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LA MIA VOCE
(lettura e public speaking per ragazzi)
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AVVERTENZA:
p.larotonda@fastwebnet.it
https://letturaadaltavoce.wordpress.com/
Facebook: Lettura ad alta voce e public speaking
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LA MIA VOCE
Pasquale Larotonda
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… una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di
superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni
a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini,
analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che
interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio,
complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla
rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare
e respingere, collegare e censurare, costruire, distruggere.
Gianni Rodari
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LEGGERE AD ALTA VOCE
5
Quindi fai tesoro di questi consigli nella vita di ogni giorno:
ogni volta che parli cerca di correggere i tuoi difetti per ottenere
una migliore conversazione. Di volta in volta cerca di non
spettegolare né di incolpare gli altri o essere negativo in genere.
Ma, intanto, c’è qualcosa che puoi fare subito: migliorare la tua
voce.
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MUSICA PER LE TUE ORECCHIE
Fallo subito, solo sei parole, più facile dei nomi dei 7 nani,
ricorda:
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Quindi non devi fare altro che applicare al tuo strumento gli
elementi utilizzati per le partiture delle opere e che troverai nella
tua cassetta degli attrezzi, dove sono riposti gli elementi
espressivi della voce che hai ormai imparato a padroneggiare.
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VOLUME E TIMBRO
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PUNTO PRIMO IL VOLUME
IL VOLUME CAMBIERÀ
MA FACILE NON È
IUOAE
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PUNTO SECONDO IL TIMBRO
DI GOLA OPPUR SI VA
ALTRE SONORITÀ
MA FACILE NON È
IUOAE
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L’APPARATO FONATORIO
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un’azione di coordinamento fra le varie componenti e una di
controllo dell’udito.”
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Fai: AHAHAHAHAHA – per scaldare le corde vocali.
Fai: BO… BO… BO… – è una labiale (da labbra).
Fai: BR BR BR BR – soffia come fanno i cavalli (è una
ginnastica per le labbra).
Fai: RRRRRRRRR – si dice “arrotare la R”.
Fai: LA LA LA LA – è una palatale (perché si appoggia al
palato).
Fai: uiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii – partendo dalla nota più alta e viceversa e
capirai di quante note puoi ascoltare dalla tua voce.
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Cos’è il diaframma?
In questo modo non restiamo mai senza aria a metà della frase.
ALCUNI ESERCIZI
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L’obiettivo è controllare il movimento, il respiro e l’emissione
della voce: dobbiamo perciò imparare ad arrivare, al n. 8 o al n.
1, esattamente nel momento in cui termina l’esercizio, non
prima e non dopo.
3. Esercizio
4. Esercizio
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C’era una volta una storia che non
voleva essere raccontata… Un giorno,
una zia si stava divertendo con i suoi
nipotini e aveva deciso di legger loro
una bella storia. I piccini si sedettero
tutti per terra davanti a lei, mentre lei
si appollaiò su una grossa sedia di
vimini, stringendo tra le braccia un
enorme libro di fiabe che però
conteneva solo figure e non parole
5. Esercizio
bellissimo
opportunità
casa
estrazione
desistere
calzare
ripetitività
deflagrazione
cangiante
validità
trotterellare
ostruire
avvinazzare
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6. Fissazioni fisiognomiche.
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in alto e in basso. Pausa. Ripeti facendo toccare alla lingua tutte
le posizioni destra-alto-sinistra-basso.
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ESERCIZI PER GLI INCONTRI DI CONSONANTI
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LA MASCHERA
1° esercizio:
2°esercizio:
na no na no
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ma mo ma mo
da do da do
1° esercizio:
EMISSIONE SONORA
1° GRUPPO:
A - È aperta - Ò aperta
2° GRUPPO:
I - É chiusa
3° GRUPPO:
U – Ó chiusa
1° esercizio:
IÈÉAÒÓU
ba be bi bo bu – bu bo bi be ba
da de di do du … du do di de da
fa fe fi fo fu – fu fo fi fe fa
la le li lo lu – lu lo li le la
ma me mi mo mu – mu mo mi me ma
na ne ni no nu – nu no ni ne na
pa pe pi po pu – pu po pi pe pa
ra re ri ro ru – ru ro ri re ra
sa se si so su – su so si se sa
ta te ti to tu – tu to ti te ta
va ve vi vo vu – vu vo vi ve va
za ze zi zo zu – zu zo zi ze za
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E ORA DIVERTIAMOCI UN PO’
FILASTROCCHE
Non sbaglia
la cagna
di Baia
se abbaia
nel buio
già prima
che appaia
la luna di luglio
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che subito
abbaglia
la baia
di Baia.
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Un tordo vive in ozio
Nell’orto di mio zio:
appena fa uno zirlo
mio zio corre a zittirlo.
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ciglia circonflesse della cincia tra
i cipressi circondavano le cime e
cianciavano di aceti cinquecento
sono i cigni della celebre cicuta.
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ESERCIZI PER L’ARTICOLAZIONE VELOCE
BLA-BRA-CLA-CRA-GRA-SBRA-SCRA-SDA-SDRA-SFA-
SFRA-SGRA-SLA-SRA-SNA-SPA-SPLA-SPRA-STA-STRA-
SVA-TRA-GNA-GLI-GLO-GLU
Se l’Arcivescovo di Costantinopoli
Si disarcivescovocostantinopolizzasse
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Vi disarcivescovocostantinopolizzereste voi
come si è disarcivescovocostantinopolizzato
l’Arcivescovo di Costantinopoli?
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SCIOGLILINGUA
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LETTURA DI UN TESTO DISEGNANDO
BENE CON LE LABBRA OGNI LETTERA
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ma pér trattar dél bèn ch'i' vi trovai,
dirò dé l'altre còse ch'i' v'hò scòrte.
DOMANDA RETORICA
E allóra ti sbrighi?
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E ORA CHIAMA “MASSIMILIANO!”
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IN MODO:
Dov’è Stefano?
Dov’è Stefano?
Doménica vèngo.
Domenica vengo.
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LEGGI A VOCE ALTA IL TESTO SEGUENTE
COME SE FOSSI
1) UN AVVOCATO IN TRIBUNALE;
2) UN PROFETA DELL’ANNO MILLE;
3) UNA SPIA CHE TRASMETTE MESSAGGI
SEGRETI;
4) UN DISC-JOCKEY
Raviòli
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Sistemate una porzióne di raviòli sópra una
gròssa fòglia, cospargéte di parmigiano,
avvolgéte il tutto in un’altra fòglia.
Legate ógni pacchétto cón un giro di còrda,
sènza stringere. E óra, buòn appetito!
PAROLA CUORE
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Itaca
ITACA
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Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente, e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
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INTERPRETA I PERSONAGGI CON UN AMICO
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Il professor Grammaticus
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sono, noi siamo!... Lo sa dove siamo noi, con tutto il verbo
essere e con tutto il cuore? Siamo sempre al paese, anche se
abbiamo andato in Germania e in Francia. Siamo sempre là, e là
che vorremmo restare, e avere belle fabbriche per lavorare, e
belle case per abitare. E guardava il professor Grammaticus con
i suoi occhi buoni e puliti. E il professor Grammaticus aveva
una gran voglia di darsi dei pugni in testa. E intanto borbottava
tra sé: - Stupido! Stupido che non sono altro. Vado a cercare gli
errori nei verbi... Ma gli errori più grossi sono nelle cose!
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IMPARA A IMITARE UNA VOCE ASCOLTATA
Se la chitarra suonavo
la gatta faceva le fusa ed una
stellina scendeva vicina, vicina
poi mi sorrideva e se ne tornava su.
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IMPRONTA VOCALE
Ci sono voci più chiare, più scure, chi limpida, chi rauca, chi
secca, chi nasale ecc.
Proviamo ad imitarli:
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PAUSE
METAMORFOSI DI KAFKA
Francesco De Gregori
(Fate una lettura espressiva e poi cantatela)
SOSPENSIONI
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“quando il cielo è nuvoloso”, la parola ombrello resterà come
sospesa a mezz’aria per poi chiudere in basso con la parola
finale della frase e cioè “nuvoloso”
RIDERE
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Su diverse vocali: Uh! uh! Uh! Chi te l’ha raccontata? Uh!
uh! Uh!
Su diverse vocali: Ih! ih! ih! Chi te l’ha raccontata? Ih! ih!
ih!
VELOCITA’ E ARTICOLAZIONE
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dell’uomo che, non paga di fare i figli, vuol fare anche le seppie
coi piselli; quel giorno; perché non le fa tutti i giorni; questo non
è il cibo particolare dell’uomo; è un capriccio, una raffinatezza,
un di più; quel giorno le è saltato il ticchio di fare le seppie coi
piselli; senza interpellare le seppie, senza domandare ai piselli se
sono d’accordo. La femmina del re del mare, della terra e del
cielo, compera le seppie e i piselli mediante il denaro
guadagnato e fabbricato; perché l’uomo ha inventato anche il
denaro, e lo fabbrica, lo guadagna, lo contende, lo nega.Ma
torniamo alla donna. Va a casa. Spella, taglia, scafa. Seppie e
piselli – partiti rispettivamente le une dagli abissi del mare, gli
altri dalle viscere della terra, s’incontrano in un tegame
sfrigolando. Da questo momento i loro destini sono legati. Nel
primo istante c’è un po’ di freddezza, ma dopo poco, bon gré
mal gré, s’accordano a meraviglia. Insieme vengono scodellati,
insieme arriveranno a tavola, insieme verranno assaporati e
lodati, né cercheranno di sopraffarsi l’un l’altro. Consummatum
est. Rientrano nel tutto. Hanno percorso fino in fondo le
traiettorie del loro lungo viaggio e delle loro brevi vite che, con
un’effimera fosforescenza nel buio dell’universo, si sono
incontrate, fuse e spente. (da Manuale di conversazione, 1973)
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E ORA METTIAMOCI AL LAVORO
LA PUNTEGGIATURA E LA PAUSA
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LA LETTURA: UN ATTO D’AMORE
La punteggiatura e la pausa
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o “Stasera vado a cena dalla nonna” (finalmente mi decido
e vado a cena dalla nonna);
Devi sempre tenere conto del sottotesto: paroline non scritte che
sono il vero significato della frase. Non possiamo certo
pronunciare il sottotesto ma possiamo enfatizzare la parola
chiave.
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GLI ELEMENTI ESPRESSIVI DELLA VOCE
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Tempo: E’ la maggiore o minore velocità con cui
leggiamo, affidato alla sensibilità individuale,
paragonabile alla buona esecuzione di un pezzo
musicale. Le variazioni del tempo non stridono mai fra
loro ma compongono un tutto armonico che suscitano
emozioni e reazioni diverse nell’ascoltatore. Le
variazioni di tempo possono essere: lentissimo – lento –
adagio – mosso – veloce.
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suo autore. Si può avere una scala da 1 a 10 a partire
dalla contrazione più modesta fino ad arrivare alla più
forte dell’apparato fonatorio.
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TONO
Ricordi la lettura dei primi versi della Divina Commedia che hai
letto negli esercizi, dal grave all’acuto e viceversa? Quello che
hai fatto è proprio variare i toni in una lettura.
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Anche se la tecnica è spesso guardata con diffidenza, specie in
un campo di indagine come questo, sarebbe impossibile volersi
cimentare negli elementi espressivi della voce senza conoscere,
tecnicamente, quali possibilità di TONO esistano.
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ESERCITAZIONI SUL TONO
1 nota bassa
5 o 6 nota centrale
10 nota acuta
“Sulla cima del monte indorato dai pacifici raggi del sole, che va
( 7 )( 5 )( 3
fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco
( 5 )( 6 )(4 )(3) ( 2
voragine…”
2 )
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VOLUME
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Così, mentre un volume debole suggerirà il raccoglimento di un
passaggio intimo o delicato oppure soffuso del discorso, il
VOLUME forte, ne individuerà un altro invece aggressivo, ad
esempio, conferendogli una marcatura con parole e sillabe
scagliate come strali.
1 - volume modestissimo
5o6 - volume medio
10 - volume fortissimo
Vale quanto detto per il tono: l’esercizio che segue può essere
eseguito anche in modalità diverse, determinate dal nostro gusto
estetico; anche le variazioni di VOLUME possibili sono molte.
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ESERCITAZIONI SUL VOLUME
1 volume modestissimo
5o6 volume medio
10 volume fortissimo
Mio zio era nuovo arrivato, essendosi arruolato appena allora per
( 5 )( 3 3
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TEMPO
__ lentissimo
_ lento
o adagio
+ mosso
++ veloce
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ESERCITAZIONI SUL TEMPO
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RITMO
Puoi giocare con questo; come fanno i grandi oratori o gli attori
che inseriscono delle pause inaspettate, talora lunghissime, nei
loro discorsi.
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Pensate per un attimo all’intensità, alla capacità di attrazione
che può avere una pausa al momento giusto. Una pausa, in un
fiume di parole, è un diversivo. Qualcosa che può sorprendere
l’uditorio, che si chiederà: “E ora che succede? Perché si è
fermato?”
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ESERCITAZIONI SUL RITMO
/ pausa breve
// pausa lunga
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MORDENTE
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ESERCITAZIONI SUL MORDENTE
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COLORE
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le giustificazioni umane dell’autore per ridonare lo smalto
originale ad un discorso altrimenti inerte, scarsamente
comunicabile, e nel contempo, mostrare all’ascoltatore come
l’oratore lo abbia rivissuto e filtrato attraverso la propria
personalissima individualità.
1. Squillante
2. Grave
3. Solenne
4. Affettuoso
5. Drammatico
6. Bonario
7. Scherzoso
8. Convincente
9. Imperioso
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10. Afflitto
11. Lacrimoso
12. Iroso
13. Implorante
14. Umile
15. Minaccioso
16. Fiero
17. Ironico
18. Cordiale
19. Amoroso
20. Sincero
21. Malizioso
22. Accondiscendente
23. Romantico
24. Narrativo
25. Indifferente
26. Accorto
27. Aggressivo
28. Violento
29. Volgare
30. Triste
31. Affermativo
32. Ansioso
33. Interrogativo
34. Conclusivo
35. Esplicativo
36. Sensuale
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ESERCITAZIONI SUL COLORE
( paragonabile a un sentimento)
La voce restituisce all’ascoltatore una immagine sonora riflessa
di uno stato d’animo
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PEDANTE: “L’animale che Aristofene vuole che si chiami
ippocampelofantocamaleone. tante ossa e tanta carne
ebbe sotto la fronte!”
ARROGANTE: “Ohi, compare, è in moda quel puntello? Si può infatti
benissimo sospendervi il Cappello!”
ENFATICO: “Alcun vento, o naso magistrale, non può infreddarti,
eccetto il Maestrale!”
DRAMMATICO: “È il Mar Rosso, quando ha l’emorragia!”
AMMIRATIVO: “Oh, insegna di gran profumeria!”
LIRICO: “E’ una conca? Siete il genio del mare?!”
SEMPLICE: “Il monumento si potrà visitare?”
RISPETTOSO: “Soffrite vi si ossequi, messere, questo sì che vuol
dire qualcosa al sole avere!”
RUSTICO: “Ohè, corbezzole! Dàgli, dàgli al nasino! E’ un cavolo
gigante o un popon piccolino?”
MILITARE: “Puntate contro cavalleria!”
PRATICO: “Lo vorreste mettere in lotteria? Sarebbe il primo lotto!”
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DISTRIBUZIONE DI TUTTI I VALORI ESPRESSIVI IN UN
TESTO
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PROMESSI SPOSI – Cap. XXXIV Il brano inizia con
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Quindi: leggiamo il primo periodo, distribuiamo il COLORE
voluto, passiamo al TONO. Rileggiamo il periodo mantenendo
il COLORE e il TONO fissati e aggiungiamo il VOLUME.
Dopo, il TEMPO, il RITMO e il MORDENTE, mantenendo
sempre gli altri valori fissati.
82
voce lugubre: «qua, monatti!». E con suono ancor più sinistro,
da quel tristo brulichìo usciva qualche vociaccia che rispondeva:
«ora, ora». Ovvero eran pigionali che brontolavano, e dicevano
di far presto: ai quali i monatti rispondevano con bestemmie.
Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non
guardar quegl’ingombri, se non quanto era necessario per
iscansarli; quando il suo sguardo s’incontrò in un oggetto
singolare di pietà, d’una pietà che invogliava l’animo a
contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo.
Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il
convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza
avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata
e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un
languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa,
che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata,
ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan
segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che
di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta
consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto
che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà
e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito
ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni,
morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte,
con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero
adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per
premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un
braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva;
se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una
parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sul
l’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno:
della madre, ché, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse
fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due
ch’esprimeva ancora un sentimento. Un turpe monatto andò per
levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito
rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi
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indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse:
«non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro:
prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa,
e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò:
«promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che
altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così». Il monatto si
mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi
ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come
soggiogato che per l’inaspettata ricompensa, s’ affaccendò a far
un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a
questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce
l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime
parole: «addio Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche
noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io
pregherò per te e per gli altri». Poi voltatasi di nuovo al monatto,
«voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere
anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un
momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra
bambina più piccola, viva ma coi segni della morte in volto.
Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima,
finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve.
E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le
rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? Come il
fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora
in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del
prato.
84
irrazionali reazioni sue alla politica ed ai capricci del prossimo
(capricci chiamava, quando era irritato, ciò che da calmo
designava come passioni); e questi fastidî se li passava in rivista
ogni giorno, li faceva manovrare, comporsi in colonna o
spiegarsi in fila sulla piazza d’armi della propria coscienza
sperando di scorgere nelle loro evoluzioni un qualsiasi senso di
finalità che potesse rassicurarlo; e non ci riusciva. Gli anni
scorsi le seccature erano in numero minore e ad ogni modo il
soggiorno a Donnafugata costituiva un periodo di riposo: i
crucci lasciavano cadere il fucile, si disperdevano fra le
anfrattuosità delle valli e stavano tanto tranquilli, intenti a
mangiare pane e formaggio, che si dimenticava la bellicosità
delle loro uniformi e potevano esser presi per bifolchi
inoffensivi. Quest’anno invece, come truppe ammutinate che
vociassero brandendo le armi, erano rimasti adunati e, a casa
sua, gli suscitavano lo sgomento di un colonnello che abbia
detto: «Fate rompere le righe!» e che dopo vede il reggimento
più serrato e minaccioso che mai.
85
LA MADRE DI CECILIA
86
IL GATTOPARDO
87
ombra la grazia contegnosa della sua Concetta, / Tancredi /
(T4/V4/TM+/M2) ( T6/V6/TM+M3)
C: narrativo esplicativo………………………………………
88
DIZIONE E PRONUNCIA
PROMEMORIA
La “s”(sorda o sonora)
Ecco i segni fonetici che ci fanno riconoscere gli otto suoni nelle
pagine seguenti:
91
Nei numerali in -èsimo.
dodicèsimo, sedicèsimo, ventèsimo, centèsimo...
Nei monosillabi.
che, me, re (sovrano), te (pron.pers.), tre [pronuncia: ché, mé,
ré, té, tré]
92
Nei nomi e aggettivi terminanti in -éccio.
caseréccio, cicaléccio, mangeréccio, pateréccio, villaréccio...
93
Nei nomi e diminutivi in -étto, -étta.
architétto, bozzétto, fogliétto, poverétto, strétto, tétto...
ariétta, casétta, baiétta, burlétta, civétta, fossétta...
94
Nei nomi che terminano in -iòlo.
canciaiòlo, crogiòlo, figliòlo, mariòlo, mostacciòlo, vaiòlo...
Nei monosillabi.
no, so, do [pronuncia nò, sò, dò].
95
La “o” chiusa (ó)
96
La “s” sorda (s)
Quando è doppia.
rosso, assai, assessore...
Quando è seguita, sia all'inizio sia nel corpo della parola, da una
delle seguenti consonanti: c, f, p, q, t.
scansare, asfalto, aspetto, Pasqua, astio...
Nella maggioranza dei casi la “s” che si trova fra le due vocali è
97
sonora:
98
-iʒʒarre (elettriʒʒare, sintetiʒʒare, sonoriʒʒre... )
-iʒʒire (imbiʒʒire... )
-iʒʒatore (vaporiʒʒatore, sonoriʒʒatore... )
Nel corpo della parola la “z”, semplice o doppia, è ora sorda ora
sonora.
-aguzzo, aguzzare
- ma: agu(ʒʒino)
-amaʒʒone, arʒillo, aʒienda, aʒʒardo, aʒʒurro
-azzittire, azzuffare, balza, balzare, balzello
.barʒelletta, baʒʒecola
-bazzicare
-biʒantino, biʒʒa, biʒʒarro
-bozzetto, bozzolo
-breʒʒa, bronʒo, buʒʒurro
-calzetta, calzone, canzone
-doʒʒina
-drizzare, Enzo, fidanzato
99
-friʒʒo, friʒʒante, garʒone, gaʒʒarra
-gozzo, guazzabuglio, gozzoviglia, guizzo, impazzire,
intenzione
-laʒʒo, leʒʒo
-lizza
-magaʒʒino
-mazzo, Mazzini, merluzzo, nunzio, nuziale
-oleʒʒo, oleʒʒante
-paranza, pazzo, pozzo
-pranʒo
-prezioso, profezia, punzecchiare
-raʒʒo, roʒʒo, sbuʒʒare
-scherzo, senza
-sgabuʒʒino, soʒʒura
-spezia, sprizzo, sprazzo, spruzzo, stizza
-trameʒʒo, uʒʒolo, verʒura
-vezzoso, vizio, vezzo, Venezia...
100
LETTURE
BRANI E POESIE PER ESERCITARSI
101
Gabriel Garcìa Màrquez – Cent’anni di solitudine
102
sua moglie, che faceva conto su quegli animali per rimpinguare
il deteriorato patrimonio domestico, non riuscì a dissuaderlo.
“Molto presto ci avanzerà tanto oro da lastricare la casa,” ribatté
suo marito. Per parecchi mesi si ostinò a dimostrare la veracità
delle sue congetture. Esplorò la regione palmo a palmo,
compreso il fondo del fiume, trascinando i due lingotti di ferro e
recitando ad alta voce l’esorcismo di Melquìades. L’unica cosa
che riuscì a dissotterrare fu una armatura del quindicesimo
secolo con tutte le sue parti saldate da una crostaccia di ruggine,
la cui cavità aveva la risonanza vacua di un’enorme zucca piena
di sassi. Quando Josè Arcadio Buendìa e i quattro uomini della
sua spedizione riuscirono a disarticolare l’armatura, vi trovarono
dentro uno scheletro calcificato che portava appeso al collo un
reliquiario di rame con un ricciolo di donna.
103
cosa che egli decidesse di firmare. Marley era morto come un
chiodo confitto in una porta. Badate bene che con questo io non
intendo di dire che so di mia propria scienza che cosa ci sia di
particolarmente morto in un chiodo confitto in una porta;
personalmente, anzi, propenderei piuttosto a considerare un
chiodo confitto in una bara come il pezzo di ferraglia più morto
che si possa trovare in commercio. Ma in quella similitudine c’è
la saggezza dei nostri antenati, che le mie mani inesperte non
possono permettersi di disturbare, altrimenti il paese andrà in
rovina. Vogliate pertanto permettermi di ripetere con la massima
enfasi che Marley era morto come un chiodo confitto in una
porta. Scrooge sapeva che era morto? Senza dubbio; come
avrebbe potuto essere altrimenti? Scrooge e lui erano stati soci
per non so quanti anni; Scrooge era il suo unico esecutore
testamentario; il suo unico procuratore, il suo unico
amministratore, il suo unico erede, il suo unico amico e l’unico
che ne portasse il lutto; e neanche Scrooge era così terribilmente
sconvolto da quel doloroso avvenimento da non rimanere un
eccellente uomo di affari anche nel giorno stesso del funerale e
da non averlo solennizzato con un affare inatteso e
particolarmente buono. Menzionare il funerale di Marley mi ha
ricondotto al punto dal quale ero partito. Non c’è alcun dubbio
che Marley era morto. Questo deve essere perfettamente chiaro;
altrimenti nulla di meraviglioso potrà uscire dalla storia che sto
per narrare. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre
di Amleto era morto prima che cominciasse la tragedia, nel fatto
che egli passeggiasse di notte, al vento di levante, sui bastioni
del proprio castello non ci sarebbe niente di più notevole di
quello che ci sarebbe se qualunque altro signore di mezza età
spuntasse fuori improvvisamente, dopo il tramonto, in una
località battuta dal vento – diciamo, per esempio, nel cimitero di
St. Paul’s Churchyard – per impressionare la mente debole di
suo figlio. Scrooge non aveva mai cancellato il nome del
vecchio Marley. Anche dopo qualche anno si poteva leggerlo
sopra la porta del magazzino: Scrooge e Marley. La ditta era
104
conosciuta come “Scrooge e Marley”. A volte le persone, che
non erano molto al corrente, chiamavano Scrooge Scrooge e a
volte lo chiamavano Marley, ma egli rispondeva ad ambedue i
nomi. Per lui era perfettamente lo stesso. Oh … però Scrooge
era un uomo che aveva la mano pesante; duro e aspro, come la
cote, dalla quale non c’era acciaio che fosse mai riuscito a far
sprizzare un scintilla di fuoco generoso; segreto, chiuso in se
stesso e solitario come un’ostrica.
Anche qui c’è un decesso nelle prime tre parole del capolavoro
di Dickens; ma qui si tratta di un fatto già avvenuto, la morte del
socio di Scrooge per fissare l’attenzione del lettore sul
personaggio superstite. La narrazione percorre un sentiero molto
diverso dal precedente. Dickens gioca con se stesso, è un
affabulatore, si lancia in citazioni del teatro inglese, parla delle
tradizioni della sua terra, dei modi di dire e infine, dopo aver
disegnato lo scenario, arriva al punto. E questo punto,
l’immensa carenza umana di Scrooge, l’avarizia, è il punto di
partenza di questa grande favola universale, simbolo della
redenzione umana.
105
tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio
padre. Carini e tutto quanto – chi lo nega – ma anche
maledettamente suscettibili. D’altronde, non ho nessuna voglia
di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e
compagnia bella. Vi racconterò soltanto le cose da matti che mi
sono capitate verso Natale, prima di ridurmi così a terra da
dovermene venire qui a grattarmi la pancia. Niente più di quello
che ho raccontato a D.B., con tutto che lui è mio fratello e quel
che segue. Sta a Hollywood, lui. Non è poi tanto lontano da
questo lurido buco, e viene qui a trovarmi praticamente ogni fine
settimana. Mi accompagnerà a casa in macchina quando ci
andrò il mese prossimo, chi sa. Ha appena preso una Jaguar.
Uno di quei gingilli inglesi che arrivano sui trecento all’ora. Gli
è costata uno scherzetto come quattromila sacchi o giù di lì. E’
pieno di soldi adesso. Mica come prima. Era soltanto uno
scrittore in piena regola, quando stava casa. Ha scritto quel
formidabile libro di racconti, Il pesciolino nascosto, se per caso
non l’avete mai sentito nominare. Il più bello di quei racconti
era Il pesciolino nascosto. Parlava di quel ragazzino che non
voleva far vedere a nessuno il suo pesciolino rosso perché
l’aveva comprato coi soldi suoi. Una cosa da lasciarti secco. Se
c’è una cosa che odio sono i film. Non me li nominate
nemmeno. Voglio cominciare il mio racconto dal giorno che
lasciai L’Istituto Pencey. L’Istituto Pencey è quella scuola che
sta ad Agerstown in Pennsylvania. Probabile che ne abbiate
sentito parlare. Probabile che abbiate vistogli annunci
pubblicitari, se non altro. Si fanno pubblicità su un migliaio di
riviste, e c’è sempre un tipo gagliardo a cavallo che salta una
siepe. Come se Pencey non si facesse altro che giocare a polo
tutto il tempo. Io di cavalli non ne ho visto neanche uno, né lì,
né nei dintorni. E sotto a quel tipo a cavallo c’è sempre scritto:
“Dal 1888 noi forgiamo una splendida gioventù dalle idee
chiare”. Buono per i merli. A Pencey non forgiamo un
accidente, tale e quale come nelle altre scuole. E io laggiù non
ho conosciuto nessuno che fosse splendido e dalle idee chiare e
106
via discorrendo. Forse due tipi. Seppure. E probabilmente erano
così prima di andare a Pencey. Ad ogni modo, era il sabato della
partita di rugby col Saxon Hall. La partita col Saxon Hall, a
Pencey, era un affare di stato. Era l’ultima partita dell’anno e
pensavano che dovevi per lo meno ammazzarti se il vecchio
Pencey non vinceva. Mi ricordo che verso le tre del pomeriggio
me ne stavo là sul cucuzzolo di Thomas Hill, proprio vicino a
quel cannone scassato che aveva fatto la Guerra di Secessione e
tutto quanto.
107
appena il signor Jones se ne fosse andato sicuramente a dormire.
Il Vecchio Maggiore (così era chiamato, benché fosse stato
esposto con il nome di Orgoglio Willington) godeva di così alta
considerazione nella fattoria che ognuno era pronto a perdere
un’ora di sonno per sentire quello che egli aveva da dire. A
un’estremità dell’ampio granaio, su una specie di piattaforma
rialzata, il Vecchio Maggiore già stava affondando sul suo letto
di paglia, sotto una lanterna appesa a una trave. Aveva dodici
anni e cominciava a divenire corpulento, ma era pur sempre un
maiale dall’aspetto maestoso, spirante saggezza e benevolenza,
benché mai fosse stato castrato. In breve cominciarono a
giungere gli altri animali e ognuno si accomodava a secondo
della propria natura. Vennero prima i tre cani, Lilla, Jessie e
Morsetto, poi i porci che si adagiarono sulla paglia
immediatamente davanti alla piattaforma, le galline si
appollaiarono sul davanzale delle finestre, i piccioni
svolazzarono sulle travi, pe pecore e le mucche si
accovacciarono dietro ai maiali e cominciarono a ruminare. I
due cavalli da tiro, Gondrano e Berta, arrivarono assieme,
camminando lentie appoggiando cauti i loro ampi zoccoli pelosi
per tema che qualche piccolo animale potesse trovarsi nascosto
nella paglia. Berta era una grossa, materna cavalla di mezza età
che, dopo il quarto parto, non aveva più riacquistato la sua linea.
Gondrano era una bestia enorme, alta quasi diciotto palmi e forte
come due cavalli comuni messi assieme. Una striscia bianca
lungo il naso gli dava un’espressione alquanto stupida, e, in
realtà, non aveva una grande intelligenza, ma era universalmente
rispettato per la sua fermezza di carattere e per la sua enorme
potenza di lavoro. Dopo i cavalli, vennero Murie, la capra
bianca, e Benjamin, l’asino. Benjamin era la bestia più vecchia
della fattoria e la più bisbetica. Parlava raramente e quando
apriva bocca per fare ciniche osservazioni; per esempio, diceva
che Dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche ma che
sarebbe stato meglio non ci fossero state né coda né mosche. Se
gli si domandava il perché, rispondeva che non vedeva nulla di
108
cui si potesse ridere.. Ma senza dimostrarlo apertamente era
devoto a Gondrano: i due usavano passare assieme la domenica
nel piccolo recinto dietro all’orto, brucando erba a fianco a
fianco senza mai aprir bocca.
109
POESIE
Giacomo Leopardi
L’Infinito
Emily Dickinson
110
la rosa non è più nella città.
L’acero indossa una sciarpa più gaia,
e la campagna una gonna scarlatta.
Ed anch’io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello
Il vederla è un quadro
Il vederla è un quadro
Sentirla una canzone
Conoscerla un eccesso
Innocente come giugno
Non conoscerla una pena
Averla per amica
Un calore tanto vicino come se il sole
ti splendesse in mano
Costantino Kavafis
111
Wislawa Szymborska
In sogno
dipingo come Vermeer.
Parlo correntemente il greco
e non solo con i vivi.
Guido l’automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
Odo voci
non peggio di autorevoli santi.
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ossia con le mie forze.
Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.
Non ho difficoltà
a respirare sott’acqua.
Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.
Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.
112
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l’altro ieri un pinguino.
Sibilla Aleramo
Nome non ha
nome non ha …
Eugenio Montale
La casa dei doganieri
113
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
erano le tue.
114
POESIA LATINA
INNO A VENERE (LUCREZIO, De rerum natura, I, 1-43)
115
grembo, vinto dall’eterna ferita d’amore,
e così guardandoti, reclinato il collo tornito,
verso di te proteso pasce d’amore, o dea, i suoi avidi sguardi,
e dalla tua bocca pende il respiro di lui supino.
Tu, o dea, china su di lui, abbracciandolo, adagiato, col tuo
corpo divino, dalla tua bocca effondi dolci parole,
chiedendo, o gloriosa, per i Romani una pace serena.
Orazio (65-8)
Carpe diem (Odi 1, 11)
116
Properzio (47-14)
Quaeris, cur veniam tibi tardior? (Elegie, II, XXXI)
117
LA CONVERSAZIONE
118
maggior parte di noi non conversa poi così bene. Non ci
ascoltiamo: ogni conversazione richiede un equilibrio tra il
parlare e l’ascoltare ma a un certo punto abbiamo perso questo
equilibrio. I giovani mandano una media di 100 messaggi al
giorno; hanno molte più possibilità di scrivere che di parlare
faccia a faccia, riducendo sempre più la loro capacità di
sostenere una conversazione. Come sostenere una civile
conversazione, considerando che bisogna parlare sia con quelli
che ci piacciono sia con quelli che non ci piacciono e con quelli
con cui dissentiamo completamente su tutti i fronti. Come si
parla e come si ascolta?
10 Regole:
120
Bisogna invece ascoltarsi l’un l’altro. Molta gente non
ascolta con l’intento di capire cosa gli viene detto, ma
con l’intento di cercare parole ed argomenti che
costituiranno la sua risposta;
10. Siate brevi e siate pronti a stupirvi; tutti hanno qualcosa
di incredibile nascosta e non sarete mai delusi.”
Tratto da:
121
LEGGERE E PARLARE IN PUBBLICO
122
Il lettore non dovrebbe esimersi dal 'DARE COLORE', cioè
dall'interpretare la lettura: l'importante è farlo nel modo giusto,
con un estremo senso della misura. Non si dovrebbe né leggere
in modo piatto (come se non ci interessasse ciò che leggiamo),
né eccedere nel colore (per il solo timore di essere monotoni o
per voler dare un'interpretazione troppo personale);
123
L’uso di questo esercizio ci consentirà di abituare l’orecchio a
modulazioni nuove, a diverse disposizioni dei nostri mezzi
vocali, e a una più ricca casistica di capacità espressive che si
verificheranno prima nella lettura e in seguito sicuramente nella
conversazione.
124
Attenzione alla POSTURA: non deve ostacolare la respirazione.
Se leggi in piedi non appoggiarti a scrivanie o altro, a meno che
non sia funzionale alla situazione, se leggi seduto, non
appoggiarti né premere sullo schienale. In entrambi i casi si
spreca energia preziosa per la comunicazione;
Non sottovalutare il LINGUAGGIO DEL CORPO e non
sprecare energie con troppi movimenti, evita di ripetere più
volte lo stesso gesto;
Una posizione eretta ma non rigida (in piedi o seduti) dà un
senso di fiducia;
Ricorda che i nostro corpo può esprimere molti segnali:
diffidenza, approvazione, ansietà, attrazione, sicurezza,
benessere, superiorità, inferiorità, arroganza, irritazione,
appagamento, possesso del territorio;
Ricorda che l’attenzione è alta all’inizio della lettura, poi cala. È
compito del lettore/narratore ristabilire il contatto e
riconquistare l’attenzione;
Ricorda che il messaggio che trasmetti agli ascoltatori dipende:
per il 50% dal linguaggio del corpo (faccia, mani postura,
ecc…), per il 40% dalle varie componenti della voce (tono,
volume …..) e solo per il 10% dalle parole, cioè dal testo che
leggete o esponete;
Ricorda anche che è dimostrato la gente ricorda: il 10% di
quello che legge – il 10 % di quello che sente – il 30% di quello
che vede – il 50 % di quello che vede e sente;
Impara a fare PAUSE ad effetto;
La pausa è un elemento di “suspense”. Una pausa ben calcolata
prima dell’espressione di un’idea o di una frase letta o di
un’azione descritta, contribuisce in modo rilevante a rafforzarne
il significato. Le pause vanno programmate prima
dell’intervento;
Le pause servono anche a dare il tempo al cervello di recepire ed
elaborare l’informazione ricevuta;
Ricorda che il silenzio è bello, è un elemento della lettura (con le
pause) e va riempito di emozioni;
125
Si può restare sorpresi per l'abbondanza e per la durata di queste
pause. Ma esse sono necessarie! E' appunto durante queste pause
che l'ascoltatore comprende, perché i suoni che giungono alle
sue orecchie hanno il tempo di arrivare al cervello e di assumere
un significato. I silenzi nel corso di una lettura permettono a chi
non legge di comprendere ciò che ascolta. Il lettore deve sempre
tener presente che se lui ha il testo sotto gli occhi, non l'ha
invece chi ascolta.
Ricordiamo infine che vi sono pause sintattiche che vengono
stabilite in base alla sintassi della frase (cioè alla 'struttura' della
frase) e pause espressive che invece non sono soggette a regole
precise ed il cui uso è a discrezione del lettore.
Le frasi di un testo hanno un ritmo che il lettore dovrebbe saper
rendere. Si tratta del modo in cui viene regolata la successione
delle sillabe e delle parole. Per rendere bene il ritmo di una
frase, è necessario aver stabilito in precedenza tutte le pause.
In alcuni casi si tende a leggere troppo in fretta. Ricordiamo che
chi ascolta ha bisogno di tempo per poter organizzare i suoni che
sente in una frase dotata di senso. E questo dipende dalle pause e
anche dalla velocità con cui si parla.
Parlare in pubblico
Preparati:
126
per non parlare dei milioni di telespettatori; ma lo ha fatto con
tranquillità sfruttando un segreto da vecchio oratore: ha parlato
ad una persona alla volta.
Sfrutta umiltà Iniziare un discorso ammettendo la propria paura
di parlare in pubblico o il proprio nervosismo è allo stesso
tempo un modo per esorcizzare tale paura e per accattivarsi le
simpatie del pubblico.
Evita il perfezionismo. Ricercare la perfezione in un discorso,
come nella vita, è una delle maggiori fonti di stress ed ansia.
Non sottovalutare la fase di preparazione del tuo intervento, ma
una volta sceso nell’arena impara ad affrontare gli imprevisti
con disinvoltura: non pretendere di essere perfetto, cerca di
essere il migliore.
Non avere fretta. Se hai avuto l’occasione di assistere al
discorso di un oratore impreparato, avrai avuto certamente la
sensazione che quel palco scottasse. La paura di parlare in
pubblico ci porta a parlare velocemente e a non concludere il
nostro discorso in modo esaustivo, pur di terminare il più
velocemente possibile questa tortura. Ma superare la paura di
parlare in pubblico richiede un comportamento diametralmente
opposto: impara a parlare lentamente, inserendo pause nel tuo
discorso. Affronta ogni punto chiave del tuo intervento in modo
esaustivo, chiarendo tutti i passaggi logici. Evita quei finali
brutali, generalmente accompagnati da frasi del tipo: “io avrei
finito”, “tutto qua”, etc; il pubblico vuole essere accompagnato:
chiarisci fin dall’inizio la scaletta del tuo intervento e
riproponila più volte durante il tuo discorso come fosse una
mappa. Insomma, dai un ritmo al tuo discorso e crea enfasi
intorno al finale.
127
IL DOPPIAGGIO
128
cominciato con i miei compagni a frequentare le sale per fare i
provini ma ho dovuto subito interrompere avendo ricevuto una
buona offerta di lavoro nel settore attinente i miei studi che non
potevo rifiutare, visto che era appena nata la mia prima figlia.
Così, a malincuore, ho dovuto cedere alla realtà (comunque ci
tengo a dire che ho sempre amato il mio lavoro); nonostante ciò
ho sempre continuato a praticare le mie passioni con
registrazioni per i non vedenti, teatro amatoriale e cose simili.
Fino a quando, in pensione, ho creduto di poter riprendere la mia
passione facendo alcuni costosissimi corsi che, ancorché mi
abbiano insegnato qualcosa, non sono stati sufficienti a farmi
entrare in questo mondo. Ho frequentato molte sale dove sono
stato sempre trattato con gentilezza ma, ad un certo punto, non
vedendo risultati pratici, ho detto Stop, decidendo quindi di non
alimentare più questa mia illusione. Quindi sembrerebbe una
sconfitta; invece è proprio da qui che parte l’attività di lettura ad
alta voce con cinque anni di corsi come tutor, letture in
biblioteca, presenza su youtube con alcuni tutorial, il Blog, il
manuale di lettura ad alta voce e public speaking, e, soprattutto,
l’incontro con tantissimi appassionati con i quali mi vedo in
biblioteca per leggere la poesia e la prosa di grandi autori di
tutto il mondo. Da un default quindi, nasce una cosa molto più
bella, che non ha limiti e che ci può portare non si sa dove;
personalmente credo che la lettura ad alta voce debba essere
materia scolastica ma, purtroppo, nessuno insegna a leggere ad
alta voce. Ma noi ce la metteremo tutta per trovare nuovi
appassionati che vogliano accogliere questa bella attività nella
loro vita di tutti i giorni.
L’ultimo corso che ho realizzato mi è stato richiesto da un
Tribunale (ne sto facendo un secondo data la richiesta), per
migliorare l’eloquio e il public speaking delle persone che usano
professionalmente la voce. Infatti spesso si sentono voci deboli,
senza espressione, poca capacità di convincimento, dizione
approssimativa, forme dialettali non opportune e molto altro. Un
avvocato deve riuscire in pochi minuti a descrivere
129
efficacemente una causa al giudice; deve poi rivolgersi ai giurati
correttamente con il contenuto del suo eloquio ma anche con la
forma espressiva e, possibilmente, con una dizione corretta.
In questo corso ho inserito proprio elementi di doppiaggio; i
bravi doppiatori sono gli unici a parlare italiano in questo paese.
Fermatevi ad ascoltare giornalisti, conduttori, politici; insomma
guardate la televisione e vi accorgerete che la dizione è un
optional, non viene assolutamente curata. I giornalisti del nord
parlano con tutte le ‘e’ le ‘o’ sbagliate come del resto quelli del
sud e non fanno niente per correggersi, ritenendo di parlare un
buon italiano. Altri urlano durante i servizi e alzano
continuamente il tono (nota musicale) fino a raggiungere picchi
inascoltabili per poi dimenticare di sostenete le finali delle
parole. Allora se dico che solo i doppiatori parlano italiano non
dico una cosa sbagliata; è difficile sentire il romanesco in un
cow boy oppure il meneghino in una commedia di Shakespeare.
Ci sono molti film in proposito; ve ne propongo due.
Andate su youtube e cercate divorzio all’italiana di Pietro Germi
(scena del processo) dove l’avvocato difende Mariannina
Terranova, accusata di aver ucciso il marito per gelosia.
Abbassate il volume e provate a sincronizzare la vostra voce sui
movimenti della bocca dell’avvocato badando bene a copiare le
espressioni anzi, se ci riuscite, ad imitare la voce che ascoltate
con le sue espressioni roboanti di retorica e solennità. Ricordate
ch imitare le voci ascoltate è un buon esercizio per la voce;
fatelo con i vostri figli imitando i personaggi dei cartoni,
Braccobaldo, orso Yoghi e anche i più moderni.
130
DIVORZIO ALL’ITALIANA (Arringa)
131
società in cui vive’ o lo butteremo noi tra il ciarpame delle cose
vecchie e inutili, sorpassate. Lettere, lettere vergate da anonime
ma simboliche mani, lettere illeggibili, che offenderebbero la
dignità di quest’aula, tacitiale, tra l’altre come questa, in una
sola parola compendia la sorte della infelice Mariannina,
Cornuta, o come questa, che addirittura affida alla icasticità
dell’immagine, l’espressione del pensiero!
132
Questo succede a Charly, è giunto ad un bivio ed ha scelto una
strada, ed è quella giusta; è una strada fatta di principi, che
formano il carattere.
Lasciatelo continuare nel suo viaggio.
Voi adesso avete il futuro di questo ragazzo nelle vostre mani, è
un futuro prezioso, potete credermi; non lo distruggete,
proteggetelo, abbracciatelo, è una cosa di cui un giorno andrete
fieri, molto fieri!
Harry ti presento Sally
133
addormentarmi, la sera. / (DS) E non perché mi
sento solo, / e non perché è la notte di
capodanno, (IC) sono venuto stasera perché
quando ti accorgi che vuoi passare il resto della
vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita
cominci il più presto possibile.
Sally Ecco, / (FIATO) tanto sei il solito imbroglione,
dici cose de genere e mi spieghi poi come faccio
ad odiarti io? / (DS) E invece ti odio. (PIANGE)
Ti odio, sul serio. / Ti odio. (BACIO) / (FIATO)
Harry Mi dici che significa?
Sally (DS) Cosa?
Harry E’ una vita che mi arrovello su questa canzone.
(DS) Cioè, il ritornello. Significa che dobbiamo
dimenticare i vecchi amici o (IC) che se li
abbiamo dimenticati li dovremmo ricordare? Il
che è impossibile se li abbiamo già dimenticati.
Sally (ACC) (FIATO) / Beh, forse significa che
dovremmo ricordare che li abbiamo dimenticati.
(RIDE) Comunque parla di vecchi
amici. (FIATO)
Harry (FC) La prima volta che ci siamo incontrati ci
siamo odiati.
Sally (FC) Tu non mi odiavi, io odiavo te! (RIDE) E
la seconda volta… non ti ricordavi neanche di
me.
Harry (FC) Altroché se me ne ricordavo! / La terza
volta, invece, siamo diventati amici.
Sally (FC) Siamo stati amici per molto tempo.
(COP.) = COPERTO
(IC) = IN CAMPO
(DS) = DI SPALLE
(ACC) = ACCAVALLATO
(FC) = FUORI CAMPO
134
LETTURE
Vocale “E”
135
passatempo di andare in centro a fare compere e di prendere
sempre in braccio i bambini che incontro. Comunque non voglio
che tu debba sentirti un merlo. Tua per sempre”.
Leda.
Mauro l’extraterrestre
(suffissi “esimo” “ello” “estre”)
136
comunque in vantaggio – di fermarsi per un momento. I fiori
della ginestra sembravano gioielli incastonati sui ramoscelli; dal
fiumicello sul ponticello si respirava il profumo del muschio e
della rugiada e qualche contadino stava servendo sulla tavola,
accompagnato da un leggero vinello, mozzarella, rucola
campestre. Il fringuello beccò la mozzarella e Mauro, dimentico
della corsa, assaggiò il delicato vinello. Poi, dimentico di tutto,
mangiò la mozzarella.
Gli altri corridori proseguirono la corsa e conclusero, fiacchi e
sudati, il loro dodicesimo giro. Qualcuno – nessuno ricorda chi –
vinse la corsa campestre ma tutti, giacché la notizia corse più
veloce del venticello, raggiunsero Mauro. E lì, tra fringuelli e
ginestre, mozzarelle e sentieri rupestri, cantarono le lodi di
Mauro, campione indiscusso ma non più soggetto rigido ed
extraterrestre.
L’aglio
(gruppo “gl”)
137
e sono finito qui, nel cimitero più spogliato e ventilato: in un
campo squallido e deserto, coltivato ad aglio.
Le ciocche ricce
138
così che, per un istante, per la prima volta, vide con gioia il
luccichio dei suoi occhi riflesso negli occhi della ciuccia. La
ciuccia, era vero, gli piaceva. Anche la ciuccia non pensava più
al reuccio, ma cominciava a far breccia nel suo cuore
l’acconciatore Ciccio: le piaceva quel suo cipiglio sincero e
pensava a piacevoli giacigli, a oceani di ciucci, Cicci e cicche.
Poi, la ciuccia fu riccia, fece un inchino, bocciò il suo
comportamento precedente, in parte ammise il capriccio e diede
un bacio vorace, felice, al dolcissimo acconciatore Ciccio.
Lettura (UO)
139
Il giorno dopo, con lo schioppo riuscì ad uccidere un topo
grosso e nero, lo cucinò al girarrosto, lo ornò con un fiocco
rosso e con moine affettuose lo propinò all’ingorda moglie che
lo gustò a tal punto che volle conoscerne la ricetta.
Quando il cuoco le disse che aveva mangiato un topo, cadde di
colpo come una ricotta, poi, presa dalle doglie, partorì il figlio
che aspettavano da nove mesi.
Lettura
Lettura
140
potuto mai insinuare che da solo sarei in grado di ingoiare dieci
zanne di cammello e sei foglie di avvoltoio con la polvere di
Alfonso. Lo studierei, lo smarrirei, se facesse nove salti in tre
specchi apparirei, ma se fosse un gioco agevole gli direi:
“ricomporre questa somma? Lo facesse anche di giorno,
troverebbe buone idee, consapevoli e azzardate, ma giammai
raffazzonate. Ricomponga ogni sua essenza, catechizzi la sua
pesca e vada a pesca con le zolle, perché è questo che vorrebbe,
se mordesse, se potesse, se attendesse e se spingesse tutto il
pesce dal suo cesto che mi pare fosse in forse”.
141
zaffiro su di una zolla secca e con la speranza di pescare
qualcosa, mangiava zucchine crude, si toglieva gli zoccoli e si
metteva a zufolare o si accendeva una sigaretta con uno
zolfanello.
Quando rincasava passando vicino al lazzaretto e alla fontana
che zampillava allegramente, con zelo e prudenza perché lì
depresso c’era sempre accampata una tribù di zingari, spesso
incontrava l’amico Costanzo che giocava d’azzardo tutte le sere;
era zoppo e si doveva consolare in qualche modo! Regolarmente
la tozza figura della zia lo agguantava trascinandolo in chiesa:
cercava di fare avvicinare Lazzaro al cristianesimo e a lui non
restava che abbozzare.
I carabinieri e i rei
Il pieno di benzina era finito: tra sei, sette minuti, l’aereo che
volteggiava nel cielo sarebbe piombato al suolo e, con loro, i
dodici poco eteri occupanti: sei giovani carabinieri e sei
pericolosi delinquenti, rei del furto di milioni di ghiaccioli,
nuovi, buoni e al gusto di ciliegia.
Il maggiore dei carabinieri chiese: “Chi ha l’idea adatta a salvare
la pellaccia, e quindi il paese e la nazione? Rei dico pure a voi e
dei vostri reati mi scorderò!”
Da sotto, l’assemblea dei cittadini guardava il dispiegarsi
dell’aereo, un odioso suicidio, una saetta senza meta. I religiosi
avevano cominciato la questua: alcuni sospettavano fosse per il
risarcimento dei ghiaccioli, altri per i figlioli dei sei rei; i più
lungimiranti teorizzavano già “la fiera del carabiniere, tenero
ricordo” questa era la chiosa “per gli amici di ieri”, mentre solo
in pochi si animavano in chiesa per gli eroici carabinieri che, in
quei minuti, saettavano nel cielo.
Su, nel cielo, nell’aereo, nel momento di massima tensione, il
più anziano dei rei parlò: “Io avrei una soluzione: dietro la mia
abitazione c’è un mucchio sterminato di fieno, dove io e i miei
compagni giochiamo, dopo qualche bicchiere di quello buono,
142
giochiamo a saltare e a cantare. Vi chiederei di buttarci: non ci
faremo niente”.
“È un’idea!”, dissero i rei, “e per niente idiota”, aggiunse il
bieco brigadiere, il quale, subito dopo, chiese al pilota di
eseguire la missione. Caddero così, uno dietro l’altro sul fieno,
tra la gioia e gli applausi della sottostante assemblea. La suocera
di uno dei due rei preparò una torta all’uovo, miele e pan di
spagna e spiegava, tagliandola in sessantasei porzioni: “di più
non potrei: sapete, mio genero, col mestiere che fa… “
Le donne si lanciarono sul fieno coi loro uomini, i bambini
all’arrembaggio de ghiaccioli e il brigadiere, calcolando i reati
consumati, arrestò l’aereo. Il pieno di benzina, celatosi nel cielo,
si rese subito latitante e straniero. Per togliersi ogni pensiero.
Lo zingaro
(La “Z” aspra)
143
Poi alla fine, come sempre si svegliava. “La vita – diceva – è
una zampata funesta”. E nella piazza, accanto allo zampillo della
fontana, tornava a suonare lo zufolo.
Il premio superpanza
(lettera “Z” aspra e sonora)
144
sudori e odori era concessa, fissata frizzante con rozzezza al
centro della piazza. Nel frattempo, la puzza di panze sudate
miste a sanza cancellava la brezza della piazza, aumentava a
oltranza e pazzi furiosi i panzoni sbevazzavano senza ritegno né
decenza. La fame, sinistra e spettrale, dopo un po’ si profilò
perfida ai panzoni: stanchi dell’attesa del giudice azzimato
sbranarono feroci, striscioni, addobbi e le timide azalee zeppe di
fragranza e di innocenza. La piazza, miracolosamente, sembrava
rinsecchirsi e rimpicciolirsi mentre loro, smaniosi e affranti,
sembravano allargarsi. La piazza rivelava l’oggettiva
insufficienza mentre le circonferenze allargate, incastrate e
sgominanti, a ridosso di muri e pareti, rivendicavano spazio a
oltranza. Dall’alto dei palazzi uno spettacolo avvilente: obesi e
ciccioni, stomaci giganteschi e molli non riuscivano, paralizzati,
a muoversi e a ordinarsi mentre il giudice azzimato scompariva,
azzannato senza grazia dalla ferocia delle panze.
Era successo l’irreparabile e a furia di bere s’erano rozzamente
gonfiati. Paonazzi pur di piazzarsi nei posti primari, avevano
bevuto e sbranato all’impazzata; la gonza super panza fu
azzerata e annullata: il paese tutto fu evacuato, la piazza
dell’azzardato premio fu regalata, cinica, nella voluta
dimenticanza e da allora, in ogni zona della terra, ogni panzone
porta con sé, con penitenza, il segreto della piazza spiazzata
dalle circonferenze allargate, strozzate e incastrate dalla
gaudente incontinenza.
145
coccodrilli daranno prova di grande strategia cercando di
catturare tutti coloro che proveranno ad avvicinarsi.
Numerosi granchi proveranno ad aprire le ostriche per
mangiarsele ma dovranno arrendersi a lasciarle andare perché
troppo dure.
Tartarughe di mare osserveranno l’acqua decrescere in un arco
di tempo incredibilmente breve e quando si ritirerà cercheranno
temporaneo rifugio nelle nere grotte di roccia calcarea. Vibranti
girini e rane in grande fermento tenteranno di spostarsi e
fuggire, ma è arduo credere che sopravviveranno al loro destino.
Nel regno degli animali le madri partoriscono ad intervalli
regolari i loro cuccioli e vanno a caccia per nutrirli, per questo
percorreranno numerosi chilometri sull’arido territorio e saranno
pronte a spostarsi ad ogni strano rumore per difendere la prole
dai predatori che vorrebbero divorarli.
Era la prima volta che si recava al mare, le previsioni della radio
parlavano di perturbazioni e addensamenti cumuliformi nel
corso della giornata con probabile rasserenamento in serata.
L’arenile romagnolo era gremito di vacanzieri che avevano
prenotato ad aprile per avere un ombrellone e una sdraio al
prezzo concordato.
Senza proferire parola si diresse verso il bagnino Alberto, forte
come un toro, merito della sora Rosa.
“Potrei avere una sdraio?” disse cercando di catturare la loro
attenzione.
I due ridevano felici della loro ilarità, quando si girarono
strabuzzarono gli occhi come per una revolverata e
mormorarono a fior di labbra: “Sire, siamo onorati di averla tra
noi”.
“Ma io non sono il re e poi non c’è più la monarchia!”. Con aria
spettrale Alberto e Rosa presero un bicchiere con il rosolio e
glielo offrirono per brindare e scacciare le loro traversie, poi lo
costrinsero a sedere e iniziarono a sciorinare una serie di
disgrazie e problemi irrisolti pregandolo di risolverli per piacere,
146
ché loro non erano forti da opporsi all’avversario malaugurato,
infernale destino.
Chiacchierarono per circa quattro ore, il mare ormai era un
miraggio, quando lo lasciarono ripartire era frastornato, ubriaco
e con un colorito sepolcrale.
I raggi del sole al tramonto si irradiavano sull’arenile e nei
giardini irrorati una sorta di rugiada copriva le erbette e i
fiorellini colorati. L’aria era frizzantina e uno zefiro leggero
altrettanto fresco si artigliava agli alberi stordendoli di piacere.
Poteva sembrare marzo o settembre e nell’azzurro del cielo si
alternavano gruppi di passerotti canterini. Un’atmosfera perfetta
per creare una straordinaria particolare romantica storia
d’amore.
Margherita e Ranuncolo roridi di rugiada si guardarono
trasecolando per la sorpresa.
Erano entrambi veramente meravigliosi, lei era rosa con le
foglie verde smeraldo e lui rosso con le foglie verde marcio.
Insieme formavano uno straordinario contrasto cromatico.
Senza troppi preliminari Ranuncolo disse a Margherita che
moriva d’amore per lei e che era pronto a farla sua e proteggerla
come una reliquia.
Margherita non voleva riporre il suo cuore in una relazione
pericolosa e con un sospiro chiese di poter riflettere sulla
proposta. Ad un certo punto arrivò un giardiniere con l’ordine di
cogliere i fiori e, incredulo di fronte al meraviglioso colore di
Margherita, la strappò dal terreno, lei si fece raccogliere senza
uno strillo, reclinò la bella corona di petali e sorrise a Ranuncolo
che con un gesto disperato si recise lo stelo.
Un refolo di vento lo prelevò e lo disperse all’orizzonte.
147
“Excalibur!”. Il deus ex machina con la faccia eczematosa li
fece accomodare su una specie di Orient Express, azionò la leva
e i due si ritrovarono immersi in una dimensione extrasensoriale.
Un extracomunitario su una spiaggia suonava un fox-trot una
volta allo xilofono e una volta con il sax tenore, poco distante
una extraparlamentare vendeva ex voto ed ex libris e come extra
si potevano acquistare ex dono.
Una muta di fox terrier in un improvviso exploit si avventò
contro Alexis e Alex che si salvarono in extremis rifugiandosi
nella ex foresteria dell’albergo Excelsior.
Il cuore batteva così forte da provocare extrasistole. Dopo
questo excursus cominciarono a gridare: “Pax! Pax!”, ma il deus
ex machina era intento a compilare la schedina e ripeteva “1-X-
2”.
Distratto azionò la leva ex novo. I due stanno ancora alle giostre,
padiglione Excalibur.
148
Concetta fece le dodici camicie e gliele consegnò.
Il tipaccio disse che non gli piacevano e che non le accettava.
“Cosa è successo”, disse Concetta “questo è un capriccio, che
accidenti le prende, si spicci a darmi i soldi!”. Il tipaccio
imbracciò il fucile e la minacciò, ma Concetta veloce come una
freccia gli diede un calcio così preciso che quello con voce fioca
disse: “Accidenti che polpacci!”.
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Gli offriva gli struzzi in cambio di una cifra striminzita. “Ma io
castro i cani non gli struzzi” strillò quello ascoltando quella
mostruosità.
La donna estrasse da una scatola piena di stracci dei nastri
multicolori e li mostrò dicendo: “Credo che i vostri struzzi
starebbero benissimo con questi nastri”.
La sua maestria fu tale che i due stroncati dal troppo parlare
comprarono i nastri e uscirono strisciando con la faccia olivastra
pensando che era successo un pastrocchio e che dovevano
consultare uno strizzacervelli. Fuori tirava un vento di
maestrale.
C’era una strana atmosfera intorno alla giostra, l’orchestrina
strimpellava.
Stormi di uccelli stramazzavano e stravaganti personaggi
giravano intorno alle finestre. Il prestigiatore era molto stressato,
la sua maestria era stata messa a dura prova. Gli altri artisti si
trastullavano con aria stralunata. Lo strapparono dalla poltrona e
lo stordirono con uno strano oggetto trovato nel camerino della
star. Era un sequestro.
Si svegliò e si trovò incatenato nel cofano della loro
stramaledetta macchina mentre i rapitori cantavano una
filastrocca. Riuscì con estrema fatica a strapparsi il nastro che
gli chiudeva la bocca e ad allentare la corda che gli stringeva le
mani e i piedi. Si districò magistralmente da quei lacci e attese
che l’auto si fermasse. La strada era dissestata e le buche lo
strattonavano a destra e a sinistra. Meno male che era striminzito
e che quello straziante viaggio stava per finire. I rapitori lasciata
la strada maestra presero per un viottolo campestre
fiancheggiato da ginestre e scesero per trasportare il sequestrato
in un antro stretto e buio. Quando aprirono il cofano non
poterono fare a meno di strillare: mentre erano distratti dalla
guida il prestigiatore era riuscito a uscire e strisciando per terra
era scappato. I rapitori si stropicciarono gli occhi increduli e si
strapparono i capelli.
150
ESERCIZI CON “PS”
Gli alunni scrivevano sui fogli con gli stessi pennarelli scelti fra
le migliaia consigliati dalle famiglie, ma un parapiglia si scatenò
per la biglia e il fermaglio che la figlia dell’ammiraglio aveva
strofinato con l’aglio.
Un odore di coniglio arrosto provocò nella marmaglia la voglia
di paglia e fieno.
I consiglieri della scuola, attorcigliate la biglia e il fermaglio in
un foglio di carta stagnola a forma di conchiglia, gettarono il
pacco in un convoglio che deragliò.
151
Con un grande ventaglio di Siviglia, un mazzo di gigli e glicine
e sapone di Marsiglia si profumò l’aria.
La figlia dell’ammiraglio si fermò sulla soglia perché la
maniglia della porta di legno aveva stampigliate le impronte
della marmaglia.
Sbadigliando emise un raglio al sapore di aglio.
Con sua grande meraviglia le misero un bavaglio.
152
odore di sugna e di fogna con una cagna con la rogna che faceva
la lagna.
I partecipanti al convegno si facevano accompagnare dalle loro
signore, segno che non riuscivano a svolgere l’impegno senza
sentire il bisogno di compagnia. Ognuno scriveva il proprio
cognome sulla lavagna e con contegno strappava un assegno con
il quale pagava anche gli agnolotti e l’agnello arrosto.
Ogni tanto facevano una grande cagnara ma in generale regnava
molta armonia soprattutto quando bevevano il cognac e
perdevano quell’aria arcigna.
Spesso si mettevano d’impegno a danzare nella vigna al suono
della zampogna sembravano personaggi di sogno, gnomi e
matrigne nel regno dei ragni, si erano dati anche dei nomignoli.
E così c’era Ordigno perché troppo violento, Giallognolo perché
pallido, Taccagno perché tirchio, Pigna perché non capiva,
Spagna perché amava il flamenco, Vigogna perché vestiva
sempre di lana.
È strano ma si chiamavano con i nomignoli e non provavano
nessuna vergogna.
“Signore e signori, sono consapevole delle consegne che mi fate
ma ho bisogno di un attimo di pausa”.
Non ricordava il cognome di nessuno e fece segno che come
impegno era troppo gravoso e che la testa di legno che aveva
organizzato il convegno era veramente uno gnocco.
La diagnosi era perfetta e ricordò che in sogno aveva visto degli
gnomi. Chiamò la più contegnosa delle signore, si fece dare un
assegno e disegnò una casa di campagna, si fece accompagnare
dalla sua compagna e lagnandosi della montagna di cose ancora
da fare, prese una zampogna e si infognò in un concerto pieno di
ignominia.
Fu preso e messo alla gogna, morì dalla vergogna.
153
ESERCIZI CON LA “Z” SONORA E “Z” SORDA
154
Lo zio Ezechiele aveva comprato uno zaffiro bellissimo da
regalare a Zaira. Era blu come quello dello zar che viveva in
Nuova Zelanda vicino ad una miniera di zolfo. Zaira portava
sempre zoccoli ai piedi ed ogni volta che entrava in casa
inciampava nello zerbino e cominciava a zoppicare.
Allo zio, Zaira preparava sempre la zuppa per pranzo, ma ci
metteva lo zucchero e un pezzetto di zucca, allo zio faceva
ribrezzo per quel terribile olezzo che soffiavo in cucina come
zefiro.
La gente faceva pettegolezzi su quella zingara così zozza, ma
Ezechiele amava Zaira e non voleva che restasse zitella. Così un
giorno zitti zitti convolarono a giuste nozze. Con un vestito
color zafferano erano una bellezza. Entrarono in un gran bazar
dove mangiarono pane azzimo e spararono razzi.
Le zebre per la puzza impazzirono e corsero all’impazzata nella
piazza fino al pozzo, ruzzolando sulle zolle.
155
Il Presidente disse sì a quel desiderio e così rosso in viso prese il
treno e andò a Pisa.
Si chiuse in casa e quasi pensò al suicidio e poi persuaso che
avrebbe risolto il problema, si fece un infuso di girasoli,
rosicchiò un po’ di riso e roso dalla collera rimase a casa ad
ascoltare la musica.
Ad un tratto, socchiuse gli occhi e improvvisamente decise di
andare in Malesia a trovare un amico filosofo. L’idea era curiosa
e risolutiva, allora finalmente sorrise.
Suole andare dai suoi suoceri con il carro trainato dai buoi,
generalmente porta delle uova da cuocere, perché le sue cognate
sono delle buone cuoche anche se adoperano solo il tuorlo,
sanno anche scuoiare i conigli.
Mentre i bambini sono a scuola o a giuocare, dopo il pranzo
aiuta a scuotere la tovaglia, quando vuole aiuta il suocero a
portare la cazzuola, si ammalò di cuore quando era luogotenente
del duodecimo fuochisti e la fatica può nuocergli.
Insomma, si comporta come una buonissima nuora.
156
Lei, sinuosa, gli balzò in braccio e sentì i loro cuori che
battevano in un solo suono.
La famiglia Gigliotti
Le tredici commesse
(verbi “mettere”, “porre”, “correre”)
157
Era stato bandito un pubblico concorso per un posto da
commessa e le ammesse erano, per l’esattezza, tredici. La prova
selettiva proposta prevedeva la padronanza di un discorso, una
seconda prova per vedere quanto la candidata fosse composta e,
infine, un’ultima per verificare quanto ella fosse credibile nel
lanciare promesse: di sconto, di acquisto, di bontà del prodotto.
Il selezionatore del concorso cominciò il suo lavoro
intravedendo nelle concorrenti – ne era certo – personalità
dimesse e malmesse, probabilmente provenienti da aree
geograficamente dimesse. Invece, successe l’opposto. Le
aspiranti commesse affrontarono la prima parte del concorso e
ognuna improvvisò un discorso: alcune parlarono della vita che
scorre, altre analizzarono i corsi e ricorsi della loro storia, altre
lamentarono come sia triste vivere di rimessa e do come
l’esistenza sia purtroppo, a volte, un abito mai messo.
Per la prova successiva, fecero una proposta: smetterla con
concetti di “composto” e “scomposto”, di “malposto” e di
“imposto”, ma porre le basi per un mondo sereno e
indipendente: l’unico in cui ognuno si potesse sentire al suo
posto.
Il selezionatore chiese qualcuno in soccorso. Aveva riposto in
quel concorso per commessa una scarsa considerazione e quei
discorsi e quelle proposte lo stavano disorientando: si sentiva
invecchiato, scaduto, trascorso.
Sulla terza – e ultima – prova del concorso, le aspiranti
commesse fecero una scommessa: ipotizzare una realtà in cui
fosse deposta ogni ipocrita promessa e in cui, al contrario,
propositivamente, fossero esposti i limiti, lacune, inesattezze di
ogni prodotto.
Il selezionatore si sentì male e cominciò a rimettere. Accorse il
medico che gli consigliò pillole e cerotti, e poi siringhe, fiale e
supposte, ma le aspiranti commesse, fedeli a quanto già
promesso, chiesero al dottore di privilegiare solo un unico
prodotto, per l’esattezza l’ultimo proposto.
158
Tale rimedio, in effetti, funzionò. Il selezionatore capì l’errore
commesso e annunciò la sua intenzione di dimettersi. Alle
tredici commesse invece furono procurati altrettanti posti e i loro
prodotti e le loro si rivelarono sempre più giuste, coerenti e
corrette. Senza nessun oneroso permesso, né alcuna imposta da
aggiungere e, soprattutto, senza nessuna rincorsa al guadagno.
L’incendio doloso
(lettera “S” aspra o sonora)
Il monte Rotondo
(suffisso “ondo” e i suoi derivati)
159
Aveva un unico impegno e uno scopo preciso: trovare il monte
rotondo.
L’avrebbe cercato nel Congo, tra i bisonti e camaleonti, uccelli
sonda e pesci rombi; l’avrebbe conquistato utilizzando zattere di
fronde e gondole di tronchi, superando ponti e tombe, onde
zombi: tutto, pur di compiere il suo trionfo, la scoperta del
monte rotondo.
Quando partì era bello e biondo, con una fronte spaziosa e
sgombra, con lo sguardo altero e tronfio. Già dopo tre mesi,
però, lo raccontano coi piedi gonfi e molli, con gli occhi concavi
e l’espressione tonta, come quella di un tonno quando ha sonno,
o quando ronfa. Era insomma, l’ombra di se stesso.
Sgomento ma non sconfitto provò l’estrema soluzione. “Per
questa mia avventura, non pongo alcun limite, son pronto a
tutto: convoco i migliori uomini del Congo, compro i loro
attrezzi e armi (vanghe, trombe, bonghi, fionde e bombe) e vado
alla ricerca del monte. D’altronde, se non riesco, mi farò
monco!”
Convocò, in effetti, gli uomini e dopo averli edotti in un
incontro (e dopo aver dato loro un congruo acconto) diede vita a
una corsa collettiva e intensa. Corsero e corsero, di giorno e a
notte fonda, girarono tra fiordi e valli, persero il computo dei
giri e non si resero conto che stavano ormai – e da un pezzo –
girando sempre attorno allo stesso monte. Che, complici le
impronte dei piedi ai bordi del monte, stavano rendendo
quest’ultimo sempre più ordinato, circolare e rotondo.
Dopo tanto, arrotondante percorso, stanco, spossato – come
prevedesse l’imminente trionfo – l’eroico conquistatore si
addormentò. Furono allora i rombi delle trombe e dei bonghi
nelle valli a ridestarlo e lì, pulito, bellissimo, intonso, vide
finalmente a sé di fronte, il monte rotondo. Tutti applaudirono.
Lui ridivenne bello e biondo; sulla vetta riuscì a far sgorgare una
purissima fonte d’acqua e, d’allora in poi, in tutto il Congo, fu
160
considerato console unico dell’irripetibile (ormai al maiuscolo)
Monte Rotondo.
Lettura (GL)
161
miele e anche della pastiera da un panettiere dalla faccia di
alieno.
Ad un tratto avviene che sentono un lieve rumore, “Proviene da
dietro quella siepe”, dice l’aviere con aria bieca.
Tutti e tre si dirigono verso l’obiettivo e scorgono un ariete,
“Tienilo per le corna” dice l’allievo, ma l’ariete si siede e
comincia a dire l’oroscopo.
Ai tre viene da ridere e pensano che un ariete che parla è una
miniera d’oro e cominciano a recitare preghiere per riuscire a
iniettare un sonnifero all’animale, dato che uno di loro è anche
un infermiere.
Ma non c’è niente da fare, l’ariete sfugge dietro una fioriera e
l’infermiere interviene maldestramente e infierisce con
l’iniezione sull’arciere che riesce a dirgli: “Deficiente!” e poi
sviene.
162
IL MALANNO DELL’AFFETTAZIONE - E. De Amicis
163
ultime parole furono per raccomandarmi i suoi poveri bambini,
che stavano accanto al letto piangendo –, tu sei preso da un
sentimento di pietà. Ma se ti dice invece: – Ieri, dopo un lungo e
fiero morbo, mancò ai vivi il tal de’ tali, amico mio dilettissimo;
spirò sul mio seno, e i suoi supremi accenti furono per
commettere alle mie cure i suoi sventurati pargoletti, che
stavano all’origliere lacrimando; – tu, invece di commuoverti,
non credi al suo dolore, e gli dai del buffone.
L’affettazione falsa l’espressione d’ogni affetto, spunta
l’arguzia, toglie forza alla ragione, vela la verità, distorna la
confidenza, getta il ridicolo su ogni cosa, rende uggiose e
moleste, e qualche volta anche odiose, facendole apparire sotto
un falso aspetto, persone dotate di eccellenti qualità d’animo. Ed
è un difetto terribile, che guai a chi gli s’attacca, perché diventa
in lui come una seconda natura, della quale egli perde la
coscienza, e non se ne libera più per la vita. Ed è un difetto
disgraziatissimo, che il mondo deride e flagella anche nelle
persone più rispettabili, senza tregua e senza pietà, fino alla
morte.
164
pronunziando delle s che sembrano fischi di serpente, se
fiacchiamo le forti scempiando le consonanti doppie, se
facciamo ridere con le gravi raddoppiando le consonanti
semplici, se aggraviamo le leggiere e deformiamo le graziose
strascicando o strozzando le vocali, e dando all’u un suono
barbaro che trapassa l’orecchio come lo stridore d’un
chiavistello arrugginito? E predichiamo agli stranieri l’armonia
della nostra lingua! E ci vantiamo d’aver orecchio musicale! C’è
da riderne, e da averne vergogna.
165
riuscirai a pronunziare bene l’italiano fin che non ti sentirai
liberato da questa specie di melopea vernacola, perché è quella
che ti fa forza, in certo quasi ti costringe, senza che tu te
n’avveda, a pronunziare ciascun vocabolo all’uso dialettale, in
maniera che suoni in tono con essa. Fa a questo caso il proverbio
francese, che dice: è la musica quella che fa la canzone.
166
quando sentirà lodare la sua bellessa, o dir che è graziosa come
un fiure, o splendida come una stela; o seducende come una
dega, o che si darebbe la vita per darle un baccio. E non
risparmi neppure quei toscaneggianti che, credendo di
pronunziar toscano, non fanno di quella bella pronunzia che una
caricatura stucchevole.
STRETTA FINALE
167
quante simpatie, quanti atti cortesi, quanti consensi, quante
agevolezze non ci derivan da altro nel mondo che dalla
scioltezza, dalla grazia, dalla convenienza della parola.
168
IL CORSO BASE
PROGRAMMA
169
MORDENTE: Esprime il grado di manifestazione globale
dell’articolazione e dipende dalla muscolatura dell’apparato
fonatorio. Combatte la monotonia nella lettura.
LETTURA DI ALCUNI PASSI di Autori classici e
contemporanei applicando le regole sugli elementi espressivi
della voce;
GIOCO DEGLI INCIPIT: Lettura incipit del libro che ci ha
cambiato la vita;
L’ESPERIENZA DEL DOPPIAGGIO: Cenni storici e tecniche
utilizzate;
LA FONAZIONE: Cenni anatomici e controllo degli organi
dell’apparato respiratorio;
LA RESPIRAZIONE: Padronanza del respiro ed esercizi per il
riconoscimento e rafforzamento del diaframma;
L’ARTICOLAZIONE: Ginnastica facciale ed allenamento con
esercizi di incontri di consonanti;
EMISSIONE VOCALE: Esercizi per la risonanza e prova di
Gassman su VOLUME E TIMBRO;
ESERCITAZIONI: Tempo, tono, volume, ritmo, colore,
mordente;
LA DIZIONE: Le regole della pronuncia italiana - Vocali
aperte o chiuse, s e z sonore e sorde ed esercizi per sostenere le
finali;
ESERCIZI PER L’ARTICOLAZIONE VELOCE: Scioglilingua
vari;
LETTURE CON ESERCIZI SULLA C, S, Z, GL, R –
Filastrocche e brani con specifiche difficoltà di pronuncia;
SPEECH e PUBLIC SPEAKING; Spiegazioni e prova in aula
con speech finale di 5/10 minuti.
170
171
NOTA
172
Gi argomenti trattati in questo volume e in quello dedicato a
persone adulte vanno dalla dizione alla respirazione,
all’emissione vocale, con molti esercizi, spesso divertenti (quasi
dei giochi) per arrivare al nocciolo, cioè il metodo vero e
proprio per costruire la propria cassetta degli attrezzi, la capacità
di utilizzare gli strumenti che portiamo con noi da utilizzare in
qualunque momento: siamo capaci di modulare la nostra voce e
di darle l’espressione voluta in qualunque circostanza.
Tutto nasce da alcune pagine di un libro, di chissà quanti fa,
fotocopiate malamente che mi sono state regalate da un
compagno di corso di doppiaggio nel 1985 (corso di un anno
intero, memorabile). Si trattava di pagine che affrontavano
argomenti legati all’espressività e, in particolare, agli elementi
espressivi della voce: tono, volume, tempo, ritmo, mordente e
colore. La trattazione dell’argomento era così precisa e rigorosa
che, oltre a spiegazioni, dal linguaggio un po’ aulico, d’altri
tempi, ma chiaro e incisivo, proponeva un metodo per esercitarsi
che ho trovato geniale. Senza troppe parole o ricorso al grande
teatro, all’immedesimazione nel personaggio e via dicendo,
proponeva dei segni e dei numeri sotto le parole da leggere che
indicavano al lettore la variazione che egli doveva fare
nell’utilizzo dei vari elementi espressivi, costringendolo così ad
alzare il volume, abbassare il tono, variare il mordente, cambiare
il colore, modificare il ritmo e cambiare il tempo e la velocità di
lettura. Quasi come le istruzioni di montaggio IKEA, che,
come sappiamo, funziona sempre.
Non so davvero chi devo ringraziare per aver realizzato questo
vecchio metodo (non ho trovato indicazioni sulle fotocopie poco
leggibili) ma lo ringrazio di cuore perché mi ha aperto le porte
ad un mondo ancora più complesso e interessante che ha
prodotto questa attività che svolgo da molti anni ormai.
Altri argomenti, derivanti dalle mie esperienze e
dall’osservazione del mondo della lettura e del doppiaggio a cui
sono sempre molto legato, sono entrati a far parte di queste
guide.
173
:Devo quindi ringraziare alcuni autori - cui ho fatto ricorso per
integrare il volume - che si sono occupati nel tempo di questi
argomenti:
- Antonio Iuvarra, Il canto e le sue tecniche, Ricordi,
Milano 1987
- Anna Maria Romagnoli: La parola che conquista, ed.
Mursia, Milano 1986
- Francesco Ventura, Leggere e parlare con la mente e il
cuore
- Francesco Schipani, Manuale di lettura espressiva, ed.
La rondine 2017
- Carlo Delfrati, Manuale di educazione alla oralità e alla
lettura, Ed. Principato
- Maurizio Falghera, Come realizzare audiolibri in home
studio, Ed. Enea
- TED – Ideas worth spreading – Celeste Header: 10
regole per migliorare una conversazione
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Indice
176
177
Finito di stampare nel mese di agosto 2019
178