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285/2013
Cos’è la circolare 285?
L’eurosistema è il sistema creato a livello di unione europea che vede una serie di funzioni di
vigilanza: Banca d’Italia (vigila e detta regole strettamente legate alla vigilanza), EBA (detta le
regole di condotta), ESMA (detta le regole quando sono coinvolti gli strumenti finanziari e i
risparmiatori), Consob (vigilanza dei mercati finanziari), EIOPA (associazione che guarda le banche
e le compagnie assicurative).
Come si dividono i compiti? Buona parte della vigilanza è stata devoluta dalle singole nazioni alla
BCE, per cui questa ha una supervisione di massima e diretta sulle banche significative. Banca
d’Italia vigila su tutte le altre banche sul territorio delle banche, vigila sull’applicazione delle
materie di trasparenza e anti riciclaggio e sorveglia le regole di governo delle banche italiane per
verificare che siano conformi da quanto richiesto dalle direttive.
La circolare 285/2013 ha sostituito la circolare 263/2006. Cosa è accaduto? La circolare 263 del
2006 ha introdotto per la prima volta la funzione di conformità.
La circolare 285 cosa regola?
Parte Prima: Il recepimento in Italia della CRD IV
I. l’accesso al mercato e alla struttura: autorizzazione all’attività bancaria, gruppo bancari,
stabilimento e prestazione di servizi all’estero […]
II. misure prudenziali: riserve di capitale
III. Processo di controllo prudenziale: il processo di controllo prudenziale e informativa al pubblico
IV. Governo societario, controlli interni e gestione dei rischi: il governo societario, politiche e
presso di remunerazione e incentivazione, sistema dei controlli interni, il sistema informativo, la
continuità operativa, il governo e gestione del rischio di liquidità.
Parte seconda: L’applicazione in Italia del CRR capital requirement regulation.
I. Fondi propri
II. Requisiti patrimoniali
III. Rischio di credito - metodo standardizzato (banche piccole)
IV. Rischio di credito - metodo IRB : viene assegnato un rating ad ogni singola posizione con una
propria metodologia interna
V. Tecniche di attenuazione del rischio di credito
VI. Operazioni di cartolarizzazione
VII. Rischio di controparte e rischio di aggiustamento della valutazione del credito
VIII. Rischio operativo (contestazioni da parte dei clienti) —> loss data collection
IX. Rischio di mercato e rischio di regolamento
X. Grandi esposizioni
XI. Liquidità
XII. Indice di leva finanziaria
XIII. Informativa al pubblico -> il pubblico deve conoscere i rischi a cui la banca sottoposta
XIV. Disposizioni transitorie in materia di fondi propri
Parte Terza: altre disposizioni di vigilanza prudenziale
Si tratta di una circolare viva che è stata assoggettata a numerosi aggiornamenti, in gran parte
derivanti dalle guidelines EBA, guidelines ESMA o direttive europee, che vengono recepite
attraverso appunto aggiornamenti.
Nel primo aggiornamento del 6/05/2014 è stata modificata la parte prima attraverso l’inserimento
di un nuovo titolo —> “titolo IV — Governo societario, controlli interni, gestione dei rischi” con il
“capitolo 1- Governo societario”.
—> nel novembre 2014 praticamente un anno dopo eravamo già a 7 aggiornamenti: banca d’Italia
sentiva il bisogno di introdurre il capitolo 2 “ politiche e prassi di remunerazione e incentivazione”
Man mano gli aggiornamenti vanno avanti sia nel 2015,2016, 2017, 2018 e 2019.
Quello che interessa noi è il 25° aggiornamento sul capitolo 2 “politiche e prassi di remunerazione
e incentivazione”. Questo aggiornamento riguarda che nelle politiche e prassi di remunerazione e
incentivazione si fissano delle regole stringenti per cui la remunerazione non può essere legata
all’assunzione di rischio. Le regole diventano stringenti e fanno si che le regole siano chiare e non
discrezionali. Per politiche di remunerazione si intendono le voci che vanno a costituire lo
stupendo dei manager, in particolare, poiché più si sale nelle categorie più gli stipendi vengono
influenzati dal ruolo ricoperto e dagli obiettivi.
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Innanzitutto, vi è una distinzione tra retribuzione fissa e retribuzione variabile: fa parte della
retribuzione fissa solo una serie di voci legate al ruolo e legate a criteri che valgono per tutti, mai
legata al raggiungimento di obiettivi o livelli di rischio; la retribuzione variabile invece dipende dal
raggiungimento di obiettivi e può essere legata a politiche di budget, però entro limiti fissati e
legati al superamento di soglie di rischio. Questo capitolo delle politiche e prassi di remunerazione
ha fatto prevedere che all’interno dei comitati di remunerazione venga contemplato il CRO: le
politiche di remunerazione possono essere perseguite se non aumentano il livello di rischio della
banca: devono essere compatibili con il profilo di rischio della banca.
La remunerazione per le figure più significative non viene corrisposta in un’unica soluzione, ma
viene spalmata in più anni. Ci sono delle figure manageriali nelle banche che vengono definite risk
takers, ovvero quelle che con le loro decisioni determinano il livello di rischio della banca
(assumono il rischio).
Un altro aggiornamento molto importante è il 28° aggiornamento relativo al sistema informativo.
Analizziamo gli aggiornamenti più rilevanti in dettaglio:
Circolare 285/13 Banca d’Italia - 32° aggiornamento
Con il 32° aggiornamento della Circolare n. 285 del 17 dicembre 2012 “disposizioni di vigilanza
per le banche” sono stati recepiti:
- gli orientamenti dell’EBA in materia di gestione del rischio di tasso di interesse derivante da
attività diverse dalla negoziazione “interest rate risk arising from the Banking Book - IRRBB”. Gli
orientamenti in materia di gestione del rischio di tasso di interesse definiscono, tra gli altri, alcuni
aspetti che gli enti sono tenuti a considerare per l’identificazione, la valutazione e la gestione
dell’IRRBB e che le autorità competenti devono considerare ai fini del processo di revisione e
valutazione prudenziale (SREP)
- gli orientamenti relativi alle prove di stress degli enti
Le modifiche hanno riguardato i capitoli in materia di Processo di controllo prudenziale (Parte
prima, Titolo III, Capitolo 1), “Governo e gestione dei rischi di liquidità”(parte Prima, Titolo IV,
Capitolo 3) e soltanto con riferimento alle prove di stress degli enti “Governo e gestione del
rischio di liquidità”. (Parte prima, Titolo IV, Capitolo 6).
L’aggiornamento entra in vigore il giorno successivo a quello di pubblicazione sul sito web della
Banca d’Italia. Le banche entro 60 giorni dalla pubblicazione devono adeguare almeno i sistemi di
risk management.
34° aggiornamento —> Ha un impatto sulle regole dei controlli interni. In pratica vengono fatte
delle modifiche sul sistema dei controlli interni, sul sistema informativo e sulla continuità
operativa. Si va a impattare anche sulle partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari.
Sintesi delle modifiche introdotte:
Le modifiche introdotte dall’aggiornamento in oggetto riguardo principalmente l’attuazione degli
orientamenti dell’EBA in materia di esternalizzazione e quelli sulla gestione dei rischi relativi alle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Le principali novità riguardano:
- introduzione di specifici obblighi, tra cui la tenuta di un registro delle attività esternalizzate
- previsione della valutazione del rischio di concentrazione relativo ai fornitori di servizi
- l’inserimento nei contratti di outsourcing di clausole dettagliate su diritti di accesso e adulti,
sicurezza e integrità dei dati, strategie di uscita e continuità operativa.
- obbligo di notifica anche quando un’attività già esternalizzata è riclassificata dell’intermediario
come funzione essenziale o importante
- eliminazione del procedimento amministrativo di divieto dell’esternalizzazione
- possibilità di avviare un confronto preliminare con l’autorità di vigilanza sui progetti di
esternalizzazione più rilevanti e innovativi.
- superamento delle restrizioni previste dalla previgente disciplina per l’esternalizzazione dei
compiti operativi delle funzioni aziendali di controllo al di fuori del gruppo bancario.
Il 34° aggiornamento ha identificato, anche, meglio le funzioni essenziali e importanti. Prima
veniva chiamata funzione operativa importante (FOI), si tratta di funzioni esterne che svolgono per
la banca un servizio importante. Questo aggiornamento ha introdotto una serie di regole di rischi
vanno gestiti e che la compliance si deve assicurare che siano monitorati.
Vengono mutuati anche i principi generali, infatti è stato richiamato quanto segue:
- assicurare che il personale sia portato a conoscenza delle componenti del sistema die controlli
interni e delle principali politiche ( n particolare, la politica di compliance), nonché delle modifiche
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sostanziali a essa apportate.
- le risultanze di valutazioni basate su metodi quantitativi siano integrate da valutazioni qualitative
per mitigare il rischio di modello
- la normativa e la documentazione siano costantemente aggiornate
Un’altra introduzione importante è che l’organo con funzione di gestione (amministratore delegato
o direttore) ha delle regole più stringenti per quanto riguarda l’approvazione di nuovi prodotti,
distribuzione di nuovi prodotti o servizi, o l’avvio di nuove attività o l’ingresso di nuovi mercati .
Per farlo sarà necessario che vengano identificate le condizioni per la sua applicazioni col
coinvolgimento delle funzioni interessate —> non si deve assumere nuovi rischi
Deve essere assicurato il rispetto della normativa applicazione, con il coinvolgimento della
funzione di controllo dei rischi e della funzione di conformità.
L’organo deve individuare le strutture e personale responsabili.
Nell’ambito delle funzioni aziendali di controllo: le banche possono, a condizione che i controlli
sulle diverse tipologie di rischio siano efficaci:
- affidare lo svolgimento delle funzioni aziendali di controllo all’esterno o all’interno del gruppo
- affidare il ruolo di responsabile della funzione di controllo dei rischi e/o della funzione di
conformità a un soggetto che svolge anche altri compiti.
Sono stati precisati i seguenti aspetti:
1. Le funzioni aziendali di controllo devono disporre di risorse umane, economiche, tecnologiche e
informatiche per lo svolgimento dei loro compiti
2. La formazione del personale può essere anche esterna
La normativa è costantemente in evoluzione perché abbiamo uno scenario continuamente in
cambiamento.
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paragrafo dei conflitti di interesse.
C’è anche tutta una serie di regole nel processo di approvazione dei nuovi prodotti. La POG dette
le regole su come approvare i nuovi prodotti.
La CRD V introduce un ruolo fondamentale per le materie di prevenzione e contrasto dei rischi di
anti riciclaggio e antiterrorismo. Fino ad adesso l’anti riciclaggio era un problema solo di Banca
d’Italia e delle banche centrali, mentre adesso si sposta la visione per aiutare l’esposizione delle
banche ai rischi di riciclaggio e identificare i rischi relativi a nuovi prodotti o a nuove pratiche
commerciali, definendo le misure adeguate per la mitigazione dei rischi.
Si cerca, inoltre, di garantire pari opportunità: non si lascia più alla buona volontà del codice etico,
ma è una regola vera e propria introdotta fra le regole di governance.
Siamo partiti parlando della CRD 4 e della CRD 5, ci vuole un sistema sofisticato di regole che
richiede un sistema sofisticato di accantonamenti che vanno a confluire in un risk appetite
framework, che definisce il cosiddetto RAS (risk appetite statement), ovvero quanto capitale mi
serve per far funzionare la banca.
Laddove c’è un’assunzione di rischio superiore rispetto all’ordinario rapporto di conto corrente di
deposito, le normative prevedono il cosiddetto burden sharing, passando da un bail out al bail in.
Può capitare anche che, senza arrivare al bail in venga chiesto ai risparmiatori di convivere alcuni
pesi, appunto il burden sharing.
Il burden sharing, che letteralmente significa condivisione degli oneri, è un’alternativa al bail in: si
tratta di una ricapitalizzazione precauzionale.
Andiamo ad analizzare l’EBA report sull’applicazione della product governance e l’EBA opinion
su come tenere conto nello SREP dei rischi di anti riciclaggio.
I prodotti tossici sono dei prodotti che all’interno contengono un sottostante legato con materie
rischiose —> mutui sub prime
Perché l’EBA suggerisce queste guide lines? Perché l’EBA promuove la trasparenza, la semplicità
e giustizia (fair) del mercato interno per il consumatore di prodotti e servizi finanziari. L’EBA mira a
rafforzare la protezione del consumatore e rafforzare la supervisione e la vigilanza degli
intermediari. Gli sviluppi dei mercati finanziari hanno mostrato la presenza di fallimenti e lacune,
che possono minare la fiducia nella stabilità finanziaria. Questo insieme di regole è mirato a
garantire che le aziende apportino modifiche in particolare in termini di processi e governance.
Tuttavia, nonostante gli obiettivi delle linee guida EBA POG, per migliorare la protezione dei
consumatore e affrontare i rischi prudenziali derivanti da comportamenti scorretti, i produttori si
devono registrare sui requisiti delle linee guida sulla governance interna ai sensi della CRD.
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In altre parole, anche se i produttori intervistati avevano implementati i processi interni in relazione
al POG, non lo hanno fatto in modo da porre la necessaria attenzione per garantire le esigenze dei
consumatori siano soddisfatte. Nell'applicare gli accordi POG, i produttori dovrebbero
effettivamente garantire che si tenga conto degli interessi, degli obiettivi e delle caratteristiche dei
consumatori per evitare danni ai consumatori stessi.
L’EBA ha sviluppato un sistema a 3 pilastri per tentare un approccio alla convergenza in materia di
vigilanza:
Il primo pilastro è la Compliance with rules;
Il secondo pilastro è comparability of supervisory practices;
Il terzo pilastro è Consistency of supervisory outcomes.
Questi tre pilastri devono garantire una convergenza delle banche verso questo sistema.
E’ buona prassi, nel definire il target market per ogni prodotto, che i produttori utilizzino una serie
di criteri basati sulla segmentazione della clientela, per assicurare che il prodotto sia ritenuto
appropriato agli interessi, agli obiettivi e le caratteristiche del target della clientela, come:
- dati demografici, come l’età dei clienti;
- le caratteristiche dei rispettivi prodotti in relazione al profilo di avversione al rischio del cliente
- livelli di conoscenza della finanza
- livelli di esperienza nella finanza e negli investimenti
- la normativa rilevante.
E’ buona prassi, che nella fasi di testing del prodotto si possa capire se i consumatori conoscono
e comprendono cosa stanno comprando, attraverso regole oggettive.
Le linee guida sulla POG presumono che non solo il produttore, ma anche il distributore si deve
assicurare che il prodotto venga effettivamente distribuito al target market. Questo deve risultare
da accordi poiché in caso di eventuale contestazione legale deve essere possibile identificare le
responsabilità.
EBA opinion
Ogni hanno lo SREP viene inviato alla banche vigilate, e in particolare a seguito della CRD V che
pone particolare attenzione sull’anti riciclaggio, viene guardato anche in questa ottica.
Le autorità europee si aspettano che le banche valutino il rischio di anti riciclaggio e
finanziamento al terrorismo, verificando che i sistemi di controllo sull’anti riciclaggio sono solidi e
se i sistemi tecnologici volti a monitorare questi rischi sono adeguati.
L’EBA si aspetta che vengano inserite delle considerazioni sull’anti riciclaggio nello SREP
attraverso:
- monitoraggio dei key indicators
- analisi del business model
- valutazione della governance interna e dell’ampiezza dei controlli
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- valutazione dei rischi di capitale
- valutazione dei rischi di liquidità
Una delle prime analisi verifica che il business model possa in qualche modo stimolare il
riciclaggio del denaro. Bisogna dimostrare che la banca abbia fatto le valutazioni del caso e che
queste valutazioni siano incluse nel RAS.
In particolare il mondo del private banking deve essere analizzato con attenzione per gli ingenti
capitali che coinvolge.
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Riepilogo dei nuovi reati presupposto per la responsabilità
amministrativa degli enti d.lgs 231/2001
Il decreto legislativo 231/2001 disciplina la materia della responsabilità amministrativa degli enti
(responsabilità oggettiva). Tale normativa prevede una forma di responsabilità cosiddetta da
penale amministrativa delle persone giuridiche private per i reati commessi dai soggetti apicali o
dai soggetti subordinati a questi utilizzi nell’interesse o a vantaggio decente medesimo.
I reati presupposto, per i quali è configurabile la responsabilità amministrativa, sono richiamati
tassativamente dal Decreto.
Quindi si tratta di una legge penale - amministrativa per le persone giuridiche private, per reati
commessi da chi ha potere decisionale o ai subordinati da questi ultimi se il reato è commesso è
commesso a vantaggio della società stessa.
Fanno parte dei reati presupposto: 1) delitti contro la PA; 2) delitti informatici (!!!); 3)falsità in
monete e delitti contro industria e commercio; 4) reati societari; 5) delitti di criminalità organizzata
e con finalità di terrorismo; 6) delitti contro la personalità individuale e pratiche di mutilazione degli
organi genitali femminili; 7) abusi di mercato; 8) omicidio colposo e lesioni colpose gravi o
gravissime commesse in violazione della disciplina sulla salute e sicurezza sul lavoro; 9)
riciclaggio e autoriciclaggio; 10) delitti in materia di violazione del diritto d’autore; 11) reati
ambientali; 12) impelo di cittadini stranieri non regolari e reati di razzismo e xenofobia; 13)
induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria; 14)
frodi e illeciti sportivi e abuso di gioco e scommesse; 15) reati tributari.
Al fine di non dover rispondere dei suddetti illeciti, gli enti possono:
- adottare modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire le condotte illecite e definire
sistemi sanzionatori atti a punire le violazioni
- affidare il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello e curarne
l’aggiornamento ad un organismo autonomo
- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazioni e l’attuazione delle decisioni
dell’ente in relazione ai reati da prevenire.
In merito al reato di auto riciclaggio occorre segnalare che la banca ha ritenuto opportuno valutare
l’adeguatezza dei presidi e dei controlli anche in merito ai rischi di commissioni di taluni reati non
colposi non inclusi nei rati 231, ma che potrebbero costituire presupposto per la configurazione
del reato di auto riciclaggio.
Pertanto, i modelli 231 della banca prevedono una valutazione sui rischi di commissione dei reati
di usura, truffa, appropriazione indebita, nonché dei reati in materia di tutela della riservatezza dei
reati tributari, i cui proventi inseriti all’interno dell’azienda possono costituire auto riciclaggio.
Fasi che integrano il processo di valutazione dei rischi 231, per aggiornare il modello
annualmente:
1. Predisposizione/aggiornamento del catalogo dei rischi 231: La funzione di compliance, con il
supporto delle Funzione legale, invidiano i rischi di commissioni di reati presupposto e gli
eventuali nuovi rischi in caso di aggiornamento.
2. Predisposizione/aggiornamento del catalogo dei processi aziendali
3. Mappatura dei rischi 231: per ciascun processo aziendale, la funzione di compliance rileva i
possibili rischi di reati rilevanti per la responsabilità penale amministrativa.
4. Risk self Assessment 231: ad esito della mappatura dei rischi 231 vengono predisposte le
schede di rischio 231 in cui sono individuati i rischi per le attività attribuite a ciascuna struttura
aziendale. Le schede di rischio vengono inviate ai responsabili delle strutture che si devono
esprimere in merito alla probabilità di accadimento del reato, efficacia dei presidi normativi,
efficacia dei presidi di controllo.
5. Predisposizione/aggiornamento dei protocolli 231: la struttura organizzativa redige il
protocollo 231 in cui sono individuate le attività sensibili e vengono indicati i presidi normativi,
organizzativi e di controllo che i dipendenti devono rispettare per mitigare i rischi.
6. Individuazione dei GAP 231: definizione degli interventi di mitigazione: ad esito del risk self
assessment vengono individuate le carenze sui presidi a mitigazione dei rischi 231.
7. Valutazione dell’OdV 231: gli esiti del risk self assessment e gli eventuali gap con le relative
azioni di rimedio vengono rappresentati all’OdV 231 che valuta l’idoneità del modello. Se l’OdV
esprime un parere favorevole passa all’approvazione del CdA.
Nuovi reati presupposti introdotti recentemente (si tratta di reati già esistenti, ma
considerati reati presupposto e pertanto necessitano di presidi da parte dell’azienda):
i. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(frode fiscale)
ii. Dichiarazione fraudolenta medianti altri artifici: inventarsi dei meccanismi per ostacolare
l’accertamento o indurre in errore l’amministrazione finanziaria.
iii. Occultamento o d’istituzione di documenti contabili
iv. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
v. Frode nelle pubbliche forniture
vi. Frode ai danni del fondo europeo agricolo e del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale
vii. Peculato
viii. Peculato mediante profitto dell’errore altrui
ix. Abuso d’ufficio
x. Dichiarazione infedele
xi. Omessa dichiarazione
xii. Indebita compensazione
xiii. Contrabbando
xiv. Perimento di sicurezza nazionale cibernetica: delitti informatici e trattamento illecito di dati
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Direttiva PIF
La direttiva PIF - acronimo di protezione degli interesse finanziari - ha come oggetto la tutale degli
interessi finanziari dell’unione tramite l’armonizzazione degli ordinamenti penali nazionali. A tal
proposito, il Considerando n 1 precisa che tale tutale riguarda non solo la gestione degli
stanziamenti di bilancio, ma si estende a qualsiasi misura che incida o che minacci di incedere
negativamente sul suo patrimonio e su quello degli stati membri. —> si cerca di evitare frodi
fiscali e che attraverso meccanici collusivi o elusivi si vada a incidere sugli interessi finanziari.
In particolare per interessi finanziari si intendono tutte le entrate, le spese e i beni che sono
coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù:
1. Del bilancio dell’unione;
2. Dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell’unione istituiti in virtù dei tratta o dei bilanci da
quesi direttamente o indirettamente gestiti e controllati.
Il concetto di frode cui fa riferimento la direttiva PIF pertiene in particolare agli illeciti compiuti
nelle attività connesse gli appalti e al pagamento dell’IVA, riciclaggio del denaro, corruzione e
appropriazione indebita.
Normativa antiriciclaggio
Il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite e criminose rappresenta uno dei più gravi
fenomeni criminali nel mercato finanziario ed è un settore di specifico interesse per la criminalità
organizzata.
Esso costituisce un fattore di forte inquinamento per l’intero sistema economico:
- il reinvestimento dei proventi illeciti in attività legali e la presenza di operatori e di organismi
economici collusivi con la criminalità alterano profondamente i meccanismi di mercato, inficiano
l’efficienza e la correttezza dell’attività finanziaria e indeboliscono il sistema economico (traffico di
denaro proveniente da attività criminose).
- le attività di finanziamento al terrorismo comportano la destinazione a scopi terroristici di fondi di
provenienza lecita o illecita (finanziamento del terrorismo).
La legislazione antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo è contenuta in un
articolato sistema di fonti a livello internazionale, comunitario e nazionale.
A livello internazionale un contributo fondamentale nel processo di armonizzazione legislativo è
fornito dal Gruppo D’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), il principale organismo attivo nel
contrasto del riciclaggio, attraverso l’emanazione di raccomandazioni (40 raccomandazioni).
A livello italiano, le indicazione del GAFI, vengono tradotti in normativa nazionale -> istruzioni di
Banca d’Italia.
A livello comunitario in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio e finanziamento del terrorismo è contenuto nella Quinta direttiva Antiriciclaggio.
Le direttive sono state recepite in Italia in due decreti legislativi
- d. lgs. n. 109/2007: si occupa delle misure per prevenire, contrastare e reprimere il
finanziamento del terrorismo e l’attività dai Paesi che minacciano la pace e la sicurezza
internazionale.
- d. lgs. n. 231/2007: prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio e
finanziamento al terrorismo.
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Prodotti complessi
Nel campo dei finanziamenti, i prodotti complessi non hanno avuto grande successo, mentre
abbiamo avuto più impatto sul risparmio a seguito della richiesta di rendimenti sempre più elevati,
Comunicazione consob sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail:
La premessa è che nel corso degli anni si è registrata una progressiva estensione alla clientela al
dettaglio di prodotti di investimento prima, di fatto, riservati a clientela istituzionali o professionali
(processo c.d. di retalisation).
L’ingegneria finanziaria può fornire risposte a specifiche esigenze, consentendo l’accesso a classi
d’attività finanziarie, segmenti del mercato finanziario e strategie di investimento normalmente non
disponibili agli investitori non professionali.
La distribuzione di prodotti finanziari connotati da profili di complessità rappresenta un’area di
particolare attenzione per la tutela degli investitori di tipo reali.
Livelli di complessità elevata accrescono le difficolta di comprensione delle caratteristiche degli
investimenti proposto e sono dunque idonei a pregiudicare la capacità di assumere consapevoli
decisioni di investimento.
L’investimento in prodotti complessi richiede una capacità di monitoraggio nel tempo e di
gestione, attività che spesso si dimostrano problematiche per gli investitori al dettaglio.
Gli obblighi di trasparenza hanno limitati effetti nel mitigare il divario cognitivo tra gli intermediari
finanziari ed i loro clienti retail, in quanto questi ultimi sono normalmente dotati di una bassa
cultura finanziarie che non consente loro di valutare la qualità dei prodotti di investimento offerti.
E’ noto inoltre, che tra la struttura finanziaria e rischiosità di un prodotto non sussiste una
corrispondenza biunivoca: è possibile riscontare sul mercato prodotti di complessi caratterizzati
da livelli di rischiosità contenuti e prodotti semplici con rischiosità elevata.
Tuttavia, si ritiene che l’intelligibilità della struttura di un prodotto finanziario rappresenti il
presupposto per la comprensibilità del rischio di investimento sotteso, potendosi altrimenti
determinare il fenomeno di acquisti non consapevoli.
Le recenti opinioni dell’ESMA: hanno ad oggetto “structered retail products” anche “good
practies for product governance arrangements” ed illustrano le attività utilità ad assicurare la cura
dell’interesse degli investitori e ad evitare prassi pregiudizievoli nelle fasi di ideazioni dei prodotti
strutturati e di commercializzazione degli stessi.
Nell’esercizio dei propri poteri l’ESMA ha di recente espresso la propria posizione circa la
commercializzazione di una categoria di prodotti ad alta complessità i cosiddetti Contingent
Convertible “Co.Co”. In particolare si richiamano i peculiari profili di rischio sottesi allo strumento,
connessi al livello del frigger che determina la conversone, alla inesistenza di una scadenza certa
ed alla possibilità di cancellazione delle cedole previste.
Le misure in materia di prodotti complessi: La consob intende conformarsi alle indicazioni alle
indicazioni fornite all’ESMA.
Quali sono i prodotti di complessità molto elevata non adatte normalmente alla clientela al
dettaglio:
1. I prodotti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione di crediti o di altre attività;
2. I prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziative
dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale;
3. Prodotti finanziari credit linked;
4. Strumenti finanziari derivati non negoziati in trading Venus, con finalità diverse da quelle di
copertura.
5. Prodotti finanziari finanziati strutturati, non negoziati in trading Venus, il cui pay off non rende
certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente.
La CONSOB raccomanda che queste tipologie di prodotti non siano consigliate né distribuite in
via diretta alla clientela retail.
Qualora l’intermediario, sotto propria responsabilità, disattenda la raccomandazione, a seguito
delle valutazioni effettuate che il prodotto in concerto si presti alla realizzazione degli interessi
della propria clientela e che siano disponibili informazioni sufficienti a valutarne le principali
caratteristiche e rischi, sarà comunque comunque chiamato ad adottare cautele in grado di
contenere in maniera sostanziali l’innalzo del rischio di non conformità.
Per l’assunzione delle decisioni, devono essere definiti dei limiti specifici per l’investimento per la
clientela attuale e prospetto, considerando:
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- grado di competenza;
- età
- patrimonio minimo detenuto presso l’intermediario
- soglie minime di investimento
- soglie massime di concentrazione nel portafoglio del cliente
- […]
COMPLIANCE ANTITRUST
L’autorità garante della concorrenza e del mercato ha emanato le “linee guida sulle modalità di
applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate
dell’Autorità” che riconoscono l’adozione e il rispetto di uno specifico programma di compliance,
adeguato e in linea con la best practice europee e nazionali.
L’idoneità sostanziale di un programma di compliance a svolgere una funzione preventiva degli
illeciti antitrust costituisce il parametro di riferimento fondamentale nella valutazione dello stesso
al fine del riconoscimento dell’attenuante.
In linea con le best practices internazionali, costituiscono componenti tipiche di un programma di
compliance antitrust i seguenti elementi:
1. La compliance antitrust come parte integrante della cultura e della politica aziendale
2. Identificazione e valutazione del rischio antitrust specifico dell’impresa.
3. Attività di formazione e know how
4. Sistemi di gestione dei processi a rischio antitrust
5. Sistema di incentivi
6. Auditing e miglioramento continuo del programma
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Disposizioni di vigilanza per le banche Circ. 285/2013
Cos’è la circolare 285?
L’eurosistema è il sistema creato a livello di unione europea che vede una serie di funzioni di
vigilanza: Banca d’Italia (vigila e detta regole strettamente legate alla vigilanza), EBA (detta le
regole di condotta), ESMA (detta le regole quando sono coinvolti gli strumenti finanziari e i
risparmiatori), Consob (vigilanza dei mercati finanziari), EIOPA (associazione che guarda le banche
e le compagnie assicurative).
Come si dividono i compiti? Buona parte della vigilanza è stata devoluta dalle singole nazioni alla
BCE, per cui questa ha una supervisione di massima e diretta sulle banche significative. Banca
d’Italia vigila su tutte le altre banche sul territorio delle banche, vigila sull’applicazione delle
materie di trasparenza e anti riciclaggio e sorveglia le regole di governo delle banche italiane per
verificare che siano conformi da quanto richiesto dalle direttive.
La circolare 285/2013 ha sostituito la circolare 263/2006. Cosa è accaduto? La circolare 263 del
2006 ha introdotto per la prima volta la funzione di conformità.
La circolare 285 cosa regola?
Parte Prima: Il recepimento in Italia della CRD IV
I. l’accesso al mercato e alla struttura: autorizzazione all’attività bancaria, gruppo bancari,
stabilimento e prestazione di servizi all’estero […]
II. misure prudenziali: riserve di capitale
III. Processo di controllo prudenziale: il processo di controllo prudenziale e informativa al pubblico
IV. Governo societario, controlli interni e gestione dei rischi: il governo societario, politiche e
presso di remunerazione e incentivazione, sistema dei controlli interni, il sistema informativo, la
continuità operativa, il governo e gestione del rischio di liquidità.
Parte seconda: L’applicazione in Italia del CRR capital requirement regulation.
I. Fondi propri
II. Requisiti patrimoniali
III. Rischio di credito - metodo standardizzato (banche piccole)
IV. Rischio di credito - metodo IRB : viene assegnato un rating ad ogni singola posizione con una
propria metodologia interna
V. Tecniche di attenuazione del rischio di credito
VI. Operazioni di cartolarizzazione
VII. Rischio di controparte e rischio di aggiustamento della valutazione del credito
VIII. Rischio operativo (contestazioni da parte dei clienti) —> loss data collection
IX. Rischio di mercato e rischio di regolamento
X. Grandi esposizioni
XI. Liquidità
XII. Indice di leva finanziaria
XIII. Informativa al pubblico -> il pubblico deve conoscere i rischi a cui la banca sottoposta
XIV. Disposizioni transitorie in materia di fondi propri
Parte Terza: altre disposizioni di vigilanza prudenziale
Si tratta di una circolare viva che è stata assoggettata a numerosi aggiornamenti, in gran parte
derivanti dalle guidelines EBA, guidelines ESMA o direttive europee, che vengono recepite
attraverso appunto aggiornamenti.
Nel primo aggiornamento del 6/05/2014 è stata modificata la parte prima attraverso l’inserimento
di un nuovo titolo —> “titolo IV — Governo societario, controlli interni, gestione dei rischi” con il
“capitolo 1- Governo societario”.
—> nel novembre 2014 praticamente un anno dopo eravamo già a 7 aggiornamenti: banca d’Italia
sentiva il bisogno di introdurre il capitolo 2 “ politiche e prassi di remunerazione e incentivazione”
Man mano gli aggiornamenti vanno avanti sia nel 2015,2016, 2017, 2018 e 2019.
Quello che interessa noi è il 25° aggiornamento sul capitolo 2 “politiche e prassi di remunerazione
e incentivazione”. Questo aggiornamento riguarda che nelle politiche e prassi di remunerazione e
incentivazione si fissano delle regole stringenti per cui la remunerazione non può essere legata
all’assunzione di rischio. Le regole diventano stringenti e fanno si che le regole siano chiare e non
discrezionali. Per politiche di remunerazione si intendono le voci che vanno a costituire lo
stupendo dei manager, in particolare, poiché più si sale nelle categorie più gli stipendi vengono
influenzati dal ruolo ricoperto e dagli obiettivi.
1
Innanzitutto, vi è una distinzione tra retribuzione fissa e retribuzione variabile: fa parte della
retribuzione fissa solo una serie di voci legate al ruolo e legate a criteri che valgono per tutti, mai
legata al raggiungimento di obiettivi o livelli di rischio; la retribuzione variabile invece dipende dal
raggiungimento di obiettivi e può essere legata a politiche di budget, però entro limiti fissati e
legati al superamento di soglie di rischio. Questo capitolo delle politiche e prassi di remunerazione
ha fatto prevedere che all’interno dei comitati di remunerazione venga contemplato il CRO: le
politiche di remunerazione possono essere perseguite se non aumentano il livello di rischio della
banca: devono essere compatibili con il profilo di rischio della banca.
La remunerazione per le figure più significative non viene corrisposta in un’unica soluzione, ma
viene spalmata in più anni. Ci sono delle figure manageriali nelle banche che vengono definite risk
takers, ovvero quelle che con le loro decisioni determinano il livello di rischio della banca
(assumono il rischio).
Un altro aggiornamento molto importante è il 28° aggiornamento relativo al sistema informativo.
Analizziamo gli aggiornamenti più rilevanti in dettaglio:
Circolare 285/13 Banca d’Italia - 32° aggiornamento
Con il 32° aggiornamento della Circolare n. 285 del 17 dicembre 2012 “disposizioni di vigilanza
per le banche” sono stati recepiti:
- gli orientamenti dell’EBA in materia di gestione del rischio di tasso di interesse derivante da
attività diverse dalla negoziazione “interest rate risk arising from the Banking Book - IRRBB”. Gli
orientamenti in materia di gestione del rischio di tasso di interesse definiscono, tra gli altri, alcuni
aspetti che gli enti sono tenuti a considerare per l’identificazione, la valutazione e la gestione
dell’IRRBB e che le autorità competenti devono considerare ai fini del processo di revisione e
valutazione prudenziale (SREP)
- gli orientamenti relativi alle prove di stress degli enti
Le modifiche hanno riguardato i capitoli in materia di Processo di controllo prudenziale (Parte
prima, Titolo III, Capitolo 1), “Governo e gestione dei rischi di liquidità”(parte Prima, Titolo IV,
Capitolo 3) e soltanto con riferimento alle prove di stress degli enti “Governo e gestione del
rischio di liquidità”. (Parte prima, Titolo IV, Capitolo 6).
L’aggiornamento entra in vigore il giorno successivo a quello di pubblicazione sul sito web della
Banca d’Italia. Le banche entro 60 giorni dalla pubblicazione devono adeguare almeno i sistemi di
risk management.
34° aggiornamento —> Ha un impatto sulle regole dei controlli interni. In pratica vengono fatte
delle modifiche sul sistema dei controlli interni, sul sistema informativo e sulla continuità
operativa. Si va a impattare anche sulle partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari.
Sintesi delle modifiche introdotte:
Le modifiche introdotte dall’aggiornamento in oggetto riguardo principalmente l’attuazione degli
orientamenti dell’EBA in materia di esternalizzazione e quelli sulla gestione dei rischi relativi alle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Le principali novità riguardano:
- introduzione di specifici obblighi, tra cui la tenuta di un registro delle attività esternalizzate
- previsione della valutazione del rischio di concentrazione relativo ai fornitori di servizi
- l’inserimento nei contratti di outsourcing di clausole dettagliate su diritti di accesso e adulti,
sicurezza e integrità dei dati, strategie di uscita e continuità operativa.
- obbligo di notifica anche quando un’attività già esternalizzata è riclassificata dell’intermediario
come funzione essenziale o importante
- eliminazione del procedimento amministrativo di divieto dell’esternalizzazione
- possibilità di avviare un confronto preliminare con l’autorità di vigilanza sui progetti di
esternalizzazione più rilevanti e innovativi.
- superamento delle restrizioni previste dalla previgente disciplina per l’esternalizzazione dei
compiti operativi delle funzioni aziendali di controllo al di fuori del gruppo bancario.
Il 34° aggiornamento ha identificato, anche, meglio le funzioni essenziali e importanti. Prima
veniva chiamata funzione operativa importante (FOI), si tratta di funzioni esterne che svolgono per
la banca un servizio importante. Questo aggiornamento ha introdotto una serie di regole di rischi
vanno gestiti e che la compliance si deve assicurare che siano monitorati.
Vengono mutuati anche i principi generali, infatti è stato richiamato quanto segue:
- assicurare che il personale sia portato a conoscenza delle componenti del sistema die controlli
interni e delle principali politiche ( n particolare, la politica di compliance), nonché delle modifiche
2
sostanziali a essa apportate.
- le risultanze di valutazioni basate su metodi quantitativi siano integrate da valutazioni qualitative
per mitigare il rischio di modello
- la normativa e la documentazione siano costantemente aggiornate
Un’altra introduzione importante è che l’organo con funzione di gestione (amministratore delegato
o direttore) ha delle regole più stringenti per quanto riguarda l’approvazione di nuovi prodotti,
distribuzione di nuovi prodotti o servizi, o l’avvio di nuove attività o l’ingresso di nuovi mercati .
Per farlo sarà necessario che vengano identificate le condizioni per la sua applicazioni col
coinvolgimento delle funzioni interessate —> non si deve assumere nuovi rischi
Deve essere assicurato il rispetto della normativa applicazione, con il coinvolgimento della
funzione di controllo dei rischi e della funzione di conformità.
L’organo deve individuare le strutture e personale responsabili.
Nell’ambito delle funzioni aziendali di controllo: le banche possono, a condizione che i controlli
sulle diverse tipologie di rischio siano efficaci:
- affidare lo svolgimento delle funzioni aziendali di controllo all’esterno o all’interno del gruppo
- affidare il ruolo di responsabile della funzione di controllo dei rischi e/o della funzione di
conformità a un soggetto che svolge anche altri compiti.
Sono stati precisati i seguenti aspetti:
1. Le funzioni aziendali di controllo devono disporre di risorse umane, economiche, tecnologiche e
informatiche per lo svolgimento dei loro compiti
2. La formazione del personale può essere anche esterna
La normativa è costantemente in evoluzione perché abbiamo uno scenario continuamente in
cambiamento.
3
paragrafo dei conflitti di interesse.
C’è anche tutta una serie di regole nel processo di approvazione dei nuovi prodotti. La POG dette
le regole su come approvare i nuovi prodotti.
La CRD V introduce un ruolo fondamentale per le materie di prevenzione e contrasto dei rischi di
anti riciclaggio e antiterrorismo. Fino ad adesso l’anti riciclaggio era un problema solo di Banca
d’Italia e delle banche centrali, mentre adesso si sposta la visione per aiutare l’esposizione delle
banche ai rischi di riciclaggio e identificare i rischi relativi a nuovi prodotti o a nuove pratiche
commerciali, definendo le misure adeguate per la mitigazione dei rischi.
Si cerca, inoltre, di garantire pari opportunità: non si lascia più alla buona volontà del codice etico,
ma è una regola vera e propria introdotta fra le regole di governance.
Siamo partiti parlando della CRD 4 e della CRD 5, ci vuole un sistema sofisticato di regole che
richiede un sistema sofisticato di accantonamenti che vanno a confluire in un risk appetite
framework, che definisce il cosiddetto RAS (risk appetite statement), ovvero quanto capitale mi
serve per far funzionare la banca.
Laddove c’è un’assunzione di rischio superiore rispetto all’ordinario rapporto di conto corrente di
deposito, le normative prevedono il cosiddetto burden sharing, passando da un bail out al bail in.
Può capitare anche che, senza arrivare al bail in venga chiesto ai risparmiatori di convivere alcuni
pesi, appunto il burden sharing.
Il burden sharing, che letteralmente significa condivisione degli oneri, è un’alternativa al bail in: si
tratta di una ricapitalizzazione precauzionale.
Andiamo ad analizzare l’EBA report sull’applicazione della product governance e l’EBA opinion
su come tenere conto nello SREP dei rischi di anti riciclaggio.
I prodotti tossici sono dei prodotti che all’interno contengono un sottostante legato con materie
rischiose —> mutui sub prime
Perché l’EBA suggerisce queste guide lines? Perché l’EBA promuove la trasparenza, la semplicità
e giustizia (fair) del mercato interno per il consumatore di prodotti e servizi finanziari. L’EBA mira a
rafforzare la protezione del consumatore e rafforzare la supervisione e la vigilanza degli
intermediari. Gli sviluppi dei mercati finanziari hanno mostrato la presenza di fallimenti e lacune,
che possono minare la fiducia nella stabilità finanziaria. Questo insieme di regole è mirato a
garantire che le aziende apportino modifiche in particolare in termini di processi e governance.
Tuttavia, nonostante gli obiettivi delle linee guida EBA POG, per migliorare la protezione dei
consumatore e affrontare i rischi prudenziali derivanti da comportamenti scorretti, i produttori si
devono registrare sui requisiti delle linee guida sulla governance interna ai sensi della CRD.
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In altre parole, anche se i produttori intervistati avevano implementati i processi interni in relazione
al POG, non lo hanno fatto in modo da porre la necessaria attenzione per garantire le esigenze dei
consumatori siano soddisfatte. Nell'applicare gli accordi POG, i produttori dovrebbero
effettivamente garantire che si tenga conto degli interessi, degli obiettivi e delle caratteristiche dei
consumatori per evitare danni ai consumatori stessi.
L’EBA ha sviluppato un sistema a 3 pilastri per tentare un approccio alla convergenza in materia di
vigilanza:
Il primo pilastro è la Compliance with rules;
Il secondo pilastro è comparability of supervisory practices;
Il terzo pilastro è Consistency of supervisory outcomes.
Questi tre pilastri devono garantire una convergenza delle banche verso questo sistema.
E’ buona prassi, nel definire il target market per ogni prodotto, che i produttori utilizzino una serie
di criteri basati sulla segmentazione della clientela, per assicurare che il prodotto sia ritenuto
appropriato agli interessi, agli obiettivi e le caratteristiche del target della clientela, come:
- dati demografici, come l’età dei clienti;
- le caratteristiche dei rispettivi prodotti in relazione al profilo di avversione al rischio del cliente
- livelli di conoscenza della finanza
- livelli di esperienza nella finanza e negli investimenti
- la normativa rilevante.
E’ buona prassi, che nella fasi di testing del prodotto si possa capire se i consumatori conoscono
e comprendono cosa stanno comprando, attraverso regole oggettive.
Le linee guida sulla POG presumono che non solo il produttore, ma anche il distributore si deve
assicurare che il prodotto venga effettivamente distribuito al target market. Questo deve risultare
da accordi poiché in caso di eventuale contestazione legale deve essere possibile identificare le
responsabilità.
EBA opinion
Ogni hanno lo SREP viene inviato alla banche vigilate, e in particolare a seguito della CRD V che
pone particolare attenzione sull’anti riciclaggio, viene guardato anche in questa ottica.
Le autorità europee si aspettano che le banche valutino il rischio di anti riciclaggio e
finanziamento al terrorismo, verificando che i sistemi di controllo sull’anti riciclaggio sono solidi e
se i sistemi tecnologici volti a monitorare questi rischi sono adeguati.
L’EBA si aspetta che vengano inserite delle considerazioni sull’anti riciclaggio nello SREP
attraverso:
- monitoraggio dei key indicators
- analisi del business model
- valutazione della governance interna e dell’ampiezza dei controlli
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- valutazione dei rischi di capitale
- valutazione dei rischi di liquidità
Una delle prime analisi verifica che il business model possa in qualche modo stimolare il
riciclaggio del denaro. Bisogna dimostrare che la banca abbia fatto le valutazioni del caso e che
queste valutazioni siano incluse nel RAS.
In particolare il mondo del private banking deve essere analizzato con attenzione per gli ingenti
capitali che coinvolge.
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Riepilogo dei nuovi reati presupposto per la responsabilità
amministrativa degli enti d.lgs 231/2001
Il decreto legislativo 231/2001 disciplina la materia della responsabilità amministrativa degli enti
(responsabilità oggettiva). Tale normativa prevede una forma di responsabilità cosiddetta da
penale amministrativa delle persone giuridiche private per i reati commessi dai soggetti apicali o
dai soggetti subordinati a questi utilizzi nell’interesse o a vantaggio decente medesimo.
I reati presupposto, per i quali è configurabile la responsabilità amministrativa, sono richiamati
tassativamente dal Decreto.
Quindi si tratta di una legge penale - amministrativa per le persone giuridiche private, per reati
commessi da chi ha potere decisionale o ai subordinati da questi ultimi se il reato è commesso è
commesso a vantaggio della società stessa.
Fanno parte dei reati presupposto: 1) delitti contro la PA; 2) delitti informatici (!!!); 3)falsità in
monete e delitti contro industria e commercio; 4) reati societari; 5) delitti di criminalità organizzata
e con finalità di terrorismo; 6) delitti contro la personalità individuale e pratiche di mutilazione degli
organi genitali femminili; 7) abusi di mercato; 8) omicidio colposo e lesioni colpose gravi o
gravissime commesse in violazione della disciplina sulla salute e sicurezza sul lavoro; 9)
riciclaggio e autoriciclaggio; 10) delitti in materia di violazione del diritto d’autore; 11) reati
ambientali; 12) impelo di cittadini stranieri non regolari e reati di razzismo e xenofobia; 13)
induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria; 14)
frodi e illeciti sportivi e abuso di gioco e scommesse; 15) reati tributari.
Al fine di non dover rispondere dei suddetti illeciti, gli enti possono:
- adottare modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire le condotte illecite e definire
sistemi sanzionatori atti a punire le violazioni
- affidare il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello e curarne
l’aggiornamento ad un organismo autonomo
- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazioni e l’attuazione delle decisioni
dell’ente in relazione ai reati da prevenire.
In merito al reato di auto riciclaggio occorre segnalare che la banca ha ritenuto opportuno valutare
l’adeguatezza dei presidi e dei controlli anche in merito ai rischi di commissioni di taluni reati non
colposi non inclusi nei rati 231, ma che potrebbero costituire presupposto per la configurazione
del reato di auto riciclaggio.
Pertanto, i modelli 231 della banca prevedono una valutazione sui rischi di commissione dei reati
di usura, truffa, appropriazione indebita, nonché dei reati in materia di tutela della riservatezza dei
reati tributari, i cui proventi inseriti all’interno dell’azienda possono costituire auto riciclaggio.
Fasi che integrano il processo di valutazione dei rischi 231, per aggiornare il modello
annualmente:
1. Predisposizione/aggiornamento del catalogo dei rischi 231: La funzione di compliance, con il
supporto delle Funzione legale, invidiano i rischi di commissioni di reati presupposto e gli
eventuali nuovi rischi in caso di aggiornamento.
2. Predisposizione/aggiornamento del catalogo dei processi aziendali
3. Mappatura dei rischi 231: per ciascun processo aziendale, la funzione di compliance rileva i
possibili rischi di reati rilevanti per la responsabilità penale amministrativa.
4. Risk self Assessment 231: ad esito della mappatura dei rischi 231 vengono predisposte le
schede di rischio 231 in cui sono individuati i rischi per le attività attribuite a ciascuna struttura
aziendale. Le schede di rischio vengono inviate ai responsabili delle strutture che si devono
esprimere in merito alla probabilità di accadimento del reato, efficacia dei presidi normativi,
efficacia dei presidi di controllo.
5. Predisposizione/aggiornamento dei protocolli 231: la struttura organizzativa redige il
protocollo 231 in cui sono individuate le attività sensibili e vengono indicati i presidi normativi,
organizzativi e di controllo che i dipendenti devono rispettare per mitigare i rischi.
6. Individuazione dei GAP 231: definizione degli interventi di mitigazione: ad esito del risk self
assessment vengono individuate le carenze sui presidi a mitigazione dei rischi 231.
7. Valutazione dell’OdV 231: gli esiti del risk self assessment e gli eventuali gap con le relative
azioni di rimedio vengono rappresentati all’OdV 231 che valuta l’idoneità del modello. Se l’OdV
esprime un parere favorevole passa all’approvazione del CdA.
Nuovi reati presupposti introdotti recentemente (si tratta di reati già esistenti, ma
considerati reati presupposto e pertanto necessitano di presidi da parte dell’azienda):
i. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(frode fiscale)
ii. Dichiarazione fraudolenta medianti altri artifici: inventarsi dei meccanismi per ostacolare
l’accertamento o indurre in errore l’amministrazione finanziaria.
iii. Occultamento o d’istituzione di documenti contabili
iv. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
v. Frode nelle pubbliche forniture
vi. Frode ai danni del fondo europeo agricolo e del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale
vii. Peculato
viii. Peculato mediante profitto dell’errore altrui
ix. Abuso d’ufficio
x. Dichiarazione infedele
xi. Omessa dichiarazione
xii. Indebita compensazione
xiii. Contrabbando
xiv. Perimento di sicurezza nazionale cibernetica: delitti informatici e trattamento illecito di dati
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Direttiva PIF
La direttiva PIF - acronimo di protezione degli interesse finanziari - ha come oggetto la tutale degli
interessi finanziari dell’unione tramite l’armonizzazione degli ordinamenti penali nazionali. A tal
proposito, il Considerando n 1 precisa che tale tutale riguarda non solo la gestione degli
stanziamenti di bilancio, ma si estende a qualsiasi misura che incida o che minacci di incedere
negativamente sul suo patrimonio e su quello degli stati membri. —> si cerca di evitare frodi
fiscali e che attraverso meccanici collusivi o elusivi si vada a incidere sugli interessi finanziari.
In particolare per interessi finanziari si intendono tutte le entrate, le spese e i beni che sono
coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù:
1. Del bilancio dell’unione;
2. Dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell’unione istituiti in virtù dei tratta o dei bilanci da
quesi direttamente o indirettamente gestiti e controllati.
Il concetto di frode cui fa riferimento la direttiva PIF pertiene in particolare agli illeciti compiuti
nelle attività connesse gli appalti e al pagamento dell’IVA, riciclaggio del denaro, corruzione e
appropriazione indebita.
Normativa antiriciclaggio
Il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite e criminose rappresenta uno dei più gravi
fenomeni criminali nel mercato finanziario ed è un settore di specifico interesse per la criminalità
organizzata.
Esso costituisce un fattore di forte inquinamento per l’intero sistema economico:
- il reinvestimento dei proventi illeciti in attività legali e la presenza di operatori e di organismi
economici collusivi con la criminalità alterano profondamente i meccanismi di mercato, inficiano
l’efficienza e la correttezza dell’attività finanziaria e indeboliscono il sistema economico (traffico di
denaro proveniente da attività criminose).
- le attività di finanziamento al terrorismo comportano la destinazione a scopi terroristici di fondi di
provenienza lecita o illecita (finanziamento del terrorismo).
La legislazione antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo è contenuta in un
articolato sistema di fonti a livello internazionale, comunitario e nazionale.
A livello internazionale un contributo fondamentale nel processo di armonizzazione legislativo è
fornito dal Gruppo D’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), il principale organismo attivo nel
contrasto del riciclaggio, attraverso l’emanazione di raccomandazioni (40 raccomandazioni).
A livello italiano, le indicazione del GAFI, vengono tradotti in normativa nazionale -> istruzioni di
Banca d’Italia.
A livello comunitario in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio e finanziamento del terrorismo è contenuto nella Quinta direttiva Antiriciclaggio.
Le direttive sono state recepite in Italia in due decreti legislativi
- d. lgs. n. 109/2007: si occupa delle misure per prevenire, contrastare e reprimere il
finanziamento del terrorismo e l’attività dai Paesi che minacciano la pace e la sicurezza
internazionale.
- d. lgs. n. 231/2007: prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio e
finanziamento al terrorismo.
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Prodotti complessi
Nel campo dei finanziamenti, i prodotti complessi non hanno avuto grande successo, mentre
abbiamo avuto più impatto sul risparmio a seguito della richiesta di rendimenti sempre più elevati,
Comunicazione consob sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail:
La premessa è che nel corso degli anni si è registrata una progressiva estensione alla clientela al
dettaglio di prodotti di investimento prima, di fatto, riservati a clientela istituzionali o professionali
(processo c.d. di retalisation).
L’ingegneria finanziaria può fornire risposte a specifiche esigenze, consentendo l’accesso a classi
d’attività finanziarie, segmenti del mercato finanziario e strategie di investimento normalmente non
disponibili agli investitori non professionali.
La distribuzione di prodotti finanziari connotati da profili di complessità rappresenta un’area di
particolare attenzione per la tutela degli investitori di tipo reali.
Livelli di complessità elevata accrescono le difficolta di comprensione delle caratteristiche degli
investimenti proposto e sono dunque idonei a pregiudicare la capacità di assumere consapevoli
decisioni di investimento.
L’investimento in prodotti complessi richiede una capacità di monitoraggio nel tempo e di
gestione, attività che spesso si dimostrano problematiche per gli investitori al dettaglio.
Gli obblighi di trasparenza hanno limitati effetti nel mitigare il divario cognitivo tra gli intermediari
finanziari ed i loro clienti retail, in quanto questi ultimi sono normalmente dotati di una bassa
cultura finanziarie che non consente loro di valutare la qualità dei prodotti di investimento offerti.
E’ noto inoltre, che tra la struttura finanziaria e rischiosità di un prodotto non sussiste una
corrispondenza biunivoca: è possibile riscontare sul mercato prodotti di complessi caratterizzati
da livelli di rischiosità contenuti e prodotti semplici con rischiosità elevata.
Tuttavia, si ritiene che l’intelligibilità della struttura di un prodotto finanziario rappresenti il
presupposto per la comprensibilità del rischio di investimento sotteso, potendosi altrimenti
determinare il fenomeno di acquisti non consapevoli.
Le recenti opinioni dell’ESMA: hanno ad oggetto “structered retail products” anche “good
practies for product governance arrangements” ed illustrano le attività utilità ad assicurare la cura
dell’interesse degli investitori e ad evitare prassi pregiudizievoli nelle fasi di ideazioni dei prodotti
strutturati e di commercializzazione degli stessi.
Nell’esercizio dei propri poteri l’ESMA ha di recente espresso la propria posizione circa la
commercializzazione di una categoria di prodotti ad alta complessità i cosiddetti Contingent
Convertible “Co.Co”. In particolare si richiamano i peculiari profili di rischio sottesi allo strumento,
connessi al livello del frigger che determina la conversone, alla inesistenza di una scadenza certa
ed alla possibilità di cancellazione delle cedole previste.
Le misure in materia di prodotti complessi: La consob intende conformarsi alle indicazioni alle
indicazioni fornite all’ESMA.
Quali sono i prodotti di complessità molto elevata non adatte normalmente alla clientela al
dettaglio:
1. I prodotti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione di crediti o di altre attività;
2. I prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziative
dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale;
3. Prodotti finanziari credit linked;
4. Strumenti finanziari derivati non negoziati in trading Venus, con finalità diverse da quelle di
copertura.
5. Prodotti finanziari finanziati strutturati, non negoziati in trading Venus, il cui pay off non rende
certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente.
La CONSOB raccomanda che queste tipologie di prodotti non siano consigliate né distribuite in
via diretta alla clientela retail.
Qualora l’intermediario, sotto propria responsabilità, disattenda la raccomandazione, a seguito
delle valutazioni effettuate che il prodotto in concerto si presti alla realizzazione degli interessi
della propria clientela e che siano disponibili informazioni sufficienti a valutarne le principali
caratteristiche e rischi, sarà comunque comunque chiamato ad adottare cautele in grado di
contenere in maniera sostanziali l’innalzo del rischio di non conformità.
Per l’assunzione delle decisioni, devono essere definiti dei limiti specifici per l’investimento per la
clientela attuale e prospetto, considerando:
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- grado di competenza;
- età
- patrimonio minimo detenuto presso l’intermediario
- soglie minime di investimento
- soglie massime di concentrazione nel portafoglio del cliente
- […]
COMPLIANCE ANTITRUST
L’autorità garante della concorrenza e del mercato ha emanato le “linee guida sulle modalità di
applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate
dell’Autorità” che riconoscono l’adozione e il rispetto di uno specifico programma di compliance,
adeguato e in linea con la best practice europee e nazionali.
L’idoneità sostanziale di un programma di compliance a svolgere una funzione preventiva degli
illeciti antitrust costituisce il parametro di riferimento fondamentale nella valutazione dello stesso
al fine del riconoscimento dell’attenuante.
In linea con le best practices internazionali, costituiscono componenti tipiche di un programma di
compliance antitrust i seguenti elementi:
1. La compliance antitrust come parte integrante della cultura e della politica aziendale
2. Identificazione e valutazione del rischio antitrust specifico dell’impresa.
3. Attività di formazione e know how
4. Sistemi di gestione dei processi a rischio antitrust
5. Sistema di incentivi
6. Auditing e miglioramento continuo del programma
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Un bridge fra il bilancio e la gestione (Lang).
Lezione prima
Con la realizzazione, non perfetta, dell’Unione Bancaria a livello europeo la BCE non ha solo il
funzionamento della circolazione monetaria con il compito di controllare l’inflazione prossimo al
2%, ma ha anche la vigilanza a livello europeo. Sempre a livello europeo, abbiamo la BRRD
(Bank Recovery Resolutions Directive) una direttiva che consente alle banche in crisi di imboccare
un sentiero tracciato dalle norme. C’è una competenza concorrente anche da parte della vigilanza
nazionale. La principale forma di salvataggio del BRRD è il bail-in, ovvero salvataggio interno,
prevede che al salvataggio delle banche devono concorrere gli apportatori di capitale, gli
sottoscrittori di obbligazioni e gli stessi depositanti con deposito superiore ai 100.000 euro.
Questa forma di salvataggio si applica alle banche più significative, mentre per quelle minori
abbiamo una serie di modalità di salvataggio offerte all’autorità di vigilanza e ai governi locali. In
italia non abbiamo mai assistito a un salvataggio bail-in, ma tutti i salvataggi sono stati eseguiti
tramite altre alternative previste dal BRRD come la ricapitalizzazione precauzionale, risoluzione
con intervento esterno, risoluzione con intervento statale.
E’ importante tenere conto anche del mercato del credito, ovvero dove si svolge l’attività della
banca.
I sistemi finanziari sono classificabili a seconda che l’assetto dei circuiti di trasferimento delle
risorse sia market-oriented o bank-oriented.
Tradizionalmente siamo abituati ad un mercato finanziario bank oriented, quindi con un iper
intermediazione delle banche, quindi dall’attività bancaria passava gran parte dell’attività
finanziaria.
Con il tempo il mercato si è evoluto, dando spazio a operazioni protagoniste dei mercati che non
passavano necessariamente dal canale bancario.
Se siamo in un approccio market-oriented prevalgono processi che sono tipicamente di
mercato:
- emissione e circolazione di strumenti mobiliari
- negoziazioni e pricing impersonali e multilaterali (le transazioni avvengono online e attraverso
una moltitudine di operatori)
- ruolo importante degli intermediari come meccanismi integratori del processo di mercato in fase
di: emissione, negoziazione, regolamento, consulenza.
Se siamo in un approccio bank-oriented:
- le banche sono controparti dirette: non è un approccio impersonale, ma un approccio diretto;
- gli strumenti contrattuali hanno una natura non mobiliare (es finanziamenti) quindi non trasferibili
e non liquidabili. Un esempio particolare sono le obbligazioni, anche se emesse dalle banche,
sono strumenti mobiliari in quanto negoziabili sui mercati regolamentati.
- il pricing è frutto di una negoziazione bilaterale e rappresenta una informazione privata. Sul
mercato le informazioni sono pubbliche e le quotazioni sono in tempo reale.
Questa distinzione tradizionale ha visto prevalere il modello market oriented nel mondo
anglosassone e il modello bank oriented in Europa e in Giappone. Grazie al peso crescente dei
mercati e all’innovazione finanziaria interpretare il sistema finanziario attraverso questa distinzione
è semplicistico, come si può notare attraverso l’esame dei fattori di convergenza.
Infatti, ad esempio, le obbligazioni che nascono tipicamente come strumento di raccolta, in realtà
vengono disciplinate dalla normativa come strumenti mobiliari e in alcuni casi vengono anche
scambiate sui mercati. Il pricing diventa pubblico e non più bilaterale con le banche.
Le distinzioni tradizionali hanno perso gran parte del loro significato, in particolare ci sono dei
fattori di convergenza che spingono verso una maggiore vicinanza fra le due strutture di mercato,
che teoricamente dovrebbero essere antitetiche. I fattori di convergenza sono:
1. Strumenti di trasferimento e gestione dei rischi
2. Informazioni e standard di mercato: tante informazioni che dovrebbero rimanere private
vengono condivise con la banca come le coventant contrattuali, i sistemi di governance e di
mercato e le informazioni previste da Basilea II. Un convenant è una condizione apposta su un
contratto di finanziamento ed è legata a un obbligo del prenditore del finanziamento a trasmettere
a una certa data del finanziamento una serie di informazioni sulla propria situazione economico
finanziaria alla banca. Questo solitamente accadeva solo con la pubblicazione con il bilancio. E’
un elemento di convergenza perché coloro che sono quotati in borsa e quindi emittenti di
strumenti finanziari sono obbligati dalla normativa a rilasciare trimestralmente le informazioni sulla
1
loro situazione finanziaria economica. Pertanto attraverso strumenti contrattuali bilaterali si
adottano sistemi di rilascio di informazioni tipiche di strumenti del mercato dei capitali.
Basilea II
Si tratta di un set di regole di vigilanza prudenziale (derivato da quelle applicate per la prima volta
nel 1988, ma si tenga conto che il set di regole è stato implementato da Basilea III sta entrando
progressivamente in vigore) che ha il fine generale di rafforzare la stabilità del sistema finanziario
internazionale attuando nel contempo principi di regolamentazione applicabili in modo omogeneo
a tutte le banche, e che dispone regole di misurazione dei rischi e del capitale allocato sulle quali
si innestano le connesse azioni di vigilanza.
In base alla natura dei rischi ed alle connesse azioni di vigilanza si distinguono tre pilastri sui quali
poggia l’architettura di Basilea II:
Tre pilastri:
• I pilastro: descrive i requisiti patrimoniali minimi, sono il nucleo centrale dell’attività di
vigilanza prudenziale. Tendono ad individuare i seguenti rischi:
1. Rischio di credito: valutando il rischio di credito è necessario tener conto dei seguenti
elementi:
- ponderazione del rischio: è differente un portafoglio di crediti corporate (crediti finanziari
verso società industriali) da un portafoglio di crediti di mutui ipotecari alle famiglie per quanto
riguarda rischiosità e pertanto avranno pesi diversi sull’attivo.
- garanzie
- forme di trasferimento del rischio (operazioni su derivati o securization)
- validazione dei modelli interni di valutazione del rischio: permettono di avere una
valutazione del rischio maggiormente accurata e quindi ci sono dei premi di assorbimento
patrimoniale. Più la banca è in grado di dimostrare all’autorità di vigilanza che riesce ad avere
delle elaborazioni oggettive, accurate e precise, avrà dei primi in termini di assorbimento
patrimoniale.
- effetti di portafoglio (allocazione del rischio di credito sui vari portafogli)
2. Rischio di controparte: il rischio che la mia controparte non adempia alle obbligazioni,
non necessariamente in ambito creditizio, ma anche in caso di trading.
3. Rischio di mercato: il mercato si muove e a seconda di come si muove potrò avere delle
variazioni di fair value con diverso impatto.
4. Rischio operativo: rischio delle cause di lavoro, rischio di danno al proprio sistema
informatico, rischi derivanti dal non corretto adempimento degli obblighi di compliance.
2
• II pilastro: processo di vigilanza prudenziale (ICAA; SREP)
1. Rischio di liquidità: che la banca si trova in difficolta di finanziaria. La banca opera una
trasformazione delle scadenza, raccogliendo a breve e impegnato a medio lungo termine. Se
i depositanti a breve richiedono improvvisamente i depositi potrei avere dei problemi di
liquidità.
2. Rischio di tasso: deriva dall’andamento della curva dei tassi. Viene fronteggiato: 1)
facendo una combinazione di attività e passività; 2) attività di hedging: attività di copertura
dal rischio (swap sui tassi).
3. Rischio strategico: rischio che il modello di business non sia adeguato, che le risorse non
siano allocate in modo efficiente ed efficace.
4. Rischio reputazionale: esempio vendita di prodotti ai clienti senza verifica di adeguatezza
e appropriatezza.
Nel calcolo di assorbimento patrimoniale, ogni rischio si mangia un pezzetto di patrimonio. Ci
sono dei:
- processo interno, ICAAP, un processo attraverso cui la banca si auto diagnostica il livello di
adeguatezza patrimoniale, ovvero se a seguito della sommatoria dei rischi, il capitale risulta
adeguato
- processo esterno di vigilanza prudenziale (SREP).
• III pilastro: trasparenza e disciplina di mercato: Basilea III ha lavorato molto su questo pilastro
e sono tutt’ora in applicazione graduale.
La disciplina imposta da Basilea obbliga le banche ad una gestione attenta del proprio attivo,
prescrivendo livelli di capitale adeguati all’ammontare ed alla rischiosità del proprio attivo:
CET 1: CE/RWA
In altre parole le banche devono osservare almeno il livello minimo di rapporto fra il capitale di
prima qualità (mezzi propri: capitale sociale, riserve, utile d’esercizio e sovraprezzi) e le attività di
bilancio ponderate per la propria rischiosità.
Dai mezzi propri non si riesce a passare direttamente al common equity perché le regole
prudenziali impongono che ai dati contabili vengano applicati dei filtri prudenziali, in aumento e in
diminuzione, e deduzioni.
Una misura della convergenza verso il mercato è la disciplina dei rischi di III pilastro, che si basa
essenzialmente su informazioni e dati di mercato.
Conclusivamente, l’influenza delle regole di vigilanza marco (rivolto alla generalità degli
intermediari finanziari) e micro (impatta sul singolo intermediario) prudenziale si riflette su tutto il
processo del credito, avvicinandoli a criteri più vicini a quelli di mercato (in particolare il terzo
pilastro):
- nella gestione del rischio
- nella valutazione rischio/rendimento
- nell’adozione di strumenti di rating
- nell’adozione di prassi standard sia di tipo tecnico che informativo.
Per quanto riguarda più nello specifico nella misurazione del rischio di credito sono consentiti
metodi diversi. Il rischio di credito è il rischio che pesa maggiormente, circa il 60%. Il totale dei
rischi assorbiti dal capitale non deve mai corrispondere al 100%, devono residuare dei buffers di
sicurezza, cosiddetto capital libero. All’aumentare della profondità e affidabilità del modello ( cui
corrisponde per forza di cose una maggiore del modello stesso e degli strumenti adottati ed una
più ampia base informativa disponibile per la elaborazione) corrisponde, a parità di condizioni,
una minore valutazioni del rischio e di conseguenza un minore assorbimento patrimoniale. Ad
esempio lo stesso credito potrà avere una ponderazione del rischio differenza per la banca A e
per la banca B, se la prima utilizza il modello standard e la seconda il modello IRB.
In sintesi:
-> metodo standard: utilizzato da banche che non hanno modelli validati dalle autorità di
vigilanza. I modelli interni devono essere valutati e validati, altrimenti non possono essere
utilizzati. Il modello standard prende in considerazione i rating esterni e le classi di attività, ovvero
se si tratta di grandi imprese, PMI, famiglie o enti pubblici. Ognuna di queste classi avrà un
proprio rischio e un proprio pricing: più alto è rischio più alto sarà il pricing.
-> metodo IRB:
- di base
- avanzati
Si basano sulla valutazione di quatto variabili (nei modelli Advanced sono tutte ricavate dai
3
modelli interni; nel caso dei modelli di base, invece, le ultime tre variabili sono fornite dalle autorità
vigilanza)
1. PD: probability of default -> è una percentuale statistica che descrive la probabilità che un
soggetto possa fallire e deve essere esaminata durante tutta la vita del credito. Più si allunga il
tempo, più alta sarà la possibilità di insolvenza
2. LGD: loss given default —> percentuale di quanta parte del credito andrà perduta
3. EAD: Exposure at default —> percentuale dell’ammontare del credito nel momento in cui il
default si materializza.
4. M: Maturity —> maggiore è la durata, maggiore sarà la probabilità di default e che il debito non
venga pagato.
Le nuove disposizioni di vigilanza per le banche (Basilea III) sono indirizzate in particolare a:
i. Rafforzare la capacità degli intermediari ad assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed
economiche, anche con rafforzamenti patrimoniali (buffers anticiclici)
ii. Migliore la gestione dei rischi, con particolare riguardo al rischio di liquidità
iii. Migliorare la governance, ovvero gli assetti organizzativi e decisionali.
iv. Rafforzare la trasparenza e l’informativa (terzo pilastro).
Il comitato di Basilea ha individuato pertanto i tre pilastri:
1. Primo pilastro, relativo ai requisiti patrimoniali necessari a fronteggiare alcuni rischi tipici
dell’attività bancaria quali: rischio di credito, di controparte, di mercato e operativi.
2. Secondo pilastro che prevede l’obbligo per le banche di dotarsi di una strategia e di un
processo di controllo dell’adeguatezza patrimoniale (ICAAP) e la verifica da parte dell’autorità di
vigilanza che può disporre provvedimenti correttivi (SREP).
3. Terzo pilastro prevede, invece, gli obblighi informativi al pubblico riguardo:
- adeguatezza patrimoniale
- esposizione ai rischi
- caratteristiche dei sistemi di gestione controllo dei rischi
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vigilanza micro prudenziale e macro prudenziale, anche con l’intento di evitare gli effetti pro-
ciclici.
In particolare gli interventi maggiormente significativi riguardano:
Nel primo pilastro:
1. Migliore definizione del capitale di prima qualità (CET1 che orgina il common equity tier 1-
costituito dal capitale sociale e dalle riserve di utili)
2. Istituzioni di buffer addizionali di conservazione del capitale in funzione anti ciclica:
- riserva di conservazione del capitale, volta a preservale il livello minimo di capitale
regolamentare dei momenti di tensione del mercato.
- riserva di conservazione anti ciclica, volta a proteggere il capitale nelle fasi di eccessiva crescita
del credito. (può arrivare fino al 2,5%)
- alle banche sistemiche , quindi con rilevanza globale sono imposte delle riserve aggiuntive.
3. Limiti alla leva finanziaria. La leve finanziaria può essere vista come il rapporto fra il totale delle
passività e il capitale, oppure come rapporto delle attività sul proprio capitale (misurazione del
reciproco). In ogni caso le leva finanziaria dimostra quanta parte della propria attività è finanziata
con mezzi propri e quanta parte attraverso mezzi di terzi.
4. Requisiti e sistemi di supervisione del rischio di liquidità.
- a breve termine - liquidity coverage ratio
- strutturale - Net stabile funding ratio
Nel terzo pilastro: bisogna fornire un’informativa al pubblico sempre più completa e robusta e
infatti si tratta di un documento autonomo —> si punta al rafforzamento dei requisiti di
trasparenza e maggiori informazioni su:
1. Esposizioni verso cartolarizzazioni
2. Composizione regolamentare
3. Modalità di calcolo dei ratios patrimoniali
4. Discolosure su altri argomenti considerati rilevanti
Attualmente sono in corso proposto di revisione della direttiva sui requisiti di secondo pilastro. In
particolare la Commissione ha recepito le indicazione dell’EBA, ha funzione di emanare
documenti tecnici che le autorità di vigilanza recepiscono nell’emozione di regolamenti e direttive,
in particolare su:
- conferma esplicita che le misure di secondo pilastro sono vincolanti
- chiarisce il funzionamento delle restrizioni alla distribuzione degli utili ( MDA-maximum
distributable amount)
- introduce il concetto di “capital guidance” ovvero il livello capitale regolamentare che le autorità
di vigilanza si attendono in futuro dagli intermediari vigilati: parlando di coefficienti patrimoniali, è
importante calcolare il CET 1, ma anche il capitale fully fased, ovvero il capitale se tutte norme
nuove fossero in vigore. Il capital guidance, invece non è disponibile al pubblico, ed è quello che
le autorità di vigilanza si aspettano da un dato intermediario considerato il suo livello di rischiosità
e la previsione del ciclo economico.
- chiarisce che le misure di secondo pilastro sono di natura microprudenziale
Nell’ambito della BRRD, ovvero Banck Recovery and Resolution Directive (nota come direttiva
bail-in) sono in corso numerose valutazioni. Il bail-in è il contrario di bail-out (salvataggio esterno),
pertanto si tratta di un salvataggio dall’interno, una risoluzione di una situazione di crisi che viene
dall’interno. Mentre prima il salvataggio bancario era a carico delle casse pubbliche, con la
direttiva BRRD, il legislatore ha messo il carico del salvataggio della difficolta bancaria in primis
sugli azionisti, successivamente agli obbligazionisti subordinati (postergati rispetto ai creditori
senior), infine i depositanti oltre i 100.000 euro (prima sono garantiti dal fondo interbancario di
garanzia).
L’obiettivo è quello di dotare le banche di un buffer di passività destinato ad assorbire le perdite in
caso di bail in e poter ripristinare i requisiti patrimoniali.
Questa forma di salvataggio si applica in particolare alle banche più significative, ma in Italia non
ci sono mai stati casi di Bail-in. Infatti, la direttiva prevede anche altre forme di salvataggio,
pilotate sia dall’autorità nazionale che dall’autorità di risoluzione in seno alla BCE, che indirizzano
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le situazioni di crisi delle banche verso soluzioni alternative come cessone di azienda,
ricapitalizzazione istituzionale (MPS), la nazionalizzazione temporanea (Banca popolare di Bari),
oppure ristrutturazioni precauzionali vere e proprie.
Fra le altre misure, viene fissato, dall’Autorità di Risoluzione un requisito di ammontare minimo
destinato a fronteggiare le perdite prima delle altre passività. Per le banche non sistemiche si
parla del MREL (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities), che si compone di
tre aggregati:
i. Importo necessario per l’assorbimento delle perdite (LAA: Loss absorption amount)
ii. Importo necessario per implementare la strategia di risoluzione della banca (RA: recapitalisation
amount)
iii. Possibile aggiustamento del fondo di tutela dei depositi (GSG: deposito guarentee scheme)
Attualmente il requisito si misura in percentuale delle passività e dei fondi propri totali, ma l’EBA
ha suggerito di calcolarlo raffrontandolo ai RWA, come come già previsto per il TLAC.
Abbiamo sempre detto che la misura di ogni valutazione, fra cui il prezzo, deve sempre essere
correlata al rischio. Per questo il piricing del credito sarà formato dalle componenti del prezzo e i
relativi fattore determinanti:
+ costo dei fondi: determinato dalla curva dei tassi, tassi medi raccolta e i tassi parametrici —>
nella maggior parte dei casi si usa un mix
+ costo del rischio: il fattore determinante è la formula EL= PDxLGDxEAD; presenza o meno di
impairment.
+ costo del capitale proprio: il fattore determinante è (Ke - TIT)x8%xW), ovvero costo tasso free
risk+premio rischio x il rischio sistemico B, moltiplicato per (% CET1 e un fattore di ponderazione
W.
+ costi operativi: i fattori determinanti sono i costi diretti e indiretti
+ margine di contribuzione ( fattori determinanti mercato e relazioni)
Come si vede l’elemento rischio viene pesato sotto forma di valutazione della perdita,
considerando il costo del capitale, dove (8% è il livello minimo di CET1 e W è la ponderazione per
il rischio)
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supplementare).
(Importante: una tipica azione di vigilanza va a vedere se effettivamente gli accantonamenti
effettuati sono giusti o meno, e può imporre, in caso di dubbi, una deduzione dal patrimonio di
vigilanza —> eccedenza delle perdite attese rispetto alle rettifiche del valore complessivo)
Informativa sul patrimonio: i requisiti patrimoniali vengono calcolati su base consolidata e non
individuale. La circolare 262 del 22 dicembre del 2015 ha eliminato l’obbligo di indicare nella nota
integrativa la sezione sui fondi propri e i coefficienti di vigilanza. Poiché l’informativa sui fondi
propri e l’adeguatezza patrimoniale è ora richieda dalle regole del terzo pilastro di Basilea III, le
banche pubblicano un documento in cui espongono le informazioni qualitative e quantitative sui
propri requisiti patrimoniali ai sensi del regolamento UE n 575 del 2013 (CRR) e la CRD IV ,
direttiva n 36 del 2013.
A questi, si aggiungono:
- la circolare banca d’Italia n 285 del 17 dicembre 2013
- Le guidelines emanate dall’EBA con lo scopo di assicurare modelli uniformi per la pubblicazione
delle informazioni
- Il documento “Pillar 3 disclosure requirements - updated framework” pubblicato nel dicembre
2018 dal comitato di Basilea per la vigilanza bancaria.
Voce 10 “Casse e disponibilità liquide”: rientrano in tale voce le valute aventi corso legale,
comprese le banconote e le monete divisionali estere, nonché i depositi libera verso la Banca
Centrale, questi ultimi non sono comprensivi della riserva obbligatoria (da ricondurre nella voce
“crediti verso banche”)
Voce 20 “Attività finanziarie valutate al fair value con impatto al conto economico”:
qui figura tutte le attività finanziare (obbligazioni, certificati di deposito, buoni fruttiferi, azioni,
finanziamenti, derivati, fondi, ecc.) che sono allocate nel portafoglio di negoziazione, in quello
delle attività finanziarie designate al fair value, nonché quelle che devono essere valutate al fair
value per obbligo.
Voce 20 a) attività detenute per la negoziazione:
Un’attività finanziarie è classificata come detenuta per la negoziazione se:
1. È acquistata principalmente per essere venduta a breve;
2. Fa parte di un portafoglio di strumenti finanziari che sono gestiti congiuntamente e per il quale
esiste una strategia volta al conseguimento di profitti nel breve periodo;
3. È un contratto derivato non designato nell’ambito di operazioni di copertura contabili ivi
compresi i derivati aventi fair value positivo incorporati in passività finanziarie diverse da quelle
valutate al fair value con iscrizione degli effetti reddituali a conto economico.
Iscrizione iniziale: valutazione al fair value alla data di regolamento che normalmente corrisponde
al corrispettivo pagato, al netto dei costi e dei ricavi di transazione che sono iscritti a conto
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Economia delle gestioni bancarie
Mentre nella triennale si studia la regolamentazione bancaria, nella magistrale ci concentreremo
sull’operatività bancaria.
L’insegnamento verrà suddiviso in tre moduli:
1. Sistemi di governance e sistemi di controllo interni - Lunedì Prof. Carneade.
2. Patrimonio, rischi; bilancio; analisi patrimoniale - Martedì Prof. Lang.
3. Parte gestionale: attività bancaria strutturata per ASA (area strategica d’affari): retail banking,
private banking, corporate banking, institutional banking - Giovedì e Venerdì.
Perché si ragiona per ASA? Si studierà strategie e politiche nella scelta di alcune ASA piuttosto
che altre.
Testo di riferimento: Cenderelli, Bruno - Economia delle gestioni bancarie
ASA PRIVATE
CARATTERISTICHE:
Per private banking si intende un’attività delle banche che si concretizza nell’offerta e nella
predisposizione di prodotti e servizi ad alto contenuto di personalizzazione ed ad alto valore
aggiunto. Si tratta di un offerta rivolta a una fascia di clientela che ha la peculiarità di detenere un
patrimonio finanziario e non finanziario di dimensioni economiche rilevanti, e pertanto manifesta
esigenze di investimento di natura complessa.
Dalla definizione emergono le peculiarità dell’area strategia d’affari private, ravvisabili innanzitutto
nell’attività rivolta a servire il segmento delle unità in surplus (non si considera la clientela in
deficit) e in particolare la clientela in surplus più abbiente in termini di dimensione del patrimonio
finanziario e non.
A fronte di un segmento di clientela che detiene un patrimonio finanziario e non finanziario di
dimensioni rilevanti, la banca deve predisporre un’offerta ad elevato contenuto di
personalizzazione. Possiamo dire che rispetto all’asa retail, avremo un‘offerta di prodotti e servizi
non standardizzati, non confrontabili e pertanto ad elevato valore aggiunto. Il valore aggiunto
viene conferito all’offerta mediante un’attività innovativa della banca tradizionale, ovvero l’attività
di advisoring (consulenza).
Per quanto riguarda le modalità di approccio all’area strategica d’affari private banking, le banche
devono attuare una preventiva segmentazione della clientela.
Perché?
La banca deve individuare le esigenze della clientela e decidere in quale sotto segmento della
clientela private specializzarsi. In ogni caso la segmentazione della clientela private segue le
logiche che abbiamo visto per l’asa retail, però le variabili sono:
- disponibilità del patrimonio finanziario della clientela
- complessità dei bisogni da soddisfare
Abbiamo la cosiddetta piramide della ricchezza, ovvero una suddivisione di tutta la clientela in
surplus, non solo private, in fasce in funzione della variabile patrimoniale. Assume la forma
piramidale poiché più il patrimonio aumento, meno sono le persone che sono dotate di tale
patrimonio.
La fascia più “popolosa” di soggette in surplus è la fascia dei mass market, con un patrimonio
inferiore a 100.000 euro. Successivamente avviamo la fascia affluent, con soggetti che detengono
un patrimonio finanziario nei limiti di 1.000.000 euro.
Nel livello successivo abbiamo gli High Net Worth Individual (HNWI) che sono quei soggetti con
un patrimonio finanziario e non fino ai 5.000.000 di euro.
Poi troviamo i Very High Net Worth Individual, soggetti che detengono un patrimonio finanziario
fino ai 50.000.000.
Infine abbiamo gli Ultra High Net Worth Individual che possiedono un patrimonio finanziario e non
oltre i 50.000.000.
Si tratta di una suddivisione condivisa sia dalla dottrina che nella prassi operativa, per cui la
clientela viene suddivisa sulla base della variabile patrimoniale in fasce.
I soggetti affluent e mass market vengono considerati come fascia bassa della piramide, mentre i
HNWI, VHWI e UHWHI sono la fascia alta e vengo presi in considerazione dall’asa private. Per
esempio la MPS tende ad interessarsi alla clientela Upper Affluent, ovvero si trova nella zona
border line tra gli affluent e HNWI.
Che differenza c’è tra fascia alta e bassa?
La prima differenza sta nel fatto che per la fascia bassa di clientela, l’attività bancaria viene
qualificata come asset management, quindi le banche tendono a sviluppare tecniche operative
tipiche dell’asset allocation. Si tratta pertanto di definire un offerta che attiene alla soddisfazione
di bisogni di investimento su un patrimonio di natura prettamente finanziaria. L’operatività della
banca si concentra sulla gestione degli asset finanziari.
Se la banca intende rivolgersi alla fascia alta di clientela, quella HNWI, l’approccio nell’offerta è
assolutamente differenziato rispetto alla fascia bassa. Viene definita come wealth management,
e individuata come private banking. Consiste nella definizione di un offerta personalizzata ad alto
valore aggiunto. Quando parliamo di wealth management facciamo riferimento a una gestione del
patrimonio finanziario e non del clienti, si tratta di clienti che richiedono investimenti sia di natura
finanziaria, ma anche gestione di attività diverse da quelle tipicamente finanziarie.
Quando parliamo di private banking in ottica tradizionale parliamo di asset allocation o meglio di
asset management, quindi attività di risparmio gestito, a parte gli upper affluent per i quali può
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ASA CORPORATE
Caratteristiche
E’ l’ASA rivolta al soddisfacimento dei bisogni del segmento imprese e quindi l’analisi è svolta
nell’accezione del corporate finance. Si tratta di una area di soggetti in deficit che manifesta
esclusivamente esigenze di finanziamento, da intendere in lato senso (ovvero in maniera
allargata).
Avremo modo di notare come l’ASA corporate fa riferimento ad un offerta definita di finanza
straordinaria, una finanza più ampia dell’attività di lending in senso stretto (caratterizzante
dell’ASA retail). Per la banca si traduce nella necessità di definire un offerta ampiamente
diversificata ad elevato contenuto di servizi.
L’altra caratteristica di questa ASA corporate, riguarda la necessità di dover individuare quali
sono le imprese “corporate”. Diventa necessario a procedere a un processo di segmentazione
delle imprese in funzione del fatturato, ottenendo:
- Imprese Retail, dell’ASA retail e sono le imprese che conseguono un fatturato nei limiti di 1
milione di euro, in caso di Piccoli operatori economici, e nei limiti dei 2,5 milioni, in caso di small
business.
- Imprese Corporate: l’area residuale
Tuttavia, anche nell’ambito delle imprese corporate si deve attuare un ulteriore segmentazione
della clientela, individuando sotto segmenti —> l’utilità risiede nella necessità delle banche di
dover definire quale modello di business adottare per un’offerta costituita ad hoc. Infatti, l’area
strategica del corporate banking prevede un orientamento delle banche verso un modello di
business orientato al mercato.
In relazione alla necessità di procedere a una sotto segmentazione, la prassi operativa tende a
individuare tre segmenti corporate, con un criterio di fatturato:
- middle corporate: tutte imprese che realizzano un fatturato annuo fino ad 15 milioni di euro;
- segmento corporate: nei limiti dei 250 milioni di euro
- large corporate: imprese con un fatturato superiore a 200 milioni di euro.
La sotto segmentazione risponde, quindi, all’esigenza di aiutare la banca nella scelta del modello
di business che sposa meglio il segmento che intende seguire.
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articolata (rispetto alle middle). In questo stadio si registra un primo ampliamento verso l’attività
collaterale delle banche, quindi l’attività di servizi ed advisory. Si tratta di una esigenza
manifestata dalla banche di ricorrere a personale specialistico qualificato che sia in grado di
supportare le richieste provenienti da questo segmento. Si va verso un approccio relationship
banking: vi è necessità di instaurare con la clientela un rapporto di tipo relazionale duraturo.
L’esigenza di un rapporto stabile e duraturo con la clientela di sbocco nasce da una serie di
elementi, tra cui la presenza di un agguerrita concorrenza e dalla necessità delle banche di
realizzare adeguate performance che ne vadano a giustificare l’attività. Si cerca di valutare il
margine di contribuzione di questa attività sul risultato complessivo. Non interessa la redditività
della singola operazione, ma si analizza il Raroc ->indicatore di redditività del capitale investito
relativamente a un area strategica.
Questo comporta l’adozione di modelli di controllo e gestione del rischio di credito molto più
sofisticati, non è più possibile valutare cliente attraverso approcci standard, ma modelli IRB
(modelli interni della banca). Una delle conseguenze dell’adozione dei modelli IRB è la necessità
di aggiornamento quali quantitativo del customer relationship management, ovvero la costruzione
di relazioni sulle informazioni contenute nel customer relationship database.
Quindi in caso di imprese con sviluppo medio, ci sarà un sviluppo del database con informazioni:
- hard informations: informazioni di tipo quantitativo, ricavabili anche dai bilanci dalle imprese);
- soft informations: informazioni di tipo qualitativo in grado di qualificare la relazione banca cliente,
sono informazioni private e privilegiate, desunte dall’esperienza del personale della banca a
seguito di un rapporto duraturo.
L’ultimo stadio è lo stadio elevato dove operano le imprese large corporate, che richiedono la
predisposizione di un offerta diversificata sia nell’attività di lending che extra lending. Di fatto si
tratta di un offerta complessa che nella prassi viene costruita introno a un pacchetto di servizi
finanziari e non finanziari, di natura bancaria e non bancaria. —> attività di investment banking
L’attività di corporate banking nello stadio di sviluppo elevato si qualifica come una “divisione
autonoma nella banca”. Avremo nella banca quindi un area peculiare, una divisione a sé,
orientata alla costruzione di un offerta di finanza straordinaria dell’impresa: l’attività tradizionale di
lending va ad accorpare sempre più contenuti di mercato. Quindi un modello di business orientato
al credito (originate to hold), dove la banca la banca presidia il credito in tutte le sue fasi, lascia il
posto ad un modello di business diverso: originate di to distribuite.
Quali sono le caratteristiche di questo modello?
Se andiamo a vedere le fasi che caratterizzano la catena del valore del credito avremo che:
- prima fase: originating, ovvero la fase di pre concessione di valutazione del credito.
- seconda fase: funding, ovvero la fase di erogazione del credito
- terza fase: risk taking, ovvero di controllo del rischio di credito e di tutti gli altri rischi che
possono emergere.
- quarta fase: servicing, ovvero la fase di monitoraggio ed amministrazione del credito erogato.
Nel modello OTH, l’interesse della banca è di presidiare tutte le fasi che caratterizzano la catena
del valore del credito. Rimane tutto interno alla banca.
Nel modello OTD, è il modello che si affaccia al mercato. Questo modello crea il credito e poi lo
distribuisce ad altri. La banca cerca una convergenza tra il mercato del credito e il mercato
finanziario. Come avviene questa convergenza?
Alcune di queste fasi vengono presidiate dalla banca, mentre altre fasi vengono trasferite al
mercato. Le banche italiane sono banche focalizzate sull’erogazione del credito, valutazione del
credito e monitoraggio del fido. Invece, esternano la fase di funding e risk taking.
Quali sono le operazioni che di fatto consentono questa convergenza? Sono le operazioni di
finanza straordinaria, come l’operazione di securitization: la banca trasferisce una parte dei suoi
crediti a un veicolo (SPV), liberando la corrispondente parte dell’attivo di bilancio.
L’altra caratteristica del modello di business OTD è rappresentata dall’utilizzo di garanzie in forma
di covenants. Nell’erogazione del credito le banche non richiedono il rilascio di garanzie reali o
personali, ma le operazioni sono accompagnate da garanzie di natura contrattuale come le
covenants. Si tratta di impegni che il debitore di assume, di rispettare le clausole contrattuali
previste nel contratto: non sono legate alla capacità patrimoniale, ma sono comportamenti che
deve o non deve assumere l’impresa (es rispettare degli indici di bilancio, politiche di non
distribuzione dei dividendi, adozione di determinati assetti di governance).
Le principali caratteristiche dei covenants:
- sono delle alternative valide alle garanzie reali, ovvero in assenza di altre garanzie;
- garantiscono la trasparenza e l’oggettività del processo di erogazione del credito;
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- capacità di spingere l’impresa al rispetto di comportamenti virtuosi, come il rispetto di una
adeguata struttura finanziaria.
Dire che le covenants stimolano una migliore valutazione del rischio, è come dire che si ha una
corretta capacità di valutazione per il rimborso del prestito e pertanto una più puntuale
valutazione del merito creditizio.
Come sono ampliati i confini del corporate banking?
Abbiamo un passaggio dalle banche orientate all’attività di commercial banking a un’attività di
investment banking.
Le commercial banking hanno come operazioni tipiche:
1. Corporate banking tradizione: sia un lending rivolto a soddisfare il fabbisogno di finanziamento
di imprese nazionali che imprese con vocazione internazionale.
2. Servizi di cash management
Le commercial banking hanno un’attività di funding tradizionale, quindi con una raccolta di fondi
al dettaglio. Queste banche hanno una politica distributiva fortemente concentrata su una rete
capillare presente sul territorio. L’attività ha un impatto sul conto economico che si evidenza con
un significativo margine di interesse che influisce sulla redditività globale della banca.
Nell’investment banking il lending è orientato alla finanza strutturata, con operazioni di finanza
straordinaria, risk management e M&A e operazioni di ristrutturazione.
Per svolgere attività di finanza strutturata, la raccolta dell’investment banking è orientata sulla
raccolta titolarizzata: obbligazioni e strumenti similari.
Considerando la platea di sbocco, le banche orientate all’investment banking non richiedono una
presenza massiccia di filiali nel territorio, ma essendo operazioni di entità e complessità rilevanti
non sono così territoriali.
L’impatto sul conto economico dell’attività di investment banking è evidente nella significativa
incidenza del margine di intermediazione secondaria, costruito dalle commissioni e provvigioni
provenienti dall’attività consulenziale e finanziaria. E’ più marcata l’incidenza di questa area
rispetto alle banche OTH.
ii. Arranger: la banca deve organizzare e negoziare i termini del finanziamento. La banca
interviene nell’ambito delle operazioni di project financing organizzando e negoziando i termini del
finanziamento. E’ un’asserzione abbastanza ampia: in organizzazione e negoziazione del
finanziamento intervengono tutte le attività di coordinamento, di gestione degli enti finanziatori e
amministrazione delle fonti di finanziamento che intervengono nell’attività di progetto.
Normalmente la banca può anche decidere, nell’attività di arranger, di essere coadiuvata da altre
banche, le quali nell’attività di project financing assumono la veste di co-arranger. Questo aspetto
della collaborazione di più banche nell’attività di arranger in particolare emerge in occasione di
prestiti in pool.
A fronte delle funzioni di arranger la banca percepisce dalla SPV una commissione denominata
arranging fee, che sta intorno al 0,7 e l’1 % del prestito organizzato.
Le banche co-arranger possono assumere anche vesti di lender, quindi erogatrici del
finanziamento.
Nell’attività di arranger, le banche organizzano il finanziamento. Cosa si intende? Si intende il
coordinamento delle diverse fonti di finanziamento che possono assumere la veste di lending
tradizionale o near capital.
Tra gli strumenti near capital abbiamo:
1. Prestito Mezzanino: si tratta di un metodo di finanziamento near capital. E’ una via di mezzo
tra capitale di debito e di capitale proprio.
E’ una tecnica di finanziamento che si pone in posizione intermedia tra le forme tradizionali di
debito (senior debito) e il capitale di rischio (equity) in termini sia di rischio sia di rischio sia di
costo.
Si identificano nel debito mezzanino due distinte componenti:
- una parte senior debt, ovvero la componente di debito garantita sia nel rimborso che nella
quota interessi. Questa parte viene assimilata a un prestito obbligazionario.
Abbiamo la possibilità di diverse modalità di corresponsione degli interessi al capitale di debito:
a) zero coupon bond: il creditore percepisce il rendimento dell’operazione a scadenza,
come differenza tra prezzo di acquisto dell’obbligazione e prezzo di vendita.
b) stepped interest: vuol dire che gli interessi vengono riconosciuti in più step, al credito
vengono corrisposti interessi differenziati nella quota lungo tutto il periodo del finanziamento.
Sono interessi che all’inizio sono tassi più bassi di quelli di mercato e man mano che l’impresa
cresce superano quelli di mercato.
c) roll up: gli interessi sono più alti all’inizio e poi si riducono quando l’impresa entra a
regime.
d) pik debt: il debito segue le logiche del capitale. Quindi gli interessi che maturano sul
debito non garantiscono un flusso di cassa monetario, ma si vanno con il tempo a capitalizzare
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alla debito stesso. Non è riconosciuta per l’intero holding period, ma ci sono scadenze
differenziate e solo per alcune di queste è previsto il pik debt, per il resto viene calcolato
attraverso i metodi stepped interest e roll up.
- una parte equity kickers (junior debt), ovvero quella parte di finanziamento che si costituisce
sotto forma di capitale, rientrando nella logica dell’equity. Tecnicamente si presenta come un debt
warrant o call option legata all’obbligazione senior debt.
Le componenti di senior debt ed equity kickers possono essere racchiuse in unico strumento
come le obbligazioni convertibile o cum warrant o come le obbligazioni subordinate convertibili.
Quanto costa quest’operazione?
Rispetto alla tradizionali operazioni di finanziamento, il prestito mezzanino ha un costo
complessivo più alto poiché va a contemplare una anche la remunerazione dell’azionista. Le
componenti di costo del mezzanine finance è dato:
= interesse (i) + PIK (payment in kind) + EK (componente equity)
Con riferimento agli interessi, si tratta degli interessi riconosciuti alla parte di senior debt.
Il PIK è la componente di costo che remunera il creditore relativamente alla possibilità di poter
rinunciare ad una parte di interessi per un periodo pur limitato della durata del finanziamento. Si
tratta di quella quota di interessi variabili calcolata sulla performance aziendale, laddove nel
tempo il strumento capitalizza gli interessi stessi.
L’equity kickers è la componente azionaria funzionale del kickers. Come si valuta il kickers? La
valutazione può avvenire secondo due approcci differenziati: a) ex post: alla scadenza
dell’operazione; b) ex ante: all’inizio dell’operazione.
La differenza sta nei diversi valori utilizzati nel calcolo dell’IRR, ovvero dell’indicatore interno di
redditività. Se si decide di calcolare il valore ex post, l’iRR viene calcolato su valori contabili,
quindi il valore dell’equity kickers sarà la differenza fra il prezzo atteso e il prezzo di emissione.
Questi flussi sono desunti dal business plan e vengono dati come certi anche se contenuti in un
documento strategico. Il flusso di cassa così determinato, rappresenta per l’investitore un entrata
nell’anno di scadenza dell’investimento.
Se l’equity kickers viene calcolato al momento iniziale dell’operazione, l’IRR viene calcolato su
valori economici. Al momento iniziale dell’operazione viene definito il pricing della call option e il
suo valore viene considerato come il valore di entrata che riduce l’investimento lordo, l’intero
finanziamento concesso, e pertanto immediatamente disponibile per l’investitore.
Normalmente si usa l’approccio ex post.
Qual’è la convenienza dell’operazione?
VANTAGGI SVANTAGGI
Fonte di fondi complementari al debito e al capitale: Costo del senior debt è più elevato, rispetto alle
si pone a metà tra capitale di terzi e capitale operazioni complementari.
proprio.
Funzione economica di “quasi capitale”: il Disponibilità dei fondi per una durata “determinata”
mezzanine financing può essere utilizzato come una
leva per gestire la qualità della struttura finanziaria,
del livello di rating e capacità di credito.
Poteri di controllo degli investitori limitati e fissati Allargamento della base di capitale azionario a
nei covenants contrattuali. scadenza con l’esercizio dell’equity kickers.
VANTAGGI SVANTAGGI
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Profili organizzativi dell’attività
Possiamo dire che la struttura organizzativa di una banca è espressione della scelta operata dalla
banca stessa di organizzare il ciclo di produzione e di distribuzione dell’offerta di prodotti. Le
banche hanno sempre mostrato interesse verso un modello divisionale per quanto riguarda l’area
corporate, poiché consente una specializzazione sia del sistema di offerta sia dei processi di
produzione e distribuzione.
Il modello divisionale consente di specializzare e formare profili professionali e garantire
competenza al fine di dar vita a un modo di far banca sempre più attento e vicino ai segmenti di
clientela individuati.
In funzione delle scelte operate dalle banche è possibile dar vita a specifiche forme di divisione,
che rappresentano un pò il processo evolutivo delle banche per quanto riguarda la modalità di
organizzazione dell’attività di corporate banking:
1. DIVISIONE GEOGRAFICA:
Il primo modello divisionale è la divisione per area geografica. Questa divisione geografica è
organizzata su divisioni di area o divisioni di mercato, il cui scopo è di andare a presidiare la
vicinanza del cliente, intesa come chiave di successo per la banca nello svolgimento dell’attività.
Ogni divisione territoriale o di mercato, va a coordinare un certo numero di dipendenze e
mantiene la responsabilità sia sull’offerta da proporre sia sulla redditività realizzata da ciascuna
divisione in rapporto alla redditività complessiva della banca.
Il vantaggio di questo tipo di questa struttura divisionale è la riduzione dei costi di struttura:
questo perché alcuni servizi possono essere accentrati nell’ambito della direzione generale e poi
messi a disposizione delle divisioni di mercato parte della stessa.
Questo implica che è possibile sfruttare le sinergie manageriali che si vanno a generare all’interno
di ciascuna divisione di mercato.
2. DIVISIONE PER PRODOTTI: questo passaggio è dovuto all’ampliamento del sistema di offerta
a seguito dell’introduzione di nuovi prodotti e nuovi servizi che ha richiesto una diversa
articolazione dell’offerta.
Nella prassi operativa questa struttura è articolata per divisioni di prodotto specializzata nello
sviluppo, realizzazione ed erogazione del prodotto stesso.
Spesso la divisione di un prodotto può essere costituita da un entità giuridica autonoma: fabbrica
di prodotto. La fabbrica di prodotto spesso viene acquisita dalla banca, con il vantaggio di
maggiore autonomia e flessibilità gestionale e organizzativa delle diverse divisioni.
Questo rileva in particolare per alcuni prodotti finanziari, data la loro specificità e complessità,
richiedono processi produttivi e distributivi molto peculiari. Questo ha ricadute sugli aspetti
distributivi della banca.
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provato a scomporre la catena del valore per potersi concentrare su alcuni anelli di catena del
valore come distribuzione e gestione del rapporto con il cliente.
L’orientamento delle banche nel prossimo futuro è di sperimentare un modello di business che
prevede la scomposizione della catena del credito.
E’ possibile ipotizzare tre principali strategie nel prossimo futuro delle banche:
1. Relationship leader: in un mondo completamente digitale, i clienti continueranno ad avere con
la banca un rapporto privilegiato. Il ruolo ricoperto dalle banche, di problem solver, con riferimento
ai prodotti e servizi di natura finanziaria, continua a rappresentare il loro punto di forza.
La banca del futuro che attua questa strategia dovrà porsi nell’interfaccia con il cliente in qualità
di esperta di relazioni. Dovrà approfondire tutti quei aspetti che possono qualificare il rapporto
banca cliente. Le banche si andranno a concentrare sull’attività di problem solver, ovvero
comprensione delle esigenze del cliente e approntamento di un offerto ad elevato valore
consulenziale. Il servizio di advisory diventa un elemento qualificante.
La chiave di successo di questo posizionamento è rappresentato dal livello di attenzione della
banca al cliente. Due sono gli aspetti decisivi:
- alla strategia tradizionale di prodotto, orientata all’interno della banca, occorre affiancare tutte
quelle strategie di orientamento al presidio della centralità del cliente che deve essere di natura
olistica: deve essere integrale. Questo si traduce in una strategia omni Channel, nel senso che il
contatto sia fisico che virtuale deve avvenire dovunque il cliente si trovi.
Questo business model si caratterizza per una remunerazione del servizio di consulenza con
applicazione di commissioni e provvigioni, quindi con una struttura di bilancio capital light ovvero
con bassa densità di attività ponderate per il rischio. Il valore del RWA sarà molto basso. Questo
perché una qualche componente del rischio di credito, di mercato e di tasso verranno trasferite ad
altri operatori che iscriveranno nei propri libri contabili le posizioni dei clienti.
Inoltre, le banche che sapranno indirizzare la struttura dell’investimento verso soglie di eccellenza,
in virtù della capacità di saper eseguire pratiche gestionali business anatycs, assumeranno una
posizione di mercato knowledge leader, con riferimento alle metodologie di analisi predittiva e
anticipazione dei bisogni della clientela.
2. Originator: le banche possono adottare una strategia orientata al presidio dell’attività di
originator, attività da sempre delle banche. Si tratta di uno specialista di prodotto: la banca
fornisce alla clientela soluzioni di elevata qualità di prodotti e dell’offerta. I prodotti vengono
commercializzati attraverso un ampia rete di vendita, non solo tradizionale ma anche virtuale.
L’esperto di prodotto si concentra sul massimo livello possibile di efficienza nei processi aziendali
e sulla realizzazione della miglior ingegneria di prodotto. Il business model in genere si basa su
ricavi tradizionali, provenienti dall’attività di intermediazione creditizia e quindi rilevanza nel conto
economico del margine di interesse e, in parte, sui ricavi commissionali a seconda del tipo di
prodotto commercializzato.
Gli originator si contrano sulla qualità dell’offerta con particolare attenzione all’area della
pianificazione finanziaria e della gestione dei rischi. Si tratta di una banca esperta nei processi di
pricing del credito e nelle metodologie e nei processi di allocazione del capitale, ma anche una
banca con forti competenze di capital and liquidity management. Potranno ricorrere, per la
distribuzione dei prodotti, anche al mercato o accordi distributivi con reti di terze parti.
3. Technology provider: (fornitori di tecnologia) si concentrano sullo sviluppo di soluzioni basate
sulla tecnologia per clienti finali o aziende e sulla fornitura di tecnologia in logica di piattaforma.
Questo modello ha acquisito importanza notevole nella predisposizione e utilizzo delle piattaforme
digitali.
I processi e i sistemi informatici delle banche spesso si sono mostrati carenti nel soddisfare i
requisiti digitali. Il modello di business del fornitore di tecnologia è fortemente centrato su
commissioni di licenza di accesso e pagamento di commissioni sull’operatività. Tutte le attività e
servizi offerti sono allineati all’infrastruttura fornita, non c’è competizione per l’accesso ai clienti.
Ovviamente per avere successo come fornitore di tecnologia a lungo termine vengono richiesti
requisiti essenziali come un elevato livello di competenza tecnologica e skills relativi alla
realizzazione di economie di scala digitali.
Quali implicazioni per le banche? La scelta di un riposizionamento strategico legata all’attuazione
di una di queste strategie innovative del futuro, impatterà diversamente sulla banca.
Siamo di fronte a una specializzazione dei modelli di business che potrebbe portare a una
significativa revisione delle strutture di bilancio. In particolare, una revisione delle fonti di
profittability del conto economico rispetto a come lo conosciamo ora.
Originator —> potremmo assistere a una progressiva concentrazione degli asset liabilty del
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sistema dei bilanci su un numero limitato di operatori.
Relationship leader —> perderanno una quota di ricavi riconducibili al margine di intermediazione
primario per essere compensato da una quota significativa di commissioni sui servizi di advisory.
Dall’altro canto, potrebbero registrare una rilevante riduzione dei costi di infrastrutture e personale
impegnati nei processi produttivi e gestendo un incremento di costi e investimenti funzionali ad
migliorare la relazione con la clientela.
Technology provider —> acquisiranno una quota importante di commissioni volte a remunerare il
servizio di accesso alla clientela finale e alle piattaforme multi brand. Si dovrà garantire adeguati
standard di sicurezza e pertanto la qualità dei processi digitali, comportando la presenza di costi
legati alla cyber securities e investimenti in processi di customer experience. Buona parte della
redditività deriverà dalla capacità di realizzare economie di scala e quindi da una gestione
accentrata della clientela.
Possiamo concludere che la ricomposizione del settore porterà a una maggiore contendibilità di
specifiche business combination che potrebbero diventare oggetto di accordi funzionali alla
definizione di nuovi progetti collaborativi di produzione e distribuzione. Questo passaggio favorirà
la nascita di operatori specializzati, anche di tipo mono business, contribuendo ulteriormente alla
specializzazione dell’eco sistema finanziario.
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essere necessaria un’offerta di gestione di asset di natura non finanziaria.
Quest’area quindi ha un offerta di prodotti di tipo personalizzato ad elevato valore aggiunto.
Quindi una caratteristiche di quest’area strategica di affari è la configurazione variegata
dell’offerta private banking riconducibile a tre modelli di business:
- private banking tradizionale
- wealth management
- family office
L’area del private banking si qualifica in relazione a quattro elementi caratteristici:
1. Il target di clientela di riferimento variegato in relazione alla manifestazione di bisogni finanziari
e non.
2. La gamma dei servizi e prodotti offerti
3. Il grado di personalizzazione dei servizi e prodotti offerti
4. Il modello organizzativo, inteso come modello di gestione della relazione. Quindi la scelta di un
modello di business in funzione di quella che è l’aspettativa della banca nella gestione della
relazione con il cliente.
Questi 4 elementi diversamente combinati tra loro danno vita a 3 modelli di business essenziali
prima elencati.
Il private banking tradizionale attiene esclusivamente all’attività di asset management delle
banche, quindi una gestione degli asset finanziari del patrimonio.
Il wealth management è quel business orientato alla clientela particolarmente abbiente, con un
patrimonio finanziario e non, di dimensione economica rilevante. Questa fascia di clientela
richiede dei prodotti fortemente personalizzati per la complessità e dei bisogni manifestati.
Parlando di complessità facciamo riferimento al fatto che il cliente non richiede solo soluzioni di
investimento di natura finanziaria, ma chiede sopratutto soluzioni di investimento di natura non
finanziaria. Si configura per la banca, pertanto, un’attività completamente innovativa rispetto al
passato. L’attività di advisoring e consulenza richiede alla banca una forte qualificazione del
personale, in grado di offrire un prodotto consulenziale perfettamente corrispondente alle
aspettative del cliente. Altrimenti i benefici legati all’attività di wealth management risulta non
conveniente.
Il family office non è altro che un segmento del wealth management e riguarda quella clientela che
si rivolge al private banking per le gestione complessiva del patrimonio di famiglia. Non cambia la
logica di predisposizione dell’offerta di prodotti e servizi o l’approccio della banca al cliente
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Nella dottrina e nella prassi, per comprendere come si compone diversamente un portafoglio delle
due macro classi di clientela, si ricorre al Puzzle del private bunker. L’attività del private bunker
cambia a seconda dell’esigenza del cliente.
Gli strumenti finanziari che possono essere inseriti nel portafoglio del cliente vengo suddivisi in:
- investimenti tradizionali: sono strumenti normalmente negoziati nei mercati regolamentati e
riconoscono un rendimento correlato al rischio, in modo che quest’ultimo sia contenuto in ordine
del principio di appropriatezza previsto dalla Mifid.
- investimenti alternativi: sono strumenti di natura finanziaria, ma dotati di complessità intrinseca
elevata, legata sia alla tipologia di negoziazione sia il rischio. (Hedge funds, private equity, prodotti
strutturati)
In basso troviamo:
- gli investimenti alternativi non finanziari, riferiti alla consulenza fiscale ed assicurativa su immobili
(real estate), opere d’arte e commodities (tipicamente beni fungibili, metalli preziosi).
- organizzazione fiscale e assicurativa, legati alla copertura dei rischi (patrimoniali e non) e al
fabbisogno di tipo assistenziale.
L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA DEI MERCATi
L’attività di investimento viene disciplinata dalla normativa di settore, pertanto il private banker si
trova a dover rispondere alla disciplina dei mercati. Il gestore deve ottemperare a tutti gli aspetti
normativi contenuti, ad oggi, nella Mifid 2 e Mifir.
La prima normativa nel settore dei mercati è l’ISD (investment service directive) nel 1993, una
normativa sui servizi di investimento con lo scopo di definire un insieme di regole e perseguire
l’obiettivo di armonizzazione della disciplina a livello comunitario. Questa direttiva ha introdotto il
principio di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati (borsa) e una sostanziale
concentrazione delle informazioni. La direttiva ha proceduto anche a una nette differenziazione tra
mercati regolamentati e non regolamentati, evidenziando le diverse regole di accesso e
negoziazione degli ordini (senza discrezionalità per i MR e assoluta discrezionalità per i mercati
non regolamentati).
Questa normativa aveva anche iniziato a interessarsi alla necessità di garantire un regime di
trasparenza, ovviamente orientati sui mercati regolamentati. E’ una normativa che nel tempo ha
fatto emergere alcuni elementi di inefficienza, legati in particolare alla non osservanza del principio
di libertà concorrenziale.
Pertanto viene emanata la direttiva Mifid 1 (2004/39/CE) e si pone l’obiettivo della massima
armonizzazione della disciplina comunitaria nel rispetto del principio cardine di salvaguardia della
concorrenza tra soggetti che operano nel mercato. E’ stato prevista una netta ripartizione di
competenze tra Consob e Banca d’Italia, per evitare la presenza di aree di sovrapposizione e
debolezze nel controllo sui soggetti vigilati.
Per quanto riguarda gli intermediari, la Mifid 1 introduce l’obbligo di classificazione della clientela
e risponde alla necessità di valutare le conoscenze in materia di investimento del cliente, ma
rappresenta anche una forma di tutela. L’innovativa della Mifid rispetto alla normativa precedente
risiede nel fatto che viene imposta agli intermediari una classificazione iniziale della clientela volta
ad evitare l’offerta di prodotti e servizi non sia rispondente alle esigenze e propensione al rischio
del cliente. Vengono introdotte tre categorie di clienti: 1) controparte qualificata; 2) cliente
professionale; 3) clientela al dettaglio. La controparte qualificata sono le imprese di investimento,
le banche, tutti gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le organizzazioni
sovranazionali a carattere pubblico (fondo monetario internazionale). Si tratta di una controparte
con un adeguato grado di conoscenza delle caratteristiche dei prodotti e dei rischi insiti nei
prodotti di investimento. Il cliente professionale, invece, è colui che possiede esperienza,
conoscenza e competenze necessari per una più puntuale decisione in materia di investimenti e
dei relativi rischi. Sono considerati clienti professionali i soggetti autorizzati ad operare nei mercati
finanziari, i governi e gli enti pubblici incaricati a gestire il debito pubblico e le imprese di grandi
dimensioni (imprese che presentano almeno 2 dei 3 requisiti individuati dalla disciplina: tot di
bilancio almeno pari 20 milioni; fatturato netto almeno pari a 40 milioni; fondi propri di almeno 2
milioni). La classe residuale è la classe dei clienti al dettaglio, ovvero i clienti che si presume non
dispongano di conoscenze necessarie per prendere autonomamente decisioni di investimento e
che siano nelle condizioni di valutare autonomamente i rischi relativi.
La Mifid prevede la possibilità per i soggetti di muoversi all’interno di queste classi. Il problema
non si pone in caso di passaggio tra controparte qualificata o cliente professionale, ma si pone
3
nel passaggio dal cliente al dettaglio e cliente professionale. Quando un cliente vuole passare da
cliente al dettaglio a cliente professionale deve dimostrare di possedere una serie di requisiti
oggettivi definiti dalla normativa: devono dimostrare di aver maturato nei due anni precedenti alla
richiesta esperienza nei mercati finanziari.
La classificazione dei clienti, presuppone che l’intermediario rispetti il principio di adeguatezza e il
principio di appropriatezza (forma di tutela dell’investitore). Sull’intermediario corre l’obbligo di
verifica dell’adeguatezza e appropriatezza dei servizi finanziari proposti:
- adeguatezza, esprime la giusta corrispondenza tra prodotto o servizio di investimento e bisogni
espressi dal cliente;
- appropriatezza, è la capacità del cliente di comprendere le caratteristiche del prodotto e i rischi
insiti nell’acquisizione di un prodotto o servizio di investimento.
Per l’intermediario corre l’obbligo, a fronte del principio di tutela dell’investitore, di rispetto del
principio della best execution: l’intermediario nello svolgimento dei servizi di investimento deve
garantire la migliore esecuzione, quindi adottando tutte le misure necessario per ottenere il miglior
risultato possibile per il cliente. E’ l’obbligo posto a carico dell’intermediario di eseguire l’ordine
del cliente nel rispetto della strategia di esecuzione dell’ordine.
Per quanto riguarda i mercati la Mifid 1 ha cercato di incentivare la concorrenza eliminando
l’obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati.
E’ stata prevista la possibilità di gestire mercati alternativi multilaterali e bilaterali, piattaforme
dove è possibile procedere alla negoziazione (MTF è una piattaforma informatica che permette
l’incontro di domande di acquisto e vendita di strumenti finanziari; IS intermediari che, previa
autorizzazione delle autorità di controllo, negoziano in modo organizzato, frequente e sistematico
eseguendo gli ordini dei clienti, ponendosi come controparte della negoziazione)—> favorisce lo
sviluppo della concorrenza dei mercati. E’ stato introdotto un regime armonizzato di trasparenza
pre e post trade sui mercati equity. La trasparenza pre trade è un obbligo a carico degli
intermediari, di comunicare al mercato le condizioni a cui è possibile negoziare i strumenti
finanziari. La trasparenza post trade è l’obbligo di comunicare i prezzi a quali sono avvenute le
negoziazioni su strumenti finanziari.
La Mifid 2, invece, nell’obiettivo di conseguire la massima armonizzazione della disciplina degli
stati membri, ha sviluppato una serie di regole volte a stimolare lo sviluppo di un mercato unico
dei servizi finanziari, il cosiddetto passaporto unico europeo.
Interviene sugli aspetti della Mifid 1 che avevano lasciato ampia discrezionalità agli stati membri e
creato situazioni di debole armonizzazione.
La Mifir tratta dell’informativa al pubblico relativo ai dati della negoziazione, modalità e tempistica
delle segnalazioni delle operazioni alle autorità di vigilanza e le regole inerenti alla negoziazione di
strumenti derivati.
La Mifid interviene su altri aspetti come il funzionamento dei mercati regolamentati, controllo delle
autorità di vigilanza, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività delle imprese di investimento e le
regole di mercato.
Con riferimento alle regole di mercato, la Mifid 2 innova la normativa previgente mediante
l’introduzione di nuove sedi di negoziazione quali:
- gli OTF (organized trading facilities) ci vengono negoziati solo particolari tipi strumenti finanziari
come obbligazioni, prodotti finanziari strutturati , quote di emissione e gli strumenti derivati. Per gli
OTF non sono previste regole non discrezionali per l’accesso al mercato, mentre sono previste di
tipo discrezionale per quanto riguarda l’esecuzione degli ordini. In generale si pongono come
soggetti su cui grava il divieto di operatività in conto proprio, non possono porsi come controparti
nelle negoziazioni.
- il mercato delle piccole e medie imprese (SME) è un mercato dove vengono negoziati l’equity e
consente l’accesso alle imprese piccole e medie per il reperimento di capitale.
La normativa Mifid 2 pone anche un consolidamento dell’informativa post-trade, con norme più
stringenti per tutte le piattaforme di negoziazione e su tutti gli strumenti finanziari. Vincola
l’intermediario all’offerta di prodotti rispondenti in termini di appropriatezza ed adeguatezza.
EVOLUZIONE DEL PRIVATE BANKING
Fino a metà anni ’90 il modello esclusivo di private banking si identificava nel modello tradizionale
di asset allocation. L’attività di private banking nasce e si sviluppa introno ai primi anni 80 in
Svizzera. La svizzera è uno Stato che sempre adottato politiche neutrali sia nei confronti dei paesi
limitrofi europei sia nei confronti di paesi extra europei. Questa politica neutrale gli ha consentito
di poter realizzare una condizione di stabilità economico sociale, rafforzata da una stabilità
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monetaria. Inoltre, a tutto questo si aggiungeva una politica fiscale poco stringente e poco
oneroso nei confronti dei contribuenti. Questo ha consentito di fatto alla popolazione di procedere
ad un accumulo del risparmio che è stato canalizzato nell’attività di investimento nei mercati
finanziari.
Le banche, a fronte di una richiesta della domanda, di investimento di natura finanziaria si sono
organizzate per far si che il personale potesse acquisire tutte le conoscenze sui mercati finanziari
internazionali utili a svolgere un’attività di investimento come richiesto dalla domanda. Hanno
dimostrato nel tempo di poter gestire il proprio passivo in maniera ottimale.
Agli inizi del nuovo secondo si è andato ad affermare il nuovo modello di wealth management,
sviluppato nel regno unito, e si è sviluppato come una forma evoluta del private banking
tradizionale.
Negli anni ’90 ,quando cominciava ad affermarsi di wealth management, si era in presenza di un
mercato finanziario molto vivace, sia a livello europeo che a livello internazionale. Questo ha
portato a una proliferazione e interessamento a questo modello anche negli altri paesi europei,
tipicamente in Francia e Italia. Siamo in un periodo di globalizzazione dei mercati di che ha
favorito l’affermazione di un modello di wealth management, perché le banche hanno subito un
forte processo di disintermediazione del passivo e pertanto hanno cercato quelle forme
alternative di investimento che potesse rispecchiare le esigenze della clientela.
Il private banking risulta essere uno dei comparti più alettanti del settore finanziario, grazie alla
sua capacità di generare alti margini di profitto. Questo per l’assenza totale di rischi creditizi e per
il basso impiego di capitale. Inoltre, in modo parallelo all’esigenza delle banche di dover
diversificare l’attività per ricercare nuove fonti di profitti, si è aggiunta la crescita delle conoscenze
finanziarie della clientela che ha determinato una maggior cultura finanziaria della stessa. Un
cliente informato è un cliente più mobile, che condiziona in maniera aggressiva l’offerta degli
intermediari. Si innesca un circuito concorrenziale che ha spinto le banche a sviluppare sempre di
più il private banking.
Quali sono le specificità del modello del wealth management?
Innanzitutto, il modello è legato al focus, ovvero il wealth management non si focalizza sul
prodotto bensì sulla relazione. E’ importante soddisfare i bisogni di natura complessa del cliente.
Diventa rilevante la figura del relationship manager, è la figura che si interfaccia con il cliente. E’
un soggetto che deve avere delle qualità professionali tali da poter proporre al cliente la gestione
del risparmio in un ottica pro attiva, senza dover provocare l’interesse del cliente verso
investimenti diversificati. E’ il cliente stesso che richiede il prodotto nuova se ben presentato dal
relationship manager.
L’altra specificità del modello è l’attenzione al patrimonio globale del cliente, nel wealth
management l’attenzione si sposta dagli asset di natura finanziaria agli asset di natura non
finanziaria. Questa maggiore attenzione alla gestione globale del patrimonio richiede la presenza
di un team di operatori, ognuno dei quali ha delle specifiche competenze diversificate. Il
relationship manager si interfaccia con il cliente, ma opera con il team che definisce le strategie
del portafoglio complessivo. La qualità professionale è il fattore critico di successo. La scelta dei
soggetti che definiscono il portafoglio di investimento è una scelta molto attenta della banca,
perché è dalle capacità di questi soggetti che dipenderanno i profitti della banca e il contributo di
questa area alla ricerca della massimizzazione del profitto d’impresa.
Come si sviluppa la catena del wealth management? Strategy —> Delivery —> Adjustment.
Ognuno di questi step e suddiviso in fasi. In questa catena si esprime la qualità professionale.
Gli step sono:
1. Strategia: la strategia è a sua volta sub articolata in fasi:
- La prima mossa del private banker è la raccolta e il consolidamento delle informazioni
disponibili del cliente: si va a costruire un data base informativo sulla conoscenza dei strumenti
finanziari del clienti per comprendere quali sono le sue aspettative di rischio.
Quali sono le fonti informative? La raccolta e il consolidamento delle informazioni avviene
mediante la predisposizione di un customer database con un grado di dettaglio delle informazioni
molto elevato. In funzione del segmento di clientela da seguire il data base viene alimentato da
dettaglio informativo sempre più elevato. Sono informazioni dettagliate e necessarie per una
profilatura del cliente dinamica.
Nell’area retail i dati richiesti sono solo dati patrimoniali (patrimonio, prodotti, numero operazioni)
e dati anagrafici.
Nell’area affluent i dati richiesti cominciano ad essere più dettagliati con una nuova classe di
informazioni, ovvero i bisogni di investimento, finanziamento e il tempo libero del cliente. Nei dati
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patrimoniali si aggiunge l’esigenza di conoscere il reddito stimato e carte di credito/debito. Nei
dati anagrafici assume importanza anche la professione e la scolarità del cliente.
Nell’upper affluent si amplia la classe dei bisogni, si presta attenzione non solo ai bisogni del
cliente ma anche dei suoi famigliari. Anche nei dati anagrafici si estende la conoscenza sullo stile
di vita, eventi famigliari e gli interessi personali -> esprimono le sofisticazioni finanziarie del
cliente. Nei dati patrimoniali si cerca di conoscere eventuali polizze assicurative (prodotti non solo
in house) e asset non finanziari. Si analizza la competenza finanziaria e quindi la conoscenza dei
strumenti finanziari e dei rischi connessi.
Nell’area wealth management le classi sono altamente dettagliate. Nei bisogni assume altissima
importanza i familiari e il TRUST. E’ necessario che il private banking abbia le capacità quasi
dell’insider trading, ovvero il cliente fornisce proprie informazioni privilegiate tali da predisporre
un’offerta in linea con le aspettative e le esigenza del cliente - consente di possedere una
posizione privilegiata sul mercato. Il reato si configura se queste informazioni vanno a ledere la
concorrenza, quindi a scapito di altri soggetti.
Nei dati patrimoniali vengono ricercati dati per quanto riguarda asset immobiliari, asset off shore e
corporate finance. I dati anagrafici rimangono inalterati rispetto all’upper affluent.
- Analisi eventi futuri che impattano sul patrimonio: è una fase ad alto contenuto di valore
aggiunto, esprime il massimo grado di professionalità del private banker: essere in grado di
predisporre il trend di eventi futuri e selezione quali potrebbero impattare negativamente sul
patrimonio. E’ altamente strategica la predisposizione di modelli predittivi: attività forward looking.
- Definire delle strategie globali di portafoglio vengono eseguite sulla base di modelli what
if, ovvero avvalendosi di obiettivi intermedi (strategie settoriali) che contribuiscono alla
realizzazione della strategia globale.
- Definizione delle strategie settoriali (es finanza, arte, immobili)
2. Delivery: sviluppo della strategia, necessità di attuare la strategia definita nello step
precedente.
- erogazione consulenza specialista ad elevato contenuto strategico e a valore aggiunto, in
cui si va a instaurare il rapporto face to face permettendo di conoscere e concordare la strategia
di portafoglio.
- costruzione del portafoglio di investimenti
- acquisto prodotti Best execution: l’acquisto dei prodotti deve avvenire, come stabilito
dalla mifid, nel miglior modo possibile (principio best execution) perseguendo obiettivo di costo e
analisi delle diverse piazze di negoziazione. —> allocazione dei fondi come definito nelle strategie.
(Contenuto strategico praticamente nullo)
3. Adjustment:
- monitoraggio per verificare il raggiungimento degli obiettivi di investimento (rendimento).
Ci si pone la domanda se i rendimenti sono in linea con la strategia definita.
- se i rendimenti non sono in linea con la strategia, si procede con una revisione delle
scelte attraverso nuovamente il passaggio allo step strategia.
Processo di investimento del portafoglio: si articola in fasi, rispecchia la catena del valore.
1. Identificazione del patrimonio del cliente: comprendere la composizione del portafoglio di
investimento del cliente, ovvero il punto di partenza. Si chiede al cliente le ultime operazioni
realizzate e solo così sarà in grado di capire il grado di conoscenza del mercato e la sua
propensione al rischio. Si cerca di capire le attività che possiede: attività retail, attività finanziarie,
liquidità e posizioni debitorie in corso. Se le attività finanziarie sono prevalentemente titoli di stato
si può comprendere che il cliente ha una bassa propensione al rischio e punta a un flusso
finanziario continuo. Se abbiamo obbligazioni societarie si comprende che il cliente punto ad
avere altro rendimento, ma senza correre troppi rischi. Se detiene tanti titoli azionari, avremo un
cliente cosiddetto cassettista. La domanda da porsi in questa fase è che tipo di cliente abbiamo
avanti.
2. Definizione dei parametri di investimento: una volta capito la tipologia di cliente, si cerca di
capire lo stile di investimento. Si cerca di capire quanto il cliente è disposto a rischiare, definendo
le soglie di rischio: risk appetite (propensione al rischio, con riguardo al portafoglio complessivo
nel lungo termine) e risk tollerance (riflette la variazione accettabile rispetto a misure di
performance prefissate). Rileva anche l’orizzonte temporale: si cerca di comprendere i bisogni
temporali del cliente ed eventuali necessità di smobilizzo del patrimonio nel tempo. E’ necessario
una pianificazione legale e fiscale.
3. Definizione della strategia di investimento: a seguito del face to face con il cliente che
permette l’identificazione del trade off di investimento, la minimizzazione della tassazione e la
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definizione di un asset allocation. Quindi si persegue il benchmark nel time Horizon predefinito.
4. Attuazione della strategia di investimento: allocazione del fondo in ottica di best execution
5. Monitoraggio del piano di investimento: revisione degli obiettivi, aggiustamenti tattici e
reporting.
Private banking tradizionale (asset management) e wealth management a confronto:
Il primo elemento di differenziazione è la value proposition ovvero la mission: nel asset
management si gestisce solo asset di natura finanziaria: nel wealth management la mission è
incentrata sull’advisory.
Il secondo elemento è la clientela target: la clientela target dell’asset management è la clientela
della fascia bassa della piramide della ricchezza; la clientela target wealth management m è la
clientela dell’alta fascia della clientela con alta necessità di consulenza.
Il business model nel asset management è in house, mentre nel wealth management ha carattere
ad elevata consulenza e quindi off house.
Il relationship manager nel private gestiva semplicemente le relazioni con la clientela e vi si
interfacciava; nel wealth management il relationship si pone come problem solver, capace di
risolvere i problemi finanziari legati al portafoglio di investimento del cliente e la capace di porsi in
maniera pro attiva.
L’offerta nel private banking tradizionale è di tipo standardizzato, con scarsa capacità di visone a
360 gradi delle problematiche di gestione del portafoglio; nel wealth management l’offerta è
altamente personalizzate sulle esigenza.
Leva competitiva nell’asset management è il prezzo —> price competition.
Politiche di pricing nel wealth management non influiscono nella scelta dei prodotti poiché sono
ad alto valore aggiunto, la leva competitiva non è il prezzo ma la qualità professionale.
Nell’asset management la politica di pricing si sviluppa attraverso commissioni e provvigioni su
prodotti specifici, mentre nel wealth management abbiamo un “ricavo accessorio” realizzato dalla
banca in funzione della qualità dell’offerta al cliente, in funzione della capacità del team.
PROFILI ORGANIZZATIVI DELL’ATTIVITA’
I modelli organizzativi sono essenzialmente tre:
1. Costituzione di un’unità di private: può prevedere un modello integrato di tipo tradizionale o
di tipo evoluto.
Nel modello tradizionale abbiamo un capo retail sotto il controllo della direzione commerciale. Il
capo retail realizza l’offerta globale da inserire nell’attività del retail banking. Lo sportello è il punto
di incontro tra banca e cliente, indipendente dal prodotto. Il modello integrato è utilizzato da
banche di piccole dimensioni poiché non ha necessità di un rapporto specifico (face to face)
specializzato tra cliente e private banker.
I punti di forza del modello sono la possibilità della banca e della filiale di sfruttare sinergie che
possono derivare da un offerta congiunta (sinergie ad esempio nella componente dei costi). Il
punto di debolezza è il fatto che le filiali devono condividere le reti informatiche e quindi vengono
a mancare aspetti del trustee, rappresentati da discrezione e fiducia.
Il modello integrato evoluto utilizza un canale indipendente. Il prodotto viene definito comunque
dal capo retail, che dipende dalla direzione commerciale. Il capo retail riesce a differenziale
l’offerta per il canale mass market/affluent e il canale degli HNWI. Abbiamo un offerta di tipo
standardizzato nelle fliali per i mass market ed affluent, mentre abbiamo un vero e proprio private
bunker nelle filiali per gli HNWI.
Si tratta di banche sempre piccole ma con strutture organizzative più avanzate che ispirano
l’elemento fiduciario.
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Rientrano nella componente satellite anche i prodotti innovativi (come i covered warrant e i titoli
strutturati) e gli asset azionari, utilizzati dal private banker per realizzare l’extra rendimento.
La componente satellite svolge la funzione di diversificazione e massimizzazione delle
performance complessive di portafoglio.
Nel wealth management rientrano tutte quelle attività di investimento di natura non finanziaria,
ovvero le attività di advisory —> investment banking.
Tra i prodotti e servizi di natura non finanziaria abbiamo:
1. Consulenza legale e fiscale: svolta dal personale che ha le competenze e la professionalità del
team.
2. Art advisory
3. Consulenza successione ereditaria
4. Ricambio generazionale
Sono attività svolte dalla banca a supporto delle attività finanziarie.
Analizziamo la parte gli investimenti alternativi, poiché i prodotti tradizionali gli conosciamo di già.
Hedge funds: ad oggi non esiste una definizione di hedge funds accettata da tutti. Gli hedge
funds si fanno assimilare ai fondi speculativi, ma l’aspetto speculativo è contenuta. Sono dei
veicoli di investimento che utilizzando diverse strategie di investimento mirano al
conseguimento di una performance assoluta, ovvero non condizionata dall’andamento dei
mercati finanziari.
I risultati degli hedge funds sono parzialmente decorrellati dall’evoluzione dei mercati
regolamentati tipici. La prassi operativa nel tempo ha dimostrato che la rischiosità degli hedge
funds risulta più contenuta rispetto ai tradizionali investimenti azionari: questo perché la
volatilità dei rendimenti va a stabilizzare le performance complessive realizzate dal fondo.
La caratteristiche prevalente che consente di realizzare performance elevate di portafoglio è
rappresentata dall’elevata flessibilità consentita ai gestori. La flessibilità deriva da alcuni fattori:
1. Assenza di una specifica regolamentazione, ma di fatto un sistema di
autoregolamentazione. Questo perché i gestori del fondo devono rendere noto al pubblico
degli investitori le strategie del fondo, le tipologie di investimento effettuate dal fondo stesso e il
benchmark perseguito. Questa rappresenta di fatto una prima forma di controllo del rischio:
poiché il cliente ha piena consapevolezza della strategie del fondo e del rendimento perseguito
e del relativo rischio.
Il gestore ha l’obbligo di far pervenire nel fondo la quota più rilevante che costituisce la garanzia
per gli investitori della contenuta speculazione dell’attività di investimento posta in essere.
2. Vendita allo scoperto: la vendita allo scoperto prevede la vendita di attività di cui il gestore
del fondo hedge non è in possesso. Alla scadenza dell’operazione il gestore del hedge funds
dovrà provvedere alla consegna dei titoli e quindi al recupero dei titoli sul mercato, realizzando
un rendimento come differenza tra acquisto e vendita.
3. Inasprimento della leva finanziario: gli hedge funds possono accedere all’acquisizione di
posizioni sul mercato mediante un processo di indebitamento. Significa quindi che possono
acquisire posizioni per un importo superiori ai fondi posseduti. Il vincolo è che alla chiusura
dell’operazione si deve realizzare un rendimento che consenta di rimborsare il finanziamento e
realizzare una performance adeguata di portafoglio. Una leva finanziaria spinta da la possibilità
ai gestori del fondo di acquisire posizioni sul mercato indipendentemente dalla situazione
patrimoniale del fondo stesso.
4. Modalità di pricing: si tratta delle modalità di corresponsione del prezzo da parte degli
investitori. Il gestore degli hedge funds percepisce due tipi di commissioni: 1) management fee:
si tratta di una commissione percepita per la gestione del fondo stesso, remunera il gestore per
l’attività di gestione. Di norma è tra l’1 e il 2 % del valore dei fondi gestiti e deve essere
pubblicizzata nel foglio informativo; 2) performance fee: viene calcolata sulle plusvalenze
realizzate dal fondo ed è circa il 20% degli utili conseguiti; è prevista una forma di tutela per il
cliente, infatti nel foglio informativo ci sono clausole contrattuali nelle quali il gestore può
percepire la performance fee solo se ha permesso al cliente di raggiungere il rendimento fissato
nel contratto.
5. Performance: il successo degli hedge funds dipende dalla qualità dei risultati conseguiti in
termini di performance assolta media annua e, inoltre, il successo degli hedge funds è legato
alla presenza di una bassa variabilità/volatilità dei rendimenti. Questo perché gli hedge funds
presentano rendimenti decorrellati ai rendimenti di mercato. La volatilità ridotta dei rendimenti di
un portafoglio è legata al criterio di gestione, ovvero al criterio e la strategia secondo cui il
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gestore investe. Il gestore sta sempre molto attenta per quanto riguarda la gestione dei rischi.
6. Rischi: si è dimostrato che l’inserimento degli hedge funds nel portafoglio di un cliente
influisce positivamente sul raggiungimento di condizioni di efficienza complessiva del
portafoglio. Questo perché la combinazione rischio rendimento degli hedge funds si va a
posizionare sulla parte alte della soglia di efficienza della curva di Markowitz (curva che esprime
il grado di efficienza di un portafoglio). Si è notato che se nel portafoglio si inseriscono
strumenti alternativi come hedge funds, la combinazione rischio rendimento si colloca al di
sopra della soglia di efficienza. Questo spiega perché anche gli investitori avversi al rischio
gradiscono l’inserimento di questi strumenti nella gestione complessiva del portafoglio.
Pertanto sugli hedge funds gravano solo rischi operativi, non rischi di mercato e non rischi di
credito. I rischi sono legati alla manifestazione di rischi operativi, ovvero rischi legati alle
inefficienza di tipo procedurale o amministrativo. A volte, possono anche discendere dalla
mancanza di un format contrattuale per l’attività di hedge funds: non esiste una formulazione
univoca dei contratti.
7. Strategie di investimento: secondo quali logiche i fondi vengono investiti da parte del
gestore. Le strategie di investimento possono essere di tipo direzionale o di tipo non
direzionale: 1) le strategie di investimento di tipo direzionale sono tali da evidenziare le capacità
del gestore del fondo di anticipare e sfruttare il trend del mercato non regolamentare, sono
strategie molto complesse che richiedono approcci di modelli statistici (short-selling o long-
equity-selling); 2) le strategie di investimento di tipo non direzionale tendono a sfruttare le
inefficiente delle attività finanziarie tramite operazioni di arbitraggio evitando i rischi di mercato.
Gli Hedge Funds sono tipici dei mercati statunitensi, ma sono presenti anche in Italia, ne
costituiscono un esempio i fondi Pegaso. Mente gli hedge funds sono forme di investimento
antiche negli altri paesi, in Italia sono forme di investimento considerati alternativi ed innovativi,
questo perché per questi fondi non esiste una specifica disciplina regolamentare.
In Italia i primi hedge funds risalgono al 2001, mentre negli stati uniti i primi hedge funds sono
degli anni ’70, perché sono nel ’99 il ministro del tesoro disciplina l’attività del fondo con
particolare riferimento al contenimento del rischio. Questa normativa è stata presa in
considerazione a livello europeo, la regolamentazione europea si è sviluppata tenendo come
base la disciplina definita dal ministero del tesoro nel 1999.
Successivamente abbiamo avuto due discipline che anno innovato la disciplina previgente:
decreto legge n 185 del 2008 e il decreto ministeriale 30/2015.
Com’è disciplinata l’attività degli hedge funds in Italia?
Relativamente alle condizioni di accesso, secondo la normativa italiano, possono accedere al
mercato degli investimenti alternativi soltanto le SGR speculative, andandosi a distinguere dagli
altri fondi comuni che non sono speculative. L’attività di hedge funds deve essere svolta da
società di gestione del risparmio alternativo con patrimonio autonomo. Possono partecipare
alla costituzione degli hedge funds soltanto coloro che detengono una singola partecipazione di
importo non inferiore a 500.000 euro. In questo modo l’accesso è consentito solo a quei
investitori che detengono un patrimonio finanziario elevato da poter collocare tra HNWI. Il
numero dei soci per poter costituire il fondo non poteva essere superiore a 100, non esisteva un
limite minimo. Nel 2008 è stato abrogato il numero massimo di soci, quindi oggi non abbiamo
ne il limite minimo ne il limite massimo.
Banca d’itali, è molto severa per quanto riguarda il tipo di attività che possono svolgere gli
hedge funds: possono investire fondi puri o in fondi misti. Gli hedge funds puri sono quelli che
investono in un unico segmento di mercato, canalizzano l’attività in specifiche strategie (sia il
segmento di attività che le strategie devono essere specificate nell’informativa al cliente. Negli
hedge funds misti invece è un modello che investe parte del risparmio in hedge e parte del
risparmio in asset allocation di tipo tradizionale. Quello che rileva nella disciplina nazionale, nel
prospetto informativo deve essere ben chiaro il tipo di fondo proposto all’investitori, le strategie
adottate e il benchmark.
Per quanto riguarda i rischi e la leva finanziaria, possiamo osservare che:
- per quando riguarda i rischi non esiste una regolamentazione puntuale nella materia, esiste
una spinta da parte delle autorità ad una attenta autoregolamentazione interna dettata dalle
condizioni di operatività del fondo, evidenziate nel prospetto informativo.
- anche la leva finanziaria, nei paesi comunitari non viene regolamentate, pertanto
l’inasprimento può essere molto forte. In Italia, il decreto ministeriale 30/2015 l’art 18 dispone
un limite alla leva finanziaria: la leva finanziaria non può superare 1,5, quindi il rapporto di
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indebitamento non può superare tale soglia. Infatti , anche se si parla di fondi speculativi,
l’aspetto speculativo è molto contenuto.
Private Equity: con il termine private equity si intende l’apporto di capitale di rischio da parte
di operatori specializzati in imprese prevalentemente non quotate, al fine di realizzare guadagni
in conto di capitale, capital gain, nel medio lungo termine, attraverso la creazione di valore
nelle imprese stesse.
Il primo elemento distintivo è l’apporto di capitale di rischio da parte di operatori specializzata:
l’apporto di capitale di rischio è una condizione essenziale. Le imprese hanno sviluppato una
dipendenza dal canale bancario, un pò perché il mercato non era abbastanza sviluppato e un
pò perché il capitale di debito era preferito al capitale di rischio. Questo ha comportato che il
capitale di debito non è stato utile all’impresa per finanziare una crescita sostenuta, non è
idoneo a finanziare le operazioni tipiche della finanza straordinaria (ristrutturazione di impresa,
ricambio generazionale..). Gli obiettivi di finanza straordinaria richiedono tempi parecchio
lunghi per remunerare i capitali investiti. Il private equity viene definito infatti come un capitale
paziente, ovvero può aspettare che il rendimento venga generato nel tempo: i guadagni sono
realizzabili in tempi piuttosto lunghi.
Si fa riferimento a imprese prevalentemente non quotate, non esclusivamente. Si deve trattare
di imprese ad elevato potenziale di sviluppo. Le imprese destinatarie destinatarie del private
equity devono essere prevalentemente non quotate perché il private equity accompagna
l’impresa alla quotazione. Grazie potenziale di sviluppo, l’accompagnamento dell’impresa alla
quotazione rappresenta il successo naturale dell’operazione.
Altro aspetto che rappresenta un obiettivo dell’investitore è la realizzazione di guadagni in
conto capitale, capital gain: la motivazione che spinge il gestore di private equity a procedere
nell’investimento del capitale di rischio delle imprese è proprio di guadagnare tra prezzo in
uscita, valore di disinvestimento e il prezzo in entrata, valore investimento, cercando di ridurre il
tempo di questo gap. Il rivale equity non punta a un guadagno periodico, ma un guadagno
unico derivante dalla dismissione dell’equity —> elemento essenziale.
L’ottica è di medio lungo termine, ma comunque temporanea. L’operatore di private equity non
ha interesse a essere socio per la vita dell’impresa, ma decorso un certo periodo di tempo (5-7
anni) il valore della partecipazione deve essere dismesso.
Assume rilevanza anche la creazione di valore nelle imprese stesse: il private equity deve offrire
un contributo congiunto di riserve e know how, le conoscenze che detiene e che possono
essere utili per la crescita dell’impresa —> strategic vision.
I fondi di private equity tendono a specializzarsi in corrispondenza degli stadi del ciclo di vita
delle imprese:
- venture capital: è il segmento che si specializza nel supporto di sviluppo delle imprese nelle
fase di avvio (1^ fase del ciclo di vita delle imprese). L’avvio viene suddiviso a sua volta in fasi:
1) suede capital: fase in cui viene finanziata l’impresa
2) start - up: viene avviato l’impresa
3) early business: la fase in cui l’impresa inizia il ciclo produttivo
- expansion capital: è il segmento che si specializza nella fase di sviluppo, suddiviso i sotto
fasi:
1) first stage
2) second stage
3) third stage
Si evidenziano in queste fasi i diversi stadi di sviluppo.
- buy out capital: è il segmento del cambiamento e sono le fasi che caratterizzano la fase del
passaggio generazionale, acquisition financing.
Abbiamo alcune fasi essenziali di attività del private equity proposta dalla dottrina proposta
secondo stadi sequenziali ed evidenzia i momenti tipici di questa attività.
1. Deal Flow: è il flusso potenziale delle attività di investimento, all’interno del quale il gestore
dovrà identificare quelle imprese che soddisfano l’interesse per l’investimento. Si tratta di una
fase essenzialmente strategica, poiché da qui discende il livello di performance che un fondo
di private equity intende realizzare in un certo periodo di tempo.
2. Approccio Preliminare: è la fase nella quale l’obiettivo del gestore del fondo è di sviluppare
una prima conoscenza delle imprese target relativamente dei prodotti offerti, delle posizioni sul
mercato, capacità di predisporre un offerta competitiva, capacità del management di porre in
essere strategie vincenti, la struttura economica finanziaria ed il business plan, ovvero il
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documento in cui vengono evidenziati il contenuto di un progetto imprenditoriale triennale o
quinquennale, la necessità di finanziamento e le relative coperture, la redditività attesa e i
fattori di rischio (business idea). (Minuto 38-39)
3. Due diligence: è la fase in cui avviene l’analisi, la valutazione dei diversi aspetti dell’attività
d’impresa. Si passa alla cosiddetta firma di una lettera di intenti, il primo documento in cui le
imprese target e il gestore di private equity manifestano la sostanza dei loro accordi, definendo
aspetti legali, economici e societari che saranno rielaborati in dettaglio nel contratto di
investimento. E’ una fase trasversale poiché interessa tutta la fase di negoziazione e si
concretizza nella firma della lettera di intenti e il passaggio alla fase successiva. La diligence
sono le operazioni di analisi dello stato attuale e valutazione delle potenzialità future. Si tratta di
una fase strategica, perché dalla bontà della diligence dipende la bontà dell’investimento,
poiché si limitano tutti quei aspetti che possono generare difficoltà nell’accordo.
4. Deal structuring: la fase di strutturazione dell’accordo. Si tratta della fase in cui si
concretizza il contratto e si realizza il trasferimento delle risorse dal private equity all’impresa.
5. Monitoring/ Reporting: fase di monitoraggio dove il gestore del fondo è obbligato a
monitorare i risultati realizzati dal fondo di private equity. Si tratta di un monitoraggio in itinere
al fine di evidenziare scostamenti dagli obiettivi della massimizzazione dei rendimenti. Questi
scostamenti prevedono interventi necessari per ripristinare la situazione di partenza o
comunque in linea con gli obiettivi. Il reporting è una fase di trasferimento di informazioni
double way: 1) tra gestore e impresa sui rendimenti dell’impresa 2) tra impresa e gestore sui
risultati gestionali. Si tratta di un’attività di disclosure tra gestore e impresa.
6. Way Out: è la fase di disinvestimento, condizione necessaria per poter parlare di private
equity. Non si ha interessa a diventare socio per la vita, ma raggiunto l’obiettivo di creazione di
valore si procedura alla dismissione delle quote. La dismissione avviene normalmente
attraverso la quotazione in borsa. Tuttavia, si può prevedere diverse fase di dismissione in fase
di due diligence. Può essere prevista anche la dismissione delle quote anche prima del
raggiungimento dell’obiettivo, qualora non sia conveniente perché magari non si è valutato in
modo adeguato l’impresa target o non ha realizzato gli obiettivi prefissati. Quindi se
l’investimento non è in linea con gli obiettivi di performance preposti si esce prima per evitare
di aggravare le perdite, ma è possibile solo se previsto nella fase di due diligence.
Le possibilità di uscita sono:
- procedura IPO: si ha un uscita dal fondo mediante la quotazione delle quote partecipative in
borsa. In questo caso il private equity è un passo verso la quotazione
- trade sale: l’operatore vende le quote a una società industriale, può darsi che alla
conclusione dell’arco temporale si presenti un impresa che abbia interessa al business
dell’impresa che ha richiesto il private equity.
- cessione delle quote ad altri istituzioni istituzionali: si rimanda a un momento successivo la
quotazione dell’impresa, in attesa che il mercato abbia un andamento migliore o l’impresa
raggiunga il momento di successo desiderato.
E’ necessario considerare anche l’ipotesi che l’operazione di private equity non vada a buon
fine, allora si fa un vero e proprio disinvestimento attraverso una svalutazione integrale della
partecipazione (write off).
La dismissione deve avvenire a seguito di un periodo di 5/7 anni, ma ci sono dei segmenti del
private equity (come il venture capital) che può richiede l’ampliamento della durata della
partecipazione e quindi che la dismissione avvenga dopo 10 anni. E’ previsto per il gestore un
periodo di grazia, in base al quale è possibile allungare la temporalità della dismissione.
Garantisce una certa elasticità nel trovare il momento giusto per la dismissione per avere un
rendimento più adeguato agli obiettivi del fondo, ma non può essere superiore a 3 anni.
L’altra caratteristica del private equity attiene ai soggetti che vi intervengono: il private eqyuity
viene realizzato attraverso trasferimento di risorse nell’impresa target. I soggetti sono:
- Il gestore del fondo private equity (SGR, OICR, banche, società finanziarie specializzate e
imprese corporate)
- investitori
- impresa target
Possiamo avere, a seconda del gestore del fondo:
- un investimento diretto in fondi PE: l’investitore investe nel capitale di rischio dell’impresa
target, apporta non solo risorse, ma anche il know (conoscenze e competenze). Non si tratta di
un puro trasferimento di risorse, ma un supporto integrale allo sviluppo dell’impresa target.
Abbiamo due modelli: Investment Company o Limited partnership.
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Nell’Investment company abbiamo una SGR che ha una propria operatività che investe in
diversi fondi. Può decidere di intervenire nel private equity creando diversi fondi per diverse
società. Vi è una separatezza però tra l’attività tradizione di una sgr e l’attività di private equity.
I fondi sono costituiti per le diverse imprese per sopportarne lo sviluppo: si finanzia non una
fase del ciclo di vita, ma l’attività complessiva dell’impresa. Gli investitori decideranno in quali
società far pervenire le loro risorse a seconda delle loro esigenze. Una volta percepite le
risorse, la SGR gestire i fondi con l’ottica di supportare lo sviluppo delle imprese target. Il
gestore, a fronte della gestione, percepisce una commissione annuale chiamata management
fee (non superiore al 3% del valore del fondo private equity gestito).
In aggiunta alla commissione, il gestore percepisce una performance fee, normalmente non
superiore al 20 % della plusvalenza realizzata dal fondo. Viene percepita in fase di way out e
solo una volta soddisfatti integralmente tutti gli investitori del fondo.
Abbiamo poi il modello della Limited Partnership: in questo modello esistono due tipi di soci,
accomandanti e accomandatari. I soci accomandanti sono i gestori (General partner) e hanno
la responsabilità illimitata della buon fine dell’operazione, mentre i soci accomandatari sono gli
investitori e sono responsabili per la quota di fondi versati. I soci accomandanti devono
occuparsi delle fasi e hanno un obbligo di sottoscrivere una quota dell’equity, anche se
limitata. Sono i soci accomandatari/sottoscrittori apportano la parte prevalente, circa il 97%.
I fondi vengono fatti pervenire alla società partecipata (impresa target), a fronte della quale
emette strumenti finanziari partecipativi. Il gestore non solo fa pervenire le risorse ma anche
competenza e conoscenze.
I gestori percepiranno una management fee e una performance fee, calcolata sulle plusvalenze
realizzate. L’80% delle plusvalenza è destinata ai soci sottoscrittori per soddisfare
l’investimento, la parte rimanente del 20% va al gestore.
- investimento indiretto in fondi PE: si presenta come un fondo dei fondi. Il gestore apporta
risorse ma non il know how. Abbiamo una società di gestione che intende costituire un fondo
di private equity e a questo proposito intraprende un’attività di fundraising sul mercato,
trovando l’interesse di una pluralità di soggetti, in particolare investitori istituzionali come fondi
pensioni, assicurazioni, banche, ma anche privati e imprese. Come opera il fondo dei fondi?
Declina parte delle risorse a segmenti del private equity. Si parla di investimento indiretto
perché la destinazione dei fondi non avviene a sostegno dello sviluppo di una sola impresa
target, ma l’investimento viene finalizzato al sostegno di uno dei segmenti del private equity.
Nella strategia del fondo dei fondi rientra proprio la decisione di scegliere quale dei segmenti di
private equity sostenere mediante trasferimento di risorse a quelle imprese che operano in quel
determinato segmento. L’interesse della SGR potrebbe essere quello di investire nel segmento
venture e pertanto andare a sostenere tutte le imprese del segmento considerato. I vari
segmenti sono, appunto, venture, expansion o buy out.
Pertanto: Il gestore della SGR deve selezionare la tipologia di segmento di private equity nei
quali investire. Il gestore della SGR può anche adottare una politica di diversificazione del
portafoglio destinando ad imprese pur sempre nell’ambito di uno dei mercati prescelti e quindi
consentire una riduzione del rischio specifico sopportato. Per ciascun segmento prescelto non
è possibile comunque sottoscrivere quote oltre un “X%” del patrimonio complessivo del fondo
equity (contenimento del rischio del rischio del portafoglio di investimento). Quindi il fondo dei
fondi deve destinare solo una quota dell’ammontare del fondo nel segmento del fondo private
equity, destinando il resto a strumenti tradizionali (asset management). Questo perché
l’investimento in attività, anche se con ridotto rendimento, ma con rischio contenuto, sono
garanti del seguimento di un minimo rendimento per l’investitore.
Possiamo dire che diverse modalità di investimento delle risorse raccolte, con diversa
destinazione dei fondi e diverso orientamento dei fondi.
In base alla destinazione dei fondi da parte dell’operatore di private equity possiamo
distinguere tra fondi generalisti o fondi specialisti. I fondi generalisti di private equity sono
fondi che destinano le risorse a un impresa target, finanziata nei suoi diversi stadi del ciclo di
vita, quindi dalla fase di venture alla fase buy out. Il fondo rimane legato alle sorti dell’impresa
finché questa non raggiunge il ciclo di maturità.
I fondi specialisti sono fondi che si specializzano su 1 dei tre segmenti di private equity,
indipendentemente dall’impresa target che diventa destinataria dei fondi stessi. La
specializzazione a sua volta può specializzarsi nei sotto segmenti che caratterizzano, ad
esempio, il venture capital: seed capital, start up financing oppure la fase di early business.
Concludendo, la differenza tra fondi generalisti e specialisti, è dato dal fatto che il fondo
generalista investe in un impresa target indipendente dal segmento di private equity, mentre il
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fondo specialista investe in un particolare sotto segmento del private equity.
Ci sono anche altre forme di specializzazione di private equity con profili differenziati: ad
esempio per Industry specific (profilo di specializzazione tipico del venture capital, caso
energia alternativa o ingegneria genetica), oppure per mercati geografici.
Come viene valutata la performance di un fondo private equity? L’indicatore della performance
conseguita dal fondo è l’IRR (internal rate or return) che esprime il rendimento percentuale
medio annuo dell’investimento. Come si calcola?
E’ la risultante della sommatoria percentuale del valore attuale dei prezzi in uscita (valore del
disinvestimento), dei prezzi in entrata e del portafoglio investito e non ancora smobilizzato. Nel
calcolo del valore attuale del portafoglio ancora non smobilizzato non si tiene conto delle
commissioni, in quanto la commissione viene corrisposta soltanto nel momento in cui si
realizza il disinvestimento delle quote.
L’IRR misura la performance del gestore di private equity poiché misura la capacità del gestore
di saper procedere al disinvestimento delle quote del fondo, disinvestimento che deve avvenire
nel miglior momento ovvero per perseguire il livello più alto di performance. Si pone come
indicatore di efficienza operativa, poiché il gestore può realizzare o meno l’obiettivo di massimo
rendimento agendo sia sul rendimento atteso dell’investimento sia sulla componente dei costi
operativi (costo personale, information tecnology, canale distributivo prescelto). Il risultato
esprime il rendimento degli investimenti realizzati. Il rendimento netto per il sottoscrittore viene
calcolato come sommatoria del valore attuale dei prezzi in uscita, del valore attuale dei prezzi
in entrata e dei costi gravanti sulle operazioni di investimento, che attengono tipicamente agli
aspetti procedurali. Da questa valutazione emerge la capacità del gestore di saper realizzare
rendimenti in linea con gli obiettivi di benchmark individuati nel prospetto
Real Estate: Il real estate è l’allocazione di parte della ricchezza in investimenti immobiliari.
Attualmente l’attività di private banking è fortemente orientata al real estate nonostante la
recessione economica recente. Il real estate è quel segmento del private banking che si
concentra nell’investimento in beni immobili.
La finalità a cui risponde l’investimento in immobili? E’ necessario precisare che nell’ambito
dell’asset allocation, l’acquisizione di beni immobiliare risponde a una serie di bisogni:
- bisogni di un’edilizia abitativa;
- bisogni di tutela familiare;
- bisogni di contenere le turbolenze dei mercati finanziari, poiché presenta un rendimento
decorrellato a quello dei mercati regolamentari (valutari e mobiliari).
- necessità di realizzare un rendimento.
La proprietà immobiliare da sempre appare come un investimento che riconosce all’investitore:
garanzia, tutela, sicurezza […]
Il secondo aspetto da valutare, è legato all’analisi del mercato dell’asset allocati immobiliare.
Quali sono le caratteristiche dell’asset allocation immobiliare?
Tra le caratteristiche rileva la diversità presente nell’asset class immobiliare: i beni immobili
non hanno tutti le stesse caratteristiche, non rispondono tutti ai medesimi bisogni espressi e
pertanto consentono rendimenti differenziati. Queste caratteristiche sono diverse in funzione
della destinazione d’uso dell’immobile e dell’ubicazione del bene immobili —> la combinazione
di queste due variabili permette che nello stesso momento, un andamento diversificato
nell’ambito delle diverse classi di immobili, abbia di fatto una diversificazione delle
performance.
Le classi immobili destinate ad uso residenziale oppure destinate ad uso ufficio, la diversa
ubicazione e la diversa destinazione d’uso attribuiscono ad ogni immobile un carattere diverso.
Nello stesso momento, le diverse classi possono presentare un trend diversificato. Il mercato
immobiliare, così come il mercato finanziario, presente strumenti diversi, proprio perché sono
diverse le caratteristiche intrinseche degli immobili. Ogni immobili risulta differente è differente
dagli altri.
Investimenti in real estate presentano andamenti non omogenei per tempo e per spazio,
presenta, inoltre, andamenti decorrellati agli andamenti del mercato regolamentato. Pertanto,
presenta andamenti non omogenei sia con riferimento all’aspetto temporale, sia con
riferimento alla diversa categoria di immobile.
L’altra caratteristica del real estate è rappresentata dalla minore disponibilità quali-quantitativa
di informazioni che ne riduce la comparabilità dei beni. Infatti, le caratteristiche fisiche ed
oggettive di qualsiasi asset immobiliare rende l’immobile un asset unico ed irripetibile. Questo
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perché le informazioni disponibili sul mercato immobiliare non sono le stesse di quelle
disponibili sui mercati finanziari. Questa differenza attiene proprio agli aspetti quali quantitativi
dell’asset immobiliare. Non è possibile a fronte di una ridotta disponibilità di informazioni sulle
caratteristiche degli immobili negoziati, poter comparare i beni stessi. Possiamo concludere
che, l’impossibilità di comparare gli investimenti in immobili fa sì che questi beni siano
considerati beni unici, ossia con un valore intrinseco esclusivo differente da quello di altri asset
immobiliari presenti sul mercato.
La situazione attuale del mercato real estate italiano può essere analizzata attraverso la ricerca
condotta da Deloitte nel 2019. Gli investimenti nel mercato del real estate sono stati di 8,2
bilioni di euro. Chiaramente questi investimenti sono stati ripartiti tra i diversi asset class
dell’immobiliare. Abbiamo la classe:
- office: sono gli immobiliti destinati ad uso ufficio e sono il 37% degli investimenti totali.
- retail: si tratta di investimenti che hanno ad oggetto l’acquisizione di asset immobiliari da
destinare ad uso commerciale (es. fondi dei centri commerciali) e costituiscono il 17 % degli
investimenti immobiliari complessivi
- industrial: si tratta di investimenti a supporto dell’attività logistica delle imprese e costituisce il
4%.
- hotel: si tratta di investimenti volti all’acquisizione di hotel (10%)
- other: una percentuale consistente viene investita in altro, ovvero una classe residuale che
comprende immobili non rientranti nelle classi precedenti come gli immobili ad uso residenziale
di prestigio. Costituisce il 32 % e una percentuale così elevata è dovuto al duplice bisogno che
soddisfano gli immobili residenziali: abitativa e reddito futuro.
Dal 2017 al 2019, nonostante la fase di recessione, abbiamo avuto incremento degli
investimenti in office e degli hotel del 55%, e un incremento degli Other del 823% dovuta in
particolare alla politica a livello europeo della riclassificazione delle aree urbane.
Per quanto riguarda il retail e l’industrial abbiamo avuto un decremento, rispettivamente del
47% e del 20%.
Art advisory: il gestore private si interfaccia con esperti d’arte per l’attribuzione della
paternità e del valore monetario delle opere d’arte. Integra servizi di consulenza assicurativa e
legale, gestione dei restauri e della valorizzazione delle collezioni di arte. Questa attività di
private banking rientra nel portafoglio satellite quale attività non finanziaria.
Consulenza legale e fiscale: relativamente a tutti gli strumenti finanziari offerti dal gestore.
Il Gestore private si deve continuamente interfacciare con giuristi e fiscalisti per soluzioni di
ottimizzazione delle scelte di investimento.
Relativamente all’evoluzione dello scenario competitivo, possiamo dire che il private banking è un
mercato potenzialmente in sviluppo. La condizione affinché questo mercato possa continuare a
svilupparsi rimane sempre la figura del trustee . E’ importante curare l’elemento fiduciario poiché
è l’unico elemento che rende competitivo il private banking: tante banche hanno investito ingenti
capitali nella figura del trustee, professionalizzandola.
Ci sono dei fenomeni che ne frenano la crescita:
- crescente competizione dell’offerta e imposizione di vincoli regolamentari: oggi abbiamo una
serie di vincoli regolamentari legati per esempio alla normativa specifica (Mifid) e l’attività di
compliance che va a vincolare lo sviluppo del private banking.
- incertezze socio-politiche
- elevata forza contrattuale della clientela: la forza contrattuale della clientela può impattare sulle
politiche remunerative di questa attività di investimento.
- crescente bisogno di personale qualificato: poiché si tratta di un offerta di prodotti ad elevato
valore aggiunto, dato e garantito da personale qualificato.
- crescente fabbisogno di IT: l’information tecnology richiede la presenza nelle banche di operatori
sulle piazze informatiche, poiché diventa una leva competitiva.
Tra i fattori critici di successo rileva la possibilità di soluzioni di presidio competitivo: ricorso a
logiche di open architecture spinte alla diversificazione del portafoglio di investimento.
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Un fattore critico di successo è chiaramente rappresentato dal contenimento del rischio, poiché si
registra sempre più un aumento dei rischi, in particolare del rischio operativo, reputazionale, di
compliance. La presenza di una massiccia presenza di rischi implica la necessità per gli operatori
di private banking di predisporre un aumento del capitale allocate (dotazioni patrimoniali) per
contenere i rischi insiti nelle operazioni di investimento.
L’ultimo fattore critico di successo è il gioco di squadra: rappresenta la formula vincente
nell’offerta di servizi di private banking/wealth management.
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Politiche gestionali della banca (Bruno)
Cos’è un’area strategica di affari (ASA)? E’ quell’area in cui è organizzabile e rappresentabile
l’attività bancaria. Le motivazioni che ci spingono a ragionare per ASA sono legate alla
consapevolezza che la banca si presenta come un’azienda multiprodotto, multibusiness. La
conseguenza è che abbiamo necessità di inviduare gli aspetti peculiare dell’attività bancaria
indirizzandola verso il mercato di sbocca o i segmenti che la stessa banca intende seguire.
L’eterogenietà dei prodotti riflette l’eterogenietà dei clienti di sbocco.
Le banche sono multiprodotto e questo ce lo dice proprio il TUB.
ART 10 “ La raccolta di risparmio tra il pubblico sotto forma di fondi rimborsabili e l’esercizio del
credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa.”
Il TUB riconosce alle banche ogni altra attività finanziare, secondo la disciplina propria di
ciascuna, nonché attività connesse e strumentale.
La banca estende i suoi confini oltre la raccolta tipica a vista, e organizza l’offerta e i propri
obiettivi strategici, in funzione delle caratteristiche della domanda.
L’operatività bancaria si estende dunque a molteplici attività, tra cui le operazioni particolari di
credito, l’assunzione di partecipazioni in imprese non finanziarie, le emissioni di prestiti
obbligazionari e le altre forme di provvista oltre il breve termine.
E’ necessario chiedersi se le ASA contribuiscono positivamente alla redditività complessiva della
banca.
La prima concausa che ci porta a ragionare per ASA quindi è stata proprio la nozione bancaria
multiprodotto e quindi l’affermazione del principio di despecializzazione operativa e temporale: si
tende a un modello di banca universale.
Altra concausa che ci fa ragionare per ASA è la globalizzazione dei mercati finanziari: è un
fenomeno cruciale che ha come principale conseguenza la contendibilità dei mercati stessi,
quindi caratterizzato da forti spinte concorrenziali. Il mercato concorrenziale ci permette
efficienza, ma spinge il sistema verso l’erosione dei margini di profitto. In particolare vengono
colpiti i margini della gestione denaro, questo perché rispetto ai mercati con le barriere alle
entrate, la concorrenza limita la discrezionalità della banca nella definizione del prezzo del credito.
Nei mercati concorrenziali si privilegia l’efficienza degli intermediari e questo comporta la
contrazione della forbice dei tassi. Sull’intermediazione creditizia le banche guadagnano sempre
meno e pertanto cercano di guadagnare svolgendo nuove attività, complementari all’attività
creditizia ma non sostitutivi. —> unico modo per ottenere risultati reddituali soddisfacenti per
realizzare le aspettative di rendimento degli azionisti.
La banca deve valutare il contributo della singola attività al conseguimento dei risultati reddituali
complessivi.
L’ultima concausa è stata la deregulation, non intesa come assenza di regolamentazione, ma
come una diversa regolamentazione dell’attività bancaria. Infatti, abbiamo assistito a un
passaggio da una vigilanza di tipo autorizzativo a una vigilanza di controllo prudenziale con
logiche di rafforzamento patrimoniale. La vigilanza coinvolge tutti i modelli di business delle
singole banche, ogni istituto è chiamato dalle autorità di controllo a scegliere il proprio modello di
business che sarà validato dall’organismo di vigilanza stesso con la procedura SREP.
Tutte le banche predispongo politiche e scelte strategiche in funzione del target di clientela da
seguire proprio perché sono aziende multiprodotto. -> rispecializzazione dell’attività.
Le principali ASA di cui valuteremo le caratteristiche e strategie: 1) retail: clientela al dettaglio e
small business; 2) private: hanno un patrimonio cospicuo oltre 1 milione e si caratterizza per un
rapporto fiduciario; 3) corporate: è l’area in cui vengono prese in considerazione solo operazioni di
finanziamento che supportano lo sviluppo di imprese di grandi dimensioni ; 4) institutional
banking: è un’area che individua il target di una clientela particolare, investitori istituzionali ovvero
OICR, intermediari finanziari, imprese pubbliche di grandi dimensioni.
Gli orientamenti delle autorità a livello internazionale è di esaltare l’intermediazione finanziaria e
quindi che le imprese si allontanino dal canale bancario, pertanto spingono il rafforzamento di
mercati alternativi di capitali. —> possibilità delle imprese di finanziarsi di rivolgersi a titolo di
capitale o debito a mercati alternativi.
Quali sono gli elementi che caratterizzano le varie ASA?
ASA Retail
La clientela retail è la clientela che ha esigenze non sofisticate. E’ un’area che mantiene una
clientela al dettaglio che vincola la banca in un’attività tipica: raccolta a vista.
Abbiamo sia investitori, anche se con risorse di tipo finanziario non superiori a 1 milione di euro,
ed esigenze di finanziamento sempre di importo limitato.
La banca offre alla clientela al dettaglio una serie di servizi come i servizi di pagamento (che
consentono di trasferire un rapporto valutario nello spazio) od operazioni interne. I servizi sono
operazioni accessorie su cui la banca ha discrezionalità nella fissazione del prezzo. Abbiamo
anche servizi di finanziamento, richiesti tipicamente dalle imprese e agganciate al prodotto di
finanziamento. Esistono servizi di investimento del risparmio, individuale o fondi, e servizi di
assicurazione.
CARATTERISTICHE:
- Basso livello di sofisticazione delle esigenze finanziarie della clientela: quest’ASA si rivolge a
un segmento di clientela che non ha esigenze di investimento o finanziamento di prodotti di
natura complessa. Normalmente si tratta di clientela al dettaglio con disponibilità monetaria limita
e con necessità di finanziamento abbastanza alta, richiede alla banca prodotti non sofisticati.
- Relativa semplicità tecnica dei prodotti e dei servizi: La banca pertanto predispone prodotti e
servizi non complessi. Questa ASA presenta relativa semplicità e pertanto prodotti di
intermediazione tradizionale. Cosa distingue i prodotti non complessi dai prodotti complessi?
Un prodotto finanziario è considerato complesso quando presenta determinati elementi:
1. Un rendimento non facilmente determinabile, il rendimento non è certo nella sua
determinazione. Si tratta di prodotti alternativi tra i quali rientrano gli investimenti speculativi e gli
edge funds.
2. Presentano componenti derivative
3. Prodotti strutturati, ovvero strutturati in modo tale da agganciare la performance del prodotto
all’andamento della performance di una variabile come un’azione, un obbligazione o magari un
tasso di interesse.
4. Difficoltà di poter attribuire una valorizzazione certa del prodotto finanziario
5. Mancanza di scambi del prodotto finanziario su mercati regolamentati
Esistono anche prodotti altamente complessi, ovvero che in qualche modo possano pregiudicare
le scelte consapevoli di investimento dell’investitore. Ne sono un esempio gli strumenti finanziari
con leva finanziaria maggiore di 1 o tutti quei strumenti finanziari non negoziati nel trading venus.
Ne fanno parte anche i prodotti derivanti dalla cartolarizzazione dei crediti ( sia tradizionale che
sintetica).
Il prodotto deve appropriato al cliente, il cliente deve comprendere il prodotto e i conoscere i
rischi connessi all’investimento stesso.
Il servizio, invece, è una prestazione accessoria.. non è frutto dell’intermediazione creditizia.
Frutto dell’intermediazione creditizia sono i prodotti funzionali alla raccolta e l’impiego di fondi.
Le operazioni dell’intermediazione creditizia maturano per la banca un diritto di riscossione o
obbligo di pagamento di un tasso di interesse. Il tasso di interesse rappresenta il costo del denaro
per la raccolta del denaro presso il pubblico, ma anche il prezzo del credito.
I servizi maturano per la banca un diritto di riscossione di un prezzo sotto forma di provvigione o
commissione. (Servizi di pagamento, servizi di investimento ecc. )
- Scarsa mobilità della clientela: trattandosi di prodotti non complessi, dell’intermediazione
creditizia tradizionale, la clientela tende a non spostarsi da un intermediario all’altro per la
richiesta di questi prodotti. Questi prodotti sono standardizzati e omogenei, infatti possiamo
trovarli presso tutti gli sportelli bancari. Sono prodotti a scarso contenuto di personalizzazione,
l’offerte non spinge l’utente a cercare una migliore soluzione presso diversi sportelli, ma cerca lo
sportello che gli permette di ridurre i costi di transazione.
- Dimensione locale dei mercati: questa caratteristica va ad alimentare il localismo bancario, in
particolare delle piccole banche che si rivolgono a un area territoriale ristretta. Il cliente della
banca retail richiede un elemento di contatto con confronto diretto con la banca. Da qui deriva il
punto successivo.
- Rete distributiva capillare: deriva dalla necessità soprannominata del cliente di contatto diretto
con la banca. Però questo va contro le autorità europee che richiedono di razionalizzare la
componente dei costi e quindi in particolare riferendosi ai costi operativi che in inglobano i costi
del persone e della rete distributiva, legati alla rete distributiva eccessivamente capillare. La BCE
continua le banche a rivedrei proprio bilancio stimolando la ricerca di un’efficienza operativa.
OSSERVAZIONI: comunque il retail non è un business unitario ed omogeneo. Non si considera
unitario poiché intorno a questa area si muovono sia unità di deficit sia unità in surplus, a
differenza delle altre ASA. Non si parla di business omogeneo perché i soggetti sia in surplus sia
in deficit hanno esigenze tra loro diversificate: i prodotti sono di tipo standardizzati, le esigenze
sono diverse e quindi c’è una presenza di prodotti diversificati.
Sono infatti prodotti diversificati per le esigenza, ma sono standardizzati e non personalizzabili. La
diversificazione attiene alle componenti di servizio che attengono al prodotto e deriva
dal’eterogenietà della clientela. La personalizzazione attiene al rapporto e la qualità del rapporto
stesso tra banca e cliente e quindi all’elemento fiduciario. I prodotti vengono distribuiti attraverso
canali distributivi standardizzati e pertanto l’offerta rimane di tipo standard.
EVOLUZIONE: Quali sono state le condizioni dell’evoluzione?
Fino agli anni 90 avevamo un mercato chiuso e senza concorrenza a causa delle barriere
all’entrata. In questo periodo il retail era un segmento indifferenziato e l’obiettivo delle banche era
di realizzare un trade off tra efficienza operativa, per realizzare profitti, e differenziazione
dell’offerta. La banca cercava di ampliare l’offerta cercando di coprire le esigenze della clientela
su vasta scala, ottenendo economie di scala e di scopo. La banca agiva sulla variabile prezzo,
mantenendo conveniente la propria offerta.
Il prezzo rappresentava l’unica variabile di marketing mix, infatti si presentava come variabile che
influenzava principalmente il cliente nella scelta della banca. L’offerta produttiva era in particolare
differenziata solo per il private (si intendeva quello che al giorno d’oggi è l’asset management e
quindi la gestione del risparmio) e il corporate banking.
All’inizio del nuovo secolo abbiamo un passaggio da logiche di transactional banking a logiche di
relationship banking: cambia l’approggio al cliente. Nelle logiche di transactional banking la banca
gestiva un prodotto autonomamente dagli altri prodotti, prescindendo dalla relazione banca
cliente. Pertanto la qualità del cliente è valutata in base all’operazione e quindi in base all’utile
realizzabile. La banca persegue la logica di massimizzare l’utile della singola operazione,
rinunciando a quei prodotti con livelli di redditività ritenuti non sufficienti, se valutati
individualmente. In questo modo si perde di vista la necessaria sinergia fra prodotti e quindi
nell’ambito di un’offerta globale, sinergia che comporta la valorizzazione di prodotti
apparentemente poco redditizi.
Nel relationship banking le strategie della banca, invece, sono volte a privilegiare il rapporto con il
cliente nelle sue dimensioni spazio-temporali, quindi con un offerta a 360 gradi. Questa logica
privilegia il rapporto banca cliente, condizione necessaria per una valutazione puntale e corretta
per il rischio di controparte (rischio di credito e di controparte). Sono aspetti importanti perché la
banca così può formulare un’offerta finanziaria in termini di soddisfacimento del cliente, ma anche
in termini di redditività.
Questo passaggio di logica ha richiesto di ricorrere a tecniche di segmentazione della clientela
(domanda) procedendo a una differenziazione dell’offerta, per non perdere l’opportunità di
instaurare in un rapporto con il cliente. La segmentazione prevede la suddivisione in classi di
clientela con lo stesso grado di elasticità nel mercato per predisporre politiche di prodotti
perfettamente confacenti alle esigenze della classe stessa. I modelli di segmentazione nelle
banche sono emersi intorno agli anni ’80. I criteri di segmentazione erano basati su variabili
geografiche, psicografiche e comportamentali.
Il modello utilizzato prevalentemente utilizzato in Europa si basa sulla variabile patrimoniale. I
segmenti a loro volta possono essere divisi in funzione delle variabili sopracitate.
Essendo l’area retail che ruota intorno alle unità in surplus e unità in deficit.
Per quanto riguarda le unità in surplus abbiamo i mass market e gli affluent. I mass market
hanno un patrimonio minore di 100.000 euro e hanno bisogni con basso grado di sofisticazione,
quindi prodotti standardizzati. Le banche, pertanto, cercano di offrire un prodotto contendo i costi
di produzione e di distribuzione. I soggetti con un patrimonio tra i 100.000 e un 1milione vengono
definiti affluent e spesso questa categorie viene sotto segmentati (upperaffluent al limite
dell’essere considerati clienti private). Si ampia la gamma delle esigenze e quindi si introduce la
personalizzazione della relazione della clientela, in particolare con gli upperaffluent. Questo tipo di
cliente hanno necessità di servizi a maggiore valore aggiunto come i servizi di consulenza.
Per quanto riguarda le unità in deficit abbiamo i piccoli operatori economici e le small business.
I piccoli operatori economici sono quelli con un fatturato inferiore a 1 milione e hanno bisogno
con basso grado di sofisticazione e pertanto c’è un offerta di prodotti standardizzati.
Le small business hanno un fatturato fino a 2.5 milioni e hanno necessità di assistenza finanziaria
più articolata, come servizi di collocamento titoli. Per le SB è difficile tracciare un limite superiore,
in quanto richiede servizi tipici del corporate banking. I finanziamenti agevolati da parte dell’UE
sono principalmente indirizzate verso le small business, con il vincolo di dover essere utilizzati in
una certa maniera: finanziamenti speciali. Questo tipo di finanziamento non deve arrecare un
vantaggio all’impresa in ottica concorrenziale, le imprese devono continuare a operare in ottica di
operatività concorrenziale.
Il contributi pubblico può essere destinato a solo determinati settori produttivi oppure un
determinato territorio con problematiche economiche.
Parametri per la definizione di pmi:
Prodotti speciali per il segmento retail: potevano essere attive e passive, in particolare di breve
e lungo periodo, con il principio di
Con il TUB ha riqualificato la normativa vigente in relazione alle operazioni di credito speciale,
prima molto frammentata e complessa, che aveva portato gli operatori economici alla creazione di
forme di credito del tutto uniche a causa.
Il TUB ha operato un riordino della disciplina, in particolare all’art 38, Titolo II - Capo IV è previsto
l’erogazione di credito speciale, oggi chiamate particolari operazioni di credito.
Questa normativa deroga la normativa del diritto comune e sono rivolti a particolari settore di
clientela. Le particolari operazioni di credito sono:
1. Credito fondiario e alle opere pubbliche: art. 38-42 il credito fondiario ah per oggetto la
concessione da parte di banche di finanziamento a ML (>18 mesi, max 15 anni) termine garantiti
da ipoteca di primo grado sull’immobile. Si tratta di un credito di scopo, come gli altri crediti
speciali: è un credito con destinazione ben precisa, ovvero di smobilizzo della proprietà
immobiliare.
Si tratta di un finanziamento a medio lungo termine, non a breve. La condizione sine qua non è la
concessione di una garanzia ipotecaria di primo grado (la banca deve essere il primo creditore
ipotecario in modo da essere la prima a potersi soddisfare in caso di insolvenza). L’ipoteca deve
essere registrata presso i registri immobiliari tenuto presso il tribunale: il primo grado deriva dalla
successione cronologica di iscrizione, e deve essere la prima iscrizione. L’iscrizione può essere
effettuata a seguito della perizia: una prima perizia di forma tecnica fatta da un perito che verifica
la congruenza tra il valore dell’immobile e il valore di vendita; la seconda perizia è legale ed è
effettuata dal notaio ed è volta a verificare la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie. La forma
tecnica innovativa è che il credito può essere erogato in qualsiasi forma tecnica di medio lungo
periodo. In passato, il credito fondiario poteva essere erogato solo sotto forma di mutuo.
Il secondo comma evidenza le peculiarità del credito: la BI, in conformità alle deliberazioni
dell’organo politico è il CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuando in
rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le
ipotesi di presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei
finanziamenti.
Con riferimento al credito fondiario, le deroghe rispetto al diritto comune, sono indicate all’art 39 e
prevede che:
- modalità di iscrizione della garanzia ipotecaria nei registri immobiliare: la norma del diritto
comune prevede che la garanzia ipotecaria deve essere iscritta nel registro immobiliare del
tribunale dove ha sede l’immobile. Il Tub prevede che l’iscrizione può avvenire in luogo diverso dal
luogo in cui l’immobile ha sede, come il luogo della sede della banca che concede il
finanziamento.
- annotazioni alle variazioni del credito e degli interessi: una volta costituita l’ipoteca e definiti i
termini contrattuale relativi al finanziamento, il diritto comune prevede che non è possibile
effettuare alcuna variazione. L’art 39 comma 2 prevede che qualsiasi variazione del credito o degli
interessi può essere apportata a margine dei registri, in modo da adeguare sempre il valore del
credito al valore dell’ipoteca.
- adeguamento automatica della garanzia alle clausole di indicizzazione: il diritto comune prevede
che una volta stabilito il valore della garanzia ipotecaria, non è possibile apportare variazioni al
credito stesso e nessuna clausola di indicizzazione. L’art 39 prevede che è necessario procedere
all’adeguamento delle garanzie in caso di variazioni del credito e degli interessi in modo
automatico in presenza di clausole di indicizzazione.
- Esonero dalla revocatoria fallimentare della garanzia ipotecaria: in caso di revocatoria
fallimentare, la banca in ogni caso rimarrà sempre la prima a soddisfarsi sul bene poiché il bene
esce dalla revocatoria fallimentare se il credito è stato concesso almeno 10 giorni prima dalla
pubblicazione della sentenza di fallimento.
- riduzione proporzionale del finanziamento e del valore dell’ipoteca: tutte le volte che il cliente
rimborsa quote del finanziamento, il cliente può vedersi ridotta proporzionalmente il valore
dell’ipoteca. La quota deve essere almeno di 1/5 del valore del finanziamento. Secondo il diritto
comune l’ipoteca si estingue all’estinguersi del finanziamento.
- Frazionabilità dell’ipoteca: se un finanziamento viene concesso a più soggetti perché intestatari
dello stesso bene, allora il finanziamento viene intestato pro quota a ciascun proprietario e anche
l’ipoteca viene frazionata tra i soggetti compropietari.
- Oneri notarili calcolati sempre su un solo atto: normalmente gli oneri notarili vengono calcolati
sul contratto di mutuo e sul contratto di smobilizzo della proprietà immobiliare. Nel caso di credito
fondiario gli oneri vengono calcolate su un unico atto.
Il CICR aveva stabilito con la delibera del ‘95 che il valore del finanziamento non poteva superare
l’80% del valore del bene ipotecato. La normativa apre uno spiraglio che da la possibilità al
soggetto finanziato di ampliare il limite di finanziabile attraverso il rilascio di garanzie accessorie:
si può imporre al debitore un aumento del capitale sociale; inserimento negli organi sociali dei
rappresentanti degli enti finanziatori e quindi esercizio del controllo dell’attività di impresa e delle
scelte gestionali; imposizione politiche di accantonamento degli utili.
Si fa riferimento al costo delle opere da eseguire poiché si cerca di dare la possibilità del
finanziamento non solo alle imprese che vogliono acquistare un bene immobile, ma anche alle
imprese che intendono eseguire. Pertanto mano a mano che il bene viene eseguite, sulla parte
realizzata viene costituita l’ipoteca e il credito viene erogato dietro l’esecuzione di parte
dell’opera. Sul costo sostenuto per la costruzione di parte dell’immobile (in base al SAL, stato
avanzamento lavori, presentato) viene erogato parte del credito.
Il TUB riconosce la possibilità di poter costituire dei cosiddetti finanziamenti integrativi: è possibile
in presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie integrare l’importo del finanziamento sullo stesso
bene.
Il credito fondiario si estingue a scadenza quando abbiamo il regolare rimborso del debito (quota
capitale + quota interesse) da parte del debitore. Il debitore avrà l’onere di richiedere la
cancellazione dell’ipoteca dal registro degli immobili. E’ possibile richiedere l’estinzione anticipata
del debito, ma solo se nel contratto è stata inserita la clausola secondo la quale il prezzo del
credito sia omnicomprensivo delle spese derivanti dall’eventuale estinzione anticipata. Se nulla
viene indicato, l’estinzione anticipata non è possibile.
Il credito può estinguersi anche in caso di revoca del credito e quindi nel caso in cui il cliente è
insolvente. Se non si paga una rata, la banca applica l’interesse di mora. Se il cliente non paga
per 90 giorni gli interessi di mora, allora la banca può revocare il finanziamento. In caso di credito
fondiario è necessario che il debitore sia moroso su 7 rate del finanziamento, anche non
consecutivi.
Il credito alle opere pubbliche ha per oggetto la concessione da parte di banche, a favore di
soggetti pubblici o privati, di finanziamenti destinati alla realizzazione di opere pubbliche o
impianti di pubblica utilità. Non rileva la natura del beneficiario, ovvero se si tratta di un soggetto
pubblico o privato, ma laddove il beneficiario del finanziamento sia un soggetto privato, il
requisito di pubblica utilità deve risultare da leggi o provvedimenti della PA. — project financing
Derivati:
Si considera come derivato uno strumento finanziario o un altro contratto che presenta le 3
seguenti caratteristiche:
• Il suo valore cambia in relazione alla variazione di un tasso di interesse, del prezzo di uno
strumento finanziario, del prezzo di una merce, del tasso di cambio in valuta estera, di un indice
di prezzo di tassi, del merito di credito (rating) o di indici di credito o di altra variabile prestabilita
denominata sottostante.
• Non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale minore di
quello richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una simile oscillazione di valore
in risposta a cambiamenti di fattori di mercato.
• È regolato a data futura.
I derivati si dividono in due grandi categorie:
I. Derivati di negoziazione (a fini speculativi)
II. Derivati di copertura (a fine di hedging) da:
- rischio di tasso di interesse
- rischio d variazione dei flussi di cassa
- rischio di credito
- rischi di cambio (per coprire flussi finanziari in valuta estera)
- rischio di mercato
In particolare, l’IFRS 9 è intervenuto sulle regole di hedge accounting, cioè le regole di
contabilizzazione dei derivati di copertura. Il cambiamento è fatto in ottica di rendere la
contabilizzazione più elastica, poiché prima ci doveva essere una relazione di copertura molto
stretta individuata sulla probabilità di efficacia della copertura, infatti si parlava di copertura
gestionale.
In base alla natura dei rischi coperti ed al trattamento contabile (hedge accounting) la natura della
copertura può essere suddivisa in:
- fair valute hedge: neutralizzazione dalle variazioni di fair value dello strumento coperto tramite le
variazioni di fair value dello strumento derivato;
- cash flow hedge: neutralizzazione della variabilità dei flussi in entrata o in uscita correlati ad
attività o passività
- hedge of a net (investment in a foreign entity): copertura dal rischio di cambio in un investimento
estero.
Il mondo finanziario ha portato alla creazione di derivati composti da altri derivati: derivato
incorporato.
Un derivato incorporato è una componente di uno strumento ibrido (combinato) che include
anche un contratto primario non derivato, con l’effetto che alcuni flussi finanziari dello strumento
nel suo complesso variano in maniera similare a quelli del derivato preso a se stante. Ogni
componente deve essere valutata al suo fair value.
Un derivato incorporato è separato dalle passività finanziarie diverse da quelle oggetto di
valutazione al fair value con iscrizione degli effetti reddituali a conto economico, e degli strumenti
non finanziari, e contabilizzato come un derivato se:
- le caratteristiche economiche e i rischi del derivato incorporato non sono strettamente correlati a
quelli del contratto che lo ospita
- uno strumento separo con le stesse condizioni del derivato incorporato soddisfacente la
definizione di derivato
- lo strumento ibrido non è valutato nella sua interezza al fair value rilevato a conto economico.
Nei casi in cui i derivati incorporati siano separati, i contratti primari vengono contabilizzati
secondo la categoria di appartenenza.
Ricordiamoci che il Fair Value degli strumenti finanziari deve essere calcolato secondo una
gerarchia, per cui:
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Livello 1 —> prezzo di mercato desumibile dalle quotazioni espresse in un mercato attivo. Ci sono
davvero pochi derivati di primo livello poiché questi vengono scambiati OTC.
Livello 2 —> prezzo di mercato di uno strumento similare desumibile dalle quotazioni espresse in
un mercato attivo.
Livello 3 —> (stragrande maggioranza) tecniche di valutative le quali si fondano in misura
rilevante, su input significativi non desumibili da parametri osservabili direttamente su un mercato
attivo, ovvero con modelli di matematica finanziaria. (Se gli input sono derivabili da un mercato
attivo si possono classificare al livello 2).
I derivati vengono scambiati in mercati non regolamentati (OTC) e, tendenzialmente sono tanto più
illiquidi quanto più complessa è la loro struttura.
Esiste un’associazione che si occupa delle dispute che possono sorgere sui derivati, ovvero la
funzione di camera arbitrale: l’ISDA.
I contratti derivati sono generalmente standardizzati secondo i modelli di questa associazione.
Gli scambi possono avvenire tramite istituti (clearing house, sistemi di compensazione
multilaterali) che provvedono anche al calcolo ed alla richiesta alle controparti della eventuale
integrazione dei margini versati al momento della conclusione del contratto (margine call).
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CONTO ECONOMICO
10. Interessi attivi e proventi assimilati
di cui interessi attivi calcolati con il metodo dell’interesse effettivo
20. Interessi passivi e oneri assimilati
30. Margine di interesse
40. Commissioni attive
50. Commissioni passive
60. Commissioni nette
70. Dividendi e proventi simili
80. Risultato netto dell’attività di negoziazione
90. Risultato netto dell’attività di copertura
100. Utile (perdite) da cessione o riacquisto di:
a) attività finanziarie valutate al costo ammortizzato
b) attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla redditività complessiva
c) passività finanziarie
110. Risultato netto delle attività finanziarie valutate al fair value con impatto a conto economico
a) attività e passività finanziarie designate al fair value (FVO)
b) altre attività finanziarie obbligatoriamente valutate al fair value
120. Margine di intermediazione
130. Rettifiche/riprese di valore netto per rischio di credito relativo a:
a) attività finanziarie valutate al costo ammortizzato
b) attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla redditività complessiva
140. Utile/perdite da modifiche contrattuale senza cancellazione
150. Risultato netto della gestione finanziaria
160. Premi netti
170. Saldo altri proventi/oneri della gestione assicurativa
180. Risultato netto della gestione finanziaria assicurativa
190. Spese amministrative
a) spese per il personale
b) altre spese amministrative
200. Accantonamenti netti ai fondi per rischi ed oneri
a) impegni e garanzie rilasciate
b) altri accantonamenti netti
210. Rettifiche/Riprese di valore nette su attività materiali
220. Rettifiche/Riprese di valore nette su attività immateriali
230. Altri oneri/proventi di gestione
240. Costi operativi
250. Utili (perdite) della partecipazione
260. Risultato netto della valutazione al fair value delle attività materiali e immateriali
270. Rettifiche del valore dell’avviamento
280. Utili (perdite) da cessioni di investimenti
290. Utili (perdita) della operatività corrente al netto delle imposte
300. Imposte sul reddito del periodo dell’operatività corrente
310. Utile (Perdita) della operatività corrente al netto delle imposte
330. Utile (perdita) di periodo
340. Utile (perdita) di periodo di pertinenza di terzi nb. Bilancio consolidato
350. Utile (perdita) di periodo di pertinenza della capogruppo nb. Bilancio consolidato
Essendo un bilancio di un intermediario finanziario si parte dalla cosa più rilevante, ovvero il
margine dell’intermediazione denaro, dato appunto dalla differenza tra interessi attivi e passivi.
Il margine di interesse, nel corso del tempo, quello che dovrebbe essere la componente principale
del conto economico di una banca, si è andato assottigliando a causa dei tassi di interesse
sempre più bassi.
A seguito del margine della gestione denaro, troviamo il margine commissionale, ovvero le
commissioni percepite (pagate) per le operazioni svolte dalla banca per conto dei propri clienti o
di altre banche. Possono essere relative alle garanzie rilasciate, ai derivati su crediti o ai servizi di
gestione, intermediazione e consulenza.
La somma della voce 30 e della voce 60 deve essere coerente con il risultato delle altre operazioni
finanziarie. Tra queste altre operazioni troviamo il risultato netto derivante dalle negoziazioni,
risultato netto delle operazioni di copertura (valutazioni di fair value dei derivati), utili o perdite
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derivanti da cessioni o riacquisto di attività finanziarie valutate al costo ammortizzato o al fair
value, risolato netto della attività e passività valutate al fair value valutate al fair value.
La voce che integra i risultati delle attività tipiche (interessi e commissioni) con i risultati positivi o
negativi derivanti da operazioni finanziarie, da luogo al margine di intermediazione.
Dopo di che avrò il cosiddetto provisioning, ovvero le rettifiche o riprese di valore per rischio di
credito relativo.
A questo punto abbiamo il risultato netto della gestione finanziaria.
I premi netti sono previsti qualora sia presente un’assicurazione.
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Ricapitalizzazione precauzionale
La ricapitalizzazione precauzionale prevede che lo Stato faccia ingresso nel capitale della banca,
ma devono ricorrere 3 condizioni:
1. Non si deve trattare di una banca in stato di fallimento o che probabilmente fallirà, ma si deve
trattare di una situazione di crisi temporanea.
2. L’intervento dello Stato deve essere temporaneo, non di lungo termine, infatti successivamente
la banca deve essere collocata sul mercato.
3. Nell’Unione Europea non sono ammessi interventi pubblici distorsivi della concorrenza, tutto
questo deve avvenire sulla base di un piano approvato dall’unione e in particolare dalla direzione
generale della concorrenza.
L’intervento è molto articolare e prevede la partecipazioni di molti attori: autorità nazionali, autorità
europee (BCE e DGcomp).
Il Monte dei Paschi è stato oggetto di ricapitalizzazione precauzionale e ultimamente se sente
parlare parecchio perché il piano della ricapitalizzazione prevedeva che venisse ceduto nel 2021.
Osservando l’evoluzione del Monte dei paschi di Siena è interessante notare cosa è successo
all’attivo: salta all’occhio che il totale dell’attivo dal 2010 al 2019 è quasi la metà. L’operazione di
deleverage è stata evidente nel MPS.
Possiamo vedere che si è verificata l’attività di deleverage in particolare nelle attività finanziarie
poiché la somma delle attività finanziarie (20-30-40) è diminuita cospicuamente, cosi come anche
i crediti e le partecipazioni.
E’ necessario notare che l’avviamento è stato interamente svalutato: nel bilancio del 2010
esisteva un avviamento per quasi 5 miliardi, mentre adesso non c’è più.
Sono calate anche le attività fiscali anticipate.
Considerazione: quando conteggiamo il calcolo delle imposte, in realtà l’imponibile non è l’utile
prima delle imposte, ma è necessario applicare all’utile ante imposte una serie di aggiustamenti.
Questi aggiustamenti sono variazioni in aumento o in diminuzione e devono essere fatte perché
alcuni ricavi o alcuni costi non sono imponibili o non sono deducibili o lo sono in parte, oppure
hanno una rilevanza per il calcolo delle imposte differita nel tempo.
L’esempio tipico è proprio l’accantonamento per perdite su crediti: se ho un accantonamento di
100 milioni, questi hanno un influenza sul calcolo dell’utile di bilancio, ma ai fini fiscali la
deduzione è spalmata in 10 anni. Questo comporta una tassazione, rispetto al reddito, più
elevata, ma non fa perdere la deduzione, semplicemente la rinvia nel tempo. Quando si genera
una differenza temporanea, si verifica un anticipazione delle imposte.
Per non inquinare il dato di bilancio, l’anticipazione di imposte viene contabilizzata fra i crediti e
poi utilizzata nel tempo quando queste componenti negativi di reddito saranno deducibili
fiscalmente. —> fenomeno delle imposte anticipate da differenze temporanee.
C’è anche il tema delle perdite: quando una banca subisce una perdita fiscale, questa può essere
portata avanti nel tempo e compensata con gli utili degli esercizi successivi, alla condizione che i
piani della banca dimostrino che queste perdite possano essere recuperate nei futuri esercizi.
Le imposte relative a quello che si risparmierà in futuro per il riporto delle perdite, possono essere
contabilizzate in bilancio. —> imposte anticipate da perdite
Le imposte anticipate che derivano dalle perdite devono essere dedotte dal patrimonio di
vigilanza ai fini del calcolo patrimoniale, poiché in realtà c’è un incertezza: non è certo che io nei
periodi successivi abbia un utile.
Esiste una disposizione che consente la trasformazione di questi crediti derivanti da perdite in
crediti d’imposta: questa posta viene trasformata in un credito che è immediatamente spendibile
in compensazione con altre partite fiscale come le ritenute sugli stipendi. In questo modo si evita
che queste imposto anticipate rimangano nel bilancio per periodi molto lunghi e di evitare la
penalizzazione della deduzione dal patrimonio di vigilanza. Si dovrà pagare una commissione per
questa trasformazione del 25%, con un benefico molto elevato.
Dall’esame dell’attivo, appunto, emergono queste differenze sostanziali di sofferenza.
Analogamente, nel passivo è diminuita la raccolta (depositi ed obbligazioni). Si nota anche una
riduzione del trattamento di fine rapporto che implica che ci sono stati tanti dipendenti che hanno
lasciato o perso il posto di lavoro.
Uno degli effetti delle aggregazioni, nonostante si guadagni robustezza patrimoniale, sarà un
ulteriore riduzione dei personale su cui puntano di fare molte sinergie.
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Da notare che la dotazione patrimoniale di 5 miliardi nel 2010, nel 2016 si è ridotta di un terzo e
nel 2019 dopo la ricapitalizzazione è di 7 miliardi.
Tutto questo trova un riflesso nel conto economico: siamo in un periodo di tassi molto bassi e
quindi il margine di interesse è calato di circa la metà. Questo effetto è sia dovuto ai tassi, ma
anche al fatto che le masse prestate sono quasi la metà.
Le commissioni invece, sono rimaste pressoché costanti perché le banche hanno cercato di
incrementare la parte dei servizi per compensare la riduzione dei tassi.
Le attività di negoziazione dei titolo è diminuita anch’essa.
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Le cause della crisi finanziaria americana del 2007
Una delle leve, che abbiamo visto in mano alla banca per rientrare in area di coefficienti
patrimoniali che testimoniano la propria adeguatezza patrimoniale, è quella di diminuire le attività
ponderate per il rischio. Se il capitale della banca non è adeguato, i modi per intervenire sono:
1. Aumento del capitale sociale, ma non è sempre possibile: non è detto che riusciamo a trovare
sul mercato soggetti disposti a sottoscrivere aumenti di capitale, oppure le condizioni di
sottoscrizione del capitale sono eccessivamente penalizzanti per i soci preesistenti.
2. Diminuire l’attivo: deleverage.
Nel calcolo della ponderazione degli attivi, il calcolo della ponderazione più alto è quello dei crediti
in sofferenza.
Le modalità di gestione dei crediti in sofferenza sono diverse:
- possiamo gestirle attraverso strutture interne dedicate
- cessione
La cessione comporta sia dei benefici che svantaggi.
Il primo tipo di beneficio è l’entrata in termini di liquidità che si ha dietro cessione del credito.
Questo fenomeno si verifica sia se cedo a un veicolo che non è mia, ma di terzo soggetto, sia che
cedo il credito a un veicolo da me controllato (autocartolarizzazione). Nel primo caso il credito
viene effettivamente espulso dal bilancio, nel secondo caso no.
Un secondo beneficio è in termini di assorbimento patrimoniale.
L’effetto negativo, invece, è che la cessione del credito potrebbe comportare una perdita.
Questo veicolo, dotato di poco capita e poco credito per esigenze di cassa, emette delle
obbligazioni per finanziarsi. Le obbligazioni possono essere di vario genere e sono legate alle
tranche, cioè all’interno dei pacchetti venduti. A seconda delle tranche e a seconda della
rischiosità sono emesse delle obbligazioni con contenuto e natura di diversa.
La crisi finanziaria si è generata nel 2007 negli stati uniti.
Dal 1985 al 2006 abbiamo avuto una crescita imponente del mercato immobiliare, con in mezzo la
bolla speculativa delle dot com e una deregolamentazione con la caduta della tradizionale
differenziazione fra le banche di investimento e le banche commerciali.
Abbiamo avuto un periodo di politica monetaria accomodante, con tassi di interesse
estremamente bassi.
Abbiamo assistito anche al cambiamento improntate del business model bancario: OTH —> OTD.
Tutto questo ha creato un incredibile bolla del mercato immobiliare.
Le banche erogavano alle famiglie il credito per l’acquisto delle case. Le famiglie si indebitavano
nella convinzione che il mercato immobiliare non avesse freni, che continuasse a crescere e
quindi che aumentasse anche il valore delle abitazioni che acquistavano.
Le banche, secondo un principio di selezione avversa e moral hazard, erano abituati a
impacchettare questi crediti e cederli alle società veicolo, disfacendosi del rischio e liberare
“spazio” per ulteriori erogazioni. Le società veicolo emettevano a loro volta obbligazioni “asset
backed securities”, ovvero titoli agganciati ai crediti ipotecari.
Questo sistema incrementava la capacità di acquisto delle case, permetteva alle banche di fare
credito senza assumersi il rischio e le società veicolo emettevano queste obbligazioni lucrando
sulla differenza.
La struttura finanziaria del veicolo era composta da poco equity, un pò di mezzanino e tanto ma
tanto senso.
A un certo punto il mercato immobiliare è crollato, perché i debitori originali non sono più stati in
grado di ripagare il proprio debito.
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attraverso dei modelli interni.
- di mercato: impatta su tutto l’attivo con diversi impatti, sono i rischi di deprezzamento, di
variazione del tasso o delle valute. Anche in questo caso abbiamo dei modelli standard, ma quasi
tutti utilizzano modelli interni che permettono di tener conto anche della volatilità. (Maggiore è la
volatilità maggiori sanno i rischi)
- operativo: sono i rischi diversi da quelli di mercato, che incombono sull’attività bancaria come i
rischi legali, informatici, di corretta esecuzione dei contratti ecc.)
Come avviene la ponderazione?
Es rischio di credito
RWA= K*p*EAD
dove P è il parametro regolamentare (12,5); EAD è l’exposure at default e K una funzione f
(PD,LGD,M).
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Il bilancio bancario
Il bilancio bancario, come tutte le attività svolte dalla banca, è uno strumento molto normato. I
strumenti normativi che ci dicono come fare il bilancio sono diversi:
- abbiamo una serie di norme tecniche emanate da Banca d’Italia dal ’92
- principi contabili internazionali IAS/IFRS: il bilancio delle banche, così come il bilancio delle
società quotate e il bilancio delle società assicurative, non è un bilancio che viene redatto e
formato secondo i principi contabili italiani (ita-gap).
Il processo di formazione delle norme di bilancio è molto lungo e complesso poiché riguarda una
serie di paesi. E’ stato necessario pertanto un organismo sovranazionale che ha il compito di
emanare principi contabili: Internationl Accounting Standard Board. Si tratta di un consiglio che
stabilisce le norme di contabilità in campo internazionale. Lo IASB, è al vertice della piramide, ma
al suo interno è molto articolato: abbiamo all’interno diversi organismi internazionali con
competenze tecniche e specialistiche che collaborano nella creazione e nell’interpretazione dei
principi stessi. E’ particolarmente importante il ruolo dello IFRIC, un organismo tecnico che si
occupa di emanare le norme sulle norme, ovvero i principi interpretativi dei principi contabili.
I componenti dell’IASB devono appartenere a varie parti del mondo: 6 appartengono all’Europa, 6
alle Americhe, 6 all’area Asia/Oceania. Gli Stati Uniti però hanno anche i propri principi contabili,
perché partecipano all’IASB? Uno dei più importante esponenti dello IASB è Paul Folk, che è
stato presidente della FED. I sistemi finanziari sono interconnessi: se una banca americana ha
delle filiali all’estero, deve tenere conto che dovrà utilizzare i principi contabili internazionali.
Nel processo di formazione dei principi contabili, questi una volta approvati dallo IASB, vengono
poi pubblicati sulla Gazzetta Europea e da quel momento hanno forza di legge.
I principi contabili italiani hanno forza di legge? La domanda non ha una risposta netta.
I principi contabili italiani vengono emanati dal’OIC che al proprio interno ha molti stakeholders
(banche, ministero dell’economia, le imprese, gli ordini professionali), non ha vera e proprio forza
di legge, ma la prassi che si stratifica per effetto dell’emanazione di questi principi assumo di fatto
la forza di legge.
I principi contabili IAS/IFRS non vengono immediatamente applicati nell’Unione Europea, essi
subiscono un primo esame di tipo tecnico da un comitato di esperti chiamato EFRAG e uno di
tipo politico ARC (comitato di rappresentanti dei governi). Per la sua omologazione comunitaria, il
documento deve essere tagliato dal SARG (Standard Advice Review Group) la cui funzione è
quella di consiglia la Commissione stessa sull’obiettività e neutralità dei pareri dell’EFRAG.
Superati i controlli, il principio contabile viene approvato con regolamento dai ministri dell’UE ed
acquista immediata efficacia di legge. Al medesimo procedimento sono sottoposte le
interpretazioni ufficiali.
Una delle finalità dell’IAS è quella di coordinarsi con gli ordinamenti contabili nazionali per favorire
il confronto e la progressiva omologazione ed armonizzazione.
I principi contabili IAS/IFRS non impongono delle strutture di stato patrimoniale e conto
economico predeterminate. Per questo motivo la Banca d’Italia è intervenuta emanando la
circolare n.262/2005 e successivamente aggiornata più volte. Indica le istruzioni per la redazione
del bilancio d’impresa e del bilancio consolidato delle banche e delle società finanziarie
capogruppo di gruppo bancari.
Il bilancio della banca si compone dei seguenti documenti:
1. Stato Patrimoniale
2. Conto Economico
3. Prospetto della redditività complessiva: è un prospetto tipico delle banche.
4. Prospetto delle variazioni del patrimonio netto
5. Nota integrativa
6. Rendiconto finanziario
IL CAPITALE
La banca deve avere un capitale sufficiente a fronteggiare i rischi presenti in bilancio, quindi
l’autorità di vigilanza prevede ed applica dei requisiti patrimoniali che devono essere mantenuti
nel corso della vita della banca. L’autorità di vigilanza prevede anche dei filtri prudenziali, ovvero
delle modalità di calcolo (es. gli avviamenti si detraggono).
Il RWA sono le attività ponderate al rischio.
Il deleveraging è l’attività che le banche mettono in moto in caso di leva eccessiva, ovvero
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quando il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi è troppo squilibrato a favore dei mezzi di terzi
oppure se il rapporto tra il totale dell’attivo e il capitale è troppo squilibrato. Storicamente, negli
USA il rapporto di leva (Attivo/Capitale) superava 30 (30 volte), pertanto bastava una svalutazione
solamente del 5% per perdere tutto il capitale. Questo è la ragione per cui il capitale è così
importante ed è importante calcolare la rischiosità dell’attivo. Si è fatto in particolare più ricorso al
deleveraging a seguito delle securitization.
Il capitale come si forma? Ci sono tre modi:
1. Originario: il capitale viene conferito dai soci
2. Autofinanziamento: non distribuisco gli utili ma gli capitalizzo e aumento il capitale.
3. MERCATO: vado sul mercato e cerco un investitore che mi sottoscrivo parte del capitale. Da
anni se confrontiamo il livello di capitalizzazione con il patrimonio netto contabile della banca
scopriamo che questo è solo una sua frazione. Mi aspetterei che le quotazioni di borsa siano
vicine o superiori al patrimonio netto: questo singnifica che: 1) il costo del capitale nel settore
bancario è intorno al 9-10%, ma il ROE è molto più basso; 2) effettiva rischiosità di una banca in
ottica prospettica.
Sono stati fatti molti passi per quanto riguarda il capitale: nel 2010 il CET1 era mediamente tra il
7-8% mentre oggi è mediamente superiore al 10%.
LIQUIDITA’
Il mestiere della banca è la trasformazione delle scadenza, raccogliendo denaro a vista (quasi
sempre) e prestandolo a più lunghe scadenze. La banca deve stare molto attenta al funding gap,
ovvero mancanza temporanea o strutturale di disponibilità di fondi. Questo è successo in
particolare in periodi di crisi dove il mercato interbancario si era congelato, le banche non si
facevano più prestiti. Questo meccanismo è stato sbloccato dalle autorità di vigilanza attraverso
una serie di strumenti volti a finanziare le banche come i prestiti overnight, le operazioni di
refunding e tassi molto bassi.
REDDITIVITA’
Nei periodi di tassi molto bassi come quelli attuali, il margini di interesse si assottiglia sempre di
più riducendo la redditività dell’attività di intermediazione tipica, ovvero la gestione denaro.
Per quanto riguarda la redditività è importante porre attenzione ai crediti problematici, in quanto
gli accantonamenti pesano in modo particolare sui bilanci bancari.
Il rapporto Cost/Income è importante da analizzare per quanto riguarda la struttura dei costi
bancari. I costi bancari non sono dati esclusivamente dagli interessi passivi e commissioni
passivi, ma anche costi del personale e delle strutture fisiche. Questo ha comportato nel tempo
una riduzione significativa del personale e la chiusura di strutture fisiche.
E’ importante per una banca investire nella produttività e quindi nell’organizzazione dei processi e
dei strumenti che regolano i processi, attraverso una digitalizzazione dei processi e snellezza.
I canali distributivi non sono più le filiali fisiche, al giorno d’oggi abbiamo anche canali telematici.
Nel tempo anche i costi di compliance sono incrementati: la banca è molto regolata e questo
comporta costi per individuare le regole da rispettare.
Il bilancio è uno strumento funzionale a capire qual’è l’equilibrio per l’impresa banca.
Ci permette di capire cosa è successo negli esercizi precedenti, ma anche cosa accadrà nel
futuro.
La dotazione patrimoniale della banca deve essere adeguata ai rischi assunti. Se no la dotazione
patrimoniale non è sufficiente si può ricorrere a un aumento del capitale sociale sul mercato, ma
ha degli effetti diluitivi non positivi. Inoltre non è detto che sia un momento favorevole e quindi
non avere un delle condizioni favorevoli.
L’alternativa è il deleveraging, ovvero diminuire l’attivo per ridurre il rischio. La riduzione degli
investimenti però riduce la redditività della banca dovuta a minor margine di interesse e minor
margine commissionario. La banca può decidere di vendere una parte dell’attivo rischioso, e
reinvestire il denaro in attività meno rischiose.
La banca deve trovare un equilibrio.
Le autorità di vigilanza hanno una visione dell’attività bancaria diversa da quella tradizionale. Le
finalità delle regole di bilancio sono molto diverse dalle regole prudenziali.
Le regole di bilancio impongono di esporre la propria situazione economica, patrimoniale e
finanziaria in modo corretto.
Le regole prudenziali invece mirano alla sana e prudente gestione, pertanto un controllo dei rischi
assunti e adeguatezza del patrimoni —> scopo stabilità del mercato.
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Negli utili anni si è osservata una convergenza delle regole contabili di bilancio e delle regole
prudenziali.
C’è particolare un principio contabile che in particolare modo risentito di modifiche: è il principio
contabile che si occupa di strumenti finanziari. Il bilancio bancario in gran parte è composto da
attività finanziarie, poche sono non finanziarie (avviamento, imposte).
Il principio contabile che si occupa degli strumenti finanziari era lo IAS 39, mentre dal primo
gennaio 2018 con entrata graduale è applicabile lo IFRS 9 (emesso nel 2014). Le novità introdotte
impattano su tre argomenti:
- classificazione e valutazione degli strumenti finanziari
- il modello di impairment
- la disciplina dell’hedge accounting, ovvero le regole contabili con cui si rappresentano le
operazioni di copertura. Qualsiasi operazione si porta dietro dei rischi, che in primo luogo devono
essere individuati, quantificati e monitorati. (Es fair value hedge e cash flow hedge)
Il modello di impairment previsto dallo IAS 39 prevedeva che l’attivazione del processo di
svalutazione sia basato sull’incurred loss (perdita nella quale siamo già incorsi) in presenza di loss
event (eventi di perdita).
I triggers (o attivatori) non sono disciplinati in modo completo dallo IAS 39 che prevede un elenco
abbastanza ampio ma non tale da eliminare o ridurre in modo sufficiente la discrezionalità. I
triggers sono degli attivatori di eventi di perdita, indicatori che qualcosa potrebbe andare storto.
Fra i triggers previsti:
- significative difficoltà finanziarie del debitore
- inadempimento contrattuale
- significativo incremento della probabilità di default a breve
- dilazioni concesse a fonte di difficolta finanziarie.
Per procedere con l’impairment la perdita deve essere già accaduta —> backward looking.
L’approccio dell’IFRS 9 è innovativo poiché forward looking: si cercano di prevedere le perdite.
Il bilancio pertanto indica se una banca è in una situazione di equilibrio oppure no, quindi se
devono essere intraprese manovre per riguadagnare il proprio equilibrio economico.
Per la banca l’equilibrio economico non riguarda solo il generare dei profitti, ma anche di farlo in
una condizione tale per cui il patrimonio di vigilanza sia al di sopra dei limiti regolamentari.
Abbiamo visto quali sono i rapporti e le mutue interazioni fra la redditività e il capitale: facciamo
attenzione perché se la capacità di fare reddito è la prima fonte di autofinanziamento ( si utilizza
l’utile al netto dei dividendi per incrementare il patrimonio), ma se il patrimonio non è sufficiente
(capitale di prima qualità<minimi regolamentari, definiti dalla vigilanza) perché la banca non ha
sufficiente capacità di autofinanziamento, ci sono due strade:
1. Ricorrere al mercato: è necessario tener conto della variabile del prezzo delle azioni (guardando
il mercato facciamo una scoperta quasi sorprendente, ovvero vedremo che nella gran parte dei
casi il valore di borsa degli intermediari bancari è inferiore alla consistenza del proprio patrimonio
netto contabile - 40/50% del patrimonio contabile. Questo deriva dal fatto che il mercato
apprezza maggiore rischiosità dell’attivo rispetto a quello che la banca espone nei propri
rendiconti: c’è un’aspettativa che le classi di strumenti finanziari in bilancio possano subire un
impairment, svalutazione. Abbiamo affrontato un periodo storico in cui la copertura dei crediti
deteriorati è aumentata in modo consistente, siamo passati dal 30% al 60%. Questo sforzo è
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stato retto o dal conto economico, attraverso maggiori accantonamenti, o attraverso aumenti del
capitale - is no free meal. L’osservazione empirica ci consente di dire che la capitalizzazione di
borsa sottostima il patrimonio bancario rispetto all’entità contabile proprio per l’aspettativa di
impairment e quindi accantonamenti. Se la banca quindi è costretta ad andare sul mercato per
aumentare la propria dotazione patrimoniale, il mercato esigerà dei prezzi di emissione
penalizzanti per i soci già presenti nel capitale (il rapporto di emissione sarà con effetti diluitivi sui
soci presenti nel capitale)
L’altro motivo per cui la capitalizzazione è inferiore alla patrimonio netto contabile deriva dal fatto
che il capitale ha un costo che si calcola secondo alcune metriche studiate dalla dottrina
economia, che pondera la rischiosità del capitale aggiungendo al tasso free risk un premio per il
rischio e moltiplicandola per un coefficiente beta che misura il rischio sistematico, ovvero il rischio
dello specifico intermediario rispetto al mercato. Il costo del capitale è di gran lunga superiore alla
profittabilità del capitale (ROE).
2. Deleverage: il coefficiente patrimoniale è calcolato come rapporto fra patrimonio netto e le
attività ponderato per il rischio, se non posso aumentare il numeratore, diminuisco il
denominatore: è necessario diminuire le attività ponderate per il rischio. Questo lo posso
attraverso un’attività di cartolarizzazione, ma anche attraverso una riduzione dei prestiti.
Quest’ultima opzione innesca però due fenomeni abbastanza importanti e pervasivi: 1) redditività
della banca: se diminuisco i prestiti rischio che mi manchino delle fonti di redditività; 2) se questo
comportamento non si verifica nel singolo intermediario, ma in una platea vasta di intermediari,
l’effetto sarà la mancanza di finanziamento nell’economia. Se questo si verifica in un ciclo
economico debole genera effetti pro ciclici amplificando gli effetti negativi.
Questi fenomeni vanno messi in connessione con il fair value e l’impaiarment: il bilancio di una
banca è formato fondamentalmente di strumenti finanziari (le banche italiane hanno
principalmente titoli di stato e prestiti) e questi devono essere filtrati alla luce dei principi contabili
che definiscono la nozione di fair value ed impairment.
Le regole di vigilanza prudenziali hanno finalità diverse dalle regole contabili, perché:
- le regole contabili hanno finalità di rappresentazione della situazione finanziaria, patrimoniale ed
economica dell’intermediario;
- le regole di vigilanza hanno finalità di stabilità del sistema bancario e finanziario nel suo
complesso.
Secondo le regole di vigilanza prudenziale, il patrimonio netto deve fronteggiare le perdite
inattese, cioè che non riesco a calcolare puntualmente. Le perdite attese devono essere
fronteggiare con il provigioning, ovvero con gli accantonamenti che derivano dalle pratiche di
impairment.
Che cosa è successo in passato?
Secondo la metrica dello IAS 39 la svalutazione doveva essere fatta sulla base di obiettive
evidenze del verificarsi di eventi di perdita, con una visione tipicamente retrospettiva.
Questo ha comportato:
- una sottovalutazione delle perdine in corso poiché la stima non si basa sulle perdite attese ma
su quelle per le quasi esistono evidenze obiettive.
- un fenomeno patoligico abbastanza esteso di perdite “incurred but not reported”: mancata
contabilizzazione di perdite per le quasi c’era già evidenza, ma che le banche non avevano
comunque contabilizzato sfruttando le pieghe di discrezionalità che nella norma contabile c’erano.
- effetti pro ciclici: le perdite assumono maggiori consistenze nei periodi di debolezza del ciclo
economico quando sarebbe meglio correlate maggiormente i ricavi al costo del credito,
anticipando la rilevazione delle persone nei momenti positivi del ciclo economico.
- necessità di fronteggiare i gap di rilevazione delle perdite con maggiori con dotazioni
patrimoniali
- disallineamento fra criteri contabili e regole di vigilanza prudenziale: ha comportato la necessità
di avviare una processo di convergenza frase due set di regole dettate per esigenze
completamente diverse,
Basilea —> requisiti patrimoniali —> perdite inattese
IAS/IFRS —> informazioni finanziaria —> perdite attese
Per questo motivo IFRS 9 cambia l’impostazione di base da una visione retrospettiva ad una
visione forward looking prescrivendo di rilevare le perdite attese e no più quelle già realizzate.
Come si contabilizza un credito?
Dalla lettura dei principi contabili emergeva il criterio del costo ammortizzato. Non va confuso il
costo ammortizzato con l’impairment.
Il costo ammortizzato è un vero e proprio criterio di contabilizzazione del credito, l’impairment è la
rilevazione della perdita.
Perché costo ammortizzato?
E’ una tecnica che fa si che si tenga conto dell’elemento tempo in una posta avente natura
finanziaria.
Il costo ammortizzato da un punto di vista definitorio è semplicemente:
il valore iniziale -
rimborsi di capitale +/-
ammortamento cumulato -
riduzione di valore (impairment)
Esempio generale: se faccio un finanziamento di 1000 euro a un tasso del 3%, per un periodo di 3
anni.
Pagamento con rate semestrali capitale+interessi. Io so che il valore attuale netto è di 1000.
Nella realtà non è proprio cos’, infatti potrei avere dei costi di transazione, potrei aver concesso
delle concessioni al clienti: questo provoca dei disallineamenti tra il valore a scadenza e il valore
attuale netto o costo ammortizzato. Questa differenza deve essere “spalmata” durante l’arco di
durata del credito.
Esempio lato passivo: Io sono una banca e acquisto uno strumento finanziario con le seguenti
caratteristiche:
prezzo 1000
scadenza 5 anni
valore nominale 1250
tasso di interesse nominale 4,7% —> cedola: (1250x4,7% = 59)
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Il tasso di interesse effettivo sarà diverso dal tasso di interesse nominale. —> il tasso interno di
rendimento è del 10%.
Questa differenza non la devo registrare tutta alla fine, ma la devo registrare durante tutta la
durata dello strumento finanziario.
Costo (1000) - tasso contrattuale
(4,7%) - scarto emissione (250).
Facciamo un ulteriore esempio:
Valore nominale di finanziamento:
200.000
Tasso di interesse nominale: 2%
pagamento interessi: al 31/12 di ogni
anno.
rimborso del capitale: bullet a
scadenza
tasso di interessi di mercato: 4%
durata: 4 anni
costi di transazione: 5.000
Poiché il tasso di interessi di mercato
diverge dal tasso di interesse nominale
in modo significativo: il principio contabile esige di utilizzare i tassi di interesse di mercato.
Pertanto occorre prima di tutto calcolare il valore attuale netto dei flussi finanziari, al netto dei
costi di transazione:
4000/(1+0,04)+4000/(1+0,04)+4000/
(1+0,04)+204.000/(1+0,04) =
185.480,42 - 5000 = 180.420,42
La differenza fra il valore nominale e il
valore di iscrizione iniziare pare a euro
14.519,58 è un provento finanziario
da rilevare a conto economico.
Qual’è il tasso i interesse effettivo?
16
netto. Come? Con la contabilizzazione di una riserva negativa. Cosa cambia rispetto al
contabilizzarlo nel conto economico?
Le banche hanno un prospetto aggiuntivo, il prospetto della redditività complessiva, che serve a
mostrare le componenti di reddito positive e negative, che transitano nel conto economico, sia le
componenti di reddito positive e negative che transitano nel patrimonio netto. Pertanto se ho una
perdita da valutazione lo vedo.
Non suscitava gran interesse questa categoria fino al 2010, quando venne fuori una regola molto
interessante: ovvero la riserva era sterilizzata ai fini del calcolo del CET1, poiché c’era una
massiccia trasmigrazione della classificazione dai strumenti finanziari di trading alla categoria di
available for sale. Questo perché in entrambi i casi si calcolava la variazione di fair value, ma nel
secondo caso la differenza questa non veniva considerata nel calcolo del CET1.
Nelle passività abbiamo invece:
1. Strumenti da valutare con il fair value (passività di trading)
2. Altre passività finanziario valutate al costo ammortizzato al tasso di interesse effettivo.
(Tipicamente strumenti di raccolta)
IFRS 9
Il 12 novembre del 2009 lo IASB ha emesso l’IFRS Financial Instruments ed è stato l’inizio di un
lungo processo di transizione verso la nuova disciplina contabile degli strumenti finanziari.
Attraverso una serie di integrazioni e modifiche, la versione definitiva, applicabile, con un periodo
di phasing in) dal primo gennaio 2018, è stata emessa il 24 luglio 2014.
Le novità principali riguardano tre aspetti fondamentali:
1. Classificazione e valutazione degli strumenti finanziari
2. Il modello di impairment
3. La disciplina dell’hedge accounting
La classificazione degli strumenti finanziari IFRS 9
HOLD TO COLLECT (HTC) Costo ammortizzato (tipo hold to Conto economico: ci vanno gli
maturity) interessi ed eventuali
plusvalenze/minusvalenze
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Per quanto riguarda il passivo le categorie sono due:
- la categoria valutata al costo ammortizzato;
- la categoria valutata al fair value dove la variazione impatta direttamente su conto economico: ci
troviamo i derivati, passività finanziarie di negoziazione, passività valutate al fair value per
opzione.
C’è una eccezione, per quanto riguarda le deduzioni prudenziali: ci può essere una riduzione di
valore derivante dal rischio di credito dell’emittente, questo perché se il rischio di credito
dell’emittente diminuisce, la variazione del fair value dovuta alla rettifica della passività genererà in
contropartita una plusvalenza da valutazione che però non potrò inserire nel conto economico,
che sarebbe inquinato da un’informazione fuorviante. Questa differenza la troverò nel prospetto
della redditività complessiva.
In termini più generali, invece il principio contabile impone che una variazione delle condizioni
contrattuali che comportano una modifica del valore attuale netto dei flussi finanziari maggiore del
10 % deve essere trattato come una derecognition (chiusura della passività ed accensione di una
nuova passività). Viceversa dove la modifica del valore attuale netto dei flussi finanziari è minore
uguale al 10% ci sarà una modifica (modification) del costo ammortizzato.
In entrambi i casi gli effetti vanno rilevati al conto economico.
Queste casistiche riguardano poco le banche (a meno che non vi sia una situazione di crisi) ma
sono molto frequenti nelle altre imprese.
Tornando all’attivo […]
• Hold to Collect: gli strumenti finanziari sono classificabili come HTC e valutati al costo
ammortizzato se si verificano entrambe queste condizioni (si tratta principalmente di prestiti):
- l’obiettivo, coerente con il business model, è quello di detenere lo strumento finanziario fino a
scadenza allo scopo di incassare i flussi di cassa ad esso correlati (capitale e interesse). Si
tratta di una valutazione che ha a che fare con modo in cui ho impostato il mio modello di
business. Il modello di business di una banca ci dice cosa, come e attraverso quali risorse
effettuare determinate attività. (Originate to hold?) —> requisito soggettivo, dipende dalle
caratteristiche della banca.
- se le caratteristiche dello strumento finanziario sono quelle di un prestito, ovvero prevedono
flussi di cassa a scadenze definite che rappresentano unicamente il valore nominale e gli
interessi (solely ePayment of principale and interest test - test che serve per vedere se uno
strumento finanziario è uno strumento le cui caratteristiche intrinseche sono quelle di generare
flussi finanziari legati al rimborso del capitale). —> requisito oggettivo, dipende dalle
caratteristiche dello strumento.
Se entrambe le condizioni non sono verificate lo strumento viene classificato e valutato al Fair
Value Through Profit and Loss (FVTPL), ovvero come fosse uno strumento di trading.
• Fair value through other comprehensive income (FVTOCI): è la categoria simile a quello
definita available for sale dello IAS 39. Sono strumenti finanziari che possono essere detenuti
sia allo scopo di ricavarne i flussi di cassa correlati alla natura dello strumento ( nel senso che
soddisfano la secondo caratteristiche degli strumenti finanziari HTC) ma che, coerentemente
col business model, sono prevalentemente destinati alla negoziazione. (Originate to
distribute)
Gli strumenti finanziari FVTOCI sono valutati al fair value e le variazioni di fair value sono
contabilizzate in una riserva di patrimonio netto e nel prospetto della redditività complessiva
(comprehensive income), così come li strumenti finanziari AFS nello IAS 39.
Naturalmente, gli interesse, rettifiche di valore dovute a svalutazione di crediti e differenze su
cambi sono invece contabilizzate nel conto economico.
In questa categoria possono essere classificati anche gli strumenti di capitale che sono
inequivocabilmente e irrevocabilmente designati per finalità non di trading. ( ad esempio
compro delle azioni, non per negoziarle, ma per tenerle)
• Fair value through profit and loss (FVTPL): si tratta di una categoria residuale che accoglie
gli strumenti finanziari:
- che sono detenuti a scopo di negoziazione ( gli HFT secondo lo IAS 39)
- che non soddisfano la seconda condizione per essere classificati come HTC, non mi aspetto
flussi derivanti solo dal pagamento del capitale e degli interessi, ma dall’attività di
compravendita.
- per i quali sia stata esercitata l’opzione per la valutazione al fair value (fair value option).
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Perché scegliere di esercitare questa opzione? Non per “autolesionismo”, ma per risolvere
problemi di simmetria/omogeneità. Ad esempio se si tratta di strumenti dell’attivo o del passivo
che sono legati ad altri strumenti che fanno parte del portafoglio simmetrico: come un derivato
nel passivo da contabilizzare al fair value per forza di cose, allora contabilizzerò per scelta il
sottostante nell’attivo al fair value per ragioni di simmetria.
Per i titoli di debito pubblico, c’è un dibattito a livello europeo sul coefficiente di ponderazione del
rischio di credito dello stesso. In questo momento vale 0, cioè il debito pubblico non ha
assorbimento di capitale. Però non è del tutto vero che siano risk free, lo abbiamo visto
particolare a seguito degli avvenimenti degli ultimi anni.
Si nota dai bilanci, che nella versione previgente dei principi contabili di bilancio, in particolare nel
IAS 39, i titoli di stato fino alla crisi erano stati considerati strumenti di trading e pertanto valutati
al fair value —> held for trading, le variazioni di fair value andavano a conto economico.
Durante il periodo della crisi però sono successe due cose: 1) l’andamento del fair value era
sfavorevole e le banche dovevano scontare delle perdite a conto economico 2) lo scontavano
anche a patrimonio, nel caso di available for sale.
C’è stata una norma in quel periodo che ha previsto che se il portafoglio titoli veniva classificato
nella classe available for sale, con variazione a patrimonio, questo impatto a patrimonio non
doveva essere conteggiato ai fini del calcolo del requisiti patrimoniali.
Pertanto le banche si affrettarono a spostare i titoli di stato da held for trading ad available for
sale, in modo da sterilizzare la variazione di fair value. Questa possibilità è stata soppressa dal
2018, pertanto quasi tutte le banche hanno riclassificato i titoli di stato dal portafoglio available for
sale/FVTOCI a hold to collect —> postula che questi titoli vengano detenuti fino a scadenza.
First time adoption
Nell’esercizio che include la data di applicazione iniziale dell’IFRS 9 l’entità deve fornire le
seguenti informazioni per ciascuna classe di attività finanziarie con riferimento alla data di
applicazione iniziale:
- la categoria di valutazione originale e il valore contabile determinati secondo lo IAS 39
- la categoria di valutazione e il valore contabile nuovi determinati in conformità all’IFRS 9
- il valore a conto economico delle attività e passività finanziarie riportate che erano
precedentemente valutate al FVTPL ma che non lo sono più, distinguendo tra quelle che secondo
IFRS 9 devono essere riclassificate e quelle che l’entità sceglie di riclassificare alla data di
applicazione iniziale.
- in che modo ha applicato le disposizioni in materia di classificazione di cui all’IFRS 9 alle attività
finanziarie la cui classificazione è cambiata in seguito all’applicazione dell’IFRS 9.
- i motivi dell’eventuale designazione o non designazione delle attività o passività finanziarie come
valutati al fair value rilevato nell’utile (perdite) d’esercizio alla di applicazione iniziale
- informazioni sulle riconciliazioni contabili fra saldo di chiusura degli accantonamenti effettuati
secondo lo IAS 39 ed i saldi di apertura degli accantonamenti per perdite di valore secondo l’IFRS
9.
E’ evidente che ci sono numerosi impatti sul bilancio che derivano dalla riclassificazione degli
strumenti finanziari.
Che cosa è successo in caso di passaggio da riclassificazione da Loans and Receivables a HTC:
L’importo al 31/12/2017 (prima dell’entrata in vigore del IFRS 9) = 100
Rettifiche di valore 31/12/2017 = 40
Valore netto al 31/12/2017 = 60
La caratteristiche principale dell’IFRS 9 è che la valutazione dello strumento finanziario deve
essere fatta con un approccio forward looking (expected losses) e non backward looking (incurred
losses).
Pertanto se nel cambiamento di prospettiva noto che il fondo svalutazione crediti sono aumentate
da 40 a 50, succederà che:
Valore di bilancio IAS 31/12/2017 = 60
Utili/perdite portate a nuovo (delta rettifiche) = 10
Attività HTC al costo ammortizzato al 1/1/2018 = 50
Quindi in caso di applicazione di un principio contabile in ottica retrospettiva, i patrimoni netti di
apertura saranno diversi dai patrimoni netti di chiusura, proprio perché le regole impongono
l’applicazione del principio come se ci fosse sempre stato.
Si deve però trattare di un delta che effettivamente si è realizzato per effetto dell’applicazione
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dell’IFRS 9, non è consentita questa facilitazione nei casi in cui nel delta sia compresa la cattiva
abitudine delle perdite incurred but non reported.
Il passaggio dallo IAS 39 all’IFRS 9: una conseguenza importante
Secondo il regolamento UE n. 575/2013 le banche europee si dividono in due grandi categorie:
- banche significative: banche la cui crisi può provare un evento sistemico, involgere la stabilità
dell’intero sistema;
- banche non significative: banche la cui crisi si può risolvere senza impatti sull’intero sistema
finanziario.
Nel passaggio dallo IAS 39 all’IFRS 9, come regola generale i profitti e le perdite non realizzati
sulle attività valutate al fair value e classificate nel portafoglio AFS debbono essere
rispettivamente aggiunte e dedotti dai fondi propri.
Il regolamento CRR ha stabilito un periodo transitorio nel quale è consentito che tali componenti,
positivi e negativi, siano parzialmente inclusi o dedotti dal capitali di prima qualità o di classe 1
(CET1), secondo un approccio gradualmente crescente, per giungere all’integrale inclusione/
deduzione dal primo gennaio 2018.
Nel periodo transitorio, dal primo ottobre 2016 fino all’entrare in vigore dell’IFRS 9:
- le banche significative: inclusione o deduzione dal CET1 rispettivamente i proventi e le perdite
dei titoli di stato classificati nel portafoglio AFS nei limiti del 60% nel 2016 e del 80% nel 2018
- per le banche non significative continua ad applicarsi la discrezionalità.
Tutto questo è valido fino al 1/1/2018 perché il CRR dispone che la facoltà di sterilizzare profitti e
perdite dei titoli di stato classificati AFS ha una applicazione temporalmente limitata, ossia fino
all’adozione del principio contabile che sostituisce lo IAS 39.
Il comitato di Basilea ha proposto l’introduzione di regole transitorie destinare a rendere graduale
l’impatto della nuova normativa contabile sul patrimonio regolamentare, indicando due diversi
approcci (uno statico e uno dinamico).
In sintesi, secondo tali proposte, gli impatti contabili che derivano dalla FTA e che siano causati
solo dalla differenza fra il provisioning basato sulle perdite attese e quello basto sulle perdite
sostenute possono essere conteggiati sul patrimonio regolamentare in un periodo pluriennali,
suggerito di 5 anni. L’impatto sul patrimonio regolamentare dato dal differenziale di provisioning
viene spalmato secondo quote decrescenti: 95% nel 2018, 85% nel 2019, 70% nel 2020, 50%
nel 2021 e 25% nel 2022. Sono previsti obblighi di informativa sia verso l’autorità di vigilanza che
nei bilanci circa l’applicazione della regola nel periodo transitorio.
Escludendo, appunto come detto prima, l’eventuale shortfall di provisioning che corrisponde alle
perdite che avrebbero già dovuto essere contabilizzate secondo lo IAS 39 (incurred but not
reported).
Calcolo metodo standard nel periodo transitorio:
La maggiore perdita è data dalla somma di due componenti:
1. La differenza fra le perdite attese su crediti calcolata al 1/1/2018 e la riduzione di valore sulle
attività finanziarie secondo lo IAS 39;
2. La differenza fra le perdite su crediti calcolate secondo lo IFRS 9, alla data di riferimento del
bilancio le perdite calcolate al 1/1/2018.
Poi abbiamo un coefficiente di correzione fiscale (t) per tenere conto della deducibilità delle
perdite e il fattore (f) applicabile di anno in anno secondo quanto risposto dalla norma (dallo 0,95
nel 2018 allo 0,25 nel 2022).
IMPAIRMENT
La perdita per impairment è l’ammontare per cui il valore contabilizzato di un’attività eccede il suo
valore recuperabile.
Questa definizione è contenuta in diversi principi contabili —> IAS 16.6 - 36.6 - 38.8
A differenza dei principi contabili italiani non è richiesto che la perdita di valore abbia il requisito
della durevolezza.
Secondo lo IAS 16, il valore recuperabile è il valore più altro fra il prezzo di vendita (fair value) ed il
suo valore d’uso. Il valore d’uso è il valore attuale degli stimati flussi finanziari che ci si attende
deriveranno dall’uso continuativo di un’attività e dalla discussione alla fine della sua vita utile
(IFRS 5.A)
Secondo lo IAS 36:
- il test di impairment deve essere svolto ogni qualvolta vi ia una indicazione che un’attività ha
subito una perdita di valore e almeno una volta l’anno per tutte le attività a vita indefinita.
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- l’avviamento si può iscrivere solo se acquisito a titolo oneroso, a seguito di operazioni di
business combination under common control e una volta ridotto per perdita di valore non si può
più ripristinare il valore originario
- bisogna utilizzare criteri ben definiti per la corretta allocazione delle CGU
- bisogna essere rigorosi nella determinazione del valore attuale dei flussi di cassa con particolare
riferimento:
1. all’affabilità delle stime;
2. tassi di interesse utilizzato deve essere il più appropriato (es wacc);
3. orizzonte temporale preso in considerazione per la stima analitica del Cash Flow;
4. alla determinazione del terminal valute e del tasso di crescita g utilizzato.
Impairment —> Focus sui crediti: passaggio da approccio forward looking ad approccio
expected losses. Ne deriva una classificazione degli strumenti finanziari in 3 stage in funzione
della variazione del rischio di credito rispetto alla rilevazione iniziale. L’IFRS 9 prevede unico
modello di imprimente per tutti gli strumenti finanziari senza distinguere fra performing e non
performing, a meno che non siano classificati nel portafoglio FVTPL (ipotesi assolutamente
residuale, la quasi totalità dei crediti sono classificati HTC).
Cosa implica? Con lo IAS 39, la perdita attesa sui crediti in bonis veniva fatta attraverso la
svalutazione collettiva, ovvero una percentuale molto bassa, che in coerenza con l’approccio
contabile backward looking si basava sulle evidenze statistiche. Questo non è più consentito,
anche per i crediti in bonis devo fare delle stime sul presumibile andamento futuro e quindi sulla
perdita che dovrò sopportare.
La classificazione degli strumenti finanziari in 3 stage è cosi scomposta:
- Stage 1: crediti performing non soggetti ad una significativa variazione del rischio di credito
rispetto alla rilevazione iniziale. Al momento della rilevazione iniziale, avrò associato una
rischiosità. Se questa rischiosità non ha una variazione significativa e pertanto il creditore rispetta
le sue obbligazioni contrattuali, le rettifiche vengono effettuate sulla base della perdita attesa su di
un orizzonte temporale di 12 mesi.
Appartengono allo Stage 1 oltre ai crediti che non hanno subito variazioni significative, quelli di
nuova acquisizione e quelli per i quali la banca opta per l’applicazione della semplificazioni “low
credit risk exemption” —> esempio strumenti di debito investment grade.
- Stage 2: crediti performing che hanno subito una significativa variazione del rischio di credito
rispetto alla rilevazione iniziale. Le rettifiche verranno effettuato sulla base della perdita attesa
sull’intera vita del credito (longlife expected loss).
- Stage 3: crediti non performing. Anche in questo caso le rettifiche vengono effettuato sulla base
della perdita attesa sull’intera vita del credito.
Lo stage 3 comprende le esposizioni deteriorate che, secondo la circolare n 272 del 30 luglio
2008 (e successivi aggiornamenti) Bankitalia, sono considerate Not Performing Exposures.
In particolare, secondo l’EBA, sono not performing le esposizioni che soddisfano uno o entrambi
dei seguenti criteri:
- esposizioni materiali (con una certa consistenza numerica) scadute da più di 90 giorni;
- esposizioni per le quali la banca valuta improbabile che il debitore possa adempiere interamente
alle sue obbligazioni creditizie, senza procedere all’escussione e al realizzo delle garanzie, a
prescindere dall’esistenza di esposizioni scadute e/o sconfinanti e dal numero dei giorni di
scaduto.
Secondo la circolare 272/2008, l’aggregato delle attività deteriorate si compone delle seguenti
categorie:
1. Sofferenze: esposizioni verso clienti in stato di insolvenza, anche se non accertato
giudizialmente o in situazioni equiparabili.
2. Inadempienze probabili (unlikely to pay): esposizioni verso clienti che pur non essendo in
sofferenza è valutato improbabile che, in assenza di azioni quali l’escussioni di garanzie, il
debitore sia in grado di adempiere integralmente alle sue obbligazioni. Indipendentemente dalla
presenza di eventuali importi scaduti o non pagati.
3. Esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate: esposizioni diverse dalle due precedenti riferite,
alternativamente, al singolo debitore o alla singola esposizione, che sono scadute o sconfinate da
oltre 90 giorni.
L’arco dei 90 giorni è un arco flessibile, c’è qualche margine di discrezionalità da parte della
banca (esempio in caso di concessioni).
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Per determinare la variazione del rischio di credito occorre confrontare la situazione alla data di
rilevazione iniziale (initial recognition) con quella esistente al momento della valutazione (reporting
date).
Per calcolare la perdita attesa lungo la vita residua del finanziamento occorre prendere in
considerazione:
- variabile macroeconomiche (PIL, inflazione, disoccupazione ecc.) e andamento del ciclo
economico: prenderà in esame gli aggregati principali e valuterò se sto attraversando una fase
espansiva o recessiva del ciclo:
- statistiche di settore;
- dati andamenti storici: come reagisce il settore a seconda delle oscillazioni del ciclo economico;
- dati impresa (business plan, bilanci, situazioni contabili, ecc.): devo capire l’attuale situazione
dell’impresa e quale potrebbe essere la situazione futura, la sua evoluzione.
- rating esterni ed interni.
L’assegnazione ad uno stage rispetto all’altro non dipende dalla rischiosità in senso assoluto (in
termini di probabilità di default) ma dalla variazione del rischio, sia in senso positivo che negativo
(principio di simmetria).
La stima della probabilità di default di un credito può essere basata:
1. Su di un processo stocastico basato sulla distribuzione della probabilità allo stato corrente e
considerata come valida anche per gli stati successivi
2. Sul metodo delle curve di memoria (metodi vintage) da cui si ricava una matrice dei tassi di
default suddivisa per anzianità e classi di rating e che sulla base dei dati storici disponibili riporta il
livello dei tassi di default cumulati registrati su differenti orizzonti temporali.
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