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Capitolo secondo

Le obbligazioni contrattuali
di Francesco Sbordone

1. Premessa. Il contratto internazionale tra esigenze di certezza,


prevedibilità delle soluzioni ed uniformità di disciplina. – Tra le fat-
tispecie dotate di c.dd. elementi di «estraneità» (internazionalità) as-
sume particolare rilievo quella contrattuale. Il contratto, difatti, quale
espressione di autonomia c.d. privata – e cioè del potere delle parti
di autoregolamentare i propri interessi – costituisce lo strumento prin-
cipale per la circolazione della «ricchezza», anche di là dagli stretti
confini nazionali e dal contesto applicativo di uno specifico ordina-
mento giuridico. In altri termini, il contratto, soprattutto quando as-
solve una funzione di scambio (si pensi, ad es., alla compravendita di
beni mobili) – ma anche quando volto a realizzare forme di colla-
borazione tra imprese (si immagini una c.d. joint venture contrattuale
tra un’impresa italiana ed un’altra cinese) – è, nel contesto oramai
«globale» e non più prevalentemente domestico delle relazioni eco-
nomiche, sempre più di frequente caratterizzato da punti di contatto
con due o più ordinamenti giuridici nazionali (conflitto di leggi). Ciò
si verifica, ad es., quando le parti del contratto hanno diversa nazio-
nalità, residenza o sede, oppure quando il rapporto contrattuale e le
obbligazioni da esso nascenti devono essere eseguite in uno Stato di-
verso rispetto al luogo di conclusione e perfezionamento del contratto.
In tali circostanze il contratto assume un carattere di internazio-
nalità (contratto internazionale)1 e tendenzialmente pone le parti in
una prospettiva di particolare attenzione a quali potrebbero essere le
conseguenze sul piano giuridico della prospettata operazione econo-
mica. L’internazionalità del contratto, difatti, solleva l’interrogativo di
quale sia la disciplina da applicarsi (c.d. ius, ad es., per la validità, per
finalità integrative o sostitutive delle regole pattizie oppure in rela-
zione all’esecuzione delle prestazioni) tra quelle comprese nei diversi

1
Cfr. in generale S.M. Carbone e R. Luzzatto, Il contratto internazionale, To-
rino, 1994.
68 Capitolo II - Francesco Sbordone

ordinamenti nazionali che potenzialmente presentano dei punti di


contatto con l’operazione contrattuale (ad es., in una vendita inter-
nazionale di beni mobili, si pensi a dei tessuti acquistati da un’im-
presa italiana presso un esportatore cinese, è fuor di dubbio che il
contratto presenti in ogni caso delle connessioni con gli ordinamenti
sia italiano sia cinese) e, soprattutto, di quale sia il giudice nazionale
che possa decidere una eventuale controversia tra le parti (c.d. fo-
rum). Tali interrogativi trovano risposta nella disciplina di diritto in-
ternazionale privato e processuale specificamente dedicata alla mate-
ria contrattuale la quale, mediante l’adozione di peculiari criteri di
collegamento per l’individuazione della legge applicabile e del giudice
competente, consente alle parti, con un certo margine di sicurezza,
di poter prevedere le sorti «giuridiche» del loro contratto interna-
zionale, dalle stesse concluso o da concludersi.
In tal senso è possibile sostenere che le norme di conflitto assol-
vono la funzione di garantire certezza e prevedibilità delle soluzioni
giuridiche da adottarsi nelle ipotesi in cui tra le parti di un contratto
internazionale insorga una lite (si pensi, ad es., all’ipotesi in cui il
venditore cinese consegni all’impresa italiana acquirente dei tessuti
non conformi al campione prescelto).
Giova a tal proposito precisare che le questioni sollevate dall’in-
ternazionalità del contratto non si esauriscono nel ricorso alle norme
di conflitto mediante le quali selezionare giudice competente e legge
applicabile. Difatti, le parti contrattuali tenderebbero piuttosto che al-
l’applicazione di una specifica legge nazionale (la quale, però, po-
trebbe essere, benché prevedibile in base alla disposizione di conflitto,
poco conosciuta o familiare per uno dei soggetti) a raggiungere un’u-
niformità di disciplina, normalmente di carattere neutrale. L’esigenza
di uniformità normativa è soddisfatta, almeno parzialmente, dagli Stati
mediante l’adozione di norme sostanziali internazionalmente uniformi
(con lo strumento delle convenzioni internazionali; ad es., la Con-
venzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mo-
bili) le quali dettano una disciplina per regolare la sostanza della fat-
tispecie rendendo pressoché inutile il ricorso alle disposizioni di di-
ritto internazionale privato (salvo che per esigenze, successive, inte-
grative delle lacune normalmente presenti in tale disciplina, c.d. di di-
ritto materiale uniforme).
L’uniformità delle regole sostanziali di riferimento in relazione ad
un contratto internazionale sembra altresì potersi raggiungere per al-
Le obbligazioni contrattuali 69

tra via, incline però a sollevare delicate e controverse questioni sul


piano della teoria generale del diritto: il riferimento corre alla lex mer-
catoria, quale preteso ordinamento transnazionale autonomo rispetto
al diritto degli Stati che gli stessi operatori economici internazionali
avrebbero creato o in ragione di peculiari usi commerciali di settore
o per una sorta di «supremazia» di alcuni soggetti nel mercato tale da
consentire l’imposizione di regole non sempre condivise dalla comu-
nità di riferimento. La lex mercatoria «vive» prevalentemente (ma non
esclusivamente) nel contesto dei giudizi arbitrali commerciali interna-
zionali laddove – anche in ragione della disciplina convenzionale in
materia di arbitrato (disciplina, si badi, di origine statale; cfr. ad es., la
Convenzione di Ginevra del 1961 oppure la Convenzione di New
York del 1958) – è consentito all’arbitro, per decidere una controver-
sia tra le parti di un contratto internazionale in base ad una clausola
c.d. compromissoria, ricorrere ai principi generali del diritto interna-
zionalmente condivisi oppure, in via diretta, appunto alla lex merca-
toria. Benché non sia possibile revocare in dubbio l’effettività appli-
cativa di tale sistema di regole, i cui contenuti sono anch’essi oggetto
di vivaci discussioni, è opportuno precisare che (ma sul punto si tor-
nerà alla fine di questa trattazione) la lex mercatoria non sembra do-
tata di quei caratteri tipici di un ordinamento giuridico autonomo e
autosufficiente; tant’è che anche in sede arbitrale è frequente il riscorso,
con finalità integrative della disciplina applicabile oppure per un pre-
ventivo controllo circa la possibilità di esecuzione del lodo arbitrale,
alla legge statale (ordinamento giuridico nazionale) individuata secondo
i comuni criteri di collegamento del diritto internazionale privato.
In via del tutto generale, quindi, si può sostenere che le proble-
matiche connesse al quid iuris di un contratto internazionale e alle
esigenze delle parti di uniformità di disciplina, ma anche di prevedi-
bilità e certezza delle soluzioni, trovano risposta:
a) per quanto in questa sede più interessa, nella disciplina di di-
ritto internazionale privato e processuale la quale, mediante la posi-
zione di criteri di collegamento, consente di individuare il giudice
competente e la legge applicabile tra quelle connesse alla fattispecie
contrattuale; è opportuno osservare che, al fine di garantire l’unifor-
mità dei criteri di collegamento, la disciplina dei c.dd conflitti tra
legge è ora di frequente compresa in convenzioni internazionali op-
pure in fonti sovranazionali (ad es., per l’Unione europea mediante
regolamenti UE, oppure, ai soli fini di armonizzazione, con direttive
70 Capitolo II - Francesco Sbordone

UE); diversamente, cioè nel caso di leggi nazionali di diritto interna-


zionale privato con contenuti divergenti da quelli adottati in altri or-
dinamenti, v’è il fondato rischio di vanificare le finalità di detta di-
sciplina la quale finirebbe addirittura per complicare inutilmente il
quadro normativo di riferimento;
b) nelle convenzioni internazionali di c.d. diritto materiale uniforme
(ad es., Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale
di beni mobili) le quali pongono direttamente la disciplina sostanziale
della fattispecie, rendendo ultroneo il ricorso alla norma di conflitto;
c) in regole uniformi di derivazione autonoma (cioè create o in-
dividuate, anche per prassi e/o usi, dagli stessi soggetti che si sotto-
pongono ad esse) le quali sono spesso ricomprese nella nozione di
lex mercatoria e la cui applicazione è di frequente affidata ad arbitri
(cioè a giudici «privati» che traggono il potere di ius dicere dalla stessa
autonomia privata, mediante la stipula tra le parti di una convenzione
arbitrale oppure attraverso l’inserimento in un contratto internazio-
nale di una clausola c.d. compromissoria).
È, infine, necessario osservare che le riferite esigenze contrattuali
di uniformità di disciplina sono di frequente perseguite autonoma-
mente dagli operatori economici in campo internazionale con l’ado-
zione di particolari tecniche di redazione del contratto tendenti alla
previsione di regole negoziali molto dettagliate ed in grado di con-
templare tutti gli accadimenti possibili in fase di esecuzione delle ob-
bligazioni e di cessazione degli effetti derivanti dal contratto. In tal
modo le parti, specie nei rapporti tra imprese, tendono a neutraliz-
zare la forza integrativa delle regole normative suppletive presenti
nella legge applicabile in caso di lacune del regolamento contrattuale.
Va da sè, però, che anche in presenza di un regolamento contrattuale
particolarmente completo e articolato, le parti non potranno sottrarsi
alle regole normative di natura imperativa poste dalla legge applica-
bile in funzione di controllo eteronomo di qualsiasi manifestazione
di autonomia negoziale e contrattuale (come noto, all’esito di tale
controllo potrebbe determinarsi la nullità dell’intero contratto o di
alcune sue clausole oppure la sostituzione di una regola «pattizia»
con la corrispondente regola «normativa»; cfr., ad es., nel nostro or-
dinamento, gli artt. 1418 e 1339 c.c.).

2. Le fonti in materia di obbligazioni contrattuali: dalla Con-


venzione di Roma del 1980 al Regolamento Roma I. – La materia
Le obbligazioni contrattuali 71

dei contratti internazionali è attualmente regolata dalle norme di di-


ritto internazionale privato disposte dal Regolamento UE n. 593/2008
del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrat-
tuali (c.d. Regolamento Roma I). Il Regolamento in questione costi-
tuisce il risultato di un processo di «trasformazione» della Conven-
zione di Roma del 1980 avente identico oggetto (la Convenzione, ra-
tificata dall’Italia con l. n. 975/1984, ed entrata in vigore il 1 aprile
1991, è stata richiamata dall’art. 57 della nostra legge di riforma del
diritto internazionale privato – l. n. 218/1995) avviato in sede comu-
nitaria (cfr. c.d. «Libro Verde» COM 2002 n. 654 def. del 14 gen-
naio 2003). Tale processo di trasformazione muove da un mutato qua-
dro di riferimento in ragione del quale, nel tempo, si sono ampliate
le competenze normative della Comunità europea (ora Unione eu-
ropea) ed i suoi obiettivi (cfr. art. 81, par. 2, lettera c, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea – TFUE) diventando prioritaria
la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia al
cui interno ogni cittadino possa far valere i propri diritti in un altro
Stato membro non meno che in quello in cui risiede (in tal senso cfr.
il Trattato di Amsterdam, gli artt. 61, lett. c, 65, lettera b, Trattato
CE, il Piano d’Azione di Vienna del 1999 e Programma de L’Aja del
2001, oltre che le conclusioni del Consiglio Europeo riunito a Tam-
pere del 16 ottobre 1999)2.
La Convenzione di Roma del 1980 fu promossa in sede comuni-
taria nel 1967 al fine di predisporre una disciplina comune, nel con-
testo dell’allora Comunità economica europea (CEE), dei conflitti tra
leggi in materia contrattuale (quello convenzionale era l’unico stru-
mento possibile poiché i pregressi limiti di competenza normativa
della Comunità, ormai superati, non avrebbero consentito l’emana-
zione di una direttiva o di un regolamento in materia di diritto in-
ternazionale privato). L’uniformità della disciplina, infatti, avrebbe cer-
tamente consentito di agevolare la creazione di uno spazio econo-
mico comune, riproponendo, in un più ampio contesto, condizioni
normative simili a quelle che caratterizzano il mercato interno, favo-
rendo la libera circolazione di beni e servizi. Tra gli obiettivi più im-
mediati della Convenzione giova menzionare quello di rendere meno

2
Cfr. N. Boschiero, Verso il rinnovamento e la trasformazione della Conven-
zione di Roma: problemi generali, in Aa.Vv., Diritto internazionale privato e diritto
comunitario, a cura di P. Picone, Padova, 2004, p. 360 ss.
72 Capitolo II - Francesco Sbordone

agevole il c.d. forum shopping3 che si sostanzia nell’impiego, ad opera


delle parti del contratto (o di una di esse), di particolari tecniche volte
ad indirizzare la controversia al giudice di uno Stato la cui legisla-
zione offra il miglior esito al giudizio (ciò proprio in ragione della
diversità di disciplina di conflitto in materia contrattuale e proces-
suale negli ordinamenti nazionali collegati alla fattispecie con elementi
di estraneità).
La Convenzione di Roma presentava un carattere comunitario
quanto agli obiettivi, sebbene non fu possibile – per la mancata ra-
tifica di alcuni Protocolli integrativi da parte di numerosi Stati-parte
della Convenzione (cfr. Primo Protocollo 89/128/CEE e Secondo
Protocollo 89/129/CEE entrambi del 19 dicembre 1988) – affidare al-
l’allora Corte di Giustizia della Comunità europea (ora dell’Unione
europea) il compito di garantirne un’interpretazione uniforme nel ter-
ritorio della Comunità (diversamente da quanto accadde per la Con-
venzione di Bruxelles del 1968 in materia di competenza giurisdizio-
nale e riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile
e commerciale che per tale ragione assunse un vero e proprio carat-
tere «comunitario»)4.
La trasformazione della Convenzione di Roma del 1980 in rego-
lamento UE ha consentito il raggiungimento di precisi obiettivi di
uniformazione normativa e in particolare:
a) di comporre un quadro più completo ed organico della disci-
plina di diritto internazionale privato e processuale di fonte comuni-
taria (in questo processo si aggiungono al regolamento in esame an-
che il Regolamento UE n. 864/2007 dell’11 luglio 2007 – c.d. Roma
II – sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, il Re-
golamento UE n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010 relativo all’attua-
zione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applica-
bile al divorzio e alla separazione personale – c.d. Roma III – e il
Regolamento UE n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 – c.d. Bruxelles I
– che sostituisce la Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente

3
Cfr. F. Ferrari, Vendita internazionale tra forum shopping e diritto interna-
zionale privato: brevi note in occasione di una sentenza esemplare relativa alla con-
venzione delle Nazioni Unite del 1980, in Giur. it., 2003, p. 896 ss.
4
Cfr., per tutti, U. Villani, La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai
contratti, Bari, 1997, p. 3 ss. e T. Treves (a cura di), Verso una disciplina comunita-
ria della legge applicabile ai contratti, Padova, 1983, p. 4 ss.
Le obbligazioni contrattuali 73

la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle


decisioni in materia civile e commerciale)5;
b) di affidare in via stabile alla Corte di Giustizia dell’Unione eu-
ropea il compito di garantire l’intepretazione uniforme della disci-
plina di conflitto nello spazio comunitario;
c) di comprendere la riferita disciplina nel c.d. acquis comunitario
e cioè in quell’insieme di norme e obiettivi che devono necessaria-
mente e definitivamente essere accettate dagli Stati che vogliano, nel
c.d. processo di allargamento, entrare a far parte dell’Unione euro-
pea (viceversa, in assenza di tale trasformazione ogni nuovo Stato del-
l’Unione avrebbe dovuto procedere ad una ratifica autonoma della
Convenzione, cfr. art. 28 Conv., e ciascuno Stato già parte della stessa
della Convenzione avrebbe ben potuto sottrarsi alla sua vincolatività
sul piano internazionale con le procedure descritte agli artt. 23-31
Conv.);
d) di modificare, almeno in parte, i contenuti delle singole dispo-
sizioni di conflitto in materia contrattuale al fine di migliorare nel
suo complesso la disciplina.
Giova osservare, infine, che la trasformazione della Convenzione
di Roma del 1980 in regolamento comunitario sollecita un’ulteriore
riflessione sul tema del rinvio contenuto nell’art. 57 della l. n. 218/1995.
Come è già stato sostenuto nella trattazione della parte generale, la
legge italiana di riforma spesso richiama le convenzioni internazio-
nali di diritto internazionale privato di cui l’Italia è parte, manife-
stando così la volontà di recepirne materialmente il contenuto (c.d.
rinvio recettizio) e realizzando, quindi, una sorta di «incorporazione»
delle stesse all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. In altri ter-
mini, in ragione del riferito rinvio, la norma di origine convenzio-
nale, già presente come tale nel nostro ordinamento in virtù della ra-
tifica realizzata dallo Stato italiano, verrebbe altresì «nazionalizzata»
assumendo così una forza pari a quella della legge richiamante (nel
caso, la l. 218/1995 è una legge ordinaria). La tecnica consentirebbe
alla convenzione di operare all’interno dello Stato sia ex se (o pro-
prio vigore) sia in virtù del richiamo realizzato dalla legge di riforma,
con inevitabili riflessi circa i criteri di intepretazione da adottarsi nella
prima oppure nella seconda ipotesi. In particolare, nel caso della Con-

5
Dal 10 gennaio 2015, il Regolamento UE n. 44/2001 sarà sostituito dal testo
di rifusione contenuto nel Regolamento UE n. 1215/2012.
74 Capitolo II - Francesco Sbordone

venzione di Roma del 1980, il già complesso significato da assegnare


al richiamo operato dall’art. 57 l. n. 218/1995 è reso ancor più inde-
cifrabile dalla presenza, nel disposto normativo appena richiamato,
del termine «in ogni caso» (cioè l’art. 57 dispone che le obbligazioni
contrattuali sono regolate «in ogni caso» dalla Convenzione di Roma
del 1980). L’intensità del rinvio alla Convenzione, desumibile proprio
dal richiamo «in ogni caso», avrebbe per alcuni il significato di esten-
dere il campo di applicazione della disciplina di conflitto in materia
contrattuale ad ipotesi che la Convenzione proprio vigore non avrebbe
contemplato; per altri, invece, il termine «in ogni caso» avrebbe un
mero significato didascalico/pedagocico ma nulla aggiungerebbe alla
portata delle disposizioni convenzionali6. La questione è ovviamente
resa ancor più complessa dalla circostanza per la quale la Conven-
zione di Roma, richiamata espressamente dall’art. 57, si è ormai «tra-
sformata» nel Regolamento UE Roma I. La trasformazione, però,
non sembra aver inciso sulla portata del rinvio il quale può pacifica-
mente essere inteso come comprensivo delle modificazioni o sostitu-
zioni delle convenzioni (richiamate dalla legge di riforma del diritto
internazionale privato) e quindi riferirsi anche al regolamento in que-
stione (cfr., altresí, art. 24 Reg. cit.); fermo restando che, in virtù del
principio del primato del diritto comunitario (diritto dell’UE), la
norma interna contrastante con una norma UE deve essere disappli-
cata dal giudice interno in favore di quest’ultima se direttamente ap-
plicabile (cfr., per prima, Corte cost. 8 giugno 1984 n. 170).

3. Ambito di applicazione materiale del Regolamento Roma I. –


Il Regolamento Roma I, all’art. 1, comma 1, definisce il proprio campo
di applicazione materiale; esso si applica, «in circostanze che com-
portino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia
civile e commerciale». La precisazione di cosa debba intendersi per
«obbligazioni contrattuali» in materia «civile e commerciale» che im-
plicano un «conflitto di leggi» non può che essere condotta, in sede
interpretativa e di qualificazione, tenendo in debito conto della com-
plessiva posizione del regolamento e delle sue finalità nel contesto
delle fonti interne e comunitarie. In particolare occorrerà riferirsi non
soltanto alle nozioni desumibili dal nostro ordinamento (lex fori) ma

6
Cfr. P. Picone, La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova,
1998, p. 132 ss.
Le obbligazioni contrattuali 75

anche e soprattutto ai corrispondenti concetti assunti dal legislatore


comunitario allo scopo di uniformare le norme di conflitto (che di
frequente sono esplicitati dalla giurisprudenza della Corte di Giusti-
zia dell’Unione europea). Si tratta, pertanto, di operare una «qualifi-
cazione autonoma» dei termini tecnici impiegati nel regolamento che,
tendenzialmente, assicuri uniformità applicativa alla norma comuni-
taria. Per tali ragioni, si può ritenere che il campo di applicazione del
regolamento sia quello dell’intera materia contrattuale (salvo le espresse
esclusioni di cui all’art. 1, commi 1 – ultimo capoverso – e 2) inten-
dendo quest’ultima comprensiva di qualsiasi manifestazione di auto-
nomia privata negoziale e contrattuale foriera di effetti giuridici di
natura reale/obbligatoria assunti liberamente dalle parti e con elementi
di estraneità (i.e. di internazionalità)7.
Sotto il vigore della Convenzione di Roma del 1980 (prima, cioè,
che venisse trasformata in regolamento comunitario, assumendo così
anche contenuti normativi nuovi) si discuteva circa la possibilità di
comprendere nel campo applicativo oggettivo della disciplina anche
le ipotesi di responsabilità c.d. precontrattuale derivante, almeno nel
nostro ordinamento (cfr. art. 1337 c.c.), da un comportamento con-
trario a buona fede tenuto da una delle parti nel contesto delle trat-
tative contrattuali. Gli argomenti a sostegno dell’inclusione del feno-
meno nell’ambito di applicazione della disciplina di conflitto di cui
alla Convenzione di Roma erano da ricercarsi nella peculiare natura
assegnata da alcuni a tale forma di responsabilità: essa – prescindendo
dalla circostanza che le trattative si fossero concluse o meno con la
stipulazione del contratto – si caratterizzava per la violazione non
tanto del principio generale del neminem ledere (il che avrebbe ri-
condotto l’ipotesi nell’alveo della responsabilità c.d. aquiliana o ex-
tracontrattuale; cfr., ad es., art. 2043 c.c.) bensí di un dovere/obbligo
di buona fede, relativo e specifico, tale da attrarre l’ipotesi nel campo
della più ampia responsabilità contrattuale (cfr., ad es., art. 1218 c.c.)
e quindi nel naturale ambito di applicazione della disciplina di con-
flitto in materia contrattuale. La questione è attualmente superata dalla
nuova formulazione dell’art. 1, comma 2, lett. i, del Regolamento
Roma I, che espressamente esclude la responsabilità precontrattuale

7
Cfr. B. Ubertazzi, Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbliga-
zioni contrattuali, Milano, 2008, passim.
76 Capitolo II - Francesco Sbordone

dall’ambito applicativo del regolamento, in coerenza con la sua in-


clusione nel Regolamento Roma II sulla legge applicabile alle obbli-
gazioni extracontrattuali (per le quali si rinvia al cap. III)8.
Sollecita maggiori dubbi e riflessioni la prospettata inclusione nella
disciplina di conflitto di cui al Regolamento Roma I delle obbliga-
zioni derivanti da negozi unilaterali. In linea di principio, per un ne-
gozio unilaterale con elementi di estraneità fonte di obbligazioni non
si potrebbe ricorrere alla disciplina di conflitto disposta dal Reg. cit.,
poiché obbligazioni di fonte non contrattuale; tant’è che la legge ita-
liana di riforma del diritto internazionale privato (l. n. 218/1995) in-
clude nel Capo XI, dedicato alle obbligazioni non contrattuali, un
articolo specifico per la fattispecie della promessa unilaterale (art. 58;
per cui la promessa unilaterale, quale tipica e più frequente manife-
stazione di negozio unilaterale, è regolata dalla legge dello Stato in
cui viene manifestata). Ciò premesso, sembrerebbe confermarsi l’idea
per la quale qualsiasi manifestazione unilaterale di volontà idonea a
produrre effetti giuridici regolativi degli interessi del dichiarante an-
drebbe piuttosto ricompresa in quest’ultima specifica disciplina di con-
flitto (art. 58, l. n. 218/1995). Giova, però, osservare che la varietà e
la consistenza del fenomeno – tali da porre in alcune circostanze il
negozio unilaterale addirittura in posizione di fungibilità con il con-
tratto – potrebbero consigliare il ricorso alle norme di conflitto di
cui al Regolamento Roma I.
La sussistenza del conflitto di leggi, quale condizione di applica-
bilità della disciplina in esame, non sembra suscitare particolari ed ul-
teriori riflessioni, di natura interpretativa, rispetto a quanto già evi-
denziato in via generale nella prima parte del presente lavoro; fatta
salva l’ipotesi in cui il contratto, pur oggettivamente «domestico» (cioè
non collegato con due o più ordinamenti e, quindi, apparentemente
privo di elementi di estraneità), presenti una clausola di c.d. scelta
della legge applicabile (pactum de lege utenda/ferenda; professio ju-
ris; electio juris v. art. 3, n. 3, Regolamento Roma I). In questo caso

8
V. P. Bertoli, Criteri di giurisdizione e legge applicabile in tema di responsa-
bilità precontrattuale alla luce della sentenza «Fonderie meccaniche Tacconi», in Riv.
dir. int. priv. e proc., 2003, p. 109 ss. e il più recente Id., La definizione dell’ambito
di applicazione del regolamento Roma I: criteri generali e responsabilità precontrat-
tuale, in Aa.Vv. (a cura di N. Boschiero), La nuova disciplina comunitaria della
legge applicabile ai contratti (Roma I), Torino, 2009, p. 227 ss.
Le obbligazioni contrattuali 77

si sostiene che il contratto, oggettivamente «interno» (cioè colloca-


bile, in senso ideale, nella sfera di applicazione di un solo ordina-
mento giuridico nazionale), diventerebbe internazionale (e cioè atti-
verebbe un conflitto di leggi) per il mero fatto che le parti abbiano
deciso di sottoporlo alla disciplina di una legge-terza (straniera) ri-
spetto all’ordinamento di riferimento (apponendo al contratto stesso
un clausola di scelta; ad es., «il presente contratto è regolato, quanto
al suo perfezionamento e alla sua validità ed esecuzione, dalla legge
olandese»). La prospettiva, sebbene apparentemente afflitta da un vi-
zio logico (come potrebbe scegliersi la legge applicabile, ex art. 3 Reg.
Roma I, se il contratto, oggettivamente valutato, non solleva un con-
flitto di leggi e non rientra nell’ambito applicativo del regolamento
stesso?), è reputata ammissibile nel tentativo di valorizzare ulterior-
mente l’autonomia privata in ambito internazional-privatistico e di
essa vi è traccia nell’art. 3, n. 3, Reg. cit. Quest’ultima disposizione,
infatti, prevede che, qualora tutti gli altri elementi pertinenti al con-
tratto siano ubicati, nel momento in cui si opera la scelta, «in un
paese diverso da quallo la cui legge è stata scelta, la scelta effettuata
dalle parti fa salva l’applicazione delle disposizioni alle quali la legge
di tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente».
In altri termini, la volontà delle parti di applicare al loro contratto
domestico una legge straniera consentirebbe di assegnare a quest’ul-
timo il carattere dell’internazionalità (contratto con elementi di estra-
neità/internazionalità).
La soluzione è, tra l’altro, spiegata nella Relazione Giuliano-La-
garde sulla Convenzione di Roma del 1980 in termini di accettazione
dell’opinione per la quale anche per un contratto oggettivamente do-
mestico potrebbe risultare giustificata la scelta di una legge regola-
trice straniera quando fatta in buona fede ed «atta a soddisfare inte-
ressi degni di tutela»9.
Resta, infine, inteso che la «materia civile e commerciale» alla quale
fa riferimento l’art. 1, comma 1, Reg. cit. debba essere intepretata nel
senso che le norme di conflitto disposte nella disciplina in esame si
applicano alla materia contrattuale laddove le parti siano soggetti, an-
che di natura pubblica, che operano in posizione di parità (inter pa-

9
M. Giuliano e P. Lagarde, Relazione sulla Convenzione relativa alla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali, in T. Treves (a cura di), Verso una disci-
plina comunitaria della legge applicabile ai contratti, cit., p. 380.
78 Capitolo II - Francesco Sbordone

res) secondo il modulo tipico dell’agire privato negoziale (e quindi


anche alle ipotesi in cui parte di un contratto sia un ente pubblico o
una pubblica amministrazione, purché agisca iure privatorum).
Per l’art. 1, commi 1, ultima parte, e 2, Reg. cit., sono esclusi dal
campo di applicazione della disciplina le questioni di stato e di ca-
pacità delle persone fisiche, le obbligazioni derivanti da rapporti di
famiglia, le obbligazioni alimentari, le obbligazioni derivanti da re-
gimi patrimoniali tra coniugi nonché dalle successioni, i compromessi,
le clausole compromissorie e le convenzioni sul foro competente, le
obbligazioni derivanti da cambiali, assegni, vaglia cambiari e altri stru-
menti negoziabili, le obbligazioni derivanti da trattative precontrat-
tuali, i contratti di assicurazione di cui alla lettera j) dell’art. 1, comma
2, Reg. cit. Sono altresì esclusi dall’applicazione della disciplina in
esame le materie fiscali, doganali e amministrative relative ai contratti
internazionali, le questioni inerenti al diritto delle società, associazioni
e persone giuridiche in generale, la costituzione di trust e i relativi
rapporti, le questioni relative alle prove e alle procedure.
Giova in ultimo precisare che la legge richiamata dai criteri di col-
legamento contemplati dalla disciplina potrà essere quella di uno Stato
qualsiasi e non necessariamente quella di uno Stato membro dell’U.E.
Sotto questo profilo, il Regolamento Roma I (così come la previ-
gente Convenzione di Roma) manifesta un carattere c.d. universale,
nel senso che – anche in una prospettiva di «apertura» internazionale
e di parità e riconoscimento delle leggi di altri paesi – esso non li-
mita la possibilità del richiamo internazionalprivatistico alle sole leggi
degli Stati dell’U.E.
Dal riferito carattere universale non deve però desumersi un più
ampio ambito applicativo, nello spazio, del Regolamento stesso: le
norme di conflitto in esame, difatti, sono pur sempre destinate ad es-
sere applicate da un giudice di uno Stato membro fornito dei c.dd.
titoli di giurisdizione (e cioè della competenza, secondo la disciplina
interna e di derivazione comunitaria – ad es. Regolamento Bruxelles
I n. 44/2001 – a conoscere della lite a carattere internazionale). Ciò
significa, ad es., che in una controversia tra un’impresa italiana (quindi
soggetta alla disciplina di diritto internazionale privato e processuale
italiana e comunitaria) ed un’impresa cinese (soggetta a disposizioni
extracomunitarie) avente per oggetto l’esecuzione di un contratto di
fornitura di prodotti tessili non è detto che il giudice italiano abbia
giurisdizione e quindi possano venire in conto i criteri di collega-
Le obbligazioni contrattuali 79

mento posti dal Regolamento Roma I. Potrebbe darsi, difatti, che sia
competente il giudice cinese il quale individuerà la legge applicabile
secondo le proprie norme di conflitto interne. Per tali ragioni, che
attengono in primis al profilo giurisdizionale, tra alcuni Stati U.E. e
altri paesi extracomunitari spesso si stipulano delle convenzioni bila-
terali volte ad evitare un conflitto tra giudicati (nell’esempio appena
proposto, ciò si verificherebbe qualora l’impresa italiana ottenesse un
provvedimento a lei favorevole dinanzi al giudice italiano e altret-
tanto facesse, in Cina, l’impresa cinese) prevedendo criteri di giuri-
sdizione univoci, oppure stabilendo quali siano i criteri che sovrin-
tendono al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di natura giu-
diziale. La problematica appena evidenziata – che ovviamente non
comprende le ipotesi in cui la controversia sia connessa in via esclu-
siva al territorio dell’U.E. (intracomunitaria) pur coinvolgendo giu-
dici di diversi Stati membri – determina, nella prassi contrattuale, il
ricorso all’arbitrato commerciale internazionale, quale organo di giu-
stizia c.d. «privata». Difatti, le parti di un contratto internazionale
connesso a leggi di paesi extracomunitari, proprio per scongiurare
complesse questioni di giurisdizione statale (non sempre risolvibili,
come avviene nel contesto U.E., da norme uniformi), si affidano (me-
diante una convenzione arbitrale oppure una clausola compromisso-
ria) ad istituzioni arbitrali prestigiose sul piano internazionale per
comporre, con l’emissione di un lodo arbitrale di valore analogo ad
una sentenza, l’eventuale controversia relativa al contratto concluso
(ad es., nei rapporti commerciali tra imprese italiane e cinesi è fre-
quente il ricorso alla C.I.E.T.A.C., China International Economic and
Trade Arbitration Commission, ma anche alla Camera di Commer-
cio Internazionale – in sigla I.C.C., sede di Parigi o di Roma): di-
versamente, rischierebbero di trovarsi o esposte a tutte le incertezze
circa l’individuazione del giudice competente (forum) e della legge
applicabile (ius) oppure addirittura sprovviste di tutela in relazione al
rapporto controverso.

4. Natura e funzioni del c.d. pactum del lege utenda. Differenza


tra kollisionrechtliche e materiellrechtliche Verweisung. – Il crite-
rio di collegamento principale nella materia contrattuale è costituito
dalla c.d. scelta della legge applicabile (pactum de lege utenda/ferenda;
electio/professio juris; lex voluntatis; optio legis; cfr. art. 3 Reg. Roma
I), in ragione della quale il contratto «è disciplinato dalla legge scelta
80 Capitolo II - Francesco Sbordone

dalle parti. La scelta è espressa o risulta chiaramente dalle disposi-


zioni del contratto o dalle circostanze del caso. Le parti possono de-
signare la legge applicabile a tutto il contratto ovvero a una parte sol-
tanto di esso» (art. 3, comma 1, Reg. cit.). Il potere delle parti di sce-
gliere la legge regolatrice del contratto era già previsto sotto il vigore
della Convenzione di Roma del 1980 (sempre all’art. 3) ma, ancor
prima, in via indiretta (poiché veniva fatta salva, rispetto ai criteri og-
gettivi delineati, la «diversa volontà delle parti»), dalle c.dd. disposi-
zioni preliminari al codice civile (disposizioni sulla legge in generale,
sub art. 25, oramai abrogato dalla l. n. 218/1995, secondo cui «le ob-
bligazioni che nascono da contratto sono regolate dalla legge nazio-
nale dei contraenti, se è comune; altrimenti da quella del luogo nel
quale il contratto è stato conchiuso. È salva in ogni caso la diversa
volontà delle parti»)10.
Il pactum de lege utenda è considerato espressione della peculiare
autonomia, c.d. internazionale, riconosciuta ai «privati» dalla gran
parte degli ordinamenti statali, nella loro dimensione interna oppure
nella loro proiezione internazionale, al punto tale da essere spesso
percepita come espressiva di un principio internazionalmente condi-
viso (principio di autonomia internazional-privatistica dei contraenti
oppure principio dell’autonomia delle volontà).
Le origini di tale principio appaiono molto risalenti (riferimenti
nelle opere di Bartolomeo da Saliceto, di Rocco Curzio nel XV se-
colo, del Dumoulin nel XVI secolo, ma anche di Grozio). Esso sem-
bra sorgere quale alternativa più opportuna all’utilizzo dei criteri di
collegamento oggettivi di più intenso impiego: la lex loci contractus
(legge del luogo di conclusione del contratto) e la lex loci solutionis
(legge del luogo in cui il contratto deve essere eseguito). Le ragioni
di tale sviluppo sono da ricercarsi, da un lato, nella correlativa espan-
sione dell’autonomia della volontà sul piano sostanziale quale garan-
zia del soggetto rispetto ai poteri sovrani (come noto, il concetto di

10
Sul tema cfr. G. Carella, Autonomia della volontà e scelta di legge nel di-
ritto internazionale privato, Bari, 1999, p. 12 ss. e ivi ulteriori riferimenti bibliogra-
fici; Y. Nishitani, Mancini e l’autonomia della volontà nel diritto internazionale pri-
vato, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2001, p. 30 ss.; L. Ranouil, L’autonomie de la
volonté: naissance et évolution d’un concept, Paris, 1980, p. 13 ss. Sia consentito il
rinvio a F. Sbordone, La «scelta» della legge applicabile al contratto, Napoli, 2003.
Da ultimo, N. Posenato, Autonomia della volontà e scelta della legge applicabile ai
contratti nei sistemi giuridici latino-americani, Padova, 2010.
Le obbligazioni contrattuali 81

volontà e di autonomia dei soggetti privati è stato funzionalmente


ampliato in adesione al noto principio, di matrice borghese e liberi-
sta, del laissez faire, laissez passer); dall’altro, nella considerazione per
cui l’utilizzo dei criteri di collegamento oggettivi appena segnalati non
poteva far escludere che le parti, orientando a priori e a proprio pia-
cimento il luogo di perfezionamento oppure di esecuzione del con-
tratto, finivano di fatto per scegliere la legge regolatrice del contratto.
Giova segnalare che negli ordinamenti di area common law, piutto-
sto che ricorrere alla lex voluntatis oppure alla lex loci contractus e
alla lex loci solutionis, si preferiva affidare al giudice investito della
controversia il compito di individuare, con un certo margine di di-
screzionalità, la legge regolatrice del contratto secondo il principio
del collegamento più intenso/più appropriato con un dato ordina-
mento (c.d. proper law of contract di cui, oggi, vi è sicuro riferimento
nella nozione di «collegamento più stretto», most relevant relation-
ship, di cui all’art. 4 Reg. Roma I).
Particolarmente complessa l’analisi volta a definire la natura e le
funzioni ascrivibili al pactum de lege ferenda. Quest’ultimo, piutto-
sto che rappresentare esclusivamente un mero fatto giuridico oppure
un atto giuridico in senso stretto – come sostenuto in ossequio ad
un tradizionale modo di concepire i criteri di collegamento presenti
nella disciplina internazionalprivatistica (ed anche, quindi nell’art. 3
Reg. Roma I) – si colloca nel contesto delle esplicazioni negoziali
(negozio giuridico) di autonomia privata, intesa quest’ultima come
nozione unitaria la quale presenta la medesima essenza sia nelle sue
manifestazioni interne o domestiche sia in quelle c.dd. internazionali.
In questa direzione è apparsa riduttiva l’opinione tesa ad ascrivere
agli accordi designativi della legge regolatrice del contratto la rile-
vanza del mero fatto giuridico11. Secondo tale orientamento, l’accordo

11
Cfr. T. Perassi, Sull’autonomia dei contraenti, in Scritti giuridici, II, Milano,
1958, p. 173 ss.; Id., Legge regolatrice dei contratti e volontà delle parti, in Scritti
giuridici, II, Milano, 1958, p. 199 ss. il quale afferma che la designazione autonoma
della legge applicabile costituisce un mero fatto, ma al contempo (in ciò evidenziando
le più volte rilevate incertezze ricostruttive) rappresenta il potere giuridico (esplica-
zione di autonomia) dei contraenti di determinare, con il loro accordo, il contenuto
del rapporto giuridico posto in essere con il contratto. V., altresì, R. Ago, Teoria
del diritto internazionale privato, Padova, 1934, p. 192 ss.; G. Morelli, Nozioni di
diritto internazionale, Padova, 1967, p. 58, 59, secondo cui l’istituto in esame è un
criterio di collegamento oggettivo (ma non territoriale): la «volontà delle parti in
82 Capitolo II - Francesco Sbordone

– deputato alla mera localizzazione della fattispecie contrattuale, (ne-


cessariamente compresente alla medesima, nel senso di manifestarsi
come clausola non autonoma del contratto al quale la scelta si rife-
risce) – sarebbe inidoneo a rappresentare un qualsivoglia tentativo di
autoregolamentazione di interessi e costituirebbe l’espressione di un’au-
tonomia di diritto internazionale privato a carattere meramente «for-
male» (diversa cioè, nelle funzioni assolte, dalla corrispondente no-
zione, sul piano interno, di autonomia privata «sostanziale»). Il po-
tere di scegliere la legge applicabile al contratto è inteso, pertanto, da
una parte della dottrina12, come una sorta di rechtliche Macht, di po-
tere delegato dall’ordinamento ai privati al precipuo scopo di attuare
l’interesse, di pertinenza esclusiva dello Stato, alla risoluzione di un
conflitto tra leggi (laddove i «privati» si limiterebbero ad indicare il
«luogo», tra i tanti potenzialmente identificabili in virtù di diversi
points de rattachement oggettivi, con il quale il contratto si presenta
collegato). Più specificamente, per l’opinione rappresentata, la scelta
della legge applicabile manifesterebbe la consistenza di un mero fatto
giuridico, al pari di qualsiasi altro criterio di collegamento, poiché as-
solverebbe un’esclusiva funzione conflittuale, estranea alla tutela e al-
l’autoregolamentazione degli interessi delle parti. L’effetto di «ri-
chiamo»/»rinvio» tipico della norma di d.i. privato, pertanto, conse-
guirebbe alla mera sussistenza del fatto-scelta, indipendentemente dal
contenuto di quest’ultima (come per i fatti e gli atti giuridici in senso
stretto13) e diversamente da quanto si verifica nel fenomeno negoziale

quanto criterio di collegamento, essendo contemplata, non già da una norma mate-
riale, ma da una norma di diritto internazionale privato, non è esercizio di autono-
mia». Cfr., inoltre, E. Betti, Problematica del diritto internazionale, Milano, 1956,
p. 479 ss.; Id., Autonomia privata e competenza della «lex loci actus» nelle obbliga-
zioni civili e commerciali, in Riv. dir. int., 1930, p. 14, il quale sostiene che le parti,
nell’indicare la legge regolatrice del contratto, si limitano a porre in essere «il pre-
supposto di fatto, cui la norma, ed essa sola, provvede a ricollegare effetti giuridici».
In generale, v. E. Vitta, Diritto internazionale privato, III, Torino, 1975, p. 238; G.
Carella, Autonomia della volontà e scelta di legge nel diritto internazionale pri-
vato, Bari, 1999, p. 36 ss. e ivi ulteriori indicazioni bibliografiche.
12
Cfr. E. Betti, o.u.c., p. 15, il quale sostiene che, in presenza di una norma che
«espressamente» consenta alle parti di scegliere la legge, la designazione autonoma co-
stituisce l’esercizio di un ufficio delegato ai privati dall’ordinamento cui appartiene la
norma di diritto internazionale (sebbene tale «abdicazione», di un «compito suo spe-
cifico ed esclusivo», si manifesti «poco conforme alla dignità del legislatore»).
13
Il punto identifica una delle questioni più dibattute dalla dottrina nel tenta-
Le obbligazioni contrattuali 83

(ove si assiste a una variazione concomitante tra l’effetto giuridico ed


il contenuto dispositivo del fatto giuridico).
Gli accordi designativi della legge regolatrice, diversamente da
quanto appena rappresentato, sembrano invece assolvere una precisa
funzione di autosistemazione degli interessi delle parti, e non soltanto
di attuazione dell’interesse generale dell’ordinamento alla risoluzione
di un conflitto tra leggi. Alcuni fenomeni tipici del commercio in-
ternazionale, quali il c.d. forum shopping (di cui si è accennato in pre-
cedenza), ovvero il depeçage (disciplinato all’art. 3 Reg. Roma I, in
virtù del quale le parti possono designare la legge applicabile all’in-
tero contratto, ovvero ad una parte soltanto del medesimo, come la
fase esecutiva oppure la fase delle trattative14), impongono, al contra-
rio, di reputare ben presente nella realtà dei traffici transnazionali un
interesse dei «privati» a scegliere la legge applicabile al contratto.
I privati, in realtà, non sempre sono dei «profani del diritto si da
apparire loro sconosciuta la questione dei rapporti tra ordinamenti
giuridici»; anzi, si sostiene, suddetta affermazione sarebbe «troppo re-
cisa, in quanto, specialmente nel caso di imprese le quali operano in
campo internazionale, queste, per lo più, hanno a loro disposizione
uffici legali idonei a renderle edotte del problema ed a suggerir loro

tivo di procedere alla classificazione degli atti giuridici. È opportuno rammentare


che, secondo l’opinione tuttora dominante, il tratto distintivo tra l’atto negoziale e
quello c.d. in senso stretto non sembra risiedere nella diversa rilevanza del volere
(cfr. in generale i lavori di G. Mirabelli, L’atto non negoziale nel diritto privato
italiano, Napoli, 1955, passim e di V.M. Trimarchi, Atto giuridico e negozio giuri-
dico, Milano, 1940, passim), bensì nella diversità degli effetti da questi prodotti; lad-
dove per il primo, a differenza che per il secondo, gli effetti avrebbero una portata
comunque «innovativa» della realtà giuridica preesistente (così V. Panuccio, Le di-
chiarazioni non negoziali di volontà, Milano, 1966, p. 321 ss. e p. 16, nota 29, per
una esauriente bibliografia in argomento; v., altresì, ma di contrario avviso, S. Pu-
gliatti e A. Falzea, I fatti giuridici, con prefazione di N. Irti, La scuola di Mes-
sina in un libro sui fatti giuridici, Milano, 1996, p. 4 s.).
14
Cfr. C. Von Bar, Abtretung und Legalzession im neuen Deutschen Interna-
tionalen Privatrecht, in Rabel’s Zeitschr., 1989, p. 462 ss.; W.L.M. Reese, Depeçage:
A Common Phenomenon in Choise of Law, in Columbia L. Rev., 1973, p. 58 ss.
In giurisprudenza v. Cass., 25 maggio 1985, n. 3209, in Riv. dir. int. priv. proc., 1986,
p. 658 ss. Osservano M. Giuliano e P. Lagarde, Relazione sulla Convenzione re-
lativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in T. Treves (a cura di),
cit., p. 378, che «in caso di frazionamento le scelta deve essere coerente, deve cioè
riguardare quegli elementi del contratto che possono essere disciplinati da leggi di-
verse senza dar luogo a risultati contraddittori».
84 Capitolo II - Francesco Sbordone

come risolverlo»15. L’interesse delle parti alla scelta della legge appli-
cabile alla fattispecie contrattuale, può essere, quindi, così precisato:
a) un interesse delle parti ad evitare che si possano verificare dubbi
o incertezze circa l’individuazione della legge in ragione dell’applica-
zione di altri criteri di collegamento16; b) un interesse delle parti a
scegliere la legge la quale consenta loro, con riferimento agli interessi
evidenziati nel contratto, di realizzarli in maniera reputata dalle stesse
più efficiente o, comunque, più soddisfacente, in grado cioè di assi-
curare loro una migliore tutela17; c) un possibile interesse a selezio-
nare una legge «neutrale», inidonea ad avvantaggiare una delle parti
(ad es., perché più «familiare» per una di esse).
Evidente, sotto questo profilo, la posizione di strumentalità di sif-
fatti interessi rispetto a quelli racchiusi nella causa del contratto al
quale la designazione si riferisce: l’interesse alla scelta della legge ap-
plicabile non sembra percepibile se non unitamente all’autosistema-
zione di interessi e al programma realizzativo di questi ultimi rap-
presentato nel contratto internazionale.
È il caso di ribadire, altresì, che il potere di scelta della legge ap-
plicabile (c.d. kollisionrechtliche Verweisung) si distingue decisamente
dal potere di predisporre il contenuto contrattuale attraverso l’appo-
sizione al contratto di una clausola che recepisce al suo interno la di-
sciplina dettata dalla legge richiamata (determinazione del contenuto

15
Così E. Vitta, Diritto internazionale privato, III, cit., p. 254.
16
Sulla c.d. «funzione preventiva» o di «profilassi» cfr. O. Kahn Freund, Ge-
neral Problems of Private International Law, Leyden, 1976, p. 195 ss.; da tale fun-
zione, inoltre, discenderebbe la priorità dell’electio iuris rispetto ad altri criteri di col-
legamento disciplinati, nel sistema previgente, dall’art. 25 disp. prel. c.c. (così Cass.,
3 agosto 1968, n. 2795, in Riv. dir. int. priv. proc., 1969, p. 777 ss.); nella attuale di-
sciplina, viceversa, il riferito carattere di prevalenza non sembra più potersi revocare
in dubbio.
17
Riconosce la presenza di tale interesse, non soltanto quella parte della dottrina
alla quale si deve la configurazione originaria della c.d. «autonomia della volontà»
ma anche la rara giurisprudenza che si è occupata dell’istituto in esame. Rileva, di-
fatti, Cass., 30 aprile 1969, n. 1409, in Riv. dir. int. priv. proc., 1970, p. 332 ss., che
«il contratto può essere meglio disciplinato dalla legge che le parti hanno scelto, in
relazione alle concrete peculiarità del caso». Per Cass., 27 marzo 1996, n. 2756, in
Foro it., 1996, I, p. 2427 ss., in tema di individuazione della legge regolatrice dei rap-
porti di lavoro sorti in Italia, fra soggetti di cittadinanza italiana, ed eseguiti all’e-
stero, si attribuisce «rilievo prevalente alla volontà delle parti stipulanti di scegliere
la legge ritenuta più idonea per il regolamento dei rispettivi rapporti contrattuali».
Le obbligazioni contrattuali 85

del contratto per relationem; c.d. materiellrechtliche Verweisung). In


quest’ultimo caso, le parti evidenziano degli interessi e ne prospet-
tano un programma realizzativo, il quale conforma la regola di com-
portamento attribuendole un contenuto del medesimo tenore lette-
rale della legge richiamata. Al contrario, nello scegliere la legge ap-
plicabile al contratto, le parti non hanno di mira la predisposizione
di una regola pattizia in funzione di autosistemazione di interessi,
bensì hanno interesse a che l’intero contratto sia soggetto alla valu-
tazione della legge prescelta18.
In altri termini, qualora le parti si limitino a richiamare all’interno
del loro contratto una o più disposizioni normative riferibili ad un
dato ordinamento giuridico (ad es., una clausola del contratto rinvia
all’art. 342 del BGB), con molta probabilità (ma ciò dipenderà dal-
l’interpretazione della volontà delle parti fatta dal giudice19) avranno
inteso procedere ad una mera «recezione negoziale» del contenuto
della disposizione (in tal modo trasformando una regola «normativa»
in regole «pattizia») e non ad una effettiva scelta internazionalpriva-
tistica della legge applicabile ex art. 3 Reg. cit. Sul piano operativo,
la differenza più evidente tra le due ipotesi – di scelta effettiva della
legge applicabile (kollisionrechtliche Verweisung) oppure di mera re-
cezione negoziale (materiellrechtliche Verweisung) – è data dalla cir-
costanza che mentre nel primo caso il giudice investito della contro-
versia dovrà applicare la legge scelta dalle parti, nel secondo dovrà,
nonostante la recezione negoziale operata dalle parti, ricorrere ad al-
tri criteri di collegamento (in particolare, l’art. 4 del Reg. cit., c.d.
«collegamento più stretto», su cui infra) per individuare la legge re-
golatrice.
Dalle considerazioni fin qui emerse appare del tutto plausibile ri-

18
V. E. Zitelmann, Internationals Privatrecht, I, Lipsia, 1897, p. 270 ss. e E.
Frankestein, Internationals Privatrecht, I, Berlino, 1929, p. 164 ss.
19
La distinzione tra le due ipotesi, del vero e proprio pactum de lege utenda o
della recezione negoziale di una legge straniera, rileva anche sotto il profilo erme-
neutico. Secondo alcuni, difatti, la prima imporrebbe un’interpretazione della legge
«secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo» (v. art., 15,
l. n. 218 del 1995), mentre la seconda, attribuendo al contenuto della legge il valore
di mero patto, sarebbe governata dai criteri ermeneutici dettati dalla legge straniera
aliunde definita per la materia contrattuale. Cfr., in generale, N. Boschiero, in S.
Bariatti (a cura di), Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l.
31 maggio 1995, n. 218), sub art. 15, in Nuove leggi civ. comm., 1996, p. 1043 ss.
86 Capitolo II - Francesco Sbordone

conoscere alla designazione della legge applicabile la funzione di rap-


presentare, sul piano giuridico, l’autosistemazione dei descritti inte-
ressi, aggiunti e strumentali rispetto a quelli finali, ricompresi nella
causa del contratto al quale la designazione stessa si riferisce. In tal
senso non appare incauto reputare che, proprio in ragione di siffatta
funzione, la scelta della legge costituisca una peculiare manifestazione
di autonomia privata. Quest’ultima va intesa in senso unitario poi-
ché, nonostante le sue possibili diverse modalità di estrinsecazione, si
traduce costantemente, sotto il profilo funzionale, in un’autoregola-
mentazione di interessi. La scelta della legge applicabile, pertanto,
lungi dal costituire una manifestazione di autonomia di diritto inter-
nazionale privato, nell’accezione «formale» descritta in precedenza
(addirittura incapace di assolvere la funzione di tutelare gli interessi
delle parti, ma meramente indirizzata a risolvere un conflitto di leggi),
rappresenta un’ulteriore esplicazione dell’unitaria nozione di autono-
mia privata, diversa dal potere di predisporre il contenuto negoziale.
Molteplici sembrano, inoltre, gli indici rivelatori della natura ne-
goziale dell’electio iuris20:
a) su di un piano meramente strutturale è agevole rilevare che lo
stesso legislatore, muovendo dall’esigenza concreta di tutelare le parti
da eventuali elementi perturbatori nella formazione del loro volere
(problema che soltanto in relazione ad un negozio giuridico potrebbe
porsi) e disponendo, pertanto, che gli eventuali vizi della volontà con-
cernenti la designazione sono disciplinati dalla legge indicata dalle
parti (art. 3, comma 5, Reg. Roma I), abbia inteso fissare alcune «re-
gole di validità» del negozio di scelta;
b) sul piano dell’efficacia, non sembra potersi revocare in dubbio
che il pactum «vincola» le parti; difatti queste ultime, una volta scelta
la legge applicabile, non possono più sottrarsi, se non per mutuo con-

20
Nel sistema di d.i. privato svizzero non si dubita che la scelta (Verweisung-
vertrag) abbia carattere di contratto autonomo e indipendente. «La qualificazione
contrattuale dell’elezione di diritto ha per conseguenza l’esclusione di modi d’e-
spressione non contrattuali della volontà o dell’aspettativa delle parti quanto alla legge
applicabile. La seconda conseguenza che deriva dalla qualificazione contrattuale della
scelta della legge applicabile è la necessità di determinare la legge applicabile all’ele-
zione di diritto. L’elezione di diritto, quale figura contrattuale, è sottoposta ai ca-
noni di interpretazione applicabili ai contratti» (così P.M. Patocchi, I contratti in-
ternazionali, in Aa.Vv., Il nuovo diritto internazionale privato in Svizzera, Milano,
1990, p. 217 s.).
Le obbligazioni contrattuali 87

senso o attraverso una scelta diversa successiva, alla forza vincolante


del patto. Sotto questo profilo, quindi, la scelta assume uno dei ca-
ratteri qualificanti del negozio giuridico, e cioè la sua impegnatività
(produzione di effetti c.dd. negoziali)21;
c) l’art. 13 l. n. 218 del 1995 introduce, per la prima volta nel no-
stro sistema, il meccanismo del c.d. rinvio (sul quale cfr. quanto so-
stenuto nel cap. I) attraverso il quale l’effetto di richiamo di una legge
straniera comprenderebbe anche la disciplina di conflitto in esso con-
tenuta. In tal modo, la complessa operazione volta all’identificazione
del diritto applicabile potrebbe non concludersi in ragione delle sole
norme di d.i. privato nazionali, dovendo l’interprete tener conto an-
che degli effetti di richiamo prodotti dalle norme di collegamento
straniere (finché non si verifichino le condizioni per un c.d. rinvio
«altrove accettato» oppure «indietro»)22.
La ricerca della legge regolatrice anche mediante l’applicazione di
norme di conflitto straniere – la quale si conclude con l’accettazione
del rinvio o con il rinvio «indietro» – è preclusa (cioè, non opera il
meccanismo del rinvio) nell’ipotesi in cui il diritto straniero risulti
applicabile «sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti
interessate» (art. 13, comma 1, l. 218/1995).
Sembra quindi plausibile sostenere che il sistema di conflitto, im-
pedendo che attraverso il «rinvio» si giunga all’applicazione di una

21
La compiuta elaborazione di tale categoria di effetti si deve a R. Scognami-
glio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1956, p. 285 ss. il quale
– muovendo dalla difficoltà nella quale versa la dottrina nell’identificazione di quel
quid intermedio tra negozio e i suoi effetti (definiti, poi, dall’a. come «finali») – os-
serva che la rilevanza del negozio giuridico deve ricercarsi al di fuori degli effetti fi-
nali, là dove l’effetto che identifica il fenomeno in esame (la fattispecie negoziale) va
ravvisato nell’«impegnatività» del vincolo e nella correlativa «irrevocabilità» del me-
desimo.
22
Nel sistema previgente, l’art. 30 disp. prel. c.c. vietava il meccanismo del rin-
vio. Si osserva come la novità introdotta con la legge di riforma sia ispirata alla «forte
relativizzazione dell’ordinamento e del diritto italiano rispetto ai valori giuridici stra-
nieri», ma al tempo stesso, persegua l’obiettivo di ricercare la c.d. «armonia delle so-
luzioni» (così F. Munari, in S. Bariatti (a cura di), Riforma del sistema italiano di
diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218), sub art. 13, in Nuove leggi
civ. comm., 1996, p. 1019 s.). Si rinvia, pertanto, oltre al lavoro già citato, a E. Vitta,
Diritto internazionale privato, I, Torino, 1972, p. 331 ss., ed ivi indicazioni biblio-
grafiche e, per una sintesi sulle diverse posizioni della dottrina, J.G. Collier, Con-
flict of Laws, Cambridge, 2001, p. 20 ss.
88 Capitolo II - Francesco Sbordone

legge diversa da quella indicata dalle parti, abbia inteso salvaguardare


la particolare autoregolamentazione negoziale di interessi divisata nel
pactum de lege utenda;
d) l’art. 36, comma 5, Codice del consumo, dispone la nullità di
una clausola contrattuale che, scegliendo una legge regolatrice extra-
comunitaria, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione
assicuratagli dal «presente capo» (id. est, Parte III, Il rapporto di con-
sumo, Titolo I, Dei contratti del consumatore in generale), laddove
il contratto presenti un collegamento più stretto con il territorio di
uno Stato membro dell’Unione europea. La norma in questione, per-
tanto, sottopone la designazione ad un controllo di liceità (con la
conseguenza dell’inefficacia del pactum qualora ne siano riscontrati
i presupposti) il quale non potrebbe che avere ad oggetto un atto
negoziale.
Dal punto di vista sistematico, il negozio di scelta della legge ap-
plicabile sembra partecipare dei medesimi caratteri dei c.dd. negozi
ad efficacia finale o diretta. Per quest’ultima categoria, «la semplice
produzione dell’effetto giuridico è di per sè sufficiente a realizzare
compiutamente lo specifico interesse perseguito in quanto il muta-
mento giuridico corrispondente a tale interesse si risolve interamente
e immediatamente in modificazioni puramente ideali della realtà»23.
Difatti, l’effetto di rendere applicabile al contratto la legge indi-
cata dalle parti traduce sul piano giuridico gli interessi strumentali
precedentemente descritti, consentendone un’immediata realizzazione
che prescinde da ogni attività esecutiva delle parti, analogamente a
quanto accade nella novazione, nella revoca testamentaria, e nella con-
valida del negozio annullabile24.
Le parti, in definitiva, scegliendo la legge applicabile, governano il
procedimento di individuazione della normativa che consente una par-
ticolare qualificazione e produzione di effetti del contratto interna-
zionale, diversa da quella che si sarebbe realizzata in assenza di de-
signazione autonoma, o ex lege fori oppure secondo una diversa legge
individuata in ragione di altri criteri di collegamento internazional-
privatistici (ad es., in assenza di scelta, il criterio del collegamento più
stretto di cui all’art. 4 Reg. Roma I).

F. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano, 1998, p. 53.
23

Cfr. F. Scalisi, o.l.u.c.; M. Allara, La revocazione delle disposizioni testa-


24

mentarie, Torino, 1951, p. 58 ss.


Le obbligazioni contrattuali 89

Sí che, dal riferito meccanismo, sembra discendere una particolare


e complessa «conformazione» del programma realizzativo degli inte-
ressi descritto nel contratto al quale la scelta si indirizza (e quindi
delle regole che da quest’ultimo discendono), diversa da quanto ri-
sulterebbe stante l’operatività della legge del foro oppure di altra legge
aliunde definita. Ciò sembra identificare l’interesse che muove le parti
alla scelta della legge regolatrice e lo specifico risultato giuridico al
quale le medesime tendono.
L’evidente complessità delle vicende prodotte dalla designazione
della legge applicabile conferma che la tradizionale partizione degli
effetti negoziali in costitutivi, modificativi o estintivi (cfr. art. 1321
c.c.) sarebbe incapace di comprenderne e spiegarne esaustivamente il
profilo funzionale.
La circostanza per cui le parti, mediante la scelta, individuano le
regole che disciplinano il procedimento formativo, il contratto in
quanto atto e i rapporti giuridici (intesi dal punto di vista funzionale
come regolamento, «ordinamento del caso concreto»25), incidendo al-
tresì sul programma realizzativo degli interessi, sembra attestare la vi-
cinanza dell’accordo designativo della legge applicabile alla discussa
categoria dei negozi con funzione c.d. regolamentare26.
Attenta dottrina, difatti, ha sostenuto – sul presupposto dell’in-
sufficienza della dicotomia «effetti reali – effetti obbligatori» per espri-
mere le potenzialità del negozio – che l’autonomia negoziale non si
risolve nella costituzione, modificazione ed estinzione di rapporti giu-
ridici, ma comprende anche la regolamentazione di rapporti (pure fu-
turi ed eventuali27) che può concernere tanto le condizioni sostan-

25
Cfr. P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’a-
dempimento, Comm. del cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 19 ss.
26
Sui quali, in generale, G. Gitti, Contratti regolamentari e normativi, Padova,
1994, p. 10 ss.; E. Del Prato, I regolamenti privati, Milano, 1988, p. 390 ss.; P.
Perlingieri, o.u.c., cit., p. 31 ss., 117 ss., 407 ss.; Id., La dilazione come vicenda
modificativa del regolamento del rapporto, in Dir. e giur., 1969, p. 699 ss.; F. Ru-
scello, I regolamenti di condominio, Napoli, 1980, p. 23 ss.; Id., «Pactum de non
petendo» e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 1976, II,
p. 198 ss.; G. Criscuoli, Contributo alla specificazione del negozio modificativo, in
Giust. civ., 1957, I, p. 848 ss.
27
Cfr. V.E. Redenti, Dei contratti nella pratica commerciale, Padova, 1936, p.
16; P. Perlingieri, Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempi-
mento, cit., p. 118 ss.
90 Capitolo II - Francesco Sbordone

ziali, quanto le condizioni di forma28. Nella predetta categoria di ne-


gozi – che comprende sia il contratto c.d. normativo29 sia le fatti-
specie di cui agli artt. 1252, comma 2, 1230 e 1352 c.c., si iscrive-
rebbe anche, per quanto fin qui sostenuto, il pactum de lege utenda.
Giova precisare, però, che a differenza di quanto accade nelle ipo-
tesi indicate, laddove la modificazione della disciplina di un rapporto
si realizza in conformità della regola determinata in via autonoma
dalle parti attraverso il negozio regolamentare, nell’istituto de quo,
tale vicenda modificativa è conseguenza dell’applicazione di regole
eterònome selezionate dalle parti (quelle della legge designata). Si os-
serva, dunque, che:
a) le particolari conseguenze prodotte dal negozio di scelta sul
contratto internazionale inducono a riflettere sul rapporto, qui solo
apparentemente messo in crisi, tra «norme negoziali» e «norme giu-
ridiche», là dove appare evidente che il programma realizzativo de-
gli interessi evidenziati subisce un complessivo processo di confor-
mazione eterònoma nel confronto con la legge applicabile, la quale,
però, è pur sempre individuata per il tramite di un atto di autono-
mia, funzionalizzato precipuamente al raggiungimento di tale confor-
mazione della regola negoziale, reputata dalle parti idonea ad una mi-
gliore attuazione e tutela dei loro interessi;
b) la funzione regolamentare del negozio di scelta si realizza in
modo diverso (e cioè, indirettamente) da quanto è dato ravvisare con
riferimento alle indicate fattispecie con analoga funzione.
Il negozio di scelta, infatti, non pone una c.d. norma negoziale
diretta ad incidere sulla disciplina di un rapporto (anche futuro ed
eventuale30), bensì esplica la sua funzione regolamentare attraverso

28
P. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987,
p. 144 s.
29
Per una ricostruzione del dibattito dottrinale v. G. Gitti, Contratti regola-
mentari e normativi, Padova, 1994, p. 233 ss.; A. Orestano, Intese prenegoziali a
struttura normativa e profili di responsabilità precontrattaule, in Riv. crit. dir. priv.,
1995, p. 55 ss. La dottrina prevalente definisce il contratto normativo come l’accordo
diretto a determinare il contenuto di contratti futuri ed eventuali, distinguendo tra
contratti normativi unilaterali e bilaterali (cfr., per tutti, L. Cariota Ferrara, Ri-
flessioni sul contratto normativo, in Arch. giur., 1937, XXXIV, ora in Id., Scritti mi-
nori, Napoli, 1986, p. 144; G. Guglielmetti, I contratti normativi, Padova, 1969,
p. 3 ss.
30
Reputa che la funzione regolatrice del contratto si manifesta anche mediante
Le obbligazioni contrattuali 91

l’individuazione autonoma di una norma che resta tale, nonostante


appaia derivare la propria efficacia dall’atto di scelta.
Le parti, attraverso la scelta, intendono quindi definire la disci-
plina del rapporto, del procedimento formativo e dell’atto rappre-
sentati nel contratto particolare, poiché valutata più adeguata rispetto
ai concreti interessi in gioco. Qualora si osservi che con la scelta della
legge applicabile sembrano definirsi – mediante la selezione tra un in-
sieme indefinito di leggi nazionali (e non soltanto, come sostenuto
da autorevole dottrina, tra quelle «in qualche modo connesse in via
oggettiva al negozio stesso»31) – anche i criteri di qualificazione del
contratto internazionale (c.d. «seconda qualificazione», successiva alla
c.d. «prima qualificazione», quest’ultima condotta ex lege fori a fini
di individuazione ed applicazione della normativa di diritto interna-
zionale privato32), è possibile evidenziare la contiguità dell’electio con

determinazioni astratte, suscettibili di applicazioni solo eventuali, come nel caso del
contratto normativo, F. Galgano, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni
e i contratti, I, Obbligazioni in generale. Contratti in generale, Padova, 1990, p. 123.
31
La questione si è posta in prevalenza sotto il vigore dell’abrogato art. 25 disp.
prel. c.c., laddove, in coerenza al metodo conflittuale tradizionale, si è affermato che
le parti potevano addivenire ad una libera determinazione della legge applicabile sol-
tanto ove questa fosse «ragionevole» e conforme all’«indole del rapporto» (e cioè,
trattarsi di una legge, tra quelle già oggettivamente collegate al rapporto; così D. An-
zilotti, Corsi di diritto internazionale privato, a cura di F. Salerno, Padova, 1996,
p. 156 ss.); nella medesima direzione G. Balladore Pallieri, L’autonomia dei con-
traenti nel diritto internazionale privato, in Studi in onore di B. Biondi, IV, Milano,
1965, p. 91 ss.
32
Il problema delle qualificazioni ha assunto nella dottrina internazionalprivati-
stica un ruolo centrale, poiché anch’esso risolto in virtù dei diversi modi di conce-
pire le funzioni delle norme di conflitto. Con specifico riferimento alle disposizioni
di d.i. privato comunitarie, cfr. S. Bariatti, Qualificazione e interpretazione nel di-
ritto internazionale privato comunitario: prime riflessioni, in Riv. dir. int. priv. proc.,
2006, p. 301 ss. Per una sintesi delle diverse posizioni (qualificazione lege fori, lege
causae, oppure «autonoma», secondo il metodo della «comparazione giuridica fun-
zionale» sostenuto, per primo, da E. Rabel, Il problema della qualificazione, in Riv.
it. dir. int. priv. proc., 1932, p. 97 ss.) v. E. Vitta, Qualificazione (dir. int. priv.), in
Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, p. 1 ss. e A. Giardina, Collegamento (cri-
teri di) – Dir. int. priv. proc., in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988, p. 3, il quale
osserva che la qualificazione lege fori del criterio di collegamento deve essere con-
dotta soltanto al fine di stabilire se quest’ultima sia applicabile, sotto il profilo «so-
stanziale»; una volta accertato che la fattispecie non sarà regolata dall’ordinamento
nazionale, il criterio di collegamento dovrà essere riqualificato lege causae.
92 Capitolo II - Francesco Sbordone

il c.d. effetto di qualificazione, sul quale – di là dalle opinioni orien-


tate nel senso di negarne qualsiasi cittadinanza nella teoria dell’effi-
cacia negoziale – si è posta rinnovata attenzione.
Con riferimento all’abrogato art. 25 disp. prel. c.c. si è, difatti, col-
locata nell’alveo dei contratti che genericamente operano nel campo
dei fatti giuridici con l’effetto di qualificarli «quella particolare clau-
sola contrattuale che, nel gergo del diritto internazionale, viene chia-
mata lex voluntatis. Poiché alla cosiddetta lex voluntatis è ricollegata
l’applicabilità di una legge regolatrice degli effetti derivanti da un con-
tratto»33 va riconosciuta alla medesima clausola l’efficacia di attribuire
o escludere il valore di fattispecie del contratto stesso, oppure di mo-
dificare tale valore, nel raffronto con le diverse leggi applicabili alla
fattispecie in assenza di scelta.
La scelta della legge applicabile, pertanto, assolverebbe nella dire-
zione tracciata, la funzione di individuare le regole che devono so-
vrintendere alla qualificazione del contratto particolare. Il riferito ef-
fetto, però, non promana dal negozio di scelta in sè, attraverso la po-
sizione di regole autonome frutto di una specifica determinazione del
suo contenuto per relationem; bensì dalla legge, comunque indicata
dalle parti.
Il pactum de lege ferenda, dunque, costituisce un unicum nel si-
stema degli atti negoziali in grado di attivare una complessa vicenda
non riassumibile, sotto il profilo funzionale, nè nelle tradizionali ela-
borazioni in tema di efficacia del negozio giuridico nè direttamente
negli studi condotti sui negozi con funzione regolamentare. Esso de-
termina una particolare interferenza tra il piano dell’autonomia e
quello dell’eteronomia, tra norme «negoziali» e norme «giuridiche».
Traducendo il piano effettuale in corrispondenti funzioni si può,
pertanto, sostenere che il negozio di scelta della legge applicabile
svolge: a) una funzione regolamentare (o di qualificazione, là dove si
voglia aderire all’orientamento appena descritto) la quale, in ragione
della strumentalità dell’interesse realizzato rispetto a quelli sottesi al
contratto internazionale, è anch’essa strumentale (permette, cioè, nel-
l’ottica delle parti, una più adeguata realizzazione degli interessi ascritti
al contratto particolare); b) una funzione di profilassi o preventiva,
poiché impedisce, in via generale, che possano sorgere dubbi od in-

33
Così M. Allara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955, p. 38 s.
Le obbligazioni contrattuali 93

certezze in ordine all’applicazione della legge, in grado di recare no-


cumento alla certezza dell’operazione predisposta nel contratto par-
ticolare al quale la scelta si riferisce.

5. Le modalità «temporali» della scelta della legge applicabile. Il


depeçage o frazionamento. – Quanto alle modalità della electio juris,
l’art. 3 Reg. Roma I consente alle parti di un contratto internazio-
nale compreso nel campo di applicazione della disciplina (art. 1 Reg.
cit.) di poter scegliere in (i) qualsiasi momento la legge regolatrice e
per (ii) qualsiasi parte del contratto (c.d. depeçage o frazionamento).
La designazione potrà avvenire in qualunque tempo, anche poste-
riormente alla conclusione del contratto al quale si riferisce, e potrà
riguardare qualsiasi parte di esso (ad es., il suo procedimento forma-
tivo, la forma, l’esecuzione delle prestazioni, ecc.). Per quanto attiene
alla possibilità per le parti di designare la legge regolatrice anterior-
mente alla conclusione del contratto, si sono posti alcuni dubbi circa
la sua ammissibilità. Questa, difatti, parrebbe essere confinata al ruolo
di clausola contrattuale non autosufficiente sotto il profilo causale e,
pertanto, inidonea a costituire negozio autonomo, cioè sorretto cau-
salmente a prescindere dal perfezionamento del contratto cui si rife-
risce. Da altro punto di vista, si è sostenuto che «la volontà delle
parti deve essere manifestata in connessione ad un contratto deter-
minato» poiché essa «funge da criterio di collegamento (ancorché si
risolva in un accordo), cosicché non può essere svincolata dalla fat-
tispecie concreta; i criteri di collegamento, infatti, possono funzionare
solo relativamente a fattispecie del genere», e cioè «in immediata con-
nessione al caso concreto»34.
La proposta ricostruzione della natura e delle funzioni del pactum
de lege utenda, unitamente al dettato normativo (art. 3, comma 2,
Reg. cit.), inducono però a reputare ammissibile una scelta anteriore
rispetto al perfezionamento del contratto internazionale per il quale
si designa la legge regolatrice.
Le parti, difatti, scegliendo anticipatamente la legge da applicare
ad un futuro contratto mirano a realizzare sia l’interesse a che le uti-
lità divisate nel contratto internazionale (non ancora concluso) tro-
vino una migliore tutela nel rinvio alla legge prescelta sia il diverso

34
Così E. Vitta, Diritto internazionale privato, III, cit., p. 266 s.
94 Capitolo II - Francesco Sbordone

interesse a far sí che anche il procedimento formativo del futuro con-


tratto sia disciplinato da tale legge. Il patto di scelta, quindi, sembra
svolgere, qualora sia antecedente al contratto, una funzione regola-
mentare utile per le parti, poiché consente alla legge designata di di-
sciplinare, in primis, il procedimento formativo del contratto futuro,
e, in un momento successivo (soltanto a seguito del suo perfeziona-
mento) il contratto stesso.
Muovendo dal piano degli interessi a quello della funzione, si può
dunque sostenere che il patto autonomo descritto, di scelta della legge
applicabile al procedimento formativo del contratto assolve la pecu-
liare funzione di stabilire, in via indiretta, il modo in cui dovrebbe
concludersi tra le parti l’eventuale, futuro contratto particolare. In
quest’ultimo caso, la designazione sembra realizzare una funzione ana-
loga agli effetti prodotti dalla discussa categoria di negozi, definiti
configurativi35.
Il dubbio circa la reale autonomia di un patto di scelta antecedente
si coglie in relazione al modo in cui le parti individuano l’operazione
negoziale alla quale la designazione si riferisce: in altri termini, ci si
interroga sulla validità di un patto che definisca la legge applicabile
per una serie di contratti futuri non specificati o giuridicamente non
rappresentati36 (ad es., una pattuizione nella quale si vuole che tutti i
futuri contratti di somministrazione intercorrenti tra le parti siano re-
golati dalla legge francese). Da questo punto di vista, per quanto af-
fermato, un patto autonomo ed antecedente sembra essere valido ed
efficace anche in quest’ultima circostanza, sebbene sia necessario cir-
coscrivere l’electio ad una serie di operazioni contrattuali che siano de-
terminate o, quanto meno, determinabili (cfr. art. 1346 c.c.).
Particolarmente complessa si rivela l’indagine tesa all’individua-
zione sia delle funzioni sia delle modalità operative, nonché dei li-
miti, della designazione della legge regolatrice operata dalle parti in
un momento successivo rispetto alla conclusione del contratto.

35
Sui c.dd. negozi configurativi, cfr. G. Palermo, Contratto preliminare, Padova,
1991, p. 108 ss., secondo il quale codesti negozi hanno «preciso carattere qualificante».
36
Sembra muoversi in tale prospettiva G. Balladore Pallieri, Diritto inter-
nazionale privato italiano, in Tratt. di dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, XLV, Mi-
lano, 1974, p. 321, per il quale sarebbe da escludere «ogni determinazione astratta,
senza riferimento a un determinato contratto di cui siano già determinate o quanto
meno previste le clausole essenziali».
Le obbligazioni contrattuali 95

Sotto il vigore dell’art. 25 disp. prel. c.c. si discusse vivacemente


anche dell’ammissibilità di siffatta scelta la quale, per l’orientamento
giurisprudenziale e dottrinale prevalente, sembrava essere esclusa. In-
vero, si sostenne che «il legislatore, concedendo alle parti il potere di
designare l’ordinamento giuridico applicabile, non ha voluto rimet-
tersi al loro arbitrio illimitato con l’attribuire ad esse anche la facoltà,
attraverso la successiva designazione della legge regolatrice, di porre
regole retroattive e tali da sospendere l’applicazione dell’ordinamento
che governava fino ad allora il contratto»37.
La scelta successiva si poneva, dunque, in contrasto con un prin-
cipio di certezza della legge applicabile al contratto, determinando al-
tresì una sorta di destabilizzazione dell’operazione economica avuta
di mira dalle parti. Autorevole dottrina, di contrario avviso, reputò
insussistenti eventuali impossibilità logiche od ostacoli tecnici alla con-
figurabilità di una designazione posteriore della legge regolatrice:
a) in primo luogo, perché «se la regola di conflitto che ammette
l’accordo designativo non ne stabilisce espressamente l’invariabilità, la
intrinseca variabilità è da riconoscersi»38;
b) in secondo luogo, in quanto – potendo le parti accordarsi an-
che successivamente per deferire ad un collegio arbitrale la contro-
versia insorta con riguardo al contratto – «non si vede perché non
debba, a maggior ragione, essere loro concesso il diritto di conferire
agli arbitri il potere di giudicare secondo un ordinamento diverso da
quello inizialmente previsto»39.
Le problematiche appena evidenziate sono superate dall’art. 3,
comma 2, Reg. Roma I il quale, infatti, dispone che le parti possono
scegliere «in qualsiasi momento» una legge diversa da quella che re-
golava in precedenza il contratto.
Dal punto di vista della funzione, si sostiene che la scelta della

37
Così Cass., Sez. un., 28 giugno 1966, n. 1680, in Giust. civ., 1966, I, p. 1909
ss. Nella medesima direzione, E. Vitta, Diritto internazionale privato, III, cit., p.
266; contra, T. Treves, Sulla volontà delle parti di cui all’art. 25 delle preleggi e sul
momento del suo sorgere, in Riv. dir. int. priv. proc., 1967, p. 321 ss. Cfr., in sintesi,
P. Mengozzi, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 16 a 31, in Tratt.
di dir. priv. Rescigno, 1, Torino, 1982, p. 432 s.
38
Così R. De Nova, Obbligazioni (dir. intern. priv.), in Enc. dir., XXIX, Mi-
lano, 1979, p. 470.
39
S.M. Carbone, L’autonomia privata nel diritto internazionale privato delle ob-
bligazioni, in Dir. scambi int., 1982, p. 25.
96 Capitolo II - Francesco Sbordone

legge applicabile successiva potrebbe accostarsi alla controversa figura


del negozio di rinnovazione. La modifica che la scelta successiva pro-
duce all’intero «apparato normativo del contratto già concluso», in-
fatti, si sostanzia innanzitutto nella cancellazione degli effetti del primo
contratto e poi, nel «rifacimento del negozio» al quale seguono de-
gli effetti diversi dai precedenti disposti dalla legge successivamente
richiamata. La scelta posteriore della legge, quindi, «non contiene e
non produce alcuna modifica al contratto che rimane pertanto il me-
desimo anche nel suo contenuto. Ne muta solo la base normativa ov-
vero il valore o forza normativa che la dichiarazione negoziale aveva
alla stregua dell’originaria legge già applicabile»40.
Altrettanto dubbia, aderendo all’accostamento della figura in esame
con i negozi rinnovati, si presenta l’indagine relativa al momento nel
quale essa produce i suoi effetti. La ricostruzione invalsa in dottrina
propende per negare effetto retroattivo al negozio rinnovato il quale,
disponendo degli effetti del contratto originario in maniera innova-
tiva non potrebbe giammai eliminare gli effetti già prodotti. Sí che
«la sostituzione di un negozio ad un altro attiene solo ai rapporti fu-
turi o alle vicende future del rapporto, che per il passato continua ad
essere regolato dal primo negozio»41.
All’inverso, la scelta della legge successiva – non potendo nè in-
ficiare la validità formale del contratto nè pregiudicare i diritti dei
terzi (art. 3, comma 2, Reg. cit.) – sembra avere, argomentando a
contrario, efficacia retroattiva quanto agli effetti inter partes disposti
dal contratto così come qualificato dall’originaria legge applicabile42.
I limiti alla scelta successiva – giustificati sia da una sorta di favor
validitatis sia dall’esigenza di tutelare un legittimo affidamento di terzi
ai rapporti sorti dal contratto così come originariamente disciplinato
(in termini di inopponibilità della scelta successiva) – attestano, quindi,

40
Così R. Perchinunno, Appunti sulla modificabilità della legge regolatrice del
contratto secondo la Convenzione di Roma, in La convenzione di Roma sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali II. Limiti di applicazione. Lectio notariorum,
Atti del Convegno di studi tenuto a Treviso nei giorni 27-28 novembre 1992, Mi-
lano, 1994, p. 254 ss.
41
Testualmente G. Gorla, La riproduzione del negozio giuridico, Padova, 1933,
p. 46. Sulla tematica dei negozi rinnovati e ripetuti, v., in generale, C. Granelli,
Riproduzione e rinnovazione del contratto, Milano, 1988, p. 65 ss.; N. Irti, La ri-
petizione del negozio, Milano, 1970, p. 25 ss.
42
R. Perchinunno, o.l.u.c.
Le obbligazioni contrattuali 97

l’efficacia retroattiva della medesima, la quale sottopone il contratto


ad una nuova legge regolatrice diversa dalla precedente, travolgendo
gli effetti già prodotti.
Proprio in ragione dell’evidenziata efficacia retroattiva, condivisa
dalla dottrina internazionalprivatistica, si sostiene come la scelta si at-
teggi, dal punto di vista funzionale, in maniera non dissimile dalla
scelta antecedente o concomitante al contratto internazionale. Essa,
infatti, produce, seppur retroattivamente, il descritto effetto e sotto-
pone il contratto alla legge designata, individuandone così, ex novo,
sia i criteri di qualificazione sia la disciplina.
Altrettanto complessa si presenta l’indagine relativa all’individua-
zione del momento di là dal quale alle parti sarebbe inibita una scelta
della legge applicabile successiva alla conclusione del contratto. Si è
affermato che la determinazione del limite temporale della scelta «di-
pende dal diritto processuale interno, ed unicamente in conformità
di esso dovrà essere risolta»43, sí che appare sostenibile che la desi-
gnazione non potrà avvenire in un momento successivo alla propo-
sizione della domanda giudiziale avente ad oggetto il rapporto con-
trattuale principale.
Qualora le parti, infatti, convengano per l’applicabilità di una legge
diversa successivamente alla proposizione della domanda, questo «fatto
nuovo» non potrebbe essere allegato in un momento successivo alla
scadenza dei termini di preclusione per la proposizione di nuove do-
mande, normalmente previsti dalla disciplina processualcivilistica. Alle
parti, dunque, sarebbe preclusa la possibilità di modificare la legge
applicabile, con una designazione sopravvenuta, nel corso del giudizio44.
Da diversa prospettiva, non soltanto processuale bensì sostanziale,
la electio iuris potrà realizzarsi fino a quando presenti un’utilità per
le parti; sí che quest’ultima sembra «inutile» (cioè inidonea a realiz-
zare la sua funzione e quindi, priva di causa) qualora i rapporti sorti

43
Testualmente, M. Giuliano e P. Lagarde, Relazione sulla Convenzione rela-
tiva alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in T. Treves (a cura di), o.c.,
p. 379.
44
Cfr. S. Tonolo Sacco, I criteri di collegamento accolti dalla convenzione di
Roma, in Aa.Vv., I contratti in generale, I, Torino, 2000, p. 186. Per U. Villani,
La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, Bari, 1997, p. 75, si im-
pone di ravvisare «negli atti iniziali del processo il limite massimo entro il quale può
operare la professio iuris». Particolarmente interessante il saggio di P. North, Vary-
ing the Proper Law, in Id., Essays in Private International Law, Oxford, 1993, p. 57.
98 Capitolo II - Francesco Sbordone

dal contratto siano da reputarsi esauriti, o comunque non più su-


scettibili di ulteriore regolamentazione.
Con specifico riferimento al frazionamento della disciplina del con-
tratto o depeçage (consentito dall’art. 3, comma 1, Reg. Roma I in
ragione del tendenziale ampliamento dell’autonomia delle parti rico-
nosciuta in sede di rapporti contrattuali internazionali) esso consiste
nella possibilità di scegliere una legge regolatrice per specifiche parti
del contratto (ad es., il procedimento formativo, piuttosto che l’ese-
cuzione delle prestazioni oppure la forma) lasciando le altre parti sog-
gette o ad altra e diversa electio iuris oppure ai criteri di collegamento
operanti in assenza di scelta (ad es., il collegamento più stretto di cui
all’art. 4 Reg. Roma I). Si sostiene che il frazionamento dovrà essere
funzionale alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, incon-
trando un limite nella necessaria coerenza del quadro normativo de-
lineato45 (ad es., «ne semble-t-il pas possible que les obligations réci-
proques du créancier et du débiteur soient soumises à deux lois diffé-
rentes»)46. Il frazionamento della scelta di legge produce l’inevitabile
conseguenza che, per quelle parti del contratto per cui non si è de-
signata in via autonoma la disciplina si dovrà ricorrere a criteri di
collegamento diversi e successivi (nel Reg. Roma I, art. 4, al c.d. col-
legamento più stretto) allo scopo di individuare la legge applicabile.
Analoga situazione a quella appena tracciata, seppur con conseguenze
diverse, è quella che per prassi si usa determinare in sede di arbitrato
commerciale internazionale: è frequente assistere alla predisposizione
di clausole compromissorie che rimettono al giudizio arbitrale sol-
tanto alcune questioni specifiche collegate al contratto internazionale
(ad es., le controversie che dovessero sorgere in ordine all’interpre-
tazione di una particolare clausola oppure all’esecuzione della sola
obbligazione principale del contratto; c.d. narrow clause) lasciando le
altre alla giurisdizione del giudice statale. In tale ipotesi l’arbitro (unico
o facente parte di un collegio) deciderà le controversie affidate se-
condo le norme e le regole scelte dalle parti o aliunde individuate
mentre, per risolvere le altre, le parti stesse dovranno adire il giudice
nazionale (il quale deciderà applicando la legge individuata secondo
i criteri internazionalprivatistici di cui al Reg. Roma I, se giudice di

M. Giuliano e P. Lagarde, Relazione, cit., p. 383 ss.


45

Così S. Chaillé de Néré, Les difficultés d’exécution du contract en droit in-


46

ternational privé, Aix en Provence, 2003, p. 71.


Le obbligazioni contrattuali 99

uno Stato membro dell’U.E.). Viceversa, qualora le parti di un contratto


internazionale vogliano rimettere al giudizio arbitrale tutte le ques-
tioni presupposte, connesse e relative al contratto, la clausola com-
promissoria dovrà essere quanto più ampia possibile (c.d. broad clause).

6. La scelta di legge «espressa» e «tacita». – La scelta della legge


applicabile deve essere espressa o risultare chiaramente dalle disposi-
zioni del contratto o dalle circostanze del caso (art. 3, comma 1, Reg.
Roma I)47. La formulazione del testo normativo differisce da quella
di cui all’art. 3 Conv. Roma, per il quale la scelta, oltre che espressa,
doveva «risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni
del contratto o dalle circostanze». La modifica si è resa necessaria
onde impedire che la scelta possa essere desunta dal giudice prescin-
dendo dalla ricerca di una volontà in tal senso delle parti, seppur ta-
citamente espressa, trasformando così una scelta tacita (realer Par-
teiwille) in scelta presunta o ipotetica (hypothetischer Parteiwille). Il
problema fu già avvertito in sede di redazione della Convenzione di
Roma, sebbene il testo normativo adottato sul punto presentasse, a
differenza di quello attualmente racchiuso nel Reg. cit., un maggior
rischio di valutazione presuntiva. La relazione di accompagnamento
al testo della Convenzione di Roma specifica quali potrebbero essere
gli elementi oggettivi, interni o esterni al contratto, idonei a generare
il dubbio circa l’esistenza di una scelta tacita della legge regolatrice:
a) la clausola di deroga alla giurisdizione, che in virtù del princi-
pio qui eligit iudicem eligit ius, è frequentemente reputata idonea ad
individuare non soltanto il giudice provvisto dei c.dd. «titoli di giu-
risdizione», ma altresì la legge applicabile al contratto particolare (coin-
cidente con la legge del foro del giudice indicato);
b) la clausola con la quale le parti dispongono l’applicazione al

47
Con riferimento alla specificazione dei criteri interpretativi ai quali la Corte
di Giustizia dovrà attenersi nell’ermeneutica del Reg. Roma I, si è sostenuto che,
dalla necessità di riferirsi alla scopo della disciplina indicata (ampliare il ruolo della
c.d. autonomia della volontà), si dovrebbe reputare esistente una scelta di legge «in
tutti i casi in cui risulti un effettivo consenso delle parti», come ad es., nelle ipotesi
di scelta per relationem, in condizioni generali di contratto conoscibili con la nor-
male diligenza e più in generale in ogni «forma conforme agli usi del commercio
internazionale», escludendo rilevanza a requisiti formali; così P. Bertoli, Il ruolo
della Corte di Giustizia e l’interpretazione del futuro regolamento «Roma I», in Riv.
dir. int. priv. proc., 2006, p. 1011 s.
100 Capitolo II - Francesco Sbordone

contratto di specifiche disposizioni comprese in un ordinamento di-


verso dalla legge del foro;
c) contratti standard chiaramente redatti tenendo conto delle di-
sposizioni di appartenenza del predisponente (di uso frequente nel
settore bancario e finanziario);
d) un contratto privo di un’espressa designazione della legge ap-
plicabile che segue ad altro contratto, concluso dalle medesime parti
allo scopo di realizzare interessi ascrivibili alle ordinarie relazioni in-
tercorrenti tra queste (di natura commerciale, come esercizio di atti-
vità di impresa, ecc.), per il quale ultimo, viceversa, si è indicata la
legge regolatrice;
e) un contratto privo di espressa designazione della legge applica-
bile, però collegato funzionalmente ad altro contratto per il quale le
parti hanno indicato espressamente la legge regolatrice.
Giova precisare che la disposizione in esame (art. 3, comma 1,
Reg. Roma I) assume il ruolo di specifica norma interpretativa che
impone di ricercare la comune intenzione delle parti tenendo nel de-
bito conto sia le espressioni da queste adoperate sia i comportamenti
delle medesime («circostanze», secondo l’art. 3, comma 1, cit.) ante-
cedenti, contestuali e successivi alla conclusione del contratto parti-
colare o del patto autonomo di scelta48, nonché la relazione tra la
clausola in oggetto e le altre disposizioni contenute nel contratto.
Infatti, già sotto il vigore dell’oramai abrogato art. 25 disp. prel.
c.c. la giurisprudenza era prevalentemente orientata nell’applicare – al
fine di decidere se la clausola in esame o il patto autonomo costi-
tuisse una vera e propria scelta della legge applicabile (e quindi in
grado di produrre l’applicazione della legge indicata dalle parti al con-
tratto particolare) oppure un’altra fattispecie (ad es., una determina-

48
Cfr. Pret. Milano, 12 agosto 1987, in Giust. civ., 1987, I, p. 2974 ss., per la
quale «il rapporto di lavoro costituito all’estero tra soggetti italiani è regolato dalla
legge straniera [...] se le parti contraenti abbiano manifestato la loro comune volontà
di derogare alla legge italiana; tale volontà può essere desunta oltre che da una clau-
sola espressa del contratto di lavoro anche dalle modalità di conclusione del con-
tratto e del comportamento negoziale tenuto dalle parti contraenti (nella specie, re-
lativa ad un contratto concluso in forma orale tra un prestatore di lavoro e una fi-
liale di un istituto bancario, il pretore ha ritenuto rilevanti, al fine dell’applicazione
della legge straniera, la consegna di un manualetto di istruzioni contenente anche le
principali disposizioni della legge straniera in materia di tutela del lavoro e la paci-
fica applicazione di tale norme nello svolgimento del rapporto di lavoro)».
Le obbligazioni contrattuali 101

zione per relationem del contenuto del contratto particolare o una


mera clausola compromissoria) – il «fondamentale principio erme-
neutico di cui all’art. 1362 cod. civ., ricercando cioè la comune in-
tenzione delle parti, senza limitarsi»49 al significato letterale dei ter-
mini utilizzati e senza omettere di utilizzare il criterio dell’interpre-
tazione complessiva disposto dall’art. 1363 c.c.50.

7. Alcune ipotesi particolari di electio juris: le clausole di «stabi-


lizzazione» e la scelta di legge «variabile». – L’indagine relativa alle
particolari modalità di manifestazione del potere di scelta della legge
applicabile impone il riferimento alle c.dd. clausole di stabilizzazione
(clause de gel oppure freezing of the law clauses) e alle clausole con
scelta di legge variabile (floating choice-of-law clauses). Le prime na-
scono in relazione ai c.dd. State contracts, nei quali una delle parti
del contratto, frequentemente di appalto per la costruzione di grandi
opere, è uno Stato, mentre l’altra è un’impresa privata. Di là dagli
orientamenti volti a ricercare lo statuto normativo di tale contratto
nel diritto internazionale pubblico, si sostiene che anche per tali con-
tratti opererebbero i criteri di scelta della legge contenuti nella nor-
mativa di diritto internazionale privato (in particolare, nel Reg. cit.),
in quanto disciplina di diritto comune destinata ad applicarsi anche
nei confronti del soggetto pubblico che agisca iure privatorum. Sì che
anche nell’àmbito degli State contracts51 le parti possono designare la

49
V. S. Ferreri, Il diritto uniforme, in Tratt. di dir. priv. Rescigno, 1, Torino,
1982, p. 84, ed ivi citata Cass., 30 aprile 1969, n. 1403, in Riv. dir. int. priv. proc.,
1970, p. 340. Per Pret. Roma, 6 aprile 1998, in Giur. lav. Lazio, 1998, p. 417 ss., «il
disposto dell’art. 3 della convenzione di Roma, in forza del quale la scelta della legge
da applicarsi al contratto deve essere espressa, o risultare in modo ragionevolmente
certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze, rimandando ai tradizionali
criteri per l’individuazione della volontà tacita dei contraenti ed escludendo, al con-
tempo, ogni ricerca della volontà presunta o ipotetica delle parti, implica la neces-
sità di individuare gli elementi interni al contratto e/o le circostanze esterne ad esso
che siano rivelatori di un’implicita scelta della legge applicabile».
50
In argomento, senza poter in questa sede approfondire tutte le questioni sol-
levate dalle regole ermeneutiche in materia di contratti, si rinvia, per tutti, a V. Rizzo,
Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, Napoli, 1985, p. 11 ss., ed
ivi amplissima bibliografia, e a M. Pennasilico, Il principio di conservazione dei
«valori giuridici», Napoli, 2002, p. 21 ss.,
51
Il fenomeno degli State contracts comprende anche i contratti internazionali
in cui le parti sono entrambe degli Stati. In tal caso risulta particolarmente com-
102 Capitolo II - Francesco Sbordone

legge applicabile la quale – per ragioni di opportunità e forza con-


trattuale, oltre che per la peculiarità delle funzioni ascrivibili all’eser-
cizio del potere contrattuale nella titolarità di un soggetto pubblico
– normalmente coincide con la legge dello Stato parte del contratto52.
Tale circostanza, però, esporrebbe la parte privata a sopportare le
conseguenze negative che potrebbero determinarsi in ragione di una
strumentale e sopravvenuta, rispetto al momento della conclusione
del contratto, modifica legislativa voluta dallo Stato stesso. Per im-
pedire tale evenienza, la prassi ha elaborato particolari clausole che
«congelano» la legge applicabile al momento della conclusione del
contratto rendendo irrilevanti, o meglio non opponibili alla parte pri-
vata, le modifiche legislative intervenute successivamente rispetto a
tale momento. Si dissente, a tal proposito, dal tentativo di ricondurre
tale irrilevanza sul piano della sovranità dello Stato, nel senso che at-
traverso tali clausole lo Stato si impegnerebbe nei confronti della con-
troparte privata a non modificare la propria legislazione limitando
così, di fatto, il proprio potere sovrano. Non sarebbe, difatti, in que-
stione tale obbligo – di difficile ammissibilità – ma più semplicemente
un profilo di inopponibilità di tali successive modificazioni norma-
tive e di neutralizzazione «relativa» del potere statale.
Da questo punto di vista, quindi, tali clausole sembrano essere va-
lide ed efficaci qualora inserite in un contratto internazionale tra Stato
e privato53, mentre resta controversa la loro ammissibilità nell’àmbito

plessa l’identificazione del diritto applicabile in sede di arbitrato (si esclude il riferi-
mento sia alla giurisdizione statale sia alla legge di uno degli Stati, per ragioni che
attengono alla «terzietà»). Si è suggerita, nelle ipotesi di assenza di scelta, l’applica-
zione dei c.dd. princípi di diritto internazionale generalmente riconosciuti dalle «na-
zioni civili», o quelli comuni tra gli Stati-parte del contratto, oppure riferibili ad una
certa area geopolitica nella quale il contratto internazionale si ambienta. Cfr. E. Gail-
lard e J. Savage (a cura di), Fouchard Gaillard Goldman on International Com-
mercial Arbitration, L’Aja, 1999, p. 814 s.
52
Sul punto v. le osservazioni di S. Chaillé de Néré, Les difficultés d’exécu-
tion du contract en droit international privé, cit., p. 73 ss.
53
Connesso al problema delle clausole indicate è quello, più generale, dell’iden-
tificazione del momento nel quale si realizza l’effetto di «richiamo o rinvio», da cui
discende l’applicabilità, alla fattispecie dotata di elementi di estraneità, della legge
straniera individuata in ragione di un criterio di collegamento. La dottrina interna-
zionalprivatistica identifica tale momento, anche nelle ipotesi di criteri di collega-
mento c.dd. «variabili», con il verificarsi degli elementi costitutivi della Tatbestand
(fattispecie) dotata di elementi di estraneità (cfr. E. Vitta, Diritto internazionale pri-
Le obbligazioni contrattuali 103

di contratti internazionali tra privati perché il congelamento della legge


potrebbe determinare, rispetto allo specifico contratto, una tenden-
ziale irrilevanza delle norme imperative o dei princípi di ordine pub-
blico sopraggiunti in tale legge rispetto al momento della conclusione.
Sí che l’inaccettabilità di tale possibile conseguenza consente di af-
fermare che «la pétrification du droit applicable n’est pas distincte d’un
«renvoi materiél», elle équivaut à reproduire dans le contract les dis-
positions matérielles» della legge scelta54.
Le clausole con scelta di legge variabile, infine, garantiscono una
maggiore flessibilità nella determinazione della legge poiché consen-
tono di modificare unilateralmente la legge regolatrice oppure di de-
terminarla in momento successivo. Tali clausole sembrano essere giu-
stificate dalla circostanza per la quale al momento della conclusione
del contratto sussistono, in capo alle parti, incertezze in ordine alla
designazione stabile e definitiva della legge regolatrice.
Con riferimento all’ipotesi di scelta unilaterale, è opportuno pre-
cisare che normalmente la parte facoltizzata alla scelta (in ragione di
un patto con caratteri simili a quello di opzione) potrà optare sol-
tanto per una delle leggi indicate nell’accordo. Altre volte le parti po-
tranno condizionare l’applicazione della legge scelta al verificarsi di
particolari circostanze: così «se in un contratto di prestazione di ser-
vizi la legge regolatrice viene scelta in previsione del fatto che i ser-
vizi debbano essere resi in quello Stato, qualora venga successiva-
mente spostato il luogo di esecuzione del contratto stesso, è preferi-

vato, I, cit., p. 273 ss.). La questione, non sufficientemente approfondita in dottrina,


si rivela di particolare complessità. V. comunque, per alcune indicazioni sul punto,
G. Pau, Determinazione della legge regolatrice del contratto e mutamenti di legisla-
zione (nota a Cass., 6 marzo 1940), in Riv. dir. int., 1941, p. 166 ss.; A. Giardina,
L’autonomia delle parti nel commercio internazionale, in Aa.Vv., Fonti e tipi del con-
tratto internazionale, Milano, 1991, p. 40 s., il quale rileva come la necessità di «cri-
stallizzare» il diritto applicabile si sia resa necessaria onde impedire che lo «Stato-
ospite» degli investimenti stranieri possa alterare a proprio vantaggio la situazione
contrattuale. Cfr., altresì, P. Kahn, Souveraineté de l’Etat et règlement du litige. Ré-
gime juridique du contract d’Etat, in Rev. arb., 1985, p. 641 ss. P. Weil, Problèmes
relatifs au contrats passés entre un Etat et un particulier, Recueil des cours de La
Haye, 1969, p. 95 ss.
54
Così F. Rigaux, Examen de quelques questions laissés ouvertes par la Conven-
tion de Rome sur la loi applicable aux obligations contractuelles, in Cahiers de droit
européen, Paris, 1988, p. 320 s.
104 Capitolo II - Francesco Sbordone

bile che cambi anche la legge regolatrice»55. Altre volte ancóra la legge
regolatrice sarà precisata e, quindi, scelta, soltanto in un momento
successivo rispetto alla definizione autonoma del foro, sí da deter-
minare una coincidenza tra forum e ius. Non pare sussistano osta-
coli circa il riconoscimento della validità di dette clausole, poiché co-
stituiscono esercizio di autonomia privata ex art. 3 Reg. Roma I.

8. La scelta di regole di origine «non statale». – Per quanto sin


qui sostenuto, quindi, le parti di un contratto internazionale potranno
scegliere di far regolare il loro contratto, o parte di esso, da una spe-
cifica legge statale, a volte diversa dalla legge del foro (intesa que-
st’ultima come la legge del giudice che ha titoli di giurisdizione per
decidere la controversia). L’electio iuris potrà essere manifestata ap-
ponendo una clausola specifica al contratto internazionale (scelta con-
testuale alla stipulazione del contratto), oppure in momento antece-
dente o successivo alla conclusione del contratto al quale la scelta si
riferisce.
Resta inteso che, ma con tutte le perplessità di seguito rappresen-
tate, la scelta non potrà che avere per oggetto una legge statale, cioè
la legge di uno specifico ordinamento nazionale.
La ragione risiederebbe, non senza riserve, nel fatto che il giudice
può assegnare alla scelta valore di richiamo internazionalprivatistico
soltanto qualora sia indirizzata ad una legge statale; e ciò perché la
norma di diritto internazionale privato non consentirebbe alle parti,
per la peculiarità del suo fondamento e della sua funzione (risolu-
zione di un conflitto tra leggi), una designazione di regole diverse
(comunque di origine non statale). Pertanto, qualora le parti optino
per l’applicazione di tali regole, la scelta non varrà di fronte al giu-
dice statale come reale designazione della legge (c.d. kollisionrechtli-
che Verweisung), bensì come peculiare modalità di predisposizione

55
Sul punto v. l’interessante saggio di A. Saravalle, Clausole con scelta di legge
variabile e Convenzione di Roma del 1980, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995, p. 17
ss., spec. p. 23. Per la giurisprudenza cfr. Cass., Sez. un., 10 marzo 2000, n. 58, in
Giust. civ., 2000, I, p. 3203 ss., per la quale «non è configurabile un idoneo accordo
delle parti sulla legge da applicare al contratto quando la clausola relativa sia stata
inserita dal contraente estero nei documenti da lui redatti e sottoscritti, ma il docu-
mento di accettazione della proposta contrattuale sottoscritto dal contraente italiano
non contenga alcun riferimento a tale opzione».
Le obbligazioni contrattuali 105

del contenuto contrattuale per relationem (c.d. materiellrechtliche


Verweisung)56.
L’approfondimento della questione appare però di particolare im-
portanza ove si rifletta sulla circostanza per cui soprattutto gli ope-
ratori professionali (imprese), nel contesto degli scambi commerciali
internazionali, hanno contribuito, anche attraverso la determinazione
di specifiche prassi/usi, all’elaborazione di regole sostanziali uniformi
per la disciplina dei contratti internazionali. In altri termini, proprio
per superare le specificità degli ordinamenti nazionali e della loro ap-
plicazione in sede giudiziale (che non sempre rispondono alle aspet-
tative ed alle esigenze di operatori economici «globali»; si immagini,
ad es., un importatore italiano che vede risolvere la controversia con-
trattuale con l’esportatore tedesco da un giudice tedesco secondo la
legge francese, certamente in contesto poco «familiare») – sia per
prassi sia per l’attività istituzionale di centri ed istituti di riconosciuto
prestigio internazionale – si sono elaborati numerosi «sistemi» di re-
gole uniformi di rilevanza «transnazionale» i quali non costituiscono
manifestazione del potere normativo sovrano degli Stati. Questi si-
stemi di regole (c.d. rules of law, diverse dalla law in senso stretto)
sono destinati ad acquisire rilievo non dinanzi al giudice statale, bensí
in sede di giudizio arbitrale (arbitrato commerciale internazionale).
Le regole non etatiques (di origine non statale) sono di diversa
origine. Quando ci si riferisce agli usi ed alle prassi commerciali, nor-
malmente si richiama il concetto di lex mercatoria, quale insieme com-
posito di principi e regole effettivamente e ripetutamente applicate
(diuturnitas; alla quale molte volte si abbina anche la c.d. opinio ju-

56
La nomenclatura, e la correlativa distinzione, risalgono a E. Zitelmann, In-
ternationals Privatrecht, I, Lipsia, 1897, p. 270 ss., ripresa da E. Frankestein, In-
ternationals Privatrecht, I, Berlino, 1929, p. 164 ss. Così è orientata la prevalente
dottrina internazionalprivatistica: cfr., con specifico riferimento alla scelta dei Princípi
Unidroit, A. Giardina, I Principi Unidroit quale legge regolatrice dei contratti in-
ternazionali (i principi ed il diritto internazionale privato), in M.J. Bonell e F. Bo-
nelli (a cura di), Contratti commerciali internazionali e Principi Unidroit, Milano,
1997, p. 57 ss., spec. p. 61, il quale evidenzia come «dans la plupart des cas, le ren-
voi aux Principes constitue exercice d’autonomie contractuelle, le Commentaire au
Préambule ajoute que «la situation peut être différente» lorsque les parties décident
de porter leur différend devant un tribunal arbitral». Per un’attenta disamina v. G.P.
Romano, Le choix des Principes Unidroit par les contractans à l’épreuve des dispo-
sitions impératives, in Clunet, 2007, p. 35 ss.
106 Capitolo II - Francesco Sbordone

ris ac necessitatis, e cioè il convincimento soggettivo della loro vin-


colatività normativa) in determinati settori (si pensi, ad es., agli ope-
ratori commerciali nel settore petrolifero – per sua natura «globale»
– i quali, per prassi, hanno elaborato regole uniformi di disciplina de-
gli scambi la cui applicazione è di frequente affidata o a camere ar-
bitrali di categoria – cioè espressioni delle associazioni di settore –
oppure ad istituti arbitrali internazionali di riconosciuto prestigio –
ad es., la Corte Arbitrale Internazionale di Stoccolma, oppure l’IC-
SID – International Centre for Settlement of Investment Disputes).
In altri casi, le regole uniformi sono elaborate da istituzioni e/o cen-
tri c.dd. «a vocazione universale» i quali sono sorti con il preciso
scopo, di natura molte volte scientifica, di comporre la disciplina so-
stanziale uniforme di alcuni fenomeni a carattere spesso internazio-
nale (tipico, appunto, il contratto) superando le specificità delle di-
scipline nazionali/locali (molte volte appartenenti ad aree giuridiche
diverse; si pensi, ad es., ai sistemi di common law e di civil law). Le
regole, così predisposte, sono destinate o agli Stati (che potrebbero
recepirle in Convenzioni internazionali oppure in fonti interne) op-
pure ai privati che potrebbero decidere di applicarle in sede, anche
qui, arbitrale o di recepirle all’interno del loro contratto (recezione
materiale). Ciò che rileva, a tal fine, è il prestigio e l’autorevolezza
dell’istituto/centro e la correlativa diffusione, per «persuasività», delle
regole57.
Tali sistemi di regole sono, in senso ampio, denominati soft-law.
La soft-law è uno strumento regolativo che, per quanto sostenuto,
non ha forza di legge (quest’ultima denominata, per contrapposizione,
hard-law) ma la sua concreta applicazione dipenderà o dalla sua suc-
cessiva trasformazione in legge da parte di uno Stato (soft-law che si
trasforma in hard-law) oppure dalla circostanza che ad essa ricorra
autonomamente l’arbitro, in sede di arbitrato commerciale internazio-
nale, o le parti di un contratto attraverso un meccanismo di recezione
negoziale oppure di scelta delle regole cui l’arbitro dovrà ricorrere.

57
Cfr. F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005;
F. Sbordone, Contratti internazionali e lex mercatoria, Napoli, 2008; M.R. Ferra-
rese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari,
2006; F. Marrella, La nuova lex mercatoria. Principi Unidroit ed usi del commer-
cio internazionale, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’econ. Galgano, XXX, Pa-
dova, 2003.
Le obbligazioni contrattuali 107

Si segnalano, in particolare, i Princípi Unidroit dei contratti com-


merciali internazionali (P.I.C.C.) e i Princípi di diritto europeo dei
contratti (P.E.C.L.). Entrambi rappresentano delle codificazioni «pri-
vate»58 realizzate, rispettivamente, dall’Istituto Unidroit (organizza-
zione intergovernativa indipendente istituita nel 1926, attualmente
composta di 59 Stati membri, con lo scopo di studiare mezzi per l’ar-
monizzazione ed il coordinamento del diritto privato tra gli Stati at-
traverso la redazione di progetti di leggi e convenzioni mirate a sta-
bilire un diritto uniforme) e dalla Commissione per il diritto euro-
peo dei contratti presieduta da Ole Lando59.
Entrambe le iniziative, sebbene con obiettivi parzialmente diversi,
hanno come precedente significativo il processo di unificazione pro-
mosso negli Stati Uniti dall’American Law Institute agli inizi degli
anni Venti e confluito nel Restatement of the Law of Contracts e
come obiettivo il tendenziale superamento delle diversità con le quali
i singoli diritti nazionali rispondono alle esigenze del commercio in-
ternazionale. Si rileva, difatti, che l’inadeguatezza dei singoli diritti
nazionali «deriva da due caratteristiche dell’economia contemporanea.
La prima è la natura meta-nazionale dell’economia in antitesi con il
carattere nazionale degli ordinamenti giuridici. La seconda è che l’e-
conomia è in costante trasformazione e, pertanto, richiede al diritto
strumenti di adattamento flessibili, in antitesi con la rigidità dei di-
ritti»60.

58
Sulla codificazione del diritto degli scambi internazionali v. anche la proposta
di un Global Commercial Code a cura dell’UNCITRAL; cfr. M.J. Bonell, Do we
need a Global Commercial Code?, in Dir. comm. int., 2000, p. 849.
59
Nella stessa direzione dei P.E.C.L. v. le regole predisposte da altra commissione
(c.d. «Gruppo di Pavia») sulle quali, G. Gandolfi (a cura), Code européen des con-
tracts. Livre I – Avant projet, 2a ed., Milano, 2003; cfr. altresì il progetto relativo alla
ricerca del Common Core of European Private Law coordinato dai Proff. U. Mattei
e M. Bussani (sul quale cfr. D.J. Gerber, The Common Core of European Private
Law: The Project and Its Books, in Amer. Jour. of Comp. Law, 2004, p. 995 ss.). Tali
regole in materia di contratti comunitari sono state prese in considerazione, accanto
ad altre iniziative, dalla Commissione delle Comunità Europee, la quale con COM(2001)
n. 398 ha dato notevole impulso all’armonizzazione del diritto sostanziale dei con-
tratti in àmbito comunitario, prevedendo una prossima adozione di regolamenti e di-
rettive volte ad un complessivo restatement law della materia. Cfr. G. Alpa, La co-
municazione n. 398/2001/CE sulla armonizzazione del diritto privato. Una premessa
al dibattito, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, p. 425 ss.
60
Così F. Galgano, The New Lex Mercatoria, in Annual Survey of Interna-
108 Capitolo II - Francesco Sbordone

Per quanto sostenuto, sia le regole di soft-law sia la lex mercato-


ria sembrano tuttora fenomeni estranei al funzionamento delle di-
sposizioni di diritto internazionale privato, pur costituendo un feno-
meno rilevantissimo sul piano della disciplina delle transazioni eco-
nomiche internazionali. La capacità applicativa di tali sistemi di re-
gole, per quanto accennato, si collega in via principale ad una parti-
colare modalità di esercizio dell’autonomia privata in ambito inter-
nazionale che viene definita «delocalizzazione» del contratto (il ter-
mine impiegato non a caso si contrappone alla capacità «localizzante»
nello spazio ascritta alle norme di diritto internazionale privato me-
diante la posizione di criteri di collegamento, tra i quali l’electio juris)61.
La «delocalizzazione» si realizza innanzitutto apponendo al con-
tratto internazionale una clausola compromissoria per un arbitrato
commerciale internazionale: come si è già avuto modo di rammen-
tare, l’arbitro, in questa sede e per le funzioni ad esso ascritte, può
decidere la controversia ricorrendo ai principi generali del diritto o a
sistemi di regole, anche non statali, scelte dalle parti (ad es., le parti
potranno concordare che «il presente contratto è regolato dai Prin-
cipi Unidroit. Tutte le controversie che dovessero insorgere tra le
parti, connesse con il presente accordo, ivi incluse quelle inerenti l’e-
sistenza, la validità, l’efficacia, l’esecuzione, l’interpretazione e la ri-
soluzione del presente contratto, dovranno essere risolte esclusiva-
mente mediante il ricorso ad un collegio di tre arbitri nominati ed
operanti in base al Regolamento di Conciliazione ed Arbitrato della
Camera di Commercio Internazionale (ICC), che le parti dichiarano
sin d’ora di conoscere, nonché di considerare come parte integrante
del presente contratto. Sede dell’arbitrato è Parigi. Lingua ufficiale
dell’arbitrato è il francese»). In tal modo, le parti possono, in misura
più o meno ampia, escludere qualsiasi «contatto» con i singoli ordi-
namenti nazionali (sotto il profilo sia del forum sia dello ius), collo-
cando il loro rapporto contrattuale e la relativa disciplina in uno
spazio che alcuni definiscono «transnazionale»62. Lo scopo, si ripete,

tional and Comparative Law, 2, 1995, p. 99, ripreso da M.J. Bonell, Un «Codice»
Internazionale del Diritto dei Contratti, 2a ed., Milano, 2006, p. 12.
61
Cfr., in generale, P. Bernardini, Arbitrato commerciale internazionale, in Enc.
dir., Aggiornamento, I, Milano, 1997, p. 89 ss. e Id., L’arbitrato commerciale inter-
nazionale, Milano, 2000, p. 391 ss.
62
V. L. Ruggeri, La prassi mercantile nella contrattazione internazionale, Na-
Le obbligazioni contrattuali 109

è quello di acquisire, per questa via, una disciplina del loro rapporto
che sia internazionalmente uniforme e un sistema di soluzione della
controversia (arbitrato) reputato più efficiente e tecnicamente meglio
attrezzato per rispondere alle esigenze tipiche del commercio inter-
nazionale (spesso misconosciute in sede di giudizio statale).
In altri termini, quindi, le parti di un contratto internazionale po-
tranno o «delocalizzare» il loro rapporto (con le modalità appena de-
scritte) oppure – con una vera e propria scelta della legge applicabile
ex art. 3 Reg. Roma I e mediante clausole di c.d. «proroga»/«deroga»
della giurisdizione – indirizzare la loro eventuale controversia verso
il giudice (forum) e la legge statale (ius) che meglio rappresenta i loro
interessi. Nel primo caso («delocalizzazione») potranno veder rego-
lato il loro rapporto contrattuale, in sede di arbitrato commerciale
internazionale, anche da regole uniformi di origine non statale (lex
mercatoria, strumenti di soft-law), mentre nel secondo – posta per
quanto detto la tendenziale irrilevanza dinanzi al giudice statale sia
della lex mercatoria (se non nei limiti in cui possono rilevare gli usi
normativi e/o negoziali) sia degli strumenti di soft-law (se non nei li-
miti della mera recezione negoziale) – dovranno far esclusivo riferi-
mento alla legge di uno Stato (spesso, però, poco familiare per le parti
e comunque «voluta» dallo Stato in relazione a fattispecie «domesti-
che» e non internazionali, quindi poco adatta a comprendere e re-
golare gli specifici interessi di tali relazioni).
Tale situazione, soprattutto con riferimento ai rapporti commer-
ciali internazionali, produce di fatto una tendenziale «fuga» del con-
tratto internazionale dal diritto e dal giudice statale, laddove i privati,
soprattutto nelle relazioni economiche di maggior rilevanza, ricor-
rono all’arbitro e all’applicazione di regole non etatiques. Il fenomeno
non è trascurabile, posto che, nelle ipotesi di «delocalizzazione» del
contratto, non sempre l’arbitro è in grado di assicurare la necessaria
e corretta applicazione al contratto di principi e regole statali di na-
tura imperativa e/o di ordine pubblico, non essendo sempre suffi-
ciente in tale direzione il controllo successivo di conformità all’or-
dine pubblico del lodo arbitrale, demandato al giudice statale in fase
di omologa/riconoscimento del lodo per la sua esecuzione (exequa-
tur). Per tali ragioni, si è più volte sollecitata e prospettata l’applica-

poli, 1994 e B. Goldman, La lex mercatoria dans les contracts et l’arbitrage inter-
nationaux: réalité et perspectives, in Clunet, 1979, p. 480 ss.
110 Capitolo II - Francesco Sbordone

zione, questa volta dinanzi al giudice statale e non soltanto in sede


arbitrale, delle regole di cui fin qui si è discusso, nel tentativo di «re-
stituire» alla giurisdizione dello Stato ed ai necessari controlli etero-
nomi di liceità e meritevolezza rapporti contrattuali particolarmente
rilevanti. In questa direzione giova menzionare quanto è accaduto in
sede di predisposizione del Regolamento Roma I. La proposta di re-
golamento nella sua versione originaria, poi emendata sul punto in
fase di approvazione, prevedeva all’art. 3 comma 2, che «le parti pos-
sono anche scegliere come legge applicabile princípi e norme di di-
ritto sostanziale dei contratti, riconosciuti a livello internazionale o
comunitario. Tuttavia, le questioni riguardanti le materie disciplinate
da tali princípi o norme e non espressamente risolte da questi ultimi
verranno risolte secondo i princípi generali cui si ispirano o, in man-
canza, conformemente alla legge applicabile in mancanza di scelta ai
sensi del presente regolamento».
Nel parere del Comitato economico e sociale europeo63 sulla pro-
posta di regolamento fu espresso notevole apprezzamento per l’«aper-
tura», in sede di disciplina del c.d. pactum de lege utenda, soprat-
tutto verso i P.E.C.L. Tale proposta, riferí infatti il Comitato, «rive-
ste un’importanza cruciale per l’avvenire dello spazio giuridico euro-
peo, ossia l’eventuale creazione di uno strumento opzionale o 26o re-
gime da parte della Comunità europea. Con ciò s’intende che le parti
potranno scegliere di assoggettare il contratto a un diritto civile eu-
ropeo la cui creazione è attualmente all’esame e di cui il quadro co-
mune di riferimento (QCR), oggi in fase di elaborazione, potrebbe
costituire una prima tappa. L’articolo 3, paragrafo 2, è una norma di
apertura che consente alle parti di scegliere una legge regolatrice so-
pranazionale. Finora tale possibilità non era espressa con chiarezza
nel diritto internazionale privato, e il Comitato esprime il suo ap-
prezzamento senza riserve per questa apertura: per la prima volta, in-
fatti, le parti potrebbero effettivamente utilizzare in larga misura dei
modelli europei uniformi di contratto, il che costituirebbe un note-
vole progresso verso il completamento del mercato interno. Se un
giorno si riuscisse a realizzarlo, uno strumento opzionale o 26o re-
gime potrebbe aspirare ad essere il miglior sistema di diritto civile
possibile. Scegliendo concordemente di applicare tale regime anziché

63
In G.U.C.E. del 26 dicembre 2006, C 318/56.
Le obbligazioni contrattuali 111

un diritto nazionale, ovviamente non vi sarebbe più alcun bisogno di


compiere modifiche o procedere a un ravvicinamento normativo a
causa delle leggi di polizia nazionali (o per garantire la compatibilità
con l’ordine pubblico del foro – art. 20). La scelta di applicare un
corpus normativo sovranazionale, infatti, ne comporterebbe un’appli-
cazione piena e illimitata, dato che esso riprodurrebbe le norme ge-
neralmente accettate nell’Unione europea. Poiché l’articolo 3, para-
grafo 2, consente già in linea di principio una scelta in tal senso, tale
norma sarebbe la sede più idonea per fissare le condizioni alle quali
è possibile avvalersi dei vantaggi offerti dallo strumento opzionale. Si
dovrebbe prevedere espressamente che l’art. 8 non si applica se le
parti concordano di applicare un regime sovranazionale (e lo stesso
dovrebbe valere anche per l’ordine pubblico di cui all’art. 20)».
Lo scopo perseguito dalla Commissione europea quindi, di là dalla
necessità di modernizzare il sistema europeo di diritto internazionale
privato, era quello di rafforzare ulteriormente l’autonomia della vo-
lontà, principio chiave della convenzione, autorizzando «le parti a
scegliere come legge applicabile un diritto non statuale. La formula-
zione adottata è intesa ad autorizzare, in particolare, la scelta dei
princípi Unidroit, dei Principles of European Contract Law o di un
eventuale futuro strumento comunitario facoltativo, vietando invece
la scelta della lex mercatoria, insufficientemente precisa, o di codifi-
cazioni private non sufficientemente riconosciute dalla comunità in-
ternazionale»64. Purtroppo, però, tali intenzioni non hanno avuto l’au-
spicato favore, sí che il testo del Regolamento definitivamente ap-
provato non contiene più alcun riferimento alle riferite regole non
statali. Diversamente da quanto disposto nella Convenzione intera-
mericana sulla legge applicabile ai contratti internazionali del 17 marzo
1994, la quale stabilisce che il contratto è retto dal «diritto» (e non,
come nel nostro sistema di diritto internazionale privato, dalla «legge»)
scelto dalle parti e che «se aplicaràn, cuando corresponda, las nor-
mas, las costumbres y los principios del derecho comercial interna-
cional, asì como los usos y pràcticas comerciales de general aceptà-
cion con la finalidad de realizar las exigencias impuestas por la justi-
cia y la equidad en la soluciòn del caso concreto» (art. 10). Sí che il
giudice statale è tenuto ad applicare al merito della controversia sorta

64
V. la proposta di Reg. Roma I, n. 2005/0261 (COD).
112 Capitolo II - Francesco Sbordone

da contratto tali regole perché scelte dalle parti (nel caso di mancanza
di scelta – art. 9 – dovrà comunque tener conto, nel verificare il col-
legamento più stretto del contratto con una data legge statuale, dei
princípi generali del diritto commerciale internazionale accettati da
organismi internazionali). Riguardo tale soluzione, adottata nei Paesi
dell’America latina, si è affermato che essa introduce anche per «i
giudici del Re» una rinnovata attenzione per la lex mercatoria (ma
anche dei Princípi Unidroit e, più in generale, per tutti i sistemi di
regole a-nazionali del commercio internazionale)65.
In tale direzione, autorevole dottrina sostiene, infine, che non do-
vrebbero sussistere ostacoli nel riconoscere alle norme di diritto in-
ternazionale privato una capacità di «richiamare», quale effetto pro-
prio di tali norme, anche «diritti» e «regole» di origine non statale,
non potendosi limitare, come da tradizione, tale effetto alle sole leggi
dello Stato. Gli argomenti a sostegno della tesi sono molteplici e ten-
denzialmente orientati a riconoscere a tali «regole» valore analogo alla
norma statale. In ogni caso si rileva che l’applicazione, in sede di con-
troversia dinanzi al giudice statale (national court), di tali regole por-
rebbe fine ad una ingiustificata discriminazione tra «court litigation
in favor of arbitration»66.

9. Esistenza e validità dell’electio juris. – L’art. 3, comma 5, Reg.


cit. dispone che l’esistenza e la validità del consenso delle parti sulla
legge applicabile sono disciplinate dagli artt. 10, 11 e 13 del Rego-
lamento medesimo. Con specifico riferimento alla verifica dell’esi-
stenza ed della validità «sostanziale» del pactum de lege utenda,
l’art. 10 Reg. cit. ricorre alla «legge che sarebbe applicabile in virtù
del presente regolamento se il contratto o la disposizione fossero
validi». In altri termini, per accertare se la scelta della legge esiste
ed è valida sul piano sostanziale si deve far riferimento alla legge
scelta (lex causae). Tale soluzione, sebbene possa apparire poco ra-
zionale, se non addirittura viziata sotto il profilo logico (come po-
trebbe applicarsi la legge scelta dalle parti per valutare se quest’ul-

65
Così F. Marrella, La nuova lex mercatoria. Principi Unidroit ed usi del com-
mercio internazionale, cit., p. 121.
66
V. L. Radicati di Brozolo, Non-national rules and conflicts of law, in Riv.
dir. int. priv. e proc., 3, 2012.
Le obbligazioni contrattuali 113

tima è valida?), è sembrata quella in grado di garantire una mag-


giore univocità e coerenza delle soluzioni, impedendo il ricorso alla
lex fori da parte giudice dotato dei c.dd. titoli di giurisdizione. Le
ragioni specifiche di tale soluzione sono da ricercarsi nel fatto che
«da un punto di vista pratico, è prevalsa l’esigenza di assicurare una
soluzione univoca circa l’esistenza e la validità del consenso, quale
che sia il giudice adito. Ogni diversa soluzione, raggiunta in base
alla lex fori, differente per i giudici di ciascuno Stato, non avrebbe
garantito il risultato di sottoporre la scelta ad una stessa legge re-
golatrice (nella specie quella designata dai contraenti), indipenden-
temente dallo Stato del giudice cui la lite sia sottoposta»67. Sotto al-
tro profilo, giova osservare che il ricorso alla legge scelta dalle parti,
ex art. 3, comma 5, Reg. cit., per valutare la validità e l’esistenza di
quest’ultima, è effetto voluto dalla legge e non necessariamente in
senso conforme alla volontà espressa nell’accordo (tant’è che, all’e-
sito della verifica, il pactum de lege utenda potrebbe risultare addi-
rittura inesistente); sí che, al solo fine dell’applicazione della norma
indicata, la scelta sembrerebbe rilevare alla stregua di un mero fatto
giuridico e non come negozio giuridico. Quanto agli altri criteri di
collegamento contenuti nelle disposizioni richiamate dall’art. 3, comma
5, Reg. cit., si rinvia infra alla specifica trattazione dei criteri di esi-
stenza, validità sostanziale e formale e capacità relativi al contratto
internazionale.

10. Prospettive future in materia di scelta della legge applicabile


ai contratti internazionali. – Il pactum de lege utenda, di là dal suo
contesto applicativo tipico, sembra destinato ad assumere sempre mag-
gior rilevanza nella prospettiva sia di implementare il livello di pre-
vedibilità e certezza nelle relazioni contrattuali a carattere interna-
zionale sia di consentire la concreta applicazione, da parte dell’arbi-
tro ma anche del giudice statale per quanto riferito, di sistemi di re-
gole uniformi non vincolanti o comunque non ancora recepite e fatte
proprie dal legislatore nazionale o comunitario. Si segnala, in questa
direzione:

67
Cosí U. Villani, Sulla scelta della legge applicabile ai contratti nel Regola-
mento comunitario Roma I, in Scritti in onore di Francesco Capriglione. Le regole
del mercato finanziario, Padova, 2010, p. 738.
114 Capitolo II - Francesco Sbordone

a) l’iniziativa della Conferenza de L’Aja di diritto internazionale


privato – organizzazione intergovernamentale istituita nel 1893 con
lo scopo di predisporre norme uniformi per situazioni a carattere in-
ternazionale – diretta alla definizione dei principi e delle regole che
devono informare l’individuazione della legge applicabile ai contratti
commerciali internazionali. L’ambito applicativo del progetto è limi-
tato ai contratti tra imprese, con espressa esclusione dei contratti tra
imprese e consumatori, di cui si riferirà, e dei contratti di lavoro.
Nella bozza di convenzione – ancora in discussione e licenziata nel
gennaio 2012 dal Bureau Permanent della Conferenza – si dà ampio
risalto all’autonomia privata «conflittuale» ed alla scelta della legge ad
opera delle parti. L’art. 2, difatti, dispone che «A contract is gover-
ned by the law chosen by the parties. In these Principles a reference
to law included rules of law», riferendo quindi anche della possibi-
lità per le parti di ricorrere, quale legge regolatrice del loro contratto,
a sistemi di regole (rules of law) non statali (nel documento, dispo-
nibile all’indirizzo www.hcch.net, si precisa che nella redazione defi-
nitiva dei principi bisognerà distinguere «individual rules made by
the parties and a body of rules»);
b) la stretta connessione del Regolamento Roma I con i progetti
di uniformazione del diritto contrattuale europeo (DCE) in sede co-
munitaria. Da tempo, infatti, si discute circa l’opportunità di intro-
durre per l’Unione europea, e cioè per ciascuno Stato membro, norme
uniformi generali per il contratto (sí che un contratto, sia domestico
sia «comunitario» nel senso di presentare punti di contatto con più
ordinamenti di Stati membri, sarebbe regolato in generale dalle me-
desime disposizioni). I diversi progetti realizzati, tra cui i P.E.C.L. di
cui si è già avuto modo di riferire, si sostanziano nella predisposi-
zione di un corpo unitario di regole (body of rules), ascrivibili al ge-
nere soft-law, la cui applicazione dipenderà quindi dalla scelta delle
parti (strumento regolamentare opzionale). Nei «Considerando» del
Regolamento Roma I, in particolare nel n. 14, si afferma che «qua-
lora la Comunità dovesse adottare in un idoneo strumento giuridico
norme di diritto sostanziale dei contratti, comprendenti clausole e
condizioni standard, tale strumento può prevedere la possibilità per
le parti di scegliere l’applicazione di tali norme». In altri termini, il
potere di scelta della legge applicabile, di cui all’art. 3 Reg. cit., po-
trebbe essere funzionale all’effettiva applicazione di sistemi di regole
predisposti in sede comunitaria come strumenti «opzionali» (in attesa
Le obbligazioni contrattuali 115

di divenire, nel tempo, vere e proprie norme comunitarie uniformi


da adottarsi con regolamento U.E.)68.

11. La legge applicabile al contratto internazionale in mancanza


di scelta. – Qualora le parti non abbiano scelto la legge, oppure l’e-
lectio juris sia risultata inesistente e/o invalida sotto il profilo sia so-
stanziale sia formale per quanto disposto dall’art. 3, comma 5, Reg.
cit. e dalle norme da esso richiamate (artt. 10, 11 e 13 Reg. cit.), l’in-
dividuazione della legge applicabile al contratto deve essere condotta
secondo i criteri di collegamento contenuti nell’art. 4 Reg. cit. (ad ec-
cezione dei contratti di trasporto, di quelli conclusi dai consumatori,
dei contratti di assicurazione e di lavoro individuale, per i quali i cri-
teri sono definiti dagli art. 5-8 Reg. cit.; ma v. infra). Nel comma 1
dell’art. 4 Reg. cit. (lettere a-h) si individuano i criteri di collegamento
per specifiche fattispecie contrattuali e pertanto:
a) il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese
nel quale il venditore ha la residenza abituale;
b) il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge
del paese nel quale il prestatore di servizi ha la sua residenza abituale;
c) il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o
la locazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui
l’immobile è situato (lex rei sitae);
d) in deroga alla lettera precedente, la locazione di un immobile
concluso per uso privato temporaneo per un periodo di non oltre sei
mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il pro-
prietario ha la residenza abituale, purché il locatario sia persona fi-
sica e abbia la sua residenza abituale nello stesso paese;
e) il contratto di affiliazione commerciale (franchising) è discipli-
nato dalla legge del paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale;
f) il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese
nel quale il distributore ha la residenza abituale;
g) il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge
del paese nel quale ha luogo la vendita all’asta, se si può determinare
tale luogo;
h) il contratto concluso in un sistema multilaterale che consente

68
Cfr. N. Posenato, Autonomia della volontà e scelta della legge applicabile ai
contratti nei sistemi giuridici latino-americani, cit., p. 134.
116 Capitolo II - Francesco Sbordone

o facilita l’incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita di


terzi relativi a strumenti finanziari (mercato di borsa), come definiti
dall’art. 4, par. 1, punto 17 della Direttiva 2004/39/CE (c.d. Direttiva
M.iF.I.D. Markets in Financial Instruments Directive attuata in Italia
con D.lgs. n. 164/2007), conformemente a regole non discrezionali e
disciplinato da un’unica legge, è disciplinato da tale legge69.
Nelle ipotesi appena indicate il criterio di collegamento più uti-
lizzato è quello della residenza abituale. L’art. 19 Reg. cit. dispone
che per residenza abituale di società, associazioni e persone giuridi-
che deve intendersi il luogo in cui si trova la loro amministrazione
centrale, mentre quella delle persone fisiche che agiscono nell’eserci-
zio di una attività professionale è rappresentata dalla sede dove si
svolge l’attività principale. Il momento determinante per individuare
la residenza abituale è quello della conclusione del contratto (art. 19,
comma 3, Reg. cit.)
Nei casi in cui il contratto in esame non rientri tra le ipotesi ap-
pena descritte oppure ricada in più di una di queste (nel senso che
presenta elementi contemplati da più di una delle fattispecie descritte
alle lettere a-h), la legge applicabile è quella in cui la parte che deve
eseguire la c.d. «prestazione caratteristica»70 ha la propria residenza
abituale (art. 4, comma 2, Reg. cit.). Il criterio di collegamento indi-
cato impone alcune precisazioni. Occorre, innanzitutto, osservare che
la soluzione prospettata dal legislatore comunitario era già presente
nella Convenzione di Roma del 1980 (all’art. 4) e risponde all’esi-
genza di individuare il «centro di gravità» del contratto nella pro-
spettiva del c.d. «collegamento più stretto» (v. art. 4, comma 3, Reg.
cit.). In altri termini, il criterio indicato (così come quelli di cui al
comma 1 dell’art. 4 Reg. cit.) dovrebbe condurre all’applicazione della
legge con la quale il contratto è più intensamente collegato, secondo
un rapporto di prossimità (proper law of contract; sotto il profilo me-
todologico cfr. la teoria della prossimità di cui si è trattato nella parte

69
In generale, cfr., O. Lopes Pegna, Il rilievo del collegamento più stretto dalla
convenzione di Roma alla proposta di regolamento «Roma I», in Riv. dir. internaz.,
2006, p. 756 ss. e R. Baratta, Il collegamento più stretto nel diritto internazionale
privato dei contratti, Milano, 1991.
70
Cfr. U. Villani, Aspetti problematici della prestazione caratteristica, in Riv.
dir. int. priv. e proc., 1993, p. 513 ss.; M. Magagni, La prestazione caratteristica nella
convenzione di Roma del 19 giugno 1980, Milano, 1990.
Le obbligazioni contrattuali 117

generale)71. La «prestazione caratteristica» è comunemente intesa come


quella di carattere non monetario e cioè, nei contratti onerosi o a
prestazioni corrispettive (sinallagmatici), la controprestazione rispetto
a quella di pagamento del prezzo/corrispettivo (ad es., in un appalto
di servizi, la prestazione caratteristica è quella a carico dell’appalta-
tore di prestare il servizio concordato; quella di pagare il prezzo del
servizio, a carico dell’appaltante, non sarebbe in grado di esprimere
la funzione economico-sociale dello stesso e pertanto è tendenzial-
mente irrilevante ai fini della «localizzazione» della fattispecie con-
trattuale nell’ordinamento di un dato paese). In tale direzione rileva
non tanto il luogo in cui detta prestazione deve essere eseguita (lex
loci executionis) quanto piuttosto il luogo in cui la stessa è dovuta
(Schuldort), coincidente con la residenza abituale del debitore. L’in-
dagine tesa ad individuare in un contratto la prestazione caratteristica
dovrà far riferimento al modello astratto e tipico – sul piano soprat-
tutto sociale ma anche giuridico (ovviamente ricorrendo a criteri di
qualificazione in parte autonomi rispetto legge del foro onde non va-
nificare gli obiettivi di uniformazione perseguiti dal Regolamento e
la conseguente esigenza di una sua interpretazione uniforme nel con-
testo U.E.) – del contratto (ad es., nella vendita, lo scambio della res
contro prezzo) e non allo specifico accordo ed agli specifici interessi
avuti di mira dalle parti72.
In questa direzione, quindi, la «prestazione caratteristica» rappre-
senta la «funzione che il rapporto giuridico in oggetto svolge nella
vita economica e sociale del paese. La concezione della prestazione
caratteristica permette in sostanza di ricollegare il contratto all’am-
biente economico e sociale nel quale esso si inserisce»73. Viceversa, la
prestazione di dare danaro altro non sarebbe che la rappresentazione
del valore della controprestazione, pertanto incapace di esprimere la
funzione determinante del contratto. Sotto altro profilo si rileva come

71
Cfr. per il principio di prossimità in d.i. privato, P. Lagarde, Le principe de
proximitè en droit international privé, in Recueil des cours de La Haye, I, 1986, p.
9 ss.
72
Cfr. per tutti U. Villani, Il ruolo della prestazione caratteristica dalla Con-
venzione di Roma al regolamento «Roma I» sulla legge applicabile ai contratti, in
Studi sull’integrazione europea, 3, 2010, p. 577 e ss.
73
Così M. Giuliano e P. Lagarde, Relazione sulla Convenzione relativa alla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in T. Treves (a cura di), Verso una
disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti, Padova, 1983.
118 Capitolo II - Francesco Sbordone

la prestazione caratteristica sia quella normalmente più complessa e


dettagliata e, pertanto, è apparso meritevole il ricorso alla legge più
familiare al debitore tenuto ad adempierla (quella del luogo in cui
quest’ultimo risiede abitualmente).
Il riferimento alla prestazione caratteristica è stato oggetto, peral-
tro, di numerose critiche. Innanzitutto si è osservato che non sem-
pre è possibile individuare in un contratto una prestazione moneta-
ria corrispettiva di altra prestazione che, per tale ragione, risulterebbe
essere quella caratteristica (si pensi, ad es., al contratto di permuta).
In altri casi, poi, dal contratto discenderebbero addirittura due pre-
stazioni monetarie, senza, pertanto, alcuna possibilità di riconoscere
ad una delle due il ruolo di prestazione caratteristica (ad es., nei con-
tratti c.dd. interbancari). Sotto altro profilo, si è rilevato che il crite-
rio di collegamento in esame finirebbe per condurre all’applicazione
della legge più familiare alla parte contrattualmente più «forte» (banca,
impresa, libero professionista). In ogni caso non è apparsa condivi-
sibile l’idea per la quale un contratto sia più intensamente legato al-
l’economia del paese nel quale risiede abitualmente il prestatore ca-
ratteristico, ben potendo assumere tale importanza anche il paese, e
quindi la legge, di colui che acquista o consuma il bene o il servizio
(normalmente la parte tenuta al pagamento del prezzo, ad eseguire
la prestazione monetaria).
Nei casi in cui la legge non può essere individuata secondo le in-
dicazioni appena descritte (e cioè seguendo i criteri di collegamento
di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 4 Reg. cit.) la disciplina (art. 4, comma
4, Reg. cit.) dispone che il contratto è disciplinato dalla legge del
paese con il quale presenta il collegamento più stretto. In realtà tutti
i criteri enunciati in precedenza sembrano costituire, in mens legis, la
giuridica rappresentazione dei punti di contatto più significativi del
contratto con una data legge e cioè, pertanto, del collegamento più
stretto: nell’ipotesi, residuale appena indicata, però, il giudice, non po-
tendo individuare la legge secondo detti criteri, farà ricorso – in una
prospettiva di flessibilità applicativa del criterio e con un certo mar-
gine di discrezionalità – a valutazioni differenti ma in ogni caso espres-
sive del principio di prossimità. È necessario però osservare che in
questo modo, cioè affidando al giudice l’identificazione del collega-
mento più stretto del contratto con una data legge, in via generale
sembra pregiudicarsi la prevedibilità e la certezza delle soluzioni in
capo alle parti (diversamente da quanto accade quando è lo stesso le-
Le obbligazioni contrattuali 119

gislatore a definire il criterio, come nelle ipotesi di cui al comma 1 e


2 dell’art. 4 Reg. cit.). Ciò spiega perché il criterio in commento (art.
4, comma 4, Reg. cit.) può essere impiegato soltanto in via residuale
e cioè quando la legge applicabile non può essere determinata a norma
dei paragrafi 1 e 274.
In ultimo è necessario precisare che – laddove dal complesso delle
circostanze concrete in cui si ambienta il contratto internazionale do-
vesse risultare chiaramente che quest’ultimo presenta collegamenti ma-
nifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato nei
commi 1 e 2 dell’art. 4 Reg. cit. – si applica la legge «di tale diverso
paese» (art. 4, comma 3, Reg. cit.). Anche in questo caso il legisla-
tore – pur avendo precisato quali sono i criteri di collegamento che
esprimono la più intensa connessione del contratto con una data legge
– consente al giudice di discostarsi, in concreto, da detti criteri pur-
ché il diverso collegamento (che potrebbe dirsi, quindi, «ancor più
stretto») sia particolarmente evidente (non a caso, nel disposto sono
utilizzati gli avverbi «chiaramente» e «manifestamente»). Il giudice,
in tal caso, avrà l’onere di motivare la diversa soluzione evidenziando
le specificità del caso concreto (a differenza di quanto accade nel-
l’applicazione dei commi 1 e soprattutto 2 dell’art. 4 Reg. cit., lad-
dove il riferimento è al tipo di contratto, valutato in astratto, impie-
gato dalle parti).
In sintesi, benché sul punto vi siano ancora notevoli divergenze
interpretative sia in dottrina sia in giurisprudenza, sembra possibile
concludere che il legislatore comunitario:
a) ha predeterminato, nei commi 1 e 2 dell’art. 4 Reg. cit., i cri-
teri di collegamento che in via presuntiva, ma non assoluta, espri-
mono il centre of gravity del contratto, il collegamento più stretto
con la legge di uno Stato;
b) nel comma 3 dell’art. 4 Reg. cit. ha introdotto una clausola di
salvaguardia, rispetto ai criteri sub a), nel senso che il giudice può di-
scostarsi da questi ultimi soltanto nelle ipotesi in cui in modo chiaro

74
Cfr. U. Villani, La legge applicabile in mancanza di scelta dei contraenti, in
Aa.Vv. (a cura di N. Boschiero), La nuova disciplina comunitaria della legge appli-
cabile ai contratti (Roma I), Torino, 2009, p. 149 ss. e B. Ubertazzi, La legge ap-
plicabile alle obbligazioni contrattuali nel Regolamento «Roma I», in Aa.Vv. (a cura
di A. Bonomi), Diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria in materia
civile, Torino, 2009, p. 345 ss.
120 Capitolo II - Francesco Sbordone

e manifesto il contratto, in concreto, sia più intensamente collegato


con un altro paese;
c) nel comma 4 dell’art. 4 Reg. cit. ha previsto una clausola par-
ticolarmente elastica affidata al prudente apprezzamento del giudice,
di ricerca aliunde del collegamento più stretto ma soltanto nelle ipo-
tesi in cui la legge applicabile non possa essere determinata attraverso
i criteri di collegamento di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 4 Reg. cit.
La complessa, e a tratti ostica, articolazione dei criteri di collega-
mento di cui alla norma in esame sembra determinata dall’esigenza
di bilanciare la discrezionalità del giudice nella ricerca del collega-
mento più stretto (che costituisce il fondamento dell’intera disposi-
zione) con la certezza e la prevedibilità delle soluzioni, quale obiet-
tivo tipico della norma di diritto internazionale privato.

12. La legge applicabile a specifiche fattispecie contrattuali: in


particolare, i contratti conclusi dal consumatore. – Come si è già
avuto modo di anticipare, il Regolamento Roma I, agli artt. 5-8, de-
finisce specifici criteri di collegamento per alcune fattispecie contrat-
tuali particolari (contratti di trasporto, contratti di assicurazione, con-
tratti individuali di lavoro, contratti conclusi da consumatori). In via
generale, le disposizioni indicate contengono criteri sussidiari per le
ipotesi in cui la legge non sia stata scelta dalle parti, ex art. 3 Reg.
cit. oppure dispongono veri e propri limiti al pactum de lege utenda.
Tra le fattispecie indicate, giova soffermarsi sui contratti conclusi dal
consumatore75. Questi ultimi sono definiti come quei contratti stipu-
lati da una persona fisica per un uso che possa essere considerato
estraneo alla sua attività commerciale o professionale (consumatore)
con un altra persona, fisica o giuridica, che agisce, viceversa, nell’e-
sercizio della sua attività commerciale o professionale (professionista).
Di là dalla note divergenze di opinioni sulla qualificazione soggettiva
del consumatore, ma anche del professionista (ad es., può essere in-
tesa come consumatore la persona giuridica che agisce istituzional-
mente per finalità non lucrative e non svolge attività di impresa?),
l’art. 6, comma 1, Reg. cit. dispone che in questa ipotesi il contratto
è disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la pro-

75
Cfr. F. Seatzu, Contratti con i consumatori e regolamento Roma I, in Aa.Vv.
(a cura di N. Boschiero), La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai
contratti (Roma I), Torino, 2009, p. 299 ss.
Le obbligazioni contrattuali 121

pria residenza abituale (cfr. art. 19 Reg. cit.). L’applicazione del cri-
terio di collegamento è, però, condizionata alla verifica di una delle
seguenti circostanze:
a) il professionista deve svolgere le sue attività commerciali o pro-
fessionali nel paese in cui il consumatore ha la residenza abituale;
b) oppure il professionista deve dirigere tali attività, con qualsiasi
mezzo, verso tale paese o vari paesi tra cui quest’ultimo.
Ovviamente, il contratto deve essere funzionale e collegato alle at-
tività indicate.
La definizione del criterio di collegamento in esame si fonda sul
c.d. metodo delle considerazioni materiali (di cui si è trattato nella
parte generale del presente volume) in ragione del quale si tende a
perseguire con la norma di conflitto una specifica finalità sostanziale,
nel caso quella di tutelare al meglio il contraente «debole». Tale obiet-
tivo è perseguito rendendo applicabile al contratto la legge non sol-
tanto più «familiare» per il consumatore ma anche quella che, di re-
gola, tutela quest’ultimo nei rapporti contrattuali «domestici» (la legge,
appunto, del paese in cui risiede abitualmente). Da altro punto di vi-
sta, però, la tutela internazionalprivatistica del consumatore non può
conseguirsi nei confronti del professionista che, rispetto al paese in
cui il consumatore risiede abitualmente, non svolga o non diriga al-
cuna delle attività in ragione delle quali si è stipulato il contratto. In
questa ipotesi, pertanto, la legge regolatrice il contratto va individuata
ricorrendo ai criteri di collegamento generali di cui agli artt. 3 e 4
Reg. cit. (art. 6, comma 3, Reg. cit.).
Alle parti del contratto in esame, purché siano verificate le con-
dizioni di cui ai cui alle lettere a) e b) di cui sopra, non è preclusa
la possibilità di scegliere la legge applicabile ex art. 3 Reg. cit. Tutta-
via la scelta autonoma della legge (electio juris) non può privare il
consumatore della protezione assicuratagli dalle norme imperative e
inderogabili presenti nella legge del paese in cui risiede abitualmente.
Ciò costituisce un limite al potere di scelta della legge regolatrice che
solleva non pochi dubbi interpretativi: tra i tanti, in particolare ci si
interroga sul se sia ammissibile comunque derogare alle disposizioni
inderogabili e imperative della legge del paese in cui il consumatore
risiede abitualmente scegliendo di applicare al contratto una diversa
legge che però assicuri livelli sostanziali di tutela maggiori (una sorta
di deroga in melius).
Quanto disposto dai commi 1 e 2, non si applica alle fattispecie
122 Capitolo II - Francesco Sbordone

descritte al comma 4 del medesimo art. 6 Reg. cit. Deve, quindi, ri-
cercarsi con criteri diversi dalla residenza abituale del consumatore la
legge applicabile, tra gli altri: a) ai contratti di fornitura di servizi,
quando questi ultimi devono essere forniti al consumatore esclusiva-
mente in un paese diverso da quello in cui egli risiede abitualmente;
b) a quelli di trasporto diversi dai contratti riguardanti un viaggio
«tutto compreso» ai sensi della Direttiva 90/314/CEE; c) ai contratti
aventi per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un
immobile diversi dai contratti riguardanti un diritto di godimento a
tempo parziale (multiproprietà) ai sensi della Direttiva 94/47/CE [v.,
altresí, le ipotesi di cui alle lettere d) ed e), art. 6, comma 4, Reg.
cit.]. Giova, in ultimo, segnalare che nei rapporti contrattuali tra pro-
fessionisti e consumatori si assiste ad una tendenziale coincidenza tra
forum (giudice competente) e ius (legge applicabile): difatti, l’art. 16,
comma 2, del Regolamento n. 44/2001, cd. Bruxelles I, dispone che
un’azione contro il consumatore può essere proposta esclusivamente
dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui quest’ultimo è domici-
liato.

13. Validità sostanziale e formale del contratto. Incapacità delle


parti. – Come si è già avuto modo di precisare con riferimento alla
validità dell’electio juris, l’art. 10, comma 1, Reg. cit. stabilisce che l’e-
sistenza e la validità sostanziale dell’intero contratto o di una sua
clausola (tra le quali, appunto, quella di scelta della disciplina appli-
cabile) deve essere accertata ricorrendo alla legge che sarebbe appli-
cabile in ragione dei criteri di cui al Regolamento Roma I, come se
il contratto o la clausola fossero validi. In altri termini, si è preferito
ricorrere alla lex causae in materia contrattuale per accertare l’esi-
stenza e la validità del contratto stesso. Ciò per ragioni di coerenza
valutativa e per non vanificare la certezza e la prevedibilità delle so-
luzioni su cui una delle parti del contratto potrebbe aver fatto affi-
damento, soprattutto nell’ipotesi in cui la legge sia stata scelta ex art.
3 Reg. cit. In deroga, però, a quanto previsto dalla disposizione pre-
cedentemente richiamata, l’art. 10, comma 2, Reg. cit. stabilisce che
un contraente, al fine di dimostrare che non ha prestato il suo con-
senso, può riferirsi alla legge del paese in cui ha la residenza abituale
se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole stabilire l’ef-
fetto del comportamento di questo contraente secondo la legge ap-
plicabile in virtù del criterio di cui al primo comma. Come è stato
Le obbligazioni contrattuali 123

efficacemente chiarito nella Relazione Guliano-Lagarde (relativa, come


noto, alla Convenzione di Roma del 1980 che, però, prevede all’art.
8 la medesima disciplina di cui all’art. 10 in commento) la soluzione
mira segnatamente a risolvere la questione della rilevanza del silen-
zio di una parte in merito alla formazione del contratto. Il termine
«comportamento» deve intendersi comprensivo sia dell’atteggiamento
attivo sia di quello passivo della parte in causa e, pertanto, non si ri-
ferisce soltanto al silenzio. Sotto questo profilo, il secondo comma
dell’art. 10 Reg. cit. costituisce lex specialis rispetto a quanto dispo-
sto nel primo comma, limitatamente alla questione più specifica, ri-
spetto alla generale ipotesi di inesistenza ed invalidità del contratto,
della mancata prestazione del consenso di una delle parti.
Quanto alla validità formale del contratto, l’art. 11 Reg. cit., chia-
ramente ispirato ad un principio di favor validitatis (o favor nego-
tii), pone criteri di collegamento in concorso alternativo fra loro. Nelle
ipotesi in cui un contratto sia concluso tra persone (o loro «inter-
mediari», da intendersi come loro rappresentanti, legali, volontari, or-
ganici) che si trovano nello stesso paese al momento della conclu-
sione del contratto quest’ultimo è valido quanto alla forma se sod-
disfa i requisiti imposti dalla legge che ne disciplina la sostanza (lex
contractus, individuata secondo i criteri di cui fin ora si è trattato
contenuti nel Reg. cit.) oppure dalla legge del paese in cui è stato
concluso (lex loci actus; art. 11, comma 1, Reg. cit.). Nella diversa
ipotesi in cui il contratto sia concluso tra persone, o loro interme-
diari, che si trovano in paesi diversi al momento della conclusione
del contratto quest’ultimo è valido quanto alla forma se soddisfa i
requisiti richiesti dalla lex contractus oppure quelli stabiliti dalla legge
in cui «si trova» una delle parti (art. 11, comma 2, Reg. cit.); tale ul-
timo criterio di collegamento non va confuso con il luogo di resi-
denza o della sede, rappresentando soltanto un luogo effettivo, an-
che del tutto occasionale, di localizzazione della parte contrattuale nel
momento in cui il contratto si è perfezionato. Per accertare quale sia
il momento di perfezionamento è necessario ricorrere ai criteri nor-
mativi di cui alla lex contractus. Da quanto appena descritto, quindi,
un contratto internazionale potrà considerarsi valido quanto alla forma
qualora soddisfi o i criteri imposti ad substantiam dalla lex contrac-
tus oppure quelli di cui alla lex loci actus (o del luogo in cui si trova
una delle parti, nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 11 Reg.
cit.); sí che, ed in ciò risiede appunto il favor validitatis, laddove il
124 Capitolo II - Francesco Sbordone

contratto risulti formalmente invalido per la lex contractus potrebbe


non esserlo per le leggi individuate con i criteri alternativi appena in-
dicati. L’art. 11, comma 3, Reg. cit., infine, dedica una specifica di-
sciplina, sempre finalizzata alla verifica della validità formale, ai ne-
gozi giuridici unilaterali. Di là dai criteri impiegati, anche qui in con-
corso alternativo fra loro e quindi tesi al favor validitatis, giova evi-
denziare che dal tenore della disposizione potrebbe argomentarsi a
favore della generale inclusione dei negozi unilaterali nell’ambito ma-
teriale di applicazione del Regolamento Roma I (v., per alcune con-
siderazioni sul punto, retro, § 3 del presente capitolo).
Quanto alla questione dell’incapacità delle parti, tendenzialmente
estranea all’ambito di applicazione del Regolamento Roma I [cfr. art.
1, comma 2, lett. a)], in un contratto concluso tra due persone che
si trovano in uno stesso paese, è possibile per una delle parti, capace
secondo la legge di tale paese (lex loci actus), invocare la propria in-
capacità risultante da altra legge, soltanto se al momento della con-
clusione del contratto l’altra parte era a conoscenza dell’incapacità o
l’ha colpevolmente ignorata (art. 13 Reg. cit.). La disposizione mira
a tutelare la parte che in buona fede ha concluso un contratto con
chi, pur capace secondo la lex loci actus (in ciò risiede il criterio del-
l’affidamento legittimante), poteva non esserlo secondo altra legge (ad
es., della residenza o del domicilio). Da ciò consegue, sotto il pro-
filo processuale, che grava sulla parte incapace secondo altra legge,
diversa dalla lex loci actus, l’onere di provare la conoscenza della cir-
costanza, o l’ignoranza colpevole, dell’altra parte.

14. Norme di applicazione necessaria. Norme di funzionamento


(ordine pubblico, rinvio, ordinamenti plurilegislativi). – La disciplina
in esame definisce (art. 9 Reg. cit.) le norme di applicazione neces-
saria, di cui si è già riferito nella prima parte del presente volume (ed
alla quale si rinvia), come limite preventivo all’applicazione dei cri-
teri di collegamento disposti nelle norme di diritto internazionale pri-
vato. Tali norme (in acronimo, n.a.n.) sono disposizioni il cui rispetto
è reputato fondamentale in un dato ordinamento (normalmente la lex
fori) per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua orga-
nizzazione istituzionale, sociale o economica, al punto da esigerne
l’applicazione a tutte le fattispecie che rientrino nel loro campo di
applicazione prescindendo dalla legge regolatrice del contratto indi-
viduata secondo i criteri di collegamento di cui al Regolamento Roma
Le obbligazioni contrattuali 125

I. Sotto questo profilo, la n.a.n. inibisce addirittura il ricorso alla


norma di d.i.p. L’art. 9, comma 3, Reg. cit. dispone inoltre che può
essere data efficacia anche alle norme di applicazione necessaria del
paese in cui gli obblighi derivanti dal contratto devono essere o sono
stati eseguiti (non soltanto, quindi, quelle di cui alla lex fori), nella
misura in cui tali norme rendono illecito l’adempimento del contratto.
Per valutare se debba essere riconosciuta applicazione a tali ultime
norme si deve tener conto, però, della loro natura e della loro fina-
lità, nonché delle conseguenze derivanti dal fatto che siano applicate
o meno.
Sempre con riferimento ai limiti di applicazione (questa volta suc-
cessivi e non preventivi come le n.a.n.) della legge regolatrice del con-
tratto, giova ricordare che anche il Regolamento Roma I (art. 21;
come la l. n. 218/1995, art. 16 al cui commento, nella prima parte
del presente volume, si rinvia) dispone che l’applicazione al contratto
della legge individuata secondo i criteri di collegamento in materia
può essere esclusa quando generi conseguenze incompatibili con l’or-
dine pubblico del foro. Di là dalla questione dei contenuti ascrivibili
alla clausola di ordine pubblico, quale limite successivo all’applica-
zione della legge regolatrice del contratto (del quale si è già trattato
nel Cap. I), è necessario rilevare che tra la disciplina in esame (art.
21 Reg. cit.) e quella di cui alla l. n. 218 del 1995, art. 16, sono rin-
venibili alcune differenze circa le conseguenze del contrasto tra il «ri-
sultato» applicativo della lex causae con un principio di ordine pub-
blico della lex fori. Mentre il Regolamento Roma I sembra consen-
tire, nel caso di contrasto, il ricorso immediato del giudice alla lex
fori (nel senso che, posta l’incompatibilità della lex causae con l’or-
dine pubblico, risolverà il caso ricorrendo alla lex fori), l’art. 16 della
l. n. 218/1995 imporrebbe viceversa al giudice di individuare la legge
applicabile secondo altri criteri di collegamento. Secondo la migliore
dottrina la differenza andrebbe superata, in via intepretativa, nel senso
che anche per la materia contrattuale, di là da quanto nell’art. 21 Reg.
cit., sarebbe preferibile adottare il criterio di cui all’art. 16 della l. n.
218/1995 evitando – proprio per l’esigenza di rispettare il carattere
internazionale della fattispecie – un immediato ed automatico, quanto
anacronistico, ripiegamento sulla lex fori.
Si segnala inoltre che il Regolamento Roma, art. 20, esclude il rin-
vio (salvo che per l’ipotesi contemplata all’art. 7 Reg. cit.) diversa-
mente da quanto dispone l’art. 13 della l. n. 218/1995 (al cui com-
126 Capitolo II - Francesco Sbordone

mento, nel Cap. I, si rimanda). Le ragioni dell’esclusione risiedono


nella finalità unificatrice, in ambito comunitario, delle norme di con-
flitto di cui al Regolamento Roma I: infatti, l’uniformità dei criteri
di collegamento rende del tutto inutile il rinvio nelle ipotesi in cui le
leggi potenzialmente applicabili alla fattispecie siano leggi di paesi
membri dell’U.E. Nelle diverse ipotesi in cui la legge applicabile sia
quella di un paese-terzo, l’esclusione del rinvio sembra risiedere nella
scarsa disponibilità degli Stati membri a rinunciare all’applicazione dei
criteri di collegamento uniformi.
Infine, l’art. 22 Reg. cit., dispone che qualora uno Stato sia com-
posto da più unità territoriali ciascuna con una normativa propria in
materia di obbligazioni contrattuali, ogni unità territoriale va consi-
derata come un paese autonomo ai fini della determinazione della
legge applicabile in base ai criteri di collegamento di cui al Regola-
mento Roma I (c.d. ordinamento plurilegislativo). Volendo esempli-
ficare, qualora in Italia, in ragione delle modificazioni del titolo V
della Costituzione introdotte con l. cost. n. 3 del 2001 (in partico-
lare dell’art. 117 Cost.), si dovesse riconoscere alle Regioni (unità ter-
ritoriali) una potestà normativa in materia contrattuale (e, in via più
ampia, una potestà in materia di regolamentazione dei rapporti pri-
vatistici, c.d. diritto privato regionale), ai fini del Regolamento Roma
I ogni Regione andrebbe considerata come un paese a sè (e quindi
la legge applicabile al contratto, individuata secondo i criteri fin qui
illustrati, dovrebbe in ipotesi essere quella della singola Regione). La
disposizione (art. 22, comma 2, Reg. cit.) in esame precisa in ultimo
che uno Stato membro, in cui differenti unità territoriali abbiano le
proprie norme giuridiche in materia contrattuale, non è però tenuto
ad applicare il Regolamento Roma I ai conflitti di leggi che riguar-
dano unicamente tali unità (c.dd. conflitti di leggi interlocali). Nulla,
però, esclude che, nell’ipotesi da ultimo descritta, lo Stato possa co-
munque volontariamente ricorrere ai riferiti criteri, di cui al Regola-
mento Roma, per comporre un conflitto tra leggi interne.

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