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LETTERATURA ITALIANA
Il sonetto
• Numero e tipo dei versi: 14 endecasillabi
• Presenza di rime che di per sé individuano alcuni raggruppamenti di versi.
«Nella forma normale, cui corrisponde l’assoluta maggioranza dei testi, il sonetto è composto di 14
endecasillabi, ed è diviso in due parti, rispettivamente di 8 e 6 versi. La prima parte (che è stata chiamata
fronte, ottava, quartine) si divide tradizionalmente in due quartine, ma alle origini era sentita divisa in
quattro distici […]. La seconda (sirma, sestina, terzine) si divide in due terzine».
Beltrami, p. 119
Schemi principali
ABABABAB (rime alternate)
ABBA ABBA (rime incrociate)
CDC DCD, CDC CDC etc.
CDE CDE, CDE DCE etc. (con maggiore possibilità di variazione)
Il nome e l’origine
Dal provenzale sonet, diminutivo di so (‘suono, melodia’), nel senso di ‘poesia musicata’, ‘poesia per
musica’.
Termine inizialmente usato in senso generico, poi in accezione specifica e tecnica.
Forma che nasce «adulta» (Antonelli), probabilmente per opera di Giacomo da Lentini, tra i rimatori attivi
presso la corte di Federico II di Svevia (1194- 1250)
Sonetto e sintassi
Dal punto di vista sintattico, 20 su 39 sonetti del corpus siciliano si possono ricondurre allo schema 4+4+3+3.
Nessun sonetto presenta un legame sintattico tra fronte e sirma, mentre ci sono altre strategie di
connessione, basate sulla ripetizione, ad esempio lessicale (Menichetti 1975).
1
L’elemento ‘istituzionale’ più caratteristico, seguito nella maggior parte del corpus siciliano, è l’andamento
sintattico che tende ad assecondare la scansione per dittici, soprattutto nel Notaro.
spiegazione: la caratteristica principale di questa fronte è che procede per coppie diverse e presenta una
coordinazione tra subordinate. “chi ama deve amare il proprio amore e quello della donna che prende ad
amare.” è una sorta di sentenza, un’affermazione sicura. / “ed è folle chi non sopporta perché ci si deve
controllare” subordinata causale. / “e non deve dire ciò che sente” coordinata / “perché la parola non
torna indietro” altra causale. / “chi si controlla nel parlare è ritenuto da tutti il migliore” sorta di
riflessione sull’amore.
La coppia di quartine è didascalica, vengono spiegate delle caratteristiche ed è seguito da due terzine
soggettive, che spiegano l’amore dal punto di vista più personale. Dal punto di vista sintattico, la struttura ci
permette di avere accesso al pensiero dell’autore.
Spiegazione: struttura tripartita che inizia con un gerundio “mentre guardo”. Da questo “guardando”
dipende gran parte del testo, visto che l’oggetto del “guardando” sono tre figure: il basilisco, l’aspide e il
dragone. Le tre creature, tra il fantastico e il reale, creano nell’uomo gli stessi effetti terribili dell’amore che
l’uomo prova per la donna. Il verbo “cattura”, accostato al dragone, è un termine tipico per l’innoramento.
spiegazione: il primo verso è inusuale, dato che l’uccellino è un oggetto rispetto al verbo, e non il soggetto
come si potrebbe pensare. La subordinata fa sì che la struttura sia unita.
Giacomo da Lentini 1.19c (Tenzone con Iacopo Mostacci e Pier della Vigna)
spiegazione: terzo sonetto della canzone che a livello di contenuto e linguaggio risente dei primi due. Il
sonetto si interroga sull’origine dell’amore.
a) Sonetto monovalente Rapporto di proposta-risposta, singolo o ripetuto; nel secondo caso si parla
di tenzone
b) Sonetto a valenze plurime Rivolto a più rimatori, dai quali sollecita una risposta.
c) Sonetto bivalente Un sonetto y pensato come intermedio tra x e z, entro una serie più o meno
coerente di altri individui affini.
• Sonetto di accompagnamento (ad es. per presentare un altro testo, più impegnativo)
• Sonetto in contesto prosimetrico
• Sonetto in contesto epistolare
• Sonetto con ampia didascalia in prosa
• In volgare, per un pubblico che non conosceva il latino ed era interessato alla cultura «non per
dovere di mestiere o di culto».
• Un pubblico selezionato sulla base «del sentire e del pensare» (del core), non del censo o
dell’erudizione; nobiltà di costumi, non di sangue.
In questa chiave questi poeti più giovani guardano al Guido Guinizelli di Al cor gentil rempaira
sempre amore > Dante, Amore e ’l cor gentil sono una cosa
• «Sottiglianza» stilistica e concettuale (cfr. la tenzone Bonagiunta-Guinizelli)
Dal punto di vista metrico, si riscontra una predilezione per la fronte a rime incrociate: ABBA ABBA.
Dal punto di vista discorsivo e sintattico, lo schema dominante è 4+4+3+3.
Entro questo schema, il rapporto di (e il collegamento per) subordinazione diventa più frequente e può
essere collocato tra le quartine, tra le terzine oppure tra seconda quartina e prima terzina. >>
>> la distribuzione ordinata delle frasi nelle partizioni metriche si combina, quindi, con l’introduzione di
implicazioni reciproche tra le partizioni stesse.
Questa configurazione più ‘integrata’ delle parti si presta a ospitare l’articolazione di ragionamenti e
argomentazioni, in genere secondo una linea di sviluppo logico che procede dalla principale alla
subordinata.
Intonazione piana, ragionativa
Dominio delle subordinate causali e consecutive (entrambe esprimono una relazione causa-effetto)
Tanto le consecutive quanto le causali aiutano a illustrare secondo una logica precisa processi e fenomeni
legati all’amore.
Le consecutive esprimono gli effetti di date premesse, mentre le causali (in genere posposte) descrivono la
causa di un dato fatto o fenomeno.
Nelle consecutive l’effetto (subordinata) deve necessariamente seguire la causa (principale), mentre con
l’ordine consentito dalle causali l’effetto (principale) può precedere la causa (subordinata).
‘Oggettivazione’ di amore e della sua fenomenologia: osservazione e analisi dell’esperienza amorosa come
un processo oggettivo, fisiologico, di ordine generale; ma, rispetto ai Siciliani, con una maggiore incidenza
della dimensione soggettiva, specie in Cavalcanti e in Dante.
Qualche precisazione
Guido Guinizelli (n. 1230 ca. - m. ante 1276) – precursore dello stilnovismo
Io voglio del ver la mia donna laudare ABAB ABAB CDE CDE
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella dïana splende e pare,
e ciò ch'è lassù bello a lei somiglio.
Verde river’a lei rasembro e l’âre,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio. [rima siciliana]
Passa per via adorna, e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ’l de nostra fé se non la crede;
e no·lle pò apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om pò mal pensar fin che la vede.
Spiegazione: schema a rime alternate nelle quartine, tipico dei sonetti di Guinizelli. “Meglio” è legato alla
rima siciliana. Quando questi testi siciliani vengono tradotti in toscano, la rima diventa imperfetta. Quando
la stranezza non viene percepita come errore ma rima legittima, allora si parla di rima siciliana. Il discorso
vale per le rime tra “i” e “e” chiusa e “u” e “o” chiusa.
“Voglio lodare la mia donna secondo la verità e associarle la rosa e il giglio” / “si palesa luminosa più della
stella diana (stella del mattino, del pianeta Venere)” / “e paragono a lei le bellezze celesti”.
“Paragono a lei le campagne verdi e l’aria, l’oro e l’azzurro e le ricche gioie da donare” / “persino l’amore
diventa migliore grazie a lei”
Nelle terzine il soggetto è la donna: “Rende umili coloro che lei salutano/provoca salute” / “lo converte alla
nostra fede se lui non crede” / “non le si può avvicinare qualcuno che non abbia nobiltà interiore” / “e vi dirò
che ha ancora un’altra virtù: nessuno può pensare male dal momento in cui la vede”
Le parole in grassetto sottolineano ciò che il poeta sta facendo, la sua volontà nel voler raccontare e
testimoniare le qualità della donna. Queste parole sono quasi tutte all’inizio, nella seconda parte viene
accantonato l’aspetto comparativo e viene lasciato più spazio alla donna.
Dal punto di vista sintattico non ci sono grandi particolarità, la sintassi è abbastanza lineare.
Spiegazione: questo sonetto è rivolto direttamente alla donna, vi è un’apostrofe diretta verso essa. Al
secondo verso c’è una sfasatura tra la fine del verso e il compimento sintattico: il soggetto è separato dal
verbo nella metrica e si trova in un altro verso; si tratta di enjambement o inarcatura.
“L’amore mi attacca e non si cura se fa qualcosa di sbagliato o di buono” / “perché mi scagliò una freccia in
mezzo al cuore che lo trapassa e lo divide in due parti” / “non posso parlare perché io brucio nelle sofferenze
amorose come colui che sta per morire” (pseudo-paragone)
Nella seconda parte ci si sofferma maggiormente sull’esperienza visiva. “Passa attraverso gli occhi come fa il
fulmine che entra dalla finestra e rompe ciò che c’è all’interno.” / “rimango come una statua di ottone dove
non ricorre né vita né respiro ma rende la figura di un uomo”.
Guido Cavalcanti (1259 ca. -1300) – ci restano una cinquantina di testi di Cavalcanti
Voi che per li occhi mi passaste ’l core ABBA ABBA CDE CDE
e destaste la mente che dormìa,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore. 4
E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che ’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore. 8
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco. 11
Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.
Spiegazione: schema a rime incrociate, che è più comune per gli stilnovisti. “voi che mi trafiggeste con gli
occhi con il cuore” / “e risvegliaste la mia mente che dormiva” / “guardate la mia vita piena di angoscia” /
“perché amore la distrugge tra i sospiri”.
“Egli (Amore) avanza tagliando con tanta violenza che gli spiriti vitali scappano (l’amore blocca le funzioni
vitali) / “rimane solo la parvenza a dominare”
“questa virtù d’amore che mi ha distrutto partì dai vostri occhi” / “una freccia mi scagliò nel fianco” / “il
colpo arrivò così dritto al primo tiro d’arco “ / “che (consecutiva) l’anima ebbe un sussulto vedendo ucciso il
cuore nel lato sinistro.”
Rispetto al testo di Guinizelli c’è un invito esplicito della donna a considerare la condizione del poeta.
Spiegazione: “tu mi hai riempito così tanto la mente di dolore” / “al punto che l’anima ha fretta di
andarsene” / “e i sospiri che emana il cuore sofferente” / “mostrano agli occhi (degli altri) che non può
sopportare”
“Amore (protagonista personificato) che avverte il tuo grande potere dice: ‘mi dispiace che tu debba morire
per questa donna feroce che pare non ha pietà nei tuoi confronti’ / “Io (altro soggetto) mi comporto come
colui che è senza vita” / “che (relativa) sembra a chi lo guarda che sia un uomo fatto di rame, o di pietra, o
di legno.” / “che (relativa) si muova solo per maestria” / “e porti nel cuore una ferita che (relativa) sia segno
evidente di come sia stato ucciso.”
Spiegazione: sonetto di lode, non rivolto alla donna. È costruito per addizione di elementi che sono
analoghi. È un testo laico che risente di riferimenti religiosi, come l’accumulo di elogio assoluto.
«Questa gentilissima donna, di cui ragionato è nelle precedenti parole, venne in tanta gratia delle genti, che
quando passava per via, le persone correvano per vedere lei, onde mirabile letitia me ne giugnea nel cuore.
E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestà giugnea nel cuore di quello, che non ardia di levare gli
occhi, né di rispondere al suo saluto. E di questo molti, sì come esperti, mi potrebbono testimoniare a chi
no.llo credesse.
Ella coronata e vestita d’umiltà s’andava, nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e udia. Diceano molti,
poi che passata era: «Questa non è femina, anzi è de’ bellissimi angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è
una maraviglia; che benedecto sia lo Signore, che sì mirabilemente sa operare!».
Io dico che ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in
loro una dolcezza onesta e soave tanto, che ridire no.llo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei,
che nel principio nol convenisse sospirare.
Queste e più mirabili cose da.llei procedeano virtuosamente. Onde io pensando a.cciò, volendo ripigliare lo
stilo della sua loda, propuosi di dicere parole nelle quali io dessi ad intendere delle sue mirabili ed excellenti
operationi, acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma gli altri sappiano di lei quello
che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo sonetto Tanto gentile».
01/03/2022
È realistico pensare che Petrarca scrivesse già prima del Canzoniere ma abbiamo rime attestate solo dagli
anni ’20.
La revisione delle rime in volgare comincia negli anni trenta del Trecento e una prima raccolta viene
trascritta nel 1342, ma il vero progetto dei Rerum vulgarium fragmenta prende avvio solo dopo il 1348.
10
Petrarca continuò a lavorare nel mondo della poesia fino agli ultimi mesi della sua vita ed il Vaticano Latino
è una delle testimonianze più importanti dell’autore. Il testo è in parte idiografo e autografo. Il Codice degli
Abbozzi, invece, è interamente autografo ed è una sorta di brutta copia.
Nel Maggio del 1348, una lettera dell’amico Van Kempfen giunse a Petrarca. In questa lettera gli viene
comunicata la morte di Laura, avvenuta il 6 Aprile dello scorso anno. Nel Luglio dello scorso anno gli giunge
la notizia della morte del cardinale Giovanni Colonna, amico fidato del poeta.
Petrarca, in seguito a questi lutti, scrive “A Socrate”, nel 1350. In questo componimento, Petrarca comunica
la consapevolezza del tempo che trascorre e si domanda a cosa valga la pena dedicarsi. Da qui nasce l’idea
di raccogliere i frammenti sparsi che corrispondono ai frammenti sparsi della sua anima. Per ordinare e
mettere in ordine, Petrarca prende come punto di riferimento “Le Confessioni di Sant’Agostino”.
«Le rime sparse per Laura sono […] nugae [‘sciocchezze, cose da poco’] […]: la loro riunione in un libro
organico avrà appunto lo scopo e l’effetto di arricchirle, attraverso la narrazione, di un sovrasenso morale.
[…]
Raccolte insieme nel libro, le rime sparse […] si votano ad un altro scopo: non delectare [‘dilettare’] ma
prodesse [‘giovare’] attraverso il racconto di una vita esemplare».
(C. Giunta, Versi a un destinatario, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 462-463)
11
Petrarca inscena un dialogo con lo stesso Agostino. Quali sono gli strumenti per un racconto lirico senza
usare la prosa?
• Divisione in due parti (1-263; 264-366) per secoli si pensava ad una divisione tra la vita e la morte
di Laura ma non è esattamente così (Laura muore a pagina 267). L’ipotesi più probabile è il voler far
precedere il pentimento della morte di Laura.
• Componimenti di anniversario
• Sonetto con funzione proemiale
• «Connessioni intertestuali» tra testi contigui (connessioni «di trasformazione» e «di equivalenza»,
secondo M. Santagata, Dal sonetto al canzoniere. Ricerche sulla preistoria e la costituzione di un
genere, 1979)
Macrotesto
Definizione: «[…] testi con totale o parziale autonomia vengono raggruppati in un testo più ampio, un
macrotesto».
Es.
«composizioni liriche poi inserite dall’autore in opere prosastiche o combinate secondo un disegno
complessivo in un canzoniere»
«novelle pubblicate sparsamente, poi raccolte da un autore secondo un disegno preciso, e magari
inquadrate in una cornice».
«Lettere private, poi raccolte in epistolario dall’autore, secondo epoche, destinatari, argomenti, ecc.»
Cesare Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario (1985), p. 40
Come lo intendiamo noi: «[…] unità semiotica superiore al testo […]. Tale concetto è applicabile, in
determinate condizioni soltanto, a una raccolta di testi poetici o prosastici di un medesimo autore; in altre
parole una raccolta di rime o di racconti può essere un semplice insieme di testi riuniti per motivazioni
diverse, o configurarsi essa stessa come un grande testo unitario, macrotesto per l’appunto».
«1) se esiste una combinatoria di elementi tematici e/o formali che si attua nella organizzazione di tutti i
testi e produce l’unità della raccolta;
2) se vi è addirittura una progressione di discorso per cui ogni testo non può stare che al posto in cui si
trova».
Maria Corti, Testi o macrotesto? I racconti di Marcovaldo, in «Strumenti critici», IX, 27 (1975), pp. 182-197
(pp. 185-186).
Quanti?
317 sonetti distribuiti in modo vario
(contro 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate, 4 madrigali)
Talvolta formano dittici (es. 45-46, 77-78) o trittici (es. 41-43, 199-201) o serie
15 schemi in tutto, che diventano 11 se escludiamo gli unici 4 sonetti (su 317) che adottano uno schema
anomalo nella fronte.
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Fronte
ABBA ABBA (303) la fronte a rime alternate domina
ABAB ABAB (10)
Sirma
CDE CDE (121)
CDC DCD (114)
CDE DCE (66)
CDC CDC (10)
CDD DCC (4)
CDE DEC (1)
CDE EDC (1)
N. Tonelli, Varietà sintattica e costanti retoriche nei sonetti dei «Rerum vulgarium fragmenta», Firenze,
Olschki, 1999
La metrica dei Fragmenta, a cura di M. Praloran, Padova, Antenore, 2003
A. Soldani, La sintassi del sonetto. Petrarca e il Trecento minore, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2009
Soldani cerca di descrivere il rapporto tra sintassi e delle partizioni nei sonetti di Petrarca.
Tipo 1: 4+4+3+3
Tipo 2: 8+6
Tipo 3: 8+3+3
Tipo 4: 4+4+6
Tipo 5: monoperiodale
Tipo 6: 11+3
Tipo 7: 4+10
Tipo 8: 4+7+3
Tipo 9: altre misure interne
Tipo 1: 4+4+3+3
Tipo 3: 8+3+3
Tipo 4: 4+4+6
Tipo 8: 4+7+3
13
Tipo 2: 8+6
Tipo 6: 11+3
Tipo 9: altre misure interne
Tipo 7: 4+10
Tipo 5: monoperiodale
La distribuzione quantitativa è in linea con quella degli stilnovisti, cioè, dal tipo più frequente al meno
frequente: 1, 3, 4, 8, 2, 6, 9, 7, 5. Queste misure sono le stesse degli stilnovisti, non presentano nulla di
particolare da questo punto di vista.
Più del 50% dei sonetti, ma l’omogeneità dello schema è moderata e controbilanciata da:
• le molte possibilità di variazione all’interno di ciascuna parte;
• i meccanismi retorici ai quali Petrarca spesso ricorre in questi casi per collegare partizioni che
restano sintatticamente separate (usa soprattutto varie forme di ripresa lessicale e di parallelismo).
Il doppio legamento, tra le due quartine e tra le due terzine, genera una bipartizione del sonetto (es. 48).
Gli stilnovisti interpretavano questa bipartizione come «sviluppo, e al limite […] duplicazione, del tema del
componimento» (es. Dante, Venite a intender li sospiri miei e molti sonetti di Cino da Pistoia, con avverbi
che esprimono relazioni di causa-effetto collocati in apertura della sirma), mentre in Petrarca prende
piuttosto la via dell’antitesi, in due casi mediata da ma (es. 8).
«a differenza di quanto accadeva in Dante, il movimento qui non è progressivo ma sostanzialmente
antinomico, il primo motivo esposto nelle quartine lascia il posto a un secondo motivo naturalmente
correlato ma di colore opposto, antitetico» (Praloran).
La combinazione di fronte continua e sirma divisa riproduce, sul piano sintattico, la divisione propria dello
schema siciliano.
In Petrarca, tale organizzazione può corrispondere, ad esempio, a:
• un’opposizione (cfr. tipo 2; es. 1, 78)
• una scansione logica (es. 64, 108)
• i tre movimenti di un’argomentazione (es. 116, 141)
14
15
Spiegazione: “Lassai” è il verbo principale ma arriva solo al quinto verso. Di conseguenza tutto il resto del
sonetto è collegato al verbo, creando forte attesa nel lettore. La seconda terzina è una sorta di sintesi della
prima terzina e della seconda quartina.
Con fronte divisa e sirma continua, risulta complementare al tipo 3, al quale è vicino nella frequenza e
nell’uso.
Es. 2, 21, 44
Spiegazione: per vendicarsi e punire in un solo giorno mille offese, di nascosto Amore riprese l’arco come
uno che si mette in attesa per sferrare il colpo. Quindi la prima quartina si concentra sull’attacco di Amore.
La seconda quartina si concentra sulla reazione dell’io. La freccia colpisce dove prima nessuna freccia lo
aveva fatto. “Però” è usato come “Perciò”, è una causale. “Oggi” è indicativo di un punto di vista con cui il
passato viene visto attraverso altri occhi.
4 sonetti di un unico periodo, costruiti per aggiunzione di elementi equivalenti o simili e con effetto di
«detonazione» finale (Renzi 1988)
100, 213, 224, 351
16
Spiegazione: le qualità che “trasformano” il poeta sono tutte elencate prima della frase in grassetto. Vi è
una sorta di lista tra qualità interiori ed esteriori.
Spiegazione Siamo in un luogo molto vicino alla fine, ossia dove il pentimento del sentimento dell'uomo
vecchio/nuovo è quasi compiuto
1. Che mi tenne nel foco d’amore per 21 anni
2. felice nel fuoco d’amore e speranzoso nel dolore
3. poi che Laura e il mio cuore assieme
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Spiegazione Logica delle prime due parti contraddetta dalla parte finale. I primi 7 versi dicono una cosa,
ma l’ultima terzina contraddice ciò che è detto nelle due quartine
1. Percorro a passi lenti/gravati, immerso nei pensieri
2. i luoghi deserti
3. volgo gli occhi attenti a fuggiti in luoghi
4. dove traccia umana lasci traccia nella terra → cerco di essere in assoluta solitudine
5. Altro riparo (diverso dall’isolarsi) non trovo che mi salvi
6. dalla chiara percezione della gente
7. perchè nei suoi atti privi di allegria
8. si vede all'esterno come io dentro bruci
9. che credo ormai che monti, piagge e fiumi
10. sappiamo di che tenore sia la mia via (perfino gli elementi naturali lo sanno)
11. che è nascosta agli altri
12. Ma eppure non so trovare vie così isolate
13. che Amore comunque non venga
14. a parlare con me ed io con lui
6 sonetti che si basano su una espansione per aggiunzione di subordinate (9-10) o di vocativi (162, 303),
chiusa da una conclusione autonoma, a volte di tono sentenzioso.
L’effetto che si crea non è lontano dal tipo 5 (monoperiodale).
9+3+2 (9-10)
12+2 (162)
19
12m+m1 (74 e 303) [m= presenza di un emistichio sintatticamente connesso al periodo che lo segue o che
lo precede]
13+1 (285, caso a sé per la complessità della sintassi)
Spiegazione Vocativi → varie entità a cui il poeta fa riferimento. Non c’è intenzione di chiedere il loro
ascolto
1. Amore che stavi con me quando Laura era viva
5. spazio petrarchesco tipico. Sono stati luoghi, porto delle sue sofferenze amorose
Dopo i luoghi, Petrarca si rivolge agli abitatori di quei luoghi (fiori + pesci)
12. antitesi: contrapposizione tra vita / morte
Come è scura la morte che ne causa oscurità
11. Così nel mondo della vita terrena
12. Ciascuno ha la propria sorte nel giorno in cui nasce
Da un piano individuale (Petrarca) → lutto universale: piano che la vita ha in serbo per ognuno di noi
(=morte)
Spiegazione Tutti i punti dipendono dallo stesso verbo principale = io son già stanco di pensar
1. io sono ormai stanco di pensare (:)
2. che (si come) i miei pensieri non son stanchi di pensare a voi
3. che ancora non abbandono la vita
4. per evitare il peso insostenibile dei sospiri →quartine: fatica di pensare
5. che a dire del viso e dei capelli
6. e (che) io sempre ragiono dei begli occhi
20
• Prevalenza numerica di soluzioni ‘medie’, dove le unità periodiche tendono a corrispondere alle unità
metriche
• Tendenza a protrarre la linea discorsiva oltre i confini metrici e a perturbare l’ordine diretto del
periodo (ad es. con interposizioni o con l’anticipazione della subordinata), con un effetto che si
somma a quello dell’ordine alterato della singola frase
• Ampio ricorso all’enumerazione e alla paratassi, con ripetizioni e parallelismi
Le principali innovazioni
«[…] crescita evidentissima delle condizionali, che da un lato favoriscono l’anticipazione della dipendente
[…], dall’altro […] sottopongono a condizione, e problematizzano, il rapporto di causa-effetto […].
Tradotto in termini di fisiologia erotica petrarchesca, ciò significa anzitutto che […] il periodo ipotetico
configuri l’azione amorosa di Laura, e tipicamente il suo sguardo, come un’eventualità non controllabile
(quanto diversa – che so - dall’aspetto abituale dei presenti che descrivono gli atti di Beatrice nei sonetti
della loda […]), aprendo uno spazio di incertezza nel meccanismo ‘oggettivo’ dell’amore stilnovista.
Sicché anche gli effetti subìti dal poeta, e trascritti nell’apodosi, invece di oggettivarsi negli schemi e nei miti
esplicativi approntati dalla scienza d’amore (spiritelli ecc.), corrispondono piuttosto a un’immagine
‘scompaginata’ dell’interiorità […]; il tutto rafforzato […] dalla presenza del lessico del dubbio e
dell’occasionalità (s’aven che…, se talor… forse mi ven…)».
(Soldani 2009, pp. 42-43)
21
«L’impressione è, altrove, confermata sintatticamente dalla scelta dei tempi verbali, per la quale Petrarca, nei
costrutti all’indicativo, sembra orientarsi per il futuro nell’apodosi, e con ciò trasferire gli effetti dell’amore
dal presente, appunto, al futuro, dalla logica delle conseguenze necessarie all’ipotesi sì possibile ma
non ancora esperita».
Es. Rvf 12
(Soldani 2009, p. 44)
Rvf 12 – 8+3+3
Spiegazione: lunga parte iniziale tutta continua che precede l’arrivo della principale (v.9). la seconda terzina
apre ancora un’altra ipotesi. Da “veggia” dipendono tutti gli elementi successivi.
“Se riuscirò a sopportare le sofferenze dell’amore abbastanza a lungo da vedervi vecchia, il lume dei vostri
bei occhi spento e i capelli d’oro farsi argento e che io veda le ghirlande e i verdi panni essere lasciati e
scolorire il viso, che i miei mali mi rende esitante a non lamentarmi, allora mi darà tanto coraggio che io vi
dirò quali sono stati gli anni, i giorni e le ore dei miei dolori. Se la vecchiaia non arriverà, …
Le due terzine accostano 2 cose inconciliabili: desiderio amoroso + vecchiaia
Le rime martiri/ desiri/ sospiri riprende Dante (episodio di Paolo e Francesca). Questi sono i versi in cui
Dante si rivolge a Francesca, chiedendole di spiegare la sua storia. Qui, invece, c’è un ricordo in un futuro.
Rvf 12
Spiegazione: non è un testo rivolto direttamente a Laura. Le T e le P sono una sorta di espediente che
Petrarca usa per legare tra di loro i 3 testi. Un’altra ipotesi può essere il collegamento all’opera “Il trionfo di
castità).
“Stava passando la sua giovinezza ed era arrivato a quel punto della vita dove si comincia a discendere. Di
conseguenza, lei cominciava a rassicurarsi delle sue intenzioni e per questo la sua volontà diventava meno
crudele. La morte ha invidia dello stato felice tra il poeta e la sua amata ed impedisce che i due possano
essere felici.”
Rvf 316 – 4+4+3+3
Spiegazione: Petrarca fa subito i conti con la morte. La morte di Laura viene paragonata alla nebbia che si
dilegua con il vento, essa viene dimenticata in un battito di ciglia. Petrarca immagina ipotesi irrealizzabili a
causa della morte di Laura ma egli ci pensa comunque.
Rvf 317
Spiegazione: la separazione tra le terzine è più attenuata, sono coordinate. Ognuna delle due disegna un
aspetto che è reciproco con l’altro.
Amore era quasi arrivato alla fine dei tormenti (tempeste) e approda al porto (pace). Seconda quartina: agli
occhi di Laura trasparivano il cuore e la profonda fedeltà (comincia a fidarsi). Apostrofe sulla morte:
interruzione del flusso del pensiero.
«movimentazione ‘ipotattica’ della linea del discorso, soprattutto mediante la risalita della subordinata, e
nel contempo […] largo dispiego della coordinazione» (Soldani 2009, p. 102)
«Petrarca sa coniugare la dispersione connessa all’enumerazione coordinativa con l’istanza di unitarietà, di
coesione discorsiva cui risponde la subordinazione (specie in prolessi): in un sottile equilibrio nel quale non
sarà eccessivo scorgere una fedele trascrizione di analoghe spinte e controspinte, tra disordine centrifugo e
conversio centripeta, che innervano lo schema psicologico e morale su cui si fonda il Canzoniere. Tanto che
in qualche caso i due livelli, stilistico e – per così dire – interiore, sembrano sorreggersi a vicenda e quasi
fare tutt’uno: come a 298, 1-11: […]».
(Soldani 2009, p. 54).
Nelle poesie di Petrarca c’è una tendenza ad usare le coordinate che si contrappone ad un uso frequente
delle subordinate.
Quand'io mi volgo indietro a mirar gli anni ABBA ABBA CDE CDE
ch’hanno fuggendo i miei penseri sparsi,
e spento 'l foco ove agghiacciando io arsi,
e finito il riposo pien d'affanni,
rotta la fe' degli amorosi inganni,
e sol due parti d'ogni mio ben farsi,
l'una nel cielo e l'altra in terra starsi,
e perduto il guadagno de' miei danni,
i'mi riscuoto, e trovomi sí nudo,
ch'i' porto invidia ad ogni estrema sorte:
tal cordoglio et paura ho di me stesso.
O mia stella, o Fortuna, o Fato, o Morte,
o per me sempre dolce giorno e crudo,
come m'avete in basso stato messo!
Spiegazione: le quartine non si separano ma procedono insieme, la principale però arriva solo nella prima
terzina. Dunque vi è una lunga temporale che precede la principale.
Petrarca si volge a guardare gli anni che stanno fuggendo e hanno disseminato i suoi pensieri. Dopo aver
elencato una serie di avvenimenti nella temporale, Petrarca torna improvvisamente in sé e vi è un improvviso
svuotamento dello spazio del testo che è riflesso dello svuotamento della mente.
«l’arcata aperta dalla temporale si espande per aggiunzione polisindetica dal primo verso alla prima terzina,
quando compare la principale che ne raccoglie le disiecta membra; in perfetto parallelismo con il movimento
mentale che, seguendo la medesima scansione testuale, porta il poeta prima a diffondersi sulla dispersione
di sé provocata dall’amore (e dal tempo), poi a “riscuotersi” nella presa di coscienza» (Soldani 2009, p. 54).
24
Spiegazione: questo testo fa il contrario del precedente: nelle due quartine abbiamo una sorta di catena di
subordinate. La principale è presentata subito ma non conclude subito il procedimento sintattico, questo si
protrae fino alla fine delle terzine.
“I miei sospiri hanno saturato l’aria intorno a me, lo stesso hanno fatto le lacrime nel mio cuore”, … nelle
terzine vi è l’anafora di “non”.
Spiegazione: lo schema è costruito su una relazione tra sostantivo e relativa. Nelle terzine contrasto tra la
polvere e ciò che accade. Questo testo, per un certo periodo, venne scelto come testo conclusivo del
Canzoniere.
Altre sperimentazioni
Spiegazione: anastrofe, l’oggetto precede il verbo che a sua volta precede il soggetto.
Altre sperimentazioni
Inarcatura tra comparti metrici
Es. 64, 1-8
[Se voi poteste per turbati segni,
per chinar gli occhi, o per piegar la testa,
o per esser piú d'altra al fuggir presta,
torcendo 'l viso a' preghi onesti e degni,
uscir già mai, over per altri ingegni,
del petto ove dal primo lauro innesta
Amor piú rami,] i' direi ben che questa
fosse giusta cagione a' vostri sdegni:
Altre sperimentazioni
Inarcatura tra comparti metrici
Es. 337, 1-8
Quel, che d'odore e di color vincea
l'odorifero e lucido orïente,
frutti fiori erbe e frondi (onde 'l ponente
d'ogni rara eccellenzia il pregio avea),
dolce mio lauro, ove abitar solea
ogni bellezza, ogni vertute ardente,
vedeva a la sua ombra onestamente
il mio signor sedersi e la mia dea.
In Petrarca, il racconto lirico riesce a fare a meno della prosa. Petrarca, con la sua sintassi, riesce a
presentare la vita interiore del soggetto.
«Le poesie del Canzoniere […] parlano, cioè narrano da sé sole [cioè senza la prosa, che le collegava nella
Vita nova di Dante] attraverso la loro mera successione, e la ragione di questa autonomia sta nel fatto […]
che esse rispecchiano nella sua dinamica, e nella dialettica di riflessione e memoria, la vita interiore del
soggetto».
(C. Giunta, Versi a un destinatario, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 453)
«Petrarca opera […] un vero e proprio rovesciamento della tradizione. Il soggetto che desidera viene con lui
ad occupare quello spazio che era riservato alle rappresentazioni della donna, ai rituali del corteggiamento,
all’analisi oggettivante di amore. Il palcoscenico sul quale si sceneggiava il rapporto triadico Amore, amata e
amante si trasforma nello spazio dell’‘io’. Questo, che a prima vista può sembrare un impoverimento, nei
secoli si rivelerà un territorio sconfinato. È anche grazie a questa scelta che Petrarca diventerà il caposcuola
della poesia moderna. Egli ha sottratto il discorso amoroso ai condizionamenti storici, alle trasformazioni dei
contesti sociali e culturali e ne ha fatto una zona franca, capace di rigenerarsi con il trascorrere del tempo.
La scelta, benché indipendente, è omogenea a quella linguistica. L’una e l’altra definiscono la moderna
poesia erotica come spazio dell’‘io’ e delle sue contraddizioni».
M. Santagata, Introduzione a Petrarca, Canzoniere, Milano, Mondadori, 1996, p. LIV.
• Temi e motivi
• Struttura
Nel Tre e Quattrocento per le quartine dominano decisamente le rime incrociate (ABBA ABBA), per cui le
differenze vanno osservate nelle terzine.
Gli schemi petrarcheschi sono i più diffusi (CDE CDE, CDC CDC, CDE DCE), con il primo (CDE CDE)
largamente dominante e seguito dal terzo (CDE DCE), forse per influenza di Giusto de’ Conti (La bella
mano) e per l’associazione del secondo (CDC CDC) con la poesia comico-realistica.
Quello che per Petrarca era il secondo preferito, diventa il terzo (e viceversa).
27
Princeps (prima stampa) 1472 con il titolo La bella mano, ma composto per la maggior parte entro il 1440 e
senza titolazione originale.
Circa 150 testi (ci sono oscillazioni nella tradizione manoscritta); 144 certamente d’autore; 131 sonetti (su un
totale di 144 componimenti)
‘Trama’: amore per una Isabetta, durato sette anni e terminato a causa del matrimonio di lei con un altro;
senza conclusione di pentimento.
«la sua esperienza amorosa, iniziata in primavera (11), ha luogo a Bologna (15; 123), e una durata di 7 anni;
nel corso del quinto anno (90) il poeta è costretto da eventi esterni a trasferirsi in luoghi lontani dall’amata
(94; 107); alla fine del settimo anno, dunque nuovamente in primavera (136), egli può occasionalmente
tornare a Bologna (139), dove conferma alla donna la propria fedeltà amorosa (140), ma al contempo si
congeda da lei per sempre, sfinito dalla lontananza incessante (141); infine, in vesti di pastore, impreca
contro l’amata andata in sposa a un rivale (144)».
(I. Pantani, in ACAV, p. 233)
Non abbiamo prove sicure che il titolo fosse originale e voluto da Giusto, tuttavia è ormai un titolo legato alla
tradizione. Il testo autorizza un titolo del genere, dato che la donna viene lodata in 32 testi.
Amor, quando per farme ben felice ABBA ABBA CDE CDE; 8+3+3
l’alta amorosa spina nel cor mio
piantò con la gran forza del disio
che ’nfin ne le mie piante ha la radice,
mi fé pria singular più che fenice,
mentre a mia voglia a morte l’alma invio,
e poi mi tinse nel tenace oblio
sì ch’a me ricordar di me non lice.
Da inde in qua mia voce mai non tacque,
ma sempre, ovunque io fusse, lagrimando
d’Amor e di madonna si ragiona;
così de lei parlare ognor mi piacque,
el suo bel nome ne’ mei detti alzando
che ’n tante parte per mia lingua sona.
28
Spiegazione: l’organizzazione sintattica prevede quartine unite e terzine separate: inarcatura tra partizioni.
“Amore” è la prima parola del Canzoniere e del sonetto. La spina piantata nel cuore del poeta è la metafora
dell’amore che lo pervade. L’Amore, personificato, rende il poeta più unico della Fenice, che manda
volontariamente la sua anima a morire. Dal momento dell’innamoramento, il poeta ha continuato a scrivere
dell’innamorata. Riferimento a Petrarca “Di Madonna si ragiona” – “piango si ragiona”.
Va, testimon de la mia debil vita, ABBA ABBA CDE CDE; 4+4+3+3
nanzi a l’altero e venerabil fronte,
a piè del bel fiorito e sagro monte:
mira se l’alma nostra indi è partita.
Ivi è la vista ch’al ben far me invita
e d’ogni mia salute il vero fonte;
ivi son, lasso, quelle man sì pronte,
ond’io soffersi l’immortal ferita.
A lei te inchina, e di’ ch’io più non posso:
il corpo è stanco, e stanchi i mei pensieri,
vivendo sempre dal mio ben lontano;
ma pur l’usanza, colla morte adosso,
vuol che in tanta aspra guerra pace io speri
dalla benigna sua pietosa mano.
Spiegazione: il poeta si rivolge all’opera finita. Al verso 9 possiamo assistere al limite della sopportazione del
poeta.
Amorum libri tres (titolo ispirato a Ovidio, Amores); princeps 1499, ma composti verosimilmente tra il 1474 e
il 1476.
180 componimenti, 60 per libro; ciascuno dei tre libri è costruito su 50 sonetti più dieci testi di diverso metro;
dunque i sonetti sono 150 in totale.
«La vicenda d’amore è scandita in modo tale che il primo dei libri amorum coincide grosso modo con la
zoglia amorosa, il secondo con la depressione dell’abbandono, il terzo con un percorso altalenante fra
disforia ed euforia. […] i 60 componimenti del libro primo abbracciano circa 10 mesi (5 giorni per ogni lirica),
il secondo appena 3 mesi (3 giorni a poesia), il terzo i rimanenti 13-14 mesi (7 giorni pro capite): dove è
notabile l’effetto di allungamento collegato alla descrizione degli esiti negativi dell’amore sul poeta che
occupa l’intero liber secundus, in cui la velocità narrativa cala in maniera molto vistosa, mentre sale in modo
significativo nel terzo libro […].
Dell’anomala “lunghezza” diegetica della fase disforica degli AL B. era perfettamente conscio, allorché
scriveva, a inizio del son. III 34, Il terzo libro è già di mei sospiri, / e il sole e l’anno ancor non è il secondo».
(T. Zanato, in ACAV, p. 153)
Struttura con simmetrie ben precise. Struttura divisa perfettamente in 3 libri e bilanciata. Scelta
diversa dal Canzoniere di Petrarca.
L’innamoramento dura poco più di due anni, il tempo della storia non coincide con il tempo della
composizione. La conclusione indica un pentimento finale ma minore rispetto a quello di Petrarca. La prima
parte della composizione si svolge in giorni vicini, mentre la seconda dura mesi.
Boiardo: il proemio (I 1)
Spiegazione: anche in questo sonetto, Amore apre la composizione. Divisione molto netta tra passato e
presente (alora vs ora). Differenza tra l’Io che scrive e l’Io che ricorda. I termini “errore” e “puerile” sono un
chiaro riferimento a Petrarca. Stando al sonetto, chi non prova amore durante la giovinezza non vive, l’età
della giovinezza è “autorizzata” a provare amore.
• Uso sostanzialmente fedele al modello petrarchesco sul fronte delle terzine (CDE CDE e CDC DCD)
• Sperimentazioni segnalate da rubriche latine (ad es. rime equivoche, cioè con identità di suono delle
parole in rima, usate da Petrarca in Rvf 18)
Es. II 9, in cui tali rime equivoche «diventano figura di un tragico avvitamento su sé stesso» (Zanato,
comm., p. 387)
Parole equivoche perché hanno lo stesso suono ma significato diverso
Boiardo, II 9 – Aequivocus
Spiegazione: la condizione del poeta è tanto dura e crudele che i versi e le rime non lo possono spiegare. I
lamenti passano ma il dolore dura. Il poeta odia le rime, odia sé stesso ed il suo canto. Canta rime forzate
controvoglia, per passare il tempo.
30
Boiardo, I 16
Già tra le folte rame aparir veggio ABBA ABBA CDE DEC
ambe le torre ove il mio cor aspira;
già l’ochio corporale anche lui mira
la terra che ha l’effetto e ’l nome reggio.
Alma cittade, ove Amor tien suo seggio
e te sopravolando sempre agira,
qual nascosta cagion tanto me tira
che altro che esser in te giamai non chieggio?
Deh, che dico io? ché la cagion è aperta
a le fiere a li augelli ai fiumi ai sassi
e ne l’abisso e in terra e in mare e in celo.
Ormai del mio furor per tutto sciassi,
ché a poco a poco è consumato il gelo
che un tempo ebe mia fiama in sé coperta.
Spiegazione: l’occhio fisico vede la città che ha effetto e nome “reggio”. L’ordine in cui gli animali e gli
elementi della natura sono disposti risulta intrecciato ai rispettivi luoghi, è un modo iperbolico per comunicare
che tutto il mondo naturale sa il motivo per cui il poeta vuole arrivare alla città.
Alla relativa rarità di legami tra partizioni fa riscontro la frequenza di ripetizioni e diverse figure iterative.
Talvolta l’iterazione funziona anche tra un testo e l’altro, al punto da creare organismi di forte continuità,
come l’acrostrofe che unisce i primi quattordici sonetti del primo libro (I, 1-14), per la quale Mengaldo ha
parlato di ‘ipersonetto’ (2001, p. 7): i loro capilettera formano il nome ‘ANTONIA CAPRARA’, in acrostico nel
sonetto I 14.
Boiardo, I 14 Capitalis
Spiegazione: l’ordine delle iniziali riporta il nome della donna amata. Il poeta non fa che ribadire in ogni
ripartizione che mai nella storia del mondo si sono viste tutte le qualità della donna nella stessa persona. Il
sonetto è consono ad ospitare l’acrostico.
Qual sopra Garamante on sopra Gange ABBA ABBA CDE EDC (unico negli AL)
31
se aduce il cervo paventoso e stanco, [le rime B sono le stesse di Rvf 16, sonetto a
batendo per lo affanno il sciuto fianco, sua volta costruito su una similitudine]
quando fatica e caldo inseme lo ange,
come l’onda corrente in prima tange
il spirto anello, il gran desir vien manco,
e il sangue torna sbigotito e bianco
per la fredura che il fervor afrange;
tal il mio cor, che di gran sete avampa,
nel suo bel fonte disiando more,
e piglia oltre al poter l’ampla dolceza:
però che nel mirar questa vagheza
ha giunto tanto foco al primo ardore
che maraviglia n’ho se quindi campa.
Spiegazione: il testo si regge interamente su una similitudine tra il cervo che si avvicina alla fonte d’acqua ed
il cuore del poeta che si avvicina alla fonte della felicità.
«[…] il sonetto poggia su un unico periodo, scisso di fatto fra una fronte blandamente narrativa, ruotante
attorno al cervo assetato, e una sirma di applicazione del paragone animale all’innamorato, secondo una
chiave logica di rovesciamento, per cui mentre il cervo, arrivato a bere, smorza immediatamente il suo
«fervor» con la «fredura» dell’acqua (v. 8), al contrario il cuore del poeta, giunto a dissetarsi presso il «fonte»
dell’amata, finisce per raddoppiare il suo «primo ardore» (v. 13)».
(Zanato, comm., p. 739)
Fin dal 1465 compone rime, che circa un decennio dopo comincia a raccogliere in un canzoniere; dopo altri
cinque anni avvia il progetto del Comento de’ miei sonetti, prosimetro sul modello della Vita nova, che rimane
incompiuto.
Il canzoniere comprende 166 testi, di cui 150 sono sonetti.
Il Comento include 41 sonetti, per ciascuno dei quali l’autore rievoca le circostanze di composizione e la
base filosofica della materia articolata nei versi.
La fedeltà metrica a Petrarca (tanto nelle forme strofiche e nella loro disposizione, quanto negli schemi
metrici) si accompagna a una riscoperta della sintassi stilnovista, specie nella seconda fase della sua
produzione lirica.
Interesse da parte di Lorenzo de’ Medici per un approccio più simile al dolce stil novo per la descrizione
dell’amore. Rispetto alla Vita Nova, mancano le divisioni e per l’indugio narrativo, che in Dante è abbastanza
ampio. Per quanto riguarda gli schemi rimici, vi è una somiglianza con Petrarca.
«La necessità di oggettivare il processo amoroso e dunque l’inflessione della voce lirica che lo descrive
conduce con grande coerenza a incardinare la sintassi entro la griglia metrica, inibendone il movimento
prima così libero». (Bellomo 2017, p. 88)
«Sintatticamente, […] andamento narrativo di tipo raziocinante e talora sillogistico […]». (Zanato, ACAV, p.
405).
Allor ch’io penso di dolermi alquanto ABBA ABBA CDE CDE, 4+4+3+3
de’ pianti e de’ sospir’ miei teco, Amore,
mirando per pietà l’afflitto core
l’imagin veggo di quel viso santo.
32
Spiegazione la ferita si riferisce alla ferita d’amore. Se non ci fosse la speranza ad alimentare, il poeta
sarebbe già morto. Il poeta si rivolge direttamente ad Amore, ed è un esempio per gli altri che non seguano
Amore. Rispetto ai sonetti precedenti, i temi toccati ricordano i testi di Boiardo, dato che si ricorda che in età
giovanile è lecito essere presi da amore. Non c’è in modo esplicito un riferimento al pentimento. Un
riferimento assente rispetto ai testi di Boiardo è l’operazione letteraria.
«Ero soletto e sanza compagnia se non delli miei amorosi pensieri, li quali molestandomi come el più delle
volte sogliono fare, cominciai meco medesimo a fare pensiero di volerne fare doglienza con Amore, come
cagione de' miei pianti e sospiri e dell'altre amorose pene. E volendo ad una ad una narragliene, me era
necessario cominciare da quella parte che e prima e più era offesa, la quale era il cuore. Volendo adunque
narrare l'afflizione del cuore, pareva necessario di guardare nel cuore, e, guardando, considerare per potere
narrare lo stato suo. E se bene nel cuore erano dipinte molte passioni e tormenti, pure maggiore
impressione aveva fatto in esso la imagine del viso della donna mia, el quale, essendo bellissimo e, sì come
era il vero, molto lucente e chiaro, e per la bellezza e per la luce tirò gli occhi miei e gli sforzò a rimirare
quella immagine, levando loro la visione delle pene del cuore; parendo molto conveniente che una cosa
bella e lucente e levi la visione dell'altre cose, com'è natura della eccessiva luce, e tragga gli occhi a sé,
come sempre suol fare la bellezza».
Spiegazione: ero solo con i miei pensieri che mi molestavano, cominciai a pensare di fare una dimostranza
ad amore in quanto questo causa delle mie sofferenze. Volendo narrare ad amore le mie sofferenze, era
necessario dalla parte più offesa, nonché la prima, il cuore. Sebbene nel cuore fossero dipinti vari tormenti e
passioni, l’immagine del viso della donna aveva lasciato un’impronta ancora più profonda. La cosa bella e
lucente impedisce la visione delle altre cose.
«Mirando adunque gli occhi miei questa immagine in luogo delle pene, parve loro molto bella e dolce, cioè
piena di pietà. E però, se prima era intenzione degli occhi vedere l'afflizione del cuore, cosa molesta e
deforme, per dolersi, veggendo il viso della donna mia bello e pietoso, e de directo opposito a quelle
33
afflizioni, ne doveva nascere ancora uno effetto tutto contrario al dolersi. Per la qual cagione il primo
pensiero di dolersi vergognoso morì e in tutto si spense e un altro ne nacque contrario, di ringraziare e
onorare la donna mia, la quale era sì bella e tanto gentile [cfr. Dante], che, solamente essendomi concesso
di vedere sì bella cosa, quando mai non vi fussi suto pietà alcuna, non potevo avere cagione a dolermi, ma
più tosto di ringraziarla. Mosse el pensiero di dolersi la passione, che accieca la mente e obumbra lo
intelletto nostro de una tenebrosa ignoranzia; ma, sopravenendo la luce della verità e fugate queste tenebre,
non sanza vergogna si rimira l'errore passato, e però muore vergognoso el primo pensiero e nel suo luogo
succede l'altro pensiero, più vero e più laudabile, di ringraziare la donna mia e di essaltarla e laudarla;»
Spiegazione: il pensiero di dolersi scompare, preso dalla vergogna. Muore quel pensiero e ne nacque un
altro: il pensiero di voler lodare la donna amata (riferimento a Dante).
«le quali laude, sendo portate alla immagine sua che è nel mio cuore, la fanno parere assai più bella e più
piatosa; ché così pare al pensiero mio, che non vede alcuna cosa se non questa immagine. [qui si dilunga
nella spiegazione filosofica] […] quanto la immaginazione è più forte, più gli pare vedere quello che allora
immagina, e immaginando la donna mia piatosa e bella, pare necessario che, quanto più la immagina così,
più diventi bella e piatosa nel pensiero. Da questa tale immaginazione di tanta bellezza e dolcezza nasce
uno desiderio ardentissimo e nuovo nella mente di vedere la donna mia viva e vera. Né [il sonetto] dice
“disio nuovo” perché questo sia nel cuore mio el primo desiderio che avessi mai di vedere la donna mia, ma
dice nuovo a quegli altri pensieri, quasi rinato allora di nuovo. Questo nuovo disire adunque mi muove a
vedere la donna mia viva e vera, perché il parlare, udire e spirare sono uficio d'animale vivo, e non di cosa
che sia immaginata».
Spiegazione: le lodi, portate alle immagini di un cuore, appaiono ancora migliori. Dalla visione immaginaria
della donna, il poeta prova un forte desiderio di vedere la donna. “Nuovo” desiderio rispetto agli altri pensieri.
Allor ch’io penso di dolermi alquanto ABBA ABBA CDE CDE, 4+4+3+3
de’ pianti e de’ sospir’ miei teco, Amore, (composto nel settembre 1481)
mirando per pietà l’afflitto core
l’imagin veggo di quel viso santo.
E parmi allor sì bella e dolce tanto,
che vergognoso il primo pensier more;
nascene un altro poi, che è uno ardore
di ringraziarla, e le sue laude canto.
La bella imagin che laudar si sente, [cfr. Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare]
come dice il pensier che lei sol mira,
sen fa più bella e più pietosa assai.
Quinci surge un disio nuovo in la mente
di veder quella che ode, parla e spira:
e torno a voi, lucenti e dolci rai.
Spiegazione: quando io penso di lamentarmi con te dei miei pensieri, il cuore afflitto fa venire in mente al
poeta la figura della donna, quindi il pensiero originario muore. Sentire parlare e respirare la sua donna, alla
quale si riferisce direttamente, il poeta torna a lei. Questo testo, attraverso la sintassi e i connettori temporali,
fa un qualcosa di diverso rispetto al concetto razionale di rapporti amorosi.
Sappiamo con certezza che Bembo avesse visto di persona l’autografo di Petrarca. Assenza di apparati di
commento che cominciano ad ingombrare i margini dei canzonieri, il testo viene lasciato solo senza
commenti, con un formato pratico. “Le basi della volgar lingua” è un’opera fondamentale di Bembo.
5 anni dopo escono le “Rime” di Bembo.
«Ho ricevute due lettere da voi. L’una dice così: […] L’altra dice: […] E dicovi che poichè voi partiste da me,
se gli Idii mi conservino nella grazia vostra, che io mai non chiusi occhio ma «di pensier in pensier, di monte
in monte» [Rvf 129], mi sono iti guidando i vostri gentili costumi […]. Voi dite non aver chiuso occhio, dapoi
che io da voi mi diparti’, ma di pensiero in pensiero. E io dico che sempre, dapoi che io prima mi disposi
d’amarvi, ho vegghiato nel pensiero dolcissimo di voi in guisa, che Io son già stanco di pensar sì come i miei
pensieri in voi stanchi non sono [Rvf 74].» (da una lettera del 1 agosto 1500)
«La vostra imagine, come che io l’abbia sempre nel cuore, pure ho io carissima sopra quanti doni ebbi
giamai. […] Holla basciata mille volte in vece di voi, e priegola di quello, che io voi volentieri pregherei, e
veggo che ella benignamente assai par che m’ascolte, più che voi non fate, se risponder sapesse a’ detti
miei [Rvf 78]». (da una lettera del 22 luglio 1500)
Spiegazione due lettere di Bembo che usano le parole di Petrarca per comunicare con la donna amata.
Gioco tra immagine fisica e immagine interiore della donna.
I suoi testi ebbero un’ampia circolazione manoscritta prima della princeps del 1530.
Ci sono giunti molti testimoni riconducibili all’autore e molti non d’autore (Donnini 2003, vol. 2).
Tra gli altri:
• raccolta risalente all’ultimo decennio del Quattrocento (ms. Paris, BNF, Ital. 1543)
• silloge per Elisabetta Gonzaga, duchessa d’Urbino (ms. Marciano Italiano IX.143)
• ms. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 10245, scelto da Donnini come base per la sua
edizione critica (2003)
Abbiamo 180 testi, non tutti d’amore. All’interno di essi si possono isolare i premi 134 che fanno parte di un
vero e proprio canzoniere Petrarchesco, mentre gli altri formano due raccolte.
Criterio narrativo/architettonico e forme metriche con relativo uso criteri per comparare le opere di Bembo
con quelle di Petrarca.
In apertura:
1 proemio (< Rvf 1)
2 innamoramento (< Rvf 3) riprende ciò che faceva Petrarca nel testo 2 e 3 cambiando ordine
3 innamoramento (< Rvf 2)
50 rifiuto del ‘mondo’ (punto di svolta? cfr. 1)
In chiusura:
128-134 rinuncia ad Amore
Secondo Albonico 2006: 1-44; 45-90; 91-134 (cioè 44, 46 e 44 testi)
Il sonetto proemiale
Piansi e cantai lo strazio e l’aspra guerra, ABBA ABBA CDE CDE; 4+4+6
ch’i ebbi a sostener molti e molti anni
e la cagion di così lunghi affanni, [rime inclusive; cfr. Rvf 364]
cose prima non mai vedute in terra.
Dive, per cui s’apre Elicona e serra,
use far a la morte illustri inganni,
date a lo stil, che nacque de’ miei danni,
viver, quand’io sarò spento e sotterra.
Ché potranno talor gli amanti accorti,
queste rime leggendo, al van desio
ritoglier l’alme col mio duro exempio,
e quella strada, ch’a buon fine porti,
scorger da l’altre, e quanto adorar Dio
solo si dee nel mondo, ch’è suo tempio.
Spiegazione piansi e cantai (parole riprese da Petrarca) il tormento e la crudele guerra (d’amore) che
dovetti combattere per lunghi anni. “Dive” è un altro modo per dire “muse”, l’invocazione alle muse è
abbastanza particolare ed unica. Probabilmente egli vuole comunicare uno stile aulico. Nelle terzine si
scopre che la richiesta alle muse viene fatta in modo che gli altri impareranno da lui, anche gli altri
gioveranno di ciò.
Cfr. Rvf 1
36
Or c’ho le mie fatiche tante e gli anni ABBA ABBA CDC DCD; 8+3+3
spesi in gradir Madonna, e lei perduto [cfr. Rvf 364, 9-13 spesi anni : affanni: danni]
senza mia colpa, e non m’hanno potuto
levar di vita gli amorosi affanni,
perché vaghezza tua più non m’inganni,
mondo vano e fallace, io ti rifiuto,
pentito assai d’averti unqua creduto,
de’ tuoi guadagni sazio e de’ tuoi danni.
Ché poi che di quel ben son privo e casso, [rime C e D consonanti]
che sol volli e pregiai più che me stesso,
ogni altro bene in te dispregio e lasso. [rima equivoca]
Col monte e col suo bosco ombroso e spesso
celerà Catria questo corpo lasso, [monte tra Marche e Umbria]
infin ch’uscir di lui mi sia concesso.
Spiegazione ora che ho speso gli anni a servire una donna e l’ho perduta senza una colpa, sopravvivendo
alle sofferenze dell’amore, affinchè la tua bellezza non mi inganni più, io ti rifiuto pentito di averti creduto. Da
quando ho perduto la donna, disprezzo e abbandono ogni altro bene. Il monte Catria nasconderà il mio
corpo. Come in Petrarca, abbiamo un pentimento e un rifiuto della vita.
Verso l’epilogo: 134 (1548) (120 ed. Dionisotti; 137 ed. Donnini)
Signor del ciel, s’alcun prego ti move, ABBA ABBA CDE CDE
volgi a me gli occhi, questo solo, e poi,
s’io ’l vaglio, per pietà coi raggi tuoi
porgi soccorso a l’alma e forze nove;
tal ch’Amor questa volta indarno prove
tornarmi ai già disciolti lacci suoi.
Io chiamo te, ch´assecurar mi puoi:
solo in te speme aver posta mi giove.
Gran tempo fui sott’esso preso e morto;
or poco o molto a te libero viva,
e tu mi guida al fin, tardi o per tempo.
Se m’ha falso piacer in mare scorto,
vero di ciò dolor mi fermi a riva:
non è da vaneggiar omai più tempo.
Spiegazione rifiuto e rinuncia all’amore rivolgendosi direttamente a Dio. Signor del cielo, se qualche
preghiera ti muove dai forze alla mia anima con i tuoi raggi.
Cfr. Rvf 1
Dal punto di vista dei metri, ci sono elementi di notevole fedeltà e altri meno. Le sestine sono molte di meno
rispetto a Petrarca. Il capitolo della terza rima viene dalla struttura Dantesca e viene influenzato da Petrarca
(“Trionfi”). Per quanto riguarda le canzoni, c’è una maggiore fedeltà a Petrarca.
Il tipo 4+4+3+3 si riscontra in poco più del 30% dei sonetti (gran cambiamento rispetto a Petrarca e Boiardo),
confermando un avvenuto cambiamento nel gusto, in favore della gravitas prodotta dai periodi lunghi (Afribo
2001).
Il legame tra le quartine (8+6; 8+3+3), così importante nella tradizione, permane ma arretra, mentre vengono
in primo piano i legami tra la seconda quartina e la prima terzina (cioè i tipi 5-9 nello schema di Soldani
2009): dal 12% dei Rvf al 34% di Bembo.
Dunque è più che raddoppiato il numero di testi con una struttura sbilanciata, i cui legami interni tendono a
isolare le unità periferiche (4+7+3), in particolare la seconda terzina, che in Bembo assume un rilievo
particolare.
Di solito la seconda terzina ospita «la conclusione logica del discorso o un cambio di prospettiva, che talora
si risolve in un vero contrasto con la prima parte» (Juri 2017, p. 136). Infatti al v. 12 troviamo:
• connettori logici, come ma (congiunzione avversativa), così o tal (con funzione conclusiva e/o
comparativa);
• uno scarto che può riguardare
• il soggetto grammaticale (ad es. dalla seconda persona singolare o plurale alla prima)
• il tempo (dal passato al presente, segnalato da or)
• il modo (dalla certezza all’ipotesi e viceversa).
Lo scarto di tempo o di modo all’inizio della seconda terzina può generare una conclusione esclamativa e/o
riflessiva, che spesso
• esprime un desiderio irrealizzabile
• afferma una verità di ordine generale (chiusa sentenziosa, spesso con versi-frase)
Es. 162 (1548) (148 ed. Dionisotti; 72 ed. Donnini), vv. 12-14
a pena spunta un ben, che si disperde. testo di lutto. Si tratta di un testo che originariamente era dedicato
ad una donna non identificata. L’informazione riguardante la morte della donna ci interessa perché viene
inserito tra i testi che riguardano la morte di Bembo. “Ben si pò dire” conferisce sin da subito certezza al
testo. come un freccia o un raggio di luce, un bene appena appare si disperde. Nella costruzione di questi 3
versi, l’ordine artificiale conferisce un particolare effetto.
Da un punto di vista grammaticale, il tempo verbale può cambiare: ciò che è stato vero nel passato non lo
sarà necessariamente anche nel presente o nel futuro. Lo stesso discorso lo si può fare per il modo e per il
soggetto.
I sonetti monoperiodali
Tutti i sonetti monoperiodali «a detonazione» (Renzi) di Bembo sono composti entro il 1510-11, in una fase
ancora ‘quattrocentesca’, dopo la quale tenderà ad abbandonare sia queste soluzioni sia strutture fondate su
correlazione e ossimoro. contraddizione dentro la stessa locuzione.
Probabilmente composti nel periodo in cui Bembo è innamorato di Lucrezia Borgia (1502-1503).
Esempi: 5 e 6, che formano un dittico sullo stesso verso finale (citazione da Petrarca)
Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura, ABBA ABBA CDE DEC
ch’a l’aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che ’l sole,
da far giorno seren la notte oscura,
riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond’escono parole
sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle,
man d’avorio, che i cor distringe e fura,
cantar, che sembra d’armonia divina, [cfr. 6]
senno maturo a la più verde etade, [cfr. Rvf 213, 3 sotto biondi capei canuta mente]
leggiadria non veduta unqua fra noi,
giunta a somma beltà somma onestade, [Cfr. Rvf 351]
fur l’esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch’a poche il ciel largo destina. (Cfr. incipit di Rvf 213, monoperiodale)
Spiegazione mentre nelle quartine si parla delle caratteristiche fisiche della donna, nelle terzine si
descrivono i suoi pregi interiori. Nel verso 11 vengono unite le qualità.
La maggior parte degli elementi del sonetto sono tessere petrarchesche. “neve” si riferisce al bianco perfetto
del volto / rubini e perle metafore riferite a labbra e denti. L’enumerazione petrarchesca culmina nella
principale, nel penultimo verso.
grazie, ch´a pochi il ciel largo destina. (Cfr. incipit di Rvf 213, monoperiodale)
Spiegazione il finale sigilla i due testi e li fa finire nello stesso modo. La struttura è anche qui enumerativa
ma gli elementi elencati riguardano il poeta e non la donna. Del poeta ci vengono descritti il suo stato
d’animo ed i suoi comportamenti. I primi versi sono affollati di molti sostantivi. I desideri del poeta sono
misurati, sono forti ma il poeta si contiene nella loro espressione. La parte più metaforica del sonetto inizia
nelle terzine. Il vetro si contrappone al diamante, lo sdegno è fragile e dura poco mentre la fede è
adamantina. Lo schermo, ciò che difende il poeta, è la sofferenza.
Rvf 213
Di pari passo con la predilezione per le partizioni legate va quella per i periodi lunghi: in quasi l’80% dei casi
le parti unite ospitano un unico periodo. Non così nelle terzine, tra le quali tende a cadere una pausa logica
forte.
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Rispetto a Petrarca, Bembo è meno ostile alle subordinate causali, che usa ad esempio per articolare una
ragione al seguito di una richiesta o di una preghiera (in genere in testi di corrispondenza).
Nei componimenti più tardi (dal 1525 in poi, seguendo le datazioni di Donnini), le inarcature diventano più
frequenti e più forti, la perturbazione dell’ordine naturale delle parole si accentua e la sintassi si fa più
contorta (Zuliani 2009).
Es. 124 (1548) (110 ed. Dionisotti; 127 ed. Donnini), vv. 1-4 (a Rodolfo Pio da Carpi):
Spiegazione: sonetto dedicato a Rodolfo Pio, un amico di Bembo a cui il poeta dedica la poesia nel
momento del suo trasferimento. I due litigarono, pertanto Bembo decise di dedicarlo ad un’altra persona
salvo tornare poi su suoi passi. Il soggetto è la fortuna crudele; siamo all’interno di un’ipotetica. “se la fortuna
crudele a voi diede ali per sottrarvi ai miei occhi, che (il pensiero) è con voi sempre uguale al vostro volare.
129 (1548) (115 ed. Dionisotti; 132 ed. Donnini) – A Bernardo Cappello
Spiegazione sonetto dedicato ad un altro amico. Idea della rinuncia ad amore. Il “se” introduce una
subordinata ipotetica; “Se io stesso mi disarmo delle mie ricchezze care e preziose e così ben custodite e
grazie alle quali vissi un tempo felice e contento del mio destino e dissi tra me e me, nessun amante vive più
lieto di me. e dipende da se. “Se io mi disarmo delle mie ricchezze ed i miei piedi si allontanano da lei” la
principale è “chi mi darà, Bernardo, aita?”
Quando, forse per dar loco a le stelle, ABBA ABBA CDE DCE, con rime derivative
il sol si parte, e ’l nostro cielo imbruna, e inclusive
spargendosi di lor, ch’ad una ad una,
a diece, a cento escon fuor chiare e belle,
i’ penso e parlo meco: in qual di quelle
ora splende colei, cui par alcuna
non fu mai sotto ’l cerchio de la luna, [cfr. Rvf 237, 2-3]
benché di Laura il mondo assai favelle?
In questa piango, e poi ch’al mio riposo
torno, più largo fiume gli occhi miei,
e l’imagine sua l´alma riempie, [forte inarcatura]
trista; la qual mirando fiso in lei
le dice quel, ch’io poi ridir non oso:
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Spiegazione questa volta non vi è l’utilizzo di una subordinata ipotetica ma di una subordinata temporale
(Quando). Nelle terzine, le inarcature sono molto accentuate. Testo in morte 3 parche filo della vita,
assegna i destini, taglia i fili della vita.
Testo che fu scritto per un’altra donna, ma nel montaggio finale per le rime il testo va nei componimenti per
la donna amata. Riferimento nella poesia a Laura, la donna di Petrarca, ma la donna del componimento è
più bella di quest’ultima.
Spiegazione il testo ricorda un testo di Petrarca, il sonetto 12, dove Petrarca immagina di arrivare alla
propria vecchiaia arrivando a vedere Laura per confidarle il suo amore. Bembo si rivolge direttamente alla
donna amata vocativo + temporale. L’indicativo futuro fa in modo che non ci sia un dubbio su ciò che
avverrà.
Non più cresp’oro, ed ambra tersa e pura [cfr. Bembo, 5] ABBA ABBA CDE ECD
sembrano i crin, che ’ndegno laccio ordiro,
e nel volto e nel seno altro non miro
che vana di bellezza ombra e pittura.
Fredda è la fiamma omai, la luce oscura
de gli occhi, e senza grazia il moto e ’l giro.
Deh come i miei pensier di te invaghiro,
lasso, e chi ’l senso e la ragion ne fura?
Ahi ch’io cieco d’amor altru’ ingannai,
in rime ornando di sì ricchi fregi
la forma tua, che poi leggiadra apparve.
Ecco i' rimovo le mentite larve:
or ne la propria tua sembianza omai
ti veggia il mondo, e ti derida e spregi.
Spiegazione il primo verso riprende l’incipit di Bembo (Deittico 5-6) ma lo rovescia. La donna viene vista
prive delle qualità interiori. I capelli non sembrano più oro ondulato e ambra tersa pura ma capelli che
ordirono un laccio. Ormai la fiamma è fredda e oscura, gli occhi hanno perso la loro luce e il loro movimento
è senza grazia. Come i miei pensieri potessero innamorarsi di te nessuno lo sa. Adornando nei miei versi la
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tua immagine, essa appare più leggiadra, ingannando gli altri. Rimuovo le false immagini in modo che ora il
mondo ti veda nel tuo aspetto reale e che ti derida.
Fonte di questo sonetto è, oltre a Rvf 12 (Se la mia vita da l’aspro tormento), un’ode del poeta latino Orazio
(Carmina, IV 10, raccolta dove occupa il 98° posto, proprio come questo sonetto nel ms. viennese), alla
quale Bembo resta più fedele di Petrarca.
Le scelte sintattiche risentono del modello latino e di analoghe subordinate temporali estese di Petrarca,
come in 298 (Quand’io mi volgo indietro a mirar gli anni).
Spiegazione Grande aggressività nei confronti dell’oggetto amato; dal punto di vista sintattico c’è una
somiglianza con il modello petrarchesco.
Petrarca, Rvf 12
Spiegazione Non sappiamo se Ronsard sapesse dell’esistenza del sonetto di Bembo. “Quando sarete
molto vecchia, la sera seduta presso il fuoco sfilando la lana, direte cantando i miei versi: “Ronsard mi lodò
nel tempo in cui ero bella” a differenza dei versi di Petrarca, c’è la presentazione e la descrizione di una
situazione e soprattutto il nome del poeta all’interno del testo. “Allora voi non avrete una serva che al dire
quelle parole non si svegli al sentire il mio nome. Esse vi loderanno per essere stata lodata da me.”
“Quando sarò morto e giacerò sotto i mirti” riferimento all’Eneide, gli amanti infelici sono collocati in un
campo di mirti.
“voi sarete una vecchia piegata sul focolare che rimpiange il mio amore e il vostro sdegno. Vivete, non
attendete domani per cogliere le rose della vita.”
Pierre de Ronsard, Sonets pour Hélène (Livre II. xxiv): modelli e fonti
Petrarca Rvf 12
Stando al biografo di Ronsard, Claude Binet (1597), la regina madre Caterina de’ Medici gli avrebbe chiesto
di comporre una sequenza di sonetti per una delle sue dame d’onore, Hélène de Surgères. Le Oeuvres
complètes del 1578 comprendevano Le premier livre des Sonnets pour Hélène e Le second livre des
Sonnets pour Hélène.
Spiegazione non è un sonetto ed ha una forma giambica. Stampato per la prima volta nel 1893 dedicato
alla donna che Yeats amò per tutta la vita, Maud Gonne. Nella seconda quartina, Yates ripercorre i pensieri
della donna quando questa apre il libro. Finale misterioso, qualcuno interpreta le stelle come riferimento a de
Ronsard. L’inizio dei due componimenti presenta la medesima situazione. Inoltre, Ronsard cita sé stesso
mentre Yeates cita direttamente la sua opera (il libro ispirato a lei). Yeates vuole distinguere il suo amore da
quello degli altri.
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Spiegazione la fonte non è Yeates ma de Ronsard. L’inizio della canzone ricorda la poesia di Ronsard, la
donna è piegata dalla vecchiaia.
1545 pubblicazione a Venezia della prima antologia di rime di una fortunata serie che continuerà fino al 1560
> i poeti francesi ne imiteranno molti testi, anche di autori poco noti
In Francia
Clément Marot, traduzione di sei sonetti (Six sonnetz de Pétrarque sur la mort de sa Dame Laure), 1539
Maurice Scève, Délie (1544), sequenza di 449 dizains
Pontus de Tyard, Erreurs amoureuses (1549)
Joachim Du Bellay, Deffence et illustration de la langue française (1549) e Olive (1549)
Pierre de Ronsard, Les Amours (1552), sonetti in decasyllabes (185 > 222)
Pierre de Ronsard, La continuation des Amours (1555), 70 sonetti in alessandrini
In Inghilterra
In Inghilterra la diffusione dei sonetti di Petrarca è più lenta rispetto alla Francia.
Rvf 134
Poi ch'ogni esperta, ogni spedita mano, ABBA ABBA CDE CDE
qualunque mosse mai più pronto stile,
pigra in seguir voi fôra, alma gentile,
pregio del mondo e mio sommo e sovrano;
né poria lingua, od intelletto umano
formar sua loda a voi par, né simile,
troppo ampio spazio il mio dir tardo umile
dietro al vostro valor verrà lontano:
e più mi fôra onor volgerlo altrove;
se non che 'l desir mio tutto sfavilla,
angel novo del ciel qua giù mirando:
o se cura di voi, figlie di Giove,
pur suol destarmi al primo suon di squilla,
date al mio stil costei seguir volando.
Spiegazione Giovanni Della Casa è considerando da Bembo il suo erede. Il canzoniere di Della Casa è
fedele a quello di Petrarca nella struttura, ossia la chiusura con un testo che esprime pentimento.
Della Casa si rivolge direttamente all’amata, c’è una sorta di dedica. Il testo si struttura con la principale che
arriva soltanto alla fine della seconda quartina. La lunga causale che precede la principale è una somiglianza
della poesia di Petrarca. Tutto il componimento è una lode alla donna e una riflessione sulla difficoltà di
trovare una forma adeguata per lodarla. La donna viene descritta come un angelo in terra, dotata di qualità
che impediscono al poeta di non poterla cantare.
Questa vita mortal, che 'n una o 'n due ABBA ABBA CDE CED
brevi e notturne ore trapassa, oscura
e fredda, involto avea fin qui la pura
parte di me ne l'atre nubi sue.
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Spiegazione Tasso definisce “rompimento dei versi” l’inarcatura presente nei versi di Della Casa. Questo
testo si rivolge a Dio. “Questa vita mortale che passa in una o due ore brevi e cupe e che aveva avvolto fin
qui la mia anima, ora comincio a guardare le tue grazie perché le stagioni sono opera tua. Dal caos e
dall’oscurità, portasti fuori l’aria e la luce chiara che rivolgono il mondo ai nostri occhi.” La fine del verso di
questo sonetto crea un legame con l’inizio del sonetto precedente.
Spiegazione Della Casa si rivolge direttamente alla selva, amica dei suoi pensieri. Nel leggere il testo è
inevitabile che la luminose luce si riferisca all’ambiente, si tratta invece di una metafora della vita del poeta.
Viene descritto un paesaggio invernale. Ciò che rende specifico questo sonetto è il modo in cui l’Io coincide
con la selva. L’uso delle scelte sintattiche contribuisce a questo effetto, tramite l’uso del tempo presente.
La differenza tra l’Io e la selva sta nella natura dell’inverno della natura e l’inverno della vecchiaia.
Spiegazione tema del sogno. L’invocazione del sonno porta tregua dai problemi del giorno. Rapporto tra
metro e sintassi: le inarcature sono caratteristiche di Della Casa e in questo sonetto ce ne sono tantissime.
Dal punto di vista complessivo, la scelta del tempo verbale è diversa dalla scelta del sonetto della selva.
Il testo inizia con l’invocazione del sonno, che come la Notte è personificato. I primi 4 versi sono interamente
costruiti sull’invocazione, mancano infatti le principali. Il verbo “Soccorri” arriva nella seconda quartina,
insieme ad altri verbi. Nelle terzine non c’è più un’invocazione ma ci sono prima delle interrogative retoriche
che rendono il tono più drammatico e l’esclamazione finale, di tono doloroso.
“Piume” sineddoche, figura retorica per cui con una parte si indica il tutto.
Della Casa, Rime, 35 (risponde a Casa, in cui le virtudi han chiaro albergo di Bembo)
L'altero nido, ov'io sì lieto albergo [Venezia] ABBA ABBA CDE DEC
fuor d'ira e di discordia acerba e ria,
che la mia dolce terra alma natia [Firenze]
e Roma dal penser parto e dispergo;
mentr'io colore a le mie carte aspergo
caduco, e temo estinto in breve fia,
e con lo stil ch'a i buon tempi fioria
poco da terra mi sollevo ed ergo,
meco di voi si gloria: ed è ben degno,
poi che sì chiare e onorate palme
la voce vostra a le sue lodi accrebbe.
Sola per cui tanto d'Apollo calme,
sacro cigno sublime, che sarebbe
oggi altramente d'ogni pregio indegno.
Spiegazione questo sonetto, in origine, era stato scritto in risposta ad un sonetto di proposta di Bembo.
Questo sonetto venne scritto da Bembo pochi mesi prima della sua morte. Questo sonetto sarà stampato nel
1548 nelle “Rime di Bembo”, da questo si evince che Bembo considerasse Della Casa il suo vero erede.
Architettura molto precisa del canzoniere di Della Casa: 64 testi. Lo schema di rima e le rime sono le stesse
presenti in Bembo, la parola “Albergo” viene ripresa; in questo caso è un verbo ma in Bembo era un nome.
“Il nido illustre dove io così lietamente risiedo, fuori dal dire, dalla discordia che parto e respingo dal mio
pensiero la mia voce natale e Roma.” Venezia, Firenze e Roma Bembo si riferiva alla patria (Venezia)
e Roma (dove si trasferì per la carriera ecclesiastica).
Il verbo della principale arriva solo nella prima terzina.
Il rovescio delle parole permette un innalzamento del tono e conferisce solennità al testo.
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Spiegazione leggiamo pochi testi di donne a causa di una motivazione storica. Nei 96 più importanti
canzonieri del ‘400 solo uno è stato scritto da una donna. Nel ‘500, tuttavia, la tendenza cambia; a partire
dagli anni ’20 del 500 anche le autrici iniziano a firmare i sonetti e a scrivere i canzonieri. Questo cambio di
tendenza è permesso dall’invenzione della stampa, che permette una maggiore accessibilità ed una
maggiore circolazione. Un altro fattore è il cambiamento nel modo di fare poesia; in un momento in cui la
maggior parte degli scrittori si riconosce in un modello e in una lingua comune, allora diventa più facile
inserirsi nel mercato editoriale. Imparando a scrivere come Petrarca si è legittimati ad entrare in questo
mondo.
Scrivere come Petrarca comporta subito un problema per una donna dell’epoca: scrivere in maniera esplicita
non era consentito secondo la morale ed il costume dell’epoca. La maggior parte della autrici si trovò
costretta a nascondere la narrazione di un amore esplicito, narrando per esempio un amore coniugale.
Gaspara Stampa fu una delle poche scrittrici dell’epoca a narrare un amore esplicito. Una delle ragione per
cui fu legittimata nel farlo era la sua posizione sociale marginale. Ella era nata a Padova da una famiglia
agiata ma non nobile. Suo padre, oltre ad essere ricco, era anche colto e permise a Gaspara una formazione
culturale. La relazione tormentata con Collaltino di Collalto è al centro delle sue composizioni. A un certo
punto questo amore viene sostituito da un altro, quello con Bartolomeo Zeni.
La rime vennero stampate dopo la sua morte e dedicate a Della Casa.
In questo sonetto i versi sono scorrevoli. Somiglianze con Petrarca:
- L’incipit, vocativo assoluto proprio come in Petrarca.
- Il suono dei lamenti
Spiegazione Isabella venne uccisa dai fratelli poiché sospettata di adulterio. Da questa poetessa ci sono
arrivati solo 10 sonetti e 3 canzoni.
Nel testo si crea una corrispondenza tra il suo essere ignota e il luogo inospitale dove si trova.
La poetessa spera di essere acclamata in un luogo più felice dopo la sua morte. Questo verso può anche
essere interpretato come la volontà in vita di ricongiungersi al padre, in Francia.
Vere fur queste gioie e questi ardori ABBA ABBA CDE CDE
ond'io piansi e cantai con vario carme,
che poteva agguagliar il suon de l'arme
e de gli eroi le glorie e i casti amori;
e se non fu de' più ostinati cori
ne' vani affetti il mio, di ciò lagnarme
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Spiegazione di Tasso ci sono arrivati moltissimi sonetti. Mentre il canzoniere di Bembo è essenzialmente
scritto in senso petrarchesco, con Tasso soltanto le rime amorose sono riconducibili al modello petrarchesco.
Inizialmente Tasso ha l’idea di scrivere un canzoniere incentrato sul modello petrarchesco, ma poi
abbandona questa idea per lavorare ad una raccolta di rime multifocale con temi diversi. Il testo sopra è
scelto da Tasso come testo proemiale e presenta dei supporti para testuali d’autore che sono dei brevi
sommari che Tasso antepone a ciascuno dei testi per indicarne l’argomento. Egli inserisce anche un
commento, autocommento.
“Vere” rivendica la veridicità delle gioie e degli ardori che prova Tasso.
Si parla di un amore concluso e superato, pertanto viene visto con distanza ma non con pentimento.
Punto di vicinanza con il proemio di Bembo vv. 10-11 Tema reso in maniera meno solenne rispetto a
Bembo.
«Ond’io piansi e cantai»: il cantare e ’l piangere sono effetti d’Amore convenevolissimi al poeta lirico. Il quale
gli accoppia insieme come il PETRARCA, dicendo «Del vario stile in ch’io piango e ragiono» [Rvf 1, 5]. E ’l
BEMBO: «Piansi, e cantai lo stratio, e l’aspra guerra» [Rime, I, 1], o gli divide come il PETRARCA «I’ piansi,
hor canto» [Rvf 230, 10] et «Cantai, hor piango» [Rvf 229, 1].
Quel caro nodo che ne lega insieme ABBA ABBA CDE CDE
e di due corpi una sol alma cinge,
gentil consorte, a ragionar mi spinge
con voi, de la mia vita unica speme.
Veggio che 'l tempo già v'assale e preme
del vicin parto e di pallor si tinge
la bella guancia e 'l pensier vostro finge
vane paure e d'ogni effetto sceme.
La novità che può turbarvi alquanto
omai ceda al valore, al chiaro ingegno,
a la prudenza, al vostro animo accorto:
lunga gioia sperar d'un breve pianto
e d'un picciol sudor sì nobil pegno
sia del vostro patir dolce conforto.
Spiegazione Francesco Beccuti fu originario di Perugia ma conobbe Bembo a Roma. Anche nel suo caso,
le rime vennero raccolte solo in seguito alla sua morte.
Questo sonetto presenta un caso di petrarchismo famigliare, è un testo dedicato alla moglie per darle
conforto. Nella prima parte si sottolinea che il poeta e la moglie sono un anima e due corpi.
Antitesi lunga gioia vs breve pianto / picciol sudor vs nobil pegno
Questo, che 'l tedio, ond’è la vita piena, ABBA ABBA CDE CDE
temprando va con dolce inganno ed arte,
che l'ore insieme e le fatiche parte
tacito sì, ch'altri le scorge appena,
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Spiegazione sonetto inviato da Beccuti insieme ad un orologio come dono per consolare un amico, il
quale aveva sofferto un grave lutto famigliare. L’orologio assume un valore simbolico, è in grado di consolare
un anima sofferente.
Si passa dal dolore individuale a quello collettivo.
Una caratteristica particolare dei sonetti di Ariosto è la ripresa di poeti come Bembo e poeti del’400,
particolarmente celebrati nell’ambiente ferrarese dove Ariosto vive. Ariosto era inoltre una grande
conoscitore dei classici e questo lo si può riscontrare nei suoi componimenti. Dal punto di vista lessicale, c’è
una forte ripresa di Petrarca.
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Spiegazione dal punto di vista tematico, il sonetto celebra le gioie dell’amore. La prima quartina mantiene
forme abbastanza fedeli a Petrarca. Nelle quartine la figura dominante è l’antitesi, che non è presente nelle
terzine. Il “carcere” si contrappone al termine “soave”; il carcere si può considerare come stato amoroso ma
anche come luogo fisico, quello dove si sono incontrati il poeta e la donna amata. Il poeta non è rinchiuso
per rabbia ma per scelta d’amore. Contrapposizione tra il poeta e gli altri prigionieri: essi si rattristano al
girare della chiave, Ariosto si rallegra. I testi classici sono il modello su cui si basa questo sonetto.
Gaspara Stampa, CIV
Spiegazione tema classico, gratitudine nei confronti della notte dato che la si è passata con il proprio
amante. La parola “notte” viene spesso ripetuta nel sonetto ed è definita la dispensatrice delle gioie della
poetessa. Ella immagina una notte senza fine. l’episodio di Alcmena si collega alla letteratura classica.
Spiegazione Bandello è principalmente conosciuto per le sue novelle ma fu anche poeta. Egli presenta in
questo sonetto la “Battaglia d’Amore” e lo trasforma in una partita di scacchi.
Re dolce sguardo; Regina bellezza; Alfiere gli occhi; Torre parlare; Pace e guerra cavalli
Motti, sdegni, atti, cenni, … pedine.
Mentre la donna ha il dolce sguardo come Re, il poeta ha il cuore. La partita è praticamente già persa, dato
che il poeta ha dalla sua parte solo una serie di atteggiamenti che rappresentano la figura del
pedone/pedina.
Invece di celebrare la bellezza della donna, vengono celebrati alcuni elementi bizzarri questo è un tratto
tipico della struttura tematica della fine del Cinquecento-inizio Seicento.
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L’elemento della varietà tematica viene subito esibita, nella copertina della
Lira vengono subito indicati i sottogruppi/sottotemi. Siamo in una realtà completamente diversa da quella di
Petrarca.
• Schema preferito per le terzine CDC DCD consente una maggiore vicinanza delle rime
• Notevole artificiosità sul piano retorico (antitesi, chiasmi etc.) la difficoltà non riguarda più la
sintassi ma il piano retorico, tra le quali antitesi e chiasmo in maggior misura.
• «[…] ricerca di un andamento epigrammatico, con conseguente potenziamento dei nessi logici che
accompagnano e sbilanciano il testo verso la conclusione arguta» (Raboni 2012, p. 126)
Nel Ritratto del sonetto e della canzone (1677) di Federigo Meninni, il sonetto viene assimilato all’epigramma
e Marino viene elogiato come maestro di questo tipo di componimento. Tra gli altri, Meninni loda il sonetto
intitolato Madonna chiede versi di baci.
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«i nostri poeti […] essendo men ricchi di voi [patrizi] vi fanno un sonetto quando nascete; e quando uscite di
collegio un sonetto; e quando vi ammogliate, un sonetto; e quando mandate le vostre figliuole in convento,
un sonetto; - e quando morite vi cantano il requiem aeternam con un altro sonetto […]».
Dal punto di vista formale, la ricerca di equilibrio e armonia e la cantabilità dominano sul gusto per l’arguzia
finale.
Lo schema CDC DCD rimane il più fortunato per le terzine, mentre nelle quartine si riaffaccia il tipo ABAB
ABAB (ancora minoritario ma ben più presente che nel Seicento).
Sviluppi particolari:
Rime come ‘diario in versi’ (ciascun componimento è accompagnato da luogo e data di composizione o
ideazione)
• 350 testi di metro vario; raccolte organizzate per metri, con i sonetti in apertura
Vicinanza a Petrarca nei temi e negli schemi di rime (il più diffuso è ABBA ABBA CDC DCD, ma non manca il
tipo con quartine alternate ABAB ABAB CDC DCD)
Tono solenne, con frequente ricorso a versi spezzati e inarcature, ma fondamentale adesione della sintassi
alle partizioni (con frequenza di esclamative e interrogative).
Già cinque interi, e più che mezzo il sesto ABBA ABBA CDC DCD
lustro ho trascorso, e dir non oso: io vissi;
che quanto io lessi, vidi, appresi, o scrissi,
or sento essere un nulla manifesto.
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Spiegazione il poeta si accusa di non aver imparato nulla prima di aver conosciuto la donna amata. L’auto
interrogarsi e il contrasto tra passato e presente sono elementi tipici di Petrarca.
Tu sei, tu sei pur dessa: amate forme, ABBA ABBA CDC DCD
deh, come pinte al vivo! Ecco il vermiglio
labro, il negr’occhio, il sen che vince il giglio,
d’ogni alto mio pensier le amate norme.
Spiegazione il ritratto dell’amata, inteso come vero e proprio dipinto, è l’argomento di questo sonetto. I
sonetti 77 e 78 di Petrarca sono qui ripresi. Il poeta si rivolge direttamente all’amata nella prima quartina,
questa tendenza cambia nella seconda quartina dove si passa alla terza persona. Nella prima terzina
sembra quasi esserci un’intesa tra il dipinto ed il poeta. Il poeta cambia il proprio umore in base alle azioni
della donna, questo è un altro tratto tipico petrarchesco.
Solo al girar d’un bel modesto sguardo, ABBA ABBA CDC DCD
color, voglia, pensiero io cangio, e stato;
e a seconda ch’io ’l veggo, o dolce, o irato,
temo a vicenda o spero, agghiaccio od ardo.
55
Spiegazione uno dei sonetti più famosi di Alfieri, omaggiato anche da Foscolo. Il componimento è
dedicato ad una sorta di autoritratto di sé. “Di veraci detti” di parole autentiche. Due piccole incrinature
nell’autoritratto la testa china, sintomatico di un atteggiamento pensoso, e “pallido in volto”, per la paura.
Spiegazione non c’è l’idea di guardarsi allo specchio, c’è direttamente un autoritratto. La descrizione della
fisicità ci comunica che il mondo interiore del personaggio è scosso. La fronte è segnata, si nota della fatica
nei suoi occhi, capelli rossi e guance scavate, aspetto ardito, labbro gonfio e denti tersi. Il capo chino indica
la riflessione. Con il secondo verso della seconda quartina passiamo dall’aspetto fisico al comportamento.
Gli atti e le parole del poeta sono caratterizzati dalla velocità e da una connotazione positiva delle qualità
morali. Foscolo si autoritrae como una persona sola contro il mondo e con gli eventi a lui avversi.
Il poeta è quasi sempre triste e solo con i suoi pensieri, ricco tanto di vizi che di virtù, si fa trascinare dalle
emozioni e non dalla ragione antitesi petrarchesca, il poeta non segue ciò che è giusto. Il poeta aspetta la
morte perché nella vita non avrà gloria.
Elementi autobiografici
Poesie: 2 odi e 12 sonetti, pubblicati per tre volte tra il 1802 e il 1803 solo 12 sonetti ma essi sono tra i più
importanti dell’intero secolo.
Saggi su Petrarca
Antologia Vestigi della storia del sonetto italiano dall’anno MCC al MDCCC (1816): tra gli altri, Guittone
d’Arezzo, Cavalcanti, Dante, Cino, Petrarca, Giusto de’ Conti, Lorenzo de’ Medici, Pietro Bembo, Vittoria
Colonna, Veronica Gambara, Galeazzo di Tarsia, Della Casa, Angelo Di Costanzo, Torquato Tasso, Tassoni,
Redi, Menzini, Guidi, Zappi, Parini, Alfieri.
Foscolo nasce in Grecia, sull’isola dello Zante. Dal 1785 si trasferisce a Venezia. La lingua italiana non la
conosce subito, prima conosceva il greco ed il veneziano. L’artificialità della sua lingua poetica è dovuta sia
all’aver acquisito una lingua che dal prendere Petrarca come esempio.
Dal punto di vista economico, non possiamo comparare Alfieri (nobile) a quella di Foscolo (più tormentata)
57
Spiegazione “Non son chi fui” è una tessera petrarchesca, il poeta non si riconosce più. Egli critica la fine
dell’amore e della poesia. Il mirto è secco e le foglie dell’alloro sono sparse; questi due elementi erano parte
della sua speranza giovanile. Il poeta resiste solo per il desiderio di gloria e per l’amore verso la madre.
Le rime tornano alternate e non sono più solo incrociate.
Spiegazione riferimento a Della Casa per le inarcature ed i periodi lunghi. Non abbiamo una sintassi
eccessivamente complicata ma ci attira il modo in cui sono collegate le due quartine: la coordinazione tra
due subordinate temporali. Il punto fermo coincide con la fine della fonte. Le terzine sono collegate da
un’inarcatura. Nel sonetto il poeta si rivolge alla sera, personificata.
“Quando scendi mi sei così cara forse perché sei simile alla pace fatale, a quello della morte”. Le temporali
servono a comunicare che il desiderio del poeta di veder scendere la sera c’è sempre.
La sera fa vagare Foscolo con il suo pensiero verso il nulla eterno, ossia la morte. Visione materialistica
della vita che finisce con la morte. L’idea del tempo che continua a scorrere durante i nostri pensieri è
un’altra tessera petrarchesca.
“Mentre io sono fermo a contemplare la pace, lo spirito guerriero che mi ruggisce dentro dorme.”
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Spiegazione “passo interi giorni in questo sonno incerto e lungo, ma poi quando la notte scura chiama le
stelle e la luna dal cielo, l’aria fredda è piena di ombre mute, dove il piano è selvoso e più deserto.”
La principale arriva dopo una serie di descrizioni.
Le ferite metaforiche sono descritte come fisiche. Riemergono ricordi petrarcheschi (“pino” “troncon d’un
faggio”, Rvf 129).
Nell’ultima terzina capiamo che il testo è rivolto alla donna.
Spiegazione abbiamo un periodo che comincia all’inizio del sonetto e finisce alla fine della prima terzina.
Si innestano sulla principale una serie di relative, la prima affermazione è netta e risoluta (“Mai più toccherò
le sacre sponde”) sacre per la nascita di Venere e per l’infanzia di Foscolo. Egli si rivolge all’isola
chiamandola con il suo nome antico e sentendola come sua. le inversioni che alterano l’ordine del discorso
avvengono in modo sofisticato. L’Odissea viene citata attraverso “l’inclito verso”.
Foscolo condivide con Ulisse l’esilio ma, a differenza dell’eroe epico, egli non tornerà mai nella sua terra
natale.
L’isola non avrà mai il corpo di Foscolo ma solo i suoi versi, per loro il fato non ha previsto alcuna sepoltura.
Parallelo anche con Omero, visto che entrambi compongono versi.
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Il sonetto nell’Ottocento
Da un lato, si assiste a una evidente ‘crisi del sonetto’, a cui si preferiscono metri più brevi o più ampi.
Propensione ai temi politici e alla narrazione in versi, ai quali il sonetto tendenzialmente non si presta (ma,
per i temi politici, non era stato così nel Medioevo).
Dall’altro, specialmente negli anni finali del secolo e nei primi del seguente, la forma del sonetto è oggetto di
sperimentazioni sempre più notevoli sul fronte delle rime e della misura dei versi.
Il più grande poeta dell’Ottocento, Leopardi, non scriverà mai sonetti. Il sonetto durante l’Ottocento non
troverà mai la sua dimensione. Dal punto di vista metrico si prediligono la vallata e l’endecasillabo sciolto che
si prestano al respiro che richiede la narrazione. Nella seconda parte del secolo troviamo le sperimentazioni
più notevoli del sonetto, in una forma che comincia a sgretolarsi.
Lo schema rimico ed il numero/lunghezza dei versi rappresentano i cambiamenti più significativi.
Prima parte del secolo: prevalenza dello schema ‘foscoliano’ ABAB ABAB CDC DCD
Parte finale del secolo:
• ritorno allo schema ‘petrarchesco’ ABBA ABBA CDE CDE (ad es. in D’Annunzio)
• Sperimentazioni
• sullo schema rimico, fino al limite della possibilità di un sonetto ‘senza rime’
• sulla misura del verso – sonetti in ottonari, in settenari etc.
Sonetto in bisillabi, datato 1904, di Gustavo Botta (1880-1948)
Luna, / bella / nella / bruna // sera, / sgombra / l’ombra / nera. // Spandi / raggi / blandi // sui / faggi / bui.
• Sonetti ‘per l’occhio’, identificati visivamente e per la sintassi corrispondente alle partizioni, ma senza
schema rimico e senza isometria (es. Luigi Capuana, Semiritmi, 1888)
• Sonetti ricombinati, dove le singole strofe, sintatticamente autonome, sono disposte in una sequenza
inconsueta (ad es. 3+4+3+4; es. Remigio Zena, Poesie grigie, 1880)
Si attiene alle partizioni strofiche 4+4+3+3 e all’uso dell’endecasillabo regolare, ma fino all’inizio degli anni
Venti si discosta dallo schema tradizionale in alcuni aspetti:
• moltiplica le rime nella fronte e predilige la rima baciata nella sirma;
• ricorre ad inarcature anche ‘intertestuali’, cioè tra un sonetto e il seguente (es. Il capitano, nei Versi
militari, composti nel 1908).
Queste violazioni vengono messe da parte nei 15 sonetti dell’Autobiografia (1924, con fronte a rime alternate
e sirma a rime replicate) e nei 15 de I prigioni (1924, ancora con sirma a rime replicate).
Tra la seconda metà degli anni Trenta e la fine della seconda guerra mondiale
Carlo Betocchi (1899-1986), Sonetti d’amore a Emilia secondo l’imitazione dal Petrarca e da John Donne: 15
sonetti (poi ridotti a 13) composti tra fine anni Trenta e anni Cinquanta, ma raccolti in pubblicazione solo
molto dopo (Il sale del canto, 1980).
Eugenio Montale (1896-1981), Finisterre (1943): 15 testi destinati a confluire ne La bufera e altro (1956); 4
sono sonetti elisabettiani (4+4+4+2).
Giorgio Caproni (1912-1990)
• sonetto Folle vento (1939, su rivista)
• Sonetti dell’anniversario, composti nella seconda metà del 1942 e pubblicati in Cronistoria (1943);
quasi tutti con fronte e sirma a rime alternate
• Lamenti (ne Il passaggio d’Enea, 1943-1955)
Spiegazione inarcatura tra comparti metrici che consente la continuità tra le parti. Le rime non sono
regolari. Il luogo fisico dove si svolge la vicenda è una camera estranea, nella sola solitudine. Nella camera il
poeta legge ed impara da un altro grande poeta (Petrarca).
Carlo Betocchi, Sonetti d’amore a Emilia, I, datato 1944, poi come Versi sul fiume in Poesie del
sabato (1980)
Spiegazione il titolo è un elemento determinante per aiutarci a capire il senso del testo. C’è la scelta da
parte del poeta di un periodo lungo con inarcature e senza punteggiatura. Il lessico quotidiano lascia spazio
ad un linguaggio aulico.
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Tra la seconda metà degli anni Trenta e la fine della seconda guerra mondiale
Carlo Betocchi (1899-1986), Sonetti d’amore a Emilia secondo l’imitazione dal Petrarca e da John Donne: 15
sonetti (poi ridotti a 13) composti tra fine anni Trenta e anni Cinquanta, ma raccolti in pubblicazione solo
molto dopo (Il sale del canto, 1980).
Eugenio Montale (1896-1981), Finisterre (1943): 15 testi destinati a confluire ne La bufera e altro (1956); 4
sono sonetti elisabettiani (4+4+4+2).
Giorgio Caproni (1912-1990)
• sonetto Folle vento (1939, su rivista)
• Sonetti dell’anniversario, composti nella seconda metà del 1942 e pubblicati in Cronistoria (1943);
quasi tutti con fronte e sirma a rime alternate
Lamenti (ne Il passaggio d’Enea, 1943-1955)
Carlo Betocchi, Sonetti d’amore a Emilia, I, datato 1944, poi come Versi sul fiume in Poesie del
sabato (1980)
Tra la seconda metà degli anni Trenta e la fine della seconda guerra mondiale
Carlo Betocchi (1899-1986), Sonetti d’amore a Emilia secondo l’imitazione dal Petrarca e da John Donne: 15
sonetti (poi ridotti a 13) composti tra fine anni Trenta e anni Cinquanta, ma raccolti in pubblicazione solo
molto dopo (Il sale del canto, 1980).
Eugenio Montale (1896-1981), Finisterre (1943): 15 testi destinati a confluire ne La bufera e altro (1956); 4
sono sonetti elisabettiani (4+4+4+2).
Giorgio Caproni (1912-1990)
• sonetto Folle vento (1939, su rivista)
• Sonetti dell’anniversario, composti nella seconda metà del 1942 e pubblicati in Cronistoria (1943);
quasi tutti con fronte e sirma a rime alternate
• Lamenti (ne Il passaggio d’Enea, 1943-1955)
Carlo Betocchi, Sonetti d’amore a Emilia, I, datato 1944, poi come Versi sul fiume
in Poesie del sabato (1980)
Spiegazione abbiamo una serie di verbi coordinate e tre subordinate che si collegano l’una con l’altra.
Siamo in certi sull’identità della figura che compie la discesa verso lo stagno. Il “Tu” potrebbe riferirsi alla
donna o ad un “Io” alternativo, che indicherebbe un colloquio interiore. L’”Io” invita il “Tu” a compiere una
serie di azioni: “Scendi”, “Scegli”, “Dimentica”. Il sole è autunnale, di settembre, con la temperatura che
comincia a rinfrescarsi. Contrasto tra lo stagno azzurro ed il cielo.
“Scegli la rosa della tua memoria” “Rosa” è metafora del ricordo migliore.
Il “Se” introduce una secondaria che ci porta in una situazione di incertezza. I giorni a cui il poeta si riferisce
fanno parte del passato, non sono i giorni attuali del tempo della narrazione. Il soggetto, dal punto di vista
grammaticale, non è la figura femminile ma la canestra e questo accresce la atmosfera di irrealtà della
scena. Il periodo unico scelto da Betocchi permette il flusso di pensiero da una cosa all’altra, con un silenzio
finale che permette a Betocchi di indicare un qualcosa che supera il bordo dello stagno.
«Nel sonno. Poesia di guerra e di ricordo. L’avversario […] può essere il male o il destino dell’uomo. Suoni
vari e colori nel ricordo di chi dorme». autocommento
Spiegazione per Montale, la guerra è un trauma che legittima il ritorno al sonetto, per questo motivo nella
raccolta “Finisterre” (1943) troviamo 4 sonetti Elisabettiani. La scelta di utilizzare i sonetti Elisabettiani è
dovuta all’ammirazione per Shakespeare e alla figura di Irma Brandeis, conosciuta a Firenze e che per 5
anni fu la donna amata; ella era un’amante della letteratura inglese. Il lessico di questi sonetti ricorda
principalmente Dante, piuttosto che Petrarca.
Lo schema di rime di questo sonetto è tipico del sonetto Elisabettiano, con versi regolari in endecasillabi
(tranne il settenario indicato sopra). Nelle rime, invece, abbiamo irregolarità, con un’alta densità di sostituti
della rima (assonanza, rima imperfetta, ..)
I titolo ci dice qualcosa del testo, in questo caso ci fa capire la situazione rappresentata, che accade nel
sonno. Questo viene ribadito da un breve autocommento.
Il testo è incorniciato da due subordinate temporali (“Quando”), uno schema ciclico tipico del sonno.
“Quando un’iride si offusca perché ci si sta addormentando, con palpiti dell’occhio intermittenti”.
65
I primi versi non contengono un verbo e questo crea una sensazione di attesa.
“Canto delle strigi” le strigi sono dei rapaci notturni, portatori di malaugurio.
“L’errore che recinge le tempie” Riferimento al terzo canto dell’Inferno di Dante.
“Cedri” probabilmente l’idea del cedro fa riferimento ad un testo barocco seicentesco.
Il canto, l’errore, i sospiri di gioventù sono tutti elementi che precedono l’addormentarsi.
La luna d’amaranto è una luna di un rosso acceso, è una luna apocalittica. L’immagine di sangue
dell’amaranto della luna si impone anche oltre la morte, occupa tutto lo spazio.
Perché poesia di guerra? “Punge il suono d’una giga crudele, l’avversario chiude la celata sul viso.”
La “Giga” è una danza rituale seicentesca che punge, perché ha note staccate; è una musica infernale.
Spiegazione anche questo sonetto presenta il tipico schema Elisabettiano. Il testo è molto segmantato sin
dall’inizio e si parte subito con un’affermazione molto negativa. Il nerofumo dello specchio fa riferimento ad
uno specchio ossidato, dove non ci si può aspettare. In esso non si possono vedere i “voli riflessi”
allusione alla vita. In sintesi, il nero specchio non mostra traccia di vita. Il cerchio d’oro è la cornice dello
specchio.
Nella seconda quartina, Montale si riferisce direttamente ad Irma. Montale sente il bisogno della presenza
fisica dell’amata (“fuggo l’iddia che non si incarna”).
Prima terzina: entra in scena la guerra. Il ronzio degli aerei si associa con il ronzio del mortorio, che
letteralmente significa funerale, dove il ronzio indica i lamenti funebri. Nella cornice tornano le ombre della
sera.
«Le èlitre sono gli aerei di guerra visti come funesti insetti. Due vite, la tua e la mia ma anche in generale le
sorti dei singoli individui. Meduse, ombre nello specchio, particolare realistico. Il personaggio è tanto assente
da sembrar quasi morto. Emerge dallo specchio e porta ancora gli orecchini di corallo. […] Verrà di giù dal
nero dell’inconoscibile. Il volo è il tuo. E di chi potrebbe essere? La spugna, simbolo di ciò che cancella, ma
anche particolare realistico».
«Escludo che le mani fossero mie o del fantasma. Forse sono mani che escono dai sepolcri di gente gassata
o massacrata (ebrei come il fantasma [di Irma Brandeis-Clizia]); ma possono essere anche mani non
identificabili che sorgono dal nulla e vi ricadono. Gli orecchini non erano a pendente ma a fermaglio, di un
genere che spesso richiede mano estranea». autocommento
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Spiegazione questo è l’unico sonetto dove Caproni sceglie di staccare i versi. Caproni non usa i sonetti
Elisabettiani come Montale, inoltre egli ama le rime perfette a differenza del collega. Questo testo venne
inizialmente pubblicato in rivista nel 1939. La pausa più forte del testo arriva dopo le quartine.
Il testo comincia con un’esclamazione nei confronti della città di Genova, dove Caproni mancava da tempo.
Le rime Veleggiare/Approdare riassumono l’esperienza del viaggio.
Il “ti” in “ritrovarti” potrebbe riferirsi alla stessa Genova o alla madre, menzionata nelle terzine successive.
L’arrivo al giorno seguente delle capre è un qualcosa di rassicurante ed è un parallelismo con Caproni che
torna nella sua città.
Giorgio Caproni, Sonetti dell’anniversario, I (1943)
Spiegazione sono così tante le immagini in questo sonetto che è impossibile interpretarlo in maniera
univoca.
La morte della fidanzata Olga farà scrivere molti sonetti a Caprone che confluiscono nelle raccolte
“Anniversario” e “Cronistoria “. Lo schema di rime qui è alternato.
Il sonetto è rivolto ad Olga, morta fisicamente e che comincia a sparire nel ricordo; il sonetto è dunque una
riflessione su cosa rimane del ricordo.
Da “Sulle compagini” abbiamo una serie di frasi nominali che rendono estremamente difficile interpretare il
testo.
“Tante pietre” tombe nel cimitero o rovine di Roma. Forse anche pietre della Val Trebbia, dove Olga è
sepolta.
“Scienza demente” perché sappiamo poco della morte
Nella parentesi, Caproni mette in discussione la certezza del nome, egli ha il dubbio che anche il nome può
essere destinato a sparire.
Caproni stesso afferma di aver scritto poesie per domare le sue passioni.
67
Sonetto primaverile (1960): 14 sonetti (endecasillabi non canonici; assonanze o rime imperfette al posto
della rima; sintassi libera rispetto alle partizioni)
L’hobby del sonetto (incompiuto): corona di 112 sonetti (14x8)
- Andrea Zanzotto (1921-2011)
Ipersonetto, al centro de Il Galateo in Bosco (1978): 14 sonetti più una premessa e una postilla
«così ancora di te mi sono avvalso, / di te sonetto, righe infami e ladre – / mandala in cui di frusto in frusto
accatto». (Postilla, a F. Fortini, vv. 12-14)
«[…] la certezza che viene dalla misura metrica e, anche mediante questa, dalla cosiddetta forma […] è
anche l’ambizione di produrre un oggetto, di diventare un oggetto, una cosa, un bene, come si suol dire,
durevole» (Fortini 1980).
Con il termine “Ipersonetto” si intende un componimento fatto da più sonetti, con 14 sonetti che sostituiscono
i 14 versi del sonetto.
L’Ipersonetto è costruito ‘a norma’ o ‘a regola d’arte’, ma con materiali sparsi raccolti nel ‘bosco’.
• Endecasillabo regolare (ma non sempre nel ritmo)
• Prevalenza di rime perfette, pur nella varietà degli schemi rimici
• Divisione tra quartine e terzine, sostanzialmente rispettata dalla sintassi
XI (Sonetto del che fare e che pensare)
Che fai? Che pensi? Ed a chi mai chi parla? / Chi e che cerececè d’augèl distinguo, / con che stillii di rivi il
vacuo impinguo / del paese che intorno a me s’intarla? (1-4)
Che pensi tu, che mai non fosti, mai / né pur in segno, in sogno di fantasma / sogno di segno, mah di mah,
che fai? // voci d’augei, di rii, di selve, intensi / moti del niente che sé a niente plasma, / pensier di non
pensier, pensa: che pensi? (9-14)
68
Edoardo Sanguineti (1930-2010), ad es. Erotosonetto (1979, ma pubblicato in Segnalibro, 1982): sonetto
regolare, con rime perfette; in ogni verso quasi solo parole che cominciano con la stessa lettera; con
acrostico ‘Sanguinetiamat’.
Se sa sedurti soltanto un sonetto
Archetipo d’amaro amore assente,
Nasconderò nei tuoi nomi il mio niente,
Golfo mio, mia girandola, mio ghetto: [vv. 1-4]
Giovanni Giudici (1924-2011), Salutz (1986): 70 componimenti di 14 versi indivisi di varia misura, spesso con
schemi rimici che sembrano rinviare al sonetto, più un Lais conclusivo.
Patrizia Valduga (1953-) – solo forme chiuse, ma grande varietà di schemi; temi inattesi e provocazioni
I medicamenta (1982): 22 sonetti (in mezzo ad altre forme)
Medicamenta e altri medicamenta (1989): aggiunge altri 8 sonetti.
Gabriele Frasca (1957-) – lavoro estremo sulle forme della tradizione; spesso schema ABBA ABBA CDC
DCD; solo minuscole e assenza di punteggiatura.
«Sonetti, sestine, ottave, terzine ecc. rappresentano dei veri e propri dispositivi che consentono di mettere al
riparo l’individuo non tanto e non più dalle tragedie della storia quanto da quelle individuali, biologiche, legate
allo scorrere inesauribile del tempo […]» (Magro 2017, p. 223)
‘Gruppo ’93’ – es. sonetto ‘circolare’ di Marco Berisso sulla natura di amore
Edoardo Sanguineti (1930-2010), ad es. Erotosonetto (1979, ma pubblicato in Segnalibro, 1982): sonetto
regolare, con rime perfette; in ogni verso quasi solo parole che cominciano con la stessa lettera; con
acrostico ‘Sanguinetiamat’.
Se sa sedurti soltanto un sonetto
Archetipo d’amaro amore assente,
Nasconderò nei tuoi nomi il mio niente,
Golfo mio, mia girandola, mio ghetto: [vv. 1-4]
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Giovanni Giudici (1924-2011), Salutz (1986) (allude al genere della poesia trobadorica) : 70 componimenti di
14 versi indivisi di varia misura, spesso con schemi rimici che sembrano rinviare al sonetto, più un Lais
conclusivo.
Questi autori tornano al sonetto per traumi privati, come la morte e la malattia; i traumi non sono più
“universali” ma personali.
Giovanni Raboni
da Ogni terzo pensiero (1993),
sezione Sonetti d’infermità e convalescenza
70
Giovanni Raboni
da Ogni terzo pensiero (1993),
sezione Altri sonetti
«Non c’è niente secondo me che liberi più l’immaginazione del dover rispettare una rima, perché a quel
punto scattano una quantità di associazioni che altrimenti uno non si permetterebbe, che non verrebbero
neppure in mente. D’altra parte […], io ho lavorato moltissimo sugli accenti. Gli accenti canonici servono per
ricordare l’esistenza del canone, ma in realtà quasi ogni sonetto ha grande prevalenza di versi con accenti
non canonici. Ciò rappresenta appunto quel corpo a corpo con la forma che secondo me è essenziale per
dare slancio al fare poetico» (1995).
«Il sonetto […] è diventato il modo in cui oggi penso la poesia. D’altra parte, quasi contemporaneamente ho
cominciato a lavorare contro il sonetto. I miei sonetti rispettano lo schema ma allo stesso tempo cercano di
disfarlo, di metterlo in discussione, per esempio con un gioco di accenti, di rime sulle particelle e sulle
congiunzioni» (1997).
Spiegazione visione profondamente creativa del sonetto, che si differenzia parecchio dalla visione relativa
al sonetto come esperienza post traumatica.
«Mi sono convinto che lo stesso lavoro di liberazione metrica che attraversa tutto il secolo si è un po’
esaurito» (1997).
«L’aver adottato ufficialmente una forma chiusa, da un certo punto in poi, è stato un modo per garantirmi […]
la possibilità di una maggiore compromissione ed esposizione dell’io autoriale nel testo o di assumere in
altre parole, finalmente e senza schermi, una voce lirica. Era un modo per avere uno spazio dentro il quale
muovermi» (1997).
Sul sonetto: stabilità o variazione?
«Nessuna forma metrica del patrimonio romanzo quanto il sonetto appare, nella sua lunga vita, così costante
nella figura e così polivalente per funzione e contenuti». (Gorni 1993, p. 63)
In realtà, «nessuno dei tratti distintivi solitamente deputati a render conto della sua struttura superficiale
possiede il requisito dell’invarianza» (Menichetti 1975, p. 1), cioè:
• il numero dei versi può variare (es. sonetto rinterzato, caudato etc.)
• il numero delle sillabe (es. sonetto di settenari)
71
«Mentre le canzoni dei Provenzali e dei loro seguaci italiani possono dilungarsi per un lasso di tempo
indefinito, il sonetto offre un’energica compressione, un’unità facilmente discernibile, una direzione lineare
unica, che lo rende paragonabile all’epigramma antico. Per me dunque il sonetto è prima di tutto un’unità
(che ha suddivisioni), non due parti (che giungono, in una maniera o in un’altra, all’unità)».
(Spitzer 1958, p. 65)
‘Le Sonnet suit l’épigramme de bien près, et de manière, et de mesure : et […] n’est autre chose que le
parfait épigramme de l’Italien, comme le dizain du Français. Mais pource qu’il est emprunté par nous de
l’Italien, et qu’il a la forme autre que nos épigrammes, m’a semblé meilleur de le traiter à part’
[Il sonetto segue l’epigramma e ne è vicino, di maniera e di misura. Non è altra cosa che l’epigramma
perfetto dell’italiano, come il dizain lo è del francese. Ma perché noi l’abbiamo preso in prestito dall’italiano, e
ha una forma diversa dai nostri epigrammi, ho pensato che fosse meglio trattarlo a parte].
Thomas Sebillet, Art poétique françois [1548], in Traités de poétique et de rhétorique de la Renaissance, a
cura di Francis Goyet, Parigi, Le Livre de poche classique, 1990, p. 107.
«È sentenzia di Platone che il narrare brevemente e dilucidamente molte cose non solo pare mirabile tra gli
uomini, ma quasi cosa divina. La brevità del sonetto non comporta che una sola parola sia vana; e il vero
subietto e materia de’ sonetti per questa ragione debbe essere qualche acuta e gentile sentenzia, narrata
attamente e in pochi versi ristretta, fuggendo la oscurità e durezza. Ha grande similitudine e conformità
questo modo di stilo collo epigramma quanto all’acume della materia e alla destrezza dello stile, ma è degno
e capace il sonetto di sentenzie più gravi, e però diventa tanto più difficile. Confesso el ternario essere più
alto e grande stile e quasi simile all’eroico; né per questo però più difficile, perché ha el campo più largo, e
quella sentenzia, che non si può ristrignere in due e in tre versi sanza vizio di chi scrive, nel ternario si può
ampliare».
(Comento de’ miei sonetti)
«Le canzone mi pare abbino grande similitudine colla elegia, ma credo, o per natura dello stile nostro o per
la consuetudine di chi ha scritto insino a qui canzone, lo stile della canzone non sanza qualche poco di
pudore ametterebbe molte cose non solamente leggieri e vane, ma troppo molle e lascive, le quali
comunemente si trovono scritte nelle latine elegie. Le canzone ancora, per avere più larghi spazii dove
possino vagare, non reputo tanto difficile stile quanto quello del sonetto. E questo si può assai facilmente
provare colla sperienzia: perché chi ha composto sonetti e se è ristretto a qualche certa e sottile materia, con
grande difficultà ha fuggito la oscurità e durezza dello stile; e è grande differenzia dal comporre sonetti in
modo che le rime sforzino la materia, a quello che la materia sforzi le rime. […] Concluderemo per questo el
verso vulgare essere molto difficile, e, tra gli altri versi, lo stile del sonetto difficillimo, e per questo degno
d’essere in prezzo quanto alcuno degli altri stili vulgari».
Spiegazione il modo corretto di scrivere sonetti è che le rime derivino dalla materia, di solito accade
invece il contrario.
«[…] come suol avvenire a molti, che volendo richiuder gran cose in così pochi versi, vengono ad oscurarsi
in modo che ad intendergli a pena basterebbe quell’Edipo che vinse la Sfinge, dichiarandole l’oscurissimo
enimma; e senza empiture altresì, come accade a coloro che, mendicando i concetti, procurano di finire il
sonetto nel meglior modo che possono; e tal volta in modo vien loro data la corda, per dir così, dalle rime,
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che i meschini contra loro voglia si conducono a dir cose che non avevano giamai pensate di dire. E il Signor
Francesco Maria Vialardi […] suol dire che il far sonetti è simile al letto di Procuste tiranno […]».
Spiegazione anche qui il problema sono le rime, che forzano il poeta a dire un qualcosa che non
intendeva dire.
Lezione del sonetto (1592), di Cesare Crispolti
«Una sol cosa mi resta da avvertire, ch’il concetto che s’avrà da spiegare nel sonetto, sia sopra qual si voglia
materia, non deve esser maggiore né minore di esso sonetto. Onde alcuni lo paragonarono al letto di
Procuste tiranno, qual letto se avanzava di grandezza a coloro che vi si coricavano, il tiranno li faceva con
funi et ingegni talmente tirare ch’a viva forza li riduceva alla giusta misura dell’istesso letto. E se il letto era di
misura più picciola di coloro ch’in esso giacevano, il medesimo tiranno faceva tagliare tutto quello che di più
avanzava. Così il concetto che si ha da stendere in quatordeci versi, se talvolta tutto abbracciato e compreso
non reste, perde ciò che ha di rimanente, perciò che l’autore il taglia. E se il concetto è più picciolo, con
epitteti et altre empiture si va tanto stiracciando e tirando il povero concetto che bisogna per forza arrivi al
quatordecimo verso».
Spiegazione l’aggiunta di elementi inutili nel sonetto costringe il concetto di base ad essere messo
nell’ultimo verso.
«Il sonetto, sì come di bellezza supera tutte l’altre poesie toscane, così è anco sovra tutti gl’altri
componimenti il più difficile che far si possa. Nasce questa difficoltà da molte cagioni, ma principalmente
dalla picciolezza sua. In un quadro grande dipinto non si notano se vi sono alcune cose fatte meno
acconciamente, né poste a suo luogo né distinte con l’ombre, perché ve ne sono molt’altre che con la varietà
dei colori, con la distinzione de’ membri, con l’ornamento delle vesti e con bella situazione de’ luoghi
rapiscano gli occhi e gli animi di coloro ch'il mirano. Ma in una picciola pittura si nota con severo giudizio
ogni diffetto per minimo che sia. Il medesimo appunto avviene nel sonetto, dove tutte le cose che si dicano in
un istesso tempo s’influiscono nell’animo. […]
Il sonetto, se ben talora tratta di materia grave et illustre, come la canzone, tuttavia non la dilata né, per
adornarla, altre cose porta di fuori; ma di tutte quelle ricchezze la veste che può per se stesso in picciol
corpo ricevere».
Torquato Tasso, Lezione sopra il Sonetto Questa vita mortal (1570 ca.)
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