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PSICOMETRIA

Operazionalizzazione: specificare gli elementi che legano ciò che non è direttamente
osservabile all'empirico, consentendo quindi la misurazione come attribuzione di numeri.

Modello: espressione formalizzata di una teoria, il cui scopo è quello di individuare la


spiegazione più semplice possibile di un fenomeno naturale. Le scienze si occupano di costruire
modelli, che sono costrutti matematici che, con l'aggiunta di specifiche interpretazioni verbali,
descrivono i fenomeni osservati. Un modello ci aiuta quindi a capire e spiegare, ma anche
predire un fenomeno.

Reflective Indicator Model

Formative Indicator Model

Scale di misura

- Nominale: unità di analisi uguali o diverse → categorizzare. I numeri non hanno valore
numerico ma eventualmente il solo scopo di differenziare gli individui. Ha 3 proprietà:
categorie distintive (elementi di categorie differenti sono non equivalenti rispetto alla
variabile); categorie collettivamente esaustive (tutti gli elementi devono poter essere
classificati in una categoria); categorie mutualmente escludentisi (ogni elemento rientra in
una sola categoria).
- Ordinale: è possibile ordinare le unità di analisi dalla minore alla maggiore: si può stabilire
che A è diverso da B ma anche che possiede la proprietà/attributi della variabile in misura
maggiore o minore di B. Tuttavia non possiamo dire di quanto. Si sa solo il rango, la
posizione “in classifica”:
Tuttavia esistono ben 5 tipi di scale ordinali, in base alla variabile sottostante (misurabile o
non con unità di misura) o che la variabile sottostante non ci sia proprio.
1) variabile metrica categorizzata con soglie note: variabile misurabile di tipo metrico, con
riferimento alle sue unità (es. reddito annuo con soglia di divisione nota: 0-20.000 /
20mila-40mila..)

2) variabile metrica categorizzata con soglie non note: pur avendo la variabile sottostante,
non si fanno riferimento alle sue unità e quindi non si hanno i punti soglia (reddito
medio-alto-basso).

3) Variabile latente categorizzata con soglie non note: variabile metrica non misurabile,
per cui la classificazione è realizzabile solo grazie all'accordo tra individui (es. criteri di
classificazione alta-moderata-bassa gravità di un disturbo, per accordo della comunità
psichiatrica)

4) Variabile discreta semi-standardizzata con categorie ordinate: variabile sottostante non


esistente, classificazione realizzata sulla base dell'accordo tra individui (es.
classificazione da parte dei medici dei pazienti: morte, danni permanenti, danni
temporanei, prive di danni)

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5) Variabile discreta non standardizzata con categorie ordinate: non c'è variabile
sottostante e il riferimento ad uno standard oggettivo è impossibile (es. grado di accordo
misurato in una scala Likert, ognuno ha una diversa percezione di “completamente
d'accordo”..ecc.)
- Intervalli equivalenti → essendo presente un'unità di misura, diventa nota la distanza
tra un punteggio e l'altro, e quindi la quantità di attributo che li separa. Lo zero è uno
zero relativo / arbitrario, nel senso che non possiamo individuare una assenza di
caratteristica, e il fatto che sia arbitrario fa sì che il rapporto tra valori non è invariante
al variare della scala di misura. La maggior parte dei costrutti psicologici misurati dai
test sono su scala ad intervalli, in quanto è l'assenza di attributo non è teoricamente né
empiricamente sostenibile per la maggior parte delle caratteristiche psicologiche. I
punteggi ai test non saranno interpretati quindi “in assoluto”, ma in relazione ad altri
punteggi, cioè della popolazione di riferimento (Avere 120 di QI ha senso solo se so che
la media nella popolazione è di 100, altrimenti il numero da solo non è informativo.
Non possiamo affermare che un punteggio di 20 ha il doppio di caratteristica rispetto a un
punteggio di 10, in quanto su un'altra scala tale rapporto può variare.
- Rapporti → è presente uno zero assoluto, indicante l'assenza di attributo misurato. Ne
sono esempi variabili come “numero di risposte corrette” (esempio di variabili
discrete il cui valore è determinato contando) o “tempi di reazione” che sono invece
variabili continue che possono assumere qualunque valore tra i numeri reali positivi.
I valori mantengono la costanza del rapporto anche in presenza di trasformazioni di
scala di misura (es. altezza doppia lo è in tutte le unità di misura dell'altezza).

I test psicologici
Il costrutto è la caratteristica latente che deve essere misurata, per cui bisogna farla emergere,
attraverso gli item che costituiscono il test. La misura del costrutto è basata sull'osservazione
del comportamento a seguito della somministrazione della domanda o della prova che
dovrebbe permettere di rilevare il costrutto.
Ci sono 4 grandi categorie di misure:
• Latenza: intervallo di tempo che intercorre tra la presentazione dello stimolo e la
produzione della risposta. È alla base dei tempi di reazione, e attraverso il metodo sottrattivo si
possono calcolare, a partire dal tempo di reazione semplice anche i tempi di reazione di
discriminazione e di scelta.
• Frequenza e durata numero di volte in cui un determinato comportamento si
manifesta e quantità di tempo in cui esso viene mantenuto.
• Intensità di una risposta allo stimolo (oggettivamente con misure elettrofisiologiche
per esempio, o oggettivamente attraverso scale di valutazione es. intensità del dolore)

Tipi di test psicologici


Test di prestazione massima – cognitivi
Valutano il funzionamento normale dell'individuo: abilità (capacità, differenze individuali),
profitto (capacità acquisite con la formazione o dopo una spiegazione), attitudinali (dovrebbero
predire prestazione futura), intelligenza (suddivisa a sua volta in moltissimi test e scale diverse
per valutarne i diversi ambiti: memoria visuo-spaziale, abilità verbali, ecc.); e test per la
valutazione di eventuali deficit neuropsicologici.

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Test di preazione tipica – non cognitivi


Misurano personalità o atteggiamenti allo scopo di rilevare il punto di vista del soggetto.
Intervista faccia a faccia
Intervista semi-strutturata
Test self-report

La scala Likert è un insieme di item i cui punteggi vengono sommati per ottenere un punteggio
totale che rappreasenta la quantificazione del costrutto che si intende misurare. Il formato di
risposta in cui si utilizza una scala a più punti o una linea orizzontale indica invece l'item di tipo
Likert.

Differenziale semantico
Test proiettivi
Test delle associazioni di parole

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Proprietà psicometriche di un test psicologico


Attendibilità → si riferisce alla precisione di una misurazione e alla ripetibilità dei risultati
ottenuti. L'attendibilità è l'accuratezza con cui un test misura una certa variabile psicologica e
riproduce lo stesso risultato al netto dell'errore di misurazione che inevitabilmente viene
commesso.
L'errore accettabile deve essere casuale e di entità trascurabile. Non deve mai essere
sistematico, o bias.
Il coefficiente di attendibilità varia tra 0 (attendibilità nulla) e 1 (attendibilità perfetta). Quanto
più l'errore di misurazione tende a zero, più l'attendibilità è prossima a 1. inoltre, se si
conoscono e sommano gli errori di misurazione sono uguali a zero: essendo infatti casuali, a
lungo andare si bilanceranno gli uni con gli altri. → sono quelle che chiamiamo fluttuazioni
casuali del punteggio osservato rispetto al punteggio vero.
Validità: è quell'attributo che ci consente di stabilire se lo strumento misura o meno ciò che ci
si propone di misurare: lo strumento può anche essere attendibile, cioè preciso ma non valido
per quel tipo di costrutto. La validazione di un test è la procedura con cui si stabilisce se la
misurazione ottenuta mediante il test raggiunge lo scopo per cui lo strumento è stato
sviluppato.

Validità di contenuto: indaga se il campione di operazionalizzazioni inserito nel test è


un campione rappresentativo dell'universo di operazionalizzazioni possibili nel costrutto.
Validità di facciata: grado in cui gli item sono comprensibili per le persone che
saranno sottoposte al test
Validità di criterio: quanto il risultato può essere utilizzato per prevedere un
particolare comportamento di un individuo. Cioè quanto i punteggi a un test
corrispondono ai risultati ottenuti in altre prove o in comportamenti osservabili in modo
indipendente dalla valutazione psicometrica. Il criterio è scelto in base all'obiettivo che
si vuole raggiungere.
(Esempio: test sull'ansia: sottoposto a un gruppo con disturbo d'ansia e uno senza: il
criterio utilizzato è la diagnosi, che è stata indubbiamente fatta indipendentemente dai
risultati del test.)
Concorrente: misura del costrutto e criterio rilevati contemporaneamente e
funzionalmente connessi.
Predittiva: Il criterio è stato misurato successivamente alla rilevazione della
misura, ed è da esso spiegato/predetto.
es. test che ci aiuta a prevedere se in futuro le stesse persone potranno
sviluppare un disturbo d'ansia.
Postdittiva: grado in cui i punteggi a un test sono in relazione con un criterio
che consiste in un evento accaduto in passato (con le prove che si sia verificato)
La validità di criterio è importante, deve essere molto accurata dato i costi che
potrebbe comportare un errore, in quanto contiene implicazioni importanti a livello delle
decisioni prese sulle persone coinvolte.
Validità incrementale: legata all validità di criterio, è il contributo che il test può
portare nel migliorare la oredizione di un criterio teoricamente o clinicamente rilevante
nel momento in cui è utilizzato insieme ad altre misure. Dovrebbe quindi permettere di
valutare se l'inserimento o meno del test in una batteria aumenta la capacità predittiva
dell'intero set di strumento.
Validità di costrutto: è la validità in rapporto ad una funzione, cioè la valutazione

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della connessione del test con la struttura teorica e concettuale delle funzioni da esso
misurate.
Convergente: grado di correlazione tra misurazioni diverse delle stesso
costrutto (più test che misurano la stessa cosa)
Divergente: mancanza di correlazione tra la misurazione del costrutto e misure
di costrutti diversi (specialmente se affini al costrutto)
Validità nomologica: racchiude questi tipi di validità al fine di chiarire cosa il
costrutto è, ossia stabilire le relazioni esistenti tra il costrutto e le sue proprietà,
e tra il costrutto ed altri costrutti.

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Il campionamento

Probabilistico
Casuale semplice: le unità di analisi sono estratte singolarmente in modo casuale, ogni unità ha
la stessa probabilità di venire selezionata e la sua probabilità di far parte del camppione è
indipendente da quella delle altre. Può essere con o senza reinserimento: la procedura con
reinserimento garantisce una maggior garanzia di rappresentatività del campione: stime più
affidabili dei parametri e degli errori di stima e genera una selezione oggettiva e valida degli
elementi del campione per qualunque variabile si voglia considerare, evitando così i bias. Se il
fatto che con l'estrazione con reinserimento può causare ripetizioni è un problema, si può
procedere senza reinserimento (ma ricordare che comporta un'alterazione dell'effettiva casualità
nella selezione). Il campionamento quasi casuale è uguale ma non tutti gli elementi hanno la
stessa probabilità di essere estratti.
Stratificato: quando vogliamo stimare i parametri di sotto-popolazioni della popolazione
generale, è più efficace campionare casualmente all'interno dei singoli strati interessati. Gli strati
sono le suddivisioni derivanti dagli incroci delle singole variabili di interesse: così possiamo
riprodurre le proporzioni note nella popolazione. Si possono usare una o più variabili di
stratificazione, dipende dalla ricerca. In ogni caso ciò obbliga ad avere a priori informazioni sulla
popolazione che stiamo studiando. I partecipanti sono campionati in modo da riflettere
esattamente le proporzioni individuate nella popolazione (es. se nella popolazione generale di
studenti, il 18% sono lavoratori maschi, 8% maschi non lavoratori, il 50% femmine ecc. → si
avranno le stesse proporzioni nel campione: cioè nel gruppo di studenti maschi non lavoratori
campionerò il 18% del totale dei partecipanti che mi servono per la ricerca.) è fondamentale che il
campionamento avvenga in modo casuale altrimenti non sarebbe probabilistico: il ricercatore deve
avere una lista degli elementi che soddisfano i criteri di inclusione in ogni strato, e procedere
come nel campionamento semplice. Non può quindi inserire nella ricerca persone individuate con
procedure non casuali → altrimenti sarebbe un campionamento per quote che non è probabilistico
(sondaggi di opinione ecc.)
Per clusters: la popolazione di interesse è divisa in modo naturale o meno, in sotto-gruppi o
grappoli: su di essi avviene il campionamento. Si procede per vari stadi di campionamento finchè
non si giunge alle unità di analisi di interesse, il tutto casualmente. Il risultato ottimale è un
campione con molti cluster di ampiezza limitata, molto omogenei all'interno ma eterogenei tra di
loro.
Sistematico: Gli N elementi della popolazione sono numerati da 1 a N e in base all'ampiezza
campionaria (n) si decide il passo di campionamento k che è = n/N. In pratica si selezionano un
individuo ogni k individui nell'ordine numerico.

Non probabilistico
A scelta ragionata: la selezione non è casuale ma determinata da un criterio: si selezionano
individui cosidetti tipici, così che si sia certi che sono adatti per gli scopi della ricerca. Non è
probabilistico in quanto non rispetta il criterio di equiprobabilità nell'estrazione, ed è il giudizio

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del ricercatore che guida la scelta delle unità di analisi. Arbitrarietà.

Misure di tendenza centrale

Moda: il valore o la categoria con la frequenza massima. Unico calcolabile su scala nominale.
Scarsamente informativo. Distribuzione bimodale: ci sono due valori con frequenza massima.
Distribuzione multimodale: ci sono tre o più mode. Distribuzione amodale: non c'è moda
perchè tutti i valori hanno frequenza 1. per dati raggruppati in classi, la classe che ha la
frequenza massima è detta classe modale.

Mediana: scala nominale e ordinale. Rappresenta il valore esattamente al centro della


distribuzione, ovvero quello maggiore del 50% dei punteggi e minore dell'altro 50%. per
individuarlo occorre calcolare la posizione mediana, cioè il rango, la posizione in classifica che
occupa. Trovata la posizione si va a vedere a che punteggio corrisponde (se i punteggi sono
dispari).
1. Per punteggi pari, la PosMe si calcola facendo la semisomma dei due valori centrali
(n+1/2).
1. Se questo calcolo non si può fare (ho punteggi che non sono numeri per esempio) si
sceglie il valore che ha rango immediatamente superiore a quello calcolato.

1. Se ci sono molti valori conviene prima calcolare la frequenza di ogni valore, poi trovare
il rango tramite le frequenze cumulate: dati raggrupati in frequenze → se si è calcolata la
PosMe e non compare esattamente nelle fcum, si sceglie il valore di fcum immediatamente
superiore e si sceglie il punteggio ad esso corrispondente.
1. Per dati metrici raggruppati in classi: si può sia usare la classe mediana sia fare un
procedimento più lungo ma preciso: (per fare tutto il calcolo faccio prima il calcolo di PosMe
con n/2, così individuo la posizione e so in che classe si trova la mediana):

mediana = limite reale inferiore classe della mediana + (PosMe – Finf / F mediana) ×A

Finf=frequenze cumulate delle classi inferiori a quella che contiene la mediana


PosMe: n/2 stavolta
F mediana: frequenza classe contenente la mediana
A: ampiezza classi
Media:
M=somma dei valori / numero dei valori 
M è la media campionaria e µ la media della popolazione. xi è una generica
osservazione x, quindi noi stiamo calcolando la somma di x1, x2, x3… fino xn che
è l‟ultimo dei valori.
La media aritmetica rappresenta i valore atteso.
Proprietà 1) Rappresenta anche il baricentro della distribuzione dei valori, cioè il
fulcro per cui i valori sono in equilibrio: risente molto degli outliers, ovvero dei valori che si
discostano molto dall‟insieme degli altri valori. Gli outliers „attirano‟ verso di sé la media; il loro
è effetto è più forte tanto minore è il numero di osservazioni.

Proprietà 2) Calcolando la differenza di ogni singolo valore xi dalla media, (scarto dalla media)

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osserviamo che la loro sommatoria è sempre uguale a zero. -> la somma degli scarti di ogni
singolo valore dalla media è sempre uguale a zero.

Proprietà 3) elevando gli scarti dalla media al quadrato e facendo la loro somma, notiamo che
risulta un valore più basso che si otterrebbe facendo gli scarti al quadrato non dalla media, ma
da un qualsiasi altro valore arbitrario:  La somma degli scarti a quadrato dalla media è
minore della somma degli scarti al quadrato di qualunque altro valore.

Media per dati raggruppati in frequenze: non sommiamo ogni singolo valore, ma prima
moltiplichiamo ogni valore per la rispettiva frequenza, poi sommiamo e poi dividiamo
per n.
La formula diventa uguale ma con xi × fi
Media per dati raggruppati in classi: consideriamo il punto medio come rappresentativo
di tutti i valori, quindi lo moltiplichiamo per la frequenza osservata, sommare i valori
ottenuti e dividere per n.
Xmi = punto medio della classe lo calcoleremo facendo limsuperiore+liminferiore/2.
Considerare che perderemo alcune informazioni: ad esempio se molti soggetti sono a
limite della classe, la media non sarà rappresentativa di quella classe.

Considerazioni sugli indici di tendenza centrale


A volte è meglio usare la mediana anziché la media, soprattutto se abbiamo molti outliers.
Tuttavia la mediana risente maggiormente del passaggio da un campone all‟altro, con maggiori
variazioni rispetto alla media.

Quando moda, media e mediana coincidono si ha una distribuzione simmetrica.


Quando la media è maggiore della mediana (la differenza media-mediana ha segno
positivo) si ha distribuzione asimmetrica positiva
Quando la media è minore della mediana (la differenza media-mediana ha segno
negativo) si ha una distribuzione asimmetrica negativa

Misure di dispersione, posizione e variabilità

Misure di variabilità a livello nominale


Su scala nominale possiamo soltanto valutare come misura di variabilità il numero di categorie
di risposta.
RV: Rapporto di variazione è la proporzione di casi che non cadono nella categoria che
costituisce la moda della distribuzione. RV= 1- fmoda
n
e ci indica quanto la moda è descrittiva dei dati. È uguale a 0 se tutti i casi cadono nella
stessa categoria . lo svantaggio è che si basa solo sulla proporzione di casi che cadono
nella categoria modale
ID: Indice di diversità: è basato sulla proporzione di casi che cadono in ogni categoria:
cioè si calcola la proporzione di casi in ogni categoria (Pi=fi/n), si elevano al quadrato i
valori ottenuti e si sommano, poi si sottrae la somma da 1. (sopra la sommatoria ci sta
k, che è il num di categorie)
ID= 1-∑ p2i
Si avvicina a 0 quando tutti i casi sono nella stessa categoria; ha il valore massimo

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quando vi è un solo caso per categoria. Tende a 1 per un numero k che tende a infinito.

Limiti: sia RV che ID non possono essere confrontati tra distribuzioni con n° diverso di
categorie.

Misure di variabilità a livello ordinale


Campo di variazione o range o gamma o intervallo di variazione
È la più semplice misura di dispersione, che fornisce quindi indicazioni circa la variabilità.
Rappresenta la differenza tra il valore massimo e il valore minimo.
range = x massimo – x minimo
limite: è una misura della dispersione totale, ossia tiene in considerazione solo i valori estremi,
ignorando quelli intermedi e la loro frequenza.
Indici di posizione : i quantili
Si può quindi considerare l‟informazione relativa al rango (almeno s.ordinale) o posizione in
classifica, per sapere come sono dispersi i dati attorno alla mediana, ma il problema del rango
è che da solo non è molto informativo. Si può allora trasformare in un indice di posizione o
quantile: servono per sapere la percentuale di valori che si trova al di sopra e al di sotto di un
valore di interesse all‟interno di una distribuzione ordinata.
I quantili rappresentano suddivisioni della distribuzione di valori, in base alle esigenze del
ricercatore, in 4 parti – quartili; 5 parti – quintili; terzili, decili o percentili. Tra un quantile e
l‟altro si trova sempre la stessa percentuale di osservazioni.
Quartili: distribuzione divisa in 4 parti, ognuna con il 25%di osservazioni. Ci sono 3 quartili: Il
primo quartile corrisponde al punteggio che è superiore al 25% e inferiore al 75% degli altri
punteggi; il secondo quartile superiore al 50% e inferiore all‟altro 50% (=mediana), il terzo è
superiore al 75% e inferiore al 25%. Stessa logica per gli altri quantili. I percentili sono quelli
più facilmente interpretabili.

1) Come faccio a sapere quale punteggio rappresenta un certo quantile (che scelgo
io)?
a) Si deve prima individuare la posizione del quantile all‟interno della distribuzione, come per
la mediana, e lo faremo attraverso le frequenze cumulate.
Posizione quantile = quantile desiderato × (n+1)
N° parti in cui è divisa la distribuzione

Sopra ci andrà il quantile desiderato (il primo, il secondo, il terzo) e sotto la divisione della
distribuzione che facciamo in base al quantile scelto (4 parti per quartili, 3 per terzili, 100 per
percentile e così via)
b)Trovata la posizione, andiamo a cercarla all‟interno dei ranghi (o fcum) e vediamo a che
punteggio corrisponde. se l‟info è strettamente ordinale e ho un valore decimale,
approssimo al rango successivo (es. 4.67 -> 5 , 10,5 -> 11..).
Se l‟info è quantitativa e sono nella stessa condizione (il quantile è tra due ranghi):
moltiplico la differenza tra i due punteggi corrispondenti per la parte decimale della
posizione in eccesso e sommiamo quanto ottenuto al punteggio inferiore tra i due
considerati.
Es. ho il primo terzile in posizione 4.67 ed è tra i ranghi 4 e 5, che hanno i punteggio 6 e 8
rispettivamente. Moltiplico 2 (diff. Tra 6 e 8) × 0,67 (parte decimale in eccesso) + 6
(punteggio inferiore). T1 = (8-6) × 0,67 + 6 = 7,34

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Se i dati sono raggruppati in frequenze:


se sono strettamente ordinali, farò come nella mediana, ossia: calcolo la Posq, individuo il
valore tra ranghi e se il valore è compreso tra de ranghi scelgo il rango superiore, anche se
lo è di molto;

Se i dati sono metrici raggruppati in classi:


si utilizza lo stesso procedimento sofisticato che usavamo per la mediana:
quantile = limite reale inferiore classe del quantile + (posizione quantile – f inf) × A
Fquantile

dove: Finf = somma delle frequenze di tutte le classi inferiori a quella che contiene il
quantile, cioè la frequenza cumulata inferiore
Fquantile = frequenza classe contenente il quantile
A=ampiezza intervallo di classe che contiene il quantile

Come nel caso della mediana, la prima cosa che calcolo è la posizione del quantile, la
cui formula però diventa
quantile desiderato × n
PosQ= _____________________________
n° parti in cui è divisa la distribuzione

Come faccio a sapere in che quantile si colloca un punteggio grezzo che conosco?
È questa la situazione più frequente, ovvero ho il punteggio e voglio sapere che quantile è, cioè
di che percentuali di punteggi è superiore o inferiore. Stiamo cercando il rango quantile: se il
rango è la posizione in classifica di un punteggio, il rango quantile è la posizione che occupa il
punteggio all‟interno di una distribuzione ordinata di valori. Dobbiamo semplicemente usare le
formule inverse:

rango quantile = posizione punteggio × (n°di parti in cui è divisa la distribuzione)


_____________________________________________________
_
n+1

posizione punteggio: rango del punteggio interessato, o valore di fcum


corrispondente
n° parti in cui è divisa la distribuzione (3 per terzili, 10 per decili..)
n=n°osservazioni

In caso di punteggi uguali: si può usare come posizione il rango medio (rango 1 + rango 2 + …
rango n / n dei ranghi), oppure il rango più basso o quello più alto, o usiamo il valore di fcum
corrispondente. In ogni caso evitare di attribuirvi lo stesso rango: infatti il punteggio
successivo così “avanzerebbe” di un posto in classifica (pg.134).

Qualora non abbiamo il punteggio grezzo, ma dati raggruppati in classi, dobbiamo


determinare la “posizione grezza” del punteggio, così:

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posizione = Finf + ( punteggio – limite reale inferiore classe del punteggio) × Fpunteggio
____________________________________________________
A
dove: Finf=frequenza cumulata inferiore;
lim reale=limite della classe che contiene il punteggio;
A=ampiezza intervallo di classe contenente il punteggio;
Fpunteggio=frequenza della classe contenente il punteggio

Una volta fatto ciò, si utilizza la formula di prima per individuare il rango quantile, ricordando
che al denominatore va n (e non n+1)

In breve Il quantile è il punteggio della distribuzione al di sotto del quale si trova una
certa percentuale di dati.

Il rango quantile è il numero che indica la posizione del punteggio


all’interno di una distribuzione suddivisa in k parti, ognuna contenente la
stessa percentuale di dati che si trova al di sotto di un certo punteggio

Differenza o range interquartile (IQ)


Nel caso di variabili ordinali indica due quantili, generalmente il primo e il terzo quartile,
mentre per variabili metriche si indica anche la differenza tra i due quantili considerati.
 Ordinali: si indica ad esempio un IQ (intervallo o range interquartile) di 18-28
(punteggi, corrispondenti a un intervallo ad es. di voti a una verifica, D-B)
 Metrica: si farà la differenza tra i due quantili (DIQ) : calcolo PosQ1, poi Q1. Calcolo
PosQ3 e poi Q3; differenza tra Q1 e Q3. Stessi procedimenti di prima dati raggruppati in
classi.

che significato ha? Il range interquartile indica i limiti e/o l‟estensione dell‟intervallo di valori
che comprende il 50% centrale della distribuzione dei punteggi. Conoscendo questo valore, la
mediana, e valori min e max, abbiamo una descrizione più esauriente dei dati.

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Misure di variabilità a livello metrico


Possiamo usare tutti gli indici visti finora, ma anche molti altri in funzione del fatto che
abbiamo un‟unità di misura  di un valore possiamo sapere anche di quanto è maggiore o
minore di un altro. In particolare ci consente di osservare la dispersione dei punteggi intorno
alla media.

o Scostamento semplice medio (SSM): è l‟indice di variabilità che dice quanto in


media ogni valore si discosta dalla media, indipendentemente dal segno. Si calcola
attraverso il valore assoluto, dato che per le proprietà della media sappiamo che la
somma degli scarti dalla media sia sempre uguale a zero, per cui ovviamo al problema
considerando i valori assoluti degli scarti.

dove xi è ogni punteggio e x la media.

o Devianza (SS): anche detta somma dei quadrati (degli scarti dalla media), si calcola
come la SSM ma si eleva alla 2. Permette, coerentemente con la proprietà dei minimi
quadrati, di ovviare al problema che si ha con la SSM, ovvero la possibilità di ottenere
una somma degli scarti positivi uguali alla somma degli scarti negativi. Infatti elevando
al quadrato si tolgono valori negativi.
La devianza è uguale a zero SOLO quando tutti i valori sono uguali alla media
(indicando assenza di dispersione), e più è grande e più c’è dispersione dei
valori attorno alla media.

La devianza di due gruppi è confrontabile solo se hanno lo stesso n°di punteggi, dato
che nel calcolo si ha una somma di valori. Se i gruppi hanno numerosità diversa, è
necessario ricorrere alla varianza.

o Varianza (MS): risolve il problema precedente: di fatto è la devianza diviso il n°di


osservazioni. Questo indice rappresenta quindi la media dei quadrati degli scarti di ogni
punteggio dalla media.

Quindi se le devianze di due gruppi con numerosità


diversa, fossero uguali, avranno certamente varianza
diversa.
Essendo una misura elevata al quadrato, ha un limite: non
si può confrontare con la media, che ha potenza uno. Per
riportare le misure alla stessa potenza si utilizza la
deviazione standard.

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o Deviazione standard (s): o scarto quadratico medio, si indica con s nel campione e
con σ nella popolazione. È il principale indice di dispersione attorno alla media, di fatto
una varianza sotto radice quadrata.

il procedimento per il calcolo è lungo: calcolo della media, calcolo


dello scarto di ogni singolo valore dalla media, elevare al quadrato ogni scarto,
sommare gli scarti, dividere per il n° di osservazioni, estrarre la radice quadrata.

Calcolare la deviazione standard:

o Dati raggruppati in frequenze: prima di svolgere le somme si moltiplica ogni


valore per la rispettiva frequenza. Possiamo poi procedere in 2 modi:

 Calcolo con gli scarti dalla media


Calcolo dello scarto dalla media di ogni singolo punteggio, elevarlo alla 2.
(punteggio-media)2. Moltiplicare il valore ottenuto per la frequenza
corrispondente (fi). Sommare tutti i risultati e metterli sotto radice e
fratto n.

s = √ ∑ fi ( xi – M ) 2
___________________
n

 Calcolo partendo dai dati grezzi


1- Si moltiplica ogni punteggio per la propria frequenza (f i x xi) e si fa la
sommatoria;
2- si eleva ogni punteggio grezzo alla 2 (x2i) e poi lo si moltiplica
frequenza fi corrispondente (fi x x2i) e si fa la sommatoria,
3- si prendono i due valori ottenuti e si inseriscono nella formula. Si fa il
secondo fratto n meno il primo fratto n alla 2, il tutto sotto radice
quadrata.

s= √ ∑ fix2i ∑ (fixi)2
__________ - _________
n n

o Dati raggruppati in classi ordinate di ampiezza nota


Consideriamo il punto medio dell‟intervallo di classe come rappresentativo dei
valori che contiene.
Punto medio = XMi = limitesuperiore + limiteinferiore / 2

Anche in questo caso possiamo farlo sia utilizzando gli scarti dalla media che con
dati grezzi, secondo le formule:

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2
scarti s= √ ∑ fi ( xMi – M )
___________________
n

dati grezzi s = √ ∑ fix2Mi ∑ (fixMi)2


__________ - _________
n n

Finora abbiamo visto misure di variabilità assoluta: sono cioè indici legati alla distribuzione su
cui sono calcolati  ciò significa ad esempio che la stessa DS ha un significato diverso su una
distribuzione con media diversa (es. deviazione standard di 15 è diversa su una distribuzione
con media=30 e una con media=100). Per confrontare distribuzioni diverse sono necessarie
misure di variabilità relativa, come il

Coefficiente di variazione (CV)


si calcola dividendo la deviazione standard per la media in valore assoluto e molriplicando per
100:
s
CV = ____ × 100
|M|
Ci dice quale percentuale della media rappresenta la deviazione standard, non espressa nella
misura della variabile, che ci permette quindi il confronto tra distribuzioni diverse.
I punteggi standard
Quando si hanno distribuzioni molto diverse, come ad esempio batterie di test psicologici si
possono avere punteggi e item molto diversi, così come le scale di risposta, il tempo a
disposizione per compilazione ecc. per poter confrontare punteggi ottenuti su scale diverse si
rendere necessario portare tutti i punteggi sulla stessa scala, cioè standardizzare i punteggi.
Uno dei modi è l‟utilizzo dei quantili, che come già visto ci permettono di trasformare ogni
punteggio in un indice di posizione, informativo di quale percentuale di individui ottiene un
punteggio superiore o inferiore a quello in questione. Con la standardizzazione in quantili si
sfrutta però solo l‟informazione a livello ordinale (vedi tavole di conversione dei punteggi grezzi
in in punteggi normativi, cioè percentili, di un test generico).

Per la standardizzazione di punteggi su scala metrica si usa la deviazione standard come unità
di misura, trasformando la distribuzione in una distribuzione di punteggi che ha media zero e
deviazione standard 1, e si esprime il punteggio in termini di deviazioni standard di distanza
dalla media.  punti z o punti standard.

La formula è la stessa sia se si hanno media e ds della popolazione, sia se sono media e ds del
campione di riferimento.
La deviazione standard
è indipendente dall’unità di misura originaria,
è indipendente dalla maggiore e minore dispersione dei dati

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rispetta le distanze dei punteggi grezzi


il segno del punto z indica la sua posizione nel gruppo di riferimento (positivo:sopra la media,
negativo:sotto la media) permettendo quindi anche il confronto tra punteggi dello stesso
soggetto a test diversi.
La distribuzione di probabilità corrispondente è quella normale.

Esiste anche una standardizzazione in punti T (media 50 e ds 10), che sono la trasformazione
lineare dei punti z con la formula:
nuovo punto standard = media desiderata + z x dev.standard desiderata
quindi
T = 50 + z × 10

Indici di forma della distribuzione


Simmetria o skewness
Dipende dal confronto media-mediana.
Se media > mediana: asimmetria positiva (la frequenza dei punteggi è più alta nei valori bassi)
Se media < mediana: asimmetria negativa (frequenza più alta nei valori alti).
La skewness è = 0 se moda media e mediana coincidono, quindi la distribuzione è simmetrica.
Curtosi
è l‟appiattimento della distribuzione, e quindi la misura di quanta varianza è dovuta ai valori
meno frequenti: ci dice quanto i punteggi sono concentrati attorno alla media e quanto pesano
le code della distribuzione.
Platicurtica: dati poco concentrati attorno alla media, code leggere (quindi più alte),
forma piatta
Leptocurtica: dati molto concentrati attorno alla media, forma appuntita, code pesanti
molto vicine all‟asse orizzontale
Normale: forma perfettamente a campana, la curtosi è uguale a zero (distribuzione
normale, gaussiana)
Curtosi negativa: la distribuzione ha una forma con una “valle” attorno ai valori centrali
Statistica inferenziale
Probabilità e calcolo combinatorio
La statistica inferenziale è quella branca della statistica che che mediante metodi matematici
basati sul calcolo delle probabilità, ci permette di trarre conclusioni (inferenze) su ciò che
verosimilmente accade nella popolazione, a partire dai dati raccolti su uno o più campioni.
La decisione che andremo a prendere sarà in ogni caso probabilistica, mai certa, ma il più
possibile oggettiva e quindi vicina alla verità, c‟è sempre infatti una parte di errore da
considerare, sia nell‟affermare che è vera un‟ipotesi falsa, e sia viceversa nell‟affermare che è
falsa un‟ipotesi vera.

Concetti della teoria della probabilità


Eventi possibili
Eventi favorevoli: quelli che soddisfano le condizioni
Spazio campionario: insieme di tutti gli eventi possibili

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La probabilità, p, posto che gli eventi possibili siano tutti ugualmente probabili, è:

numero eventi favorevoli numero eventi favorevoli


p= ___________________ = _____________________
Numero eventi possibili spazio campionario

Gli eventi favorevoli possono essere semplici (singoli risultati di un evento casuale: estrazione
asso di picche) o composti (insieme di due o più eventi semplici: estrazione di un asso).

Definendo la probabilità del successo si definisce anche quella dell‟insuccesso. La somma della
probabilità degli eventi favorevoli e sfavorevoli è sempre uguale a 1, i due eventi infatti
esauriscono lo spazio campionario. 1 corrisponde ad un evento certo.

2 concezioni di probabilità:
- Teoria a priori: definizione di probabilità data dal rapporto tra il n° di casi favorevoli e
il n° di casi possibili a patto che siano tutti equiprobabili (quella vista finora). Non è
applicabile in tutti i casi, dato che non è sempre possibile definire lo spazio campionario
in anticipo (es. probabilità di sviluppare un disturbo alimentare? Probabilità di passare
l‟esame?)
- Teoria frequentista: è basata sulla ripetibilità di una prova: si assume che una prova
venga ripetuta sempre nelle medesime condizioni e il calcolo della probabilità rimane lo
stesso, perché si continua a calcolare il rapporto tra casi favorevoli e casi possibili,
tuttavia il calcolo è eseguito dopo un certo numero di eventi, perciò si parla di
probabilità a posteriori. Si basa quindi su una probabilità a lungo termine, che tende ad
essere più precisa tanto più il n° delle prove aumenta.
Tipi di eventi
Eventi disgiunti (mutualmente escludentisi): l‟evento favorevole è definito da più eventi
distinti all‟interno dello spazio campionario. È definito in termini “o” “o” (scommessa: se nel
lancio di un dado esce o il n.6 o il n.1. vinco sia se esce 6 sia se esce 1).
La probabilità si calcola in questo caso con la regola della somma per eventi disgiunti:
probabilità che si verifichi o A o B = p(AUB) = p(A) + p(B)

Per eventi non disgiunti:


Qualora gli eventi presentano degli elementi in comune, ovvero esistono dei risultati che allo
stesso tempo soddisfano sa la probabilità di A e sia di B, due insieme si intersecano. Nel
calcolo attraverso la regola della somma, finiremmo per contarli più volte, per cui sottraiamo
alla somma dei due eventi iniziali la probabilità del verificarsi di un evento che soddisfa
entrambe le condizioni:
p(AUB) – p(A∩B) = p(A) + p(B) – p (A∩B)
Se gli eventi sono più di due, occorre fare attenzione a tutte le possibili intersezioni

Eventi congiunti: nei casi in cui l‟evento favorevole è dato dal verificarsi di tutti gli eventi (“e”
“e”) si para di eventi congiunti, e si calcola la probabilità usando la regola del prodotto per
eventi congiunti
p(A∩B) = p(A) × p(B)
quindi la probabilità che si verificano sia A sia B è data dalla probabilità di x la probabilità di B.
Le estrazioni sono contemporanee o in successione (con reinserimento)

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Dovendo necessariamente verificarsi entrambi gli eventi, le probabilità sono nettamente più
basse per eventi congiunti che non per eventi disgiunti.

Estrazioni con e senza reinserimento


In estrazioni successive con reinserimento, lo spazio campionario resta lo stesso, e quindi gli
eventi saranno indipendenti: il verificarsi di uno non modifica la probabilità del verificarsi
dell‟altro.

Qualora le estrazioni siano senza reinserimento, si modifica lo spazio campionario, e quindi


l‟estrazione successiva dipenderà dalla precedente: si parla di eventi dipendenti, dove il
verificarsi di uno modifica la probabilità del verificarsi dell‟altro.
In questi casi, la probabilità congiunta di eventi dipendenti è

p (A∩B) = p(A) × p(B|A)

dove B|A: probabilità del verificarsi di B posto che si sia verificato A. l‟espressione si
dice probabilità condizionata. si calcola
p (A∩B)
p(B|A) = _________
p(A)
(probabilità che si verifichi B posto che si è verificato A, è uguale alla probabilità che si
verifichino A e B indipendentemente, diviso la probabilità di A).
ᵔ Presuppone quindi che i due eventi siano collegati(dipendenti) e che A si è già
verificato.
esempio A:estrazione di una figura, B: figura di cuori: (dato che è stata estratta una
figura)

p (figura∩figura cuori)
p(B|A) = p(figura cuori|figura) = ___________________
p(figura)

ᵔ Se i due eventi sono indipendenti (estrazioni con reinserimento) si avrà che p(B|A) è
uguale a p(B) in quanto non c‟è modifica dello spazio campionario e il verificarsi di B
non dipende da A. (es. lancio moneta, gioco del lotto con reinserimento..)

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Concetti del calcolo combinatorio


Permutazioni semplici
Serie ordinate di n oggetti presi n a n  sapere in quanti ordini possiamo disporre tutti gli
elementi disponibili  Dati n elementi distinti, si dicono permutazioni, P(n), i gruppi che si
possono formare in modo che:
- ogni gruppo contenga tutti gli n elementi
- ogni gruppo differisca dagli altri solo per l'ordine degli elementi

nPn= n!
n! = n x (n-1) × (n-2) … × 1
Permutazioni con ripetizione
Quando negli n elementi ve ne sono alcuni che si ripetono (alcuni n uguali) si usa la formula:

n!
nPn1,n2…nk = ______________
n1!n2!...nk!

dove n1, n2 nk rappresentano gli elementi che si ripetono


Permutazioni circolari
Se gli elementi si devono disporre in cerchio anziché in fila, sebbene un osservatore esterno
percepisca distinzioni, le posizioni sono di fatto indistinguibili per gli elementi che vi si trovano
(partita di terziglio)
n-1 P n-1 = (n-1)!

Disposizioni semplici
Dati n elementi distinti, ordinati in classi di ampiezza k (k<=n), si dicono disposizioni semplici,
tutti i gruppi che si possono formare con gli elementi n, presi k a k, in modo che:

- ogni gruppo contenga k elementi distinti

- due gruppi qualunque differiscano fra loro SIA per qualche elemento SIA per
l'ordine in cui gli elementi sono disposti

n!

nDk = __________
(n-k)!

Disposizioni con ripetizione


Se alcuni degli n elementi possono ripetersi, (ammettiamo le ripetizioni) e vogliamo formare
gruppi con un n° di elementi maggiore di n, utilizziamo la formula per le disposizioni con
ripetizione (es. nel totocalcio abbiamo 3 elementi che si ripetono a formare un insieme di 13):
k
n Dk = n

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Combinazioni semplici
Dati n elementi distinti, ordinati in classi di ampiezza k (k<=n), si chiamano combinazioni di
questi nelementi, presi k a k, (o di classe k) tutti i gruppi che si possono formare in modo che:
- ciascun gruppo contenga k elementi
- due guppi qualunque differiscano per almeno un elemento.
Per cui a differenza delle disposizioni, non ci interessa l‟ordine ma solo che i gruppi
differiscano gli uni dagli altri per almeno un elemento.

è detto coefficiente binomiale

Combinazioni con ripetizione


Se abbiamo un insieme di n elementi e vogliamo calcolare i possibili raggruppamenti di
ampiezza k che possiamo fare, senza alcun limite (per cui ammettendo anche k>n) e quindi
ammettendo ripetizioni degli n elementi, esiste una formula per il calcolo delle combinazioni
con ripetizione

in questo caso due gruppi sono distinti se uno di


essi contiene almeno un elemento che non figura
nell‟altro, oppure gli elementi che figurano sia
nell‟uno che nell‟altro sono ripetuti un numero
diverso di volte.

Distribuzioni di probabilità

Distribuzione normale
Distribuzione standardizzata
binomiale
Distribuzione
normale
Nel momento in cui l‟esito di un esperimento o di una prova, o di qualsiasi fenomeno naturale
che possa verificarsi in almeno due modi diversi, non è predicibile a priori, è possibile definire
una funzione sullo spazio campionario che associ ad ogni esito possibile un unico numero reale.
Questa funzione è detta variabile casuale o aleatoria. (moneta: la variabile casuale associa ad
ogni faccia un‟etichetta: testa o croce)
Possiamo inoltre associare ad ognuno dei possibili esiti la probabilità che esso si verifichi (es.
moneta: ,50 onesta ,50 truccata). Contando quante volte può verificarsi l‟evento, otteniamo
una rappresentazione dove ogni esito è associato alla sua frequenza, e quindi una distribuzione
di frequenza. Moltiplicando la frequenza di ogni esito per la sua probabilità di verificarsi, si

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ottiene una distribuzione di probabilità, che è una distribuzione teorica.


Tutte le distribuzioni di probabilità sottendono un‟area sempre uguale a 1 (che corrisponde allo
spazio campionario).
Variabili discrete: la somma delle probabilità di tutti gli eventi discreti è uguale a 1
Variabili continue: l‟area sottesa alla curva rappresentata dalla distribuzione è uguale
a1

Distribuzione binomiale
Riguarda variabili casuali dicotomiche: nel caso delle vere dicotomie gli eventi sono anche
equiprobabili (es. vero-falso), ma nel caso di dicotomie artificiali molto spesso le probabilità
associate ad ogni evento sono diverse (es. risposta giusta vs risposta corretta quando 1 è
corretta e 4 errate, paziente con disturbo alimentare vs paziente disturbo psichiatrico..)

Quindi conoscendo la probabilità di uno dei due eventi (p) conosciamo di conseguenza la
probabilità dell‟altro evento (sfavorevole) che è q=1-p.
I possibili esiti di uno o più esperimenti sono dati dal numero di eventi favorevoli k rispetto al
numero di eventi n.

Per sapere in quanti modi possono verificarsi k eventi (successi) su n prove, utilizziamo la
formula generale:
p(k) = ( ) × pkqn-k

dove (nk) si calcola come le combinazioni semplici


p = probabilità a priori del successo
n = numero prove
k = numero successi
q=1-p probabilità a priori dell‟insuccesso

Associando ogni possibile n° di eventi semplici di tipo binomiale che costituiscono un successo
su n prove indipendenti, la probabilità che si verifichi esattamente quel n°di successi,
otteniamo una distribuzione di probabilità binomiale.
Se la probabilità di successo = probabilità dell‟insuccesso sarà simmetrica, altrimenti sarà
tanto più asimmetrica quando maggiore è la differenza tra le due probabilità.
p = q simmetrica
p < q asimmetria positiva
p > q asimmetria negativa

Se moltiplichiamo il n° di prove per la probabilità di successo otteniamo la moda, ossia il n° di


successi che ha probabilità maggiore. È il valore atteso, corrispondente dunque anche alla
media: infatti il prodotto tra il n° di prove e la probabilità di successo è il n. di successi che in
media ci aspettiamo di ottenere da un esperimento casuale il cui esito segua la distribuzione
binomiale.

µ=n×p

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la varianza e la deviazione standard invece si calcolano:

σ2 = n × p × q σ=√n×p×q

Distribuzione normale
Anche detta gaussiana, fu scoperta da De Moivre che studiando la distribuzione binomiale si
rese conto che quando il numero n di eventi diventa molto grande la distribuzione prende una
caratteristica forma a campana. Si accorse inoltre che quando si accumulavano nelle
misurazioni molti fattori casuali, gli errori tendevano a distribuirsi a campana (errori grandi
poco frequenti e piccoli più frequenti). La distribuzione normale emerge in tutti gli ambiti in cui
sono presenti molti fattori casuali, tanto da divenire il riferimento principale rispetto alle
caratteristiche medie non solo fisiche ma anche psichiche dell popolazione, che individua quindi
regolarità sottostanti il comportamento normale quanto deviante.

Caratteristiche:

Funzione

Parametri Media µ
Deviazione standard σ

Simmetrica Intorno alla media: moda media e mediana coincidono

Unimodale C‟è una sola moda

Asintotica Tendendo a +∞ o -∞ si avvicina all‟asse orizzontale


senza mai toccarlo
Media La media corrisponde al massimo della funzione

Deviazione Corrisponde al punto di flesso della funzione, ovvero


standard dove la curva cambia concavità
Calcolo integrale È possibile calcolare la percentuale di valori
compresa in un dato intervallo
Estraendo a caso un individuo dalla popolazione, la
probabilità che il punteggio o valore sia compreso tra -
1σ e +1 σ rispetto alla media è del 68,26%
Tra -2σ e +2σ rispetto alla media si inseriscono più del
95% dei valori; tra -3 σ e +3 σ praticamente tutti
(99,7%)

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Distribuzione normale standardizzata


Se standardizziamo i punteggi della distribuzione normale, otteniamo una media (µ) zero e
deviazione standard (σ) 1, attraverso la trasformazione dei punteggi grezzi in punti z.

una volta fatto questo procedimento possiamo riferirci a una distribuzione unica per individuare
percentuali di punteggi superiori o inferiori rispetto ad uno considerato. Per non dover fare il
calcolo dell‟integrale, si fa riferimento alle:

Tavole della distribuzione normale standardizzata


Righe: valore di z = unità e primo decimale
Colonne: secondo decimale
sottocolonne
a) area sottesa alla curva tra zero (µ) e il punto z  quindi la probabilità di osservare
un punteggio tra la media e il punto z.
b) area sottesa alla curva tra z e +∞  quindi la probabilità di osservare un punteggio
superiore a z.
Considerando che la media 0 divide la distribuzione a metà, (è anche la mediana) l‟area
sottesa tra -∞ e 0 è ,50  per cui:
o AREA ALDILA‟ DI Z
se conosco l‟area tra µ e z, l‟area superiore a z (da z a +∞) che cerchiamo
sarà ,50 - area tra µ e z
o se voglio i punteggi INFERIORI A Z (area tra -∞ e z) devo sommare ,50
all‟area compresa tra µ e z (cioè a)

a + b = ,5000

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Ci sono due tipologie di esercizi:


Sapere la percentuali di punteggi superiori/inferiori a un certo punteggio dato

Esempio
Intelligence Test: µ = 100 e σ = 15
Ho un punteggio di 119, vogliamo sapere la percentuale di popolazione con punteggio
inferiore a questo.
1. Trasformo 119 in punti z: z = 119-100 / 15 = 19/15 = 1,27
2. Cerco 1,27 sulle tavole e scelgo A) .3980 – area tra µ e z
3. Per avere l‟area per z<1,27 sommiamo l‟area tra -∞ e µ e l‟area tra µ e z
(.3980)
4. P (IT<119) = p(z<1,27) = p (-∞<z<0) + p (0<z<1,27) = ,5000 + .39080 =
.8980
o L‟89% della popolazione ha un punteggio inferiore a 119 alla scala IT

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Procedimento inverso: sapendo la percentale dobbiamo risalire al punteggio 


quindi partiamo dall‟area per trovare i punti z

Esempio: quale punteggio della scala IT è il 40esimo percentile della distribuzione?

1. Siccome il punteggio desiderato lascia dietro di sé il 40% dei punteggi, dobbiamo


trovare un‟area prima di z (quindi da z a -∞) che sia uguale a ,40: vado sulle
tavole e scelgo il valore più vicino a ,40 : trovo ,4013 che corrisponde a z =
,025.
2. NB: essendo i valori di area minori di ,5000, il punto z sarà sotto la media, e
quindi negativo z = -0,25
3. Utilizzo la formula inversa per risalire al punteggio grezzo:
IT = σ × z + µ
4. IT = 15 × (-0,25) + 100 = 96,25
5. Il punteggio che rappresenta il 40esimo percentile della distribuzione è 96,25, e
cioè il punteggio superiore al 40% di tutti i punteggi.

Altri esercizi:
Risalire alla probabilità di estrarre a caso un punteggio che sia:
1. Compreso tra 95 e 110
2. Compreso tra 120 e 131
3. Compreso tra 65 e 70
4. Minore di 83 o maggiore di 126 (eventi disgiunti mutualmente escludentisi: principio
della somma)

In tutti i casi la prima cosa da fare è trasformare i punteggi in punti z.

Svolgimento 1.
a) z1 = 95 - 100 / 15 = -0,33 z2= 110 – 100 / 15 = 0,67

b) individuiamo i valori di area compreso tra la media e i due punti z.


area z1 = ,1293 area z2 = ,2486
c) per trovare l‟area compresa tra i due punti sommiamo le aree:
p(95 < IT < 110) = p(-0,33 < z < 0) + p(0 < z < 0,67) = ,1293 + ,2486 = ,3779
d) la probabilità di estrarre un punteggio compreso tra 95 e 110 è del 37,79%

Svolgimento 2
a) z1 = 120 – 100 / 15 = 1,33 z2 = 131 – 100 / 15 = 2,07
b) individuiamo i valori di area compresi tra la media e i due punti z.
area z1 = ,4082 area z2 =,4808
c) essendo le due aree parzialmente sovrapponibili, (entrambi sopra la media) stavolta
non le sommeremo, ma facciamo la differenza tra le aree
p(120 < IT < 131) = p(0 < z < 2,07) – p(0 < z < 1,33) = ,4808 - ,4082 = 0,726

d) la probabilità di estrarre un punteggio IT tra 120 e 131 è del 7,26%.

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Svolgimento 3
a) z1 = 65 – 100 / 15 = -2,33 z2 = 70 – 100 / 15 = -2,00
punti z negativi indicano che entrambi i punteggi sono sotto la media, anche in questo
caso eseguiremo la differenza
b) area z1 = ,4901 area z2 = ,4772
p(65 < IT < 70) = p(-2,33 < z < -2,00) = p(-2,33 < z < 0) – p(-2,00 < z < 0) =
,4901 - ,4772 = ,0129
c) la probabilità di estrarre un punteggio compreso tra 60 e 75 è del 1,29%

Svolgimento 4
a) z1 = 83 – 100 / 15 = -1,13 z2 = 126 – 100 / 15 = 1,73
b) stavolta non cerchiamo un‟area compresa tra z e 0, ma i valori aldilà di z, quindi
scegliamo la casella b.
c) area z1 = ,1292 area z2 = ,0418
d) le singole probabilità sono 12% e 4%: per la regola della somma sommiamo le
singole probabilità:

p(IT<83 U IT>126) = p( z < -1,13 U z >1,73) = p(z < -1,13) + p(z > 1,73) = ,1292
+ ,0418 = ,1710 = 17,10%

Conoscendo questi valori di probabilità possiamo anche calcolare quanti individui in un


campione (casuale e rappresentativo della popolazione) possiederanno quella caratteristica.

Esempio: se abbiamo un campione di 80 studenti, vogliamo sapere estraendo casualmente


quanti di loro avranno un punteggio all‟IT compreso tra 98 e 104
Stessi procedimenti, ma alla fine faremo il prodotto tra n (studenti) per la probabilità di
estrarre uno studente con quelle caratteristiche:

a) trovo i punti z
z1 = 98 – 100 / 15 = -0,13 z2 = 104 – 100 / 15 = 0,26
b) trovo le aree
(comprese tra zero e z)
area z1 = ,0517 area z2 = ,1026
c) sommiamo le aree
p(-0,13 < z < 0,26 ) = p(-0,13 < z < 0) + p (0 < z < 0,26) = ,0517 + ,1026 = ,1543
d) la probabilità di estrarre un punteggio tra 98 e 104 è del 15,43%
e) adesso otteniamo il numero di studenti con IT tra 98 104:
n × p (98<IT<104) = 80 × ,1543 = 12,44
f) Ci attendiamo che circa 12 studenti abbiano un IT compmreso tra 98 e 104

Relazione tra la distribuzione normale e la distribuzione binomiale

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Distribuzioni campionarie

Ci vengono in aiuto per determinare con quale probabilità si possa estrarre casualmente da
una popolazione un campione con media superiore o inferiore ad un certo punteggio.
Quindi ora non si fa più riferimento a distribuzione teoriche basate sulle singole unità di analisi
(come visto finora) ma cerchiamo di risalire a ci che succede nella popolazione partendo da
quanto osservato su un campione tratto da essa.
Andremo quindi a calcolare una distribuzione campionaria della media: la d. campionaria è una
d. di probabilità relativa ad una specifica statistica (che corrisponde al parametro nella
popolazione). Come si costruisce:
1) Individuare tutti i possibili campioni di ampiezza n estraibili dalla stessa popolazione
con estrazione casuale e indipendente.
2) Calcolare in ognuno dei campioni la statistica desiderata (es. media – distribuzione
campionaria delle medie)
3) Determinare per ciascuno dei valori osservabili della statistica la sua frequenza : cioè
quanti campioni presentano quella statistica, tra tutti i campioni estraibili dalla
popolazione

Esempio dell‟esame di psicometria:


6 soggetti sono la popolazione: 4 di loro superano l‟esame (1) e 2 di loro non lo superano (0).
Si può calcolare la proporzione 4/6=,67 che rappresenta la proporzione nella popolazione di
soggetti che hanno superato l‟esame. ,67 non è altro che una probabilità di successo
(distribuzione binomiale)  possiamo fare la distribuzione campionaria, cioè il numero medio
di successi in tutti i possibili campioni di, ad esempio, 2 elementi che posso estrarre in questa
popolazione, con reinserimento (con tutte le ripetizioni possibili): si avrà una tabella
contenente la proporzione di persone che hanno superato l‟esame in tutti i possibili campioni di
ampiezza 2

Quindi si avranno tutte le coppie di 2 elementi su cui si calcola la proporzione di successi.


Quando si avranno 2 elementi che superano l‟esame avremo 1,00, quando due non superano
l‟esame 0, quando uno si e uno no avremo ,50.

Quindi la distribuzione binomiale è la distribuzione del n° totale dei successi, mentre la


distribuzione campionaria è la distribuzione del numero medio dei successi (P) in campioni di
ampiezza n.

Formule:
Media del n.successi nella Media della distribuzione campionaria di P
popolazione
µ = Nπ Nπ
µp = ____ = π
N = ampiezza popolazione N
Π = probabilità di successo
nella popolazione Si divide per n dato che la d.campionaria è una distribuzione
di proporzioni e non di totali

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Il risultato sarà che le due medie sono uguali: la media della


distribuzione campionaria delle medie è uguale alla media
della probabilità di successo nella popolazione

Deviazione standard Deviazione standard


σ = √ N × π × (1- π) √ N × π × (1- π)
σP = _____________
che sarebbe (n × p × q) N

Nell‟esempio visto ora, la deviazione standard calcolata sul campione è diversa da quella
attesa: ciò si verifica perché la distribuzione campionaria di P è approssimabile alla normale
solo se

N è ampio: i valori tendono a coincidere avvicinandosi alla popolazione


π non è prossimo a 1 o a 0, ma più al ,50

infatti nel caso visto ora abbiamo calcolato media e deviazione standard (che sono propri delle
misure su scala metrica) a variabili misurate su scala nominale dicotomica
(promosso/bocciato).  ne risulta che la distribuzione campionaria delle proporzioni non si
distribuisce normalmente.

Se invece facciamo lo stesso procedimento, ad esempio, con la variabile numero di errori


(scala a rapporti) otteniamo valori di σ e µ che si avvicinano a quelli calcolati sulla popolazione.

Adesso calcoliamo la media M per ogni campione di ampiezza 2, andando a creare la


distribuzione campionaria delle medie:

Media della distribuzione campionaria delle medie:


(media delle medie campionarie)

M = __∑ fi Mi__
nM

fi = frequenza di ognuna delle medie campionarie


Mi = ogni media campionaria
nM = tutte le possibili medie campionarie (corrisponde alle disposizioni con ripetizione di classe
2 (k) da un insieme di 6 (n) elementi  e cioè nk

La media delle medie risulta uguale alla media della popolazione.

Deviazione standard della distribuzione campionarie delle media  ERRORE STANDARD σM

σM =√____∑ fi (Mi - µ)2__


nM

l‟errore standard rappresenta: la media delle deviazioni di ogni media campionaria dalla

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media della popolazione, cioè l‟insieme degli scarti delle medie campionarie rispetto al valore
esatto della popolazione.

NON coincide con la deviazione standard della popolazione, ma si dimostra che:


σM = __σ__
√n

Radice di n rappresenta la correzione per il campione

Nella popolazione la distribuzione di frequenza dei singoli valori è rettangolare, ossia ogni
valore ha frequenza 1, mentre la distribuzione campionaria delle medie di tutti i possibili
campioni estratti da questa popolazione ha forma (finalmente!) normale, anche se la variabile,
all‟origine, non era distribuita normalmente.

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 Ciò ha portato alla definizione del teorema del limite centrale: indipendentemente
dalla forma della distribuzione della variabile nella popolazione, la distribuzione campionaria
delle medie di tutti possibili campioni di ampiezza n estraibili dalla popolazione tende alla
normale all’aumentare di n e lo diventa (normale) per n > o = a 30.
 Legge dei grandi numeri: Inoltre, all‟aumentare dell‟ampiezza di n, la variabilità
della distribuzione campionaria diminuisce – quindi l‟errore standard diminuisce infatti più n
si avvicina all‟ampiezza finita n della popolazione o a infinito, più si avvicina alla
popolazione, riducendo quindi l‟errore standard.
All’avvicinarsi di n all’ampiezza della popolazione, l’errore standard tende a 0.
La media tenderà a coincidere con la media della popolazione, senza errore.

In breve: proprietà della distribuzione campionaria:


o La forma della distribuzione campionaria della media è normale per n >= 30
indipendentemente dalla forma della distribuzione della variabile nella
popolazione
o La media è uguale alla media della popolazione µM = µ
o La deviazione standard della d.campionaria è detta errore standard ed è uguale
alla ds della popolazione diviso la radice dell‟ampiezza dei campioni.

Precisazioni riguardo l‟errore standard:

Popolazione infinita o σM = __σ__


campionamento con √n
reinserimento
Popolazione finita e Applicare il fattore di correzione (per la numerosità del
campionamento senza campione)
reinserimento σM = __σ__ × √ N-n__
√n N-1

Deviazione standard della Stimare l‟errore standard partendo da quello


popolazione non nota campionario:
σM = __s__
√n -1

Media della popolazione Occorre fare riferimento alla sola media campionaria (che
non nota diventa la stima di quella della popolazione)

e l‟errore standard diventa una misura di come la


statistica M sia una stima adeguata del parametro µ :
infatti più è grande l’errore standard, più è alta la
variabilità delle medie campionarie e di conseguenza è più
instabile la stima. Un errore standard basso indica che la
stima è più precisa, quindi più vicina al parametro della

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popolazione

Per svolgere gli esercizi basati sulla distribuzione campionaria dovremo quindi tenere conto
della numerosità del campione (per sapere se possiamo approssimare o meno alla normale),
del fatto che la popolazione sia finita o infinita e se operiamo con o senza reinserimento (per
sapere come calcolare l‟errore standard).
Se si può approssimare alla normale, procederemo trasformando i valori in punti z, ossia
attraverso una standardizzazione, con formule un po‟ diverse da quelle viste per la
trasformazione in punti z dei singoli valori.

Proporzioni (variabili dicotomiche –


distribuzione binomiale approssimata a z = ___P-π___
normale) √ π (1-π)
n

Variabili metriche – distribuzione


normale (n>=30) – popolazione infinita z= M – µM = M – µM
σM σ_
√n

Variabili metriche – distribuzione z= M – µM = M – µM_______


normale (n>=30) – popolazione finita σM σ ×
√ N-n_
√n N-1

Negli esercizi le prime due domande che dobbiamo farci sono:


Su quale scala è misurata la variabile in oggetto?
Cosa vogliamo sapere?

Intervalli di fiducia
Con le distribuzioni campionarie è possibile determinare un intervallo di valori all‟interno del
quale, con una certa probabilità, cadrà la media della popolazione. In base a quanto visto
finora, possiamo dire che più la distribuzione campionaria è schiacciata intorno alla media
della popolazione, più in un intervallo di valori sempre più stretto ricadrà una probabilità
maggiore di trovare la media della popolazione

Questi intervalli sono detti intervalli di fiducia:


Dobbiamo per prima cosa scegliere la probabilità che l‟intervallo contenga la media della
popolazione: 95%, 90% o 99%.

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COSTRUIRE UN INTERVALLO DI FIDUCIA PER LA MEDIA DELLA POPOLAZIONE


A PARTIRE DA STATISTICHE NEL CAMPIONE
Fissato il valore, ad es. 95%, vogliamo individuare i 2 valori, limite superiore e inferiore, che
contengono il 95% delle medie della distribuzione campionaria:

p = 1- livello di fiducia dell‟intervallo


2
Con questo calcolo abbiamo trovato un valore di area (1-,95 / 2 = 0,25 -> 0,250): dobbiamo
ora trovare quel punto z (sia positivo sia negativo per avere un intervallo con 2 limiti, uno
superiore e uno inferiore) aldilà del quale il valore di area di probabilità è uguale a 0,25.

(STAVOLTA SI ENTRA NELLE TAVOLE ATTRAVERSO L‟AREA!)

(Per un campione <30 e deviazione standard della popolazione ignota, useremo la


distribuzione t di Student.)
Per un campione n>= 30 e σ popolazione ignota: utilizziamo standardizzazione a punti z,
con la seguente formula:

±z = M – µM = σM
s __
√n-1

Noi conosciamo M, s, n e il valore di z aldilà del quale l‟area è 0,25 (lo cerchiamo sulle tavole:
1,6), e dato che la media della popolazione e campionaria corrispondono, inseriamo tutto nella
formula inversa che è
µM = M ± z × s __
√n-1
Che si può scrivere

M–z× s < µM < M + z × __s__


√n-1 √n-1

Quindi concludiamo che al 95% la media della popolazione sarà compresa tra i valori
(nell‟esercizio di riferimento pg.230) 57,82 e 62,18

NB: Se abbiamo una popolazione finita di cui conosciamo l‟ampiezza, dovremo applicare il
fattore di correzione per popolazioni finite.
COSTRUIRE UN INTERVALLO DI FIDUCIA PER LA MEDIA CAMPIONARIA A
PARTIRE DA DATI PRESENTI NELLA POPOLAZIONE

Intervalli di fiducia “classici”


Possiamo avere la situazione inversa: dover determinare, avendo i dati della

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popolazione, e per una certa ampiezza campionaria, l‟intervallo di fiducia all‟interno del
quale cadrà la media campionaria per considerare il campione rappresentativo della
popolazione

Dovremo in questo caso risolvere

µM – z × s < M < µM + z × __s__


√n-1 √n-1

Effetto di n: Si noterà che, in base alla legge dei grandi numeri, all’aumentare
dell’ampiezza campionaria n, se il livello di fiducia rimane costante, l’intervallo di fiducia
diventa progressivamente più ristretto.

Questi concetti possono essere applicati anche al caso di una proporzione : si può
stimare, per un certo intervallo di fiducia, l‟intervallo all‟interno del quale dovrebbe
ricadere la proporzione campionaria perche il campione sia rappresentativo (parto dai
dati nella popolazione)

π – z × √ π (1- π ) < P < π + z × √ π(1- π)


n n

e anche l‟intervallo all‟interno del quale dovrebbe ricadere la proporzione della


popolazione stimata partendo da quella campionaria

P – z × √ P (1- P ) < π < P + z × √ P(1- P)


n-1 n-1

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Verifica delle ipotesi

α = livello di significatività, valore con il quale andremo a confrontare la probabilità dell‟ipotesi


nulla.
Tipi di errore:
1 tipo: rifiutare un‟ipotesi nulla vera – accettare ipotesi alternativa falsa
2 tipo: accettare un‟ipotesi nulla falsa – rifiutare ipotesi alternativa vera
α troppo alto: aumenta rischio di commettere errore di 1 tipo
α troppo basso: aumenta il rischio di commettere un errore di 2 tipo.
α compromesso : 0,5
Potenza
1-β cioè la probabilità di prendere la decisione corretta, ossia accettare l‟ipotesi alternativa
quando è vera. La potenza dipende da diversi fattori:
Tipo di test utilizzato (parametrico maggiore potenza, non parametrico meno potenza)
Dimensione del campione (più ampio è più rappresentativo)
Dimensione dell‟effetto sperimentale
Livello di errore nelle misurazioni sperimentali
La branca della statistica che si occupa dell‟analisi della potenza, permette di stabilire il livello
di α
ottimale per la verifica dell‟ipotesi, a partire dalle informazioni circa il numero di soggetti che
si vuole utilizzare nella ricerca e dalla dimensione dell‟effetto. Viceversa può anche individuare
il numero ottimale di soggetti o di dimensione dell‟effetto per raggiungere gli α e i β desiderati.

Quando stabiliamo che l‟ipotesi nulla è falsa, dobbiamo determinare in che grado lo è, e ciò è
rappresentato dalla dimensione dell’effetto: maggiore è e maggiore è il grado in cui il
fenomeno descritto in ipotesi alternativa si manifesta.

Graficamente è rappresentata dalle distanze tra i “picchi” delle distribuzioni di probabilità delle
ipotesi H0 e H1. Può essere trascurabile, piccolo, moderato o grande.
Anche per definire lo spartiacque tra le 4 categorie della dimensione dell‟effetto si prendono
decisioni parzialmente arbitrarie, ma si ritiene che le informazioni derivanti dal test di
significatività e della dimensione dell’effetto consente di avere una maggiore comprensione
dell’entità del risultato ottenuto.

Un problema del livello di significatività α è che dipende dall’ampiezza campionaria: tanto più il
campione è piccolo tanto più sarà difficile respingere l‟ipotesi nulla in base a un certo α, e
viceversa: ciò fa si che molti ricercatori pur di non accettare l‟ipotesi nulla cercano altri soggetti
per gli esperimenti per poter aumentare l‟ampiezza del campione. Per questo motivo la
dimensione dell‟effetto ci aiuta in quei casi in cui un campione troppo grande o troppo piccolo
possono averci fatto sottovalutare o sopravvalutare un certo effetto.

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Numero di Tipo di gruppi Scala di misura della variabile dipendente


gruppi (campioni)
(campioni) Nominale Ordinale Metrica

Uno - Dicotomica Test della Test z e test T


Test della binomiale mediana
Politomica
Test del chi
quadrato
Due Indipendenti Confronto tra due Mann - Test t e test z per
proporzioni Whitney campioni indipendenti
indipendenti
Dipendenti - - Test t per campioni
dipendenti
Tre o più Indipendenti - ANOVA per campioni
indipendenti
Dipendenti - - ANOVA per campioni
dipendenti

Verifica delle ipotesi su un campione di osservazioni


Confrontare un campione con la popolazione, per verificare se il campione è omogeneo con la
popolazione -> utilizzando dati disponibili sulla popolazione andiamo a vedere se il campione è
omogeneo, per stabilire la possibilità di generalizzare i risultati della ricerca.

Scala nominale
Test della binomiale – test dei segni
Dicotomica, con p=,50 e q=,50
Formuliamo i nostri obiettivi ed ipotesi Ho e H1. Per decidere se accettare o meno Ho è
necessario confrontare il valore di probabilità che calcoliamo, con il livello di α scelto.
Regola di decisione
p < α  rifiuto H0
p > α  accettiamo H0

Calcoliamo quindi la probabilità associata, coerentemente con le nostre ipotesi. Notiamo che la
probabilità ottenuta è di tipo puntiforme, mentre il valore di α è un valore di area: è quindi
necessario che individuiamo a nostra volta un valore di area per il confronto: quindi
calcoleremo la probabilità anche di esiti più “estremi” rendendo la probabilità totale quella di
avere almeno il punteggio calcolato prima.
Esempio: 17 soggetti su 20 nel compito di scelta forzata hanno dichiarato di percepire il
contrasto di chiarezza simultaneo. vogliamo sapere se esiste davvero: se non esiste, le

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persone risponderanno a caso e i risultati saranno quindi valori di ,50 e ,50; se esiste si
avranno punteggi >50 per quanto riguarda la risposta corretta. Calcoliamo la probabilità di
ottenere 17 risposte „bianco‟ su 20, posto che sia vero che nella popolazione la proporzione di
risposte bianco sia del 50% (ipotesi nulla). Tuttavia la probabilità ottenuta è puntiforme e non
possiamo confrontarla con α, andremo quindi a calcolare anche le probabilità di 18, 19 e 20,
ottenendo così la probabilità di ottenere almeno 17 risposte giuste. Se la probabilità risulta < α
rifiuteremo l‟ipotesi nulla e quindi possiamo affermare l‟esistenza del fenomeno H1, se la
probabilità risulta > α accettiamo l‟ipotesi nulla e quindi affermiamo che il fenomeno non
esiste. Come?

p ( S ≥ k) = (n i) Πi × (1-Π)n-i

S = evento che si è verificato (successo)


k = n° risposte bianco
Π = probabilità di rispondere bianco (supposta ,50)
1-Π= probabilità di non rispondere bianco (supposta,50)
P(S≥k) lo calcoliamo per p(17), p(18) ecc. e poi sommiamo tutti i valori ottenuti, ottenendo la
p da confrontare con α
Dicotomica, ma p ≠ ,50
Se per esempio sappiamo che p=,30 nella popolazione, e nel campio 2 soggetti su 12
rispondono correttamente al test, formuleremo un’ipotesi bidirezionale, se non abbiamo una
teoria che ci guida, e ipotizziamo che se il campione è omogeneo con la popolazione, allora la
proporzione campionaria è una fluttuazione casuale attorno al ,30 della popolazione, altrimenti
non è rappresentativo.
L‟ipotesi alternativa è impostata sulla possibilità di una differenza da ,30.

Avendo un‟ipotesi bidirezionale, divideremo α nelle due code della distribuzione, ognuna delle
quali quindi varrà α/2. Il valore di p ottenuto sarà quindi confrontato, nel caso di α=,05, con il
valore α=,025.
Anche in questo caso calcoleremo anche le probabilità più estreme,le sommiamo e le
confrontiamo con α applicando la stessa regola di decisione

Test della binomiale – campioni ampi


In una situazione simile alla precedente, quando si ha un campione di soggetti molto ampio
non si possono calolare le probabilità di tutti i k eventi su n prove, perché sarebbe troppo
lungo e complesso.
Cosa facciamo? Sfruttiamo la possibilità di approssimare la distribuzione binomiale
alla normale, dato che abbiamo un campione ampio. Perciò, prima trasformiamo la
proporzione campionaria in punti z, e saranno i punti z quelli che andremo a confrontare con α.

z = _____P-Π____
√Π(1 - Π)
N

Se z calcolato ci viene maggiore di 3,9 che è il massimo delle tavole non ci sono problemi: ci
interessa solo sapere se è maggiore o minore di α! Per cui andremo a cercare sulle tavole

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quel valore di z per il quale l’area aldilà di z è uguale ad α. Per cui se ho α=,04 andrò a
cercare sulle tavole il valore di area più vicino a ,04 sulla colonna scura (b). il valore ottenuto
sarà lo z critico con cui confrenteremo lo z calcolato

Regola di decisione
Se z calcolato > z critico: rifiutiamo H0
Se z calcolato < z critico: accettiamo H0

La regola di decisione è opposta a quella di p: infatti più z aumenta e più il punteggio è


estremo e quindi più improbabile.

ATTENZIONE: se abbiamo un‟ipotesi monodirezionale sinistra o bidirezionale, la regola di


decisione si fa più complessa.
Nel caso di un‟ipotesi bidirezionale avremo due alfa/2 divisi tra le due code, e avremo anche
due punti z uguali ma di segni opposti. Avremo quindi anche 2 z critici che individuano valori di
area uguali ma di segno opposto.

La regola di decisione sarà:

Se z calcolato > +z critico oppure –z calcolato < -z critico: rifiutiamo H0


Se –z critico < z calcolato < z critico: (se z calcolato si trova nell‟intervallo tra i 2 critici)
accettiamo H0

Si potrebbe semplificare considerando il valore z sempre in valore assoluto, così che:

Se |z calcolato| > |z critico| : rifiutiamo H0


Se |z calcolato| < |z critico| : accettiamo H0

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Dimensione dell’effetto nel test della binomiale


g = |P-Π|

dove P è la proporzione di successi nel campione e Π la proporzione di successi nota o


ipotizzata nella popolazione

Valore di g Dimensione dell‟effetto


g < 0,05 trascurabile
0,05 < g < 0,15 piccola
0,15 < g < 0,25 moderata
g > 0,25 grande

Test del chi quadrato


Si utilizza con variabile nominale politomica, ossia quando la variabile ha più di due
categorie. Il test ci permette di valutare l‟entità degli scostamenti tra le frequenze attese nelle
categorie della variabile (supponendo sia vero nella popolazione un certo modello di
distribuzione di frequenze) e quelle osservate.
Possiamo utilizzare due modelli di distribuzione teorica delle frequenze:
Equidistribuzione
Basato su informazioni note a priori o desumibili teoricamente (circa la distribuzione
delle frequenze)

Seguendo la seconda opzione, andremo ad ipotizzare che le variabili si distribuiscono nel


campione allo stesso modo che nella popolazione, rispettando le stesse proporzioni. Se ciò non
avviene con precisione (frequenze attese e osservate non coincidono esattamente) si andrà a
valutare se queste differenze sono dovute al fatto che il campione non è rappresentativo o se
sono fluttuazioni casuali.

Il test del chi quadrato (Pearson) permette di verificare se la distribuzione di frequenza delle
categorie di una variabile nominale differisce o meno dalla distribuzione di frequenza che si
otterrebbe, per lo stesso numero di osservazioni, in base ad un modello teorico ritenuto vero
nella popolazione: permette cioè di convertire le differenze tra frequenze osservate e
attese in un valore che segue la distribuzione di probabilità ϰ2.
fo = frequenze osservate; fa=frequenze
attese, k=n° categorie variabile.

Confronteremo il valore di ϰ2 calcolato con il ϰ2 che troveremo nelle tavole.


La distribuzione del chi quadrato ha le seguenti caratteristiche:
È data dalla somma dei quadrati dei punti z della distribuzione normale
In base al numero di punti z sommati, cioè i gradi di libertà, può assumere varie forme
Essendo definita da quadrati, non è mai negativa: definita da 0 a + ∞
È asimmetrica e tende alla simmetria quando i gdl tendono a +∞
Gdl = n°
categorie - 1

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Asintotica
I GDL sono sempre uguali al n° delle categorie della variabile -1

Individuare ϰ2 critico: scegliamo il livello di significatività α che andrà a definire le zone di


accettazione e rifiuto. Andare sulle tavole -> colonne: livelli di α; righe: gdl.

Regola di decisione
Se ϰ 2 calcolato > ϰ 2 critico  rifiutiamo H0
Se ϰ 2 calcolato ≤ ϰ 2 critico  accettiamo H0

Se non abbiamo informazioni a priori, utilizziamo il modello dell‟equidistribuzione:


ipotizziamo che tutte le categorie della variabile abbiano la stessa frequenza, quindi si fa n
(numero osservazioni) diviso k (n°categorie): il risultato è la frequenza di oservazioni in ogni
categoria. Si andrà poi a verificare in ipotesi nulla la presunta equidistribuzione, e si procede
come visto prima al calcolo del chi quadrato.

Se respingiamo l‟ipotesi nulla, non sappiamo ancora in quali categorie della variabile c‟è
maggior discrepanza tra frequenze attese e osservate: per avere un‟analisi più precisa
andranno applicati dei test post-hoc.

Considerazioni sull‟uso del test del chi-quadrato per un campione


È necessario che vengano rispettate alcune assunzioni:
Osservazioni indipendenti: il
dato relativo a un soggetto è contato una sola volta
Nessuna frequenza
osservata uguale a zero
Se la variabile è dicotomica
nessuna frequenza inferiore a 5
Se la variabile è politomica
nessuna frequenza inferiore a 1, e non più del 20% inferiori a 5.
Se una sola di queste non è rispettata, il chi quadrato non sarà distribuito come la
distribuzione teorica di probabilità X2. In un caso del genere conviene ampliare il campione
oppure accorpare due o più categorie.

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Anche il chi quadro dipende molto dall‟ampiezza del campione: se non variamo i dati ma
cambiamo il numero di soggetti, il ϰ2 resta invariato, ma quello calcolato è più alto: ne
consegue che con un campione piccolo respingiamo più difficilmente l‟ipotesi nulla, mentre con
un campione ampio è invece troppo facile respingerla. Per questo motivo si utilizza anche
l‟indice di dimensione dell’effetto, il quale nel calcolo fa sì che il chi quadro sia rapportato
all‟ampiezza del campione.

Valore di w Dimensione dell’effetto


w= w < 0,10 trascurabile
0,10 < w < 0,30 debole
0,30 < w < 0,50 moderata
W > 0,50 grande

Scala metrica
1) Test z per un campione

Lo scopo è anche qui verificare se un campione di soggetti con una caratteristica particolare è
omogeneo o si differenzia in modo statisticamente significativo rispetto ad una popolazione di
cui sono noti i parametri (σ e µ), di una variabile su scala metrica.

Si può procedere in due modi: si impostando un intervallo di fiducia (della media campionaria
intorno alla media della popolazione) oppure attraverso la verifica delle ipotesi.
I due procedimenti sono “complementari”:
con l’intervallo di fiducia
andiamo a delimitare quella che nella verifica delle ipotesi è la regione di accettazione di
Ho, e quindi se la media ricade in questo intervallo il campione è considerato
omogeneo, accettando Ho.
Con la verifica delle
ipotesi ragioniamo invece sul fatto che la media campionaria ricada o meno nelle zone
di rifiuto di Ho, che nell‟intervallo di fiducia rappresentano le zone esterne all‟intervallo.
Con entrambi i metodi si arriva alle stesse conclusioni.

Se vogliamo utilizzare la verifica delle ipotesi, dobbiamo procedere come visto finora: stabilire
obiettivo (indagare se il campione è omogeneo) e ipotesi (Ho: µM = µ la media del punteggio
del campione è stata estratta da una d.campionaria di medie che ha media uguale a quella
della popolazione; H1: µM≠ µ la media del punteggio del campione è stata estratta da una
d.campionaria di medie che ha media diversa da quella nota nella popolazione); stabiliamo α
e facciamo riferimento alla distribuzione normale standardizzata con i suoi punti z.
Un’ampiezza
campionaria inferiore a 30 non rappresenta un problema se la distribuzione
della variabile nella popolazione è normale e sono noti media e deviazione
standard.
Se invece non conosciamo
la forma della distribuzione nella popolazione andremmo ad applicare il test z solo per
un‟ampiezza campionaria > 30.

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Abbiamo la stessa regola di decisione:

Se |z calcolato| > |z critico| : rifiutiamo H0


Se |z calcolato| < |z critico| : accettiamo H0

z critico: cerchiamo sulle tavole il valore di z per cui l‟area aldilà di z vale 0,5 (ipotesi
monodirezionale) o 0,25 (ipotesi bidirezionale).

z calcolato = con

dev.st della popolazione


n ampiezza campionaria
M=media campionaria
μM = media distribuzione campionaria delle medie,
supposta uguale alla media della distribuzione

Se ci viene fornita una popolazione finita, ricordiamo di applicare il fattore di correzione


nel calcolo dell‟errore standard.

Se ampiezza campionaria > 30 e deviazione standard non nota: utilizziamo l‟errore


standard stimato a partire dalla deviazione standard del campione e
questo sarà usato al posto di σ/

2) Test t e distribuzione t di Student

Gosset (Student) dimostrò che quando la deviazione standard della popolazione non è nota e
deve essere stimata dai dati a disposizione, la distribuzione di probabilità della media
campionaria non è più perfettamente normale. Ciò avviene anche con campioni superiori a 30,
tuttavia lo scostamento dalla normale è abbastanza trascurabile. Per campioni più piccoli
invece, la distribuzione fa più riferimento ad un‟altra distribuzione, detta distribuzione t di
Student appunto, che sebbene somigli molto alla normale presenta due differenze sostanziali:
-La deviazione standard è un po’ superiore a quella della d.normale  presenta
code più pesanti, che hanno quindi più area sotto di loro: di conseguenza i valori
estremi sono leggermente più probabili
- È definita dai gradi di libertà = n-1

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Per il resto è come la normale:


-Simmetrica rispetto alla media; asintotica; unimodale, area sotto la curva =1; forma a
campana

La logica della verifica delle ipotesi resta la stessa, stabiliamo α, H1 mono o bidirezionale e
cerchiamo sulle tavole il valore di t critico entrando in base ai gdl e ad α.

(sempre con con


tutte le eventuali Regola di decisione
correzioni)
Se t calcolato > t critico  rifiutiamo H0
Se t calcolato < t critico  accettiamo H0

Per costruire l‟intervallo di fiducia nel caso di ampiezza campionaria < 30 e dev.st non nota,
dobbiamo riferirci quindi alla distribuzione t di Student, e utilizzare la formula:

Dove
v = gradi di libertà (n-1);
α/2 = (1-prob.intervallo di fiducia)/2;
(con questi due calcoli individuiamo t sulle tavole)
Stessa identica cosa per l‟intervallo di fiducia di una proporzione:

Dimensione dell’effetto nei test T e Z


Valore di d Dimensione
se è nota la dev.st dell’effetto
del campione d < ,20 Trascurabile
,20 < d < ,50 Piccola
,50 < d < ,80 Moderata
Se è nota solo la dev.st d > ,80 Grande
della popolazione

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Verifica delle ipotesi su due campioni di osservazioni

Passiamo ora a considerare il confronto tra due campioni di osservazioni: avremo ora due
variabili: una che differenzia i campioni di osservazioni e l‟altra che è quella che misuriamo su
ogni unità di analisi. Vogliamo sapere se la variabilità del carattere misurato sulle unità di
analisi può essere spiegata dall‟appartenere all‟uno o all‟altro gruppo di osservazioni.
Confrontando due campioni presumiamo che le unità di analisi siano omogenee ovvero
identiche per tutte le caratteristiche rilevanti e differenti soltanto per l‟appartenenza ad una
certa condizione (=a quel livello della VI).
Il confronto tra due campioni è fatto allo scopo di sapere se le differenze o uguaglianze
ottenute tra i due campioni sono estendibili alla popolazione di riferimento.

In questo capitolo vedremo i casi in cui la variabile


indipendente è nominale e dicotomica
NB: Si dice campioni di osservazioni (e non campioni
di soggetti) perché i dati possono anche essere rilevati su un singolo campione di
individui, ad esempio prima o dopo un trattamento: in tal caso si avrebbero due
campioni di osservazioni ma un solo campione di soggetti.
In base al fatto che i campioni siano indipendenti o
non indipendenti, sceglieremo il test statistico.

Campioni indipendenti Campioni dipendenti


between subjects (within subjects)

Campioni indipendenti
I punteggi inclusi in un campione casuale non sono in relazione con i punteggi inclusi
nell‟altro: quindi il risultato di un soggetto non ha alcuna influenza sul risultato di un
soggetto di un altro gruppo. Per poter garantire che eventuali differenze osservate nella
variabile dipendente possano attribuirsi all‟appartenere all‟uno o all‟altro gruppo definito dai
livelli della VI, occorre mantenere costanti tutte le altre condizioni, assicurandosi che due
gruppi distinti di individui siano identici riguardo qualunque caratteristica che possa
influire sulla VD. In questo caso si ha un vero esperimento:
Il ricercatore può produrre e manipolare i livelli della VI
I soggetti sono assegnati casualmente ai livelli della VI
È presente un gruppo di controllo

Esistono però situazioni in cui i livelli della VI non possono essere manipolati intenzionalmente
dallo sperimentatore, ad esempio se indaghiamo le differenze tra maschi e femmine, i livelli
della VI sono caratteristiche intrinseche dei soggetti, che non possono essere modificate. Si
è allora in presenza di un quasi esperimento: abbiamo ancora gruppi indipendenti, ma non c‟è
assegnazione casuale (i maschi saranno nel gruppo dei maschi, non possiamo assegnarli
casualmente!). si procederà con un campionamento casuale all‟interno dei gruppi già

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precostituiti in base alla variabile.


La scelta del test statistico dipende dalla scala di misura della variabile dipendente

Scala metrica
Test z per campioni indipendenti
Quando lavoro su due campioni e ragioniamo sulle differenze, e andremo a costruire una
distribuzione campionaria della differenza tra le medie. Ha media (M1-M2) e dev.st (σ1 – σ 2)
Utilizziamo la distribuzione normale standardizzata se N 1 e N2 > 30, altrimenti la
t di Student.
La distribuzione dovrà tenere conto delle medie e delle deviazioni standard delle popolazioni di
partenza.
Questa distribuzione avrà una sua media (stima della differenza esistente tra le popolazioni) e
una sua deviazione standard (errore standard della differenza fra le medie) e utilizzeremo
questi dati per il test z per campioni indipendenti: approssimiamo alla normale standardizzata
trovando i punti z

Se σ1 e σ2 noti:

Differenza medie campionarie – differenza medie delle popolazioni


diviso radice della somma delle varianze (deviazioni standard alla 2)
corrette per la dimensione campionaria
Se σ1 e σ2 ignoti e N1 e
N2 ≥ 30

Come prima si usa la normale ma si


ha un diverso calcolo dell‟errore standard.

Test t per campioni indipendenti

Se σ1 e σ2 ignoti e N1 e
Usiamo la t di Student
N2 < 30

Dove tutto il pezzo sotto radice rappresenta lo


stimatore congiunto della varianza della differenza tra le medie

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Usando la distribuzione t, individueremo t critico entrando sulle tavole, stavoltaperò con i


gdl = n1+n2-2. Si scelgono α, l‟ipotesi H1 e individuano t critico, che sarà confrontato con t
calcolato, come sempre.

Test statistici per l’omogeneità delle varianze (nel test t)


Prima di procedere con il test t però, è necessario verificare l‟omogeneità delle varianze,
cioè se sono omoschedastiche o meno, per giustificare l‟utilizzo dello stimatore congiunto della
varianza.

Il confronto tra varianze viene fatto calcolando il rapporto tra le varianze stimate delle
popolazioni da cui sono tratti i campioni, il quale segue la distribuzione teorica F di Fisher –
Snedecor.
Definita da 0 a +∞
Asintotica
Asimmetrica
(come il chi quadrato)
Ma dipende da due valori di gradi di libertà, cioè quelli dei due campioni.

1. Per calcolare l‟omogeneità delle varianze si procede impostando una verifica delle ipotesi con
l‟obiettivo di verificare che le varianze siano omogenee:
o Ho: la varianza nella popolazione da cui è estratto il campione 1 è uguale a quella da cui
è stato estratto il campione 2: il rapporto tra varianze è uguale a 1;
o H1: la varianza nella popolazione da cui è stato estratto il campione 1 è diversa da
quella del campione 2: le varianze non sono omogenee e il loro rapporto è diverso
(maggiore/minore) da 1.
2. Scegliamo un livello di significatività α es. 0,5, e un‟ipotesi alternativa.
Se H1 è bidirezionale, prenderemo 0,25 sulla sinistra della distribuzione F e 0,25 sulla coda
destra: tuttavia il valore di F critico superiore non sarà l’opposto di quello inferiore, ma
l’inverso dato che la distribuzione è asimmetrica.
F critico inferiore: 1 / f critico superiore

3. Essendo a conoscenza solo delle varianze dei campioni (e non della popolazione) dobbiamo
stimare le varianze della popolazione, per poter risalire a F critico sulle tavole.

Stima della varianza: che calcoleremo per il campione 1 e per il campione


2.

4. Troviamo f critico sulle tavole inserendo :


o Al numeratore: i gradi di libertà della varianza stimata che ci viene più grande
o Al denominatere: i gradi di libertà della varianza stimata che ci viene più piccola
5. Otteniamo f calcolato: inserendo al numeratore la varianza maggiore e al denominatore la
varianza minore

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Regola di decisione:
F calcolato > F critico: rifiutiamo Ho, non possiamo usare lo
stimatore congiunto della varianza nella formula di t.
F calcolato < F critico: accettiamo Ho, la varianza è
omogenea:possiamo usare lo stimatore congiunto della
varianza nella formula di t.

Se non possiamo usare lo stimatore, utilizzeremo un‟altra formula per calcolare t

e aggiusteremo i gradi di libertà:

Dimensione dell’effetto: test t e test z


Essendo la significatività del test t molto influenzata dall‟ampiezza dei campioni, calcoliamo
anche qua la dimensione dell‟effetto, che nel caso di due campioni è:

Dove la deviazione standard è di uno dei due gruppi, dato che dovrebbero essere venute
omogenee. Altrimenti si inserisce la d.standard del gruppo che si considera “di controllo”

Scala ordinale
Test di Mann – Whitney
Permette di confrontare le mediane di due campioni indipendenti: l’ipotesi nulla Mε1-
Mε2 = 0 ritiene che la mediana della popolazione 1 è uguale alla mediana della
popolazione 2, tradotto: i due campioni sono estratti dalla stessa popolazione per
cui hanno la stessa distribuzione di probabilità e stessa mediana; l‟ipotesi alternativa è

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che i punteggi di un campione siano maggiori.


Si applica per campioni indipendenti su scala metrica quando n1 e/o n2 < 9.
Si basa sulla possibilità di assegnare un rango ad ognuna delle osservazioni
È necessario che:
o I due campioni siano indipendenti
o I due campioni sono estratti da una qualsiasi distribuzione che sia continua (per
evitare vi siano punteggi di pari rango)
o I punteggi siano almeno su scala ordinale

Come si applica?
(ipotizziamo appartenenza a gruppi Maschi – Femmine)

1. Ordinare i punteggi indipendentemente dal gruppo


2. Ai punteggi di pari rango si assegna il rango medio
3. Si torna a tenere conto del gruppo e si calcola la somma dei ranghi per il gruppo M e la
somma dei ranghi per il gruppo F, avremo due sommatorie
4. Calcoliamo per ogni sommatoria (cioè ogni livello della variabile indipendente) i valori
di:

Quindi calcoleremo Umaschi e Ufemmine, dove n è l‟ampiezza del


campione
5. Prendiamo il valore di U minore tra i due calcolati e lo confrontiamo con U critico sulle
tavole di U. per le tavole di U ci servono:
livello di significatività α
ipotesi H1 bidirezionale o monodirezionale
Ampiezze campionarie: indifferente cercare sulle righe o sulle
colonne dato che le tavole di U sono simmetriche. (nM e nF)

La regola di decisione opposta!! a quelle di z,t,x2…

Regola di decisione
Se U calcolato ≤ U critico  rifiutiamo Ho
Se U calcolato > U critico  accettiamo Ho

Se entrambi i gruppi hanno numerosità > 9, possiamo approssimare la distribuzione


della stastistica U alla normale: confronteremo lo z ottenuto con il solito z critico,
utilizzando le tavole della distribuzione normale standardizzata. Applicheremo la regola
di decisione solita della distribuzione normale:
o Se z calcolato > z critico : rifiutiamo H0
o Se z calcolato < z critico : accettiamo H0
Per la rappresentazione grafica si utilizza il boxplot.

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Test statistici per due campioni dipendenti


Campioni dipendenti
due o + campioni sono indipendenti quando i punteggi inclusi in un campione casuale sono
sistematicamente in relazione con i punteggi inclusi nell‟altro campione casuale.
Ciò capita molto spesso quando gli stessi soggetti sono sottoposti ai diversi livelli della variabile
indipendente, all‟interno dei disegni di ricerca detti per misure ripetute. Lo scopo della
verifica è sempre lo stesso in realtà, cioè verificare se i diversi livelli della VI influenzano in
modo diverso le prestazioni del soggetto.
Pro: essendo gli stessi soggetti sottoposti ai diversi trattamenti, si elimina il problema
dell‟eventuale non omogeneità dei gruppi
Contro: possibile perdita non casuale di soggetti (si stufano, non tornano..); effetti
dovuti all‟ordine o alla sequenza del trattamento: bisogna cercare di evitare di
somministrare a tutti le prove nello stesso ordine per non avere distorsioni dei risultati:
i punteggi infatti spesso migliorano (effetto pratica) o peggiorano (stanchezza) con
l‟aumentare delle prove.

Due o più campioni possono essere indipendenti anche in altri casi però:
Pareggiamento: se i gruppi sarebbero indipendenti, ma abbiamo una situazione in cui il
campione non è molto ampio e si vuole controllare una variabile che è nota essere in
relazione con la VD, si potrebbe attuare un pareggiamento, ovvero non assegnare
casualmente i soggetti ai livelli della VI ma secondo un criterio preliminare.  si
ordinano i soggetti in base alla caratteristica e si costituiscono delle coppie: all‟interno
della coppia sarà estratto casualmente chi va in un gruppo e chi nell‟altro. L‟unità di
analisi è quindi la coppia e non più il singolo soggetto. I soggetti sono appaiati,
considerati omogenei rispetto alla variabile di selezione
Studi caso-controllo: qui i “casi” cioè gli individui che hanno una certa caratteristica,
vengono accoppiati con individui che non hanno quella caratteristica (“controlli”) ma che
vengono considerati omogenei, simili per tutte le altre variabili potenzialmente influenti
(solitamente caratteristiche socio-demografiche, età, genere, studi..) La logica è che i
controlli dovrebbero differenziarsi dai casi solo per l‟assenza di caratteristica.
Durante l‟analisi bisogna dunque considerare le coppie come misure indipendenti
Anche le osservazioni madre-padre; fratello-sorella; e soprattutto gemello-gemello
andrebbero considerate come dipendenti.

Per fare un appaiamento ovviamente è necessario misurare Prima la variabile

Scala metrica
Test t o test z per campioni dipendenti (appaiati)
Se vogliamo verificare se un protocollo riabilitativo produce un miglioramento in un gruppo di
pazienti e andiamo a somministrare un test prima e uno dopo il trattamento. Ovviamente
vogliamo poter generalizzare i risultati alla popolazione, per cui verificheremo che se il
miglioramento c‟è, sia statisticamente significativo.

VI: trattamento (dicotomica: prima, dopo)


VD: punteggio al test (s.intervalli)

Essendo VD su scala metrica possiamo lavorare sulle differenze medie nei punteggi paziente

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per paziente. Otteniamo i risultati: come verifichiamo statisticamente se il trattamento è


efficace? Se non lo fosse, si dovrebbe avere una media delle differenze uguale a 0 (alcuni
pazienti migliorano +, altri peggiorano -, altri restano invariati: la media delle differenze
prima-dopo dovrebbero risultare uguali a zero perché si pareggiano.) Se ciò non accade (si ha
quindi una media delle differenze >0, in questo caso +7,40) dobbiamo sapere se il
miglioramento osservato è statisticamente significativo (quindi la media delle differenze
prima-dopo è maggiore di 0) oppure se è una fluttuazione casuale attorno al valore di 0.

H0: nella popolazione la media delle differenze prima-dopo è uguale a zero


H1: nella popolazione la medie delle differenze prima-dopo è maggiore di 0

Andiamo ad applicare un test per campioni dipendenti:


o Test t se n < 30 e media e d.st
ignota con n-1 gdl
o Test z se n >30
approssimazione alla normale

Qui siamo nel caso di n<30 e media e deviazione standard ignote (abbiamo un caso particolare
di confronto tra la media di un campione e media della popolazione): utilizzeremo quindi la
formula

Dove MD è la media e sD la deviazione standard


delle differenze osservate nel campione

dato che solitamente in ipotesi nulla


supponiamo µD = 0, si può togliere dalla formula. Se invece siamo a conoscenza ad
esempio di un trattamento che produce un numero medio di aumento di punteggio, in
ipotesi nulla metteremo che il nuovo trattamento produce un aumento uguale al
trattamento vecchio; in ipotesi alternativa che produce un aumento maggiore di quello
vecchio. (e quindi usiamo la formula completa).
(es. Ho: µD = +5; H1: µD > +5)

Regola di decisione
Se |t calcolato| > |t critico|  rifiutiamo Ho
Se |t calcolato| < |t critico|  accettiamo Ho

Dimensione dell’effetto
Qui è ancora più importante dato che quando si valuta un miglioramento nelle condizioni di
pazienti o l‟efficacia di un intervento, la significatività statistica è inutile se non si accompagna
ad una significatività pratica e clinica.

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Il calcolo e l‟interpretazione della dimensione dell‟effetto sono analoghi a quelli visti nel
confronto tra una media campionaria e una media della popolazione:
Dimensione dell’effetto nei test T e Z

se è nota la dev.st Valore di d Dimensione


del campione dell’effetto
d < ,20 Trascurabile
,20 < d < ,50 Piccola
,50 < d < ,80 Moderata
Se è nota solo la dev.st d > ,80 Grande
della popolazione

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Verifica delle ipotesi su tre o più campioni di osservazioni


Ci sono situazioni in cui per esplorare l‟effetto di una VI non sono sufficienti due soli livelli, ma
almeno 3. Ad esempio per verificare l‟efficacia di un farmaco non è necessario avere due
gruppi (condizione „controllo‟ che non assume nulla; condizione di assunzione) in quanto i due
gruppi non differiscono per una sola caratteristica (VI, il farmaco) ma anche per un‟altra
(assumere / non assumere la pillola). Non sapremmo quindi dire se l‟eventuale miglioramento
dipende davvero dalla VI in questione (principio attivo) o se possa essere l‟effetto della
suggestione dovuto dall‟assunzione di una pillola.
Quando è necessario fare un confronto tra tre o più campioni la logica cambia un po‟: vogliamo
confermare la nostra ipotesi escludendo tutte le possibili interpretazioni derivanti dall‟effetto di
una variabile di disturbo. Come procedere:
Eseguire un test omnibus: cioè
verificare se c‟è o meno un effetto a livello generale. Se possiamo rifiutare l‟ipotesi nulla
che i tre o più gruppi non si differenziano rispetto alla variabile dipendente, e accettare
l‟ipotesi alternativa che almeno due gruppi differiscono tra loro
Se il test omnibus ci ha portato a
rifiutare Ho, si eseguono test post-hoc in modo da stabilire quali coppie di gruppi o
condizioni differiscono statisticamente

Scala metrica
Campioni indipendenti - ANOVA
Avremo gruppi di soggetti diversi i cui punteggi non sono in relazione (c.indipendenti) e
variabile dipendente misurata su scala metrica.
Andremo ad applicare un test statistico che lavora sulla variabilità dei punteggi: l‟ANOVA
(analisi della varianza) : permette la verifica delle differenze tra le medie basandosi sulla
variabilità dei dati.
Esempio test Social Phobia Scale:
Logica dell‟analisi
1. Si calcola la media di tutti i punteggi (indipendentemente dal gruppo)  media generale
MG

2. Calcoliamo gli scarti dei singoli punteggi dalla M G, poi li eleviamo alla 2 e li sommiamo 
devianza generale SSG

3. Calcoliamo le devianze dei singoli gruppi, (scarti dei singoli punteggi dalla media del
proprio gruppo). La somma delle 3 devianze ci dirà qualcosa sulla nostra verifica delle ipotesi:

Se la somma delle SS dei gruppi è

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uguale alla SSGenerale  le medie dei gruppi saranno probabilmente uguali tra loro
Se la somma delle SS dei gruppi è
inferiore alla SSG  le medie dei gruppi saranno diverse e lo sono tanto più la somma
delle SS dei gruppi è inferiore

Ciò accade perché il calcolo della devianza generale non tiene conto della variabilità dei
singoli gruppi, infatti si esegue il calcolo come se si fosse all‟interno di un gruppo unico.

Andando a fare il calcolo della devianza tra i gruppi invece, rendiamo ogni soggetto del gruppo
assimilabile al gruppo stesso (non conta il punteggio singolo ma la media del gruppo) e
rappresenta quindi la variabilità legata al fatto di appartenere a gruppi diversi:

 per tutti gli n soggetti i, sottrai alla media j del gruppo cui appartengono la media generale,
eleva al quadrato e somma.

La devianza generale non è altro che la somma della devianza all‟interno dei gruppi più la
devianza tra gruppi. Possiamo ottenere questi valori per sottrazione (SS G = SSW+SSB;
SSW=SSG+SSB; SSB=SSG-SSW)

Riassumendo:

Devianza tra gruppi Devianza entro i gruppi


Variabilità legata all‟effetto della variabile Variabilità legata alle differenze tra i soggetti,
indipendente: appartenere all‟uno o all‟altro ad altre fonti di variazione che non sia quello
gruppo della VI. Perciò è anche detta variabilità di
errore.

Una volta calcolate le devianze, ci interessa decidere se la varianza tra i gruppi è


statisticamente maggiore della devianza all’interno dei gruppi perché ciò ci permetterà
di concludere che la maggior parte della variabilità della VI è dovuta a differenze che gli
individui presentano a causa dell‟appartenenza all‟uno o all‟altro gruppo (e quindi non al fatto
che possono essere diversi all’interno di ogni gruppo)

Per eseguire ANOVA però utilizzeremo le VARIANZE (MEAN OF SQUARES, MS) e non le devianze:
il problema è che la devianza tra gruppi dipende dal numero k di soggetti nel gruppo, mentre
la devianza all‟interno dei gruppi dipende dal numero n di soggetti: le due somme non sono
sullo stesso piano: se dividiamo ognuna delle devianze per i propri gradi di libertà, le
riportiamo a un livello su cui possono essere confrontate:

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VARIANZA TRA GRUPPI = DEVIANZA TRA VARIANZA ENTRO I GRUPPI = DEVIANZA


GRUPPI – GRADI DI LIBERTÀ ENTRO I GRUPPI – GRADI DI LIBERTÀ

MSB = SSB / k – 1 MSW = SSW / n - k

gdl = numero gruppi - 1 gdl = numero soggetti – numero


gruppi

Nel momento in cui confrontiamo le varianze, stiamo di nuovo considerando la loro


omoschedasticità: ma ora non vogliamo sapere se sono omogenee ma se LA VARIANZA
BETWEEN È MAGGIORE DELLA VARIANZA WITHIN
Eseguiamo quindi un test f con al
numeratore la varianza between e al denominatore la varianza within

Abbiamo quindi il valore di F calcolato e procediamo la verifica delle ipotesi cercando F critico
sulle tavole: con k-1 gdl a denominatore e n-k gdl al numeratore.

Dal confronto tra F calcolato e F critico potremo stabilire se è vera H1 che è almeno due medie
sono differenti tra loro.

CALCOLI VELOCI:
1) Stabilire obiettivi e ipotesi, decidere H1 mono o bidirezionale (solitamente mono)
2) calcolare per ogni punteggio il suo quadrato e poi individuare le somme dei punteggi e dei
loro quadrati per tutti i gruppi e in totale
TTOT = T1 + T2 + T3
Q TOT = Q1 + Q2 + Q3

3) calcoliamo il termine di correzione C

4) Otteniamo velocemente la devianza totale con:


SSTOT = QTOT – C
5) Calcoliamo o la devianza between o la devianza within e otteniamo l‟altra per differenza:

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5) POSSIAMO QUINDI COSTRUIRE LA TAVOLA DI ANOVA. (ESEMPIO)

Fonte di variabilità Devianza SS gdl Varianza MS F = MSBETWEEN /


= SS/gdl MSWITHIN

TRA I GRUPPI 1183, 92 2 591,96 32,21


(between, variabile
indipendente)

ENTRO I GRUPPI 275,69 15 18,38


(within, errore)

Totale 1459,61 17 908 90

L‟anova è un test omnibus: ci dice solo che due medie sono diverse fra loro, ma non sappiamo
quali. guardando i dati possiamo saperlo, ma per provarlo statisticamente avremo bisogno dei
test post-hoc
Assunzioni per l’applicazione dell’ANOVA
Osservazioni raccolte
indipendentemente le une dalle altre
La VI ha k≥2 livelli ed è su scala
nominale o ordinale
La variabile dipendendente è su
scala metrica
Le varianze delle popolazioni da cui
sono estratti i campioni sono omoschedastiche.
Nelle popolazioni da cui provengono i
k campioni la VD è distribuita in modo normale: Tuttavia è un‟informazione che spesso
non abbiamo, per cui si cerca di non applicare ANOVA su campioni troppo ristretti
(meno di 10 soggetti)
Effetti additivi: i diversi livelli della
VI influiscono sulla VD per addizione o sottrazione  rispettando quindi un modello
lineare generale (MLG) per cui esiste una relazione di tipo lineare tra la VI e la VD.

Dimensione dell’effetto nell’ ANOVA


La dimensione dell‟effetto è rappresentata dal rapporto tra varianza between e la varianza
totale: ci dice quale proporzione della variabilità totale della variabile dipendente è
attribuibile all’effetto della variabile dipendente.

Si calcola con eta quadro:

Oppure con omega quadro stimato, che è considerato più affidabile in quanto eta quadro è
noto sovrastimare la dimensione dell‟effetto.

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Campioni dipendenti
ANOVA per misure ripetute

Nel caso in cui vogliamo ad esempio verificare l‟efficacia di un trattamento e abbiamo 3


rilevazioni (prima, durante dopo) possiamo utilizzare l‟Anova per misure ripetute (con solo
prima-dopo utilizzeremmo il test t per campioni dipendenti).
Definiamo al solito obiettivi ed
ipotesi, Ho suppone che i 3 campioni provengano da popolazioni con lo stesso punteggio
medio, H1 suppone vi siano differenze tra i campioni.
La devianza totale sarà divisa
diversamente: una devianza tra i soggetti (variabilità dovuta al fatto che i soggetti
sono diversi tra loro) e una devianza entro i soggetti (che rappresenta la variabilità
dovuta alle differenze tra una rilevazione e l‟altra – prima/dopo/durante). A noi
interessa la devianza entro i soggetti: a sua volta può essere scomposta in una
devianza entro le prove (variabilità dovuta al trattamento) e una devianza residua
(errore o tutti i fattori non controllati che potrebbero influire).

Devianza totale
nk - 1

Devianza tra i soggetti


n-1 Devianza entro i soggetti
nk - n

Devianza tra le prove


k-1 Devianza residua (errore)
nk-n-k-1

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I calcoli sono gli stessi dell‟ANOVA per campioni indipendenti, ma qui aggiungiamo anche P
(punteggio totale di ogni soggetto) e P 2

Vediamo i calcoli:

1) TTOT = T CONDIZIONE1 + TCONDIZIONE2 + T CONDIZIONE3


QTOT = Q CONDIZIONE1 + QCONDIZIONE2 + QCONDIZIONE3

2) Termine di correzione C

stavolta dividiamo per nk (totale osservazioni: n° soggetti x n°condizioni)


3) Devianza tra i soggetti: usiamo la somma dei P2

con k=numero condizioni ripetute


4) Devianza entro i soggetti:
SSwithin=SSTOT - SSbetween
5) Devianza tra le prove:

6) Devianza residua:
SSresidua=SSwithin - SSprove

7) costruiamo la tabella di ANOVA scomponendo i gdl come visto prima.


8) F calcolato sarà:
F = Varianza tra le prove / varianza residua

F critico si cerca sulle tavole con i gdl tra le prove sulle righe e i gdl residui sulle colonne

Regola di decisione
Se F calcolato > F critico  rifiutiamo Ho
Se F calcolato > F critico  accettiamo Ho

L‟unica conclusione, se rifiutiamo Ho, che possiamo sostenere è che vi sono almeno due
rilevazioni con punteggio medio diverso. Per sapere quali sono statisticamente significative,
eseguire i test post-hoc.

Dimensione dell’effetto ANOVA per misure ripetute

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con k = numero misure ripetute; n=numero soggetti

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