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DELLA PRONUNZIA

Molto sarebbe da dire per quanto riguarda la pronunzia, perché, anche senza parlare degli stranieri
che si accingono allo studio del canto nel nostro idioma, nella stessa Italia, dove parrebbe che la
nostra lingua, dotata di tante proprietà armoniose, dovesse essere facile per il canto, non si trova una
perfetta pronunzia, salvo nella fusione della toscana colla romana. Ma non è compito nostro entrare
in questi particolari.
Parlando delle consonanti, ho già accennato qualcuno dei difetti che influiscono sulla buona
pronunzia; ora intendo di dare uno sguardo sulla pronunzia in generale.
Pur avendo per massima di cantare sulle vocali, non appoggiando il suono sulle consonanti, queste
devono risultare sempre chiare, in modo che chi canta deve far comprendere esattamente le parole
che pronunzia anche cantando pianissimo.
Il canto dev’essere la “parola cantata” o resa suono come già dissi in principio di questo lavoro.
Un cantante che, pur curando la melodia e dando a questa la massima espressione sotto l’aspetto
puramente musicale, non sappia far sentire ben distinte le parole, non sarà mai un completo artista.
Egualmente, tutte le parole dovranno essere esattamente pronunziate secondo le leggi
dell’ortografia e dell’ortoepia.
Le doppie consonanti devono sempre risultare evidenti e con esse tutti gli accenti tonici.
Lo stesso si osserverà per tutte le parole nelle quali, per l’omonimia, non si ottiene chiarezza se non
accentando esattamente le vocali:

téma e tèma
óra e òra
sóle e sòle

ed in quelle in cui è assolutamente necessario far sentire il suono aperto o chiuso delle vocali E ed O
per non cadere nel ridicolo:

cóme tèrra còn

Si badi pure di non raddoppiare consonanti laddove esse devono essere semplici:

ammore, fedelle, dollore


invece di:

amore, fedele, dolore

Soventissimo, artisti, anche di valore, peccano nelle parole dove vi è un dittongo facendo sentire una
dieresi:

ci-ielo invece di: cielo


oltraggi-io invece di: oltraggio
presagi-io invece di : presagio

Nella pronunzia, diciamo così, giusta, i dittonghi devono costituire un amalgama delle due vocali che
li compongono e precisamente un suono solo e unico, il quale appunto è il risultato di questo
amalgama. Come nella favella, così nel canto, i dittonghi non devono essere divisi mai, meno quando,
per regioni di metrica, è richiesta la dieresi.
Infine un altro difetto di pronunzia lo abbiamo nel frapporre la vocale I fra le consonante GN e le
vocali che a quest’ultima possono seguire:

sdegnio invece di: sdegno


sognio invece di: sogno
Non parlo qui di certi casi dove si sente cantare

fatto per fato


l’amore è un dardo per l’amore ond’ardo
tapela per t’appella

Questi non sono più errori di pronunzia, ma semplicemente delle mostruosità, che mettono in
evidenza la crassa ignoranza di chi le commette.
Nei monosillabi poi che finiscono per consonante, come pure nelle parole che, divise, formano sillabe
che finiscono per consonante, non si dovrà mai appoggiare il suono sulle consonanti, anche se
doppie, ma sempre sule vocali, imperocchè il canto è, e non dev’essere altro che “vocale”: le
consonanti verranno portate sula vocale seguente.
Questo esempio potrà servire quale norma generale:

Per quanto riguarda le elisioni, non si possono dettare norme precise. In via generale, se l’elisione è
sottoposta ad una nota di corto valore, converrà pronunciare il dittongo e farlo sentire come nel
verso, cioè appoggiandosi sulla seconda vocale:

Se invece è sottoposta ad una nota di valore piuttosto lungo, non sempre converrà far sentire il
dittongo ma sarà efficace appoggiarsi per lo più sulla prima vocale. Perciò i passi seguenti:

si eseguiranno così:

Tutto ciò però è subordinato all’accento ritmico delle parole, alla loro espressione, alla maggiore
convenienza di appoggiarsi sopra l’una vocale invece dell’altra per facilitare tanto l’emissione vocale
quanto l’uniformità di timbro e infine al buon senso e alle esigenze della propria voce. Ogni caso
vuole essere considerato in modo diverso, tenendo sempre presente che, in tutto, bisogna aver per
massima la “chiarezza”.
Inoltre si consideri che la poesia può non essere per nulla legata alla musica; allora il compositore
suole generalmente non badare all’elisione poetica e scrivere come veramente si deve cantare.

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