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PSICOMETRIA

9 cfu
Secondo anno L24

Docente referente:
Gianfranco Cicotto
gianfranco.cicotto@unimercatorum.it
Universitas Mercatorum Introduzione alla Psicometria

INTRODUZIONE ALLA PSICOMETRIA


Questa lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e
ciascuna allieva una panoramica di ciò di cui si occupa la psicometria.
Essa, infatti, costituisce la parte “matematica” della psicologia, quella
parte per cui l’indefinito, il soggettivo, l’essere e il personal sentire
divengono oggetto di misura.

E allora, cosa e come si misura in psicologia? Quali sono le


operazioni e i numeri che la matematica della psicologia usa? La
statistica è la scienza utilizzata come strumento dalla psicologia per
dar conto della grandezza dei fenomeni psicologici sia individuali che
di gruppo. La statistica si occupa proprio della misurazione dei
fenomeni e della loro manipolazione matematica al fine di ricavarne
delle sintesi e nessi di connessione e significato. Nella lezione verrà
spiegato perché occuparsi di statistica psicometrica e come utilizzarla
come strumento di studio, analisi e della professione di psicologo.

Il termine psicometria, derivato dal greco psiche, traducibile


come anima o come l’insieme delle facoltà mentali, e metro, cioè misura
o misurazione. Con psicometria facciamo quindi riferimento all’insieme
dei metodi, delle tecniche e delle procedure che sono utilizzate per
indagare, studiare e misurare fenomeni psicologici sia individuali che
collettivi.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto
da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale,
ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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1.UNA MATEMATICA SPECIALE PER LA MISURA IN


PSICOLOGIA
L’essere umano ha sempre avuto la necessità di misurare ciò che
lo circonda, ciò che fa parte della sua vita, sia che riguardi il passato, il
presente o il futuro, e questa necessità è sentita sia per sé che per gli
altri, e questo vale per ciò che lo riguarda personalmente e per ciò che
attiene ai suoi rapporti con gli altri.

Parlare di numeri e di quantità sembra possa essere una


contraddizione in termini, infatti, i numeri siamo abituati ad
esprimerli in cifre, non in lettere. Le operazioni matematiche, infatti,
avvengono tramite numeri e non tramite parole.

La storia ci insegna che varie popolazioni hanno sviluppato


metodi specifici per formalizzare le quantità, per esempio, come hanno
fatto gli egiziani per la misurazione delle terre o come hanno fatto i
romani con la loro caratteristica notazione dei numeri, ancora oggi
presente. Le esigenze dell’epoca erano relative alla divisione e
quantificazione delle proprietà, dei confini territoriali, della misura
della popolazione ecc.

La necessità di misurare ha compreso i diversi campi della vita


e delle relazioni. La misura sembra dia per scontata la natura solida
delle cose, ma non è così. Anche nel linguaggio quotidiano misuriamo
delle qualità piuttosto che quantità vere e proprie. È tipica
l’espressione tra innamorati: “Ma quanto mi ami?” Ma da quando
l’amore ha un’unità di misura apprezzabile, certa, replicabile e
universalmente riconosciuta? Pare che una risposta soddisfacente sia
“Più della mia vita”, ma non la vita nel senso degli anni trascorsi o da
trascorrere, ma vita nel senso di esistenza in vita, una misura

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certamente importante ma numericamente non apprezzabile e


quantificabile. Questo esempio dà l’idea del bisogno innato di sapere
quanto è grande una certa cosa.

Senza dubbio, una dimensione con cui si è confrontata l'umanità


è stata la misurazione del tempo. Poiché il tempo ha una percezione
soggettiva occorreva un riferimento certo e condiviso. La scansione
giornaliera della luce e del buio tra il giorno e la notte, il passare delle
stagioni, la trasformazione di sé, della propria prole, del paesaggio e di
molte altre cose avveniva nel tempo. Le attività che implicavano altri
e comunque gruppi di persone richiedevano una scansione temporale
misurabile. Non ci si poteva dare una misura valida solo per sé, da qui
l'esigenza di utilizzare un riferimento a qualcosa di esterno agli oggetti
di misura ma condiviso da altri. Pur senza addentrarci troppo nella
storia della misurazione del tempo, possiamo trarre l’insegnamento
della corrispondenza e dell’invariabilità della misura. Così nacquero e
si svilupparono gli accorgimenti ancora in uso oggi, in particolar modo
l’utilizzo per la misurazione del tempo delle ore, dei minuti e dei
secondi, con i loro multipli e sottomultipli. Ciò che per noi oggi è
argomento scontato non lo è certo stato per l'umanità dai suoi albori.

Un'altra misura importante di cui rendere conto a se stessi e da


utilizzarsi nei rapporti con gli altri fu quella delle distanze o, in
generale, della grandezza degli oggetti. Quanto è distante la mia casa
dalla tua? Quanto dista il prossimo villaggio? Quanto è lungo questo
fiume? La risposta a queste domande era necessaria per organizzare le
proprie attività di vita e di sopravvivenza. Quanto è grande la mia
proprietà? Fin dove si estende ciò che è mio? Dove termina ciò che è
dell'altro? La necessità di misurare la lunghezza e le distanze trova
oggi la sua espressione nell'utilizzo del metro con i suoi multipli, i

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chilometri, e i suoi sottomultipli come i centimetri e i millimetri. La


misura della lunghezza, secondo l'attuale sistema metrico decimale, fa
uso di una misura campione, quindi, di una unità di misura
universalmente riconosciuta, ritenuta adatta a rendere conto della
dimensione attraverso la corrispondenza e la comparazione tra
l'oggetto da misurare e il suo riferimento. L'imbarazzo dell'unità di
misura è nota agli italiani quando devono acquistare monitor e
televisori la cui grandezza è misurata in pollici anziché in cm. Questo
pone l’antico problema della corrispondenza della misura con ciò che
viene misurato.

Altro oggetto di misurazione è il peso e il suo strumento principe


è la bilancia. Anche la misurazione del peso avviene attraverso la
corrispondenza tra pesi campione con l'oggetto da pesare. Anche in
questo caso è difficile riuscire per un italiano pensare a quanto possa
pesare una libbra, più facile pensare quanto possa essere un kg.

Fin qui abbiamo parlato di alcuni esempi che ci hanno tanto una
idea molto vaga ma importante della necessità, dei problemi e dei
significati della misurazione degli oggetti materiali e immateriali.

Ma cosa comporta misurare elementi che hanno a che fare con il


sentire umano, col pensiero e col comportamento?

Usando i numeri e le operazioni basilari della matematica gli


studiosi dei fenomeni umani hanno formalizzato una scienza autonoma
che prende il nome di statistica; in particolare, la statistica che si
occupa dei fenomeni psicologici prende il nome di psicometria o
statistica psicometrica.

Questa scienza, la psicometria appunto, utilizza la matematica


come strumento, ma è una matematica legata a concetti come:

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descrizione, probabilità, relazione, solo per fare qualche esempio.


Grazie alla psicometria possiamo descrivere fenomeni psicologici,
individuali e collettivi, attraverso grafici e numeri che esprimono le
caratteristiche delle persone pur con la loro aleatorietà. La psicometria
ci dice anche come prevedere con un certo grado di probabilità il
comportamento umano, poiché ne studia le leggi che sottostanno al
comportamento e ne formula relazioni di associazione o di causa/effetto.
Oppure inferisce il comportamento futuro sulla base di caratteristiche
possedute da persone simili.

Tutto ciò pone il problema della precisione della misura,


dell’errore di misura, della replicabilità, della validità e della
generalizzabilità. Le formule matematiche usate e sviluppate dalla
psicometria tengono conto di tutti questi problemi.

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2.PERCHÉ STUDIARE PSICOMETRIA


Per chi si prepara a svolgere la professione di psicologo vi sono
almeno tre fondamentali ragioni per studiare psicometria.

La prima ragione è che questa disciplina è propedeutica alla


comprensione della letteratura scientifica di riferimento. Una seconda
ragione si fonda sul fatto che tutte le scienze del comportamento hanno
come base logica e come disciplina di riferimento proprio la
psicometria. La terza ragione, ma ne potremmo trovare anche altre, è
che tale conoscenza è fondamentale per condurre ricerche, analisi e
valutazioni su individui e gruppi.

La psicologia col tempo si è affrancata dalle discussioni


filosofiche e teoriche e proprio grazie anche alla psicometria ha
raggiunto lo status di scienza, cioè quell’ambito di conoscenze che
derivano dall’osservazione sistematica, dalla formulazione di ipotesi
mediante notazioni rigorose e procedendo quindi alla verifica e alla
successiva riformulazione quando necessaria. Ottenere teorie e modelli
scientificamente validi e applicabili in vari contesti non è stato
semplice, ma adesso la psicologia si racconta e si studia proprio grazie
anche alla psicometria. Perciò uno studio serio, accurato e volto alla
pratica professionale della psicologia non può prescindere dall’avere
padronanza della statistica psicometrica.

La letteratura scientifica fa continuamento uso della


psicometria. Per studiare i fenomeni psicologici è indispensabile
svolgere analisi statistiche e gli studi che vengono pubblicati sono
meglio compresi quando se ne comprende lo strumento che ci ha portato
a quella conoscenza, a quei risultati. Similmente, utilizzare la
psicologia in ambito professionale diventa impossibile senza questo

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strumento, altrimenti tutto diventa dialogico, soggettivo, mutevole,


non osservabile e non replicabile.

Le scienze del comportamento hanno come base logica la


psicometria. La statistica usa formule, procedure, modelli matematici
ecc. ma è tramite questi strumenti che si sviluppa e si comprende la
conoscenza dei fenomeni psicologici. Come già accennato, la
psicometria è un particolare tipo di matematica, ci aiuta a capire come
funzionano le persone, a prevedere i loro comportamenti e quindi a
prendere decisioni che siano il più possibile plausibili. Non è la certezza
della matematica classica, vi è un ambito di probabilità, vi è un
margine di incertezza, una certa misura d’errore, ma se questi punti di
forza e di debolezza non sono noti si rischia di far passare per certo
qualcosa che è solo probabile, si fa passare per normale qualcosa che in
realtà è solo diffuso, si fa passare per prescrittivo qualcosa che è solo
descrittivo e così via.

Se devono poi condursi delle ricerche e delle analisi allora


proprio non si può fare a meno di conoscere i significati delle operazioni,
dei test e delle procedure statistiche. Non si può progettare e condurre
alcuna analisi seria e rigorosa. Non si possono dedurre conclusioni o
implicazioni. Lo psicologo a cui manca la padronanza della psicometria
sarà sempre uno psicologo “zoppo”, deficitario, che non riuscirà
completamente a condurre analisi e a produrre diagnosi – siano esse
individuali o di gruppo – che portino poi a trattamenti e interventi
mirati ed efficaci.

Questo corso di psicometria è stato pensato e strutturato in modo


che possiate comprendere tutte le sfaccettature, tutti gli argomenti, le
analisi, i test, interpretare i risultati per trarre conclusioni e poi
prendere decisioni adeguate.
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La matematica è necessaria. Ma sarà una schiava, non sarà la


padrona. Durante le lezioni la piegheremo a nostro favore. Però è
necessario conoscerla, conoscere come si formalizzano determinate
quantità e come si compiono operazioni con queste quantità. Bisognerà
inferire da quei numeri significati “psicologici” e imparerete a farlo.

In genere tutti gli psicologi utilizzano per la loro professione i


test e i questionari. Non è possibile esercitare la professione senza
saper usare questi strumenti, e non è possibile usare questi strumenti
senza alcuna cognizione della statistica psicometrica. Gli indici e i
punteggi che si ottengono dalla somministrazione di test e questionari
devono essere interpretati e utilizzati dal professionista con piena
consapevolezza, deve sapere da cosa discendono, come sono stati
ottenuti e quindi valutarli sia per i loro punti di forza che di debolezza.

Lo psicologo Daniel Kahneman, uno dei rari psicologi a ottenere


il premio Nobel (per l’economia, nel 2002) insieme al collega Amos
Tversky, ha più volte ribadito il fatto che le persone hanno un pessimo
intuito statistico ed egli ha trovato sempre una forte discrepanza tra la
percezione della gente e la realtà. Ciò avviene per molte ragioni. Siamo
influenzati nelle nostre percezioni dalle nostre personali esperienze di
vita, subiamo l’influenza dei media che spesso riportando i casi
eccezionali ci danno l’impressione di eventi diffusi. Per prendere buone
decisioni occorre andare oltre l’intuito, oltre il sentimento.

È banale dire che le persone che lavorano in ambienti rilassati e


premianti producono di più, ma per dimostrarlo devi usare la statistica.
È plausibile affermare che nelle strutture sanitarie la soddisfazione
lavorativa del personale sanitario ha un effetto positivo sulla
soddisfazione dei pazienti, ma me lo devi dimostrare con i numeri. Se
sostieni che un trattamento psicologico o un particolare tipo di
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intervento psicosociale su gruppi di lavoratori ha un certo successo


allora me lo devi provare con i numeri. Altrimenti siamo nel campo
della filosofia e della mera speculazione, non siamo più nell’ambito
dell’episteme ma della doxa.

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3.GLI ARGOMENTI DELLA PSICOMETRIA


La realtà si esprime in differenti modi a noi sensibili, e questo
vale anche per il comportamento umano. Possiamo osservarlo,
possiamo desumerlo, possiamo indagarlo. Ne possiamo prendere nota
sia in termini dialogici che numerici. Con la manipolazione di questi
numeri traiamo delle conclusioni o delle previsioni, in questo senso una
classica definizione esprime la distinzione tra psicometria descrittiva e
psicometria inferenziale.

La psicometria descrittiva – in estrema sintesi – raccoglie e


racconta. La psicometria inferenziale – in estrema sintesi – raccoglie e
generalizza, raccoglie e prevede.

Riassumere e descrivere le caratteristiche di un insieme di dati


in modo chiaro e sintetico fa parte quindi della psicometria descrittiva.
Esiste però un limite. Gli scienziati del comportamento non possono
misurare tutti i casi esistenti.

Per esempio, non è possibile ottenere tutti i dati di tutti i pazienti


che soffrono di un particolare disagio psicologico come la depressione.
Per studiare completamente la depressione non è possibile contattare
tutti i pazienti del mondo che ne soffrono. Gli studiosi, perciò, ne
contatteranno forse qualche centinaio. Somministreranno specifici
questionari, sottoporranno loro dei test, raccoglieranno dei dati,
compiranno delle operazioni matematiche, svolgeranno cioè delle
analisi statistiche e, infine, otterranno dei risultati che presenteranno
in modo sintetico. Ci chiediamo: questi risultati, descrivono la
depressione del gruppo di persone che hanno partecipato allo studio
oppure possono essere utilizzati per comprendere e descrivere la stessa
patologia di cui soffrono altre persone? Generalizzare i risultati

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all’intera popolazione mondiale dei depressi di tutti i tempi attuali e


futuri corrisponde alla psicometria inferenziale.

Effettuare inferenze comporta grossi problemi. Intanto


chiamiamo tutti i malati di depressione popolazione dei depressi,
mentre il gruppo che ha partecipato allo studio lo chiamiamo campione.
Questo campione, è rappresentativo della popolazione dei depressi?
Cioè, ha le stesse caratteristiche demografiche e di altro genere tale che
ciò che dico di questo piccolo gruppo si possa applicare all’intero
collettivo? Questo è il problema principale dell’inferenza statistica: la
rappresentatività. Di nuovo. Ciò che dico del campione si può applicare
alla popolazione?

Un campione è rappresentativo se ricalca le stesse


caratteristiche della popolazione da cui è tratto. Per esempio,
supponiamo che in tutto il mondo esistano 1.000.000 di persone
depresse. La metà uomini e l’altra metà donne. In questo caso si può
affermare che il parametro del genere è equamente distribuito tra
maschi e femmine. L’indice di distribuzione del genere nel campione
osservato dovrebbe essere uguale al parametro della popolazione, cioè
avere il 50% uomini e 50% donne. Altrimenti avrei un campione non
rappresentativo della popolazione.

Ma c’è di più. Poniamo che gli indici del campione rispettino i


parametri del genere della popolazione. Supponiamo che nella
popolazione mondiale dei depressi ci siano persone tra i 14 e i 90 anni.
I depressi facenti parte del campione sono invece minorenni. È chiaro
che a questo punto il campione non è più rappresentativo della
popolazione. Si potrà descrivere la depressione del campione ma non si
potrà fare riferimento alla popolazione dei depressi di tutto il mondo.
Semmai, in questo particolare caso, ci si potrà sbilanciare e fare
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inferenze sulla popolazione dei minorenni depressi, sempre che ne


siano rispettati altri parametri, come per esempio la scolarità o la
provenienza geografica.

Se, tuttavia, vi sono tutte le condizioni per poter ritenere che il


campione è rappresentativo della popolazione allora i risultati possono
essere generalizzati.

Non sempre la generalizzazione è necessaria e a volte è pure


possibile. Chiariamo con qualche esempio. Supponiamo che vogliamo
capire quanto i lavoratori di una certa industria siano soddisfatti del
loro salario e del vigente sistema premiante. Poniamo di riuscire a
contattare 98 dei 100 che compongono l’intero personale. Senza bisogno
di fare calcoli, è abbastanza intuitivo capire che il nostro campione,
quasi coincidente con la popolazione che ci interessa, è rappresentativo.
L’analisi descrittiva che verrà compiuta ha tutti i crismi per legittimare
un’analisi inferenziale, cioè ascrivere i risultati del campione alla
popolazione. In questo caso, i risultati psicometrici descrittivi
coincidono con quelli inferenziali. Ciò che in questo caso non è possibile
è ritenere questo campione rappresentativo di tutte le fabbriche del
mondo.

Che cosa misura la psicometria? Costrutti psicologici. Un


costrutto psicologico descrive o spiega uno stato cognitivo, emotivo o un
comportamento. Grazie alla psicometria possiamo arrivare a poter
misurare la motivazione al successo di un dirigente d’azienda, la
depressione, l’introversione o qualsiasi altra dimensione psicologica.

Ogni costrutto ha una sua definizione, e viene appositamente


costruito secondo teorie o modelli di riferimento. Per esempio, la
soddisfazione lavorativa potrebbe essere definita come il piacere o la

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gratificazione che le persone traggono dalla propria attività lavorativa.


Il costrutto deve essere operazionalizzabile, cioè dovrebbe essere
possibile fare delle operazioni aritmetiche, come la somma e la
divisione. Per far ciò si costruiscono test o questionari che offrono una
misura di sintesi. I questionari sono costituiti dagli item, cioè
affermazioni o domande, a cui si attribuisce un punteggio numerico al
posto delle risposte, in modo che vi sia una corrispondenza tra livello di
soddisfazione e numeri. Per esempio, se la persona è molto soddisfatta
del proprio lavoro indicherà in una scala da 1 a 5 il numero 5 come
misura massima. Il numero 5 è ovviamente operazionalizzabile. Se una
persona non è per nulla soddisfatta, nell’item dove si chiede quanto è
soddisfatta segnerà come risposta 1, per nulla soddisfatta del proprio
lavoro. Il numero 1 è operazionalizzabile.

Ritroveremo successivamente questi concetti. Al momento è


importante capire che in luogo di livelli espressi dialogicamente si
usano i numeri coi quali possiamo svolgere delle operazioni
matematiche. A seguire, dopo l’operazione matematica, si ritorna al
concetto espresso dialogicamente e al suo livello espresso verbalmente.
Usando il nostro fin troppo facile esempio possiamo dire che abbiamo
incontrato una persona per nulla soddisfatta del proprio lavoro
(punteggio 1) e una persona completamente soddisfatta (punteggio 5);
1 e 5 rappresentano gli estremi, quindi, possiamo anche affermare che
non c’è unità di veduta in questi due partecipanti al sondaggio. Esiste
una forte divergenza di opinione.

Descrivere campioni di decine e centinaia di persone diventa più


complesso e necessita di indici sintetici di diversa natura che ci possano
spiegare, per esempio, quanto le persone siano in generale soddisfatte
e quanta divergenza o convergenza di opinione esiste al riguardo. E se

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poi volessimo capire se in qualche modo la soddisfazione è legata alla


tipologia di contratto, oppure alla possibilità di scegliere le ferie, ai
rapporti coi colleghi o con i capi ecc. allora dovrò dotarmi di altre misure
e metterle in relazione e capire se e quali associazioni ci sono tra queste
misure. Questo è molto affascinante. Ci svelerebbe cosa fare per
migliorare la soddisfazione lavorativa. I lavoratori più soddisfatti
producono di più? Fanno diminuire i costi? La risposta a queste
domande fanno decidere le politiche aziendali in merito alla direzione
del personale e alla gestione delle risorse umane. Per produrre di più
cercherò di migliorare la soddisfazione. Per migliorare la soddisfazione
agisco su alcune leve che producono il cambiamento desiderato. Questo
diventa estremamente interessante. Capisco come agire, quali
decisioni prendere per ottenere un certo risultato. Ma prima ho dovuto
individuare i parametri che mi interessano della popolazioni,
operazionalizzarli, raccogliere i dati, elaborarli e ottenere dei risultati
numerici da trasformare poi in parole, frasi, valutazioni, giudizi e,
indefinitiva, decisioni.

Passare dall’analogico, cioè dal verbale o dialogico, al digitale,


cioè al numero, è un’operazione non libera da problemi né da errori.
Questo processo di codifica e decodifica non è libero da errori.

Quando nelle misure è presente un errore che incide sempre allo


stesso modo su tutte le misurazioni allora stiamo parlando dell’errore
sistematico. Se una bilancia perde 20 grammi ogni chilogrammo,
quando peserà 100 chilogrammi in realtà sta perdendo 2 chilogrammi
e quindi il vero peso sarà 98 Kg. Tenere conto dell’errore sistematico
consente di avere una misura più pulita, più attendibile, più vera.
L’errore sistematico può essere individuato e corretto.

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Il problema in questo caso è evidente che risiede nello strumento.


Anche gli strumenti di rilevazione psicologica possono avere errori
sistematici, ma essendo individuabili possono essere corretti. Facciamo
un esempio. Nel rilevare la soddisfazione lavorativa abbiamo chiesto ai
lavoratori di esprimersi in merito al salario e al sistema premiante. È
questa una misura pura della soddisfazione lavorativa? Manca la
soddisfazione per i rapporti che intercorrono tra colleghi e capi, per
l’idoneità degli strumenti presenti a lavoro e così via. I risultati
numerici ci parleranno di alcuni aspetti ma non di altri. Dipende da
come è definito il costrutto.

Nella misura intervengono più fonti di errore dovuti alle


circostanze, al contesto, alle persone, al fraintendimento, alla
compilazione a caso dei questionari da parte di soggetti non motivati o
addirittura intenzionati a inquinare i risultati ecc. L’errore casuale non
può essere eliminato. Difficilmente può essere riconosciuto. Di questo
errore si tiene conto ogni qual volta si effettuano delle analisi
psicometriche. Se la distorsione avviene nella codifica da verbale a
numerico, allora nella decodifica da numerico a verbale si terrà conto
di ciò nel presentare i risultati. In questo caso si utilizzerà un correttivo
dialogico, una misura di cautela che tenga conto della probabilità di
errore.

In conclusione possiamo dire di aver ragionato sul particolare


tipo di matematica che si usa nel misurare dimensioni psicologiche,
cioè la psicometria, che ha regole, procedure e regole proprie. Abbiamo
visto che lo studio della psicometria è indispensabile per chi decide di
studiare psicologia e esercitare la professione di psicologo. Abbiamo
pure visto quali sono gli argomenti di cui si occupa la psicometria e
della sua missione descrittiva e inferenziale.

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Universitas Mercatorum Elementi di matematica

ELEMENTI DI MATEMATICA
Questa lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e
ciascuna allieva le necessarie conoscenze della matematica
propedeutiche alla comprensione, allo studio e all’applicazione della
statistica psicometrica.

La statistica, infatti, ha come base la matematica. Occorre perciò


comprenderne il linguaggio, le notazioni, le formule, i simboli e così via.

Comprendere il modo in cui la matematica elabora e manipola le


quantità, con quali operazioni, procedure e regole, vi aiuterà a capire
con più chiarezza i vari passaggi e i concetti propri della psicometria.
Le nozioni matematiche presentate vi permetteranno di interpretare,
descrivere e rappresentare i fenomeni studiati.

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Universitas Mercatorum Elementi di matematica

1.SIMBOLI
La matematica è fatta di simboli. Un simbolo è un segno grafico
a cui si attribuisce un significato. Queste attribuzioni sono del tutto
convenzionali, per cui occorre impararle a memoria. Non c’è possibilità
di ragionare sui segni per astrarne significati. Essi, i significati, sono
imposti, e come tali non possono essere dedotti. Diventa quindi
impossibile guardando una formula fare un ragionamento osservando
i simboli senza agganciarli a un significato: occorre ricordare e
richiamare il significato dei segni. Sulla base dei significati dei segni si
potranno costruire frasi, argomentazioni, giudizi ecc.

In semiotica sono note le discussioni relative al segno, al


significato e al significante. Anche negli studi giurisprudenziali si
affronta l’argomento dei definienti e dei definiendi. In questa sede,
molto semplicemente (e, onestamente, anche riduttivamente),
possiamo dire che utilizzeremo dei segni grafici a cui attribuiamo – o
meglio, imponiamo – dei significati.

Per introdurre i simboli ne utilizziamo subito uno che è


universalmente noto come la classica incognita: la x. Con questo segno
alfabetico stiamo ad indicare un qualunque numero. Le proprietà di
questo numero qualsiasi sono definite da delle espressioni simboliche,
così come vedremo tra poco.

Il segno dell’uguale =

Le due barre verticali indicano il segno dell’uguale, cioè


dell’uguaglianza. In pratica ci dice che ciò che sta alla sinistra è identico
a ciò che sta a destra, vi è un’esatta corrispondenza. Lo stesso simbolo
è utilizzato nelle cosiddette equazioni, dove il concetto di uguaglianza

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è verificato per i contenuti a sinistra e a destra del simbolo di


uguaglianza come nell’esempio che segue

3=2+1

Questo è molto interessante poiché ci consente di sostituire


alcune parti identiche in determinate espressioni matematiche senza
modificarne il risultato e rendendole più manipolabili.

Il segno di disuguale o diverso ≠

Ha significato opposto al simbolo dell’uguaglianza e indica


appunto la diversità tra le quantità espresse a destra e a sinistra del
simbolo stesso. Per esempio

1≠3

sta a indicare che il numero 1 è diverso dal numero 3.

Il segno del minore <

Per convezione questo si legge da sinistra verso destra, quindi,


per esempio, scriveremo

x<3

e lo leggeremo “x minore di 3”. Cioè stiamo dicendo che questa


disequazione è verificata, cioè è vera, per qualunque numero che sia
minore di 3. Tale simbolo identifica una disequazione. Riferisce che le
due quantità sono differenti in una proporzione di grandezza. Tuttavia,
la stessa disequazione su indicata può essere letta da destra verso
sinistra e la disequazione è comunque verificata. Se infatti affermiamo
che x è minore di 3, allora stiamo anche affermando che 3 è maggiore
di x.

Il segno del maggiore >

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Come precedentemente detto per il segno di disuguaglianza <,


anche questo si legge da sinistra verso destra, per cui

x>3

si leggerà “x maggiore di 3”. Cioè stiamo dicendo che questa


disequazione è verificata, cioè è vera, per qualunque numero che sia
maggiore di 3. Anche in questo caso la disequazione può essere letta da
sinistra verso destra rimanendo comunque verificata la disuguaglianza
nel suo ordine di grandezza, cioè se x è maggiore di 3 allora,
necessariamente, 3 è minore di x.

Una variante interessante dei segni precedenti sono i simboli ≤


e≥

Il simbolo ≤ tra due quantità si legge “uguale o minore di”,


viceversa ≥ si legge “uguale o maggiore di”. Così se scriviamo

x≤3

stiamo affermando che la disequazione è vera per tutti i numeri


più piccoli di 3 compreso il 3.

Allo stesso modo

x≥3

corrisponde a dire che la disequazione è vera per tutti i numeri


più grandi di 3 compreso lo stesso 3.

Anche in questo caso le disequazioni che utilizzano i simboli di


“uguale o maggiore di” e “uguale o minore di” può essere letta da destra
verso sinistra.

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L’utilizzo di questi simboli è molto utile quando vogliamo


indicare degli intervalli numerici. Se volessimo parlare di tutti i numeri
superiori al 10 ma inferiori al 100 allora possiamo scrivere così

10 < x < 100

che sta a indicare che il valore di x è compreso tra tutti i numeri


maggiori di 10 (stiamo leggendo 10 < x da destra verso sinistra) e
minori di 100 (stiamo leggendo da sinistra verso destra x < 100).

Se scriviamo

10 ≤ x ≤ 100

stiamo indicando tutti i valori numerici compresi tra 10 (quindi


includiamo anche il 10) e 100 (quindi includiamo anche il 100).

Vediamo ora l’utilizzo di altri simboli.

Le lettere greche, maiuscole o minuscole, vengono utilizzate per


indicare grandezze, indici o comunque delle dimensioni la cui
definizione è riportata nel testo in cui sono presentate. Per esempio, la
lettera greca minuscola mi μ è utilizzata per indicare la media di una
popolazione. La lettera greca maiuscola sigma Σ è utilizzata per
indicare una sommatoria. Media e sommatoria sono concetti che
verranno ripresi e spiegati durante le lezioni.

Concludiamo questa sezione con un simbolo particolarmente


significativo, quello per indicare una quantità infinita, cioè il simbolo
∞, infinito, scritto come una sorta di 8 coricato. Fu John Wallis,
presbitero e matematico inglese del XVII secolo, ad introdurre questo
simbolo. Il concetto di infinito si applica in numerosi campi e con
diverse sfumature di significato. In statistica indicherebbe una
quantità senza fine. Il simbolo ∞, simbolo appunto, non è un numero,

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ma viene utilizzato in particolari espressioni e concetti matematici e


statistici.

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2.NUMERI
I numeri non sono tutti uguali. Potrebbe sembrare banale dirlo,
ma è davvero così. I numeri sono la formalizzazione di quantità
annotate graficamente secondo determinate convenzioni. In questo
paragrafo esamineremo i numeri cardinali, ordinali, naturali,
razionali, irrazionali, reali, trascendenti, immaginari, complessi. Non
ne sarà data una definizione rigorosa, ma se ne vorrà enunciare
l’esistenza e come sono formalizzati.

Al riguardo, hanno un fascino particolare i numeri 1 (uno) e 0


(zero).

Il numero 1 indica l’unità, l’unicità. Il numero 0 indica una


quantità nulla. Senza addentrarci nella discussione filosofica del nulla
edi cosa esso sia o non sia, in psicometria lo zero è un numero e,
coerentemente con la notazione matematica di posizione, lo zero
rappresenta un principio, un inizio, un’origine.

Le quantità possono essere contate e segnate graficamente con


significati condivisi. Abitualmente abbiamo due distinti modi di
segnare le quantità: quello ordinale e quello cardinale.

Numeri cardinali. Sono i numeri che utilizziamo comunemente:


1, 2, 3 ecc. Di questi fa parte anche il numero zero. Con questi numeri
è possibile effettuare delle operazioni aritmetiche utilizzando gli
operatori di cui si parlerà nel successivo paragrafo.

Numeri ordinali. Indicano un ordine più che una quantità. Perciò


si parla di primo, secondo, terzo e così via, sino all’infinito o sino
all’ultimo. Ricordiamo che infinito non è un numero, neppure “ultimo”
è un numero. Prima del primo non c’è lo zero o, come scrivono alcuni,
la zeresima posizione. Indicando posizioni all’interno di un ordine non

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è possibile effettuare operazioni aritmetiche. Si possono effettuare delle


operazioni scalari. Per esempio, si può affermare che un certo atleta è
“sceso” di due posizioni, dal terzo al quinto posto.

Numeri naturali. Identificati con la lettera ℕ questi sono i


numeri interi di segno positivo che partendo da zero e proseguendo con
1, 2, 3 e così via sino all’infinito costituiscono appunto l’insieme dei
numeri naturali. Volendo indicare anche i numeri con segno negativo
si ottiene l’insieme dei numeri interi, positivi e negativi, indicati con la
lettera ℤ.

Il rapporto tra due numeri naturali o, detto in altri termini, la


divisione tra due numeri naturali dà come risultato un numero
decimale, l’insieme dei numeri decimali è indicato con ℚ e rappresenta
l’insieme dei numeri razionali. I numeri razionali sono quei numeri che
possono essere rappresentati come rapporto di due numeri come negli
esempi appresso riportati:

3⁄ 4⁄ 1⁄
8 5 2

I numeri che non possono essere rappresentati con una frazione


si dicono numeri irrazionali, e sono il risultato di estrazioni di radice:

3
√2 √5

Esistono altri insiemi di numeri che brevemente citiamo.

I numeri reali sono indicati con la lettera ℝ e comprendono tutti


i numeri sin qui menzionati.

Una categoria a sé di numeri sono i numeri immaginari ⅈ. Il


numero immaginario i gode di una singolare proprietà. Anticipando gli

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argomenti di cui si parlerà più avanti, diciamo che elevando al


quadrato un numero immaginario otteniamo un numero negativo

i2 = -1

questa è una proprietà singolare di questi numeri. Quando un


numero è espresso come parte di una quantità appartenente ai numeri
reali ℝ e una parte appartenente ai numeri immaginari ⅈ stiamo
esprimendo un numero appartenente all’insieme dei numeri complessi
ℂ. Anche se in psicometria non si utilizzano i numeri immaginari e
complessi è meglio sapere che questi esistono, che proprietà hanno e
proprio per questo evitare di fare pasticci con numeri che non sono
reali. La psicometria utilizza solo numeri appartenenti all’insieme dei
numeri reali ℝ.

Infine, menzioniamo i numeri trascendenti che sono una


categoria particolare di numeri di cui fanno parte la costante di Nepero
indicata con la lettera e (2,7182818…) e il pi greco π (3,1415926535…).
Sono numeri le cui cifre decimali sono infinite ma non possono essere
ricavate né da numeri frazionari (appartenenti all’insieme dei numeri
razionali ℚ) né da estrazioni di radice (appartenenti all’insieme dei
numeri irrazionali).

Il pi greco π è il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un


cerchio. È quantomeno curioso che all’interno di un rapporto tra due
dimensioni apparentemente definite e misurabili si celi un numero di
cui non potremo mai scrivere tutte le cifre. Nelle sue infinite cifre
decimali non vi è nessuna regolarità e si presentano tutte come casuali.

Il numero di Nepero è una costante insita in molti fenomeni


naturali. Uno dei suoi utilizzi è quello che ne fa Eulero nella sua famosa
formula di seguito riportata

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𝑒 𝑖𝜋 + 1 = 0

è considerata la formula matematica più completa ed elegante.


Completa perché include le più importanti costanti matematiche.
Elegante perché nella sua semplicità riesce a legare concetti
estremamente complessi. Molte delle leggi fisiche, della matematiche e
alcune anche della statistica includono concetti e relazioni descritte
matematicamente da questa costante naturale.

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3.OPERATORI
Gli operatori identificano le operazioni che possiamo compiere
con i numeri. Sono anch’essi formalizzati da segni grafici.

- sottrazione

+ addizione

* moltiplicazione

/ divisione, frazione

^ elevamento a potenza

√ radice

log logaritmo

Σ sommatoria

È meglio rivedere i legami tra le diverse operazioni, poiché la


psicometria utilizza questi concetti in modo del tutto scontato, ma se
alcuni passaggi non vi sono chiari avrete difficoltà a capire i nessi tra
concetti psicologici e notazioni e formalizzazioni matematiche.

La matematica che utilizziamo è posizionale, ciò significa che


abbiamo un punto di origine, lo zero, a sinistra i numeri negativi sino
all’infinito, a destra dello zero i numeri positivi sino all’infinito. I
numeri così

-… -3 -2 -1 0 1 2 3 …
-∞ +∞

Gli operatori ci dicono, sostanzialmente, come spostarci o


collocarci tra le varie quantità ottenendone altre.

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L’addizione ci fa spostare lungo questo asse da sinistra verso


destra → +. I suoi elementi sono chiamati addendi e il risultato somma.

Addendo + addendo = somma

La sottrazione ci fa spostare lungo questo asse da destra verso


sinistra ← -. la quantità a cui sottrarre qualcosa si chiama minuendo,
la quantità da sottrarre si chiama sottraendo, il risultato si chiama
differenza. La sottrazione è l’operazione inversa dell’addizione.

Sottraendo – minuendo = differenza

La moltiplicazione ci fa compiere dei salti verso destra o sinistra


a seconda del segno dei numeri che si stanno moltiplicando. I suoi
elementi si chiamano fattori (moltiplicando e moltiplicatore) e il
risultato è chiamato prodotto. Si tratta di somme ripetute, il cui
numero da ripetere è il moltiplicando e la quantità di volte che deve
essere ripetuto moltiplicatore.

Moltiplicando * moltiplicatore = prodotto


ꜛ fattori ꜛ

Il simbolo della moltiplicazione pronunciato “per” che


utilizzeremo è quello appena utilizzato, cioè *. Non utilizzeremo il
simbolo ∙ né la lettera x poiché all’interno di un testo scritto crea
confusività.

Così come l’addizione e la sottrazione sono reciprocamente l’una


l’operazione inversa dell’altra, così è per la divisione nei confronti della
moltiplicazione. La divisione è quell’operazione per cui una certa
quantità chiamata dividendo viene divisa, o frazionata, in diverse parti
secondo una certa quantità chiamata divisore; il risultato di questa
operazione è chiamato quoziente.

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Dividendo / divisore = quoziente

Durante le lezioni si utilizzerà il simbolo / e in formula la barra

orizzontale per indicare la divisione o, più propriamente, la frazione.

Non useremo il simbolo : per non confonderlo col segno di interpunzione


del testo.

Una moltiplicazione ripetuta più volte può essere eseguita come


elevamento a potenza. In questo caso, un numero detto base viene
elevato a potenza tramite un esponente, ovvero, la base viene
moltiplicata per se stessa tante volte quanto è la quantità espressa
dall’esponente. Come simbolo abbiamo usato il segno ^, ma nel testo è
facilmente utilizzabile l’apice, in questo modo

baseesponente = potenza

L’operazione inversa dell’elevamento a potenza è l’operazione di


radice, il cui simbolo è il segno di radice √

𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒
√𝑟𝑎𝑑𝑖𝑐𝑎𝑛𝑑𝑜 = 𝑟𝑎𝑑𝑖𝑐𝑒

Per esempio, eleviamo al quadrato il numero 3

32 = 9

l’operazione inversa sarà

2
√9 = 3

Ma vi è anche un'altra operazione, non propriamente inversa ma


potremmo forse dire antagonista, dell’elevamento a potenza.
Riprendendo l’esempio numerico di prima, partendo dalla base 3, elevo
al quadrato cioè per 2, e ottengo 9; l’operazione inversa dell’estrazione
di radice mi consente di riottenere il numero 3 da cui sono partito. Ma

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se io volessi ottenere non più la base, cioè il numero 3, ma l’esponente


2, allora dovrò utilizzare il logaritmo, indicato con log.

𝑙𝑜𝑔3 9 = 2

Formalmente, in questo caso appena visto, la quantità 9 è


chiamata argomento del logaritmo e il numero 3 base del logaritmo.

Esistono casi particolari di logaritmi, come quelli in base 10 e


indicanti con la elle maiuscola. Sono quelli che quando si andava a
scuola ci si diceva che indicava “il numero degli zeri” poiché

Log 10 = 1 Log 100 = 2 Log 10.000 = 4

L’operazione inversa di questi logaritmi è appunto l’elevamento


a potenza, e abbiamo rispettivamente (tenendo conto che la base del
logaritmo è 10)

101 = 10 102 = 100 104 = 10.000

L’ultimo operatore che prendiamo in considerazione è la


sommatoria, indicata con la lettera greca esse maiuscola Σ. È un tipico
operatore della statistica poiché discende dalle operazioni e dalla
natura stessa degli oggetti statistici. Diviene necessario quando si deve
formalizzare attraverso dei simboli una particolare operazione
statistica. Poniamo il caso che in un’azienda cinque agenti commerciali
abbiano fatto sottoscrivere dei contratti per un certo valore di fatturato.
Vogliamo calcolarne la somma. Potremmo scrivere

Fatturato Agente 1 + Fatturato Agente 2 + Fatturato Agente 3 +


Fatturato Agente 4 + Fatturato Agente 5 = Fatturato Totale

Altrimenti, utilizzando la sommatoria

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∑ 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑎𝑔𝑒𝑛𝑡𝑖 = 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒


1

Cioè il fatturato totale è dato dalla somma del fatturato di tutti


gli agenti. In termini formali e generali si scrive così

∑ 𝑋𝑖
ì=1

Detto in prosa, indica: la somma di tutti i valori di X dal primo


sino all’ultimo. La lettera minuscola i indica ciascun caso, nell’esempio
fatto prima rappresenta l’agente, la X indica la quantità su cui si
effettua l’operazione di somma, il fatturato secondo il nostro esempio,
la lettera N indica la numerosità dei casi, nel nostro esempio espresso
dal numero degli agenti.

In questa sede non abbiamo considerato le proprietà


matematiche e caratteristiche peculiari di ciascuna operazione né dei
limiti che le contraddistinguono poiché non è la sede adeguata né
riguardano gli obiettivi di apprendimento di questa lezione.

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LE FUNZIONI MATEMATICHE
La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e
ciascuna allieva le necessarie conoscenze degli strumenti tipici delle
rappresentazioni grafiche delle funzioni matematiche alla base della
psicometria e prendere consapevolezza dei passaggi di calcolo e di
trasformazione numerica alla base dei ragionamenti matematici.

Questi elementi di conoscenza, che trattano alcune nozioni


della geometria analitica e dell’algebra, vi consentiranno di capire
diversi passaggi e concetti propri della psicometria imparando a
ragionare sulle proporzioni, sui legami e sulle funzioni che le quantità
psicometriche hanno tra di loro.

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1. IL PIANO CARTESIANO ORTOGONALE


Il 31 marzo del 1596 nasceva in Francia René Descartes, noto ai
più oggi come Renato Cartesio. Filosofo e matematico, sviluppo un
sistema per la comprensione dei legami tra le varie quantità numeriche
che prese poi il suo nome e che ancora oggi chiamiamo piano cartesiano
ortogonale.

Il sistema sviluppato da Cartesio consente di tradurre i problemi


algebrici in problemi geometrici e viceversa. Si tratta di un sistema di
riferimento e di rappresentazione.

Buona parte dello studio delle quantità e dell’evoluzione delle


relazioni che regolano le quantità numeriche in psicometria si studiano
sul piano cartesiano ortogonale.

Il piano cartesiano è ottenuto dal disegnare due rette orientate e


perpendicolari tra loro, ovvero due rette che si intersecano formando
quattro angoli retti, ovvero di 90°. Il punto in cui queste due rette si
incrociano è chiamato punto di origine degli assi, per convenzione
indicato con la lettera maiuscola O. La retta orizzontale è chiamata
asse delle ascisse, i cui numeri sono indicati dalla lettera minuscola x.
La retta verticale è chiamata asse delle ordinate, i cui numeri sono
indicati dalla lettera minuscola y.

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Universitas Mercatorum Funzioni matematiche

u y

2° quadrante … 1° quadrante
3

1
-… -3 -2 -1 1 2 3 …
O x

-1

-2

-3

3° quadrante -… 4° quadrante

Il sistema di assi cartesiani ortogonali, per essere definito tale,


necessita infine di un’unità di misura indicata con u. In figura sono
indicati i quadranti che nascono dall’intersezione degli assi.

Qualunque punto del piano sarà identificato da una coppia


ordinata di numeri reali (ℝ) le quali rappresenteranno le coordinate del
punto.

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u y

3
P
2

1
-… -3 -2 -1 1 2 3 …
O x

-1

-2

-3
-…

Il punto P disegnato sul piano ha come coordinate cartesiane due


corrispondenti valori dei due assi. La proiezione del punto P sull’asse
delle ascisse cade sul valore 3, quindi la sua ascissa è x = 3. La
proiezione del punto P sull’asse delle ordinate indica il valore 2, quindi
l’ordinata del punto P è y = 2. Le coordinate si indicheranno così

P = (3, 2)

Per convenzione, tra parentesi tonde si indicherà come primo


numero l’ascissa e dopo la virgola l’ordinata.

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P = (x, y)

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2. USO DEL PIANO CARTESIANO ORTOGONALE


Se si disegnano sul piano dei segmenti, delle figure, delle
rette o delle curve, ciascun punto di essi avrà una sua coppia coordinata
sul piano. Individuare le relazioni che questi punti hanno tra loro
attraverso delle formule matematiche che utilizzano le coppie di
coordinate è l’obiettivo della geometria analitica.

Attraverso questo sistema si riuscirà, una volta individuata


la formula o, per meglio dire, l’equazione, a disegnare una qualunque
figura sul piano, poiché dato un numero x calcoleremo il corrispondente
numero y.

Impariamo ora ad utilizzare il piano cartesiano ortogonale.


Si osservi la seguente figura.

P1
4
d
3
P2
2

1
1 2 3 …
O x

Nel caso in figura abbiamo due punti, P1 e P2, che hanno come
coordinate

P1 = (2, 4); P2 = (3, 2)

Vogliamo calcolare la distanza d (segnata in rosso) esistente tra questi


due punti. Osservando bene si vedrà un triangolo rettangolo ottenuto dalle
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intersezioni delle proiezioni dei punti sugli assi. L’ipotenusa di questo triangolo,
in figura colorato in verde, è la distanza d dei due punti che ci interessa misurare.

P1
4
d
3
P2
2
P3
1
1 2 3 …
O x

Si applica il Teorema di Pitagora per il calcolo dell’ipotenusa. Bisogna


però ottenere la dimensione dei cateti P1P3 e P3P2. Osservando la figura è
facilmente calcolabile che P1P3 misura 2 e che P3P2 misura 1. Occorre però
formalizzare il procedimento.

Sono note le coordinate dei punti estremi del segmento P1P3 e del
segmento P3P2. L’ordinata del punto P1 è y = 4 e l’ordinata del punto P3 è y = 2.
La differenza tra questi punti corrisponde alla misura del segmento, ovvero

P1P3 = y1 – y3 = 4 – 2 = 2

La differenza tra le ascisse delle coordinate dei punti P3 e P2 ci darà la


misura del segmento P3P2

P3P2 = x2 – x3 = 3 – 2 = 1

Avendo la misura dei segmenti ora è possibile calcolare la distanza d


tra i punti P1 e P2

√22 + 12 = √5 = 2,2360679775…

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La radice quadrata di 5 è un numero irrazionale, appartiene quindi


all’insieme dei numeri reali ℝ.

Questo è il procedimento da seguire quando si deve calcolare la


distanza tra due punti sul piano. Non è necessario ricordare le formule ma capire
la logica sottostante, infatti, durante il corso si utilizzerà più volte l’asse cartesiano
ortogonale.

Parliamo ora di alcuni casi particolari.

Le coordinate del punto di origine hanno sia come ascissa che come
ordinata il valore zero.

L’asse delle ordinate y ha come valore di ascissa x il numero zero, allo


stesso modo, l’ordinata y dell’asse delle ascisse è zero.

Qualunque curva o linea disegnata sul piano cartesiano ortogonale


avrà un’equazione che esprime il legame tra i valori dell’asse delle ascisse con i
valori dell’asse delle ordinate. In altri termini, per ogni valore di x vi sarà un
corrispondente valore di y calcolato secondo una determinata equazione. Si potrà
dire che il valore di y è funzione del valore di x.

y = f (x)

Vediamo alcuni casi particolari che servono come base per


comprendere alcuni concetti psicometrici che saranno affrontati in lezioni
successive.

In figura si può osservare una retta generica r. La domanda è: quale


relazione esiste tra le coordinate di questa retta? Ovvero, qual è la funzione della
retta?

L’equazione che descrive i legami tra le coordinate della retta sul


piano cartesiano ortogonale è detta equazione della retta, descrive una funzione

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lineare (appunto) e può essere scritta in forma implicita y = ax + by + c o, più


comunemente, in forma esplicita

y=mx+q

Dove la q è il punto in cui la retta intercetta l’asse delle ordinate, l’asse


delle y. La m è detto coefficiente angolare della retta, infatti il suo valore ci dice
quale inclinazione ha la retta sul piano: se positivo avrà una pendenza come la
retta rappresentata in figura (con un valore di angolo α < 90°) e al crescere dei
valori della x crescono i valori della y, viceversa se il coefficiente angolare è
negativo, ovvero, con un con un angolo α > 90° al crescere dei valori della x
decrescono i valori della y.

α
x
O

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Per i più curiosi possiamo dire che il valore m del coefficiente angolare
altro non è che il valore della tangente trigonometrica dell’angolo α

m = tan α

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3. OPERAZIONI
Vediamo ora diversi esempi di operazioni che si effettuano con
gli operatori e i numeri che avete studiato. Vedremo anche come
ricavare le cosiddette formule inverse, molto utili nei ragionamenti
matematici della psicometria.

Andremo direttamente su esempi numerici per mostrare quali


sono le regole.

Consideriamo questo esempio

5 + (-4) = ?

Si tratta di una addizione o di una sottrazione? È un’addizione


tra numeri interi ℤ. Poiché si sta addizionando una quantità negativa
l’effetto è quello di una sottrazione, quindi

5 + (-4) = 1

Consideriamo ora questo altro esempio

5 – (-4) = ?

Per comprendere cosa accade in questi casi riusiamo il concetto


di matematica di posizione.

-… -3 -2 -1 0 1 2 3 …
-∞ +∞

→+
←–

Gli operatori ci dicono, sostanzialmente, come spostarci o


collocarci tra le varie quantità ottenendone altre. L’addizione ci fa

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spostare lungo questo asse da sinistra verso destra, al contrario la


sottrazione ci fa spostare lungo questo asse da destra verso sinistra.

Cerchiamo, prima di tutto, di capire meglio come funziona


l’addizione. Il numero 5 rappresenta il punto di partenza. Il numero -4
lo applico, sempre per modo di dire, laddove il numero -4 inizia; in
figura il punto di “inizio” è rappresentato da un cerchietto. Quindi, sto
aggiungendo ( + ) una certa quantità (-4) ad un numero (5) a partire da
dove questa quantità (-4) inizia. La freccia del segmento verde,
segmento che rappresenta il numero -4, indica il punto di arrivo, per
modo di dire, del nostro calcolo, cioè il numero 1, come mostrato in
figura.

0 5
-6 -5 -4 -3 -2 -1 1 2 3 4 6

-4
+
5 + (-4) = 1

Il risultato è lo stesso se sottraiamo la stessa quantità ma con


segno positivo, ma il procedimento è diverso. Dal numero 5 io devo
togliere qualcosa (prima dovevo aggiungere). Parto sempre dal numero
5. Ma la quantità 4 da sottrarre, poiché devo sottrarla, la applico dove
essa termina (prima l’applicavo dove iniziava, perché si trattava di
addizione), così come mostrato in figura. Il risultato della sottrazione
coincide col punto in cui inizia la quantità -4, cioè nel numero 1.

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0 5
-6 -5 -4 -3 -2 -1 1 2 3 4 6

4

5–4=1 –

Cosa accade allora nel caso della sottrazione vista prima? Parto
dal numero 5. Poiché devo sottrarre applico la quantità dove essa
termina. Qual è il risultato? Il risultato della sottrazione coincide nel
punto in cui inizia la quantità -4, in questo caso nel numero 9.

0 5
-1 1 2 3 4 6 7 8 9 10 11

-4

5 – (-4) = 9 –

Sottrarre una quantità negativa corrisponde, in fine dei conti


(letteralmente alla fine dei conti), ad aggiungere una certa quantità.

In formula sarebbe

5 – (-4) = 5 + 4 = 9

Dialetticamente corrisponde alla doppia negazione che si


traduce in un’affermazione:

capire la matematica non è una cosa non facile = capire la


matematica è una cosa facile.

La regola dei segni si applica anche alla moltiplicazione, essendo


essa una addizione ripetuta, ragion per cui

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+ per + uguale +

+ per – uguale –

– per + uguale –

– per – uguale +

Attraverso questi esempi grafici si è voluto capire il perché delle


regole dei segni.

Analizziamo adesso come si ricavano le formule inverse.

Quando si ha un’uguaglianza, un’equazione, con le quantità a


sinistra e a destra dell’equazione si possono applicare diversi
procedimenti e artifici per ottenere quantità a noi utili. Facciamo degli
esempi. Partiamo da una semplice formula

a=b+c

in questo caso so che la quantità a è la somma delle grandezze b


e c. Ma cosa dovrei fare se volessi ottenere proprio una di queste ultime,
cioè la b o la c?

Posso procedere in due diversi modi che hanno comunque lo


stesso effetto.

Il primo metodo stabilisce che se io applico ad entrambi i membri


la stessa operazione e intervenendo con la stessa quantità, il risultato
non cambia.

Nel caso in oggetto ottengo b in questo modo

ad a = b + c sottraggo in entrambi i membri la quantità c

e ottengo

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a–c=b+c–c

ma poiché c – c = 0 allora a – c = b ovvero b = a – c

Applicando lo stesso ragionamento e procedimento per ottenere


c avrò

a – b = b + c – b; poiché b – b = 0 allora a – b = c ovvero c = a – b

Il secondo metodo stabilisce che quando sposto una quantità da


una parte all’altra del segno = devo effettuare l’operazione inversa che
lo lega a quella quantità: se da una parte sottrae dall’altra addiziona,
se da una parte addiziona dall’altra sottrae, se da una parte moltiplica
dall’altra divide e così via. Quindi se voglio ottenere b sposto la c
dall’altro lato, che prima era di segno positivo e ora diventa di segno
negativo, lasciando la b da sola

a – c = b ovvero b = a – c

Se voglio ottenere c allora sposto la b e con lo stesso procedimento


ottengo

a – b = c ovvero c = a – b

Le stesse regole si applicano per tutte gli altri operatori.


Riportiamo di seguito qualche altro esempio:

a=b*c;b=a/c;c=a/b

a = √b ; b = a2

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Principi delle scale di misura

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna


allieva le necessarie conoscenze per comprendere la natura delle
misurazioni e come effettuarle.

Gli studenti e le studentesse prenderanno dimestichezza su


come le entità presenti nella realtà possono essere individuate e
misurate, ordinate, classificate o semplicemente nomenclate attraverso
l’opportuno utilizzo di scale di misura.

Infine, verranno fornite le conoscenze di base per comprendere


l’utilizzo delle scale di misura nella comprensione dei fenomeni.

È stato spiegato che la psicometria misura dimensioni


psicologiche. Ma tutta la statistica in generale si occupa di misure. La
misura presuppone un’entità da misurare, un “metro” da applicare –
ovvero un criterio di misura – e un risultato finale che è la misura vera
e propria.

Ciò che in psicologia viene misurato, oltre alle quantità vere e


proprie, sono delle grandezze, o dimensioni, soggettive e in quanto tali
non sono costanti bensì variabili. In psicometria chiamiamo variabile
tutto ciò che viene misurato e che riguarda gli obiettivi, non solo della
misurazione, ma anche di tutto il fenomeno in generale e il contesto di
riferimento. Le variabili danno conto di ciò che varia come entità nella
realtà osservata.

Quando le variabili sono trattate, rappresentate e utilizzate per


il calcolo si fa riferimento a quei numeri, alle quantità, come ai dati. I
dati sono le misure vere e proprie, cioè sono numeri.

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1. LE SCALE QUALITATIVE
La scala nominale è il livello più semplice di misurazione. È
anche quello che si impara per prima durante la crescita poiché attiene
alla categorizzazione al riconoscimento di qualità o caratteristiche
basilari e peculiari, come quando abbiamo capito che esistono i maschi
e le femmine.

La differenza di genere, maschile o femminile, è una delle prime


categorizzazioni che facciamo nella vita. Ma ce ne sono delle altre.

Siamo stati abituati per semplificare la complessità del mondo a


riunire le persone o gli oggetti in categorie.

La regola che sta alla base di tutte le categorizzazioni o


classificazioni è che deve essere ben definito e distinto il criterio col
quale operiamo tali divisioni e ricomprensioni.

Così se decidiamo di chiamare un gruppo di oggetti o persone con


un certo nome è perché classificandoli con un certo criterio abbiamo
valutato che tutto ciò che vi includiamo possiede quelle caratteristiche.
All’interno di quel gruppo non ci saranno differenze rispetto a quella
qualità.

Rispetto agli altri gruppi, invece, dovrà esserci la massima


differenziazione. Deve essere evidente che utilizzando il medesimo
criterio di classificazione otteniamo gruppi distinti e visibilmente o
concettualmente diversi.

Facciamo qualche esempio.

Di un gruppo di cittadini e cittadine si deve stabilire lo stato


civile. Avremo la seguente classificazione

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 Celibe, nubile

 Convivente

 Coniugato/a

 Vedovo/a

 Separato/a

 Divorziato/a

Assegnare un soggetto a una categoria o all’altra può sembrare


cosa facile e immediata, solo perché adesso stiamo trattando una
variabile anagrafica certa. Non sempre però nelle scienze psicosociali
la classificazione è così immediata.

Una prima regola nella classificazione è la distintività della


categoria che andiamo a creare. Deve necessariamente distinguersi
dalle altre. Non possono esserci zone grigie. La divisione deve essere
netta. O si tratta di persone sposate oppure no. O si tratta di conviventi
oppure no. O è vedovo oppure no. Non devono esserci vie di mezzo, o
per meglio dire, mezze misure.

Il criterio di classificazione, inoltre, deve essere esaustivo, deve


cioè poter includere tutte le modalità possibili di quella categoria, non
deve lasciarne fuori qualcuna. Per esempio, se non includessimo la
categoria dei separati dove si potranno collocare questi rispetto allo
stato civile? Non sono coniugati ma neppure divorziati.

Infine, le categorie devono essere mutualmente escludentesi. Ciò


significa che ciascun soggetto o oggetto deve poter essere assegnato a
una e una sola categoria. Non può far parte di più categorie, e se così
fosse è la creazione delle categorie ad essere fallace.

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Certo, finora abbiamo trattato esempi facilmente intuitivi e


facilmente applicabili. Ma ricordiamo che lo sforzo del ricercatore, dello
studioso, è quello di essere il più preciso possibile. Ciò è necessario per
poter effettuare dei ragionamenti e deduzioni che siano validi.

Pensiamo per esempio alle categorie dei lavoratori. Se


chiedessimo loro se sono dei turnisti dovrebbe essere facile per loro
classificarsi, dovrebbero sapere se il loro orario è scandito da turni
oppure no.

Si ponga però il caso di una fabbrica fornitrice di attrezzature e


macchinari per le falegnamerie che oltre al prodotto vende anche la
manutenzione. Chi lavora in fabbrica su un ciclo produttivo di 24 ore
saprà collocarsi tra coloro che fanno le proprie 8 ore con orari fissi o
meno. E coloro che invece fanno la manutenzione programmata dai
clienti? Fanno degli orari fissi. Ma poniamo che la Direzione stabilisca
che una settimana due manutentori vadano nella zona nord e altri due
nella zona sud e così via ma con opportune variazioni, cioè non sempre
devono o andare assieme le stesse persone, a volte si può stare anche
per due settimane o dieci giorni e così via. L’azienda chiama questa
modalità organizzativa Turni di manutenzione.

Come risponderà il lavoratore impegnato in questa attività


manutentiva alla domanda “Il tuo lavoro si svolge a turni?”.

E se la nostra indagine è volta a scoprire le differenze del livello


di benessere tra coloro che fanno un lavoro a turni e chi no?

È evidente quindi che quando si fa un’analisi dei fenomeni,


quando si osserva la realtà si deve poter rispecchiare queste regole.
Occorre studiare a fondo il contesto, la cultura, il linguaggio e le
abitudini.

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Con le variabili nominali non è possibile effettuare operazioni.

Possiamo contare quante volte sono presenti le differenti


modalità.

Con queste numerosità è possibile effettuare calcoli.

Tornando all’esempio sullo stato civile si osservi la seguente


tabella.

STATO CIVILE NUMEROSITÀ


Celibe, nubile 12
Convivente 4
Coniugato/a 25
Vedovo/a 2
Separato/a 3
Divorziato/a 5

Avendo contato la numerosità delle modalità, possiamo indicare


la modalità più numerosa, quella più esigua, effettuare delle
proporzioni e così via.

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2. LE SCALE ORDINALI
Se di una scuola vogliamo misurare la quantità di alunni e
alunne sulla base della classe che stanno frequentando, la prima, la
seconda ecc allora in questo caso stiamo facendo uso di una scala
ordinale, cioè che mette in ordine le variabili, e il concetto è simile ai
numeri ordinali già studiati in precedenza.

Anche il titolo di studio è una quantità ordinale. Nella raccolta


dei dati potremmo voler seguire questo ordine (ce ne sono altri possibili,
questo non è l’unico):

1. scuole elementari

2. scuole medie

3. scuole superiori

4. laurea triennale

5. master di I livello

6. laurea magistrale

7. master di II livello

È evidente che tra l’uno e l’altro non c’è uguaglianza di rapporto,


semplicemente non avrebbe senso dire che la scuola superiore vale il
doppio delle elementari. Non possono neppure farsi delle operazioni,
cioè non possiamo dividere i livelli numerici, in questo caso da 1 a 7,
poiché – di nuovo – non avrebbe senso.

Ciò che può essere calcolato facendo uso di queste scale è la


misurazione delle quantità di ciascuna categoria. Rivediamo l’esempio
del titolo di studio. Supponiamo di voler sapere il titolo di studio del
personale che vi lavora e ottenessimo questo risultato

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Titolo di studio Numerosità


1 scuole elementari 0
2 scuole medie 3
3 scuole superiori 12
4 laurea triennale 2
5 master di I livello 0
6 laurea magistrale 6
7 master di II livello 1
Totale 24
Con le quantità, chiamate in tabella Numerosità, possiamo fare
senz’altro dei calcoli poiché si tratta di grandezze espresse con numeri
reali, naturali in questo caso. Possiamo per esempio dire che quelli con
la laure magistrale sono il doppio ci coloro che hanno fatto le scuole
medie, o che il titolo di studio più diffuso è il diploma, posseduto dalla
metà del personale.

Esaminiamo le peculiarità delle scale ordinali, caratteristiche


che le distinguono dalle scale nominali e dalle scale quantitative.

Come già visto, le varie modalità di una certa categoria sono


ordinabili così che viene a stabilirsi un rango tra l’una e l’altra come
nel caso del titolo di studio.

Possiamo perciò affermare che la posizione numero 7 è maggiore


della posizione numero 4 della tabella dei titoli di studio. La numero 4
è maggiore della 3 e quindi la 7 sarà maggiore anche della 3.

Ciò che non è possibile stabilire è di quanto una sia maggiore


dell’altra. L’intervallo tra una modalità e l’altra non è definito né
identico.

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Resta pertanto la possibilità di ordinarle secondo una certa


gerarchia ed è esclusa la possibilità di effettuare calcoli con l’ordine
gerarchico.

Un classico esempio al riguardo è quello di chiedere a dei giovani


di indicare in ordine di preferenza i vari generi musicali che ascoltano.
Ci sarà quindi un primo posto, un secondo e così via tanti quanti sono
i generi musicali che la persona ascolta. Tra il genere che il giovane ha
messo al quarto posto e il genere che ha messo al primo posto ci sono
quindi 4 posizioni, ma non si può dire che il primo è preferito di 4 volte
rispetto all’altro, o del doppio rispetto al genere musicale inserito al
secondo posto.

Esempi simili sono le fermate del treno, dell’autobus o della


metropolitana. Le fasce di reddito oppure la gerarchia dei gradi militari
sono esempi analoghi.

A volte ci si imbatte, in alcune ricerche, in scale che raggruppano


informazioni che potrebbero essere descritte con i numeri reali ℝ con
scale ordinali o classi. Per esempio l’età.

L’età è un dato continuo. È misurato o rilevato in misura discreta


come numero di anni interi ma è pur sempre un dato continuo poiché
ha a che fare con la misurazione del tempo.

A volte vengono utilizzate classi di età ordinate come


nell’esempio espresso in tabella

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Fasce di età Categoria


0 – 11 Infanzia
12 – 20 Adolescenza
21 – 40 Età adulta
41 – 69 Maturità
70 – … Anzianità

A parte l’arbitrarietà dell’includere o meno certi anni in una


classe o nell’altra, vai a dire a un undicenne che lui appartiene alla
categoria dei bambini e vedi che ti dice, oppure a una 70enne che ormai
è una donna anziana!

A volte può davvero essere necessario dividere il campione per


fasce di età se però le categorie di interesse sono queste, cioè stiamo
davvero studiando – per esempio – le differenze tra i giovani, gli adulti
e le persone più mature.

A volte la divisione in fasce di età è fatta per garantire


l’anonimato ai partecipanti alle ricerche quando i contesti di
rilevazione sono troppo piccoli.

A parere di chi scrive, le rilevazioni su numeri continui devono


essere fatte con numeri continui. Eventualmente in fase di analisi dei
dati si potrà, se utile o necessario, ricomprendere in scale ordinali ciò
che nasce e esprime naturalmente come una variabile rappresentabile
da numeri reali ℝ.

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3. LE SCALE QUANTITATIVE
Nei vari libri di testo di statistica, di statistica sociale e di
psicometria a queste scale sono attribuiti diversi nomi a seconda della
prospettiva di analisi dell’autore.

La prospettiva utilizzata in questo insegnamento è una


prospettiva volta a garantire la migliore e la più facile comprensione
possibile per chi si approccia allo studio della psicometria non volendo
farne necessariamente di essa la disciplina della propria vita ma
utilizzarla come mero strumento di analisi e lettura e comprensione
scientifica delle ricerche e della pratica psicologica.

Perciò i diversi nomi dati a questo tipo di scale sono qui


ricompresi come scale quantitative.

Anche se si riconoscono la differenze tra le scale assolute, a


rapporti, a intervalli, a intervalli equivalenti, con o senza lo zero ecc.,
in questa sede si decide di individuare le scale quantitative poiché è un
concetto più vicino alle variabili quantitative (contrapposte alle
variabili qualitative) che solitamente si utilizzano in psicometria.

Queste scale utilizzano i numeri naturali ℕ e, più in generale, i


numeri reali ℝ. Con questi numeri è possibile effettuare tutte le
operazioni necessarie all’analisi dei dati che lo studioso intende
compiere.

Graficamente possiamo rappresentarli come segue

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0 1 2 3 4 5 6 7 8 …
+∞

Facciamo un esempio.

Supponiamo di stare misurando la quantità di alunni e alunne


nelle diverse classi di una scuola.

Classe Numerosità
A 20
B 22
C 24

Tra una classe e l’altra c’è una differenza nel numero dei
componenti.

Questa differenza, proprio perché utilizza i numeri reali, inclusi


i numeri naturali, è apprezzabile e quantificabile ed è proporzionale.

Possiamo così affermare che la classe B è più numerosa della A


di 2 unità. Quell’intervallo di 2 è costante sia quando confrontiamo 20
con 22 che 22 con 24.

E tra la classe A, con 20 unità, e la classe C, con 24 unità, c’è il


doppio della differenza che c’è tra le altre, A con B con lo scarto di 2 e
B con C con lo scarto di 2. Gli intervalli di misura sono costanti, regolari
e così lo sono i loro rapporti.

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Supponiamo ora di avere misurato due dimensioni differenti per


ciascun partecipante di una ricerca che indaga la soddisfazione di vita.
Le persone hanno risposto quanto attualmente sono soddisfate della
loro vita in una scala da 1 (per nulla soddisfatto) a 10 (completamente
soddisfatto). Per gli ortodossi, questa è una scala a intervalli che non
ha uno zero assoluto. Abbiamo anche rilevato l’età.

Se mettessimo su un piano cartesiano ortogonale questi dati


potremo osservare una curva che ci parla della relazione tra queste due
variabili.

Sull’asse delle ascisse possiamo mettere l’età. Sull’asse delle


ordinate il livello di soddisfazione. Ogni punto rappresenterà ciascun
soggetto che avrà come coordinate le quantità rilevate, cioè età e
soddisfazione di vita. Cosa potremo osservare?

Soddisfazione di vita

10
8

2
10 20 30 40 50 60
0 Età

Seppure non sia possibile unire i puntini per ricavarne una curva
è ben visibile la tendenza. Cioè appare chiaro che c’è la tendenza ad

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Universitas Mercatorum Principi delle scale di misura

essere più soddisfatti della propria vita man mano che si va avanti con
l’età.

Attenzione, questo è solo un esempio, non stiamo affermando


nessuna verità scientifica.

Questo esempio però ci permette di intravedere l’utilizzo dei


numeri continui in psicometria. Non si tratta di una funzione certa e
direttamente proporzionale tra le due variabili tale per cui si potrà
affermare che y = f (x), ma si tratta di vedere che una relazione esiste
e ci permette di capire un determinato fenomeno psicologico.

Vedremo poi come calcolare in maniera più precisa questa


relazione che adesso abbiamo visto rappresentata sul piano cartesiano
ortogonale. Ma già da ora si comprende come con variabili rilevate
attraverso scale quantitative è possibile operare matematicamente per
effettuare quel processo di codifica e di decodifica, di cui abbiamo già
parlato, e che consiste nel trasformare concetti o parole in numeri e una
volta effettuate le operazioni su questi numeri ritornare alle parole e ai
concetti per ottenere descrizioni o giudizi.

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Universitas Mercatorum L’utilizzo delle scale psicometriche

L'utilizzo delle scale psicometriche


La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna
allieva le necessarie conoscenze per comprendere le varie scale di
misura utilizzate nel testing e nei questionari.
Comprendere come le scale psicometriche sono costruite e cosa
effettivamente misurano consente a chi si approccia alla psicometria di
poter maneggiare consapevolmente le varie scale di misura
psicometriche tenendo conto dei pregi e dei difetti, delle peculiarità e
delle lacune.
Saranno presentate le scale psicometriche più utilizzate e anche
quelle meno utilizzate fornendo anche esempi pratici.
Per comprendere a fondo i fenomeni psicologici con strumenti
scientifici si rende necessaria la misurazione di caratteristiche
psicologiche come opinioni, atteggiamenti, tratti di personalità, ecc.
Esiste una mole considerevole di studi critici sulla misurabilità
delle variabili psicologiche. I problemi sono relativi al fatto che non si
avrà mai una corrispondenza perfetta tra ciò che si intende misurare
(con tutti i problemi identificativi e definitori della dimensione
psicologica), il modo con cui lo si misura (che attiene alla codifica da
concetto, pensiero, emozione ecc. a numero) e, infine, al vero significato
del numero ottenuto (che si lega al tema della decodifica, cioè che
significato verbale assume un certo numero rispetto ad altri?).
In questa lezione si va oltre queste considerazioni critiche, che
hanno la loro legittimità e fondatezza, e ci si concentrerà sugli
strumenti di misura in sé.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto
da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale,
ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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1. LE SCALE PER MISURARE


Le scale vengono utilizzate per misurare atteggiamenti o altre
caratteristiche psicologiche. Se si è interessati a misurare gli
atteggiamenti occorre prima di tutto definire cosa è un atteggiamento.
L’atteggiamento è una disposizione mentale nei confronti di cose
o persone. Poiché influenza il comportamento si può affermare che
l’atteggiamento è un valido predittore del comportamento. Conoscere
l’atteggiamento di un individuo nei confronti di cose o persone ci
suggerisce come potrebbe comportarsi nei confronti di determinate cose
o persone.
L’atteggiamento è noto che si compone di tre componenti:
 componente cognitiva, è riferita all’insieme
delle informazioni e delle convinzioni possedute dal
soggetto nei confronti degli oggetti/persone a cui si fa
riferimento
 componente affettiva, rappresenta
l’attrazione o la repulsione nei confronti degli
oggetti/persone a cui si fa riferimento
 componente conativa o comportamentale,
rappresenta l’intenzione al comportamento diretto nei
confronti degli oggetti/persone a cui si fa riferimento

I test e i questionari, attraverso delle affermazioni – detti item –


su cui la persona esprime il proprio sentire, promettono la misura di
questi atteggiamenti.
L’assunto di base è che gli atteggiamenti o altre proprietà
psichiche siano stabili e misurabili e che atteggiamenti o

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caratteristiche personologiche complesse possono essere ridotte a più


dimensioni e quindi rilevate.
A ciascun item si risponde con una scala di risposta. È di queste
scale che ci occupiamo in questa sede. L’insieme delle risposte fornite
daranno luogo ad un punteggio che dovrebbe misurare il livello della
dimensione psicologica che si intende misurare.
Ovviamente questa metodologia è piena di insidie e critiche
fondate. La presunzione è che le scale ordinali utilizzate corrispondano
ad un’effettiva grandezza scalare della dimensione psicologica che si
intende misurare. Non è la sede per parlare dei test e dei questionari,
come si sviluppano e quali sono le metodologie statistiche atti ad
assicurarne l’affidabilità. Questa verrà trattata a suo tempo.
L’importante è chiarire che la misurazione non è scevra di errori e
distorsioni.
La scala più famosa per la misura degli atteggiamenti è la scala
Likert.
Rensis Likert, nato all’inizio del secolo scorso nello stato del
Wyoming (USA), era uno psicologo che nel 1932 ideò il sistema di
rilevazione che prese il suo nome.
Il sistema è molto semplice. Un gruppo di item indagano
sull’atteggiamento di riferimento. Le persone assoceranno un numero
che corrisponde al proprio grado di accordo con quell’affermazione.
In questo modo:
item: Gli extracomunitari portano via il lavoro agli italiani
scala di risposta:
Compl Moder N Moder Assolu
etamente in atamente in é in atamente tamente
disaccordo disaccordo accor d’accordo d’accordo

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do né
in
disacc
ordo
1 2 3 4 5

Questa è una scala ordinale. I numeri sono discreti, cioè


appartengono all’insieme dei numeri naturali interi positivi ℕ. Per
effetto del calcolo delle medie ci ritroveremo nel campo dei numeri
razionali ℚ, quantità dette continue.
In questo caso abbiamo la misura centrale. Le persone
potrebbero non prendere posizione. Eliminando la posizione centrale i
rispondenti saranno costretti a prendere posizione. Questa forzatura è
da utilizzare con cautela, dovrebbe essere prevista quando davvero non
avrebbe senso la misura centrale, quando rispetto al concetto indagato
non esiste, o quando è necessario che le persone prendano posizione
nonostante tutto.
Questa tipologia di scala può anche essere usata per indagare su
opinioni o su caratteristiche psicologiche personali, come per la
personalità, per esempio.
Un altro sistema è esprimersi su una scala di frequenza.
Per esempio:
Item: Quante volte litighi col tuo capo?
M RARAM QUAL SPE SEM
AI ENTE CHE VOLTA SSO PRE
1 2 3 4 5

Con questa scala le persone esprimono la frequenza di un certo


accadimento. In questo caso si tratta di un solo item. Quando si ha a
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che fare con più item che indagano un certo concetto o si fa la somma o
la media dei punteggi; su queste tecniche ritorneremo più avanti.
Volendo essere più precisi si potrebbe usare la scala che segue.
M Qu Di T T P T
ai alche verse utti i utte le iù utti i
volta volte mesi settima volte giorni
durante durante ne alla
l’anno l’anno settim
ana
1 2 3 4 5 6 7

Il vantaggio di queste scale è evidente considerando il fatto che


si va oltre il dicotomico sì/no o vero/falso. Si inserisce la possibilità di
un gradiente, di un posizionamento graduale rispetto a due poli
opposti.

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2. ALTRE SCALE PSICOMETRICHE


Esistono altre scale che sono utilizzate nelle ricerche e che
presentano differenti caratteristiche che, a seconda dell’oggetto di
indagine, potrebbero essere più o meno adatte presentando più o meno
pregi e difetti.
Differenziale semantico
Questa scala fu ideata da Osgood e collaboratori1. Si tratta di
uno strumento che consente di misurare il significato affettivo
individuale attribuito a uno specifico concetto. Esso consente, quindi,
di quantificare l’aspetto connotativo del significato attribuito ad uno
stimolo senza porre domande dirette. Per aspetto connotativo si
intende la reazione emotiva e affettiva soggettiva rispetto allo stimolo.
Lo strumento si compone di una coppia di aggettivi opposti tra i
quali è collocata una scala in genere a sette punti su cui la persona si
esprime rispetto ad un concetto definito.
Facciamo un esempio
Concetto stimolo: “Considero gli immigrati:”
Differenziale semantico:

buoni cattivi

puliti sporchi

…. ….

All’interno delle caselle può essere collocata una scala numerica


con uno zero centrale o con valori da 1 a 7, in questo modo:

1
Osgood, C. E., Suci, G. J., & Tannenbaum, P. H. (1957). Percy H. Tannenbaum. The
measurement of meaning. Urbana: University of Illinois Press.

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buoni -3 -2 -1 0 1 2 3 cattivi

puliti 1 2 3 4 5 6 7 sporchi

…. ….
Nel primo caso le risposte con tendenza a valori negativi o
positivi indicherà lo spostamento su un polo rispetto all’altro.
Nel secondo caso l’orientamento su un polo rispetto all’altro sarà
dato dai valori bassi o alti registrati per ciascun differenziale.

Scala Cantril
Le persone sono poste in condizioni di esprimersi su determinati
eventi, concetti, persone o oggetti con una scala da 1 a 10 generalmente
posta in verticale ai cui poli corrispondono valutazioni opposte.
Per esempio:
domanda: “Come valuti la difficoltà di questo corso di
psicometria?”
scala di risposta:
10 Massima difficoltà
9
8
7
6
5
4
3
2
1 Minima difficoltà

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Il vantaggio è dato dalla scala a 10 punti che ricorda la tipica


votazione scolastica.
L’utilizzo, tuttavia, è poco diffuso.

Termometro dei sentimenti


Risulta molto utile nel caso si debbano effettuare delle
comparazioni a livello individuale.
La persona a ha disposizione una sorta di termometro che
misura temperature da 0 a 100 gradi. Lo zero rappresenterebbe la
minima temperatura e 100 la massima.
Intuitivamente le persone possono essere portate a ricordare che
a zero gradi Celsius l’acqua ghiaccia e a 100 evapora.
La persona ha a disposizione diversi oggetti che dovrà collocare
lungo il termometro dei sentimenti a seconda della “temperatura”
affettiva nei confronti di questi oggetti stessi, 100 per la massima (che
equivarrebbe al massimo grado di simpatia) e zero per la minima (che
equivarrebbe al massimo grado di antipatia).
Esempio:
domanda: colloca le diverse materie scolastiche a secondo del tuo
grado di simpatia/antipatia: matematica, geografia, italiano, storia,
filosofia, latino, greco, lingua straniera…
termometro dei sentimenti:

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100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0

Scale autoancoranti
Si tratta di scale molto simili al differenziale semantico.
La persona deve scegliere uno dei valori riportati nella scala ai
cui estremi vi sono frasi dal significato opposto.
Preferibilmente la scala è a 7 punti. Si tratta di una scelta
forzata.
Esempio:
i i
profes profess
sori ori
devon devono
o 1 2 3 4 5 6 7astener
aiutar si
e gli dall’aiu
allieve tare gli
e le allieve e

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allieve le
durant allieve
e durante
l’esam l’esame
e

In qualche modo le persone sono obbligate a schierarsi su un


deteminato argomento che ha valori o giudizi contrapposti.
La peculiarità è data dal tertium non datur, cioè non vi sono altre
alternative.

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3. MISURE SOCIOANAGRAFICHE
Le misure socioanagrafiche riguardano dati oggettivamente
misurabili e riguardano i seguenti caratteri:
 genere
 età
 titolo di studio
 stato civile
 numero di componenti familiari
 presenza o meno di figli e figlie, quanti, età
 tipologia di lavoro
 tipologia di contratto lavorativo
 anzianità lavorativa
 anzianità organizzativa
 ore trascorse a lavoro
 ore trascorse alla cura familiare o della casa
ecc
 possesso e uso di un mezzo proprio di
trasporto
 utilizzo dei mezzi pubblici
 tipologia abitazione
 abitazione di proprietà, in affitto, in
comproprietà ecc.
 livello di reddito
 città, provincia o stato di residenza
 livello di conoscenza e uso di lingue straniere

L’elenco non è per niente esaustivo, ma dà l’idea della


complessità e della vastità delle variabili socioanagrafiche su cui si
possono chiamare ad esprimere le persone.

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Le risposte al riguardo non sono per nulla scontate e hanno


bisogno di una codifica specifica. Analizziamo qualche esempio.
 Età

Dovrebbe essere una variabile continua, ma a volte è


raggruppata in classi, trasformandola così in variabile ordinale.
 Numero di componenti familiari

In caso di famiglie allargate, con figli e figlie in affidamento


congiunto, con minori in affidamento ma non adottati, nonni o nonne
che gradiscono stare lunghi periodi dell’anno da un figlio/a all’altro/a si
capisce che la complessità della codifica di queste variabili è
estremamente delicata. Occorre sempre verificare prima il contesto di
studio per evitare errori.
 Tipologia di contratto lavorativo

La legislazione ha prodotto diverse tipologie sempre in corso di


evoluzione. Se si fa ricerca su questi temi occorre che la misura sia il
più esaustiva possibile. Si tratta di trasformare questi dati in una scala
nominale.
 Anzianità lavorativa e organizzativa

Quando si studia il comportamento e le caratteristiche


psicologiche di coloro che lavorano due dei parametri su cui si indaga è
il tempo da quando hanno iniziato a lavorare nella loro vita e da quando
stanno lavorando nell’azienda o ente attuale. È un dato numerico
continuo espresso in anni.
 Lingue straniere

Lo studio di determinate competenze potrebbe includere il livello


di conoscenza e utilizzo delle lingue straniere. Attraverso la scheda di
raccolta dei dati si potrebbero raccogliere informazioni come il numero

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di lingue, quali, il livello e confrontare questi dati con altre dimensioni


per ricercare connessioni, formulare e verificare ipotesi di ricerca ecc.

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

Distribuzioni di frequenza

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e


ciascuna allieva le necessarie conoscenze per raccogliere e organizzare
i dati grezzi in distribuzioni di frequenza.

Imparerete le tecniche per ordinare i dati secondo criteri che


consentano la sintesi dei dati cardinali, ordinali e qualitativi.

Imparerete come raggruppare i dati in classi, come calcolare


le frequenze cumulate, percentuali e percentuali cumulate.

Imparerete come raggruppare e ordinare i dati in tabelle


costruite ad hoc.

La statistica descrittiva, come è noto, permette di riassumere


e descrivere grandi quantità di dati in modo sintetico. Occorre perciò
prima di tutto raggrupparli in modo che siano maneggiabili dal punto
di vista matematico e successivamente presentabili al lettore o fruitore
finale.

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

1. LA DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA SEMPLICE


Si supponga di avere compiuto un’indagine tra 100 dipendenti di
una fabbrica. Dovevano esprimere il proprio grado di accordo
sull’affermazione

“Sono soddisfatto del mio lavoro”

La scala Likert utilizzata è questa

Compl Moder N Moder Assolu


etamente in atamente in é in atamente tamente
disaccordo disaccordo accor d’accordo d’accordo
do né
in
disacc
ordo
1 2 3 4 5

Come saranno manipolati i punteggi raccolti?

È il momento di cominciare ad utilizzare i fogli elettronici di


calcolo automatico.

Ciascuna casella del foglio elettronico, chiamata cella, conterrà i


punteggi raccolti. Il foglio di lavoro avrà questi contenuti iniziali

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Sono state inserite due intestazioni di colonna. Ad ogni riga


corrisponderà un operaio e sarà registrato il punteggio che avrà
indicato come grado di accordo per l’item presentato. Così come di
seguito indicato.

Trattandosi di 100 operai avremo 100 righe, 100 punteggi.


Questo disordine non ci aiuta a sintetizzare i dati.

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Si può procedere in diversi modi, uno di quelli possibili è di


ordinare per grandezza i punteggi ottenuti, in ordine crescente o
decrescente.

Utilizzando la funzione filtro del foglio elettronico è possibile far


fare automaticamente questa operazione al computer.

Ci si ritroverà così un elenco ordinato di numeri. Selezionando le


celle dove compaiono tutti i numeri 1 potremo vedere, in basso al foglio
elettronico, quante celle abbiamo selezionato, e questo numero
corrisponderà alla quantità di punteggi 1 rilevati.

Svolgendo la stessa procedura per tutti i numeri sino a 5


otteniamo la frequenza di ciascun punteggio, in altri termini,
l’occorrenza di ciascun punteggio possibile.

Il foglio elettronico possiede anche la possibilità di effettuare


questa ricognizione attraverso delle formule. Una di queste è

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=CONTA.SE(B2:B101;1)

Questa formula va inserita in una cella qualunque e conterà tutti


i numeri 1 presenti in una serie di celle, in questo caso dalla cella B2
alla B101, quelle su cui sono inseriti i punteggi rilevati.

A questo punto siamo in grado di dare una prima presentazione


dei dati.

Si dovrà creare una tabella dove ci siano tutte le informazioni


più importanti. Ci sarà quindi la frase che costituiva l’item, la scala di
risposta e le frequenze dei punteggi raccolti.

Nella tabella che segue è mostrato il risultato finale.

“Sono soddisfatto del mio lavoro”


Punteggio Giudizio
Frequenze
scala corrispondente
Completamente in
1 6
disaccordo
Moderatamente in
2 13
disaccordo
Né in accordo né in
3 24
disaccordo
Moderatamente
4 29
d’accordo
Assolutamente
5 28
d’accordo

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Risulta evidente l’utilità del comprendere la distribuzione di


frequenza poiché ci dà uno spaccato della realtà, del fenomeno
indagato. Ogni frequenza rappresenta il numero di volte che si
manifesta ed è presente una data categoria o un dato valore della
variabile presa in esame.

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2. LA DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA IN CLASSI


La distribuzione di frequenza in classi è utile per aggregare le
misure quantitative caratterizzate da un intervallo di valori molto
ampio e da elevate frequenze, come per esempio capita per l’età, per il
reddito, per la popolazione delle città e così di seguito.

Invece di elencare ciascun singolo punteggio questi vengono


raggruppati in classi in modo da essere più agevolmente maneggiati.

Si pensi che tipo di foglio elettronico si dovrebbe utilizzare o che


tipo di tabella se si volesse inserire tutti i casi della popolazione delle
città di una certa regione!

Facciamo qualche esempio.

Su una nave da crociera sono presenti 2.300 passeggeri al netto


dell’equipaggio. Si supponga di voler capire quali fasce di età sono
presenti.

Immediatamente si vanno a formare nella nostra mente delle


categorie, come i bambini, gli adulti, gli anziani ecc. con limiti adiacenti
e in grado quindi di poter consentire la conta delle frequenze per
ciascuna categoria o classe.

Una possibile tabella riassuntiva potrebbe essere così composta:

Fasce d’età Numerosità


0-18 325
19-30 240
31-50 950
51-… 785
TOT 2.300

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Questo metodo è molto interessante poiché consente di avere


una fotografia sintetica e semplice da leggere di un fenomeno che nella
realtà è molto complesso e difficilmente comprensibile visto nella sua
interezza.

I manuali stabiliscono diverse regole per l’aggregazione in


classi. Queste, tuttavia, appaiono abbastanza aprioristiche e slegate
dal contesto che si vuole studiare.

Esaminiamole.

Una delle regole vuole che si vada da un minimo di 4 o 5


classi sino ad un massimo di 18 o 20. Altri sostengono sino ad un
massimo di 15.

Nel caso da noi esaminato i punteggi sono stati aggregati in


4 classi. Nulla avrebbe vietato di creare solo 3 classi di età: persone sino
ai 20, dai 21 ai 50 e quelli oltre. Quale che sia il criterio, come detto
altre volte, esso deve tener conto della realtà che si sta indagando.

Un’altra regola da seguire è quello di avere classi della stessa


ampiezza e che comunque riescano a coprire l’intera gamma dei
punteggi.

Questo ricorda le regole già viste per la classificazione delle


variabili nominali o categoriali per quanto riguarda l’esaustività. Ma
la necessità di avere classi della stessa ampiezza non è data per
scontata, dipende dal fenomeno e dal contesto che si intende studiare.

Per esempio, si pensi a coloro che frequentano l’università.


Se si volesse dividerli in classi di età, a che servirebbe l’omogeneità
delle età?

Si potrebbe partire dalle seguenti classi

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0-20

21-25

26-30

e poi? Non avrebbe senso continuare con ampiezze di


multipli di 5 sino a oltre i 70 o 80. Sarebbe più interessante avere un
31-40 e un 41-…. Certo, se stessimo parlando di un’università della
terza età il ragionamento si rovescerebbe.

La divisione in classi deve avere motivi pratici e così


l’ampiezza che si sceglie deve avere un criterio che aiuti a capire il
fenomeno tenuto conto della complessità o meno del contesto.

Un’altra regola è quella di utilizzare multipli di 5 per il limite


inferiore o superiore. E se volessimo indagare la popolazione in
possesso della patente A? il limite di 18 è un confine quasi obbligato e
certamente non è un multiplo di 5.

Vale anche in questo discorso del raggruppamento in classi


del principio di mutua esclusione. Un preciso punteggio non deve poter
ricadere in più classi ma in una e una soltanto.

Ma ciò dipende in realtà dalla nomenclatura delle classi. Per


esempio, se uso queste classi

0-20

20-40

40-80

Dove inserirò quelli che sono al limite delle classi? Cioè quelli
di 20 anni o di 40 in quale classe andrebbero?

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

Occorre fare una scelta, che dipende dagli interessi di studio


e da altri fattori per cui o si fa così

0-20

21-40

41-80

Oppure si procede in quest’altro modo

0-19

20-39

40-80

La distribuzione in classi deve poter conferire semplicità di


lettura dei dati raccolti, deve riuscire a dare un’idea complessiva,
esaustiva e il più precisa possibile al lettore.

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3. LA DISTRIBUZIONE CUMULATA E PERCENTUALE


Nell’analisi quantitativa dei fenomeni ci ritroviamo a analizzare
porzioni di realtà che però poi vogliamo riportare all’unità, al tutto,
all’insieme delle cose da cui siamo partiti.

La distribuzione cumulata soddisfa questa esigenza, anche con


l’aiuto eventuale delle percentuali.

La frequenza cumulata di una classe o di ciascun valore assunto


dalla variabile è data dalla somma della frequenza assoluta di quella
classe o di quel valore sommate alle frequenze assolute delle classi o
dei valori che la precedono.

Questa è la definizione presente nei manuali.

Si tratta di affiancare una nuova colonna a quelle già presenti


dove inserire la somma progressiva delle frequenze.

Partire dal basso o dall’alto è una scelta che dipende dagli


obiettivi dello studio.

Ripartiamo dagli esempi già fatti.

Riportiamo la tabella degli operai che hanno espresso il loro


grado di accordo all’affermazione “Sono soddisfatto del mio lavoro”.

Punteggio Giudizio
Frequenze
scala corrispondente
Completamente in
1 6
disaccordo
Moderatamente in
2 13
disaccordo

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da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale,
ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

Né in accordo né in
3 24
disaccordo
Moderatamente
4 29
d’accordo
Assolutamente
5 28
d’accordo

Se volessimo capire il grado di soddisfazione generale sarebbe


più utile sommare per prime le frequenze dei punteggi più alti.

Viceversa, se volessimo capire il grado di insoddisfazione


generale allora si dovrà partire dai valori più bassi.

Indichiamoli entrambi. Partiamo col capire il grado di


insoddisfazione.

Fr
Punteggi Giudizio Frequenz
Cumulat
o scala corrispondente e
e
Completamen 6
1 6
te in disaccordo
Moderatamen 19
2 13
te in disaccordo
Né in accordo 43
3 24
né in disaccordo
Moderatamen 72
4 29
te d’accordo
Assolutament 10
5 28
e d’accordo 0

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

Osservando la tabella si potrebbe facilmente dire che meno di 20


persone su 100 sono praticamente insoddisfatte del loro lavoro. Ma in
quanto a dire coloro che sono soddisfatti ci viene difficile.

Capovolgiamo il criterio.

Fr
Punteggi Giudizio Frequenz
Cumulat
o scala corrispondente e
e
Assolutament 28
5 28
e d’accordo
Moderatamen 57
4 29
te d’accordo
Né in accordo 81
3 24
né in disaccordo
Moderatamen 94
2 13
te in disaccordo
Completamen 10
1 6
te in disaccordo 0

Adesso è più facile capire quanti siano soddisfatti del proprio


lavoro, quasi 60 su 100.

Ma c’è un altro modo ancora più efficace per riportare questi dati,
cioè la percentuale e la percentuale cumulata.

Per calcolare la percentuale si applica la seguente formula

P% = ( Pi / Ptot ) * 100

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

Ovvero, il punteggio percentuale si calcola moltiplicando per 100


il rapporto tra il punteggio considerato e il punteggio complessivo.

Per questo usiamo il caso delle fasce di età dei partecipanti alla
crociera.

Fasc Numerosi Percentua Percentua


e d’età tà le singola le cumulata
0-18 325 14,13% 14,13%
19- 10,43% 24,56%
240
30
31- 41,30% 65,86%
950
50
51- 34,14% 100%
785

TOT 2.300
Le cifre sono state approssimate.

È ora più facile affermare che quasi un quarto della popolazione


della crociera hanno età comprese sino ai 30 anni.

Il caso dei 100 operai, proprio perché 100, dà un risultato che è


equivalente a quello percentuale.

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Universitas Mercatorum Distribuzioni di frequenza

Fr
Puntegg Giudizio Frequen
Cumulate
io scala corrispondente ze
%
Assolutament 28%
5 28
e d’accordo
Moderatamen 57%
4 29
te d’accordo
Né in accordo 81%
3 24
né in disaccordo
Moderatamen 94%
2 13
te in disaccordo
Completamen 100
1 6
te in disaccordo %

È evidente come quasi il 60% degli operai è soddisfatto del


proprio lavoro.

L’utilizzo delle frequenze cumulate e quello delle frequenze


percentuali cumulate ci danno un’idea più organica del fenomeno, ci
consente di fare delle descrizioni più articolate e quindi di produrre
valutazioni e giudizi più puntuali e consistenti.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

Rappresentazioni grafiche lineari dei dati

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna


allieva la conoscenza delle tecniche di creazione dei grafici e il loro
utilizzo.

Inoltre, la lezione prevede il rimando costante all’utilizzo dei


fogli elettronici con cui i grafici sono elaborati e modificati a partire dal
data-set di riferimento.

Infine, per ciascuna delle tipologie in questa lezione prese in


esame, ovvero istogrammi (rettangoli verticali), grafici a barre
(rettangoli orizzontali) e grafici a linee, saranno illustrati diversi
esempi pratici su come applicare efficacemente questi strumenti.

Ci si occuperà di diagrammi. Diagramma è una parola che deriva


dal greco e che come significato originale ha quello di scrivere
attraverso, evolutosi poi in disegno. Si tratta quindi di imprimere sul
foglio dei segni che hanno una forma geometrica e un significato
matematico.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

1. ISTOGRAMMI
Si tratta di disegnare dei rettangoli sul piano cartesiano
ortogonale. Questi rettangoli hanno tutti la base sull’asse delle ascisse
posizionati in corrispondenza del relativo valore o dell’intervallo di
valori, mentre l’altezza di questi rettangoli corrisponde al valore
dell’ordinata.

Si tratta di rettangoli, o colonne, aventi tutti la stessa ampiezza


di base e che quindi differendo solo per l’altezza danno graficamente
l’idea della quantità che si vuol rappresentare specialmente se le si
vuole confrontare con altre quantità.

Riportiamo di seguito alcuni esempi per comprenderne meglio il


funzionamento e trarne il massimo vantaggio dal loro utilizzo.

Colonne raggruppate

Questo semplice tipo di rappresentazione grafica consente di


confrontare graficamente e rapidamente diverse quantità.

Osserviamo un esempio con una variabili nominale, quella dello


stato civile di un gruppo di cittadine e cittadini.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

In questo modo sono facilmente individuabili i minimi e massimi


assoluti, gli scarti più piccoli e quelli maggiori tra le diverse quantità.

Per meglio leggere i dati è possibile inserire delle etichette per


ciascun rettangolo.

Lo stesso sistema è utile anche per variabili quantitative.

Supponiamo di dover fare una selezione di giovani e giovanissimi


per uno spot pubblicitario. Si presentano partecipanti di diverse età.
La distribuzione di frequenza può essere facilmente letta attraverso un
istogramma.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

Si nota un andamento crescente sino ai sedicenni e poi una lenta


diminuzione sino ai ventenni.

In questo caso abbiamo inserito le etichette per migliorare la


lettura.

Se si volesse rappresentare la numerosità di raggruppati in


classi attraverso degli istogrammi occorre che le classi abbiano la
stessa identica estensione, poiché altrimenti occorrerebbe
proporzionare la larghezza dei rettangoli all’ampiezza delle classi.

Prendiamo il caso delle classi di reddito di un quartiere di una


grande città.

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dei dati

In questo caso le classi di reddito sono di uguale ampiezza.

Questo grafico trae in inganno per un aspetto. La numerosità è


molto differente. Pare che non vi siano appartenenti alle ultime due
classi.

E se inserissimo le etichette?

Abbiamo imparato un’altra cosa, e cioè che confrontando


graficamente dati molto numerosi tra loro, per effetto della

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

proporzionalità, alcuni di questi si appiattiscono ed è come se


sparissero.

Questo è un difetto degli istogrammi.

Vediamo un altro esempio.

Si consideri il numero di pratiche evaso da un ufficio di una


Pubblica Amministrazione nell’arco di alcuni mesi.

Si può dire che l’ufficio ha mantenuto nel tempo un andamento


costante della performance?

Osserviamo la stessa distribuzione di frequenza modificando la


scala delle ordinate.

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dei dati

Riproponiamo la domanda di prima: si può dire che l’ufficio ha


mantenuto nel tempo un andamento costante della performance?

Da questo semplice paragone comprendiamo le insidie


sottostanti alla scelta del modo in cui i dati devono essere
rappresentati. In questo secondo grafico si è volutamente ignorata una
quota che restava costante, e si è esaltata quella più variabile. Il
risultato è evidente.

La statistica descrittiva, utilizzando ausili grafici, a seconda di


come presenta i dati, a seconda di come li disegna, potrà dare differenti
valutazioni, giudizi e quindi prese di decisione diverse. È vero poi che
le persone approfondiscono. Ma si pensi a come questi due grafici
possono influenzare l’opinione pubblica se si fosse invece trattato di
argomenti delicati come il numero delle nascite, il numero di incidenti
sul lavoro, il numero di aborti, il numero delle imprese che chiudono o
che aprono, il numero dei licenziamenti e così via.

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dei dati

Colonne in pila

Cinque dirigenti partecipano ad un corso di formazione


manageriale a loro dedicato. Al termine del corso è chiesto loro di
esprimersi, con una scala da 1 a 10, su alcuni parametri di valutazione.

Si decide di rappresentare i risultati in questo modo.

In questo modo è osservabile non solo il grado di soddisfazione


generale ma anche come variano le componenti del gradimento.

Tutte le volte quindi che è utile mostrare una serie di dati il cui
ciascun dato è suddividibile in più componenti allora è conveniente
utilizzare un istogramma con colonne in pila.

Colonne in pila 100%

Sono stati interviste 5 persone di età tra i 20 e i 30 anni circa il


modo in cui occupavano il tempo libero.

I risultati sono esposti nell’istogramma con colonne in pila 100%

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dei dati

Questo grafico è molto utile quando il valore finale, a prescindere


dalla sua quantità, rappresenta una quantità complessiva
paragonabile con altri e frazionabile in diverse componenti anch’esse
confrontabili tra soggetti.

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dei dati

2. GRAFICI A BARRE
In linea di massima, quanto detto sin qui sugli istogrammi si
applica anche ai grafici a barre.

La visualizzazione e il confronto non varia molto rispetto agli


istogrammi, le barre orizzontali conservano la proporzionalità della
quantità che devono rappresentare e perciò possiedono le stesse
proprietà descrittive delle barre verticali.

Barre raggruppate

Facciamo però un confronto a partire da un esempio. In un


sondaggio è stato chiesto a dei passanti a caso di esprimere il proprio
grado di accordo – con una scala da 1 a 10 – su diversi argomenti e i
risultati sono esposti sia in un grafico a colonne verticali che a barre
orizzontali.

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dei dati

Ciò che cambia è la leggibilità.

Si consideri questo altro esempio.

Gli agenti di una società di marketing e comunicazione sono


stati invitati ad esprimersi rispetto alle caratteristiche dei clienti da
loro seguiti. Il loro giudizio è espresso attraverso un differenziale
semantico.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

È evidente come nel caso del diagramma a barre la


formalizzazione grafica di un differenziale semantico esprime tutta la
sua capacità di informazione.

In questo esempio sono anche sfruttate alcune caratteristiche


grafiche come i colori sia delle barre sia delle etichette dei valori.

Osserviamo adesso un altro caso

Gli agenti di vendita di una società commerciale hanno avuto per


lo scorso trimestre degli obiettivi di vendita concordati con il loro
responsabile commerciale. Dopo il primo trimestre si vuol verificare i
risultati attesi con quelli effettivamente conseguiti dagli agenti e
stabilire qual è il migliore agente da premiare.

Sulla base del grafico che segue, quale premiereste?

Gli indicatori numerici sono stati eliminati appositamente. Ciò


che è possibile da questo grafico è la comparazione tra elementi
omogenei e riferiti a tutti casi esaminati.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

Osservando il grafico è facilmente individuabile sia chi in


assoluto ha venduto di più e di meno, rispettivamente l’agente 2 e
l’agente 3.

È evidente anche qual è il migliore agente. Non è chi ha venduto


di più. È chi ha venduto di più rispetto alle attese, cioè l’agente 1.

Quello più fallimentare è l’agente 3 che non ha conseguito gli


obiettivi.

Barre in fila o affiancate semplici e al 100%.

Riprendendo l’esempio di prima circa i 3 agenti, analizziamo nel


dettaglio mensile le vendite.

Chi considerate il migliore osservando questo grafico così


costruito?

L’agente 3, sulle quali vi erano alte aspettative non corrisposte,


ha mostrato di essere il miglior venditore, poiché si vede che il primo

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

mese, non sappiamo per quale motivo, non ha lavorato, ma nei due mesi
che ha lavorato ha recuperato abbastanza vendendo, in paragone più
degli altri.

Il grafico che segue mostra l’utilità di scomporre in più elementi


lo stesso fenomeno che riguarda diversi casi in modo da confrontare, al
di là della totalità registrata, come variano le singole quantità e con
quale proporzione.

Anche in questo caso si è agito sulle proprietà grafiche delle


scritte per renderle più leggibili.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

3. GRAFICI A LINEE
Quando il particolare tipo di distribuzione segue un certo
andamento nel tempo o comunque dipende o può essere descritto da un
elemento variabile è utile in questo caso utilizzare un grafico a linee.

Possono essere confrontate più variabili impilate sullo stesso


piano, come nell’esempio riportato appresso.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

I dati sono fittizi. In questo caso si è scelta una doppia scala per
poter comparare le due dimensioni, altrimenti per l’effetto della
diversità tra le due misure, una circa quattro volte dell’altra, si avrebbe
avuto un appiattimento delle curve nell’intorno dei loro valori.

Riprendendo l’esempio dell’andamento della temperatura


durante il giorno vediamo come il grafico può essere reso meglio
leggibile.

Sono stati aggiunti i punti per ciascun dato a disposizione e sono


stati inseriti le etichette dei valori.

Un altro tipo di grafici è quello combinato. Riprendendo


l’esempio degli agenti in cui si sono inserite le vendite attese e quelle
effettive ma con una diversa modalità.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche lineari
dei dati

Questo è un esempio di grafico combinato. Le combinazioni sono


praticamente infinite e l’unico limite è la fantasia ma, in ogni caso,
devono soddisfare l’esigenza di descrivere graficamente le quantità in
modo tale da svolgere agevoli confronti e ragionevoli valutazioni.

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ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna


allieva le necessarie conoscenze sulle tecniche di creazione di speciali
grafici e il loro utilizzo.

Inoltre, la lezione prevede il rimando costante all’utilizzo dei


fogli elettronici con cui i grafici sono elaborati e modificati a partire dal
data-set di riferimento.

Infine, per ciascuna delle tipologie in questa lezione prese in


esame, ovvero grafici a torta, grafici a dispersione e grafici a radar,
saranno illustrati diversi esempi pratici su come applicare
efficacemente questi strumenti.

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

1. GRAFICI A TORTA
Questa tipologia di grafici ha come utilità quella di rendere conto
di una quantità generale e della sua particolare composizione.

L’unità è rappresentata dalla torta, le sue fette rappresentano


gli elementi che la compongono e la loro quantità.

Esistono diverse tipologie di grafici a torta e, per la loro


specificità e potenzialità, prenderemo in esame quelli semplici, 3D,
esplose, con barre o torta e ad anello.

Semplici

Si osservi l’esempio che segue.

Si considerino la distribuzione per genere del personale che


lavora in un ufficio di un ente della pubblica amministrazione.

84

126

126 Donne 84 Uomini

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Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

Questo è l’utilizzo più semplice e immediato, riportare cioè la


quantità di variabili qualitative per l’immediato confronto
geometrico/numerico.

Può essere arricchito con diverse modalità.

40%

60%

126 Donne 84 Uomini

L’arricchimento grafico deve sempre avere una ragione utile al


rendere il dato più chiaro e di immediata comprensione. Gli elementi
grafici devono facilitare la comprensione delle quantità, le proporzioni
e le relazioni e non devono quindi essere utilizzati solo per il gusto
personale (a volte discutibile) come nell’esempio che segue.

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Pag. 5 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

40%

60%

Sarà anche ricco di elementi colorati e grafici ma dove sta


l’utilità della lettura? Questo è solo un esempio, e neppure tanto
grottesco, purtroppo nei report aziendali o, tristemente, anche nelle
tesi di laurea a volte si assiste alla presentazione di grafici che
sembrano più arte astratta che altro.

Grafici 3D

Talvolta l’elemento grafico ha la sua ragion d’essere e va


sfruttato.

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Pag. 6 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

A seconda del contesto e del proposito possono essere abbelliti e


arricchiti tutti i grafici ma mai a discapito della lettura e comprensione
del dato.

Grafico a torta con specificazione a barre

Supponiamo che un’azienda voglia illustrare la propria


distribuzione di agenti sul territorio italiano ma con particolare
riferimento al centro Italia.

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Pag. 7 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

Questo è uno dei modi con cui poter rappresentare graficamente


una distribuzione di variabili qualitative ma con l’esigenza di
suddividere ulteriormente una di queste in più elementi specifici.

Grafico a torta con specificazione a torta

Questa è un’alternativa alla precedente. Si ribadisce che


l’aspetto grafico deve sempre essere di facilitazione di lettura e
comprensione.

Grafico ad anello

Quando si vuol enfatizzare un confronto tra le quantità di


variabili qualitative e le loro categorie, uno dei grafici utilizzabili è
quello ad anello.

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Pag. 8 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

La lettura del grafico può avvenire privilegiando il genere o la


mansione. In questo caso non c’è un discorso di numerosità delle
mansioni, impiegati e operai, cioè non interessa confrontare la loro
quantità. Interessa confrontare come si distribuisce il genere
all’interno di queste categorie.

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Pag. 9 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

2. GRAFICI A DISPERSIONE
Una delle particolarità dei grafici a dispersione è la possibilità di
porre due variabili quantitative come valori delle ascisse e delle
ordinate, ricavando così dei grafici che disegnano delle funzioni sul
piano cartesiano.

Ogni punto rappresenterebbe un caso o un soggetto e le


coordinate di questo punto altro non sarebbero che i corrispondenti
punteggi di queste variabili.

Grafici a punti.

Si consideri un gruppo di persone di varie età e a cui abbiamo


chiesto di esprimere il grado di soddisfazione per la propria vita. I
risultati sono esposti nel grafico.

Ogni punto sul piano rappresenta un soggetto, una persona.

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Pag. 10 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

Ciascuna persona ha un’età che leggiamo coordinata dell’ascissa.

Ciascuna persona ha fornito il giudizio sulla soddisfazione per la


propria vita con una scala da 1 = per nulla soddisfatto sino a 10 =
completamente soddisfatto.

Si è già visto questo esempio e seppure si stia parlando di dati


fittizi che non sono uniti da una linea è evidente la tendenza ad essere
più soddisfatti della propria vita man mano che si va avanti con l’età.

In questo caso nel diagramma a punti sono stati inseriti i titoli


degli assi, e le loro dimensioni sono state tarate sulla base del range dei
punteggi.

Si è incluso nel grafico la linea di tendenza. Tra l’asse delle


ascisse e delle ordinate non c’è una vera e propria funzione matematica
tale per cui in maniera deterministica possa affermarsi che

y = f (x)

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Pag. 11 di 19
Universitas Mercatorum Rappresentazioni grafiche geometriche
dei dati

però la linea di tendenza ci dice come variano in media i punteggi


dell’asse delle ordinate al crescere del valore dei punteggi dell’asse delle
ascisse.

Aggiungendo un’altra variabile al grafico già visto osserviamo


cosa possiamo discutere e confrontare.

È stata inserita la soddisfazione lavorativa. Le linee di tendenza


ci aiutano a farci dei giudizi che riguardano la modalità con cui queste
due variabili varino rispetto all’età, quanto varia ciascuna rispetto
all’altra e così via.

Grafici a linee

Un’azienda che produce macchinari per l’edilizia ha visto calare


le proprie vendite negli ultimi tempi. Tra tutti i prodotti
commercializati si vuol vedere quali hanno subito un calo più brusco
rispetto ad altri. Si confrontano perciò le migliaia di euro di vendita per
ciascuna serie di macchinari.

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da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale,
ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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dei dati

Questo tipo di grafico consente di verificare quale serie tra le


varie modalità, anni in questo caso, ha avuto un incremento, un
decremento o è rimasto sostanzialmente identico e confrontare le serie
tra loro.

Vediamo un altro caso ipotetico.

Un negozio di telefonia ha cambiato qualche anno fa le procedure


di attivazione e di customer service dei propri clienti. Volendo fare un
resoconto per valutare l’efficacia del cambiamento sulla base dei
risultati ottenuti si è deciso di raccogliere i dati graficamente ottenendo
il seguente grafico.

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dei dati

Quali varie considerazioni possono essere fatte osservando


l’andamento dei dati numerici sul grafico? Perché questo tipo di grafico
può essere utile per presentare dei risultati?

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dei dati

3. GRAFICI A RADAR E COMBINATI


Consideriamo ora una tipologia di grafici denominati a radar o a
ragnatela, per via della loro forma.

È stato somministrato un test di personalità a diversi soggetti.


Questo test misura alcune caratteristiche e le confronta tra loro per
ciascun soggetto. Questo che segue è il grafico risultante.

Anche questa tipologia di grafici si presta a molte interpretazioni


data la ricchezza di dati che possiede.

Consideriamo un altro esempio.

Una grande azienda è stata interrogata su quale tipo di leader


fosse il loro manager.

I risultati sono riportati nel grafico.

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dei dati

Utilizzando la forma piena si può più facilmente descrivere un


profilo del leader.

Un ultimo esempio.

È stato chiesto ad una coppia di coniugi di segnare mese dopo


mese, per un anno intero, il loro grado di accordo/intesa, su una scala
da 1 a 10, con 1 = totale disaccordo e 10 = perfetto accordo.

I risultati sono esposti nel grafico.

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dei dati

Quante considerazioni possono farsi confrontando due serie nello


stesso grafico a radar che riferisce di una misura ordinale?

Vediamo adesso un grafico combinato utilizzando dei dati già


visti.

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dei dati

In questo caso si confrontano i totali con istogrammi a rettangoli


verticali e quantità divise per anno del solo settore telefonia che,
facendo parte di un tutto, può essere scomposto in più anni.

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Universitas Mercatorum La media

La media

Tra gli indici di tendenza centrale la media è l’indice sintetico


principale. Questa lezione svilupperà il concetto di media aritmetica e
di media ponderata.

Verrà spiegato e illustrato come si calcola la media e in quali casi


si utilizza. Saranno discusse le proprietà di questo indice e l’importanza
che riveste nell’analisi e nello studio delle dimensioni psicologiche.

Gli allievi e le allieve saranno quindi in grado di calcolare e


utilizzare la media quale indice di tendenza centrale. La lezione si
propone anche di mostrare come utilizzarne il concetto per effettuare
valutazioni e discutere i risultati.

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1. LA MEDIA ARITMETICA
La media aritmetica tra più numeri si ottiene sommando tutti i
numeri e il risultato va diviso per il numero delle quantità che abbiamo
sommato, cioè per il numero dei casi.

Possiamo chiamare questa media aritmetica media campionaria,


poiché è calcolata con i numeri del campione preso in considerazione.

Si supponga di avere questi numeri

12, 8, 4

La somma sarà data da 12 + 8 + 4 = 24

Questo numero va diviso per quanti numeri abbiamo sommato,


cioè 3

24 / 3 = 8

Che cosa abbiamo quindi fatto? Abbiamo eliminato le differenze


tra queste quantità, abbiamo appiattito i divari tra tutti i numeri. È
come se avessimo equi-distribuito le quantità.

Formalmente, il calcolo della media può essere così sintetizzato

∑1𝑛 𝑥
𝑥̅ = 𝑛

in altri termini, la media – rappresentata dal simbolo 𝑥̅ – è il


rapporto tra la somma di diverse quantità e la loro numerosità.

La media assume il significato di un riassunto dei numeri o dei


dati raccolti.

Rappresenta l’unico valore che descrive tutti gli altri presenti


nella distribuzione e che è in essi contenuto. La media avrà come valore
un numero compreso tra il minimo e il massimo della distribuzione.

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Questo indice può essere calcolato sia per quantità continue che
discrete, quindi per tutte le variabili quantitative.

Si osservi ora il seguente grafico.

Si tratta della rappresentazione grafica del concetto di media


applicato alla piccola serie di numeri considerati prima.

Sono ben visibili gli scarti tra ciascun numero calcolato e la


media. Sommando questi scarti, quale che sia la distribuzione, si
otterrà sempre zero. In questo caso la media è 8 e gli scarti +4, 0 e -4
sommati danni proprio 0.

La formalizzazione di questa proprietà della media è così scritta

∑1𝑛(𝑥𝑖 − 𝑥̅ ) = 0

Ovvero, la somma degli scarti di ciascun punteggio dalla media


è sempre nullo.

Prendiamo ora come esempio la seguente distribuzione:

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5 6 4 2 8 3 2 4 7 9

La somma è 50, la media (sono 10 numeri) è 5

Modifichiamo l’ultimo numero, da 9 a 90. La nuova media sarà


ora 13,1. È cambiato un solo numero, ma la media è cambiata molto.

Se nella distribuzione originale possiamo ben ipotizzare che


esistano numeri sia minori che maggiori di 5 con la nuova distribuzione
ciò non sarà più vero, esiste un solo numero maggiore della media.

Osserviamo un altro esempio.

Consideriamo questa serie di numeri:

46 54 37 36 71 81 57 38 67 63

Questi 10 numeri sommati danno 550 e la media è di 55.

Se cambiamo solo un numero, il primo, e assegniamo il punteggio


1, in questo modo

1 54 37 36 71 81 57 38 67 63

Avremo come somma 505 e come media 50,5.

Questo mostra una caratteristica della media: l’influenza degli


outlier, cioè dei punteggi massimi e dei punteggi minimi.

E, nella sua peculiarità, mostra anche il suo limite: ci dice la


quantità verso cui i numeri convergono, ma non quanto variano.

Per questo motivo si utilizzano anche altri indici di tendenza


centrale e altri detti indici di dispersione. Sarà l’insieme di questi
indici, opportunamente utilizzati, che consentiranno un’esaustiva e più

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precisa sintesi della distribuzione delle quantità del campione


analizzato.

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2. LA MEDIA PONDERATA
Quando anziché avere una serie di numeri facenti parte di una
distribuzione di una variabile o di un rilevamento qualsiasi abbiamo
invece delle distribuzioni di frequenza la media va calcolata in modo
diverso.

Nella media ponderata, o media armonica, la ponderazione è


riferita al peso che ciascun numero esercita sul totale per via della sua
minore o maggiore frequenza in quella particolare frequenza.

Chiariamo con un esempio pratico.

Un gruppo di 38 studenti ha sostenuto un esame. In tabella sono


esposti i voti dati e quanti studenti hanno ottenuto quel risultato.

Voto esame Studenti


18 6
21 3
24 4
26 10
28 12
30 3

Se volessimo sapere qual è la media del voto dell’esame


dobbiamo procedere con la media ponderata. La media sarà riferita al
voto dell’esame, la ponderazione a quanti studenti hanno avuto quel
voto.

Il procedimento è questo:

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18∗6 + 21∗3 + 24∗4 + 26∗10 + 28∗12 + 30∗3 953


= = 25,08
6+3+4+10+12+3 38

Scritto in maniera formale:

∑(𝑥𝑖 ∗ 𝑓𝑖 )
𝑁

Ovvero, la media ponderata è data dal rapporto tra la somma dei


prodotti tra il singolo punteggio con la sua frequenza e la numerosità
totale del campione o del numero dei casi.

Graficamente può essere visualizzato in questo modo

La linea grigia rappresenta il valore della media ponderata.

Per comprendere la variazione della media rispetto ai punteggi


e alle ponderazioni, si osservino i seguenti casi

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È ben osservabile come la ponderazione, ovvero la numerosità


dei casi, incide notevolmente sulla media ponderata.

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Nel primo caso una maggiore concentrazione di casi su un voto


alto spinge la media verso l’alto.

Viceversa, una maggiore numerosità di casi per il voto minimo


spinge la media ponderata al ribasso.

Precedentemente abbiamo visto con la media semplice


l’influenza degli outlier, in questo caso la notevole influenza è data
dalla ponderazione.

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3. LA MEDIA PER DATI RAGGRUPPATI IN CLASSI


Se abbiamo a che fare con dei dati raggruppati per classi
utilizziamo un procedimento che è l’evoluzione di quelli precedenti.

Supponiamo di aver contato la numerosità di persone secondo


delle fasce di età di un certo luogo della città. I dati sono riportati in
tabella.

Classi di età Numerosità


0 18 16
19 30 53
31 50 32
51 70 22
70 90 8
TOT 131

In questo caso si procede calcolando per primo il valore centrale


delle classi. Sarà questo valore ad essere ponderato secondo la
numerosità relativa.

La formula generale per il calcolo della media ponderata, in


termini formali, assume questa forma

(𝑥𝑙𝑖 + 𝑥𝑙𝑠 )
∑( ∗ 𝑓𝑖 )
2
𝑁

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I pedici li e ls indicano rispettivamente il limite inferiore e


superiore della classe, quindi xli rappresenta l’estremo inferiore della
classe e xls l’estremo superiore della classe.

La media del limite inferiore e superiore della classe di ciascun


(𝑥𝑙𝑖 +𝑥𝑙𝑠 )
caso va moltiplicata per la frequenza relativa fi, o peso relativo.
2

Queste quantità vanno sommate e rapportate al numero totale dei casi.

I limiti della classe, tanto inferiore quanto superiore, vanno


rapportati al caso reale o tabulato.

Per esempio, nell’ultima classe abbiamo come limiti 70 e 90,


questi sono i limiti tabulati, ma se avessimo tra i dati reali un massimo
di 82 potremmo avere delle lievi differenze di media proprio perché si
sta invece supponendo l’esistenza di un altro limite, quello di 90.

Cosa accade a conti fatti?

Applicando la formula vista prima ai nostri dati abbiamo

(0 + 18) (19 + 30) (31 + 50) (51 + 70) (71 + 90)


∗ 16 + ∗ 53 + ∗ 32 + ∗ 22 + ∗8
2 2 2 2 2
16 + 53 + 32 + 22 + 8

Il risultato di questa espressione è di 35,98, che approssimiamo


a 36 anni.

Ma se provassimo a modificare il limite superiore dell’ultima


classe, per esempio con 82, il risultato finale sarebbe di 35,7.

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Perciò, nel calcolo della media per dati raggruppati in classe


incide non solo il peso di ciascuna frequenza ma anche i limiti della
classe relativa.

Quello dei limiti inferiori e superiori delle classi è perciò qualcosa


che va scelto tenendo sempre conto del contesto che si sta analizzando.

Vediamo un altro caso.

Consideriamo il reddito di una porzione degli abitanti di una


città. Il reddito è diviso in fasce. Vengono contate quante persone
rientrano in ciascuna fascia di reddito.

I dati sono riportati in tabella.

Classi di reddito N
€ 0,00 € 10.000,00 1.258
€ 10.001,00 € 20.000,00 6.849
€ 20.001,00 € 30.000,00 5.684
€ 30.001,00 € 40.000,00 475
€ 40.001,00 € 50.000,00 152
€ 50.001,00 € 60.000,00 22
€ 60.001,00 €… 4
14.444

Quale sarà il reddito medio considerati tutti gli abitanti?

Saranno prima calcolate le classi centrali

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Class
e centrale
Classi di reddito N
(𝑥𝑙𝑖 + 𝑥𝑙𝑠 )
2
€ €
€ 0,00 1.258
10.000,00 5.000,00
€ € €
6.849
10.001,00 20.000,00 15.000,50
€ € €
5.684
20.001,00 30.000,00 25.000,50
€ € €
475
30.001,00 40.000,00 35.000,50
€ € €
152
40.001,00 50.000,00 45.000,50
€ € €
22
50.001,00 60.000,00 55.000,50
€ €
€… 4
60.001,00 30.000,50
14.44
4

Poi si calcolano le quantità ponderate.

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Classe Quantità
centrale ponderate
N
Classi di reddito
(𝑥𝑙𝑖 + 𝑥𝑙𝑠 ) (𝑥𝑙𝑖 + 𝑥𝑙𝑠 )
xli xls ∗ 𝑓𝑖
2 2
€ €
€ 0,00 € 10.000,00 1.258
5.000,00 6.290.000,00
€ €
€ 10.001,00 € 20.000,00 6.849
15.000,50 102.738.424,50
€ €
€ 20.001,00 € 30.000,00 5.684
25.000,50 142.102.842,00
€ €
€ 30.001,00 € 40.000,00 475
35.000,50 16.625.237,50
€ €
€ 40.001,00 € 50.000,00 152
45.000,50 6.840.076,00
€ €
€ 50.001,00 € 60.000,00 22
55.000,50 1.210.011,00
€ €
€ 60.001,00 €… 4
30.000,50 120.002,00

Totali 14.444
275.926.593,00

Il reddito medio sarà quindi

275.926.593
= € 19.103,20
14.444

Anche in questo caso sono visibili e riconoscibili le influenze dei


pesi sulla media.

Una certa influenza l’hanno pure esercitata il limite inferiore


della prima classe (zero) e il limite superiore dell’ultima classe (non

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Universitas Mercatorum La media

definita), ma in questo caso si preferisce inserire i limiti tabulati


anziché reali.

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Universitas Mercatorum La mediana e la
moda

La mediana e la moda

Tra gli indici di tendenza centrale, oltre alla media, troviamo la


mediana e la moda. Questi due indici trovano applicazioni particolari
di cui si parlerà in questa lezione.

Verrà spiegato e illustrato come si calcola la moda, la mediana


semplice, su scala ordinale e per dati raggruppati in classe.

Saranno discusse le proprietà di questi indice e l’importanza che


rivestono nell’analisi e nello studio delle dimensioni psicologiche.

Gli allievi e le allieve saranno quindi in grado di calcolare e


utilizzare la mediana e la moda quale indice di tendenza centrale.

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Universitas Mercatorum La mediana e la
moda

1. LA MEDIANA SEMPLICE
La mediana è un indice di tendenza centrale che possiamo
individuare su variabili quantitative, siano continue che discrete e su
variabili ottenute da una scala ordinale.

Questo indice consente di calcolare e individuare, all’interno di


una distribuzione ordinata di valori, quale numero occupa la posizione
centrale. Per distribuzione ordinata di valori si intende una
distribuzione i cui numeri sono ordinati in ordine crescente.

Una volta calcolata la mediana essa avrà, al di sotto di essa e al


di sopra di essa, la stessa quantità di numeri della distribuzione stessa.
In altri termini, data la mediana abbiamo al di là e al di qua di essa il
50% dei valori ordinati.

In questo paragrafo vediamo come ottenere la mediana per la


distribuzione di numeri su scala ordinale e cardinale.

Come già detto, quale che sia la distribuzione a disposizione, va


prima di tutto ordinata.

Partiamo da questo caso

1 2 3 4 5 6 7

Abbiamo 7 numeri, la posizione centrale in questo caso è


facilmente identificabile, e corrisponde al numero 4.

Formalizzando otteniamo la seguente formula

𝑁+1
Posizione mediana = 2

N sta per il numero dei casi osservati. Quindi in questo caso

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Pag. 4 di 18
Universitas Mercatorum La mediana e la
moda

𝑁+1 7+1
Posizione mediana = = =4
2 2

In questa serie abbiamo volutamente far coincidere posizioni e


numeri, e siamo anche nel caso in cui la distribuzione è composta di un
numero dispari di casi.

Osserviamo quest’altra serie, indicando anche il numero


ordinale della posizione.

1
2 3 6 7 9
serie 2
posizion
1 2 3 4 5 6
e

Utilizzando la formula otteniamo

𝑁+1 6+1
= = 3,5
2 2

Cioè la mediana s trova a metà strada tra la terza e la quarta


posizione. Si calcola quindi la media dei numeri occupanti queste
posizioni, cioè la media tra il numero 6 e il numero 7, e otteniamo 6,5,
la mediana di questa serie.

6,5 1
2 3 6 7 9
serie 2
posizion 4
1 2 33,5 5 6
e
Da questo si può notare che la mediana non è un numero che
viene calcolato in senso stretto. La mediana è il numero occupato in
una certa una posizione ordinale. Si tratta di individuare il numero che

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Pag. 5 di 18
Universitas Mercatorum La mediana e la
moda

occupa la posizione centrale in una serie di numeri ordinati in modo


crescente.

Alcuni manuali indicano che l’ordine può essere anche


decrescente, ma ciò non cambia il risultato appunto, ma rende meno
facile l’ordinamento.

La mediana ha un comportamento diverso rispetto alla media

Consideriamo ora diversi casi particolari.

M m P 1 1 1
1 2 3 4 5 6 7 8 9
edia ediana osiz. 0 1 2
S 1
4 4 1 1 3 5 8
erie 1 2
S 1 1 3
8 4 1 1 1 2 2 3 5 9 9
erie 2 2 7 4

Queste due serie molto diverse tra loro hanno una il doppio della
media dell’altra e identico numero della mediana.

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Pag. 6 di 18
Universitas Mercatorum La mediana e la
moda

Osservato su un diagramma ne possiamo osservare meglio le


caratteristiche e confrontarle.

L’asse delle ascisse indica la posizione, l’asse delle ordinate


indica i punteggi. La posizione della mediana della prima serie è
diversa dalla posizione della mediana della seconda serie e per caso
hanno lo stesso numero. La media della seconda serie è doppia della
prima.

Osserviamo un caso inverso, stessa media, mediana differente.

M m P 1 1 1
1 2 3 4 5 6 7 8 9
edia ediana osiz. 0 1 2

6 7 S 1

,5 ,5 erie 1 1 2 6 92 9

6 S 1 4
2
,5 erie 2 1 1 1 2 2 2 2 2 32 37

Abbiamo quindi la stessa media per le due serie, una più


numerosa dell’altra, con una mediana più grande per la serie piccola e
una mediana piccola per la serie più grande.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto
da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale,
ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Universitas Mercatorum La mediana e la
moda

La rappresentazione grafica fa risaltare le proprietà della


mediana e della stessa rispetto alla media.

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moda

2. LA MEDIANA PER SCALE DI FREQUENZA E PER


DATI RAGGRUPPATI IN CLASSE
Per calcolare la mediana per dati in distribuzione di frequenza
su scala ordinale, dopo avere ordinato le categorie in ordine crescente,
si calcolano le frequenze cumulate.

Successivamente si applica la formula del calcolo della posizione


della mediana alle frequenze cumulate.

Si individua la frequenza immediatamente superiore alla


posizione ottenuta. La categoria corrispondente è la categoria mediana.

Applichiamo tramite un esempio.

Si vuol capire il titolo di studio medio dei dipendenti di


un’azienda.

Il censimento restituisce queste informazioni.

Titolo di studio Frequenza

scuole elementari 2
scuole medie 3
scuole superiori 12
laurea triennale 2
master di I livello 1
laurea magistrale 6
master di II livello 2

Le categorie sono già poste in ordine crescente.

Si devono calcolare e scrivere le frequenze cumulate.

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moda

Frequenza
Titolo di studio Frequenza
cumulata
scuole elementari 2 2
scuole medie 3 5
scuole superiori 12 17
laurea triennale 2 19
master di I livello 1 20
laurea magistrale 6 26
master di II livello 2 28

Adesso che sono state calcolate le frequenze cumulate si può


applicare la formula del calcolo della mediana.

𝑁+1 28+1 29
= = = 14,5
2 2 2

Perciò la categoria mediana di questa distribuzione si trova alla


posizione 14,5 delle frequenze cumulate.

Frequenza
Titolo di studio Frequenza
cumulata
scuole elementari 2 2
scuole medie 3 5
scuole superiori← 12 17 ← 14,5
laurea triennale 2 19
master di I livello 1 20
laurea magistrale 6 26
master di II livello 2 28

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moda

La frequenza immediatamente superiore a 14,5 è 17, che è la


numerosità della categoria delle scuole superiori.

Quindi, la mediana del titolo di studio dei dipendenti di questa


azienda è il diploma di scuola superiore.

Vediamo ora il caso dei dati raggruppati in classi.

Consideriamo le seguenti categorie.

Fasce di
Categoria età
bambini 0 – 11
adolescenti 12 – 20
adulti 21 – 40
maturi 41 – 69
anziani 70 – 100

Contiamo secondo le fasce di appartenenza un gruppo di persone


che stanno assistendo alla proiezione di un film in una sala
cinematografica.

Fasce di
Categoria età frequenza
bambini 0 – 11 12
adolescenti 12 – 20 18
adulti 21 – 40 33
maturi 41 – 69 25
anziani 70 – 100 14

Adesso si calcolano le frequenze cumulate.

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Categoria Fasce di frequenz frequenz


età a a cumulata
bambini 0 – 11 12 12
adolescent
i 12 – 20 18 30
51,5 →
Adulti ← 21 – 40 33 63
maturi 41 – 69 25 88
anziani 70 – 100 14 102

Come nel caso precedente, viene calcolata la posizione centrale.

𝑁+1 102+1 103


= = = 51,5
2 2 2

Questa posizione, la numero 51,5, corrisponde alla categoria


degli adulti poiché gli adulti occupano i posti dal 31 al 63.

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moda

3. LA MODA
Consideriamo i casi esaminati prima e individuiamo la quantità
più diffusa, quella che si presenta con maggior frequenza.

Questa quantità si chiama moda.

La moda, quale indice di tendenza centrale, è definita come il


valore che si presenta con il numero maggiore di volte in una data
distribuzione, ha la frequenza più alta, è il numero con la ricorrenza
prevalente.

Questo indice può essere calcolato su tutte le scale, nominali e


quantitative. Ma è l’unico che può essere utilizzato per calcolare l’indice
di tendenza centrale di variabili categoriali o nominali, quindi
qualitative.

Facciamo qualche esempio.

1 4
1 1 1 2 2 2 2 2 32 37

In questa serie sopra espressa qual è la quantità modale?

Se ne contano le frequenze in una tabella.

numero frequenza
1 3
2 5
3 2
12 1
47 1

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moda

Il numero con la frequenza più alta è il 2. La moda di questa


distribuzione è dunque il numero 2.

Con i grafici l’individuazione è altrettanto immediata poiché,


ordinati in ordine di frequenza, la moda è rappresentata dal segno
grafico più alto.

Riprendendo un esempio di variabile ordinale osserviamo la


seguente tabella.

Titolo di studio Frequenza

scuole elementari 2
scuole medie 3
scuole superiori 12
laurea triennale 2
master di I livello 1
laurea magistrale 6
master di II livello 2

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moda

Qual è il titolo di studio più diffuso? Osservando la frequenza più


alta, 12, si risale al diploma di scuola superiore.

Vediamo un esempio con variabile nominale.

Utilizzando un esempio già visto, quello del numero degli agenti


nelle regioni del centro Italia, osserviamone la tabella riassuntiva.

Lazio 16
Marche 2
Toscana 12
Umbria 1

In questo caso la moda appartiene alla regione Lazio, quella con


un numero maggiore di agenti.

Con i dati raggruppati in classi possiamo individuare la classe


modale, quindi la classe con la frequenza maggiore.

Vediamolo in una serie di dati riguardanti le classi di reddito.

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moda

Classi di reddito N
0-10.000 1.258
10.001-20.000 ← 6.849
20.001-30.000 5.684
30.001-40.000 475
40.001-50.000 152
50.001-60.000 22
60.001-… 4

In questo caso la classe più numerosa, quindi la moda, è quella


rappresentata dalla fasci di reddito 10.001-20.000.

Se all’interno di una distribuzione dovessero spiccare più di una


categoria maggiormente diffusa rispetto alle altre, si potrà dire che
nella distribuzione vi sono due mode, e si dice che la distribuzione è
bimodale.

Questo vale per tutte le categorie di variabili.

Volendo considerare il caso delle fasce di redito, supponiamo una


seguente distribuzione.

Classi di reddito N
0-10.000 258
10.001-20.000 ← 6.849
20.001-30.000 ← 6.750
30.001-40.000 475
40.001-50.000 152
50.001-60.000 22
60.001-… 4

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moda

In questo caso ci troviamo di fronte ad un caso di frequenza


bimodale.

È evidente la minore differenza assoluta tra le due mode rispetto


alla differenza che intercorre tra queste e le altre fasce.

Esiste un caso in cui non vi è la moda: nella totale uguaglianza


delle frequenze.

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Universitas Mercatorum Indici di posizione

Indici di posizione

L’obiettivo della lezione è quello di fornire le conoscenze degli


indici numerici di posizione.
Sarà dato modo di acquisire padronanza del calcolo degli indici
di posizione e autonomia del loro utilizzo in psicometria.
Gli indici saranno quindi definiti e descritti, in particolare
saranno discussi i quartili, i decili e i percentili.
Saranno spiegate le diverse modalità di calcolo anche in
riferimento alle varie distribuzioni di dati mediante esempi pratici.

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Universitas Mercatorum Indici di posizione

1. QUARTILI
La distribuzione di punteggi di una variabile continua o discreta
viene ordinata in modo crescente, ovvero dal punteggio più piccolo sino
al più grande.

Questa serie ordinata viene divisa in quattro parti uguali.

Ciascuna parte corrisponde quindi al 25 % dei casi, detto in altri


termini, ad un quarto.

Da qui il nome di quartile, un numero che corrisponde alla


posizione quartilica nella serie di cui appunto ne è stata individuata la
posizione.

La divisione in 4 parti uguali di tutta la distribuzione e la


conoscenza del valore di ciascun quartile ci fornisce informazioni circa
il modo in cui i soggetti, o casi, si posizionano rispetto alla scala di
riferimento.

Si hanno tre quartili da calcolare:

1° quartile, al di sotto del quale vi è il 25% dei casi

2° quartile, al di sotto del quale vi è il 50% dei casi

3° quartile, al di sotto dei quali vi è il 75% dei casi

Poiché il secondo quartile corrisponde alla posizione a metà della


distribuzione, coincide con la mediana (la mediana è sia un indice di
tendenza centrale che di posizione).

Il calcolo per il quartile è simile a quello per il calcolo della


mediana.

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Universitas Mercatorum Indici di posizione

I quartili distano tra loro in modo identico, ma il numero che


occupa la posizione è differente, per cui la differenza tra i quartili è
diversa a seconda dei quartili considerati. Essa è chiamata differenza
interquantilica.

Si ordinano in senso crescente le modalità o i valori della


variabile. Si calcolano le frequenze cumulate.

Con apposita formula si calcola la posizione del quartile. Si cerca


nella distribuzione il valore corrispondente alla posizione trovata
scegliendo la frequenza cumulata immediatamente superiore all’indice
calcolato.

Vediamo con un esempio.

Si supponga di avere somministrato un questionario del


benessere lavorativo ai dipendenti di un ente pubblico.

Il questionario prevedeva 15 item con una scala di risposte da 1


a 5.

Il punteggio finale per ciascun partecipante è espresso dalla


somma dei punteggi delle singole riposte.

Ordiniamo i punteggi in ordine crescente indicando le frequenze


singole e cumulate.

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Universitas Mercatorum Indici di posizione

P fr fre
unteggi eq. q. Cum.
18 2 2
22 4 6
24 8 14
26 6 20
28 9 29
31 7 36
32 5 41
33 6 47
35 8 55
37 12 67
38 15 82
40 12 94
11
41 18 2
13
42 21 3
15
43 23 6
17
44 20 6
20
46 24 0
21
47 17 7
23
49 15 2

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24
50 8 0

La formula generale per il calcolo della posizione quartilica è

(𝑁+1)∗𝑗
PosQj = 4

Dove j sta ad indicare il primo, il secondo o il terzo quartile.

Perciò, procedendo come indicato otterremo

(𝑁+1)∗1 (240+1)∗1
PosQ1 = = = 60,5
4 4

(𝑁+1)∗2 (240+1)∗2
PosQ2 = = = 121
4 4

(𝑁+1)∗3 (240+1)∗3
PosQ3 = = = 181,5
4 4

Individuiamo in tabella le posizioni quartiliche ottenute e i


relativi valori quartilici.

P fr fre
unteggi eq. q. Cum.
18 2 2
22 4 6
24 8 14
26 6 20
28 9 29

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31 7 36
32 5 41
33 6 47
35 8 55
Q1 ←
12 67
=37 PosQ1
38 15 82
40 12 94
diff. 11
41 18 2
Q2 13 ←
=42 21 3 PosQ2
15
43 23 6
17
44 20 6
Q3 20 ←
=46 24 0 PosQ3
21
47 17 7
23
49 15 2
24
50 8 0

Ricordiamo che Q2 coincide col valore della mediana.

Possiamo anche calcolare la differenza interquantilica.

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Q3 – Q1 = 46 – 37 = 9

L’ampiezza della fascia di valori contenuti dalla PosQ1 alla PosQ3


è pari a 9.

Lo scarto tra il primo e il secondo quartile è più ampio dello


scarto tra il secondo e il terzo. Ciò significa che vi sono più casi nel
primo che nel secondo.

Graficamente risulta così.

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2. DECILI
Quando una distribuzione ordinata di valori è divisa in 10 parti
uguali, il valore corrispondente a ciascuna posizione è detta decile.

Il primo decile indica che 1/10 dei casi rientra al di sotto di esso,
il secondo decile indica che 2/10 dei casi rientrano al di sotto di esso e
così via. La numerosità di casi tra un decile e l’altro è sempre identica.

Si hanno nove valori di decili. Il decimo, rappresentando la


totalità, non è considerato.

Anche questo indice di posizione ci dà conto dell’andamento di


una certa grandezza relativa a un particolare fenomeno da analizzare.

Di solito il decile è utilizzato per ordinare e equi-distribuire i casi


in modo da effettuare valutazioni e prendere decisioni.

Prendiamo il caso del reddito.

In questo esempio non consideriamo la popolazione per fasce di


reddito, ma si ordinano i singoli redditi riferiti dalle persone (o dai
nuclei familiari). Questa serie ordinata di numeri la si divide in dieci
pari uguali. Ad ogni posizione del decile corrisponderà un valore di
reddito.

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Decile di reddito Soglia reddito


1 2.600
2 8.100
3 12.000
4 15.000
5 17.000
6 24.000
7 50.000
8 70.000
9 90.000

Perché questa divisione è utile? Poiché si possono prendere


decisioni, per esempio, di tipo politico.

Si può decidere, per esempio, di dare un contributo per le spese


scolastiche alle famiglie che hanno un reddito che non superi il quarto
decile. Si può stabilire di concedere un’esenzione da certe tasse
comunali quelli al di sotto del secondo decile. E così via.

La formula per calcolare i decili è la stessa incontrata prima.

(𝑁+1)∗𝑗
PosDj = 10

Utilizzando la stessa tabella di prima individuiamo ora il terzo e


il settimo decile.

P fr fre
unteggi eq. q. Cum.
18 2 2

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22 4 6
24 8 14
26 6 20
28 9 29
31 7 36
32 5 41
33 6 47
35 8 55
37 12 67
D3 ←
=38 15 82 PosD3
40 12 94
11
41 18 2
13
42 21 3
15
43 23 6
D7 17 ←
=44 20 6 PosD7
20
46 24 0
21
47 17 7
23
49 15 2
24
50 8 0

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(𝑁+1)∗3 (240+1)∗3
PosD3 = = = 72,3
10 10

(𝑁+1)∗7 (240+1)∗7
PosD7 = = = 168,7
10 10

Il terzo decile ha come valore 38 e il settimo ha come valore 44.

Volendo rappresentare graficamente la distribuzione di questi


dati evidenziando i decili, si può utilizzare il grafico a barre impilate
100%.

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Pag. 13 di 17
Universitas Mercatorum Indici di posizione

In questo caso riusciamo a leggere la numerosità per ciascun


valore e visualizzarne mediante i colori la quantità.

Corrispondentemente all’asse delle ordinate vediamo espresso il


decile corrispondente.

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Universitas Mercatorum Indici di posizione

3. PERCENTILI
I percentili, o centili, sono novantanove valori che dividono la
distribuzione in cento parti uguali.

Si applica una variazione opportuna della formula già vista


precedentemente.

(𝑁+1)∗𝑗
PosCj =
100

Si procede allo stesso modo per gli altri quantili già esaminati.

Si ordinano i valori in ordine crescente. Se si tratta di una


distribuzione di frequenza si calcolano le frequenze cumulate. Si calcola
la posizione percentilica e si vede a quale posizione corrisponde nella
scala. A quel punto si vede a quale valore corrisponde il percentile.

I diagrammi a scatola sono l’ideale per la raffigurazione di


particolari punti percentili.

Prendiamo in esame gli stessi valori della tabella già vista in


precedenza.

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Universitas Mercatorum Indici di posizione

Valore massimo 50

75° percentile 46

Mediana 42

25° percentile 36,5

Valore minimo 18

Si può apprezzare la misura del minimo e del massimo valore


della distribuzione.

Possiamo notare dove si situano il 25° percentile e il 75°


percentile corrispondenti al 1° e 3° quartile.

La mediana corrisponde al 2° quartile e al 50° percentile.

L’altezza della scatola corrisponde alla differenza


interquantilica tra il 1° e il 3° quartile.

Da ciò si può apprezzare graficamente ciò che numericamente


già si poteva comprendere. La scatola è posizionata più verso valori alti
della scala. Ciò starebbe ad indicare che i dipendenti dell’ente
percepiscono un buon grado di benessere lavorativo.

Tenendo conto che il valore medio è 39,61, poco sopra il 25°


percentile, possiamo dire che la maggior parte dei dipendenti
percepisce un buon grado di benessere.

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Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

Indici di dispersione o di variabilità


L’obiettivo della lezione è quello di fornire le adeguate
conoscenze per la comprensione e l’utilizzo degli indici di dispersione,
tra i quali spicca per il diffuso utilizzo e per importanza la deviazione
standard. Saranno anche spiegate la variazione campionaria e la
varianza campionaria.
Gli allievi e le allieve impareranno a capire il concetto di
deviazione standard, impareranno come calcolarlo e come utilizzarlo
per la comprensione dei testi scientifici, per l’utilizzo nelle loro indagini
psicologiche e per la futura pratica professionale.
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

1. VARIAZIONE CAMPIONARIA
Ciascuna serie di dati campionari con cui si ha a che fare si è
vista l’utilità di ottenere degli indici sintetici di concentrazione che
fossero riassuntivi dei dati stessi.

Tali indici di concentrazione riducono la complessità della


distribuzione considerata.

Ma proprio per questa riduzione della complessità, per la sintesi


centrale che ne scaturisce, si perde un’informazione sostanziale: la
variabilità.

Si considerino le seguenti serie di dati.

A B C D
3 2 1 1
3 3 1 1
3 3 2 1
3 3 2 1
3 3 4 1
3 3 4 1
3 4 7 15

Sono sicuramente tutte diverse tra loro. Eppure hanno


medesima somma (21) e medesima media (3).

Com’è possibile questo?

Proprio perché la media ci dà conto di una sintesi che esclude il


concetto di variabilità.

Ma di quanto variano le quattro serie esaminate?


Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

Serie Min Max Campo


di variazione
= (xmax –
xmin)
A 3 3 0
B 1 4 3
C 1 7 6
D 1 15 14

Abbiamo introdotto il calcolo del campo di variazione. Come si


evince dalla formula di calcolo, questo indice ci dice quanto è grande
l’oscillazione dei numeri della distribuzione confrontando il più piccolo
e il più grande.

Questa è un’informazione in più che ci indica una delle differenze


sostanziali tra le varie distribuzioni.

Considerando la sola somma e media risultavano tutte e quattro


identiche, ma così non è. Il campo di variazione ci dice che sono molto
diverse tra loro.

Però il campo di variazione ci dice solo la distanza tra il primo e


l’ultimo valore di una serie ordinata, ci dice solo quanto dista il numero
più piccolo dal più grande. Ma non ci dice cosa capita nel mezzo.

Per esaltare la differenza tra le distribuzioni aggiungiamo anche


due altri indici oltre la media: la mediana e la moda.

S M M C M Me M
erie in ax ampo di edia diana oda
variazio
ne
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

=
(xmax –
xmin)
A 3 3 0 3 3 3
B 1 4 3 3 3 3
C 1 7 6 3 2 1
D 1 1 14 3 1 1
5

Abbiamo qualche informazione in più, ma non tra la C e a D che


hanno medesima media e moda e una forte differenza nel campo di
variazione siamo sempre meno aiutati a capire la differenza che esiste
all’interno di ciascuna distribuzione e la differenza che esiste tra le
diverse distribuzioni.

Osservando le quattro serie appare evidente che la distribuzione


A ha una variabilità nulla, ma anche la B e la D hanno una variabilità
davvero esigua, nonostante la grande differenza del campo di
variazione che le distingue.

La serie C, a ben vedere, è quella i cui numeri hanno la massima


differenza tra loro.

Sarebbe però poco economico calcolare l’insieme di tutte le


singole variazioni tra tutti i numeri presenti nella distribuzione.

Si dovrebbero anche calcolare quanto variano tra loro le singole


variazioni.

Poi, dopo innumerevoli calcoli, ci ritroveremo però con numeri


grandissimi che non possiamo più gestire per la loro difficile
comprensione.
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

La mossa vincente è capire non quanta variabilità assoluta


esista tra i numeri della distribuzione, ma quanto si discostano da un
loro punto centrale: la media.
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

2. VARIANZA CAMPIONARIA
Osserviamo graficamente quanto visto prima numericamente.

Graficamente si riesce ad apprezzare maggiormente quanto le


distribuzioni differiscano al loro interno.

La media segnata in rosso scuro suggerisce la possibilità di tener


conto della distanza tra di essa e i singoli valori della distribuzione
come quantità atta a spiegare la variabilità.

Una prima idea è quindi quella di misurare gli scarti dei


punteggi dalla media.
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

Se ne potrebbe calcolare la media di questi scarti ma, come ben


si sa, la somma degli scarti della media dai punteggi è sempre nulla.

Per eliminare i numeri negativi che annullano il risultato si


possono sommare i valori assoluti, senza il segno.

Potremo esprimere ciò formalmente

∑ |𝑥𝑖 − 𝑥̅ |

Applicando questa formula, sommare il valore assoluto (senza


considerare il segno) degli scarti tra ciascun valore della distribuzione
e la media della distribuzione, otterremo questi risultati:

∑ |𝑥𝑖𝐴 − 𝑥̅ | = |3-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3| =
0

∑ |𝑥𝑖𝐵 − 𝑥̅ | = |2-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3|+|3-3|+|4-3| =
2

∑ |𝑥𝑖𝐶 − 𝑥̅ | = |1-3|+|1-3|+|2-3|+|2-3|+|2-3|+|2-3|+|7-3| =
12

∑ |𝑥𝑖𝐷 − 𝑥̅ | = |1-3|+|1-3|+|1-3|+|1-3|+|1-3|+|1-3|+|15-3| =
24

Anche questo non risolve il problema, poiché il valore della


somma risente della numerosità dei casi e dell’ampiezza del campo di
variazione.

Per eliminare il segno negativo un buon espediente è elevare al


quadrato ciascuna differenza. Di questa somma se ne può calcolare la
media. La media degli scarti al quadrato è chiamata varianza, e si
formalizza così

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
Var =
𝑁

Applichiamo questo metodo alle nostre serie


Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
VarA = =0
𝑁

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
VarB = = 0,29
𝑁

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
VarA = =4
𝑁

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
VarA = = 24
𝑁

Poiché questo indice tratta di misure al quadrato diviene


l’espressione al quadrato dell’unità di misura utilizzato.

Detto in altri termini, si descriverebbe con una superfice lo


scarto medio tra i punteggi e la media campionaria.

Trasportiamo il ragionamento su un grafico.

L’asse graduato di sinistra è per i valori delle quattro serie, la


scala di destra per i valori della varianza. Questa scelta è stata fatta
per rendere comparabile le due scale di grandezze troppo diverse.

Appare graficamente evidente che la superfice rossa


(trasparente) aumenta considerevolmente all’aumentare della
variabilità dei numeri che compongono la serie.
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

Un esempio interessante di utilizzo della varianza è nel campo


degli investimenti finanziari.

Due parametri degli investimenti finanziari sono il rendimento


atteso e il rischio ad esso associato. Maggiore è la varianza, maggiore è
la probabilità di allontanarsi dal rendimento atteso e maggiore è il
rischio dell’investimento.

Ciò porta a concludere che, per esempio, un certo titolo azionario


è tanto più rischioso quanto maggiore è la variabilità del suo
rendimento attorno al valore atteso. Questo spiega una regola
fondamentale del mercato finanziario: i titoli che offrono rendimenti
molto elevati sono anche quelli con un livello di rischio maggiore1.

Per esempio: i titoli emessi da società di maggiori dimensioni


operanti in settori relativamente maturi e stabili cono caratterizzati da
rendimento medi o attesi più bassi, ma anche da un minor grado di
rischio rispetto ai titoli emessi da società operanti in settori innovativi,
caratterizzati da elevati potenziali di crescita ma allo stesso tempo da
rischio più elevato.

1
https://www.money.it/Valutazione-del-rendimento-e-del
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

3. LA DEVIAZIONE STANDARD
Questo indice è per eccellenza il più usato e con il maggior
significato intrinseco.

Questo indice (abbreviato come DS in italiano, SD in inglese) è


l’indice di variabilità sempre associato alla media in tutte le ricerche
scientifiche, sia quando si descrive il campione sia quando si descrive
l’andamento delle dimensioni psicologiche prese in esame.

È sempre buona norma presentare la deviazione standard


quando si presentano i report di dati campionari poiché danno conto
dello spettro di variabilità delle grandezze osservate.

In breve, la deviazione standard si ottiene estraendo la radice


quadrata della varianza.

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
Deviazione standard = √ 𝑁

Questa formulazione ha il difetto di essere macchinosa dal punto


di vista del calcolo.

Applicando la formula alle nostre serie otteniamo

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
DSA = √ =0
𝑁

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
DSB = √ = 0,53
𝑁

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
DSC = √ =2
𝑁

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
DSD = √ = 4,90
𝑁

Questi indici sono certamente più maneggevoli e comprensibili.

Vediamo analiticamente il caso della serie C.

La serie è composta da questi numeri


Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

1 1 2 2 4 4 7

La media calcolata è 3

Sommiamo gli scarti al quadrato.

(1-3)2 + (1-3)2 + (2-3)2 + (2-3)2 + (4-3)2 + (4-3)2 + (7-3)2 =

= -22 + -22 + -12 + -12 + 12 + 12+ 42 =

= 4 + 4 + 1 + 1+ 1 + 1 + 16 = 28

Ne calcoliamo la media

28/7 = 4

Di questo risultato, corrispondente alla varianza, estraiamo la


radice quadrata

√4 = 2

Quindi la deviazione standard della serie C è pari a 2.

Confrontando graficamente questi risultati otteniamo il


seguente grafico.

Le quattro serie, di medesima media, hanno differenti deviazioni


standard che esprimono la variabilità di ciascuna serie rispetto al loro
Universitas Mercatorum Indici di dispersione o di variabilità

valore centrale, ovvero la media. Ciascuna deviazione standard ci dice


quanto mediamente i valori della serie si discostano dalla media.

I software statistici e i fogli elettronici possono calcolare


automaticamente questi valori. Fare a mano il calcolo può essere
agevole solo quando si hanno pochi numeri a disposizione come nel caso
delle serie di questa lezione che si compongono di soli 7 casi.

Ma c’è un modo ancora più rapido per calcolare la media


campionaria. Sfruttando le proprietà matematiche delle operazioni
implicate possiamo applicare il seguente calcolo.

Calcoliamo la media delle somme dei quadrati di ciascun numero


∑ 𝑥𝑖 2
della serie = (12 + 22 + 22 + 42 + 42 + 72)/7= (1 + 4 + 4 + 16 + 16 +
𝑁

49)/7 = 91/7 = 13

A questa quantità sottraiamo la media al quadrato

∑ 𝑥𝑖 2
- 𝑥̅ 2 = 13 – 32 = 13 – 9 = 4
𝑁

Abbiamo ottenuto nuovamente la varianza. Estraiamone la


radice e otteniamo la deviazione standard.

∑ 𝑥𝑖 2
√4 = 2 In formula: √ 𝑁
− 𝑥̅ 2

Si tratta sempre della radice quadrata della varianza, ma


una varianza espressa diversamente rispetto al concetto statistico. Qui
la varianza è espressa matematicamente rispetto a dei quadrati, quindi
a delle estensioni, a delle superfici, a dei piani, all’area di figure
geometriche. In questa accezione la varianza sarebbe la differenza tra
l’area media dei valori della serie e l’area della media di quella serie.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

L’applicazione degli indici e dei grafici


La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna
allieva le necessarie conoscenze degli strumenti applicativi degli indici
di concentrazione e di dispersione.
Saranno presi in esame alcuni indici di variabilità per
distribuzioni quantitative e qualitative.
Verranno spiegati e illustrati i calcoli per ottenere il Coefficiente
di variazione percentuale, il Rapporto di variazione, l’Indice di
diversità e l’Indice di variazione qualitativa.
Sarà illustrato come, attraverso grafici e indici, possono essere
commentati i risultati dell’analisi dei dati.
Quando si raccolgono numerosi dati per scopi di ricerca, per
effettuare indagini sulla popolazione o per comprendere un fenomeno
locale, si ha sempre bisogno che la statistica descrittiva ci aiuti a
sintetizzare le informazioni e a renderle fruibili sia per i lettori
informati che per il pubblico attraverso l’uso di indici psicometrici
adeguati a seconda dei dati raccolti e di soluzioni grafiche esplicative.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

1. LA VARIABILITÀ QUANTITATIVA
ADIMENSIONALE
Consideriamo un indice di variabilità quantitativa
adimensionale.

Quando si utilizza la media aritmetica questa ha la stessa unità


di misura dei dati da cui proviene e che riassume.

La deviazione standard ci indica quanto in media varia il


discostarsi dei valori dei punteggi dalla media calcolata, ci dice come si
disperdono, ma ce lo dice sempre tenendo conto dell’unità di misura dei
dati da cui l’indice proviene.

Risulterebbe interessante ottenere un indice che ci dica l’ordine


di variabilità dei dati ma slegato dall’unità di misura originale e che
più intuitivamente ci renda conto di come si esprimono
complessivamente i dati raccolti.

A tal proposito possiamo utilizzare il coefficiente di variazione


percentuale.

La formula per il calcolo è la seguente.

𝐷𝑒𝑣.𝑆𝑡.
Coefficiente di variazione percentuale = C.V.% = 100
𝑥̅

Si tratta quindi di ottenere il rapporto tra la deviazione standard


di una distribuzione di numeri e la sua media, il tutto rapportato in
misura percentuale.

Vediamo un esempio.

Consideriamo queste due serie.

serie 1 2 3 4 6 7 2 3 5 7 1
serie 2 6 4 3 3 4 3 3 5 5 4

Calcoliamo gli indici principali insieme al coefficiente di


variazione percentuale.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

somma media dev st rap C.V.


Serie 1 40,00 4,00 2,05 51%
Serie 2 40,00 4,00 1,00 25%

Dall’indice di C.V.% appare subito evidente la maggiore


variabilità della seconda serie.

Visualizzato su grafico le due serie risultano così.

Se confrontiamo su di un grafico gli indici principali osserviamo


quanto segue.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

Finché si hanno medie simili il confronto può essere fatto


semplicemente.

Osserviamo un caso diverso.

serie 1 2 1 4 6 9 2 3 5 4 1
serie 2 16 18 15 3 2 24 28 33 10 2

In questo caso abbiamo differenti indici di concentrazione e


dispersione, come riportato in tabella.

somma media dev st rap C.V.


Serie 1 37,00 3,70 2,37 64%
Serie 2 151,00 15,10 10,44 69%

La distribuzione delle due serie è così rappresentabile nel


grafico.

Il confronto tra gli indici possiamo rappresentarlo nel modo


seguente.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

Le due serie, per via della forte differenza della media e della
deviazione standard potrebbero suggerirci certamente la loro profonda
diversità, ma al loro interno, ciascuna serie, varia in un modo non molto
diverso dall’altra.

Da questo comprendiamo che il C.V.% è molto utile quando si


vogliono confrontare distribuzioni le cui modalità sono espresse in
unità di misure diverse o le medie e le deviazioni standard sono molto
diverse tra loro.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

2. INDICI DI VARIABILITÀ QUALITATIVA


Consideriamo ora gli indici di variabilità quando si ha a che fare
non più con variabili quantitative ma con variabili qualitative che
considerano categorie e scale nominali.

Rapporto di variazione

Fornisce un valore circa la variabilità delle osservazioni di una


distribuzione qualitativa.

Il rapporto di variazione rappresenta quel valore che definisce la


proporzionalità dei casi che non cadono nella categoria della moda della
distribuzione stessa.

𝑓moda
Rapporto di variazione = 1 – 𝑁

Questo rapporto chiama in causa la categoria modale di una data


distribuzione.

Vediamo un caso applicativo. I valori sono rapportati a una


numerosità 100 per intuire meglio i rapporti (come se fossero espressi
in percentuale).

serie1 serie2 serie3 serie4


categoria A 100 30 50 60
categoria B 0 40 25 30
categoria C 0 30 25 10
Rapporto di variazione 0 0,6 0,5 0,4

È evidente il comportamento di questo indice.

Nella serie 1 esiste preferenza solo per una categoria, dovendo


dare conto di quanta variazione esiste nella distribuzione il suo valore
è quindi 0, cioè zero variazione, ovvero un'unica preferenza.

Nella serie 2 esiste una moda per la categoria B che riguarda il


40% dei casi e l’altro 60 % nei restanti casi per le restanti categorie, e
infatti l’indice è 0,6.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

Nella serie 3 la frequenza modale è 50, la proporzionalità dei casi


non ricadenti nella categoria modale è quindi 0,5.

Nella serie 4 la frequenza modale è 60, la proporzionalità dei


casi non ricadenti nella categoria modale è quindi 0,4.

Indice di diversità

Questo indice si applica alle distribuzioni di frequenza delle


variabili qualitative.

L’indice di diversità rappresenta quel valore che definisce la


proporzionalità dei casi che cadono in ciascuna categoria.

𝑓
Indice di diversità = 1 – ∑𝑘𝑖=1( 𝑁𝑘)2

All’unità è sottratta una quantità che è la sommatoria dei


rapporti, elevati al quadrato, tra la frequenza per ciascuna categoria e
il numero totale dei casi.

serie1 serie2 serie3 serie4 serie5 serie6 serie7 serie8


categoria A 100 80 20 0 50 50 52 70
categoria B 0 5 20 5 0 0 0 10
categoria C 0 5 20 25 0 0 16 10
categoria D 0 5 20 30 25 0 16 5
categoria E 0 5 20 40 25 50 16 5
Indice di diversità 0,00 0,35 0,80 0,69 0,63 0,50 0,65 0,49

Queste varie serie mostrano come si comporta l’indice di


diversità a seconda della distribuzione di frequenza. Si è voluto tenere
uguali i totali (pari a 100) per ragioni di confronto.

L’indice tende a zero quando c’è un’assenza di diversità di


frequenza tra le categorie. Ma qui le categorie sono costanti.

Anche modificando la quantità di categorie si assiste a una


variazione che ci aiuta a comprendere meglio il comportamento di
questo indice.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

serieA serieB serieC serieD serieE serieF serieG


categoria 1 20 20 20 20 20 20 20
categoria 2 20 20 20 20 20 20 20
categoria 3 20 20 20 20 20 20 20
categoria 4 20 20 20 20 20 20
categoria 5 20 20 20 20 20
categoria 6 20 20 20 20
categoria 7 20 20 20
categoria 8 20 20
categoria 9 20
Indice di diversità 0,67 0,75 0,80 0,83 0,86 0,88 0,89

È evidente come, a parità di diversità interna (in questo caso si


tratta di omogeneità), l’indice risente del numero di categorie.

Indice di variazione qualitativa

Questo è il terzo indice di variabilità che riguarda i casi di


variabili qualitative.

L’indice di variazione qualitativa rappresenta quel valore che


definisce l’omogeneità dei casi che cadono nelle diverse categorie.

Questo indice è calcolato a partire dall’indice di diversità e viene


messo in rapporto al numero delle categorie.

𝑓𝑘 2
𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑡à 1 – ∑𝑘
𝑖=1( )
Indice di variazione qualitativa = 1 = 1
𝑁
1− 1−
𝑘 𝑘

È un indice che varia da 0 a 1.

Tende a 1 quando le frequenze delle categorie considerate sono


uguali.

Tende a 0 quando le frequenze delle categorie sono molto diverse


tra loro.

Vediamo qualche esempio in tabella.


Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

serie1 serie2 serie3 serie4 serie5


categoria
categoria A 20 0 1 0 20
A
categoria
categoria B 20 10 2 10 20
B
categoria
categoria C 20 100 3 100 20
C
categoria
categoria D 20 1.000 4 1.000 20
D
categoria
categoria E 20 10.000 5 10.000 20
E
categoria
1.000.000 20
F
categoria
10.000.000 20
G
categoria
100.000.000 20
H
categoria I 1.000.000.000 20
INDICE DI
1 0,22 0,94 0,20 1
VARIAZIONE QUALITATIVA

È evidente come maggiore è l’eterogeneità delle frequenze, più


l’indice tende allo zero, influenzato anche dal numero di categorie, più
sono e maggiormente si tende verso lo zero in caso di massima
eterogeneità.

Si può anche notare che, indipendentemente dal numero di


categorie, quando esse sono identiche l’indice è pari a 1.

Tende a 1, come nel caso della serie 3, quando vi è una minima


differenza di frequenza tra le categorie considerate.
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

3. APPLICAZIONI
In questa sezione vediamo come utilizzare gli indici di cui si è
parlato.

Una classe di studenti è stata invitata a esprimere il proprio


giudizio sulla didattica dei docenti.

I risultati sono esposti in tabella.

Docent Docent Docent Docent


e1 e2 e3 e4
M DS M DS M DS M DS
1. Puntualità del docente 9,5 0,7 6,3 2,8 8,6 4,4 6,1 0,7
2. Coerenza tra lezione erogata e
8,1 1,7 7,5 2,4 8,2 2,3 5,4 0,8
programma previsto
3. Grado di preparazione del docente 7,8 2,2 6,8 4,2 8,9 3,7 5,8 0,9
4. Chiarezza di esposizione 8,2 0,9 6,7 3,8 9,1 3,1 6,3 1,0
5. Capacità di coinvolgere la classe 7,1 3,2 6,1 3,9 9,3 2,2 6,0 0,9

Per ciascuno dei 4 docenti la classe si è espressa su 5 criteri di


valutazione con una scala da 1 (= pessimo) a 10 (= eccellente).

Come possiamo interpretare questi punteggi? Quale potrebbe


essere il docente migliore e quello peggiore?

Per prima cosa vediamo i valori delle medie dei punteggi.

Dai risultati esposti in tabella i docenti 1 e 3 sono quelli che


hanno riportato i valori più alti praticamente su tutti i parametri di
giudizio, mentre i docenti 2 e 4 registrano gli indici peggiori
specialmente con il docente 4.

Può bastare questa valutazione?

No, poiché dovrebbero essere trattati uno ad uno i parametri


confrontandoli tra i docenti in modo da ottenere un giudizio
comparativo per ciascun parametro. In questo caso sul punto 1,
puntualità, il miglior punteggio è del docente 1 (9,5), del punto 2,
coerenza, il miglior punteggio è del docente 3 (8,2), sul punto 3,
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

preparazione, il miglior punteggio è del docente 3, sul 4, chiarezza, il


miglior punteggio è del docente 3 (9,1) e, infine, sul punto 5,
coinvolgimento, il miglior punteggio è ancora del docente 3 (9,3).

La supremazia del docente 3 sembrerebbe indiscussa. Ma cosa


cambia rispetto a ciascun indice? La deviazione standard.

Su una scala da 1 a 10 il minimo della variabilità può essere


intorno all’unità. Valori molto alti di variabilità tendono intorno e oltre
la metà del valore massimo della scala.

I valori della deviazione standard del docente 1 sono più bassi


del docente 3. Poiché la deviazione standard indica la variabilità, cioè
a punteggi bassi bassa variabilità e a punteggi alti alta variabilità, il
suo significato reciproco indica il grado di accordo, il grado di consenso,
intorno al punteggio medio.

Quindi vi è un alto grado di accordo sui punteggi espressi sul


docente 1, ma non sono tutti d’accordo sui valori alti posseduti dal
docente 3. Poiché comunque la media è alta, ed essa risente degli
outlier, e la loro presenza è dimostrata dall’alto valore della DS, si
deduce che c’è una parte della classe che apprezza il docente 3 e un’altra
no, o perlomeno non come l’altra.

Il dato sul criterio 5 è rivelatore. Vi è minor consenso sul


punteggio medio del docente 1 rispetto al 3. Questo risultato suggerisce
quanto già osservato, e cioè che una parte della classe si sente coinvolta
e soddisfatta e ha espresso punteggi positivi, l’altra parte non si sente
coinvolta e soddisfatta e ha espresso punteggi meno positivi.

Sul docente 3 c’è poi una cosa non chiara e qua pare che la classe
nel giudicare sia andata a simpatia. Non c’è un alto grado di accordo
sulla puntualità. Hanno tutti lo stesso docente, ma per alcuni è
puntuale e per altri no. Eppure la puntualità dovrebbe essere un dato
oggettivo. Come si diceva, è probabile che una parte della classe, che si
Universitas Mercatorum Applicazione degli indici e dei
grafici

sente esclusa e non soddisfatta abbia espresso punteggi negativi su


questo parametro poiché – forse – è stata meno tollerante.

Il docente 4 è quello che riceve punteggi bassi e sono tutti


d’accordo. È il docente con la peggiore valutazione.

Il docente 2 pare non sia un gran ché ma su questo non c’è molto
accordo. Diversi si trovano bene con lui/lei ma altri no e esprimono un
giudizio più severo.

Qui si è trattato di un esempio fittizio.

Ma dà l’idea di quanto si possa arricchire la comprensione del


fenomeno utilizzando questi indici in modo critico e puntuale.

BIBLIOGRAFIA
 Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del
comportamento. Milano: Apogeo Education. [Cap.2]

 Balsamo, M. (2017). Elementi di Psicometria. Milano: McGraw‐Hill


Education. [Cap. 3]
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

La distribuzione normale

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna


allieva le conoscenze relative al modo in cui sono studiati e formalizzati
gli eventi e i fenomeni oggetto dello studio della psicometria.
Gli studenti e le studentesse avranno modo di comprendere qual
è la formalizzazione sul piano cartesiano della legge generale che lega
in modo teorico grandezze soggettive e costanti naturali.
In particolare, saranno esaminate le caratteristiche della curva
di Gauss nella sua forma caratteristica a campana e quali ricadute ha
nel comprendere i fenomeni psicologici.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

1. LA CAMPANA DI GAUSS
In questa lezione si parla di qualcosa che fu scoperto nel 1733
dal francese A. De Moivre e che il fisico matematico K. F. Gauss riprese
e formalizzò.

Si tratta della curva, o funzione, che prende proprio il nome di


Gauss e viene infatti chiamata curva di Gauss, curva gaussiana o
campana di Gauss a motivo della sua particolare forma a campana così
come si vede nel disegno.

Tale curva è chiamata anche distribuzione normale o teorica.

Teorica e normale sono aggettivi che identificano il particolare


comportamento di questa curva del piano ortogonale.

Si sa che ogni punto del piano ha come coordinate due punti


corrispondenti al valore delle ascisse e delle ordinate.

Quando si hanno più punti sul piano che descrivono una curva,
quale sia la forma, si riesce a ricavare attraverso complesse e rigorose
procedure matematiche l’espressione della funzione che la descrive.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

Osservando diversi fenomeni naturali e come questi si ripetono,


quasi ciclicamente, in tutta la popolazione mondiale si assiste al
medesimo andamento formalizzato sul piano cartesiano.

Per esempio, si consideri l’altezza delle persone di una certa età;


consideriamo un’età fissa per ridurre la variabilità dovuta al periodo
della crescita in cui questa cambia.

Cosa succede se misurassimo l’altezza di tutte le persone del


pianeta terra? Come si distribuirebbe la nostra variabile?

Assumerebbe la forma della campana di Gauss, ai bordi, agli


estremi, avremo i casi rari, quelli meno probabili, e al centro i casi più
diffusi o semplicemente statisticamente più ricorrenti.

Tutti questi valori tendono a concentrarsi verso la media, nella


parte più ampia della campana.

Qual è la funzione matematica che descrive la curva a campana?

Per quanto riguarda la x si intendono valori ricadenti nel campo


dei numeri reali (ℝ) da -∞ a +∞.

La lettera greca μ sta a indicare il valore medio della variabile


della popolazione.

La lettera greca sigma minuscola (σ) indica la deviazione


standard, quando elevata al quadrato indica la varianza.

Questa formula contiene due costanti presenti in natura.

Troviamo presente il pi greco π ovvero il valore del rapporto tra


la circonferenza e il suo diametro.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

Può sembrare curioso, forse lo è davvero, ma quando si osservano


in natura fenomeni che hanno a che vedere con andamenti ciclici,
regolari, che contengono una qualche forma lineare curva, si ripresenta
questa costante che esprime il rapporto tra ciò che lineare non è, curvo
appunto (circonferenza), e ciò che è lineare (diametro).

Troviamo anche il numero di Nepero, formalizzato con una e


minuscola, che è una costante insita in molti fenomeni naturali. Uno
dei suoi noti utilizzi è quello che ne fa Eulero nella sua famosa formula

𝑒 𝑖𝜋 + 1 = 0

È stato dimostrato che molte delle leggi fisiche, della matematica


e alcune anche della statistica – come in questo caso della campana di
Gauss – includono relazioni descritte matematicamente da questa
costante naturale.

Perciò, unendo opportunamente delle costanti naturali, e e π,


alle due grandezze caratteristiche di qualunque distribuzione, media e
deviazione standard, si ottiene l’andamento dei valori che la variabile
assume nel descrivere il fenomeno esaminato.

La particolare forma che assumerà la campana, più slanciata o


più tarchiata, sarà data dall’entità di questi indici.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

2. CARATTERISTICHE DELLA CAMPANA DI GAUSS


Consideriamo adesso quali caratteristiche e proprietà possiede
la curva normale.

Stiamo considerando le caratteristiche e le proprietà dal punto


di vista teorico, abbinando dei commenti al caso calcolato
matematicamente nell’applicazione della funzione della campana di
Gauss.

Nella realtà le curve di distribuzione non assumeranno


perfettamente quella forma, ma portando i casi a numeri elevatissimi,
al limite sino all’intera popolazione, si ha un’approssimazione della
curva campionaria alla curva teorica.

Una prima considerazione, sufficientemente ovvia, è che tutti i


casi possibili risiedono al di sotto della curva, sia quelli più frequenti
situati al centro che quelli eccezionali collocati agli estremi.

Gli estremi sono in realtà degli asintoti. Sono appunto i casi


eccezionali, quelli considerati più unici che rari. Si tratta di casi
possibili ma non frequenti o, in linguaggio quotidiano, casi improbabili.

Al centro ci stanno i casi comuni, quelli statisticamente più


frequenti.

Però è indubbio che tutti i casi possibili rientrano nella campana.

Un’altra caratteristica, a ben vedere, è che la figura assunta


dalla curva normale di distribuzione è simmetrica. Quindi abbiamo il
50% dei casi a destra e il 50% dei rimanenti casi a sinistra.

Questa caratteristica è propria della curva normale teorica, nella


realtà e nei casi campionari non si avrà questa simmetria perfetta ma
una simmetria approssimata.

Questo accade perché i fenomeni soggettivi, individuali, di


gruppo e collettivi non sono e, fortunatamente, non possono essere
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

calcolati matematicamente ma previsti con una certa probabilità,


valutati rispetto ad una tendenza ma non rispetto ad una funzione
assoluta.

La normalità di cui si parla in relazione alla curva di Gauss è


solo in aderenza a un risultato della geometria analitica,
un’espressione teorica e modellizzata di un fenomeno.

Ciò significa che la realtà, discostandosi dalla curva teorica non


va considerata anormale solo perché diversa dalla “normale” di Gauss.

La norma per cui dicesi curva normale è solo una funzione


matematica che ha lo scopo di semplificare la realtà per comprenderla
meglio.

La formula vista prima, nella sua applicazione geometrica rivela


altre interessanti caratteristiche legate proprio ai suoi parametri.

Al di là delle costanti del numero di Nepero e del pi greco la


campana di Gauss è definita dalla media e dalla deviazione standard.

La curva normale, quindi, mette insieme gli indici prìncipi delle


distribuzioni quantitative, quello di concentrazione (la media) e quello
di dispersione (la deviazione standard).

Per effetto della formula già vista,

quando il valore di x corrisponde alla media (x = μ), la loro


differenza rende nullo l’esponente del numero di Nepero, portando
all’unità il valore del moltiplicando e per cui

1
𝑓 (𝑥) =
𝜎 √2𝜋

Il risultato finale lo si può osservare in figura.


Universitas Mercatorum La distribuzione normale

Come si può vedere in figura, la maggior parte dei casi rientra


tra i valori compresi tra una deviazione standard in più e in meno
rispetto al valore della media.

L’eleganza della curva è data da questa considerazione analitica.

Punti di flesso

Il valore dei punti di flesso, quando la curva da concava diviene


convessa, coincide con i valori della media più o meno la deviazione
standard.

La potenza della sintesi di questi due indici è perciò raffigurata


e resa evidente nella distribuzione normale.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

Vediamo dal punto di vista percentuale come i casi rientrano al


di sotto della curva e come a questi corrispondono i valori degli indici
parametrici della curva stessa.

All’intorno di una deviazione standard in più e in meno del


valore medio si hanno il 68,2 dei casi, oltre i due terzi.

Tra una e due deviazioni standard si assesta per ciascun lato


della curva il 13,6% dei casi. Quindi il 95,4% rientra tra due deviazioni
standard in più e meno della media.

Oltre il 99% dei casi rientra fra tre deviazioni standard in più e
meno rispetto alla media.

Oltre tre deviazioni standard si ha solo lo 0,1% per lato.


Universitas Mercatorum La distribuzione normale

3. LE FORME DELLA CAMPANA DI GAUSS


Abbiamo considerato che la campana di gauss normale ha
determinate caratteristiche e possiede peculiari proprietà.

Al di sotto della curva risiedono il 100% dei casi.

La media rappresenta il punto più alto.

Ai punti di flesso corrispondono i valori μ+σ e μ-σ.

Ha due asintoti nelle code per x uguale + ∞ o -∞.

Vediamo confrontando campane diverse come si configurano a


seconda dei parametri considerati.

Consideriamo questa figura.

Si tratta di normali gaussiane con medie differenti e uguali


deviazioni standard.

Nello studio dei fenomeni psicosociali sono interessanti le


intersezioni e le sovrapposizioni.

Ciò che ci indica questa figura è la traslazione della campana


sull’asse delle ascisse al variare del valore della media.

Osserviamo adesso il caso in cui la media resta identica ma varia


la deviazione standard.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

Si vede come al crescere della valore della deviazione standard


la curva subisce un certo appiattimento, mentre minore è il valore della
deviazione standard più stretta e alta sarà la curva.

I casi visti finora, per curve simmetriche, hanno una


particolarità in più. In queste curve coincide con la media il valore della
mediana e della moda.

Quando la curva si discosta dalla normale, non è più simmetrica,


allora la mediana e la moda si spostano dal valore della media.

Vediamo questo nella seguente immagine.

Nella figure di sopra si vede come al variare della simmetria


varia la forma, che non diviene più una campana ma assume altre
forme che approssimano una curva a campana ma non la
corrispondono.
Universitas Mercatorum La distribuzione normale

Rispetto alla forma, slanciata o più appiattita, la normale


assume aggettivi diversi.

Un minor valore di deviazione standard si è visto che allunga e


snellisce la curva, in questo caso si parla di una curva leptocurtica.

Un maggior valore della deviazione standard abbassa e ingrossa


la curva, in questo caso si parla di una curva platicurtica.

Negli altri casi si parla di una curva mesocurtica.


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

La distribuzione grafica dei valori

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna


allieva la comprensione nel dettaglio delle varie forme che la curva
normale può assumere e come riconoscerla già dai vari indici
parametrici.
Sarà spiegato come i valori degli indici di media e simmetria
regolano la distribuzione dei casi all’interno dell’intero campione
studiato.
Verrà compreso come individuare e intendere le varie forme
della campana gaussiana e quali sono gli indici e i valori che devono
essere accertati per collocare la curva di distribuzione in una curva
normale o meno.
Gli esempi pratici completeranno la comprensione.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

1. UTILIZZO E LETTURA DELLA CURVA DI


DISTRIBUZIONE
Nella rappresentazione grafica dei punteggi si utilizza il piano
cartesiano ortogonale.

Per quanto riguarda le distribuzioni di frequenza, l’asse


orizzontale delle ascisse rappresenta i punteggi e l’asse verticale delle
ordinate riferisce la frequenza (quante volte è presente) dei punteggi
stessi.

La distribuzione di frequenza dà luogo a un grafico che si


sostanzia in una curva; nelle distribuzioni teoriche la forma sarà quella
di una campana, nelle distribuzioni reali, o empiriche, si approssimerà
a una curva gaussiana.

Al di sotto della curva sono inclusi e osserviamo tutti i casi in


esame. Tutta la popolazione è espressa nel grafico.

Nell’intorno della parte “alta” della curva troviamo la maggior


parte dei casi, quelli ricompresi tra una deviazione standard in più e in
meno rispetto alla media.

Agli estremi della curva troviamo i casi meno frequenti.

Lo studio delle code è interessante specialmente in relazione alle


valutazioni e ai giudizi che si intende ottenere.

Riportiamo il grafico della normale.


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

Supponiamo di stare misurando la performance di diversi atleti.

Nel caso dei 100 metri piani la misura è data dalla velocità.

Misuriamo questa prestazione e disponiamo i risultati sul


grafico.

Ciò che otterremo si approssimerà ad una curva gaussiana.

Al centro avremo la registrazione della performance più


frequente degli atleti e ai bordi quelle performance meno frequenti.

Sarà vero che la virtù sta nel mezzo?


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

A sinistra della curva avremo quelli che hanno una performance


denominabile insufficiente se non addirittura pessima.

A destra della curva avremo i migliori, quelli che si distinguono


dalla massa, coloro che eccellono nella gara e che quindi sono i più
idonei a partecipare a tornei di un certo livello.

Questi stessi eccellenti però, raggruppati insieme ad altri


eccellenti atleti di altri luoghi potrebbero ricadere all’interno della
parte alta della curva, cioè farebbero parte della categoria dei normali
atleti di un certo livello, ma non certo in quello dei campioni.

Dovremo andare ad osservare a destra della curva per pescare i


campioni o futuri tali.

Supponiamo ora di voler misurare il livello di


passività/aggressività comunicativa di un certo gruppo di persone.

Il test in questione è un test che è in grado di misurare


l’assertività comunicativa delle persone.

Un punteggio basso del test indicherebbe uno stile passivo,


punteggi alti uno stile aggressivo.

Coerentemente col detto secondo cui la virtù sta nel mezzo


avremo proprio nell’intorno della media coloro che attuano uno stile
comunicativo assertivo, quindi sono capaci di affermare, trasmettere
informazioni e relazionarsi con fermezza e convinzione senza ricadere
in un tarpante passività né in una antipatica arroganza.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

Se per esempio, siamo stati incaricati di scegliere da questo


campione coloro che sono più adatti a svolgere il ruolo di mediatori li
prenderemo certamente dal centro.

Se stessimo scegliendo dei venditori però, forse li vorremo un po’


più che assertivi, più determinati, più decisi, quindi andremo a
scegliere quelli che stanno tra una e due deviazioni standard oltre la
media, in modo da intercettare quelli con una forte assertività ma che
non sfocia nell’aggressività e nell’arroganza.

E se volessimo scegliere addetti al customer service? Forse li


sceglieremo in modo opposto ai venditori, tra una e due deviazioni
standard meno della media.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

In questo caso avremo a che fare con persone caratterizzate da


uno stile certamente assertivo ma più contenuto, più dolce, più
moderato.

A seconda quindi degli obiettivi di giudizio cambiano le modalità


di lettura e interpretazione dei punteggi nella curva. Per esempio, e si
tratta di individuare a chi fornire un aiuto economico si potrebbero
prendere, coloro che rientrano oltre tre deviazioni standard meno della
media della distribuzione del reddito.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

2. CASI DI DISTRIBUZIONE
Consideriamo il caso della somministrazione di un test di abilità
matematica e confrontiamo i punteggi di tre diversi gruppi che hanno
conseguito però medesima media (5) dei punteggi in una scala da 1 a 9,
dove 1 rappresenta il punteggio peggiore e 9 quello migliore.

Vediamo i risultati del gruppo A.

L’istogramma considera la frequenza di ciascun punteggio


proporzionale all’altezza dei rettangoli.

È stata inserita anche la curva di gauss di tendenza dei punteggi.


Si noti che la forma della curotsi è leptocurtica, alta e stretta. Questo
gruppo ha una DS di 1,5.

Ciò significa che la maggior parte ha ottenuto un punteggio


centrale.

Si noti questo altro gruppo, il B.


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

In questo caso la simmetrica curva è platicurtica, e ha una DS di


2,2.

La media è sempre di 5. Ma è evidente che il gruppo è molto


differente da quello precedente. Vi è la tendenza a
un’omogeneizzazione delle frequenze per ciascun punteggio.

Vediamo un esempio di curva mesocurtica col gruppo C.


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

Questa simmetrica curva ha la maggior parte dei casi al centro


e quelli meno frequenti agli estremi.

Approssima una normale ma non lo è, poiché la normale è teorica


e ha una forma molto più definita di questa che è solo un istogramma.

Queste curve appena viste sono tutte simmetriche, ricalcano


quindi una delle proprietà delle curve normali, ma si sa che la realtà è
molto più complessa e varia rispetto alla curva teorica.

Nella realtà empirica non si ha mai una perfezione simmetrica


come in questi casi, però maggiore è il numero dei soggetti maggiore è
la tendenza della curva ad avvicinarsi a quella teorica.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

3. EFFETTO PAVIMENTO E TETTO


Nella raccolta empirica dei dati ci si trova a realtà molto
differenti da quella teorica.

I concetti base sin qui considerati ci consentono di leggere e


capire il funzionamento delle distribuzioni dei dati.

Vediamo qualche caso empirico. Consideriamo il caso A.

Questo è un’interessante caso di curva bimodale.

I risultati del test (quale che sia), indicano due punte. La


normale si vede che sarebbe dovuta essere molto diversa.

In questa distribuzione è come se mancassero i casi centrali e si


concentrassero tutti sui casi intermedi.

Non si può dire che è simmetrica né è agevole dare un nome alla


forma della curtosi.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

Per fare ciò dobbiamo calcolare (tramite software) due indici,


curtosi e simmetria (o asimmetria a seconda del software che si
utilizza).

In questo caso abbiamo:

curtosi = -1,11

simmetria = -0,26

Come dobbiamo intendere questi punteggi?

Per convenzione si considerano valori accettabili di simmetria e


curtosi quelli rientranti tra 1 e -1.

Oltre tali valori abbiamo curve che violano la curtosi e la


simmetria al punto da non considerare più un’approssimazione alla
normale della curva ottenuta. Si tratterebbe di una curva non normale,
certo empirica, certo descrittiva, ma non dalle caratteristiche della
campana di Gauss.

Nel caso considerato abbiamo quindi un’accettabile simmetria,


negativa, cioè spostata verso destra e una curtosi critica.

Vediamo un altro caso, il caso B.


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

Qui abbiamo una simmetria non corretta (-1,043) e una curtosi


accettabile (0,82). Vediamo come i punteggi si spostano un po’ troppo
verso l’alto. Che succede se la tendenza diviene generale? Vediamo il
caso C.
Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

In questo caso abbiamo

Curtosi = 1,55

Simmetria = 1,54

La curva non è simmetrica e ha una frequenza molto alta nei


punteggi bassi, il valore è positivo, ciò indica uno spostamento a
sinistra.

Questo effetto viene detto a pavimento, poiché la maggior parte


dei punteggi si colloca nella parte bassa della scala.

Il caso opposto è visibile nel seguente istogramma. Caso D.


Universitas Mercatorum La distribuzione grafica dei valori

Simmetria = -1,1

Curtosi = 0,5

In questo caso si parla di effetto tetto, poiché la maggior parte


dei punteggi si attestano nella parte alta della scala.

Queste considerazioni sono utili quando si stanno studiando e


mettendo a punto gli strumenti psicometrici quali test e questionari.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

La distribuzione standardizzata

La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna


allieva la comprensione della standardizzazione dei punteggi e dei suoi
obiettivi e utilizzi.
Sarà fornita la spiegazione di come effettuare il calcolo della
standardizzazione in punteggi z, T, sten, stanine e ranghi percentili.
Sarà spiegata la differenza tra punteggio grezzo e
standardizzato, cosa sono le norme e il campione normativo.
I casi pratici discussi saranno fondamentali per la comprensione
dei concetti teorici di base e per la loro adeguata applicazione.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

1. L’ESIGENZA DELLA STANDARDIZZAZIONE


L’esigenza della standardizzazione nasce quando i valori dei test
e dei questionari devono essere ricondotti a un confronto con ciò che si
ritiene adatto o meno, buono o cattivo, deficitario o completo e così via.

I valori che i test restituiscono sono da considerarsi valori grezzi,


cioè valori non trattati.

I punteggi grezzi di un test potrebbero trarci in inganno se


facessimo valutazioni estemporanee o agganciate al solo numero.

Perciò si richiede un minimo di trattamento e confronto e che


questo abbia un fondo logico e matematico che dia certezza e
oggettività.

Chiariamo meglio con un esempio.

Si supponga che i candidati a una prova preselettiva abbiano


compilato un test di idoneità.

Questo test produce un risultato in punti percentuali, da 1 a 100.


Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

Questa è la curva di distribuzione dei punteggi ottenuti dagli 80


candidati.

Qual è il punteggio per cui si può dire che un certo candidato è


idoneo? Certo, è una questione di scelta e di politiche, di obiettivi, di
intendimenti, ma almeno un qualche dato certo lo si deve avere
all’interno di questa popolazione.

Ci sono almeno due modi per stabilirlo, uno è interno alla


distribuzione stessa, l’altro è esterno ad essa.

Seppure i punteggi vadano da 1 a 100 il punteggio 60 non


indicherà di certo la sufficienza, e l’80 non può indicare un punteggio
ottimo, perché ciò può dipendere sia dalla bravura del candidato sia
dalla difficoltà del test.

In questo caso si vede che i rettangoli maggiori sono quelli


intorno all’80, quindi o il test è facile o i candidati sono davvero bravi.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

Ma la scelta non può essere fatta con questi poveri criteri.

Dai calcoli risulta che la media è di 67,38 e la deviazione


standard di 22,32. Quindi coloro che hanno preso un punteggio medio
si collocano tra coloro che hanno un punteggio inferiore a una
deviazione standard oltre la media, ovvero

67,38 + 22,32 = 89.7

Sulla base di questa distribuzione, avere un punteggio di 80 non


garantisce aver raggiunto un livello di eccellenza. Si deve proprio dover
arrivare almeno a 90.

Se avessimo avuto diversa media e diversa deviazione standard


il risultato sarebbe stato differente, e forse il punteggio 80 sarebbe stato
un punteggio elevato.

Da qui si comprende l’esigenza di standardizzare, di confrontare,


di armonizzare i risultati rispetto ad un metro di paragone più lineare.

Supponiamo che questo test sia stato precedentemente


somministrato ad un campione molto ampio di persone, che include
anche le caratteristiche di questo gruppo di candidati.

Diciamo, quindi, che siamo in possesso dei dati di un campione


ampio e rappresentativo.

La media di questo campione è 62 e la deviazione standard è di


19. Perciò, sommando otteniamo 81.

Neppure in questo caso il punteggio 80 si rivela eccellente, ma


solo per poco.

Possiamo dire che ci troviamo di fronte a un gruppo più dotato


rispetto al campione di riferimento. Infatti, confrontando media
candidati e media campione

media candidati = 67,38 > 62 = media campione


Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

la prestazione media di questo gruppo è maggiore di quella di


riferimento.

Però anche così, seguendo questi due metodi, si deve sempre


ricorrere a puntuali e ricorrenti calcoli per verificare e confrontare e poi
giudicare.

Dal punto di vista matematico si possono effettuare delle


trasformazione dei punteggi e passare da dei punteggi grezzi a dei
punteggi trattati.

Ottenere dei punteggi trattati, che conservano le proprietà e il


contenuto informativo dei punteggi grezzi, ma con una migliore
maneggevolezza, è ciò che raggiunge la standardizzazione dei punteggi.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

2. LA STANDARDIZZAZIONE
Gli indici della media e della deviazione standard hanno delle
proprietà matematiche note.

E si sa pure che le interpolazioni matematiche applicate alle


equazioni non modifica la soluzione delle medesime e l’uguaglianza è
comunque verificata.

Scendiamo nel dettaglio.

Sappiamo che se ad una equazione sommiamo ad entrambi i


membri la stessa quantità il risultato non cambia.

Formalmente, indicando a come primo membro, b come secondo


membro e k la costante introdotta:

a+k=b+k

Stessa cosa avviene se sottraiamo la medesima quantità ad


entrambi i membri dell’equazione data.

a–k=b–k

E lo stesso vale moltiplicando o dividendo entrambi i membri per


la stessa quantità.

ak = bk

a/k = b/k

Cosa succederebbe, quindi, se intervenissimo aggiungendo una


costante a ciascun punteggio della distribuzione?

Che la media sarà incrementata di quel valore, e la deviazione


standard non subirà modifiche.

Che succede se moltiplicassimo tutti i punteggi per una


medesima costante? Anche la deviazione standard subirà gli effetti
della moltiplicazione risultando multipla della costante utilizzata.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

Detto in modi formali:

media prec. / k = nuova media

media prec.* k = nuova media

Perché questo discorso è interessante?

Perché ci fa capire che possiamo costruite punteggi trasformati


che abbiano media e deviazioni standard fisati a piacere.

Vuol dire che possiamo trasformare qualsiasi insieme di dati in


modo che i nuovi punteggi abbiano media e deviazione standard più
facilmente manipolabili.

In questo modo si potranno confrontare i punteggi tra diverse


distribuzioni in modo più semplice.

Il metodo più usato per questa standardizzazione è la creazione


di punteggi detti punteggi z che hanno la proprietà di avere come media
0 e deviazione standard 1.

Avendo una media uguale a zero si sa immediatamente se si


tratta di punteggi oltre o sotto la media semplicemente guardando il
segno.

Per valori positivi si avranno punteggi sopra la media e per


valori negativi si avranno punteggi al di sotto della media.

Dato che la deviazione standard è 1, il valore assoluto ci


indicherà con molta facilità quanto ci si colloca al di sotto o al di sopra
della media.

Il valore 1 corrisponderà a una deviazione standard sopra la


media e il valore -1 a una deviazione standard sotto la media.

Applicando quanto detto prima, sottraiamo ad ogni punteggio il


valore della propria media

nuovo x = x precedente – media precedente


Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

Questo modificherà la media della stessa quantità e quindi


otteniamo che la nuova media sarà

nuova media = media precedente – media precedente = 0

Proseguiamo dividendo ogni punteggio così ottenuto per la


deviazione standard della distribuzione

punteggio precedente / deviazione standard = punteggio nuovo

e di conseguenza avremo che

nuova media = 0/deviazione standard precedente = 0

nuova DS = DS precedente/ DS precedente = 1

come previsto, la nuova media sarà 0 e la nuova deviazione


standard 1.

Scritto in modo formale

𝑥 − 𝑥̅
𝑧=
𝜎

Perciò, la standardizzazione dei punteggi grezzi in punteggi z si


ottiene sottraendo a ciascun punteggio la media e questo risultato lo si
divide per la deviazione standard.

In altri termini, la differenza tra il singolo punteggio e la media


va diviso per la deviazione standard.

Come appaiono i punteggi così standardizzati?

Lo vediamo nell’istogramma che segue.


Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

La forma della curva non cambia, abbiamo sempre a che fare con
gli stessi punteggi, con gli stessi casi, stessi soggetti.

Ciò che cambia è la facilità di lettura.

E facilita anche la comparazione con altri punteggi.

Facciamo un esempio riportato nel libro di testo1 a pag. 102.

Di uno studente si vuol comparare i suoi voti in inglese,


matematica e psicologia tenendo conto del risultato ottenuto anche dai
suoi colleghi e colleghe.

Procedendo con le operazioni già indicate osserviamo i risultati


in tabella.

1
Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del comportamento.
Milano: Apogeo Education.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

Inglese Matematica Psicologia


x 80 65 75
𝑥̅ 85 55 60
σ 10 5 15
z 80−85
= –
65−55
= + 2,00
75−60
= +
10 5 15

0,50 1,00

Procedendo a una valutazione del solo punteggio grezzo si


sarebbe arrivati a giudizi distorti.

Paradossalmente, in questo caso, il punteggio grezzo è risultato


il punteggio più alto.

Attraverso i punteggi z possiamo ottenere un’accurata


descrizione della posizione di ciascun punteggio rispetto al proprio
gruppo di riferimento.

La media e la deviazione standard, per le loro proprietà


matematiche, ci consentono di trattare i punteggi grezzi senza alcun
effetto distorsivo finale, e con medesimo punteggio z.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

3. STANDARDIZZAZIONI
Poiché anche il punteggio z è manipolabile conservando la forma
della curva e ottenendo media e deviazione standard che non
modificano il contenuto del significato stesso della distribuzione,
passiamo ora a trasformazione dei punteggi standardizzati in altri che
siano ancor più comprensibili.

Di fatto, se a uno studente, come nell’esempio precedente gli si


dicesse che ha avuto un punteggio uguale a 0, cioè nella media, o
addirittura negativo non capirebbe proprio nulla del giudizio.

Vedremo la trasformazione dei punteggi z in punteggi T, sten,


stanine e ranghi percentili, ricordando che il range entro il quale
cadono quasi tutti i punti z è compreso tra – 3,99 e +3,99.

Punteggi T

Questa trasformazione in punteggi rende la media pari a 50 e la


deviazione standard pari a 10.

La formula è la seguente

T = 50 + 10 zi

Il test più diffuso che utilizza questa tipologia di


standardizzazione è il Minnesota Multiphasic Personality Inventory -
2 (MMPI-2)2, ma anche il Symptom Checklist-90-Revised (SCL-90-R)3
usa questo metodo di standardizzazione dei punteggi.

Sten

2
Hathaway, S. R., McKinley, J. C., & MMPI Restandardization Committee. (1989). MMPI-2:
Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2: manual for administration and scoring.
University of Minnesota Press.
3
Derogatis, L. R., & Unger, R. (2010). Symptom checklist‐90‐revised. Corsini encyclopedia of
psychology.
Universitas Mercatorum La distribuzione standardizzata

I punteggi standardizzati ten (s-ten) dividonola distribuzione in


10 (ten in inglese) categorie standardizzate di punteggi.

Sten = 5,5 + 2zi

Tali punti avranno media uguale a 5,5 e deviazione standard


pari a due volte il punteggio z.

Staninese

Se dividiamo in 9 (nine) categorie i punteggi standardizzati


(stan) otterremo i punteggi stanin, ottenibili con la seguente formula

Stanine = 5 + 2zi

Questi punteggi avranno quindi la media di 5 e una deviazione


standard di 2.

Ranghi percentili

Poiché si rifà a un indice di posizione, la prima cosa da fare è


ordinare i punteggi grezzi in ordine crescente.

Alla j-esima posizione corrisponderà il rango trasformato in


percento, e quindi otterremo il rango percentile di una determinato
punteggio x posto in in una j-esima posizione.

𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑥 ∗ 100


RPx = 𝑛+1

Con n si riferisce al numero dei casi.

Utilizzando la distribuzione dei punteggi del test di preselezione


qual è il rango percentile del punteggio 80? Poiché la serie ordinata
colloca alla trentesima posizione il punteggio di 80 avremo che

30 ∗ 100
RP80 = = 37,5%
80+1

Ovvero, il 37,5% dei soggetti ottiene un punteggio uguale o


inferiore a 80 all’interno del gruppo di candidati.

Non è effettivamente una posizione molto alta.


Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

Introduzione alla probabilità

Il concetto e il calcolo della probabilità trova applicazione in


numerose discipline, principalmente nella statistica e quindi nella
psicometria, ma anche in demografia, matematica finanziaria, in
economia, in meteorologia e altre.
È frequente l’uso anche nel dialogo quotidiano oltre che
specialistico quando si citano probabilità percentuali sulla possibilità
del verificarsi di certi eventi.
La lezione ha l’obiettivo di fornire a ciascun allievo e ciascuna
allieva la comprensione di cos’è la probabilità, come si calcola e quali
sono alcune delle sue applicazioni.
Ciascun studente sarà in grado di conoscere e distinguere le
varie concezioni della probabilità, classica empirica e soggettiva.
Altro obiettivo è l’acquisizione del metodo di calcolo della
probabilità nei vari casi applicativi e come devono essere interpretati i
risultati.
I numerosi esempi forniti serviranno da aiuto mnemonico.
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

1. COS’È LA PROBABILITÀ
Vi è una diffusa, ingenua e scontata idea di cosa significhi
probabilità.

Ma quando si cerca di essere rigorosi nella definizione ciò che


prima era scontato diviene ora quasi impronunciabile e indefinibile.

In realtà esistono diverse formulazioni e definizioni del concetto


di probabilità.

Intanto si parla di eventi, quindi di qualcosa che capita, di


qualcosa che muta, avviene, succede, accade, si verifica.

La trasformazione dell’evento può divenire nello stato, nel


tempo, nel luogo e così via.

Un evento, a seconda del grado di probabilità attribuito, può


ritenersi possibile, impossibile, certo o incerto. La probabilità assegna
un valore a ciascuna tipologia.

Un evento è ritenuto possibile quando le condizioni che lo


determinano o che lo consentono esistono e sono favorevoli. È un evento
che può capitare. È una condizione che ha la capacità di presentarsi
nella realtà. Altrimenti è detto evento impossibile.

Per un essere umano è possibile stare sott’acqua per molto


tempo? Senza attrezzatura è impossibile, con la giusta attrezzatura sì
è possibile, ma solo per un periodo determinato.

Può un animale volare? Se si tratta di un volatile, di un insetto


certo che sì, ma altrimenti no, non è possibile, al massimo può – per
disgrazia – precipitare.

Dal campo della possibilità passiamo a ciò che è incerto o certo.

Un evento possibile può essere certo che accada oppure no. Il


grado di incertezza condiziona il grado di probabilità, laddove per
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

probabilità intendiamo l’accezione positiva e quindi indichiamo


l’avvenimento.

Formalmente sarebbe

1
Probabilità = 𝑖𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎

La concezione classica del concetto di probabilità è legata al


considerare gli eventi possibili e la condizione favorevole affinché
accadano.

In questo senso, la probabilità è un numero, ricavato dal


rapporto tra il numero dei casi favorevoli (n) e il numero dei casi
possibili (N).

Questa probabilità dell’evento (PE) può essere così formalmente


descritta
𝑛
PE = 𝑁

Allorché i casi favorevoli e possibili sono uguali allora il loro


rapporto è 1, e siamo nel grado della certezza dell’evento.

Quando i casi favorevoli sono pari a 0 si può dire che siamo nel
campo dell’impossibilità.

Questa concezione funziona nel campo delle scienze esatte,


quelle per cui è davvero possibile (!) individuare, riconoscere,
distinguere e contare tutti i casi favorevoli e tutti i casi possibili.

Nel campo delle scienze umane non è possibile individuare,


riconoscere, distinguere e contare tutti i casi possibili e tra questi quelli
di nostro interesse.

Secondo la concezione frequentistica di probabilità o legge


empirica del caso, si effettuano un certo numero di prove (N) o
osservazioni relative ad un determinato evento (E) e si tiene conto del
numero di volte (n) che l’evento di nostro interesse si è verificato.
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

Il rapporto tra il numero degli eventi desiderati (n) e quelli


verificatesi (N) si chiama frequenza relativa dell’evento (fE).

È empiricamente dimostrato che se N cresce illimitatamente


cresce anche la precisione di fE.

Poiché fE può essere intesa come un’espressione della probabilità


dell’evento (PE), si può affermare che essa esprime la probabilità
empirica (o a posteriori) del verificarsi dell’evento E.

Questa concezione, quindi, dà conto della probabilità futura sulla


base di ciò che è accaduto nel passato.

Il limite di questa concezione è che non può tener conto delle


condizioni di contorno che potrebbero modificare il numero dei casi
futuri, siano essi quelli registrabili (N) che quelli a cui siamo interessati
(n).

Pur nei suoi limiti può trovare campo di applicazione o in scelte


commerciali o in ingenue scelte di gioco d’azzardo.

Nelle scelte commerciali, per esempio, le compagnie assicurative


determinano i premi assicurativi sulla base della probabilità di un
accadimento infausto. Maggiore è la probabilità che l’evento capiti
maggiore sarà la possibilità che si debba pagare il sinistro e quindi
maggiore sarà il premio da applicare. Per contro, minore è la
probabilità che l’evento capiti e minore saranno i risarcimenti e quindi
minore dovrebbe essere il premio da pagare; peccato che non sempre le
compagnie assicurative facciano pagare di meno ma questo è un altro
discorso.

Nelle ingenue scelte di gioco d’azzardo gli allocchi credono che


poiché un certo numero non si è presentato per un determinato periodo
allora si presenterà con più probabilità. Ma i numeri non hanno
memoria e neppure consapevolezza. Quel numero non lo sa che è da
molto che non esce e ormai è arrivato il momento di prendere una
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

boccata d’aria. Ogni volta che si attua un’estrazione tutti i numeri


hanno la stessa probabilità di uscire.

Infine, consideriamo la concezione soggettivistica di probabilità.


Essa si riferisce al grado di fiducia che una persona attribuisce al
verificarsi dell’evento sulla base di particolari informazioni, opinioni,
esperienze passate, intuito ecc.

Questa concezione risente enormemente delle differenze


individuali e, soprattutto, sulla capacità della persona di possedere
adeguate informazioni, valide opinioni e esperienze passate
significative.

I professionisti sono soliti adoperarlo. Tra questi i medici, che


esprimono la probabilità della durata di una certa cura. Gli avvocati,
sulla possibilità di vincita della causa. Gli psicologi, sull’efficacia di un
certo trattamento.
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

2. COME SI CALCOLA
È stato già detto che la probabilità è un numero, ricavato dal
rapporto tra il numero dei casi favorevoli (n) e il numero dei casi
possibili (N).

La probabilità (P) può essere così formalmente descritta


𝑛
P=𝑁

Quando i casi favorevoli sono uguali ai casi possibili allora il loro


rapporto è 1, e siamo nel grado della certezza dell’evento.

Quando i casi favorevoli sono pari a 0 si può dire che siamo nel
campo dell’impossibilità.

Illustriamo il classico esempio del lancio della moneta.

La moneta ha solo due facce (testa e croce), questo è certo, e può


cadere solo con una faccia o con l’altra. Non potrà mai capitare che cada
su entrambe le facce.

Quindi, gli eventi possibili (N) sono 2 e l’evento favorevole (n) è


1.

Perciò nel lancio della moneta la probabilità che esca testa (o


croce) è
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

𝑛 1
P = 𝑁 = 2 = 0,5

Questo sarà vero se la moneta non è truccata.

Questa comunque è la probabilità teorica, non rappresenta una


legge comportamentale prescrittiva per la moneta. Essa si riferisce al
singolo evento.

Nel tempo, al ripetersi dei lanci, la probabilità resta identica (½),


ma la moneta non lo sa che deve uscire una volta testa e una volta croce.

Se si lancia un numero indefinitamente alto di volte la moneta e


annottiamo ogni volta il risultato potremo constatare che il numero di
croci e di teste saranno in rapporto di uno a due, cioè circa metà volte
testa e metà volte croce ma non possiamo aspettarci che siccome è
uscita testa allora la volta dopo deve uscire croce.

L’aspettativa che esca proprio l’altra faccia al secondo lancio è


un evento che viene legato a ciò che è accaduto prima, non si tratta
infatti di stabilire se esce una o l’altra e perciò si calcola in modo
differente questa probabilità.

Quale sarà la probabilità che escano in sequenza prima testa e


poi croce, o viceversa, prima croce e poi testa?

Consideriamo tutti i casi possibili.

Primo Secondo
lancio lancio
Testa Testa
Testa Croce
Croce Testa
Croce Croce

I casi possibili sono 4, sempre che si effettuino solamente due


lanci.
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

Perciò se al primo lancio esce testa, la probabilità che esca solo e


unicamente croce al secondo lancio è di ¼ (0,25) e non ½ (0,5).

Detto in altri termini, se considero la probabilità che due eventi


distinti, A e B, capitino uno di seguito all’altro allora dovrò effettuare
questo calcolo

P(A poi B) = PA * PB

Applicando quanto detto al nostro caso otteniamo

P(una faccia poi l’altra) = ½ * ½ = ¼

Vediamo adesso un altro caso preso dal libro di testo1.

Supponiamo di estrarre una carta dal mazzo, di guardarla e


quindi di rimetterla nel mazzo.

Il mazzo viene poi rimescolato prima di estrarre una seconda


carta.

In questo esempio scegliamo di calcolare la probabilità di


estrarre un re la prima volta, quindi un asso di cuori la seconda volta.

1 Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del
comportamento. Milano: Apogeo Education. [p. 399]
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

Assumiamo che le due estrazioni di carte siano indipendenti tra


di loro intendendo con ciò che il risultato della prima estrazione non
influenza il risultato della seconda estrazione.

La soluzione è fornita dalla formula seguente

P(A poi B) = PA * PB

Nell’esempio in questione

4/52 * 1/52 = 4/2704 = 0,001479 (0,14%)

Proseguiamo su questo tema con una variazione2.

Se la carta estratta la prima volta non viene reinserita nel mazzo


la probabilità diventa

4/52 * 1/51 = 4/2652 = 0,001508 (0,15%)

Se usiamo questa procedura, soltanto 51 carte rimangono nel


mazzo dopo la prima estrazione e la probabilità di successo nella
seconda estrazione diventa quindi 1/51.

La procedura di estrazione senza reinserimento produce due


eventi non indipendenti tra loro. Ovvero, la probabilità legata alla
seconda estrazione è modificata dalla prima estrazione.

In termini statistici, la probabilità del secondo evento è


condizionata al risultato del primo evento.

Per esempio, la probabilità che la seconda carta sia una carta di


fiori diminuisce se anche la prima carta estratta appartiene a quel
segno.

2Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del comportamento.
Milano: Apogeo Education. [p. 400]
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

3. APPLICAZIONI PARTICOLARI DELLA


PROBABILITÀ
Esistono numerosi esempi e possibilità di calcolare le
probabilità.

Uno dei più complessi è lo schema di Bernoulli o problema delle


prove ripetute3.

Supponiamo di avere un’urna in cui ci siano un certo numero di


palline bianche (N1) e un certo numero di palline rosse (N2), per un
totale di N palline.

La probabilità che in una prova si estratta una pallina bianca è

p = N1/N

La probabilità che sia estratta una pallina rossa è

q = 1 – p = (N-N1) / N

Lo schema di Bernoulli, o problema delle prove ripetute, consiste


nel calcolare la probabilità p(x) che su n palline estratte con ripetizione
dall'urna, cioè rimbussolando dopo ogni estrazione la pallina estratta)
si presentino x palline bianche e n-x palline rosse.

Si dimostra che tale probabilità e fornita dalla seguente


espressione

𝑛! 𝑛
p(x) = 𝑥!(𝑛−𝑥)!pxqn-x = ( ) pxqn-x
𝑥

Chiariamo alcune notazioni.

n! è un simbolo che indica il prodotto dei primi n numeri interi.


Ad esempio

4! = 4 * 3 * 2 * 1 = 24

3 Del Vecchio, F. (1996). Statistica per la ricerca sociale. Bari: Cacucci Editore. [p.
167]
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

𝑛
( ) indica una frazione il cui numeratore è dato dal prodotto di x
𝑥
fattori decrescenti a partire da n, e il denominatore è uguale a x!. Ad
esempio

5 5∗4∗3
( ) = 3∗2∗1 = 10
3

La funzione p(x) viene nominata funzione discreta di probabilità


dello schema di Bernoulli.

Ovviamente, se si esprime la probabilità che da una popolazione


dicotomica sia estratto un elemento possessore di una certa
caratteristica la formula

𝑛! 𝑛
p(x) = 𝑥!(𝑛−𝑥)!pxqn-x = ( ) pxqn-x
𝑥

fornisce la probabilità che in un campione di n elementi, estratti


da quella popolazione in maniera bernoulliana, x siano i possessori di
quel carattere.

Per esempio, nelle elezioni amministrative in una città un certo


partito politico ha ottenuto l’8% dei voti. Qual è la probabilità che su 10
presidenti di enti pubblici 4 siano di questo partito politico? Applicando
la formula abbiamo

10!
p(4) = * 0,084 * 0,926 = 210 *0,00004096 * 0,60635501 =
10!(10−4)!

0,005

La probabilità, del 5%, è dunque molto bassa. Perciò se l’evento


si verifica non potrà dirsi frutto del caso ma di accordi tra i partiti
politici.

Vediamo, infine, come si calcola il rapporto di probabilità odd.

Con questo termine si indica la quotazione di probabilità di un


certo evento.
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

Si riferisce al rapporto tra il numero di casi sfavorevoli e il


numero degli esiti favorevoli dell’evento considerato.

Facciamo qualche esempio.

Supponiamo che su 100 studenti iscritti al corso in media 20 non


completino gli studi.

Con una semplice operazione di sottrazione otteniamo che 80


concludono gli studi.

Il rapporto tra coloro che non completano gli studi e coloro che
completano gli studi è l’odd o rapporto di probabilità

odd = 20/80 = 1/4

Ciò sta a indicare che per ogni studente che non termina gli studi
ce sono 4 che li terminano.

Quanto detto è diverso dal dire che 20 studenti su 100 non


terminano gli studi, poiché nel dire che 20/100 o 1/5 non terminano gli
studi ci stiamo riferendo alla totalità degli studenti.

Nel campo del gioco d’azzardo e delle scommesse questo indice è


utilizzato per indicare il grado di rischio delle giocate.

Questo è utile poiché esprime il numero di modi in cui il risultato


non si verifica confrontato con il numero di modi in cui il risultato può
verificarsi.

Se si lancia un dado a 6 facce, si ha la probabilità che ciascun


numero si presenti pari a 1/6, con l’odd diciamo che il rapporto di
probabilità è di 5 a 1 o 5/1.

Esaminiamo un esempio tratto dal web4.

Certe scommesse sono pagate col sistema delle odds. Quando


una scommessa paga con le stesse odds della probabilità di vincere la

4
https://www.casinogamblingstrategy.org/italian/probability/
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

scommessa, si ha una situazione alla pari. Si vince esattamente metà


delle volte, è l’altra parte vince la metà delle volte.

Ad esempio, se scommettete 1 € per vincere 1 € sul lancio di una


moneta, allora fate una puntata con odds alla pari. Il risultato offre
anch’esso odds alla pari. Quindi col tempo, probabilmente andrete in
pari.

I profitti del casinò vengono dalla differenza tra le odds che


pagano su una scommessa e le odds che avete voi di vincere realmente
la scommessa.

L’esempio più semplice cui pensare è quello di una semplice


puntata a pari denaro sul nero al tavolo della roulette. Se scommettete
€ 5 sul nero, vincerete € 5 se la pallina atterra sul nero. Perderete € 5
se la pallina atterra sul rosso. Ma perderete € 5 anche se la pallina
atterra su uno dei due zero verdi.

Ci sono 38 risultati possibili su una ruota da roulette americana.


18 di questi sono neri. Il che significa che la probabilità di vincere una
scommessa sul nero è di 18/38, o 47,37%. Quindi il casinò vincerà
leggermente più della metà delle volte. Ecco come realizzano il loro
profitto.

Le odds di vincere una scommessa sul nero sono 20 a 18, il che


significa che ci sono 20 modi per perdere, e 18 modi per vincere.
Semplificando, 10 a 9.

Maggiore sarà differenza tra le odds di vincita e le odds di


pagamento, maggiore sarà il margine del Banco del casinò.

Un altro esempio è tratto dal libro di testo5.

5 Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del comportamento.
Milano: Apogeo Education. [p. 398]
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

Si veda la tabella che segue.

Rapporto
di
Numero di Numero di probabilità
Numero esiti esiti (odd)=
totale favorevoli sfavorevoli Probabilità dell’evento
degli all’evento all’evento dell’evento (T – W a
Esito eventi (T) (W) (T – W) (W/T) W)
Re di
52 1 51 1/52 51 a 1
quadri
48 a 4
Un nove
52 4 48 4/52 o 1/13 (12 a 1)
qualsiasi
44 a 8
Una carta
(11 a 2
semplice 52 8 44 8/52 o 2/13
oppure
di fiori
5½ a 1)

Il rapporto di probabilità dovrebbe suggerire quanto si dovrebbe


essere pagati in caso di vincita di scommessa. Nel primo caso,
scommettendo sull’uscita del Re di quadri, 51 volte la somma puntata.
Nella realtà non accade così. Il banco diminuisce apposta questa quota.

Un’altra cosa. La carta uscita, non vincitrice, sarà reimmessa nel


mazzo e questi sarà nuovamente mescolato. Illudersi che prima o poi il
re di quadri esca per farvi vincere servirà solo a farvi perdere un sacco
di soldi, poiché ogni volta che si giocherà si avrà sempre lo stesso rischio
di 51 a 1 e, anche il re di quadri, non sa che deve uscire almeno una
volta su 52 estrazioni, in barba al vostro desiderio di vittoria.

BIBLIOGRAFIA
 Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del
comportamento. Milano: Apogeo Education. [cap. 8]
Universitas Mercatorum Introduzione alla probabilità

 Balsamo, M. (2017). Elementi di Psicometria. Milano: McGraw‐Hill


Education. [pp.135-139]
Universitas Mercatorum La correlazione

La correlazione
La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come possono essere
studiate le relazioni tra variabili quantitative.
Ciascun studente imparerà cosa sono l’associazione, la covarianza e
la correlazione e le differenze che intercorre tra questi indici.
Ogni studente acquisirà dimestichezza del metodo per calcolare
ciascuno di questi indici e imparerà come usare questi indici nella valutazione e
nell’esprimere giudizi sulle relazioni esistenti tra le variabili oggetto di analisi.
I diversi esempi forniti serviranno da aiuto mnemonico.
Universitas Mercatorum La correlazione

1. ASSOCIAZIONE E CORRELAZIONE
Lo studio della correlazione tra due fenomeni è
sostanzialmente un calcolo di verifica del loro grado di associazione.

È importante chiarire sin da subito che l’associazione tra due


variabili nel caso della correlazione indica quanto e come esse varino
assieme, ma non che una sia causa della variazione dell’altra.

La correlazione pone due variabili in relazione di una


coincidenza di variazione ma non di un legame tra esse.

La correlazione non è comunque un fatto meramente


matematico, se non esiste una buona teoria che spiega i fenomeni, la
loro origine, i loro legami e di come si evolvono si resta nel campo della
mera speculazione o, come succede tante volte, nel fraintendimento e
nella confusione.

Per esempio, è noto che in Italia è in aumento il consumo di


alcol tra i giovani. A parte che ciò non indica direttamente che chi è
giovane fa un uso elevato di alcolici.

Ma il fraintendimento e la confusione maggiore sarebbe


ritenere che siccome chi è giovane beve molto alcol allora bevo molto
alcol per essere più giovane.

Forse tutt’al più bevendo più alcol si diventa più stupidi, ma


questo è un altro argomento.

Un altro caso di confusione è quello relativo alle nascite e


alla presenza di un uccello: la cicogna.
Universitas Mercatorum La correlazione

È comune il detto che


i bambini li porta la cicogna. Nel
caso, sarebbe interessante
sapere da dove li prende.

Da dove nasce tale


storiella? Viene fornita, in
genere, la seguente spiegazione.
Per un dato periodo, nelle
regioni del centro-nord Europa i
camini restavano accesi a lungo
nelle case dove c’era un neonato,
anche in primavera, quando il
numero delle nascite era
maggiore.

C’è un fondo di verità,


di associazione: tante cicogne,
tanti bambini.

Le cicogne nel rientrare in primavera dall’Africa sfruttano il


tepore dei comignoli per tenere caldo il proprio nido (e il fumo?).

Quindi l’alta presenza di cicogne era correlata alla nascita


dei bambini.

L’errore è concludere che sono le cicogne a portare i bambini


quando in realtà, semmai, è la nascita dei bambini – per le modificate
condizioni di vita familiare e dell’utilizzo del camino – a portare
(attrarre) le cicogne.

Al di là delle leggende e dei modi di dire, non si deve mai


confondere la relazione di associazione con la relazione di causa-effetto.

Un caso classico di correlazione, anche senza bisogno di


verifiche matematiche, è quello del peso e dell’altezza delle persone.
Universitas Mercatorum La correlazione

Va da sé che una persona alta pesa di più di una persona


bassa, pur ammettendo la variabilità in cui rientrano i bassi grassi e
gli alti magri.

In questo caso si parla di correlazione positiva.


All’aumentare di una aumenta anche l’altra variabile.

Si dice che agli


appassionati di golf,
all’aumentare del numero di
anni di gioco, gli occorrano un
minor numero di tentativi per
imbucare la pallina.

Questo è un grado di
associazione negativa.
All’aumentare di una variabile assistiamo alla diminuzione dell’altra.
Universitas Mercatorum La correlazione

Non esiste una relazione di causa effetto se non in una terza


variabile qui non considerata: l’esperienza.

Questa dà ragionevolmente conto del fenomeno, e risulta una


teoria accettabile che l’esperienza maturata negli anni renda
maggiormente abile il giocatore.
Universitas Mercatorum La correlazione

2. LA COVARIANZA
Il concetto di covarianza è fondamentale per comprendere il
calcolo e il corretto utilizzo della correlazione

Per covarianza si indica la tendenza di due variabili


misurate sugli stessi soggetti a variare assieme.

Come indica il nome, co-varianza, si tratta di una relazione


tra due varianze che hanno a che fare con gli stessi soggetti.

Tali soggetti sono valutatati su due differenti caratteri


(variabili) e i valori di questi due caratteri sono messi in relazione.

Ricordiamo che la varianza si ottiene applicando ai dati la


formula

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )2
Var =
𝑁

La media della somma degli scarti al quadrato costituisce la


varianza.

Formalizzata in altro modo diventa

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )∗(𝑥𝑖 −𝑥̅ )


Var =
𝑁

In altri termini, “confronto” punteggi e media della stessa


variabile.

Una variante della formula è

∑ 𝑥𝑖 2
- 𝑥̅ 2
𝑁

Cioè la varianza si ottiene anche sottraendo alla media dei


quadrati il quadrato della media.

Avendo a che fare con due serie i cui singoli punteggi


appartengono agli stessi soggetti, cioè un soggetto esprime un
Universitas Mercatorum La correlazione

punteggio per una e l’altra variabile, la covarianza sarà data dal


confronto tra i punteggi e le loro rispettive medie.

Chiamando x i punteggi della prima variabile e y quelli della


seconda, otteniamo la seguente formula

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )∗(𝑦𝑖 −𝑦̅)


Cov =
𝑁

Esprimendo il calcolo con la formula semplificata della


varianza otteniamo la formula semplificata per il calcolo della
covarianza

∑ 𝑥𝑦
Cov = - 𝑥̅ 𝑦̅
𝑁

Cioè otteniamo la covarianza sottraendo alla media dei


prodotti dei punteggi il prodotto delle medie.

Vediamo un esempio applicativo.

Cinque soggetti hanno compilato due test che restituiscono


un punteggio da 1 a 9.

I risultati sono riportati in tabella.

Soggetti Test A Test B A * B


uno 2 8 16
due 4 7 28
tre 6 6 36
quattro 8 5 40
cinque 9 2 18
Somma 29 29 138
Media 5,8 5,6 27,6

Volendo verificare la covarianza tra queste i risultati dei test


applichiamo la formula semplificata e otteniamo

∑ 𝑥𝑦
Cov = - 𝑥̅ 𝑦̅ = 27,6 - 5,8 * 5,6 = - 4 , 88
𝑁

Come si intende questo numero?


Universitas Mercatorum La correlazione

Il segno è negativo, ciò sta a indicare, e vedendo i singoli


punteggi possiamo notarlo, che all’incremento dei valori di una
variabile corrisponde un certo decremento dei valori dell’altra.

Vediamo questi valori riportati su un grafico a dispersione


dove ciascun punto del piano corrisponde ad un soggetto e le coordinate
del punto ai punteggi dei test.

In particolare abbiamo sull’asse delle ascisse i punteggi del


test A e sull’asse delle ordinate i punteggi del test B.

Si può notare come la linea, curva, tenda a scendere verso il


basso. In effetti quando i valori delle ascisse aumentano quelli delle
ordinati decrescono e viceversa.

Esaminiamo un caso analogo.

Cinque soggetti eseguono altri due test e vediamo i risultati


in tabella.
Universitas Mercatorum La correlazione

Soggetti Test C Test D C*D


uno 2 1 2
due 3 2 6
tre 4 6 24
quattro 6 8 48
cinque 7 9 63
somma 22 26 143
media 4,4 5,2 28,6

Calcoliamo la covarianza con la nota formula semplificata.

∑ 𝑥𝑦
Cov = - 𝑥̅ 𝑦̅ = 28,6 – 54,4 * 5,2 = 5,72
𝑁

In questo caso il segno della covarianza è positivo e ciò sta ad


indicare un andamento nella stessa direzione per le due variabili,
ovvero all’aumentare dell’una aumenta anche l’altra, e viceversa.

Possiamo graficamente vedere il risultato con un grafico a


dispersione.

Abbiamo sull’asse delle ascisse i punteggi del test C e


sull’asse delle ordinate i punteggi del test D.
Universitas Mercatorum La correlazione

È visibile come al crescere del valore del punteggio di un test


vi è un incremento anche nel valore dei punteggi dell’altro test.

Il problema della covarianza è che è un indice legato all’unità


di misura di entrambe le variabili, e proprio per questo l’indice non è di
immediata comprensione.

Da questo nasce l’esigenza di ottenere un indice sintetico e


esplicativo della relazione di variazione tra le due variabili, che ci
indichi nel segno la direzione dell’associazione, ma che ci dica anche –
con immediata comprensione – quale forza ha tale relazione.

A tal proposito è calcolato e utilizzato l’indice di correlazione.


Universitas Mercatorum La correlazione

3. LA CORRELAZIONE DI PEARSON
Precisiamo che non esiste un solo indice di correlazione ma
più indici.

Quello che considereremo è quello messo a punto da Karl


Pearson, matematico e statistico britannico vissuto a cavallo tra il XIX
e il XX secolo.

Già precedentemente altri studiosi avevano iniziato a


formalizzare alcuni calcoli che andavano nella direzione presa e
conclusa poi da Pearson formalizzando l’indice che porta il suo nome.

Ciò che passa dalla covarianza alla correlazione di Pearson è


la normalizzazione del risultato della covarianza attraverso il rapporto
tra questa e il prodotto degli scarti quadratici medi delle due variabili.

In formula:

𝐶𝑜𝑣 (𝑥,𝑦)
Corr =
𝜎𝑥 𝜎𝑦

Questo indice è in genere identificato con una r minuscola,


per lo più scritta in carattere corsivo.

Questo indice varia da -1 a + 1.

Il valore di -1 indica una perfetta correlazione negativa, vi è


quindi una relazione inversamente proporzionale tra le due variabili.
Si tratta di un caso di identità che non trova corrispondenza nella
realtà empirica.

Il valore +1 indica che una perfetta correlazione positiva, vi


è quindi una relazione direttamente proporzionale tra le due variabili.

Il valore 0 indica totale assenza di relazione tra le due


variabili.

Perciò maggiore è la vicinanza con l’unità, maggiore è la


forza dell’associazione tra le variabili.
Universitas Mercatorum La correlazione

Applichiamo la formula agli esempi prima considerati

Vediamo ora quello del test A e test B la cui covarianza è -


4,88.

È calcolato che

deviazione standard del test A σA = 2,56

deviazione standard del test B σB = 2,06

𝐶𝑜𝑣 −4,88
correlazione di Pearson r = = = - 0,92
𝜎𝐴 𝜎𝐵 2,56 ∗ 2,06

L’indice è negativo e questo ci dice che le due variabili vanno


in direzione di crescita opposta.

La sua vicinanza con l’unità mostra quanto queste due


variabili siano una strettamente associata all’altra.

Vediamo ora quello del test C e test D la cui covarianza è


5,72.

È calcolato che

deviazione standard del test C σC = 1,85

deviazione standard del test D σD = 3,18

𝐶𝑜𝑣 5,72
correlazione di Pearson r = = = 0,96
𝜎𝐴 𝜎𝐵 1,85 ∗ 3,18

L’indice è positivo e questo ci dice che le due variabili vanno


nella stessa direzione incrementale.

La sua vicinanza con l’unità mostra quanto queste due


variabili siano una strettamente associata all’altra.

Per entrambi gli esempi, confrontando l’indice r di Pearson


con l’indice della covarianza, si vede quanto sia molto più agevole
effettuare commenti, valutazioni e produrre giudizi con un indice che
varia da -1 a +1.
Universitas Mercatorum La correlazione

Quanto forte, o debole, deve essere considerata la


correlazione tra variabili in base al valore dell’indice r di Pearson? Al
riguardo tra gli statistici c’è stato un acceso dibattito e a volte ancora
si discute sui decimi e centesimi.

Secondo le indicazioni di Cohen (1988)1 valori di r oltre i 0,30


sono considerati moderati e forti al di sopra di 0,50.

Più restrittivo Mukaka (2012)2 che definisce il valore di r


sino a 0,30 come trascurabile, oltre e sino a 0,50 debole, oltre e sino a
0,70 moderato, oltre e sino a 0,90 alto e oltre molto alto.

In generale, potremmo fare riferimento a

r < |0,20| = relazione inesistente

|0,20| < r < |0,30| = relazione debole

|0,30| < r < |0,40| = relazione moderata

|0,40| < r < |0,50| = relazione intensa

|0,50| < r < |0,70| = relazione forte

|0,70| < r < |0,90| = relazione molto forte

r > |0,90| = relazione fortissima o perfetta

1 Cohen, J. (1988). Statistical power analysis for the behavioural sciences Hillsdale. NJ: Lawrence
Earlbaum Associates, 2.
2 Mukaka, M. M. (2012). A guide to appropriate use of correlation coefficient in medical

research. Malawi Medical Journal, 24(3), 69-71.


Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

Correlazioni rho di Spearman e tau di Kendall


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere gli indici di
correlazione quando ad essere messe in associazione sono variabili
qualitative.
Ciascun studente imparerà il sistema di calcolo per il coefficiente
tau di Kendall e rho di Spearman, in particolare quest’ultimo con scale
ordinali e miste.
La comprensione del metodo di calcolo unito agli esercizi svolti a
lezione consentirà l’apprendimento facilitato di questi indici di
associazione.
I diversi esempi forniti serviranno da aiuto mnemonico.
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tau di Kendall

1. IL COEFFICIENTE RHO (Ρ) DI SPEARMAN PER


DATI SU SCALE ORDINALI
L’indice di correlazione, che pone in grado di associazione due
variabili, può essere calcolato anche quando una delle due variabili non
è una variabile continua ma discreta o ordinale.

In questo caso trova applicazione il coefficiente rho (ρ) di


Spearman, il coefficiente di correlazione per ranghi.

Oltre che in questo caso viene utilizzato anche quando si è di


fronte a delle variabili con una distribuzione non normale, cioè che
viola la curva di Gauss avendo un indice di curtosi o di simmetria
superiore a |1|. Si dice in questo caso che è un indice non parametrico.

Quindi, quando la forma della distribuzione non è normale si


utilizza il coefficiente di correlazione ρ di Spearman, qui riportata

6 ∑ 𝑑2
ρ = 1 – 𝑁 (𝑁2 −1)
𝑖

Per applicare la formula si devono prima calcolare le differenze


(o distanze) riscontrate tra i ranghi attribuite allo stesso soggetto nelle
due variabili X e Y (d = rango X – rango Y).

Il coefficiente ρ di Spearman assume valori da – 1 a + 1.

Il valore di -1 indica una perfetta correlazione negativa, vi è


quindi una relazione inversamente proporzionale tra le due variabili.
Si tratta di un caso di identità che non trova corrispondenza nella
realtà empirica.

Il valore +1 indica che una perfetta correlazione positiva, vi è


quindi una relazione direttamente proporzionale tra le due variabili.

Il valore 0 indica totale assenza di relazione tra le due variabili.

Perciò maggiore è la vicinanza con l’unità, maggiore è la forza


dell’associazione tra le variabili.
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

Vediamo un esempio in linea con il libro di testo. Un gruppo di


10 lavoratori specializzati di una certa azienda è stato giudicato da due
dirigenti della stessa azienda. È stato chiesto ai due dirigenti di stilare
una graduatoria valutando l’affidabilità di ciascun lavoratore.

Valutazione 1° Valutazione 2°
Lavoratore dirigente dirigente
(xi) (yi)
A 9° 2°
B 3° 7°
C 6° 4°
D 4° 6°
E 10° 3°
F 1° 10°
G 7° 5°
H 5° 9°
I 2° 8°
L 8° 1°

Si tratta di variabili ordinali.

Per prima cosa si calcola la differenza tra ciascun valore (xi) della
variabile X e ciascun valore (yi) della variabile Y. Ciascuna differenza
va elevata al quadrato.
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

Lavoratore (xi) (yi) di di2


9 – 49
A 9 2
2=7
3 – 16
B 3 7
7 = -4
6 – 4
C 6 4
4=2
4 – 4
D 4 6
6 = -2
10 – 49
E 10 3
3=7
1 – 81
F 1 10
10 = -9
7 – 4
G 7 5
5=2
5 – 16
H 5 9
9 = -4
2 – 36
I 2 8
8 = -6
8 – 49
L 8 1
1=7

Tutte le di2 vanno sommate

Σ di2 = 49 + 16 + 4 + 4 + 49 + 81 + 4 + 16 + 36 + 49 = 308

Applichiamo la formula

6 ∑ 𝑑2
ρ = 1 – 𝑁 (𝑁2 −1)
𝑖

sostituendo i valori

6∗ 308 1.848
ρ = 1 – 10∗ (102 −1) = 1 – = 1 – 1,86 = - 0,86
990
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tau di Kendall

Otteniamo un coefficiente negativo che si avvicina molto


all’unità.

Ciò sta a indicare che i due dirigenti sono nettamente in


disaccordo nel valutare i lavoratori, pur nonostante si siano espressi
sulle stesse persone e con gli stessi criteri di giudizio.

Forse l’azienda dovrà fare un altro tipo di rilevazione, magari


chiedendo aiuto a uno psicologo.

Riportiamo i dati su un grafico a dispersione e osserviamo il


comportamento.

I soggetti sono stati ordinati secondo i valori della scala delle


ascisse per meglio comprendere l’andamento.

La pendenza della linea di tendenza indica, come l’indice ρ aveva


già suggerito, che al crescere di una variabile diminuiva l’altra.

Si noti la distanza tra i singoli punti e la retta di tendenza. È in


media molto piccola. Si configura quindi una relazione quasi lineare,
già suggerita dal coefficiente ρ che si avvicina all’unità.
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

2. IL COEFFICIENTE RHO (Ρ) DI SPEARMAN PER


DATI SU SCALE MISTE
Quando una delle variabili è ordinale e l’altra è su scala continua
o a intervalli equivalenti si procede come segue.

Per prima cosa si converte in ranghi i valori della variabile


continua.

Avendo due serie di ranghi è quindi possibile applicare la nota


formula

6 ∑ 𝑑2
ρ = 1 – 𝑁 (𝑁2 −1)
𝑖

Si procede quindi all’applicazione della formula effettuando i


calcoli previsti.

Si otterrà quindi un indice ρ di Spearman con valori da – 1 a +


1.

Vediamo un esempio in linea con il libro di testo.

Un gruppo di 9 atleti partecipa ad una gara regionale. Uno


psicologo dello sport che somministra loro un test sulla capacità di
pianificazione e persistenza1 per verificare se esiste un’associazione tra
i risultati di gara e questa variabile personologica.

Il test restituisce un punteggio da 1 a 100 sul livello del possesso


della capacità di pianificazione e persistenza.

I risultati sono riportati in tabella.

1 Sniehotta, F. F., Schwarzer, R., Scholz, U., & Schüz, B. (2005). Action planning and coping
planning for long‐term lifestyle change: theory and assessment. European Journal of Social
Psychology, 35(4), 565-576.
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tau di Kendall

Graduatoria di
Esito test
Atleta gara
(xi)
A 3° 70
B 8° 20
C 9° 30
D 2° 85
E 5° 62
F 6° 30
G 1° 90
H 7° 15
I 4° 40

È evidente che in questo caso non è possibile effettuare alcuna


differenza tra i punteggi poiché non abbiamo una corrispondente
graduatoria.

Questa graduatoria va quindi creata attribuendo i ranghi sulla


base dei punteggi del test, facendo corrispondere al punteggio più alto
il rango 1 e al punteggio più basso il rango 9.

Atleta Esito test Rango (yi)


A 70 3
B 20 8
C 30 6,5
D 85 2
E 62 4
F 30 6,5
G 90 1
H 15 9
I 40 5
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tau di Kendall

Nell’assegnazione dei ranghi ci si è trovati con un caso


particolare. Gli atleti C ed F hanno un punteggio uguale.

Poiché non è possibile stabilire chi è al 6° e chi al 7° posto si


attribuisce ad entrambi un rango medio ottenuto dalla media
aritmetica delle posizioni, e quindi si assegna il rango 6,5 ad entrambi.

Possiamo ora calcolare la differenza tra ciascun valore (xi) della


variabile X e ciascun valore (yi) della variabile Y.

Ciascuna differenza va elevata al quadrato. Riportiamo in


tabella i risultati.

Rango
Graduatoria
Atleta test di di2
di gara (xi)
(yi)
3– 0
A 3 3
3=0
8– 0
B 8 8
8=0
9– 6,25
C 9 6,5
6,5 = 2,5
2– 0
D 2 2
2=0
5– 1
E 5 4
4=1
6– 0,25
F 6 6,5
6,5 = - 0,5
1– 0
G 1 1
1=0
7– 4
H 7 9
9=-2
4– 1
I 4 5
5=-1
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

Tutte le differenze elevate al quadrato vanno ora sommate

Σ di2 = 0 + 0 + 6,25 + 0 + 1 + 0,25 + 0 + 4 + 1 = 12,50

Applichiamo la formula

6 ∑ 𝑑2
ρ = 1 – 𝑁 (𝑁2 −1)
𝑖

sostituendo i valori

6∗ 12,50 75
ρ = 1 – 9∗ (92 −1) = 1 – 720 = 1 – 0,10 = - 0,90

Otteniamo un coefficiente di segno positivo che si approssima


molto all’unità.

Ciò sta a indicare che vi è una stretta associazione tra la capacità


di pianificare e persistere nell’attuazione dei piani e il risultato di gara.

Riportiamo i dati su un grafico a dispersione e osserviamo il


comportamento.
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

Come ci si aspettava, l’inclinazione della linea di tendenza di


correlazione è rivolta verso l’alto e sta a indicare, come appunto il segno
positivo dell’indice ρ di Spearman suggerisce, che al crescere di una
cresce anche l’altra variabile.
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tau di Kendall

3. IL COEFFICIENTE TAU (Τ) DI KENDALL


Quando sono presenti molti ranghi uguali tra le variabili si
originano molte differenze nulle o prossime allo zero.

Ma ciò causa una distorsione nel calcolo, portando a una


sovrastima il coefficiente di correlazione.

In questi casi si utilizza il coefficiente tau (τ) di Kendall

𝑆
τ =1
𝑁 (𝑁−1)
2

La lettera S sta ad indicare la somma dei valori attribuiti ai


confronti di tutte le possibili coppie della graduatoria.

Capiamo come applicare questo metodo direttamente con un


esempio analogo a quello del libro di testo.

In un’azienda artigianale si vuol comprendere se l’anzianità


organizzativa dei propri dipendenti è in qualche modo relata al grado
di produttività.

Al riguardo vi sono pareri discordanti.

C’è chi sostiene che i dipendenti più giovani sono più freschi di
energie e più motivati a restare in azienda e che quindi questo li porti
a produrre di più. D’altra parte, ritengono che i lavoratori più anziani
producano di meno a causa della stanchezza, della ripetitività del
lavoro e per l’assenza di stimoli.

Altri ritengono, invece, che i dipendenti più giovani manchino di


esperienza nel pianificare il lavoro, nel suddividerlo in fasi idonee
all’ottimizzazione delle risorse e del risultato e che quindi possano
produrre di meno dei lavoratori più esperti che, avendo maturato una
maggiore abilità, sono in grado di produrre in maggiore quantità
rispetto ai lavoratori più giovani (in senso aziendale) e quindi meno
esperti.
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

Chi ha ragione?

Notate che non dobbiamo valutare se l’anzianità organizzativa


sia causa della maggiore produttività. Giovinezza o anzianità sono
messe in relazione ad altre variabili – non misurate – e si ipotizza che
queste ultime (non quantificate) influenzino direttamente la
produttività. In questo caso si vuol comprendere se e quale grado di
associazione esiste tra l’anzianità organizzativa e la produttività.

Si contano i pezzi prodotti dai lavoratori e si stila una


graduatoria inserendo al primo posto colui che ha prodotto il maggior
numero di pezzi e via via a scendere sino al settimo e ultimo posto al
lavoratore che ha prodotto meno pezzi.

Per ciascun lavoratore si contano gli anni di servizio aziendali e


li si pone in graduatoria inserendo al primo posto quello con maggiore
anzianità e all’ultimo posto l’ultimo arrivato.

Si ottiene così la seguente tabella avendo cura di ordinare i


lavoratori secondo un ordine crescente di anzianità di servizio
(variabile X) e indicando a fianco la graduatoria relativa alla
prestazione (variabile Y).

Lavoratore Anzianità Produzione (yi)


lavorativa (xi)
C 1° 1,5°
D 2° 3°
E 3,5° 4°
G 3,5° 1,5°
B 5,5° 6°
F 5,5° 5°
A 7° 7°
Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

I casi E e G analoghi a quelli di B ed F riguardano lavoratori


assunti in azienda nello stesso periodo, e quindi l’anzianità
organizzativa assumerà una posizione intermedia.

Abbiamo inoltre due lavoratori, il C e il G, che hanno prodotto la


stessa quantità di pezzi e perciò condividono la stessa posizione in
graduatoria.

A questo punto si è in grado di iniziare a effettuare la procedura


che porterà al calcolo della S, cioè la somma dei valori attribuiti ai
confronti di tutte le possibili coppie della graduatoria.

Leggendo la prima riga, quella del lavoratore C, si confronta la


sua graduatoria di prestazione (1,5) con quella del lavoratore
successivo in graduatoria che ha meno anni di servizio, quindi con la
prestazione del lavoratore D. Poiché il lavoratore successivo ha un
valore prestazionale in graduatoria di 3, e 3 è maggiore di 1,5 il
confronto assume un valore positivo, e viene segnato con un +1 nella
tabella dei confronti. Quando il confronto assume un valore negativo,
cioè il valore prestazionale del lavoratore successivo è inferiore, si
scrive un -1 in tabella.

Così si passa al successivo confronto a coppia. Sempre del


lavoratore C si confronta col successivo ancora, cioè con E il quale
avendo un yE = 4, abbiamo 4 > 1,5 e quindi segneremo + 1 in tabella.

Al successivo ancora si confrontano le yi e vediamo che

yC = 1,5 = yG = 1, 5

e si assegna uno 0 al confronto.

Effettuando tutti i confronti otteniamo infine la seguente tabella.


Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

D E G B F A
+ + + + +
C 0
1 1 1 1 1
+ - + + +
D
1 1 1 1 1
+ + +
E 0
1 1 1
+ + +
G
1 1 1
+
B 0
1
+
F
1
A

Si contano le volte che compare il valore +1 e quante volte il


valore -1 e si fa la somma di questi due numeri.

Si conta 17 volte +1 e 1 volta -1. Quindi si calcola S

S = 17(+1) + 1(-1) = 17 – 1 = 16

A questo punto si può applicare la formula del tau di Kendall

𝑆 16 16 16
τ=1 =1 =1 = 21 = 0,76
𝑁 (𝑁−1) 7 (7−1) ∗ 7∗6
2 2 2

Riportiamo i valori delle due variabili su un grafico a dispersione


Universitas Mercatorum Correlazioni rho di Spearman e
tau di Kendall

L’indice τ positivo e molto vicino all’unità e la distanza dei punti


dalla linea di tendenza è molto piccola.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

Correlazioni in casi particolari


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come possono essere
studiate diversi tipi di correlazioni in casi particolari.
Ciascun studente imparerà il sistema di calcolo per il coefficiente
tau di Kendall quando si presentano molti ranghi uguali e il coefficiente
di correlazione punto-biseriale su scale miste e nominali.
La comprensione del metodo di calcolo unito agli esercizi svolti a
lezione consentirà l’apprendimento facilitato di questi indici di
associazione.
I diversi esempi forniti serviranno da aiuto mnemonico.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

1. TAU DI KENDALL CON RANGHI UGUALI


Quando i ranghi ottenuti nelle due graduatorie delle relative
variabili sono per lo più uguali, e con ciò si intende più di 3 coppie di
valori uguali, il coefficiente tau di Kendall subisce una modifica nel
calcolo.

La formula normale del tau di Kendall è la seguente

𝑆
τ =1
2
𝑁 (𝑁−1)

Per calcolare questo indice in caso di più di 3 coppie di ranghi


identiche si applica quest’altra formula

𝑆
τ=
1 1
√( 𝑁 (𝑁−1)−𝑇𝑥)( 𝑁 (𝑁−1)−𝑇𝑦)
2 2

È un indice che restituisce un valore consueto per gli indici di


correlazione da -1 a +1.

Vediamo che al numeratore non vi sono cambiamenti. La


quantità denominata S indica la somma dei valori attribuiti ai
confronti di tutte le possibili coppie della graduatoria.

Notiamo cambiamenti al denominatore. Sono presenti due nuove


quantità, la Tx e la Ty. Queste due quantità rendono conto del numero
di ranghi uguali nelle rispettive distribuzioni.

Vediamo come si calcolano.

1
Tx = ∑𝑖 𝑡𝑥𝑖 (𝑡𝑥𝑖 − 1)
2

Dove per txi si intende il numero di ranghi uguali per ciascun


gruppo di ranghi uguali nella graduatoria di X.

1
Ty = ∑𝑖 𝑡𝑦𝑖 (𝑡𝑦𝑖 − 1)
2
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

Dove per tyi si intende il numero di ranghi uguali per ciascun


gruppo di ranghi uguali nella graduatoria di Y. Per chiarire,
utilizziamo un caso fittizio.

Lavoratore Anzianità Produzione (yi)


lavorativa (xi)
C 1° 1,5°
D 2° 3°
E 3,5° 4°
G 3,5° 1,5°
B 5,5° 6°
F 5,5° 5°
A 7° 7°
H 8° 8°
I 8° 9,5°
L 8° 9,5°
M 11° 11°

Si tratta di una situazione nota, ma con un aggiunta recente di


alcuni lavoratori.

Innanzitutto si possono subito individuare il numero di ranghi


uguali per ciascun gruppo di ranghi uguali nelle graduatorie.

Questo ci consente di calcolare le rispettive T

1
Tx = ∑𝑖 𝑡𝑥𝑖 (𝑡𝑥𝑖 − 1) = ½ * { [2*(2-1)] + [2*(2-1)] + [3*(3-1)] } = 5
2

1
Ty = ∑𝑖 𝑡𝑦𝑖 (𝑡𝑦𝑖 − 1) = ½ * { [2*(2-1)] + [2*(2-1)] } = 2
2

Andando oltre nel procedimento per calcolare S ci servono i


valori attribuiti ai confronti di tutte le possibili coppie della
graduatoria.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

D E G B F A H I L M
+ + + + + + + + +
C 0
1 1 1 1 1 1 1 1 1
+ - + + + + + + +
D
1 1 1 1 1 1 1 1 1
+ + + + + + +
E 0
1 1 1 1 1 1 1
+ + + + + + +
G
1 1 1 1 1 1 1
+ + + + +
B 0
1 1 1 1 1
+ + + + +
F
1 1 1 1 1
+ + + +
A
1 1 1 1
+ + +
H
1 1 1
+ +
I1 1
+
L
1
M

Otteniamo così 51 volte +1 e 1 volta -1. S sarà quindi

S = 51 – 1 = 50

Calcoliamo il denominatore del tau di Kendall con la formula

1 1
√( 𝑁 (𝑁 − 1) − 𝑇𝑥) ( 𝑁 (𝑁 − 1) − 𝑇𝑦)
2 2

Sostituiamo con i valori


Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

1 1
√( 11 (11 − 1) − 5) ( 11 (11 − 1) − 2) = 51,478
2 2

Perciò

50
tau = = 0,97
51,478

Si tratta di una corrispondenza quasi perfetta.

Ciò sta a indicare che, in questa azienda, vi è una forte


corrispondenza tra la performance e l’anzianità organizzativa. Questo
dovrebbe suggerire all’azienda di fare in modo che i membri più maturi
stiano con quelli più giovani e trasmettano loro le conoscenze e seguano
il loro progresso in modo da livellare la performance e aumentare la
produzione totale.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

2. IL COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE PUNTO


BISERIALE (RPB)
Il coefficiente di correlazione punto biseriale (rpb) si utilizza
quando si vuole calcolare il grado di correlazione tra due variabili che
provengono da scale di misura differenti, una quantitativa e l’altra
dicotomica.

È dicotomica la variabile che può assumere solo 2 valori, come


nel caso di vero o falso, uomo o donna, sì o no, giusto per fare un
esempio.

Si calcola in questo modo

𝑋̅𝑎 − 𝑋̅𝑏 𝑁𝑎 𝑁𝑏
rpb = ∗ √ ∗
𝑆𝑡𝑜𝑡 𝑁 𝑁

È un indice che restituisce un valore consueto per gli indici di


correlazione da -1 a +1.

In questa formula, dove per X si intende la variabile continua e


Y la dicotomica, sono inserite le seguenti grandezze

rpb = coefficiente di correlazione biseriale

a e b = i valori dicotomici

𝑋̅𝑎 = media in X di coloro che in Y hanno valore a

𝑋̅𝑏 = media in X di coloro che in Y hanno valore b

𝑆𝑡𝑜𝑡 = deviazione standard dell’intero campione N

𝑁𝑎 = Numerosità dei casi che rientrano nella categoria a della


variabile dicotomica

𝑁𝑏 = Numerosità dei casi che rientrano nella categoria b della


variabile dicotomica
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

𝑁 = Numerosità del campione

Applichiamo ad un caso analogo presente nel libro di testo.

Un docente di psicometria vuol stabilire se nel suo gruppo di


studenti sia vero, secondo un pregiudizio infondato, che all’esame i
maschi abbiano più successo delle femmine.

Dopo l’esame raccoglie i dati e ordina i dati secondo la variabile


X, relativa al genere, inserendo prima i maschi e poi tutte le femmine
e per ciascuno di loro il voto d’esame.

Si riporta la tabella (divisa su due righe per distinguere le due


modalità della variabile dicotomica) dove sono stati inseriti i valori
delle varie xi per la variabile X di genere e i valori delle varie yi per la
variabile Y del voto d’esame.

x M M M M M M M M M M M M M
i

y 2 2 2 2 1 3 2 2 1 2 2 2 1
i 8 5 4 2 8 0 9 7 8 2 9 2 8

x F F F F F F F
i

y 2 2 3 1 1 3 2
i 0 5 0 8 8 0 7

I primi calcoli da fare sono le medie della variabile Y per ciascuna


modalità della variabile X e la deviazione standard totale.

Si tenga conto che, nella variabile dicotomica, M = a e F = b.


Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

∑ 𝑥𝑖 28+25+24+22+18+30+29+27+18+22+29+22+18 312
𝑋̅𝑎 = = = =
𝑁𝑎 13 13

24

∑𝑥 20+25+30+18+30+27 168
𝑋̅𝑏 = 𝑖 = = = 24
𝑁𝑏 7 7

Calcoliamo ora la media dell’intero campione.

𝑋̅ =
28+25+24+22+18+30+29+27+18+22+29+22+18+20+25+30+18+30+27
= 24
20

Possiamo ora calcolare la deviazione standard totale e


riportiamo il risultato finale

∑ 𝑥𝑖2 11922
𝑆𝑡𝑜𝑡 = √ − 𝑥̅ 2 = √ − 576 = √20,1 = 4,48
𝑁 20

A questo punto abbiamo tutti i valori per applicare la formula

𝑋̅𝑎 ∗ 𝑋̅𝑏 𝑁𝑎 𝑁𝑏 24− 24 13 7


rpb = ∗ √ ∗ = ∗ √ ∗ =
𝑆𝑡𝑜𝑡 𝑁 𝑁 4,48 20 20

= 0 * √0,65 ∗ 0,35 = 0

Il docente conclude che non vi è nessuna correlazione tra il voto


d’esame e il genere.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

3. IL COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE RΦ
Il coefficiente di correlazione rϕ (rphi) si utilizza quando si vuole
calcolare il grado di correlazione tra due variabili entrambi
dicotomiche.

Per meglio comprendere la formula e i passaggi, prendiamo


spunto da un semplice esempio ipotetico.

Esaminiamo il caso di due item a cui si risponde o con sì o con un


no.

Indichiamo le frequenze registrate e le disponiamo in una tabella


come quella che segue analoga a quella del libro di testo.

Item 2 TOT
Sì No
Sì fa + fb
fa fb
(= p)
No fc + fd
Item 1

fc fd
(= q)
TOT fa + fc fb + fc
N
(= p') (= q')

Le frequenze indicate in tabella sono le quantità da introdurre


nella formula per il calcolo del coefficiente di correlazione rϕ

(𝑓𝑎 ∗ 𝑓𝑑) − (𝑓𝑏 ∗ 𝑓𝑐)


rϕ =
√(𝑝 ∗ 𝑝′)∗ (𝑞 ∗ 𝑞′)

Vediamo un esempio applicativo.

Una società si servizi impianta un’indagine tra i propri clienti


chiedendo loro se sono soddisfatti del servizio e se raccomanderebbero
il servizio stesso ad altri.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

I dati raccolti sono riassunti in tabella

Soddisfatt Raccomanderebbe? TOT


Sì No
Sì 38 25 63
No 12 17 29
TOT 50 42 92
o?

Applichiamo la formula

(𝑓𝑎 ∗ 𝑓𝑑) − (𝑓𝑏 ∗ 𝑓𝑐) (38∗ 17) − (25 ∗ 12)


rϕ = = = 0,18
√(𝑝 ∗ 𝑝′)∗ (𝑞 ∗ 𝑞′) √(63 ∗ 29)∗ (50 ∗ 42)

il coefficiente rϕ è molto basso, ma non è neppure trascurabile.

Come rispondereste alla domanda “È vero che chi è soddisfatto


del servizio lo raccomanderebbe ad altri?”

È vero che il coefficiente non è trascurabile seppure molto basso


però è pur vero che non sappiamo rispondere con certezza sì o no alla
domanda. Cioè risponderemo “Sì ma pochissimo”? Oppure “No, però un
pochino anche sì”? E, nel caso fosse sì, quanto sarebbe questo
pochissimo e rispetto a cosa?

Questo introduce l’argomento della significatività.


Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

4. LA SIGNIFICATIVITÀ DEI COEFFICIENTI DI


CORRELAZIONE
Cos’è significativo? Ciò che riesce a spiegare un determinato
fatto o una condizione, che riesce a mostrare quanto è effettivamente
presente nella realtà. Il suo contrario è ciò che invece senso non ha, che
non ha riscontro nella realtà, che non sviluppa né spiega alcun
significato, che non riesce a dare senso a un’idea, a un fatto o a una
condizione.

In statistica la significatività di un certo risultato è espressa in


termini di probabilità.

Nella curva normale di Gauss la distribuzione può essere vista


come distribuzione della probabilità del verificarsi di un certo evento
ma anche come distribuzione degli errori.

Nel centro ricadrebbero gli eventi (o errori) più probabili e


all’esterno quelli meno probabili.

Quando si ottiene un certo valore nei test e lo vogliamo


confrontare con i valori di una distribuzione normale la domanda
diventa: quanto è probabile che il valore ottenuto sia dovuto proprio ad
un effetto reale di ciò che stiamo analizzando o quanto invece è
probabile che sia dovuto al caso?
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

Non ci addentriamo nella complessa e lunga trattazione che


riguarda la verifica delle ipotesi poiché ciò che è scritto nei libri di testo
e nei vari manuali è più che sufficiente, ma chiariamo alcuni concetti.

Quando si fanno delle ipotesi in psicometria e nelle scienze


psicologiche deve essere chiara la domanda di ricerca.

La risposta non può essere ambigua. Chiara la domanda e chiara


la risposta. Inoltre, deve essere espresso il livello di probabilità,
chiamato anche di confidenza, della conferma o disconferma di
un’ipotesi.

Ritorniamo alla formulazione delle ipotesi.

L’ipotesi deve essere confermata o meno. Nel confermarla o meno


c’è un margine di errore. È questo errore che va tenuto sotto controllo.
Quale soglia non deve superare? Rispondiamo dopo.

Si dice, quando viene formulata un’ipotesi, che si formula


un’ipotesi principale chiamata nulla e quindi un’ipotesi alternativa.

Ci si chiede: esistono motivi per ritenere che esista una relazione


tra due fenomeni?

L’ipotesi nulla viene indicata nei manuali come H0 e l’ipotesi


alternativa con H1.

L’ipotesi nulla (zero) afferma che non esiste alcuna relazione tra
due fenomeni misurati, salvo prova contraria. Questo è analogo al
principio legale della presunzione di innocenza, in cui si presume che
un sospettato o imputato sia innocente fino a prova contraria al di là di
un ragionevole dubbio. La domanda in questo caso è: sino a quale soglia
possiamo dire che il dubbio è ragionevole e l’imputato deve intendersi
innocente?

Se io rifiuto l’ipotesi nulla (quella secondo cui non c’è alcuna


relazione) e sbaglio (dico che c’è relazione invece la relazione non c’è),
commetto un errore, questo errore è chiamato errore del primo tipo
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

(sbaglio nel rifiutare l’ipotesi nulla). Questo errore è indicato in termini


simbolici con la lettera greca alfa minuscola.

Se sbaglio accettando l’ipotesi nulla e quindi rifiuto l’ipotesi


alternativa, commetto un errore; questo errore è chiamato del secondo
tipo (sbaglio nell’accettare l’ipotesi nulla, sbaglio nel rifiutare l’ipotesi
alternativa). Questo errore è indicato in termini simbolici con la lettera
greca beta minuscola, corrisponde a β = 1 – α.

Ritorniamo alla nostra domanda: quale soglia di errore non devo


superare per ritenere falsa l’ipotesi nulla? Oltre una certa soglia siamo
costretti a rifiutare l’ipotesi nulla e allora accettiamo l’ipotesi
alternativa. E di nuovo la domanda: quale soglia di errore è ritenuta
accettabile?

Si è universalmente concordi nel dire che non si deve superare il


valore del 5%.

Questo è indicato in italiano con sig. < ,05 e in inglese con p <
.05, ovvero α = ,05 o .05 a seconda che si sta scrivendo in italiano o in
inglese. Lo zero prima della virgola o del punto non si scrive per
semplificare la lettura.

Sinché il livello di errore è minore di questa soglia allora si dice


che il risultato del test è significativo, respingiamo l’ipotesi nulla
secondo cui non esiste relazione tra le variabili osservate (rispetto ad
una nostra particolare domanda di ricerca) e accettiamo l’ipotesi
alternativa e cioè che tra le due variabili esiste una relazione.

I software odierni per i calcoli e le analisi statistiche oltre a


restituire il valore dell’indice che si sta calcolando offrono anche il
livello di significatività con cui effettuare la scelta nel ritenere esistente
una certa relazione o meno.
Universitas Mercatorum Correlazioni in casi particolari

Nel caso della correlazione il libro di testo (Statistica per le


scienze del comportamento) alla pagina 475 riporta una tavola con i
valori cosiddetti critici.

Volendo risolvere il dubbio espresso alla fine del paragrafo


precedente, cioè se con un rϕ = 0,18 possiamo affermare o meno che ci
sia relazione tra l’essere soddisfatti del servizio e raccomandarlo ad
altri, controlliamo che dice la tavola.

Il nostro è un test a due code (il termine code fa riferimento a


quelle della campana di Gauss), abbiamo un N = 92. La tavola ci dice
che in caso di 90 soggetti, al livello di significatività α = ,05, avremmo
dovuto avere un indice di almeno 0,205; in caso di 100 soggetti almeno
0,195.

Il valore del nostro indice è inferiore a questo valore (0,18 <


0,195) quindi no, non c’è alcuna correlazione tra l’essere soddisfatti del
servizio e il volerlo proporre ad altri.
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

L’applicazione dell’associazione tra variabili


Far prendere dimestichezza con il riconoscimento delle variabili e del
tipo di test più appropriato per effettuare la misura dell’associazione,
come esporrei risultati e come rappresentarli su un piano cartesiano
ortogonale.
Effettuare valutazioni e saper esprimere giudizi basandosi sul
riconoscimento dei valori soglia degli indici e delle forme delle linee sul
piano cartesiano ortogonale.
In particolare, al fine di sviluppare le abilità di calcolo necessarie, sono
esaminati dei casi relativi all’applicazione del coefficiente di Spearman
per variabili miste, del coefficiente di Spearman per variabili ordinali,
del coefficiente rpb punto biseriale e, infine, del coefficiente di
correlazione rϕ.
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

1. L’APPLICAZIONE DEL COEFFICIENTE DI


SPEARMAN PER VARIABILI MISTE1
Uno psicologo vuole indagare se esiste una correlazione tra l’abilità
manuale (variabile X) e l’intelligenza (variabile Y) in un gruppo di 8
ragazzi che frequentano un istituto professionale.

A tal fine annota le posizioni in graduatoria che i ragazzi hanno


ottenuto in una gara di abilità manuale.

Al primo posto si colloca il ragazzo più preciso, all’ultimo quello meno


preciso.

A questi ragazzi lo psicologo somministra un test per adolescenti che


misura l’intelligenza.

I dati sono riassunti in tabella.

Studente Posizione gara (xi) Punteggio al test (yi)


A 4° 100
B 1° 103
C 8° 98
D 3° 101
E 6° 97
F 7° 93
G 2° 104
H 5° 100

Poiché la variabile X è su scala ordinale e la variabile Y è su scala a


intervalli equivalenti si applicherà il coefficiente r di Spearman.

Il primo passo da compiere è quello di convertire la distribuzione della


variabile Y da intervalli a ordinale attribuendo i ranghi ai punteggi.

1
E57, Elementi di psicometria
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

I ragazzi con i punteggi più alti saranno collocati ai primi posti, i


ragazzi con i punteggi più bassi agli ultimi.

Studente Posizione gara (xi) Punteggio al test (yi)


A 4° 100 → 4,5
B 1° 103 → 2
C 8° 98 → 6
D 3° 101 → 3
E 6° 97 → 7
F 7° 93 → 8
G 2° 104 → 1
H 5° 100 → 4,5

Poiché due ragazzi hanno ottenuto lo stesso punteggio si è inserita la


posizione intermedia per entrambi.

Si calcolano le differenze e si elevano al quadrato.

Studente (xi) (yi) di di2


A 4° 4,5 4 – 4,5 = - 0,25
0,25
B 1° 2 -1 1
C 8° 6 2 4
D 3° 3 0 0
E 6° 7 -1 1
F 7° 8 -1 1
G 2° 1 1 1
H 5° 4,5 0,5 0,25

Applichiamo la formula
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

∑ 𝑑𝑖2 = 0,25 + 1 + 4 + 0 + 1 + 1 + 1 + 0,25 = 8,50

6∗ 𝑑2 6∗ 8,50
rs = 1 - 𝑁∗(𝑁2 𝑖− 1) = 8∗(82 − 1) = 0,90

Il valore del coefficiente di r di Spearman, poiché si avvicina all’unita,


indica una forte relazione, di segno positivo, ovvero, al crescere dell’una
cresce anche l’altra variabile.

Osserviamo il risultato su un grafico a dispersione.

È evidente la relazione lineare positiva che indica una forte


associazione tra la posizione di gara e il test di intelligenza.
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

2. L’APPLICAZIONE DEL COEFFICIENTE DI


SPEARMAN PER VARIABILI ORDINALI 2
È tipico di questi tempi assistere a dei talent show televisivi dove gli
artisti si esibiscono e vengono valutati sia da esperti che dal pubblico
da casa mediante televoto.

Nel giudizio degli esperti e in quello del pubblico rientrano parametri


totalmente differenti.

Ciò che si vuol capire è se tali giudizi possono in qualche modo


convergere.

Vengono quindi scelte a caso 10 ragazze di danza classica che


partecipano a uno di questi programmi televisivi.

Sottoponiamo a verifica una delle prestazioni valutate.

I giudizi, sotto forma di graduatoria, sono esposti in tabella.

Ballerina Giuria tecnica (xi) Giuria popolare (yi)


A 4° 3°
B 6° 1°
C 8° 6°
D 2° 5°
E 7° 8°
F 3° 9°
G 9° 2°
H 10° 7°
I 5° 10°
L 1° 4°

2
EF9, Elementi di psicometria
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

Poiché entrambe le variabili sono ordinali si applica la formula della


correlazione r di Spearman avendo cura di calcolare prima le differenze
e il loro quadrato.

Ballerina Giuria Giuria di di2


tecnica (xi) popolare (yi)
A 4° 3° 4–3=1 1
B 6° 1° 5 25
C 8° 6° 2 4
D 2° 5° -3 9
E 7° 8° -1 1
F 3° 9° -6 36
G 9° 2° 7 49
H 10° 7° 3 9
I 5° 10° -5 25
L 1° 4° -3 9

∑ 𝑑𝑖2 = 1 + 25 + 4 + 9 + 1 + 36 + 49 + 9 + 25 + 9 = 168

6∗ 𝑑2 6∗ 168
rs = 1 - 𝑁∗(𝑁2 𝑖− 1) = 10∗(102 − 1) = - 0,01

Dal valore del coefficiente, che si approssima allo zero, è evidente che i
giudizi espressi dagli esperti e quelli espressi dal pubblico non hanno
alcuna associazione. Quindi, le le ballerine sono apprezzate (o meno)
per motivi diversi dai due gruppi giudicanti.

Vediamo come si dispone la nuvola dei punteggi sul piano cartesiano


ortogonale.
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tra variabili

3. APPLICAZIONE DEL COEFFICIENTE RPB PUNTO


BISERIALE
In una scuola guida in cui a lezione e in altre occasioni si fanno spesso
battute sulle donne al volante, si decide di verificare con un test
psicometrico se esiste davvero una qualche relazione tra il genere e il
grado di preparazione e di riuscita all’esame di teoria.

Vengono registrai i risultati di 14 partecipanti ad una classe.

Candidato Genere Punteggio Candidato Genere Punteggio


(xi) (yi) (xi) (yi)
1 M 7 8 M 4
2 F 10 9 F 7
3 F 9 10 M 3
4 M 8 11 F 2
5 F 7 12 F 8
6 F 6 13 M 7
7 M 10 14 F 5

Poiché una variabile è quantitativa e l’altra nominale dicotomica si


applica il test del coefficiente rpb punto biseriale.

Candidato Genere Punteggio Candidato Genere Punteggio


(xi) (yi) (xi) (yi)
2 F 10 1 M 7
3 F 9 4 M 8
5 F 7 7 M 10
6 F 6 8 M 4
9 F 7 10 M 3
11 F 2 13 M 7
12 F 8
14 F 5
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

Si calcolano prima le medie della variabile Y per ciascuna modalità


della variabile X.

Nell’applicare la formula si decide di attribuire la lettera a minuscola


alle donne e la lettera b minuscola agli uomini.

∑𝑥 10+9+7+6+7+2+8+5 54
𝑋̅𝑎 = 𝑖 = = = 6,75
𝑁𝑎 8 8

∑𝑥 7+8+10+4+3+7 39
𝑋̅𝑏 = 𝑁 𝑖 = = = 6,5
𝑏 6 6

Calcoliamo quindi la media generale

10+9+7+6+7+2+8+5+7+8+10+4+3+7
𝑋̅ = = 6,64
14

Calcoliamo la deviazione standard generale

∑ 𝑥𝑖2 695
𝑆𝑡𝑜𝑡 = √ − 𝑥̅ 2 = √ 14 − 44,08 = √5,56 = 2,35
𝑁

Possiamo ora applicare la formula per il calcolo del coefficiente rpb


punto biseriale.

𝑋̅𝑎 ∗ 𝑋̅𝑏 𝑁 𝑁𝑏 6,75− 6,5 8 6


rpb = ∗ √ 𝑁𝑎 ∗ = ∗ √14 ∗ 14 =
𝑆𝑡𝑜𝑡 𝑁 2,35

= 0,10 * √0,23 = 0,04

Si è ottenuto un coefficiente prossimo allo zero. Si può quindi affermare


che non esiste alcuna differenza di genere in merito all’esito dell’esame
di teoria per la patente di guida.
Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

4 APPLICAZIONE DEL COEFFICIENTE DI


CORRELAZIONE RΦ3
In una scuola una classe di studenti viene invitata a partecipare ad un
programma di scambio culturale.

Precedentemente gli stessi studenti avevano svolto un test di lingua


inglese.

Vengono quindi confrontati i risultati del test di inglese (I = idoneo, N


= non idoneo) con la loro partecipazione al programma di scambio
culturale (sì = ha partecipato, No = non ha partecipato).

Si è interessati a capire se esiste una qualche relazione tra il profitto


raggiunto nella lingua straniera e il partecipare a iniziative di scambio
culturale con persone di altre lingue.

I dati sono raccolti in tabella.

Alunno Partecipazione Esito test inglese


programma scambio (yi)
culturale (xi)
1 Sì I
2 Sì I
3 No N
4 Sì N
5 Sì I
6 Sì I
7 No I
8 No N
9 Sì I
10 No I
11 No N
12 No I

3 E63, Elementi di psicometria


Universitas Mercatorum L’applicazione dell’associazione
tra variabili

13 Sì I
14 No N
15 Sì N
16 Sì I
17 Sì I

Poiché si tratta di due variabili dicotomiche si applica il test


psicometrico del coefficiente di correlazione rϕ.

Si costruisce quindi la tabella di contingenza dove sono riassunte le


modalità delle variabili dicotomiche calcolando anche le frequenze
marginali.

Test inglese TOT


parteciapzione

Idoneo Non idoneo


Sì 8 (fa) 2 (fb) 10 (p)
No 3 (fc) 4 (fd) 7 (q)
TOT 11 (p') 6 (q') 17 (N)

Avendo tutti i dati possiamo ora applicare la formula

(𝑓𝑎 ∗ 𝑓𝑑) − (𝑓𝑏 ∗ 𝑓𝑐) (8 ∗ 4) − (3 ∗ 2)


rϕ = = = 0,38
√(𝑝 ∗ 𝑝′)∗ (𝑞 ∗ 𝑞′) √(10 ∗ 11)∗ (7 ∗ 6)

L’indice è positivo, quindi le variabili vanno entrambe nella stessa


direzione, ovvero se cresce una cresce anche l’altra.

Il valore del coefficiente indica una consistente correlazione.

Si può perciò affermare che esiste una consistente relazione tra coloro
che superano il test di inglese e coloro che partecipano alle attività
programmate per lo scambio culturale.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

La regressione lineare
La lezione ha l’obiettivo di far comprendere la differenza tra
i test psicometrici che indagano l’associazione tra variabili e quelli che
li pongono in relazione di causa-effetto.
Ciascun studente imparerà cosa significa la retta di
regressione sul piano cartesiano ortogonale e le sue caratteristiche.
Verrà esaminata l’importanza del coefficiente di
determinazione e sarà spiegato come calcolare questo coefficiente.
Infine, sarà spiegato il sistema dei minimi quadrati e perché
è rilevante per il calcolo della retta di regressione.
I diversi esempi forniti serviranno da aiuto mnemonico.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

1. ASSOCIAZIONE, CAUSA, EFFETTO


Nella vita di tutti i giorni siamo abituati a esprimere
inferenze, cioè a dire qual è o quali sono le cose che causano un certo
effetto, un certo fenomeno o accadimento.

Per esempio, a chi ha mal di pancia in genere gli si chiede


cosa ha mangiato e subito dopo si dirà “ah ecco, vedi? È proprio quello
che ti ha fatto venire il mal di pancia”.

Anche nelle relazioni, amiche e amici, cugine e cugini, sono


pronti a dire la loro sul perché è accaduto qualcosa tra te e la persona
con cui sei legato. In genere si fa ricorso a stereotipi altre volte a
spiegazioni che di scientifico non hanno ovviamente nulla.

Il problema è che queste relazioni di causa effetto sono


ingenuamente, ma purtroppo diffusamente, affermate anche in
ambienti dove si decide della qualità della vita degli altri.

Nel campo lavorativo e delle organizzazioni ciò è tristemente


noto. Chi dirige può farlo al di là di ciò che gli studi insegnano e
spiegano sul comportamento umano. Non è insolito quini sentir dire da
alcuni “So io cosa ci vuole per fare andare avanti un’azienda: polso duro
e solerzia!”, e chi mai contraddirebbe una cosa del genere?

Ancora, “Ah… so bene come sono questi, gli dai un dito, si


prendono la mano e tutto il braccio! Se vuoi che producano senza che si
lamentino non dare mai confidenza e non dare mai retta a quello che ti
dicono”.

Oppure, “Ah così ti ha detto? E tu gli hai creduto? Guarda,


so io perché, adesso te lo spiego. Quando …”

Come esseri umani abbiamo davvero bisogno di sapere il


perché delle cose. Ed è bello e giusto così. La psicologia fa proprio
questo. Cerca di capire come si evolvono i fenomeni e il loro perché così,
Universitas Mercatorum La regressione lineare

se possibile, si può capire come intervenire per migliorare lo stato di


salute e il benessere.

È tuttavia molto facile commettere degli errori quando si


cerca di capire la o le cause di certi fatti.

Ed è molto facile in psicometria abusare di certi test statistici


per dimostrare qualcosa che è indimostrabile.

Qualunque test psicometrico che metta in relazione di


causa-effetto due variabili deve avere un fondamento scientifico, deve
avere un modello teorico che lo giustifichi.

Per esempio, supponiamo di trovare che in una certa zona


geografica gli studenti che abitino in pianura prendano voti più alti di
quelli che abitano in collina o in montagna. Vuol dire forse che
l’altitudine fa abbassare i voti? Se così fosse, sarebbe sufficiente
trasferirsi a vivere in pianura giusto per il periodo degli studi per
ottenere voti migliori. Ma chi ci crede?

Così come nella correlazione dire che due variabili covariano


non significa metterli in relazione di causa effetto così anche quando si
va ad utilizzare test specifici che invece mettono in relazione di causa
effetto due variabili ciò si può fare se e solo se esiste un fondamento
teorico scientifico tale da giustificarlo. Il rischio sarebbe o di vantarsi
di aver scoperto l’acqua calda oppure l’acqua asciutta (che non esiste).

La regressione lineare consente di stabilire se due variabili


sono in relazione di causa-effetto, ma solo dal punto di vista
matematico. Affinché abbia valore dietro ci deve essere una teoria che
supporti i nostri risultati.

Per teoria non si intende come nel linguaggio quotidiano


qualcosa che è vero solo a parole (frase tipica: “Una cosa è la teoria,
un’altra è la pratica”). Quando si parla di teoria dal punto di vista
scientifico si tratta della descrizione di un fenomeno che rende possibile
Universitas Mercatorum La regressione lineare

fare delle previsioni. Significa che esiste una tale mole di risultati
empirici per cui si può affermare con una certa sicurezza il legame tra
alcuni fattori e il loro esito. Non c’è nulla di filosofico, nulla di
speculativo. La teoria scientifica non è dogmatica, ammette zone
incerte, ammette errori, ed è disponibile alla revisione se vi sono
ragioni fondate per farlo.

Questa specificazione è parsa doverosa affinché si compia un


uso consapevole e responsabile dell’analisi della regressione lineare.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

2. LA REGRESSIONE SUL PIANO CARTESIANO


Vediamo con esempi progressivi come nasce il concetto di
regressione lineare.

Utilizziamo un grafico a dispersione.

Sull’asse delle ascisse inseriamo i valori della variabile X che


prende il nome di variabile predittrice o variabile indipendente,
rappresenta la causa del fenomeno.

Sull’asse delle ordinate inseriamo i valori della variabile Y


che prende il nome di variabile criterio o variabile dipendente,
rappresenta l’effetto del fenomeno.

Si ricordi che l’obiettivo finale è riuscire a trovare


quell’equazione che lega matematicamente i punteggi Y a quelli della
X.

Ci faremo aiutare dal software che di volta in volta indicherà


la retta di tendenza che nel nostro caso ha lo stesso significato della
retta di regressione.

Supponiamo di voler capire come il rapporto che i dipendenti


hanno del loro capo influisce sulla loro soddisfazione lavorativa. Le
scale vanno da 1 a 5, dove 1 rappresenta il livello minimo e 5 il livello
massimo.

Inseriamo inizialmente un solo soggetto, totalmente


insoddisfatto e con un cattivo rapporto col capo.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

Inseriamo un secondo soggetto e vediamo come la retta


cambia a seconda del caso inserito.

Abbiamo in entrambi i casi una e una sola retta passante per


due punti.

Il terzo punto diventa decisivo, poiché descrive una linea con


una più precisa funzione di relazione tra l’asse delle ascisse e quelle
delle ordinate.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

Nel diagramma a sinistra è facile individuare la retta che ha


una relazione perfetta tra le due variabili, la Y varia linearmente e
proporzionalmente a seconda dei valori della X.

A destra le cose vanno diversamente.

Se uniamo i punti otteniamo una curva, non più una retta.


Una retta di tendenza la possiamo disegnare ma ha una certa distanza
da quei punti.

Aumentiamo i casi e vediamo il comportamento.


Universitas Mercatorum La regressione lineare

Si tratta di due distribuzioni molto differenti. Si noti come il


valore dell’ordinata fa descrivere curve diverse e linee di tendenza
diverse.

Nel caso a sinistra si apprezza una certa relazione tra le due


variabili. Nel caso a sinistra è davvero difficile capire se e quanto le due
variabili siano legate tra loro. La distanza tra i punti che la retta di
tendenza cerca di mantenere al minino è comunque molto grande.

Perciò, maggiore sarà lo scarto o la distanza tra il punto e la


retta minore sarà la capacità di quella retta di descrivere una relazione
lineare.

Viceversa, minore sarà la distanza dei punti dalla retta


maggiore sarà la capacità della retta di descrivere una relazione
lineare.

In quest’ultimo caso siamo interessati a capire quanto una


retta così riesca a descrivere la relazione tra le due variabili.

Per questo motivo ora si esamineranno i vari parametri della


retta di regressione.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

3. IL COEFFICIENTE DI DETERMINAZIONE E LA
VARIANZA RESIDUA
Come è noto, la covarianza indica quanto due variabili
variano assieme.

∑(𝑥𝑖 −𝑥̅ )∗(𝑦𝑖 −𝑦̅) ∑ 𝑥𝑦


Cov = = - 𝑥̅ 𝑦̅
𝑁 𝑁

Il rapporto tra la covarianza e il prodotto delle deviazioni


standard delle due variabili restituisce un indice, la correlazione, che
ci informa del verso e dell’entità di questa relazione.

𝐶𝑜𝑣 (𝑥,𝑦)
r= 𝜎𝑥 𝜎𝑦

se si elevano al quadrato numeratore e denominatore della


formula di calcolo, otterremo un indice che definiamo coefficiente di
determinazione.

[𝐶𝑜𝑣 (𝑥,𝑦)]2
r2 = (𝜎𝑥 𝜎𝑦 )2

Questo coefficiente esprime la variabilità nella variabile


dipendente spiegata dalla variabile indipendente, cioè quanto varia a
causa dell’altra.

Detto in altri termini, spiega la proporzione di varianza della


variabile dipendente (effetto) che viene spiegata in base alla relazione
lineare con la variabile indipendente (causa).

Se r2 misura la varianza della variabile criterio che dipende


dalla variabile predittrice, ciò che non misura sarà la varianza residua
data da

Varianza residua = 1 - r2

La varianza residua varia da 0 a 1.


Universitas Mercatorum La regressione lineare

Quando la correlazione tra le variabili è molto bassa, sarà


molto alta la varianza residua. Al contrario, quanto più alta sarà la
correlazione, e quindi sarà alta la varianza spiegata, quanto più bassa
sarà la varianza residua, cioè la varianza non spiegata dal modello
proposto.

Applichiamo il ragionamento agli ultimi casi della sezione 2


di questa lezione.

Vediamo il primo caso.

Rapporto col Soddisfazione


capo lavorativa
1 1
2 2
3 2
4 4
5 3

Il coefficiente di correlazione è di

r = 0,832

Perciò,

r2 = 0,692

La varianza residua risulta

1- r2 = 0,307

Il coefficiente r2 è sempre positivo. Poiché varia da 0 a 1 può


essere espresso in percentuale.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

Possiamo perciò affermare che il 69,2% della varianza della


soddisfazione lavorativa è determinata dal rapporto che si ha col capo,
con una variabilità residua del 30,7% dovuta ad altri fattori da noi non
esaminati.

Vediamo il secondo caso.

Rapporto col Soddisfazione


capo lavorativa
1 1
2 5
3 4
4 1
5 2

Il coefficiente di correlazione è di

r = -0,174

Perciò,

r2 = 0,030

La varianza residua risulta

1- r2 = 0,969

In questo caso solo il 3% della varianza della soddisfazione


lavorativa è determinata dal rapporto che si ha col capo. L’elevata
variabilità residua del 96,9% dovuta ad altri fattori da noi non
esaminati ci suggerisce di cercare altrove i motivi della soddisfazione
lavorativa.
Universitas Mercatorum La regressione lineare

4. IL METODO DEI MINIMI QUADRATI


Consideriamo adesso il comportamento della retta rispetto
alla distanza dai punti che l’hanno generata.

Vediamo ancora la cosa dal punto di vista prettamente


grafico/matematico, non andiamo a vedere nel dettaglio le formule.

Consideriamo nuovamente questo caso

Rapport Soddisfazion
o col e lavorativa
capo
1 1
2 2
3 2
4 4
5 3

Se si osserva bene, per il valore x=1 il valore atteso di y


sarebbe poco più grande. Per il valore di x=2 ci si attendeva un valore
poco più piccolo di 2. E così via.

Come già detto, la linea tratteggiata (di regressione) si


posiziona tra i punti in modo tale da ridurre al minimo le distanze.

La linea di regressione è la linea che meglio rappresenta


l’insieme dei punti in un grafico di dispersione. Nella situazione reale i
punti non cadranno mai davvero tutti esattamente sulla stessa linea.
Queste distanze sono chiamate errori di previsione, e sono la differenza
tra il valore osservato e il valore previsto. La retta di regressione tende
a ridurre al minimo queste differenze. Se dovessimo però sommare le
Universitas Mercatorum La regressione lineare

differenze tra i valori empirici e quelli attesi, così come accade per gli
scarti della varianza, otterremo un valore nullo. Elevando al quadrato
ciascuna differenza e sommandole assieme otterremo una quantità
positiva.

∑(𝑦𝑖 − 𝑦𝑖′ )2 = minimo

Per yi si intende il valore singolo di y osservato

Per yi’ si intende il valore di y atteso, previsto dalla retta.

La retta di regressione farà sempre sì che la somma degli


scarti quadratici sia sempre un minimo.

Questo spiega l’altro nome della retta di regressione: retta


dei minimi quadrati.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

La retta di regressione
La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come calcolare l’equazione
della retta e i suoi parametri utilizzando diversi metodi di calcolo.
Ciascun studente imparerà cosa significano ciascuno dei parametri
dell’equazione della retta, il loro significato matematico e geometrico
sul piano cartesiano ortogonale.
Ogni studente acquisirà comprensione della relazione che esiste tra i
punti della retta calcolata con i valori della variabile dipendente e
indipendente.
Saranno svolti calcoli di esemplificazione e esposti esempi che
favoriranno l’apprendimento e la memorizzazione.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

1. L’EQUAZIONE DELLA RETTA


Sappiamo che per qualunque curva o linea disegnata sul piano
cartesiano ortogonale corrisponde un’equazione che esprime il legame
tra i valori dell’asse delle ascisse con i valori dell’asse delle ordinate.

In altri termini, per ogni valore di x vi sarà un corrispondente valore di


y calcolato secondo una determinata equazione.

Questo legame indica che y è funzione del valore di x.

y = f (x)

α
x
O

In figura si può osservare una retta generica r. La domanda è: quale


relazione esiste tra le coordinate di questa retta? Ovvero, qual è la
funzione della retta?
Universitas Mercatorum La retta di regressione

L’equazione che descrive i legami tra le coordinate della retta sul piano
cartesiano ortogonale è detta equazione della retta, descrive una
funzione lineare.

Per lo studio della retta di regressione utilizziamo la forma esplicita


con la seguente notazione.

y=bx+a

Definiamo i parametri dell’equazione della retta.

La a è il punto in cui la retta intercetta l’asse delle ordinate, l’asse delle


y. In altri termini, è il valore di y quando x = 0. Infatti

y = bx + a = b*0 + a = 0 + a = a

La b è detto coefficiente angolare della retta, infatti il suo valore ci dice


quale inclinazione ha la retta sul piano: se positivo avrà una pendenza
come la retta rappresentata in figura (con un valore di angolo α < 90°)
e al crescere dei valori della x crescono i valori della y, viceversa se il
coefficiente angolare è negativo, ovvero, con un con un angolo α > 90°
al crescere dei valori della x decrescono i valori della y.

Il coefficiente di regressione rappresenta di quanto Y aumenta


all’aumentare di X.

Per il calcolo di ciascuno dei due parametri dell’equazione di


regressione (a e b) esistono due formule, una teorica l’altra
computazionale.

La formula teorica richiede il calcolo della media della variabile X e


della variabile Y.

La formula computazionale permette di operare direttamente sui dati


grezzi.

La formula teorica del coefficiente di regressione è:

∑(𝑋𝑖 −𝑋̅ )∗(𝑌𝑖 −𝑌̅)


b= ∑(𝑋𝑖 −𝑋̅ )2
Universitas Mercatorum La retta di regressione

dove:

b= coefficiente di regressione

∑(𝑋𝑖 − 𝑋̅) ∗ (𝑌𝑖 − 𝑌̅) = sommatoria del prodotto degli scarti dalla media
della variabile X per gli scarti dalla media della variabile Y

∑(𝑋𝑖 − 𝑋̅)2 = sommatoria degli scarti dalla media della variabile X


elevata al quadrato.

La formula computazionale del coefficiente di regressione è:

𝑁∗ ∑ 𝑋𝑖 ∗𝑌𝑖 − ∑ 𝑋𝑖 ∗ ∑ 𝑌𝑖
b= 𝑁∗ ∑ 𝑋𝑖2 −(∑ 𝑋𝑖 )2

dove:

b = coefficiente di regressione

N = numerosità del campione o casi

∑ 𝑋𝑖 ∗ 𝑌𝑖 = sommatoria dei prodotti di ogni valore della variabile X per


ogni valore della variabile X per ogni valore della variabile Y

∑ 𝑋𝑖 ∗ ∑ 𝑌𝑖 = sommatoria di tutti i valori della variabile X moltiplicata


per la sommatoria di tutti i valori della variabile Y

∑ 𝑋𝑖2 = sommatoria di tutti i valori della variabile X elevati al quadrato

(∑ 𝑋𝑖 )2 = elevazione al quadrato della sommatoria di tutti i valori della


variabile X.

Il coefficiente di regressione può assumere valori che vanno da -1 a + 1.

A valori alti di b corrisponde un maggior angolo di inclinazione della


retta di regressione e quini una maggiore influenza di X sulla Y,
viceversa a valori bassi di b corrisponde un minor angolo di inclinazione
della retta di regressione e quindi una minore influenza di X su Y.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

2. CALCOLO DELLA RETTA DI REGRESSIONE


Consideriamo ora degli esempi tratti dal libro di testo su come calcolare
i parametri della retta.

Per primo vediamo i passaggi per calcolare la retta di regressione di Y


su X mediante l’applicazione della formula teorica sia per a che
per b.

Sono stati somministrati due test psicologici a cinque persone, uno


sullo stile di pensiero (rigido/flessibile) e l’altro sull’atteggiamento nei
confronti del cambiamento.

Quale mettereste come variabile X, quindi come variabile


indipendente, e quale come variabile Y, quindi come variabile
dipendente?

Poniamo lo stile di pensiero come predittore dell’atteggiamento nei


confronti del cambiamento. Il primo test per punteggi bassi indica una
modalità di pensiero flessibile, a punteggi alti una modalità di pensiero
rigida. Il secondo test misura un atteggiamento favorevole al
cambiamento, maggiore è il punteggio maggiore è l’atteggiamento
favorevole verso il cambiamento. Entrambi hanno un fondo scala di 30.

I dati raccolti sono esposti in tabella.

Soggetto Pensiero rigido (X) Atteggiamento per il


cambiamento (Y)
A 17 21
B 23 22
C 30 15
D 10 18
E 10 25

Per calcolare il coefficiente di regressione si utilizza la formula


Universitas Mercatorum La retta di regressione

∑(𝑋𝑖 −𝑋̅ )∗(𝑌𝑖 −𝑌̅)


b= ∑(𝑋𝑖 −𝑋̅ )2

Calcoliamo per prima le medie delle due variabili

∑ 𝑥𝑖 17+23+30+10+10
𝑋̅ = = = 18
𝑁 5

∑ 𝑦𝑖 21+22+15+18+25
𝑌̅ = = = 20,2
𝑁 5

Adesso è possibile calcolare gli scarti dalla media per entrambe le


variabili e inserire i risultati in tabella.

Soggetto Pensiero rigido Atteggiamento 𝑋𝑖 − 𝑋̅ 𝑌𝑖 − 𝑌̅


(X) per il
cambiamento (Y)
A 17 21 17-18=-1 21-20,2=0,8
B 23 22 23-18=5 22-20,2=1,8
C 30 15 30-18=12 15-20,2=-5,2
D 10 18 10-18=-8 18-20,2=-2,2
E 10 25 10-18=-8 25-20,2=4,8

Adesso può essere calcolato i prodotto di ciascuno scarto dalla media


della variabile X per ciascuno scarto della variabile Y.

Soggetto (X) (Y) 𝑋𝑖 − 𝑋̅ 𝑌𝑖 − 𝑌̅ (𝑋𝑖 − 𝑋̅) * (𝑌𝑖 − 𝑌̅)


A 17 21 17-18=-1 21-20,2=0,8 -1 * 0,8 = -0,8
B 23 22 23-18=5 22-20,2=1,8 5 * 1,8 = 9
C 30 15 30-18=12 15-20,2=-5,2 12 * -5,2 =-62,4
D 10 18 10-18=-8 18-20,2=-2,2 -8 * -2,2 = 17,6
E 10 25 10-18=-8 25-20,2=4,8 -8 * 4,8 = -38,4

Ora si hanno tutti i dati per procedere alla sommatoria del prodotto
degli scarti delle due variabili.

∑(𝑋𝑖 − 𝑋̅) ∗ (𝑌𝑖 − 𝑌̅) = -0,8+9+-62,4+17,6+-38,4 = -75


Universitas Mercatorum La retta di regressione

Eleviamo al quadrato gli scarti di X dalla media

Soggetto (X) (Y) 𝑋𝑖 − 𝑋̅ 𝑌𝑖 − 𝑌̅ (𝑋𝑖 − 𝑋̅) * (𝑌𝑖 − (𝑋𝑖 −


𝑌̅) 𝑋̅)2
A 17 21 17-18=- 21- -1 * 0,8 = -0,8 1
1 20,2=0,8
B 23 22 23-18=5 22- 5 * 1,8 = 9 25
20,2=1,8
C 30 15 30- 15-20,2=- 12 * -5,2 =- 144
18=12 5,2 62,4
D 10 18 10-18=- 18-20,2=- -8 * -2,2 = 17,6 64
8 2,2
E 10 25 10-18=- 25- -8 * 4,8 = -38,4 64
8 20,2=4,8

Infine calcoliamo la sommatoria di ogni scarto dalla media di X elevato


al quadrato

∑(𝑋𝑖 − 𝑋̅)2 = 1+25+144+64+64 = 298

Sostituiamo alla formula i valori e otteniamo l’indice b della retta di


regressione.

∑(𝑋𝑖 −𝑋̅ )∗(𝑌𝑖 −𝑌̅) −75


b= ∑(𝑋𝑖 −𝑋̅ )2
= = -0,25
298

Da questo risultato deduciamo che una modalità di pensiero rigida


influisce negativamente sull’atteggiamento nei confronti del
cambiamento. Per arrivare a questa conclusione si ragiona come si
ragiona per l’indice di correlazione, si considera il segno per capire il
verso della relazione e l’entità dell’indice per comprendere la forza. Ci
si esprimerà in termini di influenza, ovvero di causa-effetto.

Ricordiamo che la a è il punto in cui la retta intercetta l’asse delle


ordinate, l’asse delle y. In altri termini, è il valore di y quando x = 0.
Per calcolare l’intercetta a usiamo la seguente formula
Universitas Mercatorum La retta di regressione

a = 𝑌̅ – b * 𝑋̅

perciò

a = 20,2 – (-0,25)*18 = 20,2 + 4,5 = 24,7

e quindi la retta di regressione è

y’ = a + bxi = 24,7 – 0,25 * xi

Attraverso questa equazione possiamo calcolare qualsiasi punto teorico


della retta per ogni x osservata. Infatti y’ esprime il valore atteso, quello
reale sarà posto sul piano non molto lontano da questo valore.

Passiamo ora a vedere i passaggi per calcolare la retta di regressione


di Y su X mediante l’applicazione della formula computazionale
sia per a che per b utilizzando gli stessi dati. La formula per il calcolo
computazionale è

𝑁∗ ∑ 𝑋𝑖 ∗𝑌𝑖 − ∑ 𝑋𝑖 ∗ ∑ 𝑌𝑖
b= 𝑁∗ ∑ 𝑋𝑖2 −(∑ 𝑋𝑖 )2

Calcoliamo quindi i prodotti dei valori di ciascuna variabile (xi*yi) e


eleviamo al quadrato ciascun valore di X. Inseriamo anche una riga per
il calcolo delle sommatorie.

Soggetto Pensiero Atteggiamento xi*yi 𝑥𝑖2


rigido (X) per il
cambiamento
(Y)
A 17 21 357 289
B 23 22 506 529
C 30 15 450 900
D 10 18 180 100
E 10 25 250 100
Σ 90 101 1743 1918

Sostituiamo i valori alla formula e otteniamo


Universitas Mercatorum La retta di regressione

𝑁∗ ∑ 𝑋𝑖 ∗𝑌𝑖 − ∑ 𝑋𝑖 ∗ ∑ 𝑌𝑖 5∗1743−90∗101 8715−9090 −375


b= = = 9590−8100 = = -0,25
𝑁∗ ∑ 𝑋𝑖2 −(∑ 𝑋𝑖 )2 5∗1918−902 1490

Il risultato che abbiamo ottenuto è identico a quello calcolato con l’altro


metodo, quello teorico. Abbiamo così dimostrato che i due metodi sono
equivalenti.

Volendo calcolare il valore dell’intercetta utilizzando il metodo


computazionale si utilizza la seguente formula

∑ 𝑦𝑖 −𝑏 ∗ ∑ 𝑥𝑖
a= 𝑁

Sostituiamo con i valori e otteniamo

101−(−0,25)∗ 90 101+22,5 123,5


a= = = = 24,7
𝑁 5 5

Come ci si aspettava, il valore è identico.

Possiamo rappresentare sul piano cartesiano ortogonale la retta.


Universitas Mercatorum La retta di regressione

Si può apprezzare l’inclinazione della retta che corrisponde ad un


coefficiente angolare negativo, quindi al crescere della rigidità del
pensiero vediamo un calo di un atteggiamento positivo nei confronti del
cambiamento.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

3. L’UTILIZZO DEI SOFTWARE NEL CALCOLO DELLA


REGRESSIONE LINEARE
Gli esempi didattici da noi utilizzati sono serviti per impadronirci dei
sistemi di calcolo e dei concetti sottostanti.

Nella realtà professionale e nei progetti di ricerca non si fanno i calcoli


a mano.

In primo luogo perché comportano un dispendio di tempo e di energie


non indifferente, si immagini cosa significherebbe fare gli stessi
passaggi con centinaia e centinaia di soggetti.

In secondo luogo perché così gli errori potrebbero moltiplicarsi.

È per questo che nella pratica professionale e di ricerca gli psicologi


utilizzano più volentieri dei software che gli aiutino a ottenere
direttamente i risultati a cui sono interessati.

Adesso vediamo come utilizzare uno dei più diffusi software: SPSS.

Qui non ci occupiamo in modo sistematico come si utilizza il software


per l’inserimento dei dati e per l’analisi, ci sono ottimi manuali al
riguardo1.

Vedremo direttamente gli output e come leggerli.

Effettuiamo una regressione lineare semplice con i dati che abbiamo


utilizzato per la spiegazione.

Questa è la schermata che appare.

1 Barbaranelli, C., & D'Olimpio, F. (2006). Analisi dei dati con SPSS. Milano: Led.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

Si sceglie quale è la variabile dipendente, quale quella indipendente e


si avvia l’analisi.

Leggiamo l’output.

Abbiamo inserito un solo modello di regressione, quello per cui la


variabile predittrice è il pensiero rigido e la variabile criterio è
l’atteggiamento nei confronti del cambiamento.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

La prima R, maiuscola, è l’indice di correlazione tra le variabili


adimensionale. Indica la forza, ma non il verso della correlazione, si
vede infatti che è positivo.

Questo indice R, elevato al quadrato, R2, ci dà il coefficiente di


determinazione, ovvero la percentuale di varianza spiegata.

R quadro corretto non lo consideriamo. Si usa quando si hanno più


variabili indipendenti.

La deviazione standard errore della stima non è un indice che si utilizza


nelle valutazioni finali, corrisponde alla deviazione standard dei punti
dati al momento della distribuzione intorno alla linea di regressione.

Questo primo risultato ci sta dicendo che il 32,1% della varianza di


questo modello è dovuto all’influenza che la variabile predittrice ha nei
confronti della variabile criterio. In altri termini, ci dice quanta
variabilità della variabile dipendente dipende dalla variabilità di
quella indipendente.

Vediamo adesso l’indice b calcolato dal software e altri indici, e avremo


una sorpresa.

Il test risulta non significativo poiché sig. = ,319, che è maggiore del
livello soglia di ,05.

In questo caso il risultato è così poiché abbiamo troppi pochi soggetti.

Se raddoppiamo i soggetti (lasciando invariati i valori), il sig. scende a


,088, e se li triplichiamo avremo sig.=,028, ovvero un dato significativo.
Universitas Mercatorum La retta di regressione

La numerosità del campione è un parametro importante quando si


vanno a fare dei test statistici e le valutazioni devono sempre essere
circoscritte al contesto, cioè devono essere descrittive. Solo quando si
ha la certezza di un campione altamente rappresentativo della
popolazione si potranno fare inferenze.

Per quanto riguarda gli indici, potrete riconoscere nel coefficiente non
standardizzato B, per il valore chiamato costante il valore
dell’intercetta 24,7 e in quello relativo alla variabile predittrice il
nostro indice b di -0,25.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

La regressione lineare multipla


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere cosa è e come si
svolge una regressione lineare multipla, in quali punti differisce da una
regressione lineare semplice e perché è importante nello studio della
psicologia.
Ciascun studente imparerà quali sono e quali significati
rivestono i vari parametri della regressione lineare multipla.
Ogni studente acquisirà dimestichezza del metodo per
individuare modelli di regressione lineare multipla che siano
significativi e adatti descrivere fenomeni determinati da più variabili.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

1. MODELLO
La regressione lineare semplice considera che una variabile
quantitativa abbia effetto su un’altra variabile quantitativa.

La regressione lineare multipla considera che più variabili


abbiano effetto su una variabile quantitativa.

Con la regressione lineare multipla si hanno quindi più variabili


indipendenti e una sola variabile dipendente, più predittori o variabili
esplicative e un solo criterio.

Il modello di regressione multipla permette di stimare l’effetto


su Y della variazione di più variabili X1, X2 ecc.

Formalmente abbiamo che un modello di regressione lineare


multipla

Yi = β0 + β1X1i + β2X2i ...βkXki + εi i = 1, 2, 3..., n

Dove:

Yi = β0 + β1X1i + β2X2i ...βkXki rappresenta la retta di regressione


ed è la componente deterministica o sistematica.

β0 indica l’intercetta

β1 + β2 … βk rappresentano gli indici di regressione

εi rappresenta l’errore o la parte casuale, quella parte di


varianza dovuta al caso o ad altri fattori non considerati nel modello.

I coefficienti di regressione nel modello multiplo sono funzione


dei coefficienti di regressione delle medesime variabili in un modello
semplice, ma tengono anche conto dell’interdipendenza tra i regressori
e della dipendenza della variabile dipendente anche da tutti gli altri
regressori inclusi nel modello.

Per questa ragione i coefficienti di regressione in un modello di


regressione multiplo si dicono “coefficienti di regressione parziale”.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

Ciascuno di essi esprime la variazione media della variabile


dipendente, per ogni variazione unitaria della corrispondente variabile
indipendente, a parità di valori assunti rispetto agli altri regressori nel
modello.

Essendo dotati di unità di misura i valori dei diversi coefficienti


di regressione non possono essere tra loro confrontati e quindi in
nessun modo possono essere assunti quali indicatori dell’importanza
della componente variabile indipendente nella spiegazione della
variabilità della Y.

Per affrancarsi dal problema dell’unità di misura e


dell’impossibilità di confrontare i coefficienti di regressione si
considerano le variabili standardizzate.

In una specifica regressione lineare multipla il coefficiente di


regressione calcolato misura la variazione media della variabile
indipendente Y standardizzata per una variazione unitaria positiva
della variabile indipendente Xi standardizzata, quando gli altri
regressori restano costanti.

I coefficienti di regressione così determinati possono essere


confrontati per stabilire quali regressori hanno un effetto maggiore su
Y.

Nelle analisi di regressione può risultare utile considerare tra le


variabili esplicative alcune variabili qualitative, quali genere, stato
civile, livello di istruzione.

Queste variabili vengono di norma acquisite nei database


attraverso una operazione di codifica numerica, ma va tenuto ben
presente che i valori numerici di tali variabili non riflettono un
ordinamento quantitativo.

Pertanto un inserimento delle variabili qualitative in tale forma


all’interno di un modello di regressione (come variabili esplicative)
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

sarebbe metodologicamente errato e porterebbe a conclusioni


fuorvianti.

Per poter essere inserite all’interno di una analisi di regressione,


ogni singola categoria di una variabile qualitativa deve essere
considerata come variabile dicotomica, che assume valore 1 in caso di
presenza del corrispondente attributo e valore 0 in caso di assenza.

Questa prende il nome di variabile dummy o variabile indicatore.

Nel caso semplice di una variabile qualitativa dicotomica (a due


modalità), si definisce una variabile “dummy” X (variabile artificiale o
di comodo)

si indicherà 0 in assenza della stessa modalità

si indicherà 1 in presenza di una data modalità

Ad esempio, a partire dal carattere “genere” che assume due


modalità (uomo o donna), la corrispondente variabile dummy può
essere definita come: 0 se uomo e 1 se donna.

Come si rappresenta graficamente la regressione lineare


multipla? Mentre la regressione lineare semplice può essere
rappresentata sul piano cartesiano ortogonale per la regressione
lineare multipla ciò non è possibile, nel caso di più regressori si fa
riferimento all’iperspazio.

Nel caso di due variabili indipendenti siamo su un piano


tridimensionale come quello rappresentato in figura.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

Sommando algebricamente tutti gli scarti tra i valori osservati e


i valori teorici attesi otterremo sempre una quantità nulla.

La somma degli scarti quadratici sarà sempre un minimo così


come per la regressione lineare semplice.

Nel caso della regressione lineare multipla occorre fare più


attenzione ai valori outlier.

Questi possono pesantemente influenzare i risultati del calcolo


dell’equazione della retta di regressione aumentando di molto gli errori
tra valori attesi e osservati.

Prima di effettuare le analisi perciò, è buona norma pulire il


dataset da tutti i casi anomali.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

2. PARAMETRI
Quando si calcola una regressione lineare multipla occorre
tenere sotto controllo la collinearità.

La collinearità si verifica quando si ha un’eccessiva correlazione


tra più variabili indipendenti poiché esse è come se si muovessero
assieme.

Le variabili collineari non forniscono informazioni aggiuntive e


risulta difficile individuare l’effetto che ciascuna di esse ha sulla
variabile risposta.

Per tenere sotto controlli il fenomeno una prima mossa è quella


di verificare la correlazione tra coppie di regressori e se queste
superano in valore assoluto 0,90 allora vi è un probabile effetto di
collinearità.

Una misura della multicollinearità è data dall’indice VIF


(Variance Inflationary Factor) che tiene conto dei fattori di crescita
della varianza.

Un VIF indica quanto una variabile esplicativa risulti spiegata


dalla altre esplicative dell’equazione.

Si calcola un VIF per ogni variabile esplicativa.

I VIF sono stime di quanto la multicollinearità aumenta la


varianza di un coefficiente stimato.

Un VIF pari a 1 significa che quella variabile non è coinvolta in


nessuna situazione di multicollinearità. VIF superiori a 1 indicano la
presenza di multicollinearità. Valori tra 5 e 10 indicano la presenza di
una forte collinearità.

Il reciproco del VIF (1/VIF) è l’indice di tolleranza. L’indice di


tolleranza (indicato sovente come Tolerance index Ti) viene utilizzato
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

per stimare quanto una variabile indipendente è linearmente correlata


alle altre variabili indipendenti.

Questo parametro varia tra 0 e 1, indica la quantità di varianza


di una variabile indipendente che non è spiegata dalle altre variabili
indipendenti.

Maggiore è l’indice di tolleranza, minore è la varianza che quella


variabile indipendente condivide con le altre variabili indipendenti,
maggiore è il contributo che essa può fornire nella spiegazione della
variabile dipendente.

Una variabile con un basso livello di tolleranza, invece, condivide


molta varianza con le altre variabili indipendenti, quindi il contributo
che può fornire nella spiegazione della variabile dipendente è
solitamente più limitato.

Un valore particolarmente basso di tolleranza (ad esempio,


inferiore a 0,01) può risultare indicativo di variabili che rischiano di
causare problemi computazionali nella stima dei coefficienti di
regressione.

Un altro importante indice della regressione lineare multipla è


l’errore standard della regressione.

Questo indice stima la deviazione standard degli scarti tra valori


attesi e osservati. Misura la dispersione dei valori campionari
dall’equazione dei minimi quadrati.

Un altro parametro è il coefficiente di determinazione R2, che


misura la quota di variabilità totale di Y spiegata dalle variabili
esplicative del modello.

L’indice di determinazione lineare si definisce quale rapporto di


composizione tra devianza di regressione e devianza totale, misurando
– nell’intervallo da 0 a 1 – quanta parte della devianza totale è spiegata
dai regressori del modello.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

R2 non diminuisce quando si aggiunge una nuova variabile


esplicativa nel modello, anche se questa non porta alcuna informazione
utile per prevedere la variabile risposta.

R2 può crescere se si inseriscono nuove variabili esplicative


anche se, con l’aggiunta delle nuove variabili, l’adattamento ai dati non
migliora effettivamente.

Un alto valore di R2 non è un indicatore di buon adattamento in


quanto esso dipende anche dal numero di regressori inclusi nel modello.

Per ovviare a questa distorsione si utilizza il valore di R2


corretto, indicato con R2corr e nei testi inglesi con R2adj.

L’R2corr tiene conto del numero di variabili esplicative inserite nel


modello e di conseguenza non può aumentare al crescere del numero
dei regressori.

È utile per confrontare la bontà dell’adattamento di più modelli


di regressione multipla che differiscono per il numero k di variabili
esplicative.

Infatti, l’inclusione di ogni nuova variabile, anche se irrilevante,


tende a far aumentare R2.

Per stabilire quale tra i modelli è da preferire dobbiamo vedere i


valori di R2 corretto che segnalano che il primo modello (con due
variabili esplicative) produce un adattamento dei dati migliore rispetto
al secondo.

Un altro importante parametro della regressione lineare


multipla è l’analisi della varianza.

Costituisce un test statistico indicato con la lettera F, ed è una


procedura per sottoporre a verifica l’ipotesi che i parametri del modello,
intercetta esclusa, siano nulli, cioè pari a zero.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

L’ipotesi nulla asserisce che le variabili esplicative non


influenzino in alcun modo la variabile dipendente.

L’ipotesi alternativa asserisce che almeno una delle variabili


esplicative influenzi la variabile dipendente.

Tale sistema di ipotesi fa riferimento ad un confronto tra il


modello nel suo complesso e un modello con la sola intercetta, dove
quindi le variabili esplicative non apporterebbero nessuna
informazione aggiuntiva.

Quando l’indice alfa assume un valore minore di 0,05 allora si


rifiuta l’ipotesi nulla e si accetta l’ipotesi alternativa.

Quando si inserisce una nuova variabile indipendente nel


modello, per capire se il modello ha un adattamento migliore, si
considera il comportamento degli indici fin qui considerati.

In particolar modo il modello migliora il suo adattamento se con


l’introduzione della nuova variabile abbiamo un R2 corretto più alto,
l’errore standard della regressione è più piccolo e gli errori standard dei
coefficienti stimati sono più piccoli rispetto al modello più parco.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

3. LA SCELTA DEI REGRESSORI


Con i criteri automatici per la scelta dei regressori viene
esaminato un numero ridotto di sottoinsiemi di possibili variabili
esplicative, in base ad un procedimento di scelta sequenziale in cui i
singoli regressori sono progressivamente aggiunti o eliminati dal
modello.

Non è infatti attendibile un modello con troppi regressori anche


se gli indici dicono il contrario, poiché aumenta il numero degli errori.

È sempre preferibile un modello con pochi e significativi


regressori.

I software utilizzano i seguenti sistemi:

1) Forward selection.

2) Backward elimination.

3) Stepwise.

Forward selection

I singoli regressori vengono aggiunti in maniera sequenziale al


modello.

Viene scelto quel regressore che, qualora venga inserito nel


modello specificato inizialmente, determina il più elevato aumento di
R2, sarà quindi il regressore con la più alta correlazione semplice con
Y.

Poniamo che sia X1, verrà inserito nel modello specificato


inizialmente solo se il suo contributo originale alla spiegazione della
variabilità di Y è significativo; ovvero se l’ipotesi nulla viene rifiutata.

Se il test è significativo e l’ipotesi viene rifiutata, allora X1 viene


inserito nel modello, viceversa il processo di selezione ha termine.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

Se la variabile che dà luogo al valore di R2 più elevato non merita


di entrare nel modello nessun’altra può.

Se X1 entra nel modello viene poi scelto un nuovo regressore:


quello che, se inserito nel modello determina il più elevato aumento di
R2. Poniamo che sia X2.

X2 verrà inserito nel modello specificato solo se il suo contributo


originale alla spiegazione della variabilità di Y è significativo.

In generale: dato un modello con un certo numero di regressori,


l’i-esimo regressore candidato ad entrare nel modello verrà inserito se
risulta significativo il test per il controllo dell’ipotesi nulla.

La procedura si arresta quando per la prima volta si ottiene un


test non significativo, oppure quando tutte le variabili esplicative sono
state inserite nel modello.

Una volta inserita nel modello, una variabile vi rimane per


sempre anche se, in seguito all’ingresso di ulteriori regressori il suo
coefficiente risulta non significativamente diverso da 0.

Il metodo forward non è rigoroso dal punto di vista metodologico


perché i modelli che vengono costruiti ai vari passi risentono dell’errore
di errata specificazione in termini di esclusione di regressori rilevanti,
ma presenta il vantaggio di consentire la selezione di regressori in
quelle situazioni in cui il numero delle variabili osservate è maggiore
del numero delle unità e le stime dei minimi quadrati del modello
completo non esistono.
Backward elimination

I singoli regressori vengono eliminati in maniera sequenziale dal


modello.

Viene scelto quel regressore che, qualora venga eliminato dal


modello specificato inizialmente, determina la più piccola diminuzione
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di R2, ovvero il più piccolo aumento di devianza residua o di dispersione


della variabile dipendente.

X1 verrà eliminato dal modello specificato inizialmente solo se il


suo contributo originale alla spiegazione della variabilità di Y è non
significativo; ovvero se il test per saggiare l’ipotesi nulla nel modello
completo è non significativo.

In generale: dato un modello con un certo numero di regressori,


il successivo regressore candidato ad uscire dal modello verrà eliminato
se il suo coefficiente non risulta significativamente diverso da 0.

La procedura si arresta quando per la prima volta si ottiene un


test significativo, oppure quando tutte le variabili esplicative sono state
eliminate dal modello.

Una volta esclusa dal modello, una variabile non vi può più
rientrare. Per rendere più dinamico il processo di ingresso e di uscita
dei regressori dal modello è stato proposto il metodo stepwise
convenzionale.

Stepwise

Partendo da un modello parziale si procede per passi e di volta


in volta si aggiunge una variabile che contribuisce in maniera
significativa al miglioramento del modello o si elimina una variabile il
cui coefficiente non è significativo.

La procedura iniziale coincide con quella della forward selection.

Si procede quindi controllando se l’eliminazione di X1 dal modello


contenente X2 induce un aumento non significativo della devianza di
dispersione. In generale, dopo ogni inserimento nel modello del
regressore che induce la più elevata diminuzione significativa della
devianza di dispersione (secondo un determinato livello di
significatività α di ingresso), tutti i regressori inclusi nel modello ai
passi precedenti vengono considerati, uno alla volta, come candidati
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alla rimozione. La procedura si arresta quando nessun regressore


escluso può essere inserito (in base al valore di α di ingresso) e nessun
regressore incluso può essere eliminato (in base al valore di α di uscita).

Con questo criterio la decisione di includere un regressore non è


irreversibile. Una variabile già inclusa può essere rimossa in seguito
all’inserimento di altri regressori che rendono non più significativo il
suo contributo originale alla spiegazione della Y.

Va quindi osservato che: Osservazioni sulla scelta dei valori αin


e αout.

1) se si sceglie αin>αout, un regressore inserito nel modello in base


al valore di αinverrà probabilmente eliminato in seguito.

2) Se si sceglie αin<αout, un regressore inserito nel modello in base


al valore di αin probabilmente non verrà più eliminato. Conviene
scegliere αin=αout, maggiori degli usuali livelli di significatività.

È opportuno sottolineare come i modelli di regressione costruiti


mediante i metodi di selezione automatici appena illustrati non
rappresentino i migliori modelli in senso assoluto. Essi sono i migliori
modelli che si possono costruire dati i diversi passi che sono stati
compiuti. Questo significa che piccole perturbazioni nei dati possono
portare a modelli sensibilmente diversi e che eventuali “errori” di
selezione nelle fasi iniziali si ripercuotono sul modello complessivo.
Deve essere quindi il ricercatore, in definitiva, l’ultimo giudice
razionale del procedimento giustificando le sue scelte con un
appropriato fondamento teorico.
Universitas Mercatorum La regressione lineare multipla

BIBLIOGRAFIA
Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze
del comportamento. Milano: Apogeo Education. [cap. 12]

Balsamo, M. (2017). Elementi di Psicometria. Milano: McGraw‐Hill


Education. [cap. 8]

Contributi web

http://www2.stat.unibo.it/montanari/Didattica/dispensa2.pdf

http://static.gest.unipd.it/~salmaso/regressione_multipla.pdf

http://www.federica.unina.it/economia/statistica-per-le-decisioni-
impresa/analisi-regressione-lineare-multipla/

http://biometria.univr.it/sesm/files/lezione_15.pdf

http://www.ecostat.unical.it/Costanzo/Didattica/Probabilit%C3%A0%20ed%20I
nferenza%20Statistica/Modello%20di%20regressione%20lineare%20multipla%
20[modalit%C3%A0%20compatibilit%C3%A0].pdf
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a una via

L'analisi della varianza a una via


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come trarre
conclusioni inferenziale sulle medie di alcune popolazioni.
Ciascun studente imparerà come stimare la varianza entro i
gruppi, ovvero la varianza d’errore e stimare la varianza tra gruppi.
Ogni studente acquisirà dimestichezza del metodo delle
procedure di calcolo necessarie per un’analisi della varianza a una via,
per confrontare tra loro le medie tra differenti popolazioni.
Ogni studente imparerà anche cosa è la somma dei quadrati,
la media dei quadrati e come calcolarli.
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1. ANOVA
Per verificare la significatività delle differenze tra gruppi si
utilizza la procedura chiamata ANOVA, nome che deriva dall’inglese
ANalysis Of VAriance.

L’ipotesi nulla saggiata dall’ANOVA è che le medie delle


popolazioni da cui i campioni sono stati estratti casualmente siano
uguali.

L’analisi della varianza è basata sulla dimostrazione


matematica che i dati campionari possono essere usati per ottenere
stime indipendenti della varianza della popolazione, la varianza entro
i gruppi e la varianza tra i gruppi.

La varianza entro i gruppi (varianza d’errore): questa stima


esprime quanto ciascun punteggio di un campione o gruppo differisce
dagli altri punteggi dello stesso campione.

La varianza tra i gruppi. La stima di questa varianza


esprime quanto le medie di ciascuno dei campioni o gruppi differiscano
tra loro.

È possibile dimostrare matematicamente che, se i campioni


provengono tutti dalla stessa popolazione normalmente distribuita,
oppure da diverse distribuzioni normalmente distribuite ma con stessa
media e varianza, la stima della varianza tra i gruppi è simile alla
stima della varianza entro i gruppi, ed entrambe saranno uguali alla
varianza della popolazione.

Tanto è maggiore la varianza tra i gruppi rispetto alla


varianza entro i gruppi, quanto più alta sarà la probabilità che i
campioni non provengano da popolazioni con la stessa media.

Per comprendere meglio lo studio della varianza tra gruppi


ed entro i gruppi utilizziamo i dati della seguente tabella.
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Città A GRUPPO GRUPPO GRUPPO GRUPPO GRUPPO


1 2 3 4 5

16 16 16 16 14
16 14 14 14 13
14 13 12 12 13
13 13 10 12 10
12 10 10 12 10
Medie 14,2 13,2 12,4 13,2 12,0 Mtot=13,0

DS 1,789 2,168 2,608 1,789 1,871

È stato somministrato un test di abilità a 5 diversi gruppi


composti ciascuno d a 5 soggetti, per un totale di 25 partecipanti.
Ciascun gruppo proviene da una scuola diversa della stessa città.

Osservando i dati in tabella si vede che c’è una certa


variabilità tra i gruppi e anche all’interno dei gruppi.

Le medie dei 5 campioni potrebbero differire poiché davvero


le scuole hanno prodotte allievi con differenti abilità o perché per via di
errori di campionamento sono stati sistemati i più bravi da una parte
e i meno bravi dall’altra o per altri motivi ancora ma a noi sconosciuti.

La decisione di accettare o rifiutare l’ipotesi nulla secondo


cui i campioni provengono tutti dalla stessa popolazione sarà presa in
base ai risultati di un’analisi della varianza.

A un primo sguardo sembrerebbe che le differenze entro i


gruppi siano davvero minime così come ci si attenderebbe dall’ipotesi
nulla secondo cui non esiterebbero differenze.

E se invece la differente scuola frequentata avrebbe effetto


sull’abilità maturata?
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a una via

Se così fosse dovremmo vedere questo migliore risultato nei


punteggi del test somministrato in una specifica scuola.

Ciò significherebbe osservare una prestazione migliore in


tutti gli studenti di quella scuola, e quindi all’interno di questo gruppo
dovremmo confermare l’ipotesi nulla.

Si dovrebbe comunque notare una media più alta rispetto


agli altri gruppi e si dovrebbe anche notare un aumento della varianza
tra i gruppi.

Osserviamo ora i dati ottenuti da allievi provenienti dalla


scuola di un’altra cittadina.

Città GRUPP GRUPP GRUPP GRUPP GRUPP


B O1 O2 O3 O4 O5
16 23 26 11 10
16 21 24 9 9
14 20 22 7 9
13 20 20 7 6
12 17 20 7 6
Medi 14,2 20,2 22,4 8,2 8,0 Mtot=14,
e 6
DS 1,789 2,168 2,608 1,789 1,871

Si nota che le medie dei gruppi sono diverse. La varianza


all’interno dei gruppi è uguale a quella dell’altra città. Pare quindi che
non vi sia un’elevata differenza all’interno dei gruppi ma che invece vi
sia tra i diversi gruppi.
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2. VARIANZA TRA E ENTRO I GRUPPI


Addentriamoci meglio nel significato di differenza tra ed
entro i gruppi.

Della città A notiamo che il punteggio del primo soggetto (16)


dista di 1,8 dalla media del gruppo (14,2).

Questa distanza è un errore nel senso che non può essere


spiegata dalla variabile X, cioè dalla provenienza scolastica, poiché
tutti i soggetti all’interno di quel gruppo provengono dalla stessa
scuola.

Questa differenza rivela la normale variabilità inter-


individuale dell’abilità specifica che il test andava a misurare.

La differenza tra la media del gruppo 1 (14,2) della prima


città con la media generale (13,0) è di 1,2 punti.

Questa differenza riflette la diversità dovuta alla diversa


provenienza scolastica e va oltre alle differenze interindividuali dei
punteggi al test.

Infine, la variazione entro il gruppo di 1,8 e la variazione tra


il gruppo e la media complessiva di 1,2 sommano (1,8 + 1,2 = 3) alla
variazione complessiva di questo punteggio rispetto alla media
generale (16 – 13,0). I 3 punteggi di deviazione di questo specifico
soggetto sono dunque:

1. la deviazione totale = 3

2. la deviazione entro il proprio gruppo (errore) = 1,8

3. la deviazione tra il proprio gruppo e la media generale =


1,2

La varianza totale, la varianza entro i gruppi e la varianza


tra i gruppi esprimono la grandezza di queste tre deviazioni quando
consideriamo tutti i partecipanti.
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La varianza tra i gruppi, come abbiamo appena visto,


comprende sia gli effetti dell’appartenenza scolastica (se ne esistono)
sia la varianza d’errore.

La media dei gruppi sarà infatti determinata sia dalla


condizione sperimentale (le differenti scuole) sia dalle differenze
individuali e, infine, dalla varianza d’errore dei punteggi usati in
questo caso dallo specifico test utilizzato per saggiare l’abilità degli
allievi.

L’effetto generato dal frequentare una scuola piuttosto che


un’altra può quindi essere valutato attraverso il seguente rapporto F

𝑉𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜+𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙′𝑒𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒


F= =
𝑉𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙′𝑒𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒
𝑆𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑡𝑟𝑎 𝑖 𝑔𝑟𝑢𝑝𝑝𝑖
𝑆𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑖 𝑔𝑟𝑢𝑝𝑝𝑖

Se l’ipotesi nulla è vera, la differente provenienza scolastica


(varianza del trattamento) sarà nulla: la stima della varianza tra i
gruppi e la stima della varianza entro i gruppi assumeranno quindi
valori molto simili ed F sarà molto vicino a 1.

Più F si allontana da 1, più possiamo essere sicuri che il


frequentare una certa scuola piuttosto che un’altra produce un effetto
sulla prestazione al test.

In sostanza rifiuteremo l’ipotesi nulla quando F sarà così


grande da avere una probabilità di verificarsi uguale o inferiore alla
soglia di 0,05.

Per effettuare un’analisi della varianza occorre


preliminarmente calcolare diverse quantità:

(sum of squares between) SSB: somma dei quadrati tra i gruppi

(sum of squares within ) SSW: somma dei quadrati entro i gruppi

(total sum of squares) SST: somma dei quadrati totale


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3 PROCEDURE PER I CALCOLI DEI QUADRATI


SST: somma totale dei quadrati

La formula per calcolare la somma dei quadrati è così


formalizzata:

SST = Σ (Xi - 𝑋̅G)2

dove

𝑋̅G = media generale di tutti i dati

Xi = singolo punteggio

Σ = somma di tutte le osservazioni

Volendo calcolare la SST della città A si procede sottraendo a


ciascun punteggio registrato la media generale (13) e elevando questa
differenza al quadrato e la si somma a tutte le altre.

Lo stesso risultato lo si ottiene più agevolmente utilizzando


la seguente formula di calcolo

SST = Σ Xi2 - NT 𝑋̅G2

dove in particolare

Xi2 = ciascun punteggio elevato al quadrato

NT = numerosità campionaria totale

Entrambi i procedimenti restituiscono il seguente risultato

SST = 100

SSB: somma dei quadrati tra i gruppi

La formula per calcolare la somma dei quadrati tra i gruppi


è così formalizzata:

SSB = Σ Na(𝑋̅a – 𝑋̅G)2

dove abbiamo in particolare


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a una via

Na = numero di osservazioni nel gruppo a

𝑋̅a = media dei punteggi del gruppo a

Sono quindi sommati il prodotto dato dalla numerosità del


gruppo con il quadrato della differenza tra la media del gruppo e la
media generale.

Poiché otteniamo SSB indipendentemente da Na capiamo che


per effettuare un’analisi della varianza non dobbiamo avere per forza
numerosità uguale tra i gruppi.

Applicando la formula ed eseguendo i calcoli otteniamo

SSB = 14,4

SSW: somma dei quadrati entro i gruppi

La formula per calcolare la somma dei quadrati entro i


gruppi è così formalizzata:

SSW = Σ (Xi - 𝑋̅a)2 + Σ (Xi - 𝑋̅b)2 + … + Σ (Xi - 𝑋̅k)2

Dove in particolare abbiamo

𝑋̅a, 𝑋̅b, le medie di ciascun gruppo

K = numero dei gruppi

Sono sommati i quadrati separatamente per ciascun gruppo


e quindi sommati tra loro.

È un calcolo molto lungo sa eseguire, poiché si tratta di


effettuare tante differenze quante sono i soggetti implicati, elevarle al
quadrato, sommarle e questa somma va sommata alle altre ottenute
con la stessa procedura.

Poiché è noto che

SST = SSB + SSW

Elaborando la formula inversa otteniamo


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a una via

SSW = SST – SSB

Applicando i dati a disposizione otteniamo

SSW = SST – SSB = 100 – 14,4 = 85,6


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4 PROCEDURE PER I CALCOLI FINALI


Calcolo delle medie dei quadrati

Una volta calcolate le somme dei quadrati, SSW e SSB devono


essere divise per i rispettivi gradi di libertà.

Cosa sono i gradi di libertà?

I gdl, gradi di libertà (in inglese la notazione è df da degree


of freedom), sono i valori in un campione che, nel calcolo di un
qualunque test statistico, sono liberi di variare in quanto informazioni
indipendenti fra quelle disponibili per la stima di un parametro.

I valori che si ottengono vengono chiamati medie dei


quadrati e delle stime della varianza della popolazione.

I gradi di libertà tra i gruppi dfB (B sta per between) sono


uguali a

df B = k – 1

i gradi di libertà entro i gruppi df W sono dati da

df W = NT - k

i gradi di libertà totali saranno uguali a NT – 1.

Considerando i dati su cui stiamo effettuando l’analisi


abbiamo una numerosità di 5 per ciascun gruppo e quindi

df B = 5 – 1 = 4

df W = 25 – 5 = 20

df TOT = 25 – 1 = 24 = df B + df W

la media dei quadrati tra i gruppi (MSB) e la media dei


quadrati entro i gruppi (MSW) sono uguali a

𝑆𝑆𝐵
MSB =
𝑑𝑓𝐵
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𝑆𝑆
MSW = 𝑑𝑓𝑊
𝑊

Per i dati della città A abbiamo quindi

𝑆𝑆𝐵 14,4
MSB = = = 3,60
𝑑𝑓𝐵 4

𝑆𝑆𝑊 𝑆𝑆𝑊
MSW = = = 4,28
𝑑𝑓𝑊 𝑑𝑓𝑊

Per la città B la MSW è identica mentre MSB risulta uguale a


884,4/4 = 221,1.

Il rapporto F

A questo punto abbiamo tutti i dati disponibili per calcolare


l’indice F che è dato dal rapporto tra la media dei quadrati tra i gruppi
e la media dei quadrati entro i gruppi.

𝑀𝑆
F = 𝑀𝑆 𝐵
𝑊

Quindi, per la città A

𝑀𝑆 3,60
F = 𝑀𝑆 𝐵 = 4,28 = 0,84
𝑊

Solo considerando l’entità del rapporto F per la città A


vediamo che è inferiore a 1, perciò si profila un’accettazione dell’ipotesi
nulla, tra le varie scuole non c’è differenza nell’abilità maturata dai
rispettivi allievi.

Per la città B

𝑀𝑆 221,1
F = 𝑀𝑆 𝐵 = 4,28 = 51,66
𝑊

Considerando il rapporto F per la città B vediamo che è molto


maggiore di 1, perciò si profila un rifiuto dell’ipotesi nulla e si conclude
che tra le varie scuole esiste una differenza nell’abilità sviluppate dai
rispettivi allievi.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a una via

Prima di addentrarci nella verifica d’ipotesi per il rapporto F


possiamo dare uno sguardo al grafico a barre verticali dei dati a nostra
disposizione e fare alcune considerazioni generali.

Si vede come le medie dei test registrate nelle scuole della


città A non sono poi così diverse quanto invece lo sono quelle della città
B.

Nella città B è anche evidente che la scuola migliore è la


numero 3, mentre la peggiore è la numero 5.

Queste considerazioni a occhio basate sui grafici non hanno


alcuna valenza scientifica.

La verifica delle ipotesi per il rapporto F richiede un calcolo


e una procedura specifica.

Una volta che venisse considerata significativa l’ipotesi


secondo cui esiste una differenza andrebbe colta, matematicamente,
quale nello specifico e con quale entità rispetto al campione
considerato. Ma questo è una altro argomento di psicometria.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

Analisi della varianza con più gruppi


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come si procede
per verificare la significatività delle differenze in un test dell’analisi
della varianza e come calcolare l’intensità dell’effetto.
Ciascun studente imparerà cosa sono e come si conducono i
confronti multipli nell’analisi della varianza.
Ogni studente acquisirà dimestichezza con i vari test post
hoc riconoscendone le specificità, le differenze e il loro particolare uso.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

1. SIGNIFICATIVITÀ E DIMENSIONE DELL ’EFFETTO


La significatività statistica dell’analisi della varianza segue
la logica dell’ipotesi nulla e dell’ipotesi alternativa.

L’ipotesi nulla dichiara che tra i gruppi esaminati non vi


siano differenze.

Se però i dati raccolti ci portano a rifiutare l’ipotesi nulla


allora si accetta l’ipotesi alternativa secondo cui almeno uno dei gruppi
esaminati è diverso dagli altri.

Il livello soglia di alfa è sempre 0,05.

I software statistici calcolano questo indice insieme a tutti


gli altri indici necessari all’analisi della varianza.

Nei calcoli fatti a mano si consultano delle tabelle che


tengono conto dei gradi di libertà, l’operazione è complessa e
oggettivamente noiosa, fortunatamente né nella pratica professionale
né in ambiti di ricerca ci si trova mai ad usare queste tabelle.

Un altro importante indice nell’analisi della varianza è la


dimensione dell’effetto chiamato η2 e ci dice quanto è forte l’eventuale
differenza della varianza individuata tra i gruppi campionari.

Approfondiamo.

Si sa che la varianza totale misurata come somma dei


quadrati SST si compone della varianza tra gruppi espressa come
somma dei quadrati tra gruppi SSB e della varianza all’interno dei
gruppi espressa come somma dei quadrati entro i gruppi SSW.

L’eta quadro (η2) è il rapporto tra la variabilità esistente tra


i gruppi e la variabilità totale.

𝑆𝑆𝐵
η2 = 𝑆𝑆𝑇

ancora più specificamente


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

𝑆𝑆𝐵
η2 = 𝑆𝑆
𝐵 + 𝑆𝑆𝑊

nel caso i gruppi fossero solo due il rapporto equivale a

𝑑𝑓𝐵 𝐹
η2 = 𝑑𝑓
𝐵𝐹 + 𝑑𝑓𝑊

L’indice si comporta come un indice correlazionale (in caso di


due gruppi si comporta come il quadrato di r punto-biseriale) e ha un
significato simile a R2 e può anche essere espresso in termini
percentuale di varianza spiegata dal modello.

L’indice risente del numero di categorie della variabile


categoriale, più queste sono numerose più alto sarà il valore di eta
quadro.

L’eta quadro è un indice che assume valore 0 quando le


medie dei gruppi osservati sono uguali tra loro e in questo caso si parla
di indipendenza. Assume valore 1 quando ad ogni modalità di X
corrisponde un solo valore di Y e in questo caso si parla di connessione.

Poiché misura la grandezza dell’effetto, si ritiene che

η2 = .06 valore basso

η2 = da .06 a .14 moderato

η2 = da .14 elevato
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gruppi

2. L’ESIGENZA DEI CONFRONTI MULTIPLI


Quando il rapporto F in un’analisi della varianza a una via
risulta statisticamente significativo, si è interessati a sapere quali
medie nella popolazione differiscono dalle altre, con confronti multipli.

Sapere che esiste una differenza tra le medie dei gruppi


esaminati non ci dice quale media è più alta, quale più bassa e quale
differisce in modo statisticamente significativo da un’altra.

Per quanto possano essere fatti confronti a coppie questi


confronti aumentano a livello esponenziale e ci costringono a fare una
quantità enorme di calcoli perdendo, conseguentemente, affidabilità
nel test poiché aumentiamo l’entità generale dell’errore.

I software statistici effettuano automaticamente questi


confronti multipli, ma lo fanno con delle procedure e logiche che devono
essere conosciute per poterle padroneggiare, in modo da svolgere
un’analisi consapevole e adeguata e il cui risultato non sia frainteso.

L’analisi di questi confronti si fa con il metodo chiamato post


hoc, ovvero successivo alla raccolta dei dati.

Questo metodo ci permette di non cadere in errori di


valutazione.

La locuzione latina post hoc letteralmente significa: dopo


questo. Cioè si compiono queste verifiche dopo che ci si è accertati che
esiste una differenza, ma si vuol capire dove risiede tale differenza e
non possiamo farlo solo osservando le tabelle o i grafici.

Per comprendere meglio il problema prendiamo un esempio


noto.

È stato somministrato un test di abilità a 5 diversi gruppi


composti ciascuno d a 5 soggetti, per un totale di 25 partecipanti.
Ciascun gruppo proviene da una scuola diversa della stessa città.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

Scuola a Scuola Scuola Scuola Scuola


b c d e
16 23 26 11 10
16 21 24 9 9
14 20 22 7 9
13 20 20 7 6
12 17 20 7 6
Medie 14,2 20,2 22,4 8,2 8,0 Mtot=14,6
DS 1,789 2,168 2,608 1,789 1,871

Si vuole capire se esistono delle differenze statisticamente


significative nel test di abilità per allievi provenienti da scuole diverse.
Osservando il diagramma ci si inizia a farsi un’idea ma non è precisa.

Facendo elaborare i dati dal software questo ci restituisce ei


seguenti indici:

Somma dei quadrati tra gruppi SSB = 884,4

Gradi di libertà tra gruppi dfB= 4

Media dei quadrati MSB = 221,1

Rapporto F = 51,659
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

Sig. = ,000

η2 = ,912

L’indice di significatività ci dice che esiste differenza tra le


medie nei test delle diverse scuole e l’indice eta quadro ci dice che c’è
un’elevatissima intensità di questa differenza.

Ciò che manca è la significatività delle differenze nei i


risultati dei test tra le diverse scuole.

Vediamo quindi adesso quali sono gli indici che si osservano


per effettuare questa valutazione.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

3. TEST POST HOC PER I CONFRONTI MULTIPLI


Esaminiamo i test che verificano la significatività della
differenza a partire dal meno restrittivo (maggior potenza statistica e
tasso di falsi positivi più alto) al più restrittivo (tasso di falsi positivi
più basso e minore potenza statistica).1

LSD

Il metodo LSD (Least Significant Difference, differenza


meno significativa) applica i test t-tests standard a tutte le possibili
coppie di medie dei gruppi.

Viene utilizzato se e solo se l’ANOVA è risultata


significativa.

Nonostante ciò, all’aumentare del numero dei gruppi


aumentano le probabilità di commettere un errore del I o del II tipo
perciò oltre i 3 gruppi è meglio utilizzare altre procedure (HSD se i
gruppi non sono numericamente molto diversi, altrimenti Bonferroni o
Sheffé.)

SNK, REGWF, REGWQ e Duncan

I metodi SNK (Student-Newman-Keuls), REGWF (Ryan-


Einot-Gabriel-Welsh F), REGWQ (Ryan-Einot-Gabriel-Welsh Q) e
Duncan si basano su test sequenziali.

Dopo aver ordinato le medie dei gruppi dalla più bassa alla
più alta, le due medie estreme vengono testate per rilevare differenze
significative, utilizzando un valore critico rettificato in base al fatto che
si tratta di estremi di un set più ampio di medie.

1
Questi test post hoc presuppongono la presenza di varianze uguali. Le informazioni sono tratte
da
https://www.ibm.com/support/knowledgecenter/it/SSEP7J_10.1.1/com.ibm.swg.ba.cognos.ug_cr
_rptstd.10.1.1.doc/c_id_obj_anova.html
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

Se queste medie non sono ritenute significativamente


diverse, il test viene interrotto. Se sono diverse, il test continua con il
set più estremo successivo e così via.

Questa tecnica ha subito molte critiche perché nonostante


promettesse un’alta potenza del test ha in realtà mostrato di
aumentare l’errore alfa.

Bonferroni e Sidak

I test Bonferroni (chiamato anche procedura Dunn) e Sidak


(chiamato anche Dunn-Sidak) vengono eseguiti a un livello di
significatività molto rigoroso, per garantire che il tasso di falsi positivi
a livello di famiglia (cioè relativo al set di test) non superi il valore
specificato.

Tukey HSD

Il test Tukey HSD (Honestly Significant Difference, definito


anche Tukey HSD, WSD o test Tukey (a)) controlla il tasso di falsi
positivi basato su famiglia.

Se si esegue il test al livello 0,05, questo significa che quando


si effettuano tutti i confronti in base alle coppie, la probabilità di
ottenere uno o più falsi positivi è 0,05.

Nel software di SPSS si può utilizzare anche il test Tukey (b)


che è un test di compromesso che combina i criteri Tukey e SNK,
producendo un risultato intermedio tra i due.

Quando i gruppi da confrontare aumentano aumenta anche


la possibilità di effettuare degli errori nel rifiutare l’ipotesi nulla
quando invece è vera.

Il test HSD mantiene α al di sotto di ,05 qualunque sia il


numero di gruppi a confronto, ed è per questo che è considerato un test
maggiormente conservativo rispetto al test LSD visto prima.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

Scheffé

Anche il metodo Scheffé controlla il tasso di errore basato


sulla famiglia. Si regola non solo per i confronti basati su coppie, ma
anche per ogni possibile confronto specificato.

Hochberg GT2 e Gabriel

La maggior parte delle procedure post hoc descritte in


precedenza, ad eccezione dei test LSD, Bonferroni e Sidak, si basa
sull'ipotesi di campioni di gruppi di uguali dimensioni e
dell'omogeneità della varianza e della normalità dell'errore.

Quando le dimensioni dei sottogruppi non sono uguali, IBM®


Cognos Report Studio sostituisce un singolo valore (media armonica)
per la dimensione del campione. I test Post Hoc Hochberg GT2 e
Gabriel ammettono esplicitamente campioni di dimensioni diverse.

Waller-Duncan

Il test Waller-Duncan adotta un approccio bayesiano che


rettifica il valore del criterio in base alle dimensioni della statistica F
complessiva, per renderlo sensibile ai tipi delle differenze di gruppo
associate ad F (ad esempio, grande o piccolo).

Dunnett

Si tratta di un test T a confronto multiplo in base alle coppie


che confronta un set di trattamenti con una singola media di controllo.
È possibile scegliere la prima o l'ultima categoria come categoria di
controllo predefinita.

A due lati verifica che la media a qualsiasi livello (ad


eccezione della categoria di controllo) del fattore non sia uguale a quella
della categoria di controllo.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

< Controllo verifica se la media a qualsiasi livello del fattore


è inferiore rispetto a quella della categoria di controllo.

> Controllo verifica se la media a qualsiasi livello del fattore


è superiore rispetto a quella della categoria di controllo.

Test per gruppi differenti

Questi test post hoc inseriti in tabella si adattano in caso di


varianze e dimensioni del campione differenti nei gruppi.

Test Post Hoc Descrizione


Games-Howell Il test di Games-Howell, che si basa sulla
distribuzione q statistica, è specifico per le
varianze e le dimensioni del campione
differenti.

Tamhane T2 Il test di Tamhane T2 è un test di tipo


conservativo. È più appropriato del Tukey
HSD quando le celle hanno dimensioni diverse
oppure nei casi in cui è stata violata
l'omogeneità della varianza.

Dunnett T3, Questi test possono essere utilizzati al posto


Dunnett C del test di Games-Howell quando è
fondamentale mantenere il controllo del
livello di significatività in caso di test multipli.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

4. L’APPLICAZIONE DEI TEST POST HOC


Si riporta la finestra del software in cui si chiede di
impostare i test post hoc.

Applichiamo i test al caso dei test eseguiti nelle varie scuole.

Abbiamo 5 gruppi della stessa dimensione e di ugual


varianza quindi si decide di utilizzare il test HSD di Turkey.

Si riporta integralmente l’output del test post hoc.


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

Confronti multipli
Variabile dipendente: test
HSD di Tukey
(I) (J) Differenza Deviazione Sig. Intervallo di confidenza
scuola scuola media (I-J) standard 95%
Errore Limite Limite
inferiore superiore
b -6,0000* 1,30843 ,002 -9,9153 -2,0847
c -8,2000* 1,30843 ,000 -12,1153 -4,2847
a
d 6,0000* 1,30843 ,002 2,0847 9,9153
e 6,2000* 1,30843 ,001 2,2847 10,1153
a 6,0000 * 1,30843 ,002 2,0847 9,9153
c -2,2000 1,30843 ,467 -6,1153 1,7153
b
d 12,0000 * 1,30843 ,000 8,0847 15,9153
e 12,2000 * 1,30843 ,000 8,2847 16,1153
a 8,2000 * 1,30843 ,000 4,2847 12,1153
b 2,2000 1,30843 ,467 -1,7153 6,1153
c
d 14,2000 * 1,30843 ,000 10,2847 18,1153
e 14,4000 * 1,30843 ,000 10,4847 18,3153
a -6,0000 * 1,30843 ,002 -9,9153 -2,0847
b -12,0000 * 1,30843 ,000 -15,9153 -8,0847
d
c -14,2000 * 1,30843 ,000 -18,1153 -10,2847
e ,2000 1,30843 1,000 -3,7153 4,1153
a -6,2000* 1,30843 ,001 -10,1153 -2,2847
b -12,2000* 1,30843 ,000 -16,1153 -8,2847
e
c -14,4000* 1,30843 ,000 -18,3153 -10,4847
d -,2000 1,30843 1,000 -4,1153 3,7153
Le medie sono basate sulle osservazioni.
Il termine di errore è Media dei quadrati(errore) = 4,280.
*. La differenza media è significativa al livello ,05.

Il test post hoc ci dice che sono statisticamente significative


le differenze tra le scuole:

a confrontata con tutte le altre

b solo con a, d ed e

c con a, d ed e

d con a, b e c
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza con più
gruppi

e con a, b e c

Inseriamo questi risultati nel grafico mettendo nelle barre


verticali la sigla delle scuole con le quali differiscono.

b a a
c d d
d e e a a
e b b
c c
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

L’analisi della varianza a due vie


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come condurre un’analisi
della varianza a due vie e quali sono le sue peculiarità e caratteristiche
fondamentali.
Ciascun studente imparerà il ragionamento alla base del disegno
fattoriale e come deve intendere l’impostazione dei dati e dei risultati dell’analisi.
Ogni studente acquisirà dimestichezza del metodo per la procedura
del calcolo dell’analisi della varianza a due vie.
Sarà analizzato come effettuare confronti multipli in caso di effetto di
un fattore.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

1. LA VARIABILITÀ FATTORIALE
L’analisi della varianza semplice indaga la relazione tra una sola
variabile indipendente di tipo categoriale e una variabile quantitativa.

Con l’analisi della varianza semplice possono essere verificate le


differenze di una variabile rispetto a diversi gruppi.

Con l’analisi della varianza a due vie si indaga la relazione che hanno
due variabili indipendenti, di tipo categoriale, su una variabile dipendente, di tipo
quantitativa.

Si parla in questo caso di disegno fattoriale e le variabili indipendenti


sono i fattori.

I fattori potrebbero tra loro interagire oppure no, quindi si deve


eventualmente verificare questa interazione e come modifica e influenza le
eventuali differenze tra i gruppi.

Vediamo come risulta una tabella che racchiude i dati per l’analisi
della varianza a due vie, in cui il fattore A presenta a livelli e il fattore B presenta
b livelli.

Fattore B
1 2 … b
Fattore A 1 X11 X12 … X1b
2 X21 X22 … X2b
… … … … …
a Xa1 Xa1 … Xab

La logica del disegno fattoriale nasce dalla logica del più semplice
disegno a una via.

La somma dei quadrati totale viene scomposta nella somma dei


quadrati entro i gruppi (o d’errore) e la somma dei quadrati tra i gruppi.

Nel disegno fattoriale la somma dei quadrati tra i gruppi viene a sua
volta scomposta in tre diverse fonti: la variazione dovuta al primo fattore, la
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

variazione dovuta al secondo fattore e la variazione dovuta all’azione congiunta


(interazione) dei due fattori.

VARIABILITÀ TOTALE

VARIABILITÀ tra i gruppi VARIABILITÀ entro i gruppi


(errore)

VARIABILITÀ VARIABILITÀ
dovuta al VARIABILITÀ dovuta all’interazione
Fattore 1 dovuta al tra Fattore 1 e Fattore 2
Fattore 2

Pertanto, il disegno fattoriale permette di scomporre la variabilità


totale in diverse componenti.

Il disegno fattoriale consente di verificare diverse spiegazioni


alternative sul motivo delle differenze fra i soggetti dei valori della variabile
dipendente.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

2. PROCEDURE DI CALCOLO
Per l’analisi della varianza a due vie si procede secondo i seguenti
passi.

1. Si effettuano i seguenti calcoli

a. Calcoliamo la somma totale dei quadrati SST

b. Calcoliamo la somma totale dei quadrati tra i gruppi SSB

c. Sottraiamo da SST la SSB in modo da ottenere la somma dei


quadrati entro i gruppi SSW

d. Calcoliamo la somma dei quadrati per il fattore 1 SS1

e. Calcoliamo la somma dei quadrati per il fattore 2 SS2

f. Sottraiamo SS1 e SS2 da SSB in modo da ottenere la somma dei


quadrati per l’interazione tra il fattore 1 e il fattore 2 (SS1x2)

2. Convertiamo le somme dei quadrati in medie dei quadrati dividendo


ciascun valore per il rispettivo numero di gradi di libertà

3. Si compiono le seguenti verifiche

a. Verifichiamo la significatività dell’effetto principale del fattore 1


calcolando il relativo rapporto F

𝑀𝑆
F = 𝑀𝑆 1
𝑊

b. Verifichiamo la significatività dell’effetto principale del fattore 2


calcolando il relativo rapporto F

𝑀𝑆
F = 𝑀𝑆 2
𝑊

c. Verifichiamo la significatività dell’interazione tra i due fattori


calcolando il relativo rapporto F

𝑀𝑆
F = 𝑀𝑆1𝑥2
𝑊
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

Il disegno fattoriale a due vie ci permette di verificare in una sola


analisi statistica tre ipotesi nulle:

I. una riguardante il primo fattore

II. una riguardante il secondo fattore

III. una riguardante l’interazione tra fattori

Gli effetti del fattore 1 e del fattore 2 sono chiamati effetti principali.

Applichiamo questo procedimento al seguente caso.

Quattro gruppi di adolescenti, maschi e femmine, provenienti da


scuole diverse, sono sottoposti ad un test.

I risultati sono esposti in tabella.


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

Scuola
Sesso 1 2 3 4
16 16 16 14
Maschi 16 14 14 13
media = 14 13 12 13
12,95
13 13 10 10
12 10 10 10
M = 14,2 M = 13,2 M = 12,4 M = 12,0
DS = 1,79 DS = 2,17 DS = 2,61 DS = 1,87

Femmine 16 17 14 16
media = 18 10 14 10
13,90
20 13 11 13
15 12 10 14
18 14 12 11
M = 17,4 M = 13,2 M = 12,2 M = 12,8
DS = 1,95 DS = 2,95 DS = 1,79 DS = 2,39
Mscuola 1 = Mscuola 1 = Mscuola 1 = Mscuola 1 =
15,8 13,2 12,3 12,4
Mgenerale= 13,425
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

Prima di effettuare i calcoli dobbiamo distinguere alcune quantità


parziali.

Ciascuna scuola, che rappresenta il nostro fattore 1, racchiude quello


che potremmo chiamare fattore di colonna, e così per le righe, indicanti il sesso,
sono i nostri fattori di riga.

Indicando con c (=4) le colonne e con r (=2) le righe, il numero di


celle incluse in questo disegno fattoriale sarà dunque uguale a rc (=8) e la
numerosità di ciascuna cella con n (=5), perciò la numerosità totale rcn sarà di 40
(4*2*5).
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

3 APPLICAZIONE DEL CALCOLO


Applichiamo la procedura di calcolo.

1. Si effettuano i seguenti calcoli

a. Calcoliamo la somma totale dei quadrati SST

SST = Σ (Xi - 𝑋̅G)2 = 257,8

b. Calcoliamo la somma totale dei quadrati tra i gruppi SSB

Consideriamo come se avessimo a che fare con 8 gruppi


indipendenti. Poiché sono gruppi di medesima numerosità si può
utilizzare una formula semplificata
n ∑ 𝑥̅𝑖2 − 𝑁𝑇 𝑥̅𝐺2 = 7.316,6
n indica la numerosità di ciascuna cella, il calcolo viene eseguito
per gli 8 gruppi la cui numerosità è di 5
SSB = 7.316,6 – 7.209,2 = 107,4

c. Sottraiamo da SST la SSB in modo da ottenere la somma dei


quadrati entro i gruppi SSW

SSW = SST – SSB = 257,8 – 107,4 = 150,4

d. Calcoliamo la somma dei quadrati per il fattore 1 SS1

SS1 = rn ∑ 𝑥̅ 𝑖2 − 𝑁𝑇 𝑥̅𝐺2 = 80,1


e. Calcoliamo la somma dei quadrati per il fattore 2 SS2

SS1 = cn ∑ 𝑥̅𝑖2 − 𝑁𝑇 𝑥̅𝐺2 = 9

f. Sottraiamo SS1 e SS2 da SSB in modo da ottenere la somma dei


quadrati per l’interazione tra il fattore 1 e il fattore 2 (SS1x2)

SS1x2 = SSB – SS1 – SS2 = 18,3


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

2. Convertiamo le somme dei quadrati in medie dei quadrati dividendo


ciascun valore per il rispettivo numero di gradi di libertà.

Per conoscere i gradi di libertà ci si rifà sempre alla regola generale della
numerosità meno 1 e questi sono riportati in tabella.

Fonte di variazione Gradi di libertà Calcolo


Totale NT - 1 dfT = 40 – 1 = 39
Entro i gruppi NT - k dfW = 40 – 8 = 32
Tra i gruppi k-1 dfB = 8 – 1 = 7
Fattore 1 c–1 df1 = 4 – 1 = 3
Fattore 2 r–1 df2 = 2 – 1 = 1
df1 x df2
Interazione dfT = 3 * 1 = 3
[(r –1)*(c – 1)]
Nota:
NT = numero totale di osservazioni
k = numero di celle = rc

Possiamo raffigurare la scomposizione dei gradi di libertà nel modo


seguente.

TOTALI dfT = 40 – 1 = 39

df entro le celle =
NT –rc = 32
df tra le celle =
rc–1 = 7

df per il fattore 1 df per l’interazione =


scuola = df per il fattore 2 [(r –1)*(c – 1)] = 3*1 = 3
c–1=4–1=3 sesso =
r–1=2–1=1

Effettuiamo i calcoli

Media dei quadrati entri i gruppi


Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

𝑆𝑆𝑊 150,4
MSW = = = 4,70
𝑑𝑓𝑊 32

Media dei quadrati per il fattore scuola


𝑆𝑆1 80,1
MSW = = = 26,7
𝑑𝑓1 3

Media dei quadrati per il fattore sesso


𝑆𝑆2 9
MSW = = =9
𝑑𝑓2 1

Media dei quadrati per l’interazione


𝑆𝑆1𝑥2 18,3
MSW = = = 6,1
𝑑𝑓1𝑥2 3

3. Si devono compiere le verifiche per i seguenti rapporti F

a. Effetto principale del fattore 1

𝑀𝑆1 26,7
F(F1) = = = 5,68
𝑀𝑆𝑊 4,70

b. Effetto principale del fattore 2

𝑀𝑆2 9
F(F2) = = = 1,915
𝑀𝑆𝑊 4,70

c. Interazione tra i due fattori

𝑀𝑆1𝑥2 6,1
F(F1xF2) = = = 1,30
𝑀𝑆𝑊 4,70
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

4 VERIFICA DELLA SIGNIFICATIVITÀ


Come nell’analisi della varianza a una via, il modello statistico nei
disegni fattoriali fa riferimento alle distribuzioni F.

Per ciascuno di essi va calcolata e verificata la significatività per


l’accettazione o il rifiuto dell’ipotesi nulla.

I ipotesi nulla riguardante il primo fattore

La prima ipotesi nulla è che le popolazioni considerate abbiano la


stessa media.

Il rapporto F(F1) calcolato precedentemente, tenuto conto dei gradi di


libertà, ha un valore che porta al rifiuto dell’ipotesi nulla e quindi ad accettare
l’ipotesi alternativa secondo cui i gruppi di adolescenti provenienti dalle quattro
scuole hanno riportato valori dei test significativamente diversi.

In altri termini può essere detto che i quattro gruppi di adolescenti non
provengono dalla stessa popolazione.

Si può anche affermare che esiste un diverso risultato dei test per
effetto della provenienza scolastica.

II ipotesi nulla riguardante il secondo fattore

La seconda ipotesi nulla si riferisce al fatto che i maschi e le femmine


degli istituti scolastici abbiano la stessa media ai test.

Il rapporto F(F2) calcolato precedentemente, tenuto conto dei gradi di


libertà, ha un valore che non ci porta al rifiuto dell’ipotesi nulla e quindi,
accettando l’ipotesi nulla, possiamo affermare che non c’è differenza tra maschi e
femmine nel risultato del test di abilità.

III ipotesi nulla riguardante l’interazione tra fattori

La terza ipotesi nulla da verificare ipotizza che non esiste alcuna


interazione tra i due fattori.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

Il rapporto F(F1xF2) calcolato precedentemente, tenuto conto dei gradi


di libertà, ha un valore che non ci porta al rifiuto dell’ipotesi nulla e quindi,
accettando l’ipotesi nulla, possiamo affermare che non c’è alcuna interazione tra
i fattori.

Possiamo ora riportare i risultati dell’ANOVA a due vie in una tabella


riassuntiva.

Fonte di variazione SS df MS F α

Scuola 80,1 3 26,7 5,68 < .05

Sesso 9 1 9 1,92 > .05

Scuola x sesso 18,3 3 6,1 1,30 > .05


Errore (entro le
150,4 32 4,7
celle)

Volendo procedere con dei confronti multipli sarà possibile solo


verificare quali scuole hanno punteggi significativamente diversi dalle altre.

Il fattore 1, infatti, quello della provenienza scolastica, è risultato


l’unico che possa avere un effetto sui punteggi dei test di abilità.

Le quattro colonne hanno 4 differenti medie.

Ciascuna di queste medie provengono da gruppi aventi la stessa


numerosità, in particolare, rn, ovvero 2 x 5 = 10.

Ricorriamo al test HSD di Tukey così modificato:

𝑀𝑆𝑊
HSD = q * √
𝑟𝑛

Il q è basato sui 4 gruppi (4 colonne) e dfW

4,70
HSD = 3,84 * √ = 2,63
10

Ciò significa che le medie tra loro devono differire di almeno 2,63 per
essere considerata una diversità statisticamente significativa.
Universitas Mercatorum L’analisi della varianza a due vie

Osservando le medie possiamo così riassumere i risultati.

Scuola HSD Media test Test+HSD


1 2,63 15,8 18,43
2 2,63 13,2 15,83
3 2,63 12,3 14,93 <15,8 della scuola 1
4 2,63 12,4 15,03 <15,8 della scuola 1

E possiamo osservarli nel grafico

20
18,43
18
2,63 15,83 14,93 15,03
16
> >
14 2,63
2,63 2,63
12

10

8 15,8
6
13,2 12,3 12,4
4

0
1 2 3 4
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Applicazioni dell’analisi della varianza


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere quali
applicazioni particolari dell’analisi della varianza possono essere
effettuate per studiare particolari fenomeni di interesse scientifico e di
comprensione del comportamento.
Ciascun studente imparerà cosa sono e come interpretare i
risultati di una Manova, di un’analisi della varianza a misure ripetute,
di un’analisi della varianza con disegno misto e quelle in cui vi è
interazione tra fattori.
Saranno presentati diversi esempi esplicativi, sia con i
calcoli che senza, per meglio comprendere l’applicazione dell’analisi
della varianza in diverse situazioni.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

1. L’INTERAZIONE TRA FATTORI


Scopo dell’analisi della varianza è quello di verificare ipotesi
relative a differenze tra medie di due o più popolazioni.

Le analisi si svolgono considerando una variabile dipendente


su scala a intervalli o rapporti equivalenti e una variabile indipendente
di tipo categoriale.

Distinguiamo quindi:

- Una sola variabile indipendente: disegni a una via

- Due o più variabile indipendenti: disegni fattoriali

- Una sola variabile dipendente: analisi univariata

- Due o più variabili dipendenti: analisi multivariata


(MANOVA)

Si supponga di voler studiare gli effetti del fumo da sigaretta


su alcuni tipi di prestazione1.

A tale scopo è stato selezionato un campione i cui soggetti


sono stati suddivisi in tre gruppi rispetto al fumo: non fumatori (NS),
fumatori ma non prima-durante la prova (DS), fumatori attivi prima-
durante la prova (AS).

In maniera casuale all’interno di ciascun gruppo un terzo dei


soggetti ha fatto un compito di pattern recognition, un terzo un compito
di tipo cognitivo e un terzo una simulazione di guida con un video game.
In ogni caso la variabile dipendente è il numero di errori commessi.

Le domande di ricerca riguardano la valutazione dell’effetto


del fumo, dell’effetto del tipo di compito, e dell’eventuale interazione
tra fumo e compito sulle performance dei soggetti.

1
Questa lezione è liberamente tratta e adattata da http://www00.unibg.it/dati/corsi/64023/73447-
Analisi%20della%20varianza.pdf
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Per rispondere alle domande di ricerca si adotterà un


modello di analisi della varianza univariata fattoriale 3×3 con:

• variabili dipendente: il numero di errori commessi

• un fattore tra soggetti a 3 livelli: Fumo (Non Fumatori,


Fumatori ma non prima e durante la prova, Fumatori prima e durante
la prova)

• un fattore tra soggetti a 3 livelli: Compito (Pattern


Recognition, Cognitivo, Simulazione di Guida)

Gli esiti delle prove sono stati inseriti nel software di


elaborazione statistica.

Si riporta l’output.

Osservando i risultati dell’analisi della varianza si può


affermare che:

• il fumo complessivamente non ha un effetto significativo


sulla performance

• il tipo di compito ha un effetto significativo sulla


performance

• esiste un effetto significativo dell’interazione fumo-tipo di


compito sulla Performance.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Se si riportano i risultati su un diagramma possiamo notare


l’andamento.

L’analisi ha riscontrato un effetto significativo del tipo di


compito (p<0.05) e un effetto significativo dell’interazione fumo-tipo di
compito (p<0.05) sulle performance dei soggetti. L’effetto principale del
fattore fumo non è invece risultato significativo (p>0.05) .

Si può quindi concludere che;

• il fumo complessivamente non incide sulla performance;

• il tipo di compito complessivamente ha influenza sulla


performance;

• esiste un effetto interattivo “fumo-tipo di compito” sulle


performance (le differenze di performance tra i tre gruppi di fumatori
non sono costanti nei tre diversi tipi di compito).
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

2. LA MANOVA
L’obiettivo dell’analisi della varianza multivariata è quello
di studiare gli effetti di uno o più fattori tra soggetti su un insieme di
variabili dipendenti.

Mentre nell’Anova Univariata la variabile dipendente è una,


nella Manova le variabili dipendenti sono più di una.

Consideriamo un esempio.

Si vuole studiare se i maschi differiscono complessivamente


dalle femmine sui punteggi totali di tre questionari che rilevano tre
diversi aspetti dell’ansia.

In questo caso si adotterà un disegno di analisi della


varianza multivariata (Manova) con:

- 3 variabili dipendenti (i 3 aspetti dell’ansia);

- 1 fattore tra soggetti (sesso).

Per effettuare correttamente l’analisi devono essere


rispettate le seguenti assunzioni:

• Le osservazioni seguono una distribuzione normale


multivariata sulle variabili dipendenti in ciascun gruppo.

• Le matrici di covarianza sulle variabili dipendenti di


ciascun gruppo sono uguali.

• Le osservazioni sono indipendenti

Una volta che si le assunzioni sono confermate si potrà


procedere all’analisi e alla lettura dei risultati.

Facciamo un altro esempio.

Per capire se un nuovo approccio didattico nell’insegnamento


del clarinetto è efficace, si vogliono confrontare due gruppi di alunni
delle scuole elementari:
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

- Gruppo Sperimentale (alunni che hanno seguito le lezioni


con il metodo innovativo);

- Gruppo di Controllo (alunni che hanno seguito le lezioni con


il metodo tradizionale).

I dati raccolti riguardano le performance degli alunni


valutate sui seguenti 6 aspetti: interpretazione, tono, ritmo,
intonazione, tempo, articolazione.

Per valutare l’efficacia del nuovo approccio si adotterà un


modello di analisi della varianza multivariata (MANOVA) con:

• sei variabili dipendenti: Interpretazione, Tono, Ritmo,


Intonazione, Tempo, Articolazione;

• un fattore tra soggetti a 2 livelli: Gruppo (Sperimentale vs.


Controllo).

I valori della prestazione con il confronto tra il gruppo


sperimentale e il gruppo di controllo per ciascuno dei parametri sono
riportati nel grafico.

Da una prima osservazione pare che la prestazione del


gruppo sperimentale sia maggiore di quella del gruppo di controllo.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Osserviamo ora l’output dell’analisi.

Gli esiti dell’analisi ci dicono che il gruppo sperimentale


differisce significativamente dal gruppo di controllo sui 6 aspetti
valutati.

Per indicare in modo corretto gli esiti si scrive il valore di F


ottenuto i cui pedici indicheranno i gradi di libertà between e within e
il grado di significatività che ci porta a concludere – in questo caso –
che esistono delle differenze, in questo modo:

F(6;16)= 3,749; sig.<0,05

La conclusione a cui si giunge è che il nuovo approccio


didattico è efficace.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

3 ANALISI DELLA VARIANZA A MISURE RIPETUTE


Il caso più semplice di analisi della varianza a misure
ripetute è il t-test per dati appaiati. In quel caso i soggetti vengono
misurati due volte, ad esempio prima e dopo un trattamento, e si vuole
verificare l’effetto del trattamento (fattore within).

L’analisi della varianza a misure ripetute può essere vista


come un’estensione del test-t per dati appaiati nei casi in cui:

- il fattore within ha più di due livelli;

- esiste più di un fattore within.

Un caso frequente di utilizzo dell’analisi della varianza a


misure ripetute è riferita alla valutazione dell’effetto del tempo.

Per esempio, si vuole valutare se esistono variazioni


dell’umore materno nel primo anno post-gravidanza. Oppure, valutare
nel tempo l’effetto di più trattamenti.

Un altro esempio è quello di voler valutare come incidono la


lunghezza e la tipologia di un testo sulla comprensione.

Consideriamo quali sono i vantaggi dell’analisi della


varianza a misure ripetute.

Innanzitutto si ha il controllo della variabilità entro i


soggetti. Le differenze tra Gruppo Sperimentale e Gruppo di controllo
possono dipendere sia dall’effetto del trattamento sia dalla diversa
composizione dei due gruppi. In un disegno a misure ripetute invece i
soggetti fungono da “controllo di se stessi”.

Un secondo aspetto è la minor numerosità campionaria


richiesta rispetto all’analisi della varianza between.

Se in un disegno di analisi della varianza between per


valutare l’effetto di 3 diversi trattamenti sono richiesti 45 soggetti (15
per trattamento), in un disegno a misure ripetute ne bastano 15!
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Le assunzioni da verificare sono:

• Le osservazioni sono indipendenti.

• Le osservazioni seguono una distribuzione normale


multivariata sui livelli del fattore entro soggetti.

• Le osservazioni soddisfano l’ipotesi di sfericità.

Le prime due assunzioni sono richieste anche per l’analisi


della varianza multivariata (MANOVA), mentre l’ipotesi di sfericità
non lo è.

Che cosa implica l’ipotesi di sfericità? L’ipotesi di sfericità


implica che la matrice di covarianza sulle misure ripetute rispetti una
forma particolare (varianze e covarianze pressoché costanti).

In poche parole, l’idea è che le varianze delle differenze tra


le misure ripetute devono essere pressoché uguali.

Per esempio, si supponga di voler valutare la variazione di


peso nel tempo in bambini neonati. Il peso dei neonati viene misurato
ogni giorno per un periodo critico di 3 giorni.

Il modello da adattare potrebbe essere quello di un’analisi


della varianza a misure ripetute con variabile dipendente il peso dei
bambini e fattore entro soggetti il tempo (3 livelli pari ai 3 giorni).

Osservando i dati si nota che:

- in media i bambini sono aumentati di:

100 grammi tra il giorno 1 e 2

150 grammi e tra il giorno 2 e 3.

- la varianza degli aumenti tra il giorno 1 e 2 è di 20, mentre


quella tra il giorno 2 e 3 è di 100.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

In questo caso l’ipotesi di sfericità che presuppone che la


varianza degli aumenti tra i giorni 1 e 2 e quella tra i giorni 2 e 3 (e
anche quella tra 1 e 3) siano uguali non è soddisfatta.

Il modello potrebbe produrre una stima distorta della


significatività dell’effetto del tempo.

Per valutare se i dati soddisfano l’ipotesi di sfericità si può


utilizzare il test di Mauchly.

Se il test di Mauchly è significativo (p<0.05) allora vuol dire


che i dati non soddisfano l’ipotesi di sfericità. Per ottenere una stima
non distorta degli effetti si deve ricorrere a dei criteri di correzione (ad
es. Greenhouse-Geisser).

Se il test di Mauchly non è significativo (p>0.05) ciò significa


che i dati soddisfano l’assunzione di sfericità. La stima degli effetti non
è distorta.

Analizziamo un esempio.

Si supponga di voler studiare l’effetto di 4 diversi tipi di vino


sui tempi di reazione ad una particolare prova di abilità.

Nella conduzione dell’esperimento un tempo sufficiente


viene fatto trascorrere tra una prova e l’altra, in modo da minimizzare
gli effetti della “somministrazione” di un tipo di vino sui tempi di
reazione legati alla “successiva somministrazione”.

Per valutare se il tipo di vino ha un effetto sui tempi di


reazione dei soggetti si adotterà un modello di analisi della varianza a
misure ripetute con:

- variabile dipendente: il Tempo di Reazione dei soggetti;

- un fattore entro-soggetti a 4 livelli: Tipo di Vino (Chianti,


Merlot, Prosecco, Zibibbo).

Su di un grafico riportiamo i dati.


Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Dal punto di vista grafico si apprezzano delle differenze.

Lanciamo l’analisi con un software statistico in cui sono stati


inseriti i dati e osserviamo l’output.

Avendo verificato l’assunzione di base leggiamo i risultati


delle analisi.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Il fattore Tipo di Vino ha un effetto statisticamente


significativo sui tempi di reazione dei soggetti (F(3;12) = 24,759;
sig.<0.05).

Si può quindi concludere che a seconda del tipo di vino


somministrato i tempi di reazione dei soggetti variano.

Si noti che l’output dà in automatico anche la correzione di


Greenhouse-Geisser nel caso l’assunto di sfericità non sia confermato.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

4. ANALISI DELLA VARIANZA CON DISEGNO MISTO


Un modello analisi della varianza con disegno misto è un
modello che comprende sia fattori between che fattori within.

Vediamo alcuni esempi ipotetici.

Si supponga di voler misurare l’effetto di tre diversi


trattamenti somministrati ad un campione comprendente maschi e
femmine.

Le domande di ricerca sono:

 Esiste un effetto trattamento, cioè un effetto


principale del fattore within? Complessivamente i
soggetti rispondono in maniera diversa a seconda del
trattamento?

 Esiste un effetto genere, cioè un effetto principale del


fattore between? Complessivamente i maschi
rispondono in maniera diversa rispetto alle femmine?

 Esistono dei legami tra il tipo di trattamento e il


genere dei soggetti, ovvero si apprezza un’interazione
tra fattore within e between? Cioè, le differenze tra i
maschi e le femmine sono costanti o variano a seconda
del tipo di trattamento?

Il modello da adattare ai dati sarà un modello di analisi della


varianza a disegno misto 3×2 con:

• variabile dipendente: le risposte dei soggetti

• un fattore within a 3 livelli: trattamento (A, B, C)

• un fattore between a 2 livelli: sesso (Maschi vs. Femmine)

Facciamo un altro esempio.


Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

A due gruppi, uno sottoposto a una condizione stressante


(gruppo sperimentale) ed uno sottoposto ad una condizione neutra
(gruppo di controllo), vengono letti tre testi di crescente difficoltà.

Dopo la lettura di ciascun brano vengono poste ai soggetti 10


domande di comprensione del testo e viene rilevato il numero di
risposte corrette.

Si vogliono studiare i seguenti aspetti:

 la difficoltà dei brani ha un effetto sul numero di


risposte corrette?

 Il gruppo sottoposto ad una condizione di stress


risponde complessivamente in maniera diversa
rispetto al gruppo di controllo?

 esiste un’interazione tra la difficoltà dei brani ed il


livello di stress (le differenze tra i due gruppi sono
costanti per i tre livelli di difficoltà dei brani)?

Il modello da applicare sarà un modello di analisi della


varianza a disegno misto 3×2 con:

• variabile dipendente: il numero di risposte corrette

• un fattore within a 3 livelli: difficoltà del brano (1, 2, 3)

• un fattore between a 2 livelli: gruppo (sperimentale vs.


controllo)

Verifichiamo l’assunto si sfericità.


Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Lanciamo l’analisi col software leggiamo i risultati.

Dobbiamo leggere i risultati nella riga nella quale sono


riportati i valori con la correzione per la violazione di sfericità.

Apprezziamo un effetto significativo del fattore within, cioè


della difficoltà del testo.

Apprezziamo anche un effetto significativo dell’interazione


tra il fattore within (difficoltà) e quello between (condizione di stress).

In particolare l’output ci fa apprezzare una significativa


differenza tra gruppi di controllo e sperimentale, cioè tra coloro che
sono stati esposti a stress e coloro che invece non hanno subito
pressioni.
Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

Vediamo questi risultati con una grafica.

L’analisi condotta ha messo in evidenza i seguenti aspetti:

• emerge un effetto significativo del fattore within


“difficoltà” (F1.507;27.129=20,028; sig.<0,05);

• emerge un effetto significativo del fattore between


“gruppo” (F1.507,27.129=5,861; sig.<0,05);

• emerge un effetto significativo dell’interazione tra il fattore


within e il fattore between (F1;18=9,227; sig.<0,05).

Si può quindi concludere che:


Universitas Mercatorum Applicazioni dell’’analisi della varianza

• la difficoltà del brano influenza il numero di risposte


corrette;

• i due gruppi differiscono sulla base del numero di riposte


corrette;

• le differenze tra i due gruppi non sono costanti per i tre


livelli di difficoltà dei brani; in particolare si può notare che nella
condizione “alta difficoltà” dei brani, la differenza tra i due gruppi è
molto maggiore rispetto a quelle che si registrano nelle condizioni
“media e bassa difficoltà”.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Test del chi-quadro


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come possono
essere verificate le relazioni tra variabili categoriali.
Ciascun studente imparerà come riconoscere il caso specifico
e le relative procedure di verifica della relazione di connessione.
Ogni studente acquisirà dimestichezza del metodo di calcolo
del grado, della significatività e dell’intensità dell’associazione del chi
quadro nei casi di una variabile, di due variabili a doppia categoria e di
due variabili a più categorie.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

1. IL CASO DI UNA VARIABILE


Quando la verifica di ipotesi interessa variabili categoriali la
cui distribuzione non segue la distribuzione normale della curva
gaussiana, si ricorre al test del chi quadro o chi quadrato χ2.

Si tratta di un test non parametrico che valuta se il modo in


cui si presentano le frequenze delle modalità delle variabili sia dovuta
al caso (H0, ipotesi nulla, non esistono differenze) oppure se le eventuali
differenze sono dovute al campione e si rileva una dipendenza tra
caratteri (H1, ipotesi alternativa, esistono differenze).

Si effettua un confronto tra le frequenze osservate e le


frequenze attese, e quindi se le differenze sono di origine casuale o
dipendenti da determinati fattori.

Consideriamo il caso di una variabile nell’esempio tratto dal


libro di testo1.

Sono intervistate 177 donne su quale titolo preferirebbero


per un settimanale femminile. I tre titoli sono: Domani, Scelta, Nuove
Alternative.

Ciò che si vuol capire è se questi nomi possano avere la stessa


popolarità oppure qualcuno d’essi è maggiormente preferito.

Si registrano le seguenti risposte

 65 per Domani

 60 per Scelta

 52 per Nuove Alternative

Le risposte non sono del tutto uguali, perciò ci si chiede

1 Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del
comportamento. Milano: Apogeo Education, p. 416.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Questi risultati permettono di rifiutare l’ipotesi nulla per


cui, nella popolazione, un ugual numero di donne preferisce ciascuno
dei tre titoli?

Questi risultati hanno una probabilità abbastanza alta di


verificarsi a causa dell’errore di campionamento quando l’ipotesi nulla
è vera, portandoci alla conclusione che i tre titoli raccolgono la stessa
popolarità nel pubblico femminile?

Si tratta di verificare le frequenze osservate con delle


frequenze teoriche calcolate sulla base di una qualche ipotesi.

I dati del problema sono espressi in termini di frequenza o di


conteggio, cioè quante persone preferiscono una certa alternativa.

Il nostro obiettivo è stabilire che le frequenze osservate


seguono una specifica distribuzione.

Nell’esempio, l’editore sa quante donne preferiscono ogni


titolo nel campione considerato, ma è interessato a sapere se, da quei
dati, può concludere che nell’intera popolazione le preferenze per i titoli
raccolgono lo stesso numero di donne.

La strategia per verificare questo tipo di ipotesi è chiamata


test del chi quadro χ2.

Si dovranno considerare

 le frequenze osservate, indicate con fo (Observed


Frequency)

 Le frequenze attese, indicate con fe (Expected


Frequency)

Il test del chi quadro si basa sulla discrepanza tra le


frequenze attese e quelle osservate per ogni categoria considerando
tutte le categorie.

La formula computazionale è
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

(𝑓𝑜 − 𝑓𝑒 )2
χ2 = Σ 𝑓𝑒

Se le differenze tra le frequenze osservate e quelle attese


sono piccole anche il χ2 sarà piccolo e, viceversa, maggiori saranno le
differenze tra le frequenze osservate e quelle attese maggiore sarà χ2.

Si deve poi stabilire se le eventuali differenze sono così


grandi per effetto del caso o se n meno del 5% dei casi quando l’ipotesi
nulla è vera, allora rifiuteremo l’ipotesi nulla.

Ricordiamo che stiamo considerando una sola variabile che


esprime tre possibili modalità.

I dati raccolti vanno perciò inseriti in una tabella di


contingenza semplice.

Poiché l’ipotesi nulla dichiara che non ci sono differenze nelle


preferenze date dalle donne intervistate, ci si aspetterebbe che essene
siano appunto uguali, ovvero 177/3=59; 59 è la frequenza attesa che
avvalora l’ipotesi nulla.

Verifichiamo con il calcolo le ipotesi.

Titolo fo fe fo – fe (fo – fe)2 (𝑓o – 𝑓e)2


𝑓e
Domani 65 59 6 36 0,610
Scelta 60 59 1 1 0,017
Nuove Alternative 52 59 -7 49 0,831
(𝑓𝑜 − 𝑓𝑒 )2
χ2 = Σ = 1,458
𝑓𝑒

L’indice di χ2 è in questo caso maggiore di 1, quindi è


registrata una certa differenza, ma per valutarne la significatività si
deve ricorrere alle tavole specifiche. Nel libro di testo, a p.487, è
riportata la tavola di riferimento.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Considerato che il livello di significatività deve essere a 0,05


c’è da stabilire i gradi di libertà a cui fare riferimento e questi
dipendono dal numero di categorie della variabile.

gdl = k – 1

Perciò, nel nostro caso i gradi di libertà sono pari a 2.

Per 2 gradi di libertà e un indice di significatività di 0,05 il


χ2 deve superare il valore di 5,99.

Poiché il χ2 calcolato è inferiore a quello previsto, accettiamo


l’ipotesi nulla secondo cui le scelte dei tre titoli sono ugualmente
frequenti nella popolazione.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

2. IL CASO DI DUE VARIABILI


Il chi quadro può essere utilizzato per verificare la
significatività di un qualsiasi legame tra due variabili quando i dati
sono espressi in termini di frequenze congiunte.

In questo caso, raccogliendo i dati, siamo in presenza di una


tabella di contingenza a doppia entrata.

Vediamo come applicare il test del chi quadro nel caso di due
variabili con un esempio.

Supponiamo di voler capire le scelte di carriera tra laureati


di economia e di psicologia e nel contempo di capire se chi sceglie la
carriera accademica o professionale abbia attinenza con la laurea
conseguita.

Se le due variabili in questione, scelta della carriera e tipo di


laurea, non sono legate tra loro, sono cioè statisticamente indipendenti,
ci aspettiamo di osservare la stessa proporzione di laureati in psicologia
e di laureati in economia che scelgono la carriera accademica rispetto a
quella professionale.

L’ipotesi nulla afferma che le due variabili sono


indipendenti tra loro e ciò dovrebbe rivelarsi con un certo insieme di
frequenze.

Sono state prese in esame le scelte di carriera di 108 laureati


in psicologi e 72 laureati in economia. La scelta di carriera può essere
o professionale o accademica.

Le due categorie delle due variabili si combinano in 4


differenti celle di una tabella a doppia entrata.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Frequenze
Laurea
osservate
Economia Psicologia Totale
Professionale 45 55 100
Scelta di carriera
Accademica 27 53 80
Totale 72 108 180

Quali sono i valori delle frequenze attese che ci occorrono per


calcolare il chi quadro?

Ciascuna cella avrà la seguente frequenza attesa

(𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑔𝑎)∗(𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑙𝑜𝑛𝑛𝑎)


fe = 𝑁

Quindi, per ciascuna cella, la frequenza attesa è uguale al


prodotto tra le frequenze marginali di riga e colonna corrispondenti a
quella cella, diviso per la dimensione totale del campione.

In questo modo possiamo calcolare le frequenze attese del


nostro esempio e le riportiamo in tabella

Frequenze
Laurea
attese
Economia Psicologia Totale
Scelta di Professionale 100*72/180=40 100*108/180=60 100
carriera Accademica 80*72/180=32 80*108/180=48 80
Totale 72 108 180

Avendo calcolato le frequenze attese è ora possibile calcolare


il chi quadro.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

(𝑓o – 𝑓e)2
fo fe fo – fe (fo – fe)2 𝑓e
45 40 5 25 0,625
55 60 -5 25 0,417
27 32 -5 25 0,781
53 48 5 25 0,521
χ2 = 2,344

Il successivo passo è verificare la significatività.

Per farlo occorre prima di tutto ricavare i gradi di libertà.

Nel caso di due variabili i gradi di libertà sono così calcolati

gdl = (r – 1)(c – 1)

dove

r = numero di righe

c = numero di colonne

applicando otteniamo

gdl = (r – 1)(c – 1) = (2 – 1)(2 – 1) = 1

Secondo la tabella dei valori critici di chi quadro, per 1 grado


di libertà e con α = 0,05 il valore critico del chi quadro è 3,84.

Poiché il valore critico è maggiore del valore calcolato,


accettiamo l’ipotesi nulla e concludiamo che non ci sono sufficienti
evidenze per ritenere che la laurea conseguita si associ a precise scelte
di carriera.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

3. IL CASO DI PIÙ VARIABILI A PIÙ LIVELLI


La procedura del chi quadro può essere utilizzata anche per
esplorare il legame tra due variabili che hanno più livelli ciascuna.

Esploriamo questa possibilità con un esempio tratto dal libro


di testo2.

Si vuole comprendere il grado di efficacia di una certa terapia


somministrata a 300 pazienti psichiatrici.

Le categorie dei pazienti psichiatrici sono 4 e divise per


patologia: schizofrenia, disturbo bipolare, depressione maggiore,
borderline.

Per quanto riguarda l’efficacia si stabiliscono 3 livelli:


migliorato, stabile e peggiorato.

In tabella sono esposti i valori delle frequenze osservate.

Disturbo Depressione
Schizofrenia bipolare maggiore Borderline Tot.
Migliorato 36 8 14 2 60
Stabile 84 72 18 26 200

Peggiorato 18 8 10 4 40

Tot. 138 88 42 32 300

Le frequenze attese si calcolano moltiplicando, per ciascuna


cella, i totali di riga e i totali di colonna diviso per la numerosità totale
del campione.

2Welkowitz, J., Cohen, B., Ewen, & R. (2013). Statistica per le scienze del comportamento.
Milano: Apogeo Education, p. 425.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Le frequenze attese calcolate sono riportate in tabella.

Disturbo Depressione Tot.


Schizofrenia bipolare maggiore Borderline r
Migliorato 27,6 17,6 8,4 6,4 60
Stabile 92 58,67 28 21,33 200

Peggiorato 18,4 11,73 5,6 4,27 40

N=
Tot. c 138 88 42 32
300

È ora possibile calcolare le differenze tra frequenze osservate


e frequenze attese, elevare al quadrato, dividere per le frequenze attese
e sommare il tutto per avere il valore del χ2.

(𝑓o – 𝑓e)2
fo fe fo – fe (fo – fe)2 𝑓e
36 27,6 8,4 70,56 2,26
8 17,6 -9,6 92,16 5,24
14 8,4 5,6 31,36 3,73
2 6,4 -4,4 19,36 3,02
84 92 -8 64 0,7
72 58,67 13,33 177,69 3,03
18 28 -10 100 3,57
26 21,33 4,67 21,81 1,02
18 18,4 -0,4 0,16 0,01
8 11,73 -3,73 13,91 1,19
10 5,6 4,4 19,36 3,46
4 4,27 -0,27 0,07 0,02
χ2 = 27,55
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Calcoliamo ora i gradi di libertà necessari per indiivduare il


valore soglia del χ2.

gdl = (r – 1)(c – 1) = (3 – 1)(4 – 1) = 6

perciò il χ2 statistico = 12,59 (α = 0,05)

poiché χ2 statistico = 12,59 < χ2 = 27,55 calcolato

rifiutiamo l’ipotesi nulla e concludiamo che il tipo di disturbo


psichiatrico e la reazione alla terapia sono legate o connesse.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

4. L’INTENSITÀ DI ASSOCIAZIONE
Abbiamo fin qui considerato come calcolare il chi quadro nei
casi di una variabile, di due variabili a doppia categoria e di due
variabili a più categorie e, infine i gradi di libertà.

Ciò che non è stato sottolineato è che il test del chi quadro ci
consente di decidere se i dati campionari di una determinata
rilevazione possano portarci a concludere che è ragionevole pensare che
esista una relazione tra le variabili considerate, ma non di più.

Ciò che non dice è l’intensità della relazione. Occorre quindi


ottenere un indice che misuri l’intensità di questa relazione tra
variabili, una misura di questa correlazione.

Al riguardo è stato sviluppato il coefficiente phi ϕ.

Vediamo come si applica in caso di due variabili a doppia


categoria e nel caso di categorie multiple.

Il coefficiente phi ϕ per tabelle 2 x 2

Il chi quadro risente della numerosità del campione, nel


senso che maggiore è il campione maggiore sarà la grandezza del chi
quadro calcolato e quindi può facilmente superare il valore soglia del
chi quadro statistico.

Per esempio, abbiamo calcolato nel caso delle scelte di


carriera un chi quadro del valore di 2,344 per una grandezza
campionaria di 180 soggetti.

Se raddoppiassimo il numero di soggetti lasciando invariate


le proporzioni, per 360 soggetti otteniamo un chi quadro uguale a 4,688,
doppio rispetto al precedente.

Questo nuovo valore è maggiore del valore soglia di 3,84.


Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

Rapportando il chi quadro alla numerosità del campione e


estraendone la radice, otteniamo un indice slegato dalla grandezza
campionaria, che varia da 0 a 1.

La formula è così rappresentata

𝜒2
ϕ = √𝑁

applicando i dati del caso delle scelte di carriera, sia


originario che raddoppiato, otteniamo

𝜒2 2,344 4,688
ϕ = √ 𝑁 = √ 180 = √ 360 = 0,114

questo indice, interpretato come un indice di correlazione,


indica un’inesistente correlazione.

Il coefficiente phi ϕ di Cramér

Quando una o entrambe le variabili categoriche che si stanno


considerando hanno più di due livelli, dobbiamo considerare questa
molteplicità.

Al riguardo si utilizza il coefficiente ϕ di Cramér

𝜒2
√𝑁(𝑘−1)

La quantità k non corrisponde al numero delle categorie.

La quantità k corrisponde alla minore quantità di categorie


tra righe e colonne di una tabella a doppia entrata.

In altri termini, si considera la quantità di modalità minima


di una delle due variabili considerate.

Nel caso, per esempio, della cura psichiatrica ai vari


pazienti, la variabile efficacia del trattamento ha solo 3 modalità,
mentre le modalità delle patologie è di 4, Perciò si applica k = 3.
Universitas Mercatorum Test del chi-quadro

𝜒2 27,55
ϕ di Cramér = √𝑁(𝑘−1) = √300∗ (3−1) = 0,21

Ci troviamo quindi a dire che si tratta di una relazione


esistente ma debole.
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

Introduzione alla teoria classica dei test1


La lezione ha l’obiettivo di far comprendere quali sono le varie
teorie che danno supporto alla costruzione dei test per la misurazione
delle dimensioni psicologiche.
Saranno affrontate le diverse specificità e le differenze tra le
varie teorie di riferimento.
Ciascun studente imparerà in cosa consiste la teoria classica dei
test e in che modo questa si contrappone al metodo dell’Item Response
Theory.
Saranno esaminate anche le logiche di fondo della teoria della
generalizzabilità e della teoria del tratto latente.

1
Il contenuto di questa lezione è stratto da
http://items.giuntios.it/showArticolo.do?idArt=98&print=true e da
https://flore.unifi.it/retrieve/handle/2158/306284/5355/ASTRIS1_cap_2.pdf
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

1. LA TEORIA CLASSICA DEI TEST


La valutazione rappresenta un momento di centrale importanza
nell'ambito della ricerca in psicologia: l'esigenza di definire dei criteri
per la misurazione dei costrutti, che possano assicurare indici
accettabili in termini di attendibilità e di validità, conduce
direttamente a quella che rappresenta forse la più antica delle
preoccupazioni di tale disciplina.
La necessità di rilevare categorie concettuali non direttamente
osservabili, quali le attitudini, gli interessi, i valori, la personalità e
l'intelligenza, attraverso strumenti psicometrici opportunamente
strutturati e calibrati, in grado di garantire la congruità dei risultati
ottenuti con il fenomeno oggetto di studio, impone di focalizzare
l'attenzione sulle tecniche legate alla costruzione delle scale di misura.
In questa direzione, è possibile fare riferimento a diversi
approcci metodologici, le cui caratteristiche ed assunzioni risultano
fortemente differenziate.
La Teoria Classica dei Test (in inglese Classical Test Theory,
CTT; Gulliksen, 1950) giunge alla misurazione del tratto latente di
riferimento mediante la trasformazione del numero di risposte esatte
in un punteggio globale. In questa prospettiva, i valori ottenuti,
essendo legati al particolare campione normativo sottoposto ad analisi,
si rivelano scarsamente utilizzabili per effettuare delle comparazioni
tra contesti differenti.
Tale approccio assume l'esistenza di un punteggio vero e di un
errore e la possibilità di definire forme parallele di misurazione per la
stima dell’affidabilità; conseguentemente si ammette la possibilità che
uno strumento abbia diverse stime di affidabilità e si ignora l’esistenza
di fonti accidentali di errore.
L'impossibilità di eliminare dalla misurazione l'errore è
formalizzata nella teoria classica della misurazione all'interno della
quale sono definite le seguenti tre variabili:
- punteggio vero (t), ovvero il valore reale ma teorico (e
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

quindi "atteso") che ciascun oggetto p possiede rispetto alla


caratteristica e che, a causa degli errori di misurazione, non può essere
osservato direttamente, ma può essere stimato attraverso la
misurazione reale; per questo esso è concepito come una quantità
ipotetica, non osservabile che non può essere direttamente misurata;
in questo senso esso rappresenta il valore atteso per un certo oggetto;
- punteggio osservato (x), ovvero il valore realmente
osservato per l'oggetto p, rispetto alla caratteristica, ottenuto
attraverso la procedura di misurazione; esso rappresenta una stima del
punteggio vero;
- errore (e), ovvero la deviazione del punteggio osservato dal
punteggio vero; esso è inosservabile; l'errore di misurazione, qui
considerato come casuale e non sistematico, non è una proprietà della
caratteristica misurata ma è il prodotto della misurazione effettuata
sull'oggetto; esso è correlato in modo inversamente proporzionale
all'affidabilità: maggiore è la componente di errore, peggiore è
l'affidabilità.
Naturalmente, potendo disporre di una procedura di
misurazione perfettamente affidabile e valida e quindi di un punteggio
x esente da errore, i due punteggi t e x sono perfettamente equivalenti;
in caso contrario ogni singola misurazione (x) viene considerata
composta di due parti:

punteggio osservato = punteggio vero + errore di misurazione


in formula:
x=t+e
All'interno della teoria classica della misurazione questa
rappresenta l'equazione fondamentale che consente di definire
formalmente il concetto di errore di misurazione come differenza tra il
punteggio osservato e il suo corrispondente punteggio vero: in pratica
essa formalizza l'impossibilità da parte di un particolare punteggio
osservato di eguagliare il punteggio vero a causa di disturbi casuali.
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

Potendo effettuare sullo stesso oggetto ripetute misurazioni


della stessa caratteristica con la stessa procedura si può ipotizzare di
ottenere, a causa della presenza dell'errore, risultati diversi che più o
meno si avvicinano a quello vero.
La teoria classica della misurazione assume che la distribuzione
di tutti i valori così registrati sia normale e che il valore vero sia quello
che presenta la frequenza più alta o, meglio, che tale valore sia quello
con la probabilità più alta di avvicinarsi a quello vero. In altre parole
le misure rilevate si distribuiscono con maggiore frequenza intorno al
valore del punteggio vero e simmetricamente al di sopra e al di sotto
del punteggio vero (come in una curva gaussiana); in particolare gli
errori positivi compensano gli errori negativi; maggiore è l'estensione
della distribuzione dei punteggi ottenuti e l'oscillazione dei punteggi
osservati intorno al punteggio medio (considerato stima del punteggio
vero), maggiore è l'ampiezza dell'errore.
Analogamente si può assumere che all'aumentare del numero
delle misurazioni, tali errori si annullino fino ad avere media zero. Se
ne deduce che la distribuzione di frequenza, e quindi di probabilità,
dell'errore di misurazione ha la stessa forma della distribuzione di
frequenza (di probabilità) del punteggio osservato; conseguentemente
la funzione di distribuzione dell'errore e la funzione di distribuzione del
punteggio osservato sono uguali.
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2. LIMITI DELLA TEORIA CLASSICA DEI TEST E


VANTAGGI DEL METODO IRT
Con l'obiettivo di favorire l'adozione della tecnica di misurazione
basata su di un modello, si sottolineano il potere innovativo e le
potenzialità applicative della IRT, rispetto alla tradizionale Teoria
Classica dei Test.
L'Item Response Theory (IRT; Lord, 1952), consente di valutare
la performance del soggetto in funzione di un'abilità latente mediante
la specificazione di un modello statistico-matematico, che permette di
giungere non soltanto alla valutazione della prestazione del singolo, ma
anche delle caratteristiche di ogni item. In virtù della cosiddetta
indipendenza dal campione, tale modello offre la possibilità di giungere
alla valutazione della prova individuale, in modo che questa sia
effettivamente comparabile con quella di altri soggetti (Lord, Novick,
1968).
L'adozione di tale metodo di misurazione offre la possibilità di
superare il limite fondamentale della Teoria Classica che non riesce a
chiarire del tutto il complesso rapporto esistente fra le risposte agli
item, e quindi la qualità o abilità del soggetto, e le caratteristiche degli
item stessi, che si esprimono nei termini del livello di difficoltà di
risoluzione del quesito. L'approccio classico comporta, inoltre, una forte
sensibilità dei punteggi ricavati rispetto al gruppo di rispondenti, con
conseguenti limitazioni circa il confronto fra individui sottoposti a
prove diverse. L'utilizzo dell'IRT, di contro, consente non solo di
differenziare i diversi soggetti sulla base dell'esito della prova di
valutazione, ma anche di determinare la difficoltà relativa dei quesiti
inclusi nella scala, così come risulta dalle prestazioni dei soggetti
indagati.
Tali progressi scaturiscono dalla diversa natura delle proprietà
che denotano l'approccio della risposta all'item. La Teoria Classica dei
Test, infatti, si basa su un modello matematico piuttosto semplice in
cui la variabile dipendente, data dal punteggio totale al test, viene
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predetta dalla combinazione delle variabili indipendenti, che sono


rappresentate dal punteggio reale ottenuto dall'individuo su un
determinato tratto latente e da una componente di errore.
Diversamente, l'IRT si fonda su un ventaglio di assunzioni più
articolate e sull'applicazione di una metodologia che si colloca ad un più
alto livello di sofisticazione. In questa prospettiva, la posizione di un
individuo rispetto a un determinato tratto, piuttosto che tramite la
semplice applicazione di una procedura di calcolo, viene determinata
attraverso un processo di ricerca teso all'individuazione del livello del
costrutto misurato che presenta la massima verosimiglianza col
modello di risposte date. In altre parole, mentre nella Teoria Classica,
la posizione del soggetto viene rilevata attraverso la somma delle
risposte fornite in un punteggio grezzo, successivamente trasformato
in punti standard, nell'IRT, sulla base delle proprietà degli item, si
adopera un metodo in grado di scegliere il livello più capace di
rappresentare le risposte date.
I due approcci differiscono tra loro anche per quanto riguarda la
questione dell'interpretazione del livello raggiunto da un soggetto su
una determinata variabile misurata: nella Teoria Classica dei Test, il
punteggio ottenuto ad una scala viene interpretato attraverso il
confronto con il campione di standardizzazione su cui vengono calcolate
le norme del test; nell'IRT, in virtù della possibilità di collocare sia gli
individui che gli item su un continuum che rappresenta una scala
comune di misura del tratto latente, la comparazione viene effettuata
con gli item.
Inoltre, un altro limite che porta con sé l'approccio classico
risiede nel sistema che, per la stima del livello di abilità del soggetto,
non tiene conto del grado di difficoltà degli item. Com'è facile intuire,
la prova di un soggetto che totalizza il massimo del punteggio
risolvendo dei compiti relativamente semplici non è equiparabile a un
risultato analogo conseguito da un altro soggetto cui viene sottoposto
un test che contiene lo stesso numero di item che presentano però un
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più elevato livello di difficoltà. Secondo il metodo IRT, che si fonda su


una relazione probabilistica tra le risposte agli item fornite da un
soggetto e la variabile che si vuole misurare, è la complessità dell'item
che svolge una funzione di guida nella collocazione del soggetto rispetto
al tratto latente.
È possibile avvalersi di diversi modelli IRT che si distinguono in
base alla forma matematica della funzione caratteristica dell'item e al
numero di parametri specificati.
A prescindere dal particolare sistema adottato, l'applicazione
della ricca modellistica IRT si rivela particolarmente efficace sia per la
costruzione delle prove di valutazione che per l'interpretazione dei
punteggi.
Le peculiarità dell'IRT consentono l'applicazione di sofisticate e
rigorose procedure metodologiche in molti ambiti della misurazione, fra
i quali assumono un ruolo di rilievo la costruzione degli strumenti
psicometrici.
Uno dei limiti più noti dell'approccio classico è dato dal fatto che
le caratteristiche dei soggetti e quelle del test non possono essere
separate, ma devono essere interpretate congiuntamente. Con l'IRT si
riesce a realizzare il superamento del concetto di dipendenza tra
soggetto e item. Le teorie basate su modello, infatti, godono della
proprietà di separabilità dei parametri, secondo la quale la stima della
difficoltà degli item non dipende dall'abilità degli individui che hanno
risposto al test, così come la stima dell'abilità dei soggetti non dipende
dallo specifico strumento di misura impiegato.
Abbiamo quindi sottolineato il potere innovativo dei modelli IRT,
che offrono la possibilità di confrontare l'abilità di un individuo con la
difficoltà di un item in modo da prevedere la probabilità di scegliere
una certa modalità di risposta. Abbiamo anche visto i limiti della
Teoria Classica dei Test per la costruzione delle scale di valutazione e
i vantaggi del più avanzato metodo IRT, che si basa sulla ricerca del
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

modello teorico che presenta il migliore adattamento ai dati empirici


(Thissen, Steinberg, 1988).
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3. L'IRT: TEORIA DEL TRATTO LATENTE


Le possibilità offerte dalla teoria del tratto latente di risolvere i
problemi pratici del testing indirizzano verso l'utilizzo delle strategie
di misurazione basate su modello in tutti quegli ambiti, come
l'orientamento scolastico e professionale o la selezione del personale, in
cui la valutazione dell'abilità del soggetto assume una rilevanza
fondamentale. In tale direzione, i test psicometrici, quando
adeguatamente costruiti ed appropriatamente utilizzati, si pongono
come preziosi strumenti di conoscenza in grado di offrire all'azione
orientativa o alla gestione delle risorse umane possibilità aggiuntive ed
occasioni di approfondimento ulteriore. In quest'ottica, dunque, sembra
particolarmente adeguato il ricorso ad un metodo che consente di
utilizzare la medesima scala continua per stimare
contemporaneamente la difficoltà dell'item e la qualità del soggetto,
indicando per entrambi la posizione rispetto alla mappatura del
costrutto misurato dallo strumento (Wilson, 2005).
Va inoltre detto che, offrendo l'IRT la possibilità di identificare i
rispondenti e gli item che presentano risultati non coerenti con il
modello teorico, è possibile fare a meno degli studi preliminari tanto
richiesti dalla Teoria Classica dei Test, con favorevoli ricadute sulla
realizzazione dei progetti di ricerca volti alla costruzione di nuovi
strumenti psicometrici da impiegare nell'ambito della valutazione
psicologica.
Con le recenti estensioni alle scale di misurazione (rating scale)
(Andrich, 1992), con punteggio a credito parziale (partial credit)
(Masters, 1982) e a risposta multipla (multiple category) (Thissen,
Steinberg, 1984), la teoria del tratto latente trova maggiore e più ampia
applicabilità anche nell'ambito della ricerca psicosociale, con
particolare riferimento alla valutazione degli atteggiamenti e delle
disposizioni. Alla luce di tali evoluzioni statistiche, l'IRT appare
particolarmente adatta alla pratica di sviluppo dei test spendibili negli
interventi di orientamento scolastico e professionale, così come nella
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selezione e gestione del personale, dove la valutazione dei valori, degli


interessi e dei tratti di personalità, oltre che delle abilità specifiche,
occupa un ruolo di notevole rilievo.
In definitiva, i modelli di IRT possono adesso essere applicati in
maniera diffusa anche alla misura degli atteggiamenti e delle
disposizioni comportamentali che investono una molteplicità di ambiti
e di settori (Hambleton, Swaminathan, 1985).
Tale approccio non fa alcun assunto riguardo al campionamento
di item dall’universo ma definisce esplicitamente un assunto che
riguarda la relazione tra item e la variabile teorica non direttamente
osservabile.
A differenza degli altri modelli, la teoria del tratto latente, nota
anche come Latent Trait Theory, fa una prima differenziazione tra
variabili osservate e variabili latenti; queste ultime sono intese come
costrutti teorici che non sono direttamente osservabili ma che hanno
implicazioni per le relazioni tra le variabili osservate.
Secondo questa teoria, i concetti astratti (variabili latenti) non
sono in grado di essere ridotti direttamente ad eventi o caratteristiche
osservabili; per poter verificare empiricamente e direttamente
un'ipotesi, definita sulla base di concetti astratti, è necessario definire
le caratteristiche, possedute dai casi da studiare, osservabili e
misurabili e che riflettono la natura dei concetti astratti considerati;
tali caratteristiche misurabili empiricamente sono dette indicatori dei
concetti, sviluppati in modo che siano fondati nel mondo empirico e che
possano essere misurati.
La definizione di tali indicatori consente la verifica delle teorie e
delle ipotesi rispetto a dati concreti.
Ipotesi che contengono concetti per i quali non si prevedono
indicatori empirici sono destinate a rimanere speculazioni non
verificate. Lo sviluppo di indicatori empirici adeguati costituisce un
punto fondamentale nel processo della ricerca.
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

La definizione di tali indicatori non è però una questione sempre


facile da affrontare; accanto alle teorie esplicite e alle ipotesi definite
per spiegare il fenomeno sotto studio, vi è la necessità di verificare una
seconda, spesso implicita, teoria. Secondo alcuni autori la funzione di
questa, detta anche teoria ausiliaria, è quella di specificare le relazioni
tra il mondo teorico e il mondo empirico o, meglio, tra concetti astratti
e i loro indicatori. Tali relazioni sono state indicate in molti modi in
letteratura a seconda che si sia nell'ambito della filosofia della scienza,
della sociologia o della psicometria (correlazioni epistemiche, regole di
corrispondenza o definizioni operative); esse forniscono la base per
specificare indicatori e verificare ipotesi astratte.
Un modo utile per rappresentare una serie di ipotesi astratte con
la teoria ausiliaria necessaria per specificare le relazioni tra indicatori
e concetti è quello di utilizzare la tecnica dei diagrammi causali in cui,
in maniera semplice, è possibile rappresentare simultaneamente sia la
teoria che si vuole verificare realmente (ipotesi) che la teoria ausiliaria
per verificarla:

Costrutti: X → Y → Z
Correlazioni epistemiche: ↓ ↓↓ ↓
Indicatori: x1 y2 y3 z1

Le frecce orizzontali rappresentano le relazioni tra i concetti che


compongono la teoria reale, mentre le frecce verticali indicano le
correlazioni epistemiche tra i concetti e gli indicatori che compongono
la teoria ausiliaria. In questa rappresentazione la teoria ausiliaria
risulta essere piuttosto semplice; infatti si assume che non vi sia alcun
altro fattore che influenza gli indicatori al di fuori dei costrutti teorici.
La distinzione fatta tra i due livelli di analisi rappresenta un
punto critico per comprendere i problemi fondamentali che si
presentano nell'effettuare ricerche scientifiche soprattutto se si accetta
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

l’impossibilità dello sviluppo di una scienza teorica in assenza di una


osservazione adeguata dei concetti e delle loro interrelazioni.
L’approccio metodologico che consente di affrontare nella pratica
tale teoria è quello dei modelli ad equazioni strutturali. Si può dire che
la struttura teorica sottostante ai modelli ad equazioni strutturali sia
la fusione di due tradizioni di ricerca:
- variabili latenti (psicologia)
- modelli causali (sociologia).
L’affidabilità nell’ambito di questa teoria è definita dalla
variazione osservata in ciascun indicatore x come composta da due fonti
indipendenti:
1.variazione dovuta alla presenza della/e variabile/i latente/i (ξ ),
e condivisa dagli altri indicatori, e misurabile attraverso il peso
fattoriale λ;
2.variazione specifica di ciascun indicatore (fattore unico, δ ).
Possiamo quindi dire che l’affidabilità di un indicatore nel
misurare una variabile latente è rappresentata dalla proporzione di
varianza di un indicatore attribuibile all’effetto della variabile
strutturale; conseguentemente:
- ciascun coefficiente lambda al quadrato misura
l’affidabilità dell’indicatore corrispondente,
- maggiore è la varianza dell’errore, minore è l’affidabilità.
Gli indicatori che misurano una variabile latente possono
ottenere valori di lambda anche molto diversi tra loro, rivelando diversi
livelli di accuratezza (affidabilità) nel misurare e rappresentare il
concetto latente.
Tale approccio consente anche di verificare la validità della
misurazione; in particolare le correlazioni di ciascun indicatore con le
variabili latenti possono essere interpretate in termini di validità
fattoriale o, meglio, di composizione fattoriale delle misure utilizzate;
la registrazione della correlazione tra indicatori e costrutto consente di
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

verificare la validità predittiva, di contenuto, di costrutto e


convergente/divergente.
Infatti gli indicatori che risultano essere significativi rispetto ad
una certa variabile latente tendono a correlare molto tra loro e meno
con gli indicatori che definiscono gli altri costrutti latenti; in altre
parole:
- gli indicatori che correlano molto tra loro riflettono lo
stesso costrutto (validità convergente),
- gli indicatori che correlano molto poco tra loro riflettono
costrutti diversi (validità discriminante).
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

4. LA TEORIA DELLA GENERALIZZABILITÀ


Secondo questa teoria (Bejar, 1983), la rilevazione di qualsiasi
caratteristica, definita operativamente da un indicatore, richiede
l'utilizzo di più variabili.
Infatti, date le possibili fluttuazioni nelle misure, per ottenere
misure stabili (e quindi affidabili) è necessario disporre di misure
multiple, individuate a partire da una popolazione teorica di misure
possibili, utilizzate per stimare la vera misura del concetto che
interessa, controllando gli errori casuali.
Il problema assume quindi la connotazione di significatività
campionaria.
Le variabili infatti rappresentano un campione estratto
dall’universo teorico di variabili, considerato infinitamente grande.
Tale universo teoricamente non è osservabile e, conseguentemente, non
è osservabile il punteggio e la misura reale dell'oggetto.
Ciò significa che la misura reale può essere solo stimata. Il
problema che deve essere affrontato a questo punto è la valutazione
della quantità di errore presente in tale stima, come si fa per qualsiasi
stima.
Le misure multiple devono soddisfare il requisito di
indipendenza: ciascuna misurazione per ogni oggetto deve essere
sperimentalmente indipendente dalle altre. L’indipendenza
sperimentale garantisce l'assenza di correlazione tra gli errori scaturiti
dalle misure multiple e la possibilità di stimare l'affidabilità.
Da tutto ciò si deduce che l'errore di misurazione è influenzato
dalla dimensione del campione di misure multiple. Conseguentemente
l'affidabilità della misura finale (e quindi dello strumento di
misurazione), dedotta da un campione di misure multiple, dipende
interamente
• dal numero di misure multiple: maggiore è il numero di misure
multiple, minore è l'errore di misurazione, maggiore è l'affidabilità;
Universitas Mercatorum Introduzione alla teoria classica dei test

• dalla relazione tra le misure multiple e il concetto generale da


misurare.
Diversamente dalla teoria classica, che ammette solamente un
coefficiente di generalizzabilità (affidabilità), nella teoria della
generalizzabilità i punteggi possono disporre di molti coefficienti di
generalizzabilità, a seconda dei fattori che, influenzando il
procedimento di misurazione, vengono presi in considerazione.
In ogni caso la definizione di generalizzabilità è la stessa del
modello classico:
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑒𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′𝑢𝑛𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑒𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑜𝑠𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎𝑡𝑜
Se le diverse componenti della varianza corrispondenti alle
diverse condizioni sono state precedentemente stimate, è possibile
stimare la generalizzabilità dei punteggi sotto un dato insieme di
condizioni utilizzando le stime delle componenti della varianza.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


valutata l’attendibilità dei test per la misurazione delle dimensioni
psicologiche.
Ciascun studente imparerà le basi del concetto di attendibilità
dei test e come calcolarlo attraverso dei coefficienti numerici.
Sarà mostrata la connessione dell’attendibilità dei test con
l’errore standard di misurazione.
Un’ultima sezione sarà dedicata alla comprensione dei metodi
che riguardano la stima dell’attendibilità.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

1. IL CONCETTO DI ATTENDIBILITÀ
L’attendibilità esprime il grado di fiducia che possiamo riporre
in un test, inteso come strumento per la misurazione stabile, precisa e
coerente.

Per attendibilità o affidabilità o fedeltà (dall’inglese reliability)


di un test si intende il grado di accuratezza e di precisione di una
procedura di misurazione.

Essa può essere intesa come il grado di correlazione tra punteggi


ottenuti allo stesso test in due o più momenti successivi.

Ancora, un test può dirsi attendibile quando i punteggi ottenuti


da un gruppo di soggetti sono coerenti, stabili, nel tempo e costanti dopo
molte somministrazione, in assenza di cambiamenti evidenti.

L’attendibilità riguarda tutti gli strumenti di misura. Si pensi


per esempio a uno sfigmomanometro. Se ripetendo la misura della
tensione arteriosa nello stesso soggetto a distanza di pochi secondi
l'una dall'altra ottenessimo coppie di valori quali 220 e 140, 120 e 80,
180 e 120, mentre contemporaneamente con altri sfigmomanometri
ottenessimo valori pressori stabili, non potremmo che ritenere lo
strumento oltre che inutile anche dannoso poiché inattendibile

L’attendibilità non denota una proprietà che può essere presente


o assente. Essa può essere presente secondo diversi gradi che è
possibile calcolare in modi diversi.

L’attendibilità rappresenta un concetto statisticamente


calcolabile per ciascuna misura attraverso appositi coefficienti.

La credibilità è una condizione necessaria ma non sufficiente per


definire uno strumento come valido.

Attraverso appositi indici di attendibilità infatti possiamo


dimostrare il grado di precisione dello strumento nel misurare una
determinata caratteristica psicologica ma non possiamo assicurare con
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

gli stessi indici che quel test misuri effettivamente la caratteristica che
intendevamo misurare.

Dunque un test attendibile può non essere valido, tuttavia, se un


test non è attendibile è inutile testarne la validità.

Il concetto di attendibilità è collocabile su un continuum


composto da due poli opposti: scarsa coerenza della misurazione e
perfetta replicabilità dei risultati.

Idealmente la perfetta replicabilità dei risultati si raggiunge


quando l'attendibilità del test è pari a +1, ovvero la varianza d'errore è
pari a 0, ma dato che l'errore è sempre presente nella misurazione
questa condizione è pressoché irrealizzabile. Qualunque test
psicologico di fatto si posiziona tra questi due poli e questa è calcolabile
attraverso il coefficiente di attendibilità.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

2. IL COEFFICIENTE DI ATTENDIBILITÀ
Il concetto di attendibilità nasce e si sviluppa con la teoria
classica dei test.

Secondo questa teoria il punteggio ottenuto da un soggetto a un


item o a un test si può scomporre in questo modo

punteggio osservato = punteggio vero + errore di misurazione

in formula:

x=t+e

Siamo interessati a cogliere il punteggio vero del soggetto ossia


la reale intensità della caratteristica psicologica misurata su tale
soggetto. Questa non può essere rilevata per mezzo del punteggio x
poiché questo racchiude contemporaneamente sia il punteggio vero sia
il punteggio d'errore.

Un modo di considerare il punteggio vero di un soggetto è quello


di pensarlo come il risultato della differenza dell'errore casuale del
punteggio osservato per cui:

t=x-e

Dunque per conoscere il punteggio vero è necessario stimare la


quantità di errore casuale ovvero

e=x-t

La stima della quantità dell'errore casuale è possibile attraverso


il calcolo del coefficiente di attendibilità per i gruppi, e attraverso
l'errore standard di misura per i singoli soggetti.

Sulla base degli assunti fondamentali della teoria classica dei


test è possibile ricavare una prima stima dell’attendibilità dei test.

Partendo dall’ipotesi che la varianza totale dei punteggi ottenuti


da un test (Sx2) sia composta dalla somma della varianza dei punteggi
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

veri (St2) e della varianza dei punteggi d’errore (Se2) possiamo così
formalizzare

S x 2 = S t2 + S e 2

È possibile avere una stima del coefficiente di attendibilità (rxx)


in termini di proporzione di varianza vera sul totale della varianza
ottenuta, espressa dall’equazione:

rxx = St2 / Se2

Il coefficiente di attendibilità esprime, quindi, la proporzione di


variabilità dovuta alle differenze “vere” tra i soggetti rispetto alla
variabilità totale.

Minore è la variabilità della distribuzione dei punteggi ottenuti


intorno alla media, maggiore è l’attendibilità del test.

Quando il test presenta una perfetta attendibilità, il numeratore


è uguale al denominatore, ma nella realtà avremo sempre il
numeratore inferiore al denominatore a motivo dell’influenza
dell’errore casuale.

Il coefficiente di attendibilità varia tra 0 e 1.

L’attendibilità può anche essere espressa come l’unità meno il


rapporto tra la varianza d’errore (St2) e la varianza totale die punteggi
(Sx2). In formula

rxx = 1 – Se2 / Sx2

Quanto più la varianza d’errore è piccola rispetto alla varianza


totale, tanto più l’attendibilità del test si approssimerà a 1, ossia più
preciso e affidabile risulterà essere il test.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

3. L’ERRORE STANDARD DI MISURAZIONE E


L’ATTENDIBILITÀ
Il calcolo dell'errore standard di misurazione è una procedura di
valutazione dell'attendibilità che trova specifiche indicazioni per la
stima di punteggi individuali conseguiti a un test.

Supponendo di poter sottoporre lo stesso soggetto per un numero


elevatissimo di volte lo stesso test di misura della medesima variabile,
un numero di volte che tende all'infinito, otterremo una distribuzione
normale di punteggi osservati intorno al punteggio vero di quel
soggetto.

In base alle assunzioni della teoria classica dei test, la media


della distribuzione di questi punteggi osservati ottenuti dal soggetto
corrisponde al suo punteggio vero, cioè sarebbe la migliore stima del
suo status su quella variabile.

La deviazione standard della distribuzione dei punteggi ottenuti,


ossia l'indice che descrive quanto i punteggi ottenuti dal soggetto sono
dispersi intorno alla media è l'errore standard di misurazione.

La sua formula è la seguente:

Esmis = s * √1 − 𝑟𝑥𝑥

Dove:

Esmis = errore standard di misurazione

s = deviazione standard

rxx = coefficiente di attendibilità

Se la s fosse uguale a 0, cioè tutti i punteggi ottenuti fossero


identici, non ci sarebbero errore.

Quanto maggiore è la s tanto più grande sarà l'errore.


Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

Quanto maggiore è la variabilità dei punteggi ottenuti intorno


alla media, che coincide con il punteggio vero, tanto più la misura
risulta influenzata dall'errore.

Se il test fosse perfettamente attendibile (rxx = 1) allora l'errore


standard di misura sarebbe nullo e la s rifletterebbe unicamente la
variabilità delle vere differenze individuali.

Se il test fosse completamente inattendibile (rxx = 0) allora


l'errore standard di misura coinciderebbe con la variabilità totale del
test, in altre parole, il test in questo caso misurerebbe solo oscillazioni
casuali e nessuna vera differenza tra soggetti e relativa al costrutto che
si intendeva misurare.Poiché in base agli assunti della teoria classica
dei test i punteggi ottenuti a un test in un grandissimo numero di
somministrazioni da uno stesso soggetto tendono a distribuirsi
normalmente, per stimare l’Esmis possiamo usare le proprietà della
distribuzione normale gaussiana e otteniamo.

Circa il 68% dei punteggi cade tra la media ±1 deviazione


standard

Circa il 95% dei punteggi cade tra la media ±2 deviazione


standard

Circa il 99% dei punteggi cade tra la media ±3 deviazione


standard

Supponendo che la media della distribuzione dei punteggi che si


otterrebbe se un determinato test (standardizzato, la cui DS = 15 e il
cui rxx = 0,90) fosse somministrato moltissime volte allo stesso soggetto
sia pari a 70, tra quali valori oscillerebbero le rilevazioni intorno a
questo punteggio?

Applicando la formula dell’errore standard di misurazione


otteniamo

Esmis = s * √1 − 𝑟𝑥𝑥 = 15 * √1 − 0,90 = 4,74


Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

Perciò possiamo fare le seguenti previsioni circa le future


prestazioni del soggetto in test equivalenti o in rilevazioni successive
allo stesso test:

 circa il 68% dei punteggi cadrà tra 70 ±1*(4,74), ovvero la


probabilità che il punteggio del soggetto oscilli tra 65,26 e 74,74 è
di circa il 68% (quindi la probabilità di errore è pari a circa il 32%)

 circa il 95% dei punteggi cadrà tra 70 ±2*(4,74), ovvero la


probabilità che il punteggio del soggetto oscilli tra 60,52 e 79,48 è
di circa il 95% (quindi la probabilità di errore è pari a circa il 5%)

 circa il 99% dei punteggi cadrà tra 70 ±3*(4,74), ovvero la


probabilità che il punteggio del soggetto oscilli tra 55,78 e 84,22 è
di circa il 99% (quindi la probabilità di errore è pari a circa l’1%)

Nella pratica della ricerca, l’errore standard di misurazione Es mis


è impiegato per stabilire gli intervalli di confidenza intorno al
punteggio ottenuto in un test.
Essi sono i margini entro i quali, con diversi livelli di
accuratezza, cade il punteggio vero del soggetto se si ripetesse il test
un numero infinito di volte.
Più l'intervallo è piccolo, più possiamo avere fiducia che il
punteggio sia accurato.
Una misura estremamente precisa avrà un errore standard di
misurazione uguale a zero.
Convenzionalmente si stabilisce un intervallo di confidenza del
95% in modo che vi sia solo una probabilità del 5% di sbagliare a
individuare il punteggio vero.
L'errore standard di misurazione è un modo per esprimere
l'attendibilità di un test: minore è l'errore maggiore è l’attendibilità del
test e, viceversa, maggiore è l'errore e minore risulterà la sua
attendibilità. In tal senso l'attendibilità è da intendersi come
indipendenza dalla errore casuale.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

4 .LE STIME DI ATTENDIBILITÀ


Per la stima dell’errore casuale e dunque dell’attendibilità di un
test in gruppi di soggetti, si fa ricorso al calcolo di appositi coefficienti.
I coefficienti di attendibilità possono essere calcolati in base ad
una serie di criteri.
Uno di questi criteri è quello temporale.
In base a questo criterio si distinguono quelli che richiedono una
singola somministrazione (coerenza interna o split-half) da quelli che
richiedono somministrazioni ripetute (test-retest o forme parallele), o
in base alla tipologia di test impiegato (per esempio accordo tra
valutatori per test proiettivi, coerenza interna se gli item sono
omogenei, test-retest se gli item sono eterogenei).
Non esiste un coefficiente migliore di altri, poiché, benché
valutino tutti l’attendibilità, ognuno di essi ne rileva un aspetto
diverso, che può risultare più o meno appropriato per la specificità del
test e per gli scopi del ricercatore.
In questo senso, il processo di scelta e di interpretazione del
coefficiente di attendibilità rappresenta esso stesso una forma di
attendibilità dei risultati.
Vediamone due, solo a livello concettuale e teorico: il test-retest
e il metodo della coerenza interna.

Test-retest
L’attendibilità come stabilità temporale è impiegata per valutare
la stabilità nel tempo dei punteggi ottenuti da un gruppo di soggetti a
un test.

La procedura consiste nel somministrare due volte, separate da


un certo intervallo di tempo, lo stesso strumento allo stesso gruppo di
soggetti in condizioni standard e nel correlare le due serie di punteggi
ottenuti.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

Il coefficiente di correlazione r di Bravais-Pearson calcolato su


queste due distribuzioni di punteggi fornisce il coefficiente di
attendibilità del test.

Esso può variare da 0 a 1. Maggiore è il coefficiente di


correlazione maggiore è l'attendibilità del test.

Il test risulterà perfettamente attendibile (rxx=1) qualora i


soggetti ottengono lo stesso identico punteggio in entrambe le
somministrazioni, così che potremmo prevedere il punteggio della
seconda somministrazione a partire da quello ottenuto nella prima
somministrazione.

Questa è una condizione ideale che non si realizza pressoché mai


nella pratica della ricerca dove un coefficiente di attendibilità uguale a
,80 viene considerato soddisfacente.

Esso indica che soggetti hanno fornito prestazioni molto simili


nelle due somministrazioni: il soggetto che la prima volta ottiene il
punteggio più alto lo otterrà anche la seconda volta, quello che ottiene
il punteggio più basso la prima volta lo avrà anche nella seconda e così
via.

Perciò il punteggio ottenuto nella seconda somministrazione può


essere predetto con buona approssimazione a partire da quello tenuto
nella prima.

Tutte le variazioni accidentali nelle prestazioni dei soggetti nelle


due somministrazioni sono imputabili a errori casuali, non
controllabili.

Se si eleva al quadrato il coefficiente di correlazione ottenuto si


ottiene una misura dell'accordo tra i due testi di punteggio. Per esempio
una correlazione di ,80 indica una concordanza fra i due insiemi di
punteggi pari al 64%.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

Questa procedura ha delle limitazioni che ora prendiamo in


esame.

La prima somministrazione può condizionare la seconda


modificando sia i ponteggi veri sia gli errori casuali. È possibile infatti
che intervengono effetti di memoria per cui il soggetto ricorda le
risposte fornite nella prima somministrazione e ripete nella seconda,
ciò porterebbe a una sovrastima dell’attendibilità.

È possibile anche che il soggetto cambia atteggiamento nella


somministrazione successiva per ragioni connesse alle migliorate
capacità di risposta, ciò porterebbe a una sottostima della attendibilità.

La scelta dell’ampiezza dell’intervallo di tempo tra le due


somministrazioni pone non pochi problemi. Se l'intervallo di tempo è
troppo lungo è probabile che il soggetto muti atteggiamento
spontaneamente o per effetto di esperienze che sono intercorse nel
frattempo, per esempio psicoterapia o acquisizione di nuove abilità.

Ciò porterebbe a una sottostima della attendibilità poiché le due


serie di punteggi sarebbero scarsamente correlate per effetto di
cambiamenti in reali intervenuti nella caratteristica psicologica
rilevata che verrebbero considerati errori di misurazione.

Se l'intervallo di tempo è troppo breve a causa degli effetti di


memoria otterremo un coefficiente di correlazione tra le due serie di
punteggi gonfiato da fattori diversi da quelli cui il test è destinato a
misurare.

L’intervallo di tempo che intercorre tra la prima e la seconda


misurazione dovrebbe essere: 1) di circa 3 mesi e comunque non
superiore non superare il limite massimo di 6 mesi e 2) determinato in
base alla natura della caratteristica psicologica misurata dal test.

C'è da tenere in considerazione, per esempio, che se il test è


destinato alla popolazione infantile l'intervallo dovrebbe essere meno
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

ampio per la maggiore velocità dei processi maturativi ed evolutivi che


caratterizza lo sviluppo dei bambini.

Per quanto riguarda la natura di ciò che il test misura, come


caratteristiche relativamente stabili nel tempo quali i tratti di
personalità, l’intervallo può essere di alcuni mesi, invece per altre più
suscettibile alle fluttuazioni, come l’ansia situazionale o la reattività
emotiva, l'intervallo dovrebbe essere molto più breve.

Nella pratica della ricerca un testo è considerato stabile nel


tempo se

 la correlazione tra la prima e la seconda


somministrazione di almeno ,75

 le due somministrazioni sono separati da un


intervallo di almeno tre mesi tranne che dei bambini

 i soggetti costituiscono un campione ampio e


rappresentativo della popolazione in cui il test è
destinato (almeno 100) soggetti tale da minimizzare
l'errore standard di misura.

Coerenza interna

La stima della attendibilità come coerenza interna corrisponde


al grado in cui gli item di un test sono coerenti nel misurare il costrutto
oggetto di indagine.

Essa richiede una sola somministrazione e comprende il metodo


split-half e il calcolo dell' Alfa di Cronbach.

Il metodo split-half consiste nel correlare i punteggi ottenuti da


un gruppo di soggetti in due metà di un singolo test somministrato una
sola volta come se fossero due forme parallele.

Nella pratica di ricerca la scelta del criterio con cui un test deve
essere suddiviso è arbitraria e può nascondere delle insidie. Una
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

semplice divisione a metà del testo in base all'ordine di presentazione


degli item non è sempre consigliabile: in questo caso il punteggio che si
ottiene dalla somma delle risposte della prima metà del test viene
correlato con il punteggio che si ottiene dalla somma delle risposte della
seconda metà del test.

In molti test di massima performance, come nei testi cognitivi e


in quelli attitudinali, per favorire l'approccio del soggetto allo
strumento, gli item sono presentati in ordine crescente di difficoltà. Di
conseguenza le due metà del test non possono essere considerate come
forme parallele: la prima infatti è la più facile della seconda.

Anche nei test di tipica performance, i punteggi ottenuti nella


seconda metà del test potrebbe essere distrutti da fattori come
sovraccarico, stanchezza noia e demotivazione, che porterebbero a una
sottostima della correlazione tra le due metà e dunque del coefficiente
di attendibilità.

Un criterio di suddivisione (splitting) del test speso adottato


consiste nel dividere il test in due metà assegnando casualmente gli
item all'una o all'altra metà o dividendoli in item pari in item dispari
(metodo odd-even).

Una divisione pari-dispari permetterebbe anche in presenza di


item con difficoltà crescente la creazione di due metà equivalenti con
media e varianza abbastanza simili.

Se i punteggi nelle due metà presentano correlazioni elevate, gli


item sono omogenei nel misurare lo stesso costrutto e dunque il test è
attendibile.

Se le correlazioni tra le due metà sono basse, vi è eterogeneità


tra gli item dunque il test è scarsamente attendibile.
Universitas Mercatorum Attendibilità dei test

Questa modalità risulta estremamente utile se si vuole evitare


una doppia somministrazione e effetti indesiderati legati ad essa, quali
quelli attribuibili all'affaticamento, alla memoria e all'apprendimento.

Dato che il coefficiente di correlazione con il metodo split-half è


calcolato a partire da due ipotetiche forme parallele composte ognuna
della metà degli item del test e dato che l'attendibilità del test risente
della lunghezza del test, per cui un test più è lungo più è attendibile,
questo coefficiente va interpretato come misura dell'attendibilità del
test di metà lunghezza, ovvero come misura del livello di attendibilità
parziale.

Perciò la stima della attendibilità all'interno test deve essere


completata o corretta attraverso ulteriori procedure.

La più utilizzata e maggiormente affidabile è quella del


coefficiente chiamato alfa di Cronbach.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


valutata l’attendibilità dei test per la misurazione delle dimensioni
psicologiche attraverso tre modalità specifiche.
Ciascun studente imparerà il significato e il metodo di calcolo del
coefficiente Alfa di Cronbach.
Sarà analizzato come valutare l’attendibilità dei test quando si
compiono osservazioni sui soggetti, come calcolare un indice
appropriato e come interpretarlo.
Un’ultima sezione sarà infine dedicata alla comprensione di un
particolare metodo denominato Overt-Covert e i suoi utilizzi.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

1. ALFA DI CRONBACH

Lee J. Cronbach nacque nel 1916 e visse sino al 2001. Si diplomò


all’età di 14 anni e si laureò all’età di 19. Era uno psicologo
dell’educazione che si interessò moltissimo ai problemi della misura e
dobbiamo a lui il coefficiente che porta il suo nome.
L’alfa di Cronbach è il coefficiente di affidabilità maggiormente
usato per misurare la coerenza interna dei test psicometrici.
Il coefficiente di attendibilità alfa di Cronbach è una misura
dell’affidabilità interna degli elementi di un indice. Esso può avere
valori compresi tra 0 e 1 e indica in che misura gli elementi di un indice
misurano la stessa cosa.
Potrebbe essere considerato come la media di tutti i possibili
coefficienti split-half corretti con la formula di Spearman-Brown.
Si calcola con la seguente formula
𝑛 ∑ 𝑠𝑖2
rα = ( ) (1- )
𝑛−1 𝑠𝑥2

dove:
rα = coefficiente alfa di attendibilità
n = numero degli item
∑ 𝑠𝑖2 = somma della varianza dei punteggi ottenuti in ogni item
𝑠𝑥2 = varianza dei punteggi di tutto il test
Potendo utilizzare una matrice di correlazione tra gli item,
chiamata inter-item, possiamo semplificare e calcolare così
𝑛𝑟̅
rα = 1+𝑟̅ (𝑛−1)

dove:
rα = coefficiente alfa di attendibilità
n = numero degli item
𝑟̅ = correlazione media tra gli item
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

Da quest’ultima formula possiamo facilmente notare che il


valore del coefficiente dipende sostanzialmente da due elementi: il
numero degli item e la correlazione media tra essi.
All’aumentare di questi due valori, aumenta
corrispondentemente il livello di attendibilità del test.
Comunque, i valori di alfa non aumentano progressivamente e
proporzionalmente con l’aggiunta di nuovi item, gli incrementi sono via
via sempre più piccoli. Inoltre, a meno che i nuovi item non abbiano
una forte correlazione con i precedenti, non si avrà nessun aumento del
coefficiente alfa.
Questo rende chiaro il fatto che l’alfa di Cronbach sia un indice
di omogeneità degli item, ossia del grado in cui gli item di un test
misurano lo stesso fattore.
L’eterogeneità degli item si rivela con una bassa inter-relazione
tra item e si traduce in una sottostima dell’attendibilità del test come
coerenza interna.
Al contrario, i test omogenei e monofattoriali, ossia che misurano
un solo fattore, tenderanno ad avere coefficienti alfa elevati.
Un vantaggio di questo tipo di test è costituito dalla facilità di
interpretazione dei punteggi registrati.
Soggetti con lo stesso punteggio a un test omogeneo, potrebbero
avere abilità diverse.
Per la misura di caratteristiche psicologiche complesse, come per
esempio la personalità o l’intelligenza, generalmente si usano test
eterogenei, che presentano al loro interno sottoscale omogenee, ognuna
delle quali valuta aspetti diversi di quella caratteristica.
Per esempio, il test dei BIG Five, considera i seguenti fattori di
personalità: estroversione, stabilità emotiva, coscienziosità, amicalità
e apertura mentale. In questo caso l’alfa di Cronbach si calcola sugli
item che appartengono a ogni sottoscala.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

La formula semplificata dell’alfa di Cronbach consente di


calcolare facilmente il coefficiente, disponendo semplicemente del
numero di item usati e della loro correlazione media.
Come tutti i coefficienti di attendibilità, l’alfa di Cronbach varia
da 0 a +1.
Diversi autori hanno proposto differenti gradi di giudizio in
merito al significato del valore del coefficiente.
Una delle interpretazioni più diffuse1 indica che:
α < .60 → inadeguato
α ≥ .60, < .70 → sufficiente
α ≥ .70, < .80 → discreto
α ≥ .80, < .90 → buono
α > .90 → ottimo

1
Nunnally, J. (1978). Psychometric Theory, 2nd ed., New York: McGraw-Hill.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

2. ATTENDIBILITÀ COME ACCORDO TRA


VALUTATORI
In alcuni campi della psicologia lo strumento di misura non è il
test costituito da item ma è costituito dall’osservatore. Specialmente
ciò accade nelle ricerche e negli studi della psicologia dello sviluppo in
cui non si possono porre domande ai bambini che non parlano o che non
sono in grado di concettualizzare e l’unica cosa possibile è osservarne il
comportamento.
In tutte le condizioni in cui un osservatore è chiamato a
osservare, classificare o il comportamento di un soggetto o di un gruppo
di soggetti, la stima della attendibilità si ottiene valutando il
comportamento dell'osservatore rispetto ad altri osservatori che
osservano la stessa situazione.
Per esempio, se si chiede un osservatore di codificare il
comportamento di un bambino, sulla base di uno specifico protocollo di
osservazione, si potrà avere una stima dell'attendibilità della codifica
facendogli ricodificare il comportamento del bambino visionando la
videoregistrazione a distanza di tempo.
Oppure, si fa codificare la stessa videoregistrazione ad un altro
osservatore. La correlazione tra le due codifiche fornisce una stima
dell'attendibilità della misura.
In modo simile, in alcuni test l'operazione di attribuzione dei
punteggi non avviene attraverso procedure automatizzate ma implica
un giudizio soggettivo e pertanto è influenzata dall’abilità
dell'esaminatore. Abilità che può variare a seconda della sua
esperienza e del suo addestramento nell'utilizzo di quel test come, per
esempio nella somministrazione di test proiettivi o di test di creatività.
In questi casi il valutatore, colui che attribuisce un punteggio,
diventa la fonte principale di varianza d'errore poiché potrebbe non
essere ben addestrato, potrebbe utilizzare uno schema di codifica
predefinito o potrebbe lasciarsi influenzare da tematiche individuali
soggettive.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

Alcuni valutatori, per esempio, tendono ad assegnare punteggi


più alti agli uomini rispetto alle donne. Psicologi clinici ad
orientamento freudiano potrebbero dare un'interpretazione differente
di un incidente critico rispetto ad altri psicologi di differente
orientamento, come i cognitivisti o i comportamentisti.
I manuali dei test sottolineano generalmente l'importanza
dell'addestramento dei valutatori nell’attribuzione dei punteggi che
richiede, come nel caso dei test di Rorschach, non solo lettura dei criteri
e delle modalità di scoring (attribuzione dei punteggi), ma anche un
certo numero di esercitazioni guidate sottoposte alla supervisione di
esperti dell'uso di quel test.
Tuttavia al fine di minimizzare la varianza d'errore dovuta al
ricorso di un singolo valutatore (scorer) è preferibile ricorrere a due o
più valutatori e calcolare successivamente il loro grado di accordo per
stimare l'attendibilità del test.
Il calcolo della attendibilità tra due o più valutatori può venire
attraverso due procedure diverse.
Nella prima, come già accennato sopra, due o più valutatori
assegnano punteggi indipendentemente l'uno dall'altro ad un gruppo
di soggetti, secondo precisi protocolli, e successivamente si correlano
tali punteggi.
Più è alto il coefficiente di correlazione, minore è la varianza
d'errore dovuta all'influenza della soggettività nell'attribuzione dei
punteggi da parte dei valutatori.
Nella seconda procedura, che si usa quando si ha a che fare solo
con semplici frequenze, si ricorre al calcolo del coefficiente Kappa (K)
sviluppato da Cohen per valutare l'affidabilità tra valutatori alle prese
con strumenti di misura a livello di scala nominale.
Questo coefficiente è stato successivamente modificato e
riconosciuto valido come misura di attendibilità tra due valutatori.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

Laddove due valutatori sono chiamati ad esprimersi sulla


presenza o meno di un certo significato comportamentale, esistente o
non esistente (Sì o No) il coefficiente si calcola in questo modo:
𝐴
( −𝐶)
K= 𝐴+𝐷
1−𝐶

dove:
A = numero delle volte in cui due osservatori si sono trovati in
accordo nella codifica dello stesso comportamento
D = numero delle volte in cui due osservatori si sono trovati in
disaccordo
C = proporzione di accordi dovuti al caso
Il termine di correzione C si calcola moltiplicando la proporzione
dei “sì” del primo osservatore sul totale delle osservazioni effettuate per
la proporzione dei “sì” del secondo servatore sul totale delle
osservazioni e sommandola alla proporzione dei “no” del primo
osservatore sul totale delle osservazioni effettuate, per la proporzione
dei “no” del secondo valutatore sul totale delle osservazioni.
In formula:
C = (Sìprimo/N * Sìsecondo/N) + (Noprimo /N * Nosecondo/N)
Il coefficiente K fornisce una percentuale di accordo corretta
dalla probabilità di ottenere tale accordo per caso: più alta è questa
percentuale più attendibile sarà la codifica ottenuta.
Nel caso in cui vogliamo invece calcolare il grado di accordo tra
più di due valutatori, si utilizza la seguente formula:
𝑃𝑜 − 𝑃𝑐
K=
1− 𝑃𝑐

Dove:
Po = proporzione di giudizi concordanti tra giudici
Pc = proporzione di giudizi casualmente concordanti
Dato che le procedure appena esposte controllano solo la
varianza d'errore dovute codificatori ma non le altre fonti di errore, in
genere è opportuno ricorrere al calcolo di ulteriori coefficienti di
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

attendibilità, come per esempio quello basato sulla procedura del test-
retest.
Facciamo un esempio
Due psicologi dello sviluppo osservano il comportamento di 10
bambini. Devono valutare se agiscono un particolare tipo di
comportamento durante il gioco.
I dati raccolti sono esposti in tabella.
Bambin Psicolog Psicolog A D
o o1 o2
1 Sì No 1
2 Sì Sì 1
3 No No 1
4 Sì Sì 1
5 No No 1
6 Sì No 1
7 Sì No 1
8 Sì Sì 1
9 No No 1
10 Sì Sì 1

Il primo psicologo ha ritenuto che il comportamento oggetto di


analisi sia stato messo in atto 7 volte, l’altro solo 4 volte.
Si sono trovati d’accordo 7 volte e 3 volte in disaccordo, riportate
in tabella rispettivamente con l’indice A e D.
Per applicare la formula si deve calcolare il termine di
correzione, cioè quante volte i due osservatori possono essere
casualmente in accordo.
C = (Sìprimo/N * Sìsecondo/N) + (Noprimo /N * Nosecondo/N)
C = (7/10 * 4/10) + (3/10 * 6/10) = 0,46
Possiamo quindi applicare la formula
𝐴 7
( −𝐶) ( −0,46)
K= 𝐴+𝐷
= 7+3
= 0,32
1−𝐶 1−0,46
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

Ciò significa che la quota di accordo è del 32%, un valore troppo


basso per dire che il test sia affidabile.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

3. IL METODO OVERT COVERT

Questo metodo nasce a metà del secolo scorso e si


contraddistingue per l’utilizzo di item che esplicitano il costrutto su cui
si vuole indagare e item di cui è difficile, per un non esperto, il
riconoscimento del costrutto.
Un item è chiamato "overt" (palese, evidente) quando i
rispondenti capiscono immediatamente che cosa l'item è destinato a
misurare.
Un item è chiamato "covert" (celato, nascosto) quando gli
intervistati (almeno quelli senza una conoscenza approfondita del
costrutto in esame) non sono a conoscenza di ciò che l’item misura.
Ci si aspetta che gli item nascosti siano più resistenti alla
falsificazione agli item evidenti. Ogni volta che gli esaminati non hanno
idea di ciò che gli oggetti stanno misurando, non possono distorcere le
risposte in modo tale da presentarsi nel modo desiderato.
Gli item nascosti richiedono una conoscenza non banale del
costrutto per essere correttamente distorti nella direzione desiderata
da coloro che vogliono apparire in un certo modo.
Il confronto tra overt e covert viene effettuato a livello degli item,
anziché tramite test overt e test covert. Infatti, un test manifesto e un
test segreto che misurano lo stesso costrutto potrebbero differire
rispetto al modo in cui il costrutto è definito. Viceversa, gli item palesi
e nascosti appartenenti allo stesso test derivano dalla stessa
definizione del costrutto.
Pertanto, le differenze tra il funzionamento di elementi palesi e
segreti possono essere più facilmente attribuiti alla diversa chiarezza
del costrutto sottostante, piuttosto che alla diversa definizione del
costrutto stesso. Inoltre, l'utilizzo di un test anziché di due riduce il
tempo e i costi della valutazione psicologica.
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

Questo metodo è utilizzato per i più diffusi test psicometrici in


uso ai professionisti nella pratica clinica e nella selezione del personale.
Il presupposto è che il significato degli item viene spesso
facilmente identificato anche dal soggetto non esperto.
Il metodo si basa sul confronto fra i punteggi ottenuti da un
soggetto rispettivamente nelle sotto scale palesi e nelle sotto scale
latenti.
Il simulatore, nel tentativo di fornire di sé un quadro positivo o
negativo fornirà risposte in quella direzione soprattutto per gli item
ovvi, overt, poiché riesce a riconoscere la concordanza tra il contenuto
dell’item e ciò che esso intende indagare.
Accadrà che, in test che intendono misurare le psicopatologie, il
simulatore di disagio psicopatologico tenderà a ottenere punteggi
elevati nelle scale palesi e punteggi normali negli item nascosti, mentre
il simulatore di benessere psicologico tenderà a ottenere punteggi bassi
nelle scale palesi. Per contro, in test di massima performance i
simulatori tenderanno ad aver punteggi alti nelle scale overt e normali
in quelle covert.
Per questo motivo alla sottoscala covert viene attribuito il valore
di stimatore accurato dello stato clinico anche in presenza di distorsioni
nell’immagine presentata dal soggetto dovuta alla presenza di item
overt.
La sottoscala overt è quindi utilizzata per identificare direzione
e intensità della distorsione deliberata delle risposte.
Facciamo un esempio.
Si prendano due gruppi di persone scelte a caso da dei
partecipanti a un processo di selezione per un lavoro definito di alto
prestigio e ben pagato.
I candidati sono invitati dapprima a compilare un test.
Ad un gruppo, quello sperimentale, viene detto che:
“Il candidato ideale deve essere una
persona con una solida formazione di base e
Universitas Mercatorum Valutazione dell’affidabilità dei test

buone abilità nell'uso dei programmi per


computer. Buone capacità organizzative,
obiettivi orientati al compito, distacco
emotivo, autocontrollo, imperturbabilità e
nessun coinvolgimento emotivo completano il
profilo.”
Al gruppo di controllo, viene invece detto quanto segue:
“Il candidato ideale deve essere una
persona con una solida formazione di base e
buone abilità nell'uso dei programmi per
computer. Buone capacità organizzative e
spontaneità completano il profilo.”
In realtà i candidati rispondono a un test sull’alessitimia, che
corrisponde all'incapacità di riconoscere, esprimere e verbalizzare le
emozioni.
Questo costrutto è stato scelto perché è relativamente poco
conosciuto e, quindi, è improbabile che le persone sappiano come
distorcere nella direzione desiderata le risposte a item dal significato
nascosto.
Sarà quindi evidente la differenza tra chi tende a fingere e chi
no. Nel comparare i due gruppi sperimentali si può affinare il testo
degli item affinché siano maggiormente idonei a misurare
adeguatamente il costrutto indagato.
Universitas Mercatorum La validità dei test

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere cosa si intende per


validità di un test psicometrico e come questa può essere verificata.
Gli studenti impareranno gli elementi di base delle differenti
verifiche di validità analizzando sia quelle di tipo qualitativo che
quantitativo.
Saranno spiegati le differenti validità di facciata, di contenuto,
di criterio (concorrente e predittiva) e, infine, di costrutto (convergente
e divergente).
Saranno illustrate le modalità con cui le diverse validità vengono
verificate.
Universitas Mercatorum La validità dei test

1. IL CONCETTO DI VALIDITÀ

Nella produzione e utilizzo dei test ci si chiede se il test funziona


come dovrebbe, cioè se ci dà le informazioni che effettivamente
vogliamo sapere.
Siamo anche interessati a capire se tramite il test possiamo
effettuare delle previsioni.
Tutto ciò ricade nella validità del test.
Con validità di un test ci si riferisce al grado di accuratezza con
cui uno strumento misura effettivamente ciò che si propone o che dice
di misurare e non altro.
L’American Psycological Association (APA) ha ribadito la
fondamentale questione della validità di test ritenendola come la più
importante in assoluto.
Da essa infatti discendono giudizi e interpretazioni che
riguardano lo stato di salute delle persone.
Perciò i test devono presentare caratteristiche di appropriatezza,
sensatezza e vera utilità.
La validità implica la formulazione di un giudizio sul significato
del punteggio del test e sull’appropriatezza delle inferenze fatte a
partire da esso.
Chiariamo alcuni punti.
La validità di un test è effettuata su prove indirette e su
deduzioni logiche circa le caratteristiche che dovrebbe possedere una
misura di un determinato costrutto perché sia considerata valida.
Ciò che viene quindi numericamente misurato deve
corrispondere alle caratteristiche psicologiche non direttamente
osservabili.
Non esistono test che possono essere considerati validi sempre e
comunque, ma ci sono test validi in rapporto a obiettivi specifici.
Universitas Mercatorum La validità dei test

Per esempio, alcuni test possono essere validi in alcuni tipi di


contesti di somministrazione e non in altri o per certe tipologie di
soggetti.
La validità non può essere ricondotta a indici numerici, come
invece si fa per l’attendibilità tramite l’alfa di Cronbach.
Attualmente vi è un generale accordo che per valutare la validità
dei test si debbano considerare:
validità di facciata criteri qualitativi
validità di contenuto
validità di criterio (concorrente e predittiva) criteri quantitativi
validità di costrutto (convergente e divergente)
Universitas Mercatorum La validità dei test

2. VALIDITÀ DI FACCIATA

Corrisponde al grado in cui gli item sembrano misurare il


costrutto che intendono misurare.
Un test ha una buona validità di facciata se appare misurare ciò
che dichiara.
Si riferisce, quindi, all’aspetto del test, a come appare a chi lo
legge.
La validazione in questo senso è affidata al grado di pertinenza
del contenuto degli item con gli obiettivi del test, maggiore è l’accordo
tra questi e maggiore è ritenuta la validità di facciata.
La validità di facciata è da sempre stata oggetto di discussione e
motivo di divergenza tra esperti psicometrici.
Tuttavia, non può stabilirsi a priori un’inadeguatezza del metodo
che deve valutare l’adeguatezza dello strumento.
Si tratta, perciò, di comprendere vantaggi e svantaggi del criterio
qualitativo di validità rispetto a ciò che si intende misurare.
Il focus quindi, al di là del metodo, è sul contenuto dello
strumento.
Uno dei vantaggi dell’accertamento della validità di facciata è
che il test ritenuto idoneo sarà più facilmente compilato dai soggetti
sotto esame poiché riusciranno facilmente a comprendere l’argomento
su cui sono chiamati a rispondere.
L’aumento della motivazione sarà spinto dalla coerenza degli
item e dalla loro pertinenza con ciò che il test intende misurare. Questo
porterà a un maggiore interesse e cura alla compilazione.
Sovente si deve fare i conti con la frustrazione, il negativismo e
l’oppositività dei soggetti che compilano un questionario di cui non
capiscono il senso.
Universitas Mercatorum La validità dei test

Sono reazioni che portano alla compilazione incompleta del test,


alla tendenza a falsificare le risposte, e tutto dettato per un’apparente
astrusità del contenuto degli item.
Poiché la misurazione deve sembrare valida da un punto di vista
logico e semantico da parte di chi deve compilare il test, è evidente che
uno strumento che intende misurare l’abilità matematica non farà
ricorso a conoscenza di vocaboli, alla sintassi e alla grammatica ma a
esercizi di algebra o problemi di matematica.
Se da un lato la chiarezza e la pertinenza degli item rispetto
all’oggetto di indagine possano incrementare la motivazione di coloro
che rispondono è pur vero che tale validità può indurre i rispondenti a
distorcere i risultati poiché intervengono fattori di identificazione o di
estraneazione con l’argomento tema del test.
Le persone potrebbero essere indotte a confermare o
disconfermare loro caratteristiche se ritenute desiderabili o meno.
È certamente dannoso ai fini della ricerca e della diagnosi
utilizzare un test che possa avere questi risvolti.
La distorsione può essere tanto più forte quanto maggiore è la
posta in gioco, si pensi per esempio ai test che valutano il possesso di
determinate capacità in sede di selezione del personale.
In questi casi si rischia di ottenere una misura autoreferenziale
del livello della capacità richiesta ma senza alcuna validità.
Il superamento di questo problema è affidato all’uso di item overt
e covert che indagano in modo palese e nascosto il costrutto oggetto di
indagine e dal confronto dei punteggi tra questi due tipi di item si può
ottenere una misura della falsificazione o veridicità delle risposte.
Universitas Mercatorum La validità dei test

3.VALIDITÀ DI CONTENUTO

Corrisponde al grado in cui gli item possono essere considerati


un campione rappresentativo dell’universo dei comportamenti che si
vuole misurare.
Se non vengono adeguatamente colti gli aspetti rilevanti del
costrutto, non può esservi alcuna forma di validità.
L’insieme degli item scelti per la misurazione di un determinato
costrutto devono essere, nella loro formulazione e nel loro contenuto
semantico, quelli maggiormente in grado di intercettare il dominio di
interesse e quindi in grado di rappresentare in modo idoneo e univoco
ciò che si vuol misurare.
Per effettuare una corretta scelta degli item si ricorre ad alcune
operazioni.
Si deve dapprima descrivere il campo di contenuto. Si tratta di
produrre un elenco dettagliato di tuti i comportamenti potenziali che
possono essere utili per misurare un determinato costrutto.
Gli item scelti devono essere rappresentativi dei comportamenti
che si intendono misurare e gli stessi devono essere formulati secondo
criteri di esaustività, chiarezza formale e di univocità concettuale.
Anche la validità di contenuto, al pari di quella di facciata si basa
su giudizi soggettivi, ma con specifiche differenze.
Per quanto riguarda la validità di contenuto il giudizio deve
necessariamente provenire da esperti (la validità di facciata invece può
essere stabilità dalla comprensione degli item di persone non esperte).
Nella validità di facciata il giudizio è espresso successivamente
alla formulazione degli item per l’effetto che ha sugli utenti, mentre per
Universitas Mercatorum La validità dei test

la validità di contenuto i giudici devono esprimersi prima della


somministrazione e cioè quando si sta costruendo il questionario.
Il problema della validità di contenuto risiede quindi nella
capacità del contenuto degli item, ovvero dalle parole e dai concetti che
costituiscono gli item, di spiegare in modo esaustivo il costrutto,
l’abilità o l’atteggiamento che si intende misurare, e lo deve fare per
tutte le sfaccettature di significato.
Un interessante esempio è quello relativo agli strumenti di
diagnosi per le sindromi psicopatologiche.
Le sindromi si caratterizzano per un insieme di sintomi presenti
in una certa intensità e con una certa frequenza all’interno di un
periodo di tempo circoscritto.
Gli item del test dovrebbero riuscire a cogliere tutti i sintomi e
la loro peculiare manifestazione al fine di non sottostimare o
sovrastimare la presenza di un particolare disturbo.
Universitas Mercatorum La validità dei test

4. VALIDITÀ DI CRITERIO

Identifica il grado di corrispondenza tra una misura ed il relativo


criterio di riferimento, il criterio può essere predittivo o concorrente.
La validità concorrente è verificata quando costrutto e criterio
sono misurati contestualmente consentendo un confronto immediato.
La validità predittiva è verificata quando il costrutto viene
misurato prima mentre il criterio in un successivo momento. Il criterio
è stabilito teoricamente come conseguenza rilevante che deve essere
predetta dalla misura del costrutto.
Il criterio con cui si si compara il test deve essere:
• pertinente
• valido e attendibile
• indipendente dalla misura da validare
La verifica della validità di criterio avviene attraverso l’impiego
di opportuni coefficienti di correlazione tra il punteggio ottenuto e il
criterio.
La differenza tra la validità concorrente e predittiva sta nella
natura temporale del criterio.
Nel caso della validità concorrente la somministrazione del test
è congiunta al criterio, nel caso di quella predittiva è differita nel tempo
la somministrazione del criterio.
La validità concorrente esprime il grado di relazione tra i
punteggi ottenuti in un test e le misure di un criterio
contemporaneamente disponibile.
Universitas Mercatorum La validità dei test

I punteggi del nuovo test di cui si cerca di capire la validità sono


confrontati con i punteggi di un altro test già validato, la cui mole di
studi e il suo utilizzo ci rendono certi della sua accuratezza.
Se si ottiene un coefficiente di correlazione alto e statisticamente
significativo, allora possiamo concludere che il nuovo test misura
effettivamente ciò per cui è stato costruito e che non è dissimile a ciò
che misura il vecchio test valido usato come criterio.
La validità predittiva esprime il grado di relazione tra i punteggi
ottenuti in un test e le misure di un criterio che si rendono disponibili
nel futuro.
Per esempio, se un test di intelligenza è valido, dovrebbe essere
in grado di preveder il rendimento scolastico in un momento successivo
al quale è stato somministrato.
Si tratta di fornire una evidenza empirica che lo strumento
predice quello che teoricamente dovrebbe predire.
Si riconoscono quindi tre passaggi che rendono possibile la
verifica della validità predittiva di un test.
1. Si somministra il nuovo test a un campione, generalmente
ampio e rappresentativo della popolazione cui è destinato il test dei
soggetti
2. Dopo un lasso temporale si procede alla misurazione delle
prestazioni degli stessi soggetti in un criterio di riferimento
3. Si correlano le misure delle prestazioni con i punteggi
ottenuti nel test
Il test ha validità se, a partire dai punteggi registrati, è possibile
fare buone previsioni sulle prestazioni future dei soggetti in
determinate situazioni.

33.5. Validità di costrutto


Per validità di costrutto si intende la capacità di uno strumento
di riflettere il costrutto oggetto di indagine e la struttura teorica
sottostante.
Universitas Mercatorum La validità dei test

Consiste nell’effettiva corrispondenza tra punteggi al test e


costrutto misurato.
Nella costruzione del test devono quindi essere rese esplicite e
chiaramente definite le seguenti fasi:
1. identificazione dei comportamenti concreti in relazione al
costrutto da misurare
2. identificazione di altri costrutti che possono essere
collegati con questo
3. definizione dei comportamenti che sono in relazione con
questi costrutti complementari e con il costrutto da misurare.
Durante la costruzione del test, il costrutto deve essere tradotto
in termini operazionali dettagliati e coerenti, avendo cura di non
trascurare nessuna delle sue possibili caratteristiche, ognuna delle
quali esercita un’influenza sulla costruzione stessa dello strumento.
Lo strumento deve quindi riflettere un elevato numero delle
possibili caratteristiche che il costrutto possiede.
Il costrutto si presenta con una struttura scientifica, teorica e
astratta non direttamente osservabile e che viene usata per descrivere
o spiegare un comportamento.
Il costrutto può essere inferito dai comportamenti, che nel caso
del test sono i punteggi registrati.
La mancanza di corrispondenza tra punteggi ottenuti e costrutto
teorico rende impossibile o l’interpretazione dei risultati, perciò la
validità di costrutto offre informazioni circa l’accuratezza e la
legittimità con cui certe inferenze vengono tratte dal punteggio di un
test.
La verifica della validità di costrutto avviene mediante la
raccolta di evidenze empiriche diverse.
Queste possono derivare sostanzialmente dalla validazione
convergente/divergente, dall’analisi fattoriale e dal ricorso ai modelli
Rasch.
Universitas Mercatorum La validità dei test

La validità di un costrutto può essere distinta in due aspetti


teorici e metodologici che aiutano a comprenderne meglio il significato:
validità convergente e validità divergente o discriminante.
La validità convergente indica il grado di correlazione
riscontrabile tra misure di costrutti che dovrebbero essere
teoricamente affini.
La validità divergente o discriminante, invece, indica il grado di
distinzione tra misure di costrutti diversi.
Così ci si attende che correlando i punteggi di un test utilizzato
per la validità convergente dovremmo ottenere indici molto elevati e
significativi con test simili e, viceversa, indici di correlazione bassissimi
e non significativi con test coi quali si deve evidenziare la differenza di
misura.
Si eseguono quindi tre passaggi che rendono possibile la verifica
della validità di costrutto di un test.
1. A un gruppo di soggetti, generalmente ampio e
rappresentativo della popolazione cui è destinato il test, vengono
somministrati sia il test target che un test che misura un costrutto
affine e che è stato precedentemente validato.
2. Si correlano i punteggi ottenuti nei due test.
3. Possiamo attribuire una buona validità convergente al
nuovo test se presenta correlazioni positive elevate (dell’ordine di 0,80)
con il test che misura il costrutto affine.
4. Se però le correlazioni risultano ancora più elevate, si
corre il rischio di considerare il nuovo test semplicemente un duplicato
esatto di quello già esistente, invalidandone l’uso.
Nel contempo, il nuovo test possiede capacità divergente o
discriminante se presenta correlazioni basse con test che misurano
costrutti diversi o costrutti per cui non è prevista alcuna correlazione
teorica.
La verifica della validità di costrutto, attraverso la raccolta di
evidenze empiriche, può eseguirsi con i seguenti metodi.
Universitas Mercatorum La validità dei test

Matrice multitratto – multi metodo. Permette di controllare


contemporaneamente la validità convergente e divergente di un test.
Tramite questo metodo si ottengono informazioni circa la validità
convergente e discriminante.

Analisi fattoriale. Tecnica statistico-matematica che a partire


dalle risposte dei soggetti a una serie di item che consente di
identificare un numero minore di caratteristiche psicologiche che si
suppone spieghino in sintesi o influenzino le risposte al test. Permette
di stabilire se gli item che fanno riferimento al costrutto vi facciano
effettivamente parte.
Il modello di Rasch fa parte di una famiglia di modelli
matematici dell’Item Responase Theory che si basano sulla probabilità
che un item ottenga una certa risposta in base alla differenza tra
l’abilità del soggetto (più precisamente, il livello posseduto dal soggetto
del costrutto) e la difficoltà dell’item. Al riguardo si utilizzano i Modelli
di Equazioni Strutturali.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

La lezione ha l’obiettivo di far conoscere gli elementi principali


dell’analisi fattoriale.
Verrà illustrato come eseguire un’analisi fattoriale mediante
l’uso di un software (SPSS).
Ciascun studente imparerà a conoscere e valutare gli indici e i
parametri che sono propri dell’analisi fattoriale.
Per migliorare la comprensione saranno anche analizzati alcuni
output di elaborazione dati già eseguiti.
L’obiettivo finale è far comprendere come nascono e come si
sviluppano le misure delle dimensioni psicologiche attraverso l’uso dei
questionari.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

1. L’ESTRAZIONE FATTORIALE

Quando si conducono ricerche scientifiche o, più semplicemente,


si indaga su un fenomeno locale e circoscritto che riguarda un collettivo
di persone, si applicano strumenti di misura già collaudati.

Altre volte ci si può trovare invece nell’occasione di dover, o


poter, utilizzare degli strumenti che ancora necessitano di un
raffinamento e di una validazione definitiva.

Quando si ha una lista di item che corrisponderebbe a uno


strumento di misura, test o questionario, per poter effettuare le analisi
statistiche non si considerano le risposte di ciascun item
separatamente ma se ne calcola o la media o il punteggio fattoriale.

La media o il punteggio fattoriale diventa la misura della


dimensione psicologica da noi studiata con la quale effettuare analisi
statistiche sofisticate come la correlazione, la regressione lineare o
l’ANOVA, solo per citarne alcune.

Prima però di calcolare media o punteggio fattoriale del gruppo


di item si deve condurre un’analisi chiamata analisi fattoriale che
consente di capire quali item devono essere considerati nella misura
che si sta indagando, ovvero identificare il o i fattori spiegati dagli item
utilizzati.

Sono diverse le tecniche statistico matematiche utilizzate per


comprendere se e quali item costituiscono uno o più fattori.

L’operazione eseguibile meditante diversi metodi si chiama


estrazione dei fattori.

Il particolare modo in cui i punteggi degli item esprimono una


varianza comune tra loro andrebbe a svelare l’esistenza di un fattore.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

Quando si parla di analisi fattoriale i punteggi – riferiti a tutto


il campione – dei singoli item vengono chiamati nei manuali e libri di
testi “indicatori” o “variabili”, ciò che invece li accomuna “fattore”.

La quota di varianza di una variabile spiegata (ovvero condivisa


o posseduta in comune) dal fattore estratto è detta “comunalità”. È
indicata nei manuali con h2, varia da 0 a 1, può quindi anche essere
espressa in percentuale, e indica quindi il livello di contributo del
fattore sulla varianza di una determinata variabile.

Considerate tutte le comunalità insieme, esse esprimono una


quota di varianza delle variabili spiegata dal fattore e prende il nome
di autovalore (eigenvalue). Quando questo valore è maggiore di 1 allora
è evidente la presenza di un fattore.

Attraverso l’utilizzo dei software di calcolo statistico si riesce


facilmente a ottenere questi indici e a valutarli per poi prendere delle
decisioni.

Prendiamo due gruppi di item di un questionario dove le persone


esprimono la qualità di relazione con i genitori e con i propri fratelli e
sorelle.

Si hanno 6 item per la relazione con i fratelli/sorelle e 4 item per


la relazione con i genitori.

Questi 10 item dovrebbero quindi rivelare l’esistenza di due


fattori distinti, presumibilmente correlati poiché hanno a che fare con
una dimensione, quella della qualità della relazione, comune a
entrambi gli attori, genitori e fratelli/sorelle.

Avviamo l’analisi e vediamo in un grafico quanti fattori


otteniamo da questi 10 item.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

È evidente che solo due sono i fattori con un’autovalore


maggiore di 1. Qualunque altra variabilità residua si disperde come
effetto del caso in maniera sempre più esigua.

Vediamo in una tabella di output la varianza spiegata da


questi due fattori per quanto riguarda gli autovalori.

Fatto Autovalori
re Totale % di %
varianza cumulata
1 3,042 30,420 30,420
2 2,724 27,238 57,658
3 ,897 8,967 66,624
4 ,783 7,835 74,459
5 ,648 6,478 80,937
6 ,531 5,315 86,252
7 ,492 4,919 91,171
8 ,358 3,581 94,752
9 ,286 2,856 97,608
10 ,239 2,392 100,000
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

Gli autovalori sono evidenziati in verde e corrispondono ai


quelli presenti nel grafico.
In giallo sono evidenziate le percentuali di varianza che i
fattori spiegano singolarmente, in celeste è evidenziata la percentuale
di varianza spiegata da entrambi i fattori.
Poiché abbiamo più di un fattore vediamo come si dispongono
le nostre variabili su un sistema di assi cartesiani ortogonali i cui assi
sono costituiti dai fattori.

Si può graficamente osservare la netta distinzione tra i due


fattori tra i due gruppi di item.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

2.LA ROTAZIONE DEGLI ASSI

In presenza di più di un fattore gli assi vanno fatti ruotare per


verificare se le variabili mantengono un’aggregazione che ripete lo
stesso risultato e per semplificare l’interpretazione dei risultati
dell’analisi.

Ruotando gli assi il numero dei fattori non cambia, cambierà


invece la varianza spiegata da ogni singolo fattore presentandosi più
omogenea.

Esistono differenti tecniche di rotazione degli assi,


principalmente ne distinguiamo di due tipi:

 ortogonali: i fattori vengono ruotati lasciando


inalterato il vincolo dell’ortogonalità (i fattori
continuano a non essere correlati). Le saturazioni sono
correlazioni fra le variabili e i fattori.

 oblique: i fattori possono essere correlati. Le


saturazioni finali non sono correlazioni ma parametri
di Regressione

Anche se i fattori non correlano fra loro, i punteggi fattoriali


potrebbero correlare.

Vediamo nello specifico quali i vari metodi.

Metodi ortogonali
Varimax
Lavora cercando di massimizzare le saturazioni alte e
minimizzando quelle basse all’interno dei singoli fattori.
È consigliato se si vuole ottenere una netta separazione fra i
fattori o se non si hanno criteri precisi da seguire perché cerca di
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

semplificare, cioè ridurre, numero delle variabili che generano la


matrice di correlazione, perciò semplifica l’interpretazione del fattore.

Quartimax
Lavora cercando di sparpagliare la varianza entro le singole
variabili.
Questo dovrebbe facilitare la lettura e l’interpretazione delle
variabili.

Equamax
Lavora equamente sulle variabili e sui fattori
mantenendo costante la varianza spiegata dall’intera
soluzione.
Minimizza il numero delle variabili che pesano in
modo elevato su un fattore.
Bilancia i criteri dei metodi Varimax e Quartimax.

Metodi obliqui

Entrambi i metodi si basano una prima rotazione Varimax, su


cui poi si innesta un procedimento interattivo che cerca di aumentare
le saturazioni alte e ridurre quelle basse avvicinando gli assi.

Oblimin
Il grado di associazione fra i fattori è determinato da
un parametro generalmente posto a 0; si possono assegnare
valori positivi sino valori positivi fino a .8 che aumentano la
correlazione, negativi fino a -.8 che diminuiscono la
correlazione.
Questo metodo cerca di adattare i fattori agli item e li
correla.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

Promax
È sostanzialmente uguale a oblimin, ma pensato per essere più
veloce e lavorare con grandi quantità di dati.
È un metodo più diretto che cerca la rotazione che
meglio si adatta a rappresentare i fattori con un singolo item
e lo fa direttamente.
È definita dal parametro Kappa, che di default è pari
a 4. Valori maggiori o inferiori a 4 rendono la rotazione più o
meno obliqua

La scelta principale è se si desiderano fattori correlati


oppure no.
La soluzione ortogonale è più facile da interpretare perché
produce una sola matrice di saturazione e perché le saturazioni sono
anche correlazioni.

La soluzione obliqua produce due matrici:


 la matrice dei modelli (pattern matrix) cioè
parametri di regressione usati per calcolare i punteggi
fattoriali (la matrice che va interpretata)

 la matrice di struttura (structure matrix):


correlazioni fra fattori e variabili

Scegliamo la rotazione Promax.


Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

Il grafico si presenta così.

Permane la distanza tra i due fattori; i punteggi dei due


gruppi di item – le variabili – si dispongono vicini tra loro per
similitudine di significato e lontani dall’altro gruppo.

È calcolata una correlazione di -.056, troppo bassa per essere


ritenuta significativa. Quindi si procede con una rotazione ortogonale.

Il grafico non muta, ma la correlazione calcolata tra i due


fattori è di .530. Riteniamo valida questa rotazione degli assi.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

3. LE SATURAZIONI FATTORIALI

Se tenere o meno una variabile all’interno del fattore è una


scelta fatta sulla base delle “saturazioni fattoriali” o “pesi fattoriali”
(factor loading), ovvero di quanto è forte il legame tra variabile
osservata e fattore risultante.

Vi è differenza di opinione su quali variabili eliminare e quali


lasciare.

Alcuni autori dicono almeno .30, altri almeno .35 (Overall,


Klette, 1972)1 e altri ancora almeno .40.

Si tratta più che altro di prassi ma, in ogni caso, per la


decisione si devono considerare tutti i gli elementi implicati, tra cui la
percentuale complessiva di varianza spiegata dal fattore e quanto
incide ciascuna variabile.

Osserviamo le saturazioni fattoriali dell’analisi fatte, senza


rotazione e con rotazione, eventualmente eliminando le variabili che
non saturano oltre i .30 (o non visualizzandone il peso).

Soluzione ruotata Soluzione non ruotata


Fattore Fattore
1 2 1 2
a6 ,735 a6 ,671 ,315
a2 ,719 a2 ,655 ,309
a4 ,698 a4 ,592 ,370
a3 ,602 a3 ,506 ,327
a1 ,593 a1 ,439 ,417
a5 ,425 a5 ,369
b4 ,827 b3 -,400 ,667
b3 ,778 b2 -,400 ,659
b2 ,771 b4 -,537 ,640
b1 ,660 b1 -,319 ,579

1
Overall JE, Klett CJ (1972). Applied multivariate analysis. New York: McGraw-Hill
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

Risulta evidente dal confronto la semplicità e la pulizia della


soluzione ruotata.

In questo caso non abbiamo dovuto operare delle scelte come


quelle di eliminare delle variabili che si presentavano con un peso
fattoriale troppo basso, oppure decidere a quale fattore assegnare una
variabile che satura più di un fattore sulla base dell’indice di
saturazione maggiore.

Ancora, in presenza di fattori con solo uno o due variabili aventi


bassi indici di saturazione si deve escludere l’esistenza di quel fattore
e riassegnare le variabili ad altro eventuale fattore in soluzioni ruotate
dove il numero dei fattori viene imposto.

Quando si effettuano variazioni di questo tipo si rilancia l’analisi


fattoriale sino a raggiungere una ragionevole certezza di essere arrivati
a una soluzione più plausibile possibile.

A questo punto dell’analisi fattoriale restano due cose da fare: il


calcolo dell’affidabilità di scala e il calcolo del punteggio fattoriale.

Per il calcolo dell’affidabilità di scala si usa l’alfa di Cronbach.

È calcolato per il fattore 1 un α = .78 e per il fattore 2 un α = .83,


entrambi quindi adeguati.

Il punteggio fattoriale può essere svolto in diversi modi.

Uno dei modi è sommare i punteggi grezzi degli item


appartenenti a ciascun fattore per il singolo soggetto. Si otterrà un’alta
variabilità e un range di valori ampio.

Per restare congruenti con la scala di risposta utilizzata per gli


item, se ne può calcolare la media.
Universitas Mercatorum L’analisi fattoriale

Un altro sistema è che sia lo stesso software a fare i calcoli (in


realtà produce delle stime) con i seguenti metodi2.

Regressione

La matrice delle saturazioni (la matrice di


configurazione nelle oblique) viene moltiplicata per l’inversa
delle correlazioni.

I punteggi hanno media 0 e varianza pari al quadrato


della correlazione multipla fra i punteggi grezzi e quelli
stimati (per cui non è facile conoscere a priori i valori minimo
e massimo).

I diversi punteggi fattoriali tendono a correlare fra


loro.

Bartlett

Variazione della tecnica precedente che cerca di


minimizzare l’importanza dei fattori unici (ovvero le
variabili che non rientrano nel fattore).

I punteggi fattoriali possono correlare fra loro.

Anderson-Rubin

Variazione del metodo di Bartlett con


standardizzazione (media 0, varianza 1) e ortogonalità.

I punteggi così ottenuti costituiranno una variabile continua che


può essere utilizzata per effettuare analisi statistiche sofisticate come
la correlazione, la regressione lineare, l’ANOVA e altre ancora.

2 https://www.germanorossi.it/mi/file/psico/AF2.pdf
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere le basi della


neuropsicologia e di cosa si occupa.
Sarà esaminato il legame tra il funzionamento neurologico e le
funzionalità psichiche valutabili.
Si comprenderà come l’uso dei test può essere utile per effettuare
analisi e diagnosi del funzionamento psichico a partire da ciò che è
osservabile.
Saranno esaminati i vantaggi e svantaggi dei test da utilizzare
nella neuropsicologia e quali test utilizzare a seconda delle funzioni
psichiche da verificare; al riguardo sarà fornito un nutrito elenco di
strumenti.
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

1. LA NEUROPSICOLOGIA 1

La Neuropsicologia ha come oggetto di studio i processi cognitivi


e comportamentali, correlandoli con i meccanismi anatomo-funzionali
deputati al loro funzionamento.

L’assunto alla base, alle sue origini, è che i processi cognitivi


sono legati al funzionamento di specifiche strutture cerebrali, per cui
se queste si danneggiano le funzioni cognitive che vi hanno sede sono
compromesse.

Tale compromissione sarebbe evidente nel comportamento come


deficit e questi possono essere misurati attraverso dei test che ci
indicheranno il tipo e l’entità dell’eventuale danno psichico.

La neuropsicologia è interessata a osservare l’espressione


comportamentale di una disfunzione cerebrale ricercandone le origini
e sviluppando modelli interpretativi adeguati.

Al riguardo è fondamentale l’utilizzo degli strumenti di


valutazione di cui si interessa del loro sviluppo e che consistono in
questionari, test, griglie di osservazione comportamentale, col preciso
scopo di ottenere una valutazione accurata del deficit rilevato.

Intorno agli anni ’70 sotto l’impulso dello sviluppo cognitivista si


è passati a considerare il disturbo non più come strettamente e
unicamente associato a danni in specifiche zone del cervello ma il
deficit cognitivo lo si inizia a spiegare come processo organizzato in
strutture e componenti integrati tra loro.

I concetti base dell’attuale impostazione di studio della


neuropsicologia sono così elencabili:

1
Il testo di questa lezione è tratto da http://www.humantrainer.com
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

1. Assunzione di modelli della funzione normale strutturati


secondo le regole del paradigma Human Information Processing
(H.I.P.)

2. Studio intensivo ed analitico per identificare il livello (o


componente) in cui si è verificata la disfunzione.

3. Principio della modularità: in pratica, secondo tale principio le


operazioni mentali sono compiute da moduli relativamente
indipendenti, che elaborano specifici input, verosimilmente
associati a substrati neurali specifici.

4. Paradigma della doppia dissociazione (pazienti con deficit


cognitivi complementari, in cui uno di questi ha un deficit
selettivo di alcune abilità cognitive con risparmio di altre,
mentre l’altro presenta un quadro cognitivo opposto).

5. Associazione di sintomi in un singolo paziente (sindrome).

6. Isomorfismo tra la descrizione funzionale delle


componenti cognitive e le strutture neurali sottostanti.

7. Principio di trasparenza: la performance patologica


osservata fornisce una base per discriminare quale componente
funzionale del sistema è lesionata, cioè il sistema cognitivo del
paziente è fondamentalmente lo stesso del soggetto normale
tranne che per una alterazione locale, che dovrebbe direttamente
rivelare le operazioni compiute dalla componente lesionata.

8. La valutazione neuropsicologica: le categorie tradizionali dello


stato mentale (linguaggio, memoria etc.) non sono unitarie,
presentano cioè dissociazioni interne valutabili con particolari
strumenti, quali i test neuropsicologici.

9. Gli studi di imaging dimostrano che anche compiti


mentali semplici attivano reti distribuite e non un
singolo “centro dedicato”.
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

L’esame neuropsicologico fornisce informazioni sul


comportamento, le capacità cognitive, la personalità, le abilità apprese
e il potenziale riabilitativo.

Il suo obiettivo, quindi, è quello di rilevare le manifestazioni


comportamentali delle funzioni cerebrali, siano esse compromesse o
preservate.

L’esame neuropsicologico rappresenta la fase in cui viene


valutata, da un punto di vista quantitativo, la presenza del
deterioramento di una data abilità cognitiva.

Questo lo si fa attraverso l’uso di test neuropsicologici.

Tali test consentono di valutare se, ad esempio, le abilità di


memoria, attenzione, linguaggio etc., di un paziente sono adeguate per
la sua età e per il suo grado di istruzione, oppure se egli presenti alcune
prestazioni al di sotto della norma.
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

2. L’USO DEI TEST

Innanzitutto è importante precisare che un danno cerebrale


implica sempre un’alterazione comportamentale.

Anche quando si rilevano cambiamenti psicologici dopo una


lesione al capo o in concomitanza ad una malattia cerebrale in termini
di miglioramento o di peggioramento, una valutazione attenta rileverà
probabilmente un danno sotteso.

In alcuni pazienti, la perdita o il deficit può essere sottile,


diventando evidente soltanto in prove complesse di giudizio o in
condizioni di particolare carico emotivo.

Inoltre, è importante ricordare che la valutazione, oltre che


procedere nell’investigare specifiche funzioni cognitive probabilmente
compromesse, dovrebbe anche rilevare, o quantomeno scartare,
eventuali sintomi neuropsichiatrici legati a possibili alterazioni a
carico delle dimensioni comportamentali e di personalità del soggetto.

A tal fine si utilizzano i test la cui validità è stata verificata e


sono standardizzati.

I test “standardizzati” sono quei test per i quali sono disponibili


valori normativi per un campione di soggetti normali rappresentativo
della popolazione, proveniente dallo stesso ambiente socio-culturale del
paziente.

Inoltre, con il termine “standardizzazione” ci riferiamo al fatto


che il materiale-stimolo e le procedure di somministrazione e di scoring
(ossia di attribuzione del punteggio) devono essere mantenute costanti
e invariate, identiche per tutti i soggetti a cui viene somministrato il
test.
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

Il concetto di deficit comportamentale presuppone alcuni livelli


di funzionamento ideali, normali o precedenti rispetto ai quali possono
essere misurate le prestazioni del paziente.

Quando misuriamo la prestazione di un soggetto, la performance


ottenuta sarà indicata sotto forma di un numero, un punteggio.

Il punteggio ottenuto ad un test viene definito “punteggio


grezzo”, che potremmo definire come la “semplice” somma di risposte
corrette oppure come le risposte corrette meno una parte di quelle
sbagliate.

Questo tipo di punteggio, da solo, non fornisce molte


informazioni circa la prestazione di “quel” paziente, in quanto i
punteggi grezzi:

1. non danno informazioni immediatamente


interpretabili

2. non consentono il confronto tra prestazioni a test


diversi (neanche se espressi in percentuali)

Quindi, il punteggio grezzo ha una rilevanza clinica scarsa, se


non, addirittura, inesistente.

Affinché possa essere ritenuto valido, tale punteggio dovrà


essere paragonato ad uno “standard di confronto”: tale processo assume
il nome di “standardizzazione del punteggio”.

Fra i vari standard di confronto, abbiamo il punteggio massimo


ottenibile al test (che indica il pieno funzionamento nel soggetto della
specifica abilità misurata dal test), quello minimo e i risultati medi
ottenuti dalla popolazione a cui appartiene un soggetto, definita in base
all’età, istruzione e sesso.

Generalmente, viene preso in considerazione più


frequentemente il punteggio medio.
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

Però, quando ci riferiamo ad una distribuzione e ad un punteggio


medio, ci dobbiamo rapportare a sua volta ad un campione empirico di
soggetti, definito “campione normativo”: sono proprio le risposte date
al test da questo campione a costituire il termine di riferimento a cui
vengono paragonate le risposte date da qualsiasi altro soggetto.

Le principali caratteristiche che un campione normativo deve


avere sono:

1. deve essere rappresentativo della popolazione alla


quale il test sarà applicato;

2. deve essere il più ampio possibile;

3. norma: misura della tendenza centrale più misura


della variabilità;

4. le norme possono essere espresse su scale diverse

Questo confronto fra punteggio grezzo ottenuto da un


determinato soggetto ad un test e i dati normativi può essere effettuato
utilizzando procedure diverse.

Tra queste abbiamo:

1. trasformazione dei punteggi grezzi in misure di “posizione


relativa” della prestazione individuale rispetto alla distribuzione
ottenuta nel campione normativo. In questo caso, la misura utilizzata
è costituita dai ranghi percentili, che indicano la percentuale di soggetti
del campione normativo che hanno ottenuto una prestazione al di sotto
del punteggio dell’individuo a cui è stato somministrato il test (se un
punteggio si colloca al 50° percentile, significa che il 50% dei soggetti
del campione hanno ottenuto un punteggio inferiore a quello ottenuto
dal soggetto);

2. trasformazione dei punteggi grezzi in punteggi standard.


Standardizzare una misura significa riferire la misura stessa ad una
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

scala standard con media e varianza note. Convertire dei punteggi


grezzi in punteggi standard, dunque, consiste nel confrontare il
punteggio grezzo del soggetto con la media e la variabilità dei punteggi
ottenute nel campione normativo. La scala più usata nell’ambito della
ricerca (non solo psicologica) è quella denominata appunto “standard”
o “z”, che ha media 0 e deviazione standard 1. Questa scala si ottiene
trasformando una qualsiasi serie di punteggi in una serie di punteggi
z. Nei punti z, il punteggio individuale (x) viene confrontato con la
media del gruppo normativo (𝑥̅ ) e con la deviazione standard (ds)
secondo la nota formula:

z = (x – 𝑥̅ )/ds

Se ad esempio un soggetto ottiene un punteggio di 21 ad un test,


sapendo che la media del gruppo a cui appartiene è pari a 27,9 e la
deviazione standard pari a 6,52, potremmo calcolare:

z = (21 – 27,9)/6,52 = - 1,058

Questo punteggio ci dice che la prestazione del soggetto a quella


scala e/o test è, prima di tutto, al di sotto della media (essendo il
punteggio z negativo) e anche che non si trova poi molto al di sotto di
essa.

Queste informazioni, il semplice punteggio di 21, non le forniva.

Da qui si evince che la standardizzazione è necessaria quando


vogliamo avere un idea della posizione che un soggetto occupa
nell’ambito di un gruppo, ma anche quando è necessario confrontare
due prestazione dello stesso soggetto.

Il principio di base alla conversione dei punteggi grezzi in


punteggi standard è che la distribuzione dei punteggi nel campione
normativo sia una distribuzione normale.

Una distribuzione normale (o gaussiana) è una distribuzione


teorica.
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È di importanza fondamentale poiché in alcune analisi


statistiche (es. analisi della varianza) è un parametro che occorre
assumere e verificare.

In psicologia, spesso si confrontano distribuzioni differenti (es.


gruppo sperimentale e gruppo di controllo), però le distribuzioni
possono avere unità medie e deviazione standard diverse e anche forme
diverse.

Per poterle confrontare occorre riferirle ad una distribuzione


standardizzata, ossia una distribuzione che abbia media 0 e una
deviazione standard = 1.
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3.LA VALUTAZIONE CON I TEST

I vantaggi dei test standardizzati sono molti.

Tra questi ricordiamo il fatto, come vedremo, di offrire dei


punteggi cut-off (o punteggio di confine tra prestazione normale e
prestazione patologica), di ridurre il rischio di falsi positivi o falsi
negativi, di offrire la possibilità di integrazione di dati provenienti da
diversi laboratori e di favorire la comunicazione e la condivisione di dati
tra clinici e/o ricercatori.

Fra gli svantaggi, riconosciamo il fatto che il confronto con un


valore normativo ha senso solo per quelle funzioni o capacità che tutti
gli individui adulti normali dovrebbero possedere (es., capacità di
comprensione verbale); inoltre, la prestazione a compiti che misurano
quelle abilità che sono influenzate da fattori sociali ed ambientali
hanno bisogno di standard di paragone individuali (es., il vocabolario).

Infine, insorgono problemi interpretativi nei casi in cui si valuta


la prestazione di un paziente, in assenza di informazioni sul livello
premorboso, ad un test che misura un’abilità che nella popolazione
sana ha una distribuzione normale.

Un altro aspetto molto importante per la costruzione e


l’utilizzazione dei test neuropsicologici è strettamente legato ad uno dei
suoi obiettivi principali, ovvero la possibilità di discriminare i soggetti
“normali” dai soggetti con “danno cerebrale”.

In altri termini, ci dobbiamo chiedere quale sia “l’ago della


bilancia” in base al quale un soggetto viene inserito in una delle due
categorie piuttosto che in un’altra.

Ci si riferisce in questo senso alla definizione del punteggio di


demarcazione fra prestazione normale e al di sotto della norma, ovvero
il cut-off.
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La distinzione fra “normale” e “al di sotto della norma” è resa


possibile grazie ad un criterio di eliminazione, stabilendo, in fase di
messa a punto del test, un “cut-off”, ovvero un valore che divida il
continuum dei punteggi ottenibili al test nelle due categorie, “normale”
e “non-normale”.

Tale valore consentirà di effettuare una decisione clinica,


dirigendo la scelta fra:

1. successi (soggetti con danno cerebrale che vengono,


attraverso l’applicazione del test, correttamente classificati
come tali);

2. rifiuti corretti (soggetti con prestazione normale


correttamente classificati

come tali);

3. falsi negativi (soggetti con danno cerebrale


classificati come “normali”);

4. falsi positivi (soggetti “normali” ma considerati


aventi un danno cerebrale).

Nei test neuropsicologici più diffusi, i parametri utilizzati per


stabilire il cut-off, riportati solitamente nel manuale del test, sono
rappresentati da:

ranghi percentili,

media e deviazione standard

Come abbiamo visto precedentemente, i ranghi percentili


vengono preferiti quando i punteggi non sono distribuiti secondo una
distribuzione normale.

I valori che frequentemente sono fissati per definire la


prestazione al test come “al di sotto della norma” sono rappresentati
dai punteggi corrispondenti al 5° percentile o 2° percentile (nel caso di
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

assessment con soggetti in età evolutiva, si adottano cut-off anche con


valori percentili diversi, corrispondenti al 20° percentile o al 25°
percentile).

I cut-off fissati alla media e alla deviazione standard della


distribuzione dei punteggi ottenuta nel campione normativo, il
punteggio al test viene solitamente classificato:

- “normale” se è compreso entro 1 DS (ossia, una deviazione


standard);

- “al di sotto della norma” se compreso fra 1 e 2 DS;

- “deficitario” se inferiore a 2 DS;

- “gravemente deficitario” se al di sotto di 3 DS.

Dovendo individuare la presenza di alterazioni cognitive e


comportamentali, dovremmo fondare la nostra valutazione sulla
somministrazione di più test neuropsicologici, ovvero su una cosiddetta
“batteria” di test.

Per quanto riguarda gli strumenti neuropsicologici utilizzati ai


fini di una corretta valutazione, fondamentalmente si possono scegliere
fra:

 test di valutazione delle funzioni cognitive


generali;

 test per specifiche abilità cognitive.

Tra i test utilizzati per le funzioni generali riportiamo i più


utilizzati:

Mini Mental State Examination – MMSE


(Folstein et al., 1975; Measso et al., 1993)

Alzhemier’s Disease Assessment Scale – ADAS


(Rosen et al., 1984)
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Matrici Progressive di Raven o RPM e Matrici


Progressive Colorate di Raven (Raven, 1940; Raven,
Court, Raven, 1986).

Severe Impairment Battery – SIB (Saxton et


al., 1990)

Milan Overall Dementia Assessment – MODA


(Brazzelli et al., 1994)

Mental Deterioration Battery – MDB


(Caltagirone et al., 1995; Carlesimo et al., 1996)

Wechsler Adult Intelligence Scale – Revised o


Wais R (traduzione e adattamento italiano a cura di C.
Laicardi e A. Orsini, Organizzazioni Speciali, Firenze,
1997)

Esame Neuropsicologico Breve – ENB


(Mondini et al., 2003)

I test che indagano funzioni specifiche possono essere


raggruppati in base sia alla funzione cognitiva indagata, sia in base al
tipo di patologia per cui un test è stato creato.

E così, vi saranno test utilizzati per la valutazione della


memoria, del linguaggio o dell’attenzione, oppure test o batterie di test
per indagare le funzioni cognitive nel morbo di Alzheimer, nel
Parkinson, etc.

Essendo il numero dei test molto ampio, verranno di seguito


indicati solo alcuni fra quelli maggiormente utilizzati nella pratica
clinica.
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

Test per le funzioni frontali

a) Wisconsin Card Sorting Test – WCST (Berg, 1948;


Laiacona et al., 2000).

b) Test della Torre di Londra (Shallice, 1982).

c) Weigl’s Test (in Spinnler e Tognoni, 1987)

d) Frontal Assessment Battery – FAB (Dubois, 2000;


Appollonio et al., 2005)

e) Elithorn Perceptual Maze (Elithorn, 1955; Colonna e


Faglioni in Spinnler e Tognoni, 1987)

f) Trail making Test (TMT) (Reitan, 1958; Mondini et al.,


2003)

g) Test dei Giudizi Verbali (Spinnler e Tognoni, 1987)

Test di memoria a breve termine

a) Span di cifre (Orsini et al., 1987)

b) Test di ripetizione seriale di parole bisillabiche (Spinnler


e Tognoni, 1987)

c) Test di Corsi (Spinnler e Tognoni, 1987)

d) 15 parole di Rey (Rey, 1958; Carlesimo et al., 1996)

e) Test della figura complessa di Rey (Rey, 1959; Caffarra et


al., 2002; Carlesimo et al., 2002)

Test di memoria a lungo termine

a) Test di memoria di prosa: Raccontino di Babcock (Novelli


et al., 1986;
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b) Carlesimo et al., 2002)

c) Test di Memoria Comportamentale di Rivermead – RBMT


(Wilson et al.,

d) 1985; Brazzelli et al., 1993)

e) Apprendimento di coppie di parole (De Renzi et al., 1977)

f) Apprendimento di coppie di parole (Novelli et al., 1986)

g) Apprendimento supra-span verbale (Spinnler e Tognoni,


1987)

h) 5 parole di Rey (Rey, 1958; Carlesimo et al., 1996)

i) Apprendimento di supra-span spaziale (Capitani et al.,


1980; Spinnler e

j) Tognoni, 1987)

k) Apprendimento supra-span spaziale (Capitani et al, 1991)

l) Benton Visual Retention Test (Benton, 1974)

m) Test della figura complessa di Rey (Rey, 1959; Caffarra et


al., 2002; Carlesimo et al., 2002)

n) Curva di posizione seriale (Capitani et al., 1992; Spinnler


e Tognoni, 1987)

Test per il linguaggio

a) Western Aplasia Battery (Kertesz et al., 1974)

b) Boston Diagnostic Aphasia Examination (Goodglass et al.,


1972)

c) Aachen Aphasia Test (Huber et al., 1983)

d) Batteria per l’Analisi dei Deficit Afasici (Miceli et al.,


1991b)
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e) Boston Naming Test (Kaplan et al., 1978)

f) California Verbal Learning Test (Delis et al.,


1987)

g) Test di Fluenza Verbale Fonemica (Novelli et


al., 1986; Mondini et al., 2003)

h) Test di Fluenza Verbale Semantica per


Categoria (Spinnler e Tognoni, 1987)

i) Test dei gettoni o Token Test (De Renzi et al.,


1962)

Test per le funzioni visuo-spaziali


a) Benton Facial Recognition Test o BFRT
(Benton e Van Allen, 1968; Hamsher, et al., 1983)

b) Discriminazione di forme visive (Efron, 1968;


Warrington e Taylor, 1973;

c) Worrington, 1985; Worrington e James,


1988).

d) Hooper Visual Organization Test o HVOT


(Hooper, 1958; Hooper Visual

e) Organization Test Manual, 1983).

f) Street's Completion Test (Spinnler e


Tognoni, 1987)

g) Test di giudizio di orientamento di linee di


Benton – forma H (Benton et al., 1978; adattamento
italiano di Ferracuti, Cannoni, Sacco e Hufty per
Organizzazioni Speciali, Firenze).
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

Test per le funzioni attentive

a) Batteria computerizzata di Test per l'esame


dell'attenzione o TEA (Zimmermann e Fimm, 1992)

b) Claridge forma 1 e 2

c) Continuous Performance Test o CPT


(Rosvold, Mirsky, Sarason, Bransome e Beck, 1956)

d) Paced Auditory Serial Addition Task o


PASAT (Gronwall, 1977)

e) Stroop Color Word Interference Test (Golden,


1978; Venturini e coll., 1983)

f) Test dei Deux Barrages di Zazzo (Zazzo,


1960b, 1980)

g) Test delle Matrici Attentive (Spinnler e


Tognoni, 1987; Della Sala et al., 1992)

h) Trail Making Test o TMT (Reitan, 1958)

Test per le funzioni intellettive e di ragionamento logico

Matrici Progressive di Raven o RPM e Matrici


Progressive Colorate di Raven (Raven, 1940; Raven,
Court, Raven, 1986).

Wechsler Adult Intelligence Scale – Revised o


Wais R (traduzione e adattamento italiano a cura di C.
Laicardi e A. Orsini, Organizzazioni Speciali, Firenze,
1997
Universitas Mercatorum La psicometria in neuropsicologia

Test per le funzioni prassiche

a) Test della figura complessa di Rey (Rey,


1959; Caffarra et al., 2002; Carlesimo et al., 2002)

b) Test dell’Orologio (in ENB di Mondini et al.,


2003)

c) Test di Aprassia Bucco-Facciale (De Renzi et


al., 1966; Spinnler e Tognoni, 1987).

d) Test di Aprassia Ideo-Motoria (De Renzi et


al., 1980; Spinnler e Tognoni, 1987).
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come effettuare un


uso consapevole e professionalmente responsabile dei test di indagine
psicologica.
A partire dalle norme giuridiche per passare poi alle norme di
buone prassi, saranno spiegati i vari concetti dell’analisi
psicodiagnostica.
Sarà presentata una classificazione dei test per comprendere le
diverse funzioni e dimensioni psichiche su cui lo psicologo indaga.
Saranno fornite indicazioni epistemologiche per una corretta
psicodiagnosi.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

1. TEST E PRATICA PROFESSIONALE

La Legge numero 56 del 18/02/1989 stabilisce:

Art 1. Definizione della professione di psicologo.comma 1.

La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti


conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività
di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico
rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità.
Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica
in tale ambito.

Art. 2 Requisiti per l'esercizio dell'attività di psicologo.

comma 1. Per esercitare la professione di psicologo è


necessario aver conseguito l'abilitazione in psicologia mediante
l'esame di Stato ed essere iscritto nell'apposito albo professionale.
comma 3.

Sono ammessi all'esame di Stato i laureati in psicologia che siano in


possesso di adeguata documentazione attestante l'effettuazione di un
tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministro
della pubblica istruzione, da emanarsi tassativamente entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge. Perché questa
premessa? Perché imparare a conoscere i test psicodiagnostici o i
questionari per la valutazione soggettiva non significa essere
autorizzati al loro utilizzo.

Se desiderate esercitare la professione di psicologi, dopo la


laurea magistrale effettuerete i 2 cicli di tirocinio obbligatorio di 6
mesi ciascuno. Poi affronterete le prove dell’Esame di Stato. Se sarete
idonei sarete dichiarati Abilitati. A quel punto potrete iscrivervi
all’Ordine degli Psicologi della vostra regione di residenza. Una volta
ricevuta la delibera dell’iscrizione potrete esercitare la professione.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

Fare diversamente, utilizzando nel frattempo i test


psicodiagnostici, significa commettere abuso professionale, reato che
vi impedirà in seguito di iscrivervi all’Albo degli Psicologi.

Inoltre, alcuni test presentati in questa o in altre occasioni sono


coperti da copyright; ciò significa che potranno essere fornite una
breve descrizione e alcune esemplificazione sulla loro applicazione,
ma non saranno fornite informazioni sui dati normativi e sugli item
che compongono i test. Per questo si rimanda ai rispettivi manuali.

In certi casi, i punteggi e i dati normativi possono essere


facilmente reperiti attraverso gli articoli solitamente pubblicati su
riviste nazionali e/o internazionali specialistiche.

Va sottolineato che i test di screening globale, spesso,


provengono da studi e ricerche nel campo delle demenze.

Questo perché tali patologie hanno una caratteristica che li


accomuna: si presentano con un declino cognitivo in aree diverse, per
esempio la memoria.

Quindi, in questi casi, sarà di primaria importanza per il clinico


poter identificare da subito quali funzioni cognitive stanno subendo
un decadimento prestazionale, e a tal fine potrà ricorrere a una
batteria di test che riesca a coprire un altrettanto grande numero di
aree funzionali diverse.

Una batteria di base con un numero di test sufficienti a


valutare le principali aree cognitive che sono deficitarie ci consente di
poter effettuare successivamente l’approfondimento necessario.

Questo approccio è utilizzato anche quando si è in presenza di


pazienti non che non presentano patologie apparenti e quindi si
utilizzano come strumento generale di screening.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

La Society for Personality Assessment (SPA, 2008)1 definisce


così la valutazione psicologica:

«Con valutazione psicologica ci riferiamo ai metodi scientifici che gli


psicologi impiegano per comprendere la personalità umana.
Quando combinata con informazioni ricavate da interviste,
osservazioni e altre fonti, la valutazione può aiutare il cliente a
esplorare modi nuovi e più efficaci di risolvere i propri problemi.
Una volta completate le procedure di valutazione e ottenuti i
risultati, gli psicologi in genere forniscono ai loro clienti un
feedback. Gli scopi sono la promozione di una maggiore capacità di
comprensione del Sé e la possibilità di pianificare un trattamento
appropriato. In questo modo, la valutazione psicologica può ridurre
i tempi di un trattamento basato unicamente sul colloquio clinico.
La valutazione psicologica può aiutare anche a fornire informazioni
precise e obiettive che aiutino a rispondere a quesiti posti da altri
professionisti della salute mentale».

Questa definizione mette bene in evidenza l'importanza di tre


componenti: quella psicometrica, quella clinica e quella legata alla
promozione del cambiamento in cui la persona è al centro.

Lavorare con i test, quindi, significa non solo applicare metodi


standardizzati per raccogliere informazioni, ma anche integrare le
informazioni derivanti dai test con altre informazioni (anamnesi,
esame obiettivo e colloquio).

Lavorare con i test significa, non soltanto avere competenze


sull'applicazione dei test, ma anche avere competenze cliniche e
relazionali.

Perciò poiché nella valutazione psicodiagnostica un report


interpretativo non potrà mai sostituire lo psicologo!

1Society for Personality Assessment (SPA, 2008). What is Psychological Assessment. Society for
Personality Assessment, Falls Church, Virginia.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

Un insieme di informazioni importanti da tenere in


considerazione sono quelle derivanti dall'esame dello stato mentale
(oltre, ovviamente, a quelle anamnestiche).

L'esame dello stato mentale serve per comprendere l'esperienza


soggettiva della persona attraverso l'osservazione "diretta" (cioè
effettuata attraverso gli organi di senso del professionista).

Si basa sulla percezione del professionista e permette di


valutare il livello di coscienza della persona, il suo aspetto, come si
comporta, l'eloquio e il linguaggio, gli aspetti cognitivi (attenzione,
memoria, ideazione e pensiero, esame di realtà), l'umore e i
sentimenti prevalenti, le capacità di analisi, giudizio e introspezione.

Contrariamente ai test, che si basano sull'osservazione


indiretta, l'esame dello stato mentale si basa sull'osservazione diretta.

Le informazioni derivanti da misure dirette e indirette devono,


quindi, essere integrate.

In definitiva, i test, in quanto strumenti oggettivi, non


permettono di cogliere le componenti soggettive, è un limite nella
natura intrinseca del test; le component soggettive, i contenuti
individuali dell'esperienza psichica, sono però fondamentali e
imprescindibili per una valutazione completa della persona.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

2. CLASSIFICAZIONE DEI TEST


I test possono essere classificati i diversi modi, consideriamo
quelli definibili di massima performance e di tipica performance.

I test di massima performance sono quelli in cui sono


presenti risposte giuste e sbagliate e in cui, di solito, c'è un tempo
limite.

Alla persona viene richiesto di dare il meglio di sé e l'obiettivo


è verificare quanto sia in grado di risolvere un determinato compito.

Un esempio classico di test di massima performance sono i test


di intelligenza e quelli attitudinali che sono centrati sulla capacità di
ragionamento, ma anche i test di attenzione e memoria (rievocazione,
ripetizione, memoria narrativa).

Questi test sono utili per valutare le componenti cognitive della


persona.

Si faccia attenzione ai tempi di somministrazione, in quanto


questi test possono essere molto rapidi, come ad esempio il MMSE-2 -
Mini-Mental State Examination, 2nd Edition -, che richiede dai 5 ai
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

20 minuti a seconda che si usi la forma breve, standard o estesa,


oppure possono richiedere molto tempo come un’ora o più2.

I tempi di somministrazione sono fondamentali e da considerare


in base al contesto e alla luce di altre informazioni come quelle emerse
dell'esame dello stato mentale ("l'osservazione diretta" della persona
per comprenderne l'esperienza soggettiva): se ho una persona di 65
anni (quindi a cui è possibile somministrare la WAIS-IV perché l'età
rientra nel campione di riferimento) in cui all'esame dello stato mentale
osservo difficoltà di mantenere la concentrazione prolungata, oppure la
forte tendenza ad annoiarsi, può essere una soluzione migliore perdere
un po' di informazione ma optare per un test più breve e adatto alla
persona; un test di performance troppo lungo – come ad es. la WAIS -
potrebbe essere percepito molto frustrante per queste persone.

I test di tipica performance sono quelli finalizzati a conoscere


i comportamenti tipici della persona, quindi non esaminano cosa è in
grado di fare ma ciò che tipicamente fa nella vita quotidiana.

2Come nel caso della WAIS-IV - Wechsler Adult Intelligence Scale, Fourth Edition (2013) -,
che richiede circa 90 minuti.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

Dal momento che la base teorica che sottostà a questi test è più
ampia ed eterogenea (ci rientrano i test di personalità, temperamento,
preferenze, valori, ecc.) c'è meno accordo su quali siano le
caratteristiche rilevate da un test di tipica performance.
In generale, però, si può dire che i test che verranno considerati
appartengono a questa area, perché sono test che hanno la finalità di
individuare le caratteristiche e i tratti tipici della persona.
A differenza dei test di massima performance in cui non è
possibile distorcere (a meno che la persona non voglia simulare un
disturbo della sfera cognitiva), nei test di tipica performance è possibile
(e probabile) che le persone distorcano cercando di far credere che un
certo tratto sia più o meno presente in loro di quanto in realtà non sia.
Per questo motivo, nei test di tipica performance (self-report)
sono riportate scale di validità, per capire se la persona ha distorto in
senso migliorativo o peggiorativo o se ha risposto a caso.
Per esempio nel caso del BIG-V è inserita una scala Lie, e nel
test di orientamento motivazionale TOM è inserita una scala di
desiderabilità sociale.
Chiaramente in un test di massima performance non si può far
credere di avere un'abilità maggiore di quella che si ha.
I test di tipica performance sono generalmente self-report (ad
esempio il MMPI-2), ma possono essere anche interviste.
In entrambi i casi, la persona parla direttamente allo psicologo e
sceglie quanto aprirsi, cosa condividere e cosa no.
Le risposte sono date sulla base della consapevolezza: in altre
parole, la persona legge la domanda, la comprende e sceglie
consapevolmente cosa rispondere... e la menzogna è un'opzione
possibile!
Quindi, quando si sceglie di lavorare con un self-report, è
fondamentale che si sia creato un contesto relazionale tale per cui la
persona senta di potersi fidare e in cui si senta al sicuro.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

Inoltre, seguire le linee guida indicate nei manuali a proposito


delle regole di somministrazione è fondamentale per gestire al meglio
il comportamento di risposta della persona.

I test proiettivi sono fatti rientrare nei test di tipica


performance.

Risentono meno della distorsione rispetto ai test self-report in


quanto gli item sono costituiti da stimoli ambigui (più o meno
strutturati) su cui vengono dati (proiettati) significati soggettivi.
Il processo mentale che può avvenire in un self-report in cui la
persona è consapevole di comportarsi in un certo modo ma dichiara il
contrario non avviene nei proiettivi.
La persona può vedere qualcosa nelle macchie di Rorschach ma
non dichiararlo perché, ad esempio, si vergogna (come avviene
frequentemente per le risposte a contenuto sessuale).

Il buon esaminatore dovrebbe poterlo rilevare dal


comportamento non verbale, dai tempi di latenza e dal processo di
costruzione della risposta, ma è praticamente impossibile che le
risposte date siano consapevolmente alterate per mostrare tratti
diversi (a meno che la persona non venga istruita).
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

In definitiva si può dire che i test proiettivi sono molto utili


quando si intende esaminare contenuti psichici inconsci; i self-report
quando si intende valutare la rappresentazione che la persona ha di sé
e dei propri comportamenti e i test di massima performance quando si
intende valutare le funzioni cognitive.
Per tutti i test occorre una preparazione specifica e questo vale
ancora di più per i test proiettivi in cui il processo di raccolta, siglatura
e scoring è molto complesso e vi entrano in gioco moltissime variabili
che, se mal gestite, determinano una cattiva interpretazione.
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

3.LA PSICODIAGNOSI

Si potrebbe definire processo o situazione psicodiagnostica un


articolato e ben definito momento dell’intervento psicologico finalizzato
alla comprensione del funzionamento globale dell’individuo.

Diatribe epistemologiche e storico culturali hanno alimentato la


distanza tra due posizioni: da una parte il dominio assoluto di una
diagnosi orientata ai sintomi e al comportamento, dall'altra un
pregiudizio antidiagnostico di matrice psicoanalitica.

Una psicodiagnostica clinica o una psicodiagnostica clinicamente


orientata al paziente si può chiamare tale a condizione che soddisfi due
requisiti necessari e sufficienti:

1. lo sviluppo da parte del professionista di un


particolare costante assetto emotivo, cognitivo e
relazionale nella modalità di svolgimento
dell'indagine psicologica e nel ragionamento clinico

2. l'adozione di un valido modello esplicativo inferenziale


di funzionamento e di sviluppo della personalità e
conseguentemente della psicopatologia dei processi di
cambiamento terapeutico.

Riguardo il primo punto, centrale è la questione della


costruzione del setting, ovvero uno spazio clinico che tende stesso
tempo alla comprensione e alla valutazione e che necessità di alcune
qualità imprescindibili da parte del professionista quali:

1. una preordinata disponibilità a sospendere il giudizio,


le decisioni e le aspettative dell'intervento;

2. una costante capacità di riuscire a entrare in rapporto


quasi immediato con un'altra soggettività;
Universitas Mercatorum La psicometria nella psicodiagnostica

3. una complessa attività mentale volta all'elaborazione


della dinamica relazionale tra clinico e paziente;

4. una sempreviva propensione a lasciarsi incuriosire


dal nuovo, dal diverso, come se fosse ogni volta una
prima volta.

Mantenere un tale assetto clinico, sancisce inevitabilmente la


piena entrata del professionista in una dinamica intersoggettiva nuova
e totalizzante, in cui si incoraggia la collaborazione attiva del paziente.

Risultato finale è un tipo di diagnosi che coglie “dal di dentro” il


modo sempre unico di sentire, pensare, percepire e relazionarsi di quel
determinato individuo.

Affinché i dati raccolti non stiano su un piano meramente


statistico-descrittivo, vi è l’esigenza di integrare i diversi livelli di
analisi.

Con ciò ci si riferisce all’osservazione del paziente durante la


seduta, a ciò che il paziente riferisce e all’esame obbiettivo che lo
psicologo effettua di queste informazioni ricavate dal comportamento
verbale e non-verbale del paziente stesso.

Una valutazione psicologica globale non può quindi contenere i


soli risultati dei test, ma attraverso il colloquio clinico vanno esplorati
i processi psicologici soggiacenti le dimensioni in esame.
Universitas Mercatorum Psicometria e test psicodiagnostici

La lezione ha l’obiettivo di far conoscere le batterie di test


psicodiagnostici più utilizzati nel campo della neuropsicologia.
Saranno spiegati i principi base di questi test, come sono
costituiti e come si somministrano.
Saranno analizzate le proprietà psicometriche di questi test
anche attraverso l’uso delle pubblicazioni scientifiche internazionali da
cui sono tratti.
In particolare saranno esaminati il Mini Mental State
Examination (MMSE), il Milan Overall Dementia Assessment (MODA)
e la Mental Deterioration Battery (MDB).
Universitas Mercatorum Psicometria e test psicodiagnostici

1. MINI MENTAL STATE EXAMINATION – MMSE

Tra i test maggiormente impiegati per una valutazione


globale del paziente rientra il Mini Mental State Examination, più noto
con l’acronimo di MMSE.

Oltre al largo impiego da parte dei professionisti della salute


mentale è noto per essere di facile e veloce utilizzo e immediata
comprensione.

Creato da Folstein, Folestein e McHugh nel 1975, esso


valuta, in circa dieci minuti, un insieme ristretto di funzioni cognitive.

Inoltre, il suo utilizzo e le procedure di calcolo del punteggio


sono abbastanza semplici e facili da imparare.

Il test è generalmente impiegato per la valutazione della


presenza di deterioramento cognitivo ed è costituito da 30 item,
ripartiti in sette aree cognitive differenti:

• orientamento nel tempo,

• orientamento nello spazio,

• registrazione di parole,

• attenzione e calcolo,

• rievocazione,

• linguaggio,

• prassia costruttiva.

Questo test è disponibile in Internet ma chi volesse fare


diagnosi con questo strumento deve essere un medico o uno psicologo
iscritto all’Albo.
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Orientamento temporale

Il Test inizia col chiedere alla persona in esame il giorno del


mese, l’anno, il mese, il giorno della settimana e la stagione.

Dopodiché si esaminano le seguenti aree.

Orientamento spaziale

Il paziente sa riferire il luogo in cui si trova, a quale piano,


in quale città, regione, stato.

Memoria

L’esaminatore pronuncia ad alta voce tre termini (casa,


pane, gatto) e chiede al paziente di ripeterli subito.

L’esaminatore deve ripeterli fino a quando il paziente non li


abbia imparati

Attenzione e calcolo

Sottrarre a 100 il numero 7, al risultato di nuovo sottrarre il


numero 7 per 5 volte.

Se il paziente avesse difficoltà di calcolo, far scandire


all’indietro la parola CARNE una lettera alla volta.

Richiamo delle tre parole

Richiamare i tre termini precedentemente imparati (casa,


pane, gatto).

Denominazione

Come si chiama questo? (indicando una matita).

Come si chiama questo? (indicando un orologio).

Il paziente deve riconoscere due oggetti.


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Ripetizione

Invitare il paziente a ripetere la frase “tigre contro tigre”

Esecuzione di un compito su comando orale

Invitare il paziente ad seguire correttamente i seguenti


ordini:

a) prenda un foglio con la mano destra, b) lo pieghi a metà,


c) e lo butti per terra.

Esecuzione di un compito su comando scritto

Presentare al paziente un foglio con la seguente scritta:


“Chiuda gli occhi”.

Invitare il paziente ad eseguire il comando indicato.

Scrittura

Far scrivere al paziente una frase formata almeno da


soggetto e verbo.

Prassia costruttiva

Far copiare al paziente il disegno indicato qui di sotto

Il test termina qui.


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Si sommano tutti i punteggi ottenuti sulla performance del


soggetto e che sono stati attribuiti di volta in volta sulla base di precise
regole.

Il punteggio così ottenuto va corretto, in quanto fattori come


l’età, il grado di scolarità e il livello culturale del soggetto,
contribuiscono significativamente alle variazioni dei punteggi attesi
nella popolazione normale. Sono disponibili differenti proposte di
correzione in letteratura.

Il punteggio totale è compreso tra un minimo di 0 ed un


massimo di 30 punti.

La tabella che segue mostra la ripartizione della gradualità


di deterioramento dato dal punteggio del test.

30-24 Nessuna compromissione


24-20 Sospetta compromissione
19-17 Compromissione lieve
16-10 Compromissione moderata
9-0 Compromissione grave

Va aggiunto che del MMSE esistono varie versioni, con


altrettante diverse modalità di somministrazione.

Ad esempio, le differenze si possono trovare sulla parola da


scandire all’indietro (in alcune forme si trova la parla “MONDO”,
anziché “CARNE”).

Il test da solo non consente di stabilire una diagnosi di


decadimento cognitivo né di determinarne l’eziologia; pertanto il
MMSE dovrebbe essere utilizzato come strumento in grado di
suggerire, in caso di punteggi bassi, il ricorso a ulteriori
approfondimenti.
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Infine, non consentendo una valutazione completa delle


funzioni cognitive, non è sufficientemente sensibile alle fasi iniziali
della demenza ovvero tende a sottostimare tali casi.

Tra i limiti del test, va citato il fatto che il contenuto del


MMSE è altamente verbale, mancando item sufficienti per misurare
adeguatamente le capacità visuospaziali e/o visuocostruttive.

Perciò la sua utilità nel cogliere alcuni tipi di danni cognitivi,


come quelli causati da lesioni focali particolarmente dell’emisfero
destro, è incerta.

Gli autori indicano la brevità di somministrazione come


punto di forza di questo test.

Ritengono infatti che i pazienti anziani, specialmente quelli


con delirio o sindromi di demenza cooperano solo per brevi periodi.

Una curiosità sul nome: gli autori dicono che l’hanno


chiamato "mini" perché si concentra solo sugli aspetti cognitivi delle
funzioni mentali ed esclude le domande riguardo all'umore, alle
esperienze mentali anormali e alla forma del pensiero.
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2. MILAN OVERALL DEMENTIA ASSESSMENT –


MODA
Il MODA è stato concepito e modellato sul quadro cognitivo
dei deficit neuropsicologici della malattia di Alzheimer, con lo scopo di
completare, in termini quantitativi, la descrizione neuropsicologica di
un paziente che viene esaminato per un sospetto di demenza.

Gli autori osservano che il limite di alcuni test è che rivelano


anomalie solo quando la malattia è in stato avanzato e la diagnosi è
ormai certa.

D’altra parte uno strumento sofisticato, che sappia in modo


sensibile cogliere differenze anche minime, è del tutto inutile in uno
stadio avanzato della malattia.

Perciò gli autori hanno voluto costruire uno strumento che


sapesse cogliere anche solo i primi indizi rivelatori di una malattia
progressivamente invalidante o, comunque, migliorare la capacità
descrittiva dei sintomi.

La correzione dei punteggi per tener conto della variabilità


dovuta all’età e all’istruzione è un altro elemento importante.

Il tempo di somministrazione è di circa 45 minuti.

Il MODA è composto da tre sezioni:

- orientamenti,

Questa sezione è composta da quattro diversi gruppi.


Gli item richiedono al soggetto di produrre informazioni che
cambiano (ad esempio, l'età) o che rimangono
invariate nel tempo (ad esempio, data di
nascita).
Una risposta è accettata se confrontata con la "verità"
(documenti o testimoni).
- autonomia,
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Questa scala misura le abilità quotidiane ed è l'unica sezione


non neuropsicologica del MODA.
L'esaminatore ha bisogno della collaborazione di qualcuno che
sia in grado di fornire informazioni sul
comportamento presente del soggetto.
- testistica

Tutti i test sono tratti da una serie standardizzata di test


neuropsicologici.
Gli autori precisano che per evitare il cosiddetto “effetto
pavimento”, hanno scelto dei test
standardizzati prevalentemente gli item più
facili.
Nel dettaglio possiamo indicare i contenuti delle varie
sezioni.

1a Sezione: orientamenti

• Test di Orientamento Temporale

• Test di Orientamento Spaziale

• Test di Orientamento Personale

• Test di Orientamento Familiare

2a Sezione: autonomia nel quotidiano

• Scala di Autonomia

3a ° Sezione: test neuropsicologici

• Apprendimento Reversal

• Test Attenzionale

• Intelligenza Verbale

• Raccontino

• Test di Produzione di Parole


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• Test dei Gettoni

• Agnosia Digitale

• Agnosia Costruttiva

• Street’s Completion Test

Sulla base del punteggio ottenuto è possibile:

o affermare la normalità o il rischio di non normalità


cognitiva;

o fornire una misura del deterioramento cognitivo del


paziente nel caso di un punteggio che si colloca sotto il
limite della normalità.

Indichiamo di seguito le procedure di somministrazione.

I Sezione: orientamenti (tempo massimo consentito per ciascun item: 3


minuti)

Test di Orientamento Temporale

Item: Si chiede al soggetto quanto indicato nel protocollo (es., giorno


del mese).

Test di Orientamento Spaziale

Item: Si chiede al soggetto quanto indicato nel protocollo (es., in quale


città siamo).

Test di Orientamento Personale

Item: Si chiede al soggetto quanto indicato nel protocollo (es., data e


città di nascita).

Test di Orientamento Familiare

Item: Si chiede al soggetto quanto indicato nel protocollo (es., nome del
padre e della madre); le risposte date dal soggetto vengono
confrontate con quelle fornite da un familiare.
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II Sezione: autonomia nel quotidiano

Scala di Autonomia

La scala è suddivisa in 5 sezioni; per ognuno degli aspetti occorre


indagare il grado di autonomia attuale del paziente (es.,
deambulazione, capacità di vestirsi etc.). Le domande devono
essere rivolte a un congiunto o convivente del paziente
stesso.

III Sezione: test neuropsicologici

Apprendimento Reversal

Test: Tutte le volte che l’esaminatore mostrerà il palmo il soggetto


dovrà mostrare il pugno e viceversa. Tra lo stimolo dello
sperimentatore e la risposta del soggetto devono intercorrere
10 secondi. Va seguita la sequenza mostrata sul protocollo.

Test Attenzionale

La prova mette in evidenza la capacità di attenzione selettiva. Si


mostra una matrice di 13 righe, le prime due indicate con a)
e b) e le successive con numeri romani da I a XI; ogni riga
contiene 10 numeri.

Test: Mostrare al soggetto la matrice e dare l’indicazione al soggetto di


barrare tutti i 5 presenti nella matrice.

Tempo massimo: 45 secondi. Il tempo viene computato a partire dalla


riga I.

Intelligenza Verbale

La prova mette in evidenza la capacità di concettualizzazione

Test: Chiedere al soggetto quanto riportato nel protocollo.

Tempo massimo: Differenze = 30 secondi; Proverbi = 1 minuto

Raccontino
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Test: Leggere il raccontino e chiedere di ripetere quanto il soggetto


ricorda.

Test di Produzione di Parole

Test: Chiedere al soggetto di dire tutti i nomi di animali che conosce.


Se il soggetto

dichiara di aver finito si attende ugualmente il trascorrere del tempo.

Tempo massimo: 2 minuti

Test dei Gettoni

Misura la capacità di comprensione del linguaggio.

Test: Si dispone di particolari gettoni colorati e di diverse forme. Questi


vengono messi sul tavolo e si dice al soggetto:

“Come vede qui ci sono dei gettoni, che hanno forma e colore diversi.
Alcuni sono cerchi ed altri

quadrati; ce ne sono di rossi, gialli, bianchi, verdi e neri (ogni volta


indicare). Adesso le dirò di fare alcune cose con questi
gettoni. Per esempio tocchi il cerchi nero”.

Se il soggetto non esegue, toccare il cerchio in questione. Se il soggetto


fornisce una

risposta sbagliata, riproporre lo stimolo. Tempo massimo per ogni


stimolo: 5 secondi

Agnosia Digitale

Test: Far disporre al soggetto la mano dominante aperta sul piano del
tavolo, poi mostra la mappa riportante il dorso della mano
corrispondente e dire: “Ora io le tocco delle dita della sua
mano e lei deve indicare su questo schema le dita che ho
toccato”.
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Coprire la mano dominante (per impedire il controllo visivo) e toccare


le dita secondo la sequenza riportata sul protocollo.

Tempo massimo per ogni stimolo: 30 secondi

Aprassia Costruttiva

Valuta le abilità prassiche di costruzione dell’oggetto.

Test: Chiedere al soggetto di copiare 3 figure geometriche (quadrato,


rombo e greca), una per volta.

Tempo massimo per ogni copia: 1 minuto

Street’s Completion Test

Valuta la capacità gnosico-appercettiva e il fenomeno cosiddetto “di


chiusura percettiva”.

Test: Si mostra al soggetto una figura alla volta nell’ordine indicato dal
protocollo e si chiede di provare ad indovinare cosa
rappresenti

Tempo massimo per ogni figura: 30 secondi

Punteggio

Il punteggio totale del MODA (somma dei punteggi ottenuti


nelle tre sezioni), comprende un range da 0 a 100 punti, con la
suddivisione del punteggio tra le diverse sezioni.

Il totale ottenuto deve essere opportunamente corretto per


età e scolarità. In questo caso parliamo di “limiti di tolleranza”:

limite esterno = <85.5 (giudizio di non normalità)

zona incerta = da 85.5 a 89.0 (non è possibile esprimere un


giudizio certo)

limite interno = >89.0 (giudizio di normalità)

Cut-off: 85,5
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Gli autori osservano che l'incompetenza comportamentale


osservata nelle persone dementi derivi da diversi deficit assemblati
concettualmente ma che in realtà appartengono a domini cognitivi
indipendenti.

Quindi il punteggio MODA è semplicemente la somma delle


menomazioni graduali in una vasta gamma di domini cognitivi.

Il punteggio globale sarebbe quindi accurato nel descrivere


la gravità della demenza nonostante il modello eterogeneo della
malattia.
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3. MENTAL DETERIORATION BATTERY – MDB1


La MDB (in italiano, l’acronimo si trova anche al contrario,
BDM), è uno strumento standardizzato e validato per la valutazione
del decadimento cognitivo.
Essa comprende sette test neuropsicologici dai quali si
ottengono otto punteggi di performance, permettendo di ottenere
informazioni sull’efficienza funzionale di diverse competenze cognitive.
Di questi otto punteggi, quattro sono derivati
dall’elaborazione di stimoli verbali e quattro dall’elaborazione di
materiale visuo-spaziale.
Il tempo di somministrazione è abbastanza contenuto (45-75
minuti); come per gli altri test, vale quindi anche per questo la sua
praticità e agevolezza che permette di ovviare ai problemi di
stancabilità e ridotta motivazione che, spesso, si possono riscontrare in
alcuni pazienti, soprattutto gli anziani.
Nel loro insieme, i test ricoprono tutti gli ambiti cognitivi
(linguaggio, memoria, ragionamento logico-induttivo e prassia
costruttiva) e possono essere suddivisi in due tipologie di prove: prove
verbali e prove visuo-spaziali.
Gli autori, nella costruzione dello strumento, hanno inteso
indagare l'utilità clinica della batteria di deterioramento mentale
(MDB) nella diagnosi neuropsicologica e nella caratterizzazione della
sindrome da demenza.

Nell’articolo di riferimento riportano:

(a) dati normativi per vari punteggi dei test derivati


dall'analisi della performance di 340 soggetti normali che vivono in
aree urbane;

1
Carlesimo, G. A., Caltagirone, C., Gainotti, G. U. I. D., Fadda, L., Gallassi, R., Lorusso, S., ... &
Parnetti, L. (1996). The mental deterioration battery: normative data, diagnostic reliability and
qualitative analyses of cognitive impairment. European neurology, 36(6), 378-384.
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(b) una valutazione dell'affidabilità dei singoli test e della


batteria nel suo complesso nel differenziare i soggetti normali da
pazienti affetti da deterioramento cognitivo derivato dall'analisi della
performance di 130 soggetti normali che vivono in aree rurali e 134
pazienti affetti da probabile Alzheimer;

(c) un'analisi delle prestazioni dei 340 soggetti normali nel


gruppo di standardizzazione per valutare i possibili criteri di
omogeneità in base ai quali i vari punteggi MDB tendono ad aggregarsi;

(d) un'analisi dei profili di prestazione di 183 pazienti con


lesioni focale mono-emisferica destra, 159 pazienti con lesioni
unilaterali dell’emisfero sinistro con afasia e 131 pazienti non afasici
con lesioni dell’emisfero sinistro, per valutare la specificità dei singoli
test della batteria nel documentare un deficit selettivo di uno dei due
emisferi cerebrali.

I risultati confermano l'affidabilità dell'MBD nella


discriminazione tra pazienti normali e dementi e forniscono indicazioni
per l'uso della batteria nel differenziare i modelli qualitativi del danno
cognitivo.
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

La lezione ha l’obiettivo di far conoscere quali sono i più diffusi test


psicodiagnostici per la memoria e l’attenzione.
L’obiettivo della lezione non è quello di insegnare come utilizzare questi test,
piuttosto, le spiegazioni dei vari test sono utili nella comprensione di come questi
vengono poi standardizzati e come si utilizzano le norme di riferimento.
Le informazioni neuropsicologiche inserite nella lezione saranno utili alla
comprensione della struttura e delle finalità dei test.
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

1. TEST GLOBALI PER LA MEMORIA


La memoria è definita come la capacità di riattivare in modo
parziale o totale, veridico o erroneo, gli avvenimenti del passato; ha
anche il compito di generare nuove conoscenze, schemi e quadri
interpretativi fondamentali per una continua e aggiornata valutazione
del mondo esterno.
Attualmente la memoria viene studiata secondo un approccio
multicomponenziale, ovvero viene vista come un sistema a più
componenti. Infatti, si distinguono tre magazzini:
- Magazzino dei registri sensoriali (che include
la Memoria Iconica ed Ecoica)

- Memoria a breve termine (MBT)

- Memoria a lungo termine (MLT)

Con Memoria a Breve Termine ci si riferisce al ricordo di


informazioni che, appena presentate, devono essere rievocate
immediatamente ed in modo corretto. Grazie alle ricerche in
Neuropsicologia, si è potuto stabilire che la MBT ha una capacità
limitata, poiché i soggetti giovani normali non riescono a ricordare in
media più di sette o otto elementi nell’ordine corretto.
Inoltre, la MBT è limitata non solo relativamente alla quantità
di informazione che può contenere, ma anche relativamente alla durata
della traccia mnestica, quando non venga in qualche modo ripetuta o
ripassata.
Si verifica quindi, dopo un breve periodo di tempo, un oblio del
materiale presentato, ovvero una perdita.
Baddeley (Baddeley e Hitch, 1974) la definisce come Memoria di
Lavoro (Working Memory), ovvero quella componente del sistema di
memoria a breve termine che consente non solo di trattenere
temporaneamente l’informazione (MBT), ma anche di operare su di
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

essa, manipolandola, aggiornandola di continuo e mettendola al


servizio di altre operazioni mentali, resistendo alle interferenze.
In tale modello, la memoria di lavoro sarebbe costituita da un
sistema attenzionale, (detto Esecutivo Centrale), che supervisiona e
coordina due sistemi sussidiari:
• il ciclo articolatorio/fonologico, responsabile
dell’elaborazione dell’informazione linguistica e
scomponibile in altrettanti due sottocomponenti
(magazzino fonologico e processo di reiterazione
articolatoria);

• il taccuino visuo-spaziale, da cui


dipenderebbe l’elaborazione del materia non verbale.

Invece, con Memoria a Lungo Termine si indica il processo di


recupero di informazioni immagazzinate da molto tempo e che non
conservano i caratteri di precisione ed accuratezza del materiale
rievocato dalla MBT.
Al contrario della MBT, la MLT è in grado di contenere molte
informazioni e per intervalli lunghi di tempo, a volte anche per sempre.
Generalmente, si suddivide la MLT nelle seguenti sotto
componenti:
 memoria episodica: tale magazzino può
interessare avvenimenti esperiti direttamente dal
soggetto, contestualizzati nello spazio e nel tempo;
inoltre, l’informazione episodica può essere relativa ad
aspetti personali della vita del soggetto (memoria
autobiografica), che possono anche non riguardare il
passato, ma ciò che ci siamo proposti di fare nel futuro
(memoria prospettica);

 memoria semantica: riguarda più


specificamente le conoscenze sulle cose del mondo che
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

abbiamo conseguito nel corso della vita, svincolate da


aspetti situazionali;

 memoria procedurale: riguarda informazioni


sugli aspetti procedurali delle nostre conoscenze e delle
nostre azioni, ad esempio, come si guida la macchina.

Un’altra fondamentale dicotomia che si osserva nelle prestazioni


della MLT è tra:
• memoria anterograda, che si riferisce agli
eventi che il paziente è in grado di apprendere dopo che
si è verificato l’evento scatenante la patologia (es.,
trauma cranico);

• memoria retrograda, che si riferisce alle


informazioni che il paziente aveva memorizzato prima
della malattia.

Per la particolare vastità dell’argomento si presenteranno solo


alcuni dei vari test utilizzati per la valutazione dei disturbi di memoria.

Una batteria minima per esaminare le funzioni mnestiche di un


paziente dovrebbe comprendere almeno queste tipologie di test:
 Una prova globale

 Valuta in modo complessivo la memoria

 Prove di span di memoria immediata

 Valuta la MBT verbale (span di cifre)

 Valuta la MBT visuo-spaziale (test dei cubetti di


Corsi)

 Prove di apprendimento

 Valuta la MLT verbale (test del racconto e


apprendimento di coppie o liste di parole)
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

 Valuta la MLT visuo-spaziale (es. test


dei cubetti di Corsi, test di apprendimento di un
percorso in un labirinto)

 Questionari

 Valutano la MLT per eventi del passato (sia di


cronaca che autobiografici)

Tra le Batterie globali più importanti e meglio costruite,


ricordiamo:
• Wechsler Memory Scale (Wechsler, 1945), che
comprende una serie di test psicometrici specifici per la
valutazione della memoria (sia a breve che a lungo
termine, verbale e visuospaziale)

• Test di Memoria Comportamentale di


Rivermead (TMCR) (Wilson, Cockburn e Baddeley,
1990), test per la valutazione “ecologica” della memoria.

Wechsler Memory Scale (Wechsler, 1945)


Scopo del test è fornire una valutazione globale della memoria,
nei suoi aspetti verbali e visuospaziali. Caratteristica del test è la
possibilità di ottenere un quoziente di memoria (Q.M.).
Esistono due forme parallele, forma I e forma II, al fine di poter
valutare le variazioni che hanno luogo tra la somministrazione della
prima forma e la seconda.
Questa batteria di valutazione della memoria è costituita da
sette subtest:
1. Informazione: vengono poste al soggetto domande circa la
propria età, data di nascita, il nome del Presidente della Repubblica, il
nome del Presidente della Repubblica precedente, il nome del Papa e
quello del sindaco della propria città.
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

2. Orientamento: vengono poste cinque domande circa l'anno, il


mese, il giorno, il posto e la città in cui si trova il soggetto.
3. Controllo Mentale: il soggetto è sottoposto a tre compiti a
tempo: contare dal numero 20 al numero 1, ripetere le lettere
dell'alfabeto, contare di tre in tre.
4. Memoria Logica: ripetizione immediata di due brevi storie.
5. Ripetizione di cifre: digit span avanti e a rovescio.
6. Riproduzione visiva: riproduzione immediata, a memoria, di
disegni geometrici.
7. Associazioni: vengono presentate 10 associazioni di parole
accoppiate; subito dopo l'esaminatore legge le prime parole di ogni
coppia ed il soggetto deve ricordare la seconda parola di ciascuna
coppia.
Il punteggio totale (somma dei punteggi ottenuti in ogni subtest),
permette, attraverso un coefficiente di correzione secondo l'età, di
ottenere un punteggio corretto tramite il quale è possibile individuare
un quoziente di memoria (Q.M.), che può essere confrontato anche con
il Q.I.
Test di Memoria Comportamentale di Rivermead – TMCR
(Wilson et al., 1990)
Il test valuta le abilità necessarie per un funzionamento congruo
dei processi di memoria nella vita di tutti i giorni, piuttosto che
prestazioni in situazioni di laboratorio.
Comprende 11 subtest elaborati sulla base delle difficoltà di
memoria più frequentemente dichiarate dai pazienti affetti da deficit
mnestici e dell’osservazione clinica dei pazienti. Diversi subtest
richiedono di ricordare di eseguire compiti ecologici (es. trovare un
oggetto nascosto all’inizio della prova), oppure di memorizzare diversi
tipi di informazione richiesti per un comportamento quotidiano
adeguato (es. un particolare percorso).
Esistono 4 forme parallele del TMRC, al fine di ridurre al minimo
l’effetto di apprendimento dovuto alla ripetizione del test. Per quanto
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

riguarda il punteggio, sono previsti due sistemi di assegnazione:


punteggio di screening (0-12) e punteggio standardizzato (0-24).
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

2. TEST SPECIFICI PER LA MEMORIA


Test per la valutazione della Memoria a breve termine
(MBT)

Lo Span di cifre (Orsini et al., 1987). Misura la MBT uditivo-


verbale. L’esaminatore legge sequenze di cifre di lunghezza crescente
da 3 a 9. Il soggetto è invitato a ripetere la sequenza immediatamente
dopo la presentazione. La risposta è considerata corretta se tutti gli
elementi della sequenza sono stati ripetuti nell’ordine di presentazione.
Per ogni lunghezza si presenta una sequenza e nel caso la sua
ripetizione da parte del soggetto risulti errata, se ne presenta una
seconda. Si interrompe la prova quando il soggetto fallisce entrambe le
sequenze di una data lunghezza. La lunghezza della sequenza più
lunga ripetuta correttamente è il punteggio grezzo dello span, che viene
poi corretto per età e scolarità. I punteggi corretti possono poi essere
trasformati in punteggi equivalenti.

I dati normativi che tengono conto dell'età, del sesso e del livello
di istruzione sono stati valutati con la seguente procedura.

1. Per ogni test, si è identificato il modello


lineare attraverso un'analisi di covarianza che si è
dimostrata la più efficace nel ridurre la varianza residua.

2. Correzione dei punteggi originali per ciascun


soggetto, aggiungendo o sottraendo il contributo della
variabile concomitante.

3. Identificazione dei punteggi corretti,


classificati in ordine crescente di grandezza, del valore
corrispondente al 5 ° percentile della popolazione (limiti di
tolleranza) tramite procedure non parametriche.

Il Test di Corsi (Spinnler e Tognoni, 1987) misura la MBT


visuo-spaziale. Il materiale è costituito da una tavoletta di legno su cui
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

sono incollati 9 cubetti, numerati dal lato rivolto verso l’esaminatore.


Il compito del soggetto è quello di toccare (nel medesimo ordine) i
cubetti toccati dall’esaminatore, immediatamente dopo la
presentazione. La risposta è considerata corretta se tutti gli elementi
della sequenza sono stati ripetuti nell’ordine di presentazione. Per ogni
lunghezza si presentano 3 sequenze e se il paziente rievoca
correttamente almeno 2 sequenze si passa alla serie di lunghezza
successiva, altrimenti ci fermiamo. Il punteggio sarà la lunghezza della
serie più lunga per la quale sono state ripetute correttamente almeno
2 sequenze. Il punteggio grezzo può essere corretto per sesso, età e
scolarità, e successivamente trasformato in punteggio equivalente.

Test per la valutazione della Memoria a lungo termine


(MLT)

Breve racconto 1 (De Renzi et al., 1977) misura la memoria


episodica verbale anterograda. Viene letto 2 volte un brano costituito
da 28 elementi. Vengono registrati gli elementi rievocati
immediatamente dopo la prima presentazione, e quelli rievocati 10
minuti dopo la seconda presentazione del racconto. Il punteggio grezzo
è costituito dalla media degli elementi rievocati dopo le 2
presentazione. È stata calcolata la soglia discriminante che determina
il valore che separa i soggetti normali da quelli patologici

Apprendimento di coppie di parole 1 (De Renzi et al., 1977)


misura la memoria episodica verbale anterograda. Si leggono al
soggetto 10 coppie di parole. Al termine della lettura si ripropone al
soggetto il primo membro di ciascuna coppia in un ordine diverso da
quello di presentazione, chiedendogli di rievocare il secondo. Per 5
coppie si tratta di associazioni “facili” (es. alto-basso) e per 5 di
associazioni “difficili” (es. bicicletta-forbici). Si assegna un punto per le
associazioni “difficili” e mezzo punto per quelle “facili”. È stata calcolata
una soglia discriminante fra soggetti normali e patologici. Esiste anche
una seconda versione, quella di Novelli (Novelli et al., 1986), che è
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

analoga alla precedente, solo con coppie di parole diverse. Inoltre, si


tratta di parole bisillabiche controllate per frequenza d’uso.

Apprendimento supra-span verbale - tecnica di Buschke-


Fuld (Spinnler e Tognoni,1987) misura la MBT e la MLT verbale
anterograda. Si legge al paziente una lista di 15 parole e, dopo il primo
tentativo di rievocazione, l’esaminatore ripete solo le parole della lista
che non sono state rievocate, mentre il soggetto ha il compito di
rievocare sempre tutte le parole. La procedura viene ripetuta fino al
raggiungimento del criterio di 2 ripetizioni consecutive esatte, oppure
per 18 prove. Le parole rievocate dal soggetto subito dopo la
presentazione vengono considerate provenienti dalla MBT, mentre
quelle rievocate anche se non sono state appena presentate
dall’esaminatore vengono considerate provenienti dalla MLT. Cinque
minuti dopo l’ultima prova viene richiesta un’ulteriore rievocazione
(prova differita).

Vengono utilizzati 3 punteggi: il totale delle prove rievocate dalla


MLT nelle prime 18 prove (esclusa la differita) il totale delle
rievocazioni “stabili” dalla MLT nelle prime 18 prove (una prova è
“stabile” quando l’item, una volta entrato nella MLT, è stato rievocato
con successo in tutte le prove seguenti); Il totale delle prove rievocate
nella prova differita. Il punteggio grezzo può essere corretto per età e
scolarità e poi trasformato in punteggio equivalente.

Curva di posizione seriale (Spinnler e Tognoni, 1987;


Capitani et al., 1992) misura la MBT e la MLT verbale anterograda. Il
soggetto deve rievocare una lista di 12 parole lette dall’esaminatore,
senza rispettare l’ordine di presentazione. La procedura viene ripetuta
per 10 liste. Si ritiene che le parole che occupano le ultime posizioni
nella lista di presentazione vengano rievocate mediante la MBT, quelle
che occupano le prime posizioni mediante la MLT. Le parole rievocate
per ogni posizione nelle 10 liste vengono sommate, ottenendo una curva
di posizione seriale. Nel soggetto normale questa curva è “bi-modale”,
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

ad “U”: le ultime parole della lista sono rievocate meglio (effetto


recency), seguite dalle prime (effetto primacy). Nelle posizioni centrali
la posizione è relativamente scadente. Per quanto riguarda
l’assegnazione del punteggio, vi sono delle differenze fra gli autori che
hanno standardizzato il test: infatti, Spinnler e Tognoni (1987) tengono
conto solo della prima e delle ultime due posizioni (punteggio grezzo =
somma delle parole rievocate nelle 10 liste in ognuna delle 3 posizioni),
mentre Capitani et al. (1992) tengono conto della prima posizione e
delle somme delle prime 7 e delle ultime 3 posizioni e standardizzano i
punteggi sulla base di un campione non patologico. Il punteggio grezzo
può essere corretto per età e scolarità e poi trasformato in punteggio
equivalente.

Apprendimento Spaziale Supra-Span (Spinnler e Tognoni,


1987) misura la MLT visuo-spaziale. Il materiale è quello utilizzato per
valutare lo span spaziale (vedi test di Corsi). L’esaminatore presenta
una serie fissa di 8 cubetti, che il paziente cerca di riprodurre subito
dopo ogni presentazione, fino al raggiungimento del criterio di
apprendimento (l’esatta riproduzione della sequenza per 3 volte
consecutive), fino ad un massimo di 18 prove. La prova non può essere
somministrata a soggetti con uno span uguale o superiore alla
lunghezza della sequenza stessa (8 cubetti). Cinque minuti dopo
l’ultimo tentativo, nei quali il paziente viene impegnato in attività
distraenti, viene richiesta un’ulteriore riproduzione della sequenza. Il
punteggio “informazionale”: tiene conto dei frammenti di sequenza
correttamente riprodotti. Il punteggio grezzo totale si ottiene
attraverso la somma dei punteggi “informazionali” parziali ottenuti dal
soggetto ad ogni tentativo. Il punteggio grezzo può essere corretto per
età e scolarità e poi trasformato in punteggio equivalente.
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

3. TEST SULLE FUNZIONI ESECUTIVE


In questa sezione descriviamo innanzitutto le funzioni esecutive,
le quali fanno riferimento all’insieme dei processi mentali necessari per
l'elaborazione di schemi cognitivo-comportamentali adattivi in risposta
a condizioni ambientali nuove e impegnative (Owen, 1997). Sono
meccanismi cognitivi che consentono di ottimizzare la prestazione in
situazioni che richiedono la simultanea attivazione di processi cognitivi
differenti (Baddeley, 1986). Tali funzioni appaiono particolarmente
critiche quando devono essere generate e organizzate sequenze di
risposte e quando nuovi programmi d’azione devono essere formulati
ed eseguiti: in pratica, le funzioni esecutive si riferiscono alla capacità
di pianificare, programmare, modificare e verificare un’azione volta al
raggiungimento di un determinato scopo. Nella prospettiva della
neuropsicologica cognitiva, l’insieme dei processi che costituiscono il
dominio delle funzioni esecutive può essere scomposto in “unità”
cognitive parzialmente differenziabili (Grossi e Trojano, 2005).

Trail making Test – TMT (Reitan, 1958; Mondini et al., 2003)


valuta la capacità di pianificazione spaziale in un compito di tipo visuo-
motorio; infatti, si ottengono informazioni sulle seguenti funzioni:

• il modo di procedere in compiti di ricerca visiva e


spaziale;

• capacità attentive e visuo-motorie;

• abilità nel passare velocemente da uno stimolo di


tipo numerico ad uno alfabetico (shifting)

Il test comprende due prove, A e B: nella prima gli stimoli sono


costituiti da una serie di numeri, mentre nella seconda ci sono sia
numeri che lettere. Il corretto svolgimento della parte A richiede
adeguate capacità di elaborazione visiva, riconoscimento di numeri,
conoscenza e riproduzione di sequenze numeriche, velocità motoria. Il
corretto svolgimento della parte B, oltre alle predette abilità, necessita
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

di una flessibilità cognitiva e di una capacità di shifting nella norma.


La differenza di tempo tra le due prove (B – A) è anch’essa indice di
flessibilità cognitiva e abilità di shifting.

Parte A: il soggetto deve unire in sequenza con una matita i


numeri dall’1 al 25. Deve svolgere il compito nel più breve tempo
possibile. In caso di errore deve essere immediatamente corretto
dall’esaminatore (questo contribuisce ad aumentare il tempo impiegato
e quindi a determinare un decremento del punteggio). Prima del test
vero e proprio è necessario accertarsi che il soggetto abbia compreso le
consegne somministrando la prova preliminare (unire i numeri dall’1
all’8).

La parte A richiede al soggetto di attivare una serie di operazioni


cognitive quali la ricerca spaziale e visiva dei numeri nella loro giusta
sequenza impiegando il minor tempo possibile . È una prova che rileva
il livello attentivo del paziente e dall’analisi dei risultati si può notare
che i soggetti mano a mano più anziani hanno prestazioni peggiori.

Parte B: Questa seconda parte del TMT è certamente più


complessa e impegnativa rispetto alla prima. Qui infatti, oltre a un
compito di attenzione divisa visuo-spaziale, viene richiesto al soggetto
un compito di switch, cioè di alternanza continua da uno stimolo di tipo
numerico a uno di tipo alfabetico.

Viene presentato al soggetto un foglio dove sono rappresentati


numeri e lettere disposti in modo casuale. Il soggetto, per eseguire il
test, deve compiere simultaneamente due compiti: collegare sia in
ordine progressivo, che alternato, numeri e lettere (cioè: 1-A-2-B-3-C-
ecc…), unendo, quindi, in maniera alternata i numeri (dall’1 al 13) e le
lettere (dalla A alla N). [la corretta sequenza è 1-A, 2-B, ecc.]. Anche in
questo caso è opportuno accertarsi che il soggetto abbia compreso le
consegne somministrando la prova preliminare (numeri dall’1 al 4 e
lettere dalla A alla D). I tempi di prestazione di questa prova sono molto
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

più elevati, soprattutto nei soggetti anziani che spesso hanno difficoltà
a capire la natura del compito e a mantenere costante lo switch tra le
due diverse categorie di stimoli. In punteggio finale è basato sul
numero di secondi impiegati per completare il test. Vengono ottenuti
tre punteggi (parte A; parte B; differenza B – A). Per ogni parte il
punteggio grezzo ottenuto deve essere corretto in base all’età e alla
scolarità del soggetto.

In recente studio italiano (Amodio et al., 2005), gli autori hanno


utilizzato il coefficiente Kappa (K) di Cohen per la validazione in cui si
tiene conto del numero delle volte in cui le misure sono in accordo, in
disaccordo e del disaccordo/accordo dovuto al caso.

Wisconsin Card Sorting Test – WCST (Berg, 1948). Il WCST


è una prova per esaminare le funzioni frontali del paziente; usato per
valutare la flessibilità nella scelta delle strategie nel problem solving e
utilizzato per la valutazione dell’incapacità di astrazione oltre che della
perseverazione. Sono utilizzate 128 carte definite “carte risposta”
costruite in modo tale che ciascuna carta contenga da una a quattro
figure identiche di un singolo colore. Le quattro figure usate sono così
costruite:

• per forma: stelle , croci, triangoli e cerchi;

• per colore: rosso, giallo, blu, verde.

• per numero: 1, 2, 3 e 4.

Una singola carta può avere, per esempio, quattro triangoli verdi
oppure due cerchi gialli. Quattro di queste 128 carte vengono definite
“carte stimolo” o “carte guida”: la prima raffigurante un triangolo rosso,
la seconda raffigurante due stelle verdi, la terza con tre croci gialle e
l'ultima con quattro cerchi blu. Le quattro “carte stimolo” o “carte
guida” vengono disposte dinanzi al soggetto da sinistra verso destra in
questo medesimo ordine. Il soggetto riceve un primo pacco di carte
risposta e viene così istruito: “Queste che ha davanti sono quattro carte
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

guida; vorrei che lei mettesse ciascuna di queste carte che le ho dato in
mano sotto una delle carte guida dove lei pensa che sia opportuno
metterle. Io le dirò se ciò che fa è giusto o sbagliato”.

Se il soggetto facesse domande su come classificare le carte che


ha in mano (es. secondo la forma, il numero delle figure, ecc…) gli
verrebbe risposto così: “Le dirò io se è giusto o sbagliato dopo che ha
collocato la carta”. La categoria corretta deve essere anticipatamente
decisa dall'esaminatore e non deve essere mai svelata al paziente
durante la prova; il soggetto inizia a disporre le carte una alla volta e
viene informato se quello che ha fatto è giusto o no. La prima categoria
da seguire è il colore; dopo che ha dato 10 risposte esatte e consecutive
l’una all’altra (nella versione originaria di Berg ne sono sufficienti 5) si
passa alla categoria successiva che è la forma. Dopo 10 risposte esatte
e consecutive si passa al numero e quindi si ricomincia un altro ciclo di
tre categorie (colore, forma, numero). Il test si conclude quando
vengono completate tutte le sei categorie (colore, forma e numero per
due volte) o vengono distribuite tutte le 128 carte. Durante il corso della
prova al soggetto non è permesso di cambiare una sua risposta definita
dall’esaminatore come non corretta una volta che è stata data.
L’esaminatore non deve mai avvertire il soggetto che il criterio cambia.
L'utilizzo di questo test è indicato per lo studio e l'approfondimento di
pazienti con lesioni frontali; essi presentano tipici disturbi del
ragionamento astratto, disturbi attentivi, difficoltà nella formulazione
di strategie per la risoluzione di un compito, incapacità di fare
inferenze di ordine superiore (come ad esempio definire proverbi,
classificare, definire il significato delle parole, ecc…), flessibilità
mentale e perseverazione. Il test sembra particolarmente appropriato
per lo studio della perseverazione: fu Milner (1963) a riportare ricerche
da lui svolte in merito, verificando che soggetti con lesione frontale
dorsolaterale dell'emisfero sinistro commettevano un maggior numero
di errori perseveratori e raggiungevano un numero inferiore di
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

categorie. Milner osservò che nell'ambito dei lobi frontali, i disturbi


cognitivi più accentuati conseguivano ad un danno delle aree
dorsolaterali.

Test della Torre di Londra – TOL (Shallice, 1982). Il test è


stato ideato per misurare le capacità di mettere in atto processi di
decisione strategica e di pianificare soluzioni efficaci tese alla
risoluzione di un compito. Per risolvere molti problemi è necessario
anticipare e tenere a mente le conseguenze di un’azione sulle altre; tale
interdipendenza di elementi di un problema complesso è di fatto una
caratteristica di molte situazioni della vita quotidiana. Il test della
Torre di Londra prevede una serie di problemi a difficoltà graduale che
richiedono al soggetto di muovere delle palline forate, poste in una
certa configurazione su una particolare struttura, fino a raggiungere
una nuova configurazione. Per la risoluzione del compito è necessario
adottare opportune strategie. In particolare sono richieste tre
operazioni:

• formulare un piano generale,

• identificare sotto-mete ed organizzarle entro una


sequenza di movimenti,

• conservare le sotto-mete e il piano generale nella memoria


di lavoro (Morris et al., 1988; Owen et al., 1990; Shallice, 1982).

Shallice chiama in causa il Sistema Attentivo Supervisore (SAS),


quale centro presieduto dalla corteccia prefrontale e deputato a dirigere
l’attenzione verso le necessarie sotto-mete e a trasferire l’attenzione
stessa dalle sotto-mete allo schema generale (Shallice, 1982).

Ci sono numerose varianti nel modo in cui il test può venire


somministrato e sul tipo di misure che si possono ottenere. Nella
versione classica di Shallice, il materiale è costituito da tre pioli di
diversa lunghezza montati su una struttura di legno e da tre palline di
colore diverso, rosso, verde e blu, che vanno infilate nei pioli. Il test si
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

compone di una serie di dodici prove di difficoltà graduale, a seconda


del numero di mosse che il soggetto deve attuare per arrivare alla
configurazione mostrata dall’esaminatore. Per quanto riguarda la
somministrazione, al soggetto la consegna viene spiegata come segue:
“Qui ci sono tre bastoncini di diversa lunghezza e tre palline di colore
diverso. Lei dovrà mettere le palline secondo le disposizioni che le
mostrerò. La figura nel foglio ne mostra una. Ora lei dovrà copiare
questa figura per essere sicuri che non ha problemi nel riconoscere i
colori. Adesso le mostrerò un’altra figura e le chiederò di cambiare le
palline di questa composizione qui, in un’altra diversa, ma nel fare
questo ci sono delle regole da seguire: 1) può muovere solo una pallina
per volta; 2) può muovere da un solo bastoncino ad un altro. Così non le
è consentito mettere sul tavolo una pallina o averne in mano più di una
alla volta”;

3) può collocare una sola pallina sul bastoncino piccolo, due sul
bastoncino medio, tre sul bastoncino grande. Se segue questa regola le
palline non usciranno dal bastoncino; 4) le dirò ogni volta quanti
spostamenti sono necessari per risolvere il problema”. Il tempo si calcola
da quando al soggetto viene mostrata la configurazione fino
all’avvenuta prestazione. Quando il paziente si accorge di aver
sbagliato, si blocca il cronometro, si riposizionano le palline in base alla
configurazione iniziale e si fa ripartire il tempo dal punto in cui lo si
era bloccato. Il tempo massimo per ogni configurazione è di 60 secondi,
e varia a seconda del tempo impiegato:

• 0-15” sec.= 3 punti

• 16”-30” sec.= 2 punti

• 31”- 60” sec.= 1 punti

• >60” sec.= 0 punti


Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

4. TEST PER L’ATTENZIONE


L’attenzione può essere considerata come una funzione che
regola l’attività dei processi mentali, filtrando e organizzando le
informazioni provenienti dall’ambiente allo scopo di emettere una
risposta adeguata (Làdavas e Berti, 1995). Il processo di elaborazione
delle informazioni, infatti, è estremamente flessibile, cioè sceglie di
volta in volta quale informazione elaborare e come elaborarla e questa
possibilità di selezionare il materiale informativo avviene proprio in
base a meccanismi di tipo attentivo. Alcune nostre azioni quotidiane
sono ormai automatizzate, ossia, una volta attivate, queste vengono
agite in maniera automatica, senza che vi sia un controllo attivo su di
essa (pensiamo ad azioni quali alzarsi dal letto, lavarsi, fare colazione
etc.).

Da un lato questo ci consente di eseguire comportamenti anche


complessi in maniera tale da non utilizzare importanti risorse
attentive, che possono, quindi, essere impiegate per altre cose;
dall’altro ci espone a maggiori rischi di “intrusioni”, ossia altri
comportamenti automatici possono subentrare e catturare le azioni di
una persona, specie se le capacità attentive hanno subito un
alterazione delle sue funzioni.

Vi sono condizioni che possono influenzare il sistema di


elaborazione; fra queste ricordiamo il meccanismo di arousal, ovvero il
livello di preparazione fisiologica il cui scopo è di ricevere le
stimolazioni esterne ed interne, permettendo di conseguenza una
risposta più o meno adeguata e veloce rispetto una specificata
stimolazione. Possiamo considerare il livello di attivazione come uno
stato globale dell’organismo che si svolge su di un continuum che passa
dallo stato più basso (ad esempio il sonno), allo stato più alto (lo stato
di iperattività). Non risulta difficile pensare come il livello di
attivazione riesca a modulare le prestazioni di un organismo: se il
livello di attivazione dell’organismo (prestazione fisiologica) è troppo
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

basso, entrano indiscriminatamente tutte le stimolazioni che si


accumulano nel sistema, determinando un decadimento della
prestazione dell’individuo; se invece, il livello è troppo elevato, il
sistema filtrante può ridurre eccessivamente le informazioni in
entrata, ed anche in questo caso la prestazione risulterà scadente.
L’altra condizione che può influenzare il sistema di risposta è il livello
di vigilanza con cui ci impegniamo a svolgere un compito, cioè la
capacità di mantenere un buon livello attenzionale per un periodo
protratto nel tempo.

Molto schematicamente, oggi vengono riconosciute tre


componenti attentive:

• Attenzione selettiva

• Attenzione divisa

• Attenzione sostenuta

Con attenzione selettiva si intende sia l’abilità a contrastare la


distrazione che la capacità a concentrare l’attenzione su una fonte o su
un canale contenenti informazioni relativamente deboli in presenza di
distrattori forti. A sua volta, si distinguono due componenti:

l’attenzione selettiva volontaria è un meccanismo che entra in


gioco quando bisogna affrontare situazioni nuove e richiede l’impiego
volontario di risorse di processamento.

l’attenzione automatica, invece, è guidata dall’ambiente e non


dalle intenzioni e dagli scopi dell’individuo.

Tanto per capire come teoria e ricerca sul campo formano un


connubio indivisibile, tale distinzione si basa su pazienti frontali nei
quali è stata evidenziata una dissociazione tra attenzione selettiva
volontaria ed automatica, tale per cui si avrebbe un’attenzione
volontaria deficitaria ed un’attenzione automatica patologicamente
intensificata. Inoltre, esiste una modalità di attenzione selettiva per lo
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

spazio che è stata trattata indipendentemente dall’attenzione selettiva


in genere, dal momento che alcuni meccanismi con cui dirigiamo
l’attenzione visiva nello spazio risulterebbero indipendenti. Recenti
studi PET hanno dimostrato l’esistenza di almeno due sistemi
attenzionali diversi (Làdavas e Berti, 1995):

1. il sistema attenzionale posteriore (PAS), è responsabile


dell’orientamento spaziale dell’attenzione verso sorgenti di
stimolazione nelle varie modalità sensoriali. Permette di dirigere
l’attenzione su porzioni dello spazio circostante sia per la ricerca
guidata dalla visione di oggetti in diverse posizioni spaziali, che per
quanto riguarda la scansione di un oggetto di interesse.

2. il sistema attenzionale anteriore (AAS), comprende aree della


corteccia prefrontale mediale, inclusa la corteccia cingolata anteriore e
l’area supplementare motoria, ed è preposto alla selezione degli
attributi dello stimolo (forma, colore e dimensione). Un disturbo
dell’attenzione selettiva spaziale dà origine alla cosiddetta sindrome da
neglect. Con il nome di Negligenza Spaziale Unilaterale (Unilateral
Spatial Neglect) si indica una alterazione patologica della capacità di
percepire una delimitata porzione di spazio e, dunque, di orientarvisi,
di localizzare in esso la posizione di uno stimolo, in una parola di
esplorare “interamente” lo spazio circostante. L’alterazione è
generalmente conseguenza di una lesione cerebrale di natura
traumatica o degenerativa che colpisce l’emisfero controlaterale alla
porzione dello spazio che soggiace al fenomeno del neglect, venendo, per
così dire, reso indisponibile tanto alla consapevolezza quanto alla
operatività del soggetto. Le molteplici manifestazioni del disturbo
possono essere ricondotte, descrittivamente, ad una incapacità di
percezione e rappresentazione dello spazio egocentrico, corporeo ed
extracorporeo: esso può arrivare, in fase acuta, addirittura ad
indirizzare gli occhi e il capo del paziente verso il lato della lesione,
rendendone poco orientati o pericolosi i movimenti e l’andatura. Ad
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

esempio, a stimolazioni uditive provenienti dalla sinistra (in caso di


lesione destra) il soggetto può rispondere girandosi verso destra, anche
se nulla può apparirgli visibile come fonte dello stimolo da quel lato.
Inoltre, è frequente la condotta che trascura l’utilizzazione degli arti
controlaterali, pur in assenza di emiplegia o paresi: in questi casi è
stato notato che, talvolta, nell’attuazione di schemi motori consolidati
e semiautomatici, gli arti “ignorati” partecipano normalmente
all’esecuzione del movimento. Ma, nonostante possa sembrare il
contrario, tale disordine non si presenta così omogeneo sotto il profilo
fenomenologico e clinico: nei pazienti che presentano Negligenza
Spaziale Unilaterale sono stati infatti riscontrati disturbi le cui
conseguenze presentavano evidenti variazioni soggettive a seconda
delle caratteristiche delle prove cui erano sottoposti dagli esaminatori:
il neglect poteva in alcuni colpire le prime lettere di parole presentate
su un foglio (anche se questo era posto all’interno dell’emicampo
“integro”), mentre nessuna difficoltà emergeva in una prova di
indicazione di bersagli (su un foglio disposto in modo del tutto
“sovrapponibile” a quello del primo test), in altri soggetti gli esiti delle
due prove erano completamente opposti.

Con Attenzione divisa ci si riferisce alla capacità di prestare


attenzione a più compiti contemporaneamente.

Attenzione sostenuta e livelli di attivazione (arousal): con il


termine attenzione sostenuta ci si riferisce ad una modalità di
attenzione protratta nel tempo, mentre per livelli di attivazione si
intende la prontezza fisiologica a rispondere a stimoli interni ed
esterni. Un risultato scontato è che la prestazione dell’osservatore
peggiora con il passare del tempo per l’aumentare sia dei falsi allarmi
(rilevamento di un segnale inesistente), che delle omissioni (mancati
rilevamenti in presenza del segnale). Il peggioramento può dipendere
sia da una diminuita sensibilità del sistema sensoriale e sentivo, che
da un innalzamento del criterio adottato dal soggetto per stabilire che
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

una soglia critica di intensità, oltre la quale il segnale viene dato per
presente, sia stata superata. Per quanto riguarda l’attenzione
sostenuta, l’emisfero destro è più abile del sinistro a mantenere
l’attenzione per un periodo prolungato. In uno studio su pazienti con
cervello diviso, è stato dimostrato che all’inizio delle prove l’emisfero
sinistro è superiore al destro, ma dopo i primi minuti le sue prestazioni
mostrano un netto peggioramento. L’emisfero destro, invece, mantiene
gli stessi livelli di prestazione per tutta la prova con solo un leggero
decremento. L’emisfero destro, oltre che ad essere specializzato per
l’attenzione sostenuta, sembra esercitare un ruolo importante nel
mediare il livello di attivazione. Infine, le ricerche disponibili,
sembrano concordi nel dimostrare un interessamento dei lobi frontali
nella prontezza fisiologica a rispondere a stimoli interni ed esterni.

Nella pratica neuropsicologica, i test di attenzione sono applicati


di routine, in quanto i disturbi legati alla funzione attentiva sono molto
frequenti nelle molteplici forme di danno cerebrale. Possono talora
costituire l’unica variazione documentabile in trauma cranico, o in una
malattia cerebrovascolare. Possono, inoltre, essere associati a malattie
psichiatriche e a disturbi affettivi (ansia e depressione). Qui di seguito
forniremo la descrizione dei test di valutazione dell’attenzione più
importanti e utilizzati, suddividendoli in base alla componente
attentiva per cui il test è impiegato (Carlomagno, 1996).

Test attenzione selettiva

Tra i test più utilizzati in ambito clinico per la valutazione


dell’attenzione selettiva, ricordiamo i test di “barrage” o cancellazione.
In tali test di ricerca visiva, il compito è individuare e marcare
(depennare) gli stimoli target rispetto a stimoli distrattori.
Usualmente, gli stimoli sono ordinati in righe orizzontali sulle quali
avviene lo scanning visivo entro limiti temporali prestabiliti. Tra i più
utilizzati, ricordiamo il Test di Cancellazione di Cifre (Spinnler e
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

Tognoni, 1987) e il Test di Stroop (Stroop, 1935) nella versione di


Venturini et al. (1983)

Test di Cancellazione di Cifre (Spinnler e Tognoni, 1987).


Questo è un test di “barrage” o cancellazione di stimoli target inseriti
fra altri definiti distrattori, il cui scopo è di valutare la capacità di
selezione in una situazione visiva. Il test è costituito da tre matrici (per
questo viene anche denominato Test delle Matrici Attentive), a difficoltà
crescente: ciascuna matrice riporta 13 righe contenenti 10 cifre (dallo
0 al 9 in sequenza casuale) e il soggetto deve selezionare (sbarrando o
cerchiando) tutti i numeri stimolo indicati come stimolo bersaglio.
Nella prima matrice, lo stimolo target è il numero 5, nella seconda sono
il numero 2 e il numero 6, mentre nella terza matrice i numeri bersaglio
diventano tre, ossia 1, 4 e 9. Mentre la prima e la seconda riga di
ciascuna matrice hanno funzione rispettivamente di pretest o esempio
e di “avvio” (run-in), le successive 11 righe servono per il calcolo delle
risposte corrette e degli errori. Si insiste più volte sulla necessità che il
compito venga svolto il più in fretta possibile. Il tempo reale impiegato
per completare ogni matrice viene annotato dall’esaminatore sul
protocollo, ma il tempo massimo entro il quale va completa la matrice
è di 45 secondi.

Il tempo non cambia passando dalla matrice più facile a quella


più difficile. Il punteggio è costituito dal numero totale di risposte
esatte entro 45 secondi in ciascuna delle tre matrici. Viene anche
segnato il numero di falsi allarmi, cioè il numero di risposte errate.

Test di Stroop (Stroop, 1935; Venturini e al., 1983). Il test si


basa su un effetto descritto da Stroop (1935). In pratica, egli ha
osservato che se un soggetto deve dire il nome di uno stimolo colorato
(ad es., “blu”), la sua risposta è sensibilmente rallentata se lo stimolo è
costituito da una parola che indica un diverso colore (la parola “giallo”
scritta in colore rosso). I meccanismi che producono l’effetto Stroop sono
ancora oggi oggetto di ampia discussione. In chiave generale, si può
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

ragionevolmente ritenere che il test si basi su un effetto d’interferenza:


inibire una risposta automatica (nell’esempio precedente, la parola
“giallo”) e selezionare quella rilevante (definire il colore con il quale è
scritta, cioè il colore rosso). In un primo momento, al soggetto viene
chiesto di leggere il più velocemente possibile i nomi dei colori blu,
marrone, rosso, verde, viola, stampati su una tavola bianca con
inchiostro nero in dieci righe e dieci colonne per un totale di 100 parole.
In seguito, il soggetto deve nominare il colore di 10 quadrati colorati
con gli stessi colori (ancora disposti in 10 righe e 10 colonne) nel minor
tempo possibile. Nell’ultima tavola, quella dell’effetto Stroop,
compaiono 100 parole costituite dai nomi dei cinque colori della prima
tavola ma stampati sempre con inchiostro di colore diverso da quello
indicato dalla parola (per esempio, la parola “rosso” scritta con
inchiostro verde). Il soggetto deve dire il colore dell’inchiostro
(nell’esempio precedente, deve dire verde) e anche in questo caso deve
cercare di completare la prova nel minore tempo possibile. I punteggi,
nella versione di Stroop (1935), sono rappresentati dal tempo impiegato
in ognuna delle tavole; nella versione di Venturini et al. (1983), si
riportano altri 16 diversi modi di scoring proposti da diversi autori allo
scopo di ottenere una misura di interferenza al netto delle capacità di
riconoscimento.

Test di barrage di linee (Albert, 1973). Vi sono diversi disturbi


nella capacità di elaborare informazioni spaziali. Uno di questi si
manifesta con notevole frequenza ed è l’incapacità del paziente ad
orientare la propria attenzioni verso il lato controlaterale alla lesione
(eminattenzione o eminegligenza). I test per valutare questa patologia
sono quelle di cancellazione. Tra questi, uno dei più interessanti e più
usati è il Test di barrage di linee (Albert, 1973). È una delle prove più
semplici e più usate per diagnosticare l’eminattenzione nello spazio
extrapersonale. Si tratta di un test di cancellazione di stimoli in
assenza di distrattori. 40 linee oblique sono disposte in sette colonne su
Gianfranco Cicotto ‘’Psicometria e psicodiagnostica’’

un foglio. Questo viene posizionato cercando di far coincidere il punto


centrale con il piano sagittale del paziente e l’esaminatore chiede a
quest’ultimo di cancellare tutti gli stimoli che vede. Il paziente può
liberamente muover il capo o gli occhi, ma non può chiedere
all’esaminatore di posizionare diversamente il materiale stimolo, ad
esempio spostandolo verso destra. Per quanto riguarda il punteggio,
viene registrato il numero di linee omesse nelle due metà del foglio.

Test attenzione divisa

Fra i test di attenzione divisa, ricordiamo il Trial Making Test


(TMT), di cui abbiamo già ampiamente parlato nella lezione sui
disturbi frontali, e il Continuos Performance Test o CPT.

Continuos Performance Test o CPT. Questo test, realizzato


originariamente da Rosvold et al., (1956), è stato poi rielaborato da vari
autori. Essendovi varie versioni, ciò che qui si vuole spiegare è la
modalità con cui generalmente questo test viene utilizzato. Costruito
per valutare la capacità di mantenere l’attenzione, il CPT, nelle sue
varie versioni, consiste in una presentazione di una sequenza di stimoli
per un certo periodo di tempo, dando istruzione al soggetto di
segnalare, attraverso una modalità prestabilita, ogni volta che un certo
bersaglio è percepito e di non rispondere invece in presenza di uno
stimolo distrattore. In una versione di facile somministrazione, si
chiede al soggetto di alzare la mano tutte le volte che sente la lettera A
(bersaglio semplice), oppure tutte le volte che sente la lettera X solo se
preceduta dalla lettera A (bersaglio complesso), in una sequenza di
lettere pronunciate dall’esaminatore. Si registrano la percentuale di
risposte corrette e gli errori di risposta a un distrattore (falsi allarmi).
Nelle numerose forme del CPT, la presentazione dello stimolo può
avvenire sia nella modalità visiva sia uditiva, e con la
somministrazione attraverso un computer è anche possibile registrare
i tempi di reazione della risposta e avere così un’indicazione della
velocità di elaborazione attentiva.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

1. PERCHÉ I SEM
I modelli di equazioni strutturali, in inglese Structural
Equation Models (SEM), costituiscono una tecnica di analisi dei dati
che trova ampio utilizzo nello studio e nella comprensione dei fenomeni
psicologici e del modo in cui le dimensioni psicologiche possono essere
rilevate e studiate nelle loro molteplici relazioni.

La letteratura scientifica della psicologia utilizza di


frequente i modelli di equazioni strutturali, sia per studiare e mettere
a punto nuovi strumenti di indagine psicologica sia per comprendere le
complesse relazioni che le dimensioni psicologiche hanno nella vita
reale.

Leggere un articolo scientifico che utilizza questi modelli


matematici senza capirli inficia l’obiettivo di apprendimento e di
aggiornamento di ciascun serio psicologo e di ciascuna seria psicologa.

Come vedremo, i SEM sono utilizzati sia per l’Analisi


Fattoriale Confermativa sia per la Path Analysis.

Comprendere l’Analisi Fattoriale Confermativa è


importante perché oggigiorno tutti i test e questionari che ricevono una
validazione scientifica utilizzano questi modelli matematici.

Quando dei test e questionari se ne vogliono comprendere le


caratteristiche psicometriche è inevitabile far ricorso ai SEM.

Questa lezione non ha il compito di studiare i complessi


modelli matematici che stanno alla base dei SEM, anche perché
esistono i software che elaborano le analisi.

L’obiettivo di questa lezione è quello di far conoscere la


struttura, le peculiarità e l’utilizzo dei Sistemi di Equazioni Strutturali
ampiamente utilizzati nella moderna ricerca scientifica psicologica.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

Saranno esaminati i concetti di base dei Sistemi di Equazioni


Strutturali e come questi ci aiutano nella comprensione dei legami tra
le dimensioni psicologiche.
Poiché i Sistemi di Equazioni Strutturali sono meglio
compresi attraverso l’uso di diagrammi, questi saranno utilizzati per
affiancare la spiegazione teorica.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

2. CONCETTI DI BASE
Per modello di equazioni strutturali si intende un modello
stocastico nel quale ogni equazione rappresenta un legame causale,
piuttosto che una mera associazione empirica.

L'unità costitutiva di un modello di equazioni strutturali è


l'equazione di regressione alla quale, in questo contesto, viene data
un’interpretazione di carattere causale.

In questo contesto si è interessati all’equazione di


regressione solo nella misura in cui si riesce ad attribuirle un
significato di nesso causale. Tale attribuzione è solamente teorica, per
cui, la decisione che la covariazione tra la variabile dipendente e la
variabile indipendente sia priva di nesso causale, viene presa sul piano
delle conoscenze pre-empiriche che il ricercatore ha dei fenomeni
studiati.

Dal punto di vista empirico si ha una covariazione.

Essa è compatibile sia con la spiegazione causale (X provoca


Y) sia con altre spiegazioni (per esempio covariazione spuria).

Se si riesce a formulare una teoria per la quale X provoca Y,


allora è possibile inserire l'equazione di regressione corrispondente nel
proprio modello causale, senza contraddire il dato empirico.

In questo contesto, quello dei modelli strutturali, l'equazione


di regressione è detta equazione strutturale ed esprime, attraverso la
formalizzazione matematica, la relazione esistente tra una variabile
dipendente e un insieme di variabili indipendenti.

Facciamo un esempio.

Si supponga che il successo scolastico (X4) di un campione di


studenti sia messo in relazione con le aspirazioni professionali degli
studenti stessi (X3), con le aspirazioni professionali nei confronti dei
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

figli e dei genitori degli studenti (X2) e con lo status socio-economico


della famiglia (X1).

L'equazione strutturale corrispondente è la seguente:

X4 = b41X1 + b42X2 + b43X3 + e4

Questo modello causale è molto semplice, nel quale una


variabile dipendente è influenzata da un certo numero di variabili
indipendenti, che fra loro non presentano relazioni di causalità, ma solo
di associazione. Questo è il modello di regressione.

Questa è un'interpretazione parziale della realtà in quanto


prescindiamo dalle relazioni causali esistenti anche tra le variabili
indipendenti, che sappiamo esistere.

È facile immaginare, per esempio, che la variabile X3


(aspirazioni professionali degli studenti) sia a sua volta influenzata da
X1 (status socio-economico della famiglia) e da X2 (aspirazioni
professionali dei genitori) e che a sua volta anche quest’ultima sia
influenzata da X1; per cui il modello nel suo complesso, con le equazioni
che esprimono anche le dipendenze di X2 e X3, diventa il seguente:

X2 = b21X1 + e2

X3 = b31X1 + b32X2 + e3

X4 = b41X1 + b42X2 + b43X3 + e4

Questo sistema di equazioni è chiamato modello di equazioni


strutturali e non è altro che un insieme di nessi causali tra variabili,
formalizzati nel loro insieme con un sistema di equazioni algebriche.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

3. PATH ANALYSIS
La Path Analysis (analisi di percorso) è utilizzata per
studiare la relazione che diverse dimensioni psicologiche hanno tra
loro, ponendole in relazione di causalità, mediazione, di effetti diretti e
indiretti e, in generale, di influenza.

La Path analysis venne sviluppata come un metodo per


decomporre la correlazione in parti differenti al fine di interpretarne
gli effetti. La Path analysis è strettamente legata alla regressione
multipla, tanto che si può dire che la regressione sia un caso particolare
di path analysis.

Da alcuni viene usato il termine “modellazione causale”


riferendosi più alle assunzioni del modello che alle caratteristiche dei
risultati. Si assume che alcune variabili siano collegate da un nesso
causale, ma se tali proposizioni sono supportate dai test sul modello,
questo non significa che la relazione causale sia corretta.

La path analysis rappresenta, quindi, una tecnica per


stimare l’importanza dei legami tra variabili e usare poi queste stime
per fornire informazioni sui processi causali sottostanti. Essa è
diventata di fondamentale importanza quando Jöreskog e altri la
incorporarono nei modelli di equazioni strutturali.

La path analysis può essere scomposta in due parti


principali:

- il path diagram

- la path analysis in senso stretto, cioè la scomposizione delle


co-varianze o correlazioni in termini di parametri del modello.

Il path diagram, è la rappresentazione grafica di un sistema


di equazioni simultanee. Mostra la relazione tra tutte le variabili,
comprendendo fattori di disturbo ed errori.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

Per comprenderne la struttura è necessario definire i criteri


che presiedono tale rappresentazione:

- le variabili non osservate o latenti sono racchiuse in un


cerchio o ellisse

- le variabili osservate sono, invece, racchiuse in un quadrato


o rettangolo

- i termini di disturbo o errori sono rappresentati con la


lettera corrispondente ma non cerchiati

- una linea diritta a una sola direzione rappresenta le


relazioni causali tra le variabili implicate. La variabile che riceve la
freccia dipende dalla variabile da cui parte la freccia

- una linea curva a due direzioni indica, invece, una


associazione tra due variabili che può essere dovuta ad una terza
variabile o che, pur essendo causale, non è specificata.

Con l’analisi fattoriale è già stato introdotto il concetto di


variabile latente distinto da quello di variabile osservata. Per
comprendere la tecnica delle equazioni strutturali e, in particolare, la
path analysis, è necessario introdurre l’ulteriore distinzione fra
variabile esogena e variabile endogena.

Una variabile viene chiamata esogena (cioè esterna) in


relazione ad un modello di nessi causali. Nell’ambito di questi modelli,
la variabile esogena è una variabile latente (oppure osservata) che
svolge sempre e soltanto funzione di variabile indipendente, ovvero di
variabile che causa un effetto.

Sempre nell’ambito dei modelli causali, si chiama variabile


endogena (cioè interna) quella variabile che può svolgere sia funzione
di variabile dipendente sia di variabile indipendente.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

Queste variabili possono cioè essere effetto di alcune


variabili e contemporaneamente causa per altre. È endogena anche
una variabile che svolge sempre il ruolo di dipendente.

Nel path diagram le variabili possono essere raggruppate in


queste due classi, cioè quelle che non ricevono effetti causali da altre
variabili (esogene) e quelle che li ricevono (endogene).

Se con il path diagram si riesce a dare una rappresentazione


grafica delle relazioni esistenti tra le variabili oggetto di interesse, con
la path analysis si può dare una valutazione numerica di tali relazioni,
in modo da rilevarne l’intensità.

Il principio che regola questo metodo è quello di esprimere le


covarianze o le correlazioni tra due variabili come somma di tutti i
percorsi composti che legano le due variabili, tramite dei coefficienti
collocati sui suddetti percorsi, detti path coefficients.

Prima di analizzare in dettaglio tale scomposizione, è


opportuno enunciare le regole che sottostanno alla path analysis:

- tutte le relazioni sono additive e lineari; le relazioni causali (cosa


causa cosa) sono rappresentate nel path diagram

- i residui (termini d’errore) sono incorrelati con le variabili del


modello e tra di loro
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

- non devono esserci loop, cioè un percorso composto non deve


transitare due volte per la stessa variabile;

- non si può andare prima avanti e poi tornare indietro poiché questo
non avrebbe senso dal punto di vista concettuale: è come dire che
un evento sia determinato, anziché da una causa, da una
conseguenza

- infine, in un percorso non si può considerare più di una linea curva,


che, come si è già notato, rappresenta una semplice associazione.

Le relazioni catturate nella scomposizione delle correlazioni


(per semplicità d’ora in poi si considereranno variabili standardizzate
anche se la stessa analisi può essere condotta per variabili grezze) sono
dirette, indirette, spurie e congiunte. Le prime due costituiscono la
cosiddetta componente causale le altre la componente non causale. La
somma delle due componenti genera l’effetto totale.

La seguente figura

corrisponde alle equazioni:

y = γξ + ζ

x1 = ξ + δ1

x2 = ξ + δ2
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

dove ζ, δ1 e δ2 sono incorrelate tra di loro e con ξ.

Come già detto, le frecce dritte a una punta indicano


un'influenza causale a una direzione dalla variabile da cui parte la
freccia a quella a cui la freccia arriva.

Il coefficiente 1 che rappresenta l'effetto di ξ su x1 e x2,


implicito nelle equazioni è reso esplicito nella figura.

I path coefficients, che esprimono la portata del nesso


causale o della pura associazione tra variabili, rappresentano il punto
centrale di questa analisi.

La stima di questi ha una duplice valenza:

- in prima analisi, essi rappresentano, per ogni equazione presa in


considerazione, dei veri e propri coefficienti di regressione che
consentono di valutare l’impatto di un qualsiasi cambiamento
di una variabile esogena sulla corrispondente endogena;

- in seconda analisi, sono dei coefficienti di regressione parziale,


essendo la loro somma pari alla correlazione totale. Pertanto,
essi valutano l'impatto di una variabile su un’altra quando
tutte le altre, nel sistema, sono mantenute costanti.

Per concludere, è necessario ricordare anche alcuni punti


critici che concernono la path analysis.

Innanzitutto ogni equazione viene stimata separatamente e,


per tale ragione, non è fornita una stima complessiva del modello preso
in considerazione.

In secondo luogo è ammessa la possibilità di correlazione tra


gli errori presenti nelle equazioni di regressione.

Infine, la path analysis fornisce un metodo per distinguere


l’effetto diretto, indiretto e totale di una variabile su un'altra.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

Gli effetti diretti sono quelli non mediati da altre variabili;


gli effetti indiretti operano attraverso l'intervento di almeno una
variabile e l'effetto totale è la somma di tutti gli effetti diretti e
indiretti.
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

4. ANALISI FATTORIALE CONFERMATIVA


È noto in cosa consiste l'analisi fattoriale: partendo dalla
matrice di correlazione (o varianza-covarianza) tra le variabili
osservate si cerca di spiegare queste correlazioni attraverso l'esistenza
di fattori sottostanti, dei quali le variabili sarebbero delle combinazioni
lineari.

Per esempio, la correlazione fra due variabili quali il voto in


algebra e quello in geometria di un gruppo di studenti sarebbe da
ricondursi al fatto che entrambi i voti sono influenzati da un fattore
retrostante che in questo caso potrebbe essere definito come astrazione
matematica. Le due variabili potrebbero quindi essere sostituite dal
punteggio su questo fattore, con una evidente semplificazione.

Si tratta quindi, in ultima analisi, di un processo di


“riduzione della complessità” della realtà, con il duplice obiettivo di:

- una semplificazione dei modelli interpretativi (di fronte a


domande come “quali sono le cause dell'insuccesso
scolastico”)

- un chiarimento concettuale (per rispondere a interrogativi


sulla definizione di “intelligenza” e delle sue
componenti)

Il risultato è anche una riduzione dei dati.

Partendo dalla matrice di correlazione (o covarianza)


possono presentarsi due situazioni.

SITUAZIONE 1

Grazie a teorie preesistenti, ricerche precedenti,


caratteristiche del disegno sperimentale oppure anche solo da una
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

prima ispezione sulla matrice di correlazione tra le variabili, il


ricercatore ha delle ipotesi su:

 numero di fattori sottostanti

 relazioni tra i fattori

 relazioni tra fattori e variabili

In tutti questi casi il ricercatore è in grado di tracciare un


primo modello fattoriale e di sottoporlo alla verifica dei dati.

Questo è il contesto dell'analisi fattoriale confermativa.

SITUAZIONE 2

Il ricercatore non ha alcuna idea né sul numero dei fattori né


sulle loro caratteristiche e, cioè, sui legami fra i fattori e le variabili.

Questo è il contesto dell'analisi fattoriale esplorativa.

Vediamo le due situazioni a confronto mediante l’uso dei


diagrammi.

contesto esplorativo contesto confermativo

Entrambi i modelli presentano la forma tipica di un modello


fattoriale: variabili osservate X determinate causalmente da variabili
latenti ξ. Dei due modelli, il primo è di tipo esplorativo, ed è aperto alle
Gianfranco Cicotto Modelli di equazioni strutturali

influenze dei fattori fra loro e alle influenze di tutti i fattori su tutte le
variabili. In realtà, con l'approccio esplorativo non saremmo nemmeno
in grado di tracciare un grafico del modello, in quanto non è noto
nemmeno il numero dei fattori.

Il secondo modello è di tipo confermativo e differisce dal


precedente in quanto presenta una serie di vincoli, imposti dal
ricercatore in base a preesistenti conoscenze del problema.

Si è imposto:

a) che i fattori siano due

b) che i fattori ξ1 e ξ2 siano fra loro non correlati

c) che le variabili X siano influenzate da certi fattori e


non da altri pur ammettendo sulla stessa variabile l'azione
di più fattori, come avviene per esempio per X3.

Il modello poi presenta un elemento ulteriore relativo al fatto che


due degli errori, δ4 e δ5, sono tra loro correlati.

L'orientamento tradizionale è stato per anni di tipo esplorativo e


solo con il processo di “falsificazione” si è arrivati a un uso più cauto e
meno meccanico delle tecniche fattoriali.

Il miglior modo di procedere sarebbe quello di dividere il


campione in due, conducendo sulla prima metà l'analisi esplorativa
compiendo i passi di successivo miglioramento del modello; sulla
seconda metà del campione si dovrebbe tentare la conferma del modello
individuato nella prima fase.

L'analisi fattoriale confermativa, diversamente da quella


tradizionale esplorativa, consente di controllare, ed eventualmente
falsificare, le ipotesi che sottostanno a una struttura fattoriale.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come gli psicologi


nella loro professione all’interno delle organizzazioni di lavoro richiede
la predisposizione e l’utilizzo di specifici strumenti di raccolta dati per
effettuare analisi organizzative.

Si vedranno due esempi di ricerca scientifica che


mostreranno come utilizzare le conoscenze della psicometria per
esaminare la cultura organizzativa attraverso la messa a punto di uno
strumento apposito e come individuare i migliori predittori del successo
organizzativo attraverso la comparazione tra risultati e caratteristiche
individuali.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

1. COSA FA LO PSICOLOGO NEI CONTESTI


ORGANIZZATIVI

La Psicologia del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse


umane è un’espressione comprensiva dei tre grandi ambiti di ricerca e
intervento psicologico connessi con le attività di lavoro che così vengono
tematizzati in ambito europeo.

Essa fa riferimento alle relazioni tra persona, lavoro e contesti


organizzativi con riguardo ai fattori personali, interpersonali,
psicosociali e situazionali che intervengono nella costruzione delle
condotte individuali e collettive.

Il patrimonio di conoscenze scientifiche e di pratiche applicative


costruitosi nel tempo permette di identificare specifici ambiti di ricerca
empirica e di azione professionale che tipicamente sono presidiati da
questi psicologi.

Pur tenendo presenti le notevoli interazioni e sovrapposizioni tra


i tre ambiti suddetti, si può sottolineare, per comodità descrittiva, che
gli psicologi delle risorse umane si occupano, in prevalenza delle scelte
lavorative, dell’inserimento delle persone nel lavoro e
dell’apprendimento lavorativo e di ruolo, delle loro motivazioni al
lavoro, dei processi di socializzazione alla vita professionale, della
costruzione dei loro percorsi professionali e delle carriere organizzative
e psicosociali, degli effetti della mobilità occupazionale anche non
volontaria e della disoccupazione, dell’outplacement e, più in generale,
delle modalità di gestione delle persone (orientamento professionale,
reclutamento, selezione, inserimento lavorativo, formazione,
valutazione, consulenza di carriera, ecc.) coerenti con le aspettative dei
lavoratori e delle organizzazioni.

L’expertise degli psicologi del lavoro si esplicita, in prevalenza:


nell’analizzare e riprogettare il lavoro anche dal punto di vista
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

ergonomico, nel valutare condizioni ottimali di esecuzione dei compiti,


nel considerare processi cognitivi ed emotivi coinvolti nelle prestazioni
e nelle relazioni di lavoro, nell’assessment delle skill e nello sviluppo di
competenze e apprendimenti lavorativi, nell’analizzare fattori di
ostacolo alle prestazioni efficaci e sicure, nel valutare le fonti e i
processi di insoddisfazione e disagio lavorativo, nell’analizzare e
progettare azioni adatte a ridurre i rischi lavorativi e le condizioni di
insicurezza, ecc..

Per quanto riguarda gli psicologi delle organizzazioni risultano


prioritarie le azioni di: analizzare e migliorare il funzionamento dei
gruppi di lavoro e delle relazioni tra gruppi, analizzare e intervenire
sulla leadership per accrescere l’efficacia dell’azione direttiva,
contribuire all’incremento della qualità delle relazioni sindacali e dei
processi di negoziazione, riconoscere gli effetti sulle persone dei
differenti climi psicosociali ed organizzativi, analizzare ed intervenire
sui fattori psicosociali che influenzano il funzionamento organizzativo,
cooperare affinché i processi di cambiamento organizzativo abbiano un
sostenibile impatto sulla vita delle persone, progettare, contribuire
all’arricchimento dei sistemi di comunicazione interna ed esterna, ecc..

Le loro specifiche responsabilità professionali in questi tre


grandi ambiti riguardano la ricerca di base e sul campo, lo sviluppo e
l’applicazione di conoscenze psicologiche nonché gli interventi
correttivi, progettuali e di soluzione dei problemi a livello individuale,
di gruppo e di organizzazione.

La Psicologia del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse


umane ha una forte impostazione interdisciplinare connettendosi sia
con discipline psicologiche (ad esempio, Psicologia cognitiva, Psicologia
sociale e dei gruppi, Psicometria, Ergonomia cognitiva, Psicologia della
formazione, Psicologia dell’orientamento, Psicologia dinamica, ecc.) sia
con altre discipline come le Scienze dell’organizzazione, le Scienze
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

economiche e del management, la Medicina del lavoro, il Diritto del


lavoro, ecc..

Nel loro lavoro di psicologi cooperano con altre figure


professionali come manager, medici del lavoro, ingegneri, addetti alla
gestione delle risorse umane, formatori, ecc..

Lo psicologo del lavoro collabora allo svolgimento di funzioni


specifiche, in relazione alla carriera lavorativa delle persone e ai
contesti di lavoro organizzato, tra cui le principali sono:

1) selezione, valutazione e orientamento delle persone;

2) formazione e sviluppo delle persone;

3) marketing e comportamenti di consumo;

4) condizioni di lavoro, salute e benessere (individuali e


organizzativi);

5) Team work, organizzazione e sviluppo delle risorse umane;

6) Management e leadership. Tali funzioni vengono svolte


mediante attività e strumenti diversi, utilizzabili anche in più di una
delle funzioni sopra indicate.

Tra le principali attività caratteristiche (con esempi di strumenti


professionali utilizzabili) si possono citare le seguenti:

a) Costruzione, validazione, standardizzazione e


applicazione di strumenti specifici per la rilevazione di
abilità, attitudini, motivazioni, aspettative, rendimento,
atteggiamenti verso il lavoro e per diversi tipi di mansione
(test, questionari, scale di atteggiamento, griglie di
rilevazione per i giudizi di superiori e colleghi, ecc.).

b) Diagnosi delle caratteristiche di personalità e assessment delle


caratteristiche personali, delle risorse psicosociali, dei
bisogni e delle aspettative nelle diverse fasi della carriera,
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

mediante strumenti quantitativi (inventari, questionari,


test) e qualitativi (osservazione diretta in situazione,
colloqui clinici, intervista narrativa, focus group, ecc.).

c) Analisi dei compiti, del lavoro e organizzativa, analisi dei climi


psicosociali funzionali anche alla progettazione di ambienti
organizzativi efficienti e salubri, di metodi di lavoro e di
modalità comunicative efficaci (interne e verso l’esterno).

d) Progettazione e realizzazione di interventi per l’acquisizione,


gestione e valorizzazione delle risorse umane (selezione,
assessment individuale e di gruppo, valutazione delle
prestazioni, interventi di sviluppo e counselling di carriera
per il personale in azienda).

e) Assessment delle dinamiche intragruppo e programmi di


intervento per un migliore funzionamento dei gruppi di
lavoro e per la gestione mediazione dei conflitti
interpersonali e sociali sul posto di lavoro;

f) Consulenza alla progettazione e realizzazione di interventi sulla


motivazione del personale, il benessere lavorativo e il
coinvolgimento organizzativo nelle diverse fasi della carriera
lavorativa e in relazione anche a processi di cambiamento
organizzativo.

g) Counselling individuale e di gruppo per la definizione di


progetti di scelta professionale, di sviluppo di carriera, di
sostegno in situazioni di cambiamento di lavoro, perdita del
lavoro e reinserimento professionale, ecc..

h) Assessment del fabbisogno formativo a livello di gruppo o di


parte dell’organizzazione, mediante tecniche di analisi del
lavoro e analisi organizzativa (ad esempio, SWOT e Gap
analysis) tese alla definizione degli obiettivi formativi e della
progettazione formativa.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

i) Consulenza alla progettazione e realizzazione di programmi di


formazione e aggiornamento professionale calibrati sulle
caratteristiche psicosociali dei lavoratori ai vari livelli
organizzativi, coerenti con i meccanismi di apprendimento
degli adulti e focalizzati sia su contenuti professionali sia su
tematiche relazionali nel lavoro (comunicazione,
persuasione, negoziazione, relazioni intepersonali, team
building, ecc.) sia su salute e sicurezza e benessere
lavorativo.

l) Analisi e valutazione ergonomica dell’adeguatezza degli


strumenti di lavoro e dell'adattamento dell'individuo ai vari
strumenti/ambienti di lavoro.

m) Analisi delle nuove tecnologie e valutazione del loro impatto


sugli utilizzatori nei vari contesti sociali e organizzativi (ad
esempio, scuola, lavoro, telelavoro, gioco, ecc.).

n) Valutazione ed interventi sulle strutture organizzative in


funzione degli utenti e clienti, per il miglioramento della loro
efficacia/efficienza e della qualità dei processi, servizi e
prodotti (ad esempio, customer satisfaction).

o) Realizzazione di interventi di umanizzazione degli ospedali e di


tutte le strutture socioassistenziali (Comunità assistenziali,
Comunità per anziani, C.P.S., Centri di riabilitazione,
Consultori, ecc.).

p) Valutazioni dei rischi psicosociali, con particolare riguardo allo


stress lavorativo, e interventi per la salute e sicurezza nei
posti di lavoro anche in una prospettiva ergonomica, sulla
formazione e apprendimento delle regole di sicurezza, sulle
reazioni automatiche a specifiche situazioni di pericolo, ecc.;

q) Realizzazione di indagini di mercato, rilevazioni qualitative o


quantitative di dati psicosociali (ad esempio, sondaggi di
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

opinioni, indagine su atteggiamenti e comportamenti)


funzionali al cambiamento di atteggiamenti e
comportamenti o alla promozione di prodotti e servizi.

r) Consulenza per lo sviluppo e il coordinamento delle diverse


attività di comunicazione esterna (verso clienti, istituzioni,
opinion leaders, ecc.) destinate a pubblicizzare e promuovere
il marchio, i prodotti e i servizi di un’organizzazione.

s) Consulenza per il miglioramento della comunicazione interna


all’organizzazione, funzionale al miglioramento delle
prestazioni del personale, delle relazioni di lavoro, del
coinvolgimento, del clima di fiducia e partecipazione.

t) Progettazione e realizzazione di attività di sperimentazione,


ricerca e didattica nell'ambito delle specifiche competenze
caratterizzanti il settore e ai sensi della L.56/1989.

Lo psicologo del lavoro è un laureato magistrale, abilitato


dall'Esame di stato all'esercizio della professione, iscritto all’Albo degli
psicologi nella sezione A, capace di operare in completa autonomia
professionale.

Si inserisce nel mercato occupazionale operando:

 alle dipendenze di enti e organizzazioni in differenti contesti


operativi connessi con il mondo della produzione di beni e di
servizi: aziende pubbliche e private (in particolare, Uffici
Risorse umane), aziende della cooperazione, Aziende
Sanitarie Locali, ospedali, istituzioni scolastiche, sistema di
formazione professionale, Servizi per l'impiego,
amministrazioni pubbliche (in particolare per le attività
inerenti il “benessere organizzativo”), istituzioni del privato
sociale (come associazioni di volontariato, cooperative
sociali), ecc.;
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

 come libero professionista singolo o nell’ambito di società di


consulenza pluridisciplinare che offrono servizi di selezione,
inserimento e accompagnamento lavorativo, formazione,
assistenza alla gestione e sviluppo delle risorse umane,
orientamento professionale, counselling di carriera, analisi
del lavoro e organizzativa, valutazione delle prestazioni,
interventi per la valutazione dei rischi psicosociali, la salute
e la sicurezza sul lavoro, il benessere lavorativo, il
marketing, la comunicazione e pubblicità, ecc.;

 come ricercatore in centri studi e ricerche pubblici e privati


e presso l’università.

Quindi, lo psicologo che opera nei contesti lavorativi utilizza


prevalentemente due tipi di strumenti:

 qualitativi (interviste individuali e di gruppo, focus


group ecc.)

 quantitativi (test, questionari, griglie osservative ecc.)

In questa sede ci interessa quali strumenti quantitativi lo


psicologo usa e come li usa.

L’obiettivo è e resta quello di compiere delle analisi


organizzative per poter poi progettare interventi psicosociali adatti al
contesto esaminato e che possano sortire il cambiamento desiderato.

Tenuto conto di ciò che lo psicologo può fare all’interno delle


organizzazioni di lavoro vediamo alcuni degli strumenti che possono
essere utilizzati per le analisi organizzative.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

2. RILEVARE LA CULTURA ORGANIZZATIVA


Le organizzazioni di lavoro, secondo un approccio
psicosociale, possono essere considerate come fenomeni culturali, una
prospettiva che focalizza il sistema di significati condivisi, sottesi al
comportamento dei membri di ogni organizzazione, e che pensa le
organizzazioni stesse come fenomeni umani e sociali che si riconoscono
in un sistema di valori, norme, credenze, riti e linguaggi.

Nel lavoro di Bellotto (et al., 1999) a cui facciamo riferimento


la cultura organizzativa è definita come quell’insieme di norme,
credenze, valori, atteggiamenti e comportamenti che caratterizzano,
seppur in maniera non sempre consapevole, la vita di
un’organizzazione.

Questo insieme di norme e credenze si è istituito nel tempo


per risolvere i problemi di integrazione all’interno e di adattamento con
l’esterno, tale da essere indicato ai nuovi membri come il corretto modo
di percepire, pensare e fare le cose.

Gli autori che stiamo considerando (Bellotto et al., 1999) per


effettuare un’analisi delle caratteristiche della cultura organizzativa,
hanno dapprima fatto riferimento a un modello teorico descrittivo e
interpretativo delle possibili fenomenologie culturali (Bellotto,
Trentini, 1989).

Da questo modello teorico (Bellotto, Trentini, 1989) sono


partiti per costruire uno strumento capace di cogliere e misurare gli
aspetti considerati pertinenti e rilevanti della cultura organizzativa.

Secondo questo modello, le possibili configurazioni di cultura


organizzativa prenderebbero origine da un continuum d’ordine
valoriale-affettivo specificato da due polarità definite con i termini
differenze e uguaglianze, ortogonali a un altro continuum d’ordine
relazionale-sociale le cui polarità sono etichettate come isolamento e
partecipazione.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

Ponendo queste assi concettuali come un sistema ortogonale


possiamo assistere alla descrizione di 4 differenti tipologie di culture
organizzative posizionate nei 4 quadranti.

Gli autori hanno perciò messo a punto una batteria di item


che riuscisse a intercettare l’esistenza di queste 4 tipologie culturali.

Dapprima, attraverso strumenti di tipo qualitativo


(interviste), hanno indagato sugli elementi che potessero essere
ricondotti alle diverse tipologie organizzative.

Una volta che si sono formulati gli item lo strumento è stato


somministrato ad un campione per la fase pilota.

In questo modo si è potuto effettuare un’analisi fattoriale


esplorativa e verificare l’affidabilità delle scale mediante il calcolo del
coefficiente alfa di Cronbach.

Lo strumento, ripulito e messo a punto, è stato


somministrato ad altro campione di soggetti.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

Infine, si è proceduto ad un’analisi delle proprietà


psicometriche degli item (medie, deviazioni standard, simmetria,
curtosi) e un’analisi fattoriale confermativa.

Da questa procedura è risultato un questionario con 24 item


per ciascuna delle tipologie culturali, quindi un totale di 96 item con le
quali si risponde con una scala di frequenza a 5 punti.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

3. PREDITTORI DEL SUCCESSO ORGANIZZATIVO


Gli autori del lavoro che esaminiamo (Borgogni,
Barbaranelli, Ferrario, 1999) hanno inteso indagare su elementi di
personalità che possono determinare il successo organizzativo inteso
come successo della performance.

Lo studio ha voluto sottolineare come la selezione del


personale può prendere le mosse dallo studio delle caratteristiche
individuali che più si adattano al tipo di lavoro da svolgere, in modo da
favorire la produttività.

Lo strumento da loro utilizzato è il Big Five Questionnaire


(BFQ) nella versione del 19931.

Il BFQ individua cinque dimensioni fondamentali per la


descrizione e la valutazione della personalità di ogni individuo, ognuna
delle quali suddivisa al suo interno da due ulteriori sotto-dimensioni:

 Energia [Dinamismo e Dominanza]

 Amicalità [Cooperatività e Cordialità]

 Coscienziosità [Scrupolosità e Perseveranza]

 Stabilità Emotiva [Controllo delle emozioni e Controllo degli


Impulsi]

 Apertura Mentale [Apertura alla Cultura e Apertura


all'esperienza].

Ogni sottodimensione consta di 12 item (6 formulati in senso


positivo e 6 in senso negativo, allo scopo di controllare fenomeni di
response set).

1
Caprara, G. V., Barbaranelli, C., Borgogni, L., & Perugini, M. (1993). The “Big Five
Questionnaire”: A new questionnaire to assess the five factor model. Personality and individual
Differences, 15(3), 281-288.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

Dispone inoltre di una scala Lie che ha lo scopo di fornire una


misura della tendenza del soggetto a fornire un profilo falsato sia in
senso positivo che negativo. La scala è costituita da 12 item che fanno
riferimento a comportamenti socialmente molto desiderabili di modo
che risposte di completo accordo o disaccordo risultino altamente
improbabili.

Nella ricerca in oggetto sono stati coinvolti 169 venditori,


classificati secondo valori “alti” o “bassi” di vendita.

Una volta somministrato il questionario e effettuate le varie


analisi preliminari si è proceduto ad un’analisi della varianza per
verificare se i bravi venditori presentassero caratteristiche di
personalità differenti rispetto ai colleghi meno efficienti.

Riportiamo gli esiti nella tabella, in cui i valori sono espressi


come punteggi T standardizzati, aventi media 50 e deviazione standard
di 10.

I valori sottolineati sono quelli significativamente più alti.


Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

Bassa Alta
performance performance
ANOVA: F(1, 167) = 4, 81; p = .03
Scale
ANOVA tra i Big5:
F(9, 159) = 11,01; p < .001 M DS M DS
Energia 55.83 9.70 58.19 8.05
Amicalità 53.56 8.13 56.16 8.33
Coscienziosità 54.63 9.80 58.00 8.91
Apertura mentale 54.56 10.41 56.42 9.80
Dinamismo 55.69 8.41 56.47 8.28
Dominanza 54.49 10.40 57.90 8.55
Cooperatività 52.80 10.00 54.16 9.77
Cordialità 53.33 7.87 56.39 7.92
Scrupolosità 52.38 8.86 54.55 8.72
Perseveranza 55.28 10.36 58.57 8.96
Controllo delle emozioni 53.60 9.93 55.47 10.01
Controllo degli impulsi 54.33 10.03 56.30 9.34
Apetura alla cultura 52.16 10.10 52.15 9.29
Apertura all’esperienza 50.95 9.72 51.52 10.18

Rispetto ai Big5 venditori che sono sopra la media nel


raggiungimento degli obiettivi sono più amicali e coscienziosi e
tendenzialmente più energici dei venditori che risultano sotto la media
nel raggiungimento degli obiettivi.

Rispetto alle sottodimensioni dei Big5, i venditori che sono


sopra la media nel raggiungimento degli obiettivi sono più dominanti,
cordiali e perseveranti dei venditori che risultano sotto la media nel
raggiungimento degli obiettivi.

Se si estendono questi risultati alla popolazione lavorativa si


comprende che l’uso degli strumenti psicometrici nelle organizzazioni
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti organizzativi

di lavoro in fase selettiva consente di intercettare le persone con le


caratteristiche migliori per ottenere la migliore performance di lavoro
con maggiore soddisfazione per i lavoratori e per l’azienda.
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


studiato il benessere organizzativo in misura quantitativa attraverso
l’uso di un questionario creato apposta a tale scopo.
Saranno spiegate le dimensioni psicologiche che compongono
il questionario del benessere organizzativo, come si misurano e come
intendere i risultati.
Una sezione della lezione sarà utilizzata per spiegare quale
processo di validazione hanno utilizzato gli autori di questo
questionario.
Sarà infine mostrato come utilizzare i risultati per
progettare e eseguire interventi correttivi.
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

1.LA SALUTE ORGANIZZATIVA


La salute organizzativa può essere definita come “l’insieme
dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che
animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo,
mantenendo e migliorando il grado di benessere fisico, psicologico e
sociale delle comunità lavorative”.

Si può identificare un’organizzazione in salute quando


concorrono “tutte le condizioni in presenza delle quali
un’organizzazione è capace, nel suo complesso, di esprimere salute e di
mantenere condizioni di benessere e qualità di vita elevate per la
propria comunità lavorativa” (Avallone, Paplomatas, 2005, p.65).

Sono state individuate 14 dimensioni che rappresentano le


componenti principali del costrutto di salute organizzativa di cui segue
una sintesi.

1. Allestire un ambiente lavorativo salubre, confortevole e


accogliente, il quale possa garantire le fondamentali regole di igiene e
sia funzionale in rapporto sia alle esigenze lavorative e sia a quelle dei
lavoratori e/o clienti.

2. Porre obiettivi espliciti e chiari e essere coerenti tra


enunciati e prassi operative. Questa dimensione si riferisce alla
direzione strategica che dovrà formulare in maniera chiara gli obiettivi
da perseguire e allo stile direzionale che dovrà comunicare ai
dipendenti tali obiettivi in maniera chiara e non ambigua.

3. Riconoscere e valorizzare le competenze e gli apporti dei


dipendenti, liberando nuove potenzialità. Si fa quindi riferimento alla
diversità individuale e agli apporti che questa può dare
all’organizzazione in cui lavora. Si pongono al singolo richieste congrue
rispetto alle proprie competenze, capacità, ruolo, qualifiche; si facilita
l’espressione del saper fare in tutte le sue potenzialità (tecnico-
professionali, trasversali e sociali); si riconosce reciprocità negli scambi
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

attribuendo un corrispettivo per quanto si riceve (retribuzione,


visibilità sociale ecc.) e, in ultimo, si promuove lo sviluppo del saper
fare (aggiornamento, condivisione e circolazione delle conoscenze ecc.).

4. Ascolto attivo. Un organizzazione in salute considera le


richieste e le proposte dei dipendenti come elementi di miglioramento
del processi organizzativi che sono presi in considerazione nei processi
decisionali.

5. Mettere a disposizione le informazioni pertinenti al lavoro.


Tutto ciò che si fa e che accade costituisce informazione da rendere
disponibile e nota agli altri se rientra nella sfera di competenza
lavorativa. L’accesso alle informazioni è consentito a tutti e vi sono
degli strumenti e delle regole per la diffusione di queste.

6. Saper governare in maniera adeguata e entro i livelli


tollerabili di convivenza la conflittualità. Un’organizzazione in salute
dovrà saper gestire le situazioni conflittuali implicite e manifeste,
adottando tecniche di monitoraggio e di sostegno alla convivenza
organizzativa.

7. Stimolare un ambiente relazionale franco, comunicativo e


collaborativo. Con ciò si fa riferimento alla qualità della comunicazione
e allo stile di lavoro sia a livello orizzontale che verticale.

8. Assicurare rapidità di decisione, scorrevolezza operativa.


Ci si riferisce al fatto che deve essere assicurata fluidità operativa della
quotidianità operativa. I problemi vengono quindi affrontati con
l’intenzione di superarli, senza creare dei falsi problemi che
porterebbero ad un rallentamento del lavoro. Tutto questo porta alla
sensazione che si proceda verso obiettivi comuni, anche a partire da
situazioni problematiche.

9. Assicurare equità di trattamento a livello retributivo, di


assegnazione di responsabilità e di promozione del personale. A tutti
deve essere data in egual misura la possibilità di accedere a criteri e
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

percorsi chiari per responsabilità, carriera, incentivi ecc., i quali


dovranno essere esplicitati e resi pubblici.

10. Mantenere livelli tollerabili di stress. Come si vedrà più


avanti, lo stress lavorativo è intrinseco al lavoro stesso e quindi
ineliminabile. Tuttavia, può essere monitorata la percezione della
fatica fisica e mentale percepita dall’individuo e mantenerli entro dei
livelli tollerabili.

11. Stimolare nei dipendenti il senso dell’utilità sociale,


contribuendo a dare senso alla giornata lavorativa dei singoli e al loro
sentimento di contribuire ai risultati comuni. L’attività dei singoli
dipendenti è necessaria per il raggiungimento dei risultati comuni ed è
salvaguardato il rapporto funzionale tra attività dei singoli e obiettivi
aziendali.

12. Adottare azioni per prevenire gli infortuni e i rischi


professionali. La Direzione aziendale deve rispettare e assolvere gli
obblighi di legge in materia di sicurezza e tutela della salute, ponendole
come elementi fondamentali dell’identità e della cultura aziendale.

13. Definire i compiti dei singoli e dei gruppi garantendone


la sostenibilità. Si fa riferimento al livello di intensità percepita dei
compiti lavorativi e di un eventuale eccessivo livello di energie
necessario per il loro svolgimento.

14. Apertura all’ambiente esterno e all’innovazione


tecnologica e culturale. Un’organizzazione in salute considera la
flessibilità, l’apertura e l’adattamento al cambiamento come una
risorsa per il proprio miglioramento.

Indicatori positivi di salute organizzativa sono: la


soddisfazione per l’organizzazione, la voglia di impegnarsi per
l’organizzazione stessa, la sensazione di far parte di un team, la voglia
di andare al lavoro, la sensazione di autorealizzazione, la convinzione
di poter cambiare le condizioni negative attuali, un rapporto
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

equilibrato tra vita lavorativa e privata, relazioni interpersonali


positive, valori organizzativi condivisi, fiducia nelle capacità gestionali
e professionali della dirigenza (credibilità del management),
apprezzamento delle qualità umane e morali della dirigenza (stima del
management), percezione di successo dell’organizzazione
(rappresentazione della propria organizzazione come apprezzata
all’esterno).
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

2. IL QUESTIONARIO DEL BENESSERE


ORGANIZZATIVO
Il Questionario sul Benessere Organizzativo risulta composto da
68 domande (item), ideate sulla base delle dimensioni prima descritte
e altri indicatori.

Lo strumento mira a cogliere informazioni su ognuna delle


quattordici dimensioni principali e sugli indicatori. È suddiviso in otto
ampie sezioni:

 una prima parte dedicata alla raccolta dei dati anagrafici;

 la seconda esplora in dettaglio undici delle quattordici


dimensioni del benessere organizzativo, altre sezioni sono dedicate
alla conoscenza delle rimanenti tre (sicurezza, caratteristiche del
compito e apertura all’innovazione);

 un’ulteriore sezione raccoglie informazioni sugli indicatori


di benessere e su quelli di malessere;

La risposta, su una scala di frequenza a quattro punti, va da un


minimo di “mai” (punteggio 1) ad un massimo di “spesso” (punteggio 4)
oppure da 1 = insufficiente a 4 = buono.

Il questionario permette di rilevare un punteggio per ognuno dei


17 aspetti esplorati, 14 dimensioni più 3 indicatori (segnalati con
simbolo differente).
Coerentemente con la scala utilizzata per le risposte, i punteggi
variano da un minimo di 1 a un massimo di 4.
Quanto più il punteggio della dimensione si avvicina al valore 1
tanto meno le persone percepiscono la dimensione esplorata come
presente nell’organizzazione.
Il valore 4, contrariamente, denota la percezione di una forte
presenza della dimensione.
Un punteggio alto coincide con una valutazione positiva delle
persone sulla singola dimensione, tranne nelle dimensioni asteriscate
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

(*): un punteggio alto in queste ultime, data la loro polarità semantica


invertita rispetto al resto delle dimensioni, è maggiormente collegato
ad una valutazione negativa sulla dimensione.
• Comfort
• Obiettivi
• Valorizzazione
• Ascolto
• Informazioni
• Conflittualità* (→ Gestione della conflittualità)
• Relazioni interpersonali
• Operatività
• Equità
• Stress* (→ Monitoraggio dei fattori di stress)
• Utilità
• Sicurezza
• Caratteristiche del compito* (→ Tollerabilità dei compiti)
• Apertura all’innovazione
- Sintomi psicosomatici*
- Indicatori negativi*
- Indicatori positivi

Si riporta di seguito l’intero questionario.

• Comfort
Viene chiesto al personale “Come valuta il comfort dell’ambiente
in cui lavora” rispetto ai seguenti elementi utilizzando per
rispondere una scala a 4 punti (1 = insufficiente; 2 = mediocre; 3
= sufficiente; 4 = buono).
A. Pulizia
B. Illuminazione
C. Temperatura
D. Silenziosità
E. Condizioni dell’edificio
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

F. Gradevolezza ambiente e arredi


G. Spazio disponibile per persona
H. Servizi igienici (bagni, spogliatoi, ecc.)

• Obiettivi
Da qui in poi la scala di risposta è di frequenza (1 = mai; 2=
raramente; 3 = a volte; 4 = spesso).
 Gli obiettivi dell’organizzazione sono chiari e ben definiti

 Il comportamento dei dirigenti è coerente con gli obiettivi


dichiarati

 I cambiamenti gestionali e organizzativi sono comunicati


chiaramente a tutto il personale

 I ruoli organizzativi e i compiti lavorativi sono chiari e ben


definiti

• Valorizzazione
 Ci sono i mezzi e le risorse per svolgere adeguatamente il
proprio lavoro

 Il lavoro consente di far emergere le qualità personali e


professionali di ognuno

 L’impegno sul lavoro e le iniziative personali sono apprezzate


(con riconoscimenti economici, visibilità sociale, encomi, ecc.)

 Vengono offerte opportunità di aggiornamento e sviluppo


professionale

• Ascolto
 I dipendenti sono generalmente disponibili ad andare incontro
alle esigenze della organizzazione.

 I dirigenti desiderano essere informati sui problemi e le


difficoltà che si incontrano nel lavoro
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

 Chi avanza o formula proposte e suggerimenti viene ascoltato


dai dirigenti

 Anche tra i colleghi ci si ascolta e si cerca di venire incontro


alle reciproche esigenze

• Informazioni
 È facile avere le informazioni di cui si ha bisogno

 Quando si ha bisogno di informazioni si sa a chi chiederle

 Nel gruppo di lavoro chi ha un’informazione la mette a


disposizione di tutti

 I dirigenti assicurano la diffusione delle informazioni tra il


personale

• Conflittualità* (→ Gestione della conflittualità)


 Ci sono persone che vengono emarginate

 Ci sono persone che attuano prepotenze o che si comportano


in modo ingiusto

 Ci sono persone che subiscono violenze psicologiche

 Esistono conflitti con i dirigenti

• Relazioni interpersonali
 Esiste collaborazione con i colleghi

 I dirigenti coinvolgono i dipendenti nelle decisioni che


riguardano il loro lavoro

 Nel gruppo di lavoro tutti si impegnano per raggiungere i


risultati
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

 Esistono scambi di comunicazione tra i diversi gruppi di


lavoro

Operatività
 L’organizzazione trova soluzioni adeguate ai problemi che
deve affrontare

 I dirigenti aiutano a lavorare nel modo migliore

 Le decisioni sono assunte rapidamente

 Nel gruppo di lavoro si trovano soluzioni adeguate ai problemi


che si presentano

Equità
 I dirigenti trattano i dipendenti in maniera equa

 L’organizzazione offre effettive possibilità di carriera per tutti

 I criteri con cui si valutano le persone sono equi e trasparenti

 Gli incentivi economici sono distribuiti sulla base dell’efficacia


delle prestazioni

• Stress* (→ Monitoraggio dei fattori di stress)


 I compiti da svolgere richiedono una fatica eccessiva

 I compiti da svolgere richiedono conoscenze e capacità di cui


non si dispone

 I compiti da svolgere richiedono un livello di stress eccessivo

 Il lavoro assorbe totalmente

• Utilità
 Al termine della giornata di lavoro ci si sente soddisfatti
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

 Il lavoro di ogni dipendente rappresenta un contributo


rilevante

 Si prova soddisfazione per quello che l’organizzazione realizza

 L’organizzazione realizza servizi utili alla comunità

• Sicurezza
Questa sezione ha una prima domanda con scala di risposta a 4
punti (1= per nulla; 2 = poco; 3 = abbastanza; 4 = molto):
“L’organizzazione in cui lavora si preoccupa della salute
nell’ambiente di lavoro?”
Seguono altre domande con scala di risposta a 4 punti (1 =
insufficiente; 2 = mediocre; 3 = sufficiente; 4 = buono).
a) impianti elettrici
b) illuminazione
c) rumorosità
d) temperatura
e) polveri
f) pc e videoterminali
g) divieto di fumo
h) strumenti per la protezione individuale (DPI) solo se utilizzati
• Caratteristiche del compito* (→ Tollerabilità dei compiti)
Con una scala di risposta a 4 punti (1= per nulla; 2 = poco; 3 =
abbastanza; 4 = molto) sono ripostati i seguenti elementi per la
domanda: “In che misura le caratteristiche di seguito elencate
fanno parte dei compiti da lei svolti?”
a) Fatica fisica
b) Fatica mentale
c) Sovraccarico di lavoro
d) Monotonia o ripetitività
e) Sovraccarico emotivo
f) Isolamento
g) Contatti frequenti con le persone
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

h) Diretta responsabilità del lavoro


i) Rigidità di norme e procedure
Infine, si chiede: “In che misura le caratteristiche da lei indicate
alla domanda 60 le pesano e le creano difficoltà?” con la medesima
scala di risposta.

• Apertura all’innovazione
Con una scala di risposta di frequenza (1 = mai; 2= raramente; 3
= a volte; 4 = spesso) ci si esprime su quanto “L’organizzazione in
cui lavora è attenta a:”
a) acquisire nuove tecnologie
b) migliorare i processi di lavoro
c) confrontarsi con le esperienze di altre organizzazioni
d) riconoscere e affrontare i problemi e gli errori del passato
e) accogliere le richieste dei clienti e utenti
f) introdurre nuove professionalità
g) sviluppare competenze innovative nei dipendenti
h) stabilire rapporti di collaborazione con le altre organizzazioni
i) sperimentare nuove forme di organizzazione del lavoro

(Altri gruppi di indicatori)

- Indicatori negativi*
“In che misura le capita di osservare i fenomeni seguenti nel suo
ambiente di lavoro?” (1 = mai; 2= raramente; 3 = a volte; 4 =
spesso)
a) insofferenza nell’andare al lavoro
b) disinteresse per il lavoro
c) desiderio di cambiare lavoro/ambiente di lavoro
d) pettegolezzo
e) risentimento verso l’organizzazione
f) aggressività e nervosismo
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

g) sensazione di fare cose inutili


h) sensazione di contare poco nell’organizzazione
i) sensazione di non essere valutato adeguatamente
j) sensazione di lavorare meccanicamente senza coinvolgimento
k) lentezza nell’esecuzione dei compiti
l) poca chiarezza su “cosa bisogna fare e chi lo deve fare”
m) mancanza di idee, assenza di iniziativa

- Indicatori positivi

“In che misura le capita di riscontrare i fenomeni seguenti nel suo


ambiente di lavoro?” (1 = mai; 2= raramente; 3 = a volte; 4 =
spesso)

a) soddisfazione per l’organizzazione

b) voglia di impegnare nuove energie per l’organizzazione

c) sensazione di far parte di una squadra

d) voglia di andare al lavoro

e) sensazione di realizzazione personale attraverso il lavoro

f) fiducia che le condizioni negative attuali potranno cambiare

g) sensazione di giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero

h) soddisfazione per le relazioni personali costruite sul lavoro

i) condivisione dell’operato e dei valori della organizzazione

j) fiducia nelle capacità gestionali e professionali della dirigenza

k) apprezzamento delle qualità umane e morali della dirigenza

l) percezione che il lavoro della organizzazione sia apprezzato


all’esterno
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

- Sintomi psicosomatici*
“Negli ultimi 6 mesi le è capitato di avvertire:” (1 = mai; 2=
raramente; 3 = a volte; 4 = spesso)

a) mal di testa e difficoltà di concentrazione

b) mal di stomaco, gastrite

c) nervosismo, irrequietezza, ansia

d) senso di eccessivo affaticamento

e) asma, difficoltà respiratorie

f) dolori muscolari e articolari

g) difficoltà ad addormentarsi, insonnia.

h) senso di depressione

“In che percentuale attribuisce i disturbi segnalati al lavoro che


svolge?” (da 0% a 100%)
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

3. LO STUDIO DELLA VALIDITÀ

Gli autori riferiscono che le analisi sono state fatte su 3.197


questionari pervenuti completi o con meno del 20 % di risposte non
date.

I partecipanti si dividono quasi esattamente a metà tra


uomini e donne, con una leggera prevalenza delle donne (56%).

Circa l’80% ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni, il


rimanente 20% si suddivide tra persone con 55 anni e più e giovani
entro i 34 anni.

Le analisi fattoriali esplorative sono state condotte


separatamente per ogni dimensione, con rotazione Promax.

L’affidabilità delle scale è stata verificata tramite l’indice il


coefficiente Alpha di Cronbach.

Successivamente alle analisi fattoriali gli autori hanno


verificato l’esistenza di un ipotetico modello teorico di relazioni tra le
dimensioni svolgendo una Path Analysis permettendo di individuare
interessanti relazioni di causa-effetto tra i fattori di benessere
organizzativo.

Sono state verificate le associazioni tra le variabili tramite il


coefficiente r di Pearson.

La validità è stata testata usando come criterio lo Stress, i


Sintomi psicosomatici e gli Indicatori positivi.

Al riguardo, hanno stabilito che il 41% della varianza dello


stress, il 26% della varianza dei sintomi psicofisici e il 62% della
varianza degli Indicatori positivi, era dovuta ai diversi fattori indagati.

Gli autori riportano anche le medie (ma non le deviazioni


standard dell’intero campione).
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo

Si sarebbe tentati, avendo le deviazioni standard, di


utilizzarle per ottenere un campione normativo di benessere.

Gli autori, invece, considerano come cut off la media (2,73),


che nel grafico di seguito è segnata col colore arancione.

Il ragionamento è che le dimensioni al di sopra della media


sono quelle per cui c’è un relativo livello di benessere e quelle al di sotto
sono quelle su cui c’è la necessità di indagare meglio o di intervenire
per migliorare la situazione.

Per come hanno inteso le dimensioni del benessere infatti, il


punteggio pieno corrisponde a un benessere pieno, al di là di come si
possa stare altrove, senza medie normative, senza standardizzazione
di punteggi.

In caso di punteggio sotto la media si può andare a verificare


il punteggio medio di ogni singolo item per capire quale indicatore
specifico è causa di un possibile malessere organizzativo.

Per esempio, per quanto riguarda il comfort gli autori


individuano la Temperatura come indicatore migliore (3,09) e la Pulizia
come peggior indicatore (2,62).

Questi dati, presi contestualmente, possono suggerire al


management quali azioni effettuare per migliorare la percezione del
benessere organizzativo.
Gianfranco Cicotto La psicometria nell'analisi del benessere
organizzativo
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

La lezione ha l’obiettivo di far conoscere la metodologia e gli


strumenti di una delle maggiori attività di rilevazione del disagio
lavorativo, obbligatorio per legge.
Ciascun studente imparerà cosa prevede la normativa e
quali sono le fasi della rilevazione del rischio stress lavoro correlato.
Ogni studente acquisirà come utilizzare la procedura INAIL
per la valutazione preliminare del rischio stress lavoro correlato.
Saranno infine mostrate le criticità dello strumento INAIL
al fine di effettuare valutazioni del rischio più esaustive.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

1. LA NORMATIVA
Il D.Lgs 81/2008 (e successive modifiche e integrazioni) all’art.
28 dispone che la valutazione, di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a),
deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori,
ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi
particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato,
secondo i contenuti dell'Accordo Europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli
riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto
previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli
connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri
Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso
cui viene resa la prestazione di lavoro.

La Circolare Ministeriale del Ministero del Lavoro e delle


Politiche Sociali N. 23692 del 18-11-2010 stabilisce, attraverso le
indicazioni metodologiche fornite dalla Commissione consultiva per la
salute e sicurezza sul lavoro (ex art. 6, comma 8, D.Lgs 81/2008), che
ogni azienda deve obbligatoriamente procedere alla valutazione
secondo step prestabiliti che “rappresentano il livello minimo di
attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-
correlato per tutti i datori di lavoro pubblico e privati”.

Detta circolare dichiara ancora:

<<La valutazione si articola in due fasi: una


necessaria (la valutazione preliminare); l’altra eventuale, da
attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli
elementi di rischio da stress lavoro-correlato e le misure di
correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di
lavoro, si rivelino inefficaci.

La valutazione preliminare consiste nella rilevazione


di indicatori oggettivi e verificabili, ove possibile
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a


tre distinte famiglie:

I. Eventi sentinella quali ad esempio: indici


infortunistici; assenze per malattia; turnover;
procedimenti e sanzioni e segnalazioni del medico
competente; specifiche e frequenti lamentele
formalizzate da parte dei lavoratori. I predetti eventi
sono da valutarsi sulla base di parametri omogenei
individuati internamente alla azienda (es.
andamento nel tempo degli indici infortunistici
rilevati in azienda).

II. Fattori di contenuto del lavoro quali ad


esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e
ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni;
corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i
requisiti professionali richiesti.

III. Fattori di contesto del lavoro quali ad


esempio: ruolo nell’ambito dell’organizzazione,
autonomia decisionale e controllo; conflitti
interpersonali al lavoro; evoluzione e sviluppo di
carriera; comunicazione (es. incertezza in ordine alle
prestazioni richieste).>>

Risulta interessante la disposizione secondo cui la valutazione


preliminare deve prevedere l’uso di “indicatori oggettivi e verificabili,
ove possibile numericamente apprezzabili”, in altri termini sta dicendo
quanto in psicometria viene detto della costruzione di strumenti per la
misura delle dimensioni psicologiche, e cioè che i concetti base del
costrutto devono essere operazionalizzabili.

Ancora, la circolare dispone:


Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

<<In relazione alla valutazione dei fattori di contesto


e di contenuto di cui sopra (punti II e III dell’elenco) occorre
sentire i lavoratori e/o i RLS/RLST. Nelle aziende di
maggiori dimensioni è possibile sentire un campione
rappresentativo di lavoratori. La scelta delle modalità
tramite cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro
anche in relazione alla metodologia di valutazione
adottata.>>

In questo caso si parla di “campione rappresentativo” della


popolazione dei lavoratori. Vedremo come fare.

Un altro punto della norma contenuto nella circolare è il


seguente:

<<La valutazione prende in esame non singoli ma


gruppi omogenei di lavoratori (per esempio per mansioni o
partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello
stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di
lavoro può autonomamente effettuare in ragione della
effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad
esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore
oppure chi svolge la medesima mansione, etc).>>

Parlando di gruppi omogenei di lavoratori si richiama un


concetto cardine dell’ANOVA, e cioè che per non accettare l’ipotesi
nulla le differenze entro i gruppi devono essere minime e le differenze
tra i gruppi devono essere massime.

In questo caso, però, la scelta deve essere fatta a priori dal punto
di vista qualitativo prima ancora di procedere con l’analisi.

Una volta individuati i gruppi omogenei la domanda diventa:


quale criterio seguire affinché il campione dei rispondenti sia
rappresentativo della popolazione?
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

Uno dei modi è che per ogni gruppo omogeneo dovrà rispondere
un numero di lavoratori che ricalchino la distribuzione del sesso, età e
anzianità aziendale, gli unici parametri noti della popolazione.

Il test che si può utilizzare è il t-test per campioni indipendenti,


dove si è interessati a stabilire la sussistenza dell’ipotesi nulla, cioè che
tra i due gruppi – popolazione e campione – non vi sia differenza.

Altro test che si può utilizzare è quello del χ2, anche in questo
caso si è interessati a stabilire la sussistenza dell’ipotesi nulla, cioè che
tra i due gruppi – popolazione e campione – non vi siano differenze.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

2. GLI INDICATORI DELLA VALUTAZIONE


PRELIMINARE
Nella metodologia INAIL la “rilevazione di indicatori
oggettivi e verificabili, … numericamente apprezzabili” avviene
mediante una lista di controllo che intende indagare i temi esposti in
tabella attraverso specifici indicatori.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

I – Area II – Area III – Area


Eventi sentinella Contenuto del Contesto del lavoro
lavoro
(10 Indicatori (6 Dimensioni)
aziendali) (4 Dimensioni)

Infortuni Ambiente di Funzione e cultura


lavoro e organizzativa (11
Assenza per malattia
attrezzature di indicatori)
Assenze dal lavoro lavoro (13
Ruolo nell’ambito
indicatori)
Ferie non godute dell’organizzazione
Pianificazione dei (4 indicatori)
Rotazione del
compiti (6
personale Evoluzione della
indicatori)
carriera (3
Turnover
Carico di indicatori)
Procedimenti/sanzioni lavoro/ritmo di
Autonomia
disciplinari lavoro (9
decisionale/controllo
indicatori)
Richieste visite del lavoro (5
mediche Orario di lavoro indicatori)
straordinarie al (8 indicatori)
Rapporti
medico competente
interpersonali sul
Segnalazioni lavoro (3 indicatori)
formalizzate di
Interfaccia casa lavoro
lamentele dei
– conciliazione
lavoratori
vita/lavoro (4
all'azienda o al
indicatori)
medico competente
Istanze giudiziarie per
licenziamento,
demansionamento,
molestie morali e/o
sessuali

L’INAIL fornisce le seguenti istruzioni per la compilazione.

La Lista di controllo è uno strumento organizzativo


utilizzato per raccogliere elementi oggettivi e verificabili, considerati
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

possibili indicatori di SLC. È, pertanto, uno strumento a ‘valenza


collettiva’ che fa riferimento ai singoli Gruppi omogenei di lavoratori –
va compilata una Lista di controllo per ciascun gruppo - o all’intera
azienda, nel caso di aziende di piccole dimensioni (entro circa 30
lavoratori). La Lista di controllo quindi non va assolutamente
somministrata ai singoli lavoratori, come un questionario.

La Lista di controllo INAIL prevede due tipologie di risposte:

 andamento temporale - diminuito/inalterato/aumentato - nel


caso dei primi otto indicatori dell’Area Eventi sentinella;

 risposta dicotomica - si/no - per gli ultimi due indicatori


dell’Area Eventi sentinella e per tutti gli indicatori relativi alle
Aree di Contenuto e Contesto del lavoro.

Vediamo come si procede per l’assegnazione dei punteggi per


l’Area degli Eventi sentinella. Ad ogni indicatore dell’Area Eventi
sentinella è associato un punteggio, ottenuto computando la rispettiva
formula riportata nelle note esplicative della Lista di controllo
(Appendice 2 del Manuale INAIL). La somma dei punteggi ottenuti da
tutti gli indicatori dell’Area Eventi sentinella rappresenta un numero
a cui verrà assegnato un punteggio secondo il seguente schema:

 se il risultato del punteggio indicatori aziendali è compreso tra


0 e 10, si inserisce nella tabella finale il valore 0;

 se il risultato del punteggio è compreso tra 11 e 20 si inserisce


nella tabella finale il valore 6;

 se il risultato del punteggio è compreso tra 21 e 40 si inserisce


nella tabella finale il valore 16.

Il Manuale INAIL riporta a proprosito la seguente tabella


riassuntiva.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

Per il calcolo del punteggio complessivo dell’Area Contenuto


del lavoro si procede come segue.

Una volta compilati tutti gli indicatori dell’Area Contenuto


del lavoro, per ottenere il punteggio complessivo di Area è necessario
compiere due passaggi.

1° passaggio. Calcolare un punteggio complessivo normato


per ciascuna Dimensione – ovvero Ambiente di lavoro e attrezzature di
lavoro, Pianificazione dei compiti, Carico di lavoro/ritmo di lavoro e
Orario di lavoro - attraverso la formula di calcolo di seguito riportata.

La Tabella che segue riporta le fasce di rischio relative ai


punteggi delle quattro Dimensioni dell’Area Contenuto del lavoro per
la lettura dei risultati ottenuti dalla Lista di controllo.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

2° passaggio. Una volta calcolati i punteggi normati per


ciascuna Dimensione è possibile ottenere il risultato complessivo
dell’Area Contenuto del lavoro calcolandone la media con la formula
qui riportata.

La Tabella che segue riporta le fasce di rischio relative al


punteggio complessivo dell’Area Contenuto del lavoro per la lettura dei
risultati.

Per il calcolo del punteggio complessivo dell’Area Contesto


del lavoro si procede come segue.

Una volta compilati tutti gli indicatori dell’Area Contesto del


lavoro, per ottenere il punteggio complessivo dell’Area è necessario
compiere due passaggi:

1° passaggio. Calcolare un punteggio normato per ciascuna


Dimensione (ovvero Funzione e cultura organizzativa, Ruolo
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

nell’ambito dell’organizzazione, Evoluzione della carriera, Autonomia


decisionale/controllo del lavoro, Rapporti interpersonali sul lavoro)
attraverso la formula di calcolo, già vista prima, che prevede di
moltiplicare per 100 il rapporto tra la somma dei punteggi degli
indicatori dell’area indagata e la loro numerosità.

La Tabella che segue riporta le fasce di rischio relative ai


punteggi delle 6 Dimensioni dell’Area Contesto del lavoro per la lettura
dei risultati ottenuti.

2° passaggio. Una volta calcolati i punteggi per ciascuna


Dimensione è possibile ottenere il risultato complessivo di Area
calcolandone la media. Per l’Area Contesto del lavoro è necessario
calcolare la media di Area sulla base delle prime 5 Dimensioni e,
successivamente, sottrarre il punteggio ottenuto nella Dimensione
Interfaccia casa lavoro – conciliazione vita/lavoro.

In tabella sono riporte le fasce di rischio relative al punteggio


complessivo dell’Area Contesto del lavoro per la lettura dei risultati
ottenuti.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

Il punteggio finale della Lista di controllo si ottiene


sommando i punteggi ottenuti dalle 3 aree. Si ottiene così così il totale
del punteggio di rischio e quindi verificare il posizionamento del
Gruppo omogeneo/azienda nella Tabella dei livelli di rischio.

I vari cut-off risultano dalle raccolte delle liste di controllo


pervenute all’INAIL da aziende e da enti pubblici utilizzando il sistema
delle medie e deviazioni standard come criterio normativo.

I punteggi, sia osservati che normativi, non hanno subito


alcuna standardizzazione né normalizzazione della curva come
punteggi z o punteggi T.

Lasciamo al lettore il piacere (?) di calcolare, sulla base del


Punteggio Finale e delle proprie conoscenze, quale potrebbe essere la
media e la deviazione standard della distribuzione normativa che
descrive una curva non gaussiana.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

3. CRITICITÀ DELLA LISTA DI CONTROLLO INAIL


Un primo problema riguarda il fattore “rapporti
interpersonali sul lavoro” appartenente all’area del Contesto del
lavoro. È previsto che il livello possa essere basso sino alla soglia di 66,
medio a partire da 67 e solo arrivando a 100 si ha un rischio alto.
Questo fattore è indagato da tre item e nel calcolo dell’indice di rischio,
poiché ciascun indicatore è dicotomicamente indicato in modo da dare
un punteggio 1 e 0, rapportando a 100 i punteggi potremo ottenere solo
3 punteggi proporzionali: 33,66 e 100. In questo caso – è evidente – non
si è proceduti alla sua standardizzazione col metodo campionario di
riferimento ma si è ridotto il gradiente di rischio.

Spieghiamo meglio.

Se solo uno dei tre indicatori dà come valore 1, l’indice di


rischio è 33, cioè basso.

Se raddoppiamo, cioè due indicatori con valore 1 e indice di


rischio a 66 lo si deve intendere ancora basso!

Se tutti e tre indicatori hanno valore 1 allora l’indice di


rischio sarà 100 e lo si deve intendere come alto.

Cioè, in altri termini, si prevede che mai – in nessun caso –


si possa raggiungere il livello medio!

Non è data alcuna spiegazione a questa imposizione.

Altri problemi riguardano il fattore “Interfaccia casa


lavoro, conciliazione vita/lavoro”. L’interfaccia casa lavoro
riguarderebbe le richieste contrastanti tra casa e lavoro oltre allo
scarso appoggio in ambito domestico. Ma gli item che indagano questo
fattore fanno esclusivo riferimento ad elementi di conciliazione
vita/lavoro. Cioè viene impiegata la presenza o meno di azioni di
conciliazione vita/lavoro per stabilire se vi è la presenza di un rischio!
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

L’altro problema è che per questo fattore le istruzioni


prevedono che quando non si ha la possibilità di effettuare la pausa
pranzo in un luogo adeguato, quando non si può usufruire di un orario
flessibile, quando non si può raggiungere il posto di lavoro se non con
mezzi propri e, infine, quando non si può svolgere il lavoro usufruendo
di un part-time, allora il livello di rischio è pari a zero! Cioè le condizioni
più sfavorevoli corrispondono all’assenza di rischio stress. Se invece,
per contro, si è in una situazione favorevolissima, allora si deve
sottrarre un valore di 4 al punteggio totale degli altri fattori!

In realtà, nessuna ricerca scientifica ha dimostrato


inoppugnabilmente che a fronte di orario flessibile, part-time, mezzo
aziendale e mensa, si riduce di 4 punti percentuali il rischio stress
derivato della Funzione e cultura organizzativa, del Ruolo nell’ambito
dell’organizzazione, dell’Evoluzione della carriera, dell’Autonomia
decisionale e dei Rapporti interpersonali sul lavoro.

Per quanto sia lapalissiano che le politiche di conciliazione


mitighino gli effetti negativi dell’interfaccia famiglia-lavoro è pur vero
che mitigano solo quelli, e non i rischi psicosociali che hanno origine
differente.

Infine, un ultimo problema riguarda la logica di fondo della


Lista di controllo: manca una solida teoria che dimostri che il rischio
stress lavoro correlato è dato dalla somma dei possibili fattori
parametrizzati.

I modelli teorici, scaturiti da evidenze empiriche, indicano


quali fattori originano stress lavorativo, e non quanti di questi debbano
superare determinate soglie prima di parlare di rischio stress
lavorativo.

Dato che la Lista di Controllo INAIL è uno strumento non


obbligatorio ma utile, è raccomandabile, al di là del punteggio finale, di
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del disagio
organizzativo

tenere conto delle soglie dei singoli fattori come elemento che
suggerisca la messa in campo di azioni correttive utili alla mitigazione
del fenomeno stressogeno.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

La lezione ha l’obiettivo di far conoscere la metodologia e gli


strumenti per la rilevazione di secondo livello del disagio lavorativo, obbligatorio
quando gli interventi di primo livello non hanno avuto esito positivo.
Ciascun studente imparerà quali sono le fasi della rilevazione
approfondita del rischio stress lavoro correlato.
Ogni studente acquisirà come utilizzare la procedura INAIL per la
valutazione approfondita del rischio stress lavoro correlato.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

1. L’HSE MANAGEMENT STANDARDS


Il combinato disposto del D.Lgs 81/2008 (e successive
modifiche e integrazioni) art. 28 e la La Circolare Ministeriale del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali N. 23692 del 18-11-2010,
obbligano il datore di lavoro a procedere con la valutazione
approfondita – da alcuni chiamata di secondo livello – del rischio stress
lavoro correlato quando gli interventi di primo livello non hanno avuto
esito positivo.
La valutazione deve comprendere sia i fattori di contenuto
che di contesto.

L’INAIL provvede uno strumento adeguato per la


valutazione approfondita: l’HSE Management Standards.

Il modello HSE dei Management Standards (Kerr et al.,


2009) adottato e suggerito dall’INAIL indaga 6 dimensioni
organizzative chiave rappresentate da: 1. domanda, 2. controllo, 3.
supporto, 4. relazioni, 5. ruolo, 6. cambiamento.

La dimensione “supporto” – all’interno del questionario – è


suddivisa in due sottoscale e cioè “supporto del management” e
“supporto tra colleghi”.

Il manuale INAIL non lo spiega, ma il modo in cui queste


dimensioni concorrono a soddisfare le esigenze di indagine dettate dalle
linee guida è riassunto in figura.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

Per ciascuna dimensione, spiegata da gruppi di item, è


calcolata la media aritmetica.

Sostanzialmente, questo modello identifica delle condizioni


standard di diverse dimensioni organizzative e ne suggerisce le
caratteristiche ideali.

Il soddisfacimento di queste caratteristiche ideali


corrisponde ad una condizione di benessere lavorativo.

Il questionario è composto da 35 affermazioni (item) afferenti


a 7 dimensioni, misurate attraverso due scale alternative di risposta:
una scala di frequenza (da 1 = mai a 5 = sempre) ed una scala di accordo
tipo Likert (da 1 = fortemente in disaccordo a 5 = fortemente in
accordo).

Il Questionario strumento indicatore permette alle aziende


di rilevare la situazione attuale (livello di rischio) e compararla con lo
stato ideale da raggiungere per ognuno dei Management standard.

La somministrazione del Questionario strumento indicatore,


così come quella di qualsiasi altro strumento o metodo di rilevazione,
deve essere effettuata in riferimento a ciascun Gruppo omogeneo
interessato così come identificato in fase propedeutica e già considerato
in fase di valutazione preliminare.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

Pertanto, il questionario deve essere distribuito a tutti i


lavoratori inclusi nel Gruppo omogeneo e i dati analizzati in maniera
aggregata, ottenendo così un risultato complessivo di Gruppo omogeneo
relativamente alle 7 Dimensioni analizzate.

L’INAIL asserisce che il punto di forza del Questionario


strumento indicatore risiede nella possibilità di analizzare i risultati
rispetto a valori soglia di riferimento (cut-off) tarati su ampi campioni
di lavoratori delle aziende italiane, che permettono l’identificazione dei
livelli di rischio per ognuna delle 7 Dimensioni.

Il cut-off permette, pertanto, la reale lettura dei risultati


ancorandoli ad una popolazione di riferimento, attraverso
l’identificazione di soglie al di sotto delle quali l’azienda deve prestare
particolare attenzione e mettere a punto interventi di miglioramento.

L’INAIL tiene a precisare che l’unico modo per analizzare i


risultati sulla base dei valori soglia di riferimento nazionali è quello di
utilizzare il software online di correzione, attraverso l’inserimento dei
dati sulla piattaforma Inail.

Tuttavia, durante i lavori del Convegno Nazionale


dell’INAIL tenuto a Roma il 14 luglio 2016, Sergio Iavicoli e Cristina
Di Tecco nell’intervento “Il progetto CCM e il monitoraggio delle
aziende attraverso la piattaforma INAIL”1 sono stati resi noti i valori
di cut-off, ma non le deviazioni standard.

L’utilizzo del Questionario strumento indicatore nella fase di


valutazione approfondita presenta importanti punti di forza rispetto ad
altri strumenti:

1 https://www.inail.it/cs/internet/docs/convegno-stress-lavoro-2017-iavicoli-di-
tecco.pdf?section=attivita
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

 è facile da somministrare, con garanzia di riservatezza nella


compilazione, nella raccolta dati e nel successivo inserimento
dei dati nella piattaforma online Inail;

 è utilizzabile, in maniera efficace, in tutte le aziende con più di


10 lavoratori;

 è uno strumento attendibile e valido che permette al DL e al


Gruppo di gestione di ottenere chiari risultati sulle percezioni
dei lavoratori, utili alla caratterizzazione dei fattori di
Contenuto e di Contesto e all’identificazione delle successive
eventuali misure correttive;

 offre la possibilità di analizzare i risultati rispetto ad un valore


soglia di riferimento nazionale (cut-off) attraverso l’utilizzo di
un software online gratuito, presente sulla piattaforma Inail.

Nella tabella che segue sono riprese, per ciascuna


dimensione, lo standard atteso e le condizioni da conseguire.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

Dimensione n. Standard Condizioni


Item (si prevede che) ideali/stati da
conseguire (esempi)
1. Domanda 8 Il lavoratore - Richieste, da parte
Comprende aspetti sia in grado di dell’azienda al
quali il carico soddisfare le lavoratore,
lavorativo, richieste conseguibili e
l’organizzazione del provenienti dal realizzabili
lavoro e il contesto lavoro e che nell’orario di lavoro
lavorativo vengano - Attività lavorativa
forniti, a livello concepita sulla base
locale, sistemi delle competenze del
di risposta ai lavoratore
problemi - Adeguata
individuali. attenzione alla
gestione dei
problemi legati allo
svolgimento della
propria attività
lavorativa
2. Controllo 6 Il lavoratore - Ove possibile,
Riguarda abbia potere controllo da parte
l’autonomia/controllo decisionale sul del lavoratore sui
dei lavoratori sulle modo di propri ritmi di lavoro
modalità di svolgere il - Ove possibile,
svolgimento della proprio lavoro stimolo al lavoratore
propria attività e che esistano a sviluppare nuove
lavorativa sistemi, a competenze per
livello locale, eseguire lavori nuovi
per rispondere - Gestione delle
ai problemi pause compatibili
individuali. con le esigenze del
lavoratore

3. Supporto del 5 Il lavoratore - Adozione, da parte


Management dichiari di dell’azienda, di
Include avere procedure e politiche
l’incoraggiamento, il informazioni e in grado di offrire
supporto e le risorse supporto sostegno adeguato ai
fornite dall’azienda e adeguati dai lavoratori
dai superiori propri - Conoscenza, da
superiori e che parte dei lavoratori,
vengano delle modalità di
forniti, a livello accesso alle risorse
locale, sistemi necessarie per
di risposta ai
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

problemi svolgere il proprio


individuali lavoro
- Feedback puntuale
e costruttivo dai
superiori

Dimensione n. Standard Condizioni


Item (si prevede che) ideali/stati da
conseguire (esempi)
4. Supporto dei 4 Il lavoratore - Adozione di
Colleghi dichiari di avere procedure e politiche
Riguarda informazioni, in grado di offrire
l’incoraggiamento, supporto e sostegno e supporto
il supporto e le incoraggiamento adeguato da parte dei
risorse fornite dai adeguati dai pari
colleghi propri colleghi - Conoscenza, da
parte dei lavoratori,
delle modalità di
accesso alle risorse
necessarie per
svolgere il proprio
lavoro
- Feedback puntuale e
costruttivo dai
colleghi

5. Relazioni 4 Il lavoratore - Promozione da


Include la non si parte dell’azienda di
promozione di un percepisca quale comportamenti
lavoro positivo per oggetto di positivi sul lavoro,
evitare i conflitti comportamenti per evitare conflitti e
ed affrontare inaccettabili (es. garantire correttezza
comportamenti il mobbing) e nei comportamenti
inaccettabili che vengano - Possibilità di
forniti, a livello condivisione, da parte
locale, sistemi di del lavoratore, di
risposta ai informazioni relative
problemi al proprio lavoro
individuali - Esistenza di sistemi
per favorire la
segnalazione, da
parte dei lavoratori,
di insorgenza di
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

comportamenti
inaccettabili
6. Ruolo 5 Il lavoratore - Garanzia, da parte
Verifica la comprenda il dell’azienda, che le
consapevolezza del proprio ruolo e richieste ai lavoratori
lavoratore le proprie siano compatibili con
relativamente alla responsabilità e il loro ruolo
posizione che che vengano - Informazioni
riveste forniti, a livello adeguate per
nell’organizzazione locale, sistemi di consentire ai
e garantisce che risposta ai lavoratori di
non si verifichino problemi comprendere il
conflitti individuali proprio ruolo e le
proprie
responsabilità
7. Cambiamento 3 Il lavoratore - Informazioni
Valuta in che venga coinvolto opportune da parte
misura i in occasioni di dell’azienda ai
cambiamenti cambiamenti lavoratori per la
organizzativi, di organizzativi e comprensione delle
qualsiasi entità, che vengano motivazioni
vengono gestiti e forniti, a livello all’origine dei
comunicati nel locale, sistemi di cambiamenti proposti
contesto aziendale risposta ai - Consapevolezza dei
problemi lavoratori
individuali. dell’impatto che un
determinato
cambiamento
potrebbe avere
sull’attività
lavorativa
- Garanzia di un
supporto adeguato
durante la fase di
cambiamento.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

2. LA VALUTAZIONE DEI PUNTEGGI


La valutazione dei punteggi del questionario sulla base dei
cut-off di riferimento nazionali e la conseguente identificazione del
livello di rischio per gli aspetti indagati, sono possibili attraverso
l’utilizzo dello specifico software online disponibile sulla piattaforma
Inail.

I cut-off, detti anche soglie di rischio, fanno riferimento ad


un ampio campione di lavoratori e permettono la verifica del
posizionamento del Gruppo omogeneo per fasce di rischio.

Le analisi effettuate attraverso il software online Inail


restituiscono un report dei risultati con l’identificazione dei livelli di
rischio per i diversi gruppi omogenei individuati dall’azienda,
caratterizzati da un ‘codice colore’ secondo la seguente tabella.

Ottimo livello di prestazione ed è necessario


mantenerlo
Buon livello di prestazione
Necessità di evidenti interventi correttivi
Necessità di immediati interventi correttivi

Poiché i valori delle dimensioni esprimono uno standard,


maggiore è questo valore maggiore è l’avvicinamento ad uno stato
ottimale.

Viceversa, minore è il valore di ogni singola dimensione,


maggiore è il grado di rischio.

Di seguito è riportato il grafico con le medie cut-off


presentate al Convegno Nazionale INAIL del 14 luglio 2016.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

La metodologia del calcolo del rischio per questa tipologia di


questionario è di utilizzare la media aritmetica e la deviazione
standard di ampie popolazioni e usarla come pietra di paragone per il
campione esaminato.

Questo è un metodo interessante per un’analisi


epidemiologica, ma, in definitiva, è il contesto e la realtà della singola
azienda che deve pesare sulla bilancia.

La vigente normativa non richiede di stabilire quanto il


livello di rischio stress lavoro-correlato dell’azienda rientra nella media
delle altre aziende o se e di quanto se ne discosti.

La norma richiede di stabilire se il rischio è presente e di


intervenire.

Confrontare il livello di rischio di ciascun fattore stressogeno


con i valori medi di altre aziende premia la filosofia del “mal comune
mezzo gaudio”, per cui se è presente un livello di rischio alto come lo è
anche in altre aziende allora questo livello – rientrando nella media
normativa – assumerà il significato di basso!

Ma questo modo di categorizzare il rischio, portandolo


artificiosamente a livelli bassi, espone il datore di lavoro a possibili
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

inadempienze sia nella valutazione che nel conseguente intervento e


ciò esporrebbe i lavoratori a un maggior rischio per la salute.

Se la misura nella scala di risposta è l’espressione numerica


della percezione delle persone, allora potrebbe essere intesa per come è
stata espressa.

Il livello di rischio lo si potrebbe intendere in questo modo


così come rappresentato in figura.

In tal modo i livelli di rischio vengono interpretati secondo


quanto lo stesso strumento suggerisce al lavoratore che compila il
questionario, cioè si considerano i punteggi nella loro espressione
soggettiva.

Quindi, se si intende la misura del livello del rischio come


l’espressione numerica della percezione delle persone, allora essa deve
esser presa per quella che è, quindi va da sé che un punteggio che non
supera il 2 esprime un livello di rischio alto, che ciò che sta intorno al
punto medio – oltre il 2 ma meno di 4 – esprime un livello di rischio
medio, e ciò che supera il 4 è basso

Un sistema alternativo di interpretazione dei punteggi è


quello che propongono diversi autori: effettuare un confronto relativo
dei punteggi tra gli stessi indicatori di rischio dell’azienda (De Carlo,
Falco, Capozza, 2008)2.

2 De Carlo A.N., Falco A., Capozza D. (2008). Test di valutazione del rischio stress lavoro-
correlato nella prospettiva del benessere organizzativo (Q-Bo). Milano: Franco Angeli.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

3. ESEMPIO APPLICATIVO
Facciamo un esempio che mostri come utilizzare il
questionario e come valutare i punteggi.

In un’azienda è stato somministrato il questionario HSE e i


risultati sono esposti nel grafico (Non si tratta di dati fittizi).

Sullo sfondo sono riportati i codici colore proposti, rosso per


valori sino a 2 indicanti rischio alto, giallo per valori tra il 2 e il 4
indicanti rischio medio, verde oltre il 4 indicante rischio basso.

La barra orizzontale assume la colorazione secondo i codici


colore dei cut-off INAIL.

In questo caso è evidente l’anomalia per quanto riguarda il


Supporto capi (Management).

Poiché il supporto dei superiori è merce rara nelle aziende,


accade che il campione normativo presenta livelli bassi di supporto. Se
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

in una data azienda si va di poco sopra questo punto medio nazionale


allora vuol dire che si sperimenta benessere!

Questa logica, però, non è suffragata dalla realtà che vivono


i lavoratori nel loro contesto.

Il livello 3,9 indica che – in termini di frequenza – il supporto


dei capi o del management è percepito di frequente, ma non sempre.

Lo standard non è raggiunto sempre, e quindi non si è in una


condizione ottimale.

A questo punto è opportuno andare a vedere i valori dei


singoli item.

Si possono valutare i valori degli item sia in modo relativo


che assoluto.

Possono essere visti quegli item che vanno al di sotto del cut-
off INAIL di 3,51 per valori medi e 3,19 per valori a rischio alto.

In questo caso i primi due sono a rischio alto sia secondo le


medie INAIL sia confrontando i valori con gli altri item.
Gianfranco Cicotto La valutazione psicometrica del malessere
organizzativo’'

Ciò che si osserva è la mancanza del supporto emotivo. Esiste


un supporto razionale.

Se si trattasse di un’azienda che non ha a che fare con una


clientela esterna il dato non sarebbe preoccupante.

Ma se si trattasse di un’azienda dove i lavoratori in questione


hanno un contatto diretto con i clienti? Un non adeguato supporto si
tramuterebbe in un possibile disimpegno da parte dei lavoratori
nell’accogliere le richieste dei clienti, con possibili defezioni e mancate
fidelizzazioni e, infine, una costante diminuzione del fatturato.

La salute in generale dell’azienda, anche quella economica,


è data dall’eseguire una valutazione approfondita con criteri atti a
individuare il malessere e correggerlo.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere quali sono le


considerazioni riguardanti il tema della valutazione e della
misurazione nei contesti formativi.
Gli studenti impareranno cosa si intende per fabbisogno
formativo e come questo viene rilevato e sintetizzato.
Ogni studente conoscerà come sono effettuate le valutazioni
della didattica da parte dei discenti dei corsi di formazione anche
attraverso esempi pratici.
Gli studenti impareranno cosa si intende per valutazione
dell’efficacia formativa e come questa può essere misurata.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

1. ANALISI DEL FABBISOGNO FORMATIVO


La formazione può essere intesa come un “processo educativo
di crescita culturale, sociale, professionale e personale” (De Simone,
Marini, 2005, p.213)1. Il fabbisogno può essere inteso come insieme di
elementi indispensabili al raggiungimento di un determinato scopo in
un determinato ambito.

Formare in vista di cosa? È auspicabile che essa sia


utilizzata “come strategia di sviluppo e non solo come recupero dei gap
tra conoscenze possedute e richieste” (Sangiorgi, 2008, p.88)2.

“Ogni intervento formativo per poter essere efficace deve


essere ancorato alla realtà organizzativa nella quale si opera e deve
essere finalizzato al raggiungimento di obiettivi chiaramente
individuati e definiti” (De Simone, Marini, 2005, p.259).

È comunemente condiviso che le fasi di esplorazione e gli


strumenti debbano essere specificatamente correlati all’oggetto
osservato e alle finalità specifiche dell’analisi. Ciò permette di
concentrare le attività di indagine al fine di raccogliere informazioni
quantitativamente e qualitativamente utili alla definizione dei bisogni
formativi. La valutazione del fabbisogno formativo che precede la
stesura del Piano di formazione ha a che fare con il cambiamento.
Essendo il cambiamento un atto intenzionale occorre allora
interrogarsi su quale sia il cambiamento che si desidera avvenga
all’interno dell’organizzazione a seguito degli interventi formativi,
affinché essi siano opportunamente progettati e realizzati.

1
De Simone, S., Marini, F. (2005). La dimensione psicologica della formazione. Teorie e contesti
applicativi. Cagliari: Cuec.
2
Sangiorgi, G. (2008). Aristocratici e servi, riflessioni sulla disuguaglianza nel lavoro. Milano:
FrancoAngeli.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

Un iniziale orientamento in tal senso viene dalla classica


tassonomia della formazione che ripartisce le sue finalità su tre
obiettivi principali: 1) sapere, 2) saper fare e 3) saper essere.

1. L’area del sapere riguarda le conoscenze di base, le procedure, le


tecniche, gli aspetti normativi e legali.

2. L’area del saper fare coinvolge la pratica e la professionalità di


ruolo, la capacità di agire professionalmente nell’organizzazione.

3. L’area del saper essere copre tutte le caratteristiche che


identificano l’attitudine al ruolo e la capacità di rispondere con
comportamenti adeguati all’interno dell’organizzazione, richiama
anche il grado di consapevolezza posseduto da ciascun soggetto in
merito al proprio agire lavorativo e ai propri atteggiamenti.

Autori come Bruscaglioni e Gheno (2002) suggeriscono di


andare oltre le carenze rilevabili e di considerare le risorse presenti e i
desideri di sviluppo degli operatori presenti

Quaglino e Carozzi (1998) sottolineano l’importanza di unire


i bisogni esplicitati dall’organizzazione e dagli individui in un lavoro di
mediazione svolto dall’esperto consulente/formatore, che sappia
intercettare anche i bisogni impliciti. Una centralisitica idea di
formazione vedrebbe i vertici aziendali impegnati nella costruzione di
un Piano di formazione modello “so io di cosa hai bisogno” in cui
l’analisi è condotta secondo le seguenti domande riunite per temi
comuni:

• Quali sono le caratteristiche dell’area o del ruolo – Quali


sono gli aspetti caratteristici dell’area o del ruolo in esame, cosa lo
distingue dagli altri? Qual è lo scopo principale? Quali sono le
responsabilità a cui risponde?

• Quali sono le conoscenze necessarie per l’area – Cosa


devono sapere le persone per svolgere al meglio il proprio lavoro,
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

quale preparazione scolastica, quale preparazione specifica per


svolgere le attività?

• Quali sono le professionalità necessarie per l’area – Quali


sono le abilità pratiche che devono essere esercitate per
rispondere al meglio alle esigenze dell’organizzazione?

• Quali sono le caratteristiche di ruolo – Le competenze


necessarie per interpretare al meglio il ruolo.

• Quali problemi si sono riscontrati su conoscenza e/o


capacità professionali – Quali carenze di conoscenza, quali
cambiamenti nelle leggi e nelle procedure, quali compiti non sono
adeguatamente svolti? Quali le mansioni che non sono eseguite in
modo soddisfacente?

• Il grado di raggiungimento degli obiettivi – C’erano


obiettivi da raggiungere? Sono stati raggiunti? Sono stati
raggiunti con soddisfazione o con problemi? Sono obiettivi che
dovranno essere riproposti nuovamente in futuro?

Tale interrogazione non è superflua, ma non è esaustiva. Alle


osservazioni top-down è utile unire quelle bottom-up, poiché se la
formazione deve mettere in condizione il lavoratore di svolgere al
meglio il proprio lavoro allora è a questi che bisogna chiedere di cosa
ha bisogno.

Un possibile strumento da utilizzare che tenga conto di


quanto detto invita tutto il personale dell’azienda/ente a riflettere su:

• ciò che si ritiene di saper fare correttamente, esplicitando le


competenze possedute (conoscenze, capacità,
comportamenti) e adoperate a tal fine;

• ciò che si ritiene di saper fare, ma che è necessario o


opportuno migliorare;
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

• ciò che non si sa fare, individuando le competenze mancanti


e che dovrebbero essere acquisite, sia in una dimensione
personale che organizzativa.

Le informazioni ottenibili dalle risposte alle domande di cui


sopra consentono di rendere dinamico il Piano di Formazione
anticipando anziché inseguire le nuove competenze necessarie del
presente o probabilmente utili in un immediato futuro.

Di seguito è riportata una batteria di domande che


potrebbero essere utilizzate per l’analisi.

COMPETENZE INDIVIDUALI
Se dovesse definire i suoi punti di forza nel ricoprire il suo ruolo, quali
indicherebbe come principali per il suo lavoro? Indichi i 3 punti di
forza più importanti. Si tratta di indicare competenze, abilità,
conoscenze che vengono utilizzate nell’attività “ordinaria” e che
consentono di raggiungere i risultati migliori.
Conoscenze delle normative e delle leggi di settore
Conoscenza dei processi e degli iter procedurali
Competenze tecnico specialistiche
Competenze linguistiche
Competenze informatiche
Capacità nell’organizzazione del lavoro
Capacità di gestione delle risorse umane
Capacità di problem solving
Capacità di prendere decisioni e di assumersi responsabilità

DOMANDE RIGUARDANTI L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE


Partendo dalle tre competenze acquisite e indicate come suoi punti
di forza, quali aspetti di quelli sopra riportati vorrebbe
migliorare/sviluppare/approfondire attraverso la formazione?
Scala di risposta: da 1 = non prioritario a 4 = assolutamente
prioritario.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

PUNTI DI FORZA NEL RICOPRIRE IL SUO RUOLO


Se dovesse definire i suoi punti di forza nel ricoprire il suo ruolo, quali
indicherebbe come principali per il suo lavoro? Indichi i 3 punti di
forza più importanti. Si tratta di indicare competenze, abilità,
conoscenze che vengono utilizzate nell’attività “ordinaria” e che
consentono di raggiungere i risultati migliori.
Responsabilità
Disponibilità
Autonomia
Precisione
Creatività
Disposizione ai rapporti interpersonali
Assertività
Senso pratico
Empatia
Resistenza allo stress e alla fatica
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

2. VALUTAZIONE DA PARTE DEI DISCENTI


La valutazione da parte dei discenti di un corso o percorso
formativo è estremamente importante per la futura programmazione
dei corsi di formazione.

Le persone possono esprimersi rispetto all’utilità percepita,


all’interesse che gli argomenti hanno suscitato e alla disponibilità alla
partecipazione.

È utile al riguardo avere informazioni anche circa la


didattica, l’eventuale tutoraggio e il materiale didattico.

Non da ultimo, sono pure utili le considerazioni circa


l’organizzazione e i servizi.

Dal punto di vista qualitativo si potrebbe chiedere ai


partecipanti quali aspetti ritiene maggiormente positivi dell’attività
svolta e quali invece da migliorare.

Questo consente di ottenere informazioni che il solo


questionario di customer satisfaction non considera.

In questi casi la cautela da utilizzare è quella di considerare


quanti si sono espressi sullo stesso tema. Sappiamo infatti del pessimo
intuito statistico di chi esprime o legge dati statistici. A volte a una voce
fuori dal coro è data più attenzione solo perché riporta qualcosa di
sensazionalistico, ma spesso di infondato, di non condiviso e del tutto
personale. L’evento eccezionale, per la sua sensazionalità, potrebbe
essere percepito come evento diffuso, e potrebbe mal orientare le
opinioni di chi i corsi li gestisce. Per ovviare a ciò occorre utilizzare un
approccio più metodico e numerico.

Per quanto le risposte libere possono essere a volte solo uno


sfogo su aspetti negativi o sviolinate nei confronti di alcuni docenti, è
utile considerare la frequenza di certi temi toccati.

Questo può essere fatto col metodo delle occorrenze.


Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

Si considerano cioè le parole chiave maggiormente utilizzate


per esprimere il proprio parere. Per quanto questo non suggerisca
azioni future di miglioramento poiché non si dà risalto a nessun
concetto, dà almeno una visione dei temi che toccano coloro che sono
impegnati in un percorso formativo. Questo può essere fonte di
ispirazione per sondaggi più approfonditi.

Diversi software consentono inoltre di poter calcolare la


“distanza” (o vicinanza) tra le parole chiave identificate e altre
utilizzate in abbinamento a queste. In questo modo si riesce a
intravedere quali siano i nuclei concettuali sottesi ai commenti
espressi.

Per esempio, se alla parola docente fosse troppo ‘vicina’ la


parola ‘autorità’ o ‘noia’ questo ci farebbe capire che c’è qualche
problema sul modo in cui il corpo docente incaricato sta svolgendo le
lezioni.

Ancora, se alla parola chiave lezione si abbinano le parole


‘interessante’, ‘utile’, ‘pratico’ e così via allora si capisce che si sta
facendo un buon lavoro di didattica.

Dal punto di vista del monitoraggio occorre anche avere dei


parametri certi su cui ottenere dei punteggi valutativi.

Le domande possono essere esposte in modo tale da far


esprimere i partecipanti in termini di soddisfazione o di adeguatezza
su scale likert.

Su quali temi o parametri si può interrogare i discenti?


Eccone alcuni.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

Indichi il suo grado di accordo con le affermazioni riportate in


tabella, secondo la scala che segue, per ciascuno dei docenti:
1 = per niente d’accordo; 2 = moderatamente in disaccordo; 3 = né in
accordo né in disaccordo; 4 = moderatamente in accordo; 5 =
completamente d’accordo

1. I contenuti trattati sono stati esaurienti


2. Le metodologie utilizzate sono state adeguate
3. I temi affrontati sono stati trattati in modo chiaro
4. I temi sono stati trattati in modo conforme agli obiettivi
didattici
5. I tempi di lavoro rispetto agli obiettivi didattici sono stati
adeguati
6. Le competenze dei docenti si sono dimostrate adeguate
7. I sussidi e i materiali didattici predisposti dai docenti sono
stati adeguati
8. Il docente è stato in grado di coinvolgere la classe

Si possono produrre tabelle o grafici riepilogativi per ciascun


docente, in cui sono esposte la media e la deviazione standard. La
deviazione standard fornisce l’interessante dato del grado di accordo
sul giudizio medio espresso dai partecipanti del corso di formazione.

Il grafico potrebbe assumere questo aspetto.

Si possono anche produrre tabelle o grafici riepilogativi per


ciascun parametro esaminato in modo da avere un quadro generale
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

dell’intero corso di formazione riportando media e deviazioni standard.


Anche in questo caso la deviazione standard fornirà il grado di accordo
sul giudizio medio espresso dai partecipanti del corso di formazione
rispetto a quel particolare parametro.

Il grafico potrebbe assumere questo aspetto.


Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

3. VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA
Questo è un tema caldo della formazione.

Non si intende qua il solo risultato di apprendimento che


ciascun docente valuta mediante gli esami di profitto.

Ciò che qui si intende è se e quanto vi siano positive ricadute


nella vita delle persone e nelle relazioni che hanno con altri a seguito
dell’apprendimento maturato nei corsi di formazione.

Potrebbero essere gli individui stessi a esprimersi su quanto


appreso ha permesso loro un reale cambiamento.

Si dovrebbero proporre item molto specifici a cui rispondere


con una scala likert in modo da ottenere un livello di efficacia percepita.

Un altro sistema, pur nella sua soggettività, è chiedere a chi


condivide spazi e tempi con coloro che hanno frequentato il corso se
osservano effettivi cambiamenti.

Facciamo un esempio.

Un’azienda invia ad un corso di formazione i propri


dipendenti per migliorare la loro comprensione delle normative legate
alla loro attività.

Come potrà il titolare valutare l’efficacia? Velocità delle


pratiche rispetto a prima? Diminuzione del contenzioso? Minore
ricorso a consulenze esterne?

È chiaro che si tratta di valutazioni circostanziate, puntuali,


locali e molto particolari per cui è impossibile preparare dei formulari
generali ma solo ed esclusivamente questionari ad hoc.

Un intervento opportuno potrebbe essere quello di


individuare a monte della formazione le variabili organizzative
coerenti con gli obiettivi della formazione.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

Si deve valutare se e quanto si sono raggiunti gli obiettivi


formativi scaturiti dall’analisi del fabbisogno formativo e attuati
attraverso i corsi di formazione erogati.

Ciò che è difficile è individuare il miglioramento dovuto alla


formazione al netto del miglioramento dovuto ad altre cause, che
costituirebbe la misura d’errore dello strumento.

Un modo per misurare l’efficacia nei contesti lavorativi è


chiedere al capo diretto o ai supervisori di compilare il seguente
prospetto i cui parametri fanno riferimento agli obiettivi formativi per
cui sono stati erogati i corsi.

Elemen Qualità della prestazione Qualità della prestazione


to di pre-formazione post-formazione
valutaz
ione
….. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1
0 0
….. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1
0 0
….. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1
0 0

In sostanza si dovrebbe capire se e quanto l’azione formativa


ha davvero impattato sulla vita lavorativa e come questo contribuisce
al raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

Un altro elemento nella valutazione è il tempo. Se i


cambiamenti hanno bisogno di tempo per maturare, dopo quanto li
misuriamo?

Anche in questo caso la risposta dipende dalla natura di ciò


che si sta valutando.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei contesti formativi

Più recentemente, si sta puntando a valutare gli esiti della


formazione attraverso questi indici:

ROI (Return on Investment). Il Ritorno sull'Investimento (ROI) è la


misura dei benefici monetari rispetto a un dato investimento, in
un programma formativo nel caso specifico. Occorre monetizzare
gli obiettivi, misurarli e valutarli secondo la seguente formula:
ROI = (benefici - costi/costi della formazione) x 100.

Evaluating Training Effectiveness Index. La valutazione dell’efficacia


della formazione misura la proporzione tra risultati attesi e
risultati ottenuti. Si devono dotare i valutatori (in genere
dirigenti) di schede contenenti parametri, indicatori e scale da
applicare.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere cosa si intende


in questa sede per orientamento e quali siano gli strumenti
psicometrici adeguati per effettuare analisi quantitative adeguate in
riferimento a questo campo applicativo della psicologia.
Saranno chiarite le funzioni e le attività della psicologia
dell’orientamento.
Sarà spiegato quali sono le caratteristiche di uno strumento
per essere utilizzato nell’orientamento e quali tipi di analisi si possono
effettuare sia con gruppi che con individui coinvolti in un percorso di
orientamento.
Saranno date, infine, indicazioni pratiche su come scegliere
appropriatamente dei test.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

1. L’ORIENTAMENTO
Sul sito del Consiglio Nazionale degli Psicologi è contenuto
un documento che definisce l’ambito dell’area professionale della
psicologia dell’orientamento. Siamo interessati a capire come la
psicometria si inserisce nelle attività di orientamento.
La psicometria si inserisce nell’orientamento fornendo
strumenti e metodi per la valutazione dei processi cognitivi, affettivi e
comportamentali che sottendono le scelte scolastiche, universitarie e di
formazione professionale.
L’orientamento, oltre a spiegare i processi di sviluppo
personale nei diversi contesti e nelle diverse realtà sociali, presta
specifica attenzione ai processi psicosociali di costruzione del self e di
life design attraverso strumenti sia qualitativi che quantitativi.
Attraverso test e questionari può essere misurato il livello
del ruolo attivo della persona nel costruire i suoi percorsi di carriera,
nel gestire le varie forme di cambiamento di carriera lavorativa, nel
precisare i propri scopi e nel modificarli.
La psicometria fornisce quindi un sistema di conoscenze e
pratiche utili all’elaborazione dei dati e delle informazioni tratte dai
soggetti percettori di un servizio di orientamento.
È a cura del professionista individuare gli strumenti e le
metodologie più adeguate per poter poi offrire sostegno
informativo/cognitivo, affettivo e relazionale ai processi decisionali, al
design e costruzione di percorsi di inserimento sociale e professionale
affinché siano coerenti con le aspirazioni, le aspettative e i progetti di
vita delle persone.
Egli dovrà inoltre sondare attributi del sé come autoefficacia,
stima di sé; atteggiamenti positivi come fiducia e speranza; social
support, ecc. in modo da fornire una consulenza che aiuti le persone ad
affrontare, con maggiore probabilità di riuscita, le transizioni di
carriera nel corso dell’esperienza formativa e lavorativa.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

Le funzioni e le attività della psicologia dell’orientamento


per cui è richiesta la competenza psicometrica sono:
a) Assessment di interessi, attitudini, conoscenze e capacità
degli individui nelle diverse fasi del loro sviluppo (adolescenti, giovani,
adulti) mediante test sulle attitudini, interessi, valori professionali e
l’uso di colloqui psicologici, focus group, o procedure più complesse,
come il Bilancio di competenze, e dispositivi di tipo narrativo.
b) Esplorazione e valutazione con il cliente dei punti di forza
e di debolezza relativi al sé, alle interazione tra le variabili di contesto
e quelle personali nella prospettiva di rimuovere gli ostacoli che
bloccano un’azione positiva di costruzione della propria carriera
scolastico - professionale.
c) Sostegno e consulenza alla persona nell’acquisizione e
comprensione delle informazioni, nella definizione dei progetti di
sviluppo personale (di studio, formazione, inserimento lavorativo,
cambiamento del lavoro, reinserimento professionale, ecc.) e nella
scelta delle relative strategie di azione, consentendo all’individuo di
prendersi carico del proprio progetto di vita.
d) Consulenza alla persona per l’individuazione degli
obiettivi significativi (goal setting) rispetto al suo futuro per verificarne
insieme l’adeguatezza rispetto alle caratteristiche del contesto
familiare, sociale ed economico.
e) Progettazione e realizzazione di interventi di
autoriflessione e formazione individuali e di gruppo, per lo sviluppo di
competenze orientative mirate all’autodeterminazione nelle scelte e
nella autogestione dei percorsi formativi e lavorativi intrapresi dalle
persone.
f) Consulenza orientativa a individui e gruppi per la
prevenzione della demotivazione, delle condotte di indecisione e
procrastinazione, del disagio e stress con riguardo alle situazioni di
presa di decisione, di transizione a un nuovo contesto sociale (formativo
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

e lavorativo), di rischio di insuccesso scolastico - formativo, di perdita


del lavoro, ecc..
g) Attivazione di una relazione di aiuto sistematica
(counselling) finalizzata all’incremento delle credenze di auto-efficacia
scolastica e professionale; all’ampliamento della gamma delle opzioni
di scelta; all’aumento dell’autodeterminazione, dell’autoregolazione,
dell’empowerment, e della stima si sé.
h) Assistenza all’individuazione, nell’ambito dei servizi della
comunità, di supporti e risorse (cognitive, relazionali e sociali)
necessarie al potenziamento della prontezza professionale delle
persone e alla realizzabilità delle proprie aspirazioni e dei propri
progetti.
i) Progettazione, valutazione ed esecuzione di programmi di
intervento multidisciplinare nell’ambito delle strutture scolastiche e
formative e nei contesti di lavoro in funzione dei bisogni degli
utenti/clienti e per il miglioramento della loro efficacia/efficienza nel
seguire i loro percorsi di carriera.
m) Progettazione e realizzazione di schede ed esercizi
individuali e di gruppo per attivare l’automonitoraggio delle decisioni,
di protocolli di autovalutazione individuale, di strumenti comunicativi
per facilitare l’informazione orientativa, ecc..
n) Progettazione e applicazione di strumenti di valutazione
dell’efficacia di interventi e progetti multidisciplinari di orientamento.
o) Accompagnamento nelle fasi di inserimento scolastico o
lavorativo di giovani o adulti, che necessitano di particolari condizioni
di facilitazione per l’acquisizione delle competenze comportamentali o
trasversali richieste dai contesti formativi/professionali di riferimento
(ivi comprese azioni di negoziazione e mediazione a favore degli utenti
con le organizzazioni e /o con le famiglie).
p) Cooperazione al lavoro tecnico-organizzativo relativo ai
progetti, agli interventi, ai servizi e alle attività indicate nei punti
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

precedenti; infatti, data la natura multidimensionale


dell’orientamento, raramente esso si limita al solo rapporto con
l’utente, ma richiede specifiche competenze per la collaborazione tra
professionalità e servizi diversi, per la partecipazione attiva a reti
territoriali e/o virtuali e per il coordinamento di gruppi di lavoro, di
progetti e di servizi.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

2. STRUMENTI E ANALISI DEI DATI


Si pone l’esigenza di strumenti attendibili per controllare
l’effetto dell’intervento e consentire all’utente del servizio di
orientamento una verifica del raggiungimento degli obiettivi
concordati, ripetuta nei diversi cicli in cui l’intervento di orientamento
si articola.
Gli strumenti, oltre ad essere attendibili, è richiesto che
posseggano le seguenti caratteristiche:
 specificità e congruenza con i fini che l’intervento si propone.
Occorre diffidare di strumenti detti importanti da altri contesti
culturali o da altri ambiti di ricerca. A tal fine, questionari,
check-list, self report e griglie di osservazione già esistenti e
validati vanno preliminarmente adattati non solo al contesto
culturale, ma allo specifico campione con cui si lavora: solo così
sarà possibile evitare quei fenomeni di incomprensione o passiva
acquiescenza da parte dei soggetti, che finiscono con l’inficiare il
senso stesso della sperimentazione o dell’intervento di
orientamento.
 semplicità e rapidità di somministrazione, che permetta la
frequente ripetibilità nel corso dell’intervento;
 multimodalità: in presenza di oggetti di studio complessi,
l’integrazione fra più modi assessment, quali ad esempio il self-
report, e l’osservazione, costituisce una garanzia rispetto alla
necessità di cogliere aspetti diversi, e da differenti prospettive,
del fenomeno studiato.

Lo strumento deve consentire la valutazione di costrutti


fondamentali per l’intervento in campo orientativo, quali: la
rigidità/flessibilità cognitiva ed emozionale; la percezione e la
valutazione del sé (reale, ideale, sociale) e l’identità; l’acquisizione di
abilità sociali che garantiscono la competenza nel contesto di studio e
un proficuo adattamento lavorativo.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

Le tecniche di analisi dei dati devono essere congruenti ai


fini, agli strumenti usati e alle modalità con cui la ricerca o l’intervento
di orientamento si svolge.
Quando si tratta di dati di tipo longitudinale, ci si imbatte
nelle limitazioni di molte tecniche comunemente usate per l’analisi dei
cambiamenti, limitazioni di cui non sempre il ricercatore è consapevole.
Ad esempio, la verifica della significatività delle differenze
prima-dopo un trattamento presenta dei limiti rilevanti, primo tra tutti
quello relativo alla correlazione negativa tra la differenza di punteggio
del pre-test che comporta una maggiore probabilità di differenza
significativa quanto più il punteggio iniziale basso, e viceversa.
Inoltre, fatto apparentemente paradossale ma legato alle
assunzioni di base della teoria del testing, maggiore è la stabilità
(attendibilità test-retest) dello strumento utilizzato, minore diventa
per converso l'attendibilità dei punteggi di cambiamento.
Il problema è ancora più rilevante quando vengono
confrontate rispetto alle medie delle differenze prima-dopo, gruppi già
precostituiti (classi scolastiche, istituti eccetera) in cui il punteggio del
pre-test può servire solo a controllare le differenze esistenti e non, come
avviene invece di gruppi randomizzati, ad evitarle.
Una diversa soluzione alle difficoltà della valutazione degli
effetti di un trattamento di orientamento, limitata al confronto delle
differenze prima-dopo, può venire dall’esame dell’intero trend di
cambiamento, avvalendosi di misurazioni periodiche delle
modificazioni nelle variabili dipendenti in un gruppo di soggetti o in un
soggetto singolo.
L’uso di questa strategia consente di evitare, tra l’altro, i
problemi metodologici posti dalla difficoltà – comune nelle ricerche
applicative – di campionamento e di reperimento di appropriati gruppi
di controllo; il gruppo sottoposto al trattamento sperimentale diventa
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

controllo di stesso e il campione della ricerca è costituito non dai


soggetti ma dalle osservazioni.
Per la verifica delle ipotesi in disegni sperimentali di questo
tipo, strumenti appropriati sono le statistiche per l’analisi dei trend de
delle serie temporali.
Le variabili che interagiscono nel cambiamento sono
molteplici, e possono essere considerate attraverso avvalendosi di
tecniche di analisi multivariata.
I cambiamenti, ad esempio nella gerarchia dei valori
lavorativi o negli interessi, spontanei o conseguenti a un trattamento,
possono essere studiati mediante analisi multidimensionali, ponendo
in relazione più variabili misurate in tempo diverso nello stesso
soggetto o gruppi di soggetti.
Recenti applicazioni dell’analisi longitudinale di tecniche
multivariate quali le Equazioni Strutturali Lineari, consentono di
tener conto degli effetti di intervallo temporali nell’analisi causale.
Un vantaggio delle recenti tecniche multivariate consiste
nella possibilità di studiare tratti “latenti”.
Va ricordato che i modelli di misurazione possono contenere
variabili osservate (indicatori o variabili manifeste) e variabili
teoricamente individuate ma non direttamente osservabili (variabili
latenti).
L’empatia o la solidarietà sociale sono valori che possono
essere inferiti dall’osservazione di indicatori ad essi teoricamente
connessi.
Strumenti come l’analisi fattoriale o dei cluster o, più
recentemente, l’analisi fattoriale confermativa e l’analisi causale,
incluse nel modello delle Equazioni Strutturali, consentono lo studio di
tratti latenti.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

Così, per esempio, si può studiare l’evoluzione della tendenza


alla solidarietà nelle scelte lavorative, attraverso il variare in tempi
diversi di alcuni indicatori di queste possibili variabili latenti.
Va però ricordato che le tecniche multivariate di analisi dei
dati possono fornire una risposta adeguata alle esigenze di complessità
delle sperimentazioni applicative solo se usate in modo non meccanico
ma mirato, cioè sorretto da precise ipotesi teoriche.
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

3. COME SCEGLIERE UN TEST


Attualmente esiste una grande quantità di test che
consentono di misurare diversi costrutti psicologici e anche diversi test
che misurano lo stesso costrutto psicologico.
Di conseguenza, uno psicologo che per ragioni professionali o
di ricerca, si trovasse nella condizione di scegliere fra quelli disponibili
quali criteri di scelta dovrebbe adottare? Vediamo.
La valutazione della qualità di un test comporta una
riflessione sul significato e sulla rilevanza del costrutto che esso si
propone di misurare e sui punteggi che lo rilevano.
Pertanto, il punteggio in se stesso non è il costrutto, ma
rappresenta un’approssimazione del grado o livello di costrutto che
caratterizza gli individui sottoposti al test.
Chiedersi cosa valuta il test, quale sia il costrutto indagato,
non è una banale domanda da dare per scontata.
È anche implicato il tipo di utilizzo che si intende fare dei
punteggi, sia in relazione alle caratteristiche dei soggetti testati sia in
relazione al contesto di somministrazione.
Comprendere ciò che un costrutto significa comporta
esplicitarne i correlati comportamentali, cioè determinare come ci si
aspetta si comportino le persone che presentano livelli diversi degli
attributi specificati del costrutto.
Molto importante è verificare che il significato del costrutto,
al di là del nome, sia definito e concettualizzato in modo che
corrisponda a quanto ci si prefigge di esaminare.
Una definizione esplicita è data dall’autore nel manuale di
riferimento. Ma si possono anche andare a indagare i contenuti degli
item per verificare la definizione implicita del costrutto.
Si dovrebbe poter rispondere a queste domande:

□ La definizione del costrutto è sufficientemente chiara?


Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

□ Come si pensa che persone caratterizzate da diversi


livelli del costrutto si comportino?

□A quali concetti ci si aspetta che il costrutto sia


connesso?

□ Con quali concetti ci si aspetta che il costrutto non sia


in relazione?

□ Ci si aspetta che le differenze d’età o di sesso


influiscano sul costrutto?

□ In che modo il contesto di somministrazione influirà


sui punteggi?

□ In che modo i punteggi possono essere integrati con


altre informazioni sulla persona?

Occorre anche considerare gli scopi che l’autore ha avuto e


dichiarato nel costruire il test.
Occorre considerare, inoltre, le caratteristiche psicometriche
del test soprattutto in termini di attendibilità e come l’autore dà conto
di ciò.
Ci si aspetta una stabilità del punteggio che non dipenda da
elementi di errore che possano falsare la misura.
Si dovrebbe poter rispondere a queste domande:

□ Il manuale riporta le stime di attendibilità per


differenti popolazioni?

□ Il manuale riporta diversi tipi di attendibilità


(coerenza interna, fedeltà test-retest) ai fini per i quali
lo strumento è stato sviluppato?

□ Le stime di attendibilità sono congruenti con le


aspettative teoriche relative al costrutto?
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

□ L’errore standard di misura è riportato o, almeno, può


esser ricavato dal coefficiente di attendibilità e dalle
deviazioni standard?

□ L’errore standard di misura è stato utilizzato per


costruire un’area di fiducia attorno al punteggio?
Dopo aver considerato l’attendibilità si dovrà considerare la
validità del costrutto, in riferimento al contenuto, al costrutto o in
rapporto a un criterio.
Si dovrebbero considerare gli elementi che seguono.

□ Capacità degli item di rappresentare adeguatamente


il costrutto e di esserne un campione rappresentativo
(validità di contenuto). Se un test è finalizzato a
misurare un costrutto complesso e articolato, gli item
dovrebbero rifletterne la complessità.

□ Possibilità di utilizzare il punteggio ottenuto nel test


come indice predittivo, seppur con un certo margine di
errore, di uno specifico comportamento.

□ Relazione dei punteggi nel test con quelli ottenuti in


altri strumenti che misurano lo stesso costrutto
(validità convergente).

□ Relazione di punteggi nel test con quelli rilevati da


altri strumenti che misurano costrutti diversi
(validità discriminante)

□ Significato della correlazione dei punteggi delle


eventuali diverse sottoscale del test.
Il punteggio individuale in un test non è fornitore di
informazioni se non è confrontato con i punteggi di altre persone nello
stesso test. Prima di fare inferenze, si devono considerare le
Gianfranco Cicotto La psicometria nei percorsi di
orientamento

caratteristiche del gruppo normativo quali la metodologia di selezione


del campione e la sua ampiezza.
Un buon manuale dovrebbe anche fornire informazioni
sufficienti sui gruppi normativi così da permettere, chi voglia utilizzare
il test, di determinare quanto simile è il campione normativo alle
persone cui esso verrà somministrato.
Riassumendo, un buon manuale dovrebbe riportare quanto
segue.

□ Riferimenti teorici e metodologici del test


□ Descrizione esaustiva della struttura del test
□ Destinatari del test
□ Obiettivi e usi raccomandati
□ Qualifiche necessarie di chi lo somministra
□ Descrizione dello sviluppo del test e dei suoi item
□ Le istruzioni per la corretta somministrazione
□ Dati sull’attendibilità
□ Tabelle relative al campione normativo
□ Interpretazione dei punteggi del test
□ Profili
□ Ricerche
□ Bibliografia
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come possono essere


utilizzati test, questionari e griglie di osservazione nei processi di
selezione del personale.
Sarà spiegato come fare per individuare il livello di possesso di
determinate qualità psicologiche utili allo svolgimento della mansione.
Si vedrà come i test possono aiutare nella valutazione di
caratteristiche psicoattitudinali, di personalità, di espressione del sé e,
infine, di competenze o abilità necessarie allo svolgimento dei compiti
lavorativi.

Si vedranno le caratteristiche dei test di intelligenza come le


Matrici progressive di Raven, test di abilità di ragionamento critico
verbale e numerico, intelligenza emotiva e poi i questionari di
leadership agentica, valutazione delle capacità di ragionamento
deduttivo e della flessibilità cognitiva, e il popolare DAT-5 per la
misura delle abilità di ragionamento.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

1. COSA VALUTARE
La selezione del personale comprende una serie di attività volte
a individuare la persona migliore da inserire in azienda per una
specifica posizione lavorativa.

Non è questa la sede per descrivere le varie attività di indagine


e ricerca ma vediamo quali sono quelle che implicano la psicometria:

□ test
□ questionari
□ griglie di osservazione
Una parte del processo di selezione è volta alla ricerca di persone
che possiedono una forte preparazione e esperienza tecnico-
specialistica per la mansione da ricoprire. Non è questo l’ambito di
interesse della psicometria.

Un’altra parte del processo di selezione è l’individuazione del


livello del possesso di determinate qualità psicologiche utili allo
svolgimento della mansione.

Prima di individuare la persona migliore che può essere inserita


in azienda deve essere chiaro cosa dovrà fare questa persona in
azienda, con chi si deve relazionare, a chi deve rendere conto, deve cioè
essere chiaro il profilo della posizione.

Possono essere valutate le caratteristiche psicoattitudinali, di


personalità, di espressione del sé e, infine, le competenze o le abilità
necessarie allo svolgimento dei compiti lavorativi.

Quali sono le caratteristiche psicoattitudinali che possono esser


valutate?
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

 Attenzione

 Concentrazione

 Vigilanza

 Memoria a breve termine

 Memoria a lungo termine

 Capacità visuo-spaziale

 Capacità logico-numerica

Per ciascuna di queste può essere appropriatamente scelto il test


che servirà per valutare il livello posseduto dalla persona per quella
specifica risorsa psicoattitudinale.

Quali caratteristiche di personalità possono essere valutate?

 Apertura mentale

 Controllo delle emozioni

 Estroversione/introversione

 Dinamismo/staticità

 Affidabilità, coscienziosità

 Perseveranza, tenacia

 Resilienza

 Vigoria psicologica (hardiness)

Quali altre caratteristiche o qualità possono essere oggetto di


valutazione?

 Sistema valoriale

 Inventario di interessi

 Orientamento motivazionale
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

 Autoefficacia

 Capacità relazionale

 Capacità comunicativa

 Capacità di lavorare in gruppo

 Assertività/passività/aggressività

 Problem Solving

 Capacità di pianificazione

 Adattabilità

 Flessibilità

Possono essere valutate ancora molte altre caratteristiche


personali e per ciascuna di esse si può scegliere tra diversi test e
questionari.

Per alcune caratteristiche, come quella della capacità di lavorare


in gruppo, è opportuno osservarla con un’esercitazione di gruppo e dei
valutatori osservano il comportamento e su una griglia segnano il
livello di espressione di determinati parametri.

Queste griglie possono includere espressioni verbali e non


verbali, capacità di ascolto, di influenzamento, di mediazione, di
negoziazione, di persuasione, di ragionamento o di imposizione,
aggressività o passivismo, leadership e così via.

In questo caso, i valutatori devono poter esprimere un giudizio il


più possibile uniforme, ed è quindi necessario un training precedente
alla prova affinché possano impostare con una certa uniformità i criteri
di giudizio.

Come devono essere utilizzati i punteggi dei test?


Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

Dipende dagli obiettivi di selezione, e la cosa non è per niente


ovvia.

Facciamo solo qualche esempio.

Se si deve selezionare un venditore quale deve essere il giusto


mix tra capacità di lavorare in gruppo, orientamento all’obiettivo,
empatia, assertività, valori, estroversione e così via? Sarà certamente
diverso da chi deve fare il controllo qualità per aziende che producono
beni e servizi, o che si occupano di customer service telefonica.

L’eccellenza professionale sta nell’individuare non solo i test più


appropriati, ma anche quanto ciascuno deve incidere sul totale.

Per esempio, se si sta svolgendo una selezione per dei dipendenti


che svolgeranno un lavoro di alta qualità ma secondo determinate
procedure, posso anche utilizzare un test che mi valuti la leadership e
l’orientamento motivazionale all’innovazione, ma dovranno restituire
un punteggio basso, cioè: più hanno capacità di leadership e più sono
orientati ad innovare, meno sono adatti per quel posto dove – invece –
è richiesta la subordinazione gerarchica e l’adesione ai protocolli.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

2. TEST DI INTELLIGENZA
Matrici progressive di Raven (edizione italiana di A. Di
Fabio e S. Clarotti). Advanced Progressive Matrices (APM)1,
Valutazione dell’intelligenza non verbale.

Pubblicato per la prima volta nel 1969, si compila con una


somministrazione che dura dai 20 ai 45 minuti circa. È stato tarato su
un campione, intercettato nel 2005, di 960 studenti 4°-5° anno scuola
secondaria di II grado, 679 universitari, 127 adulti in selezione. I
destinatari sono adolescenti e adulti.

Le Matrici progressive di Raven misurano l’intelligenza non


verbale durante tutto l’arco dello sviluppo intellettivo, dall’infanzia alla
maturità, indipendentemente dal livello culturale.

Le Matrici costituiscono uno degli strumenti più utilizzati per la


misurazione dell’intelligenza “fluida” e richiedono di analizzare,
costruire e integrare fra loro una serie di concetti, in modo diretto,
senza ricorrere a sottoscale o sommatorie di fattori secondari.

Le Matrici si compongono di 48 item divisi in 2 serie la prima (di


pratica) di 12 item, da somministrare in 5 minuti, e la seconda di 36
item, da somministrare con un tempo limite di 40 minuti).

Ciascun item richiede di completare una serie di figure con


quella mancante, rispetto a un modello presentato, secondo un criterio
di difficoltà crescente.

Le figure-modello comprendono motivi grafici che si modificano


da sinistra a destra e dall’alto verso il basso; il soggetto deve
comprendere le logiche sottostanti e applicarle per giungere alla
soluzione.

1
Raven, J. (1994). Manual for Raven's progressive matrices and mill hill vocabulary scales.
Advanced progressive matrices.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

Questo tipo di test misura l’intelligenza fluida e prescinde dalla


comprensione verbale e numerica. Questo lo rende adatto ad essere
utilizzato per tutti quei lavori dove il ragionamento e l’esecuzione
implicano il canale visivo e dove la prestazione lavorativa è manuale.

Test di abilità di ragionamento critico verbale e


numerico. Può essere utilizzato il Critical Reasoning Test
Battery. Si tratta di un test edito dalla The British
Psychological Society per la Psytech International Ltd.

La batteria di test di ragionamento critico consiste in due test di


abilità, che misurano il ragionamento verbale e numerico.

Il test verbale di 40 item da svolgersi in 15 minuti consiste in


affermazioni la cui verità deve essere valutata alla luce di una serie di
passaggi. Il punteggio può utilizzare un fattore di correzione per la
possibilità di indovinare le risposte dato il suo formato di risposta a 3
punti.

Il test numerico contiene 25 problemi di parole da risolvere


utilizzando i dati delle tabelle in 25 minuti. Sono disponibili sei opzioni
a scelta multipla e nessuna correzione per l'ipotesi viene utilizzata nel
punteggio.

Il contenuto dei passaggi verbali e delle tabelle numeriche


riflette generalmente argomenti di business e sono presentati in uno
stile simile a quello trovato nelle pagine finanziarie della stampa
quotidiana.

Il test può essere somministrato tramite computer o carta e


matita con un singolo opuscolo riutilizzabile contenente i due test e il
foglio di risposta auto-valutazione.

La versione italiana è strutturato in modo da misurare le


capacità di fare inferenze e trarre conclusioni logicamente conseguenti
da informazioni complesse presentate in forma di brevi brani, per il test
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

di ragionamento verbale, in diagrammi e tabelle per il test di


ragionamento numerico. Inoltre misurano la capacità di estrarre ed
elaborare le informazioni rilevanti dal contesto problematico
presentato.

Qual è il limite e contemporaneamente uno dei suoi suo pregi? Il


fatto che può essere utilizzato nella selezione di personale di medio alto
livello, nell’analisi del potenziali per neolaureati o laureati, o per la
selezione di personale manageriale di medio e di alto livello.

Questo mostra quanto sia importante che l’autore indichi il


costrutto, i destinatari e le modalità di interpretazione dei punteggi.

Intelligenza emotiva. Uno dei test che possono


essere utilizzati è il EQ-i Emotional Quotient Inventory di R.
Bar-On2 (edizione italiana di M. Franco e L. Tappatà).

Il test è utile per predire il successo in molte attività, per la


selezione e la formazione del personale ed efficace ai fini
dell’orientamento professionale.

L’EQ-i valuta la competenza emotiva, sociale e personale


dell’individuo. L’EQ-i permette di individuare cinque scale principali e
quindici sottoscale, che forniscono un punteggio Totale QE, oltre a
quattro indici di validità delle risposte.

Le scale principali sono:

Intrapersonale: consapevolezza di sé e delle


proprie capacità nell’espressione e comprensione
dei propri stati d’animo, pensieri e idee;

Interpersonale: capacità di comprendere ed


apprezzare i sentimenti altrui instaurando e
mantenendo relazioni interpersonali responsabili

2
Bar-On, R. (2002). BarOn emotional quotient inventory. New York: Multi-Health Systems.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

e soddisfacenti, oltre alla capacità di essere


consapevole del proprio mondo emotivo e di essere
in grado di esprimere i propri sentimenti ed
emozioni;

Adattabilità: capacità di verificare oggettivamente i propri


stati d’animo e quelli degli altri in funzione delle
richieste dell’ambiente esterno, mostrando
flessibilità nel gestire e modificare emozioni e
pensieri al cambiare delle situazioni;

Gestione dello Stress: capacità di gestire le situazioni


stressanti tenendo sotto controllo le forti emozioni
e gli impulsi;

Umore Generale: capacità di essere ottimisti, saper provare


ed esprimere sentimenti positivi e saper godere
della presenza degli altri.

Ognuna delle dimensioni principali è composta da

alcune sottoscale riferite ad aspetti diversi di ogni singola dimensione:

Autoconsapevolezza Emotiva, Assertività, Considerazione di


Sé, Realizzazione di Sé, Indipendenza per il
fattore Intrapersonale;

Empatia, Relazioni Interpersonali, Responsabilità Sociale


per il fattore Interpersonale;

Problem Solving, Esame di Realtà, Flessibilità per il fattore


Adattabilità;

Tolleranza dello Stress e Controllo degli Impulsi per il


fattore Gestione dello Stress;

Felicità e Ottimismo per il fattore Umore generale.


Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

In situazione “neutra” vengono forniti tre Item critici che fanno


riferimento agli Stili Depressivo, Psicotico e Perdita del Controllo
mentre in situazione “competitiva” viene fornito lo Stile di leadership.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

3. TEST DI LEADERSHIP E RAGIONAMENTO


Questionario di leadership agentica. Agentic
Leadership Questionnaire (ALQ). Valutazione dell’attività
gestionale di soggetti in ambito organizzativo, di Laura
Borgogni, Laura Petitta, Silvia Dello Russo e Andrea
Mastrorilli (Giunti OS).

L’ALQ è un questionario self-report relativo ai comportamenti


messi in atto da chi coordina altre persone ed è pertanto riservato
esclusivamente a gestori RU.

Lo strumento s’inscrive all’interno della tradizione di ricerca


sulla leadership, ma tiene anche in considerazione la teoria Social
Cognitiva di Bandura che sostiene l’importanza della human agency,
ovvero della capacità agentica dell’uomo, che indica proprio la sua
capacità di “far accadere le cose”, di influenzare attivamente l’ambiente
che lo circonda e di contribuire a causare ciò che gli accade.

L’ALQ misura due macro-categorie di comportamenti del leader:

 quelli relativi alla Gestione delle attività;

 quelli riferiti alla Gestione dei collaboratori.

Ciascuna categoria è inoltre suddivisa in due tipologie di


comportamenti:

o quelli più orientati al mantenimento della


situazione corrente, ovvero comportamenti di
Manutenzione;

o quelli più legati ad iniziative nuove e che


denotano quindi proattività e la fattiva ricerca
di un miglioramento continuo, ovvero i
comportamenti di Sviluppo.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

Infine, a completamento di una vasta cornice teorica di


riferimento, lo strumento contempla una terza dimensione del leader
agentico (la Gestione di sé) nella quale vengono enfatizzate rilevate
caratteristiche personali che contraddistinguono i leader efficaci, come
l’Autoregolazione, la Passione, l’Etica personale e la tensione al
miglioramento continuo (Self-enhancement).

Le scale sono integrate da una scala di validità (Desiderabilità


sociale), volta a misurare la tendenza a fornire un profilo socialmente
desiderabile.

Valutazione delle capacità di ragionamento


deduttivo e della flessibilità cognitiva. CLAVES di N.
Seisdedos Cubero (edizione italiana di S. Clarotti, A. Di
Fabio e M. Mariani).

Il CLAVES è un test di valutazione di abilità intellettive


superiori.

Il compito consiste, per ogni item, nel comprendere contenuto e


struttura di sei parole con lo stesso numero di lettere e nello scoprire
la relazione che le lega a sei gruppi di un numero uguale di simboli, con
l'obiettivo d'identificare il simbolo corrispondente a una determinata
lettera.

Attraverso un compito di ragionamento deduttivo, il soggetto


può trovare la soluzione in una o più fasi, in funzione delle proprie
abilità intellettive e di quanto riesca a focalizzare il problema.

Inoltre, per ottenere un buon risultato in un tempo limitato, è


necessario applicare un certo grado di attenzione e concentrazione sulla
molteplicità di stimoli presenti in ogni problema.

Sembra anche necessaria una buona memoria di lavoro che


permetta di mantenere e utilizzare i risultati parziali per raggiungere
la soluzione.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

In definitiva è l'insieme delle attitudini valutate (che si collocano


fra le più elevate) a fare del CLAVES uno strumento di grande utilità
in differenti ambiti di lavoro e scolastici.

In Internet-Test (Giunti OS) il CLAVES è provvisto di due set di


norme differenti: quelle standard qualora il test sia stato
somministrato nella versione carta e matita (sono le norme riportate
nel manuale del test) e quelle appositamente messe a punto per la
somministrazione online: per un test cognitivo infatti e a tempo, come
è il CLAVES, la modalità di somministrazione (tradizionale o via
computer) può influenzare la prestazione del soggetto.

Per questa ragione è stata condotta una ritaratura del test,


somministrando la versione online presente in Internet-Test ad un
campione di 209 soggetti.

Internet-Test permette di scegliere quali norme utilizzare in


funzione della modalità di somministrazione (carta e matita o online).

Abilità di ragionamento. DAT-5 di George K.


Bennett, Harold G. Seashore, Alexander G. Wesman.

La batteria DAT-5 misura la capacità di apprendimento, o di


riuscita, in una serie di aree diverse quali il ragionamento meccanico,
il ragionamento verbale, il ragionamento numerico ed i rapporti
spaziali. Il DAT-5 è una batteria attitudinale, ovvero rileva la capacità
di apprendere sulla base di appropriati stimoli e input ambientali.
L’edizione presentata da Giunti OS online è l’ultima e la più aggiornata
della celebre batteria messa a punto a partire dal 1962
nell’adattamento italiano e periodicamente rinnovata nei contenuti e
dati normativi. Rispetto alle versioni precedenti, lo strumento presenta
diversi aspetti di innovazione:

Il DAT-5 è composto da 7 test.


Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

Ragionamento Meccanico: misura l’abilità di comprendere i


principi meccanici di macchinari e attrezzature.
Ogni item consiste di un’immagine di un congegno
meccanico e di una domanda formulata in termini
semplici. Adatto ad essere impiegato in professioni
che richiedono buone abilità meccaniche, come
quelle del carpentiere, del tecnico e dell’operatore
alle macchine.

Velocità e Precisione: misura l’abilità di porre a confronto e


siglare con rapidità e precisione liste presentate in
forma scritta. L’enfasi degli item è posta sulla
velocità di esecuzione. Può predire la riuscita in
compiti di ufficio quali archiviazione e siglature e
in lavori che richiedono di trattare dati tecnici e
scientifici.

Ragionamento Astratto: rileva in che misura i soggetti sono


capaci di ragionare con figure o disegni geometrici
ed è una misura non verbale dell’abilità di
ragionamento. È spesso determinante nei corsi e/o
professioni in ambito matematico, informatico e
ingegneristico.

Ragionamento Numerico: misura l’abilità di svolgere


compiti di ragionamento matematico. Per
garantire che sia rilevata l’abilità di ragionamento
piuttosto che quella di calcolo, la capacità di
calcolo richiesta dai problemi è inferiore a quella
prevista dal livello di scolarizzazione. Può essere
utile per predire la riuscita in molti ambiti
professionali, incluso quelli commerciali, giuridici,
educativi, giornalistici e scientifici.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella selezione del
personale

Ragionamento Verbale: è composto da analogie tra coppie


di parole poste in relazione tra loro ed è centrato
sull’abilità inferenziale. È importante in ambiti
professionali quali quelli educativi, giuridici e
scientifici.

Rapporti Spaziali: valuta l’abilità di visualizzare un


oggetto tridimensionale a partire dalla rotazione
di una configurazione a due dimensioni. Tra gli
ambiti professionali che richiedono una buona
capacità di rotazione spaziale rientrano la
progettazione, l’architettura, il design e
l’odontoiatria.

Uso del Linguaggio: misura l’abilità di rilevare errori di


grammatica, punteggiatura e sintassi. Un buon
livello di capacità linguistiche è necessario per
svolgere la maggior parte dei lavori che richiedono
un titolo di istruzione superiore.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

La lezione ha l’obiettivo di far conoscere gli elementi essenziali della


valutazione del personale in riferimento a cosa valutare e a come valutarlo.
È quindi spiegato come avviene il processo di valutazione e quali sono
gli oggetti della valutazione.
Sarà spiegato come costruire gli indicatori in base ai criteri prefissati
al fine di renderli numericamente apprezzabili.
Attraverso degli esempi sarà mostrato come procedere per stabilire
oggetti, criteri, ambiti e modalità di assegnazione dei punteggi/valori che
concorrono alla valutazione sia individuale che collettiva.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

1. COSA VALUTARE
Il processo di valutazione rappresenta lo snodo cruciale
dell’intero ciclo di gestione delle Risorse umane, dato che dal suo
efficace svolgimento dipende in larga misura la qualità delle
conseguenti scelte in ambito retributivo, formativo e di sviluppo di
carriera.

La valutazione ha subito un’evoluzione tale per cui si è


passati da singola attività a sistema e di processo, come parte di un più
ampio approccio strategico, attraverso cui le organizzazioni cercano
non solo di valutare i dipendenti ma anche di migliorarne le
competenze e attribuire le ricompense.

È consolidato il modello detto delle 3 P in quanto si valutano


la Posizione, la Prestazione e il Potenziale. Vedremo in quali modi la
psicometria entra come scienza statistica nel merito delle valutazioni.

La valutazione della posizione influisce sulle scelte


retributive.

La valutazione della prestazione influisce sulle ricompense e


sulle scelte formative.

La valutazione del potenziale indirizza i piani di sviluppo e


la formazione di futuri ruoli.

Il processo di valutazione è costituito da diverse fasi:

1. Definire gli obiettivi e gli oggetti della valutazione

2. Identificare i limiti e le influenze legate al contesto e


alla cultura

3. Determinare chi svolgerà la valutazione

4. Selezionare i metodi adatti agli obiettivi e agli oggetti


di valutazione
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

5. Formare i valutatori

6. Osservare, documentare, raccogliere le informazioni e


i dati su cui basare la valutazione

7. Formulare la valutazione sulla base delle


informazioni e dei dati raccolti

8. Comunicare i risultati della valutazione al valutato

9. Utilizzare la valutazione per le decisioni sul futuro


professionale del valutato

Oltre alla valutazione delle posizioni, delle prestazione e del


potenziale, oggigiorno sono valutate anche le competenze.

La valutazione delle prestazioni si propone di stabilire


quanto la persona abbia contribuito al raggiungimento dei risultati
aziendali.

Prevede il confronto tra gli obiettivi prefissati (i


comportamenti richiesti o i compiti assegnati) e i risultati finali
effettivamente raggiunti (i comportamenti attivati o i compiti svolti in
un dato periodo di tempo).

La valutazione delle prestazioni è in genere articolata in


quattro fasi e dai suoi esiti si decidono politiche meritocratiche, azioni
di sviluppo e modalità per ottimizzare la prestazione.

Le 4 fasi della valutazione delle prestazioni sono:

1. stabilire le prestazioni attese

2. compiere verifiche periodiche

3. valutare le prestazioni realizzate

4. comunicare i risultati della valutazione


Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

La valutazione del potenziale si concentra sulle


caratteristiche possedute ma non ancora espresse nel ruolo ricoperto,
perché non richieste dall’attività svolta.

La valutazione delle competenze si rivolge all’esame del


patrimonio di conoscenze, qualità e capacità possedute e dalla loro
coerenza rispetto agli obiettivi organizzativi; in questa accezione, le
competenze rappresentano un insieme di dimensioni individuali
determinanti per il successo della prestazione lavorativa.

Oggetto di valutazione e osservazione sono i tratti, i


comportamenti e i risultati.

La valutazione dei tratti si concentra su ciò che la persona è,


e l’attenzione è rivolta alle caratteristiche personali quali gli aspetti di
personalità, le abilità, le doti, i talenti.

Maggiormente rilevante in ambito organizzativo sono i


comportamenti agiti dalla persona.

In questo caso gli oggetti della valutazione sono elementi


osservabili, facilmente identificabili e documentabili con adeguata
precisione.

La valutazione dei comportamenti presenta il vantaggio


della maggiore semplicità di individuazione e misurazione.

Poiché certi livelli di prestazione sono raggiungibili con


comportamenti diversi, in questo caso è più appropriato valutare i
risultati, cioè gli effetti del comportamento.

Comportamenti, prestazioni e risultati possono essere


valutati non solo a livello personale ma anche a livello di gruppo.
Questo accade specialmente quando il lavoro di squadra è diffuso e
strettamente connesso al raggiungimento degli obiettivi.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

In generale, con il crescere del livello di autonomia e di


discrezionalità del ruolo ricoperto, l’attenzione valutativa si sposta
dagli aspetti comportamentali a quelli legati ai risultati ottenuti.

In particolare, nella gestione dei manager viene


frequentemente adottato uno strumento che, per l’attribuzione delle
ricompense, fa riferimento quasi esclusivamente ai risultati raggiunti.
Tale metodo prende il nome di Management by Objectives.1

Secondo questo metodo, il responsabile definisce gli obiettivi


da raggiungere entro un certo periodo di tempo. Tali obiettivi vengono
poi descritti nel dettaglio in riferimento ai risultati attesi, alla loro
difficoltà (impegnativi ma non impossibili), e alla loro misurabilità. Gli
obiettivi e i criteri che verranno adottati per la loro misurazione,
devono essere condivisi dal valutato e dal valutatore. Al termine del
periodo si realizzano la verifica e la misurazione dei risultati raggiunti
che, infine, sono comunicati al valutato.

1
Drucker, P. F. (1954). Management by objectives and self-control. Practice of Management.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

2. METODI E INDICATORI
Ci occupiamo di metodi formalizzati, caratterizzati
dall’applicazione periodica e costante di strumenti oggettivi per la
valutazione di dimensioni prefissate.

La formalizzazione del processo di valutazione consente di


contenere le distorsioni e dunque di ottenere risultati che possono
essere inseriti in un sistema volto a orientare e sostenere la gestione
del personale.

La misura, a seconda della natura della dimensione che si


sta valutando, può essere oggettiva o soggettiva.

L’ambito delle misure oggettive è costituito dalla valutazione


dei risultati con elementi che siano chiaramente identificabili e
conteggiabili, che permettono di ricavare indicatori oggettivi.

La difficoltà che si incontra con questi indicatori è quando si


ha a che fare con professioni nelle quali non è possibile individuare un
output concreto del lavoro, oppure esso è poco quantificabile, o
fortemente da caratteristiche situazionali che pongono il risultato al di
fuori del controllo delle persone.

Le misure soggettive hanno come oggetto di valutazione i


comportamenti o i tratti degli individui.

Anche questi metodi possiedono punti di debolezza,


determinati proprio dalla presenza della soggettività del giudizio
umano.

La costruzione di un sistema di valutazione dovrebbe


necessariamente tenere conto di alcuni elementi di fondo:

 l’aderenza rispetto alle prassi quotidiane di lavoro, di


cui dovrebbe rappresentare, per così dire, una
formalizzazione;
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

 la coerenza rispetto agli orientamenti culturali e agli


altri sistemi di gestione delle risorse umane presenti
nell’organizzazione;

 l’impatto profondo rispetto ai comportamenti delle


persone, nel senso che la valutazione è tra i sistemi del
personale quello che più incide sullo svolgimento delle
attività quotidiane;

 la triangolazione di obiettivi/interessi tra


organizzazione, valutatore e valutato, che necessita di
essere compresa e gestita in tutte le sue sfumature e
implicazioni.

Sulla base della diversa fonte da cui provengono i fatti che


costituiscono la base della raccolta dati e dell’elaborazione delle
informazioni, si possono identificare due categorie: metodi diretti e
indiretti.

Nel metodo diretto i fatti vengono rilevati coinvolgendo in


prima persona il valutato attraverso strumenti appositamente
sviluppati.

Nel metodo indiretto le informazioni vengono raccolte


tramite altri soggetti che, in virtù della loro relazione con il valutato,
possono essere considerati testimoni privilegiati, come per esempio il
capo diretto, i colleghi o altri ancora.

Gli elementi caratteristici dei metodi diretti e indiretti sono


elencati in tabella, dove in grassetto sono indicati gli strumenti
statistici utilizzati per la raccolta dei dati.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

Metodo diretto Metodo indiretto

Fonte informativa Persona oggetto di Superiore della


analisi persona oggetto di
analisi

Strumenti Test Intervista diretta

Questionari Intervista indiretta

Esercitazioni di
gruppo

Colloquio individuale

Contenuto Osservazioni Osservazioni


compiute nel contesto compiute nel contesto
del setting di analisi e del lavoro e riportate
riferite alla griglia che l’intervistatore
riferisce alla griglia

Conduttore Specialista con Specialista con


formazione formazione in
psicologica, di solito tecniche di intervista,
esterno conoscitore della
all’organizzazione griglia,
interno/esterno
all’organizzazione

Tra metodo diretto e indiretto non esiste un meglio e un


peggio in assoluto ma il professionista sceglierà o uno o l’altro a seconda
del contesto, degli obiettivi e delle persone coinvolte.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

Successivamente alla scelta della metodologia per la raccolta


dei dati, preferibilmente mista per migliorare l’esaustività, si devono
costruire gli indicatori.

La scelta degli indicatori e la loro applicazione è l’elemento


cruciale. Un sito governativo italiano fornisce le seguenti
raccomandazioni.2

Il set di indicatori associato agli obiettivi


dell’amministrazione deve essere caratterizzato da:

precisione, o significatività, intesa come la capacità di un


indicatore o di un insieme di indicatori di misurare
realmente ed esattamente il grado di raggiungimento
di un obiettivo. Fra i tanti indicatori possibili occorre
quindi selezionare quelli che consentono di
rappresentare meglio i risultati che si vogliono
raggiungere. L’impatto e l’efficacia sull’utente interno e
esterno sono un elemento guida per la precisione. Se, ad
esempio, si pone come obiettivo il “miglioramento della
mobilità sostenibile” e circoscrivendo la “mobilità
sostenibile” al solo servizio di car sharing, misurare
l’aumento del numero medio degli utenti giornalieri
potrebbe essere più utile che misurare l’aumento totale
del numero di utenti;

completezza, ossia la capacità del sistema di indicatori di


rappresentare le variabili principali che determinano i
risultati dell’amministrazione. Riprendendo l’esempio
del “miglioramento della mobilità sostenibile” non sarà

2
http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/02-01-2018/linee-guida-il-sistema-
di-misurazione-e-valutazione-della#_Toc502226250
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

sufficiente avere un indicatore che misura la quantità


di incentivi erogati, ma si dovrà misurare anche
l’aumento del numero di utenti dei servizi di mobilità
sostenibile, l’aumento della disponibilità (in termini di
numero di mezzi, numero e lunghezza delle linee, etc.)
dei servizi di mobilità sostenibile, etc. Anche in questo
caso l’impatto e l’efficacia sull’utente sono un elemento
guida, da associare all’efficienza e efficacia dei processi
o progetti che portano a determinare una migliore o
peggiore performance sugli utenti.

L’incompletezza e la scarsa precisione hanno implicazioni sia


sulla fase di pianificazione che su quella di misurazione e valutazione.
In fase di pianificazione, infatti, esse possono portare ad una scelta
errata delle modalità operative più efficaci da adottare per raggiungere
l’obiettivo. In fase di misurazione e valutazione possono, invece,
comportare una valutazione non corretta del grado di raggiungimento
degli obiettivi e la mancata corretta identificazione dei motivi di uno
scostamento tra valori target previsti e risultati effettivi.

Ciascun indicatore utilizzato, inoltre, deve possedere i


seguenti requisiti:

tempestività, intesa come la capacità di fornire le


informazioni necessarie in tempi utili ai decisori; vi
possono essere indicatori estremamente interessanti
ma i cui valori sono resi disponibili solo con un certo
ritardo rispetto al periodo al quale si riferiscono e
questo li rende spesso inutilizzabili perché il processo
di misurazione e valutazione deve completarsi con una
tempistica predefinita;

misurabilità: capacità dell’indicatore di essere quantificabile


secondo una procedura oggettiva, basata su fonti
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

affidabili. È fortemente sconsigliato, ad esempio,


l’utilizzo di indicatori basati su giudizi qualitativi
espressi del personale stesso. Poco appropriati anche
indicatori quantitativi ma non presidiati dalle strutture
di supporto alla programmazione. Si pensi, ad esempio,
all’attività di vigilanza di un Ministero. In alcuni casi a
questa attività è associato l’indicatore “n° schede
elaborate”. Questo indicatore oltre ad essere incompleto
e impreciso (vedi sopra), è spesso misurato
direttamente dalle strutture che lo gestiscono, non
condividendo procedure e database con gli uffici di
supporto alla programmazione. Più in generale
l’affidabilità delle fonti interne (quindi legate a sistemi
informativi strutturati) o esterne (fonti ufficiali) è
centrale per la misurabilità. Le autodichiarazioni poco
si sposano con questo requisito.
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

3. ESEMPI APPLICATIVI
Ogni azienda o Pubblica Amministrazione ha al suo interno
un organo che si occupa della valutazione del proprio personale.

Vediamo il caso della valutazione delle performance


dell’Università degli Studi di Cagliari, nella quale si utilizzano i
seguenti criteri.

Intanto dispone che i comportamenti organizzativi da


valutare siano diversi a seconda della categoria:
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

Gli indicatori così costruiti sono utilizzati per esprimere un


giudizio numerico.

Per gli obiettivi:

Per i comportamenti organizzativi:

Per la performance organizzativa:


Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

Al termine della valutazione si ha un punteggio relativo a


ciascuno dei seguenti fattori:

1. raggiungimento degli obiettivi

2. comportamenti organizzativi

3. contributo alla performance organizzativa

In considerazione della categoria ricoperta dal valutato,


ciascun fattore avrà pesi differenti, come riportato nella seguente
tabella riassuntiva:

Ne consegue che il punteggio finale della valutazione della


performance individuale è il risultato della media ponderata dei suoi
fattori, secondo la seguente formula (in cui: F1 = fattore obiettivi; F2 =
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

fattore comportamenti; F3 = fattore contributo alla performance


organizzativa):

Il punteggio così ottenuto determinerà la valutazione delle


prestazioni individuali. La valutazione è considerata positiva se le
prestazioni sono almeno “adeguate”, ossia se il punteggio finale è
uguale o maggiore a 3.

Un altro interessante esempio è dato da una società di


consulenza (EBC Consulting)3, la quale propone diversi indicatori
raggruppati in diverse aree per i quali sono introdotti i dati singoli e
riassunti in tabelle e grafici.

Gli indicatori sono di seguito elencati e sono solo un esempio


della complessità della materia.

INDICATORI DI TREND AZIENDALI: misure relative all'andamento


di importanti parametri aziendali

Efficienza di base
• indice di assenteismo del personale;
• Indice di assenteismo diviso per reparto, divisione, stabilimento,
area aziendale, ruolo e responsabile diretto;
• Indice di straordinario - ore straordinario / ore totali;
• Indice su ritardi;
• Indici separati malattia, visibili per singola divisione, mansione e
responsabile.

Formazione del personale

3
https://www.ebcconsulting.com/indici-analisi-ed-indicatori-di-misurazione-della-divisione-
risorse-umane.html
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

• Indice di valutazione, apprezzamento e soddisfazione dei corsi di


formazione;
• Indice di utilizzo delle ore disponibili di formazione;
• Indici sull’assenteismo in ambito formativo;
• Indici di efficacia degli interventi formativi, valutazione
incrementi delle competenze, delle conoscenze e delle specificità
applicate in seguito alla formazione eseguita;
• Indicatore % personale formato su totale personale;
• Indicatore ore di formazione erogate in un periodo di tempo in
analisi;
• Indicatore ore di formazione all’anno / per soggetto aziendale;
• Indicatori percentuali sull’approvazione dei formatori da parte dei
discenti;
• Indicatori sul numero di richieste formative elevate dai soggetti o
dai loro responsabili;
• Indicatori sulle attività formative proposte al personale ed
accettate;
• Indici di soddisfazione sui corsi svolti;
• Indici sulla somministrazione delle attività formative, on site in
aula oppure a distanza e-learning;
• Indici di crescita delle competenze generali, grazie alla
formazione, con analisi riferite alle singole attività formative, agli
insegnati, alle aree aziendali ed alle modalità di somministrazione
della formazione;
• Analisi della crescita personale e di gruppo delle conoscenze del
personale;

Indici generali
• % di ore lavoro indiretto / ore lavoro totale;
• turn over generale (numero di soggetti usciti/numero soggetti
inseriti);
• turn over interni (numero di soggetti dimessi/numero soggetti
assunti);
• indicatori di motivazione del personale;
• indicatori sulla soddisfazione del personale;
• Indicatori suoi tempi di risposta e soluzione alle richieste interne
del personale;

Indicatori sul personale in relazione all’attività dell’azienda


• Indicatori sulle percentuali di prodotto e/o servizi venduti
dall’azienda in relazione al numero di soggetti attivi in azienda;
• Indicatori sul numero di reclami presentati dai clienti, in
relazione ai servizi e/ prodotti forniti dall’azienda; analisi per
dipendente, reparto, zona e prodotto;
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

Indicatori sul personale in relazione alla divisione qualità


dell’azienda
• n° di non conformità rilevate e/o assegnate al personale, con
analisi per reparto, prodotto, responsabile di riferimento, divisione ed
azienda;
• Indicatori sul numero di non conformità registrate a
prodotto/servizio consegnato;
• Suggerimenti ricevuti dal personale, indicatori sul numero ed
analisi di provenienza e qualità degli stessi suggerimenti;

Indicatori sul personale in relazione alla produzione delle


buste paga
• Errori nello svolgimento delle buste paga;
• Errori nel calcolo dei modelli di fine anno;
• Indicatori sul tempo di risposta per domande del personale sulla
loro busta paga.
MISURE DELLA PERCEZIONE - misure della percezione del
personale relativamente all’organizzazione
MOTIVAZIONE
 Responsabilizzazione
- Numero di passaggi interni a livelli di maggiore responsabilità
(analisi andamento negli anni)
 Pari opportunità
- Incrementi presenza donne in corso d’anno (in particolare in
posizioni di responsabilità) nei vari comparti organizzativi
- Eguaglianza retributiva fra donne ed uomini nei vari comparti
organizzativi
- Eguaglianza retributiva fra personale italiano, della comunità
europea, extracomunitario nei vari comparti organizzativi
- Età media dei collaboratori (analisi andamento negli anni) nei
vari comparti organizzativi
 Opportunità di miglioramento professionale
- Ore formazione professionalizzante offerte al personale in corso
d’anno (analisi andamento negli anni) nei vari comparti
organizzativi
 Formazione e Sviluppo
- Ore formazione in generale offerte al personale in corso d’anno
(analisi andamento negli anni)
- Ore formazione mirata alla Sicurezza e Prevenzione offerte al
personale in corso d’anno nei vari comparti organizzativi (analisi
andamento negli anni)
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

- N° apprendisti in corso d’anno / N° addetti in forza prossimi al


pensionamento in corso d’anno

SODDISFAZIONE
 Condizioni di Salute e Sicurezza
- Comparazione fra Ore formazione mirata alla Sicurezza e
Prevenzione realmente partecipate, n° incidenti occorsi, gravità
delle conseguenze degli incidenti occorsi
 Equità retributiva
- Aumenti retributivi in corso d’anno in relazione all’indice di
inflazione
- Analisi equità retributiva interna nei vari comparti
organizzativi
INDICATORI DI PERFORMANCE: misure interne per analizzare,
prevedere e migliorare la performance e le percezioni del personale
RISULTATI
 Esigenze di competenza nel ruolo Vs competenze espresse
dalle persone nel ruolo
- Calcolo Indice di adeguatezza generale al Ruolo per ciascuna
posizione organizzativa nei vari comparti organizzativi
(valutazione competenze espresse rispetto a tutte le competenze
attese nel ruolo)
- Calcolo Indice di adeguatezza Sicurezza nel Ruolo per ciascuna
posizione organizzativa nei vari comparti organizzativi
(valutazione competenze espresse rispetto alle competenze di
sicurezza attese in ogni posizione)
 Successo dei programmi di formazione professionale
- Ore formazione professionalizzante offerte al personale /
Numero di passaggi interni a livelli di maggiore responsabilità
MOTIVAZIONE E COINVOLGIMENTO
 Indicatori di formazione e sviluppo professionale
- Ore Formazione in generale realmente partecipate dal
personale / Ore Formazione in generale offerte al personale
- Ore Formazione professionalizzante realmente partecipate dal
personale / Ore Formazione professionalizzante offerte al
personale
- Ore Formazione Sicurezza e Prevenzione realmente partecipate
dal personale / Ore Formazione Sicurezza e Prevenzione offerte al
personale
Gianfranco Cicotto La psicometria nella valutazione del
personale

SODDISFAZIONE
 Livelli di assenteismo e malattia
- Ore Assenza / Totale Ore lavorate
- Ore Assenza / Totale Ore lavorabili
- Ore Malattia / Totale Ore lavorate
- Ore Malattia / Totale Ore lavorabili
 Percentuali di infortuni e incidenti
- Analisi andamento negli anni del numero degli incidenti occorsi
nei vari comparti organizzativi
- Analisi andamento negli anni della incidenza % dei vari livelli
di gravità degli incidenti occorsi rispetto al numero di incidenti nei
vari comparti organizzativi
 Turnover del personale
- Indici ingresso ed uscita dall’azienda
- Indici di turnover interno fra reparti/uffici
- N° richieste di spostamento di posizione/reparto per cause
diverse dalla crescita di responsabilità/promozione
SERVIZI EROGATI AI DIPENDENTI
 Valutazione della formazione
- Investimento medio annuo in formazione (generale) pro-capite
- Investimento medio annuo in formazione (sul tema Sicurezza e
Prevenzione) pro-capite
- N° di richieste formali all’Ufficio del Personale di chiarimenti
in merito ad aspetti amministrativi del personale
- N° giorni medio per la risposta al personale a fronte di richieste
formali di chiarimenti (amministrativi) all’Ufficio del Personale
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


preso in considerazione un articolo scientifico esaminandone: gli
obiettivi di ricerca, l’analisi della letteratura che determina la teoria
sottostante alle scelte degli strumenti e delle analisi psicometriche,
quali siano le procedure e il metodo della ricerca e dell’uso degli
strumenti psicometrici, quali questionari sono utilizzati e che
caratteristiche psicometriche possiedono, quali caratteristiche possiede
il campione di riferimento, quali analisi psicometriche sono compiute e
perché, e, infine, come si espongono e come si commentano e si
discutono i risultati.
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

1. ABSTRACT
Il turnover volontario nella professione infermieristica è un
problema rilevante nelle strutture ospedaliere e necessita di adeguati
approfondimenti.

Questo studio contribuisce a spiegare le ragioni legate alle


intenzioni di turnover del personale infermieristico e fornisce spunti di
riflessione per migliorare la pratica lavorativa.

Hanno partecipato allo studio 161 infermieri e 13


coordinatori infermieristici che lavorano nei reparti di degenza di due
aziende ospedaliere italiane. Ad essi è stato somministrato un
questionario self-report allo scopo di analizzare la relazione tra le
capacità agentiche (autoregolazione, anticipazione, apprendimento
vicario e autoriflessione) e le intenzioni di turnover dal reparto e
dall’azienda.

I dati hanno mostrato un’associazione negativa tra


l’autoregolazione e il desiderio di lasciare il reparto e l’ospedale ed
un’associazione positiva tra l’autoriflessione e l’intenzione di turnover
dal reparto. I risultati hanno inoltre evidenziato che l’anzianità
organizzativa ha un effetto negativo sul desiderio di lasciare il reparto
e l’ospedale, mentre l’anzianità professionale ha un effetto positivo solo
sull’intenzione di turnover dall’ospedale.

Infine, è emerso che i coordinatori infermieristici


percepiscono di avere maggiori capacità di regolare le proprie emozioni
e i propri comportamenti, di prefigurarsi gli eventi futuri e di
apprendere dalla propria esperienza rispetto agli infermieri.

I risultati dello studio suggeriscono azioni e interventi che,


tenendo conto dell’anzianità organizzativa e professionale, siano volti
a sviluppare la capacità di autoregolazione del personale
infermieristico per ridurre le intenzioni di turnover e migliorare il
servizio offerto.
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

2. ANALISI DELLA LETTERATURA


Sono diverse le motivazioni che spingono le persone a
lasciare il lavoro, come la possibilità di ridurre il tempo dei
trasferimenti casa/lavoro, la ricerca di nuove opportunità di carriera
oppure il disagio legato alla situazione lavorativa che si desidera
abbandonare. Il fenomeno del turnover volontario, che si riferisce al
comportamento di abbandono del proprio ambiente di lavoro, sempre
più diffuso tra il personale infermieristico, può riguardare il
cambiamento del reparto ospedaliero (turnover dal reparto),
dell’organizzazione (turnover organizzativo) o della professione
(turnover professionale) e viene rilevato attraverso dati aziendali e
facendo ricorso a misure self-report riguardanti le intenzioni di
turnover. Diverse ricerche hanno a questo proposito confermato una
significativa correlazione tra le intenzioni di turnover e l’effettivo
comportamento di turnover. Per questo motivo gli studiosi hanno
ritenuto opportuno esplorare le intenzioni di turnover per conoscere i
fattori individuali, organizzativi ed economici che spingono le persone
ad attuare un comportamento di abbandono. La maggior parte degli
studi si sono focalizzati sull’intenzione di turnover dall’azienda
ospedaliera e solo un numero limitato di ricerche ha analizzato
l’intenzione di turnover dal reparto nella professione infermieristica.

Diversi sono i fattori individuali associati alle intenzioni di


cambiare reparto e azienda ospedaliera. Le ricerche nazionali e
internazionali rivelano che la soddisfa- zione lavorativa è il principale
predittore dell’intenzione di turnover del personale infermieristico.
Altri fattori individuali che sono risultati negativamente correlati
all’intenzione di turnover degli infermieri sono il work engagement.

Alcuni studi sul turnover in ambito infermieristico hanno


prestato attenzione anche al ruolo giocato da alcune variabili socio-
anagrafiche e lavorative come l’età, l’anzianità professionale e
organizzativa. Ambrosi e colleghi hanno rilevato che gli infermieri
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

intenzionati a la- sciare l’azienda ospedaliera hanno un’età pari o


inferiore a 34 anni e un’anzianità professionale e organizzativa nel
reparto di circa 3 anni. Secondo questi studiosi gli infermieri più
giovani e con meno esperienza probabilmente percepiscono di avere
maggiori occasioni di realizzazione e apprendimento di nuove
competenze mediante il cambiamento di organizzazione. Un altro
studio italiano mostra che l’esperienza professionale correla
negativamente con l’intenzione di lasciare il reparto e l’ospedale. In
linea con questi risultati di ricerca studi internazionali hanno trovato
che all’aumentare dell’anzianità organizzativa e professionale
diminuisce l’intenzione di turnover degli infermieri. Contrariamente ai
risultati delle ricerche sopracitate, lo studio di Ma e colleghi ha
riscontrato che gli infermieri con più di sei anni di esperienza
professionale hanno maggiore intenzione di lasciare il loro attuale
lavoro. Lee, Dai e Mc- Creary hanno rilevato che gli infermieri con
un’elevata intenzione di lasciare il reparto hanno un’anzianità di
servizio uguale o inferiore a 2 anni o tra i 6 e i 10 anni, a dimostrazione
che non sono esclusivamente gli infermieri con pochi anni di esperienza
professionale ad avere intenzione di attuare un comportamento di
turnover.

A partire da queste premesse, lo studio si propone di


ampliare la conoscenza dei fattori che stanno alla base delle intenzioni
di turnover del personale infermieristico, approfondendo anche
l’impatto dell’età, dell’anzianità professionale ed organizzativa su tali
intenzioni, per fornire indicazioni alle aziende ospedaliere che
orientino le strategie di gestione del personale infermieristico.

Vista la complessità e la mutevolezza dei contesti sanitari,


che richiedono al personale infermieristico odierno di fronteggiare una
serie di sfide sempre maggiori, abbiamo deciso di studiare il costrutto
di capacità agentiche in relazione alle intenzioni di turnover del
personale infermieristico. La prospettiva teorica di riferimento è la
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

teoria sociale cognitiva secondo la quale esiste un rapporto triadico tra


persona, comportamento e ambiente grazie al quale le persone possono
determinare e dirigere i propri comportamenti attraverso processi di
regolazione del sé ed esercitando un controllo sull’ambiente. Le persone
riescono a rappresentarsi simbolicamente le esperienze, hanno la
capacità di apprendere attraverso l’osservazione di comportamenti
altrui e di prefigurarsi eventi futuri per anticiparne le possibili
conseguenze modulando il proprio comportamento, sanno stabilire
obiettivi personali ed esercitare un controllo sull’ambiente regolando le
proprie motivazioni, affetti e azioni, e infine hanno la capacità di
riflettere in modo consapevole sulle proprie esperienze e produrre
nuovi modi di pensare e agire. Queste capacità di simbolizzazione,
apprendimento vicario, anticipazione, autoregolazione e
autoriflessione, definite capacità agentiche, sono alla base
dell’autoefficacia, uno dei meccanismi principali della human agency
ovvero la capacità delle persone di agire in maniera attiva e
trasformativa sull’ambiente circostante. Partendo dal presupposto che
l’autoefficacia è ampiamente studiata in letteratura, anche in relazione
alle intenzioni di turnover, abbiamo deciso di introdurre in questo
studio le capacità agentiche, un costrutto non ancora studiato in
relazione alle intenzioni di turnover degli infermieri e particolarmente
promettente in quanto permette di prevedere quanto le persone
possono influire e contribuire a costruire attivamente il contesto in cui
sono inserite. Queste capacità, inoltre, favoriscono una migliore
percezione delle proprie potenzialità e determinano maggiori livelli di
soddisfazione lavorativa e di investimento affettivo nei confronti
dell’organizzazione. Nel contesto italiano, Borgogni, Cenciotti e
Consiglio hanno elaborato un questionario che permette di misurare le
capacità agentiche teorizzate da Bandura nei contesti organizzativi,
testandone le proprietà psicometriche. I risultati di un primo studio
hanno evidenziato il ruolo delle capacità agentiche nel facilitare
l’attuazione di comportamenti di successo nelle organizzazioni, in
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

quanto complessivamente permettono all’individuo di rafforzare le


proprie motivazioni ed organizzare coerentemente le proprie azioni, di
elaborare vissuti e conoscenze, di migliorare le proprie azioni per
raggiungere gli obiettivi prefissati. Nello specifico, le capacità
agentiche, infatti, sono correlate all’efficacia personale, che favorisce la
messa alla prova in attività difficili e sfidanti, e al work engagement,
una condizione psicologica positiva e soddisfacente verso il lavoro che
ha effetti positivi sul potenziamento delle risorse personali, sulle
prestazioni lavorative, l’assenteismo, le intenzioni di turnover e sulla
soddisfazione di vita. Inoltre, le persone “agentiche” sono propense a
mettere in atto comportamenti di job crafting, ossia comportamenti
orientati allo sviluppo professionale. La rilevazione di tali capacità può
quindi essere utile nei processi di valutazione e sviluppo delle persone,
in particolare per i ruoli cruciali e strategici.

La letteratura discussa rivela l’importanza di ampliare la


conoscenza scientifica sulle dimensioni che influenzano le intenzioni di
turnover nel personale infermieristico allo scopo di ridurre il turnover
volontario in tale categoria professionale e conseguentemente
migliorare il benessere nelle organizzazioni sanitarie e la qualità del
servizio volontario nella professione infermieristica, lo studio si
propone di analizzare la relazione tra le capacità agentiche e le
intenzioni di turnover dal reparto e dall’azienda.

Dal momento che le capacità agentiche rappresentano un


costrutto nuovo in letteratura e particolarmente promettente nel
facilitare l’attuazione di comportamenti di successo nelle
organizzazioni, a scopo esplorativo sarà indagato il ruolo delle diverse
capacità agentiche nel predire le intenzioni di turnover dal reparto e
dall’azienda, tenendo conto dell’effetto dell’età, dell’anzianità
professionale e dell’anzianità organizzativa, visto che numerosi studi
hanno dimostrato il ruolo di queste variabili in relazione alle intenzioni
di turnover del personale infermieristico. Sempre a scopo esplorativo
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

saranno indagate le differenze rispetto alle diverse capacità agentiche


in relazione ai dati socio-anagrafici e lavorativi.
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

3. METODO
Procedura e partecipanti

La ricerca è stata autorizzata dai Direttori sanitari di due


Aziende Ospedaliere pubbliche del sud Italia. Nei presidi ospedalieri
delle aziende sopracitate sono state effettuate delle ristrutturazioni
interne durante il periodo in cui è stata svolta l’indagine e questo può
aver influito sulle risposte dei partecipanti allo studio.

La popolazione di riferimento è costituita da infermieri e


coordinatori infermieristici che lavorano nei reparti in cui si svolge
attività di degenza.

Tutti i partecipanti sono stati reclutati su base volontaria e i


questionari sono stati consegnati ai coordinatori infermieristici di ogni
reparto che hanno provveduto a distribuirli e a sollecitarne la
restituzione. Per la raccolta dei questionari compilati è stata
predisposta un’urna sigillata in ogni reparto in modo da garantire il
rispetto della privacy e l’anonimato.

I questionari compilati correttamente sono stati 174 (161


infermieri e 13 coordinatori infermieristici) su 354 distribuiti (334
infermieri e 20 coordinatori infermieri- stici), con un tasso di risposta
del 49.15%. Il 74.7% del campione è composto da donne e il 25.3% da
uomini. L’età media dei partecipanti è di 44 anni (DS = 9.56; range 23-
65 anni), l’anzianità professionale media è di 17 anni (DS = 9.62),
mentre l’anzianità organizzativa è pari a 13 anni (DS = 9.68). Il 92%
dei partecipanti ha un contratto a tempo indeterminato, il 7% un
contratto a tempo determinato, i rimanenti un contratto di lavoro
atipico. Il 55.2% degli infermieri intervistati ha iniziato a svolgere la
professione con il diploma di scuola regionale, il 14.9% con il diploma
universitario, il 29.3% con la laurea triennale e lo 0.6% con la laurea
magistrale. Su 174 partecipanti 44 hanno acquisito successivamente
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

un altro titolo di studio: il 18.4% un master di I livello, il 6.3% la laurea


magistrale e lo 0.6% un master di II livello.

Strumenti

Le capacità agentiche sono state misurate attraverso il Test


Agent di Borgogni, Cenciotti e Consiglio che comprende 61 item,
valutati su scala Likert a 7 passi (da 1= “completamente in disaccordo”
a 7= “completamente d’accordo”). Lo strumento si compone di 4
sottoscale: l’autoregolazione, l’anticipazione, l’apprendimento vicario e
l’autoriflessione. L’autoregolazione si compone di 22 item e descrive la
capacità di regolare e adattare la propria condotta ai propri obiettivi,
monitorando e gestendo le proprie dinamiche emozionali e
comportamentali (esempio di item “Riesco a mantenere la calma anche
in situazioni lavorative di stress intenso”); α = 0.91. L’anticipazione si
compone di 16 item e misura la capacità di prefigurarsi eventi futuri
per anticiparne le possibili conseguenze (esempio di item “Mi prefiguro
in anticipo le situazioni organizzative nelle quali probabilmente mi
troverò ad operare”); α = 0.90. L’apprendimento vicario si compone di
11 item e descrive la capacità di apprendere attraverso l’osservazione
dei comportamenti altrui (esempio di item “È di grande aiuto per me
osservare alcuni miei colleghi che lavorano per poter imparare da
loro”); α = 0.81. L’autoriflessione si compone di 12 item e misura la
capacità di apprendere dalla propria esperienza (esempio di item “Dopo
un successo lavorativo, rifletto su quali sono state le azioni che mi
hanno permesso di raggiungerlo”); α = 0.91.

Le intenzioni di turnover sono state misurate attraverso


l’adattamento italiano di Galletta e colleghi della scala di Hom, Griffeth
e Sellaro. Gli item (“Quante volte ha desiderato negli ultimi 5 anni
cambiare reparto?”, “Quante volte ha desiderato negli ultimi 5 anni
cambiare azienda?”) sono stati valutati su una scala temporale che va
da 0 = “mai (neanche una volta)” a 5 = “sempre (ogni anno)”. Nel
questionario è stata inserita una scheda per la raccolta dei dati socio-
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

anagrafici (quali genere, età, titolo di studio, etc.) e di informazioni su


aspetti più specifici legati alla professione (come tipologia di contratto,
livello gerarchico, anzianità professionale e organizzativa).

Analisi dei dati

Le analisi dei dati sono state condotte utilizzando il


pacchetto statistico SPSS 20 per Windows.

L’associazione tra più variabili è stata testata attraverso il


coefficiente rho di correlazione di Spearman poiché le capacità
agentiche e le variabili anagrafiche e lavorative sono misure continue,
mentre le intenzioni di turnover dal reparto e dall’azienda sono misure
discrete. Per approfondire le relazioni tra le capacità agentiche e le
intenzioni di turnover sono state condotte due regressioni lineari
gerarchiche (metodo per blocchi) dove le intenzioni di turnover (dal
reparto e dall’azienda) hanno rappresentato le variabili dipendenti e le
capacità agentiche (autoregolazione, anticipazione, apprendimento
vicario e autori- flessione) le variabili indipendenti. In entrambi i
modelli di regressione sono state inserite in un primo step le variabili
di controllo “età”, “anzianità professionale” e “anzianità organizzativa”
e nello step successivo le quattro capacità agentiche.

Infine, è stato effettuato il t-test per campioni indipendenti,


per rilevare differenze significative nelle diverse capacità agentiche
rispetto alle caratteristiche socio-anagrafiche e lavorative.
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

4. RISULTATI
I risultati delle analisi di correlazione (Tabella I) evidenziano
differenti tipi di relazione tra le variabili prese in considerazione dallo
studio.

Tabella I. Correlazioni di Spearman (rho) tra le variabili osservate nel


personale infermieristico

1. 2. 3. 4. 5 6 7 8
1. Età 1
2. Anzianità 0.81 1
professionale **
3. Anzianità 0.72 0.82 1
organizzativa ** **
4. Intenzione di turnover 0.03 0.04 0.00 1
dal reparto
5. Intenzione di turnover - 0.02 - 0.58 1
dall’azienda 0.04 0.09 **
6. Autoregolazione 0.00 0.04 0.01 - - 1
0.16 0.31*
* *
7. Anticipazione - 0.00 - - -0.14 0.59 1
0.02 0.04 0.01 **
8. Apprendimento - 0.00 - - -0.07 0.45 0.48 1
vicario 0.14 0.07 0.01 ** **
9. Autoriflessione 0.03 0.94 0.02 0.04 - 0.64 0.60 0.48
0.19* ** ** **
Note: * = p < 0.05; ** = p < 0.01

Dai risultati emerge l’esistenza di una relazione positiva tra


tutte e quattro le capacità agentiche considerate (autoregolazione,
anticipazione, apprendimento vicario, autoriflessione). L’età,
l’anzianità professionale e quella organizzativa non risultano
significativamente associate alle capacità agentiche e alle intenzioni di
turnover. Per quanto riguarda la relazione tra le capacità agentiche e
le intenzioni di turnover, dai risultati si evince che l’autoregolazione
correla negativamente sia con l’intenzione di cambiare reparto sia, in
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

maniera più forte, con l’intenzione di cambiare azienda ospedaliera.


L’autoriflessione correla negativamente solo con l’intenzione di lasciare
l’azienda. Le capacità di anticipazione e apprendimento vicario non
risultano essere significativamente correlate alle intenzioni di
turnover.

Allo scopo di approfondire la relazione tra le capacità


agentiche e le intenzioni di turnover sono state condotte due analisi di
regressione lineare gerarchica. La variabile dipendente è
rappresentata, nel primo modello di regressione (Tabella II)
dall’intenzione di cambiare reparto e nel secondo (Tabella III)
dall’intenzione di cambiare azienda. Come variabili indipendenti sono
state considerate le quattro capacità agentiche (autoregolazione,
anticipazione, apprendimento vicario e autoriflessione) e come variabili
di controllo l’età, l’anzianità professionale e l’anzianità organizzativa.

Tabella II. Regressione gerarchica per l’impatto delle capacità


agentiche sull’intenzione di turnover dal reparto

Predittori β R2corretto ΔR2


Età -0.06
Step Anzianità 0.02 0.04
0.39*
1 professionale
Anzianità -0.33*
organizzativa
Età -0.04
Anzianità 0.35
professionale
Anzianità -0.30*
organizzativa
Step Autoregolazion -0.35** 0.07* 0.07*
2 e * *
Anticipazione 0.00
Autoriflessione 0.25*
Apprendimento 0.01
vicario
Note: * = p < 0.05; ** = p < 0.01
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

Il modello di regressione gerarchica, che ha come variabile


dipendente l’intenzione di turnover dal reparto (Tabella II), evidenzia,
allo step 1, l’effetto significativo dell’anzianità professionale (β = 0.39)
e, con intensità inferiore e segno inverso, dell’anzianità
organizzativa (β = –0.33) mentre l’età non ha un effetto significativo
sulla variabile dipendente. Nel complesso, in questo primo step, il
modello non risulta essere statisticamente significativo. Allo step 2, con
l’introduzione delle quattro capacità agentiche, si ha un incremento
della varianza spiegata dal modello, che risulta essere statisticamente
significativo (R2corretto = 0.07; ΔR2 = 0.07; p < 0.01): l’intenzione di
turnover dal reparto aumenta al crescere della capacità di
autoriflessione (β = 0.25) e diminuisce all’aumentare della capacità di
autoregolazione (β = 0.35) e dell’anzianità organizzativa (β = 0.30). In
quest’ultimo step l’effetto dell’anzianità professionale non è più
significativo e le capacità di anticipazione e apprendimento vicario non
risultano essere significativamente associate all’intenzione di turnover
dal reparto.

Il modello di regressione gerarchica che ha come variabile


dipendente l’intenzione di turnover dall’azienda ospedaliera (Tabella
III) evidenzia, allo step 1, l’effetto significativo dell’anzianità
professionale (β = 0.45) e, con intensità inferiore e segno inverso,
dell’anzianità organizzativa (β = –0.37), mentre l’età non ha un effetto
significativo sulla variabile dipendente. Allo step 2, con l’introduzione
delle capacità agentiche si ha un incremento della varianza spiegata
dal modello (R2corretto = 0.13; ΔR2 = 0.12), che risulta essere
maggiormente significativo (p < 0.001) rispetto al precedente (p < 0.05):
l’intenzione di turnover dall’azienda ospedaliera aumenta al crescere
dell’anzianità professionale (β = 0.50) e diminuisce all’aumentare della
capacità di autoregolazione (β = –0.38) e dell’anzianità organizzativa (β
= –0.36). Le capacità di anticipazione, autoriflessione e apprendimento
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

vicario non risultano essere significativamente associate all’intenzione


di turnover dall’azienda.

Tabella III. Regressione gerarchica per l’impatto delle capacità


agentiche sull’intenzione di turnover dall’azienda ospedaliera

Predittori β R2corretto ΔR2


Età -0.14
Step Anzianità 0.03* 0.05*
0.45*
1 professionale
Anzianità -
organizzativa 0.37*
*
Età -0.18
Anzianità 0.50*
professionale *
Anzianità -
organizzativa 0.36*
*
Step Autoregolazion - 0.13*** 0.12*
2 e 0.38** **
*
Anticipazione 0.05
Autoriflessione -0.03
Apprendimento 0.10
vicario
Note: * = p < 0.05; ** = p < 0.01; *** = p < 0.001

Per quanto riguarda l’analisi delle differenze nelle quattro


capacità agentiche rispetto alle variabili socio-ana- grafiche e
lavorative, solo il ruolo gerarchico è risultato essere statisticamente
significativo (Tabella IV). In particolare, dal confronto tra medie sono
emerse differenze significative riguardo il livello di autoregolazione (t
= -2.29; p < 0.05), di anticipazione (t = -2.41; p < 0.05) e di auto-
riflessione (t = -2.65; p < 0.05) tra il gruppo di coordina- tori
infermieristici e quello degli infermieri.

Tabella IV. Differenze nelle capacità agentiche rispetto al ruolo


gerarchico
Gianfranco Cicotto Il ruolo delle capacità agentiche

t-test Medie Medie t gdl p


coordinato infermie
ri (DS) ri (DS)
Autoregolazion 5.00 4.65 - 14.6 <
e (0.53) (0.60 2.2 8 0.0
) 9 5
Anticipazione 5.17 4.67 - 14.4 <
(0.72) (0.79 2.4 9 0.0
) 1 5
Apprendiment 4.85 4.48 - 14.3 >
o vicario (0.67) (0.72 1.8 0 0.0
) 8 5
Autoriflessione 5.37 4.97 - 15.3 <
(0.51) (0.66 2.6 8 0.0
) 5 5

I risultati del t-test hanno rilevato che i coordinatori


infermieristici hanno una maggiore capacità di gestire le emozioni e il
comportamento sul lavoro (M = 5.00), di prefigurarsi eventi futuri per
anticiparne le possibili conseguenze (M = 5.17) e di apprendere dalla
propria esperienza (M = 5.37) rispetto agli infermieri (le medie sono
rispettivamente pari a 4.65, 4.67 e 4.67).
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


preso in considerazione un articolo scientifico esaminandone: gli
obiettivi di ricerca, l’analisi della letteratura che determina la teoria
sottostante alle scelte degli strumenti e delle analisi psicometriche,
quali siano le procedure e il metodo della ricerca e dell’uso degli
strumenti psicometrici, quali questionari sono utilizzati e che
caratteristiche psicometriche possiedono, quali caratteristiche possiede
il campione di riferimento, quali analisi psicometriche sono compiute e
perché, e, infine, come si espongono e come si commentano e si
discutono i risultati.
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

1. ABSTRACT
Numerose ricerche hanno indagato il fenomeno Job Burnout e i
suoi predittori, sottolineando il ruolo dei fattori situazionali e
organizzativi. Il costrutto di Percezioni di Contesto (PoC) è stato ancora
poco studiato nei contesti sociosanitari.

Il principale contributo dello studio è quello di ampliare la


conoscenza delle determinanti del Job Burnout focalizzandosi sulle
dimensioni di contesto e di integrare lo studio di questo fenomeno con
un costrutto che enfatizza la dimensione relazionale, l’Interpersonal
Strain.

Un campione di 105 operatori di una struttura sanitaria italiana


ha compilato un questionario self-report che comprende le seguenti
scale: Percezioni di Contesto - Percezioni della componente sociale (dei
colleghi, del lavoro in équipe, del capo diretto, della direzione, della
collaborazione di pazienti e familiari, della collaborazione tra reparti)
e Percezioni del compito (del carico di lavoro e della pressione
temporale); MBI-GS (Esaurimento e Cinismo); ISW Scale
(Interpersonal Strain).

I risultati confermano l’associazione tra le PoC e il Job Burnout


e mostrano il ruolo trasversale esercitato dalla Percezione della
pressione temporale su tutte e tre le dimensioni del Job Burnout.

Un risultato interessante è dato dal ruolo giocato dalle


Percezioni relative alla componente sociale, in particolare dalla
Percezione della direzione nel predire l’Esaurimento e il Cinismo, e
dalla Percezione del lavoro in équipe nel predire l’Interpersonal Strain.
Sono emerse differenze significative tra le PoC e il reparto di
appartenenza.

Gli operatori sanitari si trovano sovraesposti a rischi psicosociali


e sono potenzialmente più a rischio di stress e burnout, in particolare
negli ultimi anni in cui alle organizzazioni sanitarie è richiesto di
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

migliorare continuamente la qualità del servizio e, allo stesso tempo, di


ridurre i costi.

Questo comporta un aumento del carico di lavoro e delle


pressioni sociali generate, non solo dalle relazioni con i pazienti, ma
soprattutto dalle relazioni complesse instaurate con colleghi e
supervisori, che possono portare ad un progressivo disinvestimento
nelle relazioni.

Gli operatori sanitari sono infatti esposti non solo alle richieste
dei pazienti, ma anche alle continue sollecitazioni del contesto che, a
causa della mancanza adeguata di personale, dell’aumento del carico
di lavoro, della competizione crescente, rende questi operatori più
esposti al Job Burnout.

Sono ancora pochi gli studi che si focalizzano sulle conseguenze


delle pressioni che provengono dalle relazioni sociali e lavorative e in
particolare poche sono le ricerche che hanno indagano queste ricadute
in termini di ritiro e distacco nei confronti delle relazioni
interpersonali.

A questo proposito è stato messo a punto recentemente il


costrutto di Interpersonal Strain, capace di intercettare quella reazione
difensiva che interviene a fronte di forti pressioni sociali enfatizzando
la dimensione relazionale.

Il presente studio ha un duplice obiettivo, da una parte si


propone di contribuire alla conoscenza delle determinanti del Job
Burnout focalizzandosi sulle dimensioni di contesto, dall’altro si
propone di integrare lo studio di questo fenomeno nelle sue dimensioni
classiche (Esaurimento e Cinismo) con l’Interpersonal Strain.
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

2. ANALISI DELLA LETTERATURA


Il Job Burnout nasce come un costrutto che caratterizza le
helping professions. Sebbene recenti studi hanno mostrato come questo
fenomeno non sia limitato alle professioni di aiuto, il Job Burnout è
stato prevalentemente studiato nel settore sanitario.

Il Job Burnout è una risposta dell’individuo ad una situazione di


stress cronico e viene considerato uno dei principali indicatori della
salute psico-sociale nei contesti di lavoro. Le sue dimensioni principali
sono l’Esaurimento e il Cinismo, che corrispondono alle sue componenti
energetiche e motivazionali. L’Esaurimento corrisponde alla
sensazione della persona di sentirsi senza più risorse da investire
nell’attività lavorativa e il Cinismo è caratterizzato da freddezza e
distacco nei confronti del lavoro. Per quanto alcuni studi considerino
l'efficacia professionale un elemento costitutivo del Job Burnout, altri
mostrano come questa dimensione si sviluppi in modo indipendente
non ritenendola una componente vera e propria del Job Burnout.

Nella letteratura il Job Burnout viene studiato prevalentemente


nelle sue dimensioni più prototipiche Esaurimento e Cinismo. Studi
recenti hanno integrato queste due dimensioni con il concetto di
Interpersonal Strain per valorizzare la dimensione interpersonale del
costrutto. L’Interpersonal Strain rappresenta uno specifico
disinvestimento verso tutte le relazioni importanti a lavoro, non solo
verso quella tra caregiver e paziente, ed è applicabile a tutti i contesti
organizzativi in cui la relazione interpersonale sia centrale nell’attività
organizzativa. È un costrutto che non si riferisce al concetto più
estremo di deumanizzazione, ma corrisponde al sentimento di disagio
e distacco che le persone provano quando si trovano a fronteggiare le
diverse richieste relazionali provenienti da colleghi, supervisori,
pazienti, etc. e si manifesta in termini difensivi con un atteggiamento
di distanza dagli altri.
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

Alcuni autori identificano le origini del Job Burnout nello


squilibrio prolungato nel tempo tra le risorse investite nell’attività
lavorativa, le richieste e i risultati raggiunti.

Uno dei modelli più recenti, il Job Demands-Resources Model


(JD-R), descrive la relazione tra caratteristiche del lavoro che possono
favorire l’insorgenza del Job Burnout, facendo riferimento a due
categorie di fattori di rischio, le job demands e le job resources. Le
domande includono aspetti strutturali, psicologici, sociali e
organizzativi del lavoro che richiedono sforzi significativi e che
comportano costi fisiologici o psicologici, mentre le risorse riguardano
aspetti fisici, sociali o organizzativi che sono funzionali al
raggiungimento degli obiettivi lavorativi e riducono le richieste
lavorative e i costi associati. Secondo questo modello, le richieste
dell’attività lavorativa (come il carico di lavoro, la pressione temporale,
ecc.) e la mancanza di risorse (come il supporto sociale da parte del capo
o dei colleghi, l’autonomia, ecc.) rappresentano i più importanti
antecedenti del Job Burnout. Richieste di lavoro come la monotonia del
lavoro e la pressione temporale e risorse come il supporto del capo
diretto e del team di lavoro sono fortemente associate alle dimensioni
dell’Esaurimento, del Cinismo e dell’Interpersonal Strain,
confermando il loro ruolo come fattori di rischio per gli operatori.

Nonostante gli studi abbiano ampiamente sottolineato il ruolo


delle difficoltà relazionali nell’insorgenza dello stress e del Job
Burnout, ancora poche sono le ricerche che hanno declinato lo specifico
costrutto di Interpersonal Strain.

Alcuni studi hanno messo in evidenza come la dimensione


interpersonale della sindrome includa anche il clima relazionale con i
colleghi e il gruppo di lavoro. Altre ricerche avevano già indicato come
le percezioni che le persone hanno del proprio contesto lavorativo
contribuiscano a determinare fenomeni come il Job Burnout, sia in
ambito produttivo che sociosanitario. Il Job Burnout è infatti associato
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

a fattori legati al compito e a fattori legati al contesto interpersonale,


specialmente nei contesti sanitari. Anche il supporto sociale ha delle
ripercussioni sul Job Burnout, in particolare studi precedenti mostrano
che il supporto dei colleghi è correlato sia alla dimensione Esaurimento
che alla dimensione Cinismo, mentre il supporto dei capi è correlato
prevalentemente all’Esaurimento.

Uno studio recente ha rilevato che le PoC rappresentano dei


buoni predittori del Job Burnout. Le PoC, definite come le percezioni
condivise dai membri dell’organizzazione rispetto alle componenti
specifiche del proprio contesto di appartenenza, è un costrutto
introdotto recentemente nel contesto italiano da Borgogni e
collaboratori. Lo studio delle PoC prende avvio nell’ambito di ricerche
che hanno analizzato il clima come la percezione di variabili
organizzative specifiche dei diversi contesti lavorativi, coinvolgendo
differenti organizzazioni produttive e confermando le potenzialità del
costrutto come antecedente del comportamento organizzativo. La
ricerca sulle PoC si è inizialmente focalizzata sulle percezioni di
contesto sociale includendo solo successivamente lo studio delle
percezioni del compito. Le Percezioni relative alla componente sociale
comprendono: le percezioni del grado di collaborazione instaurato con i
colleghi che lavorano nello stesso reparto, con quelli che operano negli
altri reparti della stessa struttura e con i colleghi che lavorano nella
stessa équipe; la percezione del modo in cui il proprio capo diretto
supporta e valorizza i suoi collaboratori; la percezione del management
rispetto allo stile di comunicazione e di condivisione di politiche e
pratiche organizzative, all’equità ed alla valorizzazione del contributo
di ognuno; la percezione del grado di collaborazione offerta dai pazienti
e dai loro familiari per la buona riuscita del servizio. Le Percezioni del
compito, invece, riguardano il carico di lavoro e la pressione temporale,
e si riferiscono alla percezione di svolgere un lavoro intenso, complesso,
che richiede un’elevata concentrazione per lunghi periodi di tempo e
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

alla percezione di fare un lavoro impegnativo in termini quantitativi


che non permette di svolgere le attività al meglio.

Ancora pochi sono gli studi che hanno declinato questo costrutto
nei contesti sociosanitari e le PoC non sono mai state studiate in
relazione all’Interpersonal Strain.

La recente ricerca di Consiglio e collaboratori ha mostrato che


PoC differenti influenzano le diverse componenti del Job Burnout, in
particolare che a livello individuale la percezione del carico di lavoro e
la percezione del management predicono l’esaurimento, mentre la
percezione del lavoro d’équipe, del carico di lavoro e l’età predicono il
cinismo, e che a livello di unità operativa la percezione del carico di
lavoro e del lavoro d’équipe predicono rispettivamente l’esaurimento e
il cinismo.

Considerando che le dimensioni del Job Burnout possono essere


correlate in maniera diversa con singoli fattori situazionali, lo studio si
propone di analizzare il ruolo delle PoC relative alla componente
sociale e al compito su Esaurimento, Cinismo e Interpersonal Strain,
dimensioni correlate, ma che possono essere studiate separatamente.

Nello specifico, formuliamo le seguenti ipotesi:

H1 – le PoC relative al compito (percezione del carico


di lavoro e della pressione temporale) e alcune PoC relative
alla componente sociale (percezione della direzione, del capo
diretto e dei colleghi) sono associate all’Esaurimento,
rispettivamente positivamente e negativamente;

H2 – le PoC relative al compito (percezione del carico


di lavoro e della pressione temporale) e alcune PoC relative
alla componente sociale (percezione della direzione, dei
colleghi e del lavoro in équipe) sono associate al Cinismo,
rispettivamente positivamente e negativamente;
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

H3 – le PoC relative alla componente sociale


(percezione del capo diretto, della direzione, dei colleghi,
della collaborazione tra reparti, del lavoro in équipe, della
collaborazione di pazienti e familiari) sono associate
negativamente all’Interpersonal Strain.

Dal momento che l’Interpersonal Strain è un costrutto nuovo in


letteratura, a scopo esplorativo saranno indagate anche le relazioni tra
esso e le PoC relative al compito (percezione del carico di lavoro e della
pressione temporale). Saranno esplorate anche le differenze rispetto
alle PoC e alle dimensioni del Job Burnout in relazione al reparto di
appartenenza.
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

3. METODO
Partecipanti e procedura

La ricerca è stata condotta in una struttura sanitaria privata


del sud Italia e ha coinvolto tutti i 120 operatori che lavorano al suo
interno. La Direzione ha inviato a tutti gli operatori una lettera in cui
annunciava uno studio organizzativo svolto da esperti al fine di
individuare gli elementi su cui agire per migliorare il benessere
lavorativo. Nella medesima comunicazione al personale la Direzione
richiedeva la massima collaborazione. In un locale della stessa
struttura lavorativa sono stati messi a disposizione dell’équipe di
ricerca alcuni PC per la compilazione informatizzata del questionario,
secondo un calendario predisposto dalla stessa Direzione. Questo ha
garantito la quasi totale partecipazione dell’organico. L’88% del
personale ha compilato per intero il questionario, solo alcuni operatori
per ferie, malattia o altri seri impedimenti, non hanno potuto
partecipare all’indagine.

Il campione è costituito da 105 soggetti, 68 donne e 37


uomini, di età compresa tra i 20 e i 66 anni (M = 46; DS = 9,8), con
un’anzianità organizzativa che varia da meno di un anno a 35 anni di
servizio (M = 14,4; DS = 0,5). Il personale opera in differenti reparti
della struttura, che sono stati accorpati in tre macroaree, sulla base
della tipologia delle attività svolte: il 38% lavora in assistenza diurna,
nella quale sono erogati servizi sanitari riabilitativi a pazienti non
residenziali; il 32% opera nell’assistenza residenziale, nella quale è
svolta la riabilitazione globale medica, psicosociale e psichiatrica agli
ospiti residenziali; il restante 30% è impiegato nell’area servizi,
comprendenti gli uffici amministrativi, la manutenzione, la lavanderia
e la logistica. Per quanto riguarda il livello di istruzione il 20% dei
partecipanti possiede la licenza media (N = 21), il 45,7% un diploma o
una specializzazione (N = 48), il 21% una laurea triennale (N = 22),
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

l’8,6% una laurea magistrale o specialistica (N = 9) e il 4,7% ha


conseguito un titolo di studio post lauream (N = 5).

Misure

Le Percezioni di Contesto (relative alla componente sociale


e al compito) sono state misurate attraverso la scala di Borgogni e
collaboratori (15, 20), che comprende 33 item e una scala di risposta a
7 punti (da 1 = completamente in disaccordo a 7 = completamente
d’accordo).

Percezioni della componente sociale:

- Percezione dei colleghi (4 item), per esempio “Tra colleghi ci


si supporta l’un l’altro nell’affrontare le difficoltà”;

- Percezione del lavoro in équipe (4 item), per esempio “Nel


mio reparto medici e infermieri si scambiano le informazioni necessarie
per svolgere al meglio il proprio lavoro”;

- Percezione del capo diretto (5 item), per esempio “Il mio


diretto superiore mi offre tutto il supporto necessario per svolgere il
lavoro”;

- Percezione della direzione (6 item), per esempio “La


Direzione di quest’ospedale riconosce gli sforzi che le persone fanno”;

- Percezione della collaborazione di pazienti e familiari (4


item), per esempio “Pazienti e familiari collaborano attivamente alla
riuscita della terapia”;

- Percezione della collaborazione tra reparti (4 item), per


esempio “I diversi reparti si supportano a vicenda nel gestire le diverse
problematiche”.

Percezioni del compito:

- Percezione del carico di lavoro (3 item), per esempio “Lavoro


intensamente per lunghi periodi di tempo”;
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

- Percezione della pressione temporale (3 item), per esempio


“Nel mio lavoro non ho tempo sufficiente per poter svolgere le attività
al meglio”;

Il Job Burnout è stato operazionalizzato e misurato


attraverso le due dimensione di Esaurimento e Cinismo, della versione
italiana (14) del Maslach Burnout Inventory - General Survey (MBI-
GS, 46), e la dimensione dell’Interpersonal Strain dell’ISW Scale –
Interpersonal Strain at Work Scale (10):

- Esaurimento, si riferisce a sentimenti di fatica e sfinimento


sia a livello fisico che emozionale (5 item); per esempio “Mi sento
emotivamente logorato dal mio lavoro”;

- Cinismo, riflette un atteggiamento distante e disimpegnato


nei confronti del lavoro (5 item); per esempio “Sono diventato più
distaccato dal mio lavoro”;

- Interpersonal Strain, descrive il distacco mentale ed


emotivo dalle altre persone nei contesti lavorativi (6 item); per esempio
“Sul lavoro sento di voler mantenere le distanze dagli altri”.

Le scale di misura sono precedute da una scheda per la


raccolta dei dati socio-anagrafici (genere, età, titolo di studio, etc.) e di
informazioni riguardanti la professione (anzianità organizzativa, ruolo
ricoperto, reparto di appartenenza, etc.).

Analisi dei dati

Per ciascuna dimensione è stata calcolata la sola coerenza


interna attraverso l’Alfa di Cronbach, in quanto tutte le scale sono già
state validate. La relazione tra le variabili oggetto di studio è stata
testata attraverso il coefficiente di correlazione r di Pearson.

Per verificare il ruolo delle differenti PoC sulle diverse


dimensioni del Job Burnout, così come indicato nelle ipotesi, sono state
condotte tre regressioni lineari multiple. Le regressioni hanno preso in
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

considerazione come variabili dipendenti rispettivamente


l’Esaurimento, il Cinismo e l’Interpersonal Strain e come variabili
indipendenti le PoC, coerentemente con le ipotesi. Tenendo conto del
ruolo esercitato dall’età e dagli anni di esperienza lavorativa sul Job
Burnout (35, 37, 41), abbiamo inserito nei modelli di regressione anche
queste variabili insieme al genere.

Le regressioni sono state condotte con introduzione forward


delle variabili esplicative (con criterio sig. <=0,05).

Infine, è stata effettuata l’analisi della varianza, un test


MANOVA con post-hoc con metodo di Bonferroni, per rilevare
differenze significative rispetto alle diverse PoC, all’Esaurimento, al
Cinismo e all’Interpersonal Strain tra il personale che opera nei diversi
reparti categorizzati in tre macro macroaree, previa verifica
dell’omoschedasticità con il test di Levene. Le analisi dei dati sono state
eseguite utilizzando il programma statistico SPSS 22 per Windows.
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

4. RISULTATI
In questo studio le Alfa di Cronbach presentano tutte buoni
valori di affidabilità che oscillano da 0,74 a 0,96.

Tabella 1 – Correlazioni r di Pearson tra le PoC e le componenti del


Burnout
Esaurime Interperso
DIMENSIONI Cinismo
nto nal Strain
Percezione dei colleghi -0.12 0.01 -0.09
Percezione del lavoro in équipe -0.26** -0.28** -0.34**
Percezione del capo diretto -0.29** -0.27** -0.25*
Percezione della direzione -0.46** -0.39** -0.31**
Percezione della collaborazione di
-0.29** -0.37** -0.28**
pazienti e familiari
Percezione della collaborazione tra
-0.34** -0.32** -0.33**
reparti
Percezione del carico di lavoro 0.31** 0.20* 0.10
Percezione della pressione
0.41** 0.17 0.14
temporale
* Sig. < 0.05; ** Sig. < 0.01

Dai risultati delle analisi di correlazione, presentati nella


tabella 1, emerge una stretta relazione tra le PoC e le dimensioni del
Burnout. Le Percezioni relative alla componente sociale, tutte tranne
la Percezione dei colleghi, correlano con tutte e tre le dimensioni del
Burnout. La Percezione del carico di lavoro correla con l’Esaurimento e
il Cinismo, mentre la Percezione della pressione temporale correla
unicamente con l’Esaurimento.

Il modello di regressione della componente del Job Burnout


Esaurimento spiega il 41% della varianza (R2corr. = 0,41), quello della
componente del Job Burnout Cinismo il 21% della varianza (R2corr. =
0,21) e quello dell’Interpersonal Strain l’11% della varianza (R 2corr. =
0,11). Gli indici beta, riportati in tabella 2, mostrano che sia alcune
Percezioni relative alla componente sociale sia le Percezioni del
compito contribuiscono a determinare le diverse dimensioni del Job
Burnout.
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

Nello specifico i risultati della prima regressione mostrano


come tre diverse PoC e l’anzianità organizzativa siano predittori della
componente del Job Burnout Esaurimento. Tra la Percezione del carico
di lavoro (β = 0,237), la Percezione della pressione temporale (β =
0,212), l’anzianità organizzativa (β = 0,209) e l’Esaurimento sussistono
relazioni positive, mentre si rileva un’associazione negativa tra la
Percezione della direzione e l’Esaurimento (β = -0,362).

Tabella 2 – Regressioni per l’influenza delle PoC su Esaurimento,


Cinismo e Interpersonal Strain
Variabili R2corr.
Variabili indipendenti β Sig.
dipendenti
1. Esaurimento 0.41
Età 0.075 >0.05
-
Genere >0.05
0.033
Anzianità organizzativa 0.209 0.012
Percezione del capo -
>0.05
diretto 0.024
-
Percezione dei colleghi >0.05
0.041
Percezione della -
0.000
direzione 0.362
Percezione del carico di
0.237 0.008
lavoro
Percezione della
0.212 0.018
pressione temporale
2. Cinismo 0.21
Età 0.042 >0.05
-
Genere >0.05
0.043
Anzianità organizzativa 0.079 >0.05
-
Percezione dei colleghi >0.05
0.047
Percezione del lavoro in -
>0.05
équipe 0.173
Percezione della -
0.000
direzione 0.341
Percezione del carico di
0.035 >0.05
lavoro
Percezione della
0.266 0.004
pressione temporale
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

3. 0.11
Interpersonal
Strain
Età 0.020 >0.05
-
Genere >0.05
0.093
Anzianità organizzativa 0.055 >0.05
Percezione del capo -
>0.05
diretto 0.083
-
Percezione dei colleghi >0.05
0.116
Percezione della -
>0.05
direzione 0.065
Percezione del lavoro in -
0.012
équipe 0.247
Percez. della -
>0.05
collaborazione tra reparti 0.033
Perc. della coll. di -
>0.05
pazienti e familiari 0.065
Percezione del carico di
0.006 >0.05
lavoro
Percezione della
0.317 0.001
pressione temporale

Sulla componente del Job Burnout Cinismo sono due i


predittori che esercitano un’influenza significativa, uno legato alla
Percezione della componente sociale e uno legato alla Percezione del
compito. Nello specifico, i dati mostrano una relazione negativa tra la
Percezione della direzione e il Cinismo (β = -0,341), e una relazione
positiva tra la Percezione della pressione temporale e il Cinismo (β =
0,266).

Infine, sono due i predittori che esercitano influenza


sull’Interpersonal Strain. I dati mostrano una relazione negativa tra la
Percezione del lavoro in équipe e l’Interpersonal Strain (β = -0,247), e
una relazione positiva tra la Percezione della pressione temporale e
l’Interpersonal Strain (β = 0,317).
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

L'età e il genere non influenzano le tre dimensioni del Job


Burnout, come mostrato dai risultati dei modelli di regressione (vedi
Tab.2, Sig.>0.05).

Tabella 3 – Risultati dell’analisi della varianza per le PoC nelle tre


macroaree

Percezione
Percezione Percezione
del
dei del
lavoro in
colleghi capo diretto
équipe
F di Fisher 6.22** 9.49** 9.99*
M (DS) M (DS) M (DS)
5.30
Assistenza diurna 5.09 (1.19)a 5.16 (1.49)
(1.01)a
Assistenza 4.66
4.09 (1.23)b 4.37 (1.51)b
residenziale (0.84)b
4.41
Servizi 4.31 (1.14) 5.71 (1.09)a
(1.15)b
Note: M = media; DS = deviazione standard; ** sig.<0.01; * sig.<0.05.
Per ogni PoC, le medie con indici diversi indicano medie
significativamente differenti, le medie senza indice non presentano
differenze con altre.

L’analisi della varianza ha mostrato differenze per alcune


PoC in relazione alle tre macroaree di attività: assistenza diurna,
assistenza residenziale e servizi. Le relative medie e deviazioni
standard sono riportate in tabella 3. Nessuna differenza significativa è
invece emersa per le dimensioni del Job Burnout in relazione alle stesse
tre macroaree di attività.

La Percezione dei colleghi è differente nelle tre macroaree


della struttura (F=6,22; gdl=2; sig.=0,003; η2=0,131). Il test post hoc
evidenzia che la Percezione dei colleghi nel reparto di assistenza diurna
(M=5,30) è significativamente più alta rispetto a coloro che lavorano in
assistenza residenziale (M=4,66; sig.=,028) e rispetto ai reparti della
macroarea dei servizi (M=4,41; sig.=0,008).

La Percezione del lavoro in équipe cambia a seconda della


macroarea di riferimento (F=9,49; gdl=2; sig.=0,002; η 2=0,136). Chi
Gianfranco Cicotto Percezioni di contesto e job burnout

lavora in assistenza diurna ha una migliore Percezione del lavoro in


équipe (M=5,09) rispetto a chi lavora in assistenza residenziale
(M=4,09; sig.=0,003).

Anche la Percezione del capo diretto presenta delle


differenze (F=9,99; gdl=2; sig.=0,010; η2=0,103): chi lavora nei servizi
(M=5,71) ha una Percezione del capo diretto migliore di chi lavora
nell’assistenza residenziale (M=4,37; sig.=0,012).
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere


come può essere preso in considerazione un articolo scientifico
esaminandone: gli obiettivi di ricerca, l’analisi della letteratura che
determina la teoria sottostante alle scelte degli strumenti e delle
analisi psicometriche, quali siano le procedure e il metodo della
ricerca e dell’uso degli strumenti psicometrici, quali questionari sono
utilizzati e che caratteristiche psicometriche possiedono, quali
caratteristiche possiede il campione di riferimento, quali analisi
psicometriche sono compiute e perché, e, infine, come si espongono e
come si commentano e si discutono i risultati.
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

1. ABSTRACT
Questo studio indaga il ruolo dell'identificazione
con l'Università per spiegare il coinvolgimento degli studenti nei
comportamenti extra-ruolo e le loro intenzioni di lasciare o cambiare
università (turnover).
I dati sono stati raccolti da un campione di 338
studenti di un'università italiana. Quindi sono stati analizzati
attraverso dei modelli di regressione lineare (multipli quando
necessari) e con una Path Analysis attraverso i modelli di equazioni
strutturali. Il test Sobel è stato utilizzato nell'analisi per verificare il
ruolo mediatore delle variabili.
I risultati mostrano che (1) la percezione
dell'identità universitaria degli studenti ha un effetto significativo sul
processo di identificazione dell'ateneo; (2) l'identificazione studente-
università ha un effetto significativo sul sostegno degli studenti alla
propria università, che è negativamente correlata all'intenzione di
abbandonarla.
Questo studio fornisce indicazioni sull'importanza
della gestione del prestigio dell’Università. Le istituzioni trarrebbero
vantaggio dal comunicare le loro identità in modo chiaro, coerente e
convincente, enfatizzando quegli aspetti dell'identità dell'Università
che studenti e futuri studenti percepiranno come prestigiosi e coerenti
con la loro identità.
Oggigiorno, in Europa, alcune tendenze
economiche e sociali in ambito educativo, come la globalizzazione,
l'aumento dei vincoli di bilancio e una maggiore mobilità degli studenti,
hanno aumentato la pressione sull'Università per migliorare la qualità
dell'istruzione, la ricerca e l'innovazione per essere più attraente per
studenti e docenti.
In Italia la mobilità degli studenti è cresciuta in
tutte le aree del Paese: la quota di coloro che si immatricolano al di
fuori della loro regione di residenza è passata dal 18% nel 2007/08 al
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

22% nel 2015/2016. Anche tra gli studenti che continuano dopo la
laurea ha aumentato la quota di coloro che scelgono le università di
altre regioni. Tra i residenti nel Sud Italia, l'incidenza di chi sceglie
un'università del Centro-Nord è in progressivo aumento, soprattutto
nelle isole (nel 2014, tra i laureati il 28,9% preferiva un'altra università
italiana e il 3% uno all'estero).
Per superare la pressione competitiva, le
università devono modernizzarsi per diventare più efficaci e rafforzare
il loro ruolo nella società. Al fine di trovare modi per attrarre e
trattenere i propri studenti potenziali e attuali, il settore dell'istruzione
superiore deve concentrarsi sull'aumento della qualità del servizio e del
valore percepito del consumatore. Il miglioramento della qualità è stato
generalmente enfatizzato come strategia critica per migliorare il
funzionamento del sistema universitario. Negli ultimi anni la
letteratura scientifica ha sottolineato la necessità di aumentare il
coinvolgimento degli studenti nei processi di co-creazione di valore. Si
consiglia alle università di impegnarsi in attività di branding che
sviluppino una forte identificazione studente-università al fine di
migliorare i comportamenti di supporto universitario degli studenti. In
questo contesto, per l'università è diventato più importante costruire
un'identità di brand distinta al fine di creare un vantaggio competitivo
sostenibile.
Secondo la prospettiva del Service Dominant Logic
(SDL), il cliente si impegna nel dialogo e nell'interazione con i propri
fornitori durante la progettazione, la produzione, la consegna e il
consumo del prodotto. Inoltre, l'identità del brand è co-creata con la
partecipazione di clienti e altre parti interessate, come gli stakeholder
universitari, che sono persone (o gruppi) che hanno un interesse o una
partecipazione nelle attività dell'università. Pertanto, definiamo il
brand (marchio) universitario come una co-creazione degli stakeholder
delle università sulla base delle loro effettive esperienze nel campo
dell'istruzione.
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

2. ANALISI DELLA LETTERATURA.


Dal punto di vista della Service Dominant Logic
(SDL) (Vargo & Lusch 2004, 2008, 2011, Lusch & Vargo 2006, 2014), i
clienti sono sempre partecipanti attivi e partner collaborativi negli
scambi; i clienti co-creano valore con l'azienda e, di conseguenza,
diventano co-creatori di valore.
L'identità di marca è co-creata con la
partecipazione di clienti, come gli stakeholder universitari, che sono
persone che hanno un interesse nelle attività dell'università (Harvey
L., 2004). Pertanto, la fonte della co-creazione del valore deve essere
trovata a vari livelli di interazione azienda-consumatore. Questa
partecipazione ha una duplice natura (Bettencourt & Brown, 1997). Da
un lato, i clienti sviluppano i comportamenti necessari per l'erogazione
del servizio, come la descrizione delle esigenze, il pagamento del
servizio, la puntualità negli appuntamenti e così via. D'altra parte,
sviluppano comportamenti di carattere volontario che sono utili ma la
cui origine non è attribuibile ai comportamenti attesi.
La ricerca iniziale ha identificato due tipi di
comportamenti di co-creazione del valore del cliente: comportamento di
partecipazione del cliente, che si riferisce al comportamento necessario
nel ruolo necessario per la co-creazione di valore e al comportamento
della cittadinanza del cliente, che è un comportamento volontario
extra-ruolo che fornisce valore insolito per l'azienda (Bove et al., 2008;
Groth, 2005; Yi & Gong, 2008).
Nonostante l'abbondanza di studi in letteratura
(Aherne et al., 2005, Bettencourt, 1997; Groth, 2005), la ricerca sul
comportamento extra-ruolo è stata scarsa in contesti educativi e pochi
studi si sono concentrati sulla relazione con l'identificazione
organizzativa. In termini di co-creazione di valore, questi costrutti sono
più importanti per le loro implicazioni perché gli studenti,
volontariamente, impiegano le loro conoscenze nella creazione di
servizi e lo migliorano con i loro feedback e suggerimenti. La
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

letteratura sul comportamento di cittadinanza del cliente suggerisce


dimensioni diverse, come il passaparola positivo (advocacy) (Harrison-
Walker, 2001; Bove et.al., 2009); fornire suggerimenti per il
miglioramento del servizio (Groth 2005, Bove et al., 2009);
partecipazione alle attività dell'organizzazione; aiutare altri clienti,
esibizioni di affiliazione (Bove et al., 2009); atti benevoli di facilitazione
del servizio; tolleranza dei fallimenti del servizio (Tat Keh e Teo 2001);
impegno per l'organizzazione del servizio (Ford, 1995).
Escalas e Bettman (2003) hanno introdotto il
concetto di connessione self-brand che indica "il grado in cui i
consumatori hanno incorporato il marchio nel proprio concetto di sé".
Le loro scoperte suggeriscono che quando esiste una forte associazione
tra consumatori e gruppi di riferimento, i consumatori hanno maggiori
probabilità di sviluppare una connessione self-brand. Pertanto, le
connessioni self-brand catturano una parte importante della
costruzione del sé da parte degli studenti. Studi precedenti mostrano
che il significato dell'immagine istituzionale può essere esteso al
contesto educativo superiore. L'immagine delle università è un nuovo
argomento che sta ricevendo maggiore attenzione in quanto le
università riconoscono l'importanza di attrarre studenti e di avere
immagini distinte nel mercato competitivo.
Come alcuni studiosi sottolineano (Dutton,
Dukerich e Harquail, 1994), più un individuo percepisce l'immagine di
un'organizzazione, più sarà forte l'identificazione della persona con
l'organizzazione. A seguito dell'aumentata concorrenza, le università
sono state spinte a brandizzarsi come se avessero una serie di attributi
unici e desiderabili che attirano i potenziali studenti.
Secondo i lavori di Dutton et al. (1994), e
Bhattacharya e Sen (2003), si definisce l'identificazione studente-
università come il grado in cui gli studenti percepiscono se stessi e
l'università come condividendo gli stessi attributi e valori definenti, nel
tentativo di soddisfare una o più esigenze di definizione personale.
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

L'identificazione universitaria è un fattore molto


importante nel promuovere il processo di co-creazione universitaria
degli studenti che comprende: (1) sentimenti di solidarietà in relazione
all'istituzione e supporto all'università, (2) la condivisione delle
caratteristiche con l'università in termini di visione e valori, e (3)
sviluppo di comportamenti universitari extra-ruolo.
Questo studio esamina l'impatto
dell'identificazione universitaria sugli studenti comportamenti di ruolo
extra come l'intenzione di advocacy, suggerimenti per il miglioramento,
la visualizzazione di affiliazione, la partecipazione a future attività
universitarie e l'intenzione di fatturato. Advocacy (supporto o
passaparola) si riferisce a raccomandare l'università ad altri come
amici o familiari. I comportamenti di sostegno degli studenti includono
il parlare positivamente e in termini prestigiosi. Nel contesto della co-
creazione di valore, l'advocacy indica la fedeltà all'università e la
promozione degli interessi dell'università al di là degli interessi dei
singoli clienti (Bettencourt, 1997).
Si ipotizza quanto segue:
H1. Prestigio, personalità, conoscenza del marchio
universitario e connessione sel-brand hanno un effetto positivo
sull'identificazione degli studenti con l’università.
H2. L'identificazione universitaria ha un impatto
positivo sulle intenzioni di advocacy. Suggerimenti per il
miglioramento sono informazioni, opinioni e idee che gli studenti
condividono volontariamente e che aiutano l'università a migliorare il
processo di creazione del servizio e fornire un servizio migliore agli
studenti (Groth et al. 2004).
H3. L'identificazione universitaria ha un impatto
positivo sui suggerimenti per il miglioramento. L'affiliazione si verifica
quando gli studenti comunicano agli altri il loro rapporto con
un'università attraverso la visualizzazione del logo dell'università,
delle etichette universitarie e del merchandising universitario.
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

H4. L’identificazione universitaria ha un impatto


positivo sull'affiliazione all'università. La partecipazione nelle future
attività universitarie si riferisce alla preparazione degli studenti a
partecipare a eventi universitari e alla partecipazione ad attività
sponsorizzate dall'università.
H5. L’identificazione universitaria ha un impatto
positivo sulla partecipazione nelle future attività universitarie.
Una ricerca precedente indica che l'identificazione
dovrebbe essere un fattore predittivo affidabile dell'intenzione
dell’abbandono dell’ateneo (Willcoxson, 2010). Questo costrutto è stato
scelto perché è rilevante per le università perché prevede l'intenzione
dello studente di lasciare o cambiare l'università in futuro.
Un'appropriata gestione delle relazioni con gli studenti dovrebbe
consentire all'università di prevenire la perdita degli studenti.
H6. L’intenzione del turnover dovrebbe essere
negativamente associata all'identificazione studente-università,
inoltre i comportamenti extra ruolo dovrebbero avere effetti
sull'intenzione al turnover.
La Fig. 1 mostra il modello ipotizzato che
considera gli antecedenti dell'identificazione universitaria e il suo
effetto sugli studenti.
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

3. METODO
La ricerca è condotta nel contesto dell'istruzione
superiore, in un'università italiana. Al fine di soddisfare il nostro scopo
di ricerca, inizialmente abbiamo assemblato un questionario
utilizzando elementi di misurazione provenienti dalla letteratura
esistente e adattati al contesto educativo.
Il questionario del sondaggio è stato
somministrato nelle aule sotto la supervisione di un membro del team.
Gli studenti sono stati inoltre istruiti sul fatto che il questionario
riguardava la loro esperienza universitaria complessiva e non una
classe specifica. Il campione presente è composto da 338 studenti
universitari. Hanno preso parte al presente studio su base volontaria.
Sono stati restituiti 338 questionari, che rappresentano un tasso di
risposta del 100%. Da un campione iniziale, sono stati scartati 5
questionari a causa di valori mancanti, lasciando un campione finale di
333. Il campione comprendeva 145 maschi (43,5%) e 188 femmine
(56,5%), compresi tra 19 e 45 anni con un età media di 22.
Undici variabili sono state considerate in questa
ricerca, nove di esse sono continue, le altre due sono esaminate come
variabili discrete.
Tutti gli item prevedevano una scala Likert di
risposta a cinque punti che variava da 1 = fortemente in disaccordo a 5
= fortemente d'accordo. Il questionario è stato originariamente scritto
in inglese e poi tradotto in lingua italiana. La validità di facciata e la
validità del contenuto delle misure sono valutate da tre membri del
personale accademico e uno studente di dottorato. Inoltre, sono stati
valutati gli elementi di misurazione e il questionario del sondaggio per
completezza, formulazione, chiarezza, struttura e adeguatezza degli
item.
L’intenzione di cambiare o lasciare la facoltà,
interpretata come componente dell'intenzione del turnover, è stata
misurata attraverso due item secondo gli studi di Hom, Griffeth e
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

Sellaro (1984) e adattati al contesto universitario. Più specificamente,


al fine di valutare l’intenzione di cambiare la facoltà è stato chiesto
"Quanto spesso ho intenzione di cambiare questa università?". Per
valutare l’intenzione di lasciare la facoltà è stato chiesto "Quanto
spesso ho intenzione di lasciare l'università dopo la laurea?". Le
risposte sono state date su scala temporale (da 1 = "mai" a 5 =
"sempre").
In questo studio sono state calcolate tutte le
variabili medie e le deviazioni standard. L'affidabilità delle scale è
stata testata con il valore alfa di Cronbach (α), considerando il valore
accettabile da .60 (Ponterotto & Ruckdeschel, 2007; Robinson, Shaver
& Wrightsman, 1991), poiché gli strumenti adottati in questa ricerca
sono caratterizzati da pochi item (Schwartz et al., 2001). La coerenza
interna di ciascuna scala è stata valutata esaminando l'affidabilità
composita (CR). Il valore di CR .70 o superiore è stato considerato
accettabile (Fornell & Larcker, 1981). La validità convergente e
discriminante di ciascuna scala è stata valutata esaminando la
varianza media estratta (AVE). La validità convergente è considerata
accettabile quando l'AVE della variabile latente è almeno .50. Per la
validità discriminante, l'AVE dovrebbe essere maggiore della sua
correlazione al quadrato con qualsiasi altra variabile latente (Fornell
& Larcker, 1981). L'associazione tra tutte le 11 variabili è stata
verificata attraverso la correlazione Spearman di rho (ρ) per le misure
non parametriche dato che l’intenzione di cambiare o abbandonare la
facoltà sono entrambe misurate con un solo item rispettivamente, e
quindi esprimono un punteggio non continuo ma discreto. Le relazioni
di causalità tra le variabili sono state valutate utilizzando un modello
di regressione lineare (multiplo quando necessario). Una Path Analysis
è stata condotta utilizzando i SEM (Structural Equations Models), con
il metodo della soluzione di massima verosimiglianza, utilizzando il
Structural Equations Program (EQS 6.1) (Bentler, 1995) per la verifica
del modello ipotetico di fig.1. Per quanto riguarda gli indici di
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

adattabilità, l'indice di adattamento comparativo (CFI, Bentler, 1989,


1990) e l'indice di adattamento non normato (NNFI, Bentler & Bonett,
1980; Tucker & Lewis, 1973) sono stati considerati tra 90 e 1.00. Sono
stati osservati anche i valori di χ2, dei gradi di libertà e di
significatività (Bentler, 1989, 1990). Per quanto riguarda Error of
Approximation (RMSEA) e Root Mean Square i valori uguali o inferiori
a .08 (Steiger, 1989) sono stati considerati accettabili. Inoltre, sono
stato considerati accettabili valore compresi tra 0,90 e 1,00 dell'Indice
di qualità (GFI) e tra 0,85 e 1,00 per l'Indice di bontà adattato (AGFI)
(Bentler, 1989, 1990). Il test Sobel è stato utilizzato per verificare il
ruolo mediatore delle variabili (Sobel 1982).
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

4. RISULTATI
Si riportano di seguito le tabelle e le figure che riassumono i risultati
ottenuti.

Table 2 – Descriptive statistics, correlations and validation measures


3. 4. 5. 6. 11.
M (SD) α CR 1. 2. 7. (UI) 8. (AD) 9. (IM) 10. (UA)
(PER) (KNO) (PRE) (SBC) (PFA)
2.36
1. Change faculty - - -
(1.32)
3.78
2. Leave faculty - - .32*** -
(1.30)
3. (PER) University brand personality 3.26 (.66) .71 .83 -.22*** -.18** (.55) 0,20 0,20 0,12 0,05 0,24 0,01 0,04 0,03
4. (KNO) University brand knowledge 3.14 (.66) .60 .81 -.17** -.12* .45*** (.52) 0,25 0,18 0,07 0,27 0,00 0,03 0,03
5. (PRE) University brand prestige 2.96 (.86) .76 .90 -.25*** -.28*** .45*** .50*** (.70) 0,22 0,25 0,44 0,00 0,06 0,10
6. (SBC) Self-brand connection 3.13 (.82) .90 .94 -.26*** -.18** .34*** .43*** .47*** (.83) 0,18 0,30 0,03 0,09 0,20
7. (UI) Student-university identification 3.01 (.91) .63 .80 -.19** -.14* .23*** .27*** .50*** .43*** (.57) 0,30 0,02 0,12 0,04
8. (AD) Advocacy intentions 2.84 (.96) .87 .95 -.36*** -.31*** .49*** .52*** .66*** .55*** .55*** (.81) 0,01 0,08 0,12
9. (IM) Suggestions for university
4.10 (.82) .80 .92 -.11* .06 -.09 .06 .02 .16** .14** .08 (.73) 0,03 0,04
improvements
2.51
10. (UA) Affiliation with university .78 .91 -.10 -.03 .20*** .18** .25*** .30*** .34*** .29*** .18** (.77) 0,13
(1.22)
11. (PFA) Participation in future university 3.12 * *** ** ** *** ** *** *** *** ***
.60 .68 -.12 -.27 .17 .18 .32 .45 .21 .34 .20 .36 (.51)
activities (1.01)
Notes. *=p<.05; **=p<.01; ***=p<.001. α = Chronbach’s alpha values. CR= Composite Reliability. AVE’s values are reported in brackets. Below the diagonal are the Spearman
correlations of the constructs, above the diagonal are shown the squares of the correlations between constructs.

Table 3 – Relationship between identification antecedents and its outcomes

Dependent Variable Predictors R2 β Sig.


Student-university identification (UI) .31(adj)
University brand prestige (UPR) .44 .000
Self brand connection (SBC) .26 .000
University brand knowledge (UK) -.05 .360
University brand personality (UP) -.03 .532
Advocacy intentions (AD) .30
Student-university identification (UI) .55 .000
Affiliation .11
Student-university identification (UI) .32 .000
Participation in future activity .05
Student-university identification (UI) .21 .000
Suggestions for University improvements ,04
Student-university identification (UI) .20 .000
Gianfranco Cicotto Il ruolo dell’identificazione universitaria

Figure 2 – Final Path Model

2
R =.16
UPR CHANGE

+.43 +.51 2
R2=.31 R =.57 -.55
UI AD

+.27
-.40 2
R =.09
+.30
SBC LEAVE

Table 5 – Fit index of Final Path Model

Fit index χ2 (df) p-value CFI RMSEA NFI NNFI GFI AGFI
Values 28.09 (15) .01 .96 .08 .95 .97 .97 .92
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


preso in considerazione un caso scientifico esaminandone: gli obiettivi
di ricerca, l’analisi della letteratura che determina la teoria sottostante
alle scelte degli strumenti e delle analisi psicometriche, quali siano le
procedure e il metodo della ricerca e dell’uso degli strumenti
psicometrici, quali questionari sono utilizzati e che caratteristiche
psicometriche possiedono, quali caratteristiche possiede il campione di
riferimento, quali analisi psicometriche sono compiute e perché, e,
infine, come si espongono e come si commentano e si discutono i
risultati.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

1. ABSTRACT
La ricerca che studia la relazione tra famiglia e ambiti lavorativi
si è tradizionalmente focalizzata sugli aspetti negativi della relazione
lavoro-famiglia. Tuttavia, negli ultimi 15 anni diversi studi si sono
concentrati anche sugli aspetti positivi delle relazioni tra famiglia e
lavoro e sulle interazioni tra l'interfaccia lavoro-famiglia e dei suoi esiti
come la soddisfazione sia lavorativa che della vita. Questi studi di
ricerca hanno permesso di catturare diversi aspetti della relazione tra
vita familiare e lavorativa e di chiarire la natura specifica di queste
interazioni.

Nel presente studio, effettuato in una pubblica amministrazione


italiana, abbiamo testato un modello che ha incluso interazioni positive
e negative tra lavoro e famiglia come fattori predittivi della
soddisfazione del lavoro e della soddisfazione della vita. Abbiamo anche
esaminato il ruolo di alcuni dei potenziali mediatori (impegno
lavorativo, supporto organizzativo e familiare) di queste relazioni,
utilizzando un campione di 427 dipendenti.

In questa analisi si è dapprima testata la struttura fattoriale del


questionario che misura l'interfaccia famiglia-lavoro (Kinnunen et al.,
Scandinavian Journal of Psychology, 47, 149-162, 2006). L'analisi
fattoriale ha confermato un modello a quattro fattori: un'interfaccia
lavoro-famiglia negativa, un'interfaccia famiglia-lavoro negativa,
un'interfaccia positiva lavoro-famiglia e un'interfaccia positiva
famiglia-lavoro. In secondo luogo, abbiamo analizzato la relazione tra
l'interfaccia lavoro-famiglia, la soddisfazione lavorativa e la
soddisfazione della vita.

Attraverso una Path Analysis si è rilevato che i fattori coinvolti


nell'interfaccia lavoro-famiglia influenzavano direttamente e
indirettamente la soddisfazione della vita, la soddisfazione sul lavoro e
l’engagement.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

Questa analisi ha anche dimostrato che il coinvolgimento


lavorativo ha avuto un forte effetto diretto sulla soddisfazione del
lavoro e un diretto effetto debole sulla soddisfazione della vita.

Questo modello di risultati è coerente con una sequenza causale


in cui l'interfaccia lavoro-famiglia (WIF) e l'interfaccia famiglia-lavoro
(FIW) possono aumentare o ridurre un dominio specifico della
soddisfazione.

I risultati evidenziano l'importanza di utilizzare un modello


teorico ed empirico che si integri e si concentra su entrambi gli aspetti
positivi e negativi del rapporto lavoro-famiglia. Inoltre, questo modello
dimostra le potenziali conseguenze di questa influenza sulla vita
lavorativa dei dipendenti e sul benessere generale.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

2. ANALISI DELLA LETTERATURA


Piuttosto che l'idea di un conflitto inter-ruolo, diversi studi
hanno introdotto una prospettiva focalizzata sul concetto di
miglioramento, facendo riferimento alle risorse sociali e psicologiche
acquisite attraverso la partecipazione a più ruoli di vita (Ruderman et
al., 2002). Questa prospettiva suggerisce che la partecipazione a più
ruoli offre un numero maggiore di opportunità e risorse all'individuo
che possono essere utilizzate per promuovere la crescita e un migliore
funzionamento in altri ambiti della vita (Barnett 1998), e quindi fornirà
agli individui esperienze arricchenti (Rothbard 2001).

Questi studi di ricerca hanno permesso di catturare diversi


aspetti delle relazioni positive tra vita familiare e lavorativa.
Sosteniamo che l'uso dell'espressione "interfaccia lavoro familiare" sia
più accurato e più adeguato per descrivere un campo di ricerca senza
precludere la possibilità che la natura dello scambio tra i due domini
può essere sia positiva che negativa. Analizzando la vasta letteratura
su questo argomento, troviamo che, sebbene i dati empirici mostrino un
effetto positivo che può venire dalla famiglia al contesto lavorativo (o
viceversa), in molti casi il termine "conflitto" è stato usato come
sinonimo di "Relazione". Secondo noi, l'influenza dell'approccio
riduzionista basato sulla teoria dei conflitti, che ha caratterizzato per
molti anni la ricerca sul rapporto lavoro-famiglia, ha portato i
ricercatori a considerare la partecipazione a più ruoli di vita come
potenziale causa di conflitto e a sottovalutare - o trascurare - ciò che è
stato rivelato dalla prospettiva del miglioramento del ruolo, cioè la
possibilità di uno scambio benefico tra di loro.

Assumiamo che sia necessario integrare gli approcci al fine di


articolare un modello multidimensionale di relazioni lavoro-famiglia
che considera sia le influenze negative che quelle positive (Frone 2003).
Consideriamo queste premesse più adeguate a rivelare la complessità
dell'interazione tra lavoro e ruoli familiari e, a nostro avviso, dovrebbe
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

essere il quadro di nuovi studi che chiariscono la natura specifica di


queste interazioni.

La nostra ricerca è condotta all'interno di questo quadro teorico


e, in accordo con altri ricercatori (ad esempio, Frone 2003, Geurts et al.,
2003, Grzywacz e Marks 2000, Kinnunen et al., 2006), abbiamo definito
le relazioni tra lavoro e famiglia come "interfaccia" e abbiamo
analizzato sia le influenze positive e negative del lavoro sulla famiglia
(WIF) sia le influenze positive e negative della famiglia sul lavoro
(FIW).

Il principale contributo teorico ed empirico del nostro lavoro è


quello di studiare un modello complesso dell'interfaccia lavoro-famiglia
in relazione alla dimensione importante della qualità della vita
individuale in termini di soddisfazione lavorativa e soddisfazione della
vita.

Gli obiettivi della nostra ricerca sono di analizzare la struttura


del questionario che misura l'interfaccia lavoro-famiglia (Kinnunen et
al., 2006) e di analizzare le relazioni tra l'interfaccia lavoro-famiglia e
la soddisfazione della vita e lavorativa.

La conferma di un modello a quattro fattori dimostrerebbe


l'esistenza di entrambi gli aspetti positivi e negativi dell'interazione
lavoro-famiglia e famiglia-lavoro, e sosterrebbe l'uso di un modello
complesso nello studio di questo argomento (Frone 2003; Geurts and
Demerouti 2003; Wagena e Geurts 2000).

Partendo da queste premesse abbiamo formulato la seguente


ipotesi:

H1: Che la misura sviluppata da Kinnunen et al. (2006)


conferma la struttura fattoriale a 4 fattori.

In secondo luogo, poiché alcuni studi hanno rivelato che gli esiti
positivi della relazione famiglia-lavoro sono stati sottovalutati,
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

verifichiamo l'ipotesi che i risultati positivi siano associati a


un'interfaccia positiva, con la mediazione delle stesse dimensioni
cruciali. Testiamo questa ipotesi in relazione a due delle principali
variabili prese in considerazione dalla ricerca sul rapporto lavoro-
famiglia, che sono la soddisfazione lavorativa e la soddisfazione della
vita.

Nelle seguenti sezioni teoriche esaminiamo criticamente la


letteratura sulla relazione tra interfaccia lavoro-famiglia, lavoro e
soddisfazione della vita e chiariamo il ruolo di alcuni potenziali
moderatori (engagement e supporto organizzativo e familiare).

Al fine di verificare la prima ipotesi e le altre illustrate nelle


sezioni seguenti, abbiamo condotto uno studio di ricerca che ha
coinvolto tutti i 427 dipendenti italiani che lavorano in
un'organizzazione di pubblica amministrazione. I risultati chiariscono
le relazioni tra l'interfaccia lavoro-famiglia, la soddisfazione lavorativa
e di vita e alcune variabili correlate.

Rapporto famiglia-lavoro e soddisfazione lavorativa

Come discusso in precedenza, la ricerca si è concentrata


tipicamente sugli aspetti negativi del rapporto lavoro-famiglia, e poiché
è stata introdotta la costruzione del conflitto famiglia-lavoro, un ampio
corpo di letteratura ha rivelato i suoi effetti negativi sugli individui e
le loro organizzazioni (ad esempio, Amstad et al., 2011, Ford et al.,
2007).

Tra i diversi risultati relativi al lavoro, la soddisfazione sul


lavoro è la variabile che ha attratto la maggior parte della ricerca, che
è stata frequentemente correlata al conflitto famiglia-lavoro (vedi le
meta-analisi di Allen et al., 2000; Kossek e Ozeki 1998). Nonostante
alcuni studi non abbiano trovato alcuna relazione tra soddisfazione
lavorativa e conflitto lavoro-famiglia (ad esempio, Aryee et al., 1999),
vi è accordo sul fatto che il conflitto lavoro-famiglia è legato alla
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

soddisfazione lavorativa (ad esempio, Bruck et al., 2002 ), e la maggior


parte degli studi ha riportato una relazione significativa tra conflitto
tra lavoro/famiglia e soddisfazione lavorativa con diversi campioni (ad
esempio, Allen et al., 2000). Tuttavia, vi è un dibattito su come le due
direzioni di lavoro - conflitto lavoro-famiglia (WIF) e famiglia-lavoro
(FIW) - influenzino la soddisfazione lavorativa (Grandey et al., 2005).

Secondo questa premessa, le nostre ipotesi erano:

H2: WIF negativo e FIW negativo, sono negativamente correlati


alla soddisfazione lavorativa dei dipendenti;

H3: positivo WIF e positivo FIW, sono positivamente correlati


alla soddisfazione del lavoro dei dipendenti.

La soddisfazione della vita è la variabile che è più spesso


associata alla relazione lavoro-famiglia (es. Hill 20059), ed è stata
oggetto di numerosi studi empirici. Diversi studi hanno predetto che il
conflitto famiglia-lavoro e il conflitto tra lavoro e famiglia sono
negativamente correlati alla soddisfazione della vita, e hanno rivelato
che quando le persone sperimentano un conflitto crescente tra i loro
ruoli e responsabilità in entrambi i campi di lavoro e famiglia la loro
soddisfazione di vita diminuisce (Treistman 2004).

L'interazione positiva tra rapporto lavoro-famiglia e


soddisfazione di vita non è stata sufficientemente studiata. I pochi
studi condotti hanno rilevato che l’interfaccia lavoro/famiglia è
correlata positivamente alla soddisfazione della vita e negativamente
correlata allo stress individuale; inoltre, l’interfaccia famiglia/lavoro è
positivamente correlata alla soddisfazione della vita (Ford et al., 2007).

Coerentemente con questi presupposti, il presente studio si


propone di esaminare la relazione tra l'interfaccia lavoro-famiglia
(positiva e negativa) e l'interfaccia famiglia-lavoro (positiva e negativa)
e la soddisfazione di vita.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

Secondo queste premesse, le ipotesi sono:

H4: WIF e l'FIW negativi, sono negativamente correlati alla


soddisfazione della vita dei dipendenti;

H5: WIF e FIW positivi, sono positivamente correlati alla


soddisfazione della vita dei dipendenti.

Il supporto familiare e organizzativo hanno dimostrato di essere


fattori significativi che intervengono nella relazione lavoro-famiglia (ad
es. Carlson e Perrewe 199911). Il sostegno sociale riduce la tensione e
gli effetti dei fattori di stress (Viswesvaran et al., 1999) e riduce la
probabilità che i domini di lavoro (familiari) siano percepiti come
stressanti, riducendo il conflitto famiglia-lavoro (Carlson e Perrewe
1999). Le percezioni dei dipendenti di una cultura favorevole alla
famiglia riducono il conflitto famiglia-lavoro (ad esempio, Shockley e
Allen, 2007 12). Inoltre, il supporto sociale percepito è un potenziale
moderatore della relazione tra conflitto lavoro-famiglia e soddisfazioni
specifiche del dominio (Mullen et al., 2008).

Poiché questi risultati dimostrano una potenziale interazione


positiva tra i due domini, il ruolo della famiglia e il supporto
organizzativo dovrebbero essere presi in considerazione al fine di
analizzare la relazione tra famiglia e lavoro.

Pertanto, nel presente studio, il coinvolgimento lavorativo è


stato anche esaminato come un potenziale mediatore della relazione
tra aspetti negativi e positivi dell’interfaccia famiglia lavoro e domini
di soddisfazione.

Le informazioni su questi potenziali mediatori della relazione


lavoro-famiglia possono chiarire l'impatto negativo e positivo
dell'interfaccia lavoro-famiglia e famiglia-lavoro sulla soddisfazione
della vita e lavorativa.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

Per quanto riguarda il ruolo di supporto familiare e


organizzativo e l'impegno lavorativo, la nostra ipotesi è:

H6: Il coinvolgimento lavorativo e il supporto organizzativo e


familiare sono in grado di mediare la relazione tra WIF / FIW e
soddisfazione lavorativa / vita.

Le influenze negative della famiglia sul lavoro e il lavoro in


famiglia hanno effetti significativi su variabili strettamente correlate
alla qualità della vita delle persone.

Le variabili endogene sono:

Soddisfazione lavorativa. Stato emotivo positivo derivante dalla


valutazione della propria esperienza lavorativa.

Soddisfazione della vita. Valutazione cognitiva della qualità


delle proprie esperienze che abbracciano l'intera vita di un individuo.

Abbiamo deciso di considerare la soddisfazione della vita e


lavorativa come variabili endogene perché, in accordo con le ricerche
analizzate, riteniamo che queste variabili, che contribuiscono in modo
importante alla percezione del benessere soggettivo, siano influenzate
dal lavoro-famiglia interfaccia.

I mediatori sono:

Supporto familiare. Percezione della vicinanza emotiva


familiare e dell'aiuto strumentale offerto dai familiari nel lavoro
domestico.

Supporto organizzativo. Supporto percepito da colleghi e


supervisori nella gestione delle attività familiari.

Work engagement. Un tipo di coinvolgimento del lavoro


funzionale in cui gli impiegati lavorano duramente perché trovano
piacere a farlo con uno stato mentale positivo basato sul lavoro che è
caratterizzato da vigore, dedizione e assorbimento.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

Abbiamo deciso di considerare il supporto organizzativo e


familiare e l'engagement come mediatori perché, in accordo con le
ricerche analizzate, riteniamo che queste variabili possano avere un
ruolo centrale nel determinare l'intensità degli effetti dell'interfaccia
sul lavoro e sulla soddisfazione della vita.

Gli effetti positivi della vita familiare sulla vita lavorativa, ad


esempio, possono influenzare il lavoro e la soddisfazione della vita di
più quando i lavoratori si percepiscono essere coinvolti e supportati
dalla loro famiglia, colleghi e supervisori.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

3. METODO
I partecipanti al nostro studio erano tutti dipendenti di
un'organizzazione di una pubblica amministrazione che si occupa di
un'ampia gamma di compiti amministrativi e di servizi nel campo
dell'agricoltura e dello sviluppo rurale. L'organizzazione analizzata
promuove lo sviluppo integrato delle aree rurali e la compatibilità
ambientale delle attività agricole attraverso il supporto della
multifunzionalità organizzativa, della specificità territoriale, delle
produzioni di qualità e della competitività nei mercati.

Questa organizzazione è divisa in quattro dipartimenti che sono


gestiti da un responsabile di reparto; i dipartimenti sono suddivisi in
12 servizi generali. Tutti i servizi sono diretti da due middle manager;
lavoratori manuali, operatori amministrativi e specialisti lavorano in
ogni servizio.

Questa studio è il risultato di una collaborazione tra il nostro


gruppo di ricerca e l'organizzazione.

Il questionario è stato distribuito a tutti i 600 dipendenti e il 73%


è stato restituito compilato, e sono risultati 427 questionari utilizzabili.
L'analisi dei dati è stata condotta solo su quei partecipanti che avevano
risposto in pieno alle domande del sondaggio riguardanti la loro vita
lavorativa e familiare (n = 427).

Le scale di misura

Supporto familiare. Il sostegno percepito nella propria famiglia


è stato misurato attraverso due item (adattati dallo studio di King et
al., 1995). Due item hanno valutato in modo specifico il supporto
emotivo e concreto: gli item sono valutati su una scala di valutazione a
cinque punti che va da 0 ('mai') a 5 ('sempre').

Supporto organizzativo. I partecipanti allo studio hanno riferito


sull'entità del supporto organizzativo percepito nel proprio luogo di
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

lavoro. Il supporto organizzativo è stato misurato con due item


(adattati dallo studio di Clark 2001) in cui agli intervistati è stato
chiesto se il loro supervisore e i suoi colleghi capissero le loro richieste
familiari. Gli item sono valutati su una scala di valutazione a cinque
punti che va da 0 ('mai') a5 ('sempre').

Soddisfazione lavorativa. La soddisfazione lavorativa è stata


misurata utilizzando la scala di Judge (1998). La soddisfazione
lavorativa è stata misurata con cinque item. Gli intervistati hanno
valutato le loro percezioni di soddisfazione riguardo al loro attuale
lavoro su una scala di risposta da 1 a 7 (1 = fortemente in disaccordo, 7
= fortemente d'accordo).

Work Engagement. Il livello di coinvolgimento lavorativo che


porta i dipendenti a impegnarsi maggiormente nelle proprie attività
lavorative è stato valutato dalla UWES (Utrecht Work Engagement
Scale), sviluppata da Schaufeli et al. (2002), e che è stato recentemente
convalidato in Italia (vedi Balducci et al., 2010) (UWES-9). Ricerche
precedenti hanno dimostrato che l'UWES ha consistenze interne
soddisfacenti (Hakanen et al., 2006). Tutti gli item sono valutati su una
scala di valutazione a sette punti che va da 0 ('mai') a 6 ('giornaliero').

Interfaccia lavoro-famiglia Le dimensioni del lavoro e della


famiglia sono state valutate con 14 item che misurano quattro diverse
dimensioni teoriche (Kinnunen et al., 2006):

l'influenza negativa del lavoro sulla famiglia,

l'influenza negativa della famiglia sul lavoro,

l'influenza positiva del lavoro sulla famiglia

l'influenza positiva del lavoro famiglia sul lavoro .

Otto item relativi all'influenza negativa del lavoro sulla famiglia


e la famiglia sul lavoro sono state adattate dal lavoro di Frone e colleghi
(1992a) e Netemeyer e colleghi (1996). In questi item, sia il tempo che
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

la deformazione sono il meccanismo con cui avviene lo spillover da un


dominio all'altro.

Lo spillover positivo dal lavoro alla famiglia e dalla famiglia al


lavoro è stato misurato attraverso 6 item sulla base del Work
Interaction Survey di Nijmegen (SWING, Wagena e Geurts 2000). Il
meccanismo di ricaduta, su cui si basano questi elementi, può implicare
umore, abilità o comportamento positivi.

Le categorie di risposta per tutti gli item variavano da 1 ('mai')


a 5 ('molto spesso').

Soddisfazione per la vita. La soddisfazione per la vita è stata


valutata attraverso il singolo item sviluppato da Lance et al. (1989). Ai
partecipanti è stato richiesto di indicare la loro soddisfazione di vita su
una scala di valutazione di 10 punti che va da "molto insoddisfatto" (1)
a "molto soddisfatto" (10).

Per verificare le ipotesi, abbiamo condotto un'analisi fattoriale


esplorativa (EFA) utilizzando il software SPSS e un'analisi fattoriale
di conferma (CFA) e analisi del percorso utilizzando il software EQS
(Bentler 1995).

Il nostro campione di 427 partecipanti è stato diviso in tre


sottocampioni di soggetti scelti a caso. Abbiamo usato il primo
sottocampione per condurre l'analisi fattoriale esplorativa (N = 113), il
secondo sottocampione (N = 120) per condurre l'analisi fattoriale
confermativa e il terzo sottocampione (N = 194) per condurre la Path
Analysis e l'analisi di correlazione .

Abbiamo prima condotto una serie di EFA per valutare la


dimensionalità delle scale. L'EFA è un metodo per spiegare le
correlazioni tra le variabili in termini di entità fondamentali chiamate
fattori (Cudeck 2000). Abbiamo utilizzato il metodo di estrazione dei
componenti principali per EFA con la rotazione obliqua poiché le
dimensioni sono teoricamente correlate l'una con l'altra (Cudeck 2000).
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

La Path Analysis e fattoriale confermativa sono state condotte


utilizzando i modelli di Equazioni Strutturali (SEM) con il metodo di
stima della massima verosimiglianza.

La consistenza interna di ciascuna scala è misurata attraverso


l'alfa di Cronbach. La correlazione tra le variabili è stata calcolata
utilizzando il coefficiente r di Pearson.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

4. RISULTATI
È stato testato il modello a quattro fattori della scala
dell'interfaccia famiglia-lavoro, che ha visto l’eliminazione dell’item 9.
I risultati finali del modello di equazioni strutturali dell’analisi
fattoriale confermativa è riportata in figura.

La consistenza interna delle scale ha dato i risultati riportati in


tabella.

Scale Alfa di Cronbach


Supporto familiare .61
Work Engagement .95
Soddisfazione lavorativa .83
NegWIF .86
NegWIF .85
PosWIF 69
PosFIW .73

L’analisi confermativa ha dato i seguenti indici di fit ed è stata


confermata la struttura a 4 fattori con 13 item finali.

Measurement p-
2 (df) 2/df CFI RMSEA NNFI GFI AGFI
Model value
 
81.662
.027 1.38 .97 .05 .95 .91 .86
(59)

Per chiarire le relazioni tra le principali variabili dello studio è


stata fatta un'analisi correlazionale utilizzando il coefficiente di
Pearson, i risultati sono esposti in tabella, dove il supporto lavorativo
è stato scisso tra colleghi e capi.

Seguono i risultati delle analisi dei modelli di equazioni


strutturali e la figura del modello finale confermato.
Gianfranco Cicotto Interfaccia famiglia lavoro

Il modello ipotizzato e i modelli alternativi (1 e 2) della Path


Analysis erano caratterizzati da un indice di inadeguatezza. Da questi
risultati, sembra che la rete di influenze poste nel modello finale sia
quella che meglio si adatta ai dati. Rappresenta un migliore equilibrio
tra bontà di adattamento e potere esplicativo rispetto alle relazioni
ipotizzate nei modelli alternativi.

Le quattro dimensioni dell'interfaccia (NegWIF, NegFIW,


PosWIF, PosFIW) influenzano direttamente l’Engagement. Queste
influenze spiegano il 30% della varianza dell’engagement (R2 = .301).

Le variabili NegWIF e PosWIF influiscono sulla soddisfazione


del lavoro. L'influenza di queste variabili spiega il 71,4% della varianza
(R2 = 0,714).

Le variabili NegFIW (β = -. 156) e PosFIW (β = .033) influenzano


la soddisfazione della vita. L'influenza di queste variabili spiega l'8,3%
della varianza (R2 = .083).

È stato usato il Sobel Test (Sobel 1982) per verificare il ruolo di


mediatore dell’Engagement. Lo è per PosFIW sulla soddisfazione della
vita (z = 3.05; p <.05), per NegWIF sulla soddisfazione lavorativa (z =
2.76; p <.001) e per PosWIF sulla soddisfazione lavorativa (z = 6.61; p
< .001). Il livello di Engagement non modifica l'effetto del NegFIW sulla
soddisfazione della vita.
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


preso in considerazione un articolo scientifico esaminandone: gli
obiettivi di ricerca, l’analisi della letteratura che determina la teoria
sottostante alle scelte degli strumenti e delle analisi psicometriche,
quali siano le procedure e il metodo della ricerca e dell’uso degli
strumenti psicometrici, quali questionari sono utilizzati e che
caratteristiche psicometriche possiedono, quali caratteristiche possiede
il campione di riferimento, quali analisi psicometriche sono compiute e
perché, e, infine, come si espongono e come si commentano e si
discutono i risultati.
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

1. ABSTRACT
Negli ultimi decenni, le scuole italiane sono state caratterizzate
da continui cambiamenti, a seguito di profonde transizioni che hanno
influenzato lo sviluppo politico, sociale ed economico.
Questo studio esamina la relazione tra stress lavorativo,
soddisfazione lavorativa e salute fisica negli insegnanti italiani. Nello
specifico, il nostro obiettivo è studiare il ruolo della soddisfazione
lavorativa come possibile ruolo di mediazione tra i fattori stressogeni
del lavoro e i suoi effetti sulla salute fisica degli insegnanti (sintomi
fisici) oltre a valutare gli effetti diretti dei fattori di stress del lavoro
sugli esiti (sintomi fisici).
I dati sono stati raccolti tramite un questionario di un campione
di 565 insegnanti che lavorano in diverse scuole secondarie in Italia, il
quale consisteva di item che misuravano le difficoltà lavorative
percepite, la soddisfazione sul lavoro e i sintomi fisici.
I risultati hanno mostrato che il carico di lavoro, la percezione
dell'ambiente di lavoro, le percezioni degli insegnanti del dirigente
scolastico e l'atteggiamento al cambiamento sono specifiche difficoltà
percepite dagli insegnanti italiani coinvolti nello studio.
In particolare, il carico di lavoro e l'atteggiamento al
cambiamento hanno effetti diretti significativi sui sintomi fisici e effetti
indiretti sui sintomi fisici attraverso l'insoddisfazione. Inoltre, si è visto
come la soddisfazione sul lavoro diminuisce i sintomi fisici.
I risultati suggeriscono importanti implicazioni per la
prevenzione dello stress negli insegnanti. In effetti, il livello di stress e
le sue conseguenze possono essere ridotti e prevenuti attraverso
un'accurata identificazione delle fonti, con un effetto positivo sulla
salute individuale e organizzativa.
Introduciamoci nello studio.
L'esperienza dello stress lavorativo in relazione a diverse professioni è
stata oggetto di una grande quantità di interesse per la ricerca
sull'argomento che non mostra alcun segno di declino e diversi studi
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

hanno identificato l'insegnamento come un'occupazione


particolarmente stressante (Chaplain, 2008; Guglielmi, Simbula, &
Depolo, 2009; Johnson et al., 2005; McShane & Von Glinow, 2005;
Montgomery & Rupp, 2005; Pithers, 1995; Travers & Cooper, 1993).
Lo scopo di questo lavoro è investigare insieme i fattori di stress,
soddisfazione lavorativa e sintomi fisici nel contesto scolastico italiano,
al fine di contribuire alla discussione scientifica sullo stress
professionale degli insegnanti attraverso la presentazione di uno studio
empirico che può offrire interessanti applicazioni. Il presente
documento descrive i primi risultati di una ricerca-azione
commissionata agli autori da un ufficio di educazione territoriale che,
tra l'altro, è responsabile della ricognizione delle esigenze formative
degli operatori scolastici e promuove le attività di apprendimento per i
dirigenti scolastici e gli insegnanti. La ricerca ha coinvolto i maestri e
gli insegnanti che lavorano in 20 diverse scuole secondarie superiori in
Italia, secondo l'ipotesi che nella valutazione professionale sottolinea
che è importante tenere in considerazione le caratteristiche specifiche
del contesto (Sveinsdóttir, Biering, & Ramel, 2005), che sono
certamente ben conosciute da tutti coloro che quotidianamente si
trovano in quel contesto.Nella prima fase, questo progetto ha coinvolto
20 dirigenti, al fine di creare uno strumento per indagare le fonti di
stress del contesto scolastico, secondo il punto di vista di coloro che
gestiscono l'organizzazione scolastica. Questi strumenti sono stati
discussi anche con alcuni insegnanti interessati. Gli argomenti trattati
sono stati come percepiscono le difficoltà lavorative (che includevano
difficoltà nella comunicazione e nei rapporti con i colleghi e leader,
carico di lavoro, ambiente di lavoro e atteggiamento verso lo scambio),
soddisfazione lavorativa e disagio fisico correlato al lavoro. Nella
seconda fase, i dirigenti hanno invitato 1015 insegnanti a partecipare
a questa ricerca compilando un questionario che ha esplorato gli
argomenti precedentemente identificati dai presidi con il supporto dei
ricercatori.
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

2. ANALISI DELLA LETTERATURA


Molti studi condotti negli ultimi dieci anni hanno studiato i
fattori di stress degli insegnanti (ad esempio Brenner, Sorbom, &
Wallius, 1985; Kyriacou, 2001; Shirom, Oliver, & Stein, 2009).
Un'indagine condotta dalle associazioni degli insegnanti (ETUCE,
2007) e riportata dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul
lavoro (2008) ha individuato il carico di lavoro, il carico di ruolo, la
mancanza di supporto da parte della direzione, l'aumento del numero
di studenti e la loro grave mancanza di disciplina come fonti principali
di stress per gli insegnanti.
Studi recenti hanno scoperto che gli insegnanti sperimentano un
numero crescente di incarichi lavorativi e giornate lavorative più
frenetiche, con un conseguente minor tempo per il riposo e il recupero;
il carico di lavoro e la pressione del tempo sono combinati e sono dovuti
a una crescente domanda di pratiche burocratiche, riunioni più
frequenti, comunicazioni più frequenti con i genitori, frequenti
cambiamenti e partecipazione ad un numero di progetti di sviluppo
scolastico (Skaalvik e Skaalvik, 2010). Altri studi (Nigidi e Sibaya,
2002; Olivier & Venter, 2003; Pas, Bradshaw e Hershfeldt, 2012) hanno
scoperto che i principali antecedenti dello stress tra gli insegnanti sono
la pressione del tempo, l'ambiente di lavoro non adeguato, i problemi
amministrativi, il comportamento degli studenti e le modifiche al
sistema educativo. Riguardo a ciò, Cox, Boot, Cox e Harrison (1988)
hanno scoperto che la maggior parte degli insegnanti non sperimenta
lo stress a causa di un singolo cambiamento, ma lo registrano in
condizioni di "cambiamento dopo cambiamento", specialmente quando
hanno poco controllo. Ulteriori ricerche dimostrano che lo stress a
scuola può derivare anche da continue innovazioni che hanno pervaso
questo contesto (Wilson, 2002). Secondo Vakola e Nikolaou (2005), i
livelli di stress sperimentati in presenza di cambiamenti sono
determinati dalla percezione del cambiamento da parte delle persone.
In altre parole, i lavoratori che hanno un atteggiamento negativo nei
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

confronti del cambiamento hanno maggiori probabilità di sperimentare


elevati livelli di stress. Inoltre, secondo Kennedy e Kennedy (1999), i
livelli di stress sono determinati dalla percezione del cambiamento
degli insegnanti che può essere influenzato dal loro coinvolgimento nel
processo di cambiamento: un alto livello di coinvolgimento migliora la
percezione del cambiamento. Anche gli studi nel contesto italiano
hanno sottolineato l'importanza della percezione dell'innovazione da
parte degli insegnanti nello stress professionale (Steca, Picconi e
Gerbino, 2002).
Alcuni studi nel contesto scolastico italiano sottolineano
l'importanza dell'ambiente fisico, esempio Caprara e Steca (2002)
hanno scoperto che le percezioni negative degli insegnanti nei confronti
dell'ambiente di lavoro sono determinate da strutture percepite come
inadeguate. La percezione delle responsabilità e l'ambiguità del ruolo
sono le principali fonti di stress che caratterizzano l'attuale contesto
scolastico italiano in cui gli insegnanti si sentono sovraccaricati di
responsabilità educativa e giocano un ruolo ambiguo (Manetti, Rania e
Frattini, 2007).
La percezione del dirigente scolastico è un'altra dimensione
importante da considerare negli studi sul benessere o il disagio degli
insegnanti (Caprara, Barbaranelli, Petitta, Picconi, e Steca, 2002). La
percezione del dirigente scolastico corrisponde alla valutazione del suo
stile di dirigenza (Steca et al., 2002) e si riferisce alla valutazione del
grado in cui le diverse componenti della scuola misurano le aspettative
degli insegnanti (Caprara & Steca, 2002). Si è anche capito (Caprara et
al., 2002) che una percezione positiva del lavoro del dirigente scolastico
determina l'aumento della motivazione degli altri insegnanti, mentre
una percezione negativa può facilitare l'emergere di un disagio. La
percezione del dirigente scolastico, l'ambiente e l'innovazione
influenzano l'attaccamento scolastico degli insegnanti, il
coinvolgimento lavorativo e la soddisfazione lavorativa (Caprara et al.,
2002; Coladarci, 1992).
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

Di conseguenza, la nostra prima ipotesi


(H1) alcuni fattori di stress lavorativo, sperimentati da
insegnanti italiani intervistati come difficoltà occupazionali percepite,
sono: percezione dell'ambiente di lavoro, carico di lavoro, percezione
degli insegnanti del dirigente scolastico e atteggiamento al
cambiamento.
Numerosi studi hanno indicato che lo stress può avere effetto
indesiderato sulla salute fisica e mentale degli insegnanti. L’evidenza
suggerisce che alti livelli di stress tra gli insegnanti sono associati a
elevati livelli di turnover, bassa soddisfazione lavorativa e prestazioni
e problemi di salute (Hakanen et al., 2006; Pomaki & Anagnostopoulou,
2003; Williams & Gersch, 2004). I sintomi psicosomatici sono legati a
condizioni ambientali avverse (Yang, Ge, Hu, Chi e Wang, 2009),
ambiguità e conflitto (Manettiet al., 2007) e ad una percezione negativa
del cambiamento (Wilson, 2002; Yang et al. , 2009). Il pesante carico di
lavoro degli insegnanti tende a essere il più dannoso fattore
stressogeno per la salute (Yang et al., 2009). Diversi studi sugli
insegnanti hanno studiato la loro soddisfazione lavorativa (Akhtara,
Hashmib e Naqvic, 2010; Demirta, 2010; Duffy & Lent, 2009; Huang &
Waxman, 2009; Lent et al., 2010; Moè, Pazzaglia, & Ronconi, 2010; Nir
& Bogler, 2008; Somech & Drach-Zahavy, 2000), il loro stato di salute
(Kovess-Masféty, Rios-Seidel, e Sevilla-Dedieu, 2007), la relazione tra
stress lavorativo e soddisfazione lavorativa (Ben-Ari, Krole, e Har-
Even, 2003; Klassen & Chiu, 2010; Prick, 1989; Smith & Bourke, 1992)
e tra stress lavorativo e salute (DeFrank & Stroup, 1989; Hammen e
DeMayo, 1982; Jin, Yeung, Tang, & Low, 2008; Yanget al., 2009). La
soddisfazione lavorativa sembra avere un ruolo chiave nell'evitare
comportamenti disfunzionali all'interno della scuola ed è antecedente
alla prevenzione dello stress occupazionale anche nel contesto italiano
(Caprara, Barbaranelli, Borgogni, & Steca, 2003; Cicotto, De Simone,
Giustiniani, & Pinna , 2014). Altri studi sugli insegnanti (Akhtara et
al., 2010; Caprara, Barbaranelli, Steca, & Malone, 2006; Demirta,
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

2010; Duffy & Lent, 2009; Huang & Waxman, 2009; Lent et al., 2010;
Moè et al., 2010; Nir & Bogler, 2008; Somech & Drach-Zahavy, 2000)
hanno identificato come predittori delle loro condizioni soddisfacenti di
lavoro: opportunità di crescita, autoefficacia, e supporto. Liu e Ramsey
(2008) hanno confermato l'esistenza di una relazione diretta e negativa
tra carico di lavoro e soddisfazione lavorativa. I risultati di questi studi
dimostrano che la soddisfazione lavorativa aumenta quando i docenti
percepiscono il loro ambiente di lavoro come supportivo e che la loro
soddisfazione sul lavoro ha effetti positivi sulla soddisfazione della vita.
C'è una stretta relazione tra soddisfazione lavorativa e sintomi
psicosomatici. Ricerche precedenti hanno suggerito che l'insorgenza di
sintomi psicosomatici, in termini di stress correlato al lavoro, è anche
associata a una soddisfazione lavorativa scarsa o assente (Peltzer,
Shisana, Zuma, Van Wyk e Zungu-Dirwayi, 2009). Kovess-Masféty ed
altri (2007) hanno evidenziato il rischio per la salute mentale degli
insegnanti e hanno identificato come principali fattori di rischio la
mancanza di supporto e la paura di abusi fisici e verbali da parte di
colleghi e superiori. Vi è quindi una solida evidenza empirica che gli
stressors del lavoro sono associati alla soddisfazione lavorativa e ai
sintomi fisici. Di conseguenza ipotizziamo che
(H2) la soddisfazione sul lavoro riduce i sintomi di disagio fisico
(H3) la soddisfazione lavorativa media gli effetti dei fattori di
stress del lavoro, sperimentati dai partecipanti come difficoltà
occupazionali percepite, sui sintomi fisici.
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

3. METODO
Partendo dal presupposto che nella valutazione dello stress
lavorativo è importante tenere conto delle caratteristiche specifiche del
contesto (Sveinsdóttir et al., 2005), sono stati coinvolti i presidi, che
hanno il ruolo di gestire la scuola. Nella prima sessione di ricerca-
azione, sono stati condotti due focus group al fine di creare uno
strumento per indagare le tipiche fonti di stress scolastico in un
contesto italiano. Ogni focus group è durato due ore e ha coinvolto 20
presidi dirigenti scolastici che hanno aderito su base volontaria. Le
sessioni del focus group sono state condotte da un ricercatore e da due
osservatori.
Gli argomenti trattati sono stati: cultura organizzativa,
comunicazione, relazione con i colleghi e leader, carico di lavoro,
ambiguità di ruolo e conflitto di ruolo, ambiente di lavoro,
atteggiamento verso il cambiamento, disagio lavorativo e disagio fisico
legato al lavoro.
I partecipanti hanno così discusso di: difficoltà percepite (incluse
difficoltà di comunicazione e relazione con colleghi, carico di lavoro,
ambiente di lavoro, atteggiamento verso il cambiamento),
soddisfazione lavorativa e sintomi fisici.
Una volta scelte le dimensioni da includere nella ricerca, sono
stati scelti gli strumenti. Per la soddisfazione lavorativa e sintomi fisici
sono stati utilizzati due questionari presenti in letteratura, mentre per
la rilevazione delle difficoltà lavorative percepite, i ricercatori e i
dirigenti scolastici coinvolti hanno deciso di creare un questionario in
grado di cogliere le specificità delle scuole italiane coinvolte nella
ricerca. La scelta di un nuovo questionario (appositamente costruito dal
punto di vista degli attori) era più giustificata, dimostrando che una
familiarità con termini e concetti utilizzati quotidianamente dagli
insegnanti e dirigenti scolastici era un fattore importante per
l'intervento di ricerca-azione.
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

I fattori di stress del lavoro identificati ed etichettati come


difficoltà occupazionali percepite sono stati inclusi in 28 dichiarazioni.
Dopo un pre-test effettuato con 50 insegnanti, abbiamo raggiunto la
scala finale delle difficoltà occupazionali percepite, che consisteva di 21
affermazioni.
Si è quindi proceduto alla somministrazione dei questionari agli
insegnanti. Lo strumento di indagine è stato consegnato agli insegnanti
dai loro dirigenti scolastici. Per due settimane un'urna è stata messa a
disposizione degli insegnanti per depositare i loro questionari
compilati. I questionari sono stati poi consegnati ai ricercatori e inseriti
in un database per l’analisi dei dati. Inizialmente, il campione totale
era composto da 1015 insegnanti. In seguito, gli intervistati che non
hanno risposto ad almeno l'80% degli argomenti del questionario sono
stati eliminati, riducendo il numero di partecipanti a 742, di cui 177
uomini (23,85%) e 565 donne (76,15%). In questo studio abbiamo
selezionato solo donne (565) per l'analisi dei dati per evitare lo
sbilanciamento di genere presente e perché l’analisi delle differenze tra
uomini e donne avrebbe richiesto più insegnanti maschi.
L'età media delle 565 donne insegnanti era di 45 anni (SD =
8.57), l’anzianità organizzativa di nove anni (DS = 7,74) e l'anzianità
lavorativa nell'insegnamento era in media di 21 anni (DS = 9,02).
Il questionario si componeva di 32 item con una scala di risposta
a 5 punti. Le difficoltà di lavoro percepite dagli insegnanti sono state
misurate di 21 item. Gli insegnanti hanno risposto a ciascuna voce
indicando la frequenza del comportamento su una scala a 5 punti (1 =
mai, 5 = sempre).
Secondo l'approccio globale che valuta la soddisfazione del lavoro
in base alla reazione affettiva generale di una persona alla sua lavoro
(Spector, 1997), questo costrutto è stato misurato usando il Brief
Overall Job Satisfaction Measure II (Judge, Locke, Durham, & Kluger,
1998). Gli intervistati hanno valutato le loro percezioni di soddisfazione
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

riguardo al loro attuale lavoro su una scala di risposta da 1 a 5 (1 =


fortemente in disaccordo, 5 = fortemente d'accordo).
I dati sui sintomi fisici sono stati raccolti attraverso un
adattamento della scala di Spector and Jex (1998) rispondendo a
ciascun item sulla base delle proprie esperienze nei precedenti 12 mesi,
con una scala temporale a cinque punti (1 = mai, 5 = sempre).
Per verificare le nostre ipotesi, abbiamo condotto un'analisi
fattoriale esplorativa (EFA) utilizzando SPSS, una Confirmatory
FactorAnalysis (CFA) e una Path Analysis (PA) utilizzando il
Structural Equations Program (EQS) (Bentler, 1995). Attraverso la
randomizzazione è stato suddiviso il campione di 565 partecipanti in
due sottogruppi, secondo le seguenti percentuali: il 30% degli
intervistati è stato utilizzato per l'applicazione dell'EFA (N = 169),
mentre il restante 70% (N = 396) è stato sottoposto a analisi fattoriale
confermativa e Path Analysis.
Si sono utilizzati i seguenti criteri per gli indici di adattabilità
dei modelli di equazioni strutturali. Il CFI e il NNFI sono considerati
accettabili quando maggiori di .90 e il RMSEA quando uguale o
inferiore a .08 (Bentler, 1990; Steiger, 1990). Il GFI è considerato
accettabile quando è maggiore di .90 e inferiore a 1.00 e l'AGFI è
considerato accettabile quando maggiore di .85 e minore di 1.00
(Bentler, 1989, 1990).
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

4. RISULTATI

Dis2
0.85 E1
0.52
Dis3 0.75 E2
0.65
Physical
simptoms 0.68
Dis5 0.73 E3
0.69

Dis6 0.72 E4

Cronbach’s
Fit index χ2 (df) p-value CFI RMSEA NFI NNFI GFI AGFI
Alpha
4.58
Values .10 .98 .08 .96 .94 .98 .91 .73
(2)

Sodd1 0.72 E1

0.69
Sodd2 0.70 E2

0.71
Job 0.54 Sodd3 0.84 E3
Satisfaction
0.73

0.40
Sodd4 0.69 E4

Sodd5 0.92 E4

Cronbach’s
Fit index χ2 (df) p-value CFI RMSEA NFI NNFI GFI AGFI
Alpha
Values 7.61 (5) .17 .99 .04 .97 .98 .95 .95 .75
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

Factors
1 2 3 4
% of variance
explained 23.49 14.35 8.30 7.03
Item/ saturation
PoC5 .86
PoC7 .80
PoC2 .75
PoC4 .74
PoC1 .68
PoC6 .68
PoC3* .49
load1 .80
load3 * .69
load5 .60
load4 .58
load2 .51
amb2 .78
amb4 .73
amb3 .72
amb1 .70
Inn5 * .74
Inn4 .68
Inn2 .56
Inn3 .40
§
Inn1
Cronbach's Alpha .84 .70 .80 .75
* confirmatory Factor Analysis has excluded these items.
§
Item Inn1 was excluded because value of saturation < .4
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

PoC1 0.61 E1

0.63
PoC2 0.52 E2
0.70

Perception of PoC4 0.46 E3


0.74
senior
management 0.72 PoC5 0.48 E4

0.60
PoC6 0.64 E5
0.76

PoC7 0.43 E6

Inn2 0.46 E7
0.74
Attitude towards
0.68 Inn3 0.54 E8
change
0.60
Inn4 0.64 E9

Amb1 0.52 E7
0.70

Work 0.72
Amb2 0.49 E8

environment
0.76 Amb3 0.42 E9

0.64
Amb4 0.59 E9

Load1 0.46 E7
0.73

0.42
Load2 0.83 E8

Workload
0.67 Load4 0.55 E9

0.81
Load5 0.35 E9

Fit index χ2 (df) p-value CFI RMSEA NFI NNFI GFI AGFI
165.41
Values .00 .97 .05 .99 .96 .90 .90
(113)
Gianfranco Cicotto Stress e saluti degli insegnanti

WL .18
-.44 -.22

-.44 PSM .15 R2 =.22 R2 =.26


-.42 .27 -.27
.23 JS PHS

.51 AC -.13
.28

WE -.12

WL = Workload
PSM = Perception of senior management
AC = Attitude towards change
WE = Work environment
JS = Job Satisfaction
PHS = Physical symptoms
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere


preso in considerazione un caso scientifico esaminandone: gli obiettivi
di ricerca, l’analisi della letteratura che determina la teoria sottostante
alle scelte degli strumenti e delle analisi psicometriche, quali siano le
procedure e il metodo della ricerca e dell’uso degli strumenti
psicometrici, quali questionari sono utilizzati e che caratteristiche
psicometriche possiedono, quali caratteristiche possiede il campione di
riferimento, quali analisi psicometriche sono compiute e perché, e,
infine, come si espongono e come si commentano e si discutono i
risultati.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

1. ABSTRACT
Considerando il dibattito internazionale in corso sul ruolo delle
pubbliche amministrazioni nei sistemi economici, l'interesse per la
motivazione al servizio pubblico (PSM) è cresciuto significativamente
tra i professionisti e gli studiosi negli ultimi due decenni.
Seguendo i filoni di ricerca che hanno indagato su argomenti di
comportamento organizzativo all'interno del contesto pubblico, lo scopo
di questo lavoro è di esaminare l'influenza della PSM sui sentimenti di
soddisfazione del lavoro dei dipendenti pubblici.
La novità dello studio sta nel capire il legame tra alcune
caratteristiche del contesto lavorativo, che si presume siano più
prevalenti nelle organizzazioni pubbliche, come antecedenti rilevanti
della soddisfazione lavorativa.
Il caso si basa su due studi complementari condotti in
un'amministrazione pubblica italiana. Il documento mostra come la
PSM influenzi la soddisfazione sul lavoro, il coinvolgimento lavorativo
e la soddisfazione della vita.
Questo caso-studio mostra come il PSM influenza la
soddisfazione sul lavoro, il coinvolgimento lavorativo e la soddisfazione
della vita. I risultati mostrano come il coinvolgimento lavorativo
influenzi la soddisfazione della vita e del lavoro in tali contesti.
Sulla base dei risultati, lo studio di questo caso contribuisce a
due filoni principali della letteratura. Innanzitutto, arricchisce la
ricerca esistente sul PSM analizzando come può essere gestita in
organizzazioni complesse. In secondo luogo, contribuisce alla
comprensione del legame tra soddisfazione lavorativa e stress correlato
al lavoro e si riferisce all'intersezione tra il comportamento
organizzativo e la gestione delle risorse umane che istruiscono
l'elaborazione delle politiche delle risorse umane. Inoltre, il documento
chiarisce come affrontare tali problemi e, allo stesso tempo, apre nuove
strade per la ricerca.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Mentre un'organizzazione può offrire una buona qualità della


vita lavorativa, non può offrire di per sé una buona qualità della salute
o del benessere per i lavoratori. Può solo offrire condizioni migliori per
favorire quei risultati di salute e benessere. Nondimeno, tali sforzi
potendo generare influenze negative o positive sulla vita lavorativa e
sulla soddisfazione individuale, si rende necessaria una migliore
comprensione per guidare la progettazione delle politiche delle risorse
umane, principalmente in contesti meno orientati alla gestione, come
alcune amministrazioni pubbliche.
Poiché le interazioni tra dipendenti e organizzazioni sono di
natura complessa, questo studio cerca di fornire una comprensione più
approfondita di esse. All'interno di tale quadro, lo studio si concentra
sullo stress legato al lavoro (WRS), sulla motivazione del servizio
pubblico (PSM), sul coinvolgimento lavorativo (work engagement) e
sulla soddisfazione lavorativa e di vita in una pubblica
amministrazione.
Lo stress occupazionale ha attirato l'attenzione di una grande
quantità di ricerche e, nonostante quasi due decenni di studi,
l'interesse per l'argomento non mostra segni di indebolimento. Il fatto
che lo stress prolungato o intenso possa avere un impatto negativo sulla
salute delle persone è ormai generalmente accettato (Cooper et al.,
2001). Il WRS è uno dei principali problemi di salute e sicurezza
nell'UE (EU-OSHA, 2014) e negli Stati Uniti (American Institute of
Stress, 2013) che non riguarda solo le condizioni psicosociali dei
dipendenti. In realtà, potrebbe anche comportare perdite di
produttività, assenteismo e, infine, il turnover dei dipendenti. Tali
fenomeni hanno dimostrato di avere una stretta relazione con la
soddisfazione lavorativa, non solo in termini di produttività
organizzativa. Si è riscontrato che la soddisfazione lavorativa influenza
la produttività organizzativa in quanto potrebbe ridurre l'assenteismo
e il turnover (Spector, 1997).
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Diversi studi hanno rilevato che, rispetto ai dipendenti privati, i


dipendenti pubblici presentano livelli più alti di insoddisfazione per il
proprio lavoro (Baldwin e Farley, 2001; Rainey, 1989; Steel and
Warner, 1990). Nonostante le missioni istituzionali che spesso si
basano su bisogni di ordine altruistico o superiore, la struttura stessa
di queste organizzazioni caratterizzate da maggiori livelli di burocrazia
e potenziale conflitto interno compromette e limita la loro
realizzazione, e alla fine prevale l'insoddisfazione. Pertanto, più di altri
tipi di organizzazioni, le pubbliche amministrazioni espongono i
dipendenti a tensioni motivazionali che coinvolgono la PSM, l'impegno
lavorativo, la soddisfazione sul lavoro e il WRS.
La PSM è caratterizzata da intenzioni altruistiche che motivano
le persone a servire l'interesse pubblico (Perry and Wise, 1990).
Secondo Perry e Wise (1990), le persone con alti livelli di PSM
dovrebbero pertanto mostrare livelli significativamente più alti di
soddisfazione, rendimento e impegno nel lavoro in organizzazioni
pubbliche rispetto a individui con livelli inferiori della PSM. Alcune
ricerche precedenti hanno dimostrato che il contesto lavorativo e le
caratteristiche del lavoro possono svolgere un ruolo centrale nel
determinare la soddisfazione sul lavoro (ad esempio, DeSantis e Durst,
1996). Poche ricerche, tuttavia, hanno esaminato le implicazioni della
PSM e dell’engagement sulla soddisfazione del lavoro e sulla vita
lavorativa.
La comprensione e la promozione della PSM può aiutare le
organizzazioni pubbliche a migliorare le prestazioni generali del
servizio pubblico (Perry e Wise, 1990). Tuttavia, la supposta relazione
tra PSM, impegno lavorativo e soddisfazione lavorativa non è stata
ancora sufficientemente indagata.
L’engagement può essere considerato un positivo, soddisfacente
stato motivazionale affettivo del benessere correlato al lavoro. In
questo senso, può essere visto il contrario del burnout al lavoro. I
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

dipendenti coinvolti sono visti come energici ed entusiasti nel loro


lavoro (Bakker et al., 2008).
Questo studio discute i risultati di un progetto di ricerca
commissionato dagli autori da parte di un'amministrazione pubblica
italiana sulla valutazione del rischio stress al lavoro finalizzata
all'analisi di fattori psicosociali che potrebbero prevenire gli effetti
negativi dello stress sui lavoratori.
Lo scopo di questo articolo è di esplorare la relazione tra sette
fonti primarie di stress sul lavoro (attraverso lo strumento "HSE"),
PSM, soddisfazione lavorativa, work engagement e soddisfazione della
vita in una specifica professione, quella degli ispettori.
Sono studiati anche i fattori di stress specifici che caratterizzano
il lavoro degli agenti di polizia giudiziaria. Il caso è rappresentativo in
termini di attrattiva e reputazione del settore pubblico, che è
costantemente caratterizzato dal livello di retribuzione non
competitiva e dalla mancanza di mobilità dei percorsi di carriera. Tali
condizioni potrebbero rappresentare una seria minaccia per il PSM e
l'assunzione di lavoro, nonché aumentare il WRS e mettere a
repentaglio il benessere dei dipendenti.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

2. ANALISI DELLA LETTERATURA


Lo stress lavorativo ha attirato l'attenzione di un gran
numero di studiosi durante gli ultimi due decenni - attenzione che non
è diminuita. La ricerca mostra che uno stress prolungato o intenso può
danneggiare la salute delle persone (Cooper et al., 2001; Johnson et al.,
2005).
I contesti pubblici rappresentano un campo in cui è più
probabile che emergano fattori di stress legati al lavoro, a causa di
diversi motivi: il servizio e la natura intangibile delle attività
generalmente dispiegate, la mancanza di sistemi di risorse umane
strutturati che comprendono i sistemi retributivi e di carriera, la
mancanza di logiche di competitività e l'eventuale esposizione al
pubblico in generale.
Le organizzazioni di servizio pubblico sono soggette a
ulteriori fonti di stress, incorporate in quadri più ampiamente regolati
e istituzionalizzati in cui le nuove pratiche e procedure operative sono
spesso infuse nei contesti organizzativi in modo acritico e top-down (ad
esempio Camilleri, 2006). Tali fattori di stress si aggiungono a quelli
normali a cui ogni organizzazione è potenzialmente esposta. Quindi le
organizzazioni di servizio pubblico sembrano avere un livello
strutturale di rischio di WRS che è più alto che in altri contesti
organizzativi. Di conseguenza, i dipendenti valutano il loro lavoro come
una minaccia o una sfida e temono che le loro risorse di coping siano
insufficienti o inadeguate per gestire la situazione (Lazarus and
Folkman, 1984).
Il quadro teorico per la PSM è stato efficacemente ricostruito
da Schott et al. (2014) che attinge al lavoro svolto da Perry e Wise
(1990). Da allora, l'interesse e la ricerca sulla PSM sono aumentati
immensamente tra gli studiosi e i professionisti della pubblica
amministrazione (Perry and Hondeghem, 2008). Perry and Wise
(1990), nell'uso del concetto di PSM, si riferiscono alla "predisposizione
di un individuo a rispondere a motivazioni fondate principalmente o
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

unicamente in istituzioni e organizzazioni pubbliche" (p.368). In


alternativa, Rainey e Steinbauer (1999) lo definiscono come "una
generale motivazione altruistica per servire l'interesse di una comunità
di persone, uno stato, una nazione o l'umanità" (p.20). Il PSM può
anche essere visto come "una forza motivazionale che induce le persone
a svolgere un servizio pubblico significativo (vale a dire comunità e
servizio sociale)" (Brewer and Selden, 1998,
Ricerche empiriche mostrano che i risultati della PSM sono
per lo più associate a variabili quali le prestazioni individuali (Alonso
e Lewis, 2001, Frank e Lewis, 2004, Leisink e Steijn, 2009; Naff and
Crum, 1999; Vandenabeele, 2009), work engagement (Camilleri, 2006;
Crewson, 1997; Leisink e Steijn, 2009), soddisfazione lavorativa
(Bright, 2008; Wright and Pandey, 2008), performance organizzativa
(Brewer and Selden, 1998; Kim, 2012), e comportamento della
cittadinanza interpersonale (Pandey et al., 2008).
Il work engagement sta diventando sempre più centrale
nella ricerca della psicologia organizzativa (Sonnentag, 2011). Il
costrutto del work engagement si riferisce a un tipo di coinvolgimento
funzionale del lavoro che collega il duro lavoro col piacere (Schaufeli e
Bakker, 2001), o come uno stato mentale positivo, legato al lavoro e
caratterizzato da vigore, dedizione e assorbimento ( Schaufeli et al.,
2002).
La ricerca ha dimostrato che il work engagement promuove
la soddisfazione lavorativa (Alarcon ed Edwards, 2011; Saks, 2006) e la
soddisfazione della vita (Bakker et al., 2005; Demerouti et al., 2005;
Hakanen e Schaufeli, 2012; Lehner et al., 2013; Wells, 2009; Wilcock,
2001). Altri ricercatori hanno scoperto che il coinvolgimento lavorativo
ha avuto un forte effetto diretto sulla soddisfazione lavorativa e un più
debole effetto diretto sulla soddisfazione della vita (De Simone et al.,
2014).
I lavoratori engaged hanno i migliori risultati, hanno un
orientamento al cliente, guadagnano di più, sono più fedeli, spendono
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

più energia di quanto loro richiesto, riducono gli errori e gli incidenti
attraverso il loro alto livello di attenzione, lavorano con più piacere e
sono più resistenti allo stress.
Poiché questo sentimento porta ad un aumento della
produttività in coloro che lo sperimentano, il coinvolgimento dei
dipendenti nel lavoro non si riflette solo positivamente nei loro
guadagni, ma in tutta l'organizzazione (Schaufeli e Bakker, 2001).
Altre ricerche mostrano l'effettiva riduzione della percezione
di stress nei soggetti coinvolti (Schaufeli e Bakker, 2004; Van der Colff
e Rothmann, 2009). Di particolare interesse è la relazione osservata tra
l'engagement e le richieste/risorse di lavoro in base al modello JD-R
(Schaufeli e Bakker, 2004).
Intendiamo la soddisfazione lavorativa come reazione
affettiva generale di un individuo nei confronti del suo lavoro, come
proposto da Locke (1976) e Spector (1997). Per Locke (1969), la
soddisfazione sul lavoro è quando le aspettative che un individuo ha
per un lavoro corrispondono a quelle effettivamente ricevute dal lavoro.
Così, descrive la soddisfazione sul lavoro come uno stato emotivo
piacevole o positivo derivante dalla valutazione della propria
esperienza lavorativa. Spector (1997) considera la soddisfazione
lavorativa come un atteggiamento legato alla misura in cui alle persone
piace o non piace il loro lavoro. Il quadro definitivo è stato completato
anche da Brief (1998), che considera la soddisfazione lavorativa come
una valutazione affettiva e / o cognitiva del proprio lavoro.
Considerando tali elementi costitutivi, un basso livello di soddisfazione
sul lavoro dovrebbe portare a effetti negativi nell'ambiente di lavoro,
come assenteismo, turnover e bassa produttività (Spector, 1997).
Poiché la soddisfazione sul lavoro è cruciale per l'attuazione
della progettazione organizzativa (ad esempio Weick, 2010), l'analisi
dei suoi antecedenti e l'analisi della sua interrelazione con altri
fenomeni organizzativi rimane centrale. Questo studio non si concentra
sull'effetto della soddisfazione sul lavoro in termini di produttività.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Cerca invece di far luce sugli effetti di una mancanza di soddisfazione


sul lavoro. In tal senso, riconosce che la soddisfazione sul lavoro ha un
ruolo chiave anche nell'evitare comportamenti disfunzionali essendo
un antecedente nella prevenzione dello stress lavorativo (Caprara et
al., 2003).
Per quanto riguarda la definizione di soddisfazione di vita,
questa è intesa come un processo di giudizio in cui gli individui
valutano la qualità delle loro vite sulla base di un unico insieme di
criteri (Shin e Johnson, 1978). Tale definizione si basa sulla
valutazione cognitiva della qualità delle proprie esperienze che
abbracciano l'intera vita di un individuo (DeNeve and Cooper, 1998;
Treistman, 2004). Approfondire i temi di questo studio può essere di
aiuto per le scelte manageriali relative al comportamento organizzativo
e nella progettazione generale dell'organizzazione.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

3. METODO
Il presente documento descrive i risultati di un progetto di
ricerca commissionato agli autori da un'amministrazione pubblica
italiana. L’Ente ha chiesto di rimanere anonimo e di non fornire dati
per consentirne l'identificazione.
Questo progetto mira a valutare lo stress del rischio sul
lavoro e ad analizzare i fattori psicosociali che possono prevenire gli
effetti negativi dello stress sui lavoratori.
La ricerca ha coinvolto dipendenti che ricoprivano la carica
di ispettore in una pubblica amministrazione in due studi principali, i
cui obiettivi e metodi sono stati condivisi con il management.
La ricerca include due studi complementari. Nel primo
studio, un questionario online anonimo è stato somministrato a tutti
gli ispettori dell'amministrazione inviando un link al questionario via
e-mail. Prima della somministrazione di questionari, sono stati
organizzati brevi corsi di formazione e informazione per tutti i
lavoratori al fine di condividere gli obiettivi e le procedure della ricerca.
La partecipazione alla ricerca è stata incoraggiata dalla direzione ed è
stata volontaria. Nel secondo studio, sono stati condotti dei focus group
che coinvolgono membri del servizio di ispezione per indagare sugli
specifici fattori di stress che caratterizzano il lavoro degli agenti di
polizia giudiziaria.
Lo scopo particolare di questo lavoro è quello di studiare le
relazioni tra sette fonti primarie di stress sul lavoro (HSE's
Management Standards Indicator Tool), PSM, soddisfazione
lavorativa, impegno lavorativo e soddisfazione della vita in una
specifica professione, quella degli ispettori. Inoltre, sono studiati i
fattori di stress specifici che caratterizzano il lavoro degli agenti di
polizia giudiziaria degli ispettori e per determinare se vi siano
differenze al fine di discernere le variabili esaminate nei tre diversi
gruppi di ispettori intervistati.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Il questionario è stato distribuito a 200 ispettori e il 68% dei


questionari è stato restituito, risultando 137 questionari utilizzabili.
L'analisi dei dati è stata condotta solo su quei partecipanti che avevano
risposto a tutti gli item del questionario. Dei 137 partecipanti, il 58 %
erano donne (n = 80) e 42 percento maschi (n = 57), con un'età media di
49,49 anni (DS = 6,67). I partecipanti alla ricerca sono divisi sulla base
del ruolo specifico svolto nell'organizzazione:
48 sono ispettori che lavorano all’interno della struttura e
non in contatto con il pubblico (35 %), 28 ispettori lavorano nella
struttura di appartenenza e sono a contatto con il pubblico (20 %) e 61
ispettori lavorano all’esterno della struttura a stretto contatto col
pubblico (45 %).
Lo strumento HSE è un questionario di 35 item relativo a 6
standard di gestione che prevedono un certo benessere. Il loro mancato
raggiungimento è fonte di stress (Kerr et al., 2009; INAIL, 2011a).
Questi sono:
1. DOMANDA. Comprende aspetti quali il carico lavorativo,
l’organizzazione del lavoro e l’ambiente di lavoro
2. CONTROLLO. Riguarda l’autonomia dei lavoratori sulle
modalità di svolgimento della propria attività lavorativa.
3. SUPPORTO. Include l’incoraggiamento, il supporto e le
risorse fornite dall’azienda, dal datore di lavoro e dai colleghi.
4. RELAZIONI. Include la promozione di un lavoro positivo
per evitare i conflitti ed affrontare comportamenti inaccettabili.
5. RUOLO. Verifica la consapevolezza del lavoratore
relativamente alla posizione che riveste nell’organizzazione e
garantisce che non si verifichino conflitti.
6. CAMBIAMENTO. Valuta in che misura i cambiamenti
organizzativi, di qualsiasi entità, vengono gestiti e comunicati nel
contesto aziendale.
Gli standard di gestione rappresentano un insieme di
condizioni che, se presenti, riflettono un elevato livello di benessere
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

della salute e prestazioni organizzative. Gli item hanno una scala di


frequenza a cinque punti (1 = mai, 5 = sempre).
PSM. Gli item per rilevare la motivazione al servizio
pubblico provengono da Alonso e Lewis (2001) con una scala di
valutazione di cinque punti (1 = fortemente in disaccordo, 5 =
fortemente d'accordo).
Soddisfazione lavorativa. Secondo l'approccio globale che
valuta l'insoddisfazione basata sulla reazione affettiva generale di un
individuo al suo lavoro (Spector, 1997), questo costrutto è stato
misurato usando la breve misura complessiva di soddisfazione del
lavoro II (Judge et al., 1998). Gli intervistati hanno valutato le loro
percezioni di soddisfazione riguardo al loro attuale lavoro su una scala
di risposta da 1 a 5 (1 = fortemente in disaccordo, 5 = fortemente
d'accordo).
Work engagement. Il livello di impegno lavorativo è stato
valutato dalla Utrecht Work Engagement Scale (UWES), sviluppata da
Schaufeli et al. (2002), e che è stato recentemente convalidato in Italia
come UWES-9 (vedi Balducci et al., 2010). Gli item hanno una scala di
frequenza a cinque punti (1 = mai, 5 = sempre).
Soddisfazione della vita. La soddisfazione in generale della
vita è stata valutata attraverso il singolo item sviluppato da Lance et
al. (1989). Ai partecipanti è stato richiesto di indicare la loro
soddisfazione di vita su una scala di valutazione di dieci punti che va
da "molto insoddisfatto" (1) a "molto soddisfatto" (10).
Una serie di analisi fattoriali esplorative (EFA) sono state
condotte per valutare la dimensionalità delle scale utilizzando il
software SPSS. Il metodo di estrazione dei componenti principali è
stato utilizzato per EFA con la rotazione obliqua perché le dimensioni
sono teoricamente correlate l'una con l'altra (Cudeck, 2000). La
consistenza interna di ciascuna scala è misurata tramite α di Cronbach.
La correlazione tra le variabili è stata calcolata utilizzando il
coefficiente di Pearson e l'analisi della varianza con analisi ANOVA.
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

4. RISULTATI
Table 1 – Explained variance and reliability scales
Scale % variance Cronbach’s Alpha
Job satisfaction 63.97 .852
Engagement 53.34 .944
PSM 46.86 .787

Table 2 – Influence of age, linear regressions


Scale R2 β Sig.
Job satisfaction .087 .295 .000
Engagement .036 .191 .025
PSM .066 .256 .002

Table 4 – Influence of PSM and engagement on job satisfaction and life


satisfaction
Predictor Dependent Variable R2 β Sig.

PSM Engagement .114 .338 .000


Job satisfaction .084 .290 .001

Engagement Job satisfaction .608 .780 .000


Life satisfaction .201 .448 .000

Table 3 – Descriptive statistics and Pearson’s Correlations


M SD 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
1. Demands 3.42 0.65 –
2. Control 3.65 0.79 .398*** –
3.
Supervisors’ 3.25 0.92 .359*** .524*** –
support
4.
Colleagues’ 3.67 0.69 .338*** .551*** .608*** –
support
5.
3.83 0.69 .412*** .445*** .313*** .375*** –
Relationships
6. Role 4.11 0.73 .373*** .509*** .500*** .424*** .481** –
7. Change 2.87 0.96 .449*** .430*** .655*** .462*** .430** .607*** –
8. Life
7.21 1.69 .263** .357*** .220** .237** .363** .438*** .323*** –
satisfaction
9. PSM 3.93 0.57 .028 -.046 .110 .102 -.058 .127 .073 .078 –
10.
3.30 0.76 .221** .428*** .430*** .336*** .268** .563*** .494*** .448*** .338*** –
Engagement
11. Job
3.33 0.84 .398*** .516*** .402*** .356*** .370*** .597*** .513*** .584*** .290** .780***
satisfaction
* = sig. < .05; ** = sig. < .01; *** = sig. < .001
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Table 5 – Differences of PSM between groups of inspectors

MANOVA
df F Sig Part. η2
2 3.910 .022 .055

Bonferroni Test

Type of Service M (DS) Mean Difference Sig.


Internal without public 3.95 (0.49) Internal with public -.2079 .365
External .1474 .527

Internal with public 4.16 (0.53) Internal without public .2079 .365
External .3553 .019

External 3.80 (0.61) Internal without public -.1474 .527


Internal with public -.3553 .019
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

MANOVA
df F Sig Part. η2
2 7.044 .001 .095

Bonferroni Test

Type of Service M (DS) Mean Difference Sig.


Internal without 3.55 Internal with public .1422 1.000
public (0.65) External .5105 .001

Internal with public 3.41 Internal without - 1.000


(0.77) public .1422
External .3684 .085
External 3.04 Internal without - .001
(0.76) public .5105
Internal with public - .085
.3684
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Table 7 – Differences of job satisfaction between groups of inspectors

MANOVA
df F Sig Part. η2
2 9.618 .000 .126

Bonferroni Test

Type of Service M (DS) Mean Difference Sig.


Internal without 3.54 Internal with public - 1.000
public (.74) .1440
External .5351 .002

Internal with public 3.68 Internal without public .1440 1.000


(.85) External .6792 .001

External 3.01 Internal without - .002


(.80) public .5351
Internal with public - .001
.6792
Gianfranco Cicotto Motivazione, impegno e stress

Table 8 – Levels of management standards by type of inspectors'


service

2.45
Change 3.31
3.13

3.85
Role 4.31
4.34

3.7 Type of service:


Relationships 3.85 external
3.97

3.48 Type of service:


Colleagues Support 3.85
3.81 internal with
public
2.96
Supervisors Support 3.56 Type of service:
3.43 internal without
public
3.4
Control 3.61
3.99

3.07
Demands 3.57
3.78

1 2 3 4 5

MANOVA F dfbetween dfwithin Sig.


Change 12.118 2 134 .000
Role 7.839 2 134 .001
Relationships 2.103 2 134 .126
Colleagues’ support 4.617 2 134 .012
Supervisors’ support 6.091 2 134 .003
Control 8.286 2 134 .000
Demands 21.940 2 134 .000
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

La lezione ha l’obiettivo di far comprendere come può essere preso in


considerazione un caso scientifico esaminandone: gli obiettivi di
ricerca, l’analisi della letteratura che determina la teoria sottostante
alle scelte degli strumenti e delle analisi psicometriche, quali siano le
procedure e il metodo della ricerca e dell’uso degli strumenti
psicometrici, quali questionari sono utilizzati e che caratteristiche
psicometriche possiedono, quali caratteristiche possiede il campione di
riferimento, quali analisi psicometriche sono compiute e perché, e,
infine, come si espongono e come si commentano e si discutono i
risultati.
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

1. ABSTRACT
Questo studio analizza l’utilizzo della formazione psicosociale
come strategia di intervento focalizzato sull’incremento di alcune
dimensioni psicologiche individuali che rendano i partecipanti più in
grado di affrontare lo stress lavorativo.

Nello studio longitudinale qui trattato, si analizzato come


l'intervento formativo condotto è stato efficace in termini di
apprendimento e cambiamento.

Il caso in esame è una scuola primaria situata nel Sud Italia e i


partecipanti alla formazione e alla ricerca hanno coinvolto 92
insegnanti di sesso femminile.

Per studiare l'efficacia del programma di formazione


psicosociale, abbiamo misurato il modo in cui alcune importanti
dimensioni psicologiche sono cambiate nel tempo: autoefficacia,
soddisfazione sul lavoro e interpersonal strain.

Secondo un approccio di apprendimento psicosociale, i risultati


suggeriscono l'efficacia dei programmi di formazione come fattori
abilitanti al cambiamento e soluzioni per alcuni paradossi del
cambiamento.

Nel contesto scolastico, la formazione psicosociale potrebbe


rappresentare una soluzione, se non una strategia di prevenzione, per
la gestione del cambiamento.

Il sistema scolastico italiano ha vissuto sviluppi relativamente


complessi negli ultimi decenni, con la maggior parte delle scuole
coinvolte in paradossi di cambiamento, in cui la logica istituzionale di
"interesse generale" non era coerente con la logica dei professionisti, i
loro bisogni e le loro aspettative.

La scelta del gruppo professionale di insegnanti dipende sia dai


numerosi cambiamenti che hanno recentemente interessato il sistema
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

scolastico italiano, sia dall'influenza che questa categoria di lavoratori


esercita sugli studenti.

Negli ultimi decenni, la definizione di compiti e ruoli all'interno


del contesto scolastico è stata ridisegnata dai profondi cambiamenti che
hanno coinvolto la figura dell'insegnante. L'avvento dell'era dei
computer e la crescente domanda di più importanti abilità socio-
educative, psicologiche, relazionali e di gestione, per le quali
l'insegnante ha raramente ricevuto una formazione adeguata, hanno
certamente disturbato la consapevolezza degli insegnanti delle loro
capacità professionali. Inoltre, in molti paesi sviluppati, l'ambiente
scolastico è diventato sempre più multietnico e multiculturale. Tutto
ciò ha appesantito gli insegnanti con maggiore responsabilità per
l'educazione degli studenti. Infine, il salario relativamente basso, la
mancanza di opportunità di carriera e la relazione spesso difficile con
colleghi, dirigenti scolastici, studenti e i loro genitori sono fattori che
sembrano giustificare una situazione di generale insoddisfazione per
gli insegnanti della scuola italiana.

Questo studio è incentrato sulla formazione e sul cambiamento


e presenta un'analisi longitudinale condotta in una scuola italiana in
cui si è utilizzata la formazione psicosociale come strategia per far
fronte all'inerzia al cambiamento, con la sfida non banale di "insegnare
agli insegnanti". Come mostrano i risultati, siamo di fronte a un caso
di successo per la gestione del cambiamento (Higgs & Rowland, 2005).

Il sistema educativo italiano è oggetto di un ampio processo di


ristrutturazione, non ancora completato, in cui due principi riformatori
operano simultaneamente:

● sussidiarietà, intesa come decentramento amministrativo che


ha costituito il passaggio verso l'autonomia delle istituzioni educative;

● coerenza con le linee guida europee, con l'obiettivo di


migliorare il livello generale di istruzione aumentando i tassi di
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

partecipazione nelle attività di formazione incentrate sul concetto di


apprendimento permanente.

Questi cambiamenti hanno comportato una ridefinizione critica


della professione docente e l'identificazione delle competenze
necessarie per far fronte a questi nuovi compiti, principalmente a
livello primario (DM 249/2010). Oggi assistiamo ad una profonda
trasformazione della professione docente, dovuta ai cambiamenti della
prospettiva istituzionale in un modo post burocratico, e spinge verso
modelli di professionalità organizzativa e manageriale.

La professionalità degli insegnanti deriva da una serie di abilità


cognitive, affettive, sociali e strumentali, nonché dalla capacità di
essere in grado di adattarsi rapidamente e in modo flessibile ai
cambiamenti. Inoltre, come in molti altri campi simili (es. Università,
ospedali universitari), alcune abilità aggiuntive richieste agli
insegnanti possono essere correlate a: (1) il loro coinvolgimento in
attività amministrative, inclusi i rapporti con le famiglie degli studenti
e (2) formazione continua di se stessi e promozione di nuovi strumenti
di apprendimento ed esperienze per gli studenti.

A livello europeo, le competenze chiave per la qualità


dell'insegnamento sono legate alla comunicazione, alle abilità logico-
matematiche, alla padronanza delle tecnologie dell'informazione e
della comunicazione (TIC), alla capacità di risoluzione dei problemi,
alla capacità di lavorare in gruppo per il perseguimento di un obiettivo
e, infine, riguarda la gestione e il miglioramento del proprio
apprendimento.
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

2. ANALISI DELLA LETTERATURA


Nonostante il gran numero di documenti europei che trattano il
tema dei rischi derivanti dallo stress da lavoro, la legislazione italiana
ha rinviato la questione e ne ha fatto oggetto di regolamentazione solo
nel 2008 obbligando da allora i datori di lavoro a effettuare la
valutazione del rischio stress lavoro correlato (Decreto legislativo n.
81/2008, Art. 28).

Lo stress in sé non è considerato una malattia; piuttosto, è un


adattamento funzionale degli organismi all'ambiente e ai suoi fattori di
stress. Una delle definizioni più comuni di stress parla della sindrome
di adattamento allo stress aspecifico rispetto agli stimoli (Selye, 1956).
La risposta adattativa agli stimoli può diventare disfunzionale -
parliamo in questo caso di distress o stress negativo - a causa della
particolare intensità degli stimoli, della loro durata nel tempo o delle
caratteristiche individuali del soggetto. Le persone, infatti, possono
anche sopportare situazioni di stress intenso molto bene, a condizione
che lo stress si riduca nel tempo.

A partire dal lavoro di Pithers e Fogarty (1995), diversi studi


(Austin, Shah e Muncer, 2005, Johnson et al., 2005) hanno confermato
che la professione di insegnante è soggetta a numerosi fattori di stress.
La natura di tali fattori di stress, sia in generale che con specifico
riferimento all'ambiente scolastico italiano, può essere attribuita a
diversi fattori relativi a:

(a) le caratteristiche della professione (rapporto con studenti e


genitori, grandi classi, la situazione di insicurezza, conflitto tra
colleghi, costante bisogno di rinnovamento, la delega alla scuola per
l’educazione della prole da parte di genitori assenti che lavorano o
famiglie monoparentali o famiglie estese, passaggio dall'individualismo
al lavoro di squadra)
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

(b) la trasformazione della società verso uno stile di vita più


multietnico e multiculturale,

(c) l'evoluzione scientifica e le nuove tecnologie (in particolare le


TIC);

(d) le riforme del sistema scolastico italiano (carico di lavoro,


scarsità di risorse).

Dal punto di vista della gestione organizzativa, alcuni segnali


possono essere tenuti sotto controllo e possono mostrare la presenza di
rischio: alto tasso di assenteismo, turnover, elevata mobilità; conflitti
tra operatori, con studenti, con famiglie e performance di bassa qualità.
I risultati ottenuti sia da insegnanti che da altre professioni di aiuto
sembrano mostrare la necessità per le organizzazioni di implementare
interventi di formazione educativa, con l'obiettivo di raggiungere
qualche forma di prevenzione dello stress, agendo sulla dimensione dei
livelli personale, interpersonale, micro-ambientale e organizzativo. In
effetti, le organizzazioni sono chiamate ad andare oltre la legge o ai
requisiti contrattuali, e lavorare su un disegno organizzativo che aiuti
gli individui (insegnanti) a trovare spazi e significati comuni, a
condividere alleanze operative e concordare procedure, al fine di
preservare e promuovere il benessere personale e organizzativo e, a sua
volta, la salute collettiva e individuale.

Lo stress da lavoro può essere gestito in modo efficace applicando


strumenti di valutazione della gestione del rischio, che potrebbero
chiarire i possibili rischi che l'ambiente di lavoro potrebbe generare e i
rischi specifici che potrebbe causare ai dipendenti.

Diversi studi hanno studiato quali tipologie di intervento sono


più appropriate per ridurre lo stress legato al lavoro (Van der Klink,
Blonk, Schene, & van Dijk, 20 01), e hanno esplorato gli effetti degli
interventi per ridurre lo stress legato al lavoro sulla salute (Arnetz,
Arble, Backman, Lynch e Lublin, 2013).
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

Tuttavia, esistono pochissimi studi che valutano realmente il


livello di successo degli interventi (Kealey et al., 2000).

La formazione psicosociale è uno strumento utile per


l'implementazione dei processi di gestione del cambiamento, anche
nelle scuole. Come sostenuto dalle politiche di molti paesi, la
promozione dello sviluppo degli insegnanti professionisti migliora le
loro prestazioni di insegnamento e, di conseguenza, l'apprendimento
degli studenti (Opfer, 2011).

Un altro aspetto da considerare nel contesto della formazione


degli insegnanti è la collaborazione, che deve promuovere il
cambiamento e non disimpegnarsi o determinare l'isolamento.

Secondo un approccio di apprendimento sociologico, la


formazione psicosociale è efficace quando risponde agli effettivi bisogni
di formazione e si concentra sui processi sociali, si basa su attività
pratiche e sull'esperienza. L’approccio dell’apprendimento psicosociale
si concentra sulle relazioni sociali e sui processi che influenzano i
valori, le credenze e le percezioni individuali del loro ambiente. Secondo
questo approccio, l'apprendimento è il processo attraverso cui la
conoscenza viene creata attraverso la trasformazione dell'esperienza
(Kolb, 1984); in questo contesto, l'apprendimento e l'esperienza
"significano la stessa cosa" (Wilson & Beard, 2003).

In un contesto in cui le competenze tecniche e specialistiche sono


considerate di secondaria importanza per le competenze più specifiche
e trasversali, è necessario che le persone imparino come apprendere e
imparare a cambiare. Pertanto, abbiamo considerato la formazione
psicosociale come una istruzione pianificata in una particolare abilità
o pratica, intesa a determinare una modifica nell’approccio
comportamentale al lavoro, e quindi a migliorare le prestazioni
(Mankin, 2009).
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

L’approccio alla formazione psicosociale risponde


adeguatamente alla crescita della complessità focalizzandosi sulla
possibilità di riconoscere e analizzare la realtà individuale, di gruppo,
organizzativa e sociale come variamente determinata e composta in
modi complessi spesso sconosciuti anche agli stessi attori
dell’organizzazione (Burke & Hutchins, 2007).

Secondo la prospettiva psicosociale, prima di progettare un


intervento di formazione, è necessario analizzare il contesto
organizzativo in termini di caratteristiche strutturali e culturali; è
anche necessario chiarire e rivedere la domanda del cliente, per
rilevare e analizzare le esigenze degli utenti / clienti (Silberman &
Auerbach, 2006).

Attraverso un'integrazione delle informazioni ottenute, è


possibile progettare interventi che considerino le reali caratteristiche
del contesto, le esigenze espresse dal cliente, le reali esigenze degli
individui e la necessità dell'organizzazione, ed è possibile realizzare
corsi di formazione specifici che rispondono alle esigenze identificate e
che soddisfano la domanda esplicita (Silberman & Auerbach, 2006;
Whyte, 1991).

Per questi motivi, abbiamo considerato importante esplorare le


esigenze degli insegnanti e abbiamo progettato l'intervento di
formazione psicosociale sulla base delle esigenze espresse e preso in
considerazione il tema dello stress correlato al lavoro.

La formazione psicosociale può produrre cambiamenti nel tempo


su alcune dimensioni come l'autoefficacia, la soddisfazione sul lavoro e
l’interpersonal strain.

I cambiamenti sulle convinzioni di auto-efficacia sono molto


importanti, perché hanno un'influenza pervasiva su diversi domini di
funzionamento e sono posti alla base dell'agire umano (Bandura, 2001).
Le convinzioni secondo le quali gli insegnanti hanno la capacità di
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

affrontare con successo le opportunità e le sfide associate ai vari


compiti influenzano le scelte individuali, la motivazione, le azioni e le
prestazioni.

Gli insegnanti che percepiscono le difficoltà come sfide traggono


maggiore soddisfazione dal lavoro (Bandura, 1997). I dipendenti
autoefficaci influenzano attivamente il loro contesto e, attraverso
questo, ottengono più soddisfazione (Bandura, 1997).

Gli studi su questi temi mostrano il forte legame tra


autoefficacia e soddisfazione lavorativa. La costruzione della
soddisfazione lavorativa è stata definita in modi diversi e ci sono due
approcci comuni per la misurazione della soddisfazione lavorativa
(Spector, 1997). Nel nostro studio ci riferiamo all'approccio globale e
alle definizioni di Locke (1976) e Spector (1997). Locke (1969) definisce
la soddisfazione del lavoro come la misura in cui le aspettative che un
individuo ha per un lavoro corrisponde a ciò che effettivamente riceve
dal lavoro e descrivono questa dimensione come uno stato emotivo
piacevole o positivo derivante dalla valutazione del proprio lavoro
esperienza.

La soddisfazione lavorativa ha un ruolo chiave nel prevenire lo


stress lavorativo (Caprara et al., 2003).

Il nostro studio sottolinea il forte legame tra l'autoefficacia


percepita e lo stress (Krampen, 1988; Miller & Seltzer, 1991).
L'autoefficacia percepita si riferisce alla convinzione della persona
nella sua capacità di organizzare ed eseguire i corsi d'azione richiesti
per raggiungere gli obiettivi (Bandura, 1997). Gli individui con un
senso più forte di autoefficacia percepita sperimentano un basso stress
e sperimentano meno stress in situazioni difficili a causa della loro
convinzione nella loro capacità di farvi fronte (Bandura, 1997).
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

3 METODO
La progettazione e l'esecuzione del programma di formazione
hanno coinvolto gli insegnanti della scuola come attori principali dei
processi di cambiamento e destinatari dell'iniziativa.

Per valutare l'efficacia del programma di formazione, abbiamo


misurato come alcune importanti dimensioni psicologiche di lo stress
legato al lavoro sono cambiate nel tempo. Sono stati misurati anche i
sentimenti di abbattimento, disimpegno sul lavoro e nelle relazioni a
causa di richieste sociali esagerate e di tensione interpersonale
(Borgogni et al., 2012, Faragher, Cass, & Cooper, 2005).

La storia dell'intero percorso di ricerca è illustrato in figura.

Il dirigente scolastico e il suo staff si sono impegnati a valutare


lo stress correlato al lavoro. È stato rilevato un livello di rischio medio-
basso. In tali casi, la legge richiede l'attuazione di azioni correttive
minime come ma la formazione. Di conseguenza, il dirigente scolastico
e il collegio degli insegnanti hanno deciso di organizzare, sotto la
supervisione di uno psicologo, una lezione sul rischio di stress correlato
al lavoro e sui suoi obblighi legali. Al termine della lezione, al fine di
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

ottenere alcune importanti informazioni su l'apprezzamento della


lezione da parte degli insegnanti e l'identificazione delle esigenze
formative specifiche e delle metodologie preferite, è stato
somministrato il QA (Assessment Questionnaire). Sulla base delle
esigenze espresse e tenendo conto del tema dello stress correlato al
lavoro, è stato progettato l'intervento di formazione psicosociale. La
formazione consisteva in 4 moduli di formazione di 3 ore ciascuno,
indirizzati a tutto il personale docente in gruppi di 20 partecipanti. Gli
insegnanti sono stati formati nei seguenti argomenti: stress legato al
lavoro e strategie di coping, dinamiche di gruppo, comunicazione
efficace, problem solving e decision making. Sono stati somministrati
test per sensibilizzare gli insegnanti su: strategie di coping, stile di
comunicazione, capacità di lavorare in gruppo e capacità di problem-
solving. Secondo il modello di formazione psicosociale, i metodi usati
erano altamente interattivi, con discussioni di gruppo, giochi di ruolo,
lavori di gruppo e casi di studio (Hawley & Valli, 1998; Kolb, 1984;
Putnam & Borko, 2000; Wilson & Beard, 2003). L'efficacia della
formazione è stata verificata mediante la somministrazione del
questionario QC (questionario di confronto). Abbiamo somministrato il
questionario QC prima dell'inizio del corso di formazione (test) e due
mesi dopo il completamento (re-test).

Per dedurre che i cambiamenti erano dovuti alla formazione di


intervento, abbiamo somministrato lo stesso questionario QC, sempre
con il metodo test-re-test, a un gruppo di controllo di altri insegnanti
della stessa scuola che non hanno partecipato all'intervento di
formazione. In questo caso, nessuna modifica è stata registrata tra la
prima e la seconda amministrazione.

Per misurare l'utilità percepita, alla fine di ogni modulo di


formazione, il questionario QR (Questionnaire of Reaction).

Per ottenere i punteggi standardizzati dei fattori esaminati,


abbiamo condotto un’EFA. L’affidabilità delle scale è stata calcolata con
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

l'alfa di Cronbach. Le correlazioni di Pearson sono state eseguite per


determinare il grado di associazione tra le varie variabili considerate.
L’analisi di regressione lineare è stata eseguita per determinare il
grado di dipendenza tra le varie variabili considerate. Il t-test per
campioni indipendenti è stato utilizzato come analisi longitudinale per
verificare le differenze di medie delle variabili prima e dopo l'intervento
di formazione psicosociale.
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

4. RISULTATI
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

DIMENSIONE
Esiti del percorso
PSICOLOGICA DEFINIZIONE
formativo
RILEVATA

Autoefficacia Esprime le proprie convinzioni di efficacia personale rispetto a varie


attività e sfide presenti a lavoro
aumentata
lavorativa

Esprime le proprie convinzioni di efficacia personale nei rapporti con


Autoefficacia sociale
le persone a lavoro
aumentata

Soddisfazione
Esprime il grado di piacevolezza nel svolgere il proprio lavoro invariata
lavorativa

Strain lavorativo Esprime lo sforzo percepito per far fronte alle pressioni lavorative diminuito

Strain relazionale Esprime lo sforzo percepito per far fronte alle richieste relazionali diminuito
Gianfranco Cicotto Formazione psicosociale

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