l’arte
della
dizione
italiana
in
meno
di
due
mesi
con
un
metodo
efficace,
divertente
e
completamente
gratuito.
Se
una
persona
che
parla
il
dialetto
milanese
dovesse
intrattenersi
in
una
conversazione
con
qualcuno
che
parla
il
dialetto
sardo,
difficilmente
i
due
si
capirebbero
a
vicenda.
Fortunatamente,
soprattutto
grazie
al
potere
‘livellante’
dei
media
–
radio,
cinema
e
televisione
–
quasi
tutti
gli
italiani
sono
in
grado
di
parlare
una
lingua
nazionale
più
o
meno
uniforme,
grazie
alla
quale
ci
si
può
intendere
vicendevolmente
in
qualunque
regione
d’Italia.
In
molte
zone
d’Italia,
soprattutto
nelle
aree
urbane,
le
nuove
generazioni
non
imparano
nemmeno
più
il
dialetto
locale
e
parlano
unicamente
questa
lingua
‘uniforme’
Se
un
milanese
con
la
sua
‘pronuncia
uniforme’
si
avventurasse
in
qualunque
zona
d’Italia
al
di
fuori
della
Lombardia,
non
appena
aprisse
bocca
si
sentirebbe
chiedere:
‘Sei
di
Milano,
vero?’.
E lo stesso accadrebbe con un Torinese a Milano, un Romano a Torino, un Palermitano a Roma, eccetera.
Ciò
significa
che
nella
pronuncia
di
tutte
queste
persone
–
ciascuna
delle
quali
ingenuamente
convinta
di
parlare
un
‘italiano
neutro’
–
c’è
in
realtà
una
marcata
‘colorazione
regionale’
che
tradisce
la
sua
zona
d’origine.
Se
invece
guardiamo
un
film
in
televisione,
recitato
o
doppiato
da
professionisti,
non
saremo
in
grado
di
capire
la
‘provenienza
regionale’
delle
voci
che
sentiamo.
Loro
stanno
utilizzando
davvero
un
‘italiano
neutro’.
Questo
corso
è
appunto
rivolto
a
chiunque
abbia
il
desiderio
di
scrollarsi
di
dosso
le
inflessioni
dialettali
ed
esprimersi
con
una
pronuncia
italiana
corretta.
Imparare
ad
esprimersi
con
una
dizione
corretta
è
vantaggioso
per
chiunque,
in
qualunque
ambito
privato
e
professionale,
e
non
solo
per
gli
attori!
Qualche
indolente
pelandrone
obietterà
sempre
che,
‘tutto
sommato,
in
qualche
modo
ci
si
capisce
lo
stesso’
anche
assassinando
la
pronuncia
delle
parole.
Se
però
comunicare
non
è
per
noi
una
semplice
questione
di
sopravvivenza,
ma
anche
di
buon
gusto
e
di
autorevolezza,
allora
dovremo
osservare
che
non
è
importante
solo
la
cosa
in
sé,
ma
anche
il
modo
in
cui
la
si
presenta.
Tutti
converremo
che
una
buona
pietanza
servita
in
un
ristorante
freddo,
deserto
e
da
un
cameriere
maleducato
ci
sembrerà
un
po’
meno
buona
che
se
la
avessimo
gustata
in
un
ristorante
caldo
e
accogliente.
Se
qualcuno
dovesse
insistere
che
‘tutto
sommato,
in
qualche
modo
si
è
mangiato
lo
stesso’,
di
sicuro
non
esiteremmo
a
controbattere.
In conclusione, c’è modo e modo di ‘presentare le parole’, e noi vogliamo scegliere quello migliore!
di Stefano Vendrame
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2
ISTRUZIONI
Una buona pronuncia si basa principalmente su due pilastri: articolazione e dizione.
La prima si occupa essenzialmente della ‘chiarezza’ nella pronuncia delle parole, la
seconda della ‘correttezza’ di questa pronuncia. Quantunque non trascureremo di
affrontare alcuni aspetti di articolazione, dobbiamo chiarire subito che l’obiettivo primario
di questo corso è la dizione o, più correttamente, l’ortoepia (che significa ‘pronuncia
corretta’, proprio come ortografia significa ‘scrittura corretta’).
Quattro sono i ‘punti caldi’ della dizione italiana:
- la scelta tra la ‘è’ aperta (come in ‘bèllo’) e la ‘é’ chiusa (es. ‘avére’) nella pronuncia
delle parole;
- la scelta tra la ‘ò’ aperta (es. ‘tròppo’) e la ‘ó’ chiusa (es. ‘calóre’) nella pronuncia delle
parole;
- la scelta tra la ‘s’ sorda (es. ‘asso’) e la ‘s’ sonora (es. ‘smetto’) nella pronuncia delle
parole;
- la scelta tra la ‘z’ sorda (es. ‘pazzo’) e la ‘z’ sonora (es. ‘zig zag’) nella pronuncia delle
parole.
Per rendere più facile ed intuitiva la lettura, le vocali accentate ‘e’ ed ‘o’ in questo
corso sono color-coded: il colore verde indica ‘pronuncia aperta’ (come in ‘bèllo’,
‘tròppo’), mentre il colore blu indica ‘pronuncia chiusa’ (‘avére’, ‘calóre’).
Per quanto riguarda la pronuncia della ‘s’ e della ‘z’, il colore rosso indica
‘consonante sorda’ (‘spazio’), mentre il colore viola indica ‘consonante sonora’
(‘smetto’, ‘zig zag’).
Le ‘e’ e le ‘o’ colorate sono solamente quelle su cui cade l’accento.
Infatti, vale la regola generale che tutte le vocali non accentate all’interno di una
parola vengono sempre pronunciate chiuse.
Ad esempio, la parola ‘segretaménte’ ha quattro ‘e’, ma il dubbio sulla pronuncia può
sorgere solo sulla penultima, che è quella su cui cade l’accento. Per le altre ‘e’ non si
pone alcun dubbio: poiché non sono accentate, si pronunciano sicuramente chiuse:
ségrétaménté. Analogamente, la parola intraprendènte si pronuncia intrapréndènté.
Eccetera.
Il corso consta di cinquantaquattro brani, da leggere a voce alta più volte, uno per
giorno. Non potete esimervi dalla lettura a voce alta, non sottovoce e tantomeno col solo
pensiero.
Solo ‘ascoltando’ la vostra voce acquisirete gli automatismi della pronuncia corretta.
Quattro lezioni di approfondimento aiuteranno a puntualizzare ed integrare il
contenuto delle lezioni, corredando l’apprendimento con qualche informazione e
curiosità.
Infine, un’appendice in cinque parti propone alcuni esercizi di articolazione da
svolgere parallelamente alle lezioni del corso per non trascurare questo importante
aspetto della pronuncia.
La prima regola è quella di non avere fretta!
Un brano al giorno è più che sufficiente. Ricordatevi che non si tratta di leggerlo una
sola volta, ma di ripeterlo ed ascoltarlo ripetutamente, ‘masticandolo e ruminandolo’...
Pagina
3
La difficoltà maggiore, all’inizio, sarà che ‘suonerete strani’ a voi stessi e anche a
chi vi stesse ascoltando. Ma non cadete nell’ingiustificato timore di sembrare ridicoli.
Provate a guardare un film: sicuramente gli attori stanno pronunciando correttamente,
ma se non ci fate caso quasi non ve ne accorgete. Perché, allora, quando parlate voi
dovreste essere ridicoli? La risposta è che non lo siete affatto. Nessuno è ridicolo quando
fa le cose correttamente.
Nel caso qualche conoscente dovesse guardarvi in modo strano la prossima volta
che vi sentirà pronunciare una parola in modo diverso da come avete sempre fatto,
spiegategli semplicemente che state imparando a pronunciare correttamente le vocali.
Magari riuscirete ad incuriosirlo, e allora gli farete qualche esempio.
La durata del corso è di circa due mesi. Nulla vi vieta, tuttavia, di fermarvi e
rileggere i brani precedenti invece di andare avanti. Ci metterete un po’ di più, ma che
fretta c’è?
Quello che dovreste evitare, invece, è di lasciare passare dei giorni senza esercitarvi.
Piuttosto esercitatevi anche solo per due minuti, ma non tralasciate del tutto.
Cercate poi di utilizzare fin da subito, nel linguaggio di tutti i giorni, le parole che
avete imparato a pronunciare correttamente. Evitate invece di pronunciare diversamente
da come siete abituati le parole sulla cui pronuncia non siete certi. Non c’è niente di
peggio che pronunciare in modo scorretto una parola che siete abituati a pronunciare
correttamente!
Infine, non demoralizzatevi mai, anche quando avrete l’impressione di non fare
passi avanti.
Di solito il discente è anche disposto ad imparare le regole, ma si fa prendere dallo
sconforto di fronte alle (numerose) eccezioni. In effetti, nelle note ai brani verranno
segnalate le regole via via incontrate, con l’indicazione delle relative eccezioni. Ma
queste indicazioni sono fornite più che altro per sodisfare la vostra curiosità, e non
affinché le impariate tutte a memoria! Accontentatevi di ripetere tante volte i testi dei vari
brani. Imparare la pronuncia è una questione di abitudine e di costanza, non di memoria!
Vi accorgerete di poter assimilare ogni cosa senza troppi sforzi...
Pronti? Via!
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4
PRIMA LEZIONE
Quésto cappèllo è¬veraménte elegante, ma¬quél soprabito, quéllo là a¬dèstra, è
incredibilménte brutto.
A¬té¬piace quélla sciarpa?
A¬mé¬pér niènte.
Perché¬non pròvi quésta gónna?
Preferisci quésti guanti ó¬quélli?
Ó¬quégli altri ancóra?
• Come avrete notato, in questo primo brano abbiamo insistito sulla pronuncia dei determinativi: quésto,
quésta, quéste, quésti, quéllo, quélla, quélli, quégli e quélle, come anche codésto, che vanno tutti
pronunciati con la é chiusa.
• Per rafforzamento sintattico (o cogeminazione) si intende la pronuncia di alcune consonanti singole, ad
inizio di parola, come se fossero doppie.
Normalmente questa regola è bellamente ignorata al nord, dove anzi molti pensano si tratti di una scorretta
cadenza dialettale tipica del meridione.
Nella lezione di approfondimento, tra una settimana, affronteremo più estesamente la questione del
rafforzamento sintattico: se siete ansiosi di saperne di più, andate subito a sbirciare.
Ma non preoccupatevi di imparare a memoria le regole! Nei nostri brani vi verrà sempre in aiuto il simbolo
¬, che posto tra due parole ricorda di rafforzare la consonante che lo segue (èvveramente, maqquel,
addestra, atteppiace, ammepper, perchénnon...)
Quando trovate il simbolo ¬ colorato di rosso, significa che potete scegliere liberamente se applicare o no
il rafforzamento.
ESERCIZIO 1
Al termine di ogni lezione, troverete sempre un esercizio di cinque frasi. Per le vocali sottolineate,
dovete stabilire se la pronuncia è chiusa (é,ó) o aperta (è,ò), e poi confrontare con la tabella delle
correzioni alla fine del corso.
Se commettete troppi errori, non andate avanti ma rivedete la lezione.
1. Questa gonna è brutta.
2. Perché non la provi?
3. Ancora questo cappello?
4. Codesti sono incredibilmente brutti.
5. Niente di cui preoccuparsi
Pagina
5
SECÓNDA LEZIONE
La mia schièna è¬pièna di nèi, ma¬pròprio ièri èro dalla dottoréssa, ché¬mi ha¬levato la
magliétta, mi ha esaminato davanti é¬diètro, dòrso, addòme éd anche fra i capélli, é
infine mi ha¬détto ché¬néi mièi nèi nón c’è¬niènte di cui preoccuparsi.
Un bèl sollièvo...
• Il messaggio di questo secondo brano è che tutte le parole che contengono il dittongo ‘ie’ si pronunciano
con la e aperta (schièna, pièna, ièri, diètro, mièi, niènte, bandièra, pièdi, lièto, insième, dièci, chièsa, mièle,
carrièra, vièni, mongolfièra, cavalière...).
L’importanza di questa regola viene dal fatto che le parole contenenti il dittongo ‘ie’ sono tantissime. Se
oggi avrete qualche ritaglio di tempo, anche per strada mentre aspettate l’autobus, divertitevi a cercarne
altre e a pronunciarle correttamente!
• Naturalmente non mancano le eccezioni alla regola, ma sono poche. Si pronunciano con la ‘e’ chiusa le
parole terminanti in -ietto/a: (magliétta, vecchiétto, armadiétto, fischiétto, salviétta, bigliétto...), -iezza
(ampiézza, doppiézza) e le parole ateniése, chiérico, scambiévole, occhiéggio.
Ma ricordate sempre che non è necessario imparare a memoria tutte le cose che diciamo in queste note a
margine!
• Avrete notato che néi (dentro ai) e nèi (plurale di neo) sono due parole omografe ma non omofone.
Incontreremo molti altri esempi di questo fenomeno.
ESERCIZIO 2
1. C’è qualcosa nei capelli della dottoressa
2. La maglietta copre il suo addome
3. Sei proprio piena di nei!
4. Cos’hai alla schiena?
5. Niente, ti ho detto!
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TÈRZA LEZIONE
Quésta spècie di gènio ritiène di sapérne più¬di mé. Ché ingènuo!
In tutta la mia carrièra nón è¬mai capitato niènte dél gènere. Cón ché¬critèrio ha¬deciso
di méttersi cóntro di mé?
Ma¬vedrà¬nél séguito, cóme mi véndico!
Nón è¬cèrto dégno délla mia vènia.
Sarà¬sémplice rimétterlo al suo pósto!
ɬché¬la pròssima vòlta ci pènsi due vòlte prima di méttere in scèna una simile
commèdia.
Ecco un’altra regola utilissima: quando la e accentata è seguita da una consonante e due vocali (eCVV)
viene pronunciata aperta.
• Se impariamo ad utilizzarla, questa regola ci risparmia la necessità di memorizzare tutta una serie di
terminazioni da pronunciare con la e aperta: -ècio (spècie, fattispècie...); -èdio (commèdia, inèdia, mèdia,
sèdia, tragèdia, tèdio, assèdio, rimèdio...); -èduo (cèduo...); -ègio (collègio, egrègio, prègio, privilègio,
sacrilègio, sortilègio...); -èlio (cimèlio, epitèlio, camèlia...); -èneo (omogèneo, eterogèneo...); -ènio (gènio,
progènie, gardènia, vènia...); -ènuo (tènue, attènuo, ingènuo, strènuo...); -èpio (presèpio...); -èreo (cinèreo,
aèreo, etèreo...); -èrio (critèrio, desidèrio, sèrio, macèria, matèria, misèria, congèrie, intempèrie, sèrie...); -
èsio (magnèsio, vanèsio, ardèsia, ecclèsia...); -ètuo (perpètuo...); -èvio (abbrèvio, prèvio...); -èzio (scrèzio,
trapèzio, facèzia, inèzia, spèzia...).
• Per poter sfruttare al meglio questa regola, dobbiamo subito imparare le poche eccezioni: la terminazione
in -éguo/a/ito (séguo, eséguo, perséguo, adéguo, trégua, strégua, séguito, perséguito...) e le parole frégio e
sfrégio.
In questi primi tre brani abbiamo incontrato tre regole importanti che ci verranno in aiuto molto
spesso: la pronuncia dei determinativi, la regola del dittongo ‘ie’ e quella di ‘eCVV’.
Per questa ragione, prima di procedere, vale la pena rivederle ancora una volta riflettendoci con
calma.
Nei brani successivi avremo modo di incontrare molti esempi di applicazione di queste regole.
ESERCIZIO 3
1. Questa sottospecie di commedia non andrà in scena
2. È stato ingenuo mettersi al mio posto
3. Ritiene che il seguito sia semplice
4. Chiedo venia!
5. I criteri per vedere un paramecio.
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7
QUARTA LEZIONE
Pensai: “Óra scéndo trécèntodièci scalini é¬prèndo quéll’orrènda agènda!”
Ma¬nonostante stéssi facèndo dél mio mèglio, èro solaménte al tredicèsimo scalino
quando dissi: “Stò¬morèndo! Nón rièsco nemméno a scéndere lé scale pér prèndere
l’agènda”.
“Ȭsèmpre la stéssa sòlfa”, commentò Andrèa, tagliènte cóme una cesóia.
Ché¬carógna!
Ma¬ché stai dicèndo? Sémbri uno scémo!
Niènte affatto, stò¬mettèndo correttaménte gli accènti!
• Oggi abbiamo focalizzato sulla terminazione in -endo, -enda, -endere.
Come regola generale, la ‘e’ deve essere pronunciata aperta: orrènda, agènda, bènda, tremèndo, stupèndo...
• Scéndere e véndere sono gli unici due verbi che fanno eccezione alla regola (insieme ai derivati come
svéndere e rivéndere). Ripetiamo a voce alta:
- Io scéndo, tu scéndi, égli scénde, éssi scéndono
- Io véndo, tu véndi, égli vénde, éssi véndono
Tutti gli altri verbi in -endere seguono normalmente la regola: prèndere, spèndere, tèndere, comprèndere...
- Io prèndo, tu spèndi, égli tènde, éssi comprèndono
• Ricordate infine che non ci sono eccezioni alla regola quando si tratta di verbi al gerundio, che quindi
hanno sempre la ‘e’ aperta: facèndo, morèndo, prendèndo, spendèndo, corrèndo, ferèndo ma anche
scendèndo e vendèndo.
ESERCIZIO 4
1. Scendi e prendi la cesoia, Andrea!
2. Mi sembra orrendo
3. Scendendo le stesse scale
4. Il saggio vende allo scemo che spende tutto
5. Annota gli accenti sull’agenda!
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8
QUINTA LEZIONE
Quélla séra di primavèra la principéssa scòrse lé stélle nél cièlo, ché¬rendévano
splendidaménte lucènti i suòi principéschi capélli.
Sórse la luna, éd élla sé né accòrse.
“Ché¬bellézza! Ché¬dolcézza! - élla pensò - Nón ha¬prèzzo quésto evènto! ɬmio
padre, il ré, né sarà¬lièto”.
• Tutti gli avverbi, che finiscono in ‘ménte’, vanno pronunciati con la e chiusa (lentaménte, tristeménte...).
• La terminazione in -éssa vuole di regola la e chiusa: dottoréssa, principéssa, contéssa, poetéssa, preméssa,
scomméssa, méssa. Fanno eccezione: prèssa, sopprèssa, comprèssa, rèssa.
• Avrete notato che le parole stélle e capélli si pronunciano con la e chiusa. Non traetene tuttavia una regola
generale: per una volta, infatti, abbiamo incontrato prima le eccezioni!
Di regola, la desinenza -ello/a/e/i vuole la e aperta: pagèlla, orticèllo, campicèllo, carosèllo, castèllo,
novèlla, zitèlla, scioccherèllo, pèlle, imbèlle, ribèlle...
Vi farà piacere sapere che, oltre a quéllo/a/e/i, déllo/a/e/i e néllo/a/e/i, stélla e capéllo sono le uniche altre
eccezioni a questa regola.
ESERCIZIO 5
1. Scorsi la stella che sorse nel cielo
2. Chiedo umilmente scusa alla principessa
3. I capelli dei ribelli
4. Il re è lieto nelle sere di primavera
5. Il prezzo della scommessa.
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9
SÈSTA LEZIONE
Sé¬voléssi, andrèi da¬quél camerière in livrèa é gli dirèi: ‘Vorrèi quéi pasticcini,
é¬tré¬tazze di tè¬péi mièi figliòli’
‘Quanti, prègo?’, éi chiederèbbe.
‘Ma¬vé l’hò¬détto, né vòglio tré’.
Discutéi a¬lungo, é¬cón orgóglio, néll’atenèo, durante quéll’assemblèa.
Dovéi far lóro cambiare idèa.
Ma¬néi lóro pensièri, io èro niènte più¬ché un pòvero docènte dél licèo.
• Impariamo oggi una regola molto importante: quando una ‘e’ accentata è seguita da vocale (eV), viene di
regola pronunciata aperta:
- assemblèa, azalèa, contèa, dèa, epopèa, idèa, livrèa, trincèa...
- contèe, azalèe, dèe, epopèe, idèe, livrèe, trincèe...
- colèi, sèi, nèi (plurale di neo), piagnistèi, tornèi, lèi, colèi, onomatopèico, protèico, plèiadi...
- atenèo, piagnistèo, scarabèo, rèo, tornèo, trofèo, cortèo, licèo, musèo, nèo, aurèola, alvèolo, metèora...
- fèudo, rèuma, propedèutico, farmacèutica, maièutica...
Ricordate in particolare le voci del condizionale: andrèi, dirèi, sarèi, vorrèi...
• Attenzione, però, a queste importantissime eccezioni che riguardano solo la ‘e’ seguita da ‘i’:
déi (degli), néi (negli), péi (per i), quéi, éi (egli) e le voci del passato remoto: dovéi, credéi, discutéi
ESERCIZIO 6
1. Andrei dal docente, ma lui direbbe di no
2. Che hai detto, prego?
3. Niente assemblea nell’ateneo
4. Discutei con orgoglio dell’idea
5. Non voglio udire piagnistei!
Pagina
10
APPROFONDIMENTO
1-‐
LA
PRONUNCIA
‘NEUTRA’
Una
domanda
che
viene
spesso
posta
è:
‘ma
con
quale
criterio
si
è
deciso
quale
deve
essere
la
pronuncia
corretta
di
una
parola?’.
Per
ragioni
storico-‐letterarie,
si
è
convenuto
che
la
‘pronuncia
ufficiale
italiana’
coincida
con
la
pronuncia
toscana
colta.
Come
scrive
Anna
Maria
Romagnoli,
‘se
Dante,
Petrarca
e
Boccaccio
non
fossero
nati
in
Toscana,
ma
in
Lombardia
o
in
Sicilia,
le
cose
sarebbero
andate
diversamente
per
la
nostra
lingua
e,
conseguentemente,
per
la
pronuncia
di
essa...’
È
evidente
che
si
tratta
di
una
convenzione,
ma
criticarla
avrebbe
lo
stesso
senso
che
criticare
la
nostra
grammatica
e
il
nostro
vocabolario.
Non
a
caso
Manzoni
ha
‘risciacquato
i
panni
in
Arno’,
e
non
certo
nel
Tevere
o
nel
Po!
La
domanda
successiva
è
allora:
‘ma
come
posso
sapere
qual’è
la
pronuncia
toscana
standardizzante
di
una
certa
parola?’.
La
risposta
non
è
affatto
facile.
Si
potrebbe
citare
qualche
testo,
primo
fra
tutti
lo
storico
‘Dizionario
d’ortografia
e
di
pronunzia’
di
Migliorini-‐Tagliavini-‐Fiorelli
(RAI-‐ERI,
prima
edizione
1969),
espressamente
destinato
agli
annunciatori
della
radiotelevisione
pubblica
italiana.
Già
nell’introduzione
abbiamo
tuttavia
insistito
sulla
natura
dinamica
della
lingua:
non
si
può
fare
affidamento
solo
ed
unicamente
su
un
testo
tradizionale,
per
quanto
autorevole.
Bisogna
dunque
fare
affidamento
sulla
parlata
corrente,
ma
di
chi?
Si
deve
ammettere
che
non
tutte
le
parole
vengono
pronunciate
allo
stesso
modo
in
ogni
parte
della
toscana
Toscana,
in
Umbria,
nelle
Marche
e
nel
Lazio.
La
stessa
pronuncia
di
Roma
differisce
sistematicamente
da
quella
del
resto
del
Lazio.
Dobbiamo
forse
prendere
per
buona
la
pronuncia
dei
nostri
attori
e
dei
nostri
doppiatori?
Oggigiorno
non
tutti
sono
così
professionali.
E
allora
siamo
daccapo:
come
decidere
se
un
doppiatore
parla
correttemente,
o
se
è
uno
che
commette
degli
errori?
Uno
dei
nostri
più
autorevoli
fonetisti,
Luciano
Canepari,
risponderebbe
che
di
molte
parole
esiste
più
di
una
possibile
pronuncia.
Nel
suo
Dizionario
di
Pronuncia
Italiana
(Zanichelli)
egli
propone
infatti,
accanto
alla
‘pronuncia
tradizionale’,
una
‘pronuncia
moderna’
per
alcune
parole,
una
‘pronuncia
accettabile’
per
altre
parole,
e
persino
una
‘pronuncia
tollerata’
per
altre
ancora,
dando
indicazione
dell’eventuale
differenza
nella
pronuncia
tra
le
diverse
regioni
dell’Italia
centrale.
Nel
nostro
corso,
per
non
confondere
il
volonteroso
discente,
ci
siamo
orientati
perlopiù
sulla
sola
‘pronuncia
tradizionale’,
insistendo
soprattutto
sulle
parole
che
non
ammettono
troppe
deroghe,
e
lasciando
perlopiù
correre
su
quelle
che
ormai
vengono
pronunciate
sempre
più
spesso
in
un
modo
diverso
da
quello
tradizionale.
2-‐
IL
RAFFORZAMENTO
SINTATTICO
Per
rafforzamento
sintattico
(o
cogeminazione)
si
intende
la
pronuncia
di
alcune
consonanti
singole,
ad
inizio
di
parola,
come
se
fossero
doppie.
Ma
quando
si
deve
applicare,
e
quando
no?
Si
tratta
di
una
questione
molto
controversa
e
oggetto
di
complesse
opere
trattatistiche,
alle
Pagina
11
Lo
stesso
discorso
vale
anche
le
particelle
pronominali
(o
avverbiali)
‘non’
e
‘ne’
(‘che¬ne
so’
oppure
‘che
ne
so’...).
In
tutti
questi
casi
dove
la
cogeminazione
è
‘facoltativa’,
nei
nostri
brani
utilizzeremo
il
simbolo
¬
di
colore
rosso.
Come
comportarsi
in
questi
casi?
Il
consiglio,
almeno
all’inizio,
è
di
non
‘forzare’
troppo
la
vostra
pronuncia
regionale.
Se
siete
abituati
alla
pronuncia
‘non
rafforzata’
del
nord
italia,
evitate
la
cogeminazione
quando
vedete
il
trattino
rosso.
Se
invece
siete
abituati
alla
pronuncia
‘troppo
rafforzata’
del
meridione,
vi
sarà
più
comodo
produrre
la
cogeminazione
anche
quando
non
è
strettamente
necessaria,
prestando
però
molta
attenzione
a
evitarla
quando
davvero
non
ci
vuole!
Quando
comincerete
a
farvi
l’orecchio,
vi
verrà
spontaneo
riconoscere
alcune
frasi
in
cui
‘suona
meglio’
applicare
il
rafforzamento,
e
altre
in
cui
preferirete
evitarlo.
Considariamo
ad
esempio
le
frasi
‘farò
la
torre’
e
‘farò
l’attore’.
Secondo
voi,
in
quale
delle
due
‘suona
meglio’
il
rafforzamento
dopo
‘farò’?
Molti
sceglieranno
la
seconda.
Ma,
come
abbiamo
detto,
non
si
tratta
di
regole.
Potete
scegliere
di
non
applicarlo
in
nessuna,
o
viceversa
in
entrambe.
•
Ma
Il
rafforzamento
sintattico
si
applica
solo
nei
casi
contemplati
dalle
nostre
regole?
Alcuni
parlatori
saranno
pronti
a
giurare
che
si
dice:
qualche¬volta,
come¬mai,
dove¬vai
applicando
così
il
rafforzamento
ad
alcuni
bisillabi
piani
(ossia
con
l’accento
sulla
penultima
sillaba),
ma
solo
in
alcuni
casi
e
senza
una
regola
precisa,
più
che
altro
per
‘tradizione’.
Poichè
la
maggior
parte
dei
professionisti
della
parola
utilizza
ormai
sempre
meno
queste
forme,
ci
sentiamo
in
buon
diritto
di
ignorarle
anche
noi.
Tranquilli,
dunque!
Le
regole
che
abbiamo
fornito
sono
più
che
sufficienti
per
cavarsela
senza
commettere
errori.
Per
il
momento,
tenete
presente
questi
ultimi
due
consigli:
•
Soprattutto
al
nord,
dove
non
si
è
abituati
a
rafforzare,
quando
si
tenta
si
farlo
si
rischia
spesso
di
cadere
nell’errore
contario,
pronunciando
una
consonante
come
se
fosse
tripla
o
quadrupla,
oppure
‘frenando’
su
di
essa
(‘vado
àc//casa’,
in
luogo
di
‘vado
accasa’).
Naturalmente
bisogna
fare
attenzione
ad
evitare
questa
esagerazione:
il
rafforzamento
deve
essere
deciso
ma
scivolare
veloce
e
senza
indugio.
•
Ogni
volta
che
non
siete
sicuri,
e
non
vi
viene
spontaneo,
è
meglio
evitare
il
rafforzamento
sintattico.
Infatti
un
rafforzamento
mancato
dove
ci
vorrebbe
può
anche
passare
inosservato,
ma
un
rafforzamento
di
troppo
dove
non
ci
vorrebbe
sortisce
un
effetto
davvero
fastidioso.
3-‐
LA
VOCALE
‘O’
(PARTE
PRIMA)
Imparare
la
pronuncia
della
vocale
‘o’
è
più
facile
rispetto
alla
‘e’,
perché
una
volta
fatta
un
po’
di
pratica
diventa
abbastanza
‘intuitiva’.
Per
questo
ci
siamo
affidati
più
all’esercizio
che
alle
regole,
che
infatti
non
trovate
nelle
note
a
margine
dei
brani.
Affronteremo
però
alcuni
aspetti
teorici
nel
corso
delle
lezioni
di
ricapitolazione,
suddividendo
la
‘materia’
in
tre
parti,
per
non
tediarvi
troppo.
In
questa
prima
parte
vedremo
alcune
regole
molto
generali
–
del
tutto
simili
a
quelle
che
Pagina
13
valgono
per
la
vocale
‘e’
–
che
ci
saranno
di
valido
aiuto
per
la
pronuncia
della
‘o’.
-‐
Quando
è
seguita
da
una
consonante
e
due
vocali,
la
‘o’
accentata
si
pronuncia
sempre
aperta.
Moltissime
terminazioni
sono
interessate
da
questa
regola:
-‐òbio,
-‐òcio,
-‐òcua/o,
-‐òdia/o,
-‐
òfia/o,
-‐ògia/o,
-‐òlia/o,
-‐òmio,
-‐ònao,
-‐òneo,
-‐ònia/o,
-‐òpia/o,
-‐òrea/o,
-‐òria/o,
-‐òseo,
-‐òsia/o,
-‐
òzia/o.
Ecco
alcuni
esempi
di
parole:
sòcio,
dissòcio,
innòcuo,
custòdia,
episòdio,
iòdio,
òdio,
pòdio,
sòdio,
orfanotròfio,
mògio,
elògio,
orològio,
magnòlia,
òlio,
monopòlio,
petròlio,
rosòlio,
binòmio,
manicòmio,
encòmio,
erròneo,
idòneo,
cerimònia,
colònia,
parsimònia,
carbònio,
demònio,
patrimònio,
còpia,
microscòpio,
marmòreo,
corpòreo,
baldòria,
glòria,
stòria,
empòrio,
obbligatòrio,
ròseo,
ambròsia,
sòsia,
simpòsio,
glucòsio,
òzio,
negòzio...
Come
eccezione,
ricordate
il
verbo
‘sfócio’.
-‐
Quando
la
‘o’
accentata
fa
parte
del
dittongo
‘uo’,
viene
sempre
pronunciata
aperta:
uòvo,
uòmo,
buòno,
cuòcere,
fuòco,
suòcero,
vuòto,
vuòle,
nuòce,
ruòta...
-‐
Quando
la
‘o’
accentata
è
seguita
dalla
lettera
‘b’,
viene
di
norma
pronunciata
aperta:
ròba,
guardaròba,
acròbata,
gòbbo,
sgòbbo,
sbòbba,
addòbbo,
mòbile,
nòbile,
glòbo,
còbra,
sòbrio,
obbròbrio,
glòbulo...
Fanno
eccezione
il
passato
remoto
di
conoscere:
conóbbi,
conóbbe,
conóbbero
(e
composti:
disconóbbi,
riconóbbi...)
ed
il
mese
di
ottóbre.
-‐
Quando
la
‘o’
accentata
è
seguita
dalla
lettera
‘d’,
viene
di
norma
pronunciata
aperta:
lòde,
òde,
custòde,
fròde,
fòdera,
sfòdero,
còdice,
metòdico,
melòdico,
pròdigo,
bròdo,
esplòdo,
chiòdo,
gòdo,
lòdo,
appròdo,
mòdo,
òdo,
sòdo,
allòdola,
ippòdromo,
mòdulo...
Fanno
eccezione
la
parola
códa,
i
verbi
ródere
e
corródere
(io
corródo,
tu
corródi...)
e
il
numero
dódici.
-‐
Quando
la
‘o’
accentata
è
seguita
dalla
lettera
‘f’,
viene
sempre
pronunciata
aperta:
scròfa,
stròfa,
esòfago,
garòfano,
stòffa,
scartòffia,
sòffice,
gòffo,
sòffoco,
òffro,
filosòfico,
idròfilo,
carciòfo,
pantòfola,
micròfono,
pròfugo...
-‐
Quando
la
‘o’
accentata
è
seguita
dalle
lettere
‘li’,
viene
sempre
pronunciata
aperta:
maiòlica,
simbòlico,
diabòlico,
bòlide,
sòlido,
pòlipo,
idròlisi,
insòlito,
pòlizza...
Pagina
14
SÈTTIMA LEZIONE
Verrésti staséra alle dièci, dópo céna?
Né sarèi estremaménte lièto, é¬mio fratèllo griderèbbe di giòia.
Insième guarderémmo la televisióne, pòi vói due potréste giocare a¬biliardo.
I mièi genitori andrèbbero a¬teatro, cóme¬sèmpre, la doménica.
• Nel caso non ve ne foste accorti, in questo brano abbiamo focalizzato sulla pronuncia del condizionale
presente, che crea generalmente molti problemi. Infatti, ci sono tre voci che vogliono la e aperta: io -èi, egli
-èbbe, essi -èbbero. Le rimanenti tre, invece, la vogliono chiusa: tu -ésti, noi -émmo, voi -éste.
Ripetiamo ad alta voce:
- io sarèi, tu sarésti, egli sarèbbe, noi sarémmo, voi saréste, essi sarèbbero.
- Io avrèi, tu avrésti, egli avrèbbe, noi avrémmo, voi avréste, essi avrèbbero.
- Io guarderèi, tu guarderésti, egli guarderèbbe, noi guarderémmo, voi guarderéste, essi guarderèbbero.
Eccetera, eccetera. Sarete lieti di sapere che non ci sono verbi che facciano eccezione a questa regola.
ESERCIZIO 7
1. Direi di andare a cena
2. Potrebbero venire dopo le dieci
3. Insieme faremmo una scommessa
4. Verresti sempre di domenica
5. Andrea ne sarebbe lieto.
Pagina
15
OTTAVA LEZIONE
Scommétto ché¬quésto pacchétto è stato manomésso...
Sméttila di lamentarti, Andrèa!
Ma¬mi avévi promésso ché avrémmo préso il trèno.
Mé né ricòrdo bène, ma¬vuòi méttere l’aèreo? Dél rèsto, nón abbiamo scélta.
Di doménica la biglietterìa è¬chiusa*, é¬la macchinétta automatica non emétte i bigliétti,
perché è¬guasta.
Un moménto, lasciami riflèttere.
Quél ché stai dicèndo ha un sènso, ma¬prèndere l’aèreo costerà¬bèn più¬dél trèno,
sènza contare ché¬potrèbbe comprométtere maggiorménte la nòstra sicurézza.
Quésta pòi! Mi stai dicèndo ché hai paura déll’aèreo? Dài, amméttilo...
• Come vi sarete ben resi conto, questo brano insiste sul verbo méttere e i suoi numerosi derivati, che si
pronunciano con la ‘e’ chiusa. Poichè si tratta di verbi molto frequenti nella lingua parlata, tanto vale
abituarcisi fin da subito.
Ripetiamo a voce alta:
- méttere, scomméttere, prométtere, amméttere, comprométtere, eméttere, sméttere, riméttere, ométtere...
- Io ho mésso, tu hai scommésso, egli ha promésso, noi abbiamo ammésso, voi avete compromésso, essi
hanno smésso. Abbiamo omésso qualcuno?
- Io métto, tu métti, egli métte, essi méttono.
Io scommétto, tu scommétti, egli scommétte...
Potete andare avanti da soli!
• A questo punto è indispensabile segnalare che tutti gli altri verbi il cui infinito termina in -èttere
(annèttere, flèttere, riflèttere...) hanno invece la ‘e’ aperta!
Per il significato del simbolo * davanti alle parole con ʻsʼ o ʻzʼ, cfr. il paragrafo ʻLa pronuncia di s e
zʼ nella prossima lezione di approfondimento.
ESERCIZIO 8
1. Dove hai messo il biglietto del treno?
2. Questa scelta compromette la tua sicurezza
3. Va bene l’aereo
4. L’ho preso alla macchinetta
5. Ammetti che è senza senso!
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16
NÒNA LEZIONE
Chièdo scusa, signóra comméssa. Mi potrèbbe dire il prèzzo di quéste pénne?
Tré èuro é¬mèzzo al pèzzo.
ɬquéllo strano attrézzo sulla mènsola?
È un altalèna da¬méttere in corridóio. Còsta cènto èuro é¬dièci centèsimi.
ɬsi mónta facilménte?
Ma¬cèrto. Basta avére l’accortézza di lèggere attentaménte il fogliétto cón lé istruzióni.
Ah, ma¬pér mé¬nón è¬sémplice. Nón mi ci raccappézzo mai.
Dovrèbbero scriverli cón più¬chiarézza, quéi fogliétti.
Apprèzzo la sua gentilézza, ma¬l’altalèna nón la prèndo.
• La terminazione in -ezza, -ezzo, -ezze esige, di regola, la e chiusa: bellézza, dolcézza, chiarézza,
accortézza, carézza, finézza, salvézza, debolézza, ribrézzo, accarézzo, attrézzo, avvézzo, pettegolézzo,
vézzo, olézzo, raccapézzo, fattézze...
Non mancano naturalmente le eccezioni: pèzza, pèzzo, prèzzo, mèzzo, apprèzzo, disprèzzo, spèzzo,
sprèzzo, tappèzzo.
• Abbiamo già fatto conoscenza con la pronuncia di alcuni numeri. Per la vostra gioia, eccoveli tutti:
uno due tré quattro cinque sèi sètte òtto nòve dièci undici dódici trédici quattórdici quindici sédici
diciassètte diciòtto diciannòve vénti trénta quaranta cinquanta sessanta settanta ottanta novanta cènto.
• I numeri ordinali, dal dieci in poi, si pronunciano sempre con la e aperta: dècimo, undicèsimo,
dodicèsimo, tredicèsimo...
ESERCIZIO 9
1. Che bellezza! Che dolcezza!
2. Mi dica con chiarezza il prezzo delle penne
3. Trenta centesimi al pezzo
4. Prendi il dodicesimo foglietto
5. L’altalena è sulla mensola
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17
DÈCIMA LEZIONE
Appartèngo alla direzióne dél collègio, éd ottèngo sèmpre quéllo ché¬vòglio.
Hò¬cosciènza délla posizióne ché¬detièni, é¬nón vorrèi èssere polèmica, ma¬ritèngo
ché i tuòi privilègi nón saranno sufficiènti.
Sóno mèmbro délla commissióne da¬quattórdici anni, é¬sèi anni fa¬sosténni
personalménte il presidènte. Oltretutto agirò¬cón estrèma cautèla.
Mi fido di té, anche perché¬nón hò scélta. Ma adèsso hò¬bisógno di un bicchière di
cògnac.
Pér mé sprèmi un pompélmo éd una méla, sai bène ché¬sóno astèmio.
• Ripetiamo a voce alta queste voci verbali del verbo tenére:
ind. pres.: tèngo, tièni, tiène, tenéte, tèngono
ind. pass. rem.: ténni, tenésti, ténne, tenémmo, tenéste, ténnero
cong. pres.: tènga, tèngano
• Tutti i verbi che terminano in -tenére seguono la stessa pronuncia: ottèngo, ritèngo, mantèngo,
appartèngo, astèngo, contèngo, detèngo, intrattèngo, sostèngo, trattèngo
ESERCIZIO 10
1. Appartenemmo al collegio
2. Mi astengo da questa polemica
3. Ottenga pure i privilegi, il presidente!
4. Ritiene salutare un bicchiere di spremuta di pompelmo!
5. C’è bisogno di estrema cautela
Pagina
18
UNDICÈSIMA LEZIONE
L’ambiènte più adatto pér ottenére quésto gènere di risultato nón è¬certaménte il
parlaménto.
Si tratta di un procediménto lènto, complèsso da¬comprèndere completaménte,
é¬sicuraménte impossibile da¬prevedére.
Ma èra una decisione ché¬si dovéva prèndere, sènza pèrdere altro tèmpo, pér quanto
deludènte potésse risultare*.
Il moviménto pér l’indipendènza nón avrèbbe dovuto cèdere così*¬facilménte, ma un
attènto esame délla questióne dipinge un esauriènte quadro di quanto fósse arduo
contèndere cón il lóro violènto concorrènte.
• È venuto il momento di vedere come funziona la terminazione in -ento, -ente, -enti, -enta, che vuole di
norma la ‘e’ aperta tranne quando è preceduta dalla lettera m (-mento/e/i/a).
• Per questo tutti gli avverbi, come già sapete (vero?), hanno la ‘e’ chiusa: veloceménte, completaménte,
ardenteménte, chiaraménte...
• Sempre sulla scia di questa regola, sono aperte le parole: attènto, lènto, evènto, ènte, ambiènte,
concorrènte, accènto, acconsènto, argènto, contènto, vènto, violènto, corpulènto, divènto, cruènto,
stuzzicadènti, dènti, polènta, sènta...
• Conformemente alla regola, sono invece chiuse le parole: laménto, falliménto, sentiménto, risentiménto,
patiménto, parlaménto, adattaménto, fondaménta, giuménta, ménta, torménta, altriménti, accaniménto,
ménte, ménto (parte della faccia)...
L’ultima precisazione vi fa sorgere un dubbio...
• Ebbene sì, il presente del verbo mentire fa eccezione: io mènto, tu mènti, egli mènte.
Fanno eccezione anche i numeri vénti e trénta.
• Ricordate che tutti i participi presenti hanno la ‘e’ aperta, indipendentemente dalla ‘m’: coinvolgènte,
esauriènte, avènte, eccellènte, attraènte, deludènte, ma anche premènte, temènte, spremènte...
Vi ricordate che i verbi il cui infinito porta l’accento su -endere (comprendere, prendere,
contendere) si pronunciano aperti, con l’eccezione di ‘scendere’ e ‘vendere’? Date ora
un’occhiata alla pronuncia dei verbi il cui infinito porta l’accento su -ere (ottenere, prevedere): in
questo caso la e è chiusa. Ci ritorneremo.
ESERCIZIO 11
1. Ci si accordò tacitamente in parlamento
2. L’ambiente è eccellente e attraente
3. Ma che genere di concorrente è così violento?
4. Mente sapendo di mentire
5. La mente umana vale più dell’argento.
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19
DODICÈSIMA LEZIONE
Féci fatica, ma infine pèrsi la paziènza, é gliélo chièsi. ɬsai lèi ché¬féce? Mi dètte un
ceffóne.
Sò¬ché anche tu¬perdésti la paziènza, é¬lé chiedésti la stéssa còsa*, ma a¬té il
ceffóne nón ló diède. Cóme ló spièghi?
Siète ancóra furènti pér quéll’ingènuo scrèzio?
Avéte tèmpo da¬pèrdere! Èra un’inèzia.
La tua è una psicòsi!
Nón puòi èssere sèrio davvéro quando lé auguri tanta misèria!
È stata un pò’¬maldèstra, ma¬niènte più.
Sé¬ci pènsi, nón avrèbbe potuto fare altriménti.
La dottoréssa lé avéva détto di prèndere tré¬comprèsse di quél medicaménto,
avvertèndola, però,¬ché¬potéva dare sonnolènza.
• Nel brano di oggi troviamo molte parole appartenenti alla terminazione -ezio/a/e ed -erio/a/e.
Queste due terminazioni si pronunciano con la e aperta e non patiscono eccezioni.
Ma dovreste saperlo già.
Ricordare la regola secondo cui una e accentata seguita da una consonante e due vocali si pronuncia di
norma aperta?
• La terminazione in -estro, -estra, -estre vuole sempre la ‘e’ aperta: dèstra, finèstra, palèstra, terrèstre,
canèstro...
Anche questa regola non patisce eccezioni.
ESERCIZIO 12
1. Persi davvero la pazienza
2. Come spieghi la stessa cosa?
3. Siete furenti per un ingenuo screzio?
4. Sul serio, è una psicosi!
5. Per la miseria, la compressa causa sonnolenza!
Pagina
20
APPROFONDIMENTO
1-‐
SUONI
E
SIMBOLI
La
lingua
parlata
si
compone
di
centinaia
di
suoni,
o
meglio
di
‘foni’,
diversi.
Se
pensiamo
a
quante
sono
le
lettere
del
nostro
alfabeto,
ci
possiamo
facilmente
rendere
conto
che
esistono
molti
più
suoni
di
quanti
sono
i
segni
grafici
usati
per
rappresentarli.
Ad
esempio,
è
evidente
a
tutti
che
il
suono
di
‘c’
in
‘cera’
è
ben
diverso
che
in
‘coro’;
che
nelle
parole
‘gaio’,
‘geco’
e
‘agnese’,
lo
stesso
grafema
‘g’
viene
usato
per
rappresentare
tre
suoni
completamente
diversi;
e
che
quella
di
‘rana’
e
di
‘rogna’
non
è
la
stessa
‘n’!
Potremmo
riempire
pagine
intere
su
questo
argomento.
E
questo
solo
per
limitarci
alla
nostra
lungua,
ma
il
discorso
si
amplifica
enormemente
se
si
considerano
tutte
le
lingue
del
mondo.
Senza
bisogno
di
tirare
in
ballo
lingue
‘esotiche’,
sappiamo
ad
esempio
che
il
numero
3
si
chiama
‘tre’
in
Italiano,
‘three’
in
inglese,
‘drei’
in
tedesco
e
trois’
in
francese.
Ebbene,
In
tutte
queste
parole
compare
la
lettera
‘r’,
ma
ciascuna
delle
quattro
‘r’
si
pronuncia
in
modo
assolutamente
diverso.
Per
la
‘r’
italiana
la
lingua
‘vibra’
sulla
parte
anteriore
del
palato
superiore,
quasi
sui
denti;
mentre
in
francese
il
suono
si
produce
esattamente
all’opposto,
col
dorso
della
lingua
nella
parte
posterore
della
bocca.
Anche
il
suono
tedesco
si
produce
posteriormente,
ma
è
meno
arrotondato
di
quello
francese.
Il
suono
inglese,
infine,
è
assai
meno
pronunciato:
la
lingua
appena
sfiora
la
parte
posteriore
della
bocca.
È
evidente
perciò
che
spiegare
ad
un
italiano
che
«il
‘trois’
francese
si
pronuncia
‘truà’»
può
essere
molto
pericoloso...
Se
si
vuole
dare
per
iscritto
un’indicazione
più
precisa
della
pronuncia,
occorrono
molti
più
simboli
di
quante
sono
le
lettere
dell’alfabeto.
Ciò
diventa
inevitabile
nel
momento
in
cui
si
riconosce
che
la
pronuncia
‘viene
prima’
della
lingua
scritta,
nel
vero
senso
‘cronologico’
dell’affermazione.
Il
modo
in
cui
noi
rappresentiamo
graficamente
le
parole
che
pronunciamo
è
una
comoda
convenzione,
ma
non
si
può
pretendere
di
‘andare
al
rovescio’,
partendo
dalla
parola
scritta
per
evincerne
la
pronuncia,
perchè
in
questo
caso
le
ventisei
lettere
del
nostro
alfabeto
cominciano
a
rivelare
tutti
i
loro
limiti.
Sulla
base
di
queste
considerazioni,
nel
1888
è
nato
l’International
Phonetic
Alphabet
(IPA),
ossia
l’alfabeto
fonetico
internazionale,
più
volte
riveduto
nel
corso
degli
anni,
e
composto
da
decine
di
simboli
diversi
tali
che
a
ciascun
simbolo
corrisponda,
in
modo
più
o
meno
univoco,
uno
e
un
solo
suono.
Nei
nostri
brani
non
abbiamo
fatto
ricorso
all’IPA,
per
non
sacrificare
l’immediatezza
e
la
semplicità
di
questo
corso,
che
avrebbe
altrimenti
richiesto
un
notevole
impegno
preliminare
per
imparare
i
simboli
fonetici.
Fortunatamente
di
solito,
anche
senza
rendercene
conto,
non
abbiamo
particolari
problemi
a
produrre
correttamente
i
suoni
consonantici
in
italiano
(i
guai
arrivano
quando
dobbiamo
parlare
un’altra
lingua,
ma
questa
è
un’altra
storia...)
2-‐
LA
PRONUNCIA
DI
‘S’
E
‘Z’
Sulle
regole
per
la
pronuncia
di
‘s’
e
‘z’
non
insiteremo
più
di
tanto,
anche
perchè
sono
tante
e
la
dizione
moderna
tende
ad
essere
sempre
meno
puntigliosa.
Ci
affidiamo
piuttosto
ai
brani,
ai
quali
lasciamo
il
compito
di
insegnare
la
pronuncia
corretta
di
queste
due
consonanti.
D’altra
parte
riteniamo
che,
per
chi
avesse
problemi
con
la
loro
Pagina
21
pronuncia,
il
modo
migliore
di
imparare
sia
proprio
quello
di
‘farsi
l’orecchio’.
Cionondimeno
diamo
indicazione
di
alcune
regole
generali
per
la
pronuncia
della
‘s’:
la
‘s’
si
pronuncia
sempre
sorda:
–
quando
è
doppia
(assolo,
assessore...)
–
quando
è
preceduta
da
una
consonante
qualsiasi
(psiche,
falso,
borsa...)
–
quando
è
seguita
dalle
consonanti
‘c’,
‘f’,
‘p’,
‘q’,
‘t’.
(aspetta,
squalo,
sfera...)
–
quando
si
trova
all’inizio
di
parola
ed
è
seguita
da
una
vocale
(sei,
sole,
sarcofago...)
la
‘s’
si
pronuncia
sempre
sonora:
–
quando
è
seguita
dalle
consonanti
‘b’,
‘d’,
‘g’,
‘l’,
‘m’,
‘n’,
‘r’,
‘v’.
(Quel
ragazzo
è
sbagliato,
sdentato,
sgolato,
slavato,
smidollato,
snaturato,
sregolato
e
svogliato!)
C’è
poi
il
dibattito
sulla
pronuncia
della
‘s’
quando
si
trova
fra
due
vocali.
Da
un
lato
c’è
la
pronuncia
toscana
classica
che
vorrebbe
si
dicesse
‘vanitoso’,
‘asino’,
‘riso’,
‘chiuso’,
‘desiderio’
eccetera,
tendendo
insomma
a
pronunciarla
sorda
il
più
delle
volte.
Dall’altro
lato
c’è
la
tendenza
sempre
più
diffusa,
anche
da
parte
dei
professionisti,
a
dire
‘vanitoso’,
‘asino’,
‘riso’,
‘chiuso’,
‘desiderio’,
pronunciandola
insomma
sonora.
Una
questione
analoga
si
pone
per
la
pronuncia
della
z
posta
ad
inizio
di
parola,
che
in
molti
casi
prevede
una
pronuncia
tradizionale
sorda:
‘zappa’,
‘zampa’,
‘zecca’,
‘zampillo’,
‘zitella’...
La
tendenza
più
diffusa
è
invece
quella
di
dire
‘zappa’,
‘zampa’,
‘zecca’,
‘zampillo’,
‘zitella’,
pronunciando
insomma
sonora
la
z
ad
inizio
di
parola.
Come
tutte
le
cose,
anche
la
pronuncia
evolve
e
non
si
può
far
finta
di
niente,
per
cui
siamo
tentati
di
suggerire
una
pronuncia
sonora
per
la
s
compresa
tra
due
vocali
e
per
la
z
ad
inizio
di
parola.
È
questa
la
pronuncia
per
cui
abbiamo
optato
nostri
brani
(segnalando
sempre
con
un
asterisco
*
queste
parole),
fatte
salve
alcune
parole
molto
diffuse,
come
‘casa’,
‘cosa’,
‘zucchero’,
‘zio’,
che
ci
è
parso
opportuno
–
più
per
vezzo
che
per
reale
necessità
–
segnalare
nella
loro
pronuncia
classica,
mantenuta
del
resto
da
molti
attori
e
doppiatori.
Nei
brani
troverete
un
asterisco
*
anche
al
fianco
di
queste
parole,
ad
indicare
che
–
se
non
ne
volete
sapere
della
pronuncia
classica
–
potete
benissimo
optare
per
l’altra.
In
definitiva:
-‐
l’asterisco
dopo
una
parola
con
una
‘s’
o
una
‘z’
rossa
indica
che
la
pronuncia
suggerita
(sorda)
è
quella
classica
(ma
non
è
obbligatorio
adottarla).
Esempio:
‘casa*’
significa
che
la
pronuncia
suggerita
è
quella
classica
‘casa’,
ma
potete
dire
anche
‘casa’.
-‐
l’asterisco
dopo
una
parola
con
una
‘s’
o
una
‘z’
violetta
indica
che
la
pronuncia
suggerita
(sonora)
è
quella
moderna
(ma
nulla
vi
vieta
di
mantenere
la
pronuncia
sorda
della
tradizione)
Esempio:
‘impresa*’
significa
che
suggeriamo
di
pronunciare
‘impresa’,
anche
se
la
pronuncia
Pagina
22
classica
è
‘impresa’.
All’atto
pratico,
perciò,
ogni
volta
che
trovate
un
asterisco
potete
fare
quello
che
volete!
3
-‐
LA
VOCALE
‘O’
(PARTE
SECONDA)
Ecco
alcune
ulteriori
regolette
per
la
pronuncia
di
‘o’.
-‐
Viene
pronunciata
aperta
nelle
parole
che
terminano
con
‘o’
accentata:
però,
avrò,
farò,
dirò,
vedrò,
stirò,
partirò,
rococò...
-‐
Viene
pronunciata
aperta
nelle
voci
del
passato
remoto
in
-‐olsi/e/ero
io
còlsi,
egli
tòlse,
essi
avvòlsero...
Viceversa
è
chiusa
nelle
voci
in
-‐osi/e/ero:
io
pósi,
egli
rispóse,
essi
nascósero...
-‐
Viene
pronunciata
aperta
nelle
voci
del
participio
passato
in
-‐osso:
scòsso,
commòsso,
rimòsso,
smòsso,
promòsso...
-‐
Viene
pronunciata
chiusa
nelle
voci
del
presente
in
-‐ono
perdóno,
abbandóno,
sóno,
selezióno...
tranne
quando
è
preceduta
da
una
u
(-‐uono),
per
la
nota
regola
del
dittongo
‘uo’
abbuòno,
suòno,
tuòno
-‐
Viene
pronunciata
chiusa
negli
aggettivi
in
-‐oso
affettuóso,
appiccicóso,
delizióso,
misterióso...
-‐
Viene
pronunciata
chiusa
nella
terminazione
in
-‐ore
attóre,
amóre,
ambasciatóre,
dolóre,
valóre,
sentóre,
debitóre,
peccatóre,
calóre...
Va
bene,
va
bene,
la
smettiamo!
È
inutile
gettare
troppa
carne
al
fuoco,
solo
per
il
gusto
di
vederla
bruciare.
Meditate
piuttosto
su
queste
poche
regolette:
vi
saranno
d’aiuto
molto
più
spesso
di
quanto
potreste
immaginare...
Pagina
23
TREDICÈSIMA LEZIONE
Stètte zitto*, stèttero zitti* tutti.
Pretése silènzio, éd éssi lo fécero.
Tutti si sedèttero, nessuno èra scompósto.
Anch’égli prése pósto.
Io scélsi di méttermi in dècima fila, é gli dètti un cénno di assènso.
Facémmo attenzione a¬quélle paròle. égli poté spiegare bène ógni¬còsa*, féce dél suo
mèglio.
Alla fine tutti vénnero da¬nói, é¬dovètti fare un notévole sfòrzo, pèrsi tutto il giorno in
quélla sala, ma infine potéi accontentare tutti.
Il maèstro dirèsse ógni¬còsa* egregiaménte.
• La pronuncia dell’indicativo passato remoto non segue regole precise, e va assimilata più che altro con la
pratica.
La terminazione -ette, -etti, -ettero si pronuncia aperta: dètti, dètte, dèttero, stètti, stètte, stèttero, sedètti,
sedètte, sedèttero...
Le altre terminazioni si pronunciano spesso chiuse, ma la regola patisce parecchie eccezioni. Perciò non
perdiamo altro tempo, e ripetiamo a voce alta – senza porci troppi interrogativi – le coniugazioni al passato
remoto del verbo fare e di altri tre verbi ‘difficili’:
- io féci, tu facésti, egli féce, noi facémmo, voi facéste, essi fécero
- io dièdi (io dètti), tu désti, egli diède (egli dètte), noi démmo, voi déste, essi dièdero (essi dèttero)
- io chièsi, tu chiedésti, egli chièse, noi chiedémmo, voi chiedéste, essi chièsero
- io pèrsi (io perdètti, io perdéi), tu perdésti, egli pèrse (egli perdètte, egli perdé), noi perdémmo, voi
perdéste, essi pèrsero (essi perdèttero, essi perdérono).
ESERCIZIO 13
1. Facemmo del nostro meglio
2. Presi discretamente posto
3. Ogni cosa era scomposta
4. Persi la pazienza, ma stetti in silenzio
5. Scelsi di dare un cenno d’assenso.
Pagina
24
QUATTÓRDICÈSIMA LEZIONE
Sóno cèrto ché¬siète arrivati dópo di mé, ièri séra, é avéte tardato parécchio.
Sé¬nón vi avéssi aspettato, essèndo ormai tardi, é¬sé¬vói avéste tardato ulteriorménte,
io avrèi pèrso il trèno, é¬vói avréste spènto il fuòco.
Potévo chièdere un risarciménto*, ma¬sarèbbe stato tèmpo buttato al vènto.
Domani saréte già¬lontano, é avréte dimenticato tutto quésto.
Èbbi la stéssa esperiènza tré¬mési* fa, avèndo pèrso quél maledétto trèno.
Sé¬ci fóste stati, vé né saréste rési* cónto.
• Facciamo il punto sulle voci ‘problematiche’ degli ausiliari essere e avere:
- Indicativo presente: Io sóno, tu sèi, egli è, voi siète, essi sóno. Io hò, voi avéte.
- Indicativo imperfetto: Io èro, tu èri, egli èra, essi èrano. Io avévo, tu avévi, egli avéva, essi avévano.
- Indicativo futuro: Noi sarémo, voi saréte. Noi avrémo, voi avréte.
- Indicativo passato: Io èbbi, tu avésti, egli èbbe, noi avémmo, voi avéste, essi èbbero.
- Condizionale: Io sarèi, tu sarésti, egli sarèbbe, noi sarémmo, voi saréste, essi sarèbbero. Io avrèi, tu
avrésti, egli avrèbbe, noi avrémmo, voi avréste, essi avrèbbero.
- Congiuntivo imperfetto: Io avéssi, tu avéssi, egli avésse, noi avéssimo, voi avéste, essi avéssero.
- Gerundio: Essèndo. Avèndo.
- Participio presente: Essènte. Avènte.
• Spendiamo ora due parole sull’indicativo imperfetto in generale. La terminazione -evo, -evi, -eva, -evano
di tutti i verbi è pronunciata sempre con la ‘e’ chiusa: vedévo, vedévi, vedéva, vedévano; bevévo, bevévi,
bevéva, bevévano...
Ricordatevi, però, che l’imperfetto del verbo essere vuole la ‘e’ aperta: èro, èri, èra, èrano.
ESERCIZIO 14
1. Siete provati da quell’esperienza
2. Se n’era reso conto tre mesi fa
3. C’è parecchio vento
4. Avremmo solo perso tempo
5. Ebbi una maledetta influenza.
Pagina
25
QUINDICÈSIMA LEZIONE
Gli féce cón dolcézza un’amorévole carézza, quando un tremèndo, grottésco suòno
ruppe la bellézza di quél piacévole incantésimo
Lé fòrmule riportate in quésto mastodòntico tòmo di matematica sóno uno schérzo dél
diavolo: nón è¬sémplice comprènderle!
Sull’armadiétto di quél divertènte vecchiétto, c’è un bigliétto dél trèno insième alle
magliétte vérdi é¬rósse.
Cóntro l’insònnia, una dóccia frédda prima di andare a¬lètto.
• La terminazione in -evole, -evolo vuole sempre la ‘e’ chiusa: piacévole, amorévole, agévole, meritévole,
spregévole, conversévole, mutévole, scorrévole, benévolo, malévolo...
Non ci sono eccezioni a questa regola.
• Ricorderete che i numeri ordinali (quindicèsimo, sedicèsimo...) vogliono sempre la ‘e’ aperta. Ma
attenzione! La regola non vale in generale per tutte le parole terminanti in -esimo, che anzi in generale
hanno la ‘e’ chiusa: incantésimo, battésimo, cattolicésimo, protestantésimo, umanésimo...
Vi ricordate che le parole terminanti in -ietto/a si pronunciano con la ‘e’ chiusa nonostante il
dittongo ‘ie’?
ESERCIZIO 15
1. Il mio armadietto è più agevole
2. Il battesimo è stato piacevole
3. Udendo quello spregevole suono, ho fatto una doccia fredda
4. Vai a letto, non scherzo!
5. Soffro d’insonnia.
Pagina
26
SEDICÈSIMA LEZIONE
Il ré é¬la principéssa si chièdono chi¬sia l’artéfice di quél tremèndo cicaléccio
ché¬da¬tré óre li torménta sènza sòsta.
Hò¬sónno, spièga élla, é¬crédo di nón chièdere tròppo sé¬pretèndo silènzio.
Nón védo niènte, il suòno viène dal lato oppósto délla règgia.
ɬdunque chièdi al camerière di scovar l’artéfice, é¬ché¬vènga dato in pasto agli
avvoltói.
Comprèndo perfettaménte la tua insònnia, mia bellézza, ma¬nón ti sémbra di eccèdere?
Nón sóno un carnéfice!
• La desinenza in -efice vuole sempre la ‘e’ chiusa: artéfice, oréfice, carnéfice, pontéfice...
Non confondiamola con la desinenza in -efico, che invece si pronuncia aperta: benèfico, malèfico...
• La desinenza in -eccio vuole sempre la ‘e’ chiusa: cicaléccio, pescheréccio, mangeréccio...
• I verbi che hanno l’infinito accentato in -edere si pronunciano di norma con la ‘e’ aperta: chièdere, cèdere,
eccèdere, procèdere, succèdere...
Fa eccezione tuttavia il verbo crédere e i suoi derivati (ricrédere, miscrédere).
• Al tempo presente avremo dunque: chièdo, cèdo, procèdo, succèdo, come anche arrèdo, corrèdo, schèdo,
prèdo...
Le eccezioni da ricordare per l’indicativo presente sono due: crédo (ricrédo, miscrédo...) ma anche védo
(provvédo, stravédo...).
Scéndere, véndere, crédere e vedére sono quattro verbi che vale la pena ricordare, perchè
vogliono la pronuncia chiusa contraddicendo alle regole delle rispettive terminazioni.
ESERCIZIO 16
1. Il re e la principessa scendono le scale
2. L’artefice del tremendo cicaleccio
3. Credo saggio non eccedere
4. Vedo che cedi facilmente
5. Quel cameriere è un avvoltoio
Pagina
27
DICIASSETTÈSIMA LEZIONE
Perché¬nón ti sèi comportato bène, ièri cón ló zio*? Quésto tuo contégno è¬pazzésco.
Hò¬da¬temére ógni¬vòlta ché èsco.
Sé¬tu¬ló voléssi, potrésti ottenére risultati* eccellènti, dégni di lòde.
Altriménti io é¬tuo padre sarémo costrétti a¬prèndere sèri provvediménti, é¬farémo in
mòdo ché¬quésto tuo comportaménto indecènte cambi radicalménte éntro la fine dél
mése*.
Il giardinière stésso mi ha¬détto ché in mia assènza hai commésso dilettantésche
sciocchézze néll’armadiétto déi prodótti chimici. Pér la misèria, Michèle! La dèvi
sméttere cón quéste scemènze!
• Le voci del congiuntivo imperfetto -essi, -esse, -essimo, -este, -essero si pronunciano con la e chiusa: Io
voléssi, tu voléssi, egli volésse, noi voléssimo, voi voléste, essi voléssero.
• Anche le voci del futuro semplice si pronunciano chiuse: noi vorrémo, voi vorréte; noi farémo, voi faréte;
noi dirémo, voi diréte...
• La terminazione in -esco vuole di regola la ‘e’ chiusa: pazzésco, principésco, studentésco.
Non ci sono eccezioni quando si tratta di aggettivi; ricordate invece che il presente del verbo uscire è io
èsco, tu èsci, egli èsce, essi èscono.
• La terminazione in -egno, -egna, -egni vuole sempre la ‘e’ chiusa: dégno, ritégno, contégno, convégno,
ingégno, régno, sdégno, sostégno, asségno, impégno, légno...
ESERCIZIO 17
1. Se volessi scendere, scenderei
2. Faremo senza di te
3. Esco dal comitato studentesco
4. Comportati bene, sono serio
5. Per la miseria, quante scemenze!
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28
DICIOTTÈSIMA LEZIONE
Sèmpre mèglio, sèmpre pèggio. Fa¬fréddo qui¬fuòri, il vènto è¬gèlido, é¬nón tròvo il
postéggio.
Ti pòrsi una còppa di vino, dicèndoti angèlico: ‘Bévi, nón è uno schérzo!’
Invéce ló èra.
La professoréssa dève corrèggere i nòstri cómpiti, ma¬quanto ci métte?
Prima li dève lèggere attentaménte.
Lèggi tutto, é¬pènsaci bène prima di dare la rispósta: occórre sèmpre riflèttere a¬lungo
prima di comprométtere l’èsito délla scomméssa.
Gli fu¬détto di protèggere la règgia dél ré, ma¬nón sapéva neppure cóme si manéggia
un elmétto. Il fóro pér gli òcchi, ló ha¬mésso diètro!
Èvita di scéndere, perché¬cól fréddo ché¬fa,¬ti bécchi un’influènza. Védi ché¬cérco di
èssere accondiscèndente, ma¬su¬quésto nón cèdo.
Crédo ché¬nessuno dovrèbbe elèggere un presidènte sènza sapére niènte di politica.
Lécca la péntola, é sparécchia la tavola.
• Nel brano di oggi abbiamo visto molte voci dell’indicativo presente e dell’infinito presente che, non
seguendo una regola precisa per quanto riguarda la pronuncia, si imparano solo con la pratica.
• La pronuncia delle voci verbali dell’infinito presente varia a seconda della terminazione accentata.
Ricapitoliamo le cose più importanti:
- I verbi con l’accento in -ere (avére, vedére, sapére...) vogliono la ‘e’ chiusa
- I verbi con l’accento in -endere (prèndere, spèndere, stèndere...) la vogliono aperta tranne scéndere e
véndere.
- I verbi in -edere sono aperti (lèdere, cèdere, concèdere...) tranne crédere e i suoi derivati.
- La terminazione in -ettere è aperta (annèttere, flèttere, riflèttere) con l’importante eccezione di méttere e
di tutti i suoi derivati (scomméttere, amméttere, comprométtere, eméttere, ométtere).
- Sono aperte le terminazioni in -erdere (pèrdere, dispèrdere), -eggere (corrèggere, elèggere, lèggere,
protèggere, règgere) ed -emere (gèmere, frèmere, sprèmere)
- Sono chiuse le terminazioni in -egliere ed -evere (prescégliere, scégliere, ricévere).
• Le terminazioni in -eggio, -eggia, -egge vogliono di norma la e chiusa: campéggio, parchéggio,
occhiéggio, postéggio, contéggio, manéggio, sortéggio, grégge, légge (sostantivo)...
Fanno eccezione le parole pèggio, sèggio, règgia e le voci verbali dei verbi con l’infinito in -eggere: egli
lègge, sorrègge, elègge, protègge, corrègge...
Ad eccezione di alcuni casi particolari, a partire da oggi non segnaliamo più sistematicamente la
pronuncia delle ‘s’ e delle ‘z’, che ormai non dovrebbe più costituire un problema.
ESERCIZIO 18
1. Pensaci bene prima di compromettere tutto
2. Credo sia uno scherzo
3. Tanto peggio!
Pagina
29
APPROFONDIMENTO
1-‐
RICAPITOLAZIONE
SUI
TEMPI
DEI
VERBI
È
arrivato
il
momento
di
fare
una
bella
ricapitolazione
sulla
pronuncia
delle
diverse
voci
verbali.
Ovviamente
solo
sui
tempi
semplici,
in
quanto
quelli
composti
si
formano
con
gli
ausiliari
essere
e
avere
ed
il
participio
passato.
Consideriamo
quindi:
-‐
INDICATIVO
presente,
imperfetto,
passato,
futuro
-‐
CONGIUNTIVO
presente,
imperfetto
-‐
CONDIZIONALE
presente
-‐
PARTICIPIO
presente,
passato
-‐
INFINITO
presente
-‐
GERUNDIO
presente
Le
voci
dell’indicativo
presente,
dell’indicativo
passato
remoto
e
del
congiuntivo
presente
non
seguono
regole
precise.
Concentriamoci
piuttosto
sulle
altre:
INDICATIVO
IMPERFETTO
Le
voci
dell’indicativo
imperfetto,
che
terminano
in
-‐evo,
-‐evi,
-‐eva,
-‐evano,
vanno
sempre
pronunciate
con
la
‘e’
chiusa.
Gemévo,
gemévi,
geméva,
gemévano
Solo
l’imperfetto
del
verbo
essere
è
aperto:
èro,
èri,
èra,
èrano
INDICATIVO
FUTURO
SEMPLICE
Le
voci
dell’indicativo
futuro
semplice,
che
terminano
in
-‐emo,
-‐ete,
vogliono
sempre
la
‘e’
chiusa.
Noi
vorrémo,
voi
vorréte;
noi
farémo,
voi
faréte;
noi
dirémo,
voi
diréte.
CONGIUNTIVO
IMPERFETTO
Le
voci
del
congiuntivo
imperfetto
-‐essi,
-‐esse,
-‐essimo,
-‐este,
-‐essero
si
pronunciano
con
sempre
con
la
‘e’
chiusa.
Io
voléssi,
tu
voléssi,
egli
volésse,
noi
voléssimo,
voi
voléste,
essi
voléssero.
CONDIZIONALE
PRESENTE
Le
voci
del
condizionale
presente
hanno
una
pronuncia
‘mista’:
tre
voci
vogliono
la
‘e’
aperta
(io
-‐èi,
egli
-‐èbbe,
essi
-‐èbbero)
e
tre
la
vogliono
chiusa
(tu
-‐ésti,
noi
-‐émmo,
voi
-‐éste).
Pagina
30
Io
guarderèi,
tu
guarderésti,
egli
guarderèbbe,
noi
guarderémmo,
voi
guarderéste,
essi
guarderèbbero.
La
pronuncia
con
la
‘e’
chiusa
della
terza
persona
(guarderébbe,
guarderébbero)
è
errata,
ma
è
un
‘peccato’
tutto
sommato
veniale,
se
si
considera
che
molti
professionisti
della
parola
hanno
la
(brutta)
abitudine
di
commettere
questo
errore.
PARTICIPIO
PRESENTE
Si
pronuncia
sempre
con
la
‘e’
aperta.
Essènte,
avènte,
scrivènte,
perdènte,
supplènte.
PARTICIPIO
PASSATO
Vuole
di
regola
la
‘e’
chiusa.
Offéso,
scéso,
préso,
stéso,
compréso,
secréto,
discréto.
GERUNDIO
PRESENTE
Si
pronuncia
sempre
con
la
‘e’
aperta.
Essèndo,
avèndo,
scrivèndo,
perdèndo,
vedèndo.
INFINITO
PRESENTE
Vogliono
la
‘e’
chiusa
le
terminazioni
accentate
in:
-‐ere:
avére,
potére,
vedére...
-‐egliere:
prescégliere,
scégliere,
trascégliere...
-‐evere:
ricévere...
Vogliono
la
‘e’
aperta
le
terminazioni
accentate
in:
-‐endere:
prèndere,
accèndere,
comprèndere...;
fanno
eccezione:
scéndere,
véndere
-‐edere:
lèdere,
cèdere,
concèdere...;
fanno
eccezione
crédere
e
i
suoi
derivati
-‐ettere:
annèttere,
flèttere,
riflèttere;
fanno
eccezione
méttere
e
i
suoi
derivati.
-‐erdere:
pèrdere,
dispèrdere...
-‐eggere:
règgere,
elèggere,
lèggere,
protèggere,
corrèggere...
-‐emere:
gèmere,
frèmere,
sprèmere...
2-‐
LA
VOCALE
‘O’
(PARTE
TERZA)
La
pronuncia
di
Milano
(e
di
gran
parte
del
settentrione)
ha
enormi
problemi
con
la
vocale
‘e’
e
con
la
cogeminazione,
ma
è
abbastanza
fortunata
con
la
vocale
‘o’,
che
non
pone
moltissimi
ostacoli.
Sarà
però
utile
il
seguente
specchietto:
•
Le
parole
che
terminano
in
-‐ogna/o,
-‐oio
ed
-‐oce
si
pronunciano
con
la
‘o’
chiusa.
-‐
carógna,
cicógna,
fógna,
menzógna,
vergógna,
bisógno,
sógno...
-‐
frantóio,
rasóio,
avvoltóio,
vassóio,
accappatóio,
mattatóio...
-‐
atróce,
feróce,
fóce,
cróce,
nóce,
velóce,
vóce...
Ricordate
però
che
la
‘o’
accentata
nel
dittongo
‘uo’
è
sempre
aperta:
cuòce,
nuòce...
•
Le
parole
che
terminano
in
-‐oppo
e
quelle
che
contengono
il
gruppo
‘ons’
accentato,
si
pronunciano
con
la
‘e’
aperta:
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DICIANNOVÈSIMA LEZIONE
Accètta quésto piccolo presènte, cón sincèro affètto.
Stéfano sta¬tagliando il légno a¬cólpi di accétta, méntre io affétto il prosciutto cól
coltèllo.
Sembrava corrésse sulla tettóia, é invéce nón stava pér niènte corrèndo.
Il docènte corrèsse il tèma dél suo allièvo, rileggèndolo tré¬vòlte pér téma di nón vedére
qualche erróre.
Ecco il tè alle èrbe, preparato appòsta pér té.
Nón capisco qual’è il tuo scòpo. Nél frattèmpo scópo il paviménto.
Disse: ‘Quéste còse* té lé hò¬già¬détte’, é¬dicèndo quésto gli dètte un autèntico
schiaffo.
Quél deficiènte dél mio collèga prènde la pénna é¬colléga i puntini, numerati da uno
a¬vénti.
I vènti fréddi di quésto dicèmbre ci impediscono di andare a¬pésca.
Pèsca é¬ciliègia sóno frutti mólto nutriènti.
Esca subito di qui, é¬sé¬vuole andare a¬pésca, nón diméntichi l’ésca, é¬si mangi la
pèsca!
L’avvocato lègge cón vóce férma il tèsto délla légge.
Scórsi i titoli dél giornale, é¬fra¬lé righe scòrsi un annuncio interessante.
• Abbiamo visto oggi alcuni esempi di parole omografe ma non omofone, il cui significato cioè cambia a
seconda di come vengono pronunciate.
Infatti, sebbene l’accento cada sulla stessa vocale, in un caso la pronuncia è chiusa e nell’altra è aperta.
È inutile commentare qui le differenze di significato, poichè sono chiaramente contestualizzate nel brano.
Dopo la lettura del brano, vi sono chiare le differenze tra:
- accètta e accétta
- affètto e affétto
- corrèsse e corrésse
- tèma e téma
- tè e té
- scòpo e scópo
- dètte e détte
- collèga e colléga
- vènti e vénti
- pèsca e pésca
- èsca ed ésca
- lègge e légge
- scòrsi (verbo scorrere) e scórsi (verbo scorgere)
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ESERCIZIO 19
1. Il docente legge il tema dell’allievo
2. Accetta questo presente
3. Pesca e ciliegia non sono nutrienti
4. Non vedo il tuo scopo
5. Questo mastodontico tomo è pazzesco.
VENTÈSIMA LEZIONE
In attésa ché il panettière mi dia lé michétte, rècati pér piacére a¬prèndere una zucca*,
ché¬mi sèrve nélla ricètta délla zuppa*.
ɬtièni strétta la sciarpétta, con quésta ariétta, ché¬rischi di prèndere un’influènza.
ɬfrancaménte, non né sarèi sorprésa*.
L’inserviènte addétto alla cassa dirimpètto è¬di scarso intellètto: sono dièci minuti ché
aspètto il bigliétto, éd il cliènte precedènte è stato costrétto a¬rinunciare. Con tutto il
rispètto, è¬mèglio ché¬si dimétta!
• I diminutivi e i vezzeggiativi in in -etto, -etta vogliono sempre la e chiusa, come anche molte
altre parole: architétto, strétto, tétto, ballétto, civétta, bozzétto, casétta, pacchétto, michétta,
sciarpétta...
Ricorderete sicuramente che questa regola vince anche sul dittongo ʻieʼ: magliétta, bigliétto,
vecchiétto, armadiétto, fogliétto...
• Ci sono però numerose ed importanti eccezioni, come le parole: rètta, ricètta, sètta, accètto, affètto,
aspètto, concètto, confètto, dialètto, difètto, dirètto, dirimpètto, disinfètto, effètto, elètto, erètto, insètto,
intellètto, lètto, oggètto, perfètto, perfètto, progètto, prospètto, protètto, rispètto...
• Le terminazioni in -esa, -ese vogliono la e chiusa: mése, francése, milanése, attésa, sorprésa, difésa,
discésa, imprésa, offésa, pretésa...
Ricordate tuttavia che fa eccezione la chièsa, per la regola del dittongo ‘ie’.
ESERCIZIO 20
1. Prendi la sciarpetta
2. Il suo intelletto mi ha profondamente sorpreso
3. Fu costretto a uscire dalla chiesa
4. Con rispetto, è meglio che si dimetta
5. L’inserviente francese ha l’influenza.
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VENTUNÈSIMA LEZIONE
Egrègio presidènte, dópo parécchia incertézza mi védo ora costrétto a¬chièderle di
prèndere in sèria considerazione quésta mia lèttera di dimissióni, ché¬rispècchia
pienaménte la mia angòscia, é¬fa èco a¬cèrte paròle giunte ièri al mio orécchio, in
bibliotèca, in mèrito al futuro déll’aziènda.
In un mondo ché¬crésce ógni¬giórno, c’è¬sèmpre méno spazio pér un’imprésa* ché
invècchia, è¬cièca di frónte alle esigènze dél mercato, fa sprèco di risórse, nón si
preòccupa délla clientèla é¬nón prèmia in mòdo còngruo il personale.
Tutto quésto ha un còsto, é¬prèsto vé né accorgeréte. Con quésti presuppósti*,
ché¬corródono ógni¬prospettiva di riprésa*, nón c’è scappatóia. Lé còse* andranno
sèmpre pèggio. Prevédo un gigantésco, dirèi mastodòntico flòp éntro settèmbre.
Nón resisteréte* all’assèdio déi concorrènti, ché¬da¬parécchi anni nón danno trégua.
• La terminazione in -eco, -eca viene di norma pronunciata aperta: tèca, èco, trichèco, discotèca, bibliotèca,
ipotèca, grèco, accèco, arrèco, cièco, sprèco. Fanno eccezione le parole méco, téco, séco.
• La terminazione in -ecchio, -ecchia viene di norma pronunciata chiusa: orécchio, parécchio, sécchio,
apparécchio, sparécchio, sonnécchio, catepécchia...
Fanno eccezione spècchio, vècchio e i loro derivati (rispècchio, invècchio...)
• Le terminazioni in -eggio, -eggia, -egge vogliono di norma la e chiusa: campéggio, parchéggio,
occhiéggio, postéggio, contéggio, manéggio, sortéggio, grégge, légge (sostantivo)...
Fanno eccezione le parole pèggio, sèggio, règgia e le voci verbali dei verbi con l’infinito in -eggere: egli
lègge, sorrègge, elègge, protègge, corrègge...
Regola ed eccezioni, regola ed eccezioni, regola ed eccezioni: le note di oggi sono
particolarmente noiose! Ma non dimentichiamo che non è indispensabile impararle a memoria.
Sarà invece molto utile leggere più volte a voce alta non solamente il testo del brano, ma anche
le parole date come esempio nelle note.
ESERCIZIO 21
1. Prevedo l’incertezza del presidente
2. Lui sparecchia, lei sonnecchia
3. Vieni meco
4. C’è eco in discoteca
5. I concorrenti danno tregua.
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VÉNTIDUÈSIMA LEZIONE
Siète attènti, ó avéte desidèrio* di smétterla, cón quésta coinvolgènte, semisèria
conferènza? Spèro di èssere stato sufficienteménte esauriènte, in riferiménto alle vòstre
esigènze.
Ièri èro incèrto sull’èsito déll’evènto.
Mi avéte trovato tròppo lènto?
Era un argoménto dènso di concètti, immènso dovrèi dire, ed arduo da¬comprèndere.
Hò¬dovuto rèndere passaggi complèssi, aiutato da¬parécchi esèmpi, é¬qualche
schèma.
Il quindicèsimo teorèma costituiva un bèl problèma! Di conseguènza c’èra il rischio di
fraintèndere, ma¬dópotutto niènte è¬sémplice: sono propènso a¬ritenére positivo quésto
incóntro.
• La terminazione in -enza, -enze, -enzio vuole la ‘e’ aperta: conferènza, esigènza, conseguènza,
coesistènza, concorrènza, influènza, scadènza, silènzio, assènzio, presènzio, sentènzio...
Vi farà piacere sapere che, per una volta, non ci sono eccezioni a questa regola.
• Anche la terminazione in -ensa, -ense, -enso vuole la ‘e’ aperta: dènso, immènso, propènso, melènso,
circènse, dispènsa, mènsa, ricompènsa...
Oggi siamo buoni: neppure questa regola patisce eccezioni.
• La terminazione in -emo/a vuole anch’essa la ‘e’ aperta: schèma, teorèma, problèma, sistèma, poèma,
crisantèmo, blasfèmo, estrèmo, suprèmo, prèmo...
In questo caso l’eccezione è importante, ma dovrebbe esservi già familiare. Si tratta infatti di tutte le voci
verbali del futuro semplice, che vogliono la ‘e’ chiusa: sarémo, farémo, dirémo, verrémo...
Sappiate inoltre che ‘per téma di sembrare scémo, io témo di scrivere il tèma’.
ESERCIZIO 22
1. Smettila! Spero di essere esauriente
2. Fui attento alla conferenza
3. Fai uno schema del teorema
4. Le conseguenze di questa ricompensa sono immense
5. Questo esempio fa fraintendere!
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VÉNTITRÉÈSIMA LEZIONE
Quélla débole nébbia ché inèbria ló spirito, resterà indelèbile néi nòstri pensièri, di cui
nói sóli sarémo artéfici.
É il liève zèffiro ché¬sóffia benèfico sui nòstri capélli, resterà sèmpre imprèsso cón
dolcézza nél ricòrdo.
Cón uno sberlèffo, si féce bèffe di quél brutto cèffo.
Ma¬quéllo spregévole ribèlle, cón sprèzzo, sènza pèrdere la sua compostézza, nón
avrèbbe esitato a¬prèndersi la rivincita, sé¬nón fósse stato pér il suo intervènto.
• Parliamo un po’ della ‘e’ accentata quando è seguita dalla consonante ‘b’.
Come regola generale, in questi casi va pronunciata aperta:
- èbano, giulèbbe, èbbe, fèbbre, èbbro, plèbe, indelèbile, flèbile, zèbra, algèbrico, inèbrio, rèbus.
Ricordate, in particolare, le voci del condizionale: sarèbbe, vorrèbbe, dirèbbe, farèbbe, andrèbbe...
E veniamo ora alle eccezioni: si tratta delle desinenze in -ebbia/o, -ebito ed -ebole:
- nébbia, trébbia, annébbio, débito, addébito, débole.
• Quando una ‘e’ accentata è seguita dalla consonante ‘f’, viene normalmente pronunciata aperta.
-cèfalo, bizzèffe, èffe, bèffe, sberlèffo, cèffo, mi bèffo, zèffiro, benèfico, malèfica, telèfono...
L’eccezione la conosciamo già: si tratta della desinenza -efice:
- oréfice, carnéfice, artéfice.
Anche la desinenza in -éfe fa eccezione, ma non riguarda alcuna parola di uso comune
ESERCIZIO 23
1. Il ricordo mi inebria
2. C’erano orefici a bizzeffe
3. Il brutto ceffo fece uno sberleffo
4. Il carnefice è ormai debole
5. La plebe risolve un rebus.
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VÉNTIQUATTRÈSIMA LEZIONE
Un anèlito di vènto sóffia sulla mia tragèdia, lé ónde si incréspano sul fréddo arcipèlago,
la salsèdine corróde lé mie stanche mèmbra.
Mèdito sul tèdio ché¬ci opprime.
Védo gli uccèlli, é¬crédo di volare.
Smétti di gèmere.
Nón soppòrto quél tremèndo cicaléccio!
Abbi féde. Védo mólta gènte ché éntra éd èsce spazientita pér chièdere di sméttere.
Spésso é¬volentièri succède ché¬ló schérmo si oscuri. Nón ci sarà un problèma cón
l’anténna?
Ma¬ché stai dicèndo? A¬mé¬nón sémbra. Il problèma è¬cói tuòi òcchi. Vai dal mèdico,
piuttòsto.
• Quando la ‘e’ accentata è seguita dalle lettere ‘li’, viene pronunciata aperta: camèlia, cèlia, cèlibe, èlica,
angèlico, famèlico, filatèlico, evangèlico, efèlide, gèlido, cimèlio, èlio, epitèlio, anèlito, prosèlito...
• Parliamo ora un pochino della ‘e’ accentata seguita dalla lettera ‘d’. Come regola generale, viene
pronunciata aperta: salsèdine, intercapèdine, raucèdine, rèdini, dèdalo, rèddito, anèddoto, erède, sède,
piède, èdera, fèdera, cèdere, chièdere, procèdere, succèdere, commèdia, inèdia, mèdia, sèdia, tragèdia,
dèdica, prèdica, dèdico, mèdico, prèdico, assèdio, rimèdio, tèdio, dèdito, èdito, erèdito, inèdito, mèdito,
accèdo, cèdo, arrèdo, chièdo, concèdo, prèdo, schèdo, cotilèdone, cèdro, pulèdro, rèduce, èduco,
incrèdulo...
Ci sono ovviamente alcune eccezioni:
- la terminazione in -eddo: fréddo
- le terminazione in -edovo/a: védovo
- alcune parole che terminano in -edo/e: féde, malaféde...
- il verbo crédere e le sue voci (crédo, crédi, créde...), le voci del verbo vedere (védo, védi, véde...) e i loro
derivati (ricrédo, provvédo, prevédo...)
- i numeri trédici e sédici
- la parola crédito e i suoi derivati (discrédito, scrédito, accrédito...)
In queste ultime due lezioni abbiamo studiato quattro regole molto generiche che, se impariamo
ad applicare, ci verranno in aiuto molto spesso: ‘e+b’, ‘e+f’, ‘e+li’ ed ‘e+d’.
Memorizzarne le eccezioni è tutto sommato fattibile, perchè non sono poi molte e in gran parte
dovremmo già conoscerle.
Se si considera il vasto campo di applicazione di queste regole, vale forse la pena spenderci
ancora un po’ di tempo...
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ESERCIZIO 24
1. Il vento è freddo gelido
2. Il medico entra ed esce incredulo dallo studio
3. Spesso e volentieri lo schermo smette di trasmettere
4. È una predica evangelica
5. La salsedine corrode l’antenna.
APPROFONDIMENTO
SPECCHIETTO
PER
STABILIRE
LA
PRONUNCIA
DI
UNA
PAROLA
Naturalmente
è
vivamente
consigliato,
ogni
volta
che
è
possibile,
cercare
la
pronuncia
delle
parole
‘sconosciute’
su
un
buon
dizionario
fonetico.
Adesso
però
vogliamo
proporre
un
rapido
schemino
da
applicare
quando
si
presenta
una
parola
sulla
cui
pronuncia
avete
dei
dubbi,
ma
che
potete
evincere
utilizzando
le
regole
che
conoscete.
•
Innanzitutto
guardiamo
se
si
tratta
di
una
voce
verbale.
In
questo
caso
dobbiamo
fare
riferimento
allo
specchietto
della
scorsa
lezione
di
ricapitolazione,
specificamente
dedicato
alla
pronuncia
delle
voci
verbali.
•
Controllare
se
la
‘e’
accentata
-‐
appartiene
al
dittongo
‘ie’
-‐
è
seguita
da
una
vocale
-‐
è
seguita
da
una
consonante
e
due
vocali
-‐
è
seguita
da
una
lettera
‘b’
-‐
è
seguita
da
una
lettera
‘f’
-‐
è
seguita
da
una
lettera
‘d’
-‐
è
seguita
dalle
lettere
‘li’
In
tutti
i
questi
casi
la
‘e’
verrà
pronunciata
aperta,
con
le
seguenti
eccezioni:
-‐
dittongo
ie:
[terminazioni
in
-‐ietto/a,
-‐iezza,
parole:
ateniese,
chierico,
scambievole,
occhieggio]
-‐
e+vocale:
[voci
del
passato
remoto
in
-‐ei,
parole:
dei
(degli),
nei
(negli),
pei,
quei,
ei]
-‐
e+consonante+due
vocali:
[terminazione
in
-‐eguo/a/ito,
parole:
fregio,
sfregio]
-‐
e+b:
[terminazioni
in
-‐ebbia/o,
-‐ebito,
-‐ebole]
-‐
e+f:
[terminazione
in
-‐efice]
-‐
e+d:
[terminazioni
in
-‐eddo,
-‐edovo/a,
voci
del
verbo
credere
e
vedere,
parole:
fede,
malafede,
tredici,
sedici,
credito
(e
derivati)]
•
Controllare
se
si
può
risolvere
con
una
delle
diciotto
‘chiavi’
che
abbiamo
imparato
a
memoria.
•
Se
la
parola
non
corrisponde
a
nessuno
di
questi
requisiti,
non
vi
resta
che
metter
mano
al
dizionario
fonetico...
A partire da domani, i brani non saranno più accompagnati dalle note a margine con regole ed
eccezioni: abbiamo già incontrato quelle più importanti e generiche, e non è il caso di annoiarci
oltre.
Affideremo ai brani stessi il compito di insegnarci la pronuncia di molte altre parole di uso
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39
corrente, e allo stesso tempo di fissare le conoscenze che già abbiamo acquisito.
Approfittando dell’assenza delle note a margine, potrete impiegare un po’di tempo per ripassare
le note delle lezioni precedenti o per riprendere in mano il testo dei vecchi brani!
VÉNTICINQUÈSIMA LEZIONE
Prèndi il tónno o¬l’aragósta?
Schérzi? Dèvo stare a¬dièta!
Allóra scégli tu, io mi adéguo.
Pènso ché andrèbbe bène un’insalata.
ɬdópo?
Niènte!
Ma¬tu¬sèi da¬ricóvero! Neppure bévi?
Cèrto ché¬bévo! Un succo di pèsca.
Sènza zucchero*, scommétto.
Scommétti bène.
Contènta tu... Camerière!
Avete provato a memorizzare il brano con le diciotto chiavi? Forza, ripetiamolo ancora una volta:
“C’è parecchio silenzio nella stupenda biblioteca...”
Se non avete ancora dato un’occhiata all’appendice sull’articolazione, è arrivato il momento di
dedicare un po’ di tempo anche a questo aspetto dell’arte del parlare.
Nelle cinque pagine di appendice sull’articolazione sono proposti alcuni degli esercizi classici
suggeriti a chi affronta per la prima volta questa disciplina. Non dimenticatevi, ogni tanto, di
provarli anche voi!
ESERCIZIO 25
1. Dopo il tonno cosa prendi?
2. Cameriere, un succo di pesca!
3. Se sei a dieta, mi adeguo
4. Scommetto che bevi qualcosa
5. La ricoverano tra tre ore.
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VÉNTISÉIÈSIMA LEZIONE
Pòrsi il quadèrno alla professoréssa, attendèndo il respònso. Ma¬dópo brève, élla si
accòrse di un atróce erróre.
Dópo avér fatto la dóccia, córse a¬prèndere il suo accappatóio giallógnolo.
Bévvi un bicchière di tè¬fréddo cón la nuòva rècluta.
Pér avérmi cavato da¬quél maledétto intòppo, mèriti una còngrua ricompènsa.
Apprèndo ché¬l’ipnòsi è una sciènza sèria ché¬concèrne la sfèra déll’incònscio
Ché sta¬facèndo? Prelèva trécènto èuro, mi sémbra. Cérco di vedére mèglio.
Da¬dóve¬viène quésto aròma amarógnolo?
Da¬quésta béstia decompósta.
Il clima è¬sécco. Svèlto, lèvati di tórno!
“C’è parecchio silenzio nella stupenda biblioteca...”
Lo avete già imparato? Ricordate che allenare la memoria è utilissimo, e non è mai troppo tardi...
ESERCIZIO 26
1. Si accorse atroce intoppo
2. Il responso fu breve: niente ricompensa
3. La recluta non crede all’ipnosi
4. Bevvi un te freddo giallognolo
5. L’aroma è eccellente.
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VÉNTISÉTTÈSIMA LEZIONE
Ȭmèglio ché èviti quésta scorciatóia: se¬ti bécca un vigile rischi la rèvoca délla patènte.
ɬrallènta, pér piacére.
Ma¬sé¬vado lènto cóme una lumaca!
Stai all’érta! Bada ché¬nón schérzo.
Va bène, rallènto. Ma adèsso rilassati, ché alla strada ci pènso io.
Ma¬ché stai facèndo? Pér l’amór dél cièlo, stérza!
Règgiti fòrte. Dèvo superare quésto deficiènte.
Sméttila, ti prègo, abbrèvia lé mie sofferènze.
Lèi, là¬fuòri, dóve ha¬préso la patènte?
Si lèvi dal marciapiède, ó¬lé smèmbro la portièra!
Quésto è¬tròppo. Férma la véttura, é¬fammi scéndere.
ESERCIZIO 27
1. Farai meglio a prendere la scorciatoia
2. Reggiti, o finirai sul marciapiede!
3. Pensa alla revoca della patente, e rallenta
4. Guardare il cielo è un piacere
5. Svelto, preleva il denaro.
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42
VÉNTÓTTÈSIMA LEZIONE
La bélva feróce annéga nélla mélma. Ȭtròppo débole pér uscirne. Sènti cóme¬gème.
Fra¬cènto anni sé né troverà¬lo schelètro. È una mòrte lènta é¬crudèle, nón cèrto
cèlere.
Si tratta inóltre di una spècie a¬rischio di estinzióne, sottopósta a¬tutèla dalle
organizzazióni a¬protezióne déll’ambiènte.
Nón védo cóme¬puoi sopportare quésto tremèndo gèmito. Ci va un bèl fégato. A¬mé¬si
congèla il sangue nélle artèrie é¬nélle véne.
Nón ti sémbra di eccedère? Pènsa a¬quanto è¬feróce. È una bélva ché¬ti smèmbra cón
i sóli dènti.
ESERCIZIO 28
1. C’è una belva feroce nella melma
2. Mi sento debole
3. È una specie crudele, ma sottoposta a tutela
4. Le arterie e le vene del fegato
5. È stata una morte celere.
VÉNTINÓVÈSIMA LEZIONE
La bellézza struggènte délla principésca dottoréssa èra un sèrio problèma.
Il goliardésco paése nón poté¬resistere alla sua immènsa dolcézza.
S’èra détto bène. Al tèmpo stésso, però,¬nón s’èra fatto niènte.
Cón incèrta acrèdine, sènza un sèrio torménto, quasi fósse un’inèzia, lé diède una
carézza.
Diètro a¬quél pezzétto di orticèllo, accanto alla chiesétta, passava il trèno.
Mi èccito quando azzécco la rispósta, ma¬quésta vòlta hò¬fatto cilécca.
Rècito il poèma di fronte ad un vècchio spècchio, ma smétto perché¬mi duòle il dènte.
ESERCIZIO 29
1. Che bella chiesetta, con l’orticello!
2. Non poté resistere a quel dolore struggente ai denti
3. Al tempo stesso, penso sia inutile
4. Il poeta recita un poema
5. Hai fatto cilecca!
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43
TRÉNTÈSIMA LEZIONE
Ièri il cavalière ateniése agitò¬lièto quélla bandièra, é¬diètro alla magliétta déll’egrègio
vecchiétto vide uno sfrégio.
Non èbbe idèa di quélla stoltézza, é¬nel séguito déll’assèdio un intènso sènso di
melènso tra la gènte perdènte lo còlse sovènte sènza trégua.
Il tremèndo rècord di véndere morèndo la stélla di sua sorèlla, é un capéllo dél suo
asinèllo – unico erède délla sua féde – gli féce crédere di vedére un fogliétto diètro al
bigliétto.
Voléva scéndere é¬sorprèndere il problèma sènza attèndere di vedére la salsèdine di
quéi trichèchi di cui lèsse in bibliotèca.
Nel surreale gioco di parole che vi proponiamo oggi si mescolano regole ed eccezioni che
dovrebbero ormai esservi note. Ma è un’ottima occasione per un bel ripasso!
ESERCIZIO 30
1. Il biglietto del treno
2. I capelli dei miei fratelli
3. Le stelle nel cielo
4. Scendo e prendo un tricheco
5. Non credo alla stoltezza degli ateniesi.
TRÉNTUNÈSIMA LEZIONE
Il tèmpo è incèrto. dal vèntre dél cièlo.
Nuvole tètre Tornato è il seréno,
oscuravano l’atmosfèra, éd ècco apparire l’arcobaléno.
èrano lé tènebre, Un èsile vènto carézza
é¬la tempèsta. i pètali déi fióri.
Óra il fréddo si dilègua, Ché splèndida scèna!
una bréccia si apre
ESERCIZIO 31
1. Questa tempesta mi ottenebra la mente
2. Sono spiacente per questo contrattempo
3. C’era uno splendido arcobaleno nel cielo
4. La scena è fredda e tetra
5. I petali dei fiori sono esili.
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TRÉNTADUÈSIMA LEZIONE
Ièri a¬céna hò¬mangiato una zuppa* di céci, un piatto di spaghétti, una bistécca di
pècora, é una macedònia sènza zucchero* cón pèsche, ciliègie é¬pompélmi.
Ché¬frétta c’èra, maledétta primavèra?
Stupènda quéll’agènda.
Sènti, sóno sènza il bécco d’un quattrino.
Svèlto, bévi éd èsci! Io vèngo dópo di té.
Chi¬fa¬da¬sé, fa¬pér tré.
Il suo stile è¬pièno di ricercatézze.
S’annòia parécchio in quélla catapécchia.
Sarà¬lécito o illécito?
Sollécito una rispósta.
ESERCIZIO 32
1. Per me spaghetti e bistecca
2. Pesca, ciliegia e pompelmo
3. Ti ho detto che non c’è fretta
4. Premiano le sue ricercatezze
5. Sollecito una risposta, ho fretta!
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TRÉNTTRÉÈSIMA LEZIONE
Ièri séra èra tutto complèto, pér la rècita teatrale.
Io hò¬contéso* con un signore obéso* l’ultimo bigliétto pér un posto in dècima fila.
Lèi non è¬molto fotogènica, ma¬sul palcoscènico è¬davvéro splèndida.
ɬpòi c’è¬quélla cèlebre scèna conclusiva: la fanciulla vérgine contèmpla di sottécchi il
primogènito, tenténna a¬lungo, pòi métte l’arsènico nél suo bicchière, spacciandolo pér
un analgèsico.
Lui béve, é¬dopo brève diviène il viso cèrulo, la mano trèmola, pòi affanna é incéspica.
Lui muòre, lèi piange, calano lé tènebre, é¬con ésse il sipario.
Davvéro commovènte.
ESERCIZIO 33
1. Quella scena mi ottenebra la mente
2. Il signore obeso è davvero fotogenico
3. La vergine incespica sul palcoscenico
4. Contemplo di sottecchi l’arsenico
5. Il ventre del primogenito.
TRÉNTAQUATTRÈSIMA LEZIONE
È stato uno sfacèlo ièri! Hai presènte quélla vècchia megèra istèrica, egocèntrica é
obésa*, ché¬sémbra una sfèra pièna di grasso?
L’hò incontrata é¬lé hò¬détto cón ènfasi: “Ma¬lèi ha¬lé travéggole, baléna oscèna,
decrèpita é¬nevrastènica!’
Èra cèrta di vedére una péntola di polènta é,¬famèlica cóm’è, ha oltrepassato lé
transénne pér andare a¬prènderla, cèlere cóme una metèora.
Puoi immaginare l’èsito, quando si è¬résa* cónto ché èra una sémplice candéla.
Una scèna patètica!
ESERCIZIO 34
1. La vecchia megera ha fatto uno sfacelo
2. È isterico ed egocentrico, e ha le traveggole
3. Hanno messo le transenne intorno alla sfera
4. Ha lodato con enfasi la polenta
5. Corre come una meteora, sembra nevrastenica!
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TRÉNTACINQUÈSIMA LEZIONE
Códe chilomètriche sulle autostrade, simmètriche dal nòrd al sud dél Paése.
L’inattéso* èsodo di inizio settèmbre ha¬riportato un’allégra atmosfèra vacanzièra.
Ma il bollettino mèteo désta preoccupazióne.
Ȭpur véro ché¬nón ci azzécca mai.
Il mio fruttivèndolo dice ché¬ci prèndono pér féssi.
ESERCIZIO 35
1. Il Paese è in preda ad un’atmosfera vacanziera
2. Non ci azzecca mai!
3. È magro, scheletrico direi
4. Vai dal pescivendolo?
5. C’è una coda chilometrica, e io non sono fesso
TRÉNTASÉIÈSIMA LEZIONE
Incèndia l’inségna di légna, calpésta il terréno di cartapésta.
Diméntica accéso* l’aggéggio elèttrico é¬nón spégne la luce dél presèpe, cóme¬sé¬nón
dovéssi pagare la bollétta.
Pòi causa lamentèle, cón annèssi é¬connèssi.
È un autèntica guastafèste.
Nón è¬cèrto dégna dél prèmio in palio.
Meriterèbbe invéce le manétte, é¬la galèra.
ESERCIZIO 36
1. Dimentico che è autentico
2. È buio pesto
3. Alla festa c’è stato un incendio
4. Accendere e spegnere
5. Meriti le manette e la galera!
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47
TRÉNTASÉTTÈSIMA LEZIONE
Raffaèle!
Vèngo, Terèsa!
C’è un cratère in un punto stratègico dél soffitto.
Sèi sèmpre la stéssa! Ȭsólo una piccola crèpa al cèntro délla stanza.
Ma¬vedrai ché¬si disgrèga. ɬcomunque è antiestètica. Il colóre déll’intònaco nón è¬più
omogèneo.
Ti ripèto ché¬nón è il caso di preoccuparsi.
Vècchia la tua cantilèna. ‘Va tutto bène’, ‘esageri cóme¬sèmpre’, eccètera.
Ma¬ché¬gènere di uòmo sèi?
Prèndi una scala, scròsta é¬lèviga il soffitto. Perché altriménti nón reggerà al péso*.
Ricòrdati ché¬sèi cénere, ha¬détto il prète alla mia crésima.
Ché accidènti stai dicèndo? Ché¬c’éntra óra? ɬcomunque, èra il véscovo in persóna.
ESERCIZIO 37
1. Il colore dell’intonaco è eterogeneo
2. Aggrego e disgrego
3. Gli devo ripetere di non competere con me
4. Uno strano genere di cenere
5. Incrosto la pentola.
TRÉNTOTTÈSIMA LEZIONE
È svéglio quél garzóne di bottéga!
La bottéga ché¬vénde cosmètici?
Sì, quéllo ché¬fa¬lé conségne.
Lavóra cón mètodo, è¬concrèto, è¬bèllo é ha un fisico d’atlèta.
ɬné apprèzzo la modèstia.
Il padróne invéceè un emèrito deficiènte. Spècula sulla pèlle di quél poverétto,
sottoponèndolo ad un lavóro frenètico.
ESERCIZIO 38
1. Devo fare la consegna di un cosmetico
2. Apprezzo la tua modestia
3. Tu, invece, sei un emerito deficiente
4. Il garzone specula sulla mia pelle
5. Poveretto, non ha metodo!
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TRÉNTANOVÈSIMA LEZIONE
Lé hò¬fatto cénno, ma¬nón ricévo rispósta.
Còsa* vuòi? È una fémmina... Nón capisce niènte!
Mé né sono réso* conto. Óra la sollèvo dal suo incarico, é¬lé lèvo il permésso pér la
caccia alla lèpre.
Bravo! ɬméttile in mano il méstolo. Quéllo dève fare!
Guarda là, diètro alla félce! È un fagiano. Férmo! Óra lo séguo.
Accidènti. È sparito nélla pinéta.
Cérca di èssere più¬discréto, ó spavènti lé béstie!
In rèplica alla vòstra lèttera, allégo documénto cón il contratto di véndita, il prospètto
délla rèndita dél terréno é¬la dèlega pér ritirare la miscèla cón il veléno cóntro gli insètti.
Spèro cón quésto di adémpiere pienaménte alle vòstre esigènze.
ESERCIZIO 39
1. Vendita e rendita
2. Accenno brevemente alla vostra lettera
3. Rimesto e mescolo, col mestolo
4. Fai un cenno alla bestia
5. Ho esigenza di una tua delega.
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QUARANTÈSIMA LEZIONE
Hò¬fatto un dólce caseréccio* cón lé ciliègie amarène dél mio fruttéto. Pròprio ièri né
hò¬riempita una césta.
Né vuòi una fétta?
Sì,¬sé è¬tènera
Schérzi? Ȭmorbidissima. Dovrèi portarne una fétta anche al prète.
Nón crédo ché¬la gradirèbbe. Da¬quando ha scopèrto di avére il diabète ha adottato
uno stile di vita più igiènico, sótto moltéplici aspètti: ha smésso di fumare lé sigarétte,
guarda cón sprègio i dolciumi éd èsce di casa* in biciclétta. Però¬si è¬rótto un tèndine.
Oh, poverétto!
ɬquél légno cos’è?
Viène sèmpre dalla cortéccia dél mio ciliègio.
Ma allora né hai fatto scémpio. Nón si smèmbrano lé piante!
ESERCIZIO 40
1. Smembra il frutteto
2. Vuoi una fetta di dolce alle amarene?
3. La gradirei, ma ho il diabete
4. Una bicicletta in legno di ciliegio
5. Il prete guarda con spregio le sigarette.
QUARANTUNÈSIMA LEZIONE
Mèmore délle règole impóste, égli sèppe giungere alla mèta affrontando illéso la giuria
sènza ché gli ponésse il vèto, é¬sótto l’ègida dél presidènte
Quésto oscèno vilipèndio è un sacrilègio, é¬sé¬pènsi di uscirne indènne commétti un
sèrio erróre.
Hai irrimediabilménte léso la nòstra aziènda, é hò appréso* ché¬nessun istituto di
crédito ci concederà una dèroga.
Nél séguito délla vicènda, ti farai carico personalménte dél dispèndio conseguènte
a¬quésto incéppo.
ESERCIZIO 41
1. Gira sui ceppi accesi lo spiedo scoppiettando
2. Il presidente ha posto il veto
3. Immemore delle regole imposte, commise un osceno sacrilegio
4. Seppe giungere indenne alla meta
5. Uscì illeso da quella vicenda.
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QUARANTADUÈSIMA LEZIONE
Mio genèro studia tré¬discipline assolutaménte eterogènee.
Té lé elènco: aritmètica, poètica é¬dietètica.
Ché intrèpido!
Sua zia* èra idèntica a¬lui!
Sarà¬congènito!
Ci vuòle una tèmpra d’acciaio: passa óre sui tèsti, scrive compèndi sintètici, inségna ai
suòi allièvi...
É, in parallèlo, si òccupa délla tutèla délle forèste.
Sì, cón impégno perpètuo é¬temperaménto battaglièro!
Ma¬sémbra così¬mansuèto...
È una sua scélta di vita, pér apparire indiféso* é indurre i contendènti a¬sottovalutarlo.
Ché uòmo! È un tèmpio di saggézza...
Ha un sólo difètto: sòffre il sollético!
ESERCIZIO 42
1. Un compendio sintetico di aritmetica
2. Un solletico poetico
3. Non si scherza con l’etica professionale
4. Si impegna nella tutela dell’ambiente
5. Una scelta intrepida.
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QUARANTATRÉÈSIMA LEZIONE
Sóno cèrto ché¬dève èsserci un fóro in quésta stòffa, é adèsso ló scóvo.
Nón si rasségna finché¬consègue la mèta prepósta.
Allèvo béstie ché¬vivono in simbiòsi.
Quante lèttere déll’alfabèto ci sóno nélla paròla ‘capézzolo’?
È un villaggio ridènte é amèno.
Il salumière elèva il prèzzo délla mèrce espósta.
C’èra un longèvo èsule ateniése appéso* alla giòstra, ma adèsso è scéso*,
é¬sarà¬mésso al rògo.
Il bórdo di quésta colónna risale al medioèvo, méntre il dipinto a¬tèmpera è¬d’època
più¬recènte.
Ha apèrto una bréccia nél cuòre dél suo còmplice. Gatta ci cóva!
È stéso sul lètto cón ló stèreo accéso*.
La carènza di iòdio è¬coinvòlta nélla gènesi dél gózzo.
Nón védo quale scòpo perségue il suo stèrile sfógo via ètere, ché accèntua lé differènze
tra¬lé parti.
ESERCIZIO 43
1. Quale bestia ha tre capezzoli?
2. Se sfora il tempo viene interrotto
3. Scendi dal bordo della giostra
4. Che splendida tempera!
5. Gatta ci cova...
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QUARANTAQUATTRÈSIMA LEZIONE
Sull’órlo déllo stagno, in mèzzo al bòsco, c’è una pècora ché affóga,
in un lémbo di néve disciòlta dal sóle allo zènit.
Dapprima lòtta cón fóga pér liberarsi da¬quél giógo, pòi i suòi sfòrzi si fanno più¬tènui,
infine si rasségna.
Pènetra néi profóndi abissi, l’acqua in superficie s’incréspa.
Il dèmone èvoca lé sfère celèsti, é invòca gli dèi, còmplici di quél sacrificio.
Rièmpie una còppa pièna di nèttare,
un’aròma di mòrte aléggia nélla sua dimòra.
ESERCIZIO 44
1. I suoi capelli sono crespi
2. Abbordo la professoressa, e le chiedo del tema
3. C’è una pecora sull’orlo del bosco
4. Vuoi una coppa di champagne?
5. La mia dimora è piena di neve
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QUARANTACINQUÈSIMA LEZIONE
I germógli di sòia sóno mólto in vóga, é io mi adéguo, nonostante il còsto.
Il dòtto professóre dice ché¬gióvano al dótto intestinale.
Fanno bène anche il lièvito di birra é il gèrme di grano.
Mi ha¬pòi détto di prèndere i sémi di girasóle, é¬di consumare tanti legumi, prèvio
ammòllo.
ɬla tua spòsa ché¬né pènsa?
Avèndo la gótta, lèi dève escludere alcuni legumi. Ma¬pér il rèsto, ségue anche lèi la mia
dièta.
Ha¬dovuto méttere un frèno al consumo di carne, èra sull’órlo dél ricóvero.
Con oggi abbiamo concluso i brani di studio attraverso i quali volevamo veicolare la pronuncia di
alcune parole utili non contemplate dalle regole che abbiamo appreso nelle prime settimane del
corso.
A partire da domani e fino alla fine del corso, ci dedicheremo alla lettura di qualche celebre
componimento poetico, che ci darà la possibilità di mettere in pratica e consolidare quanto
abbiamo imparato, godendo allo stesso tempo - finalmente, dopo un mese e mezzo di brani ai
limiti dell’idiozia! - di qualche capolavoro della letteratura italiana.
ESERCIZIO 45
Questa è anche l’ultima volte che trovate l’esercizio. Da domani vi lasceremo in pace!
1. È incredibilmente edotto
2. A chi giova?
3. Prendo solo i germogli di soia
4. Hanno messo un freno al costo del lievito
5. Previo pagamento, sarà ammessa al ricovero.
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QUARANTASÉIÈSIMA LEZIONE
Carducci, Pianto antico
L’albero a¬cui tendévi
La pargolétta mano,
Il vérde melograno
Dai bèi vermigli fiór
Nél muto òrto solìngo
Rinverdì¬tutto ór óra,
ɬgiugno ló ristòra
Di luce é¬di calór.
Tu¬fiór dé¬la mia pianta
Percòssa é inaridita,
Tu¬déll’inutil vita
Estrèmo unico fiór,
Sèi nélla tèrra frédda,
Sèi nélla tèrra négra;
Né il sól piú¬ti rallégra
Né¬ti risvéglia amór.
Senza alcuna pretesa didattica o didascalica, forniamo a margine alcuni cenni per inquadrare la
poesia e facilitarne la comprensione a chi ne fosse completamente ‘digiuno’. Gli altri non si
offendano!
Tratto da ‘Rime nuove’, questo bellissimo componimento poetico (del 1971) si riferisce ad un
tragico episodio della vita di Carducci, ossia la morte del suo unico figlio maschio all’età di soli tre
anni.
Dalle finestre della sua casa a Bologna, Carducci vede un albero di melograno piantato nel
cortile, e ricorda l’immagine del figlioletto che lo indicava con la sua manina.
Ogni estate l’albero rinverdisce ed è riscaldato dai raggi del sole, ma il suo bambino non potrà più
risvegliarsi dal sonno della morte.
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QUARANTASÉTTÈSIMA LEZIONE
Foscolo, A Zacinto
Né¬più¬mai toccherò¬lé sacre spónde
óve il mio còrpo fanciullétto giacque,
Zacinto mia, ché¬té spècchi néll’ónde
dél grèco mar da¬cui vérgine nacque
Vènere, é¬féa quélle isole fecónde
cól suo primo sorriso*, ónde nón tacque
lé tue limpide nubi é¬lé tue frónde
l’ìnclito vèrso di colui ché¬l’acque
cantò¬fatali, éd il divèrso esiglio
pér cui bèllo di fama é¬di sventura
baciò¬la sua petrósa* Itaca Ulisse.
Tu¬nón altro ché il canto avrai dél figlio,
ó¬matèrna mia tèrra; a¬nói prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Argomento di questo sonetto è la lontananza del poeta dalla sua terra natale, l’isola greca di
Zacinto, che non ha più rivisto dai tempi dell’infanzia, e che evoca in questo componimento nella
sua dimensione mitologica.
Avete notato come Foscolo ha nascosto il rumore del mare, che si infrange placido sulla riva
dell’isola, tra i versi della poesia? Se teniamo le ultime parole di ogni riga delle prime due
quartine, dalla prima togliamo ‘sp’, dalla seconda ‘gi’, dalla quarta ‘n’, dalla quinta ‘fec’, dalla
sesta ‘t’ e dalla settima ‘fr’, ecco quello che rimane: onde, acque, onde, acque, onde, acque,
onde, acque. Bello, vero?
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QUARANTOTTÈSIMA LEZIONE
Leopardi, L’infinito
Sèmpre caro mi fu¬quést’érmo còlle,
ɬquésta sièpe, ché¬da¬tanta parte
Déll’ultimo orizzónte il guardo esclude.
Ma¬sedèndo é¬mirando, interminati
Spazi di là¬da¬quélla, é¬sovrumani
Silènzi, é¬profondissima quiète
Io nél pensièr mi fingo; óve pér pòco
Il còr nón si spaura. ɬcóme il vènto
Òdo stormir tra¬quéste piante, io quéllo
Infinito silènzio a¬quésta vóce
Vò¬comparando: é¬mi sovvièn l’etèrno,
ɬle mòrte stagióni, é¬la presènte
é¬viva, é il suòn di lèi. Così¬tra¬quésta
Immensità¬s’annéga il pensièr mio:
É il naufragar m’è¬dólce in quésto mare.
‘L’infinito’ è spesso identificato come uno degli esiti più alti della poesia leopardiana. Fu
composto a Recanati nel 1819, all’età di ventuno anni, quando Leopardi viveva ancora nella casa
del padre, trascorrendo lunghe ore nella fornita biblioteca, che comprometteranno per sempre la
sua stessa salute.
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QUARANTANOVÈSIMA LEZIONE
Pascoli, X Agosto
San Lorènzo, io ló sò¬perché¬tanto
di stélle pér l’aria tranquilla
arde é¬cade, perché¬sì¬gran pianto
nél còncavo cièlo sfavilla.
Ritornava una róndine al tètto:
l’uccisero: cadde tra spini:
élla avéva nél bécco un insètto:
la céna déi suòi rondinini.
Óra è¬là, cóme in cróce, ché¬tènde
quél vèrme a¬quél cièlo lontano;
é il suo nido è¬néll’ómbra, ché attènde,
ché¬pigola sèmpre più¬piano.
Anche un uòmo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdóno;
é¬restò¬négli apèrti òcchi un grido:
portava due bambole in dóno...
Óra là, nélla casa* romìta,
ló aspèttano, aspèttano invano:
égli immòbile, attònito, addita
lé bambole al cièlo lontano.
ɬtu, Cièlo, dall’alto déi móndi
seréni, infinito, immortale,
óh! d’un pianto di stélle ló inóndi
quést’atomo opaco dél Male!
Tratta da ‘Myricae’, questa poesia fa riferimento ad un episodio della vita di Pascoli, ossia
l’assassinio del padre Ruggero nella notte di San Lorenzo, il 10 agosto 1867.
Le stelle cadenti, secondo la tradizione, sono le lacrime di San Lorenzo, che soffre per
l’ingiustizia e il dolore del mondo umano (‘quest’atomo opaco del male’).
Il componimento presenta un parallelo tra l’uccisione della rondine, che tornava al nido dai suoi
piccoli per potar loro il cibo che teneva nel becco; e l’assassinio del padre, che tornava dai suoi
cari recando due bambole in dono.
I rondinini aspettano a lungo nel nido, destinati a morire di fame (il nido ‘pigola sempre più
piano’); così aspettano invano i familiari...
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CINQUANTÈSIMA LEZIONE
Pascoli, L’assiuòlo
Dóv’èra la luna? ché il cièlo
notava in un’alba di pèrla,
éd èrgersi il mandorlo é il mélo
parévano a¬mèglio vedérla.
Venivano sóffi di lampi
da un néro di nubi laggiù;
veniva una vóce dai campi:
chiù...
Lé stélle lucévano rare
tra¬mèzzo alla nébbia di latte:
sentivo il cullare dél mare,
sentivo un frù¬frù¬tra lé fratte;
sentivo nél cuòre un sussulto,
cóm’èco d’un grido ché¬fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su¬tutte lé lucide vétte
tremava un sospiro di vènto:
squassavano lé cavallétte
finissimi sistri d’argènto
(tintinni a invisibili pòrte
ché¬fórse nón s’aprono più?...);
é¬c’èra quél pianto di mòrte...
chiù...
Sempre tratto da ‘Myricae’, questo famoso componimento rappresenta una pittoresca e
suggestiva meditazione sulla morte e sul mistero della vita.
Viene descritta una notte piena di lampi e scure nuvole, che nascondono alla vista la presenza
della luna, testimoniata solamente dal bianco perlaceo diffuso nella notte. Il vento scuote gli
alberi che si stagliano nel cielo, e porta da lontano il rumore delle onde che si infrangono, il
fruscio degli animali notturni nascosti nei cespugli (le fratte), l’eco di un antico dolore. Le invisibili
porte della morte non si aprono più, neppure al suono dei ‘sistri’ metallici che usavano gli antichi
egizi per il culto di Iside (dea dei morti).
La morte è invincibile, e la sua presenza è testimoniata dall’enigmatico, singhiozzante pianto di
morte dell’uccello notturno: chiù…
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CINQUANTUNÈSIMA LEZIONE
Giovanni Pascoli, Miricae, Creature
I - FIDES
Quando brillava il vèspero vermiglio,
é il ciprèsso paréva òro, òro fino,
la madre disse al piccolétto figlio:
Così¬fatto è¬lassù tutto un giardino.
Il bimbo dòrme, é¬sógna i rami d’òro,
gli alberi d’òro, lé forèste d’òro;
méntre il ciprèsso nélla nòtte néra
scagliasi al vènto, piange alla bufèra.
II - CÉPPO
Ȭmezzanòtte. Névica. Alla piève
suònano a¬dóppio; suònano l’entrata.
Va¬la Madònna bianca tra¬la néve:
spinge una pòrta; l’apre: èra accostata.
Éntra nélla capanna: la cucina
è¬pièna d’un sentór di medicina.
Un bricco al fuòco s’òde borbottare:
piccolo il céppo brucia al focolare.
Un gran silènzio. Sóno a¬méssa? Bène.
Gesù¬trèma; Maria si accòsta al fuòco.
Ma ècco un suòno, un rantolo ché¬viène
di¬su, sèmpre più¬fièvole é¬più¬ròco.
Il bricco vèrsa é sfrigge: la campana,
cól vènto, ór s’avvicina, ór s’allontana.
La Madònna, cón una mano al cuòre,
gème: ‘Una mamma, figlio mio, che¬muòre!’
ɬpiano piano, cól suo bimbo fiso
nél céppo, tórna all’uscio, apre, s’avvia.
Il céppo sbracia é¬crèpita improvviso,
il bricco vèrsa é sfrigola via via:
quél rantolo... è¬finito. Ó¬Maria stanca!
bianca tu¬passi tra¬la néve bianca.
Suòna d’intórno il dóppio déll’entrata:
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III - MÒRTO
Manina chiusa, ché¬nél sónno grande
stringi qualcòsa, dimmi còsa* ci hai!
Còsa* ci ha? còsa* ci ha? Vane domande:
quéllo ché stringe, niuno saprà¬mai.
Té¬l’ha¬portato l’Angelo, il suo dóno:
nél sónno, sèmpre ló stringévi, un dóno.
La nòtte c’èra, nón c’èra il mattino.
Quésto ti resterà. Dòrmi, bambino.
IV - ÒRFANO
Lènta la néve fiòcca, fiòcca, fiòcca.
Sènti: una zana dóndola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bócca;
canta una vècchia, il ménto sulla mano.
La vècchia canta: Intórno al tuo lettino
c’è¬ròse é¬gigli, tutto un bèl giardino.
Nél bèl giardino il bimbo s’addorménta.
La néve fiòcca lènta, lènta, lènta.
V - ABBANDONATO
Nélla soffitta è¬sólo, è¬nudo, muòre.
Stille su stille gèmono dal tétto.
Gli dice il Santo ‘Ancóra un pò’,¬fa’¬cuòre’
Mórmora ‘Il pane; è¬tanto ché¬l’aspètto’
L’Angelo dice ‘ór viène il Salvatóre’
Sospira ‘un panno pél mio fréddo lètto’
Maria dice ‘Ȭfinito il tuo dolóre!’
‘oh’ mamma io vòglio, é¬dormire al suo pètto’
Lagrima góccia a¬góccia la bufèra
nélla soffitta. Il Santo véglia, assiso;
l’Angelo guarda, smòrto cóme céra;
la Vérgine Maria piange un sorriso*.
Tace il bambino, aspètta sino a¬séra,
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CINQUANTADUÈSIMA LEZIONE
Manzoni, Adelchi, coro atto IV
Sparsa lé trécce mòrbide
Sull’affannóso* pètto,
Lènta lé palme, é¬ròrida
Di mòrte il bianco aspètto,
Giace la pia, cól trèmolo
Sguardo cercando il cièl.
Cèssa il compianto: unanime
S’innalza una preghièra:
Calata in su¬la gèlida
Frónte, una man leggèra
Sulla pupilla cèrula
Stènde l’estrèmo vél.
Sgómbra, ó¬gentil, dall’ansia
Ménte i terrèstri ardóri;
Lèva all’Etèrno un candido
Pensièr d’offèrta, é¬muòri:
Fuòr délla vita è il tèrmine
Dél lungo tuo martìr.
Tal délla mèsta, immòbile
Èra quaggiuso il fato:
Sèmpre un obblio di chièdere
Ché¬lé saria negato;
É al Dio déi santi ascéndere
Santa dél suo patir.
Ahi! nélle insònni tènebre,
Péi claustri solitari,
Tra il canto délle vérgini,
Ai supplicati altari,
Sèmpre al pensièr tornavano
Gl’irrevocati dì;
Quando ancór cara, impròvida
D’un avvenir mal fido,
èbbra spirò¬lé vivide
Aure dél Franco lido,
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CINQUANTATREÈSIMA LEZIONE
Manzoni, Il cinque maggio
Éi fu.¬Siccóme immòbile,
dato il mortal sospiro,
stétte la spòglia immèmore
òrba di tanto spiro,
così¬percòssa, attònita
la tèrra al nunzio sta¬
muta pensando all’ultima
óra déll’uòm fatale;
né¬sa quando una simile
órma di piè’¬mortale
la sua cruènta pólvere
a¬calpestar verrà.
Lui folgorante in sòlio
vide il mio gènio é¬tacque;
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é¬disperò;¬ma¬valida
vénne una man dal cièlo,
é in più spirabil aere
pietósa il trasportò;
é¬l’avvïò,¬péi flòridi
sentièr délla speranza,
ai campi etèrni, al prèmio
ché i desidèri* avanza,
dóv’è¬silènzio é¬tènebre
la glòria ché¬passò.
Bèlla Immortal! benèfica
Féde ai trïónfi avvézza!
Scrivi ancór quésto, allégrati;
ché¬più¬supèrba altézza
al disonór dél Gòlgota
giammai nón si chinò.
Tu¬dalle stanche cèneri
spèrdi ógni¬ria paròla:
il Dio ché attèrra é¬suscita,
ché affanna é¬ché¬consóla,
sulla desèrta cóltrice
accanto a¬lui posò*.
Tutti noi a scuola avevamo imparato a memoria il ‘Cinque maggio’, composto da Manzoni dopo
aver appreso la notizia della morte di Napoleone sull’isola di Sant’Elena, nel 1821.
Ma l’avevamo imparato con una corretta dizione?
Questa potrebbe essere l’occasione per studiarlo di nuovo...
CINQUANTAQUATTRÈSIMA LEZIONE
Dante Alighieri, La Divina commedia, Inferno, Canto III
‘Pér mé¬si va¬nélla città¬dolènte,
pér mé¬si va¬néll’etèrno dolóre,
pér mé¬si va¬tra¬la perduta gènte.
Giustizia mòsse il mio alto fattóre;
fécemi la divina potestate,
la sómma sapïènza é il primo amóre.
Dinanzi a¬mé nón fur còse* create
sé¬nón etèrne, é io etèrno duro.
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respirazione di ventre
respirazione di costole
Infine, proviamo a respirare solamente a livello del petto, intendendo con ‘petto’ la parte
alta del torace.
Questa volta poniamo una mano sul petto, e lo vediamo alzarsi ed abbassarsi ad ogni
atto respiratorio. Durante l’inspirazione, sentiamo il ventre che rientra e il petto che si
gonfia (pancia in dentro, petto in fuori).
respirazione di petto
Nessuno di questi tre modi di respirare è corretto, ma abbiamo potuto distinguere le tre
zone interessate alla respirazione. Adesso, è arrivato il momento di imparare a
coinvolgerle tutte e tre!
Ad ogni inspirazione, si deve riempire per primo il ventre, poi le costole e infine il petto.
Lo stesso ordine deve essere seguito durante l’espirazione.
Proviamo, magari ponendo una mano sul ventre e l’altra sul fianco per verificare la
corretta esecuzione dell’esercizio.
L’atto respiratorio deve essere molto lento e profondo, ma non esagerato e convulso.
Non bisogna gonfiarsi e sgonfiarsi esageratamente, bensì inspirare finchè è possibile
senza contrarsi, ed espirare fino in fondo ma senza dover ‘forzare’ l’aria ad uscire.
Inoltre, il respiro deve essere ritmico. Il ‘ritmo’ del proprio respiro dovrebbe essere
sempre percepito, in ogni momento della giornata: lui ci darà calma e sicurezza.
Adesso proviamo ancora una volta, però in posizione seduta e con la schiena ben dritta.
Ricordiamoci: prima il ventre, poi le costole, poi il petto quando inspiriamo; prima il
ventre, poi le costole, poi il petto quando espiriamo.
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Per chi non è abituato, respirare correttamente richiede molto esercizio iniziale.
Per il momento, ci accontenteremo di eseguire questo esercizio per cinque o dieci minuti
al giorno, meglio se al mattino prima di colazione e davanti alla finestra aperta.
Presto ci renderemo conto che questo modo di respirare, che adesso ci sembra così
forzato e innaturale, sarà diventato spontaneo anche negli altri momenti della giornata.
ESERCIZIO 2
Un errore che molti di noi commettono consiste nel respirare con la bocca quando si
parla, e perdipiù nel farlo con inspirazioni brevi e quasi convulse dettate dalla fretta
inconscia di riprendere a parlare.
Non c’è niente di più sbagliato, in quanto così facendo la laringe e le corde vocali non
vengono correttamente umidificate, si seccano presto e si irritano, causando quel
fastidioso dolore nel quale i non professionisti della parola si imbattono dovendo parlare
più a lungo del solito.
Ovviamente è giusto che una certa quota d’aria venga recuperata con la bocca, quando
si parla, ma durante le pause bisogna respirare con il naso.
Per cui il nostro secondo esercizio di dizione è ancora legato alla respirazione.
Sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando sto parlando
Nello svolgere questo esercizio, cercate di mantenere una voce robusta ma costante e
monocorde, senza variare il tono, la velocità o l’intensità.
Chiunque può parlare con una voce più grave, calda e avvolgente, se impara ad
amplificarla a livello del petto, ossia nella parte inferiore della laringe a livello
dell’addome.
È quella che chiamiamo ‘voce di petto’.
Il passaggio da una voce di testa ad una voce di petto non è immediato, ma con un po’ di
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aaaaaaaaaah
ma senza contrarre la laringe. Questa specie di sospiro disperato deve essere prodotto
dal solo fiato che esce dal petto. Il suono di petto deve nascere quanto più in profondità
possibile, non in bocca.
ESERCIZIO 5
Sempre servendoci del solo fiato, pronunciamo ora una serie di brevi sillabe, inspirando
col naso dopo ciascuna sillaba. Prendiamo ad esempio la frase ‘voce di petto’, e
pronunciamo:
Adesso prendiamo un testo a caso e leggiamone qualche frase così, con la sola forza del
fiato, sillaba per sillaba, inspirando tra una sillaba e l’altra. In questo modo svilupperemo i
nostri toni bassi, che nascono dal profondo del nostro petto.
Per quanto penoso (per chi parla e soprattutto per chi ascolta), questo esercizio è molto
importante e andrebbe ripetuto ogni volta che capita.
ESERCIZIO 6
Subito dopo avere eseguito l’esercizio precedente, proviamo a pronunciare una vocale
contraendo questa volta la laringe (ossia ‘parlando’ davvero, senza usare solo il fiato).
Dapprima la pronunciamo come siamo abituati (e cioè ‘in bocca’), e gradualmente la
facciamo ‘scendere’ verso il petto.
petto –––––––––––––––––––>
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Ricordiamo che dobbiamo sentire il petto ‘che vibra’, altrimenti non stiamo ancora
utilizzando la voce di petto. Ma non è il caso di farsi prendere dallo sconforto. Tra
qualche giorno, ripetendo pazientemente questi esercizi, ci riusciremo facilmente.
ESERCIZIO 8
Eseguiamo questo esercizio solo quando siamo sicuri di avere imparato bene i
precedenti.
Prendiamo una frase a caso e pronunciamola, molto lentamente ma tutta in una sola
espirazione, facendo vibrare il petto.
Bene. Questa è la nostra ‘voce di petto’. Ci siamo riusciti, anche se ci sentiamo ridicoli
perchè non è la nostra voce. Sicuramente adesso stiamo esagerando un pò, stiamo
emettendo una voce troppo grave, quasi tetra. Ma per adesso va bene, perchè dobbiamo
imparare a parlare in questo modo.
Quando poi ci verrà spontaneo di farlo, la voce suonerà più naturale, e non tetra come ci
sembra ora, ma calda e avvolgente.
Forza, quindi! Prendiamo un testo a caso e leggiamolo a voce alta come abbiamo
imparato a fare.
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ooooooooo
ad una intensità bassa, ma costante nel tempo, per pochi secondi. Per la corretta riuscita
dell’esercizio, il suono deve essere quello di una ‘o’ chiusa.
Inspirare, e mantenere il suono
oooooooooooo
ad una intensità superiore e più a lungo.
Infine, inspirare e mantenere il suono
oooooooooooooo
ad una intensità ancora superiore e ancora più a lungo.
ESERCIZIO 10
Prepararsi come per l’esercizio precedente, ma emettere un suono che aumenta
costantemente di intensità.
oooooo oo oo
Ripetiamo questo esercizio finchè riusciamo ad ottenere un aumento costante
dell’intensità del suono e senza rotture della voce. Non dimentichiamo naturalmente ciò
che abbiamo già imparato: inspirare con il naso, e voce di petto!
ESERCIZIO 11
Questa volta spieghiamo la voce tutta in una volta, alla massima intensità che riusciamo
a mantenere.
ooooooooooo
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Naturalmente non bisogna urlare, perchè questo implicherebbe l’uso di una voce non
‘puramente’ di petto.
ESERCIZIO 12
Contrariamente ai precedenti, questo esercizio richiede di inspirare dopo ogni suono.
Tariamoci su tre livelli di intensità del suono ‘a’, ed emettiamoli alternativamente con
brevi ‘colpi’ di voce
o o o oo o oo
o o o
Ripetiamo qualche altre frase in questo modo. Se c’è qualcuno vicino a noi, chiediamogli
di provare a leggere le nostre labbra. Se capisce quello che stiamo dicendo, significa che
stiamo eseguendo bene l’esercizio.
ESERCIZIO 16
Nei prossimi due esercizi faremo quello che normalmente non dobbiamo fare! Vale a
dire, parleremo a denti stretti. Anzi, strettissimi. In questo modo saremo costretti ad uno
sforzo notevole per articolare le consonanti. Quando poi riprenderemo a parlare
normalmente, ci renderemo conto di articolare in modo molto più netto.
Dunque, serriamo i denti. E, senza poterli muovere (ma muovendo le labbra, la lingua ed
il palato) pronunciamo una frase:
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Pronunciamo qualche altra frase in questo modo. In breve tempo, ci renderemo conto di
poter parlare perfettamente anche a denti stretti. Significa che stiamo articolando bene.
ESERCIZIO 17
Adesso che abbiamo imparato a parlare quasi normalmente con i denti stretti,
aggiungiamo un ostacolo in più.
Prendiamo una matita, la infiliamo trasversalmente in bocca e la stringiamo tra i denti.
In questo modo daremo impiccio anche alla lingua, ma dovremo cercare di parlare
quanto meglio possibile. Pronunciamo
A! des! so! sto! par! lan! do! muo! ven! do! nuo! va! men! te! la! boc! ca! e! ries! co!
ad! ar! ti! co! la! re! in! mo! do! de! ci! sa! men! te! mi! glio! re! ris! pet! to! a! pri!
ma!
Cercate di procedere a ritmo sostenuto, pronunciando una sillaba via l’altra senza pause
intermedie, ma sempre ‘lanciandole’ con energia e vigore, come suggeriscono i punti
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esclamativi.
Detto questo, possiamo passare alla seconda parte del nostro sommario, che ha
come idea centrale la seguente: non è possibile ottenere risultati concreti senza
una opportuna preparazione.
È chiaro che la prima parte, fino ai due punti, va pronunciata più velocemente; mentre
l’ultima parte, dopo i due punti, va pronunciata più lentamente.
ESERCIZIO 21. Pause.
La variazione di velocità deve prevedere anche dei momenti di ‘velocità zero’, ossia delle
vere e proprie pause. Le pause sono elementi fondamentali in qualunque discorso,
perchè ne valorizzano il contenuto e creano suspence. Molte persone, erroneamente,
sono prese dalla fretta di concludere e tendono a parlare con un ritmo troppo accelerato,
escludendo del tutto le pause. Anzi, quando non viene loro una parola, preferiscono
pronunciare fastidiosi versi (del tipo ‘aeeeeeeeeeeehm’) piuttosto che interrompere il
flusso della voce.
Niente di più sbagliato. Quando non ci viene una parola, dobbiamo stare zitti e pensare
con calma. Ma le pause non servono solo in questa occasione: devono essere inserite ‘a
effetto’ in opportuni momenti del discorso, per dare peso maggiore a quanto appena
detto.
Pronunciamo ad esempio questa frase velocemente e senza pause
Non c’è che una pena comminabile ad un criminale di tale efferatezza: la più grave.
Per questo chiedo, Vostro Onore, che l’imputato sia condannato a morte.
(media lentezza) Non c’è che una pena comminabile ad un criminale di tale
efferatezza
(pausa, per creare suspence)
la più grave
(pausa, per valorizzare quanto detto, facendolo ‘risuonare’ nel silenzio)
(più velocemente).
Per questo chiedo
(breve pausa)
Vostro Onore
(breve pausa)
che l’imputato sia condannato a morte
(pausa lunga).
E fin qui sembrerebbe tutto chiaro ma c’è un ma: questo provvedimento era tenuto
segreto.
L’esercizio classico che viene fatto per esercitare queste inflessioni è quello della scala di
pianoforte.
Si pronuncia la solita ‘o’ chiusa e prolungata, con voce di petto e cercando di eseguire la
nota ‘do’ più grave che riusciamo a pronunciare.
Quindi cerchiamo sul pianoforte il ‘do’ di gravità corrispondente al nostro tono grave,
spostiamo le dita sui tasti fino alla nota ‘si’ (verso i toni acuti, naturalmente) attraverso
tutte le note (lasciamo perdere le seminote), e andiamo di pari passo con la voce
cercando di riprodurre il suono che sentiamo. Quindi torniamo indietro fino al do grave.
scala grave:
do(1) re mi fa sol la si la sol fa mi re do(1)
scala media:
do(2) re mi fa sol la si la sol fa mi re do(2)
scala acuta:
do(3) re mi fa sol la si la sol fa mi re do(2)
Attenzione a non ricorrere alla voce di testa pur di eseguire la scala acuta. Piuttosto, è
meglio rinunciarci.
Proviamo adesso tutta la scala dei toni dal più grave al più acuto e viceversa.
scala completa:
do(1) re mi fa sol la si do(2) re mi fa sol la si do(3) re mi fa sol la si
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Per finire, dobbiamo esercitarci a passare da un tono all’altro senza seguire la gradualità
di queste scale. L’esercizio consisterà dunque, individuate le tre ottave che riusciamo a
riprodurre con la voce, a schiacciare tasti a caso sul pianoforte e a riprodurre il suono
con la voce.
Ad esempio:
do(1) si(2) re(1) sol(3) do(3) do(2) fa(1) fa(3) sol(2) si(2) fa(1) re(2) mi(3)
IL VIAGGIO PROSEGUE...
Eccoci arrivati alla fine.
Il vostro impegno è stato sicuramente premiato dagli incredibili progressi che avete fatto
in così poco tempo.
Nel corso di questi due mesi siete stati introdotti all’arte della dizione e, se è stata la
motivazione a muovervi e vi siete applicati con buona volontà, sicuramente avete fatto
molti passi avanti: siete in grado di pronunciare correttamente la grande maggioranza
delle parole che incontrate.
Anche se non vi siete impegati fino in fondo, di certo vi siete scrollati di dosso gli errori
più grossolani e fastidiosi, e sapete come pronunciare correttamente le parole di uso più
frequente.
È però evidente che questo corso non vi ha trasformato in maestri di dizione, lasciandovi
anzi ancora alcuni dubbi sulla pronuncia di certe parole.
La dizione è più che altro una questione di automatismi, non di studio mnemonico delle
regole e delle eccezioni. Ci vuole tanta pratica, e - per una volta - il tempo sarà il vostro
migliore alleato.
Ora che avete oltrepassato lo scoglio iniziale, la strada sarà in discesa, ma non per
questo vi dovete fermare. Se volete affinare la vostra dizione, non interrompete qui i
vostri progressi!
43) béstia tré capézzoli; sfóra tèmpo viène interrótto; scéndi bórdo giòstra; splèndida
tèmpera; cóva
44) capélli sóno créspi; abbórdo professoréssa chièdo tèma; pècora órlo bòsco; vuòi
còppa; dimòra pièna néve
45) incredibilménte edòtto; gióva; prèndo sólo germógli sòia; mésso trèno còsto lièvito;
prèvio pagaménto amméssa ricòvero