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Pierluigi Grandinetti
LA COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA E IL PROGETTO DI ARCHITETTURA
LEZIONE 1
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Una ricerca teorica sull’architettura dovrebbe tentare di rendere trasmissibile il
processo formativo del progetto, dichiarandone anche le ragioni compositive.
La composizione architettonica
Rispetto a una concezione dell’architettura come costruzione della forma, Gianni
Fabbri nel 1969 avanzava questa riflessione: “Considero l’architettura nella sua
essenza di forma, la storia dell’architettura come la storia dei modi diversi con cui nel
tempo l’uomo ha dato forma alle diverse esigenze (usi e funzioni) che la storia gli
poneva.” E più oltre: “Potremmo aggiungere, per quanto riguarda l’architettura, che la
sua natura collettiva non sta tanto nell’uso collettivo che ne si fa, quanto di essere in
grado di configurarsi come fruibile dalla collettività proprio e solo in quanto forma, di
non essere tutta nella storia (cioè unica e particolare) ma anche fuori di essa come
permanenza; segno indelebile il cui significato è sempre nuovamente progettato dalla
collettività.” (Fabbri 1969) Le forme architettoniche hanno quindi una loro vita
autonoma, una loro vitalità, che va oltre la contingenza da cui nascono.
Di forme si occupa la composizione architettonica, assunta come il momento logico
del progetto, a partire dal suo significato originario di combinazione di elementi in un
insieme strutturato.
La composizione è in generale l’arte del comporre. Comporre - dal latino componere,
formato da cum “con” e ponere “porre” - significa “unire, mettere insieme diverse parti,
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od elementi, per formare un tutto che soddisfaccia a un determinato scopo.”, secondo
la definizione che ne dà Daniele Donghi, nel suo libro “La composizione
architettonica” (Donghi 1922). Per analogia si pensi alla composizione musicale o, in
forma ancor più diretta, all’antica composizione tipografica, cioè al mettere insieme le
righe e le pagine di un testo con i caratteri mobili della stampa.
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visione d'assieme. Duplice è il suo lavoro: da un lato, scoprire oggetti sempre nuovi;
dall'altro, ordinarli secondo la loro natura e le loro proprietà e, nei limiti del possibile,
eliminare ogni arbitrio." (Goethe 1962)
Se sostituiamo al termine "organismi viventi" quello di "organismi architettonici", le
considerazioni di Goethe sulla morfologia valgono anche per l'architettura. Inoltre
questo ordinare "in gruppi o in serie", implicito - secondo Goethe - alla morfologia
come studio delle forme, prelude a un altro momento analitico, che è quello della
tipologia, come "studio dei tipi " delle forme (di cui si tratterà in seguito).
Lo studio delle forme concrete si definisce quindi morfologia: "architettonica" o
“edilizia” nel caso di singoli manufatti, "urbana" nel caso di insiemi di manufatti, a
scala della parte di città o dell'intera città. È nell’ambito della morfologia urbana che
viene elaborata da Carlo Aymonino, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso -
come scrive Raffaele Panella nel 2003 – la “teoria della costruzione della città per
parti formalmente compiute” (Panella 2003), che lo stesso Panella sviluppa in una
serie di progetti di “architettura urbana” (4).
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dell'opera di architettura viene sempre fatta "in funzione" di tale unità. Si introduce qui
un ulteriore concetto, che è quello di “funzione”. Che significato assume - entro la
forma architettonica - la componente funzionale?
Intesa come sinonimo di "attività", essa ha portato a classificazioni degli spazi e
delle forme in base alle loro destinazioni d'uso. Lo studio dei tipi architettonici
individua piuttosto una variabilità tra ordine formale e ordine funzionale. Ne è un
esempio la persistenza - nella storia dell'architettura - di alcuni tipi formali rispetto a
una trasformazione della loro funzione originaria.
Utilizziamo quindi il concetto di funzione secondo l'uso che ne viene fatto nella logica
e nella matematica, per esprimere, secondo una definizione di Luciano Semerani,
"l'interdipendenza dei fenomeni tra loro, un'interdipendenza reciproca che, fra l'altro,
esclude il tradizionale rapporto di causalità." (Semerani 1980)
Entro questa accezione, la funzionalità degli elementi e degli spazi viene intesa sia
come loro interdipendenza rispetto all'unità della forma, sia come “compatibilità” con
lo svolgimento di attività determinate, compatibili appunto con i caratteri costitutivi
della forma stessa.
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trattatisti (7) e di mia figlia Anna (8). Secondo Purini è proprio questo secondo
archetipo, la capanna, “quello che ha continuato nei secoli a stimolare l’attenzione dei
teorici dell’architettura, forse per la sua indubbia artificialità, nonostante la sua origine
sembra risiedere nell’utilizzazione primitiva di un albero, secondo quanto sostiene
Viollet Le Duc (…).” (Purini 1980)
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In quanto le regole di costruzione del progetto passano anche attraverso la
geometria progettuale, essa diventa uno strumento della composizione (fig. 6).
Qui sono rappresentate: la pianta e la sezione di una scala a doppia rampa, di Andrea
Palladio (12); una vista e la costruzione geometrica della facciata nord della villa di
Garches, di Le Corbusier (13).
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Note
(1) La “Scuola di Venezia” nasce con Giuseppe Samonà che, dal 1945 al 1971, è
direttore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Egli chiama a Venezia
alcuni “esclusi” dal potere accademico nazionale, tra cui Bruno Zevi, Ignazio Gardella,
Franco Albini, Carlo Scarpa e in seguito raccoglie intorno a se un gruppo di “giovani”, i
quali costituiscono alla fine degli anni Sessanta il “Gruppo Architettura”; tra di essi
Carlo Aymonino, Gianugo Polesello, Luciano Semerani, Aldo Rossi, Costantino Dardi,
Guido Canella, Romeo Ballardini, Gianni Fabbri, Raffaele Panella e successivamente
Angelo Villa, Mauro Lena, Roberto Sordina, Filippo Messina, Vanna Fraticelli, Nico
Bolla, Vico Tramontin. Il Gruppo ha caratterizzato l’attività didattica e di ricerca della
Scuola negli anni Settanta, poi si è sciolto. Per un’analisi delle ricerche del Gruppo
Architettura e del ruolo del milanese Guido Canella, si rimanda allo scritto di Luca
Monica su TECA 5 (Monica 2011).
(2) Come scrive Paul Klee nel 1921: “Noi siamo creatori di forme, esercitiamo
un’attività pratica e quindi ci muoveremo, di preferenza, in un ambito formale senza
tuttavia dimenticare che l’inizio formale, o più semplicemente il primo tratto di matita, è
preceduto da tutta una preistoria che non è solo l’aspirazione, il desiderio di
esprimersi dell’uomo; non è solo la necessità esteriore di farlo, ma anche una
condizione comune a tutti gli uomini che, or qui or là, un’interiore necessità spinge a
manifestarsi, secondo una direzione che vien detta visione del mondo
(Weltanschauung).” (Klee 1959)
(3) Per una ricostruzione critica del pensiero di Ernesto N. Rogers, si rimanda al
lavoro di ricerca svolto da Serena Maffioletti, con riferimento alle lezioni (Maffioletti
2009) e agli scritti (Maffioletti 2010).
(4) La composizione architettonica si è fatta carico, nella Scuola di Venezia, “a partire
dagli anni Sessanta, per motivi storicamente determinati, connessi a una crisi dei
saperi disciplinari, di istanze e sollecitazioni esterne ad essa, che nascevano
dall’esigenza di verificarne l’orizzonte storico di operatività, per giungere a una
ridefinizione del suo ambito disciplinare. Nascono da questa esigenza gli studi di
analisi urbana, le elaborazioni sugli strumenti del piano, le costruzioni teoriche tese a
ridefinire i rapporti tra città e architettura.” (Grandinetti 1985) È in questo contesto che
vengono messi a punto a livello conoscitivo il rapporto tra morfologia urbana e
tipologia edilizia, a livello progettuale la teoria della costruzione della città per parti.
Conclusa la stagione dell’analisi urbana, anche in seguito alla crisi sempre più
profonda che ha investito le città, con il formarsi di vaste conurbazioni a cui si sono
aggiunte le strade e i centri commerciali - quelli che Marc Augé chiama i "nonluoghi"
(Augé 2004) - si è assistito a una frammentazione delle ricerche che, privilegiando il
progetto di architettura, hanno teso sempre di più a identificarsi in esperienze
soggettive e in percorsi individuali.
(5) Vitruvio utilizza il metodo tipologico per l’organizzazione di un sistema di criteri e di
norme utili alla progettazione di manufatti architettonici “tipici” (il tempio, la basilica, il
teatro, la palestra). Palladio, recuperando le tipologie vitruviane, le confronta con le
soluzioni progettuali che egli propone. È ancora un trattatista, il Milizia che, alla fine
del Settecento, imposta per la prima volta una classificazione tipologica basata sulle
destinazioni d’uso degli edifici. Se nell’architettura antica e rinascimentale il tipo
assume infatti soprattutto valore formale, con l’Ottocento e poi con il Novecento
compaiono nuovi tipi, a carattere prevalentemente funzionale, fino alle ricerche
tipologiche di Klein, basate sulla definizione di schemi distributivi di piante di alloggi.
(6) Un esempio di frontiera: nel 2019 l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale
delle ricerche ha avviato un progetto di ricerca per individuare come le diverse
configurazioni dello spazio architettonico influenzino il riconoscimento di espressioni
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emotive.
Riferimenti bibliografici
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5/1997.
G. C. Argan, Sul concetto di tipologia architettonica, in: G. C. Argan, Progetto e
destino, Milano, 1965.
M. Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino, 2004.
C. Aymonino, Architettura come fenomeno urbano, in: Gruppo Architettura, Per una
ricerca di progettazione 1, Venezia, 1969.
C. Aymonino, La morfologia urbana come strumento per individuare l’insieme e le
parti, in: Gruppo Architettura, Per una ricerca di progettazione 6, Venezia, 1973.
M. Cacciari, Critica del progetto, in: Progetto. Laboratorio politico, n. 2/1981.
A. Dal Fabbro, Il dispositivo poetico: approccio a un metodo compositivo, in: Archint.
Architettura Intersezioni, n. 5/1997.
D. Donghi, La composizione architettonica, Padova, 1922.
G. Fabbri, Natura collettiva dell’architettura, in: Gruppo Architettura, Per una ricerca
di progettazione 1, Venezia, 1969.
W. Goethe, Opere, vol. V, Firenze, 1962.
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nell’architettura e nella costruzione della città, Quaderni del Dipartimento 10, Venezia,
1985.
P. Grandinetti, Insegnare l’architettura, in: Archint. Architettura Intersezioni, n. 5/1997.
P. Klee, Teoria della forma e della figurazione, Milano, 1959.
S. Maffioletti (a cura di), Il pentagramma di Rogers. Lezioni universitarie di Ernesto. N.
Rogers, Padova, 2009.
S. Maffioletti (a cura di), Ernesto. N. Rogers. Architettura, misura e grandezza
dell’uomo. Scritti 1930-1969, Padova, 2010.
L. Monica, Il disegno futuro dell’architettura di Guido Canella, in: L. Monica (a cura di),
Un ruolo per l’architettura Guido Canella, Napoli, 2011.
R. Panella, Note preliminari alle opere in mostra, in: Raffaele Panella architetto,
catalogo della mostra, Melfi, 2003.
G. Polesello, L’architettura e la progettazione della città e nella città, in: Gruppo
Architettura, Per una ricerca di progettazione 1, Venezia, 1969.
F. Purini, L’architettura didattica, Reggio Calabria, 1980.
L. Quaroni, Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Milano, 1977.
G. Rakowitz, C. Torricelli (a cura di), Ricostruzione Inventario Progetto, Padova, 2018.
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1981.
A. Rossi, Tipologia, manualistica e architettura, in: AA. VV., Rapporti tra la morfologia
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L. Semerani, Progetti per una città, Milano, 1980.
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, 1964.