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Impara

 l’arte  della  dizione  italiana  in  meno  di  due  mesi  con  un  metodo  efficace,  divertente  e  completamente  
gratuito.  

Se  una  persona  che  parla  il  dialetto  milanese  dovesse  intrattenersi  in  una  conversazione  con  qualcuno  che  parla  il  
dialetto  sardo,  difficilmente  i  due  si  capirebbero  a  vicenda.    

Fortunatamente,  soprattutto  grazie  al  potere  ‘livellante’  dei  media  –  radio,  cinema  e  televisione  –  quasi  tutti  gli  
italiani  sono  in  grado  di  parlare  una  lingua  nazionale  più  o  meno  uniforme,  grazie  alla  quale  ci  si  può  intendere  
vicendevolmente  in  qualunque  regione  d’Italia.  

In  molte  zone  d’Italia,  soprattutto  nelle  aree  urbane,  le  nuove  generazioni  non  imparano  nemmeno  più  il  dialetto  
locale  e  parlano  unicamente  questa  lingua  ‘uniforme’    

Ma  questa  lingua  ‘uniforme’  è  il  corretto  italiano  neutro?    

La  risposta  è,  quasi  sempre,  no.  

Se  un  milanese  con  la  sua  ‘pronuncia  uniforme’  si  avventurasse  in  qualunque  zona  d’Italia  al  di  fuori  della  Lombardia,  
non  appena  aprisse  bocca  si  sentirebbe  chiedere:  ‘Sei  di  Milano,  vero?’.  

E  lo  stesso  accadrebbe  con  un  Torinese  a  Milano,  un  Romano  a  Torino,  un  Palermitano  a  Roma,  eccetera.  

Ciò  significa  che  nella  pronuncia  di  tutte  queste  persone  –  ciascuna  delle  quali  ingenuamente  convinta  di  parlare  un  
‘italiano  neutro’  –  c’è  in  realtà  una  marcata  ‘colorazione  regionale’  che  tradisce  la  sua  zona  d’origine.  

Se  invece  guardiamo  un  film  in  televisione,  recitato  o  doppiato  da  professionisti,  non  saremo  in  grado  di  capire  la  
‘provenienza  regionale’  delle  voci  che  sentiamo.  Loro  stanno  utilizzando  davvero  un  ‘italiano  neutro’.  

Questo  corso  è  appunto  rivolto  a  chiunque  abbia  il  desiderio  di  scrollarsi  di  dosso  le  inflessioni  dialettali  ed  
esprimersi  con  una  pronuncia  italiana  corretta.    

Imparare  ad  esprimersi  con  una  dizione  corretta  è  vantaggioso  per  chiunque,  in  qualunque  ambito  privato  e  
professionale,  e  non  solo  per  gli  attori!  

Qualche  indolente  pelandrone  obietterà  sempre  che,  ‘tutto  sommato,  in  qualche  modo  ci  si  capisce  lo  stesso’  anche  
assassinando  la  pronuncia  delle  parole.    

Se  però  comunicare  non  è  per  noi  una  semplice  questione  di  sopravvivenza,  ma  anche  di  buon  gusto  e  di  
autorevolezza,  allora  dovremo  osservare  che  non  è  importante  solo  la  cosa  in  sé,  ma  anche  il  modo  in  cui  la  si  
presenta.  

Tutti  converremo  che  una  buona  pietanza  servita  in  un  ristorante  freddo,  deserto  e  da  un  cameriere  maleducato  ci  
sembrerà  un  po’  meno  buona  che  se  la  avessimo  gustata  in  un  ristorante  caldo  e  accogliente.  Se  qualcuno  dovesse  
insistere  che  ‘tutto  sommato,  in  qualche  modo  si  è  mangiato  lo  stesso’,  di  sicuro  non  esiteremmo  a  controbattere.  

In  conclusione,  c’è  modo  e  modo  di  ‘presentare  le  parole’,  e  noi  vogliamo  scegliere  quello  migliore!  

di Stefano Vendrame
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ISTRUZIONI
Una buona pronuncia si basa principalmente su due pilastri: articolazione e dizione.
La prima si occupa essenzialmente della ‘chiarezza’ nella pronuncia delle parole, la
seconda della ‘correttezza’ di questa pronuncia. Quantunque non trascureremo di
affrontare alcuni aspetti di articolazione, dobbiamo chiarire subito che l’obiettivo primario
di questo corso è la dizione o, più correttamente, l’ortoepia (che significa ‘pronuncia
corretta’, proprio come ortografia significa ‘scrittura corretta’).
Quattro sono i ‘punti caldi’ della dizione italiana:
- la scelta tra la ‘è’ aperta (come in ‘bèllo’) e la ‘é’ chiusa (es. ‘avére’) nella pronuncia
delle parole;
- la scelta tra la ‘ò’ aperta (es. ‘tròppo’) e la ‘ó’ chiusa (es. ‘calóre’) nella pronuncia delle
parole;
- la scelta tra la ‘s’ sorda (es. ‘asso’) e la ‘s’ sonora (es. ‘smetto’) nella pronuncia delle
parole;
- la scelta tra la ‘z’ sorda (es. ‘pazzo’) e la ‘z’ sonora (es. ‘zig zag’) nella pronuncia delle
parole.
Per rendere più facile ed intuitiva la lettura, le vocali accentate ‘e’ ed ‘o’ in questo
corso sono color-coded: il colore verde indica ‘pronuncia aperta’ (come in ‘bèllo’,
‘tròppo’), mentre il colore blu indica ‘pronuncia chiusa’ (‘avére’, ‘calóre’).
Per quanto riguarda la pronuncia della ‘s’ e della ‘z’, il colore rosso indica
‘consonante sorda’ (‘spazio’), mentre il colore viola indica ‘consonante sonora’
(‘smetto’, ‘zig zag’).
Le ‘e’ e le ‘o’ colorate sono solamente quelle su cui cade l’accento.
Infatti, vale la regola generale che tutte le vocali non accentate all’interno di una
parola vengono sempre pronunciate chiuse.
Ad esempio, la parola ‘segretaménte’ ha quattro ‘e’, ma il dubbio sulla pronuncia può
sorgere solo sulla penultima, che è quella su cui cade l’accento. Per le altre ‘e’ non si
pone alcun dubbio: poiché non sono accentate, si pronunciano sicuramente chiuse:
ségrétaménté. Analogamente, la parola intraprendènte si pronuncia intrapréndènté.
Eccetera.
Il corso consta di cinquantaquattro brani, da leggere a voce alta più volte, uno per
giorno. Non potete esimervi dalla lettura a voce alta, non sottovoce e tantomeno col solo
pensiero.
Solo ‘ascoltando’ la vostra voce acquisirete gli automatismi della pronuncia corretta.
Quattro lezioni di approfondimento aiuteranno a puntualizzare ed integrare il
contenuto delle lezioni, corredando l’apprendimento con qualche informazione e
curiosità.
Infine, un’appendice in cinque parti propone alcuni esercizi di articolazione da
svolgere parallelamente alle lezioni del corso per non trascurare questo importante
aspetto della pronuncia.
La prima regola è quella di non avere fretta!
Un brano al giorno è più che sufficiente. Ricordatevi che non si tratta di leggerlo una
sola volta, ma di ripeterlo ed ascoltarlo ripetutamente, ‘masticandolo e ruminandolo’...
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La difficoltà maggiore, all’inizio, sarà che ‘suonerete strani’ a voi stessi e anche a
chi vi stesse ascoltando. Ma non cadete nell’ingiustificato timore di sembrare ridicoli.
Provate a guardare un film: sicuramente gli attori stanno pronunciando correttamente,
ma se non ci fate caso quasi non ve ne accorgete. Perché, allora, quando parlate voi
dovreste essere ridicoli? La risposta è che non lo siete affatto. Nessuno è ridicolo quando
fa le cose correttamente.
Nel caso qualche conoscente dovesse guardarvi in modo strano la prossima volta
che vi sentirà pronunciare una parola in modo diverso da come avete sempre fatto,
spiegategli semplicemente che state imparando a pronunciare correttamente le vocali.
Magari riuscirete ad incuriosirlo, e allora gli farete qualche esempio.
La durata del corso è di circa due mesi. Nulla vi vieta, tuttavia, di fermarvi e
rileggere i brani precedenti invece di andare avanti. Ci metterete un po’ di più, ma che
fretta c’è?
Quello che dovreste evitare, invece, è di lasciare passare dei giorni senza esercitarvi.
Piuttosto esercitatevi anche solo per due minuti, ma non tralasciate del tutto.
Cercate poi di utilizzare fin da subito, nel linguaggio di tutti i giorni, le parole che
avete imparato a pronunciare correttamente. Evitate invece di pronunciare diversamente
da come siete abituati le parole sulla cui pronuncia non siete certi. Non c’è niente di
peggio che pronunciare in modo scorretto una parola che siete abituati a pronunciare
correttamente!
Infine, non demoralizzatevi mai, anche quando avrete l’impressione di non fare
passi avanti.
Di solito il discente è anche disposto ad imparare le regole, ma si fa prendere dallo
sconforto di fronte alle (numerose) eccezioni. In effetti, nelle note ai brani verranno
segnalate le regole via via incontrate, con l’indicazione delle relative eccezioni. Ma
queste indicazioni sono fornite più che altro per sodisfare la vostra curiosità, e non
affinché le impariate tutte a memoria! Accontentatevi di ripetere tante volte i testi dei vari
brani. Imparare la pronuncia è una questione di abitudine e di costanza, non di memoria!
Vi accorgerete di poter assimilare ogni cosa senza troppi sforzi...
Pronti? Via!
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PRIMA LEZIONE
Quésto cappèllo è¬veraménte elegante, ma¬quél soprabito, quéllo là a¬dèstra, è
incredibilménte brutto.
A¬té¬piace quélla sciarpa?
A¬mé¬pér niènte.
Perché¬non pròvi quésta gónna?
Preferisci quésti guanti ó¬quélli?
Ó¬quégli altri ancóra?
• Come avrete notato, in questo primo brano abbiamo insistito sulla pronuncia dei determinativi: quésto,
quésta, quéste, quésti, quéllo, quélla, quélli, quégli e quélle, come anche codésto, che vanno tutti
pronunciati con la é chiusa.
• Per rafforzamento sintattico (o cogeminazione) si intende la pronuncia di alcune consonanti singole, ad
inizio di parola, come se fossero doppie.
Normalmente questa regola è bellamente ignorata al nord, dove anzi molti pensano si tratti di una scorretta
cadenza dialettale tipica del meridione.
Nella lezione di approfondimento, tra una settimana, affronteremo più estesamente la questione del
rafforzamento sintattico: se siete ansiosi di saperne di più, andate subito a sbirciare.
Ma non preoccupatevi di imparare a memoria le regole! Nei nostri brani vi verrà sempre in aiuto il simbolo
¬, che posto tra due parole ricorda di rafforzare la consonante che lo segue (èvveramente, maqquel,
addestra, atteppiace, ammepper, perchénnon...)
Quando trovate il simbolo ¬ colorato di rosso, significa che potete scegliere liberamente se applicare o no
il rafforzamento.
ESERCIZIO 1
Al termine di ogni lezione, troverete sempre un esercizio di cinque frasi. Per le vocali sottolineate,
dovete stabilire se la pronuncia è chiusa (é,ó) o aperta (è,ò), e poi confrontare con la tabella delle
correzioni alla fine del corso.
Se commettete troppi errori, non andate avanti ma rivedete la lezione.
1. Questa gonna è brutta.
2. Perché non la provi?
3. Ancora questo cappello?
4. Codesti sono incredibilmente brutti.
5. Niente di cui preoccuparsi
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SECÓNDA LEZIONE
La mia schièna è¬pièna di nèi, ma¬pròprio ièri èro dalla dottoréssa, ché¬mi ha¬levato la
magliétta, mi ha esaminato davanti é¬diètro, dòrso, addòme éd anche fra i capélli, é
infine mi ha¬détto ché¬néi mièi nèi nón c’è¬niènte di cui preoccuparsi.
Un bèl sollièvo...

• Il messaggio di questo secondo brano è che tutte le parole che contengono il dittongo ‘ie’ si pronunciano
con la e aperta (schièna, pièna, ièri, diètro, mièi, niènte, bandièra, pièdi, lièto, insième, dièci, chièsa, mièle,
carrièra, vièni, mongolfièra, cavalière...).
L’importanza di questa regola viene dal fatto che le parole contenenti il dittongo ‘ie’ sono tantissime. Se
oggi avrete qualche ritaglio di tempo, anche per strada mentre aspettate l’autobus, divertitevi a cercarne
altre e a pronunciarle correttamente!
• Naturalmente non mancano le eccezioni alla regola, ma sono poche. Si pronunciano con la ‘e’ chiusa le
parole terminanti in -ietto/a: (magliétta, vecchiétto, armadiétto, fischiétto, salviétta, bigliétto...), -iezza
(ampiézza, doppiézza) e le parole ateniése, chiérico, scambiévole, occhiéggio.
Ma ricordate sempre che non è necessario imparare a memoria tutte le cose che diciamo in queste note a
margine!
• Avrete notato che néi (dentro ai) e nèi (plurale di neo) sono due parole omografe ma non omofone.
Incontreremo molti altri esempi di questo fenomeno.
ESERCIZIO 2
1. C’è qualcosa nei capelli della dottoressa
2. La maglietta copre il suo addome
3. Sei proprio piena di nei!
4. Cos’hai alla schiena?
5. Niente, ti ho detto!
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TÈRZA LEZIONE
Quésta spècie di gènio ritiène di sapérne più¬di mé. Ché ingènuo!
In tutta la mia carrièra nón è¬mai capitato niènte dél gènere. Cón ché¬critèrio ha¬deciso
di méttersi cóntro di mé?
Ma¬vedrà¬nél séguito, cóme mi véndico!
Nón è¬cèrto dégno délla mia vènia.
Sarà¬sémplice rimétterlo al suo pósto!
ɬché¬la pròssima vòlta ci pènsi due vòlte prima di méttere in scèna una simile
commèdia.
Ecco un’altra regola utilissima: quando la e accentata è seguita da una consonante e due vocali (eCVV)
viene pronunciata aperta.
• Se impariamo ad utilizzarla, questa regola ci risparmia la necessità di memorizzare tutta una serie di
terminazioni da pronunciare con la e aperta: -ècio (spècie, fattispècie...); -èdio (commèdia, inèdia, mèdia,
sèdia, tragèdia, tèdio, assèdio, rimèdio...); -èduo (cèduo...); -ègio (collègio, egrègio, prègio, privilègio,
sacrilègio, sortilègio...); -èlio (cimèlio, epitèlio, camèlia...); -èneo (omogèneo, eterogèneo...); -ènio (gènio,
progènie, gardènia, vènia...); -ènuo (tènue, attènuo, ingènuo, strènuo...); -èpio (presèpio...); -èreo (cinèreo,
aèreo, etèreo...); -èrio (critèrio, desidèrio, sèrio, macèria, matèria, misèria, congèrie, intempèrie, sèrie...); -
èsio (magnèsio, vanèsio, ardèsia, ecclèsia...); -ètuo (perpètuo...); -èvio (abbrèvio, prèvio...); -èzio (scrèzio,
trapèzio, facèzia, inèzia, spèzia...).
• Per poter sfruttare al meglio questa regola, dobbiamo subito imparare le poche eccezioni: la terminazione
in -éguo/a/ito (séguo, eséguo, perséguo, adéguo, trégua, strégua, séguito, perséguito...) e le parole frégio e
sfrégio.
In questi primi tre brani abbiamo incontrato tre regole importanti che ci verranno in aiuto molto
spesso: la pronuncia dei determinativi, la regola del dittongo ‘ie’ e quella di ‘eCVV’.
Per questa ragione, prima di procedere, vale la pena rivederle ancora una volta riflettendoci con
calma.
Nei brani successivi avremo modo di incontrare molti esempi di applicazione di queste regole.
ESERCIZIO 3
1. Questa sottospecie di commedia non andrà in scena
2. È stato ingenuo mettersi al mio posto
3. Ritiene che il seguito sia semplice
4. Chiedo venia!
5. I criteri per vedere un paramecio.
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QUARTA LEZIONE
Pensai: “Óra scéndo trécèntodièci scalini é¬prèndo quéll’orrènda agènda!”
Ma¬nonostante stéssi facèndo dél mio mèglio, èro solaménte al tredicèsimo scalino
quando dissi: “Stò¬morèndo! Nón rièsco nemméno a scéndere lé scale pér prèndere
l’agènda”.
“Ȭsèmpre la stéssa sòlfa”, commentò Andrèa, tagliènte cóme una cesóia.
Ché¬carógna!
Ma¬ché stai dicèndo? Sémbri uno scémo!
Niènte affatto, stò¬mettèndo correttaménte gli accènti!
• Oggi abbiamo focalizzato sulla terminazione in -endo, -enda, -endere.
Come regola generale, la ‘e’ deve essere pronunciata aperta: orrènda, agènda, bènda, tremèndo, stupèndo...
• Scéndere e véndere sono gli unici due verbi che fanno eccezione alla regola (insieme ai derivati come
svéndere e rivéndere). Ripetiamo a voce alta:
- Io scéndo, tu scéndi, égli scénde, éssi scéndono
- Io véndo, tu véndi, égli vénde, éssi véndono
Tutti gli altri verbi in -endere seguono normalmente la regola: prèndere, spèndere, tèndere, comprèndere...
- Io prèndo, tu spèndi, égli tènde, éssi comprèndono
• Ricordate infine che non ci sono eccezioni alla regola quando si tratta di verbi al gerundio, che quindi
hanno sempre la ‘e’ aperta: facèndo, morèndo, prendèndo, spendèndo, corrèndo, ferèndo ma anche
scendèndo e vendèndo.
ESERCIZIO 4
1. Scendi e prendi la cesoia, Andrea!
2. Mi sembra orrendo
3. Scendendo le stesse scale
4. Il saggio vende allo scemo che spende tutto
5. Annota gli accenti sull’agenda!
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QUINTA LEZIONE
Quélla séra di primavèra la principéssa scòrse lé stélle nél cièlo, ché¬rendévano
splendidaménte lucènti i suòi principéschi capélli.
Sórse la luna, éd élla sé né accòrse.
“Ché¬bellézza! Ché¬dolcézza! - élla pensò - Nón ha¬prèzzo quésto evènto! ɬmio
padre, il ré, né sarà¬lièto”.
• Tutti gli avverbi, che finiscono in ‘ménte’, vanno pronunciati con la e chiusa (lentaménte, tristeménte...).
• La terminazione in -éssa vuole di regola la e chiusa: dottoréssa, principéssa, contéssa, poetéssa, preméssa,
scomméssa, méssa. Fanno eccezione: prèssa, sopprèssa, comprèssa, rèssa.
• Avrete notato che le parole stélle e capélli si pronunciano con la e chiusa. Non traetene tuttavia una regola
generale: per una volta, infatti, abbiamo incontrato prima le eccezioni!
Di regola, la desinenza -ello/a/e/i vuole la e aperta: pagèlla, orticèllo, campicèllo, carosèllo, castèllo,
novèlla, zitèlla, scioccherèllo, pèlle, imbèlle, ribèlle...
Vi farà piacere sapere che, oltre a quéllo/a/e/i, déllo/a/e/i e néllo/a/e/i, stélla e capéllo sono le uniche altre
eccezioni a questa regola.
ESERCIZIO 5
1. Scorsi la stella che sorse nel cielo
2. Chiedo umilmente scusa alla principessa
3. I capelli dei ribelli
4. Il re è lieto nelle sere di primavera
5. Il prezzo della scommessa.
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SÈSTA LEZIONE
Sé¬voléssi, andrèi da¬quél camerière in livrèa é gli dirèi: ‘Vorrèi quéi pasticcini,
é¬tré¬tazze di tè¬péi mièi figliòli’
‘Quanti, prègo?’, éi chiederèbbe.
‘Ma¬vé l’hò¬détto, né vòglio tré’.
Discutéi a¬lungo, é¬cón orgóglio, néll’atenèo, durante quéll’assemblèa.
Dovéi far lóro cambiare idèa.
Ma¬néi lóro pensièri, io èro niènte più¬ché un pòvero docènte dél licèo.
• Impariamo oggi una regola molto importante: quando una ‘e’ accentata è seguita da vocale (eV), viene di
regola pronunciata aperta:
- assemblèa, azalèa, contèa, dèa, epopèa, idèa, livrèa, trincèa...
- contèe, azalèe, dèe, epopèe, idèe, livrèe, trincèe...
- colèi, sèi, nèi (plurale di neo), piagnistèi, tornèi, lèi, colèi, onomatopèico, protèico, plèiadi...
- atenèo, piagnistèo, scarabèo, rèo, tornèo, trofèo, cortèo, licèo, musèo, nèo, aurèola, alvèolo, metèora...
- fèudo, rèuma, propedèutico, farmacèutica, maièutica...
Ricordate in particolare le voci del condizionale: andrèi, dirèi, sarèi, vorrèi...
• Attenzione, però, a queste importantissime eccezioni che riguardano solo la ‘e’ seguita da ‘i’:
déi (degli), néi (negli), péi (per i), quéi, éi (egli) e le voci del passato remoto: dovéi, credéi, discutéi
ESERCIZIO 6
1. Andrei dal docente, ma lui direbbe di no
2. Che hai detto, prego?
3. Niente assemblea nell’ateneo
4. Discutei con orgoglio dell’idea
5. Non voglio udire piagnistei!
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APPROFONDIMENTO  
1-­‐  LA  PRONUNCIA  ‘NEUTRA’  
Una  domanda  che  viene  spesso  posta  è:  ‘ma  con  quale  criterio  si  è  deciso  quale  deve  essere  
la  pronuncia  corretta  di  una  parola?’.  
Per  ragioni  storico-­‐letterarie,  si  è  convenuto  che  la  ‘pronuncia  ufficiale  italiana’  coincida  con  
la  pronuncia  toscana  colta.  
Come  scrive  Anna  Maria  Romagnoli,  ‘se  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio  non  fossero  nati  in  
Toscana,  ma  in  Lombardia  o  in  Sicilia,  le  cose  sarebbero  andate  diversamente  per  la  nostra  lingua  
e,  conseguentemente,  per  la  pronuncia  di  essa...’  
È  evidente  che  si  tratta  di  una  convenzione,  ma  criticarla  avrebbe  lo  stesso  senso  che  
criticare  la  nostra  grammatica  e  il  nostro  vocabolario.  Non  a  caso  Manzoni  ha  ‘risciacquato  i  
panni  in  Arno’,  e  non  certo  nel  Tevere  o  nel  Po!  
La  domanda  successiva  è  allora:  ‘ma  come  posso  sapere  qual’è  la  pronuncia  toscana  
standardizzante  di  una  certa  parola?’.  
La  risposta  non  è  affatto  facile.  
Si  potrebbe  citare  qualche  testo,  primo  fra  tutti  lo  storico  ‘Dizionario  d’ortografia  e  di  
pronunzia’  di  Migliorini-­‐Tagliavini-­‐Fiorelli  (RAI-­‐ERI,  prima  edizione  1969),  espressamente  
destinato  agli  annunciatori  della  radiotelevisione  pubblica  italiana.    
Già  nell’introduzione  abbiamo  tuttavia  insistito  sulla  natura  dinamica  della  lingua:  non  si  può  
fare  affidamento  solo  ed  unicamente  su  un  testo  tradizionale,  per  quanto  autorevole.  
Bisogna  dunque  fare  affidamento  sulla  parlata  corrente,  ma  di  chi?  
Si  deve  ammettere  che  non  tutte  le  parole  vengono  pronunciate  allo  stesso  modo  in  ogni  
parte  della  toscana  Toscana,  in  Umbria,  nelle  Marche  e  nel  Lazio.  La  stessa  pronuncia  di  Roma  
differisce  sistematicamente  da  quella  del  resto  del  Lazio.  
Dobbiamo  forse  prendere  per  buona  la  pronuncia  dei  nostri  attori  e  dei  nostri  doppiatori?    
Oggigiorno  non  tutti  sono  così  professionali.  E  allora  siamo  daccapo:  come  decidere  se  un  
doppiatore  parla  correttemente,  o  se  è  uno  che  commette  degli  errori?  
Uno  dei  nostri  più  autorevoli  fonetisti,  Luciano  Canepari,  risponderebbe  che  di  molte  parole  
esiste  più  di  una  possibile  pronuncia.  
Nel  suo  Dizionario  di  Pronuncia  Italiana  (Zanichelli)  egli  propone  infatti,  accanto  alla  
‘pronuncia  tradizionale’,  una  ‘pronuncia  moderna’  per  alcune  parole,  una  ‘pronuncia  accettabile’  
per  altre  parole,  e  persino  una  ‘pronuncia  tollerata’  per  altre  ancora,  dando  indicazione  
dell’eventuale  differenza  nella  pronuncia  tra  le  diverse  regioni  dell’Italia  centrale.  
Nel  nostro  corso,  per  non  confondere  il  volonteroso  discente,  ci  siamo  orientati  perlopiù  
sulla  sola  ‘pronuncia  tradizionale’,  insistendo  soprattutto  sulle  parole  che  non  ammettono  troppe  
deroghe,  e  lasciando  perlopiù  correre  su  quelle  che  ormai  vengono  pronunciate  sempre  più  
spesso  in  un  modo  diverso  da  quello  tradizionale.  
2-­‐  IL  RAFFORZAMENTO  SINTATTICO  
Per  rafforzamento  sintattico  (o  cogeminazione)  si  intende  la  pronuncia  di  alcune  consonanti  
singole,  ad  inizio  di  parola,  come  se  fossero  doppie.  
Ma  quando  si  deve  applicare,  e  quando  no?  
Si  tratta  di  una  questione  molto  controversa  e  oggetto  di  complesse  opere  trattatistiche,  alle  
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quali  naturalmente  non  ci  interessiamo.  


I  puristi  sosterranno  che  bisogna  ogni  volta  ricorrere  al  latino,  da  cui  il  fenomeno  del  
rafforzamento  trae  origine:  ad  esempio  ‘ad  me’  diventa  necessariamente  ‘amme’,  come  a  
riempire  il  posto  lasciato  libero  la  caduta  della  ‘d’.  Ma  anche  questa  strada,  complessa  e  non  
sempre  risolutiva,  è  poco  praticabile.  
Molti  professionisti  della  parola  affermano  semplicemente  di  ‘sentirlo’.  Purtroppo  non  tutti  
hanno  questa  capacità,  o  almeno  non  subito,  per  cui  c’è  bisogno  di  alcune  regole  per  iniziare.    
Non  sono  oro  colato,  ma  eccole  ugualmente:  
•  È  previsto  il  rafforzamento  davanti  alle  parole  che  finiscono  con  una  vocale  accentata  (perché,  
però,  città,  sarò,  è,  già,  quà,  là,  più,  sì,  ...)  
•  È  previsto  il  rafforzamento  davanti  ad  alcuni  monosillabi  non  accentati  che,  nella  frase,  
vengono  pronunciati  come  se  portassero  l’accento  sull’ultima  vocale  (a,  e,  se,  qua,  qui,  che,  
tre...).  
•  Vi  sono  poi  monosillabi  che  non  cogeminano  (di,  i,  la,  le,  li,  lo,  gli,  mi,  ti,  ci,  vi,  ne,  ‘sta,  ‘ste,  ‘sto,  
‘sti)  
•  Il  rafforzamento  non  viene  mai  eseguito  se  si  fa  una  pausa  tra  la  pronuncia  delle  due  parole  in  
esso  coinvolto.    
Anche  quando  nei  nostri  brani  trovate  il  simbolo  ¬,  dovete  ignorarlo  se  fate  una  pausa.  
Ci  sono  casi  in  cui  è  consentito,  se  non  addirittura  suggerito,  evitare  il  rafforzamento  
sebbene  previsto  dalle  regole  suddette.  
•  Il  rafforzamento  può  essere  evitato,  facoltativamente,  in  alcuni  casi  determinati  dal  particolare  
ritmo  della  frase.  
‘Bell’affare!’,  direte  voi.  ‘Allora  siamo  daccapo!’  
E  avete  ragione.  Per  il  momento,  perciò,  dimentichiamoci  pure  di  questo  punto.  Nel  corso  
del  vari  brani  avremo  modo  di  commentare  alcuni  casi  particolari.  
•  Vi  sono  casi  in  cui,  applicando  alla  lettera  tutte  le  regole,  il  risultato  suona  molto  ‘appesantito’.  
Consideriamo  ad  esempio  questo  endecasillabo  tratto  dall’Inferno  dantesco  (canto  terzo):  
é¬ché¬gènt’è¬ché¬par  nél  duòl  sì¬vinta?  
Sono  ben  cinque  rafforzamenti  sintattici.  A  seconda  di  come  viene  recitata  la  frase,  tuttavia,  
se  ne  può  anche  eliminare  qualcuno.  Ad  esempio:  
é¬ché/gènt’è  //  ché¬par  nél  duòl  sì¬vinta?  
Si  tratta  comunque  di  eventualità  rare  e  ‘infernali’  (nel  vero  senso  della  parola!),  per  cui  non  
è  il  caso  di  preoccuparci,  nè  di  spaventarci  con  il  (volutamente)  improbabile  
‘chi¬più¬fa¬può¬più¬se¬  fa¬da¬sé’  proposto  da  Luciano  Canepari  nel  suo  ‘Manuale  di  pronuncia  
italiana’.    
•  Il  rafforzamento  dopo  la  preposizione  ‘da’  è  controverso,  per  cui  siete  liberi  di  applicarlo  
oppure  no,  e  non  commetterete  errori:  ad  esempio,  potete  dire  ‘vengo  da¬casa’  oppure  
‘vengo  da  casa’.    
•  I  determinativi  ‘la’,  ‘le’,  ‘li’,  ‘lo’  tendono  sempre  più  a  rifiutare  il  rafforzamento  sintattico  anche  
‘dietro’,  ossia  quando  la  parola  precedente  la  prevederebbe.  Ma  non  si  tratta  di  una  regola  
ferrea.  
Per  cui  la  frase  ‘perché  la  chiami’  può  essere  pronunciata  sia  ‘perché¬la  chiami’,  sia  ‘perché  
la  chiami’.  
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Lo  stesso  discorso  vale  anche  le  particelle  pronominali  (o  avverbiali)  ‘non’  e  ‘ne’  (‘che¬ne  so’  
oppure  ‘che  ne  so’...).  
In  tutti  questi  casi  dove  la  cogeminazione  è  ‘facoltativa’,  nei  nostri  brani  utilizzeremo  il  
simbolo  ¬  di  colore  rosso.    
Come  comportarsi  in  questi  casi?  
Il  consiglio,  almeno  all’inizio,  è  di  non  ‘forzare’  troppo  la  vostra  pronuncia  regionale.  
Se  siete  abituati  alla  pronuncia  ‘non  rafforzata’  del  nord  italia,  evitate  la  cogeminazione  
quando  vedete  il  trattino  rosso.  Se  invece  siete  abituati  alla  pronuncia  ‘troppo  rafforzata’  del  
meridione,  vi  sarà  più  comodo  produrre  la  cogeminazione  anche  quando  non  è  strettamente  
necessaria,  prestando  però  molta  attenzione  a  evitarla  quando  davvero  non  ci  vuole!  
Quando  comincerete  a  farvi  l’orecchio,  vi  verrà  spontaneo  riconoscere  alcune  frasi  in  cui  
‘suona  meglio’  applicare  il  rafforzamento,  e  altre  in  cui  preferirete  evitarlo.  Considariamo  ad  
esempio  le  frasi  ‘farò  la  torre’  e  ‘farò  l’attore’.  Secondo  voi,  in  quale  delle  due  ‘suona  meglio’  il  
rafforzamento  dopo  ‘farò’?    
Molti  sceglieranno  la  seconda.  Ma,  come  abbiamo  detto,  non  si  tratta  di  regole.  Potete  
scegliere  di  non  applicarlo  in  nessuna,  o  viceversa  in  entrambe.  
•  Ma  Il  rafforzamento  sintattico  si  applica  solo  nei  casi  contemplati  dalle  nostre  regole?    
Alcuni  parlatori  saranno  pronti  a  giurare  che  si  dice:  
qualche¬volta,  come¬mai,  dove¬vai  
applicando  così  il  rafforzamento  ad  alcuni  bisillabi  piani  (ossia  con  l’accento  sulla  penultima  
sillaba),  ma  solo  in  alcuni  casi  e  senza  una  regola  precisa,  più  che  altro  per  ‘tradizione’.    
Poichè  la  maggior  parte  dei  professionisti  della  parola  utilizza  ormai  sempre  meno  queste  
forme,  ci  sentiamo  in  buon  diritto  di  ignorarle  anche  noi.  
Tranquilli,  dunque!  Le  regole  che  abbiamo  fornito  sono  più  che  sufficienti  per  cavarsela  
senza  commettere  errori.  
Per  il  momento,  tenete  presente  questi  ultimi  due  consigli:  
•  Soprattutto  al  nord,  dove  non  si  è  abituati  a  rafforzare,  quando  si  tenta  si  farlo  si  rischia  spesso  
di  cadere  nell’errore  contario,  pronunciando  una  consonante  come  se  fosse  tripla  o  
quadrupla,  oppure  ‘frenando’  su  di  essa  (‘vado  àc//casa’,  in  luogo  di  ‘vado  accasa’).  
Naturalmente  bisogna  fare  attenzione  ad  evitare  questa  esagerazione:  il  rafforzamento  deve  
essere  deciso  ma  scivolare  veloce  e  senza  indugio.  
•  Ogni  volta  che  non  siete  sicuri,  e  non  vi  viene  spontaneo,  è  meglio  evitare  il  rafforzamento  
sintattico.  Infatti  un  rafforzamento  mancato  dove  ci  vorrebbe  può  anche  passare  
inosservato,  ma  un  rafforzamento  di  troppo  dove  non  ci  vorrebbe  sortisce  un  effetto  
davvero  fastidioso.  
3-­‐  LA  VOCALE  ‘O’  (PARTE  PRIMA)  
Imparare  la  pronuncia  della  vocale  ‘o’  è  più  facile  rispetto  alla  ‘e’,  perché  una  volta  fatta  un  
po’  di  pratica  diventa  abbastanza  ‘intuitiva’.  
Per  questo  ci  siamo  affidati  più  all’esercizio  che  alle  regole,  che  infatti  non  trovate  nelle  note  
a  margine  dei  brani.  
Affronteremo  però  alcuni  aspetti  teorici  nel  corso  delle  lezioni  di  ricapitolazione,  
suddividendo  la  ‘materia’  in  tre  parti,  per  non  tediarvi  troppo.  
In  questa  prima  parte  vedremo  alcune  regole  molto  generali  –  del  tutto  simili  a  quelle  che  
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valgono  per  la  vocale  ‘e’  –  che  ci  saranno  di  valido  aiuto  per  la  pronuncia  della  ‘o’.  
-­‐  Quando  è  seguita  da  una  consonante  e  due  vocali,  la  ‘o’  accentata  si  pronuncia  sempre  
aperta.    
Moltissime  terminazioni  sono  interessate  da  questa  regola:  -­‐òbio,  -­‐òcio,  -­‐òcua/o,  -­‐òdia/o,  -­‐
òfia/o,  -­‐ògia/o,  -­‐òlia/o,  -­‐òmio,  -­‐ònao,  -­‐òneo,  -­‐ònia/o,  -­‐òpia/o,  -­‐òrea/o,  -­‐òria/o,  -­‐òseo,  -­‐òsia/o,  -­‐
òzia/o.  
Ecco  alcuni  esempi  di  parole:  sòcio,  dissòcio,  innòcuo,  custòdia,  episòdio,  iòdio,  òdio,  pòdio,  
sòdio,  orfanotròfio,  mògio,  elògio,  orològio,  magnòlia,  òlio,  monopòlio,  petròlio,  rosòlio,  
binòmio,  manicòmio,  encòmio,  erròneo,  idòneo,  cerimònia,  colònia,  parsimònia,  carbònio,  
demònio,  patrimònio,  còpia,  microscòpio,  marmòreo,  corpòreo,  baldòria,  glòria,  stòria,  empòrio,  
obbligatòrio,  ròseo,  ambròsia,  sòsia,  simpòsio,  glucòsio,  òzio,  negòzio...  
Come  eccezione,  ricordate  il  verbo  ‘sfócio’.  
-­‐  Quando  la  ‘o’  accentata  fa  parte  del  dittongo  ‘uo’,  viene  sempre  pronunciata  aperta:  uòvo,  
uòmo,  buòno,  cuòcere,  fuòco,  suòcero,  vuòto,  vuòle,  nuòce,  ruòta...  
-­‐  Quando  la  ‘o’  accentata  è  seguita  dalla  lettera  ‘b’,  viene  di  norma  pronunciata  aperta:  ròba,  
guardaròba,  acròbata,  gòbbo,  sgòbbo,  sbòbba,  addòbbo,  mòbile,  nòbile,  glòbo,  còbra,  sòbrio,  
obbròbrio,  glòbulo...  
Fanno  eccezione  il  passato  remoto  di  conoscere:  conóbbi,  conóbbe,  conóbbero  (e  composti:  
disconóbbi,  riconóbbi...)  ed  il  mese  di  ottóbre.  
-­‐  Quando  la  ‘o’  accentata  è  seguita  dalla  lettera  ‘d’,  viene  di  norma  pronunciata  aperta:  lòde,  
òde,  custòde,  fròde,  fòdera,  sfòdero,  còdice,  metòdico,  melòdico,  pròdigo,  bròdo,  esplòdo,  
chiòdo,  gòdo,  lòdo,  appròdo,  mòdo,  òdo,  sòdo,  allòdola,  ippòdromo,  mòdulo...  
Fanno  eccezione  la  parola  códa,  i  verbi  ródere  e  corródere  (io  corródo,  tu  corródi...)  e  il  
numero  dódici.  
-­‐  Quando  la  ‘o’  accentata  è  seguita  dalla  lettera  ‘f’,  viene  sempre  pronunciata  aperta:  scròfa,  
stròfa,  esòfago,  garòfano,  stòffa,  scartòffia,  sòffice,  gòffo,  sòffoco,  òffro,  filosòfico,  idròfilo,  
carciòfo,  pantòfola,  micròfono,  pròfugo...  
-­‐  Quando  la  ‘o’  accentata  è  seguita  dalle  lettere  ‘li’,  viene  sempre  pronunciata  aperta:  
maiòlica,  simbòlico,  diabòlico,  bòlide,  sòlido,  pòlipo,  idròlisi,  insòlito,  pòlizza...  
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SÈTTIMA LEZIONE
Verrésti staséra alle dièci, dópo céna?
Né sarèi estremaménte lièto, é¬mio fratèllo griderèbbe di giòia.
Insième guarderémmo la televisióne, pòi vói due potréste giocare a¬biliardo.
I mièi genitori andrèbbero a¬teatro, cóme¬sèmpre, la doménica.
• Nel caso non ve ne foste accorti, in questo brano abbiamo focalizzato sulla pronuncia del condizionale
presente, che crea generalmente molti problemi. Infatti, ci sono tre voci che vogliono la e aperta: io -èi, egli
-èbbe, essi -èbbero. Le rimanenti tre, invece, la vogliono chiusa: tu -ésti, noi -émmo, voi -éste.
Ripetiamo ad alta voce:
- io sarèi, tu sarésti, egli sarèbbe, noi sarémmo, voi saréste, essi sarèbbero.
- Io avrèi, tu avrésti, egli avrèbbe, noi avrémmo, voi avréste, essi avrèbbero.
- Io guarderèi, tu guarderésti, egli guarderèbbe, noi guarderémmo, voi guarderéste, essi guarderèbbero.
Eccetera, eccetera. Sarete lieti di sapere che non ci sono verbi che facciano eccezione a questa regola.
ESERCIZIO 7
1. Direi di andare a cena
2. Potrebbero venire dopo le dieci
3. Insieme faremmo una scommessa
4. Verresti sempre di domenica
5. Andrea ne sarebbe lieto.
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OTTAVA LEZIONE
Scommétto ché¬quésto pacchétto è stato manomésso...
Sméttila di lamentarti, Andrèa!
Ma¬mi avévi promésso ché avrémmo préso il trèno.
Mé né ricòrdo bène, ma¬vuòi méttere l’aèreo? Dél rèsto, nón abbiamo scélta.
Di doménica la biglietterìa è¬chiusa*, é¬la macchinétta automatica non emétte i bigliétti,
perché è¬guasta.
Un moménto, lasciami riflèttere.
Quél ché stai dicèndo ha un sènso, ma¬prèndere l’aèreo costerà¬bèn più¬dél trèno,
sènza contare ché¬potrèbbe comprométtere maggiorménte la nòstra sicurézza.
Quésta pòi! Mi stai dicèndo ché hai paura déll’aèreo? Dài, amméttilo...
• Come vi sarete ben resi conto, questo brano insiste sul verbo méttere e i suoi numerosi derivati, che si
pronunciano con la ‘e’ chiusa. Poichè si tratta di verbi molto frequenti nella lingua parlata, tanto vale
abituarcisi fin da subito.
Ripetiamo a voce alta:
- méttere, scomméttere, prométtere, amméttere, comprométtere, eméttere, sméttere, riméttere, ométtere...
- Io ho mésso, tu hai scommésso, egli ha promésso, noi abbiamo ammésso, voi avete compromésso, essi
hanno smésso. Abbiamo omésso qualcuno?
- Io métto, tu métti, egli métte, essi méttono.
Io scommétto, tu scommétti, egli scommétte...
Potete andare avanti da soli!
• A questo punto è indispensabile segnalare che tutti gli altri verbi il cui infinito termina in -èttere
(annèttere, flèttere, riflèttere...) hanno invece la ‘e’ aperta!
Per il significato del simbolo * davanti alle parole con ʻsʼ o ʻzʼ, cfr. il paragrafo ʻLa pronuncia di s e
zʼ nella prossima lezione di approfondimento.
ESERCIZIO 8
1. Dove hai messo il biglietto del treno?
2. Questa scelta compromette la tua sicurezza
3. Va bene l’aereo
4. L’ho preso alla macchinetta
5. Ammetti che è senza senso!
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NÒNA LEZIONE
Chièdo scusa, signóra comméssa. Mi potrèbbe dire il prèzzo di quéste pénne?
Tré èuro é¬mèzzo al pèzzo.
ɬquéllo strano attrézzo sulla mènsola?
È un altalèna da¬méttere in corridóio. Còsta cènto èuro é¬dièci centèsimi.
ɬsi mónta facilménte?
Ma¬cèrto. Basta avére l’accortézza di lèggere attentaménte il fogliétto cón lé istruzióni.
Ah, ma¬pér mé¬nón è¬sémplice. Nón mi ci raccappézzo mai.
Dovrèbbero scriverli cón più¬chiarézza, quéi fogliétti.
Apprèzzo la sua gentilézza, ma¬l’altalèna nón la prèndo.
• La terminazione in -ezza, -ezzo, -ezze esige, di regola, la e chiusa: bellézza, dolcézza, chiarézza,
accortézza, carézza, finézza, salvézza, debolézza, ribrézzo, accarézzo, attrézzo, avvézzo, pettegolézzo,
vézzo, olézzo, raccapézzo, fattézze...
Non mancano naturalmente le eccezioni: pèzza, pèzzo, prèzzo, mèzzo, apprèzzo, disprèzzo, spèzzo,
sprèzzo, tappèzzo.
• Abbiamo già fatto conoscenza con la pronuncia di alcuni numeri. Per la vostra gioia, eccoveli tutti:
uno due tré quattro cinque sèi sètte òtto nòve dièci undici dódici trédici quattórdici quindici sédici
diciassètte diciòtto diciannòve vénti trénta quaranta cinquanta sessanta settanta ottanta novanta cènto.
• I numeri ordinali, dal dieci in poi, si pronunciano sempre con la e aperta: dècimo, undicèsimo,
dodicèsimo, tredicèsimo...
ESERCIZIO 9
1. Che bellezza! Che dolcezza!
2. Mi dica con chiarezza il prezzo delle penne
3. Trenta centesimi al pezzo
4. Prendi il dodicesimo foglietto
5. L’altalena è sulla mensola
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DÈCIMA LEZIONE
Appartèngo alla direzióne dél collègio, éd ottèngo sèmpre quéllo ché¬vòglio.
Hò¬cosciènza délla posizióne ché¬detièni, é¬nón vorrèi èssere polèmica, ma¬ritèngo
ché i tuòi privilègi nón saranno sufficiènti.
Sóno mèmbro délla commissióne da¬quattórdici anni, é¬sèi anni fa¬sosténni
personalménte il presidènte. Oltretutto agirò¬cón estrèma cautèla.
Mi fido di té, anche perché¬nón hò scélta. Ma adèsso hò¬bisógno di un bicchière di
cògnac.
Pér mé sprèmi un pompélmo éd una méla, sai bène ché¬sóno astèmio.
• Ripetiamo a voce alta queste voci verbali del verbo tenére:
ind. pres.: tèngo, tièni, tiène, tenéte, tèngono
ind. pass. rem.: ténni, tenésti, ténne, tenémmo, tenéste, ténnero
cong. pres.: tènga, tèngano
• Tutti i verbi che terminano in -tenére seguono la stessa pronuncia: ottèngo, ritèngo, mantèngo,
appartèngo, astèngo, contèngo, detèngo, intrattèngo, sostèngo, trattèngo
ESERCIZIO 10
1. Appartenemmo al collegio
2. Mi astengo da questa polemica
3. Ottenga pure i privilegi, il presidente!
4. Ritiene salutare un bicchiere di spremuta di pompelmo!
5. C’è bisogno di estrema cautela
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UNDICÈSIMA LEZIONE
L’ambiènte più adatto pér ottenére quésto gènere di risultato nón è¬certaménte il
parlaménto.
Si tratta di un procediménto lènto, complèsso da¬comprèndere completaménte,
é¬sicuraménte impossibile da¬prevedére.
Ma èra una decisione ché¬si dovéva prèndere, sènza pèrdere altro tèmpo, pér quanto
deludènte potésse risultare*.
Il moviménto pér l’indipendènza nón avrèbbe dovuto cèdere così*¬facilménte, ma un
attènto esame délla questióne dipinge un esauriènte quadro di quanto fósse arduo
contèndere cón il lóro violènto concorrènte.
• È venuto il momento di vedere come funziona la terminazione in -ento, -ente, -enti, -enta, che vuole di
norma la ‘e’ aperta tranne quando è preceduta dalla lettera m (-mento/e/i/a).
• Per questo tutti gli avverbi, come già sapete (vero?), hanno la ‘e’ chiusa: veloceménte, completaménte,
ardenteménte, chiaraménte...
• Sempre sulla scia di questa regola, sono aperte le parole: attènto, lènto, evènto, ènte, ambiènte,
concorrènte, accènto, acconsènto, argènto, contènto, vènto, violènto, corpulènto, divènto, cruènto,
stuzzicadènti, dènti, polènta, sènta...
• Conformemente alla regola, sono invece chiuse le parole: laménto, falliménto, sentiménto, risentiménto,
patiménto, parlaménto, adattaménto, fondaménta, giuménta, ménta, torménta, altriménti, accaniménto,
ménte, ménto (parte della faccia)...
L’ultima precisazione vi fa sorgere un dubbio...
• Ebbene sì, il presente del verbo mentire fa eccezione: io mènto, tu mènti, egli mènte.
Fanno eccezione anche i numeri vénti e trénta.
• Ricordate che tutti i participi presenti hanno la ‘e’ aperta, indipendentemente dalla ‘m’: coinvolgènte,
esauriènte, avènte, eccellènte, attraènte, deludènte, ma anche premènte, temènte, spremènte...
Vi ricordate che i verbi il cui infinito porta l’accento su -endere (comprendere, prendere,
contendere) si pronunciano aperti, con l’eccezione di ‘scendere’ e ‘vendere’? Date ora
un’occhiata alla pronuncia dei verbi il cui infinito porta l’accento su -ere (ottenere, prevedere): in
questo caso la e è chiusa. Ci ritorneremo.
ESERCIZIO 11
1. Ci si accordò tacitamente in parlamento
2. L’ambiente è eccellente e attraente
3. Ma che genere di concorrente è così violento?
4. Mente sapendo di mentire
5. La mente umana vale più dell’argento.
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DODICÈSIMA LEZIONE
Féci fatica, ma infine pèrsi la paziènza, é gliélo chièsi. ɬsai lèi ché¬féce? Mi dètte un
ceffóne.
Sò¬ché anche tu¬perdésti la paziènza, é¬lé chiedésti la stéssa còsa*, ma a¬té il
ceffóne nón ló diède. Cóme ló spièghi?
Siète ancóra furènti pér quéll’ingènuo scrèzio?
Avéte tèmpo da¬pèrdere! Èra un’inèzia.
La tua è una psicòsi!
Nón puòi èssere sèrio davvéro quando lé auguri tanta misèria!
È stata un pò’¬maldèstra, ma¬niènte più.
Sé¬ci pènsi, nón avrèbbe potuto fare altriménti.
La dottoréssa lé avéva détto di prèndere tré¬comprèsse di quél medicaménto,
avvertèndola, però,¬ché¬potéva dare sonnolènza.
• Nel brano di oggi troviamo molte parole appartenenti alla terminazione -ezio/a/e ed -erio/a/e.
Queste due terminazioni si pronunciano con la e aperta e non patiscono eccezioni.
Ma dovreste saperlo già.
Ricordare la regola secondo cui una e accentata seguita da una consonante e due vocali si pronuncia di
norma aperta?
• La terminazione in -estro, -estra, -estre vuole sempre la ‘e’ aperta: dèstra, finèstra, palèstra, terrèstre,
canèstro...
Anche questa regola non patisce eccezioni.
ESERCIZIO 12
1. Persi davvero la pazienza
2. Come spieghi la stessa cosa?
3. Siete furenti per un ingenuo screzio?
4. Sul serio, è una psicosi!
5. Per la miseria, la compressa causa sonnolenza!
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APPROFONDIMENTO  
1-­‐  SUONI  E  SIMBOLI  
La  lingua  parlata  si  compone  di  centinaia  di  suoni,  o  meglio  di  ‘foni’,  diversi.  
Se  pensiamo  a  quante  sono  le  lettere  del  nostro  alfabeto,  ci  possiamo  facilmente  rendere  
conto  che  esistono  molti  più  suoni  di  quanti  sono  i  segni  grafici  usati  per  rappresentarli.  
Ad  esempio,  è  evidente  a  tutti  che  il  suono  di  ‘c’  in  ‘cera’  è  ben  diverso  che  in  ‘coro’;  che  nelle  
parole  ‘gaio’,  ‘geco’  e  ‘agnese’,  lo  stesso  grafema  ‘g’  viene  usato  per  rappresentare  tre  suoni  
completamente  diversi;  e  che  quella  di  ‘rana’  e  di  ‘rogna’  non  è  la  stessa  ‘n’!  
Potremmo  riempire  pagine  intere  su  questo  argomento.  E  questo    solo  per  limitarci  alla  
nostra  lungua,  ma  il  discorso  si  amplifica  enormemente  se  si  considerano  tutte  le  lingue  del  
mondo.  
Senza  bisogno  di  tirare  in  ballo  lingue  ‘esotiche’,  sappiamo  ad  esempio  che  il  numero  3  si  
chiama  ‘tre’  in  Italiano,  ‘three’  in  inglese,  ‘drei’  in  tedesco  e  trois’  in  francese.  Ebbene,  In  tutte  
queste  parole  compare  la  lettera  ‘r’,  ma  ciascuna  delle  quattro  ‘r’  si  pronuncia  in  modo  
assolutamente  diverso.  Per  la  ‘r’  italiana  la  lingua  ‘vibra’  sulla  parte  anteriore  del  palato  
superiore,  quasi  sui  denti;  mentre  in  francese  il  suono  si  produce  esattamente  all’opposto,  col  
dorso  della  lingua  nella  parte  posterore  della  bocca.  Anche  il  suono  tedesco  si  produce  
posteriormente,  ma  è  meno  arrotondato  di  quello  francese.  Il  suono  inglese,  infine,  è  assai  meno  
pronunciato:  la  lingua  appena  sfiora  la  parte  posteriore  della  bocca.  
È  evidente  perciò  che  spiegare  ad  un  italiano  che  «il  ‘trois’  francese  si  pronuncia  ‘truà’»  può  
essere  molto  pericoloso...  
Se  si  vuole  dare  per  iscritto  un’indicazione  più  precisa  della  pronuncia,  occorrono  molti  più  
simboli  di  quante  sono  le  lettere  dell’alfabeto.  
Ciò  diventa  inevitabile  nel  momento  in  cui  si  riconosce  che  la  pronuncia  ‘viene  prima’  della  
lingua  scritta,  nel  vero  senso  ‘cronologico’  dell’affermazione.  
Il  modo  in  cui  noi  rappresentiamo  graficamente  le  parole  che  pronunciamo  è  una  comoda  
convenzione,  ma  non  si  può  pretendere  di  ‘andare  al  rovescio’,  partendo  dalla  parola  scritta  per  
evincerne  la  pronuncia,  perchè  in  questo  caso  le  ventisei  lettere  del  nostro  alfabeto  cominciano  a  
rivelare  tutti  i  loro  limiti.  
Sulla  base  di  queste  considerazioni,  nel  1888  è  nato  l’International  Phonetic  Alphabet  (IPA),  
ossia  l’alfabeto  fonetico  internazionale,  più  volte  riveduto  nel  corso  degli  anni,  e  composto  da  
decine  di  simboli  diversi  tali  che  a  ciascun  simbolo  corrisponda,  in  modo  più  o  meno  univoco,  uno  
e  un  solo  suono.  
Nei  nostri  brani  non  abbiamo  fatto  ricorso  all’IPA,  per  non  sacrificare  l’immediatezza  e  la  
semplicità  di  questo  corso,  che  avrebbe  altrimenti  richiesto  un  notevole  impegno  preliminare  per  
imparare  i  simboli  fonetici.  
Fortunatamente  di  solito,  anche  senza  rendercene  conto,  non  abbiamo  particolari  problemi  a  
produrre  correttamente  i  suoni  consonantici  in  italiano  (i  guai  arrivano  quando  dobbiamo  parlare  
un’altra  lingua,  ma  questa  è  un’altra  storia...)  
2-­‐  LA  PRONUNCIA  DI  ‘S’  E  ‘Z’  
Sulle  regole  per  la  pronuncia  di  ‘s’  e  ‘z’  non  insiteremo  più  di  tanto,  anche  perchè  sono  tante  
e  la  dizione  moderna  tende  ad  essere  sempre  meno  puntigliosa.  
Ci  affidiamo  piuttosto  ai  brani,  ai  quali  lasciamo  il  compito  di  insegnare  la  pronuncia  corretta  
di  queste  due  consonanti.  D’altra  parte  riteniamo  che,  per  chi  avesse  problemi  con  la  loro  
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pronuncia,  il  modo  migliore  di  imparare  sia  proprio  quello  di  ‘farsi  l’orecchio’.  
Cionondimeno  diamo  indicazione  di  alcune  regole  generali  per  la  pronuncia  della  ‘s’:  
la  ‘s’  si  pronuncia  sempre  sorda:  
–  quando  è  doppia  
(assolo,  assessore...)  
–  quando  è  preceduta  da  una  consonante  qualsiasi  
(psiche,  falso,  borsa...)  
–  quando  è  seguita  dalle  consonanti  ‘c’,  ‘f’,  ‘p’,  ‘q’,  ‘t’.  
(aspetta,  squalo,  sfera...)  
–  quando  si  trova  all’inizio  di  parola  ed  è  seguita  da  una  vocale  
(sei,  sole,  sarcofago...)  
la  ‘s’  si  pronuncia  sempre  sonora:  
–  quando  è  seguita  dalle  consonanti  ‘b’,  ‘d’,  ‘g’,  ‘l’,  ‘m’,  ‘n’,  ‘r’,  ‘v’.  
(Quel  ragazzo  è  sbagliato,  sdentato,  sgolato,  slavato,  smidollato,  snaturato,  sregolato  e  
svogliato!)  
C’è  poi  il  dibattito  sulla  pronuncia  della  ‘s’  quando  si  trova  fra  due  vocali.  
Da  un  lato  c’è  la  pronuncia  toscana  classica  che  vorrebbe  si  dicesse  ‘vanitoso’,  ‘asino’,  ‘riso’,  
‘chiuso’,  ‘desiderio’  eccetera,  tendendo  insomma  a  pronunciarla  sorda  il  più  delle  volte.  
Dall’altro  lato  c’è  la  tendenza  sempre  più  diffusa,  anche  da  parte  dei  professionisti,  a  dire  
‘vanitoso’,  ‘asino’,  ‘riso’,  ‘chiuso’,  ‘desiderio’,  pronunciandola  insomma  sonora.  
Una  questione  analoga  si  pone  per  la  pronuncia  della  z  posta  ad  inizio  di  parola,  che  in  molti  
casi  prevede  una  pronuncia  tradizionale  sorda:  ‘zappa’,  ‘zampa’,  ‘zecca’,  ‘zampillo’,  ‘zitella’...  
La  tendenza  più  diffusa  è  invece  quella  di  dire  ‘zappa’,  ‘zampa’,  ‘zecca’,  ‘zampillo’,  ‘zitella’,  
pronunciando  insomma  sonora  la  z  ad  inizio  di  parola.  
Come  tutte  le  cose,  anche  la  pronuncia  evolve  e  non  si  può  far  finta  di  niente,  per  cui  siamo  
tentati  di  suggerire  una  pronuncia  sonora  per  la  s  compresa  tra  due  vocali  e  per  la  z  ad  inizio  di  
parola.  
È  questa  la  pronuncia  per  cui  abbiamo  optato  nostri  brani  (segnalando  sempre  con  un  
asterisco  *  queste  parole),  fatte  salve  alcune  parole  molto  diffuse,  come  ‘casa’,  ‘cosa’,  ‘zucchero’,  
‘zio’,  che  ci  è  parso  opportuno  –  più  per  vezzo  che  per  reale  necessità  –  segnalare  nella  loro  
pronuncia  classica,  mantenuta  del  resto  da  molti  attori  e  doppiatori.  Nei  brani  troverete  un  
asterisco  *  anche  al  fianco  di  queste  parole,  ad  indicare  che  –  se  non  ne  volete  sapere  della  
pronuncia  classica  –  potete  benissimo  optare  per  l’altra.  
In  definitiva:  
-­‐  l’asterisco  dopo  una  parola  con  una  ‘s’  o  una  ‘z’  rossa  indica  che  la  pronuncia  suggerita  
(sorda)  è  quella  classica  (ma  non  è  obbligatorio  adottarla).  
Esempio:  ‘casa*’  significa  che  la  pronuncia  suggerita  è  quella  classica  ‘casa’,  ma  potete  dire  
anche  ‘casa’.  
-­‐  l’asterisco  dopo  una  parola  con  una  ‘s’  o  una  ‘z’  violetta  indica  che  la  pronuncia  suggerita  
(sonora)  è  quella  moderna  (ma  nulla  vi  vieta  di  mantenere  la  pronuncia  sorda  della  tradizione)    
Esempio:  ‘impresa*’  significa  che  suggeriamo  di  pronunciare  ‘impresa’,  anche  se  la  pronuncia  
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classica  è  ‘impresa’.  
All’atto  pratico,  perciò,  ogni  volta  che  trovate  un  asterisco  potete  fare  quello  che  volete!  
3  -­‐  LA  VOCALE  ‘O’  (PARTE  SECONDA)  
Ecco  alcune  ulteriori  regolette  per  la  pronuncia  di  ‘o’.  
-­‐  Viene  pronunciata  aperta  nelle  parole  che  terminano  con  ‘o’  accentata:  
però,  avrò,  farò,  dirò,  vedrò,  stirò,  partirò,  rococò...  
-­‐  Viene  pronunciata  aperta  nelle  voci  del  passato  remoto  in  -­‐olsi/e/ero  
io  còlsi,  egli  tòlse,  essi  avvòlsero...  
Viceversa  è  chiusa  nelle  voci  in  -­‐osi/e/ero:  
io  pósi,  egli  rispóse,  essi  nascósero...  
-­‐  Viene  pronunciata  aperta  nelle  voci  del  participio  passato  in  -­‐osso:  
scòsso,  commòsso,  rimòsso,  smòsso,  promòsso...  
-­‐  Viene  pronunciata  chiusa  nelle  voci  del  presente  in  -­‐ono  
perdóno,  abbandóno,  sóno,  selezióno...  
tranne  quando  è  preceduta  da  una  u  (-­‐uono),  per  la  nota  regola  del  dittongo  ‘uo’  
abbuòno,  suòno,  tuòno  
-­‐  Viene  pronunciata  chiusa  negli  aggettivi  in  -­‐oso  
affettuóso,  appiccicóso,  delizióso,  misterióso...  
-­‐  Viene  pronunciata  chiusa  nella  terminazione  in  -­‐ore  
attóre,  amóre,  ambasciatóre,  dolóre,  valóre,  sentóre,  debitóre,  peccatóre,  calóre...  
Va  bene,  va  bene,  la  smettiamo!  È  inutile  gettare  troppa  carne  al  fuoco,  solo  per  il  gusto  di  
vederla  bruciare.  Meditate  piuttosto  su  queste  poche  regolette:  vi  saranno  d’aiuto  molto  più  
spesso  di  quanto  potreste  immaginare...  
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TREDICÈSIMA LEZIONE
Stètte zitto*, stèttero zitti* tutti.
Pretése silènzio, éd éssi lo fécero.
Tutti si sedèttero, nessuno èra scompósto.
Anch’égli prése pósto.
Io scélsi di méttermi in dècima fila, é gli dètti un cénno di assènso.
Facémmo attenzione a¬quélle paròle. égli poté spiegare bène ógni¬còsa*, féce dél suo
mèglio.
Alla fine tutti vénnero da¬nói, é¬dovètti fare un notévole sfòrzo, pèrsi tutto il giorno in
quélla sala, ma infine potéi accontentare tutti.
Il maèstro dirèsse ógni¬còsa* egregiaménte.
• La pronuncia dell’indicativo passato remoto non segue regole precise, e va assimilata più che altro con la
pratica.
La terminazione -ette, -etti, -ettero si pronuncia aperta: dètti, dètte, dèttero, stètti, stètte, stèttero, sedètti,
sedètte, sedèttero...
Le altre terminazioni si pronunciano spesso chiuse, ma la regola patisce parecchie eccezioni. Perciò non
perdiamo altro tempo, e ripetiamo a voce alta – senza porci troppi interrogativi – le coniugazioni al passato
remoto del verbo fare e di altri tre verbi ‘difficili’:
- io féci, tu facésti, egli féce, noi facémmo, voi facéste, essi fécero
- io dièdi (io dètti), tu désti, egli diède (egli dètte), noi démmo, voi déste, essi dièdero (essi dèttero)
- io chièsi, tu chiedésti, egli chièse, noi chiedémmo, voi chiedéste, essi chièsero
- io pèrsi (io perdètti, io perdéi), tu perdésti, egli pèrse (egli perdètte, egli perdé), noi perdémmo, voi
perdéste, essi pèrsero (essi perdèttero, essi perdérono).
ESERCIZIO 13
1. Facemmo del nostro meglio
2. Presi discretamente posto
3. Ogni cosa era scomposta
4. Persi la pazienza, ma stetti in silenzio
5. Scelsi di dare un cenno d’assenso.
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QUATTÓRDICÈSIMA LEZIONE
Sóno cèrto ché¬siète arrivati dópo di mé, ièri séra, é avéte tardato parécchio.
Sé¬nón vi avéssi aspettato, essèndo ormai tardi, é¬sé¬vói avéste tardato ulteriorménte,
io avrèi pèrso il trèno, é¬vói avréste spènto il fuòco.
Potévo chièdere un risarciménto*, ma¬sarèbbe stato tèmpo buttato al vènto.
Domani saréte già¬lontano, é avréte dimenticato tutto quésto.
Èbbi la stéssa esperiènza tré¬mési* fa, avèndo pèrso quél maledétto trèno.
Sé¬ci fóste stati, vé né saréste rési* cónto.
• Facciamo il punto sulle voci ‘problematiche’ degli ausiliari essere e avere:
- Indicativo presente: Io sóno, tu sèi, egli è, voi siète, essi sóno. Io hò, voi avéte.
- Indicativo imperfetto: Io èro, tu èri, egli èra, essi èrano. Io avévo, tu avévi, egli avéva, essi avévano.
- Indicativo futuro: Noi sarémo, voi saréte. Noi avrémo, voi avréte.
- Indicativo passato: Io èbbi, tu avésti, egli èbbe, noi avémmo, voi avéste, essi èbbero.
- Condizionale: Io sarèi, tu sarésti, egli sarèbbe, noi sarémmo, voi saréste, essi sarèbbero. Io avrèi, tu
avrésti, egli avrèbbe, noi avrémmo, voi avréste, essi avrèbbero.
- Congiuntivo imperfetto: Io avéssi, tu avéssi, egli avésse, noi avéssimo, voi avéste, essi avéssero.
- Gerundio: Essèndo. Avèndo.
- Participio presente: Essènte. Avènte.
• Spendiamo ora due parole sull’indicativo imperfetto in generale. La terminazione -evo, -evi, -eva, -evano
di tutti i verbi è pronunciata sempre con la ‘e’ chiusa: vedévo, vedévi, vedéva, vedévano; bevévo, bevévi,
bevéva, bevévano...
Ricordatevi, però, che l’imperfetto del verbo essere vuole la ‘e’ aperta: èro, èri, èra, èrano.
ESERCIZIO 14
1. Siete provati da quell’esperienza
2. Se n’era reso conto tre mesi fa
3. C’è parecchio vento
4. Avremmo solo perso tempo
5. Ebbi una maledetta influenza.
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QUINDICÈSIMA LEZIONE
Gli féce cón dolcézza un’amorévole carézza, quando un tremèndo, grottésco suòno
ruppe la bellézza di quél piacévole incantésimo
Lé fòrmule riportate in quésto mastodòntico tòmo di matematica sóno uno schérzo dél
diavolo: nón è¬sémplice comprènderle!
Sull’armadiétto di quél divertènte vecchiétto, c’è un bigliétto dél trèno insième alle
magliétte vérdi é¬rósse.
Cóntro l’insònnia, una dóccia frédda prima di andare a¬lètto.
• La terminazione in -evole, -evolo vuole sempre la ‘e’ chiusa: piacévole, amorévole, agévole, meritévole,
spregévole, conversévole, mutévole, scorrévole, benévolo, malévolo...
Non ci sono eccezioni a questa regola.
• Ricorderete che i numeri ordinali (quindicèsimo, sedicèsimo...) vogliono sempre la ‘e’ aperta. Ma
attenzione! La regola non vale in generale per tutte le parole terminanti in -esimo, che anzi in generale
hanno la ‘e’ chiusa: incantésimo, battésimo, cattolicésimo, protestantésimo, umanésimo...
Vi ricordate che le parole terminanti in -ietto/a si pronunciano con la ‘e’ chiusa nonostante il
dittongo ‘ie’?
ESERCIZIO 15
1. Il mio armadietto è più agevole
2. Il battesimo è stato piacevole
3. Udendo quello spregevole suono, ho fatto una doccia fredda
4. Vai a letto, non scherzo!
5. Soffro d’insonnia.
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SEDICÈSIMA LEZIONE
Il ré é¬la principéssa si chièdono chi¬sia l’artéfice di quél tremèndo cicaléccio
ché¬da¬tré óre li torménta sènza sòsta.
Hò¬sónno, spièga élla, é¬crédo di nón chièdere tròppo sé¬pretèndo silènzio.
Nón védo niènte, il suòno viène dal lato oppósto délla règgia.
ɬdunque chièdi al camerière di scovar l’artéfice, é¬ché¬vènga dato in pasto agli
avvoltói.
Comprèndo perfettaménte la tua insònnia, mia bellézza, ma¬nón ti sémbra di eccèdere?
Nón sóno un carnéfice!
• La desinenza in -efice vuole sempre la ‘e’ chiusa: artéfice, oréfice, carnéfice, pontéfice...
Non confondiamola con la desinenza in -efico, che invece si pronuncia aperta: benèfico, malèfico...
• La desinenza in -eccio vuole sempre la ‘e’ chiusa: cicaléccio, pescheréccio, mangeréccio...
• I verbi che hanno l’infinito accentato in -edere si pronunciano di norma con la ‘e’ aperta: chièdere, cèdere,
eccèdere, procèdere, succèdere...
Fa eccezione tuttavia il verbo crédere e i suoi derivati (ricrédere, miscrédere).
• Al tempo presente avremo dunque: chièdo, cèdo, procèdo, succèdo, come anche arrèdo, corrèdo, schèdo,
prèdo...
Le eccezioni da ricordare per l’indicativo presente sono due: crédo (ricrédo, miscrédo...) ma anche védo
(provvédo, stravédo...).
Scéndere, véndere, crédere e vedére sono quattro verbi che vale la pena ricordare, perchè
vogliono la pronuncia chiusa contraddicendo alle regole delle rispettive terminazioni.
ESERCIZIO 16
1. Il re e la principessa scendono le scale
2. L’artefice del tremendo cicaleccio
3. Credo saggio non eccedere
4. Vedo che cedi facilmente
5. Quel cameriere è un avvoltoio
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DICIASSETTÈSIMA LEZIONE
Perché¬nón ti sèi comportato bène, ièri cón ló zio*? Quésto tuo contégno è¬pazzésco.
Hò¬da¬temére ógni¬vòlta ché èsco.
Sé¬tu¬ló voléssi, potrésti ottenére risultati* eccellènti, dégni di lòde.
Altriménti io é¬tuo padre sarémo costrétti a¬prèndere sèri provvediménti, é¬farémo in
mòdo ché¬quésto tuo comportaménto indecènte cambi radicalménte éntro la fine dél
mése*.
Il giardinière stésso mi ha¬détto ché in mia assènza hai commésso dilettantésche
sciocchézze néll’armadiétto déi prodótti chimici. Pér la misèria, Michèle! La dèvi
sméttere cón quéste scemènze!
• Le voci del congiuntivo imperfetto -essi, -esse, -essimo, -este, -essero si pronunciano con la e chiusa: Io
voléssi, tu voléssi, egli volésse, noi voléssimo, voi voléste, essi voléssero.
• Anche le voci del futuro semplice si pronunciano chiuse: noi vorrémo, voi vorréte; noi farémo, voi faréte;
noi dirémo, voi diréte...
• La terminazione in -esco vuole di regola la ‘e’ chiusa: pazzésco, principésco, studentésco.
Non ci sono eccezioni quando si tratta di aggettivi; ricordate invece che il presente del verbo uscire è io
èsco, tu èsci, egli èsce, essi èscono.
• La terminazione in -egno, -egna, -egni vuole sempre la ‘e’ chiusa: dégno, ritégno, contégno, convégno,
ingégno, régno, sdégno, sostégno, asségno, impégno, légno...
ESERCIZIO 17
1. Se volessi scendere, scenderei
2. Faremo senza di te
3. Esco dal comitato studentesco
4. Comportati bene, sono serio
5. Per la miseria, quante scemenze!
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DICIOTTÈSIMA LEZIONE
Sèmpre mèglio, sèmpre pèggio. Fa¬fréddo qui¬fuòri, il vènto è¬gèlido, é¬nón tròvo il
postéggio.
Ti pòrsi una còppa di vino, dicèndoti angèlico: ‘Bévi, nón è uno schérzo!’
Invéce ló èra.
La professoréssa dève corrèggere i nòstri cómpiti, ma¬quanto ci métte?
Prima li dève lèggere attentaménte.
Lèggi tutto, é¬pènsaci bène prima di dare la rispósta: occórre sèmpre riflèttere a¬lungo
prima di comprométtere l’èsito délla scomméssa.
Gli fu¬détto di protèggere la règgia dél ré, ma¬nón sapéva neppure cóme si manéggia
un elmétto. Il fóro pér gli òcchi, ló ha¬mésso diètro!
Èvita di scéndere, perché¬cól fréddo ché¬fa,¬ti bécchi un’influènza. Védi ché¬cérco di
èssere accondiscèndente, ma¬su¬quésto nón cèdo.
Crédo ché¬nessuno dovrèbbe elèggere un presidènte sènza sapére niènte di politica.
Lécca la péntola, é sparécchia la tavola.
• Nel brano di oggi abbiamo visto molte voci dell’indicativo presente e dell’infinito presente che, non
seguendo una regola precisa per quanto riguarda la pronuncia, si imparano solo con la pratica.
• La pronuncia delle voci verbali dell’infinito presente varia a seconda della terminazione accentata.
Ricapitoliamo le cose più importanti:
- I verbi con l’accento in -ere (avére, vedére, sapére...) vogliono la ‘e’ chiusa
- I verbi con l’accento in -endere (prèndere, spèndere, stèndere...) la vogliono aperta tranne scéndere e
véndere.
- I verbi in -edere sono aperti (lèdere, cèdere, concèdere...) tranne crédere e i suoi derivati.
- La terminazione in -ettere è aperta (annèttere, flèttere, riflèttere) con l’importante eccezione di méttere e
di tutti i suoi derivati (scomméttere, amméttere, comprométtere, eméttere, ométtere).
- Sono aperte le terminazioni in -erdere (pèrdere, dispèrdere), -eggere (corrèggere, elèggere, lèggere,
protèggere, règgere) ed -emere (gèmere, frèmere, sprèmere)
- Sono chiuse le terminazioni in -egliere ed -evere (prescégliere, scégliere, ricévere).
• Le terminazioni in -eggio, -eggia, -egge vogliono di norma la e chiusa: campéggio, parchéggio,
occhiéggio, postéggio, contéggio, manéggio, sortéggio, grégge, légge (sostantivo)...
Fanno eccezione le parole pèggio, sèggio, règgia e le voci verbali dei verbi con l’infinito in -eggere: egli
lègge, sorrègge, elègge, protègge, corrègge...
Ad eccezione di alcuni casi particolari, a partire da oggi non segnaliamo più sistematicamente la
pronuncia delle ‘s’ e delle ‘z’, che ormai non dovrebbe più costituire un problema.
ESERCIZIO 18
1. Pensaci bene prima di compromettere tutto
2. Credo sia uno scherzo
3. Tanto peggio!
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4. La professoressa corregge il compito


5. Devi proteggere la scena del crimine.

APPROFONDIMENTO  
1-­‐  RICAPITOLAZIONE  SUI  TEMPI  DEI  VERBI  
È  arrivato  il  momento  di  fare  una  bella  ricapitolazione  sulla  pronuncia  delle  diverse  voci  
verbali.  Ovviamente  solo  sui  tempi  semplici,  in  quanto  quelli  composti  si  formano  con  gli  ausiliari  
essere  e  avere  ed  il  participio  passato.  Consideriamo  quindi:  
-­‐  INDICATIVO    
presente,  imperfetto,  passato,  futuro  
-­‐  CONGIUNTIVO  
presente,  imperfetto  
-­‐  CONDIZIONALE  
presente  
-­‐  PARTICIPIO  
presente,  passato  
-­‐  INFINITO  
presente  
-­‐  GERUNDIO  
presente  
Le  voci  dell’indicativo  presente,  dell’indicativo  passato  remoto  e  del  congiuntivo  presente  
non  seguono  regole  precise.  
Concentriamoci  piuttosto  sulle  altre:  
INDICATIVO  IMPERFETTO  
Le  voci  dell’indicativo  imperfetto,  che  terminano  in  -­‐evo,  -­‐evi,  -­‐eva,  -­‐evano,  vanno  sempre  
pronunciate  con  la  ‘e’  chiusa.  
Gemévo,  gemévi,  geméva,  gemévano  
Solo  l’imperfetto  del  verbo  essere  è  aperto:  èro,  èri,  èra,  èrano  
INDICATIVO  FUTURO  SEMPLICE  
Le  voci  dell’indicativo  futuro  semplice,  che  terminano  in  -­‐emo,  -­‐ete,  vogliono  sempre  la  ‘e’  
chiusa.  
Noi  vorrémo,  voi  vorréte;  noi  farémo,  voi  faréte;  noi  dirémo,  voi  diréte.  
CONGIUNTIVO  IMPERFETTO  
Le  voci  del  congiuntivo  imperfetto  -­‐essi,  -­‐esse,  -­‐essimo,  -­‐este,  -­‐essero  si  pronunciano  con  
sempre  con  la  ‘e’  chiusa.  
Io  voléssi,  tu  voléssi,  egli  volésse,  noi  voléssimo,  voi  voléste,  essi  voléssero.  
CONDIZIONALE  PRESENTE  
Le  voci  del  condizionale  presente  hanno  una  pronuncia  ‘mista’:  tre  voci  vogliono  la  ‘e’  
aperta  (io  -­‐èi,  egli  -­‐èbbe,  essi  -­‐èbbero)    e  tre  la  vogliono  chiusa  (tu  -­‐ésti,  noi  -­‐émmo,  voi  -­‐éste).  
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Io  guarderèi,  tu  guarderésti,  egli  guarderèbbe,  noi  guarderémmo,  voi  guarderéste,  essi  
guarderèbbero.  
La  pronuncia  con  la  ‘e’  chiusa  della  terza  persona  (guarderébbe,  guarderébbero)  è  errata,  ma  
è  un  ‘peccato’  tutto  sommato  veniale,  se  si  considera  che  molti  professionisti  della  parola  hanno  
la  (brutta)  abitudine  di  commettere  questo  errore.  
PARTICIPIO  PRESENTE  
Si  pronuncia  sempre  con  la  ‘e’  aperta.  
Essènte,  avènte,  scrivènte,  perdènte,  supplènte.  
PARTICIPIO  PASSATO  
Vuole  di  regola  la  ‘e’  chiusa.  
Offéso,  scéso,  préso,  stéso,  compréso,  secréto,  discréto.  
GERUNDIO  PRESENTE  
Si  pronuncia  sempre  con  la  ‘e’  aperta.  
Essèndo,  avèndo,  scrivèndo,  perdèndo,  vedèndo.  
INFINITO  PRESENTE  
Vogliono  la  ‘e’  chiusa  le  terminazioni  accentate  in:  
-­‐ere:    avére,  potére,  vedére...  
-­‐egliere:  prescégliere,  scégliere,  trascégliere...  
-­‐evere:  ricévere...  
Vogliono  la  ‘e’  aperta  le  terminazioni  accentate  in:  
-­‐endere:  prèndere,  accèndere,  comprèndere...;  fanno  eccezione:  scéndere,  véndere  
-­‐edere:  lèdere,  cèdere,  concèdere...;  fanno  eccezione  crédere  e  i  suoi  derivati  
-­‐ettere:  annèttere,  flèttere,  riflèttere;  fanno  eccezione  méttere  e  i  suoi  derivati.  
-­‐erdere:  pèrdere,  dispèrdere...  
-­‐eggere:  règgere,  elèggere,  lèggere,  protèggere,  corrèggere...  
-­‐emere:  gèmere,  frèmere,  sprèmere...  
2-­‐  LA  VOCALE  ‘O’  (PARTE  TERZA)  
La  pronuncia  di  Milano  (e  di  gran  parte  del  settentrione)  ha  enormi  problemi  con  la  vocale  ‘e’  
e  con  la  cogeminazione,  ma  è  abbastanza  fortunata  con  la  vocale  ‘o’,  che  non  pone  moltissimi  
ostacoli.  
Sarà  però  utile  il  seguente  specchietto:  
•  Le  parole  che  terminano  in  -­‐ogna/o,  -­‐oio  ed  -­‐oce  si  pronunciano  con  la  ‘o’  chiusa.  
-­‐  carógna,  cicógna,  fógna,  menzógna,  vergógna,  bisógno,  sógno...  
-­‐  frantóio,  rasóio,  avvoltóio,  vassóio,  accappatóio,  mattatóio...  
-­‐  atróce,  feróce,  fóce,  cróce,  nóce,  velóce,  vóce...  
Ricordate  però  che  la  ‘o’  accentata  nel  dittongo  ‘uo’  è  sempre  aperta:  cuòce,  nuòce...  
•  Le  parole  che  terminano  in  -­‐oppo  e  quelle  che  contengono  il  gruppo  ‘ons’  accentato,  si  
pronunciano  con  la  ‘e’  aperta:  
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-­‐  accòppo,  appiòppo,  intòppo,  zòppo,  purtròppo,  rattòppo...  


-­‐  cònscio,  incònscio,  intònso,  respònso,  cònsole,  procònsole,  cònsto  
•  Queste  parole  si  pronunciano  con  la  ‘o’  aperta:  sòlfa,  aròma,  tòmo,  còmplice,  còngruo,  
incòngruo,  invòco,  mastodòntico,  scòpo  (fine),  còppa,  tòppa,  dimòra,  fòrmula,  dòrso,  spòsa,  
angòscia,  bòsco,  apoteòsi,  ipnòsi,  metempsicòsi,  nevròsi,  psicòsi,  simbiòsi  (ma  pósi,  nascósi,  
rispósi...),  còsto,  incròsto,  scròsto,  giòstra,  dòtto,  edòtto  
•  Queste  parole  si  pronunciano  con  la  ‘o’  chiusa:  dóccia,  ródere,  corródere,  fóga,  vóga,  
orgóglio,  germóglio,  amarógnolo,  verdógnolo,  giallógnolo,  affógo,  giógo,  rógo,  sfógo,  cesóia,  
feritóia,  mangiatóia,  scappatóia,  scorciatóia,  strettóia,  tettóia,  ingóllo,  midóllo,  satóllo,  addóme,  
gónna,  colónna,  insónne,  insónnia,  sónno,  tónno,  incolónno,  dópo,  bórdo,  abbórdo,  órlo,  nórma,  
fóro,  córse,  bitórzolo,  aragósta,  propósta,  rispósta,  decompósto,  depósto,  dispósto,  espósto,  
indispósto,  nascósto,  oppósto,  pósto,  prepósto,  presuppósto,  rispósto,  ripósto,  scompósto,  
sottopósto,  suppósto,  gótta,  inghiótto,  cóva,  ricóvero,  cóvo,  gióvo,  róvo,  scóvo,  gózzo  
•  Date  infine  un’occhiata  a  questo  specchietto  di  verbi:  
-­‐  pòrgere,  scòrgere,  spòrgere,  accòrgere,  mòrdere...  (ma  insórgere,  sórgere,  córrere...)  
-­‐  pòrgo,  scòrgo,  spòrgo,  accòrgo,  mòrdo...  (ma  insórgo,  sórgo,  córro...)  
-­‐  pòrse,  scòrse,  spòrse,  accòrse,  mòrse...  (ma  insórse,  sórse,  córse...)  
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DICIANNOVÈSIMA LEZIONE
Accètta quésto piccolo presènte, cón sincèro affètto.
Stéfano sta¬tagliando il légno a¬cólpi di accétta, méntre io affétto il prosciutto cól
coltèllo.
Sembrava corrésse sulla tettóia, é invéce nón stava pér niènte corrèndo.
Il docènte corrèsse il tèma dél suo allièvo, rileggèndolo tré¬vòlte pér téma di nón vedére
qualche erróre.
Ecco il tè alle èrbe, preparato appòsta pér té.
Nón capisco qual’è il tuo scòpo. Nél frattèmpo scópo il paviménto.
Disse: ‘Quéste còse* té lé hò¬già¬détte’, é¬dicèndo quésto gli dètte un autèntico
schiaffo.
Quél deficiènte dél mio collèga prènde la pénna é¬colléga i puntini, numerati da uno
a¬vénti.
I vènti fréddi di quésto dicèmbre ci impediscono di andare a¬pésca.
Pèsca é¬ciliègia sóno frutti mólto nutriènti.
Esca subito di qui, é¬sé¬vuole andare a¬pésca, nón diméntichi l’ésca, é¬si mangi la
pèsca!
L’avvocato lègge cón vóce férma il tèsto délla légge.
Scórsi i titoli dél giornale, é¬fra¬lé righe scòrsi un annuncio interessante.
• Abbiamo visto oggi alcuni esempi di parole omografe ma non omofone, il cui significato cioè cambia a
seconda di come vengono pronunciate.
Infatti, sebbene l’accento cada sulla stessa vocale, in un caso la pronuncia è chiusa e nell’altra è aperta.
È inutile commentare qui le differenze di significato, poichè sono chiaramente contestualizzate nel brano.
Dopo la lettura del brano, vi sono chiare le differenze tra:
- accètta e accétta
- affètto e affétto
- corrèsse e corrésse
- tèma e téma
- tè e té
- scòpo e scópo
- dètte e détte
- collèga e colléga
- vènti e vénti
- pèsca e pésca
- èsca ed ésca
- lègge e légge
- scòrsi (verbo scorrere) e scórsi (verbo scorgere)
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ESERCIZIO 19
1. Il docente legge il tema dell’allievo
2. Accetta questo presente
3. Pesca e ciliegia non sono nutrienti
4. Non vedo il tuo scopo
5. Questo mastodontico tomo è pazzesco.

VENTÈSIMA LEZIONE
In attésa ché il panettière mi dia lé michétte, rècati pér piacére a¬prèndere una zucca*,
ché¬mi sèrve nélla ricètta délla zuppa*.
ɬtièni strétta la sciarpétta, con quésta ariétta, ché¬rischi di prèndere un’influènza.
ɬfrancaménte, non né sarèi sorprésa*.
L’inserviènte addétto alla cassa dirimpètto è¬di scarso intellètto: sono dièci minuti ché
aspètto il bigliétto, éd il cliènte precedènte è stato costrétto a¬rinunciare. Con tutto il
rispètto, è¬mèglio ché¬si dimétta!
• I diminutivi e i vezzeggiativi in in -etto, -etta vogliono sempre la e chiusa, come anche molte
altre parole: architétto, strétto, tétto, ballétto, civétta, bozzétto, casétta, pacchétto, michétta,
sciarpétta...
Ricorderete sicuramente che questa regola vince anche sul dittongo ʻieʼ: magliétta, bigliétto,
vecchiétto, armadiétto, fogliétto...
• Ci sono però numerose ed importanti eccezioni, come le parole: rètta, ricètta, sètta, accètto, affètto,
aspètto, concètto, confètto, dialètto, difètto, dirètto, dirimpètto, disinfètto, effètto, elètto, erètto, insètto,
intellètto, lètto, oggètto, perfètto, perfètto, progètto, prospètto, protètto, rispètto...
• Le terminazioni in -esa, -ese vogliono la e chiusa: mése, francése, milanése, attésa, sorprésa, difésa,
discésa, imprésa, offésa, pretésa...
Ricordate tuttavia che fa eccezione la chièsa, per la regola del dittongo ‘ie’.
ESERCIZIO 20
1. Prendi la sciarpetta
2. Il suo intelletto mi ha profondamente sorpreso
3. Fu costretto a uscire dalla chiesa
4. Con rispetto, è meglio che si dimetta
5. L’inserviente francese ha l’influenza.
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VENTUNÈSIMA LEZIONE
Egrègio presidènte, dópo parécchia incertézza mi védo ora costrétto a¬chièderle di
prèndere in sèria considerazione quésta mia lèttera di dimissióni, ché¬rispècchia
pienaménte la mia angòscia, é¬fa èco a¬cèrte paròle giunte ièri al mio orécchio, in
bibliotèca, in mèrito al futuro déll’aziènda.
In un mondo ché¬crésce ógni¬giórno, c’è¬sèmpre méno spazio pér un’imprésa* ché
invècchia, è¬cièca di frónte alle esigènze dél mercato, fa sprèco di risórse, nón si
preòccupa délla clientèla é¬nón prèmia in mòdo còngruo il personale.
Tutto quésto ha un còsto, é¬prèsto vé né accorgeréte. Con quésti presuppósti*,
ché¬corródono ógni¬prospettiva di riprésa*, nón c’è scappatóia. Lé còse* andranno
sèmpre pèggio. Prevédo un gigantésco, dirèi mastodòntico flòp éntro settèmbre.
Nón resisteréte* all’assèdio déi concorrènti, ché¬da¬parécchi anni nón danno trégua.
• La terminazione in -eco, -eca viene di norma pronunciata aperta: tèca, èco, trichèco, discotèca, bibliotèca,
ipotèca, grèco, accèco, arrèco, cièco, sprèco. Fanno eccezione le parole méco, téco, séco.
• La terminazione in -ecchio, -ecchia viene di norma pronunciata chiusa: orécchio, parécchio, sécchio,
apparécchio, sparécchio, sonnécchio, catepécchia...
Fanno eccezione spècchio, vècchio e i loro derivati (rispècchio, invècchio...)
• Le terminazioni in -eggio, -eggia, -egge vogliono di norma la e chiusa: campéggio, parchéggio,
occhiéggio, postéggio, contéggio, manéggio, sortéggio, grégge, légge (sostantivo)...
Fanno eccezione le parole pèggio, sèggio, règgia e le voci verbali dei verbi con l’infinito in -eggere: egli
lègge, sorrègge, elègge, protègge, corrègge...
Regola ed eccezioni, regola ed eccezioni, regola ed eccezioni: le note di oggi sono
particolarmente noiose! Ma non dimentichiamo che non è indispensabile impararle a memoria.
Sarà invece molto utile leggere più volte a voce alta non solamente il testo del brano, ma anche
le parole date come esempio nelle note.
ESERCIZIO 21
1. Prevedo l’incertezza del presidente
2. Lui sparecchia, lei sonnecchia
3. Vieni meco
4. C’è eco in discoteca
5. I concorrenti danno tregua.
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VÉNTIDUÈSIMA LEZIONE
Siète attènti, ó avéte desidèrio* di smétterla, cón quésta coinvolgènte, semisèria
conferènza? Spèro di èssere stato sufficienteménte esauriènte, in riferiménto alle vòstre
esigènze.
Ièri èro incèrto sull’èsito déll’evènto.
Mi avéte trovato tròppo lènto?
Era un argoménto dènso di concètti, immènso dovrèi dire, ed arduo da¬comprèndere.
Hò¬dovuto rèndere passaggi complèssi, aiutato da¬parécchi esèmpi, é¬qualche
schèma.
Il quindicèsimo teorèma costituiva un bèl problèma! Di conseguènza c’èra il rischio di
fraintèndere, ma¬dópotutto niènte è¬sémplice: sono propènso a¬ritenére positivo quésto
incóntro.
• La terminazione in -enza, -enze, -enzio vuole la ‘e’ aperta: conferènza, esigènza, conseguènza,
coesistènza, concorrènza, influènza, scadènza, silènzio, assènzio, presènzio, sentènzio...
Vi farà piacere sapere che, per una volta, non ci sono eccezioni a questa regola.
• Anche la terminazione in -ensa, -ense, -enso vuole la ‘e’ aperta: dènso, immènso, propènso, melènso,
circènse, dispènsa, mènsa, ricompènsa...
Oggi siamo buoni: neppure questa regola patisce eccezioni.
• La terminazione in -emo/a vuole anch’essa la ‘e’ aperta: schèma, teorèma, problèma, sistèma, poèma,
crisantèmo, blasfèmo, estrèmo, suprèmo, prèmo...
In questo caso l’eccezione è importante, ma dovrebbe esservi già familiare. Si tratta infatti di tutte le voci
verbali del futuro semplice, che vogliono la ‘e’ chiusa: sarémo, farémo, dirémo, verrémo...
Sappiate inoltre che ‘per téma di sembrare scémo, io témo di scrivere il tèma’.
ESERCIZIO 22
1. Smettila! Spero di essere esauriente
2. Fui attento alla conferenza
3. Fai uno schema del teorema
4. Le conseguenze di questa ricompensa sono immense
5. Questo esempio fa fraintendere!
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VÉNTITRÉÈSIMA LEZIONE
Quélla débole nébbia ché inèbria ló spirito, resterà indelèbile néi nòstri pensièri, di cui
nói sóli sarémo artéfici.
É il liève zèffiro ché¬sóffia benèfico sui nòstri capélli, resterà sèmpre imprèsso cón
dolcézza nél ricòrdo.
Cón uno sberlèffo, si féce bèffe di quél brutto cèffo.
Ma¬quéllo spregévole ribèlle, cón sprèzzo, sènza pèrdere la sua compostézza, nón
avrèbbe esitato a¬prèndersi la rivincita, sé¬nón fósse stato pér il suo intervènto.
• Parliamo un po’ della ‘e’ accentata quando è seguita dalla consonante ‘b’.
Come regola generale, in questi casi va pronunciata aperta:
- èbano, giulèbbe, èbbe, fèbbre, èbbro, plèbe, indelèbile, flèbile, zèbra, algèbrico, inèbrio, rèbus.
Ricordate, in particolare, le voci del condizionale: sarèbbe, vorrèbbe, dirèbbe, farèbbe, andrèbbe...
E veniamo ora alle eccezioni: si tratta delle desinenze in -ebbia/o, -ebito ed -ebole:
- nébbia, trébbia, annébbio, débito, addébito, débole.
• Quando una ‘e’ accentata è seguita dalla consonante ‘f’, viene normalmente pronunciata aperta.
-cèfalo, bizzèffe, èffe, bèffe, sberlèffo, cèffo, mi bèffo, zèffiro, benèfico, malèfica, telèfono...
L’eccezione la conosciamo già: si tratta della desinenza -efice:
- oréfice, carnéfice, artéfice.
Anche la desinenza in -éfe fa eccezione, ma non riguarda alcuna parola di uso comune
ESERCIZIO 23
1. Il ricordo mi inebria
2. C’erano orefici a bizzeffe
3. Il brutto ceffo fece uno sberleffo
4. Il carnefice è ormai debole
5. La plebe risolve un rebus.
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VÉNTIQUATTRÈSIMA LEZIONE
Un anèlito di vènto sóffia sulla mia tragèdia, lé ónde si incréspano sul fréddo arcipèlago,
la salsèdine corróde lé mie stanche mèmbra.
Mèdito sul tèdio ché¬ci opprime.
Védo gli uccèlli, é¬crédo di volare.
Smétti di gèmere.
Nón soppòrto quél tremèndo cicaléccio!
Abbi féde. Védo mólta gènte ché éntra éd èsce spazientita pér chièdere di sméttere.
Spésso é¬volentièri succède ché¬ló schérmo si oscuri. Nón ci sarà un problèma cón
l’anténna?
Ma¬ché stai dicèndo? A¬mé¬nón sémbra. Il problèma è¬cói tuòi òcchi. Vai dal mèdico,
piuttòsto.
• Quando la ‘e’ accentata è seguita dalle lettere ‘li’, viene pronunciata aperta: camèlia, cèlia, cèlibe, èlica,
angèlico, famèlico, filatèlico, evangèlico, efèlide, gèlido, cimèlio, èlio, epitèlio, anèlito, prosèlito...
• Parliamo ora un pochino della ‘e’ accentata seguita dalla lettera ‘d’. Come regola generale, viene
pronunciata aperta: salsèdine, intercapèdine, raucèdine, rèdini, dèdalo, rèddito, anèddoto, erède, sède,
piède, èdera, fèdera, cèdere, chièdere, procèdere, succèdere, commèdia, inèdia, mèdia, sèdia, tragèdia,
dèdica, prèdica, dèdico, mèdico, prèdico, assèdio, rimèdio, tèdio, dèdito, èdito, erèdito, inèdito, mèdito,
accèdo, cèdo, arrèdo, chièdo, concèdo, prèdo, schèdo, cotilèdone, cèdro, pulèdro, rèduce, èduco,
incrèdulo...
Ci sono ovviamente alcune eccezioni:
- la terminazione in -eddo: fréddo
- le terminazione in -edovo/a: védovo
- alcune parole che terminano in -edo/e: féde, malaféde...
- il verbo crédere e le sue voci (crédo, crédi, créde...), le voci del verbo vedere (védo, védi, véde...) e i loro
derivati (ricrédo, provvédo, prevédo...)
- i numeri trédici e sédici
- la parola crédito e i suoi derivati (discrédito, scrédito, accrédito...)
In queste ultime due lezioni abbiamo studiato quattro regole molto generiche che, se impariamo
ad applicare, ci verranno in aiuto molto spesso: ‘e+b’, ‘e+f’, ‘e+li’ ed ‘e+d’.
Memorizzarne le eccezioni è tutto sommato fattibile, perchè non sono poi molte e in gran parte
dovremmo già conoscerle.
Se si considera il vasto campo di applicazione di queste regole, vale forse la pena spenderci
ancora un po’ di tempo...
Pagina  38  

ESERCIZIO 24
1. Il vento è freddo gelido
2. Il medico entra ed esce incredulo dallo studio
3. Spesso e volentieri lo schermo smette di trasmettere
4. È una predica evangelica
5. La salsedine corrode l’antenna.

APPROFONDIMENTO  
SPECCHIETTO  PER  STABILIRE  LA  PRONUNCIA  DI  UNA  PAROLA  
Naturalmente  è  vivamente  consigliato,  ogni  volta  che  è  possibile,  cercare  la  pronuncia  delle  
parole  ‘sconosciute’  su  un  buon  dizionario  fonetico.  
Adesso  però  vogliamo  proporre  un  rapido  schemino  da  applicare  quando  si  presenta  una  parola  
sulla  cui  pronuncia  avete  dei  dubbi,  ma  che  potete  evincere  utilizzando  le  regole  che  conoscete.  
•  Innanzitutto  guardiamo  se  si  tratta  di  una  voce  verbale.  In  questo  caso  dobbiamo  fare  
riferimento  allo  specchietto  della  scorsa  lezione  di  ricapitolazione,  specificamente  dedicato  alla  
pronuncia  delle  voci  verbali.  
•  Controllare  se  la  ‘e’  accentata  
-­‐  appartiene  al  dittongo  ‘ie’  
-­‐  è  seguita  da  una  vocale  
-­‐  è  seguita  da  una  consonante  e  due  vocali  
-­‐  è  seguita  da  una  lettera  ‘b’  
-­‐  è  seguita  da  una  lettera  ‘f’  
-­‐  è  seguita  da  una  lettera  ‘d’  
-­‐  è  seguita  dalle  lettere  ‘li’  
In  tutti  i  questi  casi  la  ‘e’  verrà  pronunciata  aperta,  con  le  seguenti  eccezioni:  
-­‐  dittongo  ie:  [terminazioni  in  -­‐ietto/a,  -­‐iezza,  parole:  ateniese,  chierico,  scambievole,  occhieggio]  
-­‐  e+vocale:  [voci  del  passato  remoto  in  -­‐ei,  parole:  dei  (degli),  nei  (negli),  pei,  quei,  ei]  
-­‐  e+consonante+due  vocali:  [terminazione  in  -­‐eguo/a/ito,  parole:  fregio,  sfregio]  
-­‐  e+b:  [terminazioni  in  -­‐ebbia/o,  -­‐ebito,  -­‐ebole]  
-­‐  e+f:  [terminazione  in  -­‐efice]  
-­‐  e+d:  [terminazioni  in  -­‐eddo,  -­‐edovo/a,  voci  del  verbo  credere  e  vedere,  parole:  fede,  malafede,  
tredici,  sedici,  credito  (e  derivati)]  
•  Controllare  se  si  può  risolvere  con  una  delle  diciotto  ‘chiavi’  che  abbiamo  imparato  a  memoria.  
•  Se  la  parola  non  corrisponde  a  nessuno  di  questi  requisiti,  non  vi  resta  che  metter  mano  al  
dizionario  fonetico...  
A partire da domani, i brani non saranno più accompagnati dalle note a margine con regole ed
eccezioni: abbiamo già incontrato quelle più importanti e generiche, e non è il caso di annoiarci
oltre.
Affideremo ai brani stessi il compito di insegnarci la pronuncia di molte altre parole di uso
Pagina  39  

corrente, e allo stesso tempo di fissare le conoscenze che già abbiamo acquisito.
Approfittando dell’assenza delle note a margine, potrete impiegare un po’di tempo per ripassare
le note delle lezioni precedenti o per riprendere in mano il testo dei vecchi brani!

VÉNTICINQUÈSIMA LEZIONE
Prèndi il tónno o¬l’aragósta?
Schérzi? Dèvo stare a¬dièta!
Allóra scégli tu, io mi adéguo.
Pènso ché andrèbbe bène un’insalata.
ɬdópo?
Niènte!
Ma¬tu¬sèi da¬ricóvero! Neppure bévi?
Cèrto ché¬bévo! Un succo di pèsca.
Sènza zucchero*, scommétto.
Scommétti bène.
Contènta tu... Camerière!
Avete provato a memorizzare il brano con le diciotto chiavi? Forza, ripetiamolo ancora una volta:
“C’è parecchio silenzio nella stupenda biblioteca...”
Se non avete ancora dato un’occhiata all’appendice sull’articolazione, è arrivato il momento di
dedicare un po’ di tempo anche a questo aspetto dell’arte del parlare.
Nelle cinque pagine di appendice sull’articolazione sono proposti alcuni degli esercizi classici
suggeriti a chi affronta per la prima volta questa disciplina. Non dimenticatevi, ogni tanto, di
provarli anche voi!
ESERCIZIO 25
1. Dopo il tonno cosa prendi?
2. Cameriere, un succo di pesca!
3. Se sei a dieta, mi adeguo
4. Scommetto che bevi qualcosa
5. La ricoverano tra tre ore.
Pagina  40  

VÉNTISÉIÈSIMA LEZIONE
Pòrsi il quadèrno alla professoréssa, attendèndo il respònso. Ma¬dópo brève, élla si
accòrse di un atróce erróre.
Dópo avér fatto la dóccia, córse a¬prèndere il suo accappatóio giallógnolo.
Bévvi un bicchière di tè¬fréddo cón la nuòva rècluta.
Pér avérmi cavato da¬quél maledétto intòppo, mèriti una còngrua ricompènsa.
Apprèndo ché¬l’ipnòsi è una sciènza sèria ché¬concèrne la sfèra déll’incònscio
Ché sta¬facèndo? Prelèva trécènto èuro, mi sémbra. Cérco di vedére mèglio.
Da¬dóve¬viène quésto aròma amarógnolo?
Da¬quésta béstia decompósta.
Il clima è¬sécco. Svèlto, lèvati di tórno!
“C’è parecchio silenzio nella stupenda biblioteca...”
Lo avete già imparato? Ricordate che allenare la memoria è utilissimo, e non è mai troppo tardi...
ESERCIZIO 26
1. Si accorse atroce intoppo
2. Il responso fu breve: niente ricompensa
3. La recluta non crede all’ipnosi
4. Bevvi un te freddo giallognolo
5. L’aroma è eccellente.
Pagina  41  

VÉNTISÉTTÈSIMA LEZIONE
Ȭmèglio ché èviti quésta scorciatóia: se¬ti bécca un vigile rischi la rèvoca délla patènte.
ɬrallènta, pér piacére.
Ma¬sé¬vado lènto cóme una lumaca!
Stai all’érta! Bada ché¬nón schérzo.
Va bène, rallènto. Ma adèsso rilassati, ché alla strada ci pènso io.
Ma¬ché stai facèndo? Pér l’amór dél cièlo, stérza!
Règgiti fòrte. Dèvo superare quésto deficiènte.
Sméttila, ti prègo, abbrèvia lé mie sofferènze.
Lèi, là¬fuòri, dóve ha¬préso la patènte?
Si lèvi dal marciapiède, ó¬lé smèmbro la portièra!
Quésto è¬tròppo. Férma la véttura, é¬fammi scéndere.
ESERCIZIO 27
1. Farai meglio a prendere la scorciatoia
2. Reggiti, o finirai sul marciapiede!
3. Pensa alla revoca della patente, e rallenta
4. Guardare il cielo è un piacere
5. Svelto, preleva il denaro.
Pagina  42  

VÉNTÓTTÈSIMA LEZIONE
La bélva feróce annéga nélla mélma. Ȭtròppo débole pér uscirne. Sènti cóme¬gème.
Fra¬cènto anni sé né troverà¬lo schelètro. È una mòrte lènta é¬crudèle, nón cèrto
cèlere.
Si tratta inóltre di una spècie a¬rischio di estinzióne, sottopósta a¬tutèla dalle
organizzazióni a¬protezióne déll’ambiènte.
Nón védo cóme¬puoi sopportare quésto tremèndo gèmito. Ci va un bèl fégato. A¬mé¬si
congèla il sangue nélle artèrie é¬nélle véne.
Nón ti sémbra di eccedère? Pènsa a¬quanto è¬feróce. È una bélva ché¬ti smèmbra cón
i sóli dènti.
ESERCIZIO 28
1. C’è una belva feroce nella melma
2. Mi sento debole
3. È una specie crudele, ma sottoposta a tutela
4. Le arterie e le vene del fegato
5. È stata una morte celere.

VÉNTINÓVÈSIMA LEZIONE
La bellézza struggènte délla principésca dottoréssa èra un sèrio problèma.
Il goliardésco paése nón poté¬resistere alla sua immènsa dolcézza.
S’èra détto bène. Al tèmpo stésso, però,¬nón s’èra fatto niènte.
Cón incèrta acrèdine, sènza un sèrio torménto, quasi fósse un’inèzia, lé diède una
carézza.
Diètro a¬quél pezzétto di orticèllo, accanto alla chiesétta, passava il trèno.
Mi èccito quando azzécco la rispósta, ma¬quésta vòlta hò¬fatto cilécca.
Rècito il poèma di fronte ad un vècchio spècchio, ma smétto perché¬mi duòle il dènte.
ESERCIZIO 29
1. Che bella chiesetta, con l’orticello!
2. Non poté resistere a quel dolore struggente ai denti
3. Al tempo stesso, penso sia inutile
4. Il poeta recita un poema
5. Hai fatto cilecca!
Pagina  43  

TRÉNTÈSIMA LEZIONE
Ièri il cavalière ateniése agitò¬lièto quélla bandièra, é¬diètro alla magliétta déll’egrègio
vecchiétto vide uno sfrégio.
Non èbbe idèa di quélla stoltézza, é¬nel séguito déll’assèdio un intènso sènso di
melènso tra la gènte perdènte lo còlse sovènte sènza trégua.
Il tremèndo rècord di véndere morèndo la stélla di sua sorèlla, é un capéllo dél suo
asinèllo – unico erède délla sua féde – gli féce crédere di vedére un fogliétto diètro al
bigliétto.
Voléva scéndere é¬sorprèndere il problèma sènza attèndere di vedére la salsèdine di
quéi trichèchi di cui lèsse in bibliotèca.
Nel surreale gioco di parole che vi proponiamo oggi si mescolano regole ed eccezioni che
dovrebbero ormai esservi note. Ma è un’ottima occasione per un bel ripasso!
ESERCIZIO 30
1. Il biglietto del treno
2. I capelli dei miei fratelli
3. Le stelle nel cielo
4. Scendo e prendo un tricheco
5. Non credo alla stoltezza degli ateniesi.

TRÉNTUNÈSIMA LEZIONE
Il tèmpo è incèrto. dal vèntre dél cièlo.
Nuvole tètre Tornato è il seréno,
oscuravano l’atmosfèra, éd ècco apparire l’arcobaléno.
èrano lé tènebre, Un èsile vènto carézza
é¬la tempèsta. i pètali déi fióri.
Óra il fréddo si dilègua, Ché splèndida scèna!
una bréccia si apre
ESERCIZIO 31
1. Questa tempesta mi ottenebra la mente
2. Sono spiacente per questo contrattempo
3. C’era uno splendido arcobaleno nel cielo
4. La scena è fredda e tetra
5. I petali dei fiori sono esili.
Pagina  44  

TRÉNTADUÈSIMA LEZIONE
Ièri a¬céna hò¬mangiato una zuppa* di céci, un piatto di spaghétti, una bistécca di
pècora, é una macedònia sènza zucchero* cón pèsche, ciliègie é¬pompélmi.
Ché¬frétta c’èra, maledétta primavèra?
Stupènda quéll’agènda.
Sènti, sóno sènza il bécco d’un quattrino.
Svèlto, bévi éd èsci! Io vèngo dópo di té.
Chi¬fa¬da¬sé, fa¬pér tré.
Il suo stile è¬pièno di ricercatézze.
S’annòia parécchio in quélla catapécchia.
Sarà¬lécito o illécito?
Sollécito una rispósta.
ESERCIZIO 32
1. Per me spaghetti e bistecca
2. Pesca, ciliegia e pompelmo
3. Ti ho detto che non c’è fretta
4. Premiano le sue ricercatezze
5. Sollecito una risposta, ho fretta!
Pagina  45  

TRÉNTTRÉÈSIMA LEZIONE
Ièri séra èra tutto complèto, pér la rècita teatrale.
Io hò¬contéso* con un signore obéso* l’ultimo bigliétto pér un posto in dècima fila.
Lèi non è¬molto fotogènica, ma¬sul palcoscènico è¬davvéro splèndida.
ɬpòi c’è¬quélla cèlebre scèna conclusiva: la fanciulla vérgine contèmpla di sottécchi il
primogènito, tenténna a¬lungo, pòi métte l’arsènico nél suo bicchière, spacciandolo pér
un analgèsico.
Lui béve, é¬dopo brève diviène il viso cèrulo, la mano trèmola, pòi affanna é incéspica.
Lui muòre, lèi piange, calano lé tènebre, é¬con ésse il sipario.
Davvéro commovènte.
ESERCIZIO 33
1. Quella scena mi ottenebra la mente
2. Il signore obeso è davvero fotogenico
3. La vergine incespica sul palcoscenico
4. Contemplo di sottecchi l’arsenico
5. Il ventre del primogenito.

TRÉNTAQUATTRÈSIMA LEZIONE
È stato uno sfacèlo ièri! Hai presènte quélla vècchia megèra istèrica, egocèntrica é
obésa*, ché¬sémbra una sfèra pièna di grasso?
L’hò incontrata é¬lé hò¬détto cón ènfasi: “Ma¬lèi ha¬lé travéggole, baléna oscèna,
decrèpita é¬nevrastènica!’
Èra cèrta di vedére una péntola di polènta é,¬famèlica cóm’è, ha oltrepassato lé
transénne pér andare a¬prènderla, cèlere cóme una metèora.
Puoi immaginare l’èsito, quando si è¬résa* cónto ché èra una sémplice candéla.
Una scèna patètica!
ESERCIZIO 34
1. La vecchia megera ha fatto uno sfacelo
2. È isterico ed egocentrico, e ha le traveggole
3. Hanno messo le transenne intorno alla sfera
4. Ha lodato con enfasi la polenta
5. Corre come una meteora, sembra nevrastenica!
Pagina  46  

TRÉNTACINQUÈSIMA LEZIONE
Códe chilomètriche sulle autostrade, simmètriche dal nòrd al sud dél Paése.
L’inattéso* èsodo di inizio settèmbre ha¬riportato un’allégra atmosfèra vacanzièra.
Ma il bollettino mèteo désta preoccupazióne.
Ȭpur véro ché¬nón ci azzécca mai.
Il mio fruttivèndolo dice ché¬ci prèndono pér féssi.
ESERCIZIO 35
1. Il Paese è in preda ad un’atmosfera vacanziera
2. Non ci azzecca mai!
3. È magro, scheletrico direi
4. Vai dal pescivendolo?
5. C’è una coda chilometrica, e io non sono fesso

TRÉNTASÉIÈSIMA LEZIONE
Incèndia l’inségna di légna, calpésta il terréno di cartapésta.
Diméntica accéso* l’aggéggio elèttrico é¬nón spégne la luce dél presèpe, cóme¬sé¬nón
dovéssi pagare la bollétta.
Pòi causa lamentèle, cón annèssi é¬connèssi.
È un autèntica guastafèste.
Nón è¬cèrto dégna dél prèmio in palio.
Meriterèbbe invéce le manétte, é¬la galèra.
ESERCIZIO 36
1. Dimentico che è autentico
2. È buio pesto
3. Alla festa c’è stato un incendio
4. Accendere e spegnere
5. Meriti le manette e la galera!
Pagina  47  

TRÉNTASÉTTÈSIMA LEZIONE
Raffaèle!
Vèngo, Terèsa!
C’è un cratère in un punto stratègico dél soffitto.
Sèi sèmpre la stéssa! Ȭsólo una piccola crèpa al cèntro délla stanza.
Ma¬vedrai ché¬si disgrèga. ɬcomunque è antiestètica. Il colóre déll’intònaco nón è¬più
omogèneo.
Ti ripèto ché¬nón è il caso di preoccuparsi.
Vècchia la tua cantilèna. ‘Va tutto bène’, ‘esageri cóme¬sèmpre’, eccètera.
Ma¬ché¬gènere di uòmo sèi?
Prèndi una scala, scròsta é¬lèviga il soffitto. Perché altriménti nón reggerà al péso*.
Ricòrdati ché¬sèi cénere, ha¬détto il prète alla mia crésima.
Ché accidènti stai dicèndo? Ché¬c’éntra óra? ɬcomunque, èra il véscovo in persóna.
ESERCIZIO 37
1. Il colore dell’intonaco è eterogeneo
2. Aggrego e disgrego
3. Gli devo ripetere di non competere con me
4. Uno strano genere di cenere
5. Incrosto la pentola.

TRÉNTOTTÈSIMA LEZIONE
È svéglio quél garzóne di bottéga!
La bottéga ché¬vénde cosmètici?
Sì, quéllo ché¬fa¬lé conségne.
Lavóra cón mètodo, è¬concrèto, è¬bèllo é ha un fisico d’atlèta.
ɬné apprèzzo la modèstia.
Il padróne invéceè un emèrito deficiènte. Spècula sulla pèlle di quél poverétto,
sottoponèndolo ad un lavóro frenètico.
ESERCIZIO 38
1. Devo fare la consegna di un cosmetico
2. Apprezzo la tua modestia
3. Tu, invece, sei un emerito deficiente
4. Il garzone specula sulla mia pelle
5. Poveretto, non ha metodo!
Pagina  48  

TRÉNTANOVÈSIMA LEZIONE
Lé hò¬fatto cénno, ma¬nón ricévo rispósta.
Còsa* vuòi? È una fémmina... Nón capisce niènte!
Mé né sono réso* conto. Óra la sollèvo dal suo incarico, é¬lé lèvo il permésso pér la
caccia alla lèpre.
Bravo! ɬméttile in mano il méstolo. Quéllo dève fare!
Guarda là, diètro alla félce! È un fagiano. Férmo! Óra lo séguo.
Accidènti. È sparito nélla pinéta.
Cérca di èssere più¬discréto, ó spavènti lé béstie!
In rèplica alla vòstra lèttera, allégo documénto cón il contratto di véndita, il prospètto
délla rèndita dél terréno é¬la dèlega pér ritirare la miscèla cón il veléno cóntro gli insètti.
Spèro cón quésto di adémpiere pienaménte alle vòstre esigènze.
ESERCIZIO 39
1. Vendita e rendita
2. Accenno brevemente alla vostra lettera
3. Rimesto e mescolo, col mestolo
4. Fai un cenno alla bestia
5. Ho esigenza di una tua delega.
Pagina  49  

QUARANTÈSIMA LEZIONE
Hò¬fatto un dólce caseréccio* cón lé ciliègie amarène dél mio fruttéto. Pròprio ièri né
hò¬riempita una césta.
Né vuòi una fétta?
Sì,¬sé è¬tènera
Schérzi? Ȭmorbidissima. Dovrèi portarne una fétta anche al prète.
Nón crédo ché¬la gradirèbbe. Da¬quando ha scopèrto di avére il diabète ha adottato
uno stile di vita più igiènico, sótto moltéplici aspètti: ha smésso di fumare lé sigarétte,
guarda cón sprègio i dolciumi éd èsce di casa* in biciclétta. Però¬si è¬rótto un tèndine.
Oh, poverétto!
ɬquél légno cos’è?
Viène sèmpre dalla cortéccia dél mio ciliègio.
Ma allora né hai fatto scémpio. Nón si smèmbrano lé piante!
ESERCIZIO 40
1. Smembra il frutteto
2. Vuoi una fetta di dolce alle amarene?
3. La gradirei, ma ho il diabete
4. Una bicicletta in legno di ciliegio
5. Il prete guarda con spregio le sigarette.

QUARANTUNÈSIMA LEZIONE
Mèmore délle règole impóste, égli sèppe giungere alla mèta affrontando illéso la giuria
sènza ché gli ponésse il vèto, é¬sótto l’ègida dél presidènte
Quésto oscèno vilipèndio è un sacrilègio, é¬sé¬pènsi di uscirne indènne commétti un
sèrio erróre.
Hai irrimediabilménte léso la nòstra aziènda, é hò appréso* ché¬nessun istituto di
crédito ci concederà una dèroga.
Nél séguito délla vicènda, ti farai carico personalménte dél dispèndio conseguènte
a¬quésto incéppo.
ESERCIZIO 41
1. Gira sui ceppi accesi lo spiedo scoppiettando
2. Il presidente ha posto il veto
3. Immemore delle regole imposte, commise un osceno sacrilegio
4. Seppe giungere indenne alla meta
5. Uscì illeso da quella vicenda.
Pagina  50  

QUARANTADUÈSIMA LEZIONE
Mio genèro studia tré¬discipline assolutaménte eterogènee.
Té lé elènco: aritmètica, poètica é¬dietètica.
Ché intrèpido!
Sua zia* èra idèntica a¬lui!
Sarà¬congènito!
Ci vuòle una tèmpra d’acciaio: passa óre sui tèsti, scrive compèndi sintètici, inségna ai
suòi allièvi...
É, in parallèlo, si òccupa délla tutèla délle forèste.
Sì, cón impégno perpètuo é¬temperaménto battaglièro!
Ma¬sémbra così¬mansuèto...
È una sua scélta di vita, pér apparire indiféso* é indurre i contendènti a¬sottovalutarlo.
Ché uòmo! È un tèmpio di saggézza...
Ha un sólo difètto: sòffre il sollético!
ESERCIZIO 42
1. Un compendio sintetico di aritmetica
2. Un solletico poetico
3. Non si scherza con l’etica professionale
4. Si impegna nella tutela dell’ambiente
5. Una scelta intrepida.
Pagina  51  

QUARANTATRÉÈSIMA LEZIONE
Sóno cèrto ché¬dève èsserci un fóro in quésta stòffa, é adèsso ló scóvo.
Nón si rasségna finché¬consègue la mèta prepósta.
Allèvo béstie ché¬vivono in simbiòsi.
Quante lèttere déll’alfabèto ci sóno nélla paròla ‘capézzolo’?
È un villaggio ridènte é amèno.
Il salumière elèva il prèzzo délla mèrce espósta.
C’èra un longèvo èsule ateniése appéso* alla giòstra, ma adèsso è scéso*,
é¬sarà¬mésso al rògo.
Il bórdo di quésta colónna risale al medioèvo, méntre il dipinto a¬tèmpera è¬d’època
più¬recènte.
Ha apèrto una bréccia nél cuòre dél suo còmplice. Gatta ci cóva!
È stéso sul lètto cón ló stèreo accéso*.
La carènza di iòdio è¬coinvòlta nélla gènesi dél gózzo.
Nón védo quale scòpo perségue il suo stèrile sfógo via ètere, ché accèntua lé differènze
tra¬lé parti.
ESERCIZIO 43
1. Quale bestia ha tre capezzoli?
2. Se sfora il tempo viene interrotto
3. Scendi dal bordo della giostra
4. Che splendida tempera!
5. Gatta ci cova...
Pagina  52  

QUARANTAQUATTRÈSIMA LEZIONE
Sull’órlo déllo stagno, in mèzzo al bòsco, c’è una pècora ché affóga,
in un lémbo di néve disciòlta dal sóle allo zènit.
Dapprima lòtta cón fóga pér liberarsi da¬quél giógo, pòi i suòi sfòrzi si fanno più¬tènui,
infine si rasségna.
Pènetra néi profóndi abissi, l’acqua in superficie s’incréspa.
Il dèmone èvoca lé sfère celèsti, é invòca gli dèi, còmplici di quél sacrificio.
Rièmpie una còppa pièna di nèttare,
un’aròma di mòrte aléggia nélla sua dimòra.
ESERCIZIO 44
1. I suoi capelli sono crespi
2. Abbordo la professoressa, e le chiedo del tema
3. C’è una pecora sull’orlo del bosco
4. Vuoi una coppa di champagne?
5. La mia dimora è piena di neve
Pagina  53  

QUARANTACINQUÈSIMA LEZIONE
I germógli di sòia sóno mólto in vóga, é io mi adéguo, nonostante il còsto.
Il dòtto professóre dice ché¬gióvano al dótto intestinale.
Fanno bène anche il lièvito di birra é il gèrme di grano.
Mi ha¬pòi détto di prèndere i sémi di girasóle, é¬di consumare tanti legumi, prèvio
ammòllo.
ɬla tua spòsa ché¬né pènsa?
Avèndo la gótta, lèi dève escludere alcuni legumi. Ma¬pér il rèsto, ségue anche lèi la mia
dièta.
Ha¬dovuto méttere un frèno al consumo di carne, èra sull’órlo dél ricóvero.
Con oggi abbiamo concluso i brani di studio attraverso i quali volevamo veicolare la pronuncia di
alcune parole utili non contemplate dalle regole che abbiamo appreso nelle prime settimane del
corso.
A partire da domani e fino alla fine del corso, ci dedicheremo alla lettura di qualche celebre
componimento poetico, che ci darà la possibilità di mettere in pratica e consolidare quanto
abbiamo imparato, godendo allo stesso tempo - finalmente, dopo un mese e mezzo di brani ai
limiti dell’idiozia! - di qualche capolavoro della letteratura italiana.
ESERCIZIO 45
Questa è anche l’ultima volte che trovate l’esercizio. Da domani vi lasceremo in pace!
1. È incredibilmente edotto
2. A chi giova?
3. Prendo solo i germogli di soia
4. Hanno messo un freno al costo del lievito
5. Previo pagamento, sarà ammessa al ricovero.
Pagina  54  

QUARANTASÉIÈSIMA LEZIONE
Carducci, Pianto antico
L’albero a¬cui tendévi
La pargolétta mano,
Il vérde melograno
Dai bèi vermigli fiór
Nél muto òrto solìngo
Rinverdì¬tutto ór óra,
ɬgiugno ló ristòra
Di luce é¬di calór.
Tu¬fiór dé¬la mia pianta
Percòssa é inaridita,
Tu¬déll’inutil vita
Estrèmo unico fiór,
Sèi nélla tèrra frédda,
Sèi nélla tèrra négra;
Né il sól piú¬ti rallégra
Né¬ti risvéglia amór.
Senza alcuna pretesa didattica o didascalica, forniamo a margine alcuni cenni per inquadrare la
poesia e facilitarne la comprensione a chi ne fosse completamente ‘digiuno’. Gli altri non si
offendano!
Tratto da ‘Rime nuove’, questo bellissimo componimento poetico (del 1971) si riferisce ad un
tragico episodio della vita di Carducci, ossia la morte del suo unico figlio maschio all’età di soli tre
anni.
Dalle finestre della sua casa a Bologna, Carducci vede un albero di melograno piantato nel
cortile, e ricorda l’immagine del figlioletto che lo indicava con la sua manina.
Ogni estate l’albero rinverdisce ed è riscaldato dai raggi del sole, ma il suo bambino non potrà più
risvegliarsi dal sonno della morte.
Pagina  55  

QUARANTASÉTTÈSIMA LEZIONE
Foscolo, A Zacinto
Né¬più¬mai toccherò¬lé sacre spónde
óve il mio còrpo fanciullétto giacque,
Zacinto mia, ché¬té spècchi néll’ónde
dél grèco mar da¬cui vérgine nacque
Vènere, é¬féa quélle isole fecónde
cól suo primo sorriso*, ónde nón tacque
lé tue limpide nubi é¬lé tue frónde
l’ìnclito vèrso di colui ché¬l’acque
cantò¬fatali, éd il divèrso esiglio
pér cui bèllo di fama é¬di sventura
baciò¬la sua petrósa* Itaca Ulisse.
Tu¬nón altro ché il canto avrai dél figlio,
ó¬matèrna mia tèrra; a¬nói prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Argomento di questo sonetto è la lontananza del poeta dalla sua terra natale, l’isola greca di
Zacinto, che non ha più rivisto dai tempi dell’infanzia, e che evoca in questo componimento nella
sua dimensione mitologica.
Avete notato come Foscolo ha nascosto il rumore del mare, che si infrange placido sulla riva
dell’isola, tra i versi della poesia? Se teniamo le ultime parole di ogni riga delle prime due
quartine, dalla prima togliamo ‘sp’, dalla seconda ‘gi’, dalla quarta ‘n’, dalla quinta ‘fec’, dalla
sesta ‘t’ e dalla settima ‘fr’, ecco quello che rimane: onde, acque, onde, acque, onde, acque,
onde, acque. Bello, vero?
Pagina  56  

QUARANTOTTÈSIMA LEZIONE
Leopardi, L’infinito
Sèmpre caro mi fu¬quést’érmo còlle,
ɬquésta sièpe, ché¬da¬tanta parte
Déll’ultimo orizzónte il guardo esclude.
Ma¬sedèndo é¬mirando, interminati
Spazi di là¬da¬quélla, é¬sovrumani
Silènzi, é¬profondissima quiète
Io nél pensièr mi fingo; óve pér pòco
Il còr nón si spaura. ɬcóme il vènto
Òdo stormir tra¬quéste piante, io quéllo
Infinito silènzio a¬quésta vóce
Vò¬comparando: é¬mi sovvièn l’etèrno,
ɬle mòrte stagióni, é¬la presènte
é¬viva, é il suòn di lèi. Così¬tra¬quésta
Immensità¬s’annéga il pensièr mio:
É il naufragar m’è¬dólce in quésto mare.
‘L’infinito’ è spesso identificato come uno degli esiti più alti della poesia leopardiana. Fu
composto a Recanati nel 1819, all’età di ventuno anni, quando Leopardi viveva ancora nella casa
del padre, trascorrendo lunghe ore nella fornita biblioteca, che comprometteranno per sempre la
sua stessa salute.
Pagina  57  

QUARANTANOVÈSIMA LEZIONE
Pascoli, X Agosto
San Lorènzo, io ló sò¬perché¬tanto
di stélle pér l’aria tranquilla
arde é¬cade, perché¬sì¬gran pianto
nél còncavo cièlo sfavilla.
Ritornava una róndine al tètto:
l’uccisero: cadde tra spini:
élla avéva nél bécco un insètto:
la céna déi suòi rondinini.
Óra è¬là, cóme in cróce, ché¬tènde
quél vèrme a¬quél cièlo lontano;
é il suo nido è¬néll’ómbra, ché attènde,
ché¬pigola sèmpre più¬piano.
Anche un uòmo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdóno;
é¬restò¬négli apèrti òcchi un grido:
portava due bambole in dóno...
Óra là, nélla casa* romìta,
ló aspèttano, aspèttano invano:
égli immòbile, attònito, addita
lé bambole al cièlo lontano.
ɬtu, Cièlo, dall’alto déi móndi
seréni, infinito, immortale,
óh! d’un pianto di stélle ló inóndi
quést’atomo opaco dél Male!
Tratta da ‘Myricae’, questa poesia fa riferimento ad un episodio della vita di Pascoli, ossia
l’assassinio del padre Ruggero nella notte di San Lorenzo, il 10 agosto 1867.
Le stelle cadenti, secondo la tradizione, sono le lacrime di San Lorenzo, che soffre per
l’ingiustizia e il dolore del mondo umano (‘quest’atomo opaco del male’).
Il componimento presenta un parallelo tra l’uccisione della rondine, che tornava al nido dai suoi
piccoli per potar loro il cibo che teneva nel becco; e l’assassinio del padre, che tornava dai suoi
cari recando due bambole in dono.
I rondinini aspettano a lungo nel nido, destinati a morire di fame (il nido ‘pigola sempre più
piano’); così aspettano invano i familiari...
Pagina  58  

CINQUANTÈSIMA LEZIONE
Pascoli, L’assiuòlo
Dóv’èra la luna? ché il cièlo
notava in un’alba di pèrla,
éd èrgersi il mandorlo é il mélo
parévano a¬mèglio vedérla.
Venivano sóffi di lampi
da un néro di nubi laggiù;
veniva una vóce dai campi:
chiù...
Lé stélle lucévano rare
tra¬mèzzo alla nébbia di latte:
sentivo il cullare dél mare,
sentivo un frù¬frù¬tra lé fratte;
sentivo nél cuòre un sussulto,
cóm’èco d’un grido ché¬fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su¬tutte lé lucide vétte
tremava un sospiro di vènto:
squassavano lé cavallétte
finissimi sistri d’argènto
(tintinni a invisibili pòrte
ché¬fórse nón s’aprono più?...);
é¬c’èra quél pianto di mòrte...
chiù...
Sempre tratto da ‘Myricae’, questo famoso componimento rappresenta una pittoresca e
suggestiva meditazione sulla morte e sul mistero della vita.
Viene descritta una notte piena di lampi e scure nuvole, che nascondono alla vista la presenza
della luna, testimoniata solamente dal bianco perlaceo diffuso nella notte. Il vento scuote gli
alberi che si stagliano nel cielo, e porta da lontano il rumore delle onde che si infrangono, il
fruscio degli animali notturni nascosti nei cespugli (le fratte), l’eco di un antico dolore. Le invisibili
porte della morte non si aprono più, neppure al suono dei ‘sistri’ metallici che usavano gli antichi
egizi per il culto di Iside (dea dei morti).
La morte è invincibile, e la sua presenza è testimoniata dall’enigmatico, singhiozzante pianto di
morte dell’uccello notturno: chiù…
Pagina  59  

CINQUANTUNÈSIMA LEZIONE
Giovanni Pascoli, Miricae, Creature
I - FIDES
Quando brillava il vèspero vermiglio,
é il ciprèsso paréva òro, òro fino,
la madre disse al piccolétto figlio:
Così¬fatto è¬lassù tutto un giardino.
Il bimbo dòrme, é¬sógna i rami d’òro,
gli alberi d’òro, lé forèste d’òro;
méntre il ciprèsso nélla nòtte néra
scagliasi al vènto, piange alla bufèra.

II - CÉPPO
Ȭmezzanòtte. Névica. Alla piève
suònano a¬dóppio; suònano l’entrata.
Va¬la Madònna bianca tra¬la néve:
spinge una pòrta; l’apre: èra accostata.
Éntra nélla capanna: la cucina
è¬pièna d’un sentór di medicina.
Un bricco al fuòco s’òde borbottare:
piccolo il céppo brucia al focolare.
Un gran silènzio. Sóno a¬méssa? Bène.
Gesù¬trèma; Maria si accòsta al fuòco.
Ma ècco un suòno, un rantolo ché¬viène
di¬su, sèmpre più¬fièvole é¬più¬ròco.
Il bricco vèrsa é sfrigge: la campana,
cól vènto, ór s’avvicina, ór s’allontana.
La Madònna, cón una mano al cuòre,
gème: ‘Una mamma, figlio mio, che¬muòre!’
ɬpiano piano, cól suo bimbo fiso
nél céppo, tórna all’uscio, apre, s’avvia.
Il céppo sbracia é¬crèpita improvviso,
il bricco vèrsa é sfrigola via via:
quél rantolo... è¬finito. Ó¬Maria stanca!
bianca tu¬passi tra¬la néve bianca.
Suòna d’intórno il dóppio déll’entrata:
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vóce velata, malata, sognata.

III - MÒRTO
Manina chiusa, ché¬nél sónno grande
stringi qualcòsa, dimmi còsa* ci hai!
Còsa* ci ha? còsa* ci ha? Vane domande:
quéllo ché stringe, niuno saprà¬mai.
Té¬l’ha¬portato l’Angelo, il suo dóno:
nél sónno, sèmpre ló stringévi, un dóno.
La nòtte c’èra, nón c’èra il mattino.
Quésto ti resterà. Dòrmi, bambino.

IV - ÒRFANO
Lènta la néve fiòcca, fiòcca, fiòcca.
Sènti: una zana dóndola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bócca;
canta una vècchia, il ménto sulla mano.
La vècchia canta: Intórno al tuo lettino
c’è¬ròse é¬gigli, tutto un bèl giardino.
Nél bèl giardino il bimbo s’addorménta.
La néve fiòcca lènta, lènta, lènta.

V - ABBANDONATO
Nélla soffitta è¬sólo, è¬nudo, muòre.
Stille su stille gèmono dal tétto.
Gli dice il Santo ‘Ancóra un pò’,¬fa’¬cuòre’
Mórmora ‘Il pane; è¬tanto ché¬l’aspètto’
L’Angelo dice ‘ór viène il Salvatóre’
Sospira ‘un panno pél mio fréddo lètto’
Maria dice ‘Ȭfinito il tuo dolóre!’
‘oh’ mamma io vòglio, é¬dormire al suo pètto’
Lagrima góccia a¬góccia la bufèra
nélla soffitta. Il Santo véglia, assiso;
l’Angelo guarda, smòrto cóme céra;
la Vérgine Maria piange un sorriso*.
Tace il bambino, aspètta sino a¬séra,
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all’uscio guarda, cói grandi òcchi, fiso.


La nòtte cade, l’ómbra si fa¬néra;
égli va,¬desolato, in Paradiso.
Triste ma bellissimo, questo componimento descrive una realtà di povertà e sofferenza.
Una madre culla il figlioletto, raccontandogli una storia per farlo addormentare. Pascoli mette in
evidenza il contrasto tra il sogno del bambino, che è illusione (i rami d’oro, gli alberi d’oro, le
foreste d’oro) e la dura realtà (la notte nera, il vento, la bufera).
Nella notte di Natale, la Madonna è in cerca di fuoco per scaldare Gesù Bambino, ma nella casa
in cui cerca accoglienza trova la madre del bambino che è malata e sta per morire.
La madre è morta. La vecchia nonna culla il piccolo, rimasto orfano, cantandogli una ninna
nanna. Ma la vecchia è stanca, e muore lasciando il fanciullo completamente solo e
abbandonato.
La soffitta è fredda, fuori imperversa la bufera. Il piccolo non ha cibo, nè un panno per scaldarsi,
nè l’affetto della mamma.
Il bimbo è destinato inevitabilmente a morire.
Al dolore non sono indifferenti l’Angelo, che guarda ‘smorto come cera’, e la Madonna che
‘piange un sorriso’ (questo ossimoro è sicuramente uno dei versi più commoventi di tutta la
poesia italiana). Cala la notte, e il bambino va - desolato - in Paradiso.
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CINQUANTADUÈSIMA LEZIONE
Manzoni, Adelchi, coro atto IV
Sparsa lé trécce mòrbide
Sull’affannóso* pètto,
Lènta lé palme, é¬ròrida
Di mòrte il bianco aspètto,
Giace la pia, cól trèmolo
Sguardo cercando il cièl.
Cèssa il compianto: unanime
S’innalza una preghièra:
Calata in su¬la gèlida
Frónte, una man leggèra
Sulla pupilla cèrula
Stènde l’estrèmo vél.
Sgómbra, ó¬gentil, dall’ansia
Ménte i terrèstri ardóri;
Lèva all’Etèrno un candido
Pensièr d’offèrta, é¬muòri:
Fuòr délla vita è il tèrmine
Dél lungo tuo martìr.
Tal délla mèsta, immòbile
Èra quaggiuso il fato:
Sèmpre un obblio di chièdere
Ché¬lé saria negato;
É al Dio déi santi ascéndere
Santa dél suo patir.
Ahi! nélle insònni tènebre,
Péi claustri solitari,
Tra il canto délle vérgini,
Ai supplicati altari,
Sèmpre al pensièr tornavano
Gl’irrevocati dì;
Quando ancór cara, impròvida
D’un avvenir mal fido,
èbbra spirò¬lé vivide
Aure dél Franco lido,
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ɬtra lé nuòre Saliche


Invidiata uscì:
Quando da un pòggio aèreo,
Il bióndo crin gemmata,
Vedéa nél pian discórrere
La caccia affaccendata,
ɬsulle sciòlte rèdini
Chino il chiomato sir;
ɬdiètro a¬lui la furia
Déi corridór fumanti;
ɬló sbandarsi, é il rapido
Redir déi vèltri ansanti;
ɬdai tentati triboli
L’irto cinghiale uscir;
ɬla battuta pólvere
Riga di sangue, còlto
Dal règio stral: la tènera
Alle donzèlle il vólto
Volgéa repènte, pallida
D’amabile terrór.
Óh¬Mòsa errante! óh¬tèpidi
Lavacri d’Aquisgrano!
Óve, depósta l’òrrida
Maglia, il guerrièr sovrano
Scendéa dél campo a¬tèrgere
Il nòbile sudór!
Cóme rugiada al cèspite
Déll’èrba inaridita,
Frésca négli arsi calami
Fa¬rifluir la vita,
Ché¬vérdi ancór risórgono
Nél temperato albór;
Tale al pensièr, cui l’émpia
Virtù¬d’amór fatica,
Discénde il refrigèrio
D’una paròla amica,
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É il còr divèrte ai placidi


Gaudii d’un altro amór.
Ma¬cóme il sól ché,¬rèduce,
L’érta infocata ascénde,
ɬcón la vampa assidua
L’immòbil aura incènde,
Risórti appéna i gracili
Stèli riarde al suòl;
Ratto così¬dal tènue
Obblio tórna immortale
L’amór sopito, é¬l’anima
Impaurita assale,
ɬlé sviate immagini
Richiama al nòto duòl.
Sgómbra, ó¬gentil, dall’ansia
Ménte i terrèstri ardóri;
Lèva all’Etèrno un candido
Pensièr d’offèrta, é¬muòri:
Nél suòl ché¬dèe la tènera
Tua spòglia ricoprir,
Altre infelici dòrmono,
Ché il duòl consunse; orbate
Spòse dal brando, é¬vérgini
Indarno fidanzate;
Madri ché i nati videro
Trafitti impallidir.
Té,¬dalla rèa progènie
Dégli oppressór discésa*,
Cui fu¬prodézza il numero,
Cui fu¬ragión l’offésa*,
ɬdritto il sangue, é¬glòria
Il nón avér pietà,
Té¬collocò la pròvida
Sventura in fra gli opprèssi:
Muòri compianta é¬placida;
Scéndi a¬dormir cón éssi:
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Alle incolpate céneri


Nessuno insulterà.
Muòri; é¬la faccia esanime
Si ricompónga in pace;
Cóm’èra allór ché impròvida
D’un avvenir fallace,
Lièvi pensièr virginei
Sólo pingéa. Così*¬
Dalle squarciate nuvole
Si svòlge il sól cadènte,
É,¬diètro il mónte, impórpora
Il trèpido occidènte;
Al pio colòno augurio
Di più¬seréno dì.
Questo famoso coro, tratto dall’atto quarto della tragedia Adelchi, è interamente dedicato alla
morte di Ermengarda nel convento in cui si era ritirata dopo essere stata ripudiata dal marito
Carlo.
Il loro matrimonio era stato combinato per sancire la pace tra i longobardi (Ermengarda è figlia
del re Desiderio) e i franchi (Carlo è il futuro Carlo Magno). Quando Desiderio riapre il conflitto,
Carlo riesce a sconfiggere i longobardi, e Desiderio diviene suo prigioniero. Straziata dal dolore,
Ermengarda muore.

CINQUANTATREÈSIMA LEZIONE
Manzoni, Il cinque maggio
Éi fu.¬Siccóme immòbile,
dato il mortal sospiro,
stétte la spòglia immèmore
òrba di tanto spiro,
così¬percòssa, attònita
la tèrra al nunzio sta¬
muta pensando all’ultima
óra déll’uòm fatale;
né¬sa quando una simile
órma di piè’¬mortale
la sua cruènta pólvere
a¬calpestar verrà.
Lui folgorante in sòlio
vide il mio gènio é¬tacque;
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quando, cón véce assidua,


cadde, risórse é¬giacque,
di mille vóci al sònito
mista la sua nón ha:
vérgin di sèrvo encòmio
é¬di codardo oltraggio,
sórge ór commòsso al sùbito
sparir di tanto raggio;
é¬sciòglie all’urna un cantico
ché¬fórse nón morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Réno,
di quél secùro il fulmine
tenéa diètro al baléno;
scoppiò¬da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu¬véra glòria? Ai pòsteri
l’ardua sentènza: nui
chiniam la frónte al Massimo
Fattór, ché¬vòlle in lui
dél creatór suo spirito
più¬vasta órma stampar.
La procellósa* é¬trèpida
giòia d’un gran diségno*,
l’ansia d’un còr ché indòcile
sèrve, pensando al régno;
é il giunge, é¬tiène un prèmio
ch’èra follia sperar;
tutto éi provò: la glòria
maggiór dópo il periglio,
la fuga é¬la vittòria,
la règgia é il tristo esiglio;
due vòlte nélla pólvere,
due vòlte sull’altar.
Éi si nomò: due sècoli,
l’un cóntro l’altro armato,
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somméssi a¬lui si vòlsero,


cóme aspettando il fato;
éi fé¬silènzio, éd arbitro
s’assise in mèzzo a¬lór.
É sparve, é i dì¬néll’òzio
chiuse* in sì¬brève spónda,
ségno d’immènsa invidia
é¬di pietà¬profónda,
d’inestinguibil òdio
é¬d’indomato amór.
Cóme sul capo al naufrago
l’ónda s’avvòlve é¬pésa*,
l’ónda su¬cui dél misero,
alta pur dianzi é¬tésa*,
scorréa la vista a scèrnere
pròde remòte invan;
tal su¬quéll’alma il cumulo
délle memòrie scése*.
Óh¬quante vòlte ai pòsteri
narrar sé stésso imprése*,
é¬sull’etèrne pagine
cadde la stanca man!
Óh¬quante vòlte, al tacito
morir d’un giórno inèrte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sén consèrte,
stètte, é¬déi dì¬ché¬furono
l’assalse il sovvenir!
ɬripensò¬lé mòbili
tènde, é i percòssi valli,
é il lampo dé’ manìpoli,
é¬l’ónda déi cavalli,
é il concitato impèrio
é il cèlere ubbidir.
Ahi! fórse a¬tanto strazio
cadde ló spirto anèlo,
Pagina  68  

é¬disperò;¬ma¬valida
vénne una man dal cièlo,
é in più spirabil aere
pietósa il trasportò;
é¬l’avvïò,¬péi flòridi
sentièr délla speranza,
ai campi etèrni, al prèmio
ché i desidèri* avanza,
dóv’è¬silènzio é¬tènebre
la glòria ché¬passò.
Bèlla Immortal! benèfica
Féde ai trïónfi avvézza!
Scrivi ancór quésto, allégrati;
ché¬più¬supèrba altézza
al disonór dél Gòlgota
giammai nón si chinò.
Tu¬dalle stanche cèneri
spèrdi ógni¬ria paròla:
il Dio ché attèrra é¬suscita,
ché affanna é¬ché¬consóla,
sulla desèrta cóltrice
accanto a¬lui posò*.
Tutti noi a scuola avevamo imparato a memoria il ‘Cinque maggio’, composto da Manzoni dopo
aver appreso la notizia della morte di Napoleone sull’isola di Sant’Elena, nel 1821.
Ma l’avevamo imparato con una corretta dizione?
Questa potrebbe essere l’occasione per studiarlo di nuovo...

CINQUANTAQUATTRÈSIMA LEZIONE
Dante Alighieri, La Divina commedia, Inferno, Canto III
‘Pér mé¬si va¬nélla città¬dolènte,
pér mé¬si va¬néll’etèrno dolóre,
pér mé¬si va¬tra¬la perduta gènte.
Giustizia mòsse il mio alto fattóre;
fécemi la divina potestate,
la sómma sapïènza é il primo amóre.
Dinanzi a¬mé nón fur còse* create
sé¬nón etèrne, é io etèrno duro.
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Lasciate ógni speranza, vói ch’entrate’.


Quéste paròle di colóre oscuro
vid’ ïo scritte al sómmo d’una pòrta;
pér ch’io: «Maèstro, il sènso lór m’è¬duro».
Éd égli a¬mé, cóme persóna accòrta:
«Qui¬si convièn lasciare ógni sospètto;
ógni¬viltà¬convièn ché¬qui¬sia mòrta.
Nói siam venuti al lòco óv’ i’ t’hò¬détto
ché¬tu¬vedrai le gènti doloróse*
c’hanno perduto il bèn dé¬l’intellètto».
ɬpòi ché¬la sua mano a¬la mia pose*
cón lièto vólto, ónd’ io mi confortai,
mi mise déntro a¬le segréte còse*.
Quivi sospiri, pianti é alti guai
risonavan pér l’àere sènza stélle,
pér ch’io al cominciar né lagrimai.
Divèrse lingue, orribili favèlle,
paròle di dolóre, accènti d’ira,
vóci alte é¬fiòche, é¬suòn di man cón élle
facévano un tumulto, il qual s’aggira
sèmpre in quéll’ aura sènza tèmpo tinta,
cóme¬la réna quando turbo spira.
É io ch’avéa d’errór la tèsta cinta,
dissi: «Maèstro, ché è¬quél ch’i’ òdo?
é¬ché¬gènt’è¬ché¬par nél duòl sì¬vinta?».
Éd égli a¬mé: «Quésto misero mòdo
tègnon l’anime triste di colóro
ché¬visser sènza ‘nfamia é¬sènza lòdo.
Mischiate sóno a¬quél cattivo còro
dé¬li angeli ché¬nón furon ribèlli
né¬fur fedéli a¬Dio, ma¬pér sé¬fuòro.
Caccianli i cièl pér nón èsser mén bèlli,
né¬ló profóndo infèrno li ricéve,
ch’alcuna glòria i rèi avrebbèr d’élli».
É io: «Maèstro, ché è¬tanto grève
a¬lór ché¬lamentar li fa¬sì¬fòrte?».
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Rispóse*: «Diceròlti mólto brève.


Quésti nón hanno speranza di mòrte,
é¬la lór cièca vita è¬tanto bassa,
ché’nvidïósi* són d’ógne altra sòrte.
Fama di lóro il móndo èsser nón lassa;
misericòrdia é¬giustizia li sdégna:
non ragioniam di lór, ma¬guarda é¬passa».
É io, ché¬riguardai, vidi un’inségna
ché¬girando corréva tanto ratta,
ché¬d’ógne pòsa* mi paréa indégna;
é¬diètro lé venìa sì¬lunga tratta
di gènte, ch’io nón avrèi creduto
ché¬mòrte tanta n’avésse disfatta.
Pòscia ch’io v’èbbi alcun riconosciuto,
vidi é¬conóbbi l’ómbra di colui
ché¬féce pér viltade il gran rifiuto.
Incontanènte intési* é¬cèrto fui
ché¬quésta èra la sètta d’i cattivi,
a¬Dio spiacènti é a’ nemici sui.
Quésti sciaurati, ché¬mai nón fur vivi,
èrano ignudi é stimolati mólto
da¬moscóni é¬da¬vèspe ch’èran ivi.
Élle rigavan lór di sangue il vólto,
ché,¬mischiato di lagrime, a’¬lór pièdi
da¬fastidiósi* vèrmi èra ricòlto.
ɬpòi ch’a¬riguardar óltre mi dièdi,
vidi gènti a¬la riva d’un gran fiume;
pér ch’io dissi: «Maèstro, ór mi concèdi
ch’i’ sappia quali sóno, é¬qual costume
lé fa¬di trapassar parér sì¬prónte,
cóm’ io discèrno pér ló fiòco lume».
Éd élli a¬mé: «Le còse ti fìer cónte
quando nói fermerém li nòstri passi
su¬la trista rivièra d’Acherónte».
Allór cón li òcchi vergognósi* é¬bassi,
temèndo nò’l mio dir li fósse grave,
Pagina  71  

infino al fiume dél parlar mi trassi.


Éd ècco vèrso nói venir pér nave
un vècchio, bianco pér antico pélo,
gridando: «Guai a¬vói, anime prave!
Nón isperate mai vedér ló cièlo:
i’¬vègno pér menarvi a¬l’altra riva
né¬lé tènebre ettèrne, in caldo é in gèlo.
ɬtu¬ché¬sè’¬costì, anima viva,
pàrtiti da¬cotésti ché¬són mòrti».
Ma¬pòi ché¬vide ch’io nón mi partiva,
disse: «Pér altra via, pér altri pòrti
verrai a¬piaggia, nón qui, pér passare:
più¬liève légno convièn ché¬ti pòrti».
É’l duca lui: «Carón, nón ti crucciare:
vuòlsi così*¬colà¬dóve¬si puòte
ciò¬ché¬si vuòle, é¬più¬nón dimandare».
Quinci fuòr quète le lanóse* gòte
al nocchièr dé¬la livida palude,
ch鬒ntórno a¬li òcchi avéa di fiamme ròte.
Ma¬quéll’ anime, ch’èran lasse é¬nude,
cangiar colóre é¬dibattéro i dènti,
ratto ch鬒ntéser* lé paròle crude.
Bestemmiavano Dio é¬lór parènti,
l’umana spèzie é ‘l lòco é ‘l tèmpo é ‘l séme
di lór semènza é¬di lór nasciménti.
Pòi si ritrasser tutte quante insième,
fòrte piangèndo, a¬la riva malvagia
ch’attènde ciascun uòm ché¬Dio nón téme.
Carón dimònio, cón òcchi di bragia
lóro accennando, tutte lé raccòglie;
batte cól rèmo qualunque s’adagia.
Cóme¬d’autunno si lèvan le fòglie
l’una apprèsso dé¬l’altra, fin ché ‘l ramo
véde a¬la tèrra tutte lé sue spòglie,
simileménte il mal séme d’Adamo
gittansi di quél lito ad una ad una,
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pér cénni cóme augèl pér suo richiamo.


Così¬sén vanno su¬pér l’ónda bruna,
é avanti ché¬sìen di là¬discése*,
anche di qua¬nuòva schièra s’auna.
«Figliuòl mio», disse ‘l maèstro cortése,
«quélli ché¬muòion né l’ira di Dio
tutti convègnon qui¬d’ógne paése;
é¬prónti sóno a¬trapassar ló rio,
ché¬la divina giustizia li spróna,
sì¬ché¬la téma si vòlve in disio*.
Quinci nón passa mai anima buòna;
é¬però,¬sé¬Carón di té¬si lagna,
bèn puòi sapére omai ché ‘l suo dir suòna».
Finito quésto, la buia campagna
tremò¬sì¬fòrte, ché¬dé¬ló spavènto
la ménte di sudóre ancór mi bagna.
La tèrra lagrimósa* diède vènto,
ché¬balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentiménto;
é¬caddi cóme¬l’uòm cui sónno piglia.
Concludiamo alla grande, con l’intero canto terzo dell’Inferno dantesco.
Gustatelo a voce alta in tutta la sua bellezza, formale oltre che contenutistica, leggetelo e
rileggetelo più volte, con calma, e magari - perchè no? - imparatelo a memoria. Ne vale davvero
la pena!
Pagina  73  

ESERCIZI DI ARTICOLAZIONE: RESPIRAZIONE


Questa appendice sull’articolazione avrebbe potuto essere messa all’inizio del corso,
anche perché, prima di studiare come si pronunciano le ‘e’ e le ‘o’, bisogna innanzitutto
saper parlare!
Mi è parso più logico inserirla qui per evitare che venisse sottovalutata dal discente,
mosso dalla fretta di arrivare alla parte che più lo interessava (e cioè proprio alla
pronuncia delle ‘e’ e delle ‘o’, dal momento che è approdato su questo sito!).
Ora troverete una serie di esercizi di articolazione, articolati in cinque sezioni:
respirazione, tono della voce, intensità della voce, consonanti e sillabe, modulazione
della voce.
Non dovete farli tutti in una volta!
Ricordatevi, di tanto in tanto, di passare per di qui e fare qualche esercizio.
Non trascuratene l’importanza!
Una buona dizione non serve a nulla senza una buona articolazione...

I primi esercizi sono dedicati alla respirazione.


Saper respirare non solo è il primo requisito per una buona dizione, ma è anche
importantissimo per il nostro benessere psicofisico. Nella vita frenetica della società
postindustriale lo stress è sempre in agguato, ma chi è capace di ‘sentire il ritmo del
proprio respiro’ ha in mano un potentissimo strumento di rilassamento e concentrazione
per calmare il sistema nervoso.
Una respirazione corretta deve essere completa e profonda. La capacità dei nostri
polmoni deve essere sfruttata per intero: essi vanno riempiti completamente ad ogni
inspirazione e svuotati bene ad ogni espirazione, così da rinnovare frequentemente l’aria
senza lasciare ristagni.
D’altra parte, non bisogna cadere nell’errore di sforzarsi, contrarsi e irrigidirsi all’atto
respiratorio, gonfiandosi come un pallone ad elio e poi contorcendosi penosamente per
buttare fuori tutta l’aria che è possibile esalare.
ESERCIZIO 1
Per imparare a respirare correttamente, stendiamoci supini sul pavimento (o su un letto
rigido), a torso nudo. Individuiamo immaginariamente tre zone del nostro corpo: ventre,
costole e petto.
Tutte e tre queste zone devono essere coinvolte nella respirazione!
Proviamo dapprima a respirare utilizzando solamente il ventre.
Mettiamo le mani a livello dell’ombelico, e percepiamo questa zona del corpo che si
gonfia e si sgonfia a questo atto respiratorio. Le mani poste sull’ombelico si alzano e si
abbassano.
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respirazione di ventre

Successivamente, proviamo a respirare solamente a livello delle costole. Poniamo le


mani con le palme sui fianchi e le dita che ‘si guardano’ come se volessero toccarsi.
Quando inspiriamo, vediamo le dita che si allontanano tra di loro durante l’inspirazione, e
si avvicinano durante l’espirazione.

respirazione di costole

Infine, proviamo a respirare solamente a livello del petto, intendendo con ‘petto’ la parte
alta del torace.
Questa volta poniamo una mano sul petto, e lo vediamo alzarsi ed abbassarsi ad ogni
atto respiratorio. Durante l’inspirazione, sentiamo il ventre che rientra e il petto che si
gonfia (pancia in dentro, petto in fuori).

respirazione di petto

Nessuno di questi tre modi di respirare è corretto, ma abbiamo potuto distinguere le tre
zone interessate alla respirazione. Adesso, è arrivato il momento di imparare a
coinvolgerle tutte e tre!
Ad ogni inspirazione, si deve riempire per primo il ventre, poi le costole e infine il petto.
Lo stesso ordine deve essere seguito durante l’espirazione.
Proviamo, magari ponendo una mano sul ventre e l’altra sul fianco per verificare la
corretta esecuzione dell’esercizio.

respirazione di ventre, costole e petto

L’atto respiratorio deve essere molto lento e profondo, ma non esagerato e convulso.
Non bisogna gonfiarsi e sgonfiarsi esageratamente, bensì inspirare finchè è possibile
senza contrarsi, ed espirare fino in fondo ma senza dover ‘forzare’ l’aria ad uscire.
Inoltre, il respiro deve essere ritmico. Il ‘ritmo’ del proprio respiro dovrebbe essere
sempre percepito, in ogni momento della giornata: lui ci darà calma e sicurezza.
Adesso proviamo ancora una volta, però in posizione seduta e con la schiena ben dritta.
Ricordiamoci: prima il ventre, poi le costole, poi il petto quando inspiriamo; prima il
ventre, poi le costole, poi il petto quando espiriamo.
Pagina  75  

respirazione di ventre, costole e petto

Infine, proviamo anche in piedi.

respirazione di ventre, costole e petto

Per chi non è abituato, respirare correttamente richiede molto esercizio iniziale.
Per il momento, ci accontenteremo di eseguire questo esercizio per cinque o dieci minuti
al giorno, meglio se al mattino prima di colazione e davanti alla finestra aperta.
Presto ci renderemo conto che questo modo di respirare, che adesso ci sembra così
forzato e innaturale, sarà diventato spontaneo anche negli altri momenti della giornata.
ESERCIZIO 2
Un errore che molti di noi commettono consiste nel respirare con la bocca quando si
parla, e perdipiù nel farlo con inspirazioni brevi e quasi convulse dettate dalla fretta
inconscia di riprendere a parlare.
Non c’è niente di più sbagliato, in quanto così facendo la laringe e le corde vocali non
vengono correttamente umidificate, si seccano presto e si irritano, causando quel
fastidioso dolore nel quale i non professionisti della parola si imbattono dovendo parlare
più a lungo del solito.
Ovviamente è giusto che una certa quota d’aria venga recuperata con la bocca, quando
si parla, ma durante le pause bisogna respirare con il naso.
Per cui il nostro secondo esercizio di dizione è ancora legato alla respirazione.

Pronunciamo a voce alta le parole

“Sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando...”

andando avanti finchè sentiamo la necessità di inspirare.


Quindi interrompiamoci, inspiramo con il naso senza fretta, e ricominciarmo a parlare

“Sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando...”

fino al prossima inspirazione con il naso.


Forza, provate!
Ci siete riusciti, o ci siete cascati anche voi?
Molte persone sono così abituate a prender fiato con la bocca che, quando viene chiesto
loro di eseguire questo esercizio per la prima volta, arrivato il momento di prendere fiato
lo fanno ancora con la bocca per riflesso automatico, pur sapendo che l’esercizio
chiedeva di farlo con il naso!
Pagina  76  

Se è capitato anche a voi, non preoccupatevi. Riprovate ancora!


Questo esercizio è di fondamentale importanza, per cui sarà bene ripeterlo più volte.
Ovviamente non è necessario ripetere sempre le stesse parole!
Potrete esercitarvi a respirare con il naso durante le pause in qualunque momento della
giornata, qualunque cosa stiate dicendo, a chiunque la stiate dicendo.
All’inizio la cosa non vi verrà affatto spontanea, e dovrete concentrarvi su quello che
state facendo, ‘imponendovi’ di respirare con il naso anzichè con la bocca. Ma state
tranquilli: una volta presa la abitudine, la cosa vi verrà assolutamente spontanea.
ESERCIZIO3
Questo esercizio aiuta a verificare la correttezza della respirazione. Se infatti avete
sufficiente aria nei polmoni, a patto di parlare celermente (ma senza mangiarvi le
sillabe!), tra una inspirazione e l’altra riuscirete a ripetere la frase ‘sto parlando’ per
almeno venticinque volte, a voce alta e senza arrivare in fondo con i pietosi contorcimenti
di chi sta morendo soffocato.

Sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando

Nello svolgere questo esercizio, cercate di mantenere una voce robusta ma costante e
monocorde, senza variare il tono, la velocità o l’intensità.

ESERCIZI DI ARTICOLAZIONE: TONO DELLA VOCE


Adesso che sappiamo respirare possiamo cominciare a parlare.
La prima abilità da acquisire è il corretto tono della voce, che non deve essere acuta nè
stridente.
Moltissime donne, ma anche parecchi uomini, amplificano la voce a livello della testa,
ossia nella parte superiore della laringe ed in bocca. Questa voce, tendenzialmente
troppo acuta e stridente, è quella che chiamiamo ‘voce di testa’. Chi parla con una voce
di testa non si rende conto di quanto sia insopportabile (specie se deve essere ascoltata
per lungo tempo) in quanto, proprio perchè la amplifica in testa, la sente più grave di
quanto sia in realtà.
Avrà però una brutta sorpresa alla prima occasione di sentire la propria voce registrata
su un nastro o un filmato...

Chiunque può parlare con una voce più grave, calda e avvolgente, se impara ad
amplificarla a livello del petto, ossia nella parte inferiore della laringe a livello
dell’addome.
È quella che chiamiamo ‘voce di petto’.
Il passaggio da una voce di testa ad una voce di petto non è immediato, ma con un po’ di
Pagina  77  

sforzo iniziale e qualche esercizio mirato si potrà imparare in poco tempo.


ESERCIZIO 4
Iniziamo a respirare come abbiamo imparato, lentamente ma con ritmo costante.
Teniamo ora la bocca aperta, inspiriamo col naso, ed espiriamo con la bocca. Ad ogni
nuova espirazione aumentiamo l’intensità del rumore che produciamo, fino a pronunciare
il suono

aaaaaaaaaah

ma senza contrarre la laringe. Questa specie di sospiro disperato deve essere prodotto
dal solo fiato che esce dal petto. Il suono di petto deve nascere quanto più in profondità
possibile, non in bocca.
ESERCIZIO 5
Sempre servendoci del solo fiato, pronunciamo ora una serie di brevi sillabe, inspirando
col naso dopo ciascuna sillaba. Prendiamo ad esempio la frase ‘voce di petto’, e
pronunciamo:

voh *** ceh *** dih *** peh *** toh

i tre asterischi corrispondono ad una inspirazione con il naso.

Adesso prendiamo un testo a caso e leggiamone qualche frase così, con la sola forza del
fiato, sillaba per sillaba, inspirando tra una sillaba e l’altra. In questo modo svilupperemo i
nostri toni bassi, che nascono dal profondo del nostro petto.
Per quanto penoso (per chi parla e soprattutto per chi ascolta), questo esercizio è molto
importante e andrebbe ripetuto ogni volta che capita.
ESERCIZIO 6
Subito dopo avere eseguito l’esercizio precedente, proviamo a pronunciare una vocale
contraendo questa volta la laringe (ossia ‘parlando’ davvero, senza usare solo il fiato).
Dapprima la pronunciamo come siamo abituati (e cioè ‘in bocca’), e gradualmente la
facciamo ‘scendere’ verso il petto.

bocca –––––––––––––––> petto


aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

Al termine del suono, si deve sentire il proprio petto che vibra.


Inizialmente faremo molta fatica, ma presto impareremo ad eseguire questo esercizio.
ESERCIZIO 7
Subito dopo avere eseguito l’esercizio precedente, proviamo a pronunciare la stessa
vocale direttamente ‘di petto’, e a mantenerla per qualche secondo.
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petto –––––––––––––––––––>
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

Ricordiamo che dobbiamo sentire il petto ‘che vibra’, altrimenti non stiamo ancora
utilizzando la voce di petto. Ma non è il caso di farsi prendere dallo sconforto. Tra
qualche giorno, ripetendo pazientemente questi esercizi, ci riusciremo facilmente.
ESERCIZIO 8
Eseguiamo questo esercizio solo quando siamo sicuri di avere imparato bene i
precedenti.
Prendiamo una frase a caso e pronunciamola, molto lentamente ma tutta in una sola
espirazione, facendo vibrare il petto.

Sto parlando con una voce di petto.

Bene. Questa è la nostra ‘voce di petto’. Ci siamo riusciti, anche se ci sentiamo ridicoli
perchè non è la nostra voce. Sicuramente adesso stiamo esagerando un pò, stiamo
emettendo una voce troppo grave, quasi tetra. Ma per adesso va bene, perchè dobbiamo
imparare a parlare in questo modo.
Quando poi ci verrà spontaneo di farlo, la voce suonerà più naturale, e non tetra come ci
sembra ora, ma calda e avvolgente.
Forza, quindi! Prendiamo un testo a caso e leggiamolo a voce alta come abbiamo
imparato a fare.
Pagina  79  

ESERCIZI DI ARTICOLAZIONE: INTENSITÀ DELLA VOCE


Nei precedenti esercizi abbiamo imparato a parlare con una voce di petto, ora dobbiamo
acquisire la capacità di parlare con una voce robusta e sicura, evitando il rischio di una
voce debole, tremolante, o peggio che si ‘rompe’ nel bel mezzo di una frase.
ESERCIZIO 9
Inspirare col naso, aprire la bocca e mantenere il suono

ooooooooo

ad una intensità bassa, ma costante nel tempo, per pochi secondi. Per la corretta riuscita
dell’esercizio, il suono deve essere quello di una ‘o’ chiusa.
Inspirare, e mantenere il suono

oooooooooooo
ad una intensità superiore e più a lungo.
Infine, inspirare e mantenere il suono

oooooooooooooo
ad una intensità ancora superiore e ancora più a lungo.
ESERCIZIO 10
Prepararsi come per l’esercizio precedente, ma emettere un suono che aumenta
costantemente di intensità.

oooooo oo oo
Ripetiamo questo esercizio finchè riusciamo ad ottenere un aumento costante
dell’intensità del suono e senza rotture della voce. Non dimentichiamo naturalmente ciò
che abbiamo già imparato: inspirare con il naso, e voce di petto!
ESERCIZIO 11
Questa volta spieghiamo la voce tutta in una volta, alla massima intensità che riusciamo
a mantenere.

ooooooooooo
Pagina  80  

Naturalmente non bisogna urlare, perchè questo implicherebbe l’uso di una voce non
‘puramente’ di petto.
ESERCIZIO 12
Contrariamente ai precedenti, questo esercizio richiede di inspirare dopo ogni suono.
Tariamoci su tre livelli di intensità del suono ‘a’, ed emettiamoli alternativamente con
brevi ‘colpi’ di voce

o o o oo o oo
o o o

Ricordiamoci di inspirare col naso dopo ogni ‘colpo’ di voce.


Pagina  81  

ESERCIZI DI ARTICOLAZIONE: CONSONANTI E SILLABE


Gli esercizi finora proposti erano mirati a sviluppare e perfezionare la ‘voce di petto’.
Ma vi sarete già resi conto che la voce di petto aiuta solamente nella corretta pronuncia
delle vocali. Le consonanti, invece, nascono in bocca. Ma anch’esse si devono
pronunciare correttamente: si devono udire e distinguere chiaramente!
L’articolazione della voce si occupa appunto della formazione e della scansione delle
consonanti.
Chi articola bene non ha bisogno di una forte intensità di voce per farsi sentire: le sue
sillabe si distinguono chiaramente anche quando bisbiglia.

Poichè le consonanti si creano in bocca, è fondamentale che questa venga mossa


adeguatamente quando si parla. La lingua, il palato e le labbra si devono muovere.
Chi parla a labbra quasi chiuse e a denti stretti non riesce a ‘scolpire’ bene le sillabe, le
quali scivolano una sull’altra costringendo l’interlocutore ad una disperata fatica per
comprendere ciò che viene detto.
ESERCIZIO 15
Il nostro primo esercizio di articolazione consisterà appunto nell’imparare a muovere la
bocca.
Supporremo di parlare ad un sordo, che non può sentire alcun suono e si deve basare
unicamente sul nostro movimento delle labbra per capire ciò che gli stiamo dicendo.
Quindi saremo costretti a parlare molto lentamente, ed a compiere ampi movimenti con
la bocca.
Per eseguire correttamente questo esercizio non dobbiamo emettere alcun suono, ma
solo muovere la bocca.
Pronunciamo la frase:

Sto parlando con ampi movimenti


della labbra e discostando i denti
ad ogni sillaba per farmi capire bene
anche se non sto emettendo alcun suono.

Ripetiamo qualche altre frase in questo modo. Se c’è qualcuno vicino a noi, chiediamogli
di provare a leggere le nostre labbra. Se capisce quello che stiamo dicendo, significa che
stiamo eseguendo bene l’esercizio.
ESERCIZIO 16
Nei prossimi due esercizi faremo quello che normalmente non dobbiamo fare! Vale a
dire, parleremo a denti stretti. Anzi, strettissimi. In questo modo saremo costretti ad uno
sforzo notevole per articolare le consonanti. Quando poi riprenderemo a parlare
normalmente, ci renderemo conto di articolare in modo molto più netto.
Dunque, serriamo i denti. E, senza poterli muovere (ma muovendo le labbra, la lingua ed
il palato) pronunciamo una frase:
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Sto cercando di farmi capire anche


senza muovere i denti,
che sono anzi perfettamente serrati.

Pronunciamo qualche altra frase in questo modo. In breve tempo, ci renderemo conto di
poter parlare perfettamente anche a denti stretti. Significa che stiamo articolando bene.
ESERCIZIO 17
Adesso che abbiamo imparato a parlare quasi normalmente con i denti stretti,
aggiungiamo un ostacolo in più.
Prendiamo una matita, la infiliamo trasversalmente in bocca e la stringiamo tra i denti.
In questo modo daremo impiccio anche alla lingua, ma dovremo cercare di parlare
quanto meglio possibile. Pronunciamo

Adesso sto parlando con una matita


fra i denti, che sono sempre stretti
perchè altrimenti la matita cadrebbe per terra.

Pronunciamo qualche altra frase in questo modo.


ESERCIZIO 18
Subito dopo aver svolto gli esercizi precedenti, pronunciamo qualche frase muovendo
nuovamente la bocca, per disimparare subito a parlare a denti stretti.
Ci renderemo conto di articolare in modo molto più chiaro rispetto a prima.

Adesso sto parlando muovendo nuovamente la bocca,


e riesco ad articolare in modo decisamente
migliore rispetto a prima.
ESERCIZIO 19
L’ultimo esercizio ci allena a pronunciare chiaramente tutte le consonanti di una frase,
senza mangiarsi le sillabe.
Ripeteremo ancora una volta la frase dell’esercizio precedente. Questa volta però la
pronunceremo ‘lanciando’ in aria una sillaba dopo l’altra.

A! des! so! sto! par! lan! do! muo! ven! do! nuo! va! men! te! la! boc! ca! e! ries! co!
ad! ar! ti! co! la! re! in! mo! do! de! ci! sa! men! te! mi! glio! re! ris! pet! to! a! pri!
ma!

Cercate di procedere a ritmo sostenuto, pronunciando una sillaba via l’altra senza pause
intermedie, ma sempre ‘lanciandole’ con energia e vigore, come suggeriscono i punti
Pagina  83  

esclamativi.

ESERCIZI DI ARTICOLAZIONE: MODULAZIONE DELLA VOCE


Non c’è niente di più soporifero e tedioso di una voce piatta e monocorde.
Parlare con un tono di voce monotono, sempre uguale, significa distruggere qualunque
cosa si voglia dire.
Per mantenere l’attenzione di un ascoltatore la voce deve variare continuamente, con
opportune modulazioni di velocità, di intensità e di tono.
ESERCIZIO 20
Esercitiamoci dapprima a modulare la velocità della nostra voce. Si tratta, beninteso, di
una modulazione lieve, quasi impercettibile, senza bisogno di mettersi ‘a correre’ in modo
innaturale, nè di partorire le parole con lentezza esasperante.
Ogni discorso esprime alcune ‘frasi chiave’, che ne racchiudono l’essenza, e una serie di
altre frasi che introducono, collegano, contestualizzano e specificano il contenuto delle
frasi chiave. È evidente che sarà opportuno accelerare in quelle parti del discorso che
funzionano da ‘contorno’, e rallentare nelle parti chiave.
Pronunciamo ad esempio questa frase:

Detto questo, possiamo passare alla seconda parte del nostro sommario, che ha
come idea centrale la seguente: non è possibile ottenere risultati concreti senza
una opportuna preparazione.

È chiaro che la prima parte, fino ai due punti, va pronunciata più velocemente; mentre
l’ultima parte, dopo i due punti, va pronunciata più lentamente.
ESERCIZIO 21. Pause.
La variazione di velocità deve prevedere anche dei momenti di ‘velocità zero’, ossia delle
vere e proprie pause. Le pause sono elementi fondamentali in qualunque discorso,
perchè ne valorizzano il contenuto e creano suspence. Molte persone, erroneamente,
sono prese dalla fretta di concludere e tendono a parlare con un ritmo troppo accelerato,
escludendo del tutto le pause. Anzi, quando non viene loro una parola, preferiscono
pronunciare fastidiosi versi (del tipo ‘aeeeeeeeeeeehm’) piuttosto che interrompere il
flusso della voce.
Niente di più sbagliato. Quando non ci viene una parola, dobbiamo stare zitti e pensare
con calma. Ma le pause non servono solo in questa occasione: devono essere inserite ‘a
effetto’ in opportuni momenti del discorso, per dare peso maggiore a quanto appena
detto.
Pronunciamo ad esempio questa frase velocemente e senza pause

Non c’è che una pena comminabile ad un criminale di tale efferatezza: la più grave.
Per questo chiedo, Vostro Onore, che l’imputato sia condannato a morte.

Pronunciamola ora modulando la velocità e inserendo le pause.


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(media lentezza) Non c’è che una pena comminabile ad un criminale di tale
efferatezza
(pausa, per creare suspence)
la più grave
(pausa, per valorizzare quanto detto, facendolo ‘risuonare’ nel silenzio)
(più velocemente).
Per questo chiedo
(breve pausa)
Vostro Onore
(breve pausa)
che l’imputato sia condannato a morte
(pausa lunga).

L’effetto è ben diverso, no?


ESERCIZIO 22
La modulazione di intensità (ossia di volume della voce) seguono pressappoco lo stesso
andamento delle modulazioni di velocità. Le parti più importanti di un discorso, quelle
pronunciate lentamente, saranno anche pronunciate a intensità superiore. Le parti
pronunciate velocemente, saranno anche pronunciate a intensità inferiore.
Cionondimeno, una brusca variazione di intensità è anche un ottimo mezzo per
richiamare l’attenzione e tenere sveglio l’auditorio. In questo caso si interverrà su parole
o frasi di introduzione o congiunzione del discorso.
Ad esempio consideriamo la frase:

E fin qui sembrerebbe tutto chiaro ma c’è un ma: questo provvedimento era tenuto
segreto.

La pronunciamo in questo modo:

(molto velocemente, con velocità ed intensità crescente)


E fin qui sembrerebbe tutto chiaro MA
(il ‘ma’ è pronunciato a volume altissimo, ed è seguito da una pausa di ‘suspence’)
(la voce rallente e l’intensità si abbassa bruscamente)
c’è un ma
(altra pausa di suspence)
(l’intensità si alza di poco)
questo provvedimento era tenuto segreto.
Pagina  85  

In questo modo abbiamo sicuramente ‘svegliato’ il nostro uditorio.


ESERCIZIO 23
La modulazione di tono si basa sulla considerazione che ciascuno di noi dispone di tre
toni: un tono grave, un tono medio ed un tono acuto (che sono detti rispettivamente
basso, baritono e tenore nell’uomo; contralto, mezzosoprano e soprano nella donna).
Ciascuno di questi tre toni può essere utilizzato con moltissime inflessioni, ossia leggere
sfumature che determinano suoni completamente diversi. Ricordiamoci comunque che
stiamo sempre parlando di una voce di petto, e non di testa.

L’esercizio classico che viene fatto per esercitare queste inflessioni è quello della scala di
pianoforte.
Si pronuncia la solita ‘o’ chiusa e prolungata, con voce di petto e cercando di eseguire la
nota ‘do’ più grave che riusciamo a pronunciare.
Quindi cerchiamo sul pianoforte il ‘do’ di gravità corrispondente al nostro tono grave,
spostiamo le dita sui tasti fino alla nota ‘si’ (verso i toni acuti, naturalmente) attraverso
tutte le note (lasciamo perdere le seminote), e andiamo di pari passo con la voce
cercando di riprodurre il suono che sentiamo. Quindi torniamo indietro fino al do grave.

scala grave:
do(1) re mi fa sol la si la sol fa mi re do(1)

Facciamo lo stesso esercizio con la scala immediatamente successiva, che corrisponde


al nostro tono medio

scala media:
do(2) re mi fa sol la si la sol fa mi re do(2)

E infine, se ci riusciamo, anche con la scala ancora successiva, che corrisponde al


nostro tono acuto

scala acuta:
do(3) re mi fa sol la si la sol fa mi re do(2)

Attenzione a non ricorrere alla voce di testa pur di eseguire la scala acuta. Piuttosto, è
meglio rinunciarci.
Proviamo adesso tutta la scala dei toni dal più grave al più acuto e viceversa.

scala completa:
do(1) re mi fa sol la si do(2) re mi fa sol la si do(3) re mi fa sol la si
Pagina  86  

si la sol fa mi re do(3) si la sol fa mi re do(2) si la sol fa mi re do(1)

Per finire, dobbiamo esercitarci a passare da un tono all’altro senza seguire la gradualità
di queste scale. L’esercizio consisterà dunque, individuate le tre ottave che riusciamo a
riprodurre con la voce, a schiacciare tasti a caso sul pianoforte e a riprodurre il suono
con la voce.
Ad esempio:

do(1) si(2) re(1) sol(3) do(3) do(2) fa(1) fa(3) sol(2) si(2) fa(1) re(2) mi(3)

IL VIAGGIO PROSEGUE...
Eccoci arrivati alla fine.

Congratulazioni per la vostra costanza!

Il vostro impegno è stato sicuramente premiato dagli incredibili progressi che avete fatto
in così poco tempo.

Nel corso di questi due mesi siete stati introdotti all’arte della dizione e, se è stata la
motivazione a muovervi e vi siete applicati con buona volontà, sicuramente avete fatto
molti passi avanti: siete in grado di pronunciare correttamente la grande maggioranza
delle parole che incontrate.

Anche se non vi siete impegati fino in fondo, di certo vi siete scrollati di dosso gli errori
più grossolani e fastidiosi, e sapete come pronunciare correttamente le parole di uso più
frequente.

È però evidente che questo corso non vi ha trasformato in maestri di dizione, lasciandovi
anzi ancora alcuni dubbi sulla pronuncia di certe parole.

La dizione è più che altro una questione di automatismi, non di studio mnemonico delle
regole e delle eccezioni. Ci vuole tanta pratica, e - per una volta - il tempo sarà il vostro
migliore alleato.
Ora che avete oltrepassato lo scoglio iniziale, la strada sarà in discesa, ma non per
questo vi dovete fermare. Se volete affinare la vostra dizione, non interrompete qui i
vostri progressi!

Ecco alcuni esercizi che potete fare:

- Aprite un libro, provate a leggere qualche brano e fermatevi a consultare il dizionario


fonetico ogni volta che si presenta un dubbio.
Pagina  87  

- Prendete un testo qualunque, magari una poesia o un brano letterario, e provate a


mettere voi stessi gli accenti. Poi controllate con l’aiuto del dizionario, e fate le eventuali
correzioni.
Vi renderete conto di essere ormai in grado di ‘risalire’ alla pronuncia corretta delle parole
sconosciute senza bisogno di pensare alle regole.
Infatti vi siete ormai impadroniti, per quanto inconsapevolmente, di quei complicati
meccanismi che vi permettono di ‘costruire’ la pronuncia della lingua partendo da una
meditazione sulla sua struttura.
Ma attenzione, perchè la dizione è subdola, e non sempre potrete contare su voi stessi!
Perciò non smettete mai di ricorrere al dizionario fonetico ogni volta che avete un dubbio!

- Divertitevi, di tanto in tanto, ad ascoltare con ‘orecchio critico’ i vostri interlocutori


prestando attenzione alla loro dizione. Potete così verificare se è corretta, oppure
correggere (nella vostra mente, per carità!) gli eventuali errori.

- Fate la stessa cosa anche con la radio o la televisione.


Vi renderete conto che molti presentatori, giornalisti e persino alcuni (presunti) attori,
commettono sistematicamente errori di dizione anche grossolani!
Se siete in cerca di una buona dizione, è più facile trovarla in un film straniero doppiato in
italiano, piuttosto che in un film recitato direttamente in italiano!

- Quando avrete individuato un film ben doppiato (o un bravo attore, o un bravo


giornalista...), potrete fare l’esercizio di ripetere a voce alta le sue battute, così come le
sentite, sforzandovi di imitarne anche l’intonazione.

- E poi, naturalmente, dovete sforzarvi di utilizzare sempre la vostra corretta dizione:


adesso tocca a voi!
È evidente che quando state parlando in pubblico non potete concentrarvi a fondo sulla
dizione, rischiando di perdere di vista il contenuto del vostro discorso!
Tantomeno potete fermarvi ogni volta che avete un dubbio su una parola, e magari
mettervi a scartabellare sul dizionario fonetico!
In quel caso dovrete fare affidamento sulla vostra preparazione: se avete lavorato bene e
vi siete esercitati adeguatamente, la pronuncia corretta vi verrà spontanea.
Magari, per le prime volte, sorvegliatela ‘con la coda dell’occhio’.
E quando avete un dubbio su una parola che dovete per forza pronunciare, buttatevi
senza paura!
Ricordatevi che anche i nostri migliori professionisti, di tanto in tanto, ‘inciampano’ in
qualche errore di dizione...
Pagina  88  

CHIAVI DEGLI ESERCIZI


1) quésta gónna è; perché nón pròvi; ancóra quésto cappèllo; codésti incredibilménte;
niènte préoccuparsi
2) néi capélli délla dottoréssa; magliétta addòme; pròprio pièna nèi; schièna niènte détto
3) quésta sottospècie commèdia nón scèna; ingénuo méttersi pósto; ritiène ché séguito
sémplice; chièdo vènia; critèri paramècio
4) scéndi é prèndi cesóia andrèa; sémbra orrèndo; scéndendo stésse; vénde scémo
spènde; accènti agènda
5) scòrsi stélla sórse nél cièlo; chièdo umilménte principéssa; capélli déi ribèlli; ré è lièto
nélle sére primavèra; prèzzo délla scomméssa
6) andrèi docènte dirébbe; détto prègo; niènte assemblèa néll atenèo; discutéi cón
orgóglio idèa; vòglio piagnistèi
7) dirèi céna; potrèbbero dópo dièci; insième farémmo scomméssa; verrésti sèmpre
doménica; andrèa sarèbbe lièto
8) dóve mésso bigliétto trèno; quésta scélta comprométte sicurézza; bène aèreo; préso
macchinétta; ammétti sènza sènso
9) bellézza dolcézza; chiarézza prèzzo pénne; trénta centèsimi pèzzo; prèndi dodicèsimo
fogliétto; altalèna mènsola
10) appartenémmo collègio; astèngo quésta polèmica; ottènga privilègi presidènte;
ritiène bicchière pompélmo; bisógno estrèma cautèla
11) tacitaménte parlaménto; ambiènte è eccellente é attraènte; gènere concorrènte
violènto; ménte sapèndo; ménte déll argènto
12) pèrsi davvéro paziènza; cóme spièghi stéssa còsa; siète furènti ingènuo scrèzio;
sèrio psicòsi; misèria comprèssa sonnolènza
13) facémmo nòstro mèglio; prési discretaménte pósto; ógni còsa èra scompósta; pèrsi
paziènza stètti silènzio; scélsi cé nno assènso
14) siète quéll esperiènza; èra réso cónto tré mési; è parécchio vènto; avrémmo sólo
pèrso tèmpo; èbbi malédetta influènza
15) armadiétto agévole; battésimo piacévole; udèndo quéllo spregévole suòno dóccia
frédda; lètto schérzo; insónnia
16) ré principéssa scéndono; artéfice tremèndo cicaléccio; crédo eccèdere; védo cèdi
facilménte; camerière avvoltóio
17) voléssi scéndere scenderèi; farémo sènza té; èsco studentésco; bène sóno sèrio;
misèria scemèze
18) pènsaci bène comprométtere; crédo schérzo; pèggio professoréssa corrèggere
cómpito; dèvi protèggere scèna
19) docènte lègge tèma allièvo; accètta quésto presènte; pèsca ciliègia nutriènti; védo
scòpo; quèsto mastodòntico tòmo pazzésco
20) prèndi sciarpétta; intellètto profondaménte sorpréso; costrétto chièsa; rispètto mèglio
dimétta; inserviènte francése influènza
21) prevédo incertézza presidènte; sparécchia sonnécchia; vièni méco; èco discotèca;
concorrènti trégua
Pagina  89  

22) sméttila spèro esauriènte; attènto conferènza; schèma teorèma; conseguènza


ricompènsa immènse; esèmpio fraintèndere
23) ricòrdo inèbria; èrano oréfici bizzèffe; cèffo féce sberlèffo; carnéfice débole; plèbe
risòlve rèbus
24) vènto fréddo gèlido; médico èntra ésce incrèdulo; spèsso volentièri schérmo smette
trasméttere; prèdica evangèlica; salsèdine corróde anténna
25) dópo tónno còsa prèndi; camerière pèsca; dieta adéguo; scommétto bévi qualcòsa;
ricóverano tré óre
26) accòrse atróce intòppo; respònso brève niènte ricompènsa; rècluta créde ipnòsi;
bévvi tè fréddo giallógnolo; aròma eccellènte
27) mèglio prèndere scorciatóia; règgiti marciapiède; pènsa rèvoca patènte rallènta; cièlo
piacére; svèlto prelèva
28) bélva feróce mélma; sènto débole;spècie crudèle sottopósta tutèla; artèrie véne
fégato; mòrte cèlere
29) bèlla chiesétta orticèllo; poté quél dolóre struggènte dènti; tèmpo stésso pènso;
poèta rècita poèma; cilécca
30) bigliétto trèno; capélli mièi fratèlli; stélle cièlo; scéndo prèndo trichèco; crédo
stoltézza ateniési
31) quésta tempèsta ottènebra ménte; sóno spiacènte quésto contrattèmpo; èra
splèndido arcobaléno nel cièlo; scèna frédda tétra; pètali fióri èsili
32) mé spaghétti bistécca; pèsca ciliègia pompélmo; détto frétta; prèmiano ricercatézze;
sollécito rispósta frétta
33) quélla scèna ottènebra ménte; signóre obéso davvéro fotogènico; vérgine incéspica
palcoscènico; contèmpo sottécchi arsènico; vèntre primogènito
34) vècchia megèra sfacèlo; istèrico egocèntrico travéggole; mésso transénne sfèra;
ènfasi polènta; cóme metèora sémbra nevrastènica
35) paése prèda atmosfèra vacanzièra; azzécca schelètrico dirèi; pescivèndolo; códa
chilomètrica fésso
36) diméntico autèntico; pésto; fèsta incèndio; accèndere spégnere; mèriti manétte
galèra
37) colóre intònaco eterogèneo; aggrègo disgrègo; dèvo ripètere compètere mé; gènere
cénere; incròsto péntola
38) dèvo conségna cosmètico; apprèzzo modèstia; invéce emèrito deficiènte; garzóne
spècula pèlle; poverétto mètodo
39) véndita rèndita; accènno breveménte vòstra lèttera; rimésto méscolo méstolo; cénno
béstia; esigènza dèlega
40) smèmbra fruttéto; vuòi fétta dólce amarène; gradirèi diabète; biciclétta légno ciliègio;
prète sprègio sigarétte
41) céppi accési spièdo; presidènte pósto vèto; immèmore règole impóste oscèno
sacrilègio; sèppe indènne mèta; illéso vicènda
42) compèndio sintètico aritmètica; sollètico poètico; schérza ètica; impégna tutèla
ambiènte; scélta intrèpida
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43) béstia tré capézzoli; sfóra tèmpo viène interrótto; scéndi bórdo giòstra; splèndida
tèmpera; cóva
44) capélli sóno créspi; abbórdo professoréssa chièdo tèma; pècora órlo bòsco; vuòi
còppa; dimòra pièna néve
45) incredibilménte edòtto; gióva; prèndo sólo germógli sòia; mésso trèno còsto lièvito;
prèvio pagaménto amméssa ricòvero

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