggiore
è
quello
di
sviluppare
una
condizione
di
shock
ipovolemico
per
massivo
plasma
leakage
e/o
una
ARDS,
con
annesse
complicazioni
varie.
Le
forme
complicate,
gravi,
sono
generalmente
associate
ad
infezioni
ripetute
da
parte
di
sierotipi
diversi,
spesso
co-‐rappresentati:
gli
anticorpi
prodotti
verso
il
singolo
sierotipo
infatti,
non
solo
non
sono
attivi
nei
confronti
degli
altri
sierotipi,
ma
fungono
anche
da
punto
di
“entrata
facilitata”
nella
cellula
per
gli
altri
serovar
e
sono
anche
in
grado
di
scatenare
un
danno
da
ipersensibilità
anticorpo-‐mediata!
Cinetica
virologica
e
sierologica
Giorno
0
=
giorno
di
inizio
dei
sintomi.
Prima
che
inizino
a
manifestarsi
i
sintomi,
da
un
punto
di
vista
laboratoristico,
è
possibile
riscontrare
il
raggiungimento
del
picco
viremico
ed
eventualmente
isolare
il
virus.
Il
periodo
intercorrente
fra
il
3°
e
il
6°
giorno,
caratterizzato
dalla
progressiva
discesa
della
viremia
e,
con
essa,
della
febbre,
è
invece
il
“periodo
critico”,
a
maggior
rischio
per
lo
sviluppo
delle
complicanze.
E’
ovvio
inoltre
che
se
un
viaggiatore
ritorna
dal
viaggio
in
fase
viremica
clinicamente
significativa,
esiste
un
rischio
importante
di
sviluppare
una
vera
e
propria
epidemia,
visto
che
la
nostra
cara
amica
zanzara
tigre,
ormai
ovunque,
è
in
grado
di
albergare
il
virus
e
quindi
di
trasmetterlo
ad
altre
persone.
La
dengue
va
denunciata!
85
99 / 356
Diagnosi
I
mezzi
a
nostra
disposizione
per
la
diagnosi
di
Dengue
sono:
1-‐ Diagnosi
diretta
!
PCR:
per
ricercare
il
virus
in
un
paziente
in
fase
di
viremia;
non
accessibile
a
tutti
i
laboratori.
2-‐ Diagnosi
Indiretta
!
Sierologia:
ricerca
IgM
e
IgG
anti-‐DEN
1-‐4
a
partire
dal
4°-‐5°
giorno
(non
prima!)
3-‐ Diagnosi
precoce
!
Ricerca
antigene
NSI.
Test
altamente
sensibile
e
specifico,
a
partire
già
dal
giorno
0!
C)
Chikungunya
Malattia
infettiva
febbrile
acuta,
a
trasmissione
vettoriale,
provocata
da
un
virus,
il
virus
Chikungunya,
membro
della
famiglia
Togaviridae,
genere
Alphavirus.
Tale
virus
è
stato
isolato
per
la
prima
volta
in
Tanzania,
nel
1953,
dal
sangue
di
un
paziente
febbrile
durante
un’epidemia.
La
malattia
è
attualmente
endemica
nei
Paesi
e
nelle
isole
dell’Oceano
Indiano:
India,
Malaysia,
La
Réunion,
Comore,
Mauritius,
Seychelles,
ecc;
in
tali
aree
geografiche,
il
virus
è
normalmente
mantenuto
86
100 / 356
entro
il
suo
ciclo
selvatico
(zanzara-‐scimmia)
ma,
talvolta,
può
accadere
che,
accidentalmente,
anche
una
o
più
persone
siano
contagiate,
con
il
conseguente
alto
rischio
di
dar
vita
ad
un
cosiddetto
ciclo
urbano
e,
quindi,
ad
una
vera
e
propria
epidemia.
Il
virus
Ch.
è
trasmesso
principalmente
tramite
la
puntura
della
zanzara
Aedes
aegypti,
ma
anche
tramite
il
pasto
di
sangue
dell’Aedes
albopictus,
la
zanzara
tigre;
rispetto
ai
virus
della
Dengue,
esiste
una
maggiore
probabilità
di
trasmissione
del
virus
tramite
quest’ultima
specie
di
zanzara,
ma
ovviamente
le
dimensioni
del
problema
sono
ben
diverse,
in
quanto
la
Chikungunya
mostra
un’estensione
geografica
assai
più
limitata.
Si
riporta
anche
un
caso
italiano
di
epidemia
da
Chikungunya,
avvenuto
nel
2007,
in
Romagna,
con
270
pazienti
infettati
e
2-‐3
morti
(anziani
con
comorbidità).
Clinica
Ovviamente
di
fronte
ad
un
paziente
con
febbre,
di
ritorno
da
un
viaggio
in
luoghi
a
rischio,
vale
sempre
la
stessa
regola:
prima
cosa,
malaria!
Nel
caso
della
Chikungunya
però,
una
volta
esclusa
la
malaria,
la
malattia
che
necessariamente
entra
in
diagnosi
differenziale
con
essa
è
la
Dengue.
Mettiamo
adesso
a
confronto
dati
clinici
delle
due
infezioni:
Clinica
CHIK
Virus
DEN
Virus
Febbre
e
Astenia
Comuni
Comune
Mialgia
Possibile
Molto
comune
Poliartrite/i
Molto
comune
No
Tenosinovite/i
Molto
comune
No
Leucopenia
No
Si
Trombocitopenia
No
Si
Rash
cutaneo
Giorni
1-‐4
Giorni
3-‐7
Dolore
retro-‐orbitale
Raro
Comune
Ipotensione
Possibile
Comune
Sanguinamenti
minori
Poliartrite
cronica
che
si
Comune
perpetua
per
oltre
un
anno
Una
poliartrite
e/o
la
presenza
di
una
o
più
tenosinoviti,
nel
contesto
degli
altri
sintomi
più
aspecifici,
dovrebbero
indirizzare
la
diagnosi
verso
la
Chikungunya,
con
buona
sensibilità
e
specificità.
Diagnosi
87
101 / 356
D)
Chagas
Zoonosi
scoperta
dal
medico
brasiliano
Carlos
Chagas
nel
1909.
Un
po’
di
storia:
Alla
fine
del
1907,Chagas
fu
inviato
da
Oswaldo
Cruz,
insieme
al
collega
Belisário
Penna,
a
Lassance
–
Minas
Gerais,
nei
pressi
del
fiume
Sao
Francisco,
per
studiare
un’epidemia
di
malaria
che
affliggeva
l’accampamento
degli
operai
che
stavano
costruendo
la
ferrovia
della
compagnia
E.F.
Central
do
Brasil.
Chagas
allora
arrangiò
un
laboratorio
da
campo
in
una
carrozza
di
treno.
La
gente
del
luogo
gli
raccontò
dell’esistenza
di
alcune
cimici
dette
barbeiros,
che,
di
notte,
uscivano
dalle
crepe
nelle
pareti
delle
case
e
si
arrampicavano
sui
volti
degli
abitanti
per
succhiarne
il
sangue.
Ne
catturò
alcuni
rossi
e
neri
e
scoprì,
nell’intestino
e
nelle
feci
di
questi
emitteri,
numerosi
protozoi
con
le
caratteristiche
morfologiche
dei
tripanosomi.
All’inizio
pensò
a
uno
stadio
evolutivo
di
un
qualche
protozoo
emoflagellato
dell’insetto
o
di
qualche
altro
vertebrato.
Tornato
però
a
Rio
de
Janeiro,
fece
pungere
alcune
scimmie
dagli
insetti
che
aveva
appena
scoperto
e,
con
sorpresa,
ritrovò
nel
sangue
periferico
di
una
di
queste
i
tripanosomi.
Chiamò
così
il
parassita
inizialmente
Schizotrypanum
cruzi
e
poi
Trypanosoma
cruzi
in
onore
del
suo
maestro
Oswaldo
Cruz.
Scoprì
anche
delle
forme
tissutali
del
parassita,
gli
amastigoti,
che
si
dividevano
per
fissione
binaria
e
formavano
nidi
e
pseudocisti
nelle
fibre
muscolari
e
cardiache.
Tornato
a
Lassance,
successivamente,
Chagas
segnalò
il
primo
caso
di
forma
acuta
di
una
nuova
malattia:
trovò
lo
stesso
parassita
che
aveva
scoperto,
nel
sangue
di
una
bambina
con
febbre,
anemia,
epato-‐splenomegalia
(poi
questa
bimba
visse
fino
a
veneranda
età
senza
problemi).
Dimostrò
che
quel
parassita
era
la
causa
di
una
malattia
molto
comune
nelle
regioni
rurali
del
Brasile.
Infine,
nell’aprile
del
1909,
a
29
anni,
Chagas
segnalò
sulla
Revista
Brasil-‐Médico
l’esistenza
di
una
nuova
entità
morbosa
dell’uomo,
la
Malattia
di
Chagas!
Epidemiologia
Si
tratta
di
una
malattia
parassitaria
tropicale
(nota
anche
come
Trypanosomiasi
americana)
causata
da
un
particolare
genere
di
protozoo
emoflagellato,
il
Trypanosoma
cruzi,
che
per
infestare
il
sangue
di
esseri
umani
e
animali
utilizza
come
vettore
un
insetto,
la
cimice
Triatomina
(altrimenti
nota
come
Vinchuca),
particolarmente
diffusa
negli
ambienti
rurali
dell'America
Latina
e
dell’America
Centrale;
sono
infatti
tra
gli
otto
e
gli
undici
milioni
i
casi
stimati
tra
Bolivia,
Messico,
Colombia
e
America
Centrale,
ma
sono
stati
osservati
anche
casi
negli
Usa
(circa
trecentomila),
in
Europa,
in
Canada
e
in
Giappone
e
si
ritiene
che
la
maggior
parte
di
questi
sia
assolutamente
inconsapevole
dell'infezione.
Il
sempre
più
radicato
fenomeno
dell’urbanizzazione,
nonché
l’aumento
esponenziale
dei
flussi
migratori
hanno
oggi
esteso
su
livelli
globali
la
diffusione
di
questa
malattia,
con
un
incremento
significativo
dei
casi
di
trasmissione
non
vettoriale
(trapianto
di
organi
infetti,
emotrasfusioni,
trasmissione
verticale
madre-‐figlio,
ecc).
[Una
via
di
trasmissione
emergente
è
quella
alimentare:
il
protozoo
può
trovarsi
infatti
nei
succhi
di
frutta
caserecci
che
sono
venduti
alle
bancarelle
sulla
strada!]
88
102 / 356
Vettore
I
vettori
dell’agente
eziologico
T.
cruzii
sono
numerose
specie
di
Triatomine,
insetti
ematofagi
della
famiglia
Reduviidae,
chiamati
più
spesso
con
il
nome
“Vinchuca”.
Secondo
recenti
stime,
si
ritiene
che
circa
150
diverse
specie
di
mammiferi,
domestici
e
non,
siano
“naturalmente
infettati”
da
T.cruzii,
potendo
quindi
agire
da
potenziale
serbatoio
d’infezione.
La
vinchuca,
una
volta
infettatasi
col
protozoo
tramite
un
pasto
di
sangue
ai
danni
di
questi
animali,
potrà
quindi
uscire,
di
notte,
dalle
crepe
delle
capanne
di
paglia-‐legna
e
andare
a
pungere
e
a
trasmettere
l’infezione
anche
ad
altri
vertebrati,
tra
cui
l’uomo;
contrariamente
a
molte
altre
patologie
infettive
a
trasmissione
vettoriale
però,
nel
caso
del
T.
cruzii,
la
trasmissione
non
avverrà
tramite
la
saliva
durante
il
pasto
di
sangue
dell’insetto,
bensì
attraverso
le
sue
feci:
la
vinchuca
infatti,
riempitasi
di
sangue,
defeca
sulla
cute
del
povero
malcapitato,
con
le
feci
che
potranno
quindi
infettare
direttamente
la
ferita
lasciata
dal
morso
dell’artropode
o
sarà
lo
stesso
individuo
a
inocularsi
il
protozoo
tramite
grattamento.
89
103 / 356
Clinica
Chagas
acuto:
molto
difficile
vederlo
da
noi;
Il
quadro
clinico
classico
è
caratterizzato
da
febbre
da
2
mesi,
tachicardia
senza
rumori
aggiunti,
epatosplenomegalia
senza
ascite,
linfadenopatia
e
segno
di
romagna
positivo
(edema
bipalpebrale
unilaterale);
i
pazienti
in
genere
muoiono
per
Cardiomiopatia
o
Meningismo.
Chagas
indeterminato:
variante
“clinica”
molto
importante,
soprattutto
da
noi.
Il
paziente
in
genere
si
mostra
sanissimo,
con
nessun
segno
o
sintomi
d’infezione,
ECG
normale
ed
esami
radiologici
mirati
come
Rx
del
cuore,
dell’esofago
e
del
colon
assolutamente
nella
norma;
l’unica
cosa
è
la
positività
ai
test
sierologici
e
all’esame
parassitologico.
E’
molto
importante
tenere
a
mente
l’esistenza
di
questa
forma
di
chagas
poiché,
come
abbiamo
accennato
precedentemente,
il
T.
cruzii,
oltre
che
attraverso
la
via
vettoriale,
può
trasmettersi
anche
tramite
emotrasfusioni
con
sangue
infetto
o
con
il
trapianto
di
organi
alberganti
il
protozoo,
col
possibile
sviluppo
di
una
forma
asintomatica
latente
e,
col
passare
degli
anni,
di
varie
complicanze
tipiche
del
chagas
cronico;
possono
inoltre
presentarsi
casi
di
riattivazione
dell’infezione
latente
(con
sviluppo
di
una
forma
di
chagas
acuto)
a
causa
di
una
brusca
diminuzione
dell’efficienza
del
sistema
immunitario
(da
HIV,
patologie
emolinfoproliferative,
trattamento
con
immunosoppressori,
ecc).
Un
ulteriore
problema
di
notevole
rilevanza
è
rappresentato
dal
rischio,
per
il
bambino
di
una
donna
in
gravidanza,
asintomatica,
ma
con
sierologia
positiva
per
gli
anticorpi
Anti-‐T
cruzi,
di
sviluppare
una
o
più
manifestazioni
cliniche
riferibili
al
chagas
congenito:
"
Conseguenza
della
trasmissione
transplacentare
di
T.
cruzi
da
madre
infetta
a
feto
"
Rischio
di
trasmissione
variabile
tra
l’1%
(Brasile)
e
il
4-‐12%
(Argentina,
Bolivia,
Cile,
Paraguay).
"
Possibilità
di
trasmissione
sia
in
fase
acuta
che
in
fase
cronica
di
malattia
"
Trasmissione
possibile
in
differenti
gravidanze
della
stessa
donna
"L’infezione
fetale
può
avvenire
in
qualsiasi
momento
durante
la
gravidanza
"In
caso
di
parto
gemellare
possibile
trasmissione
di
T.
cruzi
a
uno
o
entrambi
i
feti
"
Prevenzione
primaria
al
momento
attuale
non
realizzabile
(non
noti
effetti
della
terapia
su
donna
gravida
e
prodotto
del
concepimento)
"Possibilità
di
diagnosi
precoce
nel
neonato
e
di
trattamento
eziologico
ad
elevata
efficacia
90
104 / 356
Chagas
cronico:
contraddistinto
dallo
sviluppo
di
complicanze
a
livello
cardiaco
(Aritmie),
del
colon
(Megacolon)
e
dell’esofago
(Megaesofago);
il
rischio
maggiore
per
questi
pazienti
è
la
morte
per
morte
cardiaca
improvvisa!
Diagnosi
La
diagnosi
di
Malattia
di
Chagas
si
fonda
oggi
sulla
ricerca
diretta
del
parassita
nel
sangue
(in
fase
acuta)
o
altrimenti
sull’identificazione
di
una
serie
di
antigeni
riconducibili
al
trypanosoma
cruzi
tramite
tecniche
più
sofisticate
come
la
PCR
(in
caso
di
chagas
indeterminato
e
cronico).
Prima
dell’avvento
della
PCR
la
diagnosi
di
M.
di
Chagas
si
poneva
sulla
base
del
risultato
della
cosiddetta
“Xenodiagnosi”:
per
ricercare
il
parassita
nel
sangue
dell’individuo
che
si
supponeva
essere
infetto,
veniva
posta
una
appositiva
gabbietta,
contenente
un
vettore
non
infetto,
sulla
cute
del
paziente;
come
ben
sappiamo,
l’insetto,
una
volta
finito
il
proprio
pasto
di
sangue,
defeca
e
quindi,
analizzando
le
sue
feci,
saremo
in
grado
di
rilevare
l’effettiva
presenza
o
assenza
di
T.
cruzi.
(ovviamente
è
necessario
lasciare
l’insetto
a
contatto
con
la
pelle
del
paziente
per
un
tempo
sufficiente
a
consentire
l’attiva
replicazione
del
protozoo
all’interno
della
vinchuca!).
MALATTIA
DI
CHAGAS
CONGENITA
DIAGNOSI
LO
SCREENING
DELLA
INFEZIONE
CONGENITA
DA
T.
CRUZI
DEVE
ESSERE
ATTUATO
IN
TUTTI
I
NEONATI
DI
DONNE
PROVENIENTI
DA
AREA
ENDEMICA
PER
TRIPANOSOMIASI
AMERICANA
"Verificare
la
presenza
di
infezione
nella
madre:
"
Test
sierologici
(test
molecolari
?)
"
Lo
screening
materno
può
essere
eseguito
in
qualsiasi
momento
durante
la
gravidanza
o
al
momento
del
parto
"Non
esiste
un
marcatore
clinico
sensibile
e
specifico
per
la
malattia
di
Chagas
congenita.
La
diagnosi
deve
essere
confermata
con
metodiche
di
laboratorio:
"
indagini
parassitologiche
e
molecolari
(PCR
T.
cruzi),
utili
in
fase
precoce
(0-‐8
mesi
di
vita)
"
indagini
sieroimmunologiche
per
la
ricerca
di
Ab
anti-‐T
cruzi
classe
IgG
(attendibili
solo
dall’8°
mese
di
vita)
L’infezione
placentare
(frequente
in
donne
gravide
infette)
non
è
necessariamente
associata
a
infezione
fetale.
Esame
parassitologico/molecolare
della
placenta
non
utile
ai
fini
diagnostici
91
105 / 356
Trattamento
La
malattia
di
Chagas
nei
soggetti
immigrati,
generalmente
incoscienti
del
proprio
stato
infettivo,
costituisce,
come
abbiamo
detto,
un
problema
sanitario
emergente
nei
paesi
non
endemici
di
destinazione.
L’infezione
da
T.
cruzi,
infatti,
una
volta
acquisita,
persiste
indefinitamente
e
in
circa
il
70%
dei
casi
l’infezione
presenta
decorso
subclinico
e
rimane
pertanto
misconosciuta
a
lungo.
Gli
individui
infetti
non
trattati
costituiscono
quindi
una
possibile
fonte
di
trasmissione
della
malattia
per
l’intera
vita!
Due
sono
i
farmaci
oggi
più
utilizzati:
Benznidazolo
e
Nifurtimox;
sono
farmaci
poco
maneggevoli,
tossici,
con
molti
effetti
collaterali
(nausea,
vomito,
diarrea,
neuropatie,
ecc),
ma
estremamente
efficaci,
che
in
genere
si
danno
per
circa
2
mesi.
Vista
l’estrema
efficacia
di
questi
farmaci,
soprattutto
in
bambini
con
meno
di
un
anno,
la
prassi
è
aspettare
che
il
bambino
nasca
e
quindi
trattarlo
per
prevenire
lo
sviluppo
delle
temibili
complicanze
associate
a
morbo
di
chagas
congenito.
92
106 / 356
6.
Leishmaniosi
Malattia
infettiva
provocata
da
alcune
specie
di
protozoi
del
genere
Leishmania,
trasmessa
da
un
vettore
(insetto
ematofago)
infettatosi
tramite
un
pasto
di
sangue
ai
danni
di
un
animale
vertebrato
che
funge
da
serbatoio.
La
maggior
parte
delle
leishmaniosi
sono
zoonosi
e
l’uomo
viene
infettato
solo
occasionalmente;
esistono
però
anche
forme
antropozoonotiche,
per
le
quali
l’uomo
è
l’unico
serbatoio
(ma
qui
da
noi
non
ci
sono!).
Epidemiologia
93
107 / 356
Quanto
al
vettore:
NON
E’
UNA
ZANZARA!
Il
vettore
è
un
flebotomo
e
si
distingue
dalla
zanzara
per
le
più
piccole
dimensioni
(2-‐
3mm),
per
le
ali
a
forma
di
lancia
e
le
zampette
molto
più
lunghe
(è
evidente
dalla
foto
no??).
In
Italia
i
flebotomi
(psicodidi)
sono
distribuiti
su
tutto
il
territorio
nazionale
sotto
i
1200
m
di
altitudine,
sono
attivi
soprattutto
di
notte
e
si
allontanano
pochissimo
dai
luoghi
di
riproduzione.
Leishmaniosi
viscerale:
eziopatogenesi
Abbiamo
detto
che
sono
oggi
state
identificate
tantissime
specie
di
Leishmania,
di
cui
almeno
30
sicuramente
patogene
per
l’uomo.
Ci
concentreremo
adesso
sulle
forme
di
Leishmaniosi
viscerale,
presenti
in
italia
e
potenziali
cause
di
morte
per
l’individuo
infettato.
94
108 / 356
La
L.
viscerale
è
una
reticoloendotelite
sistemica,
interessante
quindi
preferenzialmente
distretti
quali
midollo
osseo,
fegato,
milza,
ghiandole
linfatiche,
sottomucosa
intestinale
ed
interstizio
polmonare.
Trattandosi
in
genere
di
una
zoonosi,
l’uomo
rappresenta
solo
occasionalmente
l’ospite
per
il
protozoo
mentre
i
serbatoi
principali
sono
in
genere
(oltre
al
cane)
la
volpe,
il
ratto
e
altri
piccoli
mammiferi/roditori
selvatici;
in
India
e
Sudan,
invece,
l’uomo
rappresenta
il
serbatoio
principale
dell’infezione.
Quanto
agli
agenti
eziologici
della
LV,
distinguiamo
il
L.
donovani,
tipico
dell’Africa
orientale,
della
penisola
arabica
e
dell’India
e
il
L.
infantum,
diffuso
nel
bacino
del
Mediterraneo,
in
Medio
Oriente,
in
Asia
centrale,
Cina
e
America
meridionale.
La
trasmissione
del
parassita,
tramite
flebotomi
vettori
(Phlebotomus
perniciosus,
Phlebotomus
major,
Phlebotomus
ariasi),
inizia
in
genere
a
partire
da
maggio,
con
massima
attività
nei
tardi
mesi
estivi.
Patogenesi:
I
parassiti,
una
volta
inoculati
nella
cute
dell’ospite
sotto
forma
di
promastigoti
tramite
la
puntura
del
flebotomo,
iniziano
ad
invadere
i
macrofagi
locali
e
si
moltiplicano
in
amastigoti,
determinando
progressivamente
un’infezione
diffusa
dei
tessuti
reticolo-‐istio-‐monocitici;
i
magrofagi,
infettati,
si
attivano
e
con
la
massiccia
liberazione
di
varie
citochine
e
mediatori
locali
quali
l’IL-‐2,
l’INF-‐γ,
l’IL-‐4
e
l’IL-‐10
innescano
l’attivazione
monoclonale
dei
linfociti
che,
con
il
rilascio
di
fattori
di
crescita
e
dell’IL-‐12,
potenziano
a
loro
volta
l’attività
dei
macrofagi,
consentendo
quindi
al
sistema
immunitario
(in
buona
parte
dei
casi)
di
arginare
efficacemente
l’infezione.
Detto
questo,
risulterà
ovvio
che
tutte
le
condizioni
che
causino
una
risposta
Th1
scadente
(l’immunodeficienza
è
un
importante
fattore
di
rischio!)
siano
alla
base
di
una
evoluzione
sfavorevole
della
malattia.
Clinica
All’infezione
posso
conseguire
una
varietà
importante
di
sindromi
cliniche,
comprendenti:
• Forme
asintomatiche
• Forme
cutanee
• Forme
muco
cutanee
• Forme
viscerali
Questa
estrema
variabilità
clinica,
da
forme
asintomatiche
a
forme
rapidamente
progressive
e
potenzialmente
letali,
si
fonda
essenzialmente
sulla
complessa
interazione
fra
la
virulenza
del
parassita
e
l’attività
del
sistema
immunitario
dell’ospite:
95
109 / 356
La
guarigione,
infatti,
dipende
in
larga
misura
dalla
capacità
dei
linfociti
T
di
attivare
i
macrofagi,
potenziandone
l’attività
battericida/batteriostatica;
la
risposta
anticorpale,
invece,
non
solo
non
sembra
avere
alcun
significato
protettivo,
ma
rappresenta
bensì
un
potenziale
fattore
di
aggravamento
della
situazione,
con
possibile
exitus
in
tempi
relativamente
brevi
del
paziente:
l’attivazione
policlonale
dei
linfociti
B
determina
infatti
iperγglobulinemia
e
la
formazione
di
immunocomplessi
circolanti
che,
unitamente
al
ricco
e
generalizzato
pool
citochinico
pro-‐infiammatorio,
può
portare
il
paziente
a
morire
per
stato
cachettico!
Vediamo
adesso
la
clinica
nello
specifico:
Dopo
un
periodo
di
incubazione
variabile
(2-‐8
mesi),
l’insorgenza
dei
sintomi
può
essere
acuta
o
più
graduale.
I
sintomi
e
segni
più
rilevanti
sono:
-‐ Febbre
(pressochè
costante)
moderata
o
di
tipo
settico,
intermittente
o
remittente
(2
cuspidi
giornaliere)
con
brividi
e
sudorazioni.
Si
parla
di
“Febbre
anarchica”,
ovvero
una
sindrome
febbrile
senza
connoti
specifici,
che
può
cambiare
in
qualsiasi
momento;
il
problema
Leishmaniosi
si
pone
quando
dopo
un
pò
la
terapia
antibiotica-‐antipiretica
non
risulta
efficace.
(Sintomi
e
Segni
tardivi)
-‐ Tensione
addominale
-‐ Tosse
secca
-‐ Pallore
-‐ Facile
esauribilità
-‐ Subittero
o
ittero
franco
L’esame
obiettivo
rivela
in
genere:
-‐ Splenomegalia
(consistenza
molle-‐dura);
la
milza
può
raggiungere
dimensioni
estreme
se
la
Leishmaniosi
non
viene
adeguatamente
identificata
e
trattata!
-‐ Epatomegalia
(meno
rilevante)
-‐ Linfoadenopatia
Gli
esami
di
laboratorio:
-‐ Anemia
normocromica
-‐ Leucopenia
(2.000-‐3.000
GB/mmll)
-‐ Piastrinopenia
(alla
base
delle
alterazioni
quantitative
delle
tre
principali
filiere
cellulari
ematiche
circolanti
troviamo
la
possibile
condizione
di
Ipersplenismo
instauratasi
ma
soprattutto
l’iper-‐infiltrazione
protozoaria
del
midollo
osseo
emopoietico!)
-‐ Iperγglobulinemia
-‐ Ipoalbuminemia
-‐ VES
Considerando
il
dato
clinico-‐anamnestico
e
i
reperti
di
laboratorio
non
potrà
sfuggire
l’analogia
fra
questa
situazione
clinica,
riferibile
alla
Leishmaniosi
viscerale,
e
quella
tipica
di
molti
disordini
emolinfoproliferativi,
quali
ad
esempio
leucemie
e
mielofibrosi
primaria,
che
entreranno
di
diritto
in
diagnosi
differenziale.
(DD:
Febbre
tifoide,
Brucellosi,
Malaria,
TBC,
emopatie)
96
110 / 356
Qualora
la
malattia
venisse
riconosciuta
tardivamente,
il
quadro
clinico
potrebbe
essere
dominato
da
reperti
quali
una
splenomegalia
imponente,
un’importante
stato
di
malnutrizione
con
ipotrofia
delle
masse
muscolari,
cute
atrofica,
grigiastra,
anemia
grave
(Hb
<
6g/dl),
emorragie
cutanee
e
mucose
(da
carenza
di
piastrine
e
protrombina),
edemi
(da
ipoalbuminemia),
sovrainfezioni
batteriche,
ecc
Coinfezione
HIV-‐leishmania:
La
LV
in
soggetti
HIV+
può
essere
il
risultato
di:
1)Riattivazione
di
portatori
asintomatici
2)Prima
infezione
in
soggetto
immunocompromesso
Le
caratteristiche
principali
di
questa
associazione
sono:
-‐ Ceppi
dermotropi
che,
in
presenza
di
sieropositività
per
l’HIV,
possono
portare
a
forme
di
LV
-‐ Decorso
cronico
-‐ Assenza
di
splenomegalia
-‐ Assenza
di
risposta
anticorpale:
il
40%
dei
soggetti
coinfettati
non
sviluppa
infatti
anticorpi
specifici
anti-‐Leishmania
(i
livelli
anticorpali
sono
50
volte
inferiori
rispetto
ai
pz
immunocompetenti),
probabilmente
a
causa
dell’assenza
di
linfociti
T
in
grado
di
riconoscere
antigeni
specifici
delle
leishmanie
e/o
incapaci
di
stimolare
adeguatamente
i
linfociti
B
a
produrre
anticorpi
ad
alta
specificità.
E’
bene
ricordare
però
che
la
risposta
anticorpale
risulta
essere
indipendente
dal
numero
totale
dei
linfociti
T-‐CD4+.
-‐ Prevalenza
della
risposta
Th2
sulla
Th1,
con
conseguente
evoluzione
progressiva
dell’infezione
-‐ Letalità
elevata
-‐ Probabile
effetto
sinergico
Leishmania-‐HIV
[N.B
Circa
il
50%
dei
pazienti,
al
momento
della
diagnosi
di
coinfezione
Leishmania-‐HIV,
presenta
già
una
forma
di
AIDS
conclamata,
con
il
42-‐68%
circa
che
mostra
anche
almeno
un’altra
infezione
opportunistica!]
Diagnosi
Il
quadro
clinico,
quando
caratteristico,
può
essere
di
aiuto,
ma
giusto
per
una
diagnosi
provvisoria
(nei
casi
di
coinfezione
HIV-‐Leishmaniosi
la
diagnosi
basata
sull’algoritmo
clinico
risulta
ancora
più
insoddisfacente!).
Per
la
diagnosi
di
sicurezza
abbiamo
a
disposizione
due
diversi
procedimenti,
fra
loro
complementari
(non
mutualmente
esclusivi!!):
1. Diagnosi
Indiretta
2. Diagnosi
Diretta
La
diagnosi
indiretta
prevede
l’utilizzo
di
una
serie
di
tecniche
sierologiche
specifiche,
quali:
• IFAT
(Indirect
Fluorescent
Antibody
Test):
è
il
test
di
riferimento
nei
paesi
Occidentali;
molto
sensibile
(95-‐100%)
e
di
alta
specificità
(circa
98%);
la
positività
al
test
è
espressa
a
titolo
e
quindi,
in
caso
di
titolo
solo
relativamente
aumentato
(1:80-‐1:160),
come
ad
esempio
può
accadere
in
corso
di
LES,
pericardite
streptococcica,
cirrosi
epatica,
m.
di
Chagas,
ecc
la
positività
al
test
risulta
aspecifica
e
saranno
necessarie
ulteriori
indagini;
esame
utile
soprattutto
per
la
diagnosi
precoce
di
casi
attivi
di
malattia
ed
il
monitoraggio
della
sua
evoluzione
clinica
Svantaggio
principale:
Rimane
positiva
per
8-‐15
mesi
dopo
la
cura
(controlli
ogni
2-‐
3
mesi)
97
111 / 356
• ELISA
• Emoaglutinazione
diretta
(DAT)
Limiti
diagnosi
indiretta:
• Gli
anticorpi
si
evidenziano
circa
un
mese
dopo
l’esposizione
• Nel
20-‐50%
dei
soggetti
immunodeficienti
non
si
rileva
un
movimento
anticorpale
• La
riduzione
del
tasso
anticorpale
dopo
il
trattamento
è
lenta
(circa
1
anno)
E’
importante
ricordare
che
i
procedimenti
diagnostici
atti
alla
ricerca
degli
anticorpi
piuttosto
che
degli
antigeni
(diagnosi
indiretta)
non
possono
e
non
devono
sostituire
la
ricerca
del
parassita:
la
diagnosi
diretta
è
infatti
assolutamente
necessaria
per
fare
diagnosi
di
Leishmaniosi.
1)
IDENTIFICAZIONE
MICROSCOPICA
Esame
economico,
di
facile
esecuzione
e
di
buona
sensibilità
(62-‐90%
su
B.M.
e
90-‐95%
su
B.S.)
richiedente
però
procedure
invasive,
oltre
ad
essere
una
metodica
operatore-‐
dipendente.La
dimostrazione
del
parassita
in
preparati
microscopici
avviene
con
l’analisi
di:
• Agoaspirato
da
milza,
midollo
osseo,
fegato,
linfonodi
• Striscio
di
materiale,
fissato
in
metanolo
e
colorato
con
Giemsa
(Sensibilità
di
uno
striscio
midollare:
80-‐95%)
Spesso,
per
aumentare
la
sensibilità
dello
striscio
midollare,
si
associa
la
ricerca
del
parassita
tramite
PCR,
considerando
il
fatto
che
la
parassitemia
è
frequentemente
fugace
e
di
basso
livello.
2)
ESAME
COLTURALE
Indispensabile
per
la
diagnosi
di
specie!
Richiede
però
tempi
piuttosto
lunghi
(10-‐40
giorni),
è
effettuabile
solo
in
laboratori
specializzati
ed
è
poco
sensibile,
poiché
alcune
Leishmanie
spp.
hanno
difficoltà
a
crescere
in
vitro.
Tecniche
avanzate
-‐
Ibridazione
“dot-‐blot”
con
una
sonda
di
DNA
-‐
PCR
Parametri
aspecifici
•aumento
VES
•
aumento
gammaglobuline
•
Ipoalbuminemia
•
Leucopenia
•
Anemia
•
Piastrinopernia
•
Prova
di
formolo-‐leucogelificazione
(1
goccia
di
formalina
al
40%
in
1
ml
di
siero);
non
si
fa
più
da
noi!!
98
112 / 356
Terapia
1. Antimoniali
(Glucantim)
!20
mg
Sb/kg/die
i.m.
per
21-‐28
giorni;
non
usa
più
da
noi!
2. Amfotericina
liposomiale
(Ambisome)
!
3-‐10
mg/kg/die
i.v.
per
6
giorni
(1-‐5
e
10)
Dose
totale:
18mg/kg;
terapia
d’eccellenza!
3. Amfotericina
complessi
lipidici
(Abelcet)
2
mg/kg/die
per
5-‐7
giorni
(adulti);
inferiore
come
efficacia
ad
Ambisome
e
più
alto
rischio
effetti
collaterali!
4. Miltefosina
(Impavido®)
!
2,5
mg/kg/die
per
28
giorni
per
via
orale;
farmaco
economico,
utilizzato
molto
nei
paesi
più
poveri.
Prevenzione
Precoce
riconoscimento
dei
casi
umani
+
controllo
del
serbatoio
canino
con:
• Screening
sierologico
• Abbattimento
dei
casi
sintomatici
• Trattamento
famacologico
degli
animali
infetti
paucisintomatici
99
113 / 356
7.
Leptospirosi
La
leptospirosi
è
una
malattia
infettiva
febbrile
provocata
da
alcune
specie
di
batteri
del
genere
Leptospira,
famiglia
delle
Leptospiraceae;
un’antropozoonosi
a
distribuzione
cosmopolita.
Agente Eziologico
Le
Leptospirae
sono
state
descritte
per
la
prima
volta
all’inizio
del
‘900,
quando
furono
osservate
all’esame
istologico
del
tessuto
renale
di
un
soggetto
morto
per
“febbre
gialla”
(la
patologia
che
oggi
definiamo
“febbre
gialla”
è
invece
una
febbre
emorragica
causata
da
un
virus
appartenente
ai
flaviviridae).
Oltre
al
genere
Leptospirae,
la
famiglia
delle
Leptospiraceae
comprende
anche
i
generi
Turneria
e
Leptonema.
100
114 / 356
La
Leptospirosi
è
nota
anche
come
malattia
professionale
di:
-‐
Mondine
-‐
Agricoltori,
allevatori,
stallieri,
veterinari
-‐
Operatori
delle
fogne,
minatori
-‐
Pescatori,
cacciatori
-‐
Praticanti
di
sport
acquatici
Clinica
Dopo
un
periodo
di
incubazione,
che
può
durare
dai
due
ai
venti
giorni
(tipicamente
10-‐15
giorni),
iniziano
in
genere
a
manifestarsi
diversi
segni
e
sintomi,
riferibili
ad
una
notevole
varietà
di
quadri
clinici:
come
esistono
forme
asintomatiche,
nelle
quali
il
soggetto
non
si
rende
neppure
conto
di
essere
malato,
esistono
anche
forme
fulminanti,
che
possono
portare
anche
rapidamente
a
morte
il
paziente.
!"#$%&#'(%&'
Classicamente,
però,
il
decorso
è
bifasico
(elemento
già
importante
che
può
orientare
l’iter
diagnostico
nel
verso
giusto).
!"#$%&'#%()*%#+#,'-*+&-./+*.(%0#123454#678#9:;3<:
1. Fase
acuta
(o
leptospirotica)
!"#$%&#'($)"*#'*#+'$,-&%,',"*.",'%.//,'0.1-.$,0)$,'*#$-#$.,','23456789'
($&:&%&9'*.;,/.,':&#/.+0,9'1&,/<&.9'$,*=&,/<&.9'1,/."".$.9'&+&.>&#+.'
*#+<&)+0&:,/.9',+#$.""&,9'+,)".,'.':#1&0#
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0#$1.+0#".9'#(+)(&/,1.+0#'%./'".+"#$	'&+0.$."",1.+0#'-#/1#+,$.9'
&-#0.+"&#+.9'.1#$$,<&.'*#+<&)+0&:,/&9'$&<&%&0A +)*,/.
C.+#';$.D).+0.1.+0.E'.",+0.1,'1#$(&//&;#$1. %&'($.:.'%)$,0,'
F0$#+*#'.%',%%#1.G'.';,$&+<#%&+&,
8,"&'<$,:&E'&00.$#'F&+0#$+#',/'H7 <&#$+#G
Chiaramente
il
quadro
è
abbastanza
aspecifico:
abbiamo
di
fronte
un
paziente
che
sta
male,
con
febbre
alta
insorta
bruscamente,
mialgie,
rachialgie,
cefalea
violenta
(se
associata
a
rigidità
nucale,
dovrebbe
essere
presa
in
considerazione
l’esecuzione
di
una
puntura
lombare),
brividi,
nausea,
vomito,
anoressia,
ecc
(tutti
sintomi
frequentemente
riscontrati
in
molte
altre
patologie
infettive).
L’iniezione
congiuntivale,
però,
può
essere
abbastanza
tipica,
e
si
possono
avere
addirittura
vere
e
proprie
emorraie
congiuntivali;
da
ricordare
poi
che
le
mialgie
possono
essere
lievi
ma
anche
estremamente
impegnative
e
in
genere
interessano
i
polpacci
o
i
muscoli
addominali
(talvolta
possono
simulare
un
addome
acuto).
L’intensità
del
quadro,
comunque,
può
essere
estremamente
variabile,
e
questo
certamente
non
ci
aiuta
nella
diagnosi.
È
necessario
visitare
il
paziente:
un
accurato
esame
obiettivo
può
rivelare
infatti
segni
di
irritazione
meningea
(10-‐40%
dei
casi),
epatomegalia
(25%),
adenomegalia
(15-‐20%)
e,
più
raramente,
splenomegalia
(meno
del
10%),
oltre
ad
eventuale
presenza
di
bradicardia
relativa;
segnali
di
obnubilamento
del
sensorio
(che
in
un
giovane
è
certamente
un
segnale
di
allarme)
ed
un
esantema
morbilliforme
su
tronco
ed
addome,
rappresentano
altri
possibili
reperti
obiettivi;
la
comparsa
di
ittero,
intorno
alla
settima
giornata,
è
un
segnale
indicativo
di
forma
grave.
Se
non
c’è
l’ittero
e
mancano
altri
segni
particolari,
tipicamente
si
sospetta
una
virosi,
o
al
massimo
una
meningite.
101
115 / 356
$5('&*(+$2!$))))))))))))))))))))))))))))))))),4.3-0
612('&*(+$2!$)))))))))))))))))))))))))))))))7,-0
8"(6('%$)5!)9"$5!:$"5!$)"(2$#!;$
Gli
esami
di
laboratorio
effettuati
di
routine
ci
mostrano
però:
<6$*!)5!)2$9&"$#&"!&?
2(@:&:!#&6!)'(@#"&A!2$
$2#("$%!&'!)5(+2!)!'5!:!)5!)
A@'%!&'$2!#B (1$#!:$
C29@*!'@"!$)DE. *!:"&(*$#@"!$
F!6:(6$)5(22$)A(99"()()*!+2!&"$*('#&)5(22$)6!'#&*$#&2&+!$?),.3)+!&"'!
La
leucocitosi
neutrofila
depone
per
un’infezione
batterica.
G$6!)$5)(;&2@%!&'()'(+$#!;$?)!"#$%&'1("):&22$66&):!":&2$#&"!&)&)!'6@AA!:!('%$)
2. Fase
immune
(o
leptospirurica)
"('$2(
La
febbre,
in
corso
di
leptospirosi,
ha
tipicamente
un
andamento
bifasico:
continuo
o
sub
continuo
che
sia,
dopo
5-‐10
giorni
di
febbre,
se
il
paziente
non
sviluppa
una
forma
!"#$%&"'()*+,$-+.()#&//$),&**0&1).("'+"2()()-2*.("'+"2()3&0)
fulminante
(improvvisa
comparsa
di
insufficienza
renale
e
collasso
cardiocircolatorio),
la
temperatura
in
genere
si
normalizza
per
crisi,
anche
grazie
agli
antipiretici,
per
poi
4567)8+(0"+9).$#2'$)3&0).0+-+9)&)"2(:()0+$/;()'&0%+.()#(3()<5=)8+(0"+
tornare
a
salire
dopo
pochi
giorni
(2-‐3
giorni).
-‐ A
livello
renale
abbiamo
lesioni
a
carico
del
nefrone
distale,
con
distruzione
dell’epitelio
tubulare
e
della
membrana
basale
ed
interessamento
dell’interstizio,
con
risparmio
dei
glomeruli;
all’esame
anatomopatologico
è
tipico
il
riscontro
di
un
infiltrato
linfocitario.
-‐ A
livello
epatico
il
quadro
classico
è
caratterizzato
da
fenomeni
degenerativo-‐
necrotici,
ipotrofia
delle
cellule
di
Kupfer
e
colestasi.
-‐ A
livello
meningeo
si
riscontra
un
certo
grado
di
flogosi
con
infiltrato
linfocitario,
con
modico
ispessimento
delle
meningi.
Quindi,
in
questa
fase,
il
paziente
che
avevamo
iniziato
ad
assistere
a
causa
di
febbre
elevata,
mialgie
violente
e
cefalea,
manifesterà
ittero,
segni
di
insufficienza
renale
(oliguria/anuria)e
segni
di
irritazione
meningea.
102
116 / 356
Questa
modificazione
del
quadro
!"#$%&#'(%&' clinico
è
altamente
indicativa
e
può
portarci
alla
diagnosi.
La
comparsa
dell’ittero
potrebbe
far
pensare
ad
un’epatite
virale,
soprattutto
se
associato
alla
febbre,
ma
la
rigidità
nucale,
la
cefalea
violenta,
la
leucocitosi
neutrofila
!"#$%"&$'()%%$'*)++,)
e
i
segni
di
insufficienza
renale
non
quadrano
con
una
diagnosi
di
epatite
virale
acuta.
Inoltre,
-.&),)##$/).&0')1$&0,).$%)
l’elevazione
delle
transaminasi
234564 è
s7"0,.$&$'80.'$8/)'
olo
modesta.
($%%$'94 #)&&"/$.$:'
-++)%".%/0&(&,"
!"#$%"#&''&"() )$*+&,*
1%&().,"2"%.#*%'*2*
3),&.,4&*%)
)*+,*-./-
!"#$%"#&''&"() %)(*2) 01/2
31,);$%).&)/).&)'($ !4-
/561+*7819*++78:/81;
"2&5/%&*
*(/%&*
La
leptospira
pomona
causa
una
forma
particolare
di
leptospirosi,
una
meningite
a
liquor
limpido
con
disturbi
del
sensorio,
turbe
psichiatriche,
alterazioni
della
coscienza
fino
al
coma,
segni
di
irritazione
meningea,
difficoltà
respiratoria
(fino
ad
un
quadro
di
ARDS)
e
crisi
convulsive.
103
117 / 356
!"#$%&#'(%&'
#$%&#'(%&'
In
questa
seconda
fase,
gli
esami
di
laboratorio
ci
mostreranno:
!"#$%&'%&(#)*+#,*+%*-
Per
metterci
sulla
strada
della
!"#$%$&'%(&)*+,-* diagnosi
sono
fondamentali
i
segni
di
interessamento
renali,
.&/&0#1&23*4&('3
ovvero
l’aumento
della
!&"5"*'032(34&23(& "*6344378 creatininemia,
la
proteinuria,
l’ematuria,
la
piuria,
la
presenza
9:%'"4&3 dei
cilindri
nel
sedimento.
Evoluzione
E’
possibile
l’evoluzione
verso
la
guarigione
completa
anche
senza
terapia,
come
del
resto
è
possibile
anche
la
morte
per
insufficienza
renale
o
collasso
caridocircolatorio
dovuto
alla
miocardite
o
ad
un’emorragia
imponente.
Anche
un
grave
danno
epatico
può
essere
causa
di
morte.
L’insufficienza
renale
può
essere
di
entità
tale
da
richiedere
la
dialisi,
sebbene
il
paziente
possa
poi
recuperare
completamente
la
funzione
renale
una
volta
guarito.
Nell’uomo,
a
differenza
di
quanto
si
verifica
negli
animali
reservoir,
non
esiste
la
possibilità
di
un’infezione
cronica.
Diagnosi
La
diagnosi
è
suggerita
dal
quadro
clinico.
In
particolare
devono
farci
pensare
alla
leptospirosi:
-‐ L’andamento
bifasico
della
febbre,
con
stabilità
per
5-‐10
giorni,
defervescenza
per
crisi
e
successiva
ricomparsa
e
stabilizzazione
dell’alterazione
febbrile.
-‐ Esordio
brusco
con
forti
mialgie,
cefalea,
iniezione
congiuntivale.
-‐ L’ittero
con
lieve
rialzo
della
transaminasemia
e
dei
segni
di
colestasi
in
associazione
con
evidenza
laboratoristica
di
danno
renale
e
riscontro
di
segni
d‘irritazione
meningea
a
liquor
limpido
(con
modesta
pleiocitosi).
-‐ Esami
di
laboratorio
che
evidenziano
danno
renale,
screzio
epatico,
leucocitosi
neutrofila.
104
118 / 356
!"#$%&#'(%&'
!""#$%&'#(%)*+)&,(-.%)")/
012&.#/* Per
fare
diagnosi,
se
siamo
nella
fase
leptospirotica,
possiamo
#'-"-3%4$&5* cercare
le
leptospire
nel
sangue,
3)64-$"-3%4$& sfruttando
la
fase
di
leptospiremia.
Si
fanno
quindi
le
emocolture
(3
789
prelievi
ogni
mezz’ora).
Purtroppo,
:1 2&.#/ le
leptospire
non
crescono
4$)(-"-3%4$& facilmente
nelle
emocolture.
La
PCR
su
sangue
non
viene
effettuata
di
+)'-.%$&;)-(#*+)*&(%)"-$<)*(#3*.)#$-
routine
per
la
leptospira.
=:*"&'<)-()*&*+).%&(;&*+)*0>*,)-$()?
Nella
seconda
fase
non
si
ha
batteriemia,
ma
in
compenso
le
leptospirae
si
ritrovano
nelle
urine,
per
cui
possiamo
richiedere
l’urinocoltura,
avendo
cura
di
avvisare
il
laboratorio
che
dovrà
preparare
terreni
appositi
per
la
leptospira.
Spesso,
comunque,
l’urinocoltura
può
risultare
negativa,
soprattutto
se
è
già
stata
intrapresa
una
terapia
antibiotica,
e
allora
il
nostro
unico
strumento
sarà
rappresentato
dalla
sierologia:
dimostreremo
la
presenza
di
anticorpi
specifici.
Occorrono
almeno
un
paio
di
settimane
per
osservare
la
comparsa
degli
anticorpi,
pertanto
se
saremo
così
bravi
da
aver
fatto
diagnosi
di
leptospirosi
solo
sulla
base
della
clinica,
il
primo
prelievo
sarà
negativo.
Pertanto,
è
sempre
necessario
un
secondo
prelievo
a
distanza
di
15
giorni.
!"#$%&#'(%&'
Terapia
!"#$$#%&'$(
!&"#)*#+#'$*,*($*-#. La
terapia
è
!""#$%$&'(&'#)#*#%+%',-&$.$&/&)+&'0,-#/#'1'2#.-)#3 efficace
se
4.((#5#6&'-&%*#.)&'7#'8%-#($9:;&-<9&#/&- iniziata
entro
i
primi
5
giorni,
/&'*-*00*'#+1+234536+%*0*('*+789*& )&"+:534+;*("'*<
altrimenti
!&$"#-*-0*'&+2=44+%;+)&"+>+)&"+(? )&"+:534+;*("'*< l’innesco
della
@(A*-*-0*'# 2344+%;+)&"+6+)&"+(? )&"+:534+;*("'*< risposta
immunitaria-‐
C$$*D*+#'-E&.+#%)*-*00*'#F+-&G#0(?)("*'&F+-0*'9#%*-*'# &+%#-"(0*9* infiammatoria
determina
una
!&"#)*#+9*+?B))("$(. progressione
del
=.)+-.66.'7&66>&?@#6#5-#.'#7-.&6&++-#$. danno
d’organo
troppo
rapida
e
A#%6#(#
inarrestabile.
4%$&/%B&- Pertanto,
la
terapia
deve
essere
iniziata
precocemente,
non
appena
si
ha
il
sospetto
di
un’infezione
batterica.
Per
la
leptospirosi,
poi,
non
abbiamo
grosse
difficoltà
terapeutiche,
perché
si
tratta
di
un
patogeno
sensibile
ad
una
grande
varietà
di
antibiotici,
senza
che
vi
siano
problemi
di
resistenza.
Quando
siamo
sicuri
della
diagnosi
possiamo
utilizzare
anche
semplicemente
la
penicillina
G
(10-‐12.000
unità/die,
alternando
tra
sodica
e
potassica,
per
7-‐10
gg
di
terapia).
Anche
le
tetracicline
funzionano
bene:
si
usa
in
genere
la
doxiciclina
(100
mg
bid).
In
genere,
comunque,
soprattutto
quando
non
si
è
certi
della
diagnosi,
si
usa
il
ceftriaxone:
funziona
bene
e
ci
fornisce
una
notevole
copertura.
Anche
l’amoxicillina
è
efficace.
105
119 / 356
8.
Rickettsiosi
Gruppo
eterogeneo
di
malattie
infettive
febbrili
acute,
diffuse
in
varie
parti
del
mondo,
provocate
da
alcune
specie
di
batteri
del
genere
Rickettsia
(famiglia
delle
Rickettsiaceae),
trasmesse
da
artropodi
ematofagi
quali
acari,
zecche,
ecc.
Agente eziologico
106
120 / 356
Operativamente,
le
principali
rickettsiae
patogene
per
l’uomo
possono
essere
divise
in
tre
generi:
• Rickettsia
• Orientia
• Coxiella
Epidemiologia
Grande interesse riveste oggi lo studio della distribuzione delle rickettsie: una serie di studi
hanno dimostrato che esse si distribuiscono in modo assai eterogeneo, tanto da poter quasi
affermare che ogni regione possiede i propri specifici ceppi di rickettsie. Nel
1988
è
stato
pubblicata
la
prima
serie
di
rickettsiosi
associate
al
viaggiatore
internazionale.
Da
allora
più
di
450
casi
sono
stati
riportati
in
letteratura. In Africa, ad esempio, la rickettsiosi ha
107
121 / 356
assunto le caratteristiche di patologia emergente: questo fatto ci porta a prendere in
considerazione la diagnosi di Rickettsiosi in un viaggiatore che, in seguito ad un viaggio in
Africa, manifesti febbre, sebbene sia in prima istanza necessario escludere la malaria.
Le
rickettsiosi
umane
hanno
però
in
comune
alcuni
caratteri
epidemiologici:
• La
distribuzione
geografica
di
Rickettsia
spp.
è
determinata
dall’
incidenza
del
suo
ospite
artropode
e
l’
incidenza
stagionale
della
malattia
è
parallela
all’attività
dell’artropode.
• E’
importante
ricordare
che
anche
gli
stadi
immaturi
delle
zecche
(larve,
ninfe)
possono
essere
coinvolti
nella
trasmissione
della
patologia
e
che
la
loro
incidenza
differisce
da
quella
della
popolazione
adulta.
Ad
esempio,
la
febbre
del
Mediterraneo
causata
da
R.
conorii
è
trasmessa
principalmente
da
Rhipicephalus
sanguineus,
la
cui
popolazione
adulta
punge
in
maggio;
molti
casi
si
verificano
tuttavia
ad
Agosto
suggerendo
che
le
larve
e
le
ninfe
sono
responsabili
della
trasmissione
(con
picco
di
incidenza
in
agosto).
Il
rischio
di
trasmissione
delle
rickettsie
mediante
zecca
e,
conseguentemente,
la
prevalenza
della
patologia
specifica,
dipendono
da
diversi
parametri:
1)
La
prevalenza
delle
zecche
infettate
è
ampiamente
variabile;
ad
es.
nel
sud
della
francia
più
del
2%
Rhipicephalus
sanguineus
sono
infette
da
R.
conorii
mentre
solo
0.5%
di
D.
variabilis
in
nord
Carolina
è
infetto
da
R.ricketsii.
2)
L’affinità
delle
zecche
per
l’uomo
è
variabile;
ad
es.
sebbene
nei
paesi
mediterranei
tutti
siano
in
contatto
con
la
zecca
del
cane
la
prevalenza
di
Febbre
Bottonosa
è
solo
di
50
per
100.000
abitanti,
a
causa
della
bassa
affinità
della
zecca
per
l’uomo
piuttosto
che
per
il
cane.
3)
La
densità
dell’artropode
è
inoltre
importante
ed
è
influenzata
da
fattori
climatici
e
dalle
condizioni
ecologiche.
108
122 / 356
Patogenesi
109
123 / 356
Clinica
Innanzitutto
è
importante
ricordare,
nuovamente,
che
il
morso
della
zecca
in
genere
non
è
doloroso,
tanto
che
di
solito
non
viene
neanche
avvertito,
soprattutto
se
si
tratta
di
piccole
larve
e
ninfe;
in
molti
casi
di
febbre
bottonosa
la
zecca
viene
infatti
rilevata
all’
esame
obiettivo
a
livello
del
sito
di
puntura:
il
paziente
semplicemente
non
se
ne
era
accorto
e
non
sa
quindi
riferire
una
storia
di
morso.
110
124 / 356
Tipicamente,
però,
oltre
alla
manifestazione
febbrile,
il
paziente
rimane
impressionato
–
e
quindi
si
reca
dal
medico
o
al
Pronto
Soccorso
–
non
appena
compare
l’esantema.
In
questo
caso,
se
in
un
paziente
con
esantema
maculopapulare
o
vescicoloso
riscontriamo
la
tache
noire,
abbiamo
fatto
diagnosi
di
rickettsiosi.
Tuttavia
il
rash
non
è
sempre
presente:
infatti,
è
in
genere
assente
nelle
forme
contratte
in
Africa,
che
vengono
pertanto
definite
anesantematiche.
111
125 / 356
Successivamente
troviamo
la
fase
della
localizzazione
delle
lesioni,
con
la
comparsa
di
manifestazioni
caratteristiche
che
ci
aiutano
nella
diagnosi:
il
rash
cutaneo
caratteristico,
accompagnato
dalla
febbre
alta
e
dall’escara
ci
consente
già
di
porre
la
diagnosi
corretta.
Se
si
tratta
di
una
forma
grave
o
ormai
avanzata,
possono
comparire
i
segni
dell’interessamento
cardiaco
(ipotensione,
tachicardia,
pericardite
acuta,
TVP…)
e
cerebrale
(confusione,
deficit
neurologici
focali).
Nella
maggior
parte
dei
casi,
!"#$%#&'(#)*'$#+,-.'/#0$#)%(#$#%1,)2,((')
comunque,
la
patologia
mantiene
manifestazioni
moderate,
e
le
forme
complicate
rappresentano
solo
il
6%
dei
casi:
purtroppo,
però,
la
letalità
è
pari
al
2%,
quindi
3,44",)40..0$0-' *,2#.,""'$,'
certamente
elevata
e
legata
soprattutto
ai
fattori
di
comorbidità
(cardiopatie,
diabete,
immunosoppressione).
! ! !
"#$%&'()#*%+$%! /!
,-%$%,.'!
!
! !
0'112'! =>>!
3(#$)'4#! ?@!
5'&#-'#! ?A!
"%#-6%#! B@!
7#,.'!$+%2'! BA!
82)2#-6%#! C@!
39#)+4'6#-%#! D@!
5+$6%:$)%;%)'! @!
<9-'$+4'6#-%#! @!
!
Diagnosi
di
Rickettsiosi
112
126 / 356
Innanzitutto:
in
caso
di
sospetto
di
Rickettsiosi,
fondato
sul
dato
clinico-‐anamnestico,
è
importante
iniziare
subito
la
terapia
specifica,
senza
attendere
i
risultati
degli
esami
di
laboratorio,
che
arriveranno
solo
quando
la
persona
sarà
già
guarita
o
morta.
Terapia
113
127 / 356
9.
Malattia
di
Lyme
Malattia
infettiva
provocata
da
alcune
specie
di
batteri
del
genere
Borrelia,
trasmessa
attraverso
il
morso
di
un
vettore
(artropode
ematofago)
infettatosi
tramite
un
pasto
di
sangue
ai
danni
di
un
animale
vertebrato
che
funge
da
serbatoio.
La
patologia
porta
il
nome
di
una
cittadina
del
Connecticut,
Lyme,
dove
la
malattia
fu
per
la
prima
volta
riconosciuta
come
un’entità
nosologica
distinta
in
seguito
ad
una
microepidemia
che
si
verificò
in
bambini,
inizialmente
ritenuti
affetti
da
una
forma
giovanile
di
artrite
reumatoide.
La
presenza
dell’eritema
migrante
e
l’ambiente
rurale
del
cluster
fecero
ipotizzare
la
trasmissione
della
malattia
da
parte
di
un
vettore
artropode,
che
fu
infatti
riconosciuto
nelle
zecche
appartenenti
al
complesso
Ixodes
ricinus.
Nel
1982
fu
infine
isolata
la
Borrelia
burgdorferi.
A
fianco,
un’immagine
della
ridente
cittadina
di
Lyme,
che
probabilmente
sperava
di
diventare
famosa
per
ben
altri
motivi.
Agente
eziologico
e
vettore
La
Borrelia
burgdorferi
(Famiglia
delle
Treponemataceae,
Ordine
delle
Spirochaetales)
è
un
batterio
microaerofilo,
spiraliforme,
gram
negativo,
particolarmente
difficile
da
coltivare.
Il
suo
genoma
consta
di
un
insolito
cromosoma
lineare
e
di
un
certo
numero
di
plasmidi,
codificanti
anche
per
un
gran
numero
di
proteine
antigeniche,
in
parte
lipoproteine:
sono
oggi
note
più
di
100
differenti
proteine
con
potere
antigenico.
Sotto
il
nome
di
Borrelia
burgdorfer
sensu
lato
si
includono
tre
ordini
di
batteri:
-‐ B.
burgdorferi
sensu
stricto
(comune
negli
USA)
-‐ B.
garinii
-‐ B.
afzelii
114
128 / 356
Il
ciclo
vitale
della
zecca
è
estremamente
importante
per
comprendere
la
patogenesi
della
malattia
di
Lyme.
La
zecca
Ixodes
possiede
tre
forme:
la
larva,
la
ninfa
e
l’adulto,
tutte
e
tre
dipendenti
dalla
disponibilità
di
pasti
di
sangue
e
con
diverso
tropismo
per
vertebrati
di
differente
taglia.
All’inizio
dell’estate,
le
ninfe
infette
si
nutrono
del
sangue
di
piccoli
mammiferi,
trasmettendo
loro
l’infezione;
a
fine
estate,
invece,
le
larve
della
zecca
si
nutrono
dagli
stessi
mammiferi
precedentemente
infettati
dalle
ninfe,
contraendo
così
l’infezione;
in
seguito
esse
diventeranno
ninfe
infette
e
perpetueranno
così
il
ciclo
infettivo.
Per
poter
trasmettere
l’infezione
all’uomo,
si
ritiene
che
gli
artropodi
debbano
rimanere
attaccati
per
almeno
24
ore
(il
rischio
di
contagio
aumenta
all’aumentare
del
tempo
di
contatto
con
l’artropode):
si
ritiene
infatti
che
la
trasmissione
avvenga
tramite
iniezione
di
saliva
contaminata
o,
più
probabilmente,
con
il
rigurgito
del
contenuto
intestinale
quando
la
zecca
è
satura,
dopo
periodici
pasti
di
sangue.
E’
quindi
necessario
rimuovere
tempestivamente
l’infido
insetto,
praticando,
dopo
averlo
“afferrato”
con
pinze
adatte,
un
lieve
movimento
rotatorio
(va
svitata),
al
fine
di
evitare
il
rigurgito
di
materiale
infetto
e
la
rimozione
incompleta
della
zecca
(se
la
zecca
viene
strappata
via,
il
rischio
che
la
testa
e
le
zampette
rimangano
in
sede
è
alta
e
la
lesione
può
quindi
sovrainfettarsi
più
facilmente).
Epidemiologia
Patogenesi
Una
volta
verificatosi
il
morso,
la
Borrelia
tende
a
diffondersi
nelle
aree
cutanee
circostanti,
producendo
il
classico
eritema
migrante.
A
questo
punto,
anche
a
seconda
del
particolare
ceppo
infettante,
è
possibile
che
il
batterio
penetri
nel
connettivo
sottostante
e
raggiunga
i
vasi;
questo
accade
poiché
queste
Borrelie
sono
dotate
di
proteine
di
superficie
capaci
di
legare
il
plasminogeno
e
i
suoi
attivatori,
nonché
molti
elementi
della
matrice
extracellulare,
risultandone
così
una
degradazione
della
matrice
e
la
diffusione
per
via
ematica
dell’agente
patogeno.
In
ultimo
assisteremo
alla
comparsa
di
una
serie
di
manifestazioni
generalizzate,
come
ad
esempio
la
sindrome
flu-‐like
tipica
della
prima
fase,
e
localizzate
(che
prenderemo
in
analisi
più
avanti),
derivanti
dallo
spiccato
tropismo
della
B.
Bugdoferi
per
cute,
cuore,
articolazioni
e
sistema
nervoso.
La
B.
Bugdoferi
non
produce
in
genere
ne
complessi
antigeni
come
ad
esempio
il
Lipopolisaccaride
ne
esotossine;
la
maggior
parte
della
patologia
ad
essa
associata
deriva
piuttosto
dall’abnorme
risposta
immunitaria-‐flogistica
montata
dall’organismo:
la
presenza
della
Borrelia
attiva
massivamente
l’immunità
innata
grazie
al
legame
delle
sue
componenti
lipoproteiche
con
i
recettori
Toll-‐like
dei
macrofagi.
La
produzione
massiva
di
citochine
che
ne
deriva
sembra
essere
fondamentale
per
il
controllo
precoce
dell’infezione.
Dopo
le
prime
settimane,
però,
si
attiva
anche
l’immunità
specifica,
con
partecipazione
dei
linfociti
T
e
B.
I
linfociti
B
producono
IgM
dirette
contro
un
repertorio
di
peptidi
appartenenti
alle
proteine
della
Borrelia:
il
picco
massimo
del
titolo
anticorpale
si
raggiunge
tra
la
terza
e
la
sesta
settimana.
La
risposta
IgG,
invece,
raggiunge
il
suo
picco
dopo
alcuni
mesi
o
anni,
più
o
meno
parallelamente
allo
sviluppo
dell’artrite.
In
questo
momento
della
malattia,
sono
presenti
immunocomplessi
circolanti
in
numero
notevolissimo.
115
129 / 356
Clinica
L’infezione
inizia
con
il
morso
della
zecca
e,
dopo
un
periodo
di
incubazione
variabile
dai
2
ai
30
giorni,
compare
la
caratteristica
lesione
cutanea
che
tende
ad
espandersi
dal
sito
di
inoculo
primario
(fase
dell’infezione
localizzata,
cute,
primo
stadio);
questa
prima
fase,
se
non
adeguatamente
inquadrata
e
trattata,
può
durare
da
alcune
settimane
fino
addirittura
a
2
anni,
dopodiché
ha
in
genere
inizio
il
secondo
stadio,
dell’infezione
disseminata,
che
prevede
la
diffusione
ematogena
della
Borrelia
in
diverse
sedi
(SNC,
cuore
e
cute
in
particolare).
La
stragrande
maggioranza
dei
pazienti
che,
dopo
settimane
o
mesi
dal
manifestarsi
dei
tipici
reperti
clinici
della
seconda
fase,
sviluppano
caratteristici
quadri
clinico-‐patologici
a
carico
di
articolazioni,
cute
e
SNC,
sono
persone
che
non
hanno
avuto
una
corretta
interpretazione
degli
stadi
precedenti,
con
la
conseguente
evoluzione
del
processo
patologico
al
terzo
stadio,
quello
dell’infezione
persistente.
116
130 / 356
Stadio
2
–
Infezione
disseminata
Le
spirochete
sono
entrate
nel
circolo
ematico
e
diffondono
in
tutto
l’organismo,
con
preferenziale
localizzazione
a
tre
livelli:
cutaneo,
cardiaco
e
nervoso.
Quanto
all’interessamento
cutaneo,
spesso
i
pazienti
presentano
lesioni
cutanee
secondarie
simili
all’originale
(eritema
migrante,
primo
stadio).
Interessamento
meningeo
Segni
di
meningismo
si
possono
riscontrare
anche
precocemente,
ma
in
genere
non
si
riscontra
pleiocitosi
nel
liquor.
Dopo
parecchie
settimane,
invece,
il
15%
dei
pazienti
sviluppa
una
evidente
sintomatologia
neurologica.
Qui
i
quadri
sono
estremamente
variabili:
negli
Stati
Uniti
il
quadro
prevalente
è
una
meningite
a
liquor
limpido
intermittente,
con
associata
paralisi
del
facciale
e
radiculoneurite
periferica.
Tuttavia,
molte
altre
manifestazioni
sono
possibili:
atassia,
encefalite,
mielite.
In
questa
fase
si
osserva
una
pleiocitosi
linfocitica
nel
liquor,
con
protidorrachia
aumentata
e
lieve
riduzione
della
glicorrachia.
In
Europa
è
più
caratteristico
il
dolore
radicolopatico
seguito
da
pleiocitosi
(meningopolineurite).
Può
essere
interessato
il
nervo
ottico
e,
nei
bambini,
questo
può
condurre
a
cecità.
In
genere
le
manifestazioni
neurologiche
si
risolvono
entro
alcuni
mesi.
In
seguito,
poi,
può
esordire
una
sindrome
neurologica
cronica.
Interessamento
cardiaco
Dopo
alcune
settimane
dall’infezione,
l’8%
dei
pazienti
presenta
coincolgimento
cardiaco.
Questo
si
manifesta
in
genere
con
blocchi
A-‐V
di
vario
grado
(1°
grado,
Wenckebach,
3°
grado).
Possono
essere
presenti
i
segni
di
una
miopericardite
di
grado
variabile.
Raramente
il
quadro
è
quello
di
una
pancardite
con
cardiomegalia.
In
genere,
in
questa
fase
sono
presenti
anche
i
dolori
muscolari,
articolari,
tendinei
ed
ossei
migranti,
che
durano
ore
o
giorni
ed
interessano
una
o
due
sedi
alla
volta.
Altre
possibili
manifestazioni,
più
rare,
sono
linfoadenopatie,
splenomegalia,
congiuntivite,
irite,
tumefazione
testicolare,
tosse
non
produttiva
e
faringite.
117
131 / 356
da
B.
garinii,
più
frequente
in
Europa
ed
è
la
leucoencefalite,
caratterizzata
da
paraparesi
spastica,
disfunzione
vescicale,
deficit
del
settimo
e
ottavo
paio
di
nervi
cranici
e
mutamento
consistente
del
carattere.
A
livello
cutaneo
la
lesione
tipica
è
l’acrodermatite
cronica
atrofizzante,
che
inizia
con
una
fase
infiammatoria,
caratterizzata
da
decolorazione
cutanea
rosso-‐bluastra
ed
edema
cutaneo,
successivamente
evolvente,
in
alcuni
mesi
o
anni,
verso
l’atrofia;
possono
anche
svilupparsi
placche
cutanee
dure,
sclerotiche.
Diagnosi
Un’attenta
anamnesi
(si
ricorda
di
essere
stato
morso?
Ha
per
caso
notato
una
lesione
cutanea
“strana”?
che
lavoro
fa?
ecc)
e
uno
scrupoloso
esame
obiettivo
possono
sicuramente
indirizzare
correttamente
l’iter
diagnostico:
il
sospetto
clinico
di
malattia
di
Lyme
è
fondamentale.
Il
riscontro
del
caratteristico
eritema
migrante
e/o
della
tipica
triade
cefalea-‐rigor
nucalis-‐paralisi
del
facciale
(2°
stadio)
consentono
già
in
pratica
di
porre
la
diagnosi
di
Borreliosi
e
di
iniziare
la
cura
specifica,
in
attesa
di
una
conferma
dal
laboratorio.
Gli
esami
di
routine
rivelano
in
genere
alterazioni
piuttosto
aspecifiche
come
aumento
degli
indici
di
flogosi,
leucocitosi
neutrofila,
lieve-‐moderato
aumento
delle
transaminasi
e
incremento
dell’LDH.
Diagnosi Differenziale
L’eritema
migrante
può
comparire
anche
in
seguito
alla
semplice
puntura
di
zecca
senza
che
sia
trasmessa
alcuna
infezione.
In
questi
casi
si
ha
espansione
minima.
Un’espansione
più
rapida
può
essere
manifestazione
di
una
cellulite
streptococcica
o
di
una
reazione
allergica,
probabilmente
alle
proteine
della
saliva
della
zecca.
118
132 / 356
L’artrite
pone
il
problema
della
DD
con
la
forma
pauciarticolare
dell’AR
nel
giovane,
e
con
l’artrite
reattiva
dell’adulto.
In
genere,
i
pazienti
che
sviluppano
l’artrite
hanno
un
elevato
titolo
anticorpale
IgG
anti-‐spirocheta.
La
paralisi
del
faciale
può
essere
manifestazione
di
altre
infezioni,
come
quelle
da
virus
erpetico
e
da
varicella
zoster.
Terapia
-‐ Amoxicillina
per
os
(500
mg
TID
per
14-‐21
giorni)
-‐ Cefuroxima
axetil
(in
caso
di
allergie
a
beta-‐lattamine)
-‐ Macrolidi
(meno
efficaci)
L’amoxicillina
è
in
genere
efficace
nei
bambini
in
più
dosi
giornaliere.
In
caso
di
malattia
localizzata
sono
sufficienti
2
settimane
di
terapia,
mentre
in
caso
di
malattia
disseminata
si
deve
in
genere
continuare
per
3-‐4
settimane.
Alcuni
pazienti
ad
inizio
terapia
possono
sviluppare
una
reazione
di
tipo
Jarisch
–
Herxheimer,
con
febbre
alta,
brividi
e
riacutizzazione
della
sintomatologia;
è
quindi
consigliabile
iniziare
la
terapia
a
basso
dosaggio,
onde
evitare
la
lisi
massiva
delle
spirochete
e
lo
sviluppo
di
questa
temibile
reazione.
Per
l’artrite
di
Lyme
si
può
usare
la
stessa
terapia
orale
continuata
per
30-‐60
giorni
oppure
si
può
utilizzare
il
ceftriaxone
per
via
endovenosa,
e
il
vantaggio
in
questo
caso
è
una
terapia
più
breve
(2-‐4
settimane).
La
terapia
parenterale
è
necessaria
per
le
alterazioni
neurologiche
e
caldamente
consigliabile
per
le
forme
con
interessamento
cardiaco.
Prognosi
119
133 / 356
10.
Febbre
Q
La
febbre
Q
è
il
quadro
clinico
causato
dall’infezione
da
Coxiella
burnetii,
un
piccolo
organismo
gram
negativo
strettamente
correlato
alle
rickettsiae.
C.
burnetii
esiste
in
due
forme
antigeniche:
la
fase
I
e
la
fase
II.
Quando
C.
burnetii
viene
passata
in
colture
cellulari
o
in
uova
embrionate,
il
suo
lipopolisaccaride
subisce
una
troncatura
che
porta
ad
una
modificazione
antigenica
definita
variazione
di
fase.
La
forma
di
fase
I
è
estremamente
infettante
ed
è
quella
che
troviamo
negli
esseri
umani
e
in
altri
animali.
La
forma
di
fase
II
è
quella
che
deriva
dal
passaggio
in
coltura
e
non
è
virulenta.
C.
burnetii
è
sporigeno
e
riesce
pertanto
a
sopravvivere
anche
in
condizioni
ambientali
estremamente
ostili:
riesce
a
sopravvivere
per
più
di
40
mesi
nel
latte
scremato
conservato
a
temperatura
ambiente
e
viene
facilmente
rinvenuta
nel
terreno
un
mese
dopo
un
evento
di
contaminazione.
1. Epidemiologia
La
febbre
Q
è
una
zoonosi.
Le
sorgenti
principali
per
l’infezione
umana
sono
i
bovini,
le
pecore
e
le
capre
infette.
Tuttavia,
anche
i
gatti,
i
cani,
i
piccioni
e
i
conigli
infetti
possono
potenzialmente
essere
sorgente
di
infezione
per
l’uomo.
In
natura,
poi,
C.
burnetii
ha
serbatoi
in
diverse
specie,
compresi
mammiferi,
uccelli
e
zecche.
Nelle
femmine
di
mammifero
infette
(es:
mucche,
capre,
pecore…)
il
batterio
si
localizza
al
livello
dell’utero
e
delle
ghiandole
mammarie;
l’infezione
si
attiva
nel
periodo
della
gravidanza
e
C.
burnetii
si
concentra
al
livello
della
placenta.
Al
momento
del
parto,
C.
burnetii
si
diffonde
sotto
forma
di
aerosol,
e
in
questa
occasione
può
essere
inalata
da
un
ospite
suscettibile
(es:
uomo).
Anche
il
suolo
risulta
contaminato
a
seguito
del
parto,
e
il
verificarsi
di
tempeste
di
vento
può
determinare
la
formazione
di
aerosol
contenenti
cariche
infettanti
di
coxielle
anche
a
mesi
di
distanza
dal
parto.
In
caso
di
vento,
gli
aerosol
possono
diffondersi
(e
quindi
essere
fonte
di
infezione)
in
un
raggio
superiore
ai
15
km.
Ovviamente,
poi,
il
latte
delle
femmine
di
mammifero
infette
contiene
Coxiella
burnetii
(e
questo
accade
per
settimane
o
mesi
dopo
il
parto);
tuttavia,
l’ingestione
di
latte
contaminato
non
sembra
essere
il
principale
veicolo
di
infezione
per
l’uomo,
laddove
invece
gli
aerosol
contaminati
rappresenterebbero
la
via
principale
di
acquisizione
dell’infezione.
- Macellai
- Veterinari
- Soggetti
esposti
per
ragioni
professionali
ad
animali,
in
particolari
animali
neonati
e/o
prodotti
del
concepimento
di
mammiferi.
120
134 / 356
venga
trasmessa
prevalentemente
attraverso
l’ingestione
di
latte
contaminato,
e
la
polmonite,
invece,
dove
la
trasmissione
avvenga
soprattutto
mediante
l’inalazione
di
aerosol
contaminati.
In
alcuni
Paesi,
Coxiella
burnetii
è
causa
di
ingenti
perdite
economiche
per
l’industria
della
carne
bovina.
2. Manifestazioni
cliniche
La
febbre
Q
causa
due
sindromi
cliniche:
l’infezione
acuta
e
l’infezione
cronica.
Probabilmente,
lo
sviluppo
o
meno
della
forma
cronica
dipende
prevalentemente
dalle
caratteristiche
delle
risposte
immunitarie
dell’ospite,
più
che
dal
ceppo
infettante.
Si
è
infatti
osservato
come
nei
pazienti
con
forma
acuta
di
febbre
Q
si
ritrovino
solo
pochi
microrganismi
a
fronte
di
un’intensa
risposta
cellulare;
al
contrario,
nei
pazienti
con
forma
cronica
si
assiste
alla
presenza
di
un
elevato
numero
di
batteri
con
una
debole
risposta
immunitaria.
Febbre
Q
acuta
L’incubazione
della
febbre
Q
varia
tra
3-30
giorni
(in
media,
20
giorni).
Nel
60%
dei
pazienti,
l’infezione
è
completamente
asintomatica.
Nei
pazienti
sintomatici,
la
presentazione
clinica
può
comprendere:
- Sindrome
simil-‐influenzale
- Febbre
prolungata
(14%)
- Polmonite
(20-‐40%)
- Epatite
(20-‐40%)
- Pericardite
(1%)
- Miocardite
(1%)
- Meningoencefalite
(2%)
Si
possono
tuttavia
riconoscere
tre
quadri
clinici
principali
e
abbastanza
distinti
riconducibili
alla
forma
acuta
di
febbre
Q:
121
135 / 356
La
conta
dei
globuli
bianchi
è
normale;
si
osserva
spesso
trombocitopenia,
che
in
fase
di
convalescenza
si
trasforma
in
trombocitosi
con
significato
reattivo.
Talvolta,
alla
risoluzione
della
febbre
Q
acuta
fa
seguito
una
fase
prolungata
di
astenia,
che
in
alcuni
casi
può
perdurare
anche
per
anni.
Febbre Q cronica
La
febbre
Q
cronica
è
una
possibile
conseguenza
della
forma
acuta:
essa
si
sviluppa
in
meno
dell’1,5%
dei
pazienti
che
hanno
contratto
l’infezione,
e
interessa
principalmente
soggetti
con
situazione
immunologica
particolare:
Per
la
definizione
di
febbre
Q
cronica
occorre
che
il
rapporto
infettivo
perduri
per
più
di
6
mesi;
tuttavia,
i
pazienti
con
febbre
Q
cronica
possono
rimanere
asintomatici
o
accusare
sintomi
vaghi
e
aspecifici
per
diversi
mesi,
o
addirittura
anni
dal
momento
dell’infezione
acuta.
La
febbre
è
di
solito
assente
o
bassa.
La
manifestazione
principale
della
febbre
Q
cronica
è
rappresentata
dall’endocardite.
Le
vegetazioni
osservate
in
corso
di
febbre
Q
cronica
sono
spesso
di
piccole
dimensioni
e
assumono
la
forma
di
noduli
valvolari
(sono
quindi
diverse
dalle
classiche
vegetazioni
osservabili
in
corso
di
endocardite
batterica).
L’endocardite
da
Coxiella
burnetii
è
caratteristicamente
un’endocardite
con
emocolture
negative:
pertanto,
occorre
un
forte
indice
di
sospetto
122
136 / 356
diagnostico
per
giungere
all’identificazione
della
malattia.
Rifacendosi
ai
criteri
Dukes
per
la
diagnosi
di
endocardite
infettiva,
vediamo
che
la
Coxiella
è
citata
come
caso
particolare.
Infatti,
per
la
diagnosi
di
endocardite
da
Coxiella,
sono
sufficienti:
A. Una
singola
emocoltura
positiva
per
C.
burnetii
(dato
che,
normalmente,
tende
a
dare
emocolture
negative).
B. Un
titolo
IgG
anti-fase
I
>1:800
Febbre
Q
cronica
Manifestazioni
principali
Endocardite
con
colture
negative
Rash
cutaneo
inspiegato
Epato-‐splenomegalia
Febbre
assente
o
di
grado
modesto
Laboratorio
VES
elevata
PCR
elevata
Fattore
reumatoide
positivo
Ipergammaglobulinemia
ALT,
AST
elevate
Microbiologia
Anti-‐Fase
I
IgG:
>1:800
Emocolture
raramente
positive
PCR
su
materiale
bioptico
positiva
Manifestazioni
rare
Infezioni
endovascolari
Osteomielite
Artrite
settica
Spondilite
Epatite
cronica
Mononeurite
Neurite
ottica
Diagnosi
123
137 / 356
I
è
molto
più
elevato
rispetto
a
quello
delle
anti-‐fase
II:
un
titolo
di
IgG
anti-‐fase
I
superiore
a
1:800
consente
di
porre
diagnosi
di
febbre
Q
cronica.
Nella
febbre
Q
acuta,
invece,
si
verifica
l’esatto
contrario.
Il
passaggio
dalla
fase
acuta
alla
convalescenza
è
confermato
dalla
riduzione
di
4
volte
del
titolo
anticorpale
rispetto
a
quello
osservato
in
fase
acuta:
Terapia
1. Febbre
Q
acuta
La
terapia
della
febbre
Q
acuta
può
essere
praticata
con
doxiciclina
(100
mg
x
2,
per
14
giorni).
Eventualmente,
anche
i
fluorochinoloni
sono
efficaci.
In
gravidanza,
è
raccomandato
il
trattamento
con
cotrimossazolo
per
tutta
la
durata
della
gravidanza.
2. Febbre
Q
cronica
Il
trattamento
della
febbre
Q
cronica
deve
comprendere
almeno
due
antibiotici
attivi.
I
regimi
più
comunemente
impiegati
sono:
- Rifampicina
(300
mg/die)
+
Doxiciclina
(200
mg/die
in
due
dosi)
- Rifampicina
(300
mg/die)
+
Ciprofloxacina
(1500
mg/die
in
due
dosi)
- Doxiciclina
(200
mg/die)
+
Idrossiclorochina
(600
mg/die)
La
durata
ottimale
della
terapia
è
ancora
da
definire;
generalmente
si
raccomanda
un
trattamento
di
almeno
3
anni.
La
terapia
va
interrotta
solo
se
il
titolo
IgA
anti-fase
I
diventa
<1:50
e
quello
delle
IgG
anti-fase
I
<1:200.
Se
si
usa
il
regime
a
base
di
idrossiclorochina
e
doxiciclina,
la
terapia
può
essere
ridotta
a
18
mesi,
fermo
restando
il
criterio
sierologico.
In
questo
caso,
però,
è
necessario
monitorare
i
livelli
plasmatici
di
idrossiclorochina
in
modo
da
mantenere
le
concentrazioni
terapeutiche.
124
138 / 356
11.
Brucellosi
La
brucellosi
è
una
antropozoonosi,
una
malattia
infettiva
febbrile
generalizzata,
a
decorso
subacuto
o
cronico,
provocata
da
alcune
specie
di
batteri
del
genere.
Un
tempo
chiamata
come
febbre
ondulate
o
febbre
maltese,
la
brucellosi
rappresenta
tuttoggi
una
malattia
ampiamente
diffusa
in
tutto
il
mondo,
salvo
in
quei
paesi
in
cui
è
stata
efficacemente
eradicata
dal
serbatoio
animale.
Non
ha
manifestazioni
cliniche
specifiche,
ma
in
genere
si
presenta
come
una
sindrome
febbrile
a
classico
andamento
ondulante,
eventualmente
associata
a
sudorazione
maleodorante
(odore
simile
all’urina
di
topo).
Agente Eziologico
125
139 / 356
delle
macellerie
e
dei
caseifici,
e
i
familiari
di
tutte
queste
persone.
Sono
a
rischio
anche
i
laboratoristi
dei
laboratori
microbiologici
e
i
viaggiatori
che
abbiano
occasione
di
nutrirsi
di
cibi
infetti.
Vie
di
trasmissione:
la
brucellosi
può
essere
trasmessa
per
via
enterale,
inalatoria
e
per
contatto
diretto
con
cute
o
mucose;
comunque
la
trasmissione
attraverso
contatto
interumano
e/o
tramite
emoderivati
è
estremamente
rara.
Cibi
a
rischio.
I
cibi
più
frequentemente
incriminati
sono
il
latte
non
pastorizzato,
i
formaggi
molli
ed
il
gelato;
la
carne
cruda
ed
il
midollo
osseo
possono,
in
alcuni
casi,
essere
fonte
di
infezione.
Ugualmente
è
stata
segnalata
l’infezione
correlata
all’uso
di
prodotti
cosmetici
infetti.
La
Brucella
può
essere
considerata
a
rischio
di
impiego
in
campo
bioterroristico.
Patogenesi
La
presenza
delle
Brucelle
scatena
una
risposta
immunitaria
sia
cellulo-‐mediata
che
umorale,
con
gli
anticorpi
che
sono
in
grado
di
opsonizzare
le
Brucelle,
promuovendone
la
clearance
e
la
fagocitosi,
senza
però
riuscire
ad
eradicare
efficacemente
l’infezione,
tanto
che
i
batteri
possono
dare
avvio
ad
un’infezione
intracellulare
persistente.
Comunque,
inizialmente
l’organismo
sviluppa
una
risposta
immunitaria
innata
con
ingente
produzione
di
citochine,
tra
cui
TNFα
e
IL-‐12;
questi
eventi
portano
al
montare
di
una
risposta
di
tipo
TH1,
che
a
sua
volta
stimola
l’attivazione
ed
il
killing
ad
opera
dei
macrofagi;
parallelamente,
TNFα
e
altre
citochine,
tra
cui
interferon
gamma,
attivano
anche
una
risposta
mediata
dai
CTL
CD8+,
risultante
però
non
molto
efficace
nell’eradicazione
dell’infezione
intracellulare.
La
diffusione
ematogena,
a
partire
dal
focolaio
infettivo
primario,
può
portare
ad
un’infezione
disseminata
che
interessa
virtualmente
qualsiasi
organo,
ma
soprattutto
il
sistema
reticoloendoteliale,
l’apparato
osteomuscolare
e
genitourinario.
Le
Brucellae
innescano
sia
una
risposta
flogistica
acuta
che
una
risposta
cronica,
simile
ad
una
DTH,
che
può
anche
determinare
la
formazione
di
veri
e
propri
granulomi,
che
possono
avere
o
meno
un
centro
caseoso.
Le
Brucellae,
tuttavia,
appaiono
incredibilmente
resistenti
sia
al
killing
macrofagico
che
a
quello
operato
dai
fattori
plasmatici,
come
il
complemento:
non
è
ben
noto
il
meccanismo
di
questa
grande
adattabilità,
ma
si
ritiene
che
le
Brucellae
possiedano
sistemi
di
difesa
di
natura
proteica
stabili
a
pH
acido,
e
che
siano
in
grado
di
eludere
altri
sistemi
plasmatici
mediante
la
catena
O
del
lipopolisaccaride,
probabilmente
responsabile
anche
della
febbre
che
si
osserva
in
corso
di
brucellosi;
sembra
inoltre
che
questi
batteri
siano
in
grado
di
inibire
la
produzione
di
radicali
ossidanti
e
di
produrre
una
superossido
dismutasi.
È
quindi
evidente
che
la
persistenza
dell’infezione
è
legata
principalmente
alla
permanenza
della
Brucella
all’interno
delle
cellule
monocitarie,
senza
che
la
risposta
cellulo-‐mediata
sia
in
grado
di
eradicarla.
Clinica
Il
paziente
affetto
da
brucellosi
è
tipicamente
reduce
da
un
viaggio
in
zone
endemiche,
dove
sia
entrato
in
contatto
con
animali,
abbia
consumato
formaggi
e
prodotti
caseari
in
genere.
Può
anche
essere
un
veterinario,
o
un
lavoratore
nel
settore
dell’allevamento
e
della
produzione
casearia,
oppure
un
familiare
di
uno
di
questi
soggetti.
126
140 / 356
rialzo
febbrile
ondulante,
seguito
da
un
periodo
di
apiressia
cui
fa
seguito
una
nuova
recidiva
di
febbre
ondulante;
spesso,
è
inoltre
accompagnata
da
una
sudorazione
profusa
e
maleodorante,
oltre
che
da
un’importante
sintomatologia
dolorosa
muscolo-‐scheletrica.
Linfoadenopatie,
Epatomegalia
e
Splenomegalia
sono
altri
reperti
di
possibile
riscontro.
I
cosiddetti
sintomi
costituzionali
sono
importanti
e
frequenti:
i
pazienti
mostrano
profonda
prostrazione,
apatia,
anoressia,
calo
ponderale
notevole,
mialgie
diffuse,
cefalea
e
brividi.
Si
possono
riconoscere
tre
modelli
principali
di
brucellosi:
-‐ Malattia
febbrile
che
assomiglia
alla
febbre
tifoide,
ma
meno
grave.
-‐ Malattia
febbrile
accompagnata
dall’interessamento
di
un’articolazione,
in
genere
ginocchio
o
caviglia.
-‐ Febbre
di
lunga
durata,
deperimento,
lombalgia,
difficoltà
nella
deambulazione.
La
sindrome
febbrile
è
legata
soprattutto
alla
diffusione
sistemica
delle
brucellae,
con
loro
localizzazione
a
livello
delle
componenti
del
SRE
e
conseguente
rilascio
massivo
di
citochine;
se
la
patologia
va
avanti,
oltre
alla
febbre,
ai
sintomi
costituzionali
e
all’eventuale
ingrossamento
di
fegato
e
milza,
è
possibile
riscontrare
un
insieme
di
manifestazioni
riferibili
alla
localizzazione
d’organo
dei
batteri
(tutti
i
distretti
somato-‐
viscerali
sono
potenzialmente
a
rischio!).
127
141 / 356
Dolore
muscoloscheletrico
ed
alterazioni
patologiche
a
carico
delle
ossa
degli
arti
e
della
colonna
sono
molto
caratteristiche;
l’interessamento
osseo
può
presentarsi
come
osteomielite
e/o
artrite
settica:
l’osteomielite
interessa
più
tipicamente
le
prime
vertebre
lombari
o
le
ultime
toraciche;
l’artrite
settica
tende
ad
interessare
invece
ginocchio,
caviglia,
gomito,
spalla
e
articolazione
sterno-‐clavicolare.
La
spondiloartrite
settica
può
far
sospettare
la
tubercolosi:
nel
caso
della
brucellosi,
però,
l’alterazione
morfologica
del
corpo
vertebrale
si
verifica
solo
in
una
fase
molto
tardiva,
laddove
nella
TBC
è,
invece,
un
fenomeno
precoce.
Gli
ascessi
dello
psoas,
frequenti
nella
TBC,
sono
rari
nella
brucellosi.
Anche
la
spondilodiscite,
precoce
nella
TBC,
è
tardiva
nella
brucellosi.
La
compressione
canalare,
frequente
nella
TBC,
è
rara
nella
brucellosi.
L’interessamento
dell’apparato
respiratorio
può
presentarsi
con
tosse
secca,
ma
anche
quadri
di
polmonite,
empiema
pleurico
ed
ascessi
polmonari.
Il
cuore
può
essere
interessato
con
una
endocardite
che
frequentemente
interessa
la
valvola
aortica
e
che
complica
notevolmente
la
gestione
della
terapia.
A
volte,
si
può
provare
ad
utilizzare
l’associazione
di
quattro
antibiotici
per
tentare
di
evitare
il
ricorso
alla
chirurgia.
Si
può
verificare
embolizzazione
sistemica
con
formazione
di
ascessi
che
interessano
con
particolare
frequenza
la
tiroide
e
la
ghiandola
mammaria.
Diagnosi
La
diagnosi
di
brucellosi
non
è
semplice.
Il
quadro
ematologico
è
spesso
aspecifico,
con
innalzamento
degli
indici
di
flogosi
e
degli
indici
di
citolisi
epatica,
leucopenia,
anemia
e,
talvolta,
trombocitopenia
e
un
aumento
del
D-‐dimero.
Con
il
solo
esame
del
liquor
è
molto
difficile
differenziare
una
meningite
in
corso
di
TBC
da
una
forma
brucellare.
L’esame
istologico
di
tessuti
infetti
può
dimostrare
la
presenza
di
granulomi
in
assenza
di
bacilli
alcol-‐acido
resistenti.
128
142 / 356
La
sierologia
rappresenta
lo
strumento
attualmente
più
importante.
Inizialmente
compaiono
le
IgM
agglutinanti,
dopodiché
faranno
la
loro
comparsa
anche
IgG
ed
IgA.
Mentre
il
dosaggio
degli
anticorpi
agglutinanti
può
negativizzarsi,
l’ELISA
rimane
sempre
positivo.
In
quasi
tutti
i
centri,
comunque,
lo
standard
è
rappresentato
dal
test
di
sieroagglutinazione
standard.
Sono
considerati
positivi,
in
aree
endemiche,
titoli
tra
1:320
e
1:640,
mentre
nelle
aree
non
endemiche
il
cut-‐off
è
un
titolo
di
1:160.
Per
aumentare
la
sensibilità
del
test
viene
in
genere
richiesta
anche
la
ricerca
degli
anticorpi
incompleti.
Terapia
La
terapia
è
complessa.
In
caso
di
complicanze
è
necessario
il
ricordo
alla
chirurgia,
per
esempio
per
la
sostituzione
di
una
valvola
danneggiata
o
per
il
drenaggio
di
un
ascesso.
La
terapia
antibiotica
rappresenta
comunque
il
caposaldo,
e
deve
essere
effettuata
con
assoluta
aderenza
da
parte
del
paziente,
poiché
nei
casi
di
mancato
rispetto
delle
dosi
e
della
posologia,
le
recidive
si
verificano
con
molta
facilità.
129
143 / 356
12.
Linfoadenopatie
acute
febbrili
Questo
è
un
capitolo
di
notevole
importanza,
poiché
le
linfoadenopatie
acute
febbrili
di
origine
infettiva
entrano
in
diagnosi
differenziale
con
diverse
patologie
importanti,
soprattutto
di
tipo
linfoproliferativo
(Linfomi
di
Hodgkin,
Linfomi
non
Hodgkin
e
LLA
in
particolare).
Per
quanto
riguarda
le
patologie
infettive,
sono
soprattutto
queste
tre
a
dare
frequentemente
linfoadenopatia
acuta
febbrile:
L’EBV
possiede
tre
importanti
antigeni
che
entrano
in
gioco
nella
diagnosi
sierologica:
l’antigene
del
capside
virale
(VCA),
l’antigene
nucleare
(EBNA,
DNA
a
doppia
elica)
e
l’early
antigen
(antigene
precoce).
EBV
è
ubiquitario
ed
è
molto
frequente
nella
popolazione:
oltre
il
90%
della
popolazione
adulta
possiede
gli
anticorpi
anti-‐EBV,
ma
questo
non
significa
che
un’uguale
percentuale
di
individui
contragga
la
mononucleosi
infettiva.
Infatti
molto
spesso
il
contagio
avviene
in
età
pediatrica,
laddove
è
più
probabile
che
il
processo
infettivo
decorra
in
modo
completamente
asintomatico.
La
trasmissione
avviene
in
genere
attraverso
la
saliva,
quindi
con
la
condivisione
di
stoviglie,
giocattoli,
baci
(per
questo
la
mononucleosi
è
tipicamente
una
patologia
dell’adolescente
o
del
giovane
adulto),
ecc…
Patogenesi
130
144 / 356
Storia
Naturale
L’incubazione
ha
una
durata
compresa
in
genere
tra
uno
e
due
mesi.
L’esordio
della
malattia
è
in
genere
brusco,
con
febbre,
cefalea,
malessere,
artromialgie,
tosse
secca
e
disturbi
gastrointestinali
come
nausea,
vomito,
diarrea.
Tipica
è
la
presenza
di
una
faringotonsillite
con
essudato
biancastro
(pseudomembrane),
che
si
riscontra
in
quasi
tutti
i
casi.
A
questo
si
accompagna
una
linfoadenopatia
generalizzata
e/o
nucale,
ascellare,
inguinale,
sottomandibolare,
sottolinguale,
ma
soprattutto
è
tipica
quella
laterocervicale.
I
linfonodi
sono
dolenti
e
dolorabili,
di
consistenza
teso-‐elastica
e
mobili
rispetto
ai
piani
sottostanti.
La
splenomegalia
si
osserva
in
circa
la
metà
dei
casi,
e
l’organo
risulta
anche
di
consistenza
più
fragile,
facilmente
soggetto
alla
rottura
anche
in
seguito
a
traumi
modesti.
L’epatomegalia
è
presente
in
una
minoranza
di
casi.
Può
essere
presente
un
esantema,
tipicamente
rubeoliforme,
quindi
rosato,
maculopapulare,
piano
o
solo
lievemente
rilevato,
in
parte
confluente
e
localizzato
soprattutto
sul
tronco
e
sugli
arti.
Se
tale
esantema
è
più
intenso,
si
parla
allora
di
rash
morbilliforme
o
scarlattiniforme,
e
questa
evenienza
è
molto
frequente
quando
si
somministra
un’aminopenicillina
al
paziente
con
mononucleosi
(magari
perché
inizialmente
si
sospetta
una
faringotonsillite
streptococcica):
deriva
da
una
reazione
antigene-‐
anticorpo.
Può
essere
presente
–
in
una
discreta
percentuale
di
casi
–
un
enantema,
che
assume
l’aspetto
di
piccole
petecchie
sul
palato
duro.
Complicanze
Bisogna
tenere
presente
la
possibilità
che
si
sviluppino
complicanze.
Una
di
queste
è
la
forma
neurologica
della
mononucleosi
infettiva,
che
si
presenta
come
una
meningoencefalite
a
liquor
limpido
o
come
una
Guillain-‐Barré
(radiculo-‐polineurite
acuta
che
si
manifesta
con
paralisi
progressiva
degli
arti
ad
andamento
disto-‐
prossimale),
o
anche
come
una
cerebellite.
Laboratorio
Diagnosi
131
145 / 356
eritrociti
di
bue.
Questo
test
ha
elevato
valore
predittivo
positivo
ma
minore
valore
predittivo
negativo
perché
si
osservano
falsi
negativi
soprattutto
nelle
fasi
precoci
e
nei
bambini.
In
fase
acuta,
l’altro
test
standard
è
quello
delle
IgM
anti-VCA
(le
IgG
raggiungono
il
picco
in
3-‐4
settimane).
Più
tardivamente,
in
genere
dopo
2-‐3
mesi,
montano
gli
anticorpi
anti-‐EBNA.
La
ricerca
di
antigeni
precoci
non
si
è
rivelata
particolarmente
utile,
con
la
PCR
che
viene
utilizzata
solo
in
casi
altamente
selezionati.
Terapia
Clinica
132
146 / 356
Nell’ospite
immunodepresso,
tipicamente
osserviamo
esofagite,
colite,
corioretinite
e
la
polmonite
interstiziale,
quest’ultima
più
resistente
al
trattamento
specifico
antivirale.
Questo
è
tipicamente
il
caso
del
paziente
trapiantato
e
del
paziente
con
AIDS
conclamata
(<100
CD4+);
in
quest’ultimo
caso,
quando
viene
accertata
la
condizione
di
AIDS
conclamata,
si
intraprende
subito
la
terapia
profilattica
per
l’infezione
da
CMV
(e
altre
infezioni
tipiche
del
paziente
immunocompromesso).
Diagnosi
La
sierologia
è
poco
utile
nel
paziente
immunodepresso
e
si
applica
solo
alla
diagnostica
dell’infezione
acuta
(IgM
positive)
nel
paziente
immunocompetente.
Nel
paziente
immunocompromesso
abbiamo
sempre
una
sierologia
standard,
con
IgM
negative
ed
IgG
positive.
In
questo
caso
possiamo
ricercare
gli
antigeni
virali
(es:
p65),
oppure
possiamo
tentare
l’isolamento
del
virus
in
coltura
da
liquidi
biologici
(sangue,
urine,
saliva
e
BAL).
Oggi,
però,
si
effettua
soprattutto
la
ricerca
del
DNA
con
PCR
su
sangue
o
liquor.
Un’altra
possibilità,
usata
quando
ancora
le
metodiche
di
biologia
molecolare
non
erano
disponibili,
è
l’esame
istolopatologico
con
la
dimostrazione
dei
classici
inclusi
ad
occhio
di
civetta
(alterazione
citologica
indotta
direttamente
dall’invasione
tissutale
del
virus).
Terapia
La
profilassi
si
effettua
mediante
l’infusione
di
immunoglobuline,
soprattutto
in
ambito
trapiantologico.
3. Toxoplasmosi
E’
una
patologia
protozoaria
causata
dal
toxoplasma
gondii,
ed
è
molto
più
diffusa
di
quanto
non
si
creda,
dal
momento
che
più
di
metà
della
popolazione
adulta
possiede
anticorpi
contro
il
toxoplasma
gondii;
quest’ultimo
è
un
protozoo
della
classe
degli
sporozoa,
sottoclasse
coccidia.
L’ospite
definitivo,
ovvero
il
reservoir,
è
rappresentato
dal
gatto,
tant’è
che
si
dice
che
dove
!"#$%& non
ci
sono
gatti
non
ci
sia
'"%$%("#%& neanche
la
toxoplasmosi.
133
147 / 356
L’uomo
può
infettarsi
con
le
cisti
tissutali
e
con
le
oocisti.
Le
oocisti
sono
fonte
di
infezione
in
ambito
casalingo,
poiché
espulse
con
le
feci
dei
gatti.
Le
cisti
tissutali,
invece,
possono
essere
ingerite
con
la
carne
di
animali
che
si
erano
infettati
e
presentavano
queste
strutture
a
localizzazione
muscolare.
È
possibile
anche
la
trasmissione
transplacentare,
nonché
attraverso
trasfusione
e
trapianto
d’organo.
Storia Naturale
Nel
paziente
immunocompetente
l’infezione
è
asintomatica
nella
maggior
parte
dei
casi
(90%),
oppure
può
dar
luogo
ad
una
sindrome
di
tipo
simil-‐mononucleosico
piuttosto
blanda,
caratterizzata
da
linfoadenopatia
superficiale
(tipicamente
laterocervicale),
febbricola,
astenia,
anoressia,
faringodinia,
sudorazione
notturna.
Raramente
possiamo
avere
la
corioretinite
(che
viene
oggi
ritenuta
la
manifestazione
tardiva
di
un’infezione
congenita
da
toxoplasma).
Altre
possibilità
sono
la
meningoencefalite
–
rara
nell’immunocompetente,
la
cardite,
la
polmonite
interstiziale
e
l’epatite.
Nell’immunocompromesso
si
hanno
tipicamente
riattivazioni
di
forme
latenti:
si
tratta
di
un
quadro
clinico
molto
grave
con
coinvolgimento
multiorgano
(polmone,
cuore,
fegato,
SNC).
134
148 / 356
Terapia
La
toxoplasmosi
cerebrale
si
affronta
con
il
cotrimossazolo,
poiché
la
pirimetamina
non
passa
in
modo
soddisfacente
la
barriera
ematoencefalica.
Un’alternativa
può
essere
l’associazione
pirimetamina/clindamicina
o
azitromicina
o
claritromicina
o
dapsone,
sempre
con
acido
folinico.
Profilassi
Donne
gravide
non
immunizzate
!
Astenersi
dal
consumo
di
carni
crude
o
poco
cotte.
Congelare
semmai
i
prodotti
a
-‐20°C
perché
questo
uccide
le
cisti.
Lavarsi
le
mani
dopo
il
contatto
con
carni
crude.
Evitare
il
contatto
con
i
gatti
e
usare
guanti
qualora
si
facciano
lavori
di
giardinaggio.
Evitare
il
latte
non
pastorizzato.
Lavare
bene
e
sbucciare
la
frutta
e
la
verdura.
Curare
molto
l’igiene
del
gatto
in
casa.
!"#$%&'((%)*+&&,%--.*#/+0"+((#
La
chemioprofilassi
si
fa
nei
pazienti
HIV+
con
conta
dei
CD4+
inferiore
ai
100/mm3
e
nei
pazienti
trapiantati
da
donatore
positivo.
Si
effettua
con
immunoglobuline
antitoxoplasma.
! !"#$%&'($)!"#$*!"#$%&'' "+,,&)-%'++"$".)('+*#'!($!"#&/
0 -+) #'!($!"#&) 1$) &'.!"&) -&,$1&) 1!) 1&"!#&'+) (&-$#$2&) !) '$%+2+"#+)
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! !"#$%&'($)!"#$*!"#$%&'' $")(!8$+"#$)9:;*(&-$#$2$/
0 -+)"+.!#$2$)! +2$#!'+)+-(&-$8$&"+)!,)(!'!--$#!)<)-%'++"$".)(+'$&1$%&
0 -+)(&-$#$2$)! %=+3$&('&5$,!--$ -+)>?@<)ABCCD33E
135
149 / 356
13.
Infezioni
in
gravidanza
Il
riscontro
di
una
condizione
infettiva
in
corso
di
gravidanza
rappresenta
oggi
un
problema
clinico
piuttosto
frequente
e
che
va
attentamente
valutato.
Quando
una
donna
contrae
un’infezione
durante
la
gravidanza
la
prima
domanda
da
porsi
è
relativa
alla
datazione
dell'evento
infettivo:
quando
è
avvenuta
l’infezione?
Le
conseguenze
possono
essere,
infatti,
molto
diverse
a
seconda
dell'epoca
gestazionale:
le
infezioni
acquisite
nel
primo
trimestre,
ad
esempio,
possono
dare
problemi
clinici
particolarmente
gravi
come
aborto
o
malformazioni.
Oggigiorno
è
possibile
stimare
(grossolanamente)
l'epoca
in
cui
è
avvenuto
il
contatto
con
l’agente
infettivo
mediante
la
ricerca
degli
anticorpi
materni:
le
IgM
sono
le
prime
che
si
sviluppano
dopo
un
evento
infettivo,
e
indicano
quindi
un
contatto
recente,
mentre
le
IgG
sono
gli
anticorpi
che
si
sviluppano
più
tardi
ed
indicano
un
contatto
passato.
In
generale:
IgM
IgG
-‐
-‐
nessun
contatto
+
-‐
infezione
recente
+
+
infezione
recente
-‐
+
immunità
(infezione
passata)
Un
test
aggiuntivo
è
il
test
di
avidità,
cioè
un
test
che
valuta
con
quanta
affinità
si
lega
l'anticorpo
al
suo
antigene:
un'avidità
alta
è
indicativa
di
infezione
passata,
cioè
il
sistema
immunitario
si
è
"allenato"
a
riconoscere
il
suo
antigene
e
quindi
l'affinità
di
legame
è
più
alta;
viceversa,
una
avidità
bassa
è
indicativa
di
infezione
recente.
Quando
la
madre
contrae
un’infezione
non
è
detto
che
questa
venga
trasmessa
al
feto:
infatti,
solamente
in
una
minoranza
di
casi
il
microrganismo
(virus,
batterio
o
parassita)
riesce
ad
attraversare
la
placenta
ed
ad
essere
trasmesso
al
feto.
Uno
dei
test
disponibili
per
verificare
se
l’infezione
è
stata
trasmessa
al
feto
è
l’amniocentesi:
sul
liquido
amniotico,
infatti,
possiamo
eseguire
la
ricerca
del
DNA
del
microrganismo
con
metodiche
ultrasensibili,
quali
la
PCR.
L’amniocentesi
deve
essere
eseguita
a
precise
epoche
gestazionali
a
seconda
del
microrganismo
interessato
e
a
seconda
di
quanto
tempo
è
passato
dall’inizio
dell’infezione.
Anche
in
caso
di
positività
al
test,
comunque,
non
bisogna
allarmarsi,
in
quanto
non
necessariamente
ci
sono/saranno
conseguenze
sul
feto.
Per
individuare
eventuali
problemi
è
però
importante
eseguire
uno
o
più
controlli
ecografici
di
secondo
livello
per
lo
studio
dell'anatomia
fetale,
per
evidenziare
eventuali
malformazioni
connesse
all'infezione
stessa
o
la
presenza
di
ritardo
di
crescita
intrauterino.
Tuttavia,
anche
nei
casi
in
cui
il
quadro
ecografico
risulta
nella
norma,
non
si
può
comunque
escludere
al
100%
che
non
ci
siano
poi
problemi
nel
neonato:
alcuni
tipi
di
problemi,
come
ad
esempio
infezioni
della
retina
da
parte
di
certi
microrganismi
quali
il
toxoplasma
o
la
sordità
da
parte
del
citomegalovirus
non
danno
alcun
segno
all'ecografia,
ma
possono
essere
causa
importante
di
patologia
nel
neonato.
Trasmissione
agente
infettivo
Numerosi
agenti
infettivi
di
natura
batterica
(Treponema
Pallidum,
Mycobacterium
Tubercolosis),
virale
(virus
della
Rosolia,
CMV,
EBV,
Parvovirus
B19,
HIV,
HBV,
virus
Coxsackie)
e
parassitaria
(Toxoplasma)
riconoscono
nella
via
di
trasmissione
verticale
una
possibile
via
di
passaggio
dell’infezione:
sebbene
la
placenta
rappresenti
una
barriera
estremamente
efficace
nei
confronti
di
molte
specie
infettive,
esistono,
sfortunatamente,
tutta
una
serie
di
agenti
patogeni
(vedi
sopra)
in
grado
di
superarla
grazie
alla
capacità
di
replicarsi
all’interno
di
essa;
il
feto,
inoltre,
potrebbe
essere
136
150 / 356
paragonato
ad
una
sorta
di
“terreno
colturale
arricchito
e
senza
difese”,
quindi
un
bersaglio
ideale
per
l’instaurazione
del
rapporto
infettivo.
Schematicamente,
è
possibile
suddividere
le
infezioni
a
trasmissione
madre-‐figlio/a
in
infezioni
pre-natali
(di
pertinenza
primariamente
infettivologica),
perinatali
e
post-
natali
(di
pertinenza
primariamente
pediatrica).
Fattori
di
rischio
Madre
Feto
Generici
Giovane
età
Età
di
gestazione
Epidemia/Endemia
Infezione
Basso
peso
alla
nascita
Posizione
geografica
primaria/attività
della
malattia
Promiscuità
sessuale
Anossia
fetale
Stagionalità
Trasfusione
emoderivati
Fattori
Ostetrici
(parto
prematuro,
rottura
prolungata
delle
membrane,
parto
traumatico,
ecc)
Concomitanza
di
infezioni
Lavori
a
rischio
(ad
esempio
il
personale
sanitario)
Diversi
agenti
patogeni,
quali
alcune
specie
di
batteri
e
di
virus
in
particolare
(come
l’HSV,
il
CMV
o
il
mycobacterium
tubercolosis),
sono
in
grado
di
permanere
in
fase
di
quiescenza
all’interno
del
nostro
organismo
e,
in
particolari
condizioni,
possono
riattivarsi,
con
conseguenze
più
o
meno
importanti;
il
vero
rischio
per
il
feto,
tuttavia,
non
sono
tanto
le
riattivazioni
quanto
le
infezioni
primarie:
si
parla
di
infezione
primaria
quando
una
donna
sieronegativa
contrae
l’infezione
durante
le
prime
20
settimane
di
gravidanza.
Possibili
sequele
delle
infezioni
pre-‐natali
(quelle
che
tratteremo)
• Morte
embrione
• Aborto
• Nascita
feto
morto
• Malformazioni
congenite
• Prematurità
• Ritardo
di
crescita
intrauterino
• Malattia
acuta
neonatale
• Infezione
asintomatica
alla
nascita
ma
che
persiste
nel
post-‐natale
con
sequele
tardive
(vedi
ad
esempio
la
sordità
per
il
CMV
e
il
virus
della
Rosolia
o
il
ritardo
mentale
per
quanto
riguarda
l’infezione
da
HSV)
• Bambino
normale
senza
sequele
Le
sequele
tardive,
derivanti
dalla
continua
replicazione
dell’agente
patogeno
a
livello
di
determinati
tessuti
con
danno
progressivo
agli
organi
interessati,
rappresentano
sicuramente
motivo
di
grande
preoccupazione
in
quanto
possono
limitare
notevolmente
la
funzionalità
e
la
futura
qualità
di
vita
del
nascituro.
137
151 / 356
1)
Infezione
da
CMV
in
gravidanza
Come
è
stato
riportato
precedentemente,
nel
capitolo
sulle
Linfoadenopatie
acute
febbrili,
il
citomegalovirus
rappresenta
oggi
un
virus
di
frequente
riscontro
tra
la
popolazione
adulta:
si
calcola,
infatti,
che
circa
il
50-‐60%
degli
adulti
(al
di
sopra
dei
35
anni
di
età)
presenti
nel
sangue
anticorpi
specifici
anti-‐CMV,
reperto
indicante
l’avvenuto
contatto
in
passato
con
il
virus.
Sebbene
la
trasmissione
di
tale
agente
infettivo
avvenga,
in
genere,
per
contatto
interumano
diretto
mediante
secrezioni/fluidi
biologici,
un
problema
sempre
più
rilevante,
e
di
frequente
riscontro,
è
rappresentato
dalla
malattia
congenita
da
trasmissione
transplacentare.
Tale
via
di
trasmissione
è
favorita
da
una
serie
di
fattori,
fra
i
quali
l’eliminazione
prolungata
del
virus
con
le
secrezioni,
l’asintomaticità
dell’infezione
(nel
paziente
immunocompetente)
e
la
minore
competenza
immunitaria
della
donna
in
gravidanza
e
può
conseguire
a
due
“condizioni
di
rischio”
principali:
l’infezione
primaria
(ricorda,
si
parla
di
infezione
primaria
se
una
donna
sieronegativa
contrae
l’infezione
nelle
prime
20
settimane
di
gravidanza)
o
la
riattivazione
del
virus.
Nei
casi
di
prima
infezione
(il
reale
problema,
a
cui
fare
particolare
attenzione!)
il
virus
attraversa
la
placenta
nel
40%
dei
casi:
il
15-‐20%
di
questi
sono
casi
cosiddetti
sintomatici,
caratterizzati,
da
una
parte,
dalla
possibile
manifestazione
di
segni
neurologici,
porpora,
difficoltà
respiratorie,
epatosplenomegalia
e/o
ittero
franco
e,
dall’altra,
da
elevata
mortalità
perinatale
(intorno
al
30
%);
la
porzione
più
consistente
dei
pazienti
(85-‐90%),
invece,
si
presenta
pressoché
asintomatica
alla
nascita
e,
sebbene
la
stragrande
maggioranza
avrà
uno
sviluppo
assolutamente
normale,
un
5-‐15%
dei
soggetti
potrà
sviluppare,
col
tempo,
una
o
più
temibili
complicanze
tardive,
quali
ad
esempio
corioretinite,
ipoacusia
bilaterale
e
ritardo
mentale
di
vario
grado.
Nel
caso
di
riattivazioni/reinfezioni
la
trasmissione
verticale
del
virus
si
traduce
in
un’infezione
congenita
solo
nel
1-‐1,9%
dei
casi
e
ancor
più
raramente
esita
in
un
danno
fetale;
un
rischio
quindi
decisamente
più
contenuto
rispetto
a
quello
corso
in
caso
di
infezione
primaria.
La
trasmissione
verticale
del
virus,
contrariamente
a
ciò
che
avviene
per
gli
altri
agenti
virali,
presenta
la
stessa
frequenza,
la
stessa
possibilità
di
passaggio
durante
l’intero
periodo
della
gravidanza
(questo
per
la
capacità
del
CMV
di
replicarsi
attivamente
all’interno
della
placenta);
diverso
è
il
discorso
relativo
al
rischio
di
sviluppo
di
sequele
tardive
clinicamente
significative,
che
è
invece
massimale
se
l’infezione
primaria
e
la
seguente
trasmissione
madre-‐figlio
si
verificano
nelle
prime
27
settimane,
in
ragione
di
delicati
processi
embriogenetici
che
si
verificano
in
questa
fase.
E’
stato
accertato
che,
accanto
ad
un’età
materna
al
di
sotto
dei
24
anni
e
ad
un
eventuale
ritardo
di
maturazione
(oltre
ai
fattori
precedentemente
enunciati),
un
fattore
di
rischio
molto
importante
per
lo
sviluppo
dell’infezione
congenita
è
rappresentato
dalla
produzione
di
una
robusta
attività
anticorpale
nei
confronti
dell’agente
infettivo;
138
152 / 356
questo
fatto,
che
può
apparire
paradossale,
deriva
dal
riscontro
di
un
più
alto
titolo
anticorpale
in
donne
che
producono
minori
quantità
di
anticorpi
neutralizzanti.
Diagnosi
La
clinica
non
ci
aiuta
particolarmente;
gli
unici
riscontri
che,
semmai,
possiamo
osservare
sono
una
leggera
elevazione
delle
transaminasi
e
una
linfocitosi
(atipica).
E’
possibile
effettuare,
su
sangue
e
urine,
la
ricerca
diretta
del
virus,
tenendo
però
conto
che
viremia
e
viruria
rappresentano,
in
questo
frangente,
fenomeni
spesso
fugaci,
di
difficile
rilevazione;
in
altre
parole,
se
le
indagini
si
rivelano
positive,
gli
indici
sono
sicuri,
ma
se
il
risultato
è
la
negatività
(maggior
parte
dei
casi),
non
possiamo
assolutamente
stare
tranquilli.
[piccolo
inciso:
un
virus
nella
donna
gravida
(immunotollerante)
non
si
comporta
come
in
un
soggetto
“normale”:
continua
infatti
a
replicarsi
per
tutta
la
gravidanza,
fino
al
parto.
Nonostante
ciò
la
viremia
è
estremamente
fugace
(limitata
a
30-‐40
giorni)
e
quindi
la
ricerca
diretta
del
virus
risulta
oggi
essere
in
secondo
piano
rispetto
all’indagine
sierologica]
La
nostra
unica
vera
arma
è,
quindi,
la
sierologia.
In
particolare:
-‐ Titolo
IgM
(presenti
nel
100%
dei
casi
d’infezione
primaria
e
“solo”
nel
70%
delle
riattivazioni.
Persistono
fino
a
6-‐9
mesi
dopo
l’esaurimento
della
fase
attiva.
Possibili
false
positività
-‐ Titolo
IgG
-‐ Avidità
IgG
Il
grado
di
avidità
correla
con
il
tempo
trascorso
dall’infezione:
se
abbiamo
bassa
avidità,
l’infezione
è
recente,
ma
se
l’avidità
è
alta,
l’infezione
acuta
data
probabilmente
circa
18-‐20
settimane
addietro
(un’alta
avidità
nel
primo
trimestre
è
tranquillizzante!).
Per
esempio,
se
riscontriamo
un
titolo
elevato
di
IgM,
potremmo
sospettare
una
nuova
infezione
in
corso;
se
però
l’avidità
delle
IgG
è
elevata,
significa
molto
probabilmente
che
siamo
di
fronte
ad
una
riattivazione
di
un’infezione
latente,
con
repertorio
anticorpale
già
maturato,
oppure
ad
una
nuova
infezione
distante
più
di
sei
mesi.
In
generale,
quindi,
un’avidità
elevata
delle
IgG
nei
primi
3
mesi
di
gravidanza
ci
mette
al
sicuro.
Se
la
sierologia
giustifica
il
sospetto
di
un’infezione
da
CMV
contratta
dopo
il
concepimento,
dobbiamo
decidere
se
fare
o
meno
l’amniocentesi
(diagnosi
fetale).
Inizialmente
può
essere
prudente
inviare
la
donna
a
fare
un’ecografia
per
verificare
eventuali
anomalie
macroscopiche,
evidenti,
tenendo
conto
però
che
solo
il
30-‐50%
dei
feti
infetti
presentano
malformazioni/anomalie
evidenziabili
con
tale
metodica,
come
ad
esempio
difetti
di
crescita,
idrope,
microcefalia,
ventricolomegalia,
calcificazioni
periventricolari
o
epatiche;
non
si
possono
quindi
escludere
con
certezza
problemi
(futuri
o
già
presenti)
neurologici,
oculari
o
uditivi.
139
153 / 356
L’amniocentesi,
nonostante
sia
un
esame
invasivo
con
rischio
non
trascurabile
di
complicazioni
(tra
le
quali
anche
l’aborto),
è
l’unico
esame
che
ci
può
dare
veramente
la
certezza.
Considerando
che
esistono
tempi
legali
per
un
eventuale
aborto
(in
Italia
è
concesso
entro
la
ventiquattresima
settimana),
dobbiamo
muoverci
rapidamente,
avendo
comunque
l’accortezza
di
agire
all’interno
di
una
finestra
temporale
ben
precisa:
l’amniocentesi,
infatti,
non
va
mai
eseguita
prima
della
21esima
settimana,
in
quanto
il
feto,
in
genere,
inizia
a
urinare
non
prima
della
20°
settimana
(infettando
così
il
liquido
amniotico
con
la
sua
urina);
se
l’amniocentesi
venisse
fatta
prima
di
questo
preciso
dato
temporale,
rischieremmo
di
sottoporre
madre
e
feto
ad
una
relativamente
rischiosa
manovra
invasiva
con
una
scarsa
probabilità
di
riscontrare
l’effettiva
presenza
dell’agente
virale
nel
liquido
amniotico
(in
altre
parole,
un
esame
non
solo
inutile,
ma
anche
potenzialmente
dannoso!).
Per
la
ricerca
diretta
del
!"#$%&'()*'*)+', virus
su
liquido
-./$012'*)+'$$$$$3../$41)$51*)$060$)051**'*) oggi
più
indicata
è
amniotico,
la
tecnica
140
154 / 356
2)
Toxoplasmosi
in
gravidanza
La
sierologia
della
toxoplasmosi
in
gravidanza
può
essere
di
difficile
interpretazione.
Il
problema
principale
relativo
al
Toxoplasma
gondii
è
che,
oltre
ad
avere
uno
spiccato
tropismo
per
il
tessuto
muscolare
e
per
il
sistema
nervoso
centrale,
può
anche
localizzarsi
a
livello
placentare.
A
livello
della
placenta,
il
Toxoplasma
subisce
in
genere
una
momentanea
battuta
d’arresto,
cominciando
però
a
farsi
progressivamente
largo
nello
spessore
del
tessuto.
Si
stima
che
da
questo
momento
in
poi
il
Toxoplasma
impieghi
circa
un
mese
per
attraversare
la
placenta:
questo
è
molto
importante,
perché
comporta
l’esistenza
di
una
finestra
temporale
di
circa
30
giorni
per
colpire
ed
annientare
il
Toxoplasma
dal
punto
di
vista
farmacologico
impedendo
così
l’infezione
del
feto.
Pertanto,
è
fondamentale
poter
datare
l’infezione.
Diversamente
dal
CMV,
il
rischio
di
passaggio
della
placenta
da
parte
del
protozoo
aumenta
all’aumentare
della
maturità
della
placenta,
ed
è
massimo
durante
le
ultime
settimane
di
gravidanza
(%
di
passaggio
superiore
all’80%).
Al
contrario,
il
danno
fetale
è
molto
più
probabile
quando
l’infezione
si
verifica
nelle
prime
settimane
di
gravidanza
e
molto
meno
probabile
quando
l’infezione
si
verifica
nelle
ultime
settimane.
La
toxoplasmosi
congenita
può
tradursi
in
tre
distinte
situazioni:
-‐ Natimortalità
-‐ Malattia
clinicamente
apparente
(acuta
generalizzata;
coinvolgimento
SNC;
malattia
attenuata
d’organo)
-‐ Infezione
subclinica
(alto
rischio
di
sviluppo
di
sequele
tardive!)
Talvolta,
tramite
un
attento
esame
ecografico,
è
possibile
rilevare
una
serie
di
anomalie/malformazioni
quali,
ad
esempio,
calcificazioni
intracraniche
o
segni
di
idrocefalia;
successivamente,
al
momento
della
nascita,
possono
poi
rendersi
evidenti
un
corteo
di
segni
e
sintomi,
come
ittero,
splenomegalia,
linfoadenopatie,
febbre,
convulsioni,
ecc.
Diagnosi
nella
madre
In
una
donna
sieronegativa
in
gravidanza,
indipendentemente
dal
calendario
regionale,
è
indicato
ripetere
la
sierologia
ogni
30
giorni,
perché
l’infezione
può
verificarsi
in
qualsiasi
momento
della
gravidanza
e
dobbiamo
essere
in
grado
di
identificarla
(sieroconversione)
in
tempo
per
poterla
trattare.
Tipicamente
la
donna
che
s’infetta
in
gravidanza
non
presenta
alcun
sintomo,
come
accade
nella
gran
parte
dei
casi
di
toxoplasmosi
nell’ospite
immunocompetente,
pertanto
ci
troviamo
con
un
quadro
sierologico
da
interpretare.
I
casi
più
tipici
prevedono:
-‐ IgM
a
basso
titolo
con
IgG
a
titolo
più
o
meno
elevato
Le
IgM
possono
permanere
a
lungo
in
seguito
ad
un’infezione
da
Toxoplasma,
pertanto
è
difficile
capire
quale
significato
attribuire
a
questo
riscontro.
I
nostri
strumenti
nella
diagnosi
sierologica
sono:
-‐ IgM
ed
IgG
in
ELISA
141
155 / 356
-‐Determinazione
dell’avidità
delle
IgG
-‐Test
di
Remington
(il
più
importante
!
stesso
valore
del
Test
Avidity
IgG
per
il
CMV)
-‐ IgA
(anticorpi
di
superficie)
in
ELISA
Il
test
di
Remington
si
fa
sulle
IgM
in
immunofluorescenza:
si
sa
che
rimane
positivo
fino
a
4
mesi
dall’infezione
(quindi
se
il
test
viene
negativo,
significa
che
l’infezione
acuta
risale
a
4-‐5
mesi
prima).
A
fornire
la
diagnosi
e
la
datazione
dell’infezione
è
il
quadro
globale:
le
IgA
rimangono
positive
fino
ad
un
anno
dall’infezione,
quindi
se
sono
negative
in
presenza
di
IgM
(che
rimangono
positive
molto
a
lungo),
potremmo
in
teoria
escludere
un’infezione
nell’ultimo
anno:
il
problema
è
che
il
5-‐10%
delle
gestanti
non
produce
IgA.
Il
test
di
Remington,
invece,
rimane
positivo
ad
alto
titolo
per
i
primi
3
o
4
mesi.
La
PCR
sul
liquido
amniotico
è
molto
importante
per
dirimere
il
dubbio,
ma
non
si
effettua
prima
della
18esima
settimana.
Diagnosi
Prenatale
-‐ Ricerca
diretta
del
genoma
del
parassita
mediante
PCR
(amplificazione
del
gene
B1)
su
liquido
amniotico.
-‐ Amniocentesi:
mai
prima
di
18
settimane
e
comunque
mai
prima
di
4
settimane
dalla
diagnosi
di
infezione
acuta
142
156 / 356
14.
HIV
L’HIV,
o
virus
dell’immunodeficienza
umana,
è
un
virus
appartenente
alla
famiglia
dei
retrovirus,
genere
lentivirus,
oggi
distinto
in
due
diverse
forme
virali:
HIV-‐1
e
HIV-‐2.
Si
tratta
di
virus
a
RNA
codificanti
per
una
DNA
polimerasi
RNA-‐dipendente,
responsabile
della
loro
replicazione
all’interno
della
cellula
tramite
la
formazione
un
intermedio
a
DNA;
tale
enzima
è
estremamente
poco
preciso,
con
conseguente
accumulo
di
mutazioni
e
continua
selezione
di
ceppi
mutanti,
fatto
che
ha
reso
sin
ora
impossibile
la
produzione
di
un
vaccino
ed
una
cura
efficace.
In
linea
di
massima
è
corretto
affermare
che
si
tratta
di
virus
determinanti
primariamente
quadri
clinici
non
neoplastici
(a
differenze
degli
oncovirus,
quale
ad
esempio
l’HTLV-‐1),
con
un
lungo
periodo
di
incubazione
e
spiccato
tropismo
per
diverse
componenti
del
sistema
immunitario
(linfociti
T
CD4+
e
macrofagi
in
primis),
del
SNC
e
delle
articolazioni.
Il
recettore
primario
del
virus,
legante
i
polipeptidi
gp41-‐gp120,
è
rappresentato
dal
complesso
glicoproteico
composto
dall’antigene
CD4
e
dai
corecettori
CCR5
e/o
CXCR4.
E’
importante
fin
da
subito
sottolineare
che
il
decorso
della
patologia
HIV-‐mediata
è
assai
variabile
e
va
di
pari
passo
sia
alla
diminuzione
del
numero
di
linfociti
T
CD4+
che
alla
carica
virale
nel
circolo
sanguigno.
Trasmissione
Lo
scambio
di
siringhe
nei
tossicodipendenti
(inoculazione
di
piccole
quantità
di
sangue
contaminato)
e
l’utilizzo
di
sangue
ed
emoderivati
non
controllati
per
il
virus
HIV,
in
quanto
a
lungo
sconosciuto,
hanno
diffuso
l’infezione
nella
sua
prima
fase;
oggi,
invece,
la
principale
via
di
trasmissione
è
rappresentata
dal
rapporto
sessuale
non
protetto:
inizialmente
l’incidenza
era
decisamente
superiore
tra
i
maschi
omosessuali,
ma,
negli
ultimi
anni,
abbiamo
assistito
ad
un
significativo
incremento
di
casi
anche
fra
gli
individui
eterosessuali.
Nella
donna
gravida
può
verificarsi
la
trasmissione
verticale
da
madre
a
feto,
prevalentemente
al
momento
del
parto
o
tramite
l’allattamento.
La
riduzione,
143
157 / 356
praticamente
a
zero,
di
questo
tipo
di
infezione
è
stata
ottenuta
associando
parto
cesareo,
allattamento
artificiale
e
trattamento
farmacologico
della
mamma
e
del
neonato.
Nei
paesi
in
via
di
sviluppo,
dove
tutto
questo
non
può
essere
organizzato
la
trasmissione
verticale
si
verifica
in
circa
il
25%
dei
nati.
Ricapitolando,
esistono
tre
principali
vie
di
trasmissione
per
i
virus
HIV:
1. Via
parenterale:
tossicodipendenti,
punture
accidentali
con
aghi
infetti
e
emotrasfusioni.
2. Via
sessuale:
omosessuale,
eterosessuale.
3. Via
verticale:
materno-‐fetale.
Il
virus
si
trasmette
perciò
tramite
fluidi
biologici
quali
sangue,
liquido
seminale,
secreto
vaginale
e
latte
materno
ma
NON
attraverso
saliva,
lacrime,
sudore,
urine
e
feci.
Epidemiologia
Si
stima
che
Italia
siano
presenti
circa
120.000-‐160.000
sieropositivi
accertati,
con
circa
7.000
casi
solo
in
Toscana:
in
rapporto
agli
abitanti
significa
1
sieropositivo
ogni
circa
500
persone.
La
possibilità
di
incontrare
un
sieropositivo
HIV
non
è
quindi
rara.
Va
considerato
anche
che,
se
si
escludono
i
giovanissimi
e
gli
anziani,
nella
sola
fascia
dei
giovani
adulti
il
rapporto
scende,
con
un
sieropositivo
ogni
350-‐400
persone.
Ogni
Medico
di
Medicina
Generale
ha
quindi
fra
i
suoi
assistiti
uno
o
più
sieropositivi.
Dipende
quindi
da
lui
identificarlo/i.
Storia
naturale
della
malattia
La
storia
naturale
della
patologia
si
articola,
in
genere,
in
tre
fasi
distinte:
1. Infezione
primaria
(acuta)
e
sieroconversione
2. Latenza
clinica;
fase
della
sieroconversione
asintomatica
(durata
media
di
7-‐10
anni)
3. Progressione
verso
l’AIDS
conclamata
Questa
sequenza
di
fasi
ha
inizio
con
l’ingresso
del
virus
in
un
individuo
sano,
con
difese
immunitarie
normali
(conta
dei
CD4+
tra
600
e
1000/microL),
cui
segue
l’attiva
replicazione
del
virus
e
il
(lento)
declino
dei
linfociti
T
CD4+,
fino
alla
comparsa
di
uno
stato
di
immunodepressione
grave
(conta
CD4+
al
di
sotto
di
200/microL)
ed
un
conseguente
consistente
aumento
del
rischio
di
sviluppare
infezioni
opportunistiche
e
neoplasie.
Il
tempo
di
progressione
verso
una
forma
di
AIDS
conclamata
è
variabile
e
dipende
principalmente
dal
complesso
rapporto
fra
efficienza
del
sistema
immunitario
dell’individuo
e
virulenza
del
ceppo
virale;
schematicamente,
distinguiamo
tre
tipologie
di
pazienti,
in
base
alla
rapidità
di
caduta
dei
livelli
di
linfociti
T
CD4+:
144
158 / 356
• Pazienti
a
rapida
progressione
(5%):
una
minoranza
di
pazienti
che
sviluppa
l’AIDS
related
complex
in
pochi
anni
o
mesi;
• Pazienti
a
lenta
progressione
(altro
5%):
mancata
progressione
con
CD4+
stabili
(>600/mmc)
per
almeno
7
anni
in
assenza
di
terapia
antiretrovirale
o
comunque
periodo
di
latenza
estremamente
lungo,
fino
a
20-‐30
anni!
• Pazienti
a
progressione
intermedia
(80%):
la
stragrande
maggioranza
dei
pazienti
sviluppa
la
patologia
conclamata
dopo
un
periodo
di
7-‐10
anni
dall’avvenuto
contagio.
Clinica
Dal
momento
del
suo
ingresso
nell’organismo,
la
moltiplicazione
del
virus
HIV
è
in
genere
piuttosto
esplosiva
(come
dimostrato
dalla
curva
gialla);
tuttavia,
la
maggior
parte
dei
pazienti
non
presenta,
in
questa
fase,
sintomi
così
importanti
da
arrivare
all’osservazione
specialistica.
145
159 / 356
dell’esantema
del
giovane-‐adulto
e
si
invita
pertanto
i
colleghi
ad
effettuare
sempre
i
test
almeno
per
le
forme
a
prognosi
peggiore
quali
lue,
infezione
da
HIV
(p24)
e
rickettzie.
Come
affermato
precedentemente,
durante
la
fase
acuta,
non
sono
ancora
dimostrabili
nel
sangue
anticorpi
anti-‐HIV,
che
compariranno
in
media
dopo
3
mesi
o
anche
più
tardi.
Per
dimostrare
in
questa
fase
l’infezione
da
HIV
è
necessario
ricercare
direttamente
il
virus
mediante
la
determinazione
dell’antigenemia
p24
(capside
virale)
o
del
genoma
virale
mediante
PCR
(reazione
polimerasica
a
catena).
Successivamente,
dopo
3-‐6
mesi,
compariranno
gli
anticorpi
(linea
rossa
nel
grafico
della
pagina
precedente)
che
controllano
in
parte
la
replicazione
virale
e
che,
rimarranno
presenti
per
tutta
la
durata
della
malattia.
Da
questo
momento
la
diagnosi
si
effettuerà
con
test
HIV
(ELISA
+
WESTERN
BLOT).
Superata
la
fase
acuta
l’individuo
va
incontro
ad
un
lungo
periodo
in
cui
sta
complessivamente
bene,
senza
alcun
tipo
di
sintomo
riferibile
all’infezione:
il
paziente
è
entrato
nella
fase
della
sieropositività
asintomatica. La
durata
della
fase
asintomatica
può
essere
anche
estremamente
lunga
(in
genere
tra
i
7
e
i
10
anni)
e
rappresenta
il
periodo
di
gran
lunga
più
preoccupante
da
un
punto
di
vista
epidemiologico,
in
quanto
il
paziente,
ritenendosi
assolutamente
sano,
può
non
mettere
in
atto
alcun
sistema
per
ridurre
il
rischio
di
trasmissione
dell’infezione.
Durante
questo
periodo,
tuttavia,
si
assiste
alla
progressiva
riduzione
delle
capacità
di
difesa
dell’individuo
infetto,
a
causa
del
deterioramento
più
o
meno
rapidamente
ingravescente
del
sistema
immunitario
(caduta
dei
linfociti
T
CD4+).
La
possibilità
di
identificare
un
paziente
con
sieropositività
HIV
in
questa
fase
deriva
pressoché
esclusivamente
dalla
conoscenza
dei
comportamenti,
sessuali
e
non,
dell’individuo
e
a
tal
riguardo
il
medico
di
medicina
generale
si
trova
(o
quantomeno
dovrebbe
trovarsi)
sicuramente
in
una
posizione
di
vantaggio,
oltre
che
di
grande
responsabilità.
Uno
dei
pochi
aspetti
clinici
che
possono
essere
talvolta
messi
in
evidenza
in
questo
periodo
è
la
presenza
di
una
linfadenopatia
generalizzata
persistente
da
almeno
3-‐6
mesi,
non
spiegabile
con
altre
patologie,
con
interessamento,
simmetrico,
di
almeno
due
stazioni
linfonodali
extrainguinali
e
diametro
tra
0,5
e
2
cm.
In
corso
di
adenopatia
persistente
il
medico
normalmente
effettua
controlli
per
Mononucleosi,
per
Toxoplasma
e
per
Citomegalovirus.
Se
questi
risultano
negativi
o
sono
presenti
solo
IgG
da
pregressa
infezione,
si
pensa
automaticamente
alla
forma
tumorale.
Prima
però
di
passare
alle
consulenze
specialistiche
e
alla
biopsia
è
opportuno
eseguire
il
test
HIV:
infatti
il
chirurgo
non
esegue
questo
accertamento
per
un
semplice
intervento
e
la
risposta
istologica
non
è
dimostrativa
di
infezione
da
HIV
ma
solamente
di
attivazione
linfonodale!
146
160 / 356
Come
dicevamo,
col
passare
del
tempo
l’immunità
comincia
a
deteriorarsi
sempre
più
e
iniziano
a
comparire
progressivamente
una
serie
di
segni
e
sintomi
costituzionali
compatibili
però,
oltre
che
con
l’AIDS
conclamato,
anche
con
un
elevato
numero
di
altre
patologie
quali
ad
esempio
linfomi,
ipertiroidismo,
tubercolosi,
tumori
intestinali,
ecc.
Anche
in
questo
caso,
qualora
ancora
non
fosse
stato
eseguito,
risulterà
opportuno
effettuare
un
test
HIV
prima
di
passare
ad
accertamenti
più
complessi
e
più
costosi,
sia
per
il
paziente
che
per
il
SSN.
La
comparsa
dei
sintomi
riportati
nell’immagine
qui
a
fianco,
soprattutto
se
in
un
paziente
giovane
sessualmente
attivo,
deve
necessariamente
indurre
il
medico
ad
eseguire
il
test
per
l’HIV,
in
quanto
potrebbero
rappresentare
indici
importanti
di
un
sistema
immunitario
già
moderatamente
compromesso.
Sempre
con
un’immunità
mediamente
ridotta
compaiono,
in
genere,
tutta
una
serie
di
manifestazioni
odontostomatologiche:
• Candidosi
orofaringea
(Pseudomembranosa
acuta,
Cronica
iperplastica,
Atrofica,
Cheilite
angolare):
La
candidosi
orofaringea
sta
sempre
ad
indicare
immunodepressione
(può
essere
presente
nel
bambino
fino
ad
un
anno
sempre
come
dimostrazione
di
non
completa
competenza
immunitaria).
In
età
adolescenziale-‐adulta,
specialmente
se
persistente
o
recidivante,
indica
uno
stato
immunodepressivo
che,
se
non
iatrogeno
(
chemioterapia,
trattamenti
cronici
con
cortisone,
diabete
scompensato
etc.),
deve
indicare
la
necessità
all’esecuzione
del
test
HIV.
• Leucoplachia
orale
villosa:
si
tratta
di
manifestazioni
di
colore
bianco
perlaceo,
a
palizzata,
sui
bordi
della
lingua.
La
manifestazione
è
determinata
dalla
“associazione
a
delinquere”
fra
virus
della
mononucleosi
e
virus
HIV.
Permette
quindi
di
fare
diagnosi
diretta
di
infezione
da
HIV,
ovviamente
da
controllare
sempre
con
il
test.
• Gengiviti
• Parodontopatie
• Herpes
simplex
(raro)
In
linea
generale
possiamo
affermare
che
la
bocca
rappresenta
uno
specchio
fedele
dello
status
immunitario
dell’individuo
e,
conseguentemente,
anche
dell’AIDS.
Anche
la
pelle
può
avere
manifestazioni
che
stanno
ad
indicare
una
modesta
immunodepressione
o
attività
sessuale
promiscua
non
protetta;
quest’ultimo
aspetto
può
essere
individuato
anche
da
una
positività
sierologica
per
lue
o
HBV.
Anche
in
questi
due
casi
va
presa
in
considerazione
l’esecuzione
del
test
HIV.
Le
dermatosi
più
frequenti
sono:
147
161 / 356
• Dermatite
seborroica:
quando
molto
estesa
e
con
recidive
precoci
dopo
il
trattamento
può
indicare
l’opportunità
dell’esecuzione
del
test.
Questo
può
essere
differito
se
la
manifestazione
è
sempre
stata
presente
fin
dall’infanzia
come
manifestazione
di
atopia.
• Herpes
zoster
recidivante
o
multi
metamerico:
anche
l’herpes
zooster
sta
a
dimostrare
una
relativa
diminuzione
delle
difese.
Dal
test
possono
forse
essere
esclusi
i
soggetti
vecchi,
ma
in
un
giovane
adulto
il
test
deve
essere
effettuato.
Se
l’herpes
zooster
recidiva
e
sopratutto
se
multimetamerico
(vedi
aspetto
cicatriziale
del
primo
herpes
nella
parte
superiore)
il
test
HIV
deve
sempre
essere
effettuato.
• Herpes
simplex
tipo
I
o
II:
anche
in
questo
caso
la
sua
attivazione
e
frequenza
delle
recidive
può
indicare
un
moderato
stato
di
immunodepressione;
inoltre
il
contagio
è
avvenuto
con
rapporto
sessuale
non
protetto
con
persone
affetta
da
malattie
sessualmente
trasmissibili.
Il
test
HIV
deve
essere
effettuato.
• Mollusco
contagioso:
specialmente
se
con
recidive
eccessivamente
frequenti
può
essere
presa
in
considerazione
l’immunodepressione.
Il
test
HIV
deve
essere
considerato.
• Verruche
piane
• Condilomi
acuminati:
l’estensione
della
manifestazione
e
la
frequenza
di
recidive
può
essere
determinata
da
immunodepressione.
I
rapporti
sessuali
contagianti
si
sono
verificati
con
soggetto
affetto
da
malattia
sessualmente
trasmissibile.
Il
test
HIV
deve
essere
effettuato.
• Infezioni
piogeniche
• Lue
• Sierologia
positiva
per
epatite
B
Oltre
al
dato
prettamente
clinico,
a
destare
il
sospetto
di
un’eventuale
infezione
da
HIV
possono
essere
anche
alterazioni
“aspecifiche”
di
comuni
esami
di
laboratorio,
indicanti
quindi
l’opportunità
di
eseguire
il
test
HIV
prima
di
inviare
il
soggetto
dallo
specialista
e
prima
di
eseguire
biopsia
osteomidollare
per
lo
studio
del
midollo
osseo.
148
162 / 356
Riportiamo
adesso
la
lista
delle
infezioni
opportunistiche
(e
loro
localizzazione)
che
permettono
di
fare
diagnosi
di
AIDS
conclamata.
Una
menzione
particolare
la
merita
il
Sarcoma
di
Kaposi,
patologia
neoplastica
angioproliferativa
multicentrica
correlata
all'azione
di
un
virus
appartenente
alla
famiglia
degli
Herpesvirus,
l'HHV-8.
Presenta
4
varianti
principali:
• forma
nodulare
benigna,
simile
alla
forma
classica
(colpisce
l’età
avanzata
e
la
cute
delle
estremità
distali,
con
andamento
clinico
poco
aggressivo;
aumenta
però
l’
incidenza
di
linfomi
in
soggetti
affetti);
149
163 / 356
• forma
linfoadenopatica
(endemica
in
Africa,
colpisce
l’età
pediatrica,
con
interessamento
dei
linfonodi
cervicali,
inguinali
e
dell’
ilo
polmonare;
rapidamente
fatale);
• forma
dei
pazienti
immunosoppressi
(in
particolare
in
caso
di
trapianto
renale,
alta
mortalità);
• forma
AIDS-‐correlata
(compare
nel
20%
dei
casi
di
AIDS:
multifocale,
coinvolge
le
regioni
di
testa
e
collo,
ma
dà
anche
lesioni
viscerali
e
del
tratto
gastroenterico).
In
generale,
quello
che
si
osserva
nei
soggetti
affetti
è
una
proliferazione
vascolare
multicentrica,
caratterizzata
dallo
sviluppo
di
papule
che
successivamente
evolvono
in
placche
e
poi
in
noduli
blu/rosso
che
colpiscono
la
cute,
più
frequentemente
nelle
estremità
inferiori,
o
le
mucose
e
i
visceri
(apparato
gastroenterico,
genitale
o,
più
raramente,
polmonare).
Il
loro
incremento
è
lento
sia
nella
misura
che
nel
numero,
diffondendosi
comunque
alle
aree
più
prossimali.
La
fase
di
macula
(iniziale)
è
caratterizzata
dalla
proliferazione
di
vasi
irregolari,
che
tendono
a
disporsi
attorno
alle
strutture
annessiali
(ad
essi
si
associa
un
infiltrato
infiammatorio);
nella
fase
di
placca
è
presente
una
proliferazione
di
strutture
vascolari
che
interessano
il
derma
e
iniziano
a
dissecare
i
fasci
di
fibre
collagene;
nella
fase
nodulare
si
ha
una
proliferazione
di
cellule
fusate
che
si
dispongono
in
fasci
intersecantesi;
sono
presenti
anche
spazi
vascolari
dilatati,
depositi
di
emosiderina
e
globuli
ialini
(prodotti
della
degradazione
dei
globuli
rossi);
numerosi
globuli
rossi
si
rinvengono
negli
spazi
circoscritti
dalle
cellule
fusate.
Interessamento
polmonare
in
corso
di
AIDS
Il
polmone
rappresenta,
probabilmente,
il
principale
organo
bersaglio
di
infezioni
in
corso
di
AIDS.
In
era
pre-‐HAART
circa
il
60-‐70%
dei
pazienti
con
AIDS
accusava
almeno
un
episodio
di
polmonite
e
l’insufficienza
respiratoria
era
una
delle
più
frequenti
cause
di
morte;
l’esame
autoptico
rivelava
il
frequentissimo
interessamento
del
polmone
che,
in
alcune
casistiche,
raggiungeva
addirittura
il
90%
dei
casi.
150
164 / 356
L’iter
diagnostico
corretto
per
l’identificazione
della
patologia
alla
base
del
quadro
clinico-‐strumentale,
tra
le
tante
possibili,
prevede
tutta
una
serie
di
indagini,
tra
le
quali:
• Esami
batterioscopici
e
colturali
(emocoltura,
liquido
pleurico,
escreato
spontaneo
e
indotto,
BAL);
• Esami
sierologici
(per
agenti
pneumotropi
come
Legionella
e
Chlamidia
pneumoniae)
su
due
campioni;
• Ricerca
di
antigeni
su
sangue,
escreato,
urine
(Legionella,
Pneumococco)
• Escreato
indotto
• Broncoscopia
con
BAL
(talora
non
praticabile
es.
PaO2<60
mmHg)
• Biopsia
TC
guidata
o
ecoguidata
• Esami
scintigrafici
con
traccianti
diversi
a
seconda
dell’agente
eziologico
(difficile
accessibilità
in
tempi
rapidi)
• Terapia
empirica
(rapida
risposta
al
cotrimossazolo:
criterio
ex
adjuvantibus
per
la
diagnosi
di
pneumocistosi)
Uno
dei
quadri
clinici
più
temibili,
classicamente
associato
all’infezione
da
HIV,
è
quello
promosso
dall’instaurazione
di
un
rapporto
infettivo
con
lo
Pneumocistis
Jiroveci
(o
Carinii):
l’esordio
è
spesso
subdolo,
con
comparsa
e
progressivo
aggravamento
di
febbre,
tosse
non
produttiva,
dispnea,
tachipnea
e
cianosi;
l’esame
obiettivo
è
spesso
negativo,
con
il
riscontro,
nel
caso,
di
rumori
secchi
diffusi,
raramente
di
rumori
umidi.
Attualmente
risulta
uno
degli
esordi
più
frequenti
di
AIDS
in
nuovi
soggetti
HIV
positivi,
la
cui
sieropositività
viene
scoperta
in
occasione
proprio
di
questa
infezione
polmonare.
La
diagnosi
viene
posta
in
genere
grazie
ad
una
serie
di
indagini
laboratoristiche
e
strumentali:
• Laboratorio:
Elevati
livelli
di
LDH
• EGA:
Ipossia
di
grado
variabile,
con
normocapnia
o
ipocapnia;
Alcalosi
respiratoria.
• Rx
torace:
spesso
negativo
all’esordio
dei
sintomi.
In
fase
conclamata
!
interstiziopatia
reticolonodulare
diffusa
bilaterale,
talvolta
più
accentuata
ai
lobi
inferiori,
raramente
monolaterale;
frequenti
pneumatoceli;
Possibili
cavitazioni;
Quadri
bi-‐apicali
in
pazienti
con
pentamidina
aerosol.
• TC
ad
alta
risoluzione:
per
una
migliore
definizione
morfologica.
• Scintigrafia
polmonare
con
indicatore
positivo
(es.
Ga67):
ipercaptazione
omogenea
diffusa.
• Ricerca
diretta
di
P.J.
con
Blu
di
toluidina,
Gomori-‐Crocott,
Gram-‐Weigert,
Giemsa,
sulle
secrezioni
respiratorie
ottenute
con
• Escreato
indotto
(aerosol
di
soluzione
salina
ipertonica).
In
alcune
casistiche
elevata
sensibilità
(80-‐90%).
Falsi
negativi
in
pazienti
in
profilassi
con
pentamidina
aerosol
• Broncoscopia
con
BAL:
elevatissima
resa
diagnostica
(86-‐97%).Con
Biopsia
transbronchiale
quasi
il
100%
ma
rischio
di
pnx.
151
165 / 356
Interessamento
Gastrointestinale
in
corso
di
AIDS
Segni
e
sintomi
conseguenti
all’interessamento
del
apparato
gastrointestinale
possono
presentarsi
in
qualsiasi
stadio
dell’infezione
(ovviamente
le
manifestazioni
più
gravi
si
hanno
in
fase
di
immunodeficienza
severa),
conseguentemente
all’instaurarsi
di
patologie
infettive
o
neoplastiche.
Interessamento
del
SNC
in
corso
di
AIDS
Come
accade
per
l’apparato
gastrointestinale,
segni
e
sintomi
conseguenti
all’interessamento
del
sistema
nervoso
centrale,
possono
presentarsi
in
qualsiasi
stadio
dell’infezione,
conseguentemente
all’instaurarsi
di
patologie
infettive
o
neoplastiche.
Mentre
la
Meningite
asettica
caratterizza
la
sindrome
retrovirale
acuta
nel
25%
dei
casi,
quadri
assai
preoccupanti
quali
ad
esempio
l’Encefalite/Encefalopatia
da
HIV
(il
cosiddetto
AIDS
Dementia
Complex),
fortunatamente,
sono
sempre
più
rari
in
epoca
HAART.
Una
condizione
particolarmente
importante,
da
tenere
a
mente,
è
la
Toxoplasmosi
cerebrale,
che
in
era
pre-‐HAART
colpiva
152
166 / 356
dal
3
al
50%
dei
pazienti
AIDS
e
rappresenta
tuttoggi
la
causa
più
frequente
di
lesione
focale
cerebrale
(50-‐70%
dei
casi):
alla
TC
le
lesioni
sono
in
genere
multiple,
ipodense,
assumenti
di
solito
un
aspetto
ad
anello
dopo
iniezione
del
mezzo
di
contrasto,
in
particolare
quelle
di
dimensioni
maggiori;
l’edema
perilesionale
si
manifesta
invece
come
un
alone
ipodenso
di
varia
entità.
La
clinica
è
caratterizzata
da
segni
e/o
sintomi
neurologici
focali
o
generalizzati
(deficit
neurologici
focali
nel
50-‐89%,
convulsioni
nel
15-‐20%,
febbre
nel
56%,
più
raramente
disfunzione
cerebrale
generalizzata
e
turbe
neuropsichiche).
La
diagnosi
è
spesso
presuntiva
e
la
sierologia
non
specifica
(titoli
bassi
o
assenti
nel
20%
dei
casi);
spesso
il
criterio
utilizzato
è
quello
farmacologico
ex
adiuvantibus,
assai
utile
per
distinguere
una
lesione
cerebrale,
specialmente
se
singola,
da
toxoplasma
gondii
da
un
linfoma
non
hodgkin
cerebrale
primitivo
(vedi
anche
capitolo
sulle
linfoadenopatie
febbrili
a
tal
riguardo).
Diagnosi
La
diagnosi
di
infezione
da
virus
HIV
si
pone
oggi
sulla
base
del
riscontro
di
positività,
in
due
diversi
campioni,
al
test
ELISA
e
successiva
conferma
con
tecnica
Western
Blot.
Per
monitorare
l’andamento
della
patologia
e
l’efficacia
della
terapia
i
test
oggi
utilizzati
sono
principalmente
la
PCR
quantitativa
alla
ricerca
del
RNA
virale
e
la
ricerca
degli
antigeni
p24
e
CD4.
Terapia
Gli
approcci
farmacologici
oggi
utilizzati
in
varia
combinazione
sono
sostanzialmente:
• -‐
Inibitori
nucleosidici/nucleotidici
della
trascrittasi
inversa
(NRTI)
• -‐
Inibitori
non
nucleosidici
della
trascrittasi
inversa
(NNRTI)
• -‐
Inibitori
della
proteasi
di
HIV
(PI)
• -‐
Inibitori
della
fusione
• -‐
Bloccanti
del
CCR5
153
167 / 356
15.
Tubercolosi
La
tubercolosi
rappresenta
ancora
oggi
l’infezione
di
gran
lunga
più
diffusa
al
mondo.
Storicamente
parlando,
ha
avuto
una
grande
diffusione
epidemica
non
appena
la
rivoluzione
industriale
di
fine
ottocento
ha
portato
ad
un
cambiamento
dello
stile
di
vita
e
del
modello
abitativo
e
lavorativo,
con
la
diffusione
della
vita
di
comunità
in
spazi
chiusi,
poco
areati,
bui,
affollati,
umidi,
tutte
condizioni
che
favoriscono
il
contagio.
Epidemiologia
Secondo
recenti
stime
circa
un
terzo
della
popolazione
mondiale
è
infetta
o
comunque
è
entrata
in
contatto
con
l’agente
eziologico
della
malattia,
con
un’incidenza
di
54
milioni
ITALIA
di
nuove
infezioni
ogni
anno
e
9
decremento
Dal 1995 al 2005 milioni
di
del
nuovi
24%casi
ogni
anno.
L’80%
dei
casi
si
(1995: 10/100.000 - 2005: 7,1/100.000)
veriferica
in
paesi
ad
elevata
endemia
tubercolare.
La
tubercolosi,
come
malattia
singola,
causa
circa
2
milioni
di
morti
l’anno,
su
60
milioni
di
morti
totali
nel
mondo
ogni
anno.
Un
importante
quota
di
morti
per
tubercolosi
presenta
l’associazione
TBC-‐HIV.
Storia Naturale
154
168 / 356
La
trasmissione
della
tubercolosi
si
verifica
essenzialmente
per
via
aerea
e,
pertanto,
eè
contagiosa
solo
nelle
forme
respiratorie
con
focolai
comunicanti
con
l’esterno
(seppur
raramente,
può
avvenire
anche
per
via
digestiva,
transcutanea
e
verticale).
Le
malattie
a
trasmissione
aerea
possono
essere
distinte
in
malattie
trasmesse
attraverso
i
droplets
e
malattie
trasmesse
attraverso
i
nuclei
droplets;
queste
ultime
sono
particelle
contenute
all’interno
dei
droplets
capaci
di
aerosolizzare.
Pertanto,
le
malattie
trasmesse
da
droplets
non
aerosolizzano
–
pertanto
hanno
una
trasmissione
aerea
poco
efficace,
mentre
quelle
trasmesse
da
patogeni
che
viaggiano
in
nuclei
droplets
aerosolizzano
e
giungono
più
facilmente
agli
alveoli,
risultando
meno
facili
da
eliminare
attraverso
la
clearance
mucociliare.
Le
patologie
batteriche
tendono
ad
essere
trasmesse
attraverso
i
La TUBERCOLOSI si trasmette per via aerea tramite i
droplet,
quindi,
per
esempio,
DROPLET è
inutile
NUCLEI isolare
una
polmonite
pneumococcica.
Le
malattie
virali
e
DROPLET DROPLET NUCLEI
micobatteriche,
• diametro > 5 µm • diametro tra 1 e 5 µm invece,
possono
• tendono a depositarsi a 1 m • hanno scarsa tendenza a essere
trasmesse
dalla fonte depositarsi attraverso
i
nuclei
• si fermano alle alte vie aeree • raggiungono con facilità le basse droplets,
che
vie aeree rimangono
in
• possono essere bloccate da sospensione.
Questo
mani, maschere • passano attraverso machere
chirurgiche, tessuti significa
che,
per
• possono proteggere gli agenti esempio,
in
una
infettivi • espongono gli agenti infettivi ai
raggi UV stanza
dove
soggiorna
una
Streptococchi (es pneumococco) Tbc, morbillo, varicella persona
affetta
da
tubercolosi
possono
trovarsi
sospese
nell’aria
particelle
contenenti
micobatteri.
Gli
atti
fisiologici
che
facilitano
la
trasmissione
sono
la
parola,
il
canto,
ma
soprattutto
la
tosse
(i
soggetti
che
tossiscono
poco
sono
anche
poco
contagiosi!).
Una
prolungata
esposizione
(soprattutto
in
luoghi
affollati
come
discoteche,
classi,
stazioni,
ecc)
ad
alte
concentrazioni
di
micobatteri
(sospesi
nell’aria
ambientale)
è
statisticamente
associata
ad
un
alto
rischio
di
infezione.
In
generale,
le
condizioni
che
determinano
una
maggiore
o
minore
probabilità
di
trasmissione
sono
relative
alle
caratteristiche
del
soggetto
affetto
da
TBC
e
al
tipo
di
contatto
tra
il
soggetto
malato
e
gli
altri
individui
(contatti
stretti,
regolari
o
occasionali):
155
169 / 356
Tuttavia,
i
pazienti
che
realmente
diffondono
la
malattia
nella
comunità
sono
quelli
con
esame
bacilloscopico
diretto
positivo,
vale
a
dire
i
pazienti
nel
cui
espettorato
è
possibile
rilevare
i
bacilli
tubercolari
con
l’esame
microscopico
diretto
previa
colorazione
specifica.
E
sono
proprio
questi
soggetti
ad
essere
oggetto
delle
politiche
sanitarie,
soprattutto
nei
Paesi
con
forte
endemia
tubercolare,
perché
sono
quelli
che
generano
casi
secondari,
a
differenza
dei
pazienti
con
esame
bacilloscopico
diretto
negativo
(che
includono
anche
tutti
quelli
con
TBC
non
respiratoria).
Prevenzione
In
Italia
sono
rimaste
solo
due
indicazioni
all’uso
del
BCG:
1)
Operatori
sanitari
in
situazioni
ad
alto
rischio,
dove
si
trattano
pazienti
con
infezione
sostenuta
da
ceppi
MDR.
In
queste
persone
un
trattamento
preventivo
sarebbe
molto
probabilmente
inefficace
una
volta
avvenuto
il
contatto;
2)
Persone
che
non
possono
accedere
al
trattamento
preventivo,
in
caso
di
contatto,
a
causa
di
malattie
sottostanti
che
renderebbero
controindicati
i
farmaci
impiegati.
156
170 / 356
EFFICACIA CLINICA del vaccino
BAMBINI ADULTI
80% 0-80%
Questi studi, inoltre, non sono stati utili nel determinare:
a) l’efficacia del vaccino negli operatori sanitari
b) gli effetti, del ceppo somministrato e dell’età del vaccinato al
Da
emomento
sposizione
ad
infezione
della vaccinazione, sull’efficacia.
MMWR, 1996;45(RR4),1-19
Un
soggetto
esposto
può
divenire
infetto,
ma
non
necessariamente.
L’instaurazione
del
rapporto
infettivo
dipende
dal
rapporto
fra
la
virulenza
del
germe
e
l’efficienza
del
sistema
immunitario
dell’ospite.
I
fattori
di
rischio
per
lo
sviluppo
dell’infezione
sono:
Tali
soggetti,
in
base
a
criteri
epidemiologici,
devono
essere
considerati
potenzialmente
infetti.
2009: highest estimated TB incidence were in Africa
157
171 / 356
2009: HIV and TB
Questa
figura
è
per
ricordare
che
l’HIV
è
uno
dei
principali
fattori
di
rischio
per
lo
sviluppo
dell’infezione
tubercolare
e
per
la
sua
progressione:
è
infatti
il
principale
fattore
singolo
di
rischio
di
progressione.
In
Africa,
più
del
50%
dei
pazienti
HIV+
ha
la
TBC.
400
disfacimento
dei
sistemi
sanitari
dopo
la
300
caduta
dei
regimi
comunisti
ha
determinato
200
Africa - low HIV un
aumento
dell’incidenza
della
TBC,
World
E Europe
dovuto
sia
al
minor
controllo
sulla
terapia,
100
World exc Afr, E Eur sia
alla
minore
efficacia
dei
programmi
0 assistenziali.
1990 1995 2000 2005
2005
Incidenza globale (*100.000 abitanti): 7,1
Incidenza in cittadini non italiani (*100.000 abitanti): 50-60
158
~ 6% della popolazione italiana
172 43.7%
/ 356 del totale dei casi di TBC
In
Italia
abbiamo
una
situazione
particolare:
mentre
la
prevalenza
della
TBC
negli
italiani
è
in
continuo
calo,
negli
stranieri
che
vivono
in
Italia
si
assiste
invece
ad
un
continuo
aumento,
tanto
che
se
prendessimo
in
considerazione
solo
quest’ultima
sottopopolazione
osserveremmo
dati
paragonabili
a
quelli
dei
Paesi
di
provenienza
di
tali
cittadini.
I
cittadini
stranieri
che
più
frequentemente
presentano
la
tubercolosi
sono
originari
di:
• Romania
• Cina
(Prato
è
la
più
grande
comunità
cinese
d’Europa)
• Marocco
• Perù
(sono
quasi
30000
a
Firenze)
• Senegal
• Pakistan
• Filippine
• Albania
• Somalia
• …
Come
si
può
prevenire
l’infezione
una
volta
che
sia
stata
accertata
l’esposizione?
Non
si
può
fare
immunoprofilassi
passiva
con
immunoglobulina,
perché
l’immunità
deputata
al
controllo
dell’infezione
tubercolare
è
quella
cellulo-‐mediata.
La
nostra
strategia
si
basa
allora
sul
monitoraggio
del
paziente,
al
fine
di
individuare
l’eventuale
esordio
dell’infezione,
che
sarà
trattato
con
chemioterapia
specifica.
Fattori
di
rischio
per
lo
sviluppo
dell’infezione
sono:
Allora
dobbiamo
anzitutto
fare
la
diagnosi.
Abbiamo
detto
che
un
terzo
della
popolazione
mondiale
è
infetta:
questo
non
significa
che
tutti
sviluppino
una
tubercolosi
clinicamente
manifesta,
anzi,
nella
maggior
parte
degli
individui
la
malattia
si
“arresta”
nella
prima
fase,
poiché
l’immunità
cellulo-‐mediata
monta
una
risposta
efficace
nel
controllare
il
processo
infettivo.
Questo
stadio
di
malattia
“congelata”,
nel
quale
per
definizione
non
è
possibile
isolare
micobatteri
dal
materiale
biologico
del
paziente,
è
definito
“infezione
tubercolare
latente”
(per
definizione
è
una
condizione
di
equilibrio
fra
sistema
immunitario
e
germe,
nella
quale
il
Mycobacterium
Tubercolosis
si
è
insediato
nell’organismo
in
assenza
però
di
sintomi
e
segni
clinici,
di
anomalie
radiologiche
compatibili
con
TBC
attiva
e
con
esami
batteriologici
negativi)
e
nei
soggetti
esposti
è
proprio
questo
che
andiamo
a
cercare.
Abbiamo
due
strumenti:
159
173 / 356
essere
misurata,
è
esclusivamente
la
zona
infiltrata,
mentre
l’eritema
circostante
non
riveste
più
alcun
significato.
La
risposta
è
letta
col
metodo
della
penna
a
sfera:
la
penna
a
sfera
scorre
fino
a
quando
trova
l’indurimento
dato
dall’infiltrazione.
Si
procede
a
misurare
il
diametro
del
pomfo,
in
direzione
ortogonale
rispetto
all’introduzione
della
siringa.
Il
risultato
deve
essere
registrato
in
millimetri,
perché
il
cut-‐off
tra
positività
e
negatività
cambia
a
seconda
della
presenza
di
eventuali
fattori
di
rischio.
Infatti,
per
persone
con
alto
rischio
di
sviluppare
l’infezione,
il
cut-‐
off
è
più
basso.
Vediamo
i
motivi:
Interpretazione del TST Soggetti
HIV+
non
5 mm è considerato positivo in: montano
un’adeguata
risposta
• Soggetti HIV-positivi cellulomediata
e
• Contatti recenti di pazienti con TB attiva pertanto
anche
valori
bassi
possono
essere
• Soggetti con radiografia del torace suggestiva di considerati
come
pregressa TB non trattata
positivi.
• Soggetti sottoposti a trapianto d’organo
I
contatti
recenti
• Altre immunodepressioni: terapie corcosteroidee comportano
un
rischio
equivalenti a > 15mg/die di prednisone per 1 mese o
terapie con anti-TNF maggiore
poiché
gran
parte
del
rischio
di
sviluppare
infezione
dopo
contatto
con
una
persona
con
TBC
aperta
è
spalmato
nei
primi
due
anni
dall’avvenuto
contatto.
Il
criterio
delle
immunodepressioni
e
dell’uso
di
farmaci
anti-‐
TNF
è
analogo
a
quello
del
paziente
HIV+:
una
condizione
di
immunodepressione
comporta
in
genere
un
falso
negativo;
per
vedere
se
il
paziente
è
immunodepresso
e
se
la
negatività
al
test
dipende
effettivamente
da
questo
è
buona
norma
l’utilizzo
di
un
test
con
candida
o
tricophyton
che,
se
negativi,
indicano
decisamente
una
condizione
di
immunodeficienza.
Interpretazione del TST
10 mm è considerato positivo in
• Immigrati da aree endemiche
• Tossicodipendenti per via e.v.
• Residenti o lavoratori in strutture di accoglienza
• Personale di laboratori di microbiologia
• Soggetti con condizioni cliniche considerate a rischio elevato
• Bambini <4 anni, o bambini o adolescenti conviventi con adulti ad
alto rischio
• Persone
che
hanno
fatto
la
vaccinazione
con
BCG
risultano
positive,
ma
dopo
15
anni
dalla
vaccinazione
la
probabilità
che
essa
determini
la
positivtà
al
Mantoux
è
inferiore
al
10%.
• Il
Mantoux
è
positivo
anche
in
soggetti
che
hanno
un’infezione
da
micobatterio
non
tubercolare,
ma
in
questo
caso
il
risultato
non
supera
i
10-‐12
mm.
160
174 / 356
• Se
il
Mantoux
è
negativo
ma
il
contatto
si
è
verificato
meno
di
10
giorni
prima,
è
necessario
ripeterlo,
perché
la
conversione
potrebbe
non
essersi
ancora
verificata.
• Effetto
Booster
Quindi
possiamo
affermare
che
il
test
di
Mantoux
rappresenta
un
test
decisamente
poco
sensibile
e
poco
specifico,
nonostante
permanga
tuttoggi
la
prima
indagine
da
eseguire.
• Metodi
che
si
basano
sulla
produzione
di
IFN-gamma
da
parte
di
subset
di
cellule
T
effettrici
sensibilizzate
contro
antigeni
del
micobatterio
tubercolare
quando
esse
vengano
esposte
in
vitro
ad
antigeni
specifici
del
M.
tubercolosis
complex.
I
vantaggi
sono
diversi.
Anzitutto,
c’è
maggiore
specificità
poiché
gli
antigeni
utilizzati
sono
presenti
solo
nel
M.
tuberculosis
complex
e
in
pochissimi
micobatteri
non
tubercolari.
In
secondo
luogo,
l’immunodepressione
non
influenza
il
risultato
del
test.
Infine,
non
c’è
reazione
crociata
con
il
BCG.
Il
risultato
positivo
deve
essere
interpretato
come
testimonianza
della
presenza
di
cellule
T
effettrici
sensibilizzate
per
il
micobatterio,
e
quindi
di
infezione
in
atto.
161
175 / 356
Nel
soggetto
con
infezione
latente
si
attua
una
terapia
se
sono
presenti
fattori
di
Schemi terapeutici per il trattamento della LTBI
rischio
per
lo
sviluppo
della
malattia
conclamata.
Farmaco Intervallo dosi e durata Fonti Note
Isoniazide Giornaliera x 9 mesi WHO, USA, Da preferire a 6 mesi nei soggetti HIV+, con esiti
radiologici per pregressa TB, bambini <5 anni
Isoniazide Giornaliera x 6 mesi WHO, USA, Adulti non nel gruppo INH 9 mesi
Rifampicina Giornaliera x 4 – 6 WHO, USA Da preferire nei soggetti con epatopatia cronica o in
mesi contatti di TB con sospetta (paese di provenienza con
INH-resistenza >4%) o documentata INH-resistenza
Pirazinamide + Giornaliera x 6 –12 CDC, USA Regime di scelta nei casi di sospetta o documentata
Etambutolo mesi MDR-TB, in cui sia nota la suscettibilità a PZD e ETB.
6 mesi per immunocompetenti. 12 mesi per
immunocompromessi.
Chiunque,
se
infetto,
può
sviluppare
la
malattia:
si
stima
che
circa
il
5%
dei
pazienti
che
sviluppano
un
rapporto
infettivo
con
il
bacillo
tubercolare
progrediscano
verso
la
forma
attiva
della
malattia
nei
primi
due
anni
dal
contatto
con
il
germe,
mentre
un
altro
5%
più
avanti
nel
tempo,
nell’arco
della
vita.
Sono
stati
identificati
diversi
fattori
di
rischio
di
progressione:
162
176 / 356
Sono
tutte
condizioni
che
imporrebbero,
dal
punto
di
vista
medico,
lo
screening
della
fase
latente:
ovvero,
tutti
i
gruppi
di
persone
sopramenzionati
dovrebbero
sottoporsi
a
screening
per
poter
essere
trattate
se
infette.
Questi
fattori
di
rischio
sono
sempre
più
importanti,
perché
la
tubercolosi
sta
cambiando
eziologia
nei
Paesi
industrializzati:
infatti,
se
prima
una
buona
parte
della
popolazione
sviluppava
un’infezione
primaria
asintomatica
che
veniva
contenuta
nei
linfonodi
mediastinici
e
resa
latente,
e
il
meccanismo
di
progressione
di
malattia
a
TB
post-primaria
era,
in
genere,
la
reinfezione
in
giovane
età
(come
accade
tuttora
nei
Paesi
ad
alta
endemia),
oggi
il
meccanismo
più
tipico
è
la
riattivazione
endogena,
favorita
dai
fattori
di
rischio
che
abbiamo
enunciato.
TB E HIV/AIDS
possibilità di manifestazioni clinico-radiologiche
atipiche
>300 CD4 <200 CD4
Distribuzione Lobo superiore Lobo medio e
polmonare inferiore
Cavitazione Spesso presente Tipicamente
assente
Adenopatie Rare Comuni
TST ~70% positivo Tipicamente
negativo
Positività ~ 80% ~ 40%
espettorato
Diffusione 10-15% dei casi Almeno il 50% dei
extrapolmonare casi
I
farmaci
biologici,
sempre
più
diffusi
nell’ambito
della
terapia
delle
malattie
infiammatorie,
agiscono
in
genere
sul
sistema
del
TNFalfa,
una
citochina
fondamentale
nei
processi
di
immunità
TH1
cellulo-‐mediata,
proprio
quella
branca
del
sistema
immunitario
che
controlla
l’infezione
tubercolare.
163
177 / 356
La
malattia
tubercolare
Eccoci
infine
a
trattare
lo
stato
di
malattia,
che
interessa
il
10%
degli
infetti.
Inizialmente,
soprattutto
nei
soggetti
con
deficit
dell’immunità
cellulare,
si
sviluppa
la
tubercolosi
primaria,
con
tipica
localizzazione
subpleurica
nel
lobo
medio
e
coinvolgimento
dei
linfonodi
mediastinici
e
ilari.
In
genere,
la
risposta
immunitaria
riesce
comunque
a
contenere
l’infezione
confinando
i
patogeni
nei
linfonodi
mediastinici,
che
vanno
spesso
incontro
a
calcificazione,
di
fatto
congelando
l’agente
infettivo
e
isolandolo.
Tuttavia,
nei
bambini
e
nei
soggetti
immunocompromessi
si
possono
avere
già
in
questo
stadio
manifestazioni
più
gravi
e
dovute
ad
invasione
locale
di
vasi
e
bronchi
o
disseminazione
ematogena:
• Tubercolosi
miliare
• Meningite
tubercolare
• Broncopolmonite
tubercolare
• Emorragia
Per
capire
la
clinica
e
l’anatomia
patologica
della
tubercolosi,
è
necessario
capire
come
si
comporta
il
nostro
sistema
immunitario
di
fronte
al
Mycobacterium:
I
bacilli,
inalati,
una
volta
raggiunti
gli
alveoli
polmonari
(solitamente
in
sede
subpleurica-‐campo
medio)
vengono
riconosciuti
e
fagocitati
dai
macrofagi
locali;
se
la
carica
infettante
è
superiore
alle
possibilità
di
killing
da
parte
degli
attori
dell’immunità
innata,
alcuni
micobatteri
sfuggiranno
al
controllo
locale
e
giungeranno
ai
linfonodi
mediastinici,
comportando
l’attivazione
delle
cellule
dell’immunità
adattiva.
Nel
complesso,
l’immunità
può
agire
in
due
modi:
a)
Può
svilupparsi
una
consistente
DTH
con
conseguente
danno
tissutale
massivo
;
b)
I
linfociti
Th1
CD4+,
con
il
rilascio
di
IFNγ
e
altre
citochine,
attivano
ulteriormente
e
potenziano
i
macrofagi
e
aiutandoli
a
contenere
l’infezione
(formazione
di
granulomi)
e
a
minimizzare
il
danno
tissutale.
Il
bilanciamento
tra
queste
due
tendenze
scrive
la
storia
della
malattia
tubercolare
polmonare.
Infatti,
con
lo
sviluppo
della
risposta
immunitaria
specifica,
abbiamo
la
formazione
della
lesione
nota
come
granuloma:
i
linfociti
T
CD4+
attivati
circondano
i
macrofagi
infetti
e
potenziano
la
loro
attività
battericida.
Se
l’immunità
cellulo-‐mediata
è
integra
e
ben
attiva,
questa
strategia
è
efficace,
e
tutto
quello
che
rimarrà
alla
fine
saranno
masserelle
calcifiche
a
livello
dei
linfonodi
ilari
e
del
focolaio
iniziale.
Se
invece,
per
qualche
ragione,
l’immunità
cellulare
è
inefficace
in
questa
sua
azione,
si
sviluppa
un
quadro
di
imponente
DTH
con
distruzioni
tissutale:
le
lesioni
granulomatose
si
espandono,
invadono
il
parenchima
circostante
erodendo
vasi
sanguigni
e
vie
aeree,
per
poi
aprirsi
all’interno
di
bronchi,
che
dreneranno
all’esterno
un
espettorato
purulento
pieno
di
micobatteri.
164
178 / 356
Tubercolosi
polmonare
primaria
Questa
è
la
forma
che
consegue
alla
prima
infezione
da
M.
tuberculosis
e
nei
paesi
ad
alta
endemia
si
verifica
frequentemente
nei
bambini
e
si
localizza
al
livello
dei
campi
polmonari
medi
e
inferiori,
a
livello
subpleurico.
La
lesione
tende
a
guarire
in
presenza
di
una
reazione
immunitaria
sufficientemente
efficace,
permanendo
come
calcificazione
nodulare
accompagnata
dall’evidenza
di
una
linfoadenopatia
mediastinica
anch’essa
andata
incontro
a
calcificazione
(Complesso
di
Ranke
!
evoluzione
del
complesso
primario
di
Ghon).
Tuttavia,
le
cose
non
vanno
sempre
lisce:
in
presenza
di
deficit
immunologici
(es:
HIV,
malnutrizione,
immunosoppressori,
diabete,
ecc…),
tale
infezione
primaria
può
progredire
verso
la
manifestazione
clinica:
in
questo
caso,
accade
quello
che
avevamo
descritto
nel
caso
l’immunità
cellulo-‐mediata
non
fosse
efficiente.
Le
lesioni
si
espandono
fino
allo
sviluppo
di
una
escavazione
acuta,
e
i
linfonodi
coinvolti
possono
ingrandirsi
enormemente
ed
esercitare
pressione
sulle
strutture
mediastiniche
(Sindrome
del
Lobo
Medio).
In
casi
particolarmente
gravi
si
può
avere
esisto
infausto
se
si
verificano
le
seguenti
circostanze:
• Emorragia
grave
• TB
miliare
• TB
meningea
• TB
pleurica
(rottura
nello
spazio
pleurico
del
complesso
primario
con
determinazione
di
una
pleurite
siero-‐fibrinosa!)
La
sintomatologia
è
in
genere
molto
sfumata:
possono
essere
presenti
febbre
(in
genere
serotonina),
tosse
e
perdita
di
peso,
eventualmente
associati
alla
comparsa
di
emoftoe
(da
colonizzazione
dei
lobi
superiori
e
erosione
delle
strutture
vascolari).
165
179 / 356
I
pazienti,
a
questo
punto,
possono
andare
incontro
a
morte,
a
remissione
spontanea,
o
a
cronicizzazione
dell’infezione,
con
il
quadro
della
consunzione.
Il
trattamento
è
efficace
anche
in
questo
stadio,
ma
è
chiaro
che
aumenta
molto
il
rischio
che
si
sviluppino
complicanze
importanti
e
minacciose
per
la
vita,
che
richiedono
un
trattamento
ancora
più
aggressivo
ed
impegnativo.
Considerando
che
una
quota
più
o
meno
consistente
di
micobatteri
possono
sfuggire,
D.V. durante
l’infezione
primaria,
al
controllo
locale
(prevalentemente
a
livello
polmonare)
e
2003 raggiungere
altri
organi
e
tessuti,
la
riattivazione
della
patologia
può
avvenire
anche
in
F, 29 aa, indiana
altre
sedi:
• Ossea,
molto
spesso
riguarda
il
rachide
(M.
di
Pott),
ma
possono
essere
coinvolte
anche
le
articolazioni.
RM rachide: tessuto
patologico infiltrante corpo
D12, cono midollare avvolto
da tessuto patologico con
compressione
• Tubercolosi
Genitourinaria
La
TBC
genitourinaria
merita
una
trattazione
più
approfondita.
Quella
genitourinaria
è
una
tipica
localizzazione
della
malattia
post-‐primaria,
originatasi
dalla
reinfezione
o
dalla
riattivazione
sopraggiunta
a
causa
di
uno
stato
di
diminuita
competenza
immunitaria.
Il
coinvolgimento
del
rene
si
verifica
per
via
ematogena,
e
la
diffusione
avviene
quindi
in
modo
consensuale
lungo
i
sistemi
escretori
fino
alla
vescica,
e
quindi
in
maniera
retrograda
fino
alle
vescichette
seminali
(nell’uomo)
e
alle
strutture
genitali
(dotti
eiaculatori,
didimo,
epididimo),
che
possono
essere
severamente
danneggiate,
compromettendo
la
fertilità.
166
180 / 356
A
livelo
renale,
la
lesione
tubercolare
(granuloma)
si
sviluppa
a
partire
dalla
rete
capillare
glomerulare
e
cresce
fino
a
raggiungere
l’ansa
di
Henle:
l’azione
espansiva
e
destruente
determina
in
ultima
analisi
la
necrosi
caseosa
della
papilla
renale
e
la
deformazione
dei
sistemi
collettori
(vedi
immagine).
La
patogenesi
del
granuloma
non
presenta
alcuna
differenza
dal
punto
di
vista
immunopatologico
rispetto
a
quando
si
è
visto
nel
polmone,
in
quanto
il
meccanismo
coinvolto
è
sempre
quello
della
DTH
che
si
genera
a
causa
della
persistenza
degli
antigeni
micobatterici
che
non
si
riescono
ad
eliminare
a
causa
del
deficit
immunologico.
Anche
nel
rene
i
granulomi
della
malattia
post-‐primaria
tendono
a
confluire
e,
se
possibile,
arrivano
a
fistolizzare
e
a
scaricare
il
loro
materiale
negli
spazi
circostanti,
formando
cavitazioni
a
livello
del
parenchima
renale,
esattamente
come
accade
nel
polmone.
Questa
situazione
si
verifica
anche
in
altri
organi
parenchimatosi
che
possono
essere
coinvolti
nella
diffusione
della
TB
genitourinaria,
sia
a
partire
dal
rene,
sia
direttamente
per
via
ematogena:
le
vescichette
seminali,
il
testicolo
e
la
prostata.
Se
la
formazione
di
cavitazioni
è
l’aspetto
fondamentale
della
TB
in
organi
parenchimatosi,
negli
organi
cavi
come
la
vescica
il
processo
flogistico
può
portare
a
retrazione
cicatriziale.
Ugualmente,
nelle
strutture
tubulari
come
ureteri,
uretra,
dotto
deferente
ed
epididimo
si
può
arrivare
a
stenosi,
e
questo
prefigura
l’infertilità
escretoria.
Le
lesioni
renali
possono
presentarsi
sotto
forme
diverse
dal
punto
di
vista
anatomopatologico:
• Forma
idropionefrica
• Rene
mastice
• Piccolo
rene
cicatriziale
• Forma
ulcerocaseosa
Il
quadro
può
andare
da
un
coinvolgimento
preferenziale
delle
papille
renali
ad
un
diffuso
interessamento
del
parenchima
che
viene
ampiamente
distrutto
dalle
lesioni
tubercolari
e
sostituito
da
materiale
caseoso
di
aspetto
simile
al
mastice
(rene
mastice):
la
funzione
renale
è
ampiamente
deteriorata
e
si
può
arrivare
al
quadro
di
autonefrectomia.
La
pelvi
renale
e
l’uretere
possono
essere
interessati
per
diffusione
della
lesione
renale.
Le
localizzazioni
più
frequenti
in
queste
sedi
sono:
• Colletto
caliceale
• Giunto
pielouretrale
• Uretere
terminale
167
181 / 356
Al
livello
della
vescica,
la
malattia
tubercolare
si
sviluppa
attraverso
tre
fasi
riconoscibili.
Inizialmente
possono
formarsi
tubercoli
oppure
ulcere
di
forma
tondeggiante,
a
seconda
del
tipo
di
reattività
dell’ospite.
In
seguito,
i
tubercoli
tendono
ad
evolvere
in
formazioni
polipoidi,
mentre
le
ulcere
tendono
ad
approfondarsi.
Lo
stadio
finale
della
cistite
tubercolare
è
caratterizzato
dalla
retrazione
cicatriziale
dell’organo,
che
appare
piccolo
e
sclerotico.
Chiaramente,
poi,
se
sono
coinvolti
anche
didimo,
epididimo,
deferente
e
vescichette
seminali
c’è
anche
il
problema
dell’infertilità,
prevalentemente
di
tipo
escretorio.
Diagnosi
All’ecografia
il
rene
può
apparire
normale
nelle
prime
fasi,
ma
in
questi
casi
il
quadro
urografico
mostra
comunque
un
rene
“muto”.
Successivamente
anche
al’ecografia
saranno
evidenti
gli
aspetti
ectasici
dei
calici,
la
coartazione
della
pelvi
renale
che
appare
mal
visualizzabile
a
causa
della
stenosi
cicatriziale.
168
182 / 356
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;'(%,2+*)$&1$""6,%$($%$&($%/+)-"$&#*)&1+"-(-2+*)$&-&
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Quando
un
rene
appare
muto
alla
urografia
perfusionale
si
può
fare
una
pielografia
ascendente
per
evidenziare
meglio
le
lesioni.
Complicanze
169
183 / 356
Terapia
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!"#$%&'()#&*+,)#(',
-)*#.(+$&'()#&*+,)#(',/.
• Intestinale
TB Gastrointestinale
01##(. 2+(. ("#$%3$"#(. 3&+#(. ,. %(*%()#(",%$. +,. *$%3($#4. $. +,.
'&"#("1(#4. 5$++,. 3(,. $)'%$#%('$. 3,""&. $)$21(#(. 5&*&.
! Per ingestione di secreti bronchiali infetti,
&**&%#1"&. '('+&. 5(. #$%,*(,.
o per localizzazione 6$5(',.
primitiva di M.*$%. )#$%(+(77,%$. 2+(.
bovis
&%2,"(.("#$%$)),#(.5,(.#$6*(.&*$%,#&%(8
! Interessamento esofageo per continuità da
un focolaio mediastinico
! Clinica: malassorbimento, colite simil-
ulcerosa,ascite, adenomesenterite,
aderenze, possibili complicanze di
pertinenza chirurgica.
• Peritoneale
• Epatica
• Surrene
• Laringe
• Splenica
• Oculare
TB linfonodale
• Linfonodale
! Soprattutto
laterocervicale,sottomandibolare e
sovraclaveare, in genere localizzata
! In HIV spesso colpite più stazioni
contemporaneamente
! I linfonodi tendono a fondersi in pacchetti,
alla colliquazione e infine alla
fistolizzazione
! Diagnosi: biopsia escissionale
Meningite TB
• Meningea
! Da rottura di un tubercolo nello spazio
subependimale o per disseminazione
ematogena
! Base e nn. cranici
! Esordio subdolo, malessere, astenia,
febbricola,cefalea, confusione mentale,
meningismo, turbe del sonno, irritabilità, segni
neurologivi focali
Diagnosi: PL, RMN, TC
!
170
184 / 356
Diagnosi
• Batteriologia
Si
può
fare
l’esame
batterioscopico
diretto
(bassa
sensibilità),
che
non
permette
la
distinzione
tra
micobatteri
differenti,
oppure
l’esame
colturale
[attesa
raramente
inferiore
alle
4
settimane
(in
genere
servono
8
settimane
per
la
risposta),
bassa
sensibilità]
da
materiale
biologico
del
paziente;
in
alternativa,
oggi
abbiamo
la
PCR,
che
ha
il
vantaggio
di
essere
molto
rapida,
sensibile
e
specifica
per
M.
tuberculosis.
L’esame
batterioscopico
e
colturale
può
essere
effettuato
su
espettorato
o
BAL;
sulle
urine;
negli
anziani
e
nei
bambini,
che
tendono
a
deglutire
l’espettorato,
utile
la
ricerca
nelle
feci.
[N.B
l’esame
colturale
è
fondamentale
per
evidenziare
e
isolare
il
micobatterio,
identificare
la
specie
e
la
suscettibilità
ai
farmaci]
• Istologia
• Criterio
ex
adiuvantibus
• La
più
grave
è
l’emorragia,
dovuta
all’erosione
dei
vasi
polmonari
da
parte
delle
cavitazioni;
questa
è
la
principale
causa
di
morte.
Se
il
paziente
ha
un’emottisi
importante
è
pertanto
indicato
effettuare
l’angio
TC.
• Stenosi
bronchiale
• Empiema
• Pneumotorace
• Infezioni
secondarie
171
185 / 356
• Micetomi
• Pleurite,
caratteristicamente
monolaterale,
è
possibile
in
ogni
fase.
Caratteristicamente
si
presenta
con
dolore
toracico
che
si
acuizza
con
gli
atti
respiratori.
Il
liquido
pleurico
ha
pH
acido
e
presente
elevato
titolo
proteico
e
di
LDH:
può
essere
usato
per
la
ricerca
del
micobatterio
con
metodiche
dirette,
colturali
o
PCR.
Terapia
172
186 / 356
16.
Infezioni
delle
vie
urinarie
Sono
le
infezioni
più
frequenti,
sia
in
ospedale
che
nelle
case
di
riposo,
e
seconde
solo
alle
infezioni
respiratorie
come
motivo
di
visite
ambulatoriali.
Naturalmente,
però,
si
tratta
di
un
continuum
in
cui
le
varie
infezioni
tendono
a
coesistere;
nondimeno,
la
classificazione
sulla
base
della
localizzazione
principale
ha
un
importante
significato
prognostico
e
terapeutico.
Le
infezioni
delle
basse
vie
urinarie
possono
estendersi
e
coinvolgere
le
alte
vie
urinarie,
con
importanti
conseguenze
cliniche:
pertanto
sarà
nostro
interesse
riuscire
a
controllarle
ed
eradicarle
prima
che
questo
si
verifichi,
tenendo
comunque
presente
che
nella
maggior
parte
dei
casi
la
risoluzione
è
spontanea.
Comunque,
anche
banali
infezioni
paucisintomatiche
ripetute
nel
tempo
possono,
a
lungo
andare,
causare
un
quadro
di
insufficienza
renale
cronica.
173
187 / 356
Classificazione
Dal
più
punto
di
vista
utile però
è
più
utile
la
classificazione
in:
clinico,
! IVU non complicate sono quelle più frequenti nel sesso femminile
con prognosi quasi sempre favorevole;
Verificare
lo
stato
di
infezione
complicata
o
non
complicata
è
quindi
una
priorità,
poiché
in
caso
di
infezione
complicata
dovremo
approfondire
la
diagnostica
al
fine
di
chiarire
quale
sia
l’alterazione
anatomo-‐funzionale
sottostante,
al
fine
di
poter
pianificare
un
intervento
terapeutico
efficace.
Patogenesi
! Capacità dei batteri di aderire all'urotelio tramite pili o fimbrie con cui Esistono
vari
fattori
di
prendono contatto con le cellule uroteliali consentendo il legame tra adesine rischio
(relativi
al
patogeno
batteriche (glicoproteine) e recettori specifici sulle cellule uroteliali (glicolipidi o
all’ospite)
che
rendono
con oligosaccaridi). conto
della
maggiore
! Riduzione dei fattori di protezione: frequenza
e
gravità
delle
- Glicosaminoglicani (GAGS) prodotti dall'epitelio uroteliale e inglobati nei infezioni
urinarie
in
alcuni
proteoglicani, formano una barriera che ricopre l'epitelio impedendo soggetti.
l'adesione batterica.
- Proteina di Tamm-Horsfall, capace di legare le fimbrie di tipo I presenti E’
possibile,
per
esempio,
sulla superficie batterica impedendo così che si leghino ai recettori mucosi e
quindi favorendo l'eliminazione dei batteri con la minzione. che
alcune
persone
siano
- Immunoglobuline secretorie, in massima parte IgA ma anche IgG e IgM. dotate
di
un
maggior
numero
di
recettori
per
le
! Osmolarità, Ph e concentrazione urinaria di urea e creatinina: elevati valori di adesine
batteriche,
o
che
il
urea e creatinina ed un pH alcalino favoriscono l'aderenza batterica, mentre
un'alta osmolarità ed un pH acido la inibiscono. microbiota
endogeno
di
alcuni
individui
sia
maggiormente
composto
da
batteri
dotati
di
strutture
adesive
che
consentono
l’infezione
delle
vie
urinarie.
Come
si
vede
nello
schema,
anche
la
riduzione
dei
fattori
protettivi
determina
un
rischio
più
elevato
di
sviluppare
infezioni
delle
vie
urinarie.
Infine,
anche
particolari
caratteristiche
chimico-fisiche
delle
urine
possono
facilitare
la
colonizzazione
batterica.
174
188 / 356
Esistono
soggetti
particolarmente
esposti
alle
infezioni
urinarie:
• I
bambini,
in
cui
spesso
le
febbri
sono
dovute
ad
infezioni
delle
vie
urinarie
non
manifeste.
• Soggetti
sottoposti
a
manovre
come
la
cateterizzazione.
• Donne
in
gravidanza,
a
causa
del
ristagno
urinario
fisiologico.
• Soggetti
con
ipertrofia
prostatica
• Soggetti
ricoverati,
più
esposti
a
patogeni
nosocomiali
multiresistenti
Sia
l’uso
di
antibiotici
che
l’uso
di
contraccettivi
orali
possono
alterare
la
composizione
del
microbiota
vaginale
anche
in
relazione
a
modificazioni
del
microambiente
(pH,
ecc…)
e
possono
pertanto
favorire
l’insorgenza
delle
infezioni
urinarie.
Abbiamo anche condizioni che possono essere comuni ad entrambi i sessi:
175
189 / 356
I
patogeni
coinvolti
Tutte
queste
informazioni
sono
essenziali
dal
momento
che
l’antibiogramma
non
è
quasi
mai
disponibile
al
momenti
di
decidere
la
terapia
antibiotica
di
un’infezione
delle
vie
urinarie.
Conoscere
i
patogeni
coinvolti
e
saper
prevedere,
sulla
base
delle
informazioni
cliniche,
la
probabilità
che
un
determinato
patogeno
sia
coinvolto,
è
utile
soprattutto
al
fine
di
decidere
la
terapia
su
base
empirica.
Questa
è
invece
la
situazione
da
noi
a
Careggi.
Molto
interessanti
i
dati
relativi
all’elevata
prevalenza
Sintomi
Nei
bambini,
specialmente
se
piccoli,
è
molto
difficile
ottenere
una
descrizione
puntuale
dei
sintomi,
cosicché
si
può
sospettare
la
diagnosi
in
caso
di
febbre
non
spiegabile
in
altro
modo.
Nell’adulto,
invece,
il
richiamo
clinico
è
in
genere
evidente.
176
190 / 356
bbre •Perdita di peso
lessere •Sudori notturni
usea
mito
lore addominale
Infezione delle basse vie urinarie La
febbre
non
è
un
segno
• Disuria caratteristico
delle
infezioni
• Pollachiuria delle
basse
vie
urinarie
non
• Ematuria complicate,
e
generalmente
• Urina torbida manca.
• Nicturia
• Dolore soprapubico
• Stranguria
• Urgenza urinaria
Ascesso perinefrico
•Tremito
Tipicamente
presente
è
invece
la
febbre
Pielonefrite acuta •Doloreche
(alta)
nelle
infezioni
lombare
dalla
vescica
• Febbre risalgono
fino
al
rene.
•PerditaLa
sintomatologia
di peso è
in
• Malessere questo
caso
molto
più
importante,
di
•Sudori notturni
carattere
sistemico.
Il
dolore
è
importante,
• Nausea
in
genere
addominale
o
al
fianco,
irradiato
• Vomito in
basso;
la
presenza
di
nausea
e
vomito
può
• Dolore addominale sviare
facendo
pensare
ad
una
patologia
del
tratto
gastrointestinale.
Infezione delle basse Qui
vie
può
essere
utile
urinarie
• Disuria che
comunque
può
anche
ricercare
una
storia
di
disturbi
delle
basse
vie
urinarie,
mancare.
• Pollachiuria
• Ematuria
Se
poi
la
situazione
è
complicata
da
un
• Urina torbida
ascesso
perinefrico,
si
ha
tipicamente
• Nicturia Ascesso perinefrico
febbre
settica,
con
brivido
scuotente,
un
• Dolore soprapubico
•Tremito
importante
sintomatologia
dolorosa
• Stranguria
Pielonefrite acuta • Urgenza urinaria•Dolore lombare
lombare,
la
sudorazione
notturna
ed
il
calo
• Febbre
ponderale.
•Perdita di peso
• Malessere •Sudori notturni
• Nausea
• Vomito
• Dolore
Quindi,
per
la
addominale
diagnosi
di
IVU
ci
baseremo
su:
Infezione delle basse vie urinarie
• Anamnesi
• Disuria
• Esame
obiettivo
• Pollachiuria
• Esami
di
laboratorio
• Ematuria
• Urina torbida
Gli
esami
di
laboratorio
in
genere
non
sono
neanche
necessari,
vista
la
clinica
(spesso)
• Nicturia
altamente
suggestiva.
Se
però
persiste
un
dubbio
circa
la
natura
di
una
febbre,
gli
esami
• Dolore soprapubico
possono
essere
dirimenti
e
in
genere
si
richiede
un
esame
delle
urine
standard.
Inoltre,
si
effettuano
urinoculture
ed
eventualmente,
l’antibiogramma
• Stranguria per
poter
effettuare
• Urgenza
una
terapia
mirata.
Gli
indici
di
flogosi
(VES,
hsPCR)
possono
urinaria
essere
utili
e
in
genere
sono
elevati.
La
presenza
di
batteri
nelle
urine
raccolte
dal
mitto
intermedio
non
rappresenta
di
per
se
un
sinonimo
d’infezione
delle
vie
urinarie:
difatti,
a
condizionare
la
diagnosi,
oltre
al
numero
clinicamente
significativo
di
batteri
rilevabili
nelle
urine,
sono
anche
l’eventuale
associazione
ad
un
corteo
di
segni
e
sintomi
verosimilmente
riferibili
ad
un
processo
infettivo
a
carico
delle
vie
urinarie,
il
contesto
clinico
a
rischio
(per
esempio
una
gravidanza)
nel
quale
i
batteri
sono
rilevati
e
l’alterazione
delle
indagini
laboratorio.
177
191 / 356
Tra
le
indagini
strumentali,
frequentemente
si
utilizza
in
prima
istanza
l’ecografia,
che
ci
permette
di
evidenziare
la
presenza
di
eventuali
calcoli
urinari,
ostruzioni.
Se
c’è
la
necessità
di
un
imaging
più
accurato,
abbiamo
a
disposizione
TC
e
urografia.
Inoltre,
nei
casi
complicati
può
essere
necessaria
l’esecuzione
di
una
biopsia
renale.
178
192 / 356
contratte
in
ambito
nosocomiale
sono
frequentemente
causate
da
ceppi
ESBL;
pazienti
defedati,
con
importanti
patologie
sistemiche
(es:
diabete),
in
condizioni
critiche,
possono
essere
ragionevolmente
trattati
con
un
carbapenemico,
perché
il
rischio
di
TERAPIA DI SCELTA NELLE IVU
commettere
un
errore
è
troppo
elevato
se
si
usasse
un
altro
farmaco.
Uretriti
179
193 / 356
La
clinica
non
consente
spesso
di
dirimere
fra
forme
gonococciche
e
non
gonococciche.
La
diagnosi
si
basa,
quindi,
principalmente
sull’esecuzione
del
tampone
uretrale;
il
materiale
prelevato
sarà
colorato
con
la
colorazione
di
Gram
ed
osservato:
questo
consente
la
diagnosi
delle
uretriti
gonococciche.
Per
le
uretriti
aspecifiche
(patogeno
non
noto,
non
facilmente
identificabile),
invece,
si
ricorre
a
metodiche
di
PCR
per
la
caratterizzazione
del
patogeno.
La
terapia,
nel
caso
dell’uretrite
gonococcica,
si
effettua
con
125-‐250
mg
di
ceftriaxone
intramuscolo,
una
sola
dose
è
sufficiente.
In
caso
di
uretriti
aspecifiche,
invece,
si
può
usare
la
doxiciclina
(100
mg
bid
per
10
giorni)
oppure
l’azitromicina
(due
compresse
da
500
mg
in
dose
unica).
In
caso
di
dubbio,
si
effettua
una
terapia
empirica
con
ceftriaxone
ed
azitromicina.
Ovviamente,
è
necessario
trattare
anche
il
partner
del
soggetto
infetto,
altrimenti
si
rischia
la
reinfezione
(infezione
ping-‐pong).
Cistiti
Le
cistiti
sono
spesso
associate
alle
uretriti
e
sono
causate
dalla
risalita
di
patogeni
in
vescica
attraverso
l’uretra.
I
patogeni
più
comunemente
implicati
sono
E.
coli
e
le
enterobacteriaceae
(Klebsiella,
Proteus,
…),
ma
anche
Pseudomonas,
I
Corinebatteri,
Stafilococchi
e
alcuni
miceti,
in
particolare
le
Candidae,
albicans
e
non
albicans.
180
194 / 356
Urinocoltura
La
batteriuria
asintomatica
è
spesso
scoperta
occasionalmente
o
nell’ambito
di
uno
screening,
o
nell’ambito
del
follow
up
in
seguito
ad
una
precedente
infezione
delle
vie
urinarie.
In
ogni
caso,
è
una
condizione
in
cui
il
soggetto
non
presenta
sintomi
correlati
al
patogeno
isolato.
Chiaramente,
la
gestione
di
questi
pazienti
è
controversa.
In
gravidanza,
poi,
è
frequente
il
riscontro
di
batteriuria
asintomatica,
verosimilmente
favorita
dal
ristagno
urinario
che
si
genera
in
questo
momento
della
vita
della
donna;
tipicamente,
i
patogeni
sono
cocchi
gram
positivi
o
enterobatteriacee.
In
questi
casi
la
possibilità
di
evoluzione
a
pielonefrite
è
scarsa,
ma
nondimeno
esiste;
in
più,
si
è
visto
–
tramite
lo
screening
-‐
che
raramente
la
batteriuria
asintomatica
si
risolve
spontaneamente,
pertanto
le
pazienti
vengono
trattate
per
7
giorni
con
coamoxiclav
o
una
cefalosporina
di
II
o
III
generazione;
in
caso
di
allergia
alle
β-‐lattamine,
si
opta
per
la
nitrofurantoina.
Pielonefriti
Per
quanto
riguarda
l’eziologia,
nella
maggior
parte
dei
casi
si
tratta
di
infezioni
da
enterobacteriaceae,
raramente
da
cocchi
gram
positivi.
Rara
ma
possibile
è
l’eziologia
tubercolare,
mentre
le
pielonefriti
micotiche
(candida)
sono
patologie
caratteristiche
dell’ospite
immunocompromesso.
La
forma
cronica
è
più
subdola.
Può
essere
cronica
ab
initio
oppure
seguire
un
episodio
di
pielonefrite
acuta,
o
essere
espressione
di
precedenti
infezioni
asintomatiche.
I
sintomi
sono
spesso
generici,
come
dimagrimento,
astenia,
febbricola
e
gli
esami
di
laboratorio
possono
rivelare
un
quadro
di
anemizzazione
(che
può
essere
un’anemia
da
carente
produzione
di
EPO,
oppure
da
condizione
cronica,
con
ferritina
elevata
o
normale,
sideremia
bassa
e
transferrina
ridotta),
leucocitosi
(neutrofila)
e
aumento
degli
indici
di
flogosi.
Possono
essere
presenti
vaghi
disturbi
minzionali
e
dolori
lombari,
che
comunque
in
genere
non
sono
eclatanti.
La
diagnosi
può
essere
tranquillamente
clinica
nelle
forme
conclamate,
magari
anche
sulla
base
dell’anamnesi.
In
seconda
istanza
si
effettua
l’urinocoltura.
Possiamo
poi
181
195 / 356
eseguire
un’ecografia
per
studiare
la
presenza
di
ostruzioni
o
alterazioni
anatomiche
a
carico
delle
vie
urinarie
(con
un
rischio
aumentato
di
sviluppo
di
una
forma
di
IVU
complicata
e
quindi
di
un
quadro
di
sepsi!).
Inoltre,
abbiamo
a
disposizione
i
test
che
esplorano
la
funzionalità
renale,
l’urografia,
la
TC
(se
il
paziente
resta
febbrile
per
72
ore
dall’inizio
della
terapia
antibiotica,
può
rendersi
necessario
l’utilizzo
di
tale
metodica
strumentale,
utile
ad
identificare,
per
esempio,
una
condizione
di
nefrolitiasi
o
lo
sviluppo
di
un
ascesso).
Nei
casi
più
complessi,
l’agobiopsia
renale
può
essere
dirimente.
La
terapia
antibiotica,
nelle
pielonefriti,
non
deve
prescindere
dalla
rimozione
chirurgica
di
eventuali
ostacoli
al
deflusso
urinario
e
dalla
correzione
del
difetto
anatomico
alla
base.
Si
impiegano
generalmente
aminopenicilline
o
fluorochinoloni
per
via
endovenosa,
e
la
terapia
deve
durare
circa
due
settimane.
Ascessi
renali
e
perirenali
Gli
ascessi
renali
sono
inquadrabili
nel
capitolo,
assai
complesso,
degli
“ascessi
intraddominali”.
Pur
rappresentando
patologie
evidentemente
impegnative,
si
tratta
di
quadri
clinici
abbastanza
rari,
sicuramente
meno
frequenti
rispetto,
per
esempio,
agli
ascessi
epatici
e
splenici.
Per
quanto
concerne
gli
ascessi
renali,
questi
possono
essere
suddivisi
in
due
distinti
quadri:
• ascesso
corticale:
generalmente
monolaterale,
singolo,
più
frequentemente
coinvolgente
il
rene
destro
e
il
sesso
maschile
(rapporto
3:1
con
il
sesso
femminile),
nella
seconda-‐quarta
decade
di
vita,
oltre
a
soggetti
a
rischio
come
eroinomani,
diabetici
ed
emodializzati).
• ascesso
corticomidollare:
più
frequente
in
individui
anziani
con
anormalità
urinarie
(reflusso
vescicoureterale,
uropatia
ostruttiva,
precedenti
infezioni
urinarie)
od
endocrinologiche
(diabete
mellito,
iperparatiroidismo
primitivo),
conseguente
in
genere
ad
un’infezione
ascendente
o
quanto
meno
ad
una
batteriuria.
Si
parla
di
ascessi
perirenali
quando
si
riscontra
una
raccolta
purulenta
confinata
tra
il
rene
e
la
fascia
di
Gerota,
raccolta
che
però
può
estendersi
al
retroperitoneo
od
alle
strutture
muscolari
circostanti.
Patogenesi
Mentre
gli
ascessi
epatici
derivano
da
focolai
infettivi
contigui
o
dalla
disseminazione
intraddominale
di
processi
infettivi
e
gli
ascessi
splenici
sono
ascrivibili
essenzialmente
alla
metastatizzazione
ematogena
di
un
focolaio
infettivo
intravascolare
(es:
endocardite
infettiva),
gli
ascessi
renali
e
perirenali
sembrano
prevedere
una
patogenesi
differente.
Prima
dell’avvento
dell’antibioticoterapia,
la
maggior
parte
degli
ascessi
renali
e
perirenali
si
sviluppava
tramite
disseminazione
ematogena,
e
il
patogeno
più
frequentemente
implicato
era
S.
aureus.
Attualmente,
invece,
il
75%
degli
ascessi
renali
e
perirenali
rappresenta
una
complicanza
di
un
processo
infettivo
delle
vie
urinarie;
l’infezione,
inizialmente
localizzata
al
livello
della
vescica,
risale
e
determina
lo
sviluppo
182
196 / 356
di
una
pielonefrite,
primo
passaggio
indispensabile.
A
questo
punto,
i
batteri
possono
invadere
il
parenchima
renale
dalla
midollare
alla
corticale,
e
questo
processo
è
facilitato
dall’invasione
dei
vasi
parenchimali,
che
consentono
la
diffusione
del
processo
infettivo
in
altre
aree
del
parenchima.
Le
aree
ascessuali
che
si
sviluppano
nel
contesto
del
parenchima
renale
possono
aprirsi
nello
spazio
perirenale.
Come
sappiamo,
i
reni
e
le
ghiandole
surrenali
sono
circondati
dal
tessuto
adiposo
perirenale,
a
sua
volta
contenuto
nella
fascia
di
Gerota,
che
si
estende
superiormente
fino
al
diaframma
e
inferiormente
fino
al
grasso
pelvico.
Gli
ascessi
che
coinvolgono
lo
spazio
perirenale
possono
estendersi
attraverso
la
fascia
di
Gerota
fino
al
muscolo
psoas
o
al
muscolo
trasverso
dell’addome
o
fino
alla
cavità
peritoneale.
Verso
l’alto,
possono
arrivare
ad
interessare
lo
spazio
sottodiaframmatico;
verso
il
basso,
possono
giungere
allo
scavo
pelvico.
Tra
i
fattori
di
rischio
più
importanti
per
lo
sviluppo
di
ascessi
renali
dobbiamo
ricordare:
- La
presenza
di
nefrolitiasi
- Anomalie
strutturali
delle
vie
urinarie
- Pregressi
interventi
urologici
- Diabete
mellito
- Traumi
Eziologia
I
microrganismi
più
frequentemente
implicati
nello
sviluppo
degli
ascessi
renali
sono
gli
stessi
responsabili
di
infezioni
delle
vie
urinarie:
• E.
coli
• Proteus
spp.
• Klebsiella
spp.
• S.
Aureus
(soprattutto
per
gli
ascessi
corticali)
La
maggior
parte
degli
ascessi
renali
è
monomicrobico;
in
una
certa
percentuale
di
casi,
tuttavia,
si
isolano
due
o
più
specie
patogene
–
in
particolare,
questo
accade
con
maggiore
frequenza
negli
ascessi
che
si
riscontrano
nei
pazienti
diabetici.
Anche
la
Candida
è
talvolta
implicata
nello
sviluppo
di
ascessi
renali:
si
tratta
spesso
di
infezioni
metastatiche
da
disseminazione
ematogena
in
corso
di
polmonite
o
endocardite
da
Candida.
Talvolta
si
può
anche
avere
infezione
ascendente
dalle
vie
urinarie
inferiori,
e
in
questi
casi
si
possono
repertare
spesso
masse
fungine
ostruenti
il
lume
ureterale.
Clinica
La
clinica
degli
ascessi
renali
è
poco
specifica;
il
sintomo
più
comune
è
il
dolore
localizzato
all’addome
o
al
fianco,
talvolta
con
irradiazione
all’inguine
o
alla
gamba.
Circa
il
50%
dei
pazienti
presenta
febbre.
La
diagnosi
viene
spesso
posta
tardivamente,
e
la
mortalità
è
conseguentemente
considerevole.
Si
deve
sospettare
l’ascesso
renale
in
pazienti
trattati
per
una
pielonefrite
(segni
e
sintomi
compatibili)
nei
quali
la
terapia
antibiotica
non
determini
la
scomparsa
della
febbre
entro
4-‐5
giorni,
specialmente
se
è
nota
una
storia
di
litiasi
renale.
Il
reperto
di
urinocolture
positive
per
flora
polimicrobica
è
un
altro
indizio
importante
che
deve
far
sospettare
l’ascesso
renale.
Il
quadro
clinico
di
un
ascesso
perirenale
è
in
genere
subdolo,
con
segni
di
pielonefrite
acuta
(febbre
preceduta
da
brivido,
dolore
al
fianco,
di
solito
monolaterale)
e
spesso
di
183
197 / 356
cistouretrite
(disuria,
pollachiuria).
Più
raramente
sono
presenti
nausea,
vomito
e
dimagrimento.
Obiettivamente
è
presente
dolorabilità
al
fianco,
all’angolo
costovertebrale,
talvolta
in
regione
addominale
con
irradiazioni
all'anca,
alla
coscia
od
al
ginocchio.
Diagnosi
Per
quanto
riguarda
gli
ascessi
renali:
• Gli
esami
laboratoristici
convenzionali
rivelano
in
genere
un
aumento
della
VES,
proteina
C
reattiva
ed
un
più
o
meno
consistente
incremento
dei
globuli
bianchi;
nelle
forme
corticomidollari
l’analisi
delle
urine
risulta
essere
alterato
(proteinuria,
piuria)
in
almeno
il
70%
dei
casi,
con
l’urinocoltura
e
le
emocolture
che
sono
generalmente
positive;
nell’ascesso
corticale
l’analisi
delle
urine
è
di
solito
normale,
così
come
sono
solitamente
negative
emocolture
ed
urinocoltura.
• Le
indagini
radiologiche,
tra
cui
ecografia
e
TC,
sono
sempre
di
grande
aiuto
nella
caratterizzazione
di
un
ascesso
intrarenale
(in
particolare
nella
diagnosi
differenziale
con
lesioni
tumorali,
cisti
ed
ascessi
perirenali)
ed
anche
nell’esecuzione
di
agobiopsie
e
drenaggi
percutanei.
In
caso
di
ascesso
perirenale
sono
piuttosto
comuni
l’elevazione
della
VES,
una
modica
leucocitosi
neutrofila,
anemia,
iperazotemia
ed
ipercreatininemia;
l’analisi
delle
urine
mostra
frequentemente
piuria
e
proteinuria,
le
urinocolture
sono
positive
nei
2/3
dei
casi
mentre
ematuria
è
riscontrabile
solo
nel
10%
dei
casi;
fino
al
40%
dei
pazienti
ha
emocolture
positive.
In
circa
la
metà
dei
casi
la
radiografia
dell’addome
evidenzia
anormalità
quali
una
massa
addominale,
la
presenza
di
gas
retroperitoneale
in
area
iuxtarenale,
un
rene
aumentato
di
dimensioni
con
margini
indistinti
oppure
un’ombra
renale
mal
definita,
perdita
dei
margini
dello
psoas
o
la
presenza
di
uno
o
più
calcoli.
Terapia
La
terapia
si
basa
sul
drenaggio
chirurgico/percutaneo
del
materiale
ascessuale
infetto
e
sull’istituzione
di
un’appropriata
terapia
antibiotica
che
sia
in
grado
di
coprire
efficacemente
i
patogeni
implicati
nel
singolo
caso:
• Per
gli
ascessi
renali
corticali
sono
indicati
soprattutto
antibiotici
antistafilococcici
(oxacillina
2
g
ogni
4
ore,
vancomicina
1
g
ogni
12
ore,
teicoplanina
400
mg/die
dopo
dose
di
carico
di
800
mg)
per
via
e.v
per
10-‐14
giorni,
eventualmente
seguiti
dalla
somministrazione
di
una
molecola
orale
(ad
esempio,
amoxicillina/clavulanato)
per
ulteriori
2-‐4
settimane.
E’
necessario
modificare
la
terapia
sulla
base
dei
risultati
di
emocolture
e/o
urino
coltura
che
dovessero
positivizzarsi.
• In
caso
di
ascesso
corticomidollare,
essendo
più
spesso
conseguente
ad
un
processo
infettivo
promosso
da
batteri
appartenenti
alla
famiglia
delle
Enterobacteriaceae,
l’indicazione
è
di
trattare
il
paziente
con
una
terapia
a
base
di
aminopenicilline
o
acilureidopenicilline
o
cefalosporine
o
cotrimossazolo
o
fluorochinoloni
più
o
meno
l’associazione
con
un
aminoglucoside.
E’
indicata
la
prosecuzione
per
almeno
24-‐48
ore
fino
all’avvenuto
sfebbra
mento
e
miglioramento
clinico
generale
ed
eventualmente
switch
a
terapia
orale
per
ulteriori
2
settimane.
Per
gli
ascessi
perirenali
è
più
spesso
necessario
combinare
terapia
medica
e
chirurgica
(successo
fino
al
90%
dei
casi).
184
198 / 356
Prostatiti
Le
prostatiti
sono
un
gruppo
di
quadri
clinico-‐patologici
caratterizzati
da
l’instaurazione
di
un
processo
infiammatori-‐infettivo
a
livello
della
prostata.
Epidemiologia
Le
prostatiti
rappresentano
oggi
una
delle
patologie
più
frequentemente
diagnosticate
negli
uomini
di
età
superiore
ai
50
anni.
La
prevalenza
nella
popolazione
generale
si
aggira
intorno
al
4-‐11%;
secondo
alcuni
studi,
circa
il
50%
dei
soggetti
di
sesso
maschile
presenterà
nell’arco
della
propria
vita
almeno
un
sintomo
da
riferire
ad
un
quadro
di
prostatite.
Classificazione,
Eziopatogenesi,
Clinica
e
Terapia
Negli
anni
sono
stati
proposti
diversi
approcci
classificativi;
la
classificazione
oggi
più
utilizzata
è
quella
proposta
dalla
National
Institute
of
Health,
che
prevede
la
suddivisione
delle
prostatiti
in:
• prostatite
batterica
acuta
• prostatite
batterica
cronica
• prostatite
non
batterica
• prostatite
asintomatica
(prostatodinia)
La
prostatite
batterica
acuta
è
comunemente
sostenuta
da
batteri
Gram
negativi,
usualmente
E.
coli
e
Clamydia,
meno
comunemente
Proteus,
Klebsiella,
Enterobacter,
Pseudomonas
e
Serratia.
Le
possibili
vie
di
diffusione
sono:
-‐ via
uretrale
ascendente;
-‐ reflusso
di
urina
infetta
da
infezioni
delle
alte
vie
escretrici
nei
dotti
prostatici;
-‐ invasione
da
parte
di
batteri
rettali
per
via
linfatica
(facilitata
dalla
congestione
pelvica
per
sedentarietà)
-‐ via
ematogena
(specie
in
corso
di
ipertrofia
prostatica
da
focolai
a
distanza)
Da
un
punto
di
vista
clinico
è
caratterizzata
in
genere
dalla
comparsa
di
brividi,
iperpiressia,
pollachiuria
e
urgenza
minzionale,
dolore
perineale
e
lombare,
sintomi
di
vario
grado
di
ostruzione
urinaria,
disuria
o
bruciore
alla
minzione,
nicturia,
talvolta
macroematuria
e
spesso
artralgia
e
mialgia.
L’esame
obiettivo,
tramite
un’accurata
esplorazione
rettale,
rivela
spesso
una
prostata
dolente
e
dolorabile,
tumefatta
e
indurita
focalmente
o
diffusamente,
solitamente
calda.
Gli
esami
di
laboratorio
di
conferma
comprendono
piuria
all'esame
chimico
delle
urine,
urinocoltura
positiva
e
talvolta
emocoltura
positive.
La
coltura
delle
secrezioni
prostatiche
evidenzia
solitamente
grandi
quantità
di
batteri
patogeni.
Poiché
solitamente
la
cistite
acuta
accompagna
immediatamente
la
prostatite
acuta,
il
batterio
patogeno
spesso
può
essere
identificato
tramite
coltura
dell'urina
raccolta
con
la
minzione.
La
terapia
comprende
misure
di
supporto
quali
riposo
a
letto,
analgesici,
emollienti
delle
feci
e
idratazione.
La
terapia
iniziale
con
fluorochinolonici
due
volte
al
giorno
è
di
solito
efficace
e
può
essere
somministrata
fino
a
che
non
siano
noti
i
risultati
colturali
e
l'antibiogramma.
Se
vi
è
una
risposta
clinica
soddisfacente,
il
trattamento
viene
continuato
per
circa
30
giorni
per
prevenire
lo
sviluppo
di
una
prostatite
batterica
cronica.
Se
si
sospetta
una
sepsi,
dovrebbero
essere
somministrati
per
via
endovenosa
antibiotici
ad
ampio
spettro
che
coprano
batteri
Gram
-‐
e
Gram
+
(p.
es.,
una
combinazione
di
ampicillina
e
gentamicina)
fino
a
quando
non
siano
noti
i
risultati
dell'antibiogramma.
Se
la
risposta
clinica
è
adeguata,
il
paziente
continua
la
terapia
endovenosa
finché
diventa
afebbrile
per
24-‐48
ore
e
in
seguito
viene
convertito
alla
185
199 / 356
terapia
orale.
Raramente,
si
sviluppa
un
ascesso
prostatico
che
di
solito
si
deve
trattare
per
via
chirurgica.
La
prostatite
batterica
cronica
è
più
spesso
sostenuta
dagli
stessi
batteri
che
provocano
la
forma
acuta,
con
i
medesimi
meccanismi
patogenetici.
La
sintomatologia
è
variabile:
alcuni
pazienti
sono
pressoché
asintomatici,
presentando
però
di
frequente
batteriuria,
che
recidiva
tra
un
ciclo
di
antibiotici
e
l'altro;
la
maggior
parte
dei
pazienti,
tuttavia,
accusa
in
genere
almeno
un
sintomo
fra
dolore
perineale/lombare,
pollachiuria,
urgenza
minzionale
e/o
stranguria;
la
febbre
è
assente.
Alla
palpazione
rettale,
la
prostata
può
apparire
moderatamente
aumentata
di
dimensione,
di
consistenza
fibro-‐
elastica
e
lievemente
dolente,
ma
questi
sono
comunque
reperti
assolutamente
aspecifici.
Le
secrezioni
possono
essere
abbondanti.
Possono
essere
identificati
numerosi
globuli
bianchi,
spesso
in
ampie
aggregazioni
e
macrofagi
carichi
di
lipidi
(corpi
grassi
ovali);
il
numero
di
leucociti
non
permette,
tuttavia,
di
differenziare
una
prostatite
batterica
da
quella
non
batterica.
La
terapia
orale
con
fluorochinolonici
è
più
efficace
del
trimethoprim-‐sulfametossazolo
ed
è
di
solito
somministrata
due
volte
al
giorno
per
4-‐6
settimane.
Talora
risulta
utile
l'associazione
di
alpha-‐litici
agli
antibiotici
per
alleviare
la
sintomatologia
disurica
associata
all'infezione.
La
prostatite
cronica
abatterica
rappresenta
oggi
una
delle
forme
più
frequenti,
contando
circa
il
75-‐80%
dei
casi.
La
causa
è
ancora
sconosciuta,
sebbene
s
ipotizzi
un
possibile
ruolo
eziopatogenetico
di
Chlamydia
trachomatis
e
Ureoplasma
ureolyticum.
Spesso
si
parla
di
CPPS,
ovvero
di
Sindrome
dolorosa
pelvica
cronica,
di
cui
la
prostatite
rappresenta
una
causa
piuttosto
frequente
ma
non
esclusiva
(altre
cause:
dolore
colico,
ortopedico,
ecc).
E’
comunque
possibile
distinguere
due
differenti
forme
di
CPPS:
-‐ CPPS
con
componente
flogistica
significativa
(alto
numero
di
leucociti
nello
sperma
e/o
nel
mitto
terminale)
-‐ CPPS
senza
componente
flogistica
significativa
I
sintomi
simulano
spesso
quelli
della
prostatite
batterica
cronica;
a
tal
riguardo:
il
punto
nodale
per
la
differenziazione
di
forme
di
prostatite
cronica
batterica
da
forme
abatteriche
risiede
nella
valutazione
quantitativa
della
presenza
di
leucociti
e/o
batteri
nelle
urine
o
nel
secreto
prostatico;
per
la
diagnosi
sono
perciò
richieste
colture
di
localizzazione
nel
tratto
inferiore
della
via
urinaria
di
secrezioni
uretrali,
vescicali
e
prostatiche.
Per
la
terapia
possiamo
avvalerci
di
farmaci
anticolinergici
e
massaggio
prostatico
periodico,
i
quali
possono
talvolta
fornire
un
qualche
sollievo.
La
forma
infiammatoria
può
giovare
di
un
trattamento
con
una
tetraciclina
e/o
un
macrolide
(eritromicina)
ad
alto
dosaggio
per
due
settimane.
I
FANS
possono
essere
utili.
La
prostatodinia
è
una
condizione
di
natura
non
infettiva,
né
infiammatoria,
tipica
del
giovane
adulto
senza
una
storia
di
IVU
confermata.
I
sintomi
mimano
frequentemente
quelli
della
prostatite
batterica
acuta,
sebbene
le
colture
urinarie
e/o
di
secreto
prostatico
risultino
essere
sempre
negative
per
agenti
patogeni
noto;
è
altresì
possibile
il
riscontro
di
modeste
quantità
di
leucociti.
La
Terapia
varia
in
base
alla
supposta
causa
sottostante:
-‐ I
pazienti
con
anomalie
funzionali
della
minzione
rispondono
meglio
al
trattamento
con
un
farmaco
alfa-‐bloccante
-‐ I
pazienti
con
pura
tensione
mialgica
del
pavimento
pelvico
rispondono
meglio
al
trattamento
con
miorilassanti.
Spesso
risulta
utile
la
somministrazione
di
Diazepam,
2-‐5
mg
per
os
4
volte
al
giorno.
-‐ I
pazienti
in
cui
sono
presenti
significativamente
problemi
emozionali
e
stress
dovrebbero
essere
inviati
da
uno
psicologo
per
una
valutazione
e
trattamento
corretti.
186
200 / 356
Diagnosi
Per
la
diagnosi
di
prostatite
sono
necessari,
in
generale:
• Un’attenta
anamnesi,
mirata
soprattutto
alla
valutazione
della
sintomatologia
e
dei
possibili
fattori
di
rischio;
• L’esame
obiettivo:
in
questo
caso
è
necessario
focalizzare
l’attenzione
inizialmente
sull’addome
inferiore
e
sulle
strutture
perineali,
al
fine
di
identificare
possibili
reperti
ispettivi,
palpatori
o
auscultatori
utili
per
la
diagnosi
differenziale
(ad
esempio
segni
di
meteorismo
addominale
o
presenza
di
ragadi/emorroidi
canale
anale),
per
poi
procedere
all’esecuzione
dell’esplorazione
rettale
e
valutare
le
caratteristiche
palpatorie
della
prostata
(forma,
dimensioni,
consistenza,
dolorabilità,
temperatura,
ecc)
• Esami
Laboratoristici:
PSA,
Globuli
Bianchi,
PCR/VES
possono
risultare
elevati
in
caso
di
prostatite
acuta;
un
test
che
può
risultare
particolarmente
utile
per
arrivare
ad
una
diagnosi
è
il
test
di
Meares
e
Stamey,
che
si
articola
in
quattro
fasi,
ciascuna
delle
quali
prevede
l’utilizzo
di
un
contenitore
diverso:
-‐ Barattolo
1
(VB1):
raccolta
urina
del
primo
getto
(15
ml)
-‐ Barattolo
2
(VB2):
raccolta
urina
mitto
intermedio
(15
ml)
-‐ Barattolo
3
(EPS):
raccolta
secreto
prostatico
dopo
massaggio
manuale
della
ghiandola
-‐ Barattolo
4
(VB3):
raccolta
urina
dopo
passaggio
di
secreto
prostatico
• Eco
addome
inferiore:
i
reperti
sono
in
genere
aspecifici;
la
prostata
può
apparire
aumentata
di
dimensioni;
possono
essere
presenti
calcificazioni
187
201 / 356
17.
Infezioni
ortopediche
Le
infezioni
di
pertinenza
ortopedica
sono
essenzialmente
le
osteomieliti,
le
artriti
infettive
e
le
infezioni
di
dispositivi
protesici.
1. Osteomieliti
Eziologia
-‐ Nel
bambino
le
osteomieliti
interessano
più
spesso
le
epifisi
e
le
metafisi
delle
ossa
lunghe
come
tibia
e
femore
e
sono
in
gioco
molto
spesso
cocchi
gram
positivi
(staf.
Aureus,
streptococchi,
Haemophilus
influenzae).
-‐ Nell’adulto
la
localizzazione
tipica
è
quella
vertebrale
–
corpo
vertebrale
e
disco
intervertebrale
nel
tratto
lombare:
i
patogeni
più
frequenti
sono
stafilococchi
aurei,
ma
bisogna
sospettare
anche
infezioni
specifiche
come
tubercolosi
e
brucellosi,
che
condividono
spesso
la
medesima
localizzazione.
Anche
le
enterobacteriaceae
(E.
coli,
Gruppo
KES
–
klebsiella,
enterobacter,
serratia,
Citrobacter,
Proteus
mirabilis
ed
indolo
positivi,
Providencia,
Morganella,
…).
-‐ In
pazienti
in
cui
l’infezione
è
dovuta
all’introduzione
di
cateteri
e
siringhe
in
vena,
i
batteri
di
gran
lunga
più
frequenti
sono
gli
stafilococchi
cutanei
(aureus,
epidermidis,
coagulasi
negativi).
Anche
candida
e
bacilli
gram
negativi
possono
essere
coinvolti.
I
batteri
vanno
a
localizzarsi
nelle
ossa
lunghe,
nelle
vertebre,
all’articolazione
sterno-‐clavicolare
e
alle
coste.
-‐ Nei
pazienti
con
protesi
i
patogeni
tipici
sono
gli
stafilococchi,
e
in
ragione
dell’acquisizione
nosocomiale
di
queste
infezioni,
si
tratterà
con
elevata
probabilità
di
MRSA.
-‐ In
pazienti
con
insufficienza
vascolare
arteriopatica
l’eziologia
è
spesso
polimicrobica:
anaerobi,
gram
positivi,
bacilli
gram
negativi.
Tipicamente
queste
lesioni
si
producono
alle
piccole
ossa
del
piede
–
tarso,
metatarso,
falangi.
-‐ Nell’osteomielite
conseguente
a
cardiochirurgia
(localizzazione
sternale)
i
patogeni
più
frequenti
sono
stafilococchi,
spesso
MRSA.
Clinica
Nel
bambino,
nel
tossicodipendente
e
nell’emodializzato
ci
si
aspetta
un
esordio
acuto:
nel
tossicodipendente
e
nell’emodializzato,
a
causa
della
batteriemia,
nel
bambino,
188
202 / 356
invece,
a
causa
della
reazione
immunitaria
particolarmente
esplosiva.
Avremo
quindi
febbre
alta,
brivido,
malessere
e
segni
di
localizzazione:
dolor
e
tumor.
In
caso
di
esordio
a
livello
vertebrale,
si
avrà
dolore
nella
sede
colpita
(generalmente
sono
coinvolte
due
vertebre
ed
il
disco
intervertebrale
interposto),
tipicamente
lombalgia.
Le
osteomieliti
che
si
producono
in
occasione
del
posizionamento
di
protesi
e
mezzi
di
osteosintesi,
hanno
esordio
meno
brusco,
più
indisioso
e
protratto
nel
tempo:
la
febbre
è
più
facilmente
una
febbricola
e
il
dolore
è
meno
intenso.
Si
possono
però
provocare
,
nel
tempo,
fistole
che
si
aprono
sulla
cute:
in
questo
caso
è
possibile
sfruttare
questo
fatto
per
ottenere
materiale
biologico
da
mandare
al
laboratorio;
si
possono
produrre
anche
sequestri
ossei:
in
questo
caso,
oltre
alla
terapia
antibiotica,
sarà
necessaria
anche
una
toilette
chirurgica.
Diagnosi
189
203 / 356
La
terapia,
quindi,
varia
a
seconda
del
patogeno
in
causa
e
tiene
conto
della
penetrazione
a
livello
osseo
dei
vari
farmaci.
Nel
caso
non
si
riesca
ad
isolare
alcun
patogeno
specifico,
si
calibra
la
terapia
secondo
quelli
che
sono
i
patogeni
più
frequentemente
in
causa.
-‐
Nel
bambino,
che
sviluppa
più
frequentemente
osteomieliti
da
stafilococchi,
streptococchi
ed
heamophilus,
potremo
utilizzare
una
aminopenicillina
protetta
(o
cotrimossazolo,
o
cefalosporina)
+
clindamicina.
-‐ Nell’adulto
si
usa
come
terapia
empirica
l’associazione
di
fluorochinolone
e
rifampicina,
ma
in
alternativa
al
fluorochinolone
si
può
prendere
in
considerazione
anche
un’aminopenicillina
protetta
o
la
semplice
cefazolina.
-‐ Nel
paziente
tossicodipendente,
cateterizzato
o
emodializzato
si
usa
l’associazione
ciprofloxacina
+
oxacillina,
ma
se
si
sospetta
un
MRSA
si
può
aggiungere
un
glicopeptide.
-‐ Nei
pazienti
con
osteomielite
contigua
senza
insufficienza
vascolare,
si
usa
un
agente
antistafilococcico
(oxacillina
o
glicopeptide)
associato
ad
un
agente
anti-‐Pseudomonas
(
ceftazidima,
cefepima,
ciprofloxacina).
-‐ Nei
pazienti
con
osteomielite
contigua
lieve
ed
insufficienza
vascolare
ci
possiamo
limitare
all’aminopenicillina
protetta
(Coamoxiclav).
-‐ Nei
pazienti
con
osteomielite
moderata
–
grave
ed
insufficienza
vascolare
dobbiamo
utilizzare,
invece,
un
carbapenemico
(
o
piperacillina/tazobactam
o
ciprofloxacina)
+
metronidazolo
(o
ceftazidima)
+
clindamicina.
2. Artriti
Settiche
-‐ Ematogena
-‐ Inoculazione
diretta
(atroscopia,
interventi
chirurgici)
-‐ Contiguità
(osteomieliti,
disciti,
borsiti…)
Eziologia
Un’importante
distinzione
è
tra
forme
gonococciche
e
forme
non
gonococciche
(più
del
90%,
tipicamente
mono-‐articolari).
Le
forme
gonococciche
oggi
sono
una
minoranza:
sono
tipicamente
forme
poliarticolari
che
coinvolgono
le
grandi
articolazioni
e
si
vedono
soprattutto
nelle
giovani
donne.
Per
il
resto:
190
204 / 356
!"#"$#%&'%##$(!
%)*+,+-*.
! (+//0*&-1.23&456758 Il
dato
relativo
agli
anaerobi
è
9':.;1<;=&>?58&@A+,*.1B*/+,.1*C&!"C&%DC&#DC&E$FG probabilmente
9'B1<AB+/+//0*&H6(6I&J56K58&@2+L+.1B*/+,.1*C&DMG sottostimato,
poiché
9NL<;2+/+//+&O6?8 è
molto
difficile
evidenziare
questi
! H./*,,*&.<1+P*&-1.26&J56K58 batteri.
9M+L+.1B*/+,.1*&*L&*22;L+Q<R*/*BC&$FSC&Q</;P*B*
! !L.<1+P*&T?8
! !,B1*U&H1;/<,,.<&@2+L+6+,*-+GC&M:2.1*L;2&@2+L+&.,,<&
2.L*C&V*B.&Q*&2.1<GC&
! !
N:2;,B+/*Q.&@2+L+&Q+A+&2+1=*G
Clinica
È
presente
dolore
articolare
e
periarticolare
con
i
segni
classici
della
flogosi:
gonfiore
articolare,
calore
e
arrossamento
della
cute
soprastante.
La
febbre
(in
genere
superiore
a
38
°C
e
spesso
associata
a
brividi)
si
osserva
soprattutto
in
fase
acuta,
altrimenti
è
difficile
da
osservare.
Sono
infezioni
gravate
da
una
notevole
letalità,
che
nei
pazienti
con
AR
o
in
terapia
immunosoppressiva
può
arrivare
anche
al
50%.
Diagnosi
191
205 / 356
3. Infezioni
su
protesi
articolare
L’infezione
è
più
facile
se
si
interviene
nuovamente
sullo
stesso
distretto,
nei
pazienti
con
artrite
reumatoide
e
nei
pazienti
con
deficit
immunologico,
di
qualsiasi
natura
esso
sia.
Altri
fattori
di
rischio
sono
l’emofilia,
la
psoriasi,
e
la
natura
metallica
(piuttosto
che
biologica)
della
protesi.
Eziologia
Clinica
Dal
punto
di
vista
clinico,
le
forme
più
frequenti
sono
quelle
subacute
o
croniche,
dovute
prevalentemente
agli
stafilococchi
coagulasi
negativi
penetrati
tramite
l’impianto
della
protesi
o
per
contiguità
da
lesioni
cutanee.
Il
dolore,
in
questi
casi,
è
poco
intenso;
la
febbre,
se
presente,
è
una
febbricola
modesta.
La
deiscenza
della
ferita
e
la
secrezione
di
materiale
purulento
sono
rare
(a
differenza
di
quanto
si
vede
nelle
forme
acute!).
Le
forme
acute,
invece,
si
verificano
entro
3
mesi
dall’impianto,
e
generalmente
sono
sostenute
da
stafilococchi
aurei,
non
coagulasi
negativi.
In
genere,
è
presente
febbre
con
neutrofilia
e
secrezione
purulenta
e
deiscenza
delle
ferite.
Diagnosi
Gli
esami
di
laboratorio
ci
mostrano
un
movimento
degli
indici
di
flogosi,
che
sarà
anche
utilizzato
per
monitorare
l’andamento
della
terapia.
L’esame
colturale
è
quasi
sempre
positivo
(85-‐100%
dei
casi,
purchè
il
prelievo
sia
eseguito
correttamente
e
non
siano
!"#$%!&"!'()&*$+!',)*!-&.,)!'
state
somministrate
quantità
significative
di
antibiotici
in
precedenza).
Terapia
*/01231
È
una
terapia
medico-‐chirurgica.
! */01231'4530607341
8 9/:03;/</=>
8 ,0>0?;/@3';?2?'/@231=>?';/AA1'20?>/@3
8 +?@>3>6B3?=/';/AA1'20?>/@3'3='C'?'D'>/<23
! */01231'1=>3:3?>341
8 )3E1<2343=1' F' EA6?0?453=?A?=/' G?' 4?>03<?@@1B?A?H'
2/0'IJK'</@3
8 -320?EA?L143=1' G?' 4/E/23</H' F' 7A34?2/2>3;/' G?'
A3=/B?A3;H'2/0'MK'@/>>3<1=/
! !
192
206 / 356
"#$%&'(#'!)*+,#%%!%!-%'!+%..*+'!/(00'
18.
Infezioni
di
cute
e
tessuti
molli
! !
!"#$%#&'(#)&'*+,-$#).-((')%/*-
Le
infezioni
della
cute
possono
essere
sovrinfezioni
(es:
erisipela
su
lesioni
erpetiche)
e
infezioni
primarie.
I
patogeni
implicati
possono
appartenere
alla
normale
flora
associata
alla
cute,
oppure
possono
essere
batteri
non
normalmente
presenti
sulla
cute.
0 1*"-&*+%+%%2#)3,"4)56)76)86)9:
0 1*';#(+%+%%2#
0 8+"#$-<'**-"#)
0 7'%#((#) ,"'=>$-,'*#?# )3@(-<A#-(('6) 1-""'*#'6)
B4%+(#6)!"+*-/A6)!A-/.+=+$'A)-%%4:
0 !'A*-/"-((')=/(*+%#.')
0 8(+A*"#.#
0 5$'-"+<#)
0 C#%-*#)38'$.#.'6)5A&-",#((/A:
0 D#"/A)3E!D:)
Non
tutti
però
reagiamo
allo
stesso
modo
in
caso
di
infezione
cutanea.
Esistono
pazienti
!
particolarmente
a
rischio
di
! sviluppare
infezioni
cutanee
di
una
certa
gravità:
soprattutto
immunodepressi
(AIDS
conclamato,
terapie
immunosoppressive),
arteriopatici
e
venopatici,
politraumatizzati
(anche
tossicodipendenti),
obesi
(parzialmente
immunodepressi),
diabetici,
ustionati,
malati
oncologici.
193
207 / 356
!"##$%"#$&' Rientra
nel
gruppo
delle
piodermiti
primarie
degli
( )*+',$"*'- ./0'1+$%$2#'- 3'4#$- 2**'..$- annessi
cutanei
a
localizzazione
epidermo-‐dermica.
Clinicamente
0$#".'52%'$
parlando,
si
tratta
di
( 6/.&"#'-%"*-0'#"-%'*&12#' un’infezione
abbastanza
banale.
( 7'3'8- %/"$"- %20'##/&"- 952:5$*$;<- 52152<- Il
patogeno
comunemente
$*4/$*'<-42:5'-923/#&$; implicato
è
s.
aureus,
ma
è
possibile
anche
l’infezione
da
( =,$"#"4$28- .&2+$#"%"%%>$<- 6?2'1/4$*".2- Pseudomonas,
soprattutto
in
chi
90$.%$*2<-$31":2..244$"; frequenta
piscine
e
in
chi
utilizza
( )*+',$"*'-01"+"*328-+"1/*%"#" spesso
l’idromassaggio.
Se
la
( @'.$"*'-%"*-0$A-+"1/*%"#$B-+2C"-9+'551'; lesione
si
approfonda,
diventa
un
foruncolo.
L’unione
di
più
! !
foruncoli,
a
sua
volta,
si
definisce
favo,
e
in
questa
occasione
si
può
avere
febbre.
Piodermite
a
localizzazione
!"#$%&'&($ epidermo-‐dermica.
L’impetigine
è
un’infezione
superficiale
che,
in
genere,
) !(*$+&,($- ./#$0*&1&23$- 4#/5- 1,"#3&120$- complica
infezioni
herpetiche
da
3$.&,(&-#0$$.&.%$(%&6-$.7-8$0#$.9+,.%$0: herpes
simplex
e
zoster,
o
la
) ;$.1&1,3$-$-<,33$-1,(-23,($-$0&%$"2%,.,- varicella.
Ci
si
rende
conto
dell’insorgenza
della
$-1,(%$(/%,-.&$0,=#/0/3$(%, complicazione
quando
le
bolle,
) >$?$@-A,3%,6-%,021$ che
prima
erano
a
contenuto
francamente
sieroso,
sviluppano
) B+&,3,'&2@-.%2*&3,1,118&6-.%0$#%,1,118& un
alone
eritematoso
e
si
riempiono
di
liquido
mucopurulento.
! !
194
208 / 356
Questo
è
un
esempio
di
erisipela
che
si
è
estesa
a
coinvolgere
anche
la
coscia.
! !
195
209 / 356
!"#$%&'()'$*+&%,,")&'
.+""+,/"'+0+,'/1#*++
Ulcere
cutanee
2 3#$')"#0%,45+*)$+6,#01+0%)$+6,7%$1+8
2 9%*%':+
2 ;%'0)#*-%)<#1%':+,4%*&%#77#1)0%+6,5#$)=
)''"/$%5+8
2 >#,<0+$$%)*+,+,':%7%')=&%$%':+
2 ?+/0)<#1%':+
2 @*&+11%5+
2 ;+1#A)"%':+,
2 B7#1)")-%':+
2 ?+)<"#$1%':+,
2 !C"'+0+,.#,#/1)"+$%)*%$7),4&%11%(%+8
!
!"#$%&'($"')*&+$,*#- !$'($"'.-"*,%&/0&,*11&,-
Il
tossicodipendente,
quando
si
buca,
non
lo
fa
in
condizioni
di
asepsi:
dobbiamo
allora
tenere
! conto
il
tipo
di
inoculo,
! la
sede,
il
tipo
di
sostanza
inoculata,
la
vasocostrizione
che
talune
sostanze
possono
provocare
(es:
cocaina).
Il
tossicodipendente
può
quindi
provocarsi:
196
210 / 356
-‐ Ulcere
-‐ Ascessi
-‐ Celluliti
-‐ Fasciti
necrotizzanti
-‐ Aneurismi
micotici
-‐ Tromboflebiti
Il
solo
sospetto
clinico
è
insufficiente.
Il
tampone
cutaneo
non
è
assolutamente
il
metodo
più
indicato,
poiché
soggetto
ad
un
gran
numero
di
falsi
positivi
dovuti
alla
contaminazione
da
parte
di
patogeni
cutanei
e
poiché
gli
anaerobi
non
possono
essere
visualizzati
e
coltivati
con
questo
metodo.
0 !1'2,3$"+'(4,()'"+,++'
0 5$/,.&,(,"+&6&'+&),
0 7/$8$()&)2'(9:(;;<=(4&(+$/,.&,(,"+&>,",$/'6&(
&"( ),1'( 4&( *2)$/$( 4&,6$+&)?$( '( 2$1&'"&(
"$)/'+&)?$
0 @8$"+*,2$( 6/$8$( )&)2'( 9:( ;;<=( 4&( +$/,.&,(
,"+&"#&,33,+'/&,
!"#$%&$'$()&*&+)&,$')+%&,$
! !
Evitare
la
terapia
antibiotica
topica:
-$'".&)$#"/!
0 1"$2&+(&'3&'&%"#4"(4&*&5&)6
0 1"4&4)"(2"'*$))"#&,7"'$85&'$()&*&+)&,&
! !
197
211 / 356
19.
Influenza
Il
termine
"influenza"
viene
spesso
utilizzato
in
modo
non
corretto
nel
parlare
comune
e
da
alcuni
operatori
sanitari,
per
indicare
infezioni
respiratorie
con
ripercussione
a
livello
sistemico
che
non
sono
in
realtà
causate
dal
virus
dell'influenza.
I
virus
dell'influenza,
della
famiglia
degli
orthomyxovirus,
sono
classificati
secondo
i
tipi
A,
B
(responsabili
della
sintomatologia
influenzale
classica)
o
C
(di
scarsa
rilevanza
clinica)
in
base
alla
reazione
con
anticorpi
fissanti
il
complemento
verso
la
nucleoproteina
e
le
proteine
della
matrice.
I
virus
dell'influenza
hanno
due
principali
glicoproteine
di
superficie,
l'emoagglutinina
(EA)
e
la
neuraminidasi
(NA).
Esse
permettono
al
virus
di
ancorarsi
e
di
infettare
ospiti
suscettibili
e
costituiscono
i
bersagli
di
significative
risposte
immunologiche
dell'ospite.
L'EA
permette
al
virus
di
legarsi
all'acido
sialico
cellulare
e
di
fondersi
con
la
membrana
dell'ospite.
La
NA
funziona
come
un
enzima
in
grado
di
rimuovere
l'acido
sialico,
che
previene
l'autoaggregazione
e
promuove
la
dispersione
durante
l'emissione
di
nuovi
virioni
dalla
cellula
infettata.
Al
momento,
è
riconosciuto
soltanto
un
tipo
sierologico
del
virus
dell'influenza
B,
sebbene
la
variabilità
dei
ceppi
è
dimostrabile
mediante
l'antigenicità
della
EA
e
della
NA.
Comunque,
i
virus
dell'influenza
A
sono
stati
categorizzati
all'interno
di
sottotipi
basati
sulla
diretta
divergenza
antigenica
delle
EA
e
delle
NA
(ad
oggi
sono
stati
identificati
15
sottotipi
di
emoagglutinina
e
9
di
neuraminidasi).
Esiste
una
certa
tendenza
di
tutti
i
virus
influenzali
a
variare,
ad
acquisire
cambiamenti
198
212 / 356
elevato
tasso
di
mortalità):
lo
scambio
di
interi
segmenti
genici
tra
virus
umani
e
animali
(generalmente
di
uccelli)
produce
dei
riarrangiamenti
virali
conosciuti
come
deriva
antigenica
(Antigenic
Shift).
La
deriva
antigenica
si
è
verificata
soltanto
con
i
virus
dell'influenza
A,
determinando
pandemie.
Epidemiologia
La
malattia
può
manifestarsi
in
forma:
-‐sporadica,
caratterizzata
da
rari
casi
dispersi
in
una
determinata
zona
-‐epidemica,
caratterizzata
da
numerosi
focolai
in
ambienti
di
lavoro,
scuola,
caserma
o
comunità
-‐pandemica,
caratterizzata
da
rapida
e
globale
diffusione,
con
alta
morbosità
e
mortalità
L'influenza
si
manifesta
come
una
malattia
respiratoria
a
diffusione
ampia
e
sporadica
durante
l'autunno
e
l'inverno
ogni
anno
nei
climi
temperati.
Epidemie
negli
USA,
spesso
con
ondate
di
assenteismo,
morbilità
e
mortalità,
si
verificano
circa
ogni
2-‐3
anni,
per
la
maggior
parte
spesso
causate
dal
virus
dell'influenza
A
(H3
N2).
I
virus
dell'influenza
B
causano
tipicamente
una
malattia
respiratoria
lieve,
ma
possono
causare
importante
morbilità
e
mortalità
durante
cicli
epidemici
che
si
verificano
tipicamente
ogni
3-‐5
anni.
Sebbene
la
maggior
parte
delle
epidemie
sia
stata
causata
da
un
singolo
sierotipo
in
una
determinata
stagione,
i
differenti
virus
influenzali
sono
apparsi
sequenzialmente
in
un
luogo
o
sono
apparsi
simultaneamente,
con
un
virus
che
predomina
in
un
luogo
e
un
altro
virus
che
predomina
in
un
altro.
La
maggiore
prevalenza
si
ha
nei
bambini
in
età
scolare.
Le
epidemie
stagionali
si
verificano
spesso
in
due
ondate,
la
prima
tra
i
bambini
in
età
scolare
e
i
loro
familiari
(in
genere
i
soggetti
più
giovani)
e
la
seconda
principalmente
nelle
persone
confinate
a
casa
o
che
vivono
in
istituti
che
permettono
scarsi
rapporti
con
l'esterno
(generalmente
anziani).
La
diffusione
dei
virus
dell'influenza
avviene
con
particelle
aeree,
mediante
un
contatto
da
persona
a
persona
(una
persona
con
influenza
è
potenzialmente
contagiosa
per
tutto
il
periodo
in
cui
si
manifestano
i
sintomi,
più
il
giorno
che
precede
l’insorgenza-‐circa
7
giorni)
o
un
contatto
con
mezzi
contaminati.
Un
viaggio
aereo,
che
consente
un
contatto
prolungato
in
spazi
stretti
con
persone
infette,
può
generare
nuovi
ceppi
virali
e
trasportare
ceppi
epidemici
a
nuove
aree.
I
soggetti
a
più
alto
rischio
di
sviluppare
una
malattia
grave
sono
quelli
con
malattie
polmonari
croniche
e
quelli
con
malattie
valvolari
cardiache
(con
o
senza
insufficienza
cardiaca)
o
con
altre
malattie
cardiache
complicate
da
edema
polmonare.
Le
donne
al
3o
199
213 / 356
trimestre
di
gravidanza,
gli
anziani,
i
giovanissimi
e
le
persone
immobilizzate
a
letto
presentano
una
maggiore
condizione
di
rischio
per
la
malattia
grave
con
la
possibilità
che
si
arrivi
al
decesso.
Sintomi
e
segni
Durante
il
periodo
di
incubazione
di
1-‐7
giorni
(in
genere
48h)
il
virus
replica
nel
tratto
respiratorio
e
può
verificarsi
una
viremia
transitoria
asintomatica.
In
casi
lievi
(in
ospiti
resistenti
o
parzialmente
immuni),
i
sintomi
sono
quelli
di
un
comune
raffreddore.
Brividi
e
febbre
fino
a
39-‐39,5°C
iniziano
improvvisamente.
Appaiono
presto
prostrazione
e
dolori
generalizzati
(più
spiccati
alla
schiena
e
alle
gambe).
La
cefalea
è
notevole,
spesso
con
fotofobia
e
dolore
retrobulbare.
I
sintomi
del
tratto
respiratorio
possono
essere
lievi
all'inizio,
con
mal
di
gola
raschiante,
bruciore
retrosternale,
tosse
non
produttiva
e
talvolta
coriza.
In
seguito
tale
quadro
sintomatologico
diviene
dominante;
la
tosse
può
essere
persistente
e
produttiva.
Nei
casi
gravi,
l'escreato
può
essere
ematico.
La
cute
è
calda
e
arrossata.
Il
palato
molle
e
la
parte
posteriore
del
palato
duro,
i
pilastri
tonsillari
e
la
parete
faringea
posteriore
possono
essere
arrossati,
ma
senza
essudato.
Gli
occhi
lacrimano
facilmente
e
la
congiuntiva
può
essere
moderatamente
infiammata.
Nei
bambini
possono
verificarsi
nausea
e
vomito.
I
sintomi
acuti
regrediscono
dopo
2-‐3
gg,
rapidamente,
con
fine
dello
stato
febbrile,
sebbene
possa
persistere
febbre
fino
a
5
gg,
salvo
complicanze.
Possono
essere
dimostrati
un
processo
di
ripulitura
polmonare
anormale
e
un
flusso
aereo
bronchiolare
alterato.
Debolezza,
sudorazione
e
affaticamento
possono
persistere
per
diversi
gg
e
talvolta
per
settimane.
Possono
manifestarsi
bronchite
emorragica
e
polmonite,
che
divengono
rapidamente
progressive.
La
polmonite
virale
fulminante
fatale
può
essere
virale,
batterica
o
mista;
quando
si
verificano,
dispnea
ed
escreato
ematico
associati
a
congestione
polmonare
ed
edema
possono
portare
alla
morte
in
sole
48
h
dall'insorgenza.
Una
malattia
così
grave
si
verifica
con
maggiore
probabilità
durante
pandemie
provocate
da
nuovi
sierotipi
di
influenza
A
e
in
soggetti
con
fattori
di
rischio
cardiaci
o
polmonari.
Un'infezione
batterica
secondaria
dei
bronchi
e
dei
polmoni,
generalmente
pneumococcica
o
stafilococcica,
è
suggerita
dalla
persistenza
o
dalla
ricorrenza
di
febbre,
tosse
e
altri
sintomi
respiratori
durante
la
seconda
settimana.
Con
lo
sviluppo
della
polmonite
la
tosse
peggiora
e
si
assiste
alla
produzione
di
escreato
purulento
o
ematico.
Rantoli
crepitanti
o
subcrepitanti
si
possono
rilevare
sui
segmenti
polmonari
interessati.
Encefalite,
miocardite
e
mioglobinuria
sono
complicanze
dell'influenza
poco
frequenti
che
si
verificano
eventualmente
durante
la
convalescenza.
Raramente
si
isola
il
virus
dagli
organi
al
di
fuori
del
tratto
respiratorio,
sicché
non
può
essere
stabilito
con
certezza
un
ruolo
specifico
nella
patogenesi
delle
malattie
extrapolmonari.
Un
aumento
dell'incidenza
di
tali
affezioni,
tuttavia,
si
verifica
regolarmente
dopo
pandemie
da
influenza
A.
La
sindrome
di
Reye,
caratterizzata
da
encefalite,
epatite,
ipoglicemia
e
200
214 / 356
lipidemia,
è
stata
spesso
associata
a
epidemie
di
infuenza
B,
in
particolare
nei
bambini
che
hanno
assunto
aspirina.
Diagnosi
Per
la
diagnosi
di
influenza
è
importante
riferirsi
a:
• Criteri
clinici:
Febbre
>38°C
+
infezione
respiratoria
acuta
(un
sintomo
tra
rinorrea,
mal
di
gola,
tosse
+
un
sintomo
tra
cefalea,
malessere,
astenia,
sudorazione,
brividi)
• Criteri
epidemiologici
(nei
7
giorni
precedenti):
stretto
contatto
con
caso
confermato
e/o
viaggio
in
zona
endemica
• Criteri
laboratoristici:
RT-‐PCR
specifica,
isolamento
in
coltura,
sierologia.
Durante
le
epidemie,
l'isolamento
precoce
del
tipo
di
virus
e
l'identificazione
delle
sue
caratteristiche
virali
possono
essere
utilizzate
per
raccomandare
la
prosecuzione
degli
sforzi
di
vaccinazione
e
dei
farmaci
antivirali.
I
laboratori
di
sanità
pubblica
locali
o
statali,
i
CDC
e
i
centri
di
riferimento
per
l'influenza
dell'OMS
sono
disponibili
per
assistere
nella
identificazione
dei
ceppi.
Sebbene
necessaria
solo
di
rado,
una
diagnosi
specifica
di
influenza
può
essere
posta
isolando
i
virus
e
mettendo
in
evidenza
le
cellule
infette
nelle
secrezioni
attraverso
tecniche
immunologiche
o
molecolari
per
rilevare
le
componenti
virali
o
dimostrare
un
aumento
del
livello
anticorpale
per
anticorpi
specifici
anti-‐EA
e
anti-‐NA
nei
test
sierologici.
Il
virus
può
essere
facilmente
isolato
dalle
secrezioni
respiratorie
per
replicazione
nelle
colture
tissutali.
Il
campione
si
può
raccogliere
dall'escreato,
anche
se
la
resa
è
migliore
se
raccolto
dai
lavaggi
nasofaringei
o
dai
gargarizzati
ottenuti
in
soluzione
fisiologica
tamponata.
La
produzione
è
massimale
durante
la
fase
sintomatica
precoce,
ma
testare
le
secrezioni
per
più
di
1
giorno
migliora
la
possibilità
di
effettuare
la
diagnosi.
Un
piccola
quantità
di
proteine
come
l'albumina
o
la
gelatina
aggiunta
dopo
la
raccolta
stabilizza
la
vitalità
del
virus.
Come
mezzo
di
raccolta
e
di
trasporto
è
stato
utilizzato
latte
scremato
diluito.
I
test
sierologici
impiegati
per
stabilire
la
diagnosi
di
infezione
sono
il
test
di
fissazione
del
complemento
(FC)
e
il
test
di
inibizione
dell'emoagglutinazione
(IEA)
ma
sempre
di
più
si
stanno
diffondendo
i
test
ELISA.
Se
necessari,
i
test
sierologici
rendono
al
meglio
se
raccolti
all'esordio
della
malattia
e
2
settimane
dopo.
I
due
campioni
vengono
esaminati
contemporaneamente
per
dimostrare
un
aumento
del
titolo
anticorpale
specifico.
Se
si
possiede
un
solo
campione
di
siero,
prelevato
dopo
lo
sviluppo
della
malattia,
un
alto
titolo
anticorpale
può
indicare
un'infezione
recente.
Il
titolo
IEA
si
rapporta
meglio
con
la
neutralizzazione
sierica
dei
virus
e
può
essere
usato
come
indice
di
protezione
contro
l'infezione
da
parte
di
ceppi
specifici.
La
leucocitosi,
con
una
deviazione
verso
i
granulociti
giovani
nello
striscio
di
sangue,
è
un
valido
segno
di
sopravvenuta
polmonite
batterica
o
virale-‐batterica
mista.
I
campioni
di
escreato
purulento
devono
essere
raccolti
per
essere
strisciati,
colorati
al
Gram
ed
esaminati
per
il
contenuto
di
leucociti
e
batteri.
La
diagnosi
differenziale
include
altre
cause
virali
per
malattie
respiratorie
che
ricordano
l'influenza:
virus
parainfluenzali,
virus
respiratori
sinciziali
e
(raramente)
rinovirus
ed
echovirus.
Nel
distinguere
l'influenza
da
altre
infezioni
del
tratto
respiratorio
possono
essere
importanti
le
caratteristiche
epidemiche,
la
stagione
dell'anno
e
la
riconosciuta
comparsa
di
influenza
nella
comunità.
Prognosi
Sebbene
anche
le
persone
sane
dimostrino
difetti
nella
clearance
polmonare
e
nella
ventilazione,
per
diverse
settimane
dopo
una
malattia
acuta,
la
guarigione
è
la
regola
nell'influenza
non-‐complicata.
Le
gravi
complicanze
virus-‐correlate
richiedono
l'ospedalizzazione
e
sono
potenzialmente
letali,
più
frequentemente
tra
i
201
215 / 356
bambini
<
12
mesi,
gli
adulti
>
65
anni
e
tra
le
persone
affette
da
patologie
cardiache
croniche
e,
in
special
modo,
polmonari.
La
mortalità
correlata
alla
polmonite
e
all'influenza
(una
delle
10
principali
cause
di
morte
negli
USA)
ha
superato
regolarmente
il
numero
di
20000
decessi/
anno
durante
le
epidemie
degli
ultimi
20
anni.
Una
terapia
antibatterica
appropriata
diminuisce
il
tasso
di
mortalità
dovuta
alla
polmonite
batterica.
Terapia
e
profilassi
La
terapia
nella
maggior
parte
dei
pazienti
è
di
tipo
sintomatico.
Il
paziente
deve
riposare
e
mantenere
un'adeguata
idratazione.
Se
i
sintomi
dell'influenza
acuta
non
complicata
sono
gravi,
risultano
utili
i
farmaci
antinfluenzali
(antivirali,
NON
ANTIBIOTICI!!),
antipiretici
e
analgesici.
L'amantadina
e
la
rimantadina
hanno
un
effetto
benefico
sulla
febbre
e
sui
sintomi
respiratori
se
vengono
somministrati
precocemente
nella
influenza
A
non
complicata
o
probabilmente
nella
polmonite
virale.
La
resistenza
che
si
verifica
per
un
farmaco
rende
entrambi
inefficaci.
I
ceppi
resistenti
non
sono
prevalenti.
La
ribavirina
somministrata
precocemente
a
elevate
dosi
orali
negli
adulti
o
per
aerosol
nei
bambini,
può
abbreviare
la
durata
della
febbre
e
ridurre
la
liberazione
del
virus
nei
casi
di
infezione
influenzale
A
o
B.
È
stato
anche
riconosciuto
che
il
farmaco
può
arrestare
il
decorso
della
polmonite
influenzale
primaria.
Altri
farmaci
sono
lo
Zanamivir
e
l’Oltesamivir,
inibitori
della
neuraminidasi
virale,
utilizzati
frequentemente
anche
come
profilassi.
Negli
adulti,
si
possono
somministrare
600
mg
di
aspirina
o
di
acetaminofene
650
mg
PO
q
4
ore.
Per
i
bambini
si
raccomanda
il
solo
paracetamolo
(10-‐15
mg/
kg
q
4-‐
6
h,
che
non
superi
5
dosi/24
h),
dal
momento
che
l'aspirina
può
aumentare
il
rischio
di
sindrome
di
Reye.
Per
alleviare
l'ostruzione
nasale
si
può
considerare
per
uso
temporaneo
un
decongestionante
nasale.
Le
inalazioni
di
vapore
possono
alleviare
i
sintomi
respiratori
e
prevenire
alcuni
dei
problemi
indotti
dall'essiccamento
delle
membrane
e
dall'ispessimento
delle
secrezioni.
La
terapia
dei
sintomi
respiratori
può
essere
superflua
nei
casi
più
lievi.
Le
infezioni
batteriche
complicanti
richiederanno
gli
antibiotici
idonei.
L'esposizione
al
virus
influenzale
da
infezione
o
immunizzazione
determina
temporaneamente
resistenza
alla
reinfezione
con
lo
stesso
tipo
di
virus.
I
vaccini
che
includono
i
ceppi
prevalenti
di
virus
influenzali
riducono
l'incidenza
di
infezione
tra
i
vaccinati
quando
corrispondono
la
EA
e/o
la
NA
dei
ceppi
immunizzanti
e
infettanti.
Un'immunità
meno
efficace
si
verifica
quando
si
ha
un'apprezzabile
variazione
antigenica
nel
ceppo
virale
emergente
e
la
vaccinazione
non
fornisce
alcuna
protezione
quando
si
verifica
una
mutazione
antigenica
maggiore,
a
meno
che
il
vaccino
non
comprenda
il
nuovo
ceppo.
Il
vaccino
è
preparato
da
fluidi
allantoidei
di
embrione
infettato
con
virus
intero
inattivato
o
da
preparazioni
di
virioni
incompleti
ed
è
standardizzato
nel
fornire
una
specifica
massa
antigenica
di
EA.
Comunque,
sono
in
fase
di
studio
altri
metodi
per
la
preparazione,
tra
questi
l'EA
e
la
NA
purificati
da
proteine
202
216 / 356
prodotte
con
tecniche
di
DNA
ricombinante.
I
vaccini
con
virus
vivo
attenuato
somministrati
per
via
intranasale
hanno
recentemente
mostrato
di
produrre
immunità
con
una
semplice
e
ben
tollerata
somministrazione.
Essi
suscitano
la
formazione
di
anticorpi
secretori
a
livello
della
porta
di
entrata
del
virus
e
possono
fornire
una
protezione
addizionale
mediante
risposte
immunologiche
(p.
es.,
linfociti
T
citotossici)
indotti
da
proteine
interne
virali.
La
vaccinazione
annuale
è
raccomandata
nei
pazienti
con
malattie
cardiache
e
polmonari,
negli
anziani,
nei
pazienti
con
molte
altre
malattie
croniche
e
nei
soggetti
che
svolgono
compiti
assistenziali
a
domicilio
o
in
ospedale.
Poiché
gli
pneumococchi
frequentemente
causano
infezioni
batteriche,
una
strategia
prudente
che
viene
raccomandata
consiste
nell'immunizzare
persone
ad
alto
rischio
di
complicanze
da
influenza,
anche
con
un
vaccino
pneumococcico
(una
sola
volta).
Le
donne
gravide
che
rientrano
nelle
categorie
ad
alto
rischio
o
in
cui
il
3o
trimestre
di
gravidanza
cada
durante
i
mesi
invernali
devono
essere
considerate
candidate
alla
vaccinazione
con
i
vaccini
antiinfluenzali.
Un'immunizzazione
annuale
è
raccomandata
per
mantenere
il
titolo
anticorpale
e
per
riflettere
i
cambiamenti
nei
ceppi
virali.
L'immunizzazione
attraverso
un'iniezione
IM
va
effettuata
in
autunno,
in
modo
che
i
titoli
anticorpali
siano
ai
massimi
livelli
nei
mesi
di
prevalenza
dell'influenza.
Nelle
persone
vaccinate
per
la
prima
volta,
ci
si
aspetta
una
risposta
massimale
alla
vaccinazione
in
circa
2
sett.
Con
i
vaccini
formati
da
subvirioni
attualmente
disponibili,
le
reazioni
locali
o
generali
sono
rare
o
trascurabili
e
di
breve
durata.
Ai
bambini
di
età
<
13
anni
si
somministrerà
un
vaccino
subvirionico,
in
quanto
presenta
minori
effetti
collaterali.
Poiché
i
bambini
hanno
avuto
minori
occasioni
di
esposizione
ai
virus
influenzali,
sarà
opportuno
somministrare
sia
una
dose
primaria
che
una
dose
di
richiamo
(0,5
ml
nei
soggetti
da
3
a
10
anni,
0,25
ml
nei
bambini
da
6
a
35
mesi)
a
distanza
di
1
mese
l'una
dall'altra,
a
meno
che
non
siano
state
effettuate
altre
vaccinazioni
negli
anni
precedenti.
Per
gli
adulti
si
possono
somministrare
0,5
ml
come
vaccino
intero
o
come
sottounità.
Per
la
profilassi
possono
essere
anche
utilizzati
indifferentemente
sia
oseltamivir
che
zanamivir
con
un’efficacia
di
circa
il
70-‐90%.
La
durata
del
trattamento
profilattico
è
di
10
giorni
dall’ultima
esposizione.
203
217 / 356
20.
Infezioni
delle
vie
aeree
superiori
Per
infezioni
delle
vie
aeree
superiori
s’intende
un
insieme
di
stati
morbosi
sostenuti
da
una
(o
più)
specie
patogene
batteriche
(preponderanti
sulla
flora
microbica
residente
e
normalmente
presente)
e/o
virali.
Per
quanto
riguarda
le
forme
sostenute
da
batteri
(maggior
parte),
l’isolamento
del
germe
patogeno
deve
essere
sempre
correlato
con
i
segni
clinici
di
malattia,
poichè
esistono
portatori
sani
asintomatici
per
ognuno
delle
specie
batteriche
coinvolte.
Nel
complesso
l’impatto
che
queste
malattie
hanno
sia
in
termini
di
incidenza
che
di
impegno
professionale
(alto
numero
di
consultazioni
e
problemi
gestionali
per
divergenze
con
l’aspettativa
del
paziente)
e
di
ricadute
economiche
(morbosità),
è
estremamente
rilevante:
rappresentano
infatti
la
seconda
più
frequente
patologia
domiciliare
dopo
l’ipertensione
essenziale,
la
prima
causa
di
assenza
dal
lavoro
e
da
scuola,
nonché
la
prima
causa
di
prescrizione
di
antibiotici
(raffreddore
compreso!).
Quest
ultimo
è
un
problema
da
non
sottovalutare,
visto
che
oltre
la
metà
delle
prescrizioni
di
antibiotici
nelle
infezioni
comunitarie
sono
da
ritenersi
assolutamente
inappropriate
e
alla
base
del
preoccupante
aumento
di
resistenza
alle
comuni
classi
di
antibiotici.
1. Faringotonsilliti
E’
un
processo
infiammatorio
del
faringe,
ipofaringe,
ugola
e
tonsille,
che
può
essere
causato
da
virus
o
batteri.
Interessa
prevalentemente
i
bambini
di
5-‐15
anni.
■Virus:50-‐60%
-‐
Rhinovirus
-‐Coronavirus
-‐
Adenovirus
-‐
Herpesvirus
1
e
2,
EBV,
CMV
-‐
Influenza
A
e
B
e
parainfluenza
-‐
Enterovirus
(Coxsackie)
Il
quesito
diagnostico
principale
che
ci
si
pone
è
quindi
quello
di
distinguere
fra
una
faringite
virale
ed
una
faringotonsillite
streptococcica:
Solo
il
tampone
faringeo
permette
una
diagnosi
certa
di
infezione
streptococcica;
la
mancata
conferma
di
un’etiologia
streptococcica
deve
indirizzare
il
medico
a
non
usare
antibiotici.
204
218 / 356
Modalità
di
prelievo
(tampone
faringeo)
Eseguire
il
tampone
faringeo
a
digiuno
(la
stimolazione
del
faringe
potrebbe
indurre
il
riflesso
del
vomito).
1)
Rivolgere
il
paziente
verso
una
sorgente
luminosa,
per
visualizzare
la
sede
del
prelievo
2)
Spingere
la
lingua
in
basso
con
un
abbassalingua;
3)
Strisciare
“energicamente”
il
tampone
tra
i
pilastri
tonsillari,
premendo
sulle
cripte
tonsillari;
senza
toccare
la
lingua,
le
arcate
dentarie,
il
velopendulo
e
le
pareti
laterali
del
cavo
orale.
4)
Assicurasi
che
il
tampone
si
imbibisca
del
materiale.
Riporre
il
tampone
nel
contenitore
con
l’apposito
terreno
di
trasporto.
Terapia
della
faringotonsillite
(streptococcica)
Prima
scelta
assoluta
=
β-lattamina
-‐
Penicillina-‐benzatina
i.m.
monodose
(600.000
U.
<27
kg,
1.200.000
U.
>27
kg)
-‐
Penicillina
V,
amoxicillina
o
cefalosporina
orale
per
10
giorni
Seconda
scelta
(allergia
alle
beta-lattamine)
-‐
Macrolide
recente
o
clindamicina
per
10
giorni
(azitromicina
per
5
giorni)
Gli
obiettivi
dell’instaurazione
di
una
terapia
antibiotica
sono
la
prevenzione
delle
complicanze
suppurative
(ascesso
peritonsillare
o
retrofaringeo,
linfadenite
cervicale,
mastoidite,
sinusite,
otite
media
acuta,
trombosi
del
seno
laterale,
meningite
batterica),
la
prevenzione
della
febbre
reumatica
(non
evidenza
di
beneficio
per
la
glomerulonefrite
acuta),
una
riduzione
della
contagiosità
fin
dal
primo
giorno
e
una
minore
durata
dei
sintomi
(di
1-‐2
giorni
se
terapia
precoce)
La
fallita
eradicazione
di
S.pyogenes
con
penicillina
(10-‐30%)
può
derivare
da:
1. Dosaggio
subottimale
(600.000
U.I.)
2. Mancata
compliance
(propicillina)
3. Reinfezione
in
comunità
(scuole,
caserme)
4. Compresenza
di
virus
5. Fenomeno
della
tolleranza
(fino
al
25%)
6. Patogenicità
indiretta
(M.catarrhalis,
S.aureus)
205
219 / 356
2. Riniti
e
Rinosinusiti
Riniti
La
rinite
è
un
processo
infiammatorio,
ad
eziopatogenesi
il
più
delle
volte
infettiva,
che
interessa
la
mucosa
delle
cavità
nasali.
Si
distinguono
forme
acute
(tipica
manifestazione
di
un
raffreddore
comune)
e
croniche
(di
solito
un
prolungamento
di
una
rinite
subacuta
infiammatoria
o
infettiva,
ma
si
possono
verificare
anche
in
corso
di
sifilide,
TBC,
rinoscleroma,
rinosporidiosi,
ecc,
tutte
condizioni
caratterizzate
dalla
formazione
di
granulomi
con
distruzione
di
tessuto
molle,
cartilagine
e
osso).
Il
più
comune
processo
infettivo
a
carico
della
cavità
nasali
è
sicuramente
il
comune
raffreddore,
un’infezione
virale
acuta,
generalmente
senza
febbre,
del
tratto
respiratorio,
con
infiammazione
in
alcune
o
in
tutte
le
parti
delle
prime
vie
aeree,
che
comprendono
naso,
seni
paranasali,
gola,
laringe
e
talora
trachea
e
bronchi.
Sintomi e segni
In
generale
sintomi
e
segni
sono
piuttosto
aspecifici.
Nel
comune
raffreddore,
dopo
1-‐3
giorni
di
incubazione,
il
paziente
in
genere
avverte:
206
220 / 356
•
malessere
generale
•
starnuti
•
rinorrea
(secrezione
mucosa
dal
naso)
•
ostruzione
delle
vie
aeree
nasali
•
incapacità
di
percepire
gli
odori
(anosmia)
•
Le
cavità
nasali
sono
piene
di
secrezioni
fluide
e
trasparenti
•
Nei
giorni
successivi
le
secrezioni
possono
divenire
purulente
(dense
e
maleodoranti)
nel
caso
in
cui
si
sovrapponga
un’infezione
batterica
•
In
assenza
di
complicanze
invece
il
raffreddore
comune
si
risolve
spontaneamente
nel
giro
di
4-‐5
giorni
Caratteristicamente,
la
febbre
non
è
presente,
in
particolare
con
rinovirus
o
coronavirus.
La
faringite
si
sviluppa
solitamente
nelle
fasi
precoci;
la
laringite
e
la
tracheobronchite
variano
a
seconda
del
paziente
e
dell'agente
eziologico.
Le
secrezioni
nasali,
sono
acquose
e
profuse
durante
i
primi
giorni,
divengono
più
mucoidi
e
purulente;
le
secrezioni
mucopurulente
non
indicano
una
superinfezione
batterica.
La
tosse
dura
generalmente
fino
alla
2a
settimana.
Nei
soggetti
con
malattie
croniche
delle
vie
respiratorie
dopo
un
raffreddore
si
ha
comunemente
una
riesacerbazione
della
bronchite
cronica.
Escreato
purulento
o
importanti
sintomi
delle
vie
respiratorie
più
basse,
suggeriscono
un'eziologia
virale
differente
dai
rinovirus
e
possono
essere
dovuti
a
un'infezione
batterica
primaria
o
secondaria.
Le
persone
con
asma
e
bronchite
spesso
hanno
un
aggravamento
dei
sintomi
respiratori
da
infezioni
virali.
Altre
complicanze
solitamente
batteriche
sono
la
sinusite
purulenta
e
l'otite
media,
ma
sono
occasionalmente
dovute
all'infezione
virale
primaria
delle
mucose.
In
assenza
di
complicanze,
i
sintomi
si
risolvono
normalmente
in
4-‐10
gg.
Terapia
Un
ambiente
caldo,
umido
aumenta
il
comfort.
Il
riposo
è
indicato
per
le
persone
con
febbre
o
con
sintomi
più
gravi.
Gli
antipiretici
aiutano
a
ridurre
la
febbre,
ma
ripetute
dosi
di
aspirina
possono
aumentare
la
produzione
di
particelle
virali
mentre
i
sintomi
possono
migliorare
solo
leggermente.
Se
si
sospetta
l'influenza,
l'aspirina
deve
essere
evitata
al
fine
di
ridurre
il
rischio
di
sindrome
di
Reye,
specialmente
nei
bambini.
Sono
stati
raccomandati
molti
altri
trattamenti
di
supporto.
Alcuni
trattamenti
possono
essere
d'aiuto,
ma
non
hanno
mostrato
avere
un
beneficio
generale.
I
più
comuni
sono
rappresentati
dall'ingestione
di
varie
bevande
calde,
dall'uso
di
antiistaminici,
che
potrebbero
ridurre
la
rinorrea
nelle
persone
predisposte
all'asma
o
alla
febbre
da
fieno
e
da
elevate
dosi
di
acido
ascorbico
assunto
all'insorgenza
dei
sintomi,
che
possono
avere
un
effetto
soggettivo
ma
non
hanno
mostrato
avere
un
beneficio
oggettivamente
quantificabile.
Non
è
disponibile
alcun
trattamento
antiretrovirale,
sebbene
numerose
sostanze
(p.
es.,
interferone,
induttori
dell'interferone,
pastiglie
di
zinco
gluconato,
tiosemicarbazoni
e
agenti
indolici
triazinici)
inibiscono
con
efficacia
i
rinovirus
in
vitro.
Nessuno
di
questi
ha
dimostrato
validità
per
un'applicazione
pratica.
Gli
antibiotici
non
sono
raccomandati
come
profilassi
contro
un'infezione
batterica;
se
si
verificano
infezioni
batteriche
nella
seconda
settimana
o
in
seguito,
esse
devono
essere
trattate
in
maniera
specifica.
207
221 / 356
Sinusiti
Per
sinusiti
s’intende
un
gruppo
di
affezioni
caratterizzate
dalla
presenza
di
un
processo
infiammatorio
a
carico
dei
seni
paranasali,
secondario
ad
ostruzione
degli
osti
sinusali
e/o
alterata
clearance
di
muco
ed
associato
più
spesso
ad
infezioni
virali,
batteriche,
fungine
o
a
reazioni
allergiche.
La
sinusite
è
quindi
l'infiammazione
della
mucosa
che
riveste
particolari
cavità
ossee
situate
nel
massiccio
facciale:
i
seni
paranasali
(Seni
mascellari,
Seni
etmoidali,
Seni
frontali,
Seni
sfenoidali).
Tali
cavità
sono
in
comunicazione
con
le
fosse
nasali
e
possono
quindi
infiammarsi
per
le
stesse
cause
che
determinano
la
rinite.
La
sinusite
è
acuta
quando
la
sua
durata
è
inferiore
alle
quattro
settimane.
La
sinusite
acuta
costituisce
la
stragrande
maggioranza
dei
casi
di
sinusite.
La
maggior
parte
dei
casi
sono
diagnosticati
nell'ambulatorio
del
medico
di
famiglia
e
si
verificano
principalmente
come
conseguenza
di
una
precedente
infezione
delle
alte
vie
respiratorie
di
origine
virale.
La
diagnosi
di
sinusite
acuta
è
oggi
una
delle
10
più
frequenti
diagnosi
nella
pratica
ambulatoriale
(complica
lo
0,2-‐2%
dei
raffreddori
negli
adulti
ed
il
5-‐10%
nei
bambini),
oltre
ad
essere
circa
il
10%
di
tutte
le
prescrizioni
di
antibiotici
(5°
più
frequente
causa).
Differenziare
la
sinusite
batterica
acuta
da
quella
virale
su
base
clinica
è
difficile.
Quindi,
forse
non
è
sorprendente
che
gli
antibiotici
vengono
prescritti
frequentemente
(nell'85-‐
98%
di
tutti
i
casi)
in
questi
casi.
La
sinusite
è
invece
cronica
quando
segni
e
sintomi
(oltre
alle
ovvie
evidenze
radio-‐
endoscopiche)
di
infiammazione
dei
seni
di
durata
superiore
a
12
settimane.
Questa
malattia
è
molto
più
comunemente
associata
a
batteri
o
funghi,
e
la
guarigione
clinica
nella
maggior
parte
dei
casi
è
molto
difficile.
Molti
pazienti
con
sinusite
cronica
hanno
subiscono
trattamenti
con
cicli
ripetuti
di
agenti
antibatterici
e
molteplici
interventi
di
chirurgia
del
seno,
aumentando
per
di
più
il
rischio
di
complicanze
chirurgiche
e
di
colonizzazione
da
parte
di
patogeni
antibiotico-‐resistenti.
I
pazienti
patiscono
spesso
una
significativa
morbilità,
a
volte
per
molti
anni.
Ci
concentreremo
adesso
sulle
forme
acute
di
sinusite.
Fattori
di
rischio
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di sinusiti e rinosinusiti troviamo:
• Raffreddore
• Ostruzione
nasale
(polipi,
deviazione
del
setto
nasale,
atresia
della
coane,
corpi
estranei,
tumori)
• Allergopatie
• Nuoto
in
piscina
• Immunodepressione
(ipo-‐agammaglobulinemia,
AIDS)
• Patologie
congenite
(fissurazioni
del
palato,
fibrosi
cistica,
disfunzioni
ciliari
quali
sindrome
di
Kartagener)
• Abuso
di
cocaina
per
via
nasale
Eziopatogenesi
208
222 / 356
b)
difetti
del
trasporto
mucociliare
(infezioni
virali)
c)
alterazioni
qualititative
e
quantitative
del
muco
Un
gran
numero
di
fattori
infettivi
e
non
infettivi
possono
contribuire
all'ostruzione
acuta
dell'ostio
del
seno
paranasale
o
alla
compromissione
della
clearance
ciliare,
con
conseguente
sinusite.
Cause
non
infettive
comprendono
la
rinite
allergica
(o
da
edema
della
mucosa
o
per
la
presenza
di
polipi),
barotrauma
(ad
esempio,
per
immersioni
subacquee
e
per
viaggi
aerei),
sostanze
irritanti.
Anche
malattie
tumorali
delle
cavità
nasali
o
paranasali
(ad
esempio,
carcinoma
a
cellule
squamose)
o
malattie
granulomatose
(ad
esempio,
la
granulomatosi
di
Wegener
o
il
rinoscleroma)
possono
causare
l'ostruzione
degli
osti
dei
seni,
mentre
quelle
condizioni
che
portano
a
modificazioni
della
composizione
del
muco
(ad
esempio,
la
fibrosi
cistica)
possono
causare
sinusite
a
causa
della
ridotta
clearance
mucociliare.
In
ambito
ospedaliero,
nelle
unità
di
terapia
intensiva,
l'intubazione
nasotracheale
è
un
fattore
di
rischio
importante
per
lo
sviluppo
di
sinusite
nosocomiale.
La
sinusite
acuta
infettiva
può
essere
causata,
invece,
da
una
varietà
di
microrganismi,
quali
virus,
batteri
e
funghi.
I
virus
più
frequentemente
isolati
(sia
da
soli
sia
insieme
con
batteri)
sono
i
rinovirus,
i
virus
parainfluenzali
e
il
virus
dell'influenza.
Anche
i
funghi
sono
una
causa
identificata
di
sinusite,
sebbene
la
maggior
parte
dei
casi
acuti
si
verifichi
in
pazienti
immunocompromessi
e
rappresentino
infezioni
invasive
e
pericolose
per
la
vita.
L'esempio
più
noto
è
dato
dalla
mucormicosi
rinocerebrale
causata
da
funghi
dell'ordine
Mucorales,
che
comprende
Rhizopus,
Rhizomucor,
Mucor,
Absidia,
e
Cunninghamella.
Queste
infezioni
di
solito
si
verificano
in
pazienti
diabetici
con
chetoacidosi
(diabetici
scompensati),
ma
anche
in
soggetti
trapiantati,
in
pazienti
affetti
da
neoplasie
ematologiche
e
in
quelli
che
assumono
terapia
cronica
di
glucocorticoidi
o
deferoxamina.
Altre
muffe
ialine,
come
Aspergillus
e
Fusarium
species,
sono
causa
occasionale
di
sinusite.
209
223 / 356
Clinica
Nella
sinusite
acuta,
il
dolore
o
il
senso
di
pressione
spesso
si
localizzano
nel
seno
coinvolto
(in
particolare
il
seno
mascellare),
peggiorando
quando
il
paziente
si
china
o
è
in
posizione
supina.
Anche
la
cosiddetta
sinusite
acuta
focale
è
rara,
ma
dovrebbe
essere
considerata
nei
pazienti
con
gravi
sintomi
afferenti
al
seno
mascellare
e
febbre,
indipendentemente
dalla
durata
della
malattia.
Allo
stesso
modo,
una
sinusite
frontale
avanzata
può
determinare
una
condizione
nota
come
tumore
gonfio
di
Pott,
con
gonfiore
del
tessuto
molle
e
edema
butterato
al
di
sopra
dell'osso
frontale
dovuto
ad
un
ascesso
subperiosteo
comunicare.
Le
complicanze
a
rischio
per
la
sopravvivenza
includono
la
meningite,
l'ascesso
epidurale,
e
l'ascesso
cerebrale.
I
pazienti
con
sinusite
acuta
da
funghi
(quale
la
mucormicosi)
si
presentano
spesso
con
sintomi
correlati
agli
effetti
della
pressione,
soprattutto
quando
l'infezione
si
è
diffusa
alle
orbite
e
al
seno
cavernoso.
Segni
come
gonfiore
orbitale
e
cellulite,
proposi
(sporgenza
del
bulbo
oculare),
ptosi
(impossibilità
a
sollevare
la
palpebra)
e
diminuzione
dei
movimenti
oculari
sono
comuni,
come
pure
il
dolore
retrorbitale
o
periorbitale.
Anche
ulcerazioni
nasofaringee,
epistassi
(sanguinamento
dl
naso)
e
mal
di
testa
sono
frequenti,
e
nei
casi
più
avanzati
è
stato
descritto
il
coinvolgimento
del
V
e
VII
paio
di
nervi
cranici.
Spesso
tuttavia
il
paziente
non
appare
gravemente
malato,
nonostante
la
natura
rapidamente
progressiva
di
queste
infezioni.
Viceversa
i
pazienti
con
sinusite
acuta
nosocomiale
sono
spesso
in
condizioni
critiche
e
quindi
non
manifestano
le
tipiche
caratteristiche
cliniche
della
malattia
sinusale.
Questa
diagnosi
dovrebbe
essere
pertanto
sospettata
quando
pazienti
ricoverati
che
fattori
di
rischio
adeguati
(ad
esempio,
intubazione
nasotracheale)
sviluppano
una
febbre
di
origine
incerta.
Diagnosi
Distinguere
la
sinusite
virale
dalla
sinusite
batterica
in
ambito
ambulatoriale
è
di
solito
difficile,
data
la
sensibilità
e
la
specificità
relativamente
scarse
delle
comuni
caratteristiche
cliniche.
Un
criterio
clinico
che
viene
utilizzato
per
indirizzare
le
scelte
diagnostiche
e
terapeutiche
è
la
durata
della
malattia.
Dal
momento
che
una
sinusite
batterica
acuta
è
rara
se
i
sintomi
durano
medi
di
7
giorni,
molti
esperti
attualmente
consigliano
di
riservare
questa
diagnosi
ai
pazienti
con
sintomi
appropriati
(ad
esempio,
dolore
al
viso
o
mal
di
denti
associato
a
scolo
nasale
purulento),
che
persistono
per
più
210
224 / 356
di
7
giorni.
Tuttavia,
dei
pazienti
che
soddisfano
questi
criteri,
solo
40-‐50%
sono
realmente
affetti
da
sinusite
batterica.
Se
i
sintomi
non
migliorano
dopo
7
giorni
oppure
sono
più
gravi
(a
prescindere
dalla
durata),
allora
bisogna
trattare
con
antibiotici.
Una
terapia
antibiotica
empirica
dovrebbe
consistere
nell'agente
a
più
stretto
spettro,
attivo
contro
i
batteri
patogeni
più
comuni
(tra
cui
S.
pneumoniae
e
H.
influenzae):
ad
esempio,
amoxicillina-‐clavulanato
1
g
per
os
ogni
12
ore
per
10
giorni,
oppure
cefuroxime
250
mg
per
os
ogni
12
ore
per
10
giorni;
in
caso
di
allergia
ai
ß-‐lattamici:
claritromicina
500
mg
per
os
ogni
12
ore
per
10
giorni.
Non
è
giustificato
in
linea
di
massima
l'uso
di
farmaci
ad
ampio
spettro.
Fino
al
10%
dei
pazienti
non
rispondono
alla
terapia
antimicrobica
iniziale,
per
costoro
andrebbe
considerata
l'aspirazione
e/o
il
lavaggio
del
seno
da
parte
di
un
otorinolaringoiatra.
L'uso
profilattico
di
antibiotici
per
prevenire
gli
episodi
di
recidiva
di
una
sinusite
batterica
acuta
non
è
raccomandato.
L'intervento
del
chirurgo
(drenaggio)
e
gli
antibiotici
per
via
endovenosa
sono
di
solito
riservati
ai
pazienti
con
malattia
grave
o
con
complicanze
intracraniche,
come
un
ascesso
o
il
coinvolgimento
dell'orbita.
I
pazienti
immunocompromessi
con
sinusite
acuta
fungina
invasiva
in
genere
richiedono
un'estesa
pulizia
a
e
il
trattamento
con
farmaci
antifungini
per
via
endovenosa
(ad
esempio,
amfotericina
B).
la
cura
della
sinusite
nosocomiale
dovrebbe
iniziare
invece
con
antibiotici
ad
ampio
spettro
per
coprire
i
comuni
agenti
patogeni
come
S.
aureus
e
i
bacilli
gram-‐negativi;
in
seguito
la
terapia
deve
essere
adeguata
ai
risultati
degli
esami
colturali
e
dei
test
di
suscettibilità
eseguiti
sul
materiale
dell'aspirato
sinusale.
211
225 / 356
3. Otite
media
L’orecchio
esterno
comprende
il
padiglione
auricolare
e
il
meato
acustico
esterno;
ha
la
funzione
di
raccogliere
le
onde
sonore
e
di
convogliarle
verso
la
membrana
del
timpano.
L’orecchio
medio
è
costituito
dal
cavo
del
timpano,
dalla
membrana
del
timpano,
dalla
catena
degli
ossicini
dell’udito,
dall’apparato
mastoideo
e
dalla
tuba
uditiva
(di
Eustachio).
L’orecchio
interno
è
composto
dal
labirinto
osseo,
complicato
sistema
di
cavità
scavate
nello
spessore
della
piramide
del
temporale,
e
dal
labirinto
membranoso,
insieme
di
organi
cavi,
delimitati
da
pareti
connettivali,
rivestititi
internamente
da
epitelio
e
contenuti
nelle
cavità
del
labirinto
osseo.
A
separare
il
labirinto
osseo
da
quello
membranoso
s’interpone
lo
spazio
perilinfatico,
formato
da
un
complesso
di
fessure
fra
loro
comunicanti
nelle
quali
è
contenuto
un
liquido,
la
perilinfa.
L'otite
viene
divisa,
classicamente,
in
una
forma
esterna
e
una
media
a
seconda
della
porzione
di
orecchio
che
colpisce
(l’orecchio
interno
presenta
patologie
altamente
specifiche
riguardanti
l’equilibrio
e
l’udito
ma
la
cui
trattazione
esula
da
questa
discussione).
Eziopatogenesi
-‐ Infezioni
alte
vie
respiratorie
(riniti,
adenoiditi,
tonsilliti):
la
tuba
di
Eustachio
può
chiudersi
e
le
secrezioni
dell'orecchio
si
accumulano
favorendo
la
colonizzazione
da
parte
di
batteri
(Streptococcus
Pneumoniae,
Haemophilus
Influenzae,
Streptococcus
piogenes),
virus
(Virus
del
Sincizio
Respiratorio,
Virus
Influenzale,
Enterovirus
e
Echovirus
)
e
funghi.
-‐ Stato
allergico
locale
-‐ Lesioni
da
grattamento
del
condotto
uditivo
(es.
cotton-‐fioc)
-‐ Malattie
cutanee
come
eczema
e
psoriasi
-‐ Scarsa
igiene
e
vita
in
comunità
(soprattutto
per
quanto
riguarda
i
bambini
che
andando
all'asilo
o
a
scuola
sono
più
soggetti
a
varie
infezioni
di
diverso
genere)
-‐ Precocità
del
primo
episodio
→
tendenza
ad
episodi
ricorrenti
-‐ Inverno,
frequenti
infezioni
virali
delle
vie
aeree
superiori
-‐ Fumo
passivo
-‐ Deficienze
immunologiche,
anomalie
congenite
Sintomi dell'otite
Nelle
otiti
acute
(sia
catarrale
che
purulenta)
il
sintomo
principale
è
il
dolore
(otalgia),
cui
si
possono
aggiungere
anche
ipoacusia
(riduzione
dell'udito),
febbre,
irritabilità,
a
212
226 / 356
volte
vertigini
e
acufeni
(percezioni
sonore
all'interno
dell'orecchio
non
dovuti
a
una
stimolazione
acustica
ma
formati
o
da
problemi
vascolari
oppure
ossei).
Il
dolore
è
accentuato
con
la
masticazione,
l'apertura
della
bocca
e
ci
può
anche
essere
otorrea,
ovvero
dall'orecchio
può
fuoriuscire
del
materiale
sieroso
(chiaro,
tipico
delle
otiti
virali)
e/o
purulento
(giallastro,
tipico
invece
di
quelle
batteriche).
Nell'otite secretiva c'è una secrezione mucosa sterile che non causa dolore ma ipoacusia.
Tutte
le
otiti
devono
essere
tenute
sott'occhio
e
curate
il
prima
possibile
per
due
motivi:
-‐ Evitare
che
recidivino
e
quindi
cronicizzano.
-‐ Evitare
complicanze,
a
volte
anche
molto
serie,
come
gli
ascessi
cerebrali
(l'orecchio
è
un
organo
vicino
al
cervello
e
l'infezione
può
propagarsi).
Complicanze
dell'otite
Le
complicanze
dell'otite
possono
essere
evitate
iniziando
repentinamente
una
adeguata
terapia
farmacologica
a
seconda
delle
cause
che
l'hanno
provocata.
Alcune
possibili
complicanze
sono:
Esteriorizzazione
della
mastoidite:
solitamente
segue
a
una
otite
purulenta.
Si
modifica
il
profilo
del
padiglione
auricolare
in
avanti
e
in
fuori
e
c'è
dolore
alla
palpazione.
Questa
esteriorizzazione
può
provocare
problemi
ai
muscoli
del
collo
ed
esitare
in
miosite
flemmonosa,
verso
gli
zigomi,
o
nella
regione
occipitale.
Sono
eventi
parecchio
gravi.
Mastoidite
cronica:
evento
frequente
nelle
otiti
purulente
croniche,
in
cui
c'è
un
interessamento
dell'osso
mastoide.
Paralisi
del
nervo
facciale:
può
essere
completa
(paralisi
dei
muscoli
di
tutto
il
viso)
o
incompleta
(paralisi
solo
dei
muscoli
inferiori
del
viso).
Può
anche
provocare
retrazione
della
palpebra
dell'occhio,
impossibilità
a
soffiare,
gonfiare
le
guance,
abbassamento
del
sopracciglio
e
della
rima
della
bocca.
A
seconda
del
punto
della
lesione
(il
nervo
faciale
compie
un
percorso
piuttosto
lungo)
si
può
avere
anche
perdita
della
sensibilità
gustativa
del
2/3
anteriori
della
lingua
e
xerostomia
(secchezza
della
bocca
per
danno
alle
ghiandole
salivari).
Diagnosi dell'otite
La
diagnosi
di
otite
si
fa
principalmente
con
l'anamnesi
(quindi
si
indaga
nella
storia
del
paziente,
se
è
allergico,
se
soffre
di
particolari
patologie
tipo
eczemi
o
psoriasi,
se
ha
avuto
infezioni
respiratorie
recenti,
ecc..)
e
l'otoscopia.
In
pratica
mediante
l'otoscopio
si
osserva
l'interno
dell'orecchio
e
si
analizza
in
timpano.
Questo
permette
di
evidenziare
possibili
raccolte
sierose
o
purulente
all'interno
dell'orecchio
e
si
valuta
se
il
timpano
è
normale,
o
infiammato
o
addirittura
perforato.
213
227 / 356
Poi
si
può
fare
un
tampone
del
materiale
prodotto
nell'orecchio
per
valutarne
la
natura
e
fare
su
di
esso
un
antibiogramma,
in
modo
da
capire
qual
è
il
batterio
responsabile
e
trovare
eventuali
resistenze
agli
antibiotici.
Altro
strumento
utile
è
l'impedenziometria,
che
serve
a
misurare
la
rigidità
degli
ossicini
all'interno
dell'orecchio
(incudine,
staffa
e
martello)
e
si
basa
in
pratica
sulla
resistenza
che
l'onda
sonora
incontra
nell'attraversare
l'orecchio.
Ovviamente
nei
casi
in
cui
si
sospetta
una
complicanza,
si
potranno
fare
esami
più
approfonditi
come
la
tomografia
computerizzata
o
la
risonanza
magnetica
per
valutare
in
maniera
più
accurata
l'estensione
del
processo
infiammatorio.
Terapia dell'otite
Curare
l'igiene
delle
fosse
nasali,
evitare
le
abrasioni
della
cute
del
condotto
uditivo
esterno
(uso
continuo
di
cotton-‐fioc)
e
trattare
da
subito
le
infezioni
delle
alte
vie
respiratorie,
specie
nei
bambini,
sono
buone
norme
per
prevenire
l’insorgenza
dell’otite
media.
La terapia può essere sia medica che chirurgica e dipende dalla gravità dell'otite:
Nei
casi
più
gravi
si
può
ricorrere
anche
alla
chirurgia,
nelle
forme
resistenti
alle
terapie
mediche
o
se
c'è
perforazione
del
timpano.
Soprattutto
nelle
otiti
croniche
secretive,
possono
essere
tolte
le
adenoidi
(che
sostanzialmente
se
ingrossate
ostruiscono
la
via
di
deflusso
dell'orecchio
causando
ristagno
di
secrezioni
che
si
infettano
e
rendono
l'otite
cronica)
oppure
si
può
fare
la
timpanocentesi
(si
toglie
il
liquido
accumulato)
oppure
la
timpanoplastica,
nel
caso
in
cui
il
timpano
sia
stato
perforato.
214
228 / 356
21.
Polmoniti
infettive
Gruppo
eterogeneo
di
condizioni
morbose
contraddistinte
dall’instaurarsi
di
un
processo
infettivo/infiammatorio
a
carico
della
porzione
più
distale
dell’albero
respiratorio,
il
parenchima
polmonare.
E’
possibile
classificare
tali
affezioni
secondo
diversi
criteri:
Criterio anatomopatologico
• a
focolaio:
interessano
un
intero
lobo
od
il
segmento
di
un
lobo
• broncopolmoniti:
contemporaneo
interessamento
dell’albero
bronchiale
e
del
parenchima
polmonare
L’eziologia
delle
forme
necrotizzanti
è
in
genere
molteplice
(nell’80-‐90%
dei
casi
sono
coinvolti
uno
o
più
ceppi
di
batteri
anaerobi
obbligati
della
flora
orofaringea);
di
fatto,
la
maggior
parte
degli
agenti
batterici
e
micotici
che
causano
polmoniti
alveolari
(Batteri
anaerobi,
S.
aureus,
K.
pneumoniae,
P.
aeruginosa,
S.
pyogenes,
Nocardia
spp.,
Actinomyces
spp.)
possono
eccezionalmente
essere
responsabili
di
forme
necrotizzanti
con
evoluzione
verso
l’ascesso
polmonare
e
l’empiema
pleurico.
Da
un
punta
di
vista
clinico
l’esordio
è
spesso
subdolo
con
l’insorgenza
di
uno
o
più
sintomi/segni
tra
febbricola,
tosse,
dolore
toracico,
anoressia
e
calo
ponderale.
L’imaging
toracico
rivela
in
genere
una
o
più
aree
iperdiafane
nel
contesto
di
un
addensamento
infiammatorio,
con
interessamento
preferenziale
a
carico
dei
segmenti
posteriori
del
lobo
superiore
e
segmenti
apicali
dei
lobi
inferiori.
Criterio eziologico
• Batteri
• Virus
• Miceti
• Protozoi
Criterio Epidemiologico
Si distinguono forme:
Assunte
in
comunità:
contratte
al
di
fuori
dell’ambiente
ospedaliero,
sostenute
di
solito
da
batteri
gram-‐positivi
e
virus
(S.pneumoniae
(45%),
H.influenzae
e
K.pneumoniae
(17%),
Virus
(12,5%),
M.pneumoniae
(6,7%),
Legionella
(5,2%),
Stafilococchi,
ecc);
si
tratta
di
infezioni
acute
del
parenchima
polmonare
associate
a
sintomi
del
tratto
respiratorio
inferiore
ed
accompagnate
da
un
infiltrato
radiologico
oppure
da
reperti
auscultatori
tipici
della
polmonite
in
un
paziente
che
non
è
stato
ricoverato
nelle
due
settimane
precedenti.
215
229 / 356
L’incidenza
reale
delle
CAP
non
è
nota
perché
tale
patologia
non
rientra
tra
quelle
notificabili;
si
aggira
nella
popolazione
generale
fra
2-‐15
casi
per
1000
abitanti
per
anno,
con
una
maggiore
incidenza
nelle
due
classi
estreme
di
età
(<
5
anni,
>75
anni).
Nosocomiali:
contratte
in
ambiente
ospedaliero
(dopo
>48
ore
dal
ricovero)
soprattutto
da
soggetti
immunocompromessi,
sono
causate
da
batteri
gram-‐negativi
e
anaerobi,
virus
e
miceti
(K.pneumoniae,
P.aeruginosa,
S.marcescens,
Enterobacter,
S.aureus,
Legionella,
Providencia).
L'incidenza
delle
NP
aumenta
con
l'età
passando
da
5
pazienti
ogni
1000
ricoveri
nei
pazienti
con
età
<
35
anni,
ai
15
pazienti
ogni
1000
ospedalizzati
considerando
le
classi
di
età
più
avanzate.
La
più
alta
incidenza
di
polmonite
nosocomiale
è
nelle
unità
di
terapia
intensiva
nei
pazienti
sottoposti
a
ventilazione
meccanica,
dove
si
registrano
oltre
35
casi
per
1000
giorni-‐paziente,
con
incidenza
ancora
più
alta
se
i
pazienti
ventilati
meccanicamente
sono
affetti
da
danno
polmonare
acuto
(Acute
lung
injury-‐
ALI).
I
pazienti
ricoverati
in
terapia
intensiva
che
hanno
acquisito
una
NP
hanno
un
tasso
di
mortalità
doppio
rispetto
a
pazienti
nelle
stesse
condizioni
che
non
hanno
contratto
la
NP.
Al
di
fuori
della
terapia
intensiva
la
maggioranza
delle
polmoniti
nosocomiali
si
riscontrano
nel
postoperatorio,
dopo
interventi
di
chirurgia
addominale
o
toracica
o
in
pazienti
ospedalizzati
per
problemi
medici
con
alterato
livello
di
coscienza.
Dell’ospite immunocompromesso
216
230 / 356
Eziopatogenesi
Tre
sono
i
principali
meccanismi
ipotizzati
per
l’ingresso
di
specie
patogene
a
livello
dell’albero
tracheopolmonare:
In
caso
di
carica
batterica
particolarmente
alta
e/o
virulenza
spiccata
del
germe
e
in
concomitante
presenza
di
una
situazione
di
inadeguata
competenza
dei
meccanismi
di
difesa
locali
(
Riflesso
della
tosse,
Clearance
muco
ciliare,
Proprietà
antimicrobiche
della
217
231 / 356
superficie
mucosa)
e/o
di
uno
stato
di
ridotta
funzionalità
del
sistema
immunitario
(Immunodeficienza,
diabete),
l’invasione
batterica
del
parenchima
polmonare
determina
l’instaurazione
di
un
processo
infettivo
con
interessamento
degli
alveoli
e/o
dell’interstizio
polmonare.
Nel
complesso
è
ragionevole
sospettare
un
quadro
di
polmonite
infettiva
in
presenza
di
un
infiltrato
radiologicamente
compatibile
con
l’ipotesi
(polmonite
tipica
o
atipica)
associato
ad
almeno
due
dei
seguenti
sintomi:
-‐ tosse
con
espettorato
purulento
a
seguito
di
tosse
non
produttiva
-‐ leucocitosi
-‐ febbre
218
232 / 356
Ruolo
della
Radiologia:
L’esame
radiografico,
che
dovrebbe
essere
condotto
in
due
proiezioni
(postero-‐
anteriore
e
latero-‐laterale),
presenta
un’elevata
sensibilità
(75-‐
85%)
e
specificità
(85-‐
95%)
nel
malato
che
presenti
segni
e
sintomi
di
malattia.
Le
informazioni
sostanziali
sono:
1. presenza
di
infiltrato
2. caratteristiche
3. estensione
4. coesistenza
di
versamento
pleurico
e
sua
disposizione
5. evoluzione
nel
tempo
Può
fornire
un
orientamento
diagnostico
di
tipo.
Diagnosi
eziologica
• Esame
microbiologico
dell’espettorato/BAL
(batterioscopico/colturale,
PCR
se
disponibile)
• Non
sempre
batteri
isolati
dalle
vie
aeree
svolgono
un
ruolo
patogeno
→
l’isolamento
di
un
germe
deve
essere
attentamente
valutato
219
233 / 356
• Emocolture
• Antigeni
urinari
(Legionella,
pneumococco)
• Indagini
sierologiche
(IF/ELISA
per
IgG-‐IgM)
Polmonite
Pneumococcica
Lo
S.
pneumoniae
è
la
causa
di
polmonite
batterica
più
comunemente
identificata
(incidenza
di
2
casi/1000
abitanti/anno
nella
popolazione
generale)
e
rappresenta
i
due
terzi
delle
polmoniti
batteriche
contratte
in
comunità.
La
polmonite
pneumococcica
generalmente
si
verifica
sporadicamente,
ma
con
maggiore
frequenza
in
inverno,
colpendo
più
spesso
soggetti
anziani
o
in
età
infantile.
Studi
sulla
flora
faringea
indicano
che
il
5-‐25%
delle
persone
sane
sono
normalmente
“portatrici”
di
pneumococchi,
con
la
massima
prevalenza
in
inverno
nei
bambini
e
nei
genitori
di
bambini
piccoli.
Anatomia
patologica
e
patogenesi
220
234 / 356
polmonare
sarà
in
grado
di
innescare
una
più
o
meno
consistente
risposta
infiammatoria
locale,
con
la
formazione
e
l’accumulo
di
essudato
infiammatorio
all’interno
degli
alveoli.
Il
quadro
caratteristico
è
quello
della
polmonite
lobare,
quadro
clinico-‐patologico
contraddistinto
da
un
diffuso
consolidamento
fibrino-‐purulento
di
ampie
aree
del
lobo
polmonare
e
che
da
un
punto
di
vista
anatomopatologico
si
caratterizza
per
la
successione
di
quattro
fasi:
I
rilievi
all'esame
obiettivo
variano
in
relazione
al
carattere
del
processo
e
allo
stadio
in
cui
il
paziente
viene
visitato:
all’esame
obiettivo
il
paziente
risulta
in
genere
agitato,
cianotico,
tachipnoico,
con
cute
calda
e
sudata;
possono
essere
presenti
segni
di
ittero
o
subittero;
il
fremito
vocale
tattile
risulta
solitamente
aumentato,
parallelamente
al
riscontro
di
un’ottusità
più
o
meno
estesa
alla
percussione
e
di
sfregamenti
pleurici
all’auscultazione
(segni
tipici
dell'addensamento
lobare
e/o
del
versamento
pleurico).
In caso di broncopolmonite lobulare i segni tipici sono invece i crepitii tele-‐inspiratori.
Complicanze
221
235 / 356
Diagnosi
Una
polmonite
pneumococcica
deve
essere
sospettata
in
tutti
i
casi
di
malattia
febbrile
acuta
associata
a
dolore
toracico,
dispnea
e
tosse.
Per
una
diagnosi
presuntiva
è
possibile
basarsi
su
dati
clinico-‐anamnestici,
alterazioni
radiografiche
e/o
laboratoristiche,
ma
per
una
diagnosi
definitiva
è
sempre
necessaria
la
dimostrazione
dello
S.
pneumoniae
nel
liquido
pleurico,
nel
sangue
(emocolture
positive
nel
5-‐25%
dei
casi),
nel
polmone
o
nell'aspirato
trans
tracheale
(esame
batteroscopico
e
colturale
positivi).
Gli
esami
di
laboratorio
mostrano
in
genere
un
discreto
aumento
della
conta
leucocitaria
(leucocitosi
neutrofila
con
valori
anche
di
15000-‐30000/mmc),
VES/PCR
elevate
e
modico
aumento
della
bilirubina
(fino
a
3-‐4
mg/dl).
222
236 / 356
In
assenza
di
terapia,
in
un
giovane
adulto
immunocompetente,
la
risoluzione
avviene
in
genere
in
7°-‐10°
giornata
per
crisi,
con
brusca
caduta
della
temperatura
e
rapido
miglioramento
delle
condizioni
generali.
I
pazienti
con
forme
lievi,
trattati
abbastanza
precocemente,
presentano
di
regola
uno
sfebbramento
durante
le
prime
24-‐48
h;
i
pazienti
con
forme
gravi
invece,
in
particolare
quelli
con
le
condizioni
prognostiche
sfavorevoli
sopraindicate,
spesso
richiedono
non
meno
di
4-‐5
giorni
per
lo
sfebbramento.
La
terapia
non
deve
essere
modificata
in
caso
di
miglioramento
clinico
graduale
e
di
conferma
dell'eziologia.
Terapia
223
237 / 356
nell'impianto
di
condizionamento
dell'hotel
dove
i
veterani
avevano
soggiornato.
Successivamente,
studi
retrospettivi
hanno
identificato
casi
di
legionellosi
sin
dal
1943
e
per
una
varietà
di
microrganismi
correlati
è
stata
proposta
la
classificazione
in
questo
genere.
Epidemiologia
Nonostante
sia
stato
decretato
per
la
legionellosi
l’obbligo
di
notifica
nella
classe
II
(DM
del
15
dicembre
del
1990),
secondo
le
stime
del
Centro
nazionale
di
Epidemiologia
e
il
Dipartimento
di
Malattie
Infettive,
Parassitarie
e
Immunomediate
dell’ISS
(che
annualmente
producono
un
rapporto
sull’incidenza
della
malattia
nel
nostro
Paese)
il
numero
di
casi
risulta
essere
decisamente
sottostimato,
sia
per
un
mancato
invio
delle
schede
di
segnalazione
da
parte
dei
sistemi
sanitari
locali
che
per
una
non
corretta
diagnosi.
Secondo
i
dati
contenuti
nel
rapporto
2009
sulla
legionellosi
in
Italia,
complessivamente,
sono
pervenute
all’Istituto
superiore
di
sanità
1200
schede
di
sorveglianza
relative
ad
altrettanti
casi
di
legionellosi;
di
questi,
1146
sono
confermati
e
54
presunti.
L’80%
circa
dei
casi
è
stato
notificato
da
6
Regioni
(Lombardia,
Piemonte,
Veneto,
Emilia-‐Romagna,
Toscana
e
Lazio),
il
rimanente
20%
è
stato
notificato
da
14
Regioni
e
Province
Autonome.
Dei
1.200
casi
notificati,
110
(9,2%)
erano
stati
ricoverati
in
ospedale
o
in
clinica,
178
casi
(14,7%)
avevano
pernottato
almeno
una
notte
in
luoghi
diversi
dall’abitazione
abituale
(alberghi,
campeggi,
navi,
abitazioni
private),
33
casi
(2,8%)
erano
residenti
in
comunità
chiuse,
33
casi
(2,8%)
avevano
frequentato
piscine
e
13
casi
(1,1%)
avevano
effettuato
cure
odontoiatriche.
Nel
95%
dei
casi
l’agente
responsabile
della
patologia
e
stato
Legionella
pneumophila
sierogruppo1.
Questi
germi
sono
largamente
diffusi
nell’ambiente:
è
possibile,
infatti,
entrare
in
contatto
con
tali
batteri
presso
laghi,
canali,
piscine,
impianti
di
idromassaggio,
serbatoi,
ma
anche
tramite
nebulizzatori
a
ultrasuoni,
umidificatori,
condizionatori
ed
apparecchi
per
aerosol.
L’acqua
potabile
rappresenta,
tuttavia,
una
delle
più
frequenti
cause
di
contagio,
dal
momento
che
tali
microrganismi
sono
capaci
di
sopravvivere
a
lungo
(anche
per
mesi)
nell’acqua
di
rubinetto
e
anche
nell’acqua
distillata.
Le
epidemie
di
L.
pneumophila
tendono
a
verificarsi
in
edifici,
soprattutto
ospedali
e
alberghi
o
in
certe
aree
geografiche
quando
l'approvvigionamento
idrico
viene
contaminato
e
i
microrganismi
vengono
diffusi
dai
condensatori
dei
sistemi
di
condizionamento
d'aria
o
da
docce
contaminate.
Il
contatto
interumano
non
ha
invece
molta
importanza
nella
diffusione
della
malattia.
Clinica
1. la
sieroconversione
asintomatica
2. una
malattia
simil-‐influenzale
autolimitantesi
senza
polmonite,
talora
denominata
febbre
di
Pontiac
3. la
malattia
dei
legionari,
la
forma
più
seria
e
più
frequentemente
riconosciuta
caratterizzata
dallo
sviluppo
di
un
quadro
di
franca
polmonite
4. rare
infezioni
localizzate
dei
tessuti
molli
224
238 / 356
La
malattia
dei
legionari
è
responsabile
dell'1-‐8%
di
tutte
le
polmoniti
acquisite
in
comunità
che
necessitano
di
ospedalizzazione
e
del
4%
circa
delle
polmoniti
nosocomiali
letali;
di
solito
la
maggior
parte
dei
casi
è
sporadica,
con
una
predilezione
per
la
tarda
estate
o
l'inizio
dell'autunno.
Sintomi e segni
Il
periodo
di
incubazione
è
di
regola
variabile,
tra
2-‐10
gg.
La
maggior
parte
dei
pazienti
presenta
una
fase
prodromica
simil-‐influenzale
con
malessere
generalizzato,
astenia,
debolezza,
febbre,
cefalea,
artralgie
e
mialgie;
successivamente
compare
la
tosse,
inizialmente
non
produttiva
e
successivamente
può
farsi
produttiva
di
un
espettorato
mucoso
(sotto
il
50%
dei
casi).
Un
aspetto
caratteristico
di
questa
fase
è
la
febbre
alta,
con
brivido,
a
volte
associata
a
bradicardia
relativa.
Meno
frequente,
invece,
l'alterazione
dello
stato
mentale
con
confusione,
letargia
o
delirio.
Tuttavia,
con
l’evoluzione
verso
un
quadro
di
polmonite
lobare
franca
conclamata,
segni
e
sintomi
quali
confusione
mentale
(fino
a
letargia),
convulsioni
e
segni
neurologici
focali,
sono
tuttaltro
che
infrequenti.
La
radiografia
del
torace
in
fase
precoce
mostra
generalmente
un
infiltrato
a
chiazze
unilaterale
a
delimitazione
segmentale
o
lobare.
In
fase
più
avanzata,
molti
pazienti
vanno
incontro
a
un
coinvolgimento
bilaterale
dei
polmoni
e
sono
relativamente
comuni
i
versamenti
pleurici.
Occasionalmente
si
sviluppano
ascessi
polmonari
e
addensamenti
multipli
rotondi
suggestivi
di
emboli
settici.
La
maggior
parte
dei
pazienti
presenta
una
moderata
leucocitosi
con
conta
dei
GB
da
10000
a
15000/µl.
Altri
reperti
di
laboratorio
comuni
sono
l'iponatriemia,
l'ipofosfatemia
e
gli
indici
di
funzione
epatica
alterati.
Occasionalmente
i
pazienti
presentano
un’ematuria
microscopica,
talora
con
alterata
funzione
renale.
Nei
pazienti
con
alterazione
dello
stato
mentale
l’esame
del
liquor
cefalorachidiano
risulta
essere
in
genere
normale.
Nei
pazienti
con
diarrea
la
ricerca
del
sangue
e
dei
GB
nelle
feci
risulta
spesso
negativa.
Diagnosi
Le indagini diagnostiche per l'identificazione delle specie di Legionella sono quattro:
225
239 / 356
diagnostico
del
titolo,
di
solito
osservabile
3-‐6
settimane
dopo
l'inizio
della
malattia,
non
è
in
genere
disponibile
quando
si
devono
prendere
le
decisioni
terapeutiche.
Prognosi e terapia
Anche
con
un
adeguato
trattamento,
la
mortalità
rimane
ancora
alta
(15%
nei
casi
contratti
in
comunità),
specialmente
nei
pazienti
immunodepressi
od
ospedalizzati.
Patogenesi
Una
volta
inalato,
l’agente
patogeno
è
in
grado
di
aderire
stabilmente
alle
cellule
epiteliali
ciliate
della
mucosa
bronchiale,
innescando
una
marcata
reazione
flogistica
locale
(massiva
migrazione
di
elementi
cellulari
infiammatori
polimorfonucleati
e
macrofagi).
Dalla
sede
iniziale
il
processo
di
propaga,
attraverso
il
connettivo
peribronchiale,
fino
all’interstizio
alveolare
e
agli
alveoli
generando
la
polmonite
(all’Rx
torace
gli
addensamenti
tendono
a
propagarsi
dalle
regioni
ilari
in
senso
centrifugo
verso
il
mantello
polmonare).
226
240 / 356
Sintomi
e
segni
Prognosi e terapia
Quasi
tutti
i
pazienti
guariscono
con
o
senza
trattamento.
Poiché
i
micoplasmi
non
hanno
una
parete
cellulare,
essi
non
sono
sensibili
agli
antibiotici
che
interferiscono
nella
struttura
della
parete
cellulare,
compresi
gli
antibiotici
beta-‐lattamici.
I
farmaci
di
scelta
sono
la
Claritromicina
(500
mg/12h
per
os
o
e.v),
Azitromicina
(500
mg/die
per
os),
Levofloxacina
(750
mg/die)
e
la
Doxiciclina
(100
mg/12
h
per
os).
Il
trattamento
antibiotico
riduce
il
periodo
febbrile
e
gli
infiltrati
polmonari
e
accelera
la
risoluzione
dei
sintomi.
Tuttavia,
gli
antibiotici
non
provocano
una
guarigione
microbiologica;
i
pazienti
trattati
continuano
a
essere
portatori
del
microrganismo
per
diverse
settimane.
227
241 / 356
Polmonite
da
Chlamydia
(C.
Pneumoniae
e
Psittaci)
In
questa
sede
tratteremo
brevemente
i
quadri
infettivi
polmonari
conseguenti
all’instaurazione
del
rapporto
infettivo
con
patogeni
quali
Chlamydia
pneumoniae
e
Chlamydia
psittaci,
batteri
gram-‐negativi,
patogeni
per
l'uomo,
intracellulari
obbligati,
responsabili
di
forme
di
polmonite
atipiche
a
preferenziale
interessamento
interstiziale.
Seppur
difficilmente
distinguibili
da
un
punto
di
vista
clinico,
esistono
alcune
importanti
differenze
fra
C.
pneumoniae
e
C.
psittaci,
di
cui
tenere
conto:
• Il
diverso
assetto
antigenico
• La
diversa
via
di
trasmissione:
interumana
per
C.
Pneumoniae;
da
contatto
con
volatili
(anche
“secondo
modalità
inconsuete”
!
siate
fantasiosi)
per
C.
Psittaci
(Piccolo
inciso:
l’infezione
da
C.
trachomatis
rappresenta
una
frequente
causa
di
polmonite
nei
lattanti
di
3-‐8
settimane,
ma
non
è
una
causa
importante
nei
giovani
e
negli
adulti.)
La
C.
pneumoniae
è
stata
isolata
nel
5-‐10%
degli
adulti
più
anziani
con
polmonite
contratta
in
comunità
e
spesso
produce
un
quadro
sufficientemente
grave
da
richiedere
il
ricovero
ospedaliero.
Questo
microrganismo
è
stato
implicato
anche
nel
5-‐10%
di
casi
di
polmonite
nosocomiale,
ma
si
sa
relativamente
poco
sulla
sua
epidemiologia.
Sintomi,
segni
e
diagnosi
La
C.
Psittaci
viene
in
genere
individuata
tramite
metodiche
indirette
come
la
ricerca
di
anticorpi
specifici
(titolo
>
1:64
!
fortemente
sospetto)
Prognosi e terapia
La
risposta
al
trattamento
è
più
lenta
rispetto
alla
polmonite
da
micoplasma
e
i
sintomi
tendono
a
recidivare
se
la
terapia
è
interrotta
troppo
presto.
I
giovani
adulti
solitamente
hanno
un
decorso
favorevole,
ma
la
mortalità
negli
anziani
è
del
5-‐10%.
228
242 / 356
Polmonite
da
Coxiella
Burnetii
La
Febbre
Q,
malattia
acuta
causata
da
Coxiella
burnetii
(Rickettsia
burnetii),
è
stata
individuata
per
la
prima
volta
dal
patologo
australiano
Edward
Holbrook
Derrick,
nel
1937,
mentre
analizzava
un
paziente
che
lavorava
in
un
mattatoio
di
Brisbane.
La
denominazione
Q
sta
per
query
(termine
inglese
per
domanda)
ad
indicare
l'assoluta
indeterminazione
del
fattore
patogeno
della
malattia,
che
venne
individuato
nello
stesso
anno
dai
virologi
Frank
Macfarlane
Burnet
e
Mavis
Freeman
che
isolarono
il
microrganismo
da
uno
dei
pazienti
di
Derrick.
Sintomi e segni
Circa
un
terzo
dei
pazienti
con
febbre
Q
protratta
sviluppa
epatite,
caratterizzata
da
febbre,
malessere
generale,
epatomegalia
con
dolore
addominale
al
quadrante
superiore
dx
e
talvolta
ittero.
I
campioni
bioptici
del
fegato
mostrano
diffusi
cambiamenti
granulomatosi
e
permettono
l'identificazione
della
C.
burnetii
con
l’immunofluorescenza.
La
cefalea
e
i
segni
respiratori
sono
invece,
spesso,
assenti.
Tuttavia,
la
polmonite
lobare
può
essere
particolarmente
grave
in
pazienti
anziani
o
debilitati.
Esistono inoltre diverse forme di febbre Q cronica, con epatite cronica ed endocardite.
Diagnosi
La
diagnosi
è
in
genere
posta
sulla
base
della
clinica,
dei
dati
laboratoristici
(leucopenia
con
linfocitosi
relativa,
VES
normale),
dei
dati
radiologici
ma
soprattutto
sulla
dimostrazione
di
Anticorpi
circolanti
nel
siero
del
paziente
a
partire
da
2-‐4
settimane
229
243 / 356
dall’inizio
della
malattia.
La
febbre
Q
nella
fase
iniziale
è
simile
a
molte
malattie
infettive,
come
influenza,
altre
infezioni
virali,
salmonellosi,
malaria,
epatite
e
brucellosi;
in
seguito,
somiglia
a
molte
forme
di
polmonite
batterica,
virale
e
da
micoplasmi.
Un
dato
importante
da
indagare
all’anamnesi
è
l’eventuale
contatto
con
animali,
prodotti
animali
o
zecche.
Profilassi
Terapia
230
244 / 356
26| 03 | 2018 Malattie infettive
Prof. Corti
Polmoniti e broncopolmoniti
Polmoniti e broncopolmoniti in genere si classificano:
‐ dal punto di vista anatomopatologico in alveolari, interstiziali e miste (forme necrotiche, necrotico‐
emorragiche e da aspirazione)
‐ dal punto di vista epidemiologico in forme domiciliari e nosocomiali, che sono forme diverse per
eziologia e per il diverso pattern di resistenza dei batteri gli antibiotici.
‐ dal punto di vista eziologico in base ai patogeni coinvolti: pneumococcica, da micoplasma ecc.
In generale da patogeni comuni o a volte atipici.
Per quanto riguarda le forme alveolari il vecchio prototipo era la polmonite franca lobare da
pneumococco che ormai si vede raramente e che può interessare tutto un lobo, un segmento di un lobo
(avremo quindi una forma segmentaria o sub‐segmentaria) oppure può essere a focolai multipli con
delle forme anche bilaterali che ovviamente sono più gravi perché determinano una ipossiemia più
marcata.
In generale le forme alveolari sono broncopolmoniti che interessano il parenchima polmonare ed
anche l’albero bronchiale.
Le forme interstiziali coinvolgono il polmone al livello del connettivo e dello stroma: essenzialmente
a livello del setto inter‐alveolare.
Le forme necrotizzanti danno necrosi e possono poi evolvere verso la formazione di un ascesso o
verso complicanze più gravi (come può accadere anche per le forme alveolari).
Come avevamo detto distinguiamo le forme comunitarie (in genere da pneumococco, H. influenze o
virus) e nosocomiali che sono perlopiù da bacilli Gram negativi, da S. aureus (che spesso è meticillino‐
resistente quando è ospedaliero), qualche volta anche da funghi e da microrganismi anaerobi nelle
forme da aspirazione.
Lo stafilococco aureo contratto in ospedale nel 35% dei casi è meticillino resistente.
Non vi è dubbio che chi la fa da padrone è lo pneumococco, poi ci possono essere le forme più gravi
setticemiche con contemporaneo interessamento del torrente circolatorio.
Le differenze eziologiche in percentuale variano per determinate condizioni come, ad esempio, l’età: il
M. pneumoniae è tipico del giovane, mentre le forme da pneumococco interessano soprattutto i
soggetti anziani.
I gram negativi come H. Influenzae interessano soprattutto I bambini non vaccinati e gli anziani; altri
gram negativi come la Klebsiella o E. coli sono coinvolti prevalentemente nelle forme nosocomiali.
Altri cocchi Gram positivi oltre lo pneumococco possono essere lo stafilococco e lo streptococco: le
polmoniti stafilococciche sono tipiche complicanze delle influenze vere.
166
245 / 356
Ci sono poi agenti causali di polmonite atipica: sono agenti intracellulari come la Clamidia pneumoniae,
la Clamidia psittaci, la Coxiella bruneti e la Legionella che dà dei quadri comunitari misti (alveolari‐
interstiziali). Queste forme da patogeni intracellulari sono importanti dal punto di vista terapeutico
perché ci precludono l’uso di determinate categorie di farmaci: non è possibile trattarle con, ad
esempio, beta lattamina.
Vi sono poi le forme da virus, che dobbiamo considerare soprattutto nel periodo invernale, e
l’influenza classica, che si può complicare sovra‐infettandosi con una polmonite stafilococcica oppure
può complicarsi di per sé con un interessamento polmonare sempre da virus influenzale.
È molto comodo usare la distinzione tra forme alveolari e forme interstiziale perché diversa è la
clinica, diversa è l’obiettività, diversa è la radiologia e diversa è anche la terapia poiché diversi sono i
patogeni che le causano.
167
246 / 356
Nelle forme interstiziali l’obiettività o è negativa o è più sfumata rispetto alle forme alveolari:
‐ il FVT in genere è normale;
‐ non c’è ottusità percussoria;
‐si può sentire qualche fine crepitio.
168
247 / 356
La procalcitonina può essere un marker utile non solo nelle sepsi, ma anche nelle polmoniti
soprattutto nella forma da piogeni classici come lo pneumococco, poiché può essere aumentata a
differenza delle forme interstiziali in cui non è mai aumentata.
Anche la radiografia è
diversa nelle due forme:
Nelle forme alveolari vi
sono uno o più punti di
opacità omogenea, a
seconda che la polmonite
sia localizzata o a focolai
multipli.
Queste aree di opacità
netta con margini
evidenti, raramente
interessano tutto un lobo,
ma al limite un segmento
ed appaiono come
macchie biancastre in un contesto scuro poiché l’aria presente nei polmoni è radio trasparente.
C’è inoltre una corrispondenza molto importante tra la gravità della radiografia e la gravità dell’esame
obiettivo: nel senso che i segni che si vedono all’esame obiettivo corrispondono al focolaio
parenchimale che si apprezza nella radiografia del torace.
169
248 / 356
Nelle forme interstiziali, invece più che un addensamento si ha un quadro di sfumato interessamento e
rinforzo della trama connettivale: un quadro reticolare, reticolo‐nodulare, a nido d’ape ed a volte a
vetro smerigliato quando è diffuso.
E’ difficile che si veda l’addensamento vero e proprio e vi è una netta discrepanza tra l’evidenza
radiologica e l’obiettività, che come vi ho detto potrebbe essere anche tutto sommato sfumata e
potrebbe essere apprezzato solo qualche fine crepitio.
Laddove si voglia essere invasivi per andare alla ricerca di una diagnosi eziologica si può fare un
esame del bronco aspirato, un BAL richiedendo sia l’esame microscopico, sia l’esame colturale e la PCR
se disponibile.
Non ci si deve mai esimere dal fare le emocolture, soprattutto se il paziente è febbrile perché alcune
forme di polmonite possono essere batteriemiche;
molto importante è anche la ricerca degli antigeni urinari che sono orientati all’identificazione di
Legionella e pneumococco.
Poiché è un test molto rapido la risposta ci viene data dal laboratorio in un paio d’ore e se si tratta di
una forma da pneumococco questo ci permette di effettuare una terapia con la semplice cefalosporina
ad esempio, mentre se è legionella dobbiamo confermare quella che è la terapia in genere iniziale per
una polmonite comunitaria con un antibiotico che comprenda anche la legionella, la quale altrimenti
non sarebbe eliminata se si usasse da sola ad esempio una cefalosporina o una beta lattamina;
infine, possono essere utili indagini sierologiche soprattutto se si sospetta una polmonite da virus o
per la coxiella, le clamidie e la legionella, come può essere utile anche effettuare il tampone per
l’influenza per escludere anche una eziologia di questo tipo soprattutto nella stagione fredda.
170
249 / 356
Ecco qualche dato sulla stagionalità delle polmoniti:
Lo pneumococco in genere lo si trova d’inverno, come anche lo S. aureus;
Poi ci sono delle forme tipicamente estive come quelle da Enterovirus o da Legionella, in questo caso
legate agli impianti di condizionamento ed ai viaggi: ad esempio al pernottamento in alberghi con
presenza di legionella nelle tubature dell’acqua.
171
250 / 356
Polmonite pneumococcica
Tenete presente che lo pneumococco è albergato nel faringe di molti di noi, non tanto degli adulti
quanto soprattutto nell’età pediatrica, quindi è molto probabile che possa da qui diffondere e dare
delle forme di sepsi, polmonite, otite, sinusite e meningite.
Per questi motivi è l’agente eziologico di polmonite alveolare più frequente, soprattutto nei soggetti
che hanno deficit immunitario oppure nei soggetti splenectomizzati o che hanno una disfunzione della
milza, i quali devono sempre fare la vaccinazione per i batteri capsulati (pneumococco, meningococco
ed H. Influenzae in particolare).
172
251 / 356
Può conseguire anche ad infezioni più banali delle vie aeree superiori, come un’otite nel bambino o
una sinusite nell’adulto ed essere presente in soggetti che sono immunodepressi per varie cause come
il diabete, l’HIV.
Altri fattori predisponenti sono l’alcolismo, lo scompenso cardiaco e la BPCO.
L’infezione da pneumococco è una forma che esordisce in genere bruscamente: si ha febbre con
brivido, tosse con espettorato, ci può essere dispnea e dolore da risentimento pleurico concomitante:
da una polmonite si avere una pleuropolmonite.
Queste sono le manifestazioni tipiche:
All’esame obiettivo abbiamo aumento del FVT, ottusità alla percussione, rumori umidi
all’auscultazione e riduzione del murmure vescicolare.
Come complicanze si possono avere delle ascessualizzazioni a livello sempre polmonare, si possono
avere delle localizzazioni a distanza in seguito a sepsi con ascessi in altre aree (per esempio a livello
cerebrale), si può avere meningite, endocardite e coinvolgimento osteo‐articolare.
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio essendo una polmonite alveolare è chiaro che si avrà
leucocitosi neutrofila; c’è un aumento della VES, proteina C reattiva e del fibrinogeno particolarmente
marcato.
173
252 / 356
La diagnosi si fa tramite emocolture (che tuttavia sono positive solo in una minoranza delle forme
pneumococciche), tramite l’esame dell’escreato, del bronco aspirato, del BAL e con la ricerca degli
antigeni urinari.
La radiografia mostra addensamenti di grado variabile che coinvolgono aree di varia entità (dalla
polmonite lobare di una volta a quella sub‐segmentale) con versamento pleurico concomitante in una
buona percentuale dei casi.
Qui a sinistra c’è un addensamento abbastanza netto che interessa quasi tutto il lobo inferiore sinistro,
a destra invece vediamo una polmonite quasi sub‐segmentale con l’interessamento del lobo inferiore
destro.
174
253 / 356
Polmonite da Legionella
Un’altra polmonite importante è quella da legionella, batterio Gram negativo ubiquitario che provoca
infezione in vari modi: tramite aerosol di piccole particelle provenienti da doccia o rubinetti,
nebulizzatore, umidificatore e condizionatori; in caso di scavi stradali può essere anche presente nel
pulviscolo.
C’è stata una maggiore incidenza delle infezioni in Toscana dal 1997 al 2015, con un significativo
aumento dei casi non si sa se per un aumento effettivo o per una maggiore coscienza del problema
legionella e quindi maggiore ricerca tramite indagine microbiologica di questo patogeno altrimenti
difficile da identificare.
È un batterio tipico delle forme nosocomiali soprattutto in certe realtà come i reparti di terapia
intensiva, ma si può riscontrare anche se con una frequenza non particolarmente elevata, nelle forme
domiciliari.
175
254 / 356
176
255 / 356
Manifestazioni cliniche
Anche qui c’è una comparso un po’ brusca con la febbre con brividi, però presenta un quadro molto più
variopinto non solo a livello respiratorio ma anche sistemico: i pazienti possono manifestare cefalea,
diarrea, ci può essere un’alterazione dello stato di coscienza con confusione e agitazione.
Vi sono poi i classici segni respiratori come la tosse che in genere è secca, o se produttiva presenta
escreato mucoso o muco‐purulento
Esame obiettivo
Le infezioni da legionella possono essere sia alveolari, sia interstiziale che miste: quindi possiamo
trovare un po’ di tutto.
Possono esserci rantoli, ottusità alla percussione oppure possiamo avere obiettività negativa o segni
leggermente sfumati nel caso sia una polmonite interstiziale.
Dati di laboratorio
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, a parte la leucocitosi neutrofila e l’aumento degli indici di
infiammazione che possono essere presenti, abbiamo questi due segni che sono abbastanza tipici: la
riduzione della sodiemia e l’alterazione degli indici di funzionalità epatica: in particolare degli indici di
citolisi quindi transaminasi e LDH.
In un paziente con polmonite che ha il sodio ematico basso e l’alterazione delle transaminasi bisogna
subito pensare alla legionella e fare delle indagini sierologiche dell’antigene urinario per evidenziare la
presenza meno di questo patogeno.
Poi vi possono essere anche dei segni di alterazione renale con contrazione della diuresi, iperazotemia
e ipercreatininemia che sono indice della ridotta funzione dell’emuntorio renale.
Diagnosi
Quello che ci dà una risposta in tempi brevi è l’antigene urinario: noi dobbiamo mandare laboratorio
un campione di urine con richiesta di ricerca di antigene urinario che è indicativo per legionella e per
lo pneumococco, che sono tre i principali agenti di polmonite, e la risposta ci verrà data nel giro di
poche ore; per l’indagine sierologica (immunofluorescenza o test ELISA) ci vuole del tempo.
Alla radiografia del torace ci può essere di tutto: interessamento alveolare, interstiziale o misto e ci
può essere un versamento pleurico. Quello che è significativo è che mentre la radiografia del torace si
negativizza rapidamente nel caso di una normale polmonite da pneumococco (nel giro di 2‐3
settimane al massimo), nel caso della legionella anche a tre mesi di distanza nella maggior parte dei
casi l’indagine radiologica sarà positiva.
Qui a sinistra è evidente un addensamento abbastanza netto, si può dire che sia una polmonite lobare e
quindi una forma alveolare. A destra si vede un interessamento più sfumato. È interessato un po’ tutto
il polmone con un rinforzo diffuso della trama: questa è un’interstiziopatia piuttosto importante di
tipo reticolo‐nodulare con evidente scissura a livello del lobo medio e con un addensamento un po’ più
evidente sempre a livello del lobo medio. Il polmone sinistro è sostanzialmente non alterato se non
leggermente a livello degli apici.
177
256 / 356
Terapia
La terapia non comprende le beta lattamine poiché la legionella è un patogeno intracellulare e le b‐
lattamine non hanno capacità di penetrazione intracellulare, per cui ci vuole o il chinolone o il
macrolide ed al limite anche la rifampicina associata ad uno dei due soprattutto se la forma è
abbastanza grave, ma fondamentali sono i primi due ed in particolar modo da un po’ di anni la terapia
con chinoloni è diventata quella di prima scelta per il trattamento delle polmoniti da legionella.
La terapia ha una durata di circa due settimane, quindi è una terapia un po’ più prolungata rispetto a
quella per le comuni polmoniti batteriche.
Polmoniti interstiziali
Tra le forme interstiziali ci sono della forme da batteri che sono, oltre la legionella (che può dare dei
quadri misti oltre a quelli prettamente alveolari), il M. Pneumoniae, la Coxiella brunetii e le due
clamidie respiratorie (C. psittaci e C. pneumoniae); ci sono poi tutta una serie di virus pneumotropi che
sono quelli classici delle infezioni respiratorie: il virus respiratorio sinciziale nei bambini, i virus para
influenzali, l’adenovirus, nonché altri virus come il Coxackie A ed i virus erpetici come il CMV, il
morbillo e la varicella zoster. Come vedete ci sono degli esantemi infantili classici che si possono
complicare con una forma polmonare.
178
257 / 356
POLMONITE DA MYCOPLASMA PNEUMONIAE
Manifestazioni cliniche
Si manifesta con interessamento misto sia delle alte che delle basse vie respiratorie, quindi con tosse,
rinorrea, starnuti ecc. e con tosse ovviamente secca e quasi mai produttiva. Si manifesta anche con
febbre ed elementi della sindrome simil‐influenzale: malessere, dolori, cefalea e l’astenia.
Esame obiettivo
All’ auscultazione si può sentire qualche piccolo rantolo o crepitio e niente di più.
Non vi sono addensamenti radiologici evidenti, ma solo forme molto sfumate.
I dati di laboratorio sono molto aspecifici: non c’è leucocitosi neutrofila e si vede l’aumento modesto
degli indici di flogosi (VES e PCR).
179
258 / 356
Diagnosi
La diagnosi solitamente si fa con il movimento sierologico specifico (cioè con le evidenze delle igM),
con il test ELISA e con il test delle autoemoagglutinine a freddo che è positivo in oltre la metà dei casi.
In genere il test di routine è quello alla ricerca standard degli anticorpi di classe IgG e IgM.
All’rx del torace si può riscontrare un aspetto a vetro smerigliato, se l’interessamento è diffuso,
oppure degli infiltrati interstiziali in genere singoli, reticolari o reticolo‐nodulari che sono più evidenti
rispetto a quella che è l’obiettività che come abbiamo visto è scarsa.
Qui vedete un interessamento bilaterale, che coinvolge entrambe le basi: non ci sono addensamenti
veri e propri, ma vedete questo rinforzo della trama, questo bianco non particolarmente addensato
perché ci sono solo infiltrati abbastanza modeste.
Può esserci qualche complicanza, ma non sono molto frequenti mentre la terapia si basa
principalmente su macrolide o in alternativa sulla tetraciclina.
Il fluorochinolone è inutile sprecarlo per una polmonite da M. pneumoniae poiché ha una letalità
inferiore all’1% anche in assenza di terapia, infatti quasi tutte queste forme guariscono da sole.
180
259 / 356
Polmonite da Chlamydia pneumoniae
La clamidia da delle forme abbastanza simili sa dal punto di vista radiologico, sia un punto di vista
clinico.
Si manifesta con febbre e tosse secca stizzosa non produttiva.
Ci possono essere sia rumori secchi che umidi all’auscultazione ed ha quindi le caratteristiche tipiche
di una polmonite interstiziale.
Non c’è la possibilità di isolare microbiologicamente questi patogeni, per cui bisogna fare
semplicemente la diagnosi sierologica tramite il movimento anticorpale (tra un primo ed un secondo
prelievo ci sarà la salita del titolo anticorpale) o semplicemente con dei test per le igM che ovviamente
saranno positivi.
Terapia
La terapia di scelta è quella con i macrolidi.
Come vedete in tutte queste forme da legionella,
clamidie, micoplasma e anche da coxiella sono efficaci
queste tre classi di antibiotici: i macrolidi, le tetracicline
ed i chinoloni.
181
260 / 356
Polmonite da Chlamydia psittacii
Manifestazioni cliniche
Si manifesta con i quadri classici delle polmoniti interstiziali, ma a volte si manifesta anche con dei
rush cutanei che ricordano la rosolia e con alterazione della frequenza respiratoria e cardiaca: si
avranno tachipnea e bradicardia relativa perché è più bassa la frequenza cardiaca in relazione allo
stato febbrile che si manifesta.
Il paziente avrà una tosse secca ed ovviamente non produttiva perché è una polmonite interstiziale.
All’esame obiettivo si possono riscontrare dei fini crepitii, mentre agli esami di laboratorio non si
rilevano grosse alterazione della formula leucocitaria.
182
261 / 356
Le complicanze tutto sommato sono rare, mentre la terapia è sempre la stessa: si utilizzano o il
macrolide o la tetraciclina con qualche piccola differenza tra un tipo di clamidia e l’altra (per la C.
psittaci è più efficace la tetraciclina, mentre per la C. pneumoniae è meglio usare il macrolide).
Si manifesta essenzialmente con tosse secca e febbre, in aggiunta a sintomi similinfluenzali come
atromialgie, nausea, diarrea, vomito e talora anche con fotofobia, rigidità ed alterazioni meningee,
anche se non particolarmente evidenti, non come una meningite classica.
All’ esame obiettivo si riscontra qualche crepitio, mentre per quanto riguarda i dati di laboratorio gli
indici di flogosi possono anche essere normali e nella formula leucocitaria si può riscontrare una
linfocitosi relativa perché non essendo piogeni questi patogeni non danno una leucocitosi neutrofila.
La diagnosi si fa anche in questo caso tramite movimento anticorpale.
All’esame radiologico si riscontrano quadri reticolo‐nodulari più o meno estesi: in questo caso a
destra monolaterale, Mentre a sinistra si riscontra un interessamento bilaterale con piccoli focolai
multipli. A livello interstiziale si vede un rinforzo alla trama, ma non un addensamento netto come
nelle forme alveolari.
183
262 / 356
La terapia prevede prevalentemente l’uso della doxiciclina, perché è quella più attiva nei confronti
della Coxiella.
Polmoniti necrotizzanti
Le polmoniti necrotizzanti sono delle forme caratterizzate dall’evoluzione verso la necrosi, la
formazione di ascessi, verso l’empiema e verso anche delle piccole emorragie a livello del parenchima
polmonare.
Sono causate nella maggioranza dei casi da batteri anaerobi della flora orale (peptococchi,
peptostreptococchi e fusobacterium), soprattutto in soggetti con dei deficit dello stato di coscienza
come anziani allettati sia a casa sia soprattutto nelle case di riposo e in ospedale. Altre forme sono
determinate dai patogeni ‘classici’ che danno svariati tipi di polmoniti, da germi piogeni oltre che da
patogeni simil‐fungini come l’Actinomyces.
Tra le condizioni predisponenti, oltre alle condizioni immunosoppressive, la perdita dello stato di
coscienza come già detto è la più frequente perché può provocare il passaggio di questi batteri dalla
flora orale alle vie respiratorie.
184
263 / 356
Manifestazioni cliniche
Si manifestano con febbre, spesso febbricola perché i soggetti che si
ammalano sono prevalentemente anziani ed il loro sistema
immunitario è meno efficiente ed anche la tosse si manifesta con
entità minore. La tosse per l’appunto è spesso produttiva con un
escreato fetido, di cattivo odore perché queste sono polmoniti che
determina necrosi del parenchima polmonare. Si manifesta anche
dolore per associato interessamento pleurico.
Alla radiografia del torace vediamo un interessamento basale sinistro mentre in quella di destra
notiamo un interessamento molto più diffuso quindi è una polmonite a focolai multipli .
Il quadro classico è quello del paziente con polmonite che si presenta al pronto soccorso, già
indirizzato dal medico di base o dalla guardia medica che hanno evidenziato il sospetto clinico di
polmonite.
Una volta questo succedeva meno perché il medico visitava il paziente a domicilio, faceva diagnosi ed
iniziava una terapia antibiotica empirica da fare a casa per via orale o per via parenterale e quindi il
paziente veniva gestito a casa, se non aveva patologie di fondo che potessero complicare il quadro
clinico. Ora quasi tutti i pazienti vengono mandati in pronto soccorso e tra le metodiche per decidere
se ospedalizzare il paziente o mandarlo a casa con adeguate coperture antibiotiche si utilizzano dei
punteggi come quello qui riportato, lo Score CURB65, che assegna punteggi a seconda della presenza
o meno di queste cinque variabili
(confusione mentale, iperazotemina,
tachipnea, ipotensione, età anziana) e se
è positivo solo uno di questi il rischio di
mortalità è molto basso, quindi si può
rimandare il paziente a domicilio; se il
punteggio è 2 il rischio è intermedio;
mentre con un punteggio da 3 a 5
abbiamo un rischio di mortalità elevato ed è quindi facile che il paziente finisca in rianimazione.
185
264 / 356
A domicilio come si tratta la polmonite?
Queste sono le linee guida britanniche, che coprono essenzialmente i germi più comuni con
l’amoxicillina,neanche protetta dall’acido clavulanico: consigliano lo zimox (tenete presente che gli
inglesi non hanno molto a che fare con patogeni interstiziali, non si curano molto ad esempio della
legionella perché da loro è molto rara mentre per quanto riguarda il micoplasma si tratta
prevalentemente di forme mai mortali che tendono a guarire spontaneamente).
Solo in caso di ipersensibilità consigliano la tetraciclina, la doxiciclina in particolare e quelle a basso
dosaggio più recenti o in alternativa il macrolide, in genere non la vecchia retromicina ma quelli più
recenti. Questo se non ci sono grossi tassi di resistenza degli pneumococchi, che in Italia sono circa al
10‐15% resistenti alla penicillina; ci sono alti tassi di resistenza non solo alla penicillina ma anche al
macrolide a cui lo pneumococco è in genere più resistente. Si preferisce in questi casi l’uso del
fluorochinolone: la levo/moxifloxacina.
In ospedale il quadro è diverso e più impegnativo all’inizio, quando non si conosce l’eziologia della
polmonite e quindi bisogna coprire sia il patogeno piogeno comune, sia i patogeni intracellulari:
la cosa migliore secondo le linee guida europee è quindi trattare il paziente con il macrolide più
recente in aggiunta alla beta‐lattamina.
Quello che facciamo in ospedale, nel reparto malattie infettive è la terapia con cefalosporina di III
generazione, cioè quella classica che si utilizza anche nelle meningiti, più l’azitromicina che è il
macrolide che si somministra una volta al giorno: questa è la terapia standard per una polmonite
domiciliare trattata in ospedale, in un reparto normale. In alternativa si può utilizzare fin da subito il
fluorochinolone anti‐pneumococcico, cioè la levo/moxifloxacina, anche se si tende generalmente a
risparmiarla poiché oggi c’è un grande spreco di chinoloni, con aumento conseguente delle resistenze:
tra le E. coli isolate dalle urine circa il 50‐% sono resistenti ai chinoloni.
Un altro consiglio, se c’è il rischio di patogeni gram negativi produttori di b lattamasi a spettro espanso
(casi rari), è che la B‐ lattamina in uso dev’essere un carbapenemico, come ad esempio l’ertapenem che
si somministra una volta al giorno.
186
265 / 356
Se il paziente ha una forma di polmonite grave che lo manda in rianimazione:
‐se non c’è il rischio di P. aeruginosa, la terapia è simile a quella del ricovero in un reparto normale per
una polmonite di intensità media;
‐se invece c’è il rischio di Pseudomonas perché abbiamo un paziente immunodepresso, soprattutto se
sottoposto a trapianto di midollo, la terapia prevede l’uso della b‐lattamina anti‐Pseudomonas in
aggiunta al fluorochinolone che da un aiuto in più e copre anche la legionella, che potrebbe anche
essere il probabile agente eziologico poiché le polmoniti da legionella spesso sono così gravi da
mandare il paziente in rianimazione.
Altrimenti al posto del chinolone si può utilizzare l’aminoglucoside più il macrolide.
Come si monitora la risposta alla terapia? Soprattutto nei casi in cui non vi è un isolamento del
patogeno e quindi non si sa con esattezza se quest’ultimo è sensibile all’antibiotico impiegato.
187
266 / 356
Si valutano semplicemente le condizioni cliniche: se il paziente ha una ‘buona cera’, migliore di quando
è entrato possiamo supporre che la terapia
utilizzata è corretta.
Se il paziente sfebbra è un buon segno, come anche
il miglioramento dei parametri respiratori
(ossigenazione del sangue) ed emodinamici
(pressione e frequenza).
La proteina C reattiva, prima ancora della
procalcitonona, è il principale indice da
monitorare: va controllata all’inizio della terapia
antibiotica e dopo 4‐5 giorni si può notare, in caso
di terapia antibiotica efficace, una diminuzione significativa, anche un dimezzamento.
La rx del torace, almeno nell’immediato, non da indicazioni significative perché abbiamo visto che
nelle forme da patogeni intracellulari si negativizza molto rapidamente.
Quando in genere non sono presenti da almeno 24h due o più di questi segni qui riportati, che possono
essere presenti all’inizio e sono indice di una forma di polmonite abbastanza impegnativa.
‐se la polmonite non è grave, non c’è rischio di S. aureus meticillino‐resistente (MRSA) e se si
manifesta precocemente nei primi giorni del ricovero è probabile che sia dovuta a patogeni tipici delle
forme domiciliari (pneumococco, H. influenzae, S. aureus meticillino‐sensibile …) e si effettua la
terapia standard con una beta‐lattamina o fluorochinolone.
‐Se la polmonite non è grave, ma c’è rischio di MRSA la terapia è come quella precedente, ma più
impegnativa con un carbapenemico insieme ad un agente anti‐MRSA: la Vancomicina, quella di
riferimento, o il Linezolid che è il farmaco più innovativo e penetra meglio a livello dell’albero
respiratorio.
‐se abbiamo un paziente in rianimazione con una polmonite grave e c’è rischio di MRSA in genere si
utilizzano tre farmaci: due tra beta‐lattamina, aminoglucoside e fluorochinolone in aggiunta all’agente
anti MRSA (Vancomicina o Linezolid).
La terapia dura in genere 7 giorni, almeno per le forme da patogeni tipici. Per i patogeni atipici la
durata è maggiore: nel caso della legionella si va da 2 settima a circa 3 per i pazienti immunodepressi.
188
267 / 356
189
268 / 356
22.
Diarree
Infettive
Il
termine
“diarrea”
identifica
un
disturbo
clinico
caratterizzato
da
un
aumento
della
quantità
di
acqua
nelle
feci
che
si
traduce
conseguentemente
in
un
incremento
della
fluidità
(DD
con
le
pseudo
diarree:
aumento
del
numero
delle
evacuazioni
in
assenza
di
una
variazione
della
consistenza)
e
del
volume
delle
stesse
(superiore
ai
200g/die),
associandosi
poi,
abitualmente,
ad
un
aumento
del
numero
di
evacuazioni
giornaliere
(superiore
a
3).
Ciò
si
traduce,
da
un
punto
di
vista
clinico,
in
una
serie
di
segni
e
sintomi
fra
loro
variamente
combinati
e
di
diversa
entità,
tra
i
quali
spiccano
il
sintomo
dell’urgenza/impellenza
evacuativa,
il
dolore/fastidio
anale
e
perianale
e
l’incontinenza
fecale.
Un
primo
approccio
classificativo,
puramente
clinico,
prevede
la
suddivisione
delle
diarree
in
acute
e
croniche:
1. Acute:
durata
inferiore
alle
4
settimane;
le
forme
infettive
sono
di
gran
lunga
le
più
comuni,
rappresentando
oltre
il
70%
dei
casi,
mentre
nel
restante
30%
dei
casi
la
diarrea
può
rappresentare
un
insidioso
sintomo
d’esordio
di
patologie
organiche.
2. Croniche:
durata
superiore
alle
4
settimane
(tipicamente
2-‐4
evacuazioni/die,
associate
a
Sindromi
da
Malassorbimento);
è
possibile
suddividerle
in
forme
infiammatorie
classiche
(MICI)
e
non
infiammatorie
(ad
esempio
disordini
funzionali
come
la
S.
Intestino
Irritabile)
Da
un
punto
di
vista
fisiopatologico
è
invece
possibile
classificare
le
diarree
in
osmotiche,
secretorie,
infiammatorie,
motorie:
231
269 / 356
232
270 / 356
In
base
all’eziologia:
1. Diarree
non
infettive
2. Diarree
infettive:
acute
(virali,
batteriche),
croniche
(protozoarie,
elmintiche)
A
tal
riguardo
è
bene
precisare
fin
da
subito
che
esiste
un
diverso
pattern
di
distribuzione
fra
paesi
“sviluppati”
e
paesi
“in
via
di
sviluppo”:
nel
primo
caso
a
prevalere
di
gran
lunga
come
agenti
causali
di
gastroenteriti
sono
diversi
tipi
di
virus
e
batteri,
in
genere
causanti
quadri
acuti
autolimitanti
e
a
prognosi
complessivamente
benigna;
nei
paesi
del
“terzo
mondo”,
invece,
le
diarree
su
base
infettiva
rappresentano
un
problema
decisamente
più
consistente,
ad
alto
grado
di
morbosità
e
mortalità,
soprattutto
fra
gli
infanti
ed
è
possibile
riconoscere
molti
differenti
agenti
patogeni
sia
per
forme
acute
(batteri
in
particolare,
ma
non
dimentichiamoci
di
virus
come
l’HAV)
e
croniche
(protozoi
ed
elminti).
1)
GASTROENTERITI
ACUTE
VIRALI
Ezio-‐fisiopatologia
Le
gastroenteriti
virali
rientrano
sicuramente
ancora
oggi
tra
le
più
frequenti
cause
di
diarrea
nei
paesi
industrializzati.
Cinque
sono
le
categorie
di
virus
ritenute
essere
le
maggiori
responsabili
della
gastroenterite:
i
rotavirus,
i
calicivirus
(incluso
il
virus
di
Norwalk),
l'adenovirus
enterico
(sierotipi
40
e
41),
gli
astro
virus
e
il
virus
dell’epatite
A
(l’impatto
di
quest
ultimo
nei
paesi
industrializzati
è
stato
decisamente
ridimensionato,
grazie
soprattutto
al
miglioramento
delle
condizioni
igienico-‐sanitarie).
Per
molte
forme
virali
non
è
stata
ancora
definita
una
chiara
sequenza
patogenetica;
nella
maggior
parte
dei
casi
il
modello
di
riferimento
sembra
essere
quello
del
diffusissimo
Rotavirus,
il
quale
infetta
e
distrugge
in
modo
assai
selettivo
gli
enterociti
233
271 / 356
maturi
dell’intestino
tenue,
cui
segue
il
ripopolamento
della
superficie
dei
villi
da
parte
di
cellule
secretorie
immature,
con
conseguente
perdita
delle
funzioni
assorbenti
e
secrezione
netta
di
acqua
ed
elettroliti,
accentuati
da
una
diarrea
osmotica
dovuta
all’incompleto
assorbimento
delle
sosanze
nutritive.
Epidemiologia
I
rotavirus
sono
la
causa
più
frequente
di
diarrea
infantile
disidratante
grave
(picco
d'incidenza,
4-‐24
mesi)
e
di
mortalità
per
diarrea
in
tutto
il
mondo.
Sono
virus
altamente
contagiosi,
la
cui
carica
infettante
minima
è
stimata
essere
intorno
alle
10
particelle
virali!
Le
epidemie
sono
comuni,
specialmente
negli
ospedali
e
nelle
scuole
materne.
La
maggior
parte
delle
infezioni
avviene
attraverso
una
via
di
trasmissione
fecale-‐orale,
ovvero
tramite
l’ingestione
di
acqua
o
cibo
contaminati;
gli
adulti,
tuttavia,
possono
infettarsi
anche
per
stretto
contatto
con
un
lattante
infetto
o,
raramente,
per
via
respiratoria
(la
malattia
è
comunque
più
lieve
e
decisamente
meno
rischiosa
che
per
l’infante).
I
sierotipi
40
e
41
dell'adenovirus
sono
la
seconda
causa
più
comune
della
gastroenterite
virale
dell'adolescenza
dopo
il
rotavirus.
L'infezione
si
verifica
durante
tutto
l'anno,
con
un
lieve
aumento
in
estate.
I
bambini
sotto
i
due
anni
sono
la
categoria
maggiormente
colpita
e
la
trasmissione
si
verifica
da
persona
a
persona
attraverso
la
via
di
trasmissione
oro-‐fecale.
Si
conosce
meno
a
proposito
dell'epidemiologia
dei
calicivirus
non
Norwalk
e
degli
astrovirus.
Entrambi
possono
infettare
persone
di
tutte
le
età,
ma
di
solito
infettano
i
lattanti
e
i
bambini
piccoli.
Le
infezioni
da
calicivirus
si
verificano
durante
tutto
l'anno,
mentre
le
gastroenteriti
causate
dagli
astrovirus
sono
più
frequenti
durante
l'inverno.
La
trasmissione
avviene
generalmente
attraverso
la
via
fecale-‐orale.
Sintomi
e
segni
Il
periodo
di
incubazione
è
variabile:
si
va
dalle
36-‐48
ore
dei
Rotavirus
ai
7-‐10
giorni
degli
Adenovirus.
La
diarrea
acquosa
rappresenta
di
gran
lunga
il
sintomo
più
frequente
(le
feci
raramente
contengono
del
muco
o
del
sangue).
I
reperti
obiettivi
(ad
esempio
le
membrane
mucose
secche,
la
tachicardia)
sono
aspecifici
e
correlati
al
grado
di
disidratazione.
I
lattanti
e
i
bambini
piccoli
affetti
da
una
gastroenterite
da
rotavirus
possono
avere
una
grave
diarrea
acquosa
che
dura
da
cinque
agli
otto
giorni
e
causa
più
spesso
una
disidratazione
isotonica.
Il
vomito
si
verifica
nel
90%
dei
pazienti
e
la
febbre
superiore
ai
39°C
si
verifica
in
circa
il
30%
dei
casi.
Il
norovirus
causa
tipicamente
un
vomito
a
inizio
acuto,
dolori
addominali
crampiformi
e
diarrea,
con
sintomi
che
durano
solo
1-‐2
giorni.
Nei
bambini,
il
vomito
è
più
importante
della
diarrea,
mentre
negli
adulti,
la
diarrea
è,
di
solito,
più
grave.
I
pazienti
possono
avere
anche
febbre,
cefalea
e
mialgie.
Il
segno
di
riconoscimento
della
gastroenterite
da
adenovirus
è
una
diarrea
che
dura
1-‐2
settimane.
I
lattanti
e
i
bambini
affetti
possono
presentare
un
vomito
di
lieve
entità
che
inizia
1-‐2
giorni
dopo
l'inizio
della
diarrea.
Una
febbre
moderata
si
verifica
in
circa
il
50%
dei
pazienti.
Le
infezioni
da
calicivirus
non
Norwalk
nei
lattanti
e
nei
bambini
sono
di
solito
indistinguibili
dalle
infezioni
da
rotavirus.
L'astrovirus
causa
una
sindrome
simile
a
una
lieve
infezione
da
rotavirus.
234
272 / 356
Diagnosi,
prevenzione
e
terapia
Le
gastroenteriti
virali
sono
spesso
diagnosticate
sulla
base
del
solo
dato
clinico;
esami
quali
quello
colturale
delle
feci
per
la
ricerca
di
batteri
e/o
di
parassiti
non
sono
in
genere
necessari
nei
pazienti
che
presentano
i
sintomi
tipici
della
gastroenterite
virale
e
risulteranno
comunque
negativi
nella
quasi
totalità
dei
casi.
La
prevenzione
dell'infezione
è
complicata
dalla
frequenza
dell'infezione
asintomatica
e
dalla
facilità
con
cui
questi
virus
sono
trasmessi
da
persona
a
persona,
specialmente
tra
i
bambini
con
i
pannolini.
È
probabile
che
l'allattamento
al
seno
permetta
una
certa
protezione
dall'infezione.
Il
personale
sanitario
si
deve
lavare
le
mani
a
fondo
con
sapone
e
acqua
dopo
aver
cambiato
i
pannolini
e
la
zona
dove
si
cambiano
i
pannolini
deve
essere
disinfettata
con
candeggina
diluita
o
con
alcol
al
70%.
Durante
le
epidemie
di
rotavirus
nei
reparti
pediatrici,
tutti
i
bambini
devono
essere
studiati
per
l'escrezione
dell'organismo.
I
bambini
infetti
e
quelli
non
infetti
possono
quindi
essere
trasferiti
per
essere
curati
in
aree
diverse
e
da
personale
sanitario
differente.
Per
la
prevenzione
delle
malattie
gastrointestinali
causate
da
Rotavirus
sono
oggi
disponibili
sul
mercato
due
vaccini
orali
vivi
attenuati
(monovalente
e
tetravalente),
mostranti
nel
complesso
un’efficacia
pari
all’80%;
diversi
altri
promettenti
vaccini
sono
ancora
in
fase
di
sviluppo.
Il
punto
cardine
della
terapia
è
senza
dubbio
un'appropriata
infusione
di
liquidi;
la
maggior
parte
dei
pazienti
può
essere
efficacemente
reidratata
con
soluzioni
reidratanti
orali,
diverse
delle
quali
sono
disponibili
come
prodotti
da
banco.
La
reidratazione
per
via
endovenosa
è
necessaria
solo
per
i
pazienti
con
una
grave
disidratazione.
2)
GASTROENTERITI
ACUTE
BATTERICHE
In
questo
capitolo
prenderemo
in
considerazione
un
insieme
di
quadri
clinico-‐patologici
conseguenti
all’instaurazione
di
un
rapporto
infettivo
con
patogeni
trasmissibili
preferenzialmente
(o
esclusivamente)
per
via
fecale-‐orale,
nel
cui
contesto
spicca
il
vasto
panorama
delle
cosiddette
malattie
infettive
a
trasmissione
alimentare:
un
gruppo
eterogeneo
di
condizioni
clinico-‐patologiche,
ad
eziologia
microbica,
conseguenti
all’ingestione
di
microrganismi
o
sostanze
tossiche
da
essi
prodotte
e
in
grado
di
provocare
patologia.
Il
veicolo
alimentare,
insieme
a
quello
idrico,
è
sicuramente
uno
dei
più
importanti
e
meglio
conosciuti
nella
diffusione
delle
malattie
infettive.
Le
infezioni
veicolate
da
alimenti
possono
trasmettersi
anche
con
altre
modalità,
per
contagio
diretto
o
tramite
veicoli
diversi.
Gli
alimenti,
infatti,
rappresentano
dei
veicoli
particolarmente
efficienti,
ma
non
assolutamente
indispensabili.
Gli
alimenti,
inoltre,
possono
veicolare
gli
agenti
eziologici
senza
che
sia
necessaria
la
loro
moltiplicazione
nell’alimento
prima
della
sua
ingestione.
Si
tratta
infatti
di
infezioni
che
si
sviluppano
anche
con
carica
infettante
relativamente
modesta.
Sotto
la
generica
dizione
di
malattie
infettive
a
trasmissione
alimentare
si
racchiudono
tre
diverse
forme
di
manifestazioni
patogene,
generalmente
accomunate
da
sintomi
che
interessano
preferenzialmente
l’apparato
gastrointestinale
e
che
compaiono
dopo
un
tempo
d’incubazione
variabile
dipendente
principalmente
dallo
stato
immunitario
del
soggetto
e
dalla
quantità
e
tipo
di
microrganismo
e/o
tossina
ingeriti.
Si
distinguono
quindi
tre
diversi
quadri
patologici:
1. Infezioni
alimentari
(ad
esempio
la
Salmonellosi
da
Salmonelle
“minori”)
2. Intossicazioni
alimentari
(ad
esempio
la
patologia
conseguente
all’ingestione
della
neurotossina
prodotta
da
C.
Botulinum)
3. Tossinfezioni
alimentari
(ad
esempio
la
patologia
conseguente
al
contatto
con
C.
Perfringens)
Le
infezioni
alimentari
insorgono
a
causa
del
consumo
di
un
alimento
contenente
235
273 / 356
microrganismi
patogeni
in
numero
sufficiente
a
colonizzare
l’intestino
umano
e
avviare,
a
livello
intestinale,
gastroenterico
o
sistemico
un
meccanismo
di
danno
di
varia
natura.
Un
fattore
di
primaria
importanza
affinchè
possa
instaurarsi
il
rapporto
infettivo
è
la
Dose
Minima
Infettante
(DMI),
ovvero
il
numero
minimo
di
cellule
del
microrganismo
patogeno
in
grado
di
scatenare
una
malattia
in
un
adulto
sano
(nella
gran
parte
dei
casi
il
numero
risulta
essere
compreso
tra
10^5
e
10^7);
tale
fattore
è
condizionato
da
diversi
altri
elementi
tra
i
quali
le
caratteristiche
del
microrganismo
(ad
esempio
virulenza,
patogenicità,
sporogenicità),
quelle
dell’alimento
(contenuto
in
lipidi,
acidità,
porzione
ingerita)
e
quelle
dell’ospite
(età,
stato
del
sistema
immunitario,
stress,
malnutrizione,
ecc).
Da
un
punto
di
vista
clinico
le
infezioni
alimentari
si
manifestano
in
genere
dopo
un
periodo
di
incubazione
variabile
tra
le
poche
ore
e
alcuni
giorni
con
sintomi
riferibili
più
spesso
al
coinvolgimento
dell’apparato
gastroenterico,
quali:
▪ Diarrea
▪ Vomito
▪ Nausea
Per
quanto
riguarda
le
intossicazioni
alimentari,
esse
rappresentano
quadri
patologici
conseguenti
al
consumo
di
un
alimento
contenente
una
quota
più
o
meno
consistente
di
esotossina
di
natura
proteica,
prodotta
dal
microrganismo,
in
fase
di
attiva
proliferazione,
all’interno
dell’alimento
e
responsabile
della
sintomatologia
costituita,
in
caso
di
enterotossina,
prevalentemente
da
nausea,
vomito
e
malessere
generale
e,
in
caso
di
neurotossina,
dai
precedenti
sintomi
associati
a
segni
di
coinvolgimento
del
sistema
nervoso.
Poiché
l’agente
responsabile
è
“preformato”,
le
malattie
conseguenti
presentano
in
genere
un
periodo
di
incubazione
breve
(poche
ore)
e
sono
spesso
associate
a
specifici
prodotti
alimentari.
Si
distinguono,
nel
complesso,
due
categorie
di
tossine:
termostabili,
ovvero
resistenti
al
riscaldamento
(per
es
le
tossine
prodotte
da
S.
Aureus)
e
termolabili,
ovvero
inattivate
dal
calore
(per
esempio
la
neurotossina
prodotta
dal
C.
Botulinum).
Ultima,
ma
non
per
importanza,
è
la
categoria
delle
tossinfezioni,
dove
l’azione
patogena
è
attribuibile
alla
attività
combinata
di
tossine
e
dei
microrganismi
viventi
che
continuano
la
moltiplicazione
nell’intestino.
Sono
determinate
dall’ingestione,
con
gli
alimenti,
sia
di
tossine
sia
di
batteri
che
le
producono.
In
questo
caso
l’azione
patogena
è
attribuibile
sia
alle
tossine
preformate
nell’alimento
sia
ai
microrganismi
viventi
che
continuano
la
moltiplicazione
nell’intestino.
• INTOSSICAZIONE
STAFILOCOCCICA
Malattia
infettiva
acuta
conseguente
all’ingestione
di
cibo
contaminato
da
tossine
prodotte
in
fase
di
crescita
esponenziale
da
S.
Aureus.
Eziologia e patogenesi
236
274 / 356
esotossine
termostabili,
di
cui
le
A,
B,
C
e
D
sono
le
più
frequentemente
implicate.
È
una
causa
comune
di
avvelenamento
da
cibo
e
il
potenziale
per
delle
epidemie
è
elevato
quando
le
persone
che
preparano
il
cibo
avendo
un'infezione
cutanea,
contaminano
il
cibo
stesso,
lasciandolo,
poi,
a
temperatura
ambiente.
Clinica
Diagnosi e terapia
Eziologia
e
patogenesi
Il
Bacillus
cereus
è
un
batterio
beta
emolitico,
Gram-‐positivo,
aerobio-‐anaerobio
facoltativo,
sporigeno
e
ubiquitario
nell’ambiente.
Rappresenta
un
patogeno
piuttosto
comune
negli
alimenti,
dove
forma
spore
resistenti
alla
maggior
parte
dei
processi
di
risanamento,
e
dove
è
in
grado
di
moltiplicarsi
durante
la
conservazione:
contamina
frequentemente
alimenti
a
base
di
riso,
e
occasionalmente
pasta,
carne
e
vegetali,
prodotti
lattiero-‐caseari,
minestre,
salse,
dolciumi
che
non
sono
stati
raffreddati
rapidamente
ed
efficacemente
dopo
la
cottura
e/o
adeguatamente
conservati.
Esistono
diversi
ceppi
di
B.
cereus:
alcuni
sono
innocui,
altri
responsabili
di
intossicazioni
alimentari
anche
fatali.
Attualmente
non
sono
disponibili
metodi
in
grado
di
distinguere
tra
ceppi
virulenti
e
non-‐virulenti;
in
un
futuro
prossimo,
la
disponibilità
di
metodi
per
la
identificazione
di
tossine
emetiche
(termolabili)
e
di
enterotossine
diarroiche
(termostabili),
potrà
rivelarsi
estremamente
utile
a
coloro
che
si
occupano
o
si
occuperanno
di
gestione
della
sicurezza,
nelle
aziende
e
nei
settori
di
salute
pubblica,
per
determinare
il
pericolo
di
B.
cereus
negli
alimenti
e,
di
conseguenza,
per
ridurre
il
problema
delle
intossicazioni
alimentari.
Come
già
accennato
in
precedenza,
Bacillus
cereus
è
causa
di
due
tipi
di
malattie
gastrointestinali:
una,
ad
effetto
emetico
(vomito),
dovuta
all'ingestione
di
una
tossina
(tossina
diarroica)
a
basso
peso
molecolare
presente
nell'alimento;
l'altra,
di
tipo
diarroico,
conseguente
all'ingestione
di
cellule/spore
batteriche
capaci
di
produrre
enterotossine
diarroiche,
proteine
a
alto
peso
molecolare,
nell'intestino
tenue.
237
275 / 356
Clinica
I
sintomi
provocati
dall'intossicazione
diarroica
mimano
gli
stessi
provocati
dall'intossicazione
da
Clostridium
perfringens;
la
sindrome
si
manifesta
con
diarrea
acquosa,
forti
crampi
addominali
e
talvolta
sotto
forma
di
nausea
e
vomito.
Il
periodo
di
incubazione
varia
tra
le
6
e
le
15
ore
dopo
il
consumo
degli
alimenti
contaminati,
I
sintomi
persistono
per
20-‐24
ore.
Il
quadro
clinico
conseguente
all’intossicazione
con
la
tossina
emetica
è
invece
caratterizzato
principalmente
da
nausea
e
vomito
e
differisce
dalla
diarroica
anche
perché
provoca
una
sindrome
molto
più
acuta,
con
un
periodo
di
incubazione
non
superiore
alle
6
ore
dal
momento
di
ingestione
del
cibo.
Occasionalmente
si
possono
manifestare
crampi
addominali
e
diarrea.
La
durata
dei
sintomi
e
comunque
generalmente
inferiore
alle
24
ore.
La
sintomatologia
e
peraltro
molto
simile
a
quella
dall'intossicazione
da
Staphylococcus
aureus.
Terapia
Il
trattamento
di
entrambe
le
sindromi
è
esclusivamente
sintomatico
,
basato
sul
ripristino
idroelettrolitico.
• INTOSSICAZIONE
ALIMENTARE
DA
CLOSTRIDIUM
PERFRINGENS
Gastroenterite acuta dovuta all'ingestione di cibo contaminato dal C. perfringens.
Eziologia
Clinica
e
diagnosi
È
più
frequente
una
gastroenterite
lieve,
con
l'inizio
dei
sintomi
da
6
a
24
ore
dopo
l'ingestione
del
cibo
contaminato.
I
più
frequenti
sintomi
sono
la
diarrea
acquosa
e
i
crampi
addominali.
Il
vomito
è
inusuale.
I
sintomi
si
risolvono
tipicamente
in
24
ore;
raramente
si
possono
verificare
dei
casi
gravi
o
fatali.
La
diagnosi
si
basa
sull'evidenza
epidemiologica
e
sull'isolamento
del
microrganismo
in
grosse
quantità
dal
cibo
contaminato
o
dalle
feci
delle
persone
affette.
Prevenzione
e
terapia
Per
prevenire
la
malattia,
la
carne
cotta
avanzata
deve
essere
subito
refrigerata
e
poi
riscaldata
completamente
(temperatura
interna,
75°C)
prima
di
servirla.
La
terapia
è
puramente
sintomatica.
238
276 / 356
Prenderemo
adesso
in
considerazioni
diverse
forme
di
infezioni
interessanti
l’apparato
gastrointestinale:
COLERA
Eziologia e patogenesi
239
277 / 356
Nelle
aree
endemiche
le
epidemie
si
verificano
solitamente
durante
i
mesi
caldi
con
un'incidenza
che
è
massima
per
i
bambini;
nelle
zone
in
cui
invece
la
malattia
non
è
endemica
le
epidemie
possono
verificarsi
in
qualsiasi
stagione
e
risultano
ugualmente
soggetti
all'infezione
gli
individui
di
tutte
le
età.
Il
colera
si
diffonde
per
ingestione
di
acqua,
pesci,
crostacei
e
altri
tipi
di
cibi
contaminati
dalle
feci
di
soggetti
con
infezione
sintomatica
o
asintomatica.
La
suscettibilità
all'infezione
è
variabile
e
dipende
da
diversi
fattori
quali
l’età,
lo
stato
del
sistema
immunitario
e
patologie
preesistenti;
poiché
il
vibrione
è
sensibile
all'acidità
gastrica,
una
condizione
di
acloridria
o
d’ipocloridria
possono
costituire
fattori
predisponenti.
Gli
individui
che
vivono
nelle
aree
endemiche
acquisiscono
gradualmente
un'immunità
naturale
contro
il
vibrione.
Clinica
Il
periodo
d’incubazione
va
da
1
a
3
giorni.
Il
colera
si
può
presentare
come
forma
lieve
od
asintomatica
(subclinica
!
80%
casi)
o
come
una
malattia
grave,
fulminante
e
potenzialmente
letale.
Di
regola
i
reperti
iniziali
sono
una
diarrea
improvvisa,
non
dolorosa
e
acquosa
(ad
“acqua
di
riso”)
e
il
vomito:
negli
adulti
le
feci
possono
ammontare
a
oltre
1
l/h,
ma
solitamente
raggiungono
livelli
assai
inferiori.
La
grave
perdita
di
acqua
e
di
elettroliti
che
ne
consegue
porta
a
sete
intensa,
oliguria,
crampi
muscolari,
debolezza
e
marcata
perdita
della
consistenza
dei
tessuti
con
occhi
affossati
e
grinze
nella
cute
delle
dita.
Le
ripercussioni
sistemiche
del
colera
sono
dovute
principalmente
all'eliminazione
di
feci
acquose
isotoniche
ricche
di
sodio,
cloro,
bicarbonato
e
potassio:
possono
infatti
manifestarsi
ipovolemia,
emoconcentrazione,
oliguria
e
anuria
e
acidosi
metabolica
grave
con
perdita
di
potassio
(ma
con
normale
concentrazione
di
Na
nel
siero);
inoltre,
in
mancanza
di
terapia,
si
ha
esito
in
collasso
circolatorio,
cianosi
e
stato
stuporoso
mentre
l’eventuale
stato
di
ipovolemia
prolungata
può
portare
a
necrosi
tubulare
renale.
Il
colera
non
complicato
ha
un
decorso
limitato,
con
la
guarigione
che
avviene
in
genere
in
3-‐6
giorni.
Il
tasso
di
mortalità
nei
casi
gravi
non
trattati
può
essere
superiore
al
50%
a
causa
della
disidratazione
ma
scende
fino
a
sotto
l’1%
con
una
terapia
idro-‐elettrolitica
tempestiva
e
adeguata.
Nella
maggior
parte
dei
pazienti
il
V.
cholerae
scompare
nell'arco
di
2
sett.,
ma
alcuni
soggetti
divengono
portatori
cronici
del
tratto
biliare.
Diagnosi
Il
percorso
diagnostico
inizia
solitamente
con
un’adeguata
anamnesi
ed
esame
obiettivo,
seguiti
eventualmente
da
accertamenti
laboratoristici
quali
colture
da
tamponi
rettali
diretti
o
da
feci
fresche
e
successiva
identificazione
del
sierogruppo
(01
o
0139)
mediante
agglutinazione
con
antisiero
specifico.
Il
colera
entra
in
diagnosi
differenziale
e
deve
essere
distinto
dai
quadri
clinici
provocati
da
diversi
ceppi
di
Escherichia
coli,
Salmonella
e
Shigella.
Terapia
240
278 / 356
Per
i
pazienti
gravemente
disidratati,
specialmente
per
quelli
incapaci
di
bere,
oltre
alla
somministrazione
di
acqua
ad
alte
dosi,
bisogna
iniziare
al
più
presto,
se
possibile,
le
infusioni
EV
con
100
ml/kg
di
soluzione
di
Ringer
lattato,
una
miscela
2:1
di
NaCl
allo
0,9%
e
di
lattato
di
Na
0,17
M
(1/6
molare)
o
NaCl
allo
0,9%.
L'infusione
va
somministrata
rapidamente
(1-‐2
ml/kg/min)
finché
la
pressione
arteriosa
non
si
sia
normalizzata
e
il
polso
non
sia
valido;
i
rimanenti
liquidi
vanno
infusi
nelle
successive
tre
ore.
Per
rimpiazzare
le
perdite
di
potassio,
il
KCl
(10-‐15
mEq/l)
può
essere
aggiunto
alla
soluzione
EV
oppure
può
essere
somministrato
bicarbonato
di
K
(1
ml/kg
di
una
soluzione
con
100
g/l)
per
os
qid
(ciò
è
importante
soprattutto
per
i
bambini
che
tollerano
poco
le
perdite
di
potassio).
I
quantitativi
necessari
in
caso
di
perdita
continua
devono
essere
equivalenti
al
volume
misurato
delle
feci.
L'adeguatezza
dell'idratazione
è
confermata
da
una
valutazione
clinica
frequente
(ritmo
e
validità
del
polso,
turgore
della
pelle
e
diuresi).
Il
plasma,
i
plasma
"expander"
e
i
farmaci
vasopressori
non
devono
essere
impiegati
al
posto
dell'acqua
e
degli
elettroliti.
La
somministrazione
orale
di
una
soluzione
mista
di
glucosio
ed
elettroliti
è
efficace
nel
rimpiazzare
le
perdite
di
feci
e
può
essere
utilizzata
dopo
una
prima
idratazione
per
via
endovenosa.
Essa
è
anche
utile
talora,
come
unico
strumento
di
reidratazione,
nelle
aree
epidemiche
dove
la
disponibilità
di
fluidi
per
via
parenterale
è
limitata.
I
pazienti
con
disidratazione
lieve
o
moderata
che
siano
in
grado
di
bere
possono
essere
reidratati
esclusivamente
con
soluzioni
orali
(circa
75
ml/kg
in
4
ore).
Quelli
con
disidratazione
più
grave
necessitano
di
quantità
maggiori
di
liquidi
e
possono
aver
bisogno
di
ricevere
i
fluidi
attraverso
un
sondino
nasogastrico.
La
soluzione
per
os
raccomandata
dall'OMS
contiene
20
g
di
glucoso,
3,5
g
di
cloruro
di
sodio;
2,9
g
di
citrato
trisodico
di-‐idrato
(o
2,5
g
di
bicarbonato
di
Na)
e
1,5
g
di
cloruro
di
K
per
l
di
acqua.
Questa
va
continuata
a
libitum
dopo
la
reidratazione
in
quantitativi
almeno
uguali
alle
continue
perdite
che
si
verificano
con
feci
e
vomito.
I
cibi
solidi
vanno
assunti
dopo
la
scomparsa
del
vomito
e
il
ritorno
dell'appetito.
Una
terapia
precoce
con
un
antibiotico
orale
efficace
eradica
i
vibrioni,
riduce
il
volume
fecale
del
50%
e
fa
scomparire
la
diarrea
nell'arco
di
48
h.
La
scelta
dell'antibatterico
deve
essere
basata
sulla
sensibilità
del
V.
cholerae
isolato
nella
comunità.
I
farmaci
efficaci
per
i
ceppi
sensibili
comprendono
la
tetraciclina,
la
doxiciclina,
l’eritromicina
e
la
norfloxacina.
Nei
bambini
al
di
sotto
degli
otto
anni
evitando
la
tetraciclina
si
può
eliminare
il
rischio
di
scoloramento
dei
denti
da
parte
di
questo
farmaco.
SALMONELLOSI
Le
salmonellae
sono
bacilli
gram
negativi,
anaerobi
facoltativi,
appartenenti
alla
famiglia
delle
Enterobacteriaceae.
Le
salmonelle
sono
complessivamente
caratterizzate
da
tre
determinanti
antigenici
principali,
sulla
base
dei
quali
è
possibile
identificare
i
differenti
sierotipi:
antigene
somatico
O
(componente
lipopolisaccaridica),
l’antigene
flagellare
H
e,
limitatamente
a
S.
typhi
e
S.
paratyphi,
l’antigene
di
superficie
Vi.
Esistono
circa
2300
241
279 / 356
serovar
di
salmonelle:
si
tratta
di
batteri
ampiamente
adattati
alla
crescita
in
un
vasto
spettro
di
ospiti,
tra
cui
l’uomo.
Le
salmonelle
possono
essere
distinte
in:
-‐ Tifoidee
(S.
typhi
e
S.
paratyphi),
ovvero,
le
salmonelle
che
hanno
l’essere
umano
come
unico
ospite
e
che
causano
il
quadro
clinico
specifico
noto
come
febbre
tifoide
(o
ileotifo,
o
tifo
addominale…).
-‐ Non
tifoidee,
ovvero,
salmonelle
che
possono
colonizzare
il
tratto
digerente
di
un
vasto
numero
di
animali.
Tra
queste,
circa
200
sierotipi
sono
patogeni
per
l’uomo
e
possono
causare
gastroenteriti,
infezioni
localizzate
e
sepsi.
L'epidemiologia
delle
salmonellosi
è
simile
a
quella
della
febbre
tifoide,
ma
più
complessa,
poichè
la
malattia
può
manifestarsi
nell'uomo
anche
per
contatto
diretto
o
indiretto
con
numerose
specie
di
animali
infette,
con
prodotti
alimentari
da
essi
derivati
o
con
loro
escrementi.
Fonti
comuni
di
Salmonella
sono
animali
da
carne
infetti,
pollame,
latte
fresco,
uova
e
prodotti
fatti
con
le
uova;
altre
fonti
descritte
sono
le
tartarughe
domestiche
e
la
marijuana
contaminata.
Esistono
diverse
condizioni
predisponenti
per
le
infezioni
da
Salmonella,
tra
le
quali
troviamo
una
gastrectomia
subtotale,
una
condizione
di
acloridria
(o
l'assunzione
di
antiacidi),
anemia
perniciosa,
splenectomia,
malaria,
bartonellosi,
cirrosi,
leucemia,
linfoma
e
infezione
da
HIV.
Esclusa
la
febbre
tifoide,
le
infezioni
da
Salmonella
enteritidis
rimangono
oggi
un
importante
problema
di
salute
pubblica
negli
USA
ma
anche
in
Europa
e
nei
restanti
paesi
occidentali.
A
molti
sierotipi
di
S.
enteritidis
è
stato
dato
un
nome
e
vengono
ufficiosamente
considerati
come
specie
separate,
anche
se
non
lo
sono.
I
più
comuni
sierotipi
di
Salmonella
comprendono:
S.
typhimurium,
S.
heidelberg,
S.
newport,
S.
infantis,
S.
agona,
S.
montevideo
e
S.
saint-‐paul.
Non
sembra
che
i
portatori
giochino
un
ruolo
importante
nelle
grandi
epidemie
di
gastroenterite
non
tifoidee.
La
continua
liberazione
di
microrganismi
nelle
feci
per
un
anno
si
verifica
soltanto
nello
0,2-‐0,6%
dei
pazienti
con
infezioni
da
Salmonella
non
tifoidi.
Clinica
242
280 / 356
Le
manifestazioni
focali,
più
comunemente
causate
da
S.
choleraesuis
e
S.
typhimurium,
possono
verificarsi
con
o
senza
una
batteriemia
rilevante.
Nei
pazienti
con
batteriemia
può
innescarsi
un'infezione
localizzata
che
interessa
il
tratto
GI
(fegato,
colecisti
e
appendice),
le
superfici
endoteliali
(placche
aterosclerotiche,
aneurismi
ileo-‐
femorali
o
aortici,
valvole
cardiache),
pericardio,
meningi,
polmoni,
articolazioni,
ossa,
tratto
GU
o
tessuti
molli.
Possono
talvolta
essere
infettati
tumori
solidi
preesistenti,
con
formazione
di
ascessi
che
rappresentano
a
loro
volta
una
fonte
di
batteriemia
da
Salmonella.
Più
nello
specifico
si
riconoscono:
-‐ Infezioni
intraddominali.
Per
esempio,
si
possono
avere
ascessi
splenici
o
epatici,
o
colecistite.
Sono
stati
riportati
casi
di
pancreatite
e
surrenalite.
Sono
complicanze
rare
e
richiedono
spesso
il
drenaggio
chirurgico.
-‐ Sistema
nervoso
centrale.
Le
meningiti
si
sviluppano
tipicamente
nei
neonati
(<4
mesi)
e
sono
molto
gravi,
con
importanti
sequele
neurologiche.
Gli
ascessi
cerebrali
sono
possibili
ma
molto
rari.
-‐ Infezioni
polmonari.
Le
polmoniti
da
Salmonelle
non
tifoidee
sono
rare
e
si
presentano
spesso
come
polmoniti
lobari
con
associate
complicanze
locali
(pleuriti,
empiemi,
fistole).
In
genere
si
tratta
di
pazienti
con
fattori
di
rischio
preesistenti
(anomalie
anatomiche,
neoplasie
bronchiali,
immunodepressione).
-‐ Infezioni
urogenitali.
Si
possono
avere
cistiti
e/o
pielonefriti
con
possibile
formazione
di
ascessi
renali.
Anche
in
questo
caso,
queste
manifestazioni
sono
appannaggio
di
pazienti
immunodepressi
o
con
anomalie
anatomiche
urogenitali.
-‐ Tessuto
osseo
e
tessuti
molli.
Le
osteomieliti
da
Salmonella
interessano
solitamente
il
femore,
la
tibia,
l’omero,
le
vertebre
lombari
e
si
vedono
tipicamente
nei
pazienti
con
anemia
falciforme
o
emoglobinopatie
di
altro
tipo.
Richiedono
un
trattamento
prolungato.
L’artrite
settica
interessa
generalmente
i
medesimi
pazienti.
Da
notare
anche
come,
soprattutto
nei
pazienti
con
HLA-‐B27,
l’infezione
da
salmonella
(tifoidea
e
non
tifoidea)
possa
essere
seguita
dallo
sviluppo
della
sindrome
di
Reiter.
Nei
pazienti
con
gastroenterite,
la
batteriemia
è
relativamente
poco
comune.
Tuttavia,
la
S.
choleraesuis,
la
S.
typhimurium
e
la
S.
heidelberg,
tra
le
altre,
possono
provocare
una
sindrome
batteriemica
rilevante,
che
può
perdurare
anche
per
alcune
settimane.
Sebbene
le
emocolture
siano
spesso
positive
(se
>50%
di
3
o
più
emocolture
risulta
positiva
per
salmonelle
si
dovrebbe
sospettare
un’infezione
endovascolare),
le
coprocolture
sono
invece
negative
nella
gran
parte
dei
casi.
I
pazienti
con
AIDS
o
con
infezione
da
HIV
possono
avere
episodi
ricorrenti
di
batteriemia
o
di
altre
infezioni
invasive
(per
es.
artrite
settica)
dovute
alla
Salmonella
(infezioni
multiple
da
Salmonella
in
un
paziente
senza
altri
fattori
di
rischio
impongono
il
test
del
HIV).
Le
salmonelle
possono
causare
un’endocardite
o
infettare
placche
ateromasiche
causando
arteriti
infettive.
Le
arteriti
devono
essere
sospettate
in
pazienti
anziani
con
storia
di
febbre
prolungata
e
associata
a
dolore
toracico,
dorsale
o
lombare,
preceduto
da
una
gastroenterite.
La
diagnosi
viene
effettuata
sulla
base
dell'isolamento
del
microrganismo
dalle
feci
o
da
altri
siti
infetti.
La
reazione
di
Widal
è
negativa.
La
prognosi
è
generalmente
buona,
a
meno
che
non
sia
presente
una
grave
patologia
sottostante.
Terapia
243
281 / 356
La
gastroenterite
viene
sottoposta
a
terapia
sintomatica
con
liquidi
e
dieta
blanda.
Gli
antibiotici
prolungano
l'emissione
dei
germi
e
non
sono
consigliati
nei
casi
non
complicati.
A
causa
della
maggiore
mortalità,
i
pazienti
anziani
assistiti
a
casa,
i
bambini
e
i
pazienti
con
infezione
da
HIV
o
con
AIDS
devono
essere
trattati
con
antibiotici.
L'insorgenza
di
antibiotico-‐resistenza
è
ancora
più
comune
con
la
Salmonella
non
tifoide
che
con
la
S.
typhi.
I
pazienti
non
immunocompromessi
devono
essere
trattati
per
3-‐
5
giorni,
mentre
quelli
affetti
da
AIDS
possono
richiedere
una
soppressione
prolungata
per
prevenire
le
recidive.
Una
batteriemia
prolungata
viene
trattata
in
genere
per
4-‐
6
settimane.
Gli
ascessi
richiedono
terapia
chirurgica,
seguita
da
terapia
antibiotica
per
almeno
4
settimane
dopo
l'intervento.
Aneurismi
infetti,
valvole
cardiache
e
infezioni
ossee
o
articolari
richiedono
un
intervento
chirurgico
e
trattamenti
antibiotici
più
prolungati.
Lo
stato
di
portatore
asintomatico
è
abitualmente
autolimitato
e
di
rado
si
rende
necessario
il
trattamento
antibiotico.
Gli
antibiotici
possono
prolungare
l'eliminazione
dei
microrganismi
nelle
feci
dopo
che
si
sia
interrotta
la
somministrazione
del
farmaco.
In
casi
particolari
(ad
esempio
operatori
alimentari
e
personale
sanitario),
si
può
tentare
l'eliminazione
dei
germi
con
ciprofloxacina
500
mg
per
os
q
12
h
per
un
mese;
in
questi
casi
è
opportuno
procedere
all’esecuzione
di
ulteriori
coprocolture
nelle
settimane
successive
alla
fine
del
trattamento,
in
modo
da
documentare
la
continuazione
o
meno
dell'eliminazione
della
Salmonella
con
le
feci.
SHIGELLOSI
Malattia
infettiva
acuta
conseguente
all’ingestione
di
cibo
o
al
contatto
con
oggetti
contaminati
con
feci
infette
con
batteri
del
genere
Shigella.
Eziologia e patogenesi
I
batteri
del
genere
Shigella
(bacilli
Gram-‐negativi,
appartenenti
alla
famiglia
delle
Enterobacteriaceae
e
con
dose
minima
infettante
di
soli
10
microrganismi!)
possono
essere
suddivisi
in
quattro
principali
sottogruppi
(A,
B,
C,
D),
che
vengono
ulteriormente
suddivisi
in
determinati
tipi
sierologici.
Il
genere
Shighella
è
diffuso
in
tutto
il
mondo
ed
è
la
causa
tipica
della
dissenteria
infiammatoria,
responsabile
in
molte
aree
geografiche
del
5-‐10%
dei
quadri
clinico-‐patologici
associati
a
diarrea.
La
S.
flexneri
e
la
S.
sonnei
si
ritrovano
in
aree
più
vaste
della
S.
boydii
e
della
S.
dysenteriae
(epidemica)
che
è
particolarmente
virulenta.
La
specie
più
frequentemente
isolata
negli
USA
ed
in
Europa
è
la
S.
sonnei.
I
microrganismi
Shighella
sono
soliti
penetrare
la
mucosa
dei
tratti
distali
dell'intestino,
provocando
secrezione
mucosa,
iperemia,
infiltrazione
leucocitaria,
edema
e
spesso
ulcerazioni
superficiali
della
mucosa.
La
diarrea
acquosa
che
si
associa
alle
infezioni
da
Shigella
può
essere
mediata
da
un'enterotossina,
la
verocitotossina,
che
provoca
l'aumento
dell'attività
secretoria
intestinale.
Epidemiologia
244
282 / 356
Clinica
245
283 / 356
Terapia
La
diarrea
indotta
dall’esposizione
all’agente
patogeno
Shigella
provoca
abitualmente
disidratazione
isotonica
(perdita
di
acqua
e
di
sali
in
uguale
proporzione),
con
acidosi
metabolica
e
significativa
perdita
di
potassio.
La
sete
dovuta
alla
disidratazione
può
produrre
un
apporto
d'acqua
sproporzionato
che
può
generare
ipotonicità.
Il
reintegro
dei
liquidi
e
degli
elettoliti
perduti
può
essere
attuato
con
terapia
reidratante
orale
(vedi
terapia
colera
a
riguardo)
o,
nei
casi
più
severi,
per
via
endovenosa.
Per
quel
che
riguarda
la
terapia
farmacologica,
la
decisione
circa
l'uso
degli
antibiotici
va
presa
in
funzione
della
gravità
della
malattia,
dell'età
del
paziente
delle
condizioni
sanitarie
generali,
della
possibilità
di
ulteriori
trasmissioni
e
della
possibilità
di
provocare
antibiotico-‐resistenza
nei
microrganismi.
Inoltre,
i
sintomi
e
la
disseminazione
della
Shigella
possono
essere
significativamente
ridotti
mediante
il
trattamento
precoce
con
un
appropriato
agente
antimicrobico
assorbibile.
I
farmaci
più
comunemente
utilizzati
sono
la
Ciprofloxacina
(500
mg/bid
per
tre
o
quattro
giorni),
Azitromicina
(500
mg/die
per
7
giorni)
o
il
Ceftriaxone
(2
g/die
per
5
giorni).
COLITE
DA
CLOSTRIDIUM
DIFFICILE
Infiammazione
acuta
del
colon
causata
dal
Clostridium
difficile,
contraddistinta
dalla
formazione
di
caratteristiche
pseudomembrane
e
frequentemente
associata
ad
un
uso
improprio/prolungato
di
antibiotici.
Eziologia
e
patogenesi
Il
C.
difficile
è
un
bacillo
anaerobio,
Gram-‐positivo,
mobile,
sporigeno
capace
di
produrre
due
potenti
tossine,
tossina
A
(enterotossina)
e
tossina
B
(citotossina),
che
danneggiano
le
cellule
epiteliali
del
colon
e
possono
determinare
una
grave
flogosi
del
primo
strato
di
tessuto
e
la
formazione
di
microulcere
nella
mucosa
del
colon,
che
si
ricopre
di
pseudo-‐
membrane
infiammatorie.
246
284 / 356
Clinica
L'infezione
può
essere
asintomatica
(stato
di
portatore
asintomatico),
paucisintomatica
(sindrome
diarroica
lieve
con
febbre,
leucocitosi
di
moderata
entità,
dolore
addominale
nausea
e
malessere)
o
causare
quadri
progressivamente
sempre
più
impegnativi
come
una
colite
senza
pseudomembrane,
la
colite
pseudo
membranosa
e
una
colite
fulminante
ad
alta
letalità
(megacolon
tossico
!
perforazione
intestinale
!
morte).
Nei
casi
lievi,
la
mucosa
del
colon
può
mostrare
solamente
un'infiammazione
o
edema
modesti
o
può
apparire
macroscopicamente
normale.
Nei
casi
più
gravi,
una
diffusa
fragilità
e
diffuse
ulcerazioni
possono
simulare,
macro
e
microscopicamente,
la
colite
ulcerosa
idiopatica.
Nei
casi
estremi,
si
osservano
placche
essudative
sollevate,
giallastre,
che
tappezzano
la
mucosa
del
colon.
Istologicamente,
queste
pseudomembrane
consistono
di
fibrina,
GB
e
cellule
epiteliali
necrotiche
in
sfaldamento.
I
sintomi,
se
presenti,
iniziano
solitamente
durante
una
terapia
antibiotica,
ma
in
un
terzo
dei
pazienti
possono
comparire
anche
da
1
a
10
giorni
dopo
che
il
trattamento
è
stato
sospeso.
Pertanto,
la
diagnosi
di
colite
associata
all'uso
di
antibiotici
deve
essere
presa
in
considerazione
in
qualunque
paziente
che
sviluppi
una
diarrea,
fino
a
6
settimane
dopo
l'esposizione
all'antibiotico.
Le
manifestazioni
cliniche
possono
variare
dalle
semplici
feci
molli
alla
colite
attiva
con
diarrea
ematica,
dolore
addominale,
febbre,
leucocitosi
ed
enteropatia
con
perdita
di
proteine.
Nei
casi
più
gravi,
si
può
verificare
una
disidratazione,
un'ipotensione,
un
megacolon
tossico
e
una
perforazione
del
colon.
Riportiamo
adesso
la
classificazione
dei
casi
di
malattia
adottata
oggi
in
molti
ospedali,
tra
cui
anche
l’ospedale
AOUC
di
Careggi:
Diagnosi
La
malattia
da
C.
Difficile
è,
di
solito,
sospettata
quando
è
dimostrabile
una
storia
di
diarrea
dopo
l'uso
protratto
di
un
antibiotico.
L'endoscopia
di
solito
non
è
necessaria
per
la
diagnosi,
ma
se
eseguita,
può
mostrare
una
colite
non
specifica
o,
nei
casi
gravi,
247
285 / 356
delle
pseudomembrane
patognomoniche.
Poiché
la
maggior
parte
dei
casi
interessa
il
colon
distale,
la
sigmoidoscopia
flessibile,
di
solito,
è
sufficiente
per
la
diagnosi;
tuttavia,
in
alcuni
casi
il
tratto
distale
è
risparmiato
e
la
malattia
coinvolge
un
tratto
più
prossimale,
che
può
essere
valutato
solo
con
una
colonscopia.
Una
radiografia
diretta
dell'addome
può
evidenziare
edema
della
mucosa
e
un'abnorme
disposizione
australe.
Sebbene
un
clisma
opaco
possa
ulteriormente
delineare
i
dettagli
delle
anomalie
mucose,
è
controindicato
nei
casi
attivi
o
gravi
a
causa
del
rischio
di
una
perforazione.
Poiché
la
ricerca
del
C.
Difficile
attraverso
l’esame
colturale
non
discrimina
i
ceppi
patogeni
(produttori
di
tossine)
dai
non
patogeni,
il
Laboratorio
di
Microbiologia
e
Virologia
di
Careggi
esegue
di
routine
su
tutti
i
campioni
fecali
la
ricerca
del
microrganismo
tramite
metodica
immunocromatografica
rapida
dell’antigene
GDH
specifico
di
C.
Difficile.
I
risultati
vengono
refertati
entro
24
ore
dall’accettazione
del
campione
in
laboratorio
e
in
presenza
di
un
campione
positivo
viene
data
comunicazione
via
fax
alle
AAD/SOD
afferenti.
Il
test
di
riferimento
su
colture
cellulari
della
presenza
della
tossina
B
nelle
feci
e
sua
neutralizzazione
con
il
siero
antitossina
specifico
viene
eventualmente
eseguito
su
campioni
dubbi;
il
risultato
sarà
disponibile
nella
giornata
successiva.
E’
importante
ricordare
che:
-‐ l’esame
deve
essere
eseguito
soltanto
su
feci
non
formate
-‐ è
necessario
e
sufficiente
un
solo
campione
-‐ in
caso
di
positività
eventuali
altri
campioni
dovranno
essere
inviati
non
prima
di
tre
settimane
dal
referto
di
positività
-‐ in
caso
di
negatività
del
primo
campione,
un
altro
campione,
a
4-‐5
giorni
di
distanza,
potrà
essere
inviato
qualora
i
sintomi
persistano,
il
primo
campione
sia
risultato
negativo
per
altri
patogeni
e/o
se
presenti
i
noti
fattori
di
rischio
La
frequenza
dei
test
positivi
per
la
tossina
aumenta
con
l'aumentare
della
gravità
della
colite,
variando
dal
20%
nella
forma
più
comune
di
semplice
diarrea
postantibiotica,
senza
alcuna
infiammazione
visibile
alla
sigmoidoscopia,
ad
oltre
il
90%
nei
casi
di
colite
pseudomembranosa
conclamata.
Per
contro,
gli
adulti
sani
presentano
una
percentuale
di
portatori
di
C.
difficile
del
2-‐3%
e
una
prevalenza
praticamente
nulla
di
tossina
del
C.
difficile.
Dopo
il
trattamento
non
deve
essere
eseguito
test
a
conferma
della
guarigione.
Profilassi
e
Terapia
Il
miglior
metodo
per
prevenire
la
colite
associata
con
le
terapie
antibiotiche
è
quello
di
evitare
l'uso
indiscriminato
degli
antibiotici
e
di
ridurre
al
minimo
la
durata
del
trattamento.
Poiché
sono
stati
segnalati,
sempre
più
frequentemente,
dei
casi
insorti
contemporaneamente
in
ambiente
ospedaliero,
è
essenziale
seguire
delle
precauzioni
per
l'isolamento
del
materiale
fecale
dei
pazienti
affetti,
con
particolare
attenzione
al
routinario
e
meticoloso
lavaggio
delle
mani.
Nei
pazienti
con
una
precedente
infezione
da
C.
difficile
si
deve
evitare
l'esposizione
allo
stesso
antibiotico,
sebbene
non
sia
stato
provato
che
dall'uso
ripetuto
risulti
un
secondo
attacco.
I
tentativi
di
mantenere
l'omeostasi
della
flora
fecale
durante
la
terapia
antibiotica
mediante
l'uso
di
preparazioni
orali
con
lattobacilli
non
sono
stati
utili.
Se
si
verifica
una
diarrea
significativa
durante
la
somministrazione
degli
antibiotici,
questi
devono
essere
sospesi
immediatamente,
a
meno
che
il
loro
uso
non
sia
assolutamente
essenziale.
Devono
essere
evitati
i
farmaci
antiperistaltici,
poiché
possono
protrarre
la
malattia
prolungando
il
tempo
di
contatto
della
mucosa
colica
con
l'agente
lesivo.
Una
diarrea
non
complicata
indotta
dall'uso
degli
antibiotici,
senza
evidenza
di
una
colite
franca
o
di
una
tossicità
sistemica,
solitamente
cessa
spontaneamente
in
10-‐
12
giorni,
dopo
la
sospensione
dell'antibiotico
e
non
è
quindi
necessaria
alcuna
altra
terapia
specifica.
248
286 / 356
Nella
maggior
parte
dei
casi
di
colite
franca
da
C.
Difficile
associata
all'uso
degli
antibiotici,
il
metronidazolo
per
os
a
dosi
di
500
mg
tid
o
250
mg
qid
per
7-‐10
giorni
rappresenta
oggi
il
trattamento
di
prima
linea.
Il
metronidazolo
è
molto
meno
costoso
e,
di
solito,
è
efficace
quanto
la
vancomicina
per
via
orale,
che
in
passato
rappresentava
la
terapia
di
scelta.
La
vancomicina
per
via
orale
a
dosi
di
125
mg
qid
viene
riservata
per
i
casi
più
gravi
o
resistenti.
Sebbene
non
siano
stati
riportati
casi
di
resistenza
alla
vancomicina,
le
recidive
cliniche
si
possono
verificare
sino
al
20%
dei
pazienti
e
possono
richiedere
un
nuovo
trattamento.
Comunque,
la
persistenza
asintomatica
della
tossina
del
C.
difficile
nelle
feci,
anche
per
diversi
mesi
dopo
la
risoluzione
dei
sintomi,
non
richiede
un'ulteriore
terapia.
Una
terapia
antibiotica
prolungata
combinata
con
la
somministrazione
di
lattobacilli
o
con
l'istillazione
rettale
di
batterioidi
può
essere
necessaria
in
alcuni
pazienti
che
hanno
avuto
delle
recidive
multiple.
I
pazienti
affetti
da
una
malattia
intrattabile
o
fulminante,
possono
richiedere
il
ricovero
in
ospedale
per
il
trattamento
di
supporto
con
la
somministrazione
endovenosa
di
liquidi,
elettroliti
e
trasfusioni
di
sangue,
secondo
gli
stessi
principi
che
governano
il
trattamento
della
colite
ulcerosa
idiopatica.
INFEZIONI
INTESTINALI
DA
ESCHERICHIA
COLI
L'Escherichia
Coli
è
un
bacillo
gram-‐negativo,
aerobio,
asporigeno,
appartenente
alla
famiglia
delle
Enterobacteriaceae;
rappresenta
uno
dei
principali
patogeni,
alla
base
di
diversi
quadri
clinico-‐patologici
quali
cistiti,
enterocoliti,
setticemie,
polmoniti,
meningiti,
ulcere
cutanee
infette,
peritoniti,
colangiti,
congiuntiviti,
infezioni
ORL
ed
ortopediche.
Il
batterio
in
questione
deve
il
nome
al
suo
scopritore,
Theodor
Escherich,
un
batteriologo
e
pediatra
tedesco
naturalizzato
austriaco.
Poiché
la
sua
temperatura
ottimale
di
sopravvivenza
è
di
37
°C,
l'Escherichia
coli
vive
facilmente
nell'intestino
dell'uomo
e
degli
animali;
è
poco
resistente
a
disinfettanti
chimici
e/o
fisici
e
viene
distrutto
con
la
pastorizzazione.
Ne
esistono
centinaia
di
sierotipi
che
si
caratterizzano
per
le
diverse
combinazioni
degli
antigeni
O
(somatico,
LPS
gruppo-‐specifico),
K
(capsulare,
tipo-‐specifico)
e
H
(ciliare,
in
base
al
quale
si
riconoscono
tre
varianti:
A,
L,
B).
Alcuni
ceppi
di
Escherichia
coli
sono
oggi
classificati
come
patogeni,
ovvero
dotati
di
fattori
di
virulenza
e
patogenicità
e
sono
associati
a
ben
determinate
patologie,
sia
intestinali
che
extraintestinali.
I
ceppi
di
Escherichia
coli
associati
a
patologie
enteriche
sono
i
seguenti:
• Escherichia
coli
enterotossigeno
(ETEC)
• Escherichia
coli
enteroinvasivo
(EIEC)
• Escherichia
coli
enteropatogeno
(EPEC)
• Escherichia
coli
enteroaderente
(EAEC)
• Escherichia
coli
produttore
di
verocitotossine
(VTEC)
o
anche
shigatossine
(STEC).
Un
importante
sottogruppo
degli
Escherichia
coli
produttori
di
verotossine
sono
gli
Escherichia
coli
enteroemorragici
(EHEC).
I
vari
ceppi
di
Escherichia
coli
che
sono
alla
base
di
forme
enteriche
(principalmente
sindromi
diarroiche)
possono
sviluppare
il
proprio
potere
patogeno
seguendo
strade
diverse:
possono
farlo
producendo
enterotossine
e/o
citotossine,
invadendo
la
mucosa
intestinale
oppure,
dopo
aver
aderito
agli
enterociti,
inviando,
attraverso
la
membrana,
dei
segnali
biochimici
che
sono
in
grado
di
sovvertire
l'organizzazione
citoscheletrica.
249
287 / 356
Eziopatogenesi
e
Clinica
Gli
ETEC
(Enterotoxigenic
Escherichia
coli)
sono
provvisti
di
appendici
proteiche,
dette
adesine
fimbriali,
che
permettono
loro
l'adesione
all'epitelio
dell'intestino
tenue.
Questo
ceppo
di
Escherichia
coli
è
in
grado
di
produrre
varie
tipologie
di
enterotossine,
tra
cui
endotossine
(Endotossine
O6
O8
O25
O111
O119
O125-‐1287
O142)
ed
esotossine:
alcuni
ceppi
producono
tossine
termolabili
(coleriformi,
attivanti
il
cAMP),
altri
producono
tossine
termostabili,
mentre
altri
ceppi
le
producono
entrambe.
I
processi
infettivi
provocati
dagli
Escherichia
coli
enterotossigeni
sono
endemici
nei
Paesi
in
via
di
sviluppo
e
colpiscono
solitamente
i
bambini
al
momento
dello
svezzamento
nonché
i
viaggiatori
che
provengono
dai
Paesi
maggiormente
sviluppati
La
principale
fonte
di
contagio
è
rappresentata
da
acque
contaminate
con
deiezioni
umane
e/o
animali.
Gli
ETEC
rappresentano
la
principale
causa
della
cosiddetta
diarrea
del
viaggiatore
che,
da
un
punto
di
vista
clinico,
si
presenta
in
genere
con
nausea,
vomito,
borborigmi,
dolori
addominali
crampiformi
e
diarrea,
sintomi
che
iniziano
in
genere
da
12
a
72
ore
dopo
l'ingestione
dei
cibi
o
dell'acqua
contaminati;
alcune
persone
presentano
febbre
e
mialgie.
La
gravità
è
variabile.
La
maggior
parte
dei
casi
è
lieve
e
autolimitantesi,
anche
se
si
può
verificare
una
disidratazione,
specialmente
nei
climi
temperati.
Gli
EIEC
(Enteroinvasive
Escherichia
coli)
invadono
le
cellule
della
mucosa
del
colon
sfruttando
un
meccanismo
noto
come
endocitosi;
sono
causa
di
danno
tissutale,
infiammazione
e
necrosi;
generalmente
l'infezione
da
EIEC
è
caratterizzata
dal
manifestarsi
di
intensi
dolori
addominali
e
diarrea
acquosa
con
sangue,
muco
e
leucociti,
dopo
un
periodo
di
incubazione
variabile
da
2
a
5
giorni.
La
febbre
è
assente
o
di
grado
moderato.
Gli
EPEC
(Enteropathogenic
Escherichia
coli),
ceppi
non
invasivi
e
non
produttori
di
enterotossine,
aderiscono
all'epitelio
dell'intestino
tenue
provocando
la
distruzione
dei
microvilli
intestinali
causando,
dopo
un
periodo
di
1-‐4
giorni,
diarrea
(in
particolar
250
288 / 356
modo
nei
lattanti
e
nei
bambini
!
diarrea
endemica
infantile),
vomito
e
febbre
non
particolarmente
elevata;
insieme
agli
ETEC
sono
l'agente
causale
di
diarrea
più
frequente
a
livello
mondiale.
Gli
EPEC
sono
stati
i
primi
ceppi
del
batterio
a
essere
stati
identificati
come
patogeni
intestinali.
La
loro
trasmissione
avviene
generalmente
attraverso
la
via
oro-‐fecale.
Gli
EAEC
(Enteroaggregative
Escherichia
coli)
aderiscono
al
piccolo
e
largo
intestino
secernendo
enterotossine
e
citotossine.
Rappresentano
la
maggior
causa
di
diarrea
persistente
(per
più
di
14
giorni)
infantile,
nei
paesi
in
via
di
sviluppo,
con
letalità
piuttosto
elevata;ad
oggi
sono,
però,
stati
descritti
numerosi
episodi
di
tossinfezione
alimentare,
dovuti
a
questo
tipo
di
microrganismi,
anche
nei
paesi
industrializzati.
L'ultimo
gruppo
(gli
EHEC,
Enterohemorragic
Escherichia
coli,
sottogruppo
dei
VTEC)
è
quello
che
negli
ultimi
anni
ha
assunto
maggiore
importanza
come
causa
di
colite
emorragica
e
di
sindrome
emolitico-‐uremica
(la
prima
rilevazione
è
del
1982
in
circa
50
soggetti
che
avevano
mangiato
hamburger
contaminati).
I
ceppi
di
E.
Coli
enteroemorragico
sono
i
principali
responsabili
di
malattia
nei
paesi
industrializzati.
Si
calcola
che
questi
batteri
causino
circa
73.000
casi
d'infezione
e
quasi
600
morti
ogni
anno
negli
USA.
Sono
circa
50
i
sierotipi
che
causano
malattia;
il
sierogruppo
che,
tuttavia,
è
il
principalmente
responsabile
dei
caratteristici
quadri
clinici
è
lo
O157:H7.
L'ingestione
di
meno
di
100
bacilli
può
causare
la
malattia;
questa
è
stata
associata
al
consumo
di
carne
di
manzo
non
ben
cotta,
di
latte
non
pastorizzato,
di
succhi
di
frutta
contaminati
(ad
esempio
da
feci
bovine)
e
di
verdura
cruda.
L'hamburger
è
particolarmente
a
rischio
perché
il
batterio,
penetrato
in
profondità
a
causa
della
carne
macinata,
resiste
alla
debole
temperatura
di
cottura.
La
malattia
si
manifesta
a
carico
dell'intestino
crasso
dopo
un
periodo
d’incubazione
di
3-‐4
giorni
durante
i
quali
iniziano
progressivamente
a
comparire
una
serie
di
attacchi
di
diarrea
acuta,
inizialmente
in
assenza
di
sangue
ma
che,
intorno
al
terzo
giorno
accompagnata
da
forti
dolori
addominali,
diviene
in
genere
sanguinolenta.
Possono
presentarsi
febbre,
nausea
e
vomito.
La
guarigione
avviene
in
genere
in
5-‐10
giorni.
I
ceppi
EHEC
sono
in
grado
di
secernere
la
tossina
Stx-‐1
(identica
alla
tossina
di
Shigella)
insieme
alla
tossina
Stx-‐2
(60%
di
analogia
alla
tossina
di
Shigella).
Entrambe
le
tossine
sono
codificate
da
fagi
lisogeni
e
hanno
una
subunità
A
e
cinque
subunità
B,
in
grado
di
legarsi
al
globotriaosilceramide
o
Gb3.
Il
legame
con
questo
recettore
promuove
l'internalizzazione
della
subunità
A
nell'enterocita;
questa
è
in
grado
di
legarsi
al
frammento
di
RNA
ribosomiale
28s,
bloccando
la
sintesi
proteica.
La
distruzione
degli
enterociti,
accompagnata
da
una
diminuzione
della
capacità
di
assorbimento,
comporta
la
presenza
di
una
diarrea
molto
liquida
e
sanguinolenta.
La
produzione
di
Stx-‐2
si
associa
spesso
alla
sindrome
uremico-‐emolitica
(HUS),
caratterizzata
da:
• Insufficienza
renale
acuta
• Trombocitopenia
• Anemia
emolitica
• Microangiopatia
Il
trattamento
Molte
infezioni
da
Escherichia
coli
(ma
anche
altre
di
tipo
alimentare
come,
per
esempio,
quelle
da
Campylobacter
e
Salmonella)
si
potrebbero
facilmente
prevenire
con
una
maggiore
igiene
e
soprattutto
con
la
conoscenza
dei
cibi
a
rischio.
Il
fatto
che
tutto
spesso
si
riduca
a
qualche
giorno
di
forte
diarrea,
non
deve
far
passare
in
secondo
piano
che
l'esito
della
tossinfezione
può
essere
mortale
in
una
certa
percentuale
di
casi
(per
fortuna
bassa,
ma
non
trascurabile).
Poiché
gli
antibiotici
sembrano
addirittura
peggiorare
la
situazione,
le
cure
sono
sintomatiche
(reidratazione)
e
volte
a
curare
o
prevenire
le
complicanze.
Per
quanto
riguarda
la
cosiddetta
diarrea
del
viaggiatore:
251
289 / 356
3)
GASTROENTERITI
CRONICHE
AMEBIASI
Condizione
infettiva
del
colon,
promossa
dall’instaurazione
di
un
rapporto
infettivo
con
Entamoeba
histolytica,
che
decorre
spesso
in
forma
asintomatica
ma
che
può
anche
produrre
manifestazioni
cliniche
che
vanno
dalla
diarrea
moderata
alla
dissenteria
grave.
Eziologia e patogenesi
252
290 / 356
essere
pressoché
asintomatici
(stato
di
portatore
asintomatico),
potendo
tuttavia
rappresentare
una
possibile
sorgente
di
infezione
per
altri
individui
attraverso
l’emessione
cronica
di
cisti
con
le
feci.
I
sintomi
più
comuni,
se
manifesti,
includono
diarrea
intermittente
e
costipazione
(le
feci
possono
contenere
muco
e
sangue),
flatulenza
e
dolori
addominali
crampi
formi;
è
possibile
il
riscontro
di
dolorabilità
in
sede
epatica
e
a
livello
del
colon
ascendente.
La
dissenteria
amebica,
frequente
ai
tropici
ma
rara
nei
climi
temperati,
è
caratterizzata
da
episodi
di
feci
(semi)liquide,
contenenti
spesso
sangue,
muco
e
trofozoiti
vivi.
I
segni
addominali
variano
da
modica
tensione
a
dolore
addominale
franco
con
febbre
elevata
e
sintomi
tossici
sistemici.
Un'epatomegalia
dolorosa
accompagna
spesso
la
colite
amebica.
Tra
un
episodio
e
l'altro
i
sintomi
diminuiscono,
con
soli
crampi
ricorrenti
e
feci
liquide
o
poco
consistenti,
anche
se
permangono
l'anemia
e
lo
stato
di
emaciazione.
Possono
verificarsi
i
sintomi
di
un'appendicite
subacuta.
L'intervento
chirurgico,
in
questi
casi,
può
provocare
una
peritonite.
L'infezione
cronica
mima
comunemente
una
malattia
infiammatoria
intestinale
e
si
presenta
come
diarrea
intermittente
non
dissenterica
con
dolore
addominale,
muco,
flatulenza
e
perdita
di
peso.
L'infezione
cronica
può
anche
presentarsi
come
massa
palpabile
morbida
o
come
lesione
anulare
nel
ceco
e
nel
colon
ascendente
che
ricorda
un
carcinoma
(l'ameboma).
La
malattia
metastatica
origina
nel
colon
e
può
coinvolgere
ogni
organo
anche
se
la
manifestazione
più
comune
è
l'ascesso
epatico,
di
solito
singolo
e
nel
lobo
destro.
Esso
può
presentarsi
in
pazienti
senza
precedenti
sintomi,
è
più
comune
negli
uomini
che
nelle
donne
(rapporto
da
7:1
a
9:1)
e
può
svilupparsi
in
modo
subdolo.
I
sintomi
comprendono
dolore
o
malessere
nella
zona
epatica,
aggravati
dal
movimento
e
talvolta
riferito
alla
spalla
destra,
febbre
intermittente,
sudori,
brividi,
nausea,
vomito,
debolezza
e
perdita
di
peso.
L'ittero
è
raro
e,
se
presente,
di
lieve
entità.
L'ascesso
può
perforarsi
nello
spazio
subfrenico,
nella
cavità
pleurica
destra,
nel
polmone
destro
e
in
altri
organi
adiacenti.
Occasionalmente
sono
state
osservate,
specialmente
attorno
al
perineo
e
alle
natiche,
lesioni
cutanee
causate
da
impianto
diretto
di
trofozoiti,
in
particolare
nelle
ferite
traumatiche
e
operatorie.
Diagnosi
L'amebiasi
non
dissenterica
è
spesso
confusa
con
la
sindrome
del
colon
irritabile,
con
l'enterite
regionale
o
con
la
diverticolite.
La
dissenteria
amebica
può
essere
invece
confusa
con
la
shighellosi,
la
salmonellosi,
la
schistosomiasi
o
la
colite
ulcerosa.
Le
feci
nella
dissenteria
amebica
sono
più
consistenti
e
meno
frequenti,
meno
acquose
o
meno
purulente
che
nella
dissenteria
batterica.
Esse
contengono
caratteristicamente
muco
tenace
e
macchie
di
sangue
fresco
o
alterato.
Al
contrario
delle
feci
nella
shighellosi,
nella
salmonellosi
e
nella
colite
ulcerosa,
le
feci
amebiche
non
contengono
una
grande
quantità
di
leucociti.
L'amebiasi
epatica
e
l'ascesso
amebico
vanno
distinti
dalle
altre
infezioni
epatiche
ovvero
dagli
ascessi
batterici
e
da
cisti
di
echinococco
infettate.
L'amebiasi
intestinale,
viene
confermata
dal
rinvenimento
dell'E.
histolytica
nelle
feci
o
nei
tessuti.
La
diagnosi
può
richiedere
l'esame
di
3-‐6
campioni
fecali
e
metodi
di
concentrazione.
Gli
antibiotici,
gli
antiacidi,
gli
agenti
antidiarroici,
clisteri
e
mezzi
di
contrasto
radiologico
intestinale
possono
interferire
con
la
raccolta
del
parassita
e
non
devono
essere
somministrati
fino
a
che
le
feci
non
siano
state
esaminate.
L'E.
histolytica
deve
essere
distinta
dalle
amebe
non
patogene
e
dall'E.
coli.
Nei
pazienti
sintomatici,
la
proctoscopia
dimostra
spesso
lesioni
mucose
a
fiasco,
che
vanno
aspirate
e
nel
materiale
andranno
ricercati
i
trofozoiti.
Campioni
bioptici
anch'essi
delle
lesioni
rettosigmoidee
possono
contenere
trofozoiti.
L'amebiasi
extraintestinale
è
più
difficile
da
diagnosticare.
L'esame
delle
feci
è
solitamente
negativo
e
l'identificazione
di
trofozoiti
nel
pus
è
rara.
Un
tentativo
253
291 / 356
terapeutico
con
amebicidi
può
essere
il
mezzo
diagnostico
più
utile
per
un
ascesso
amebico
epatico.
I
test
sierologici
sono
positivi
in
quasi
tutti
i
pazienti
con
ascesso
amebico
epatico
e
in
oltre
80%
dei
soggetti
con
dissenteria
amebica.
I
test
sono
positivi
solo
in
circa
il
10%
dei
portatori
asintomatici.
Il
test
di
emoagglutinazione
indiretta
e
i
test
ELISA
sembrano
essere
quelli
più
sensibili.
I
titoli
anticorpali
possono
persistere
per
mesi
o
anni.
In
presenza
di
un
ascesso
epatico,
la
radiografia
diretta
del
torace
(e
successivamente
dell’addome)
mostra
un'elevazione
e
una
fissazione
oppure
una
diminuita
escursione
del
diaframma
destro.
Una
scintigrafia
epatica
con
radioisotopi
o
una
TC
possono
mostrare
le
dimensioni
dell'ascesso
mentre
un
esame
con
ultrasuoni
(ecografia
!
esame
di
primo
livello)
può
rivelare
se
esso
è
ripieno
di
liquido
o
meno
oltre
alla
fase
patologica
della
lesione
(fase
della
necrosi
!
fase
della
colliquazione
!
fase
cicatriziale).
Il
livello
della
fosfatasi
alcalina
può
essere
aumentato.
L'agoaspirato
è
di
solito
riservato
alle
lesioni
superiori
ai
10
cm,
ai
casi
in
cui
si
sospetti
una
rottura
imminente
o
ai
casi
con
scarsa
risposta
dopo
5
giorni
di
terapia
antibiotica.
Gli
ascessi
contengono
materiale
denso
semifluido
che
va
dal
color
giallo
al
marrone
cioccolato.
Un'agobiopsia
può
prelevare
tessuto
necrotico,
ma
amebe
mobili
sono
difficili
da
trovare
nel
materiale
ascessuale,
mentre
le
cisti
sono
del
tutto
assenti.
Prevenzione
e
Terapia
Deve
essere
prevenuta
la
contaminazione
di
cibo
e
acqua
con
feci
umane;
ciò
costituisce
un
problema
complicato
dall'alta
incidenza
di
portatori
asintomatici.
I
livelli
di
cloro
sufficienti
a
uccidere
i
batteri
non
sono
efficaci
sulle
cisti
da
E.
histolytica,
ma
bollendo
o
trattando
l'acqua
con
compresse
di
idroperiodio
tetraciclina
(1-‐2
compresse
per
quarto
di
litro
o
per
litro)
si
uccidono
le
cisti.
La
terapia
generale
allevia
i
sintomi
e
corregge
le
perdite
idro-‐elettrolitiche
ed
ematiche.
Se
i
sintomi
dell'appendicite
sono
ritenuti
essere
di
origine
amebica,
la
chirurgia
può
essere
differita
di
48-‐72
ore
per
osservare
gli
effetti
della
chemioterapia.
Le
persone
asintomatiche
che
eliminano
cisti,
in
caso
di
infezione
da
E.
histolytica
(non
per
E.
dispar),
devono
essere
trattate
per
prevenirne
la
diffusione
con
amebicidi
luminali
quali
la
paromomicina
o
l’Humantin
alle
dosi
di
500
mg
qid
per
7
giorni.
Per
i
pazienti
con
sintomi
gastrointestinali
moderati
(forme
acute
invasive
e
non
invasive)
un
ciclo
di
amebicida
luminale
(come
sopra)
può
dover
essere
seguito
da
un
secondo
farmaco,
un
amebicida
tissutale
come
il
metronidazolo
(750
mg
tid
per
10-‐14
giorni)
o
il
tinidazolo
(2
g
al
giorno
per
3
giorni,
5
giorni
in
caso
di
forme
invasive).
Per
l'amebiasi
extraintestinale,
il
metronidazolo
è
il
farmaco
di
scelta
e
viene
somministrato
come
sopra
indicato.
Se
gli
esami
radiologici
evidenziano
uno
pseudo-‐
ascesso
sottocapsulare
o
superiore
agli
8-‐10
cm
è
necessario
procedere
al
suo
svuotamento
ecoguidato
seguito
da
immissione
in
loco
di
5-‐nitroimidazolico
in
soluzione
(Deflamon).
GIARDIASI
Condizione
infettiva
dell’intestino
tenue
promossa
dall’instaurazione
di
un
rapporto
infettivo
con
protozoo
flagellato,
la
Giardia
Lamblia,
che
decorre
spesso
in
forma
asintomatica
ma
che
può
anche
produrre
manifestazioni
cliniche
che
vanno
dalla
flatulenza
intermittente
al
malassorbimento
cronico.
Eziologia
e
patogenesi
I
trofozoiti
di
Giardia
si
attaccano
solitamente
in
modo
piuttosto
deciso
alla
mucosa
duodenale
e
prossimale
del
digiuno,
moltiplicandosi
quindi
per
fissione
binaria.
Gli
organismi
rilasciati
si
trasformano
rapidamente
in
cisti
resistenti
nell'ambiente
che
sono
254
292 / 356
eliminate
con
le
feci
e
diffuse
per
via
oro-‐fecale.
La
trasmissione
tramite
l'acqua
è
la
fonte
maggiore
di
giardiasi
ma
può
anche
verificarsi
per
contatto
diretto
interpersonale,
specialmente
in
istituti
psichiatrici,
in
centri
diurni
o
tra
partner
sessuali.
Oltre
all'uomo,
possono
fungere
da
serbatoi
anche
gli
animali
selvatici.
L'infezione
si
verifica
su
scala
mondiale,
specialmente
tra
i
bambini
e
dove
i
livelli
di
igiene
sono
scarse.
La
giardiasi
rappresenta
oggi
in
Italia
o
più
in
generale
in
Europa,
una
delle
più
comuni
infezioni
intestinali;
i
tassi
di
infestazione
sono
particolarmente
alti
tra
i
visitatori
di
numerosi
paesi,
tra
i
maschi
omosessuali
promiscui
e
nei
pazienti
affetti
da
sindrome
di
dumping,
pancreatite
cronica
o
ipogammaglobulinemia.
Altri
fattori
di
rischio
sono
ipo/malnutrizione,
l’Ipo/acloridria
e
i
deficit
immunitari.
Clinica
La
maggior
parte
dei
casi
è
asintomatica,
soprattutto
se
si
tratta
di
soggetti
adulti;
è
bene
ricordare
tuttavia
che
queste
persone
possono
eliminare
in
modo
più
o
meno
consistente
cisti
infettive
di
Giardia,
necessitando
quindi
di
trattamento.
Sintomi
e
segni
di
giardiasi
acuta,
che
generalmente
appaiono
da
1
a
3
settimane
dopo
la
contrazione
dell'infezione,
sono
di
solito
moderati
e
includono
diarrea
acquosa
maleodorante,
crampi
addominali
e
distensione,
flatulenza
ed
eruttazione,
nausea
intermittente
e
dolore
epigastrico.
Possono
essere
presenti
febbre
(bassa),
brividi,
malessere
e
cefalea
e
talvolta
un
quadro
di
allergopatia
cutanea
più
o
meno
estesa.
Il
malassorbimento
dei
grassi
e
degli
zuccheri
può
portare
ad
una
significativa
perdita
di
peso
nei
casi
più
gravi.
Sangue
e
muco
non
sono
di
solito
presenti
nelle
feci.
La
fase
cronica
può
seguire
o
verificarsi
senza
una
malattia
acuta;
predomina,
in
questo
caso,
un
quadro
caratterizzato
da
emissione
di
feci
poco
formate
e
maleodoranti,
distensione
addominale
e
flatulenza
maleodorante.
La
giardiasi
cronica
è
occasionalmente
causa
di
mancata
crescita
nei
bambini,
con
alterazioni
più
o
meno
consistenti
della
curva
staturo-‐posturale.
Diagnosi
La
diagnosi
è
resa
possibile
dall'evidenziazione
nelle
feci
dei
caratteristici
trofozoiti
o
delle
cisti.
Questi
sono
facilmente
rinvenuti
nelle
infezioni
acute,
ma
l'eliminazione
del
parassita
è
intermittente
e
a
bassi
livelli
nella
infezione
cronica.
La
diagnosi
può
richiedere
perciò
ripetuti
esami
delle
feci
(in
genere
5
campioni)
o
l'esame
del
contenuto
dell'intestino
superiore
ottenuto
con
una
striscia
di
nylon
o
per
aspirazione
endoscopica.
Per
l'evidenziazione
dei
parassiti
o
dei
loro
antigeni
sono
disponibili
test
di
immunofluorescenza
ed
ELISA.
Sonde
specifiche
di
DNA
sono
in
fase
di
studio.
Profilassi
e
Terapia
La
scrupolosa
igiene
personale
può
prevenire
la
trasmissione
interpersonale.
Il
trattamento
dei
portatori
sani
riduce
la
diffusione
dell'infezione,
ma
se
il
trattamento
dei
bambini
asintomatici
infetti
negli
asili
nido
sia
conveniente
rimane
poco
chiaro.
L'acqua
può
essere
decontaminata
mediante
ebollizione
o
riscaldandola
ad
almeno
70°C
per
10
min.
Le
cisti
di
Giardia
resistono
ai
livelli
ordinari
di
clorazione
dell'acqua
per
essere
efficace
la
disinfezione
basata
su
iodio
deve
essere
effettuata
per
almeno
8
h.
Alcuni
dispositivi
di
filtrazione
possono
rimuovere
le
cisti
di
Giardia
dall'acqua
contaminata.
Il
metronidazolo
orale
(250
mg
tid
per
5
giorni
negli
adulti;
15
mg/kg/die
in
tre
dosi
frazionate
per
5
giorni
nei
bambini)
è
efficace
e
rappresenta
l’approccio
terapeutico
di
primo
livello.
Gli
effetti
collaterali
includono
nausea,
cefalea
e,
meno
comunemente,
urine
scure,
parestesia
e
vertigini.
Farmaci
di
seconda
scelta
sono
la
Paromomicina
(Humantin,
500
mg
qid
per
7-‐10
giorni),
l’Albendazolo
(400
mg/die
per
5-‐7
giorni)
e
la
Nitazoxanide
(500
mg
bid
per
3
giorni).
255
293 / 356
I
familiari
o
i
partner
sessuali
del
paziente
vanno
esaminati
e
curati
se
colpiti
dalla
giardiasi.
La
terapia
durante
la
gravidanza
deve
essere
evitata;
se
possibile,
il
metronidazolo
non
deve
essere
somministrato
a
donne
in
gravidanza.
Se
la
terapia
non
può
essere
ritardata
a
causa
di
sintomi
gravi,
può
essere
usato
un
aminoglicoside
non
assorbibile
come
la
paromomicina
(25-‐35
mg/kg/
die
per
via
orale
in
3
dosi
frazionate
per
7
giorni).
CRIPTOSPORIDIOSI
Condizione
infettiva
dell’intestino
tenue
promossa
dall’instaurazione
di
un
rapporto
infettivo
con
protozoi
coccidiani,
i
Criptosporidi,
che
decorre
talvolta
in
forma
asintomatica
ma
che
più
spesso
produce
manifestazioni
cliniche
riferibili
ad
un
quadro
di
enterite
diarroica
acuta.
Eziologia
e
patogenesi
I
criptosporidi
sono
protozoi
coccidiani
che
si
replicano
intracellularmente
nel
margine
ciliato
del
piccolo
intestino.
Le
oocisti
infettanti
vengono
liberate
nel
lume
e
si
ritrovano
nelle
feci.
Dopo
l'ingestione
da
parte
di
un
altro
vertebrato,
l'oocisti
libera
gli
sporozoiti
che
si
trasformano
in
trofozoiti,
quindi
si
replicano
e
producono
oocisti
dopo
circa
12
giorni.
Le
due
specie
più
spesso
coinvolte
nell’infezione
umana
sono
la
C.
hominis
e
il
C.
parvum.
Quest
ultimo
è
il
responsabile
della
maggior
parte
dei
casi
di
malattia
in
Europa.
Le
infezioni
derivano
da
diffusione
zoonotica,
da
contatto
interpersonale
diretto
o
sono
trasmesse
con
l'acqua
e
vetali
crudi
inquinati.
La
malattia
si
verifica
in
tutto
il
mondo,
ma
soprattutto
in
zone
tropicali
e
sub-‐tropicali;
sono
ad
alto
rischio
i
bambini,
chi
viaggia
all'estero,
i
pazienti
immunocompromessi
e
il
personale
sanitario
che
assiste
i
soggetti
affetti
da
criptosporidiosi.
La
criptosporidiosi
è
responsabile
di
più
del
5%
di
tutte
le
gastroenteriti
sia
nei
paesi
industrializzi
che
in
quelli
in
via
di
sviluppo.
Clinica
Il
periodo
di
incubazione
è
di
circa
una
settimana
e
la
malattia
clinica
si
verifica
in
più
dell'80%
delle
persone
infette.
L'esordio
è
acuto,
con
profusa
diarrea
acquosa
(mai
ematica),
crampi
addominali
e,
meno
comunemente,
nausea,
anoressia,
febbre
e
malessere.
I
sintomi
generalmente
persistono
per
1-‐2
settimane,
raramente
un
mese
e
quindi
diminuiscono.
L'eliminazione
fecale
delle
oocisti
può
continuare
per
diverse
settimane
dalla
fine
dei
sintomi
clinici.
L'eliminazione
asintomatica
delle
oocisti
è
comune
presso
i
bambini
più
grandi
nei
paesi
in
via
di
sviluppo.
Nell'ospite
immunocompromesso,
sebbene
l'esordio
della
malattia
possa
essere
più
graduale,
la
diarrea
e
gli
altri
segni
e
sintomi
sono
spesso
ben
più
gravi,
con
il
possibile
sviluppo
di
un
enterite
iperacuta
“colera-‐like”
e/o
di
una
forma
di
enterite
diarroica
cronica.
Se
non
si
può
rimediare
al
difetto
immunitario
di
base,
l'infezione
non
verrà
eliminata.
Perciò,
la
diarrea
profusa
intrattabile
può
proseguire
persistentemente
o
in
maniera
intermittente
a
vita,
con
perdite
di
fluidi
superiori
a
5-‐10
l/die.
Altre
possibili
complicanze
sono
lo
sviluppo
di
un
quadro
di
colangite
sclerosante,
colecistite
acalcolosa,
pancreatite,
tracheobronchite
e
polmonite.
Diagnosi
L'identificazione
delle
oocisti
acido-‐resistenti
nelle
feci
conferma
la
diagnosi;
i
metodi
convenzionali
di
esame
delle
feci
non
sono
attendibili
e
richiedono,
soprattutto
se
eseguiti
nei
pazienti
immunodepressi,
almeno
5
campioni.
L'utilizzo
delle
procedure
di
sedimentazione
con
formalina-‐etil
acetato
o
di
concentrazione
delle
feci
con
la
flottazione
zuccherina
aumenta
le
probabilità
di
effettuare
la
diagnosi.
Le
oocisti
di
256
294 / 356
Cryptosporidium
possono
essere
identificate
mediante
microscopia
a
contrasto
di
fase
o
colorando
con
il
reagente
Kinyoun
modificato
acido-‐resistente.
L'Anticorpo
monoclonale
marcato
con
fluoresceina
e
i
kit
ELISA
sono
ottimi
per
l'individuazione
di
oocisti.
La
biopsia
intestinale
rappresenta
l'ultima
risorsa.
Profilassi
e
terapia
Le
feci
dei
pazienti
con
criptosporidiosi
sono
altamente
contagiose.
La
bollitura
dell'acqua
è
il
metodo
di
decontaminazione
più
facilmente
disponibile.
Nelle
persone
immunocompetenti,
la
criptosporidiosi
è
autolimitantesi
e
richiede
solo
terapia
di
supporto
(reidratante,
sali
minerali).
Nei
bambini
può
rivelarsi
utile
la
somministrazione
di
nitazoxaminide.
In
pazienti
con
AIDS,
i
sintomi
della
criptosporidiosi
sono
spesso
contenuti
o
eliminati
con
un’adeguato
schemia
di
terapia
antiretrovirale
(HAART).
In
generale,
per
quanto
riguarda
i
pazienti
immunocompromessi,
giocano
un
ruolo
essenziale
misure
di
supporto
quali
la
reidratazione
orale
(casi
di
enterite
medio-‐moderate)
e
parenterale
(casi
di
interite
più
grave)
e
la
nutrizione
parenterale.
257
295 / 356
Data: 26/03/19
Materia: Specialità mediche
Professore: Zammarchi
File audio di personale
riferimento:
Durata file audio:
Coppia: Zannaro - Somigli
Innanzitutto c’è da dire che delle principali cause di morte al mondo (nel 2016, 56 milioni di morti),
le diarree sono responsabili di una buona quantità dei decessi (circa 2 milioni).
C’è una differenza tra i paesi a basso reddito e quelli ad alto reddito, per cui i morti a causa di
diarrea sono quasi tutti concentrati nei paesi a basso reddito, dove la diarrea causa mortalità
soprattutto nei bambini, per disidratazione e varie complicanze. Mentre nei paesi ad alto reddito
non abbiamo nessuna patologia infettiva fra le prime dieci cause di morte, se non le infezioni del
basso tratto respiratorio (polmoniti). Le polmoniti complicano comunque solitamente altre
patologie di base (demenza, disfagia, alzheimer..) e sono quindi l’evento terminale di patologie
croniche.
La diarrea in gastroenterologia si definisce come presenza nell’ evacuazione di feci liquide; esiste
anche una definizione in base al peso delle feci però molto difficilmente applicabile in pratica
clinica, infatti comporterebbe più di 200 grammi di evacuazione di feci al giorno e una frequenza
maggiore di tre volte al giorno. Oltre alla diarrea possono esserci delle caratteristiche
sintomatologiche combinate quali l’impellenza, l’urgenza evacuativa, il dolore/fastidio anale
chiamato tenesmo anale, che indica una diarrea di tipo infiammatorio, per esempio dovuta a
batteri che invadono la mucosa tipo la Shigella o salmonelle, ma anche ad alcuni protozoi per
esempio l’ameba che dà una proctocolite… può essere associata ad incontinenza.
Dal punto di vista della durata dei sintomi le diarree si dividono in:
- Acute (2 settimane)
Nelle diarree acute la maggior parte delle cause sono infettive, soprattutto da virus e batteri (che
rappresentano almeno il 70% delle cause di diarrea acuta). Via via che si va verso la cronicità della
diarrea, la probabilità che alla base di questa ci sia una causa infettiva si fa sempre più bassa.
Quali sono le cause infettive che possono dare diarree croniche? Soprattutto infezioni da protozoi
ed elminti. Per esempio la giardiasi e la amebiasi intestinale, sono due infezioni da protozoi
piuttosto frequenti. La giardiasi può dare delle complicanze molto gravi soprattutto gli ascessi a
296 / 356
livello epatico. Fra gli elminti abbiamo le infezioni da strongyloides stercoralis (un elminta che si
trasmette tramite la cute dei piedi o delle mani entrando in contatto con terreni contaminati da
feci umane che può dare una diarrea cronica, associata spesso a prurito ed eosinofilia, e che può
riattivarsi in caso di immunodepressione dando luogo ad infezioni anche particolarmente gravi.
Un'altra elmintiasi piuttosto frequente è la schistosomiasi (frequente in determinate aree
soprattutto africa, fascia tropicale, ma anche alcune zone del Medio Oriente, alcune zone del sud
est asiatico ed alcune parti del Sudamerica in particolare la costa atlantica del Brasile ed alcune
isole dei Caraibi). Lo schistosoma può dare una diarrea cronica con colite con possibile espulsione
di sangue, quindi una diarrea di tipo infiammatorio.
Una classificazione piuttosto importante dal punto di vista clinico è quella tra una diarrea
solamente acquosa, priva di sangue e muco, che non ha quindi le caratteristiche infiammatorie e
per la quale nella maggior parte dei casi non c’è bisogno di dare una terapia antibiotica e la
dissenteria:
- DIARREA ACQUOSA: diarrea liquida, senza la presenza di sangue e muco (da domandare sempre
al paziente), generalmente non associata a febbre né a dolore addominale, dovuta nella maggior
parte dei casi ad interessamento del piccolo intestino, e in quel caso è associata a un volume di
feci piuttosto consistente, poiché è nel piccolo intestino dove abbiamo la prima fase
dell’assorbimento, quindi c’è un danneggiamento delle prime vie digerenti. Può essere associata a
emissione di gas ed aumentati rumori della peristalsi, a causa del malassorbimento è possibile
riscontrare perdita di peso se la diarrea diventa cronica.
- DISSENTERIA: diarrea infiammatoria, cioè dove è presente sangue e muco, causata dall’invasione
da parte dei patogeni della mucosa e spesso è associata a febbre, dolori addominali e tenesmo,
quindi ad una sensazione di incompleta evacuazione. In questo caso la quantità di feci è piccola,
pertanto il paziente va molte volte al bagno ma non fa una quantità elevata di feci e di solito è
coinvolto l’intestino crasso in diversi tratti (colite o proctocolite).
Qui c’è un'altra branca delle cause infettive di diarrea, poi ci sono anche quelle non infettive, ma
visto che sono predominanti nelle cause croniche per esempio malattie infiammatorie croniche
intestinali, colite ulcerosa, morbo di Chron, sono tutte patologie che tendono a comparire
acutamente ma che nel tempo vanno a determinare una cronicità. Ad esempio anche alcuni
tumori neuroendocrini (come il linfoma) danno diarrea. Tra le cause che danno diarrea di tipo
acquoso, abbiamo varie classi di agenti patogeni:
DIARREA ACQUOSA
Norovirus, rotavirus sono le più frequenti, ma anche adenovirus… poi abbiamo il citomegalovirus
che è un virus molto particolare della famiglia degli erpetici che può dare delle riattivazioni negli
immunodepressi, quindi una riattivazione negli HIV-positivi o nei trapiantati dove possono
coinvolgere vari organi ad esempio a livello cerebrale (retinite), colon (colite), esofagite e
soprattutto nei trapiantati di midollo, possono determinare polmonite. L’HIV può manifestarsi,
soprattutto nella fase avanzata di AIDS, come una wasting syndrome: il paziente si trova
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consumato, ha perso più del 10% del suo peso, ha una diarrea cronica, febbre cronica per almeno
più di un mese.
-Abbiamo tutta una serie di patotipi che producono Escherichia Coli, che producono tossine, E. Coli
sono tra l’altro fra le cause maggiori di diarrea nei viaggiatori (acquisita in paesi in via di sviluppo.
- Il colera
- Intossicazione da stafilococco, si tratta di una vera e propria intossicazione, dove il batterio dello
staphyloccocus aureus non si riproduce all’interno del nostro organismo, ma si è riprodotto
all’interno degli alimenti e noi ingeriamo le tossine preformate che inducono una sintomatologia
gastrointestinale. L’intossicazione stafilococcica, che è tipica delle epidemie dei piccoli banchetti
(esempio matrimonio, mensa scolastica etc.) si presenta però raramente con diarrea, ma più
spesso con vomito, senza febbre, incubazione molto breve nel giro di 6/8 ore.
- Tra i protozoi: Giardia, Cryptosporidium (tipico di diarree croniche in HIV e di diarree associate
alla frequentazione di piscine di acqua dolce, perché questo batterio non viene eliminato dalla
clorazione) e Cyclospora.
DIARREA INFIAMMATORIA
- Campylobacter jejuni, che è una tipica causa della diarrea del viaggiatore: diarrea febbrile con
presenza di sangue e muco nelle feci
- Salmonelle minori
- Shigella
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- Alcuni tipi di Escherichia Coli per esempio gli enteroemorragici
- la Yersinia
- il Clostridium difficile
- Clostridioides (che può dare, se non trattato, una forma di tipo infiammatorio con emissione di
sangue: la colite pseudomembranosa)
- l’Entamoeba mystolitica (prima causa di diarrea infiammatoria sia acuta che cronica, soprattutto
cronica se non viene trattata)
- Schistosoma.
Gastroenteriti virali
Le gastroenteriti virali sono presenti sia nella nostra area geografica, ma anche nei paesi in via di
sviluppo. La trasmissione di tutti questi virus è per via oro-fecale. I Rotavirus sono una delle
principali cause di gastroenteriti virali e possono causare una disidratazione, quindi eventualmente
anche morte, se non c’è la possibilità di reintegrare con acqua potabile i liquidi persi, soprattutto
nei bambini di età inferiore a 5 anni e ovviamente nei paesi in via di sviluppo. I Norovirus invece
sono più tipici della nostra epidemiologia (dei paesi occidentali), possono causare delle piccole
epidemie in ospedale, in navi da crociera, all’interno di carceri e scuole pubbliche, quindi
sostanzialmente in comunità chiuse che magari hanno una mensa in comune. Tra i vari agenti di
gastroenteriti virali ci sono delle differenze anche stagionali: per esempio il rotavirus è tipico
dell’autunno/inverno, mentre altri tipo l’adenovirus sono tipici dell’estate. Degli Adenovirus
esistono diversi sierotipi: alcuni hanno tropismo più per le vie aeree, altri hanno tropismo per
l’apparato gastrointestinale. Questi ultimi sono lo stereotipo 40 e 41, però nel caso dell’adenovirus
spesso ci può essere un’associazione della diarrea con dei sintomi respiratori. (Questi virus
causano quello che comunemente si dice in modo non corretto “influenza intestinale”).
L’incubazione è piuttosto breve, di solito inferiore ai 3 giorni. Anche le età possono variare: il
rotavirus si ha soprattutto nei bambini al di sotto dei 2 anni, mentre i norovirus un po’ in tutte le
età.
Clinica
I sintomi sono abbastanza uniformi. Sono sintomi che durano poco, quindi da 1 a 3 giorni e fino a 7
giorni nei rotavirus. Ci può essere molto spesso nausea e vomito. La diarrea tipicamente non ha
sangue (non è di tipo infiammatorio, ma è di tipo acquoso). Ci può essere un po’ di dolore
addominale, ma non è grave. La febbre è presente in circa la meta dei casi e, se presente, è bassa
e dura poco. Ci possono essere sintomi respiratori nel 20% dei casi (in rotavirus e adenovirus). Un
10% dei casi può chiedere il ricovero per disidratazione e squilibrio elettrolitico nei bambini piccoli
e negli anziani.
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Diagnosi
Di solito è una diagnosi clinica: epidemiologia familiare, età clinica, quadro clinico tipico, diarrea
acquosa. Si può fare anche la ricerca di antigeni sulle feci che può essere utile nei casi più gravi
oppure se c’è un’epidemia grave, per esempio in una scuola per scopi epidemiologici.
Trattamento
Sostanzialmente è di supporto, quindi reidratazione per via orale se possibile (per esempio nel
colera non si riesce perché il paziente non fa in tempo a reidratarsi che ha una perdita di liquidi
troppo massiva) ed eventualmente una correzione degli elettroliti. I sali di zinco possono essere
utili nei bambini, in quanto possono ridurre la gravità e la durata dei sintomi. Gli antiemetici
possono essere dati nel paziente sintomatico.
Prevenzione
Lavarsi le mani dopo essere andati in bagno o prima della preparazione dei cibi. Esistono dei
vaccini, in Italia ne abbiamo due e sono due virus attenuati: Rotarix (monovalente) 2 dosi e
Rotateq (pentavalente) 3 dosi. Vengono somministrati nei bimbi molto piccoli, a partire dalla sesta
settimana di età e da completare entro la 22esima settimana il Rotarix ed entro la 32esima il
Rotateq. Il Rotarix ha efficacia dell’85%, il Rotateq del 98%. Inoltre si è visto che con la
vaccinazione per il rotavirus si ha avuto una riduzione dei casi di diabete di tipo 1, poiché il diabete
potrebbe essere una complicanza immunomediata postinfettiva.
Intossicazione stafilococcica
È dovuta all’ingestione di cibo contaminato con tossine prodotte dallo stafilococco aureo. Il 25%
delle persone è portatore di stafilococco, se una persona portatrice manipola del cibo e il cibo
rimane per tempo prolungato a una temperatura tra 4 e 60 gradi, lo stafilococco è in grado di
riprodursi e di produrre le sue tossine che causano la sintomatologia gastrointestinale,
caratterizzata principalmente dal vomito. I cibi che vengono contaminati più facilmente sono
salumi, budini, roba di pasticceria (creme), sandwich (maionese, uova, salumi…), sostanzialmente
dove ci sono proteine. Di solito questi casi rappresentano delle piccole epidemie associate al
consumo dello stesso alimento, con sintomatologia praticamente simultanea perché i sintomi
compaiono tra i 30 minuti e le 8 ore. L’insorgenza è brusca: nausea, vomito, la diarrea non è
sempre presente, non c’è febbre perché è un’intossicazione (si mangia una tossina, il battere non
si replica nell’intestino). I casi gravi sono rarissimi, magari negli anziani. Non è contagioso da
persona a persona. La diagnosi di solito è tipica, si può fare la coltura del cibo per identificare lo
stafilococco tossigeno e la tossina può essere identificata a scopo igienistico con dei test
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immunoenzimatici. La risoluzione è spontanea nel giro di un giorno o anche meno, si consiglia la
somministrazione di antiemetici ed eventualmente reidratazione.
Colera
Esistono fino a 200 sierogruppi di Vibrio cholerae, che però causano solo delle diarree lievi; gli
unici vibrioni del colera, che danno la patologia del colera sono i sierogruppi produttori di tossina
O1 e O139. Il Vibrio cholerae O139 è localizzato soprattutto in Asia, mentre l’O1 è quello presente
un po’ in tutto il mondo in piccoli focolai epidemici. L’O1 a sua volta si classifica in biotipo classico
e biotipo El Tor. Il biotipo classico è generalmente responsabile di forme più gravi, al contrario del
biotipo El Tor, responsabile di forme meno gravi (questa è la classificazione accademica ma negli
ultimi anni il più diffuso è lo O1 El Tor, che ha mostrato delle forme piuttosto gravi, con una
frequenza di forme letali di più del 10%). Il colera si sviluppa quando si ha una condizione della
rete idrica disastrosa, per esempio ad Haiti è arrivato in seguito al terremoto del 2010. Questo
battere è detto free living, vive nell’ambiente, vive soprattutto nelle acque dolci ma anche nelle
acque salmastre lungo le coste, vive in associazione ai cosidetti copepodi, che fanno parte dello
zoo plancton. Di solito l’infezione viene acquisita bevendo acqua contaminata da feci, per avere
l’infezione c’è bisogno di una carica batterica piuttosto alta, ne consegue che di solito non c’è
trasmissione diretta da uomo a uomo; la trasmissione è invece comune tramite il consumo di
acqua contaminata. Altra via di trasmissione è per mezzo del consumo di molluschi poco cotti e
pescati in acque dov’è presente il vibrione. Al momento è endemico in 50 paesi, ci sono circa tra i
3 e i 5 milioni di casi e 100.000 morti l’anno. L’ultima epidemia è quella di Haiti, che si è estesa
anche alla vicina Repubblica Domenicana. Negli Stati Uniti tra il 2010 e il 2014 ci sono stati 91 casi
di importazione, quasi tutti contratti nei Caraibi e un 10% in India e Pakistan. Il paziente ha diarrea
massiva, quindi nell’intestino non c’è più niente, perde litri e litri di acqua con le feci. L’incubazione
va da 12 ore a 5 giorni. La diarrea è completamente acquosa senza sangue e muco e il paziente è
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afebbrile (non si ha febbre nel colera!), i casi gravi che richiedono ospedalizzazione sono tra il 5 e il
10%. La diarrea viene anche chiamata all’acqua di riso, sembra l’acqua in cui viene cotto il riso
infatti l’acqua appare leggermente opalescente. Spesso il paziente sviluppa anche nausea e
vomito, che impediscono una sufficiente reidratazione orale. Il paziente può avere tachicardia
perché ha uno shock ipovolemico da diarrea, perdita del turgore della pelle, mucose secche,
ipotensione e sete, può avere anche crampi muscolari per l’ipopotassiemia ed insufficienza renale;
la morte può sopraggiungere nel giro di un paio di giorni.
Funzionamento
La tossina ha delle subunità B che fungono da recettore per il ganglioside GM1, la subunità A
invece penetra all’interno dell’eritrocita e fa produrre una grande quantità di AMP ciclico, che
interferisce con la funzionalità dei canali ionici determinado una secrezione massiva di sodio e
cloro e un minor assorbimento di cloro.
Diagnosi
Inizia dell’epidemiologia, il paziente deve essere stato in un paese dove c’è il colera, la diarrea
deve essere importante e si deve avere assenza di febbre. Si può fare coltura dalle feci però al
Laboratorio va comunicato il sospetto, perché deve essere usato un terreno di coltura selettivo
per il colera.
Trattamento
Si ha un letto apposito con un buco perché il paziente defeca continuamente e non può alzarsi.
Reidratazione orale finché possibile, o endovenosa, se il paziente ha vomito. Supplementazione di
zinco. Gli antibiotici arrivano solo in terza posizione, la cosa più importante sono i liquidi per
evitare la morte per disidratazione. Gli antibiotici hanno dimostrato di ridurre la durata dei
sintomi, quelli più usati sono la doxycylina e la azitromicina, prima venivano usati anche i
fluorochinoni, ma le resistenze sono in aumento quindi non vengono più utilizzati. Il ceppo che sta
circolando adesso ad Haiti è sensibile alla doxycylina.
Prevenzione
Cercare di usare acqua sicura, oltre al consumo di acqua non potabile è difficile prenderlo in altro
modo. Ci sono anche dei vaccini, in Italia si chiama Dukoral contenente una serie di batteri
inattivati di ceppi O1 sia del tipo El Tor che del tipo classico, inoltre presenta al suo interno anche
le subunità B della tossina, quindi la persona si immunizza sia nei confronti del battere che della
tossina. Consiste in due dosi orali prese a distanza di 1/6 settimane, per i bambini servono tre dosi
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perché rispondono peggio, è approvato dai due anni in su e ogni due anni va fatto un buster,
l’efficacia è riportata fino all’85%. Ci sono altri vaccini, non in Italia, che si usano nell’area
endemica per ridurre i pazienti contagiati, si tratta di una modalità più recente, poichè prima si
aveva solo il vaccino per la protezione dei viaggiatori.
Escherichia Coli
Gram negativo, presente normalmente nel nostro tratto gastrointestinale, la maggior parte dei
ceppi non producono malattia però in alcuni casi possono produrre infezioni. In più abbiamo dei
patotipi, che possono dare problemi gastrointestinali e questi sono classificati in base ai loro
fattori di virulenza:
- Escherichia coli enterotossigeno, il più frequente responsabile della diarrea del viaggiatore.
Causano diarrea infiammatoria. Questo ultimo tipo viene anche detto verocitotossigenico o
enteroemorragico, quando causa una diarrea ematica combinata con una sindrome uremico
emolitica.
La trasmissione avviene da persona a persona, ma anche da animale a persona, sempre per via
oro-fecale. Una modalità piuttosto comune di trasmissione è quella della contaminazione del cibo
come ad esempio la carne macinata: se durante l'allevamento viene contaminata dalle feci degli
stessi animali ci possono essere delle epidemie trasmesse da essa.
Dal punto di vista epidemiologico, i ceppi responsabili delle forme di diarrea acquosa, come l'E.coli
enterotossigeno, enteropatogeno, enteroadesivo o diffusamente adesivo, causano diarrea nei
bambini dei Paesi a risorse limitate e si affiancano alle forme virali come principali cause di diarrea
in età infantile; per noi essi sono importanti perché sono le principali cause di "diarrea del
viaggiatore". È stato visto che fino al 30-40% delle persone che si recano in Asia, Sud America e
Africa, paesi a basse risorse, acquisisce almeno un episodio di diarrea. Le forme
enteroemorragiche ed enteroinvasive, invece, danno epidemie di dissenteria soprattutto in Paesi
industrializzati ed in associazione a contaminazioni alimentari. La nostra attenzione è rivolta
soprattutto a tutto ciò che riguarda la diarrea del viaggiatore, i Paesi in cui il rischio di contrarla è
maggiore sono quelli dell'America latina, escluso Brasile e Argentina, dove abbiamo più di un 20%
di rischio che può arrivare al 40% in alcune zone.
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I fattori di rischio per la diarrea del viaggiatore sono:
- posti caldi quando ci sono le stagioni delle piogge perché ci potrebbe essere un aumento della
contaminazione delle acque;
- età giovane;
- uso di inibitori di pompa che riducono l'acidità gastrica facilitando l'infezione da parte di questi
batteri;
Da ricordare che ci sono due tipi che danno diarree di tipo infiammatorio ossia l'enteroinvasivo e il
produttore della tossina Shiga-like, chiamato anche enteroemorragico. L'enteroemorragico, in
particolare il sierotipo O157, può complicarsi con la sindrome uremico-emolitica (tra i produttori
della tossina Shiga-like con l'O157 ho un rischio del 6%, per gli altri sierotipi dell'1%): essa si
sviluppa soprattutto nei bambini e nei soggetti anziani, si manifesta con un'insufficienza renale nel
20% dei casi irreversibile, anemia emolitica, trombocitopenia con sanguinamento e
coinvolgimento neurologico (convulsioni, ictus, coma) con letalità del 5%.
Diagnosi
- tipi che danno diarrea di tipo acquoso che non producono la tossina : la diagnosi è clinica perché
la diarrea non è grave, il recupero avviene in 3-4 giorni e non necessita di accertamenti, non è
semplice identificare il ceppo di E.coli e nelle feci non posso fare una coprocoltura perché l'E.coli
c'è sempre, dovrei quindi cercare la tossina soprattutto con metodi molecolari come PCR.
- tipo enteroemorragico: paziente con diarrea emorragica, richiede una coprocoltura particolare
con un terreno contenente sorbitolo perché questi batteri lo metabolizzano distinguendosi;
esistono dei saggi immunoenzimatici per identificare la tossina Shiga-like
Trattamento
- nelle forme che danno diarrea acquosa solitamente la reidratazione per via orale è sufficiente,
nei casi severi posso dare l'antibiotico, quelli più usati sono l' azitromicina, ciprofloxacina (le
resistenze sono in aumento) e rifaximina ( che non è assorbita).
- nelle forme enteroemorragiche produttrici di tossina è meglio evitare gli antibiotici perché
inducono un rilascio maggiore di tossina con aumento del rischio per la sindrome
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uremicoemolitica, è pertanto consigliabile reidratare il paziente riducendo il rischio di insufficienza
renale.
- nell'enteroinvasivo vengono utilizzati gli antibiotici: non viene utilizzata la rifaximina perché
essendo un battere invasivo oltrepassa la mucosa e necessito di un antibiotico che venga
assorbito. In generale l'obbiettivo è quello di rendere sufficiente una reidratazione; in uno studio
condotto su pazienti che viaggiavano in Africa con diarrea del viaggiatore, si è visto che la
probabilità di essere colonizzati da E.coli produttori di beta-lattamasi nei pazienti trattati con
antibiotici (12%) e nei pazienti non trattati con antibiotici (8%) è pressoché uguale; se però c'è un
paziente che ha avuto la diarrea del viaggiatore e ha fatto antibiotici, nell'esame delle feci al
ritorno del viaggio trovo che nel 28% dei casi è colonizzato dalla tossina: avere la diarrea del
viaggiatore ed essere trattato con antibiotici è quindi un fattore di rischio per infezioni a batteri
produttori di beta-lattamasi. Le linee guida ultime sulla diarrea del viaggiatore dicono che
l'antibiotico può essere usato nei casi in cui impedisca alla persona di fare qualsiasi tipo di attività
programmata, nelle forme lievi invece non è consigliata la terapia antibiotica, questa è una novità
rispetto alle precedenti linee guida, dove consigliavano sempre la terapia antibiotica, perché
riduce la durata dei sintomi. Nei casi lievi come farmaco si può dare la Loperamide, che è un
farmaco che ad alti dosaggi riduce la peristalsi, ma a bassi dosaggi riduce la secrezione e quindi i
sintomi diarroici, esso non va dato in caso di sintomi infiammatori come febbre, presenza di muco
e sangue nelle feci, forti crampi all’addome; all'inizio dei sintomi vanno date due compresse e poi
2mg ad ogni scarica di feci addizionali considerando che ci vogliono almeno 2 ore perché faccia
effetto e non superando 16mg/die (8 compresse). Generalmente non si effettua la profilassi,
perché si potrebbero acquisire delle resistenze e avere la diarrea successivamente da un ceppo
resistente; essa viene effettuata solo in alcuni casi: gravemente immunodepressi, persone che
hanno avuto un’artrite reattiva postinfettiva, malattie infiammatorie croniche intestinali. La
profilassi va fatta con la rifaximina. Sono sconsigliati i fluorochinoloni.
Shigella
Salmonellosi
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Salmonelle gram negative, si parla di salmonellosi minori o enterocoliche , distinte dalle maggiori o
batteremiche. Le minori sono: ,S. typhimurium, S.enteritidis, S.dublin, S.wien, S.cholerasuis,
S.anatum. Danno manifestazione cliniche gravi nelle fasce estreme (lattanti e anziani). Spesso gli
animali sono il serbatoio, quindi sono zoonosi, a differenza della Salmonella typhi che si trasmette
attraverso l’uomo. Ci possono essere portatori asintomatici. I veicoli possono essere carne, uova e
latte. Non resistono a cottura, ebollizione e pastorizzazione, possono resistere invece ad
insaccamento, salatura e ad una cottura superficiale. L’incubazione va dalle 18 alle 48 h. Provoca
una diarrea talvolta infiammatoria, con possibile presenza di sangue, febbre, dolori addominali. Ci
sono casi di batteriemie, ci possono essere complicanze, talvolta con delocalizzazione settica, in
alcuni casi guarigione spontanea. Diagnosi con coprocoltura perché non esiste la presenza di
Salmonella nelle feci come commensale. Terapia: se paziente ha diarrea con sangue / muco e
febbre, c’è l’indicazione a dare antibiotici.
Campylobacter Jejuni
Campylobacter , piuttosto frequente come agente di diarrea dei viaggiotori. Provoca una diarrea
infiammatoria. La diagnosi si fa con coprocultura. La terapia di prima scelta è l’ azytromicina, per i
fluorochinoloni hanno sviluppato resistenze, soprattutto in ceppi del sud est asiatico e sud
America.
Clostridioides difficile
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batteri sono in prima linea per dare sintomatologia. Altro farmaco somministrabile è anche la
clindamicina, ma non viene utilizzata così spesso. La diagnosi non si fa con coprocultura, perché il
Clostridium può essere presente anche nel paziente asintomatico, ma cercando la tossina nelle
feci. Non è necessario ripetere la ricerca della tossina per verificare la guarigione perché se il
paziente sta bene anche se la tossina è positiva non è rilevante. Per il primo episodio la prima
scelta terapeutica è la vancomicina, un glicopeptide estremamente efficace. Si somministra per
bocca al dosaggio di 125mg per 4 volte al gg x10 gg). Prima si dava metronidazolo, ora è indicato
solo se non sono disponibili i farmaci di prima scelta. La fidaxomicina (200mg x2 per os per 10gg) è
un altro farmaco in prima linea , dato soltanto per Clostridium difficile, più costoso della
vancomicina, ma associato a minore rischio di recidive. In caso di una prima recidiva , la prima
scelta è la vancomicina usata in scalare, prima a dosaggio pieno poi riducendolo secondo il
seguente schema (Vancomicina Tapered):
Per ulteriori recidive alla prima, o si ripete lo schema precedente, altrimenti si ricorre al trapianto
di feci. Dal donatore di feci, di solito un parente, si somministrano al paziente generalmente
tramite sondino nasogastrico. Nelle forme più gravi e complicate, dove il paziente ha sviluppato
colon tossico, si fa una terapia di associazione: Vancomicina + Metronidaxolo. La Vancomicina
viene somministrata o per via orale o tramite sondino nasogastrico, a seconda delle condizioni del
paziente, a dosaggio maggiore 500 mg.
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23.
Tetano
Malattia
infettiva
acuta,
non
contagiosa,
sostenuta
da
Clostridium
tetani
tramite
la
produzione
di
un’esotossina
(agente
sul
SNC),
caratterizzata
dall’insorgenza
di
convulsioni
e
spasmi
tonici
intermittenti
dei
muscoli
volontari;
Agente
infettivo
e
eziopatogenesi
L’agente
patogeno
alla
base
dello
sviluppo
della
patologia
è
il
Clostridium
tetani,
un
bacillo
gram-‐positivo,
sporigeno,
anaerobio
obbligato,
capace
di
produrre
due
diverse
tossine:
tetanolisina
e
tetanospasmina
(neurotossina
alla
base
delle
manifestazioni
cliniche
del
tetano).
Clostridium
tetani
è
un
batterio
molto
diffuso
in
natura:
oltre
che
nel
terreno
(in
forma
di
spora)
è,
infatti,
normalmente
rinvenibile
nell’intestino
di
vari
animali
(soprattutto
erbivori)
quali
ad
esempio
mucche,
cavalli,
capre
e
pecore;
è
importante
ricordare,
inoltre,
il
possibile
riscontro
di
tale
batterio
anche
nell’intestino
dell’uomo
(fino
al
10-‐15%
dei
soggetti,
anche
se
l’intestino
umano,
in
condizioni
fisiologiche,
non
è
certo
l’habitat
ottimale
per
la
sua
riproduzione!).
Dall’intestino,
tramite
l’emissione
di
feci,
il
germe
passa
nel
terreno,
dove,
in
stato
sporigeno,
può
sopravvivere
anche
per
anni.
Le
spore
possono
penetrare
nell’organismo
umano
attraverso
ferite
(soluzioni
di
continuo
direttamente
conseguenti
al
danno
inflitto
da
oggetti
contaminati
o
entranti
successivamente
in
contatto
con
terreno/feci
infette),
e
in
opportune
condizioni
possono
trasformarsi
nelle
forme
vegetative
che
producono
la
tossina
tetanica:
infatti,
in
condizioni
di
anaerobiosi
stretta
(che
si
verificano
specialmente
nei
tessuti
necrotici),
la
spora
trova
l’habitat
ideale
per
riprodursi
e
germinare
ed
inizia
a
produrre
l’esotossina
agente
sul
sistema
nervoso
centrale
(tetanospasmina);
quest’ultima,
una
volta
prodotta,
è
in
grado
di
diffondere
nei
tessuti
e
raggiungere
la
superficie
degli
assoni
dei
neuroni
motori
dove
residui
di
acido
sialico
e
glicoproteine
istituiscono
un
legame
con
la
sub
unità
B
dell’esotossina,
consentendo
così
alla
sub
unità
A
(zinco-‐endopeptidasi)
di
entrare
all’interno
della
formazione
nervosa,
risalire
fino
al
soma
e
alle
sinapsi
inibitorie
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dei
motoneuroni
bulbari
e
spinali
ed
inibire,
a
questo
livello,
il
rilascio
di
GABA.
I
motoneuroni,
disinibiti,
inizieranno
quindi
ad
inviare
impulsi
continui
e
incontrollati
provocando
lo
spasmo
muscolare
che
contraddistingue
questa
condizione
infettiva.
[NB:
normalmente,
esaurito
il
processo,
si
ha
la
guarigione
con
“restitutio
ad
integrum”
completa
(esclusi
eventuali
danni
traumatici
da
contrazione
muscolare)]
Epidemiologia
L’Incidenza
globale
della
malattia
si
aggira
intorno
ad
un
milione
di
casi
per
anno,
con
circa
500000
morti
stimati.
Nei
paesi
in
via
di
sviluppo
la
letalità
risulta
essere
superiore
al
30%,
di
cui
il
50%
dei
casi
riguarda
neonati;
letalità
che
è,
invece,
più
bassa
nei
paesi
industrializzati,
ma
pur
sempre
troppo
elevata
(si
ricorda
che
la
malattia
è
prevenibile
con
vaccinazione!).
In
generale,
soggetti
di
età
superiore
ai
60
anni,
di
sesso
femminile
sembrano
essere
maggiormente
predisposti
a
contrarre
l’infezione.
Clinica
259
309 / 356
asfissia,
polmoniti,
embolie
polmonari,
oltre
a
poter
essere
l’esito
dell’azione
stessa
della
tossina
tetanica
sui
centri
nervosi,
soprattutto
su
quelli
del
bulbo,
con
conseguente
paralisi
respiratoria
e
necessità
di
ricorso
alla
ventilazione
assistita
per
mantenere
in
vita
il
povero
malcapitato.
Nei
neonati
il
tetano,
comunemente
a
partenza
dalla
ferita
ombelicale,
si
manifesta
nella
3°-‐4°
settimana
di
vita
con
la
comparsa
di
una
caratteristica
contrattura
dei
muscoli
delle
labbra
che
fa
assumere
alla
bocca
un
atteggiamento
a
muso
di
pesce
(bocca
di
carpa);
il
bambino
è
molto
agitato,
non
riesce
né
a
succhiare
né
a
dormire;
i
suoi
muscoli
sono
percorsi
da
spasmi
dolorosi
ed
egli
si
raggomitola
in
flessione
sul
dorso,
riassumendo
la
tipica
posizione
fetale.
Da
un
punto
di
vista
prettamente
clinico,
in
base
all’estensione
ed
all’entità
delle
manifestazioni,
è
possibile
classificare
il
tetano
in
due
gruppi
principali:
1. Tetano
localizzato
(nei
soggetti
parzialmente
immunizzati):
• Contratture
solo
in
alcuni
gruppi
muscolari;
no
accessi
parossistici,
no
sintomi
sistemici
#Tetano
cefalico
(otite
media,
o
post-‐traumatica
o
per
sviluppo
del
Clostridium
presente
nella
flora
muco-‐cutanea)
#Tetano
toraco-‐
addominale
#Tetano
degli
arti
(letalità
1%)
2. Tetano
generalizzato
(80%
di
quello
riportato)
(anche
diffusione
ematogena):
• Tensione
e
spasmi
dolorosi
dei
muscoli
vicini
alla
ferita,
rigidità
dei
masseteri
e
del
collo,
disfagia
(spasmi
muscolatura
laringea),
sudorazione,
tachicardia
• Trisma,
opistotono,
rigidità
assoluta
dei
muscoli
addominali
e
degli
arti
(in
estensione
gli
inferiori,
in
flessione
i
superiori)
• Crisi
spastiche
accessionali
(ai
minimi
stimoli),
accompagnati
da
sudorazione
profusa,
febbre
elevata,
tachicardia,
ipertensione
(2-‐4
settimane)
• Recupero
-‐
Morte
per
arresto
respiratorio
(o
cardiaco)
Diagnosi
La diagnosi di tetano è generalmente clinica. In
diagnosi
differenziale
si
deve
ricordare
che
entrano
l’avvelenamento
da
stricnina
e,
nelle
forme
di
trisma
isolato,
l’ascesso
tonsillare
e
le
patologie
odontoiatriche
260
310 / 356
Terapia
261
311 / 356
farmaci
curaro-‐simili.
Importante
è
prevenire
anche
le
ostruzioni
delle
vie
aeree,
che
possono
portare
facilmente
a
complicanze
polmonitiche.
Utile
a
questo
proposito
la
tracheotomia.
262
312 / 356
24.
Tifo
Addominale
Le
salmonellae
sono
bacilli
gram
negativi,
anaerobi
facoltativi,
appartenenti
alla
famiglia
delle
Enterobacteriaceae;
all’interno
del
genere
delle
salmonelle
esiste
una
nomenclatura
estremamente
complessa,
che
nella
pratica
quotidiana
non
viene
impiegata.
Ciascuna
specie
di
Salmonella
è
definita,
in
concreto,
con
il
nome
che
aveva
prima
della
riclassificazione
avvenuta
nel
1983
sulla
base
di
studi
genomici.
Esistono
circa
2300
serovar
di
salmonelle:
si
tratta
di
batteri
ampiamente
adattati
alla
crescita
in
un
vasto
spettro
di
ospiti,
tra
cui
l’uomo.
Le
salmonelle
possono
essere
distinte
in:
-‐ Tifoidee
(S.
typhi
e
S.
paratyphi),
ovvero,
le
salmonelle
che
hanno
l’essere
umano
come
unico
ospite
e
che
causano
il
quadro
clinico
specifico
noto
come
febbre
tifoide
(o
ileotifo,
o
tifo
addominale…).
La
febbre
tifoide
o
tifo
addominale
(o
ileotifo)
è
una
malattia
infettiva
sistemica,
febbrile,
a
trasmissione
oro-‐fecale
provocata
da
un
batterio
del
genere
Salmonella,
Salmonella
Typhi
(la
S.
Paratyphi
è
alla
base
di
un
quadro
clinico
noto
come
febbre
paratifoide
a
decorso
simile
ma
più
rapido
e
meno
impegnativo),
caratterizzata
da
febbre,
alterazione
del
sensorio,
sintomi
a
carico
dell’apparato
digerente,
splenomegalia,
eruzione
cutanea,
leucopenia.
- Non
tifoidee,
ovvero,
salmonelle
che
possono
colonizzare
il
tratto
digerente
di
un
vasto
numero
di
animali.
Tra
queste,
circa
200
sierotipi
sono
patogeni
per
l’uomo
e
possono
causare
gastroenteriti,
infezioni
localizzate
e
sepsi.
Le
salmonelle
sono
complessivamente
caratterizzate
da
tre
determinanti
antigenici
principali,
sulla
base
dei
quali
è
possibile
identificare
i
differenti
sierotipi:
antigene
somatico
O
(componente
lipopolisaccaridica),
l’antigene
flagellare
H
e,
limitatamente
a
S.
typhi
e
S.
paratyphi,
l’antigene
di
superficie
Vi.
Oggi,
ovviamente,
la
tecnologia
PCR
permette
una
rapidissima
genotipizzazione,
pertanto
l’importanza
del
profilo
antigenico
ai
fini
dell’attribuzione
del
sierotipo
non
è
più
cruciale.
Epidemiologia
La
febbre
tifoide
è
una
patologia
largamente
diffusa
in
numerosi
paesi
a
clima
temperato
e
caldo;
in
Italia
è
presente
in
forma
moderatamente
endemica
soprattutto
nelle
zone
meridionali
e
costiere.
La
febbre
tifoide
è
una
malattia
endemica
in
tutto
il
mondo
ed
in
particolare
nei
paesi
a
clima
temperato
e
caldo.
Si
manifesta
abitualmente
con
casi
isolati,
ma
sono
frequenti
gli
episodi
epidemici
per
lo
più
di
origine
idrica.
La
sua
incidenza
è
notevolmente
diminuita
nei
paesi
ad
alto
livello
economico-‐sociale,
mentre
resta
elevata
nei
paesi
in
via
di
sviluppo.
Si
stima
che
ogni
anno
si
abbiano
in
tutto
il
mondo
17-‐21
milioni
di
nuovi
casi
con
300/500000
decessi,
in
massima
parte
in
Asia,
Africa
e
America
del
Sud.
In
molte
nazioni
europee
i
pochi
casi
di
malattia
che
si
osservano
sono
quasi
tutti
da
importazione.
L’Italia,
purtroppo,
continua
a
far
registrare
il
più
alto
tasso
di
morbosità
nell’ambito
europeo.
Nel
2005
232
casi
registrati
in
larga
parte
nelle
regioni
meridionali
ed
insulari.
A
differenza
delle
salmonellosi
di
origine
animale,
la
febbre
tifoide
è
malattia
esclusiva
dell’uomo.
Poiché
S.
Typhi
è
esclusivamente
patogena
per
l’uomo,
esso,
malato
o
portatore,
è
l’unica
fonte
di
infezione.
Il
malato
espelle
i
bacilli
tifici
con
le
feci
nelle
fasi
avanzate
della
malattia,
ma
anche
con
le
urine
durante
la
batteriemia.
La
malattia
crea
lo
stato
di
portatore
con
frequenza
variabile
a
seconda
263
313 / 356
dell’età
dei
soggetti
(è
maggiore
negli
anziani)
ed
in
rapporto
con
l’esistenza
di
affezioni
croniche
delle
vie
biliari
e
delle
vie
urinarie
(specialmente
calcolosi
della
colecisti
e
calcolosi
renale)
che
predispongono
all’insediamento
dei
batteri
nei
calcoli
o
nelle
lesioni
sclerotiche.
Il
portatore
cronico
rappresenta
una
importante
riserva
di
infezione.
La
frequenza
dei
portatori
è
variabile
da
zona
a
zona.
Il
contagio
può
essere
diretto
interumano,
attraverso
le
mani
contaminate,
o
indiretto,
soprattutto
con
l’acqua
e
gli
alimenti;
quest’ultima
è
di
gran
lunga
la
modalità
più
frequente
di
trasmissione
della
malattia.
L’acqua
rappresenta
il
veicolo
più
temibile,
perché
la
sua
contaminazione
provoca
abitualmente
episodi
con
carattere
epidemico.
La
sua
importanza,
preminente
in
passato,
appare
oggi
notevolmente
ridotta,
grazie
alla
maggiore
attenzione
che
si
pone
nella
clorazione
delle
acque
distribuite
dagli
acquedotti
comunali.
Nell’acqua
S.
Typhi
può
sopravvivere
fino
ad
oltre
40
giorni.
La
contaminazione
più
spesso
avviene
per
infiltrazione
di
liquami
nella
rete
idrica
per
disconnessione
di
giunture
delle
tubazioni
e
contemporanea
rottura
di
condotte
fognarie
nel
sottosuolo;
altre
volte
la
contaminazione
può
avvenire
come
conseguenza
di
malfunzionamento
degli
impianti
di
potabilizzazione.
Gli
alimenti
che
più
spesso
agiscono
come
veicoli
di
trasmissione
delle
infezioni
a
trasmissione
fecale-‐orale
sono
i
frutti
di
mare
e
gli
ortaggi.
Alla
base
della
loro
contaminazione
sta
l’irrazionale
smaltimento
dei
liquami
di
fogna.
L’inquinamento
dei
frutti
di
mare
può
avvenire
direttamente
nei
bacini
di
allevamento
in
seguito
allo
scarico
di
liquami
nei
tratti
di
mare
circostante.
I
mitili
si
nutrono
filtrando
l’acqua
e
trattenendo
tutto
quanto
è
in
sospensione,
compresi
virus
e
batteri;
in
questo
modo
si
ha
una
vera
e
propria
concentrazione
di
microrganismi
all’interno
dei
molluschi.
L’attuale
normativa
che
impone
l’impianto
della
mitilicoltura
in
acque
non
contaminate
e
vieta
la
raccolta
di
mitili
da
acque
contaminate,
ha
grandemente
ridotto
il
rischio
di
trasmissione,
così
come
il
divieto
di
bagnare
continuamente
i
mitili
raccolti
con
acqua
di
mare.
Meno
rilevante
è
il
rischio
rappresentato
dalle
verdure
fresche,
per
le
norme
di
legge
che
ne
vietano
l’irrorazione
con
liquami
e
perché
il
semplice
lavaggio
con
acqua
corrente
è
sufficiente
per
allontanare
i
microrganismi
presenti.
In
alcuni
casi
possono
essere
responsabili
altri
alimenti.
Eziopatogenesi
La
condizione
indispensabile
per
l’infezione
da
Salmonella
è
l’ingestione
di
cibo
o
bevande
contaminate:
la
dose
infettante
varia
da
103
a
106
CFU.
Fattori
che
predispongono
all’infezione
sono
la
riduzione
dell’acidità
gastrica
(che
di
per
sé
costituisce
un
meccanismo
difensivo
molto
importante),
condizioni
di
alterazione
della
barriera
mucosale
intestinale
(es:
IBD,
o
interventi
chirurgici
pregressi)
e
l’alterazione
della
flora
commensale
(per
esempio,
a
causa
dell’assunzione
di
antibiotici).
Nelle
forme
tifoidee,
inizialmente
le
salmonelle
superano
la
barriera
mucosale
dell’intestino
tenue,
e
questo
avviene
soprattutto
a
livello
delle
placche
di
Peyer
nell’ileo.
In
queste
sedi
avviene
l’evento
chiave
per
la
disseminazione
dell’infezione:
le
salmonelle
sfruttano
i
sistemi
di
fagocitosi
ed
endocitosi
batterio-‐mediata
per
localizzarsi
all’interno
delle
264
314 / 356
cellule
di
linea
monocitaria/macrofagica.
Una
volta
fagocitate,
le
salmonelle
sono
in
grado
di
utilizzare
diversi
sistemi
per
sfuggire
all’attività
battericida
intracellulare
che
i
macrofagi
stessi
mettono
in
atto.
A
questo
punto,
le
salmonelle
–
contenute
all’interno
dei
macrofagi
–
colonizzano
tutto
il
sistema
reticoloendoteliale:
fegato,
milza,
linfonodi,
midollo
osseo.
In
questa
prima
fase
di
incubazione
i
pazienti
accusano
solo
sintomi
lievi,
o
rimangono
del
tutto
asintomatici.
I
sintomi
cardine
dell’infezione
(febbre
e
dolore
addominale)
sono
probabilmente
la
conseguenza
della
produzione
di
citochine
pro-‐infiammatorie
da
parte
dei
macrofagi
non
appena
la
replicazione
batterica
abbia
raggiunto
un
valore
critico.
Al
contrario,
nelle
forme
non
tifoidee
il
processo
infettivo
rimane
confinato
alla
mucosa
intestinale
che,
a
differenza
di
quanto
si
osserva
nelle
forme
tifoidee,
appare
marcatamente
infiltrata
da
granulociti,
sia
a
livello
del
tenue
che
a
livello
del
colon.
A
questo
quadro
anatomopatologico
corrisponde
la
sintomatologia
diarroica,
presente
nelle
forme
di
gastroenterite
da
salmonellosi
non
tifoidea
e
caratteristicamente
assente
nelle
forme
tifoidee
vere
e
proprie
(che,
al
contrario,
si
presentano
con
stipsi).
Clinica
Febbre
e
dolore
addominale
sono
i
sintomi
cardine
della
febbre
tifoide.
La
febbre
è
documentata
all’esordio
in
più
del
75%
dei
pazienti;
al
contrario,
il
dolore
addominale
è
presente
solo
nel
30-‐40%
della
casistica:
per
questo
è
molto
importante
sospettare
la
febbre
tifoide
in
tutti
i
pazienti
che
presentino
febbre
e
storia
recente
di
viaggi
in
paesi
in
via
di
sviluppo.
265
315 / 356
-‐ Periodo
di
stato
o
2°
Settenario:
in
questo
periodo
si
instaurano
i
sintomi
indicatori
della
malattia:
esordio
dei
sintomi
gastrointestinali
con
persistenza
delle
puntate
febbrili.
La
diarrea,
verdastra,
“a
purea
di
piselli”,
è
comune,
soprattutto
nei
pazienti
con
AIDS
e
nei
bambini
di
età
inferiore
a
un
anno
(gli
adulti
possono
manifestare
tuttavia
un
quadro
di
stipsi).
Il
dolore
è
presente
in
circa
il
30-‐40%
dei
casi,
ma
nella
storia
naturale
della
malattia
quasi
tutti
i
pazienti
presenteranno
una
certa
dolorabilità
addominale.
In
genere
i
sintomi
associati
a
S.
paratyphi
sono
più
lievi.
In
questa
fase
è
possibile
osservare
in
circa
il
30%
dei
pazienti
la
comparsa
delle
roseole
tifose.
Le
roseole
tifose
rappresentano
la
manifestazione
cutanea
più
significativa
dell’infezione
da
salmonella
tifoidea.
Esse
si
presentano
come
esantema
maculo-
papulare
debolmente
color
salmone,
dai
contorni
sfumati
(quindi
non
sempre
agevolmente
identificabile),
localizzato
soprattutto
al
tronco
e
al
torace
(Figura).
L’esantema
è
evidente
nel
30%
dei
pazienti
al
termine
della
prima
settimana
di
malattia
(inizio
della
II
fase),
e
i
pazienti
possono
avere
tipicamente
2
o
3
poussées
di
lesioni.
La
coltura
del
materiale
bioptico
prelevato
dalle
maculo-‐papule
può
evidenziare
il
batterio.
Negli
ultimi
4-‐5
giorni
si
hanno
ampie
oscillazioni
con
profonde
remissioni
mattutine,
leucopenia
con
neutropenia
e
linfocitosi
relativa
e
possono
manifestarsi
complicanze
quali
enterorragia
con
melena
e
perforazione
con
peritonite.
-‐
Periodo
Anfibolico
o
3°
settenario:
periodo
del
distacco
delle
escare
con
possibile
insorgenza
di
complicanze.
La
terza
fase
(approssimativamente
III-‐IV
settimana
di
malattia)
rappresenta
la
fase
di
sviluppo
delle
possibili
gravi
complicanze
della
febbre
tifoide,
soprattutto
negli
adulti
non
trattati.
Esse
sono
riconducibili
principalmente
a:
266
316 / 356
1. Emorragia
e
perforazione
intestinale
Complicanze
estremamente
temibili,
poiché
possono
verificarsi
nonostante
il
miglioramento
del
quadro
clinico.
Probabilmente,
emorragie
e
perforazioni
si
verificano
al
livello
delle
placche
di
Peyer
dell’ileo,
nel
sito
dell’inoculo
originario.
Queste
aree
mucosali
tenderebbero
ad
ulcerarsi
e
ad
andare
incontro
a
necrosi,
dando
origine
a
fenomeni
emorragici
e
perforazione.
2. Setticemia
La
disseminazione
ematogena
delle
salmonelle
può
interessare
diversi
organi
e
dare
origine
ad
un
vero
e
proprio
stato
settico,
con
tutte
le
complicanze
del
caso.
Localizzazioni
secondarie
frequentemente
interessate
sono
la
colecisti,
l’endocardio
e
il
tessuto
osseo.
Altri
quadri
clinici
secondari
di
più
raro
riscontro
sono:
ascessi
epatici
e
splenici,
pericardite,
miocardite,
nefrite,
orchite,
epatite,
polmonite,
artrite,
parotite.
Ovviamente,
i
soggetti
immunodepressi
sono
a
rischio
più
elevato
di
disseminazione
in
altri
organi/apparati.
Diagnosi
Le
manifestazioni
cliniche
della
febbre
tifoide
sono
relativamente
poco
caratteristiche,
pertanto
tale
diagnosi
dovrebbe
essere
presa
in
considerazione
in
tutti
i
soggetti
di
ritorno
da
un
viaggio
in
paesi
in
via
di
sviluppo
che
presenti
febbre.
- Malaria
- Epatiti
- Enteriti
batteriche
- Dengue
- Rickettsiosi
- Leptospirosi
- Amebiasi
- Infezione
acuta
da
HIV
267
317 / 356
Il
gold
standard
per
la
diagnosi
di
febbre
tifoide
è
rappresentato
dall’emocoltura
positiva
per
S.
typhi
o
S.
paratyphi.
Chiaramente,
la
positività
dell’emocoltura
è
legata
alla
presenza
o
meno
di
batteriemia:
per
questo,
le
colture
sono
positive
nel
90%
dei
casi
se
prelevate
nella
prima
settimana,
ma
solo
nel
50%
dei
casi
alla
terza
settimana.
Ovviamente,
una
precedente
terapia
antibiotica
può
ridurre
la
carica
batterica
al
punto
di
negativizzare
un’eventuale
emocoltura.
La
diagnosi
può
essere
fatta
anche
sulla
base
delle
coprocolture:
in
questo
caso,
però,
occorre
tener
presente
che
esse
sono
negative
nel
60-70%
dei
pazienti
nella
prima
settimana
di
malattia,
e
tendono
a
positivizzarsi
tra
la
seconda
e
la
terza
settimana
nei
pazienti
non
trattati.
Da
tener
presente,
inoltre,
che
nei
portatori
cronici
le
coprocolture
restano
positive
anche
per
più
di
un
anno.
Se
necessario,
le
colture
possono
essere
effettuate
anche
su
altri
materiali:
- Midollo
osseo
- Secrezioni
gastriche
o
intestinali
- Urine
- Roseole
Le
colture
da
midollo
osseo
sono
altamente
sensibili
e
rimangono
positive
nel
90%
dei
casi
anche
in
seguito
a
terapia
antibiotica
di
durata
pari
o
inferiore
a
5
giorni.
Le
colture
da
secrezioni
intestinali
possono
essere
molto
utili
e
dovrebbero
essere
idealmente
effettuate
su
materiale
prelevato
dal
duodeno
mediante
string-‐test:
il
test
viene
praticato
facendo
inghiottire
al
soggetto
in
esame
un
filo,
lungo
140cm
per
gli
adulti
e
90
cm
per
i
bambini,
che
termina
con
un
peso
di
gomma
al
silicone.
Il
tutto
è
contenuto
in
una
capsula
di
gelatina
da
cui
sporge
un
capo
del
filo.
La
capsula
si
scioglie
nello
stomaco,
il
filo
si
srotola
e
con
la
peristalsi
raggiunge
l'intestino
tenue.
Per
aumentare
le
possibilità
di
catturare
i
parassiti
si
preferisce
fare
il
test
la
sera
e
lasciare
il
filo
per
tutta
la
notte.
L'ultimo
tratto
del
filo
spugnoso,
strisciando
sulla
parete
duodeno-‐digiunale
raccoglierà
i
parassiti
presenti.
Il
vecchio
test
di
Widal
è
ancora
utilizzato,
sebbene
gravato
da
un
alto
numero
di
falsi
positivi
e
falsi
negativi.
Si
positivizza
a
cominciare
dalla
2°
settimana
dall’inizio
della
sintomatologia,
quando
gli
anticorpi
iniziano
a
comparire
nel
siero
in
quantità
dimostrabili.
Consiste
nella
ricerca
quantitativa
differenziata
degli
anticorpi
anti-‐O
e
anti-‐H
(agglutinine
febbrili)e
si
esegue
addizionando
a
diluizioni
del
siero
del
paziente
(da
1:50
a
1:400)
sospensioni
di
batteri
del
tifo
trattati
con
alcol
(sospensione
O)
e
con
formolo
(sospensione
H).
La
comparsa
delle
agglutinine
O
ed
H
non
avviene
contemporaneamente;
le
agglutinine
O
sono
le
prime
a
comparire
(6°-‐8°
giorno)
ma
anche
le
più
rapide
a
scomparire,
mentre
le
agglutinine
H
compaiono
più
tardivamente
(10°-‐12°
giorno)
ma
persistono
per
mesi
o
anche
per
qualche
anno.
268
318 / 356
Oggi
è
possibile
utilizzare
anche
la
PCR
su
sangue
e
vari
tipi
di
materiale
biologico
prelevato
dal
paziente.
Nessun
test
di
laboratorio
è
specifico
per
la
diagnosi
di
salmonellosi,
ad
eccezione
delle
emocolture.
Tuttavia,
si
possono
osservare
alcune
alterazioni
più
o
meno
suggestive:
- Leucopenia
(15-‐25%
dei
casi).
- Piastrinopenia
- Alterazioni
di
AST,
ALT,
FA
e
LDH
- Alterazioni
aspecifiche
del
tratto
ST
e
dell’onda
T
Trattamento
Il
cloramfenicolo
è
stato
l’antibiotico
di
scelta
fino
all’emergenza
di
ceppi
resistenti,
avvenuta
intorno
agli
anni
’70.
Sono
stati
quindi
impiegati
ampicillina
(4
g/die
in
4
dosi)
e
il
cotrimossazolo
(160
mg
+
800
mg,
2
cpr/die).
Alla
fine
degli
anni
’80
sono
emersi
ceppi
MDR.
Il
regime
terapeutico
più
utilizzato
è
quello
a
base
di
ciprofloxacina,
500
mg
ogni
12
ore
per
10
giorni,
per
os.
Purtroppo,
esistono
anche
ceppi
resistenti
ai
fluorochinoloni
(NARST):
in
questi
casi,
si
impiegano
dosaggi
più
elevati
di
ciprofloxacina
(10
mg/kg
2
volte
al
giorno
per
10
giorni).
Nei
casi
gravi
di
febbre
tifoide
(con
alterazioni
dello
stato
di
coscienza
o
sintomi
neuropsichiatrici),
l’uso
di
desametasone
in
associazione
alla
terapia
antibiotica
ha
dimostrato
di
ridurre
drasticamente
la
mortalità
(1
dose
da
3
mg/kg
seguita
da
8
dosi
da
1
mg/kg
ogni
6
ore).
Prevenzione
Misure
preventive
che
devono
essere
adottate
ogni
volta
che
si
individua
un
caso
di
febbre
tifoide.
Mirano
ad
impedire
il
contagio
diretto
dal
malato
al
sano
e
la
dispersione
dei
batteri
nell’ambiente.
Per
evitare
il
contagio
diretto
o
tramite
la
biancheria
ed
altri
oggetti
venuti
a
contatto
con
il
malato,
è
opportuno
che
questo
sia
assistito
in
ospedale,
dove
è
possibile
realizzarne
l’isolamento
fisico
e
funzionale.
Lo
stesso
isolamento
può
essere
disposto
dal
medico
curante
nel
domicilio
del
malato,
se
è
possibile
riservargli
per
tutta
la
durata
della
malattia
una
stanza
con
bagno,
funzionalmente
separata
dal
resto
dell’abitazione,
e
se
l’assistenza
sarà
assicurata
da
persona
in
grado
di
seguire
le
prescrizioni
che
devono
essere
date
per
evitare
il
contagio
intrafamiliare
e
la
dispersione
di
materiale
contaminato
al
di
fuori
dell’abitazione.
A
tal
riguardo
è
essenziale
prescrivere
l’uso
di
disinfettanti
per
le
mani
di
chi
assiste
il
malato,
da
usarsi
dopo
ogni
contatto
con
esso,
nonché
la
disinfezione
di
tutto
ciò
che
gli
appartiene.
Per
la
disinfezione
della
biancheria
e
delle
stoviglie
è
sufficiente
l’abituale
lavaggio
nelle
comuni
macchine
lavatrici
per
uso
domestico;
altrimenti
si
effettuerà
un
bagno
in
soluzione
di
varechina
prima
del
lavaggio
a
mano.
Dopo
la
guarigione
del
malato
è
opportuno
procedere
alla
disinfezione
della
stanza
di
degenza
con
formalina
immessa
allo
stato
di
vapore,
di
nebbia
o
di
aerosol,
oppure
con
269
319 / 356
altro
idoneo
disinfettante
(iodofori)
allo
stato
di
aerosol,
in
modo
che
l’azione
si
esplichi
su
tutte
le
superfici
(comprese
quelle
dei
mobili
e
delle
suppellettili).
Secondo
le
disposizioni
vigenti
nel
nostro
paese,
l’isolamento
del
malato
deve
durare
fino
a
quando
non
si
ottengono
tre
coprocolture
negative,
eseguite
ad
intervalli
di
almeno
24
ore
l’una
dall’altra.
La
prima
coprocoltura
sarà
eseguita
dopo
la
guarigione
clinica
quando
la
terapia
antibiotica
è
stata
sospesa
da
almeno
tre
giorni.
In
caso
di
positività
persistente
(portatore
convalescente)
si
attuerà
la
dimissione,
ma
si
dovrà
dare
comunicazione
al
Servizio
di
Igiene
dell’Azienda
ASL
in
cui
risiede
il
dimesso.
I
conviventi
devono
essere
tenuti
sotto
sorveglianza
sanitaria
per
20
giorni
a
partire
dall’ultimo
contatto
con
il
malato
e
devono
essere
sottoposti
ad
esame
coprocolturale
per
scoprire
eventuali
portatori.
Coloro
che
sono
addetti
a
particolari
attività
(assistenza
sanitaria,
produzione,
preparazione,
distribuzione
di
alimenti)
devono
essere
sospesi
per
tutto
il
periodo
di
sorveglianza
sanitaria
e
vanno
riammessi
al
termine
di
questa,
dopo
aver
ottenuto
tre
coprocolture
negative.
La
bonifica
dei
portatori
cronici
difficilmente
può
essere
ottenuta
con
la
somministrazione
di
antibiotici
e
chemioterapici
(amoxicillina,
ampicillina,
trimetoprim-‐
sulfametossazolo,
norfloxacina),
anche
se
essa
viene
prolungata,
perché
i
batteri
del
tifo
localizzati
nella
colecisti
o
a
livello
di
calcoli
renali
sono
spesso
protetti
dall’azione
degli
antibiotici.
Solo
la
colecistectomia
o
l’asportazione
dei
calcoli
dà
migliori
risultati,
ma
l’intervento
chirurgico
non
può
essere
imposto
e
va
eseguito
solo
se
esistono
altre
indicazioni
derivanti
dallo
stato
di
salute
del
soggetto.
Al
portatore
deve
essere
vietata
ogni
attività
lavorativa
che
comporti
un
rischio
di
trasmissione
dell’infezione
per
contagio
diretto
o
indiretto.
In
particolare,
non
dovrà
essere
addetto
alla
produzione,
preparazione
o
distribuzione
di
alimenti,
né
ai
servizi
idrici.
Inoltre
dovrà
essere
adeguatamente
informato
del
rischio
derivante
ai
suoi
conviventi
ed
alla
comunità
dal
suo
stato
di
portatore
e
della
possibilità
di
ridurlo
curando
scrupolosamente
la
pulizia
personale
ed
evitando
di
disperdere
le
proprie
feci
ed
urine.
Infine,
sarà
opportuno
sottoporre
a
vaccinazione
i
conviventi.
Interventi
che
vanno
programmati
ed
attuati
nel
territorio
e
nella
popolazione
Gli
interventi
sul
territorio
hanno
lo
scopo
di
evitare
che
l’acqua
e
gli
alimenti
possano
svolgere
il
ruolo
di
veicoli.
La
bonifica
dell’ambiente
va
vista
essenzialmente
come
protezione
del
suolo
e
delle
acque
dall’inquinamento
fecale
:
-‐
raccolta
e
allontanamento
dei
liquami
in
idonee
reti
di
fognature
e
loro
smaltimento
in
siti
opportunamente
scelti,
dopo
trattamento
di
depurazione
in
adatti
impianti
-‐
protezione
delle
fonti
di
approvvigionamento
idrico,
vigilanza
sulle
opere
di
raccolta
dell’acqua
e
sulle
reti
di
distribuzione
degli
acquedotti,
controlli
periodici
della
qualità
dell’acqua
erogata
-‐
controllo
degli
alimenti.
Gli
interventi
sulla
popolazione
consistono
nell’educazione
sanitaria
e
nella
vaccinazione,
che
è
utile
solo
in
aree
con
elevata
endemicità.
La
vaccinazione
di
massa
può
essere
utile
solo
nei
paesi
in
via
di
sviluppo
dove
la
febbre
tifoide
è
presente
con
elevati
livelli
di
endemicità
e
frequenti
episodi
epidemici.
La
vaccinazione
individuale
può
essere
consigliata
a
tutti
coloro
che
da
zone
indenni
o
con
bassa
endemicità
si
recano
in
aree
dove
il
rischio
di
infezione
è
elevato,
facendo
loro
presente
che
devono,
comunque,
essere
cauti
nella
scelta
dell’acqua,
delle
bevande
e
di
cibi.
270
320 / 356
Sono
disponibili
diversi
vaccini:
L’efficacia
nel
primo
anno
è
simile
per
tutti
e
tre
i
vaccini
(e
questo
è
quello
che
interessa
nel
caso
dei
viaggiatori).
L’efficacia
cumulativa
a
3
anni,
invece,
è
maggiore
per
il
vaccino
intero
(73%
vs
51%
vs
55%).
La
protezione
conferita
dal
vaccino
intero,
inoltre,
permane
fino
a
5
anni,
contro
i
4
del
Ty21a
e
i
2
del
ViCPS.
Il
vaccino
intero,
tuttavia,
causa
più
frequentemente
effetti
collaterali.
Oggi
è
disponibile
anche
un
nuovo
vaccino:
Vi-‐rEPA.
Esso
è
composto
dal
polisaccaride
Vi
coniugato
ad
una
proteina
ricombinante
non
tossica,
identica
all’esotossina
A
di
P.
aeruginosa.
Si
somministra
in
2
dosi
parenterali
e,
grazie
alla
presenza
della
proteina,
suscita
una
potente
risposta
T-‐dipendente.
Gli
studi
sembrano
indicare
un’elevato
grado
di
efficacia.
In
Italia
l’obbligatorietà
della
vaccinazione
antitifica
paratifica
è
stata
esclusa
per
legge,
sebbene
nel
sud,
e
specialmente
in
Puglia,
Campania
e
Sicilia
l’andamento
epidemiologico
della
febbre
tifoide
presenti
“picchi”
con
conseguente
superamento
del
tasso
d’incidenza
annuo
di
5/100.000
abitanti.
Tale
superamento,
corrispondente
al
limite
di
"riconosciuta
necessità"
previsto
dal
co.3
art.
93
della
L.388/2000.
giustifica,
secondo
le
disposizioni
dell’OMS
e
del
Consiglio
Superiore
di
Sanità,
l’adozione
della
profilassi
vaccinale.
Pertanto
in
caso
di
superamento
del
tasso
d’incidenza
su
base
annuale
di
5/100.000
(n°
di
casi
per
n°
di
abitanti)
o
di
8/100.000
(n°
di
casi
per
n°
di
abitanti)
su
base
semestrale,
la
A.S.L.
valuterà
la
necessità
di
proporre
la
immunoprofilassi
antitifica
agli
alimentaristi
(Gelatieri;
Pasticcieri;
Addetti
rosticcerie,
pastifici,
bar
con
tavola
calda
o
fredda;
Lavoratori
presso
stabilimenti
di
prodotti
d’uovo,
gastronomici;
Addetti
lavorazione
carni
-‐macelli,
salumifici,
macellerie
con
annesso
laboratorio
e
pesce;
Addetti
lavorazione
pane
e
prodotti
da
forno;
Allievi
e
personale
scuola
alberghiera).
La
vaccinazione
è
dunque
consigliata
in
Italia
per
tutti
coloro
che
manipolano
il
cibo
e
per
le
categorie
di
lavoratori
a
rischio
come
gli
addetti
alla
raccolta
rifiuti
solidi,
il
personale
sanitario
ed
altre
categorie
a
rischio.
271
321 / 356
Zikavirus
1ArbovirusFlavivirusǡ ǡ
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° zanzare Aedes Ö
ǡǡǤ
sieroǡurineǡsalivaǡlattespermaǤ
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°
ǡ
Ǥ
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ʹͲ
microcefalia °
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ǯ Ǥ ǡ°
sindrome di Guillain Barrèǡ
Ǥ
41
322 / 356
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° ° ʹͲΨ
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Ǥ
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Ǧ
Ǧ
Ǧ Ǥ
Ǧ
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42
323 / 356
ǡPCR° ǯǤ
°
°
°
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Ǥ
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ǡǯǡ ǯ °Ǥ
43
324 / 356
ǣ
ǫ
Ǥ
°
ǫ
ǯǤ
ǯ
ǣ
Ǥ
° schistosomiasi
° °
ǯ
Ǥ
ǣ ǡ
Ǣ Ǣǯ
Ǣ ǯ
°Ǥ
44
325 / 356
praziquantel
ǯǡ ǡ Ǥ
45
326 / 356
Schistosomiasi
Lo schistosoma è un parassita le cui uova vengono eliminate con le urine e
con le feci e ha un ciclo che avviene nell’acqua: le uova, una volta nell’acqua,
continuano il ciclo all’interno dei molluschi dove si trasformano nelle larve,
dette cercarie, si moltiplicano all’interno dei molluschi e si liberano di nuovo
nell’acqua, penetrano poi attraverso la pelle dell’uomo e si sviluppano gli
adulti nei plessi vescicali o nell’intestino dove si accoppiano e depongono le
uova, che determinano la formazione di granulomi e vengono eliminate
tramite urine (schistosomiasi urogenitale – S. haematobium) o feci
(schistosomiasi intestinale – altri).
46
327 / 356
In alcune aree
dell’Africa la
schistosomiasi è molto
diffusa, già tra i
bambini, e nelle
credenze il bambino
che comincia ad avere
le urine rosse per la
presenza di sangue è
assimilato alla
bambina che ha le
prime mestruazioni, è
considerata quasi una cosa fisiologica da quanto è diffusa.
Complicanze croniche:
‐cancro vescica
‐epatosplenomegalia
Diagnosi:
‐parassitologico: ricerca delle uova nelle feci,
nelle urine e nei campi bioptici
‐sierologia: anticorpi anti‐Schistosoma spp.
(IgE).
47
328 / 356
CASO CLINICO 3:
Uomo di 45 anni, viene dalla Costa d’Avorio e vive
in Italia da 25 anni.
Nel settembre 2008 torna in viaggio in Costa
d’Avorio e inizia ad accusare dolore addominale,
distensione dell’addome e inappetenza. Va
all’ospedale, fa un’ecografia e si vedono delle
linfoadenopatie diffuse per cui viene fatta diagnosi
di linfoma.
Torna in Italia e inizia la terapia per il linfoma.
Si presenta però al pronto soccorso con febbre e ristagno gastrico.
Viene trasferito nel reparto di malattie
infettive dove fanno degli esami
approfonditi e viene fuori la diagnosi di
linfoma a cellule T altamente indifferenziate.
Ha positività per EBV e HTLV‐1.
Data la storia clinica del paziente, il parassita viene ricercato anche in altre parti e viene trovato nelle
urine, nel sangue, nel lavaggio broncoalveolare e nel lavaggio gastrico perchè l’infezione di questo
parassita intestinale è diventata sistemica.
48
329 / 356
ͳ͵ȁͲ͵ȁʹͲͳͺ
Ǥ
Infezioniingravidanza
TORCHǣ
Ǧ
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Ǧ
Ǧ
Ǧ
Ǥ
ǡ °
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Ǥ ǡ ǡ °
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Ǧ ǡ
ǦǦ
ǦǦ
Ǧ
Ǧ
Ǧ ȋ Ȍǡ͵ͷǤ
Sifilide
ǯ ° Treponema Pallidum
SpirochaetaceaeǤǯ ǡǯǡ
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51
330 / 356
°ǡǣ
x Sifilide primaria:
ǡ ǯ Ö ͻͲ
Ǥǯ sifilomaǡ
Ǥ
° Ǥ
ǡ Ǥ
°Ǥ
x Sifilidesecondaria:ǯǯǡ Ö
ǡ Ö
Ǥ
roseola sifilitica ° ǡ
Ǥ
Ǥ
x Sifilidelatenteprecoceǣ ͳ
x Sifilidelatentetardivaǣ ͳ
x Sifilidetardivaoterziaria:îǡÖ
:
Ǧ Sistema nervoso centrale in senso lato. ǡ
ǡ ȋ Ȍ ȋ ȌǤ
ǯ ǡǯ ǡ
Ǥî °paralisiprogressivaǡ
ǡ ǯ Ǥ
ǯ tabedorsaleǡ °
ǡ Ǥ
ǦCute. ǡ gommeluetichesifilitiche.
Ǧ Apparato cardiovascolare. ǯaortite lueticaǡ ° ǯ
ǯ ǡ ǡ
Ǥ
ǡ ǯ°Ǥ
Ǥ
ǡ ° ǡ ǡ
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52
331 / 356
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° ǡ ° ǯ
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ǯǡ°
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testnontreponemiciî ȋ Ȍǡ
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cardiolipinaǡ
ǡ ° Ǥ
Ǥ° °
°Ǥ
ǡ
° Ǥ
53
332 / 356
ǡ ǡ
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Dz dzȌǤ Dz
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54
333 / 356
ǣ
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doxiciclina°
ÖǤ
ǯeritromicina ǣ ±
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reazione di JarischǦHerxeimer
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SpirochaetaceaeȌǤ
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sindrome connatale Ö
Ǥ
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55
334 / 356
sindrome connatale tardiva
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Ǧ
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Varicella
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MANUALE MSD
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≥
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≥
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MANUALE MSD
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350 / 356
MANUALE MSD
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γ
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γ
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CASO CLINICO 3:
Uomo di 45 anni, viene dalla Costa d’Avorio e vive
in Italia da 25 anni.
Nel settembre 2008 torna in viaggio in Costa
d’Avorio e inizia ad accusare dolore addominale,
distensione dell’addome e inappetenza. Va
all’ospedale, fa un’ecografia e si vedono delle
linfoadenopatie diffuse per cui viene fatta diagnosi
di linfoma.
Torna in Italia e inizia la terapia per il linfoma.
Si presenta però al pronto soccorso con febbre e ristagno gastrico.
Viene trasferito nel reparto di malattie
infettive dove fanno degli esami
approfonditi e viene fuori la diagnosi di
linfoma a cellule T altamente indifferenziate.
Ha positività per EBV e HTLV‐1.
Data la storia clinica del paziente, il parassita viene ricercato anche in altre parti e viene trovato nelle
urine, nel sangue, nel lavaggio broncoalveolare e nel lavaggio gastrico perchè l’infezione di questo
parassita intestinale è diventata sistemica.
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Strongyloides stercoralis
Questo nematode intestinale si acquisisce solitamente da piccoli per contatto con acque o suolo
contaminato (malattia delle mondine). Viene eliminato con le feci, ha un ciclo nel terreno, le persone
camminando scalze su terreni o in acque contaminate, entrano in contatto con il parassita che
attraversa la pelle, finisce nel circolo venoso, facendo un ciclo e stazionando nei polmoni. Possono da
qui raggiungere il tratto digerente tramite l’esofago stazionando in intestino e venendo poi eliminati
con le feci (dalla cute perianale possono essere riassorbiti dal soggetto stesso o può essere
contaminato nuovamente il suolo). L’infestazione persiste senza dare disturbi fino a che non vengono
alterate le risposte immunitarie: facendo una chemioterapia, il parassita ricomincia a moltiplicarsi e va
in circolo, si ritrova anche nel liquor e, siccome viene dall’intestino, porta con sé dei batteri intestinali
quindi, una volta nel liquor, può dare meningite da, ad esempio, Escherichia Coli.
Quando siamo in questa fase è difficile trattare il paziente, deve essere trattato prima con ivermectina
per os in monodose o ripetuta dopo 15 giorni, poi si sta studiando un farmaco usato per via
sottocutanea in veterinaria.
Tornando al caso clinico:
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