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Corso “Il progetto di architettura: teorie e strumenti”

prof. Pierluigi Grandinetti, collaboratore alla didattica: arch. Massimiliano Valle


anno accademico 2023-2024

Pierluigi Grandinetti
LA COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA E IL PROGETTO DI ARCHITETTURA
LEZIONE 1

Il progetto di architettura come “percorso” di costruzione della forma


Il progetto di architettura può essere inteso, prima che nel suo esito finale, come il
processo (1) che va dall’ideazione alla definizione della forma architettonica, come
insieme di operazioni dinamico, concatenato e finalizzato.
L’architettura può essere definita come l’arte che si occupa della progettazione e
costruzione della forma, delle forme architettoniche. A partire dal moderno e sempre
di più nella contemporaneità, la sua progettazione è diventata multidisciplinare, in
quanto vi concorrono più competenze, oltre a quelle compositive: geotecniche,
strutturali, impiantistiche, ecc.
La composizione architettonica infine può essere intesa come la disciplina che
concorre, nel progetto di architettura, alla costruzione della forma architettonica:
“costruzione” assunta sia in senso logico, in quanto procedimento secondo un ordine,
sia in senso fisico, in quanto le forme, i manufatti architettonici sono per loro natura
fatti fisici, materiali.
Nella mia riflessione citerò alcuni docenti della Scuola di Venezia (1), oltre che di altre
Scuole italiane di architettura, in particolare di quella milanese, nel solco della
tradizione dell’architettura italiana, che ha sempre legato insieme il fare e il pensare
l’architettura.
Se il progetto è innanzitutto un processo, in tale concetto è implicita l'idea di un
movimento finalizzato. Come scrive Massimo Cacciari: "Nel progetto si persegue un
fine liberamente fissato e lo si vuol perseguire con tanta efficacia e determinazione
da linearizzare il percorso, il ‘frattempo’, tra la sua ideazione e il suo effettivo
raggiungimento." (Cacciari 1981)
Ciò che interessa è questo percorso, questo "frattempo", che è per sua natura un
percorso logico, razionale, di una razionalità tutta finalizzata a compiere questo
movimento, a organizzare questo processo, nel passaggio dall'assunzione del tema e
dall’individuazione dei "materiali" del progetto (l’analisi degli elementi del luogo, la
memoria, i riferimenti tipologici, le tecniche, i vincoli) all’ideazione e via via lungo il
percorso - attraverso l'uso di strumenti e la messa a punto di regole - fino alla
configurazione della forma, di cui il progetto architettonico costituisce l'esito parziale,
in quanto esso prefigura l'esito finale, cioè l’opera realizzata.
Se il progetto è il percorso logico di ideazione e configurazione della forma
architettonica, ogni progetto rivela, in modo più o meno esplicito, una propria
intrinseca razionalità, l'esistenza cioè di regole interne connaturate alla sua
formazione. Ragionare intorno a ciò significa indagare il carattere analitico e insieme
sintetico della composizione architettonica, come disciplina che concorre – per gli
aspetti figurativi, formali e funzionali – alla formazione del progetto.

1
Una ricerca teorica sull’architettura dovrebbe tentare di rendere trasmissibile il
processo formativo del progetto, dichiarandone anche le ragioni compositive.

Le componenti della progettualità: creatività e razionalità


Sviluppare un percorso progettuale comporta l’esercizio della creatività, nella fase
dell’ideazione, e contestualmente della razionalità, nella messa a punto delle regole
del progetto.
La creatività significa capacità di creare, non dal nulla (come, secondo la dottrina
cristiana, fece il Creatore), bensì – a partire dalla realtà esistente - modificando
l’ordine degli elementi che la compongono e/o trasformandoli, al fine di produrre una
realtà nuova. Per creare è necessaria una fase passivo-ricettiva, qui esemplificata
dall’occhio di Paul Klee (2): il guardare, l’ascoltare, l’osservare, per far emergere dal
reale tutto ciò che serve in funzione creativa. A questa fase passiva segue la fase
attiva, finalizzata a generare la forma (2).
L’esercizio della razionalità è intrinseco allo sviluppo del progetto come percorso
logico, non lineare (Cacciari lo definisce “linearizzato”) ma dialettico, al fine di
governare la complessità, sempre maggiore, dell’architettura.
Un cenno infine merita il disegno, come strumento per rappresentare e comunicare il
progetto di architettura: dallo schizzo nella fase dell’ideazione – come espressione
figurativa dell’idea di progetto - al disegno esecutivo nella fase della realizzazione. E,
in quanto strumento, il disegno - più che “bello” - deve essere efficace. Come scrive
Roberta Albiero nel 1997: “La genesi del progetto, momento originario in cui ‘l’idea’ si
affaccia, materializzandosi sulla carta attraverso la forma grafica dello schizzo,
costituisce un territorio assai poco esplorato dagli architetti che, a differenza di quanto
è avvenuto in altre discipline, raramente si sono confrontati con la problematica
dell’ideazione artistica, nelle sue relazioni con la teoria e la tecnica.” (Albiero 1997)
Nello schizzo di Gianugo Polesello sul progetto degli Uffici della Camera dei deputati
a Roma (3), l’elemento costruttivo è già parte integrante dell’ideazione progettuale; in
quello di Pierluigi Grandinetti sul portico per servizi di Cimolais, realizzato (4), oltre allo
schizzo sull’idea e alla geometria generatrice sono presenti anche i riferimenti
tipologici. Infine, riguardo allo schizzo di monumento di Armando Dal Fabbro (5), così
nel 1997 egli scriveva: “Ogni buona architettura che possa chiamarsi tale contiene in
nuce una potenziale carica poetica.” (Dal Fabbro 1997)

La composizione architettonica
Rispetto a una concezione dell’architettura come costruzione della forma, Gianni
Fabbri nel 1969 avanzava questa riflessione: “Considero l’architettura nella sua
essenza di forma, la storia dell’architettura come la storia dei modi diversi con cui nel
tempo l’uomo ha dato forma alle diverse esigenze (usi e funzioni) che la storia gli
poneva.” E più oltre: “Potremmo aggiungere, per quanto riguarda l’architettura, che la
sua natura collettiva non sta tanto nell’uso collettivo che ne si fa, quanto di essere in
grado di configurarsi come fruibile dalla collettività proprio e solo in quanto forma, di
non essere tutta nella storia (cioè unica e particolare) ma anche fuori di essa come
permanenza; segno indelebile il cui significato è sempre nuovamente progettato dalla
collettività.” (Fabbri 1969) Le forme architettoniche hanno quindi una loro vita
autonoma, una loro vitalità, che va oltre la contingenza da cui nascono.
Di forme si occupa la composizione architettonica, assunta come il momento logico
del progetto, a partire dal suo significato originario di combinazione di elementi in un
insieme strutturato.
La composizione è in generale l’arte del comporre. Comporre - dal latino componere,
formato da cum “con” e ponere “porre” - significa “unire, mettere insieme diverse parti,

2
od elementi, per formare un tutto che soddisfaccia a un determinato scopo.”, secondo
la definizione che ne dà Daniele Donghi, nel suo libro “La composizione
architettonica” (Donghi 1922). Per analogia si pensi alla composizione musicale o, in
forma ancor più diretta, all’antica composizione tipografica, cioè al mettere insieme le
righe e le pagine di un testo con i caratteri mobili della stampa.

Gli elementi della composizione architettonica


Gli elementi della composizione architettonica sono gli elementi materiali, le forme e le
strutture di base, che compongono l’architettura (l'elemento come "parte" di un
insieme), ma sono anche le regole, gli strumenti, le procedure della composizione.
Strumenti e procedure sono assunti nel loro valore di elementi della composizione,
nell’accezione che al concetto di "elemento" già dava Ernesto N. Rogers: "Il vero
elemento è l'elemento delle operazioni costitutive così che, se si parla di elementi del
fenomeno architettonico, si deve considerare mezzi e norme unitariamente, perché i
principi sorgono dall'essenza stessa dei mezzi impiegati e i mezzi vengono scelti
come conseguenza inalienabile dei principi, così che le forme non sono autonome e
indifferenti, o peggio ancora, a priori al processo costitutivo, ma anche rappresentano
il simbolo conclusivo di tutto il processo." (Rogers 1981)
A partire da queste considerazioni Rogers sviluppa una riflessione sui contenuti
dell'insegnamento architettonico, dove, citando Klee e Gropius, egli dichiara il limite
delle "teorie", delle "dottrine precostituite" (afferma infatti Paul Klee: "Ci si aggrappa
alle teorie, poiché si teme la vita, si ha paura dell'incertezza"). Rogers rivendica
piuttosto una concezione dell'insegnamento come colloquio tra docente e discente,
come completamento e arricchimento delle reciproche esperienze (egli afferma: "Né
credo che uno possa pretendere d'insegnare se non è ancora e sempre disposto ad
imparare"), in funzione di una ricerca che tende a cogliere - e a trasmettere - più che
gli aspetti manualistici della forma, le strutture profonde, gli aspetti genetici, le finalità
e gli strumenti. E Rogers cita a questo riguardo Walter Gropius: "Ritengo che ogni
essere umano normale sia in grado di concepire la forma. Il problema vero non mi
sembra quello dell'esistenza o meno della capacità creativa, ma quello di trovare la
chiave per trarla alla luce." (3) Questa metafora della “chiave” rappresenta in modo
efficace ciò che qui si vuole esprimere.

La morfologia come studio delle forme


La composizione architettonica (6) si occupa, come già detto, di manufatti
architettonici, i quali si manifestano innanzitutto nella loro configurazione, cioè nella
loro forma. Assumiamo allora la forma come oggetto della composizione
architettonica.
Lo studio delle forme concrete, nella loro specificità e singolarità, si definisce
“morfologia”.
Come afferma Carlo Aymonino nel 1973: "Goethe fu il primo nel 1807 a usare il
termine morfologia nei suoi scritti scientifici.” (Aymonino 1973) Goethe, nell'ambito di
una riflessione sugli "essere viventi", assume la morfologia come una "dottrina". Così
egli scrive: "La morfologia deve contenere la teoria della forma, formazione e
trasformazione dei corpi organici; appartiene dunque alle scienze naturali di cui
andiamo illustrando gli scopi. La storia naturale assume come dato di fatto conosciuto
la molteplicità di forma degli organismi. Non può tuttavia sfuggirle che dietro questa
grande varietà di forme si nasconde anche una certa analogia, sia in generale che
in particolare; perciò, lungi dal limitarsi a presentare i corpi a lei noti, li ordina in
gruppi o in serie, in base alle forme che si percepiscono e alle proprietà che si
determinano e si studiano, e così permette di abbracciarne la massa enorme in una

3
visione d'assieme. Duplice è il suo lavoro: da un lato, scoprire oggetti sempre nuovi;
dall'altro, ordinarli secondo la loro natura e le loro proprietà e, nei limiti del possibile,
eliminare ogni arbitrio." (Goethe 1962)
Se sostituiamo al termine "organismi viventi" quello di "organismi architettonici", le
considerazioni di Goethe sulla morfologia valgono anche per l'architettura. Inoltre
questo ordinare "in gruppi o in serie", implicito - secondo Goethe - alla morfologia
come studio delle forme, prelude a un altro momento analitico, che è quello della
tipologia, come "studio dei tipi " delle forme (di cui si tratterà in seguito).
Lo studio delle forme concrete si definisce quindi morfologia: "architettonica" o
“edilizia” nel caso di singoli manufatti, "urbana" nel caso di insiemi di manufatti, a
scala della parte di città o dell'intera città. È nell’ambito della morfologia urbana che
viene elaborata da Carlo Aymonino, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso -
come scrive Raffaele Panella nel 2003 – la “teoria della costruzione della città per
parti formalmente compiute” (Panella 2003), che lo stesso Panella sviluppa in una
serie di progetti di “architettura urbana” (4).

La forma architettonica come “struttura”


Ma c'è un'altra considerazione di Goethe, che ci illumina su un aspetto peculiare della
forma. "Osservando le cose naturali, ma soprattutto gli esseri viventi - egli scrive - col
desiderio di penetrare nell'insieme organicamente collegato del loro esistere e del loro
agire, noi crediamo di meglio riuscirvi componendoli in parti; e, certo, questo
procedimento ci permette di fare molta strada (…). Senonché questi sforzi analitici,
portati continuamente innanzi, recano in sé molti svantaggi. Ciò che prima era vivo è
bensì scomposto in elementi, ma da questi non si può ricomporlo né, tanto meno,
ridargli vita. Questo vale già per molti corpi organici; non parliamo poi degli inorganici.
Perciò in tutti i tempi, gli scienziati hanno sentito il bisogno di conoscere il vivente in
quanto tale, di vederne in mutuo rapporto le parti esterne visibili e tangibili, di
considerarle indizi del loro interno, e per tal modo dominare l'insieme, per così dire, in
una visione intuitiva. Come quest'aspirazione scientifica si ricolleghi all'impulso
artistico ed imitativo, non occorre insistere." (Goethe 1962)
Il che ci riporta a una concezione del fatto architettonico inteso “come una struttura;
una struttura che – come scrive Aldo Rossi nel 1966 – si rivela ed è conoscibile nel
fatto stesso.” (Rossi 1966)
Una delle caratteristiche della forma architettonica è quindi quella di poter essere
analizzata come una struttura, cioè come un insieme strutturato, "organico", di parti
ed elementi. Utilizzando la definizione di struttura desunta dalla teoria degli insiemi,
l'analisi della struttura - anche nel caso di un fatto architettonico - si può definire
come l'individuazione dell'insieme delle relazioni che esistono tra gli elementi di un
insieme.
Partiamo quindi da una concezione strutturale - piuttosto che funzionale o stilistica -
della forma. Dove il termine "struttura" va inteso in senso logico, prima che nel
senso della "costruzione muraria", che è quello originario del termine, così come
utilizzato ad esempio da Vitruvio.
Un'opera architettonica è dunque - come la definisce Ludovico Quaroni nel 1977 –
“una struttura architettonica compiuta, autonoma, con una sua logica interna"
(Quaroni 1977). Con ciò si riconosce all'unità dell'opera architettonica, e quindi della
forma, una sua specificità irriducibile, una sua identità, che è implicita nel concetto di
struttura.

L’interdipendenza tra forma e funzione


L'individuazione delle relazioni tra gli elementi e le parti che compongono l’unità

4
dell'opera di architettura viene sempre fatta "in funzione" di tale unità. Si introduce qui
un ulteriore concetto, che è quello di “funzione”. Che significato assume - entro la
forma architettonica - la componente funzionale?
Intesa come sinonimo di "attività", essa ha portato a classificazioni degli spazi e
delle forme in base alle loro destinazioni d'uso. Lo studio dei tipi architettonici
individua piuttosto una variabilità tra ordine formale e ordine funzionale. Ne è un
esempio la persistenza - nella storia dell'architettura - di alcuni tipi formali rispetto a
una trasformazione della loro funzione originaria.
Utilizziamo quindi il concetto di funzione secondo l'uso che ne viene fatto nella logica
e nella matematica, per esprimere, secondo una definizione di Luciano Semerani,
"l'interdipendenza dei fenomeni tra loro, un'interdipendenza reciproca che, fra l'altro,
esclude il tradizionale rapporto di causalità." (Semerani 1980)
Entro questa accezione, la funzionalità degli elementi e degli spazi viene intesa sia
come loro interdipendenza rispetto all'unità della forma, sia come “compatibilità” con
lo svolgimento di attività determinate, compatibili appunto con i caratteri costitutivi
della forma stessa.

Lo strumento della tipologia


Abbiamo definito la morfologia come lo studio delle forme concrete. La tipologia, cioè
lo studio dei tipi, può essere definita, in prima istanza, come la classificazione - a
partire da precisi criteri – di tali forme, raggruppate secondo le loro rassomiglianze.
Analisi morfologica e tipologica diventano così due momenti di uno stesso processo
conoscitivo, il quale, nella scomposizione e ricomposizione dello spazio fisico – come
scrive Giuseppe Samonà nel 1974 - tende a cogliere le relazioni che, in ogni luogo, si
sono venute determinando, attraverso il tempo, tra “le sedimentazioni della sfera
tipologica, presenti nelle opere costruite, le idee diffuse dall’esperienza tecnica più
generale, il panorama culturale dell’area d’insediamento e la configurazione del luogo
nella sua forma di spazio organizzato.” (Samonà 1974)
È necessario premettere che non esiste, nella scienza e ancor meno nella
progettazione, una definizione "univoca" di tipo e tipologia, in quanto essi, di volta in
volta, vengono definiti in funzione degli obiettivi e dei criteri che si pongono a
fondamento dell'operazione tipologica. A questo riguardo Carlo Aymonino nel 1969
osservava che la tipologia è "uno strumento e non una categoria" (Aymonino 1969).
Assumiamo questa definizione, nel senso che consideriamo la tipologia uno
"strumento" della composizione architettonica.
Nell'architettura è possibile leggere, storicamente, l'uso "strumentale" della tipologia. I
tipi infatti, in quanto strumenti dell'architettura, come scriveva Gianugo Polesello
sempre nel 1969, "sono con essa legati nel movimento della storia, seguono cioè le
stesse fasi di evoluzione, di regressione, di rivoluzione dei processi culturali
complessivi." (Polesello 1969)
Non si tratta quindi di proporre una teoria "generale" sul tipo, rispetto a una presunta
unità teorica dell'architettura, ma piuttosto di mostrare come sia possibile nel presente
individuare - all'interno della disciplina - alcune categorie strumentali, rispetto alle quali
esiste una molteplicità di direzioni di ricerca e di esiti progettuali.
In questa accezione la tipologia verrà utilizzata come uno degli strumenti per lo studio
delle forme architettoniche in funzione progettuale (5).
Un accenno infine all’”archetipo”, inteso sia in senso platonico come modello
originario (dal greco archétypon, composto da arché “principio” e typos “modello”), che
in senso junghiano come immagine presente nell’inconscio collettivo. Rispetto agli
archetipi della casa, oltre a quello della grotta vi è quello parallelo della capanna
primitiva, di cui sono rappresentati qui alcuni esempi, nell’interpretazione di alcuni

5
trattatisti (7) e di mia figlia Anna (8). Secondo Purini è proprio questo secondo
archetipo, la capanna, “quello che ha continuato nei secoli a stimolare l’attenzione dei
teorici dell’architettura, forse per la sua indubbia artificialità, nonostante la sua origine
sembra risiedere nell’utilizzazione primitiva di un albero, secondo quanto sostiene
Viollet Le Duc (…).” (Purini 1980)

Il tipo come “struttura interna della forma”


Sull'uso dello strumento tipologico in architettura, scrive Giulio Carlo Argan nel 1965:
"Il momento dell'accettazione del tipo è un momento di sospensione del giudizio
storico; e, come tale, è un momento negativo, ma 'intenzionato' nel senso della
formulazione di un nuovo valore in quanto, per la sua stessa negatività, pone all'artista
la necessità di una nuova determinazione formale, di un’ideazione.” E continua: “Nel
processo di paragone e sovrapposizione delle forme individue per la determinazione
del tipo si eliminano I caratteri specifici dei singoli edifici e si conservano tutti e soli gli
elementi che compaiono In tutte le unità della serie. Il tipo si configura così come uno
schema dedotto attraverso un processo di riduzione di un insieme di varianti formali a
una forma-base comune. Se il tipo è il risultato di questo processo regressivo, la
forma-base che si trova non può intendersi come mero telaio strutturale, ma come
struttura interna della forma o come principio che implica in sé la possibilità di infinite
varianti formali e, perfino, della ulteriore modificazione strutturale del tipo stesso. Non
è infatti necessario dimostrare che, se la forma finale di un edificio è una variante del
tipo dedotto da una precedente serie formale, l’aggiunta della nuova variante alla
serie formale determinerà necessariamente un mutamento, più o meno marcato, nel
tipo.” (Argan 1965)
È opportuno sottolineare il concetto di “struttura interna della forma”, perché riguarda
la forma in termini strutturali, così come è già stata definita. La struttura interna è la
struttura profonda, l’essenza della forma nei suoi elementi costitutivi. Ed è questa la
definizione che ci interessa.
Qui sono rappresentate due esemplificazioni dell’uso della tipologia: schemi di case
private di Francesco di Giorgio Martini (9); schemi compositivi di conformazione degli
elementi del tipo architettonico in base alla forma del sito, di Pierluigi Grandinetti (10).
(11 TIPOLOGIA)

Lo strumento della geometria


Un ulteriore strumento della composizione è la geometria. Afferma Wittgenstein nel
1921: "Possiamo sì rappresentare spazialmente uno stato di cose che vada contro
le leggi della fisica, ma non uno che vada contro le leggi della geometria."
(Wittgenstein 1964)
Ogni progetto architettonico rivela, all'analisi, in forma più o meno esplicita l'esistenza
di una propria specifica geometria. Non esiste cioè costruzione della forma
architettonica cui non faccia riferimento la costruzione di una specifica “geometria
progettuale”.
Utilizzo il termine "geometria progettuale" per distinguerla da una qualsiasi geometria,
e in modo specifico dalla geometria della rappresentazione dell'oggetto architettonico.
La geometria del progetto non esiste al di fuori di esso, è connaturata al progetto
stesso, alla sua formazione, alla sua essenza architettonica. Si esprime attraverso la
configurazione dell'impianto di base e delle sue regole di partizione, attraverso la
messa a punto degli elementi costitutivi il progetto (elementi architettonici formalmente
definiti e geometricamente costruibili), attraverso la costruzione di sistemi di rapporti di
corrispondenza e di dipendenza tra questi elementi (e quindi attraverso l'applicazione
del modulo, dei tracciati, di figure geometriche di controllo, ecc.).

6
In quanto le regole di costruzione del progetto passano anche attraverso la
geometria progettuale, essa diventa uno strumento della composizione (fig. 6).
Qui sono rappresentate: la pianta e la sezione di una scala a doppia rampa, di Andrea
Palladio (12); una vista e la costruzione geometrica della facciata nord della villa di
Garches, di Le Corbusier (13).

Le scale di progettazione: il dettaglio architettonico


L’architettura In questa riflessione è assunta - oltre che nella sua dimensione
multidisciplinare - in una concezione interscalare: dalla scala del luogo nel paesaggio,
alla scala dell’opera di architettura nella sua unità, fino alla scala del dettaglio
architettonico nella sua materialità costruttiva.
Quest’ultima scala riguarda le relazioni, all'interno di singole opere, tra linguaggio e
tecniche, tra forme espressive ed esigenze materiali, misurabili assumendo il dettaglio
architettonico da una parte come momento di controllo delle scelte progettuali riferite
al manufatto nella sua unità architettonica, dall’altra come momento di sintesi tra
aspetti della composizione e aspetti della costruzione.
Qui si mostrano due esempi: nell’architettura antica, la ricostruzione del tempio di
Zeus a Olimpia (14); nell’architettura moderna, il particolare della scalinata in un’opera
di Mies van der Rohe, Casa Farnsworth a Piano nell’Illinois (15).
“Recuperare la compiutezza del progetto e ridare ad esso valore di sintesi rispetto alle
questioni che la realtà nei suoi molteplici aspetti oggi pone; individuare nella
costruzione (…) uno degli aspetti fondamentali della teoria, ponendola fin dalla fase
dell’ideazione come necessaria al progetto; legare insieme qualità formale e requisiti
tecnici dell’architettura; assumere in sostanza il progetto ‘reale’, esecutivamente
realizzabile, come nuova frontiera: è attraverso qui che passa, a mio parere, una vera
riforma dei processi formativi dell’architetto.” (Grandinetti 1997)

La necessità della riflessione teorica


A conclusione di questo capitolo, è opportuno sottolineare che riflettere intorno al
ruolo degli elementi della composizione rispetto al progetto di architettura come
percorso logico di costruzione della forma architettonica non significa rinunciare alla
soggettività dell'atto progettuale. Non esistono cioè teorie, metodi o soluzioni in grado
di scioglierne preliminarmente la complessità o di attenuarne la responsabilità.
Come scrive Gundula Rakowitz: “Essere responsabili non significa un generico
richiamo a un codice morale individuale ma a un codice etico, rispetto al quale
l’architettura si presenta come disciplina in senso forte” (Rakowitz, Torricelli 2018).
Solo a partire da questa consapevolezza, possiamo comunque affermare la
necessità della riflessione teorica, come momento fondativo del fare architettura,
anche per adeguarla alle nuove istanze tecnico-culturali (6): momento che non può
però esaurire il significato ultimo, il senso dell'architettura stessa.
Più che proporre teorie in astratto, possiamo riflettere sulle possibili vie progettuali,
che nascono da esperienze concrete, da progetti e opere di architettura. È attraverso i
progetti che si mettono a punto regole e procedure. Essi diventano cioè “banco di
prova”, momento di controllo e avanzamento delle questioni teoriche che sottendono.
Nella contemporaneità infatti è solo a partire da singole vie, da percorsi progettuali
individuali, che le questioni del sapere compositivo possono diventare patrimonio di
una riflessione collettiva, individuando gli elementi di razionalità, gli strumenti, le
analogie ma anche le differenze, utili per la costruzione di procedure compositive, di
percorsi logici del fare architettura, che assumano nella cultura del progetto le
riflessioni e le ricerche condotte in questi anni dentro la Scuola.

7
Note
(1) La “Scuola di Venezia” nasce con Giuseppe Samonà che, dal 1945 al 1971, è
direttore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Egli chiama a Venezia
alcuni “esclusi” dal potere accademico nazionale, tra cui Bruno Zevi, Ignazio Gardella,
Franco Albini, Carlo Scarpa e in seguito raccoglie intorno a se un gruppo di “giovani”, i
quali costituiscono alla fine degli anni Sessanta il “Gruppo Architettura”; tra di essi
Carlo Aymonino, Gianugo Polesello, Luciano Semerani, Aldo Rossi, Costantino Dardi,
Guido Canella, Romeo Ballardini, Gianni Fabbri, Raffaele Panella e successivamente
Angelo Villa, Mauro Lena, Roberto Sordina, Filippo Messina, Vanna Fraticelli, Nico
Bolla, Vico Tramontin. Il Gruppo ha caratterizzato l’attività didattica e di ricerca della
Scuola negli anni Settanta, poi si è sciolto. Per un’analisi delle ricerche del Gruppo
Architettura e del ruolo del milanese Guido Canella, si rimanda allo scritto di Luca
Monica su TECA 5 (Monica 2011).
(2) Come scrive Paul Klee nel 1921: “Noi siamo creatori di forme, esercitiamo
un’attività pratica e quindi ci muoveremo, di preferenza, in un ambito formale senza
tuttavia dimenticare che l’inizio formale, o più semplicemente il primo tratto di matita, è
preceduto da tutta una preistoria che non è solo l’aspirazione, il desiderio di
esprimersi dell’uomo; non è solo la necessità esteriore di farlo, ma anche una
condizione comune a tutti gli uomini che, or qui or là, un’interiore necessità spinge a
manifestarsi, secondo una direzione che vien detta visione del mondo
(Weltanschauung).” (Klee 1959)
(3) Per una ricostruzione critica del pensiero di Ernesto N. Rogers, si rimanda al
lavoro di ricerca svolto da Serena Maffioletti, con riferimento alle lezioni (Maffioletti
2009) e agli scritti (Maffioletti 2010).
(4) La composizione architettonica si è fatta carico, nella Scuola di Venezia, “a partire
dagli anni Sessanta, per motivi storicamente determinati, connessi a una crisi dei
saperi disciplinari, di istanze e sollecitazioni esterne ad essa, che nascevano
dall’esigenza di verificarne l’orizzonte storico di operatività, per giungere a una
ridefinizione del suo ambito disciplinare. Nascono da questa esigenza gli studi di
analisi urbana, le elaborazioni sugli strumenti del piano, le costruzioni teoriche tese a
ridefinire i rapporti tra città e architettura.” (Grandinetti 1985) È in questo contesto che
vengono messi a punto a livello conoscitivo il rapporto tra morfologia urbana e
tipologia edilizia, a livello progettuale la teoria della costruzione della città per parti.
Conclusa la stagione dell’analisi urbana, anche in seguito alla crisi sempre più
profonda che ha investito le città, con il formarsi di vaste conurbazioni a cui si sono
aggiunte le strade e i centri commerciali - quelli che Marc Augé chiama i "nonluoghi"
(Augé 2004) - si è assistito a una frammentazione delle ricerche che, privilegiando il
progetto di architettura, hanno teso sempre di più a identificarsi in esperienze
soggettive e in percorsi individuali.
(5) Vitruvio utilizza il metodo tipologico per l’organizzazione di un sistema di criteri e di
norme utili alla progettazione di manufatti architettonici “tipici” (il tempio, la basilica, il
teatro, la palestra). Palladio, recuperando le tipologie vitruviane, le confronta con le
soluzioni progettuali che egli propone. È ancora un trattatista, il Milizia che, alla fine
del Settecento, imposta per la prima volta una classificazione tipologica basata sulle
destinazioni d’uso degli edifici. Se nell’architettura antica e rinascimentale il tipo
assume infatti soprattutto valore formale, con l’Ottocento e poi con il Novecento
compaiono nuovi tipi, a carattere prevalentemente funzionale, fino alle ricerche
tipologiche di Klein, basate sulla definizione di schemi distributivi di piante di alloggi.
(6) Un esempio di frontiera: nel 2019 l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale
delle ricerche ha avviato un progetto di ricerca per individuare come le diverse
configurazioni dello spazio architettonico influenzino il riconoscimento di espressioni

8
emotive.

Riferimenti bibliografici
R. Albiero, Ideazione, invenzione, progetto, in: Archint. Architettura Intersezioni, n.
5/1997.
G. C. Argan, Sul concetto di tipologia architettonica, in: G. C. Argan, Progetto e
destino, Milano, 1965.
M. Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino, 2004.
C. Aymonino, Architettura come fenomeno urbano, in: Gruppo Architettura, Per una
ricerca di progettazione 1, Venezia, 1969.
C. Aymonino, La morfologia urbana come strumento per individuare l’insieme e le
parti, in: Gruppo Architettura, Per una ricerca di progettazione 6, Venezia, 1973.
M. Cacciari, Critica del progetto, in: Progetto. Laboratorio politico, n. 2/1981.
A. Dal Fabbro, Il dispositivo poetico: approccio a un metodo compositivo, in: Archint.
Architettura Intersezioni, n. 5/1997.
D. Donghi, La composizione architettonica, Padova, 1922.
G. Fabbri, Natura collettiva dell’architettura, in: Gruppo Architettura, Per una ricerca
di progettazione 1, Venezia, 1969.
W. Goethe, Opere, vol. V, Firenze, 1962.
P. Grandinetti, Presentazione, in: P. Grandinetti (a cura di), La geometria in funzione
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