Sei sulla pagina 1di 20

K-2 MECCANICA DELL’AUTO

1) INTRODUZIONE
a. Definizioni
Autoveicolo: veicolo a propulsione meccanica, appoggiato su quattro ruote, che si muove su una
superficie solida, in modo autonomo, senza essere vincolato meccanicamente a seguire una
predeterminata traiettoria.
Gli autoveicoli sono classificati sulla base delle differenti mission specifiche, delle diverse soluzioni
architettoniche adottate. Si distinguono fra: autovetture (a quattro ruote, destinati al trasporto di
persone, fino a nove posti); autobus (per il trasporto di persone, con più di nove posti); autoveicoli
promiscui (utilizzati per il trasporto di persone o cose); autocarri (a due o più assi, per il trasporto di
cose); trattori stradali (destinati al traino e non atti a portare carico utile proprio); autotreni
(combinazione di autocarro e rimorchio); autoarticolati (costituiti da un trattore e un semirimorchio);
autosnodati (costituiti da più elementi, dei quali uno motore, interconnessi non rigidamente).
Un’altra classificazione si ha in base alla sorgente di energia che genera energia meccanica utilizzata
per la trazione sotto forma di coppia fornita alle ruote motrici: autoveicoli a combustibile liquido,
autoveicoli elettrici a batterie ricaricabili; autoveicoli ibridi, autoveicoli a combustibile gassoso,
autoveicoli a celle a combustibile, che utilizzano la reazione elettrolitica fra idrogeno e ossigeno per
generare corrente elettrica (e acqua).

b. Omologazione
Un autoveicolo, per essere immesso sul mercato, deve essere conforme a un insieme di caratteristiche
tecniche definite per legge da enti governativi specifici di livello nazionale e internazionale). Per
l’omologazione europea, un tipo di vettura deve essere conforme alle direttive specifiche alle seguenti
cinque aree: prestazioni ambientali (rumorosità, emissioni, consumi); sicurezza attiva: (frenatura,
visibilità); sicurezza passiva (cinture di sicurezza, deformazioni all’urto); illuminazione (fanaleria);
altre prescrizioni (ganci di traino, masse e dimensioni).
Gli obiettivi di questa normativa sono quelli di rendere più sicura la guida, ridurre le conseguenze di
eventuali collisioni e contenere l’impatto negativo del traffico stradale sull’ambiente.

2) CARROZZERIA
La carrozzeria è la parte del veicolo destinata a contenere e isolare dagli agenti esterni i passeggeri e
il carico. Le carrozzerie portanti hanno anche funzioni strutturali di resistenza a carichi esterni, con
deformazioni limitate (rigidezza) e protezione degli occupanti in caso di urti.
La carrozzeria è la struttura di rivestimento esterno applicata al telaio per formare l’abitacolo; la
scocca è lo scheletro che costituisce la parte resistente alle sollecitazioni di deformazione flessionale
e torsionale; l’autotelaio di carrozzeria è la parte bassa della scocca, si interfaccia con gli organi
meccanici; le parti mobili sono componenti in lamiera smontabili senza distruzioni di saldature; le
finizioni sono le parti decorative di comfort o di estetica; gli accessori sono i dispositivi che assolvono
funzioni specifiche.
Il disegno della carrozzeria è detto piano di forma o Master Model Draft.

a. La Scocca
La scocca è un guscio di lamiera saldata che integra le funzioni strutturali; è un componente unico.
Il profilo variabile della strada impone a ogni ruota una determinata posizione, alla quale
corrisponderà, attraverso la flessibilità delle molle delle sospensioni, un determinato carico agente
sulla scocca tale da avere una risultante di torsione non nulla.
Le prestazioni strutturali sono valutate attraverso le rigidezze flessionali e torsionali, come rapporti
fra sforzi e deformazioni.
La rigidezza flessionale è definita dal carico B [daN/mm], che genera la freccia di flessione di 1 mm
nella sezione di applicazione del carico stesso; la rigidezza torsionale [daNm/rad] rapporta la coppia
alla rotazione relativa della sezione alla quale viene applicata, rispetto a quella vincolata.
Per massimizzare le caratteristiche meccaniche, la scocca assume la struttura di un guscio di lamiere
saldate che formano la cosiddetta ossatura.
La funzione protettiva è assolta grazie alla parte anteriore sacrificale, che dissipa l’energia dell’urto
in deformazione plastica, e una centrale di protezione, che reagisce alle forze senza restringere lo
spazio vitale per i passeggeri.
Gli elementi di chiusura sono il tetto, il pavimento anteriore e posteriore, il cruscotto e i parafanghi.
I singoli elementi hanno elevata resistenza grazie alla loro conformazione, che si ottiene saldando fra
loro più lamiere sottili in modo da formare strutture cave, assimilabili a travi.
I principali elementi della scocca di sono:
- i montanti parabrezza anteriore (1), centrale (2)
e posteriore (3);
- le traverse paraurti anteriore (4), pavimento
centrale (5) e posteriore (6);
- il longherone laterale, o brancardo (7) e la
longherina del tetto (8);
- le traverse sotto parabrezza (9), sotto lunotto e il
paraurti posteriore (10);
- il puntone anteriore (11).

b. L’autotelaio
L’autotelaio di carrozzeria è un semilavorato costituito dal parafiamma (separa la sede motore
dall’abitacolo), dai pavimenti, dalle loro traverse e da longheroni e puntoni, uniti fra loro tramite
saldatura con rinforzi in lamiera, con massima cura nell’assemblaggio per ottenere tolleranze
dimensionali contenute.
Poiché l’impatto estetico è nullo, è possibile la condivisione dello stesso autotelaio tra modelli
omologhi di generazioni successive, con vantaggi per i costruttori.
L’attrezzatura di saldatura è costituita da una pressa con elettrodi, che permette di realizzare la
maggior parte dei punti di saldatura con notevole precisione. In seguito, vengono montati i pannelli
di chiusura pavimenti e parafiamma. La rigidezza torsionale del solo autotelaio di carrozzeria non
supera il 20% del valore ottenuto con la scocca completa.

c. Parti mobili: ferratura e carrozzatura


La scocca, dopo la lastratura (posizionamento + saldatura), subisce l’operazione di ferratura, cioè il
montaggio di parti mobili. Esse sono quelle congiunte alle altre con collegamenti facilmente smon-
tabili (viti, bulloni, perni) e comprendono cofano, porte, portellone, parafanghi, traverse portafari e
paraurti. Le porte e il portellone hanno da un’ossatura interna di rinforzo. Il collegamento alle fiancate
avviene mediante cerniere imbullonate sulla scocca e saldate sulla parte mobile. La scocca è quindi
inviata all’impianto di verniciatura e al montaggio degli organi meccanici, o carrozzatura.

d. Finizioni
Dopo la carrozzatura avviene il montaggio di cablaggi elettrici e di rivestimenti interni del pavimento
e del padiglione, in assenza di porte. Seguono montaggio plancia, incollaggio di parabrezza e lunotto,
fanaleria e mobiletto centrale, guarnizioni di vario tipo e particolari di arredamento variabili sui
diversi modelli. L’ultima operazione è quella che riguarda il montaggio dei sedili.

3) L’INSIEME AUTOTELAIO

Con la scocca portante, l’autotelaio ha perso la funzione di elemento strutturale autonomo, ma ha


conservato il compito di inglobare i principali sistemi che caratterizzano l’autoveicolo:
- il motore;
- gli organi di trasmissione del moto;
- le ruote e le sospensioni vettura;
- la sospensione motore;
- l’impianto di sterzo;
- l’impianto di frenatura.
Tali sistemi agiscono direttamente sulle prestazioni dell’autoveicolo e per questo motivo si associano
all’autotelaio le proprietà di velocità, maneggevolezza, tenuta di strada, tipo di trazione e frenatura.

a. Il complesso ruota-pneumatico
Le ruote sono dotate di pneumatici, elementi
deformabili, con il compito di:
- sostenere il veicolo;
- trasferire la potenza attraverso il contatto ruota-suolo;
- generare le forze laterali necessarie per controllare la
traiettoria;
- assicurare il mantenimento del contatto con il suolo e
una buona aderenza;
- garantire un adeguato comfort di marcia.
Lo pneumatico è una struttura composita, formata da
strati di tessuto gommato con fili metallici di rinforzo, numerosi in direzione della trama. Questa
struttura ha il compito di ottenere massima rigidezza del battistrada in senso radiale, longitudinale e
trasversale; massima flessibilità dei fianchi per garantire comfort al passeggero.
La capacità di trasmettere forze notevoli è assicurata dall’aria in pressione con cui lo pneumatico è
gonfiato, che garantisce proprietà strutturali a un componente di per sé elastico e cedevole. Sono
classificati in base alla tipologia costruttiva (convenzionali, cinturati, radiali) e al modo in cui viene
trattenuta l’aria in pressione (con camera d’aria o tubeless). Grazie alle prestazioni superiori e al
maggiore comfort, la quasi totalità dei veicoli circolanti monta pneumatici radiali tubeless, in cui il
tallone è modificato per impedire la fuoriuscita di aria. (in caso di foratura garantisce uno
sgonfiamento graduale). La ruota è l’insieme cerchio-disco e soddisfa i seguenti requisiti:
- costruzione leggera, per non gravare eccessivamente sull’entità delle masse non sospese;
- resistenza, per reggere ai carichi che si riscontrano in marcia;
- rigidità, per minimizzare la flessione laterale sotto i carichi dovuti alle accelerazioni centrifughe;
- facile ancoraggio dello pneumatico, con il profilo del cerchio che permetta un agevole montaggio e
smontaggio dello pneumatico e garantisca un accoppiamento perfetto ai fini della tenuta dell’aria.

b. Le sospensioni veicolo
Le sospensioni sono il tramite fra ruota-pneumatico e scocca, hanno il compito di imporre la posizione
dello pneumatico, rispetto a scocca e terreno, nelle varie condizioni di utilizzo; devono consentire
alla ruota di avere moti verticali relativi rispetto al veicolo, garantire l’aderenza al suolo, assorbendo
le eccitazioni dovute alle asperità del terreno.
Per far fronte a queste esigenze, la sospensione è costituita da:
- organi portanti, assicurano la posizione della ruota, lasciando libero il moto di scuotimento; essi
sono elementi rigidi strutturali (aste e bracci oscillanti in acciaio, ghisa o alluminio), connessi fra loro
tramite snodi con elementi elastici di assorbimento (boccole e tasselli in gomma);
- organi elastici, garantiscono il comfort immagazzinando elasticamente l’energia cinetica generata;
essi sono costituiti da molle a elica, barre di torsione e molle a balestra;
- organi smorzatori e dissipatori, smorzano le oscillazioni delle molle e dissipano nell’ambiente
l’energia termica accumulata; l’elemento impiegato è l’ammortizzatore idraulico.
I parametri di progetto molto numerosi e la loro corretta combinazione consente di raggiungere ottimi
risultati; inoltre, si è assistito nel tempo al proliferare di diverse tipologie di sospensioni.
Si possono identificare tre grandi categorie:
-a ruote indipendenti, se su uno stesso assale una ruota può scuotere senza che l’altra ne sia interessata;
-a ruote semi-indipendenti, quando le ruote appartengono a uno stesso corpo, la cui flessibilità non
può essere trascurata;
-a ruote interconnesse rigidamente, se le ruote appartengono a uno stesso corpo rigido.

c. I parametri caratteristici delle ruote


Convergenza (toe-in) e divergenza (toe-out)
La convergenza è data dalla differenza A1−A2 delle distanze trasversali misurate tra le ruote anteriori
nei punti longitudinali estremi degli pneumatici; serve per compensare l’inclinazione delle ruote e per
recuperare giochi e deformazioni elastiche della tiranteria dello sterzo.
La convergenza è definita negativa aperta quando A1 > A2; è detta positiva chiusa quando A1 < A2
(, le frecce indicano la direzione di marcia in vista dall’alto).
I valori normalmente adottati per la convergenza sono: 2-3 mm per vetture a trazione posteriore; 2
mm per vetture a trazione anteriore.

Incidenza (castor)
L’incidenza o inclinazione (castor) può
essere considerata nel piano trasversale o nel
piano longitudinale. L’incidenza trasversale
riduce la distanza fra il centro di appoggio
degli pneumatici e il punto di proiezione a
terra dell’asse dei perni, favorisce il ritorno
delle ruote direttrici dopo la sterzata e
mantiene lo sterzo in posizione di marcia
rettilinea; l’incidenza longitudinale è
rappresentata dall’angolo fra l’asse di sterzatura della ruota e la verticale passante per il centro ruota.
Concorre a favorire il ritorno dello sterzo in posizione di marcia rettilinea e varia da 0,5° a 5° su
vetture a trazione posteriore; da − 0,5 a +5°, su quella a trazione anteriore.
Campanatura (camber)
La campanatura, o angolo di inclinazione ruota (camber), è l’angolo β formato fra un piano
longitudinale al veicolo, normale al suolo, e il piano di mezzeria della ruota. Serve per compensare
l’angolo di rollio del veicolo, cercando il più possibile la perpendicolarità ruota-suolo in marcia.
Può essere positiva o negativa, con valori normalmente da –1° a +2°.

d. Le tipologie di sospensioni veicolo


Le principali tipologie di sospensioni utilizzate sono:
- Sospensione ad assale rigido: la tipologia più antica e più semplice, costituita da un assale che unisce
rigidamente le ruote e da aste rigide che assicurano il collegamento con la scocca. Essa ha il grande
pregio di garantire la perpendicolarità ruota-suolo a un costo contenuto, mentre comporta alte masse
non sospese e problemi nel dominare le variazioni di convergenza (per questo motivo la sua diffusione
sta calando ed è impiegata in sospensioni posteriori di autocarri).
- Sospensione a ponte torcente: le ruote sono
collegate rigidamente a due bracci longitudinali
uniti da una traversa che li collega e che si torce
durante gli scuotimenti dissimmetrici, dando
stabilizzazione. Essa garantisce un parziale
ricupero di campanatura, alto effetto stabilizzante,
bassi pesi e costi. Il limite riguarda
l’ottimizzazione handling-comfort, perciò
necessita di una progettazione accurata. È
applicata solo posteriormente ed è una delle più
diffuse per vetture di bassa/media gamma.

- Sospensione a quadrilatero: la ruota è guidata da


bracci/aste oscillanti sia inferiormente sia superior-
mente. Variando lunghezza e inclinazione dei bracci, si
controlla la campanatura e garantisce un elevato comfort.
Ha maggiore peso, costo e ingombro trasversale; è
applicata sulle ruote anteriori e presenta due varianti: a
quadrilatero basso e a quadrilatero alto.

- Sospensione McPherson: si distingue dal quadrilatero


per la particolarità dell’ammortizzatore, che diventa
elemento portante. Ciò consente una riduzione di peso, di
costi e minori ingombri verso il vano motore. L’unico
problema riguarda l’ammortizzatore soggetto a carichi
laterali, che pregiudicano l’ottimale scorrevolezza del
pistone dell’ammortizzatore (parzialmente risolto
impiegando molle ad asse inclinato). La sospensione
McPherson è utilizzata sia nelle sospensioni anteriori sia in
quelle posteriori, nella quasi totalità delle vetture di
bassa/media gamma.
e. L’impianto di sterzo
Il cambio di direzione del veicolo è attuato mediante sterzatura delle ruote anteriori. La condizione
ottimale di sterzatura, o sterzatura cinematica, è quella in cui la traiettoria è determinata dal puro
rotolamento delle ruote, senza strisciamento delle stesse, sul terreno di marcia. La velocità dei centri
delle ruote è contenuta nel loro piano medio e gli angoli di deriva sono nulli. Per un veicolo a due
assi di cui uno sterzante le normali ai piani medi delle ruote devono avere un punto in comune A e
deve essere verificata la relazione, in cui C è la carreggiata, P il passo del veicolo e l’angolo di
sterzatura della ruota interna α è maggiore di quello della ruota esterna β.

Volta corretta: la traiettoria imposta all’autoveicolo


quando in curva i prolungamenti degli assi delle
ruote (anteriori e posteriori) si intersecano in un
unico punto (A), detto centro istantaneo di rotazione.
Nessun dispositivo reale permette di rispettare
esattamente questa condizione (sterzo di
Ackermann). Si definisce l’errore di sterzatura Δβ =
β − βc in cui βc è il valore cinematicamente corretto.
L’errore varia in funzione di α, con valori positivi
(Δβmax ≅1°) con α < 20 ÷ 30° e valori negativi per
forti angoli di sterzata (Δβmin ≅− 2°).

La soluzione approssimata più diffusa è denominata quadrilatero


di Jeantaud. Le leve sterzo sono inclinate verso l’interno in modo
che, a pari corsa cremagliera, per effetto della diversa e
simmetrica inclinazione delle due leve, corrisponda un angolo di
sterzata maggiore per la ruota interna alla curva rispetto a quella
esterna, così che le normali al piano equatoriale delle quattro
ruote convergano nelle diverse condizioni di marcia sempre nello
stesso punto (centro Ackermann-Jeantaud: i prolungamenti delle
due leve sterzo 1-2 e 3-4 si intersecano in corrispondenza
dell’asse posteriore del veicolo.
• la stabilità: capacità del sist. di raddrizzare spontaneamente le
ruote, una volta terminata la necessità di tenerle sterzate
• la reversibilità: capacità del sistema di far seguire al volante
il movimento di ritorno delle ruote sterzanti.
• la fissità di direzione: capacità del sistema di non modificare l’orientamento delle ruote sterzanti,
quando le sospensioni reagiscono a brusche sollecitazioni, causate dal fondo stradale.
Quando, in curva, la forza centrifuga supera la forza laterale di aderenza delle ruote, la vettura subisce
uno slittamento verso l’esterno, che viene chiamato deriva. Se slittano le ruote posteriori, il veicolo
tende a percorrere una traiettoria più stretta rispetto a quella che la rotazione del volante imporrebbe;
si dice allora che la vettura è sovrasterzante. Viceversa, se a slittare sono le ruote anteriori, il veicolo
percorre una traiettoria più lunga rispetto a quella che la rotazione del volante imporrebbe; si dice
allora che la vettura è sottosterzante.
La condizione teorica per evitar slittamento trasversale in curva è soddisfatta se i prolungamenti degli
assi delle leve d’accoppiamento 1-2 e 3-4 s’incontrano nel punto centrale dell’asse posteriore D.
L’apparato sterzante consta di due parti: il cinematismo di comando (trasmette il movimento di
sterzata dal volante alle ruote o a un cinematismo che le comanda, comprende il meccanismo di
riduzione, o scatola guida); il cinematismo di accoppiamento delle ruote, che impone il movimento
relativo fra le ruote sterzanti (formato dalle leve sterzo, dai tiranti laterali e dei rinvii).
Il movimento angolare alle leve sterzo, e alle ruote, può essere dato con due sistemi:
- sistema vite e rullo o vite e settore dentato, contenuto nella scatola guida, mette in movimento un
sistema di leverismi che portano il moto alle leve sterzo solidali alle ruote;
- sistema pignone-cremagliera, che muove direttamente le leve sterzo solidali alle ruote; per peso,
costo e semplicità costruttive è di generale applicazione sulle vetture. Comprende un pignone a
dentatura elicoidale, che ingrana con la cremagliera con movimento assiale, sopportato da due
boccole a basso attrito; i tiranti laterali, tramite teste a snodo sferiche, portano il moto alle leve sterzo.

f. L’impianto frenante
La frenatura di un autoveicolo deve permettere la riduzione di velocità del veicolo, fino all’arresto,
in spazi contenuti; mantenere fermo il veicolo quando si trovi in sosta. Per soddisfare queste due
esigenze il veicolo è dotato di due diversi impianti: impianto di frenatura di servizio; frenatura di
stazionamento.
L’impianto di stazionamento è sempre di tipo meccanico; lo sforzo è trasmesso per mezzo di tiranti,
leve o cavi flessibili che, azionati da una leva, agiscono sui freni posteriori. La leva di comando,
azionata a mano, si trova sul tunnel longitudinale di centro vettura, all’altezza dei sedili anteriori.
L’impianto di servizio può essere pneumatico, se il mezzo di trasmissione è aria compressa, su camion
e autobus; idraulico, quando lo sforzo è trasmesso per mezzo di un liquido in pressione, sulle vetture.

• L’impianto di servizio idraulico


In frenatura la riduzione di velocità e la dissipazione dell’energia cinetica sono ottenute per attrito fra
due superfici, una fissa alla sospensione e l’altra rotante solidalmente alla ruota, premute da un
sistema idraulico. L’energia cinetica si trasforma in calore, centinaia di gradi, sugli elementi d’attrito.
È costituito da quattro gruppi di elementi: elementi di comando (pedale, pompa freno, serbatoio per
liquido freni, servofreno); elementi di trasmissione (tubazioni rigide e flessibili); elementi di
attuazione (freni anteriori e posteriori); elementi di regolazione: (regolatori o correttori).
Sono presenti due circuiti indipendenti “incrociati” (anteriore destro- posteriore sinistro), per
consentire una capacità frenante adeguata anche in caso di rottura di uno dei due tubi. Il dimen-
sionamento ha l’obiettivo di evitare che una delle ruote in frenata possa bloccarsi prima delle altre (si
avrebbero spazi di frenatura maggiori e perdita di potere direzionale). Noti il peso a terra sulla ruota
della vettura a pieno carico e il coefficiente di aderenza longitudinale pneumatici/suolo, il
dimensionamento è il raggiungimento della massima decelerazione in condizioni di scorrimento
ottimale e, quindi, di spazi di arresto minimi. Questi valori sono importanti per la sicurezza a bordo
e sono regolati da apposite normative.
La pompa freni, o cilindro maestro, trasforma lo sforzo sul pedale in pressione idraulica che, tramite
le tubazioni, viene trasmessa agli attuatori; è a doppio stadio (comanda i due circuiti incrociati) e
sfrutta il movimento di due pistoni coassiali che scorrono e chiudono i fori di alimentazione, mettendo
l’olio in pressione.
Lo sforzo che arriva allo stantuffo della
pompa è moltiplicato rispetto a quello
esercitato sul pedale tramite un servofreno a
depressione: esso è dotato di due camere
separate da una membrana in gomma; in
condizioni normali le camere sono in
depressione (per il motore a benzina si ha un
collegamento con il collettore di aspirazione,
altrimenti si ha un’apposita pompa “del
vuoto”); in frenata la camera posteriore entra
in comunicazione con l’atmosfera e la differenza di pressione fra le due camere si aggiunge, sul
puntale, al carico proveniente dal pedale, per poi raggiungere valori elevati.

• Freni e sistemi antibloccaggio


Freni a disco: sono costituiti da un disco
metallico, che gira con la ruota, e da una pinza
fissata alla sospensione che abbraccia il disco. Il
disco, spesso in ghisa, può essere pieno, forato
o autoventilato, è dotato di canalizzazioni
radiali per il passaggio dell’aria (assicurano
maggiori prestazioni, generando una corrente
d’aria centrifuga che aumenta il raffreddamento
del disco). La pinza è costituita da due semi-
pinze, una interna e una esterna, nelle quali sono
ricavati i cilindri idraulici di comando con due pattini d’attrito contrapposti. Durante la frenatura, il
liquido in pressione agisce sui cilindretti che spingono i pattini contro il disco. Grazie alla leggerezza
e allo smaltimento del calore, hanno elevate prestazioni e sono di uso generalizzato per i freni anteriori
e in espansione per i freni posteriori.

Freni a tamburo: sono costituiti da due ceppi


incernierati a una estremità e divaricati dall’altra,
mediante la spinta generata da un cilindretto
idraulico, contro la superficie interna di un
tamburo. Esistono quattro tipi diversi, con ceppi,
il cui principio di funzionamento è deducibile
dalla figura stessa. La progettazione richiede
attenzione per il problema del raffreddamento,
con l’influenza negativa della temperatura sulla
durata e sull’usura delle guarnizioni. I tamburi
devono essere caratterizzati da leggerezza,
resistenza all’abrasione e buona conducibilità
termica. Le guarnizioni frenanti devono
possedere un elevato coefficiente d’attrito, buona
resistenza all’ abrasione e al taglio e buona
resistenza alle temperature elevate.
Essi sono meno costosi rispetto ai freni a disco, ma sono più pesanti e con minori prestazioni; sono
impiegati sulle ruote posteriori.

• Sistemi ABS (Antiblock Braking System)


Questi sistemi hanno lo scopo di evitare il bloccaggio delle ruote, diminuendo la pressione idraulica
agente sui singoli attuatori che comandano i freni, se si raggiunge il limite di aderenza ruota-terreno.
Il limite di aderenza si raggiunge nella condizione: 𝐹𝑓 = 𝐹𝑧 ∗ 𝜇𝑥 ,
dove Ff è la forza frenante; Fz la forza verticale sulla ruota; μx il coefficiente di aderenza longitudinale
ruota-suolo.
L’ABS evita che lo spazio di frenata si allunghi rispetto alle condizioni ideali e mantiene la stabilità
e la direzionalità della vettura, in situazioni precarie di frenata e bassa aderenza. All’impianto frenante
tradizionale si aggiungono dei sensori che rilevano le velocità delle singole ruote e inviano questi dati
a una centralina elettroidraulica che li elabora per trovare i valori di decelerazione istantanea e
confrontarli con i valori di soglia memorizzati all’interno. Se una ruota sta per bloccarsi, essa invia
un segnale che varia la pressione del liquido freni nei cilindri delle pinze in modo opportuno.

g. La sospensione motore
Essa è composta da tasselli elastici che collegano il motore alla scocca, in numero e disposizione
variabile. Tali elementi elastici smorzano le forze e le vibrazioni trasmesse dal motore in funzione e
minimizzano i movimenti del motore. La ricerca del migliore compromesso fra queste due funzioni
antitetiche è il punto focale nello sviluppo della sospensione. Le forze trasmesse comprendono:
- forze statiche di reazione alla coppia motore;
- forze di inerzia generate dai movimenti della massa del motore in marcia;
- vibrazioni ad alta frequenza, dovute al moto delle masse alterne.
Il numero, la posizione dei punti di vincolo alla scocca e le caratteristiche elastiche dei tasselli
vengono effettuati sulla base dello spettro di eccitazione tipico di ogni motore, cercando la
configurazione ottimale che permetta di trasmettere basse forze.

4) LA TRASMISSIONE DEL MOTO


a. Generalità
I dispositivi che realizzano la trasmissione permettono il movimento del veicolo con il trasferimento
della coppia/potenza fornita dal motore alle ruote; sono detti organi di trasmissione e comprendono:
la frizione; il cambio di velocità (manuale, automatico e robotizzato); il riduttore di velocità; il
moltiplicatore di velocità (overdrive); l’albero di trasmissione; i giunti (elastici, cardanici e idraulici);
la coppia conica di riduzione (o gruppo di riduzione); il differenziale; gli alberi differenziali o
semiassi.
L’architettura della trasmissione è influenzata dalle diverse tipologie di trazione:
- Trazione anteriore: prevede motore, frizione, cambio e differenziale trasversali, con cambio e
differenziale in serie al motore. Grazie alla semplicità e alla compattezza, è la soluzione più diffusa.
- Trazione posteriore: prevede motore, frizione e cambio longitudinali anteriori, albero di
trasmissione e differenziale posteriori.
- Trazione integrale: prevede motore, frizione, cambio e differenziale anteriore trasversali, con presa
di moto per l’albero di trasmissione che porta il moto al differenziale posteriore.
b. La frizione
La frizione permette di rendere indipendente il motore
dalla trasmissione e di collegare la trasmissione al
motore, in modo graduale e progressivo. La coppia
fornita dal motore è trasmessa sfruttando l’attrito che si
sviluppa fra due superfici, l’una solidale all’albero
motore e l’altra all’albero primario del cambio e rotanti
con le due parti, premute una contro l’altra da apposite
molle. Per evitare lo slittamento dell’innesto in moto,
la forza esercitata dalle molle deve consentire la
trasmissione della massima coppia motrice. Le frizioni
più adottate sono a disco unico (monodisco) o a dischi
multipli in acciaio, con facce ricoperte di materiale ad alto coefficiente d’attrito, a base d’amianto. La
pressione fra le due superfici è dovuta all’azione di una serie di molle, oppure all’azione di un’unica
molla centrale o di una molla a diaframma a forma di coppa, con intagli radiali e fori perimetrali.
Il disinnesto della frizione è ottenuto per mezzo di un cuscinetto reggispinta e di una leva a forcella,
azionata da un apposito pedale tramite un sistema di leve e tiranti, oppure mediante un comando
idraulico. Nelle frizioni con molla a diaframma, il cuscinetto reggispinta, spinto in avanti dalla
forcella, agisce sulla parte centrale della molla, provocando l’inversione della concavità della stessa:
il bordo periferico della molla retrocede e allontana l’anello spingidisco, cui è collegato tramite
linguette metalliche, dal disco condotto, provocando il disinnesto della frizione. Per evitare un
involontario comando o lo slittamento della frizione, è previsto un tratto di corsa a vuoto, registrabile,
prima dell’inizio della corsa utile di disinnesto.

c. Il cambio di velocità
Analizzando le curve caratteristiche (coppia, potenza,
consumo specifico) di un motore si evidenzia un tratto che
risulta stabile e regolare solo per regimi compresi tra nc e
nmax. Al di sotto il funzionamento è instabile o impossibile,
al di sopra si va fuori giri: è necessario avere un cambio di
velocità perché il motore possa funzionare nella zona
accettabile in ogni condizione.
Il cambio è un ruotismo che varia la coppia in uscita dal
motore, adattandola alla richiesta delle ruote. È costituito
da un’incastellatura (scatola), fissata rigidamente al motore,
che contiene gli alberi di entrata e uscita, sui quali sono riportate le coppie di ruote dentate che,
ingranate fra loro, realizzano i rapporti del cambio o rapporti di trasmissione. Il rapporto di
trasmissione è il rapporto fra la velocità angolare dell’albero in entrata e quella dell’albero in uscita;
esso è uguale al rapporto fra il numero di denti della ruota in uscita e quello della ruota in entrata.

Dove n è la velocità di rotazione dell’albero in entrata (in) e in uscita (out) espresse in giri/min; z è il
numero di denti della ruota. Il cambio manuale più utilizzato, a ingranaggi a dentatura elicoidale, è
riportato in figura ed è costituito dai seguenti componenti principali:
- albero primario (1) e albero secondario parallelo al primo (9);
- coppia di ingranaggi a dentatura elicoidale per la prima marcia (3) e (8); coppia di ingranaggi per la
seconda marcia (5); coppia di
ingranaggi per la terza marcia
(4); coppia di ingranaggi per la
quarta marcia (2);
- coppia conica e gruppo
differenziale (D);
- frizione monodisco (F);
- boccole distanziali (6) e (7).

Il numero e la spaziatura dei


rapporti sono scelti in funzione
delle prestazioni del veicolo, in
linea con l’uso progettato. Gli attuali cambi in produzione si raggruppano in due categorie:
- in cascata: composti da albero d’entrata (primario) e di uscita (secondario), paralleli fra loro; la
trasmissione avviene attraverso una sola coppia di ingranaggi che realizzano il rapporto desiderato;
- con presa diretta: l’uscita è coassiale con l’albero primario; il rapporto è realizzato con due coppie
di ingranaggi in presa, tranne la presa diretta che si ottiene connettendo le parti dell’albero primario.
La retromarcia si ottiene inserendo un ingranaggio, detto ozioso, fra una coppia di ingranaggi sui due
alberi principali, ottenendo l’inversione del senso di rotazione sull’alberino di uscita. In folle tutte le
coppie di ingranaggi sono in presa e ruotano, ma nessun moto è trasmesso, poiché uno dei due
ingranaggi della coppia è folle sull’albero di uscita. Con l’inserimento della marcia, l’ingranaggio
che realizza il rapporto prescelto trasmette il moto all’albero grazie allo scorrimento di un manicotto
che lo rende solidale con l’albero stesso. Per evitare urti, strappi o difficoltà d’innesto, sono utilizzati
dei sincronizzatori, dispositivi che portano, progressivamente, il manicotto a ruotare con la stessa
velocità dell’ingranaggio, prima di consentire l’ingranamento dei due organi.
Il sincronizzatore è un anello in bronzo, fra manicotto scorrevole e ruota dentata; è trascinato dal
manicotto e presenta dall’altro lato una superficie conica che, sotto la spinta di inserimento, si
accoppia con un angolo cono ricavato sulla ruota dentata.
La coppia di attrito dello strisciamento tra due superfici che girano a diversa velocità, da una parte
porta i due elementi alla stessa velocità angolare, dall’altra garantisce una posizione angolare che
impedisce l’ingranamento. Gli spostamenti degli ingranaggi scorrevoli e dei dispositivi di
sincronizzazione sono ottenuti con un sistema di forcelle e aste comandate da una leva a mano,
azionata dal conducente.

Cambi automatici e robotizzati


Per facilitare la guida e migliorare il comfort esistono i cambi automatici, in grado di svolgere avvia-
mento, scelta e innesto del rapporto idoneo di marcia. Hanno struttura meccanica dedicata e possono
avere rapporti discreti o a variazione continua; i cambi robotizzati sono cambi manuali in cui un robot
elettroidraulico assume la funzione di controllo della frizione, scelta e innesto del rapporto.

Riduttore di velocità
È un dispositivo montato su alcuni cambi, dispone d’un numero maggiore di rapporti senza aumentare
troppo gli ingranaggi. Le coppie di ingranaggi in presa per la trasmissione del moto sono due, una per
le marce normali, l’altra per quelle ridotte. Gli ingranaggi delle due coppie sono folli sul primario e
l’innesto è ottenuto spostando un manicotto scorrevole sul primario mediante una leva di comando
situato vicino al cambio. Si ottiene così il doppio delle marce a disposizione, quelle normali e le
corrispondenti ridotte, demoltiplicate secondo un rapporto costante.
Moltiplicatore di velocità (overdrive)
È un dispositivo che riduce di circa il 25% il regime di rotazione del motore con il cambio in presa
diretta, a parità di velocità. Consente su lunghi rettilinei una maggiore silenziosità di marcia, minori
consumi e minore usura degli organi del motore.

d. L’albero di trasmissione
È utilizzato negli autoveicoli con motore
anteriore e ruote motrici posteriori, collega il
cambio con il gruppo di riduzione. Per
evitare alberi troppo lunghi, l’albero di
trasmissione, tubolare, spesso è costruito in
due tronchi, uniti da un giunto cardanico e
sorretti da un supporto intermedio fisso. Il
gruppo di riduzione è situato in basso rispetto
al cambio ed è soggetto a oscillazioni durante
la marcia. Perciò l’albero di trasmissione è collegato agli alberi alle due estremità, per mezzo di giunti
elastici o giunti cardanici. Un accoppiamento scanalato e scorrevole consente piccole variazioni di
lunghezza durante la marcia, evitando pericolose e continue trazioni e compressioni della struttura.

e. I giunti
Sono organi di piccole dimensioni che assolvono compiti fondamentali nella trasmissione del moto.
Quelli più utilizzati sono: il giunto elastico; il giunto cardanico; il giunto idraulico.

Il giunto elastico
È costituito da due flange e un elemento elastico intermedio.
La deformabilità dell’elemento elastico consente
spostamenti assiali, piccoli spostamenti paralleli e angolari
(5-6°). È utile nella trasmissione del movimento fra alberi
disassati, fungendo anche da parastrappi per compensare
bruschi innesti della frizione. Si impiega soprattutto fra il
cambio e l’albero di trasmissione.

Il giunto cardanico (o di Hooke)


È costituito da una crociera e due forcelle. Gli estremi
dei perni della crociera sono articolati ai bracci delle
due forcelle, solidali con i terminali degli alberi da
accoppiare. Sono impiegati nelle trasmissioni del
moto fra alberi inclinati, i quali formano tra loro un
angolo detto di lavoro del giunto, che può raggiungere
valori fino a 25°. Il moto di rotazione trasmesso
all’albero condotto non è identico a quello posseduto
dall’albero conduttore, ma segue una legge sinu-
soidale, che aumenta di ampiezza all’aumentare dell’angolo di lavoro.
Pertanto, se questo raggiunge valori elevati (oltre 10-14°), è necessario spezzare la trasmissione,
inserendo un secondo giunto cardanico con identico angolo di lavoro, in modo che i ritardi e le
accelerazioni dati dai due giunti si compensino fra loro e sia garantito una corretta trasmissione.
Il giunto idraulico
Montato su cambi automatici, trasmette la coppia motrice utilizzando l’energia cinetica di un liquido,
facilitando l’avviamento dolce e progressivo del veicolo e attenuando le brusche variazioni di carico
in marcia. Durante la rotazione del motore, il liquido viene spinto verso la periferia dalla girante
condotta, si infrange contro le palette di quest’ultima e ne percorre i condotti dalla periferia al centro.

f. La coppia conica di riduzione


Attua la riduzione del numero di giri delle ruote
motrici rispetto a quello dell’albero di uscita del
cambio, risolve il problema della perpendicolarità
fra semiassi e albero. È costituita da una ruota mo-
trice di piccole dimensioni, il pignone, collegato
all’albero o montato sul secondario del cambio,
che ingrana con una ruota condotta, la corona, di
dimensioni maggiori. Il rapporto fra il numero di
denti del pignone e della corona dentata è detto rapporto di riduzione. Perciò il momento agente sui
semiassi sarà maggiore di quello agente sull’albero motore, con τ rapporto di riduzione, minore di 1.

Si hanno diverse tipologie di dentature, ma la soluzione più adottata prevede gruppi conici a dentatura
ipoidale. Infatti, la coppia conica a denti diritti ha l’inconveniente di avere una sola coppia di denti
contemporaneamente in presa (non trasmette forze elevate, è rumorosa e trasmette vibrazioni); la
coppia conica a denti ad arco di cerchio (coppia Gleason) ha più denti contemporaneamente in presa
(trasmette forze maggiori ed è più silenziosa); la coppia conica con denti ipoidali, usata nei moderni
autoveicoli, consente un disassamento del pignone dalla corona, sistemazione più bassa dell’albero
di trasmissione, a vantaggio dell’abitabilità e della baricentratura della scocca (le spinte fra i denti
sono più elevate, i cuscinetti sono più sollecitati e risulta necessaria la lubrificazione.
Se è necessario, possono essere impiegati una due coppie di ingranaggi, una conica e l’altra cilindrica.

g. Il differenziale
Inventato nel 1827 dal meccanico Pecqueur,
è un meccanismo che permette alle due ruote
velocità angolari diverse in caso di
necessità; esso è costituito da due ruote
dentate coniche, dette planetari, collegate
alle estremità dei semialberi per mezzo di
alberi scanalati e altre due ruote coniche, i
satelliti, montate su un perno portasatelliti.
Satelliti, planetari e perno portasatelliti sono
montati su un’incastellatura di ghisa
sferoidale, su cui è flangiata la corona
conica che riceve la coppia motrice dal
pignone e la trasmette al perno portasatelliti.
Se veicolo che percorre un tratto rettilineo, la coppia motrice trasmessa dal pignone alla corona fa
ruotare il perno attorno all’asse dei planetari, i satelliti non girano attorno al proprio asse ma fungono
da legame rigido fra i planetari stessi, che in questo caso girano alla stessa velocità. Se l’autoveicolo
si trova in curva, la ruota interna deve percorrere uno spazio inferiore rispetto a quello della ruota
esterna, con un numero di giri differente, consentito dal differenziale che, in questo caso, ha i satelliti
che girano anche sul proprio asse. Le ruote motrici ruotano a velocità differenti, evitando strisciamenti
che provocherebbero usura degli pneumatici e riduzione di stabilità in curva.

Differenziale autobloccante
Il numero di giri del differenziale è pari alla semisomma dei giri delle ruote. Se una delle due ruote
motrici slitta su un terreno scivoloso o sia sollevata da terra, non incontrando resistenza, può girare a
vuoto a una velocità doppia della scatola differenziale, provocando il bloccaggio dell’altra ruota. La
ruota che slitta annulla la ripartizione della coppia motrice per mancanza di aderenza; l’altra rimane
ferma: questa condizione non permette la partenza del veicolo da fermo e risulta molto pericolosa,
causando sbandamenti. Il differenziale autobloccante limita lo scorrimento relativo dei due planetari,
facendo sì che sulla ruota che ha aderenza rimanga una parte della coppia che era presente prima della
perdita di aderenza dell’altra: si sfruttano dischi di frizione interposti fra planetari e scatola differen-
ziale, che vengono premuti sui planetari stessi. Quando la ruota perde aderenza, lo slittamento è
impedito dall’attrito interno fra disco frizione e planetario; la ruota che tende a slittare non perde
reazione e riesce a trasmettere la coppia di slittamento della frizione. Per la partenza si ha un
dispositivo di bloccaggio, costituito da un innesto a denti scorrevole su uno dei due semiassi, che
consente di rendere solidali fra loro i due semiassi.

h. Ponte posteriore e semiassi


Il ponte posteriore è un involucro metallico che, nei veicoli a trazione posteriore, collega tra loro le
ruote motrici e racchiude il gruppo di riduzione, il differenziale e i semiassi. È costituito da un corpo
centrale e da due bracci laterali che racchiudono i semiassi. Sulle autovetture a trazione posteriore, in
genere, i semiassi, sopportati da cuscinetti a sfere, o a rulli, e sporgenti a sbalzo dalle estremità dei
bracci del ponte, sono portanti e sollecitati a torsione e a flessione, a causa del peso della ruota motrice
collegata. Negli autoveicoli con motore a trazione posteriore o a trazione anteriore, il moto viene
trasmesso alle ruote per mezzo di semialberi articolati.
Semiassi e semialberi sono collegati al differenziale e alle ruote motrici mediante giunti deformabili
di vario tipo. Il corpo centrale racchiude il gruppo di riduzione, il differenziale e i due bracci laterali
che racchiudono i semiassi che trasmettono il movimento dal differenziale alle ruote motrici.

5) IL MOTORE E LE TRAZIONI ALTERNATIVE


a. Generalità
Il motore è l’organo fornisce l’energia necessaria all’avanzamento. La fonte primaria migliore da
impiegare per la propulsione degli autoveicoli, ad oggi, spetta al petrolio (non rinnovabile) e ai suoi
derivati: l’energia chimica dei legami molecolari è trasformata in calore, attraverso la combustione,
e in lavoro meccanico, attraverso un cinematismo del tipo biella-manovella. Tuttavia, si fa sempre
più stringente la necessità dell’introduzione di energie alternative, rinnovabili e “pulite”, in linea con
i principi di salvaguardia dell’ambiente. Si stanno sviluppando motori che utilizzano combustibili
derivanti dalla decomposizione delle biomasse o dall’elettrolisi dell’acqua, i combustibili gassosi,
quali il GPL e il metano (essi non contengono né idrocarburi aromatici né olefine, pertanto le
emissioni di idrocarburi incombusti risultano meno nocive e consentono livelli inferiori nelle
emissioni di CO2). I problemi per GPL e metano sono costituiti dall’ingombro del serbatoio
aggiuntivo, nel bagagliaio, le limitazioni nell’autonomia (per il metano) e la rete di distribuzione
scarsa o assente (per il metano). Gli sviluppi tecnologici hanno ridotto il livello delle emissioni di
inquinanti e i margini di miglioramento sono consistenti: la dipendenza dal petrolio sarà
progressivamente allentata.
b. La vettura elettrica
I primi modelli risalgono alla seconda metà del 1800, ma dopo lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale, il divario prestazionale con i modelli a benzina apparve impari e ciò decretò la sconfitta
del veicolo elettrico. Oggi, a causa dell’impatto nullo sulla qualità dell’aria, la vettura elettrica assume
un ruolo interessante in un contesto urbano, con percorrenze limitate e modeste richieste prestazionali.
Sono già impiegate vetture elettriche a sostegno di iniziative sperimentali, quali il car sharing presso
alcuni comuni e si ritiene che questa soluzione possa prendere piede in maniera sistematica.
L’architettura generale di una vettura elettrica prevede:
- sistema di carica batterie con alimentazione
a 220 V (rete);
- batterie di trazione, suddivise in moduli e
distribuite sull’intera lunghezza del veicolo;
- inverter, in grado di trasformare la tensione
continua in tensione trifase alternata;
- motore elettrico asincrono trifase, in presa
con le ruote posteriori;
- convertitore DC/DC, da 220 a 12 V, per
l’alimentazione della batteria di servizio;
- batteria per i servizi di bordo (12 V), che
assicura le funzioni di emergenza a batteria scarica.
I disagi maggiori consistono nei lunghi tempi di ricarica (6-8 ore), autonomia limitata (90-120 km nel
ciclo urbano), prestazioni modeste e costi elevati. Inoltre, il pacco batterie comporta un peso di circa
400 kg per una vettura del segmento inferiore. Un passo avanti si otterrà con il passaggio da batterie
al piombo a ricombinazione di gas, a batterie al nichel e idruri metallici o litio-ioni. S’avranno potenze
specifiche e autonomie raddoppiate (fino a 180 km), a fronte di un peso batterie ridotto al 60%.

c. I veicoli ibridi
Una soluzione alla limitata autonomia dei veicoli elettrici consiste nell’affiancare un motore termico
a quello elettrico, ottenendo un veicolo ibrido. Sono possibili diverse configurazioni: bimodale con
sottosistemi separati; ibrido serie, con i flussi energetici che convergono a livello alimentazione;
ibrido parallelo, con i flussi energetici che convergono a livello trazione.
Il motore termico è utilizzato a regime stazionario (emissioni minime) per azionare l’alternatore, che
ricarica le batterie aumentando l’autonomia, oppure intervenire a regimi elevati, per sviluppare
potenza e incrementare l’accelerazione. Il motore elettrico eroga una coppia elevata allo spunto ed è
utilizzato per la partenza e i carichi parziali e in frenata funge da generatore, recuperando l’energia.

d. Le celle a combustibile: l’auto a idrogeno


Le fuel cells sono costituite da due elettrodi
separati da un elettrolita; generano corrente
elettrica (e acqua) come prodotto della
reazione fra il combustibile idrogeno e il
comburente ossigeno: mentre l’O2 è attinto
dall’aria circostante, l’H2 dev’essere fornito
da appositi serbatoi, dispositivi predisposti,
per la sua produzione a bordo vettura a
partire da idrocarburi. Gli elettrodi sono in
grafite, arricchita con platino o palladio (catalizzatore); l’elettrolita più diffuso è l’acido perfluoro-
sulfonico (Nefion). L’idrogeno viene immesso all’anodo, dove si ossida liberando elettroni e si carica
positivamente; l’ossigeno viene immesso al catodo, dove acquista elettroni e combinandosi con gli
ioni idrogeno, forma acqua. Si produce energia elettrica di intensità proporzionale alle quantità di H2
e O2 introdotte. Una singola cella produce 0,6-0,8 V; collegando in serie più celle si raggiunge una
potenza di 50 kW, con cui alimentare un motore elettrico asincrono tradizionale.
Come si nota dallo schema a fianco, lo stoc-
caggio dell’idrogeno richiede un adeguato
trattamento che incide sull’economicità di
questa soluzione energetica, applicata per le
auto. A livello prestazionale, sono presenti
limiti nel rispondere subito alle improvvise
esigenze di potenza (in accelerata), richie-
dendo la presenza di batterie ausiliarie. Ma i
veri freni allo sviluppo industriale, nella
trazione automobilistica, sono gli alti costi di
produzione e le grandi difficoltà nello stoccaggio sicuro, a bordo vettura e in rete, dell’idrogeno.

6) EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO E ACCESSORI


L’impianto elettrico a bordo vettura comprende: il generatore di corrente, per la ricarica della batteria;
la batteria di accumulatori; il motorino di avviamento; il sistema di accensione; i dispositivi di
illuminazione, segnalazione, controllo e accessori; cavi, valvole fusibili, interruttori, scatole di
derivazione, commutatori, deviatori.
La tensione nominale dell’impianto è 12 V sulle autovetture e 24 V su autocarri pesanti e autobus; i
circuiti elettrici a bordo sono protetti da fusibili e sono riferiti a massa, attraverso la scocca metallica.

a. Generatore di corrente
Esso mantiene carica la batteria durante l’esercizio; è applicato sul motore, azionato mediante cinghia
trapezoidale, collegato con un regolatore di tensione che mantiene costante la tensione stessa,
qualunque sia la velocità di rotazione. L’impianto di ricarica prevede due possibili soluzioni per la
generazione di corrente: dinamo e alternatore.

Impianto di ricarica con dinamo


Lo schema costruttivo prevede: dinamo;
regolatore di tensione; limitatore di corrente;
interruttore di minima; lampadina spia.
La dinamo è un generatore rotante di corrente
continua; è costituita da un induttore che
produce il campo magnetico e da un indotto in
cui si produce la corrente. La rotazione
dell’avvolgimento indotto nel campo
magnetico induttore fisso sviluppa una forza
elettromotrice (f.e.m.) alternata che viene, poi,
convertita in f.e.m. continua nel collettore, su cui strisciano le spazzole di grafite (o carbone) che
garantiscono il collegamento elettrico fra i circuiti indotto, induttore ed esterno.
Il regolatore di tensione mantiene la tensione entro limiti convenienti nelle diverse condizioni di
funzionamento. Il limitatore di corrente è un regolatore a contatti, con lo scopo di mantenere il valore
della corrente erogata dalla dinamo, entro un limite massimo stabilito. L’interruttore di minima è
elettromagnetico e chiude il circuito fra dinamo e batteria quando la tensione della dinamo è superiore
a quella della batteria, consentendo la ricarica di quest’ultima, e lo interrompe in caso contrario,
evitando che la batteria si scarichi sulla dinamo. La lampadina spia si accende quando la dinamo non
carica la batteria.

Impianto di ricarica con alternatore


È costituito da: alternatore con ponte
raddrizzatore; regolatore di tensione;
dispositivo segnacarica. L’alternatore è
un generatore rotante di corrente
alternata. Gli autoveicoli montano
alternatori trifasi con indotto fisso
(statore) e induttore rotante (rotore). Lo
statore è costituito da un pacco
lamellare, tubolare, con cave interne. Il
rotore può essere a poli salienti, con 4 poli e bobine collegate in serie, avvolte sui nuclei dei poli, con
giranti polari contrapposte e compenetrate e un’unica bobina di forma anulare. Le estremità del rotore
sono collegate a due anelli collettori, fissati sull’albero del rotore, sui quali strisciano due spazzole.
La corrente alternata prodotta deve essere “raddrizzata” con il ponte raddrizzatore. Il regolatore di
tensione, elettromeccanico, mantiene la tensione entro limiti convenienti, nelle diverse condizioni. Il
dispositivo segnacarica è utile per evidenziare eventuali disfunzioni.

b. Motorino di avviamento
È un motore elettrico a corrente continua,
imprime al motore la velocità di rotazione
iniziale necessaria all’avviamento, per il
regolare svolgimento dei primi cicli
operativi (80-130 rpm per motori benzina;
200 rpm per i diesel). Essi sono dotati di un
avvolgimento di eccitazione, in serie con
l’avvolgimento dell’indotto, e di un
dispositivo di innesto per l’ingranamento
del pignone calettato sull’albero
dell’indotto con la corona dentata del
volano motore. Il rapporto di trasmissione
fra pignone e corona è compreso fra 1/8 e 1/15. Il dispositivo di innesto può essere a inerzia
(all’avviamento il pignone si sposta per inerzia lungo una filettatura); a comando meccanico (il
pignone si sposta per effetto di una leva); a comando elettromagnetico (lo spostamento del pignone o
del complesso avviene per mezzo di un’elettrocalamita).

c. Batteria di accumulatori
Per l’alimentazione dell’impianto elettrico si usano batterie di accumulatori al piombo, ideate da
Planté nel 1859; sono composte in genere da 6 elementi, in un contenitore isolante. Ciascun elemento
è formato da piastre positive, in perossido di piombo (PbO2), e piastre negative, in piombo metallico
puro (Pb) allo stato spugnoso, disposte alternativamente e immerse in una soluzione di acido solforico
(H2SO4 - elettrolita) in acqua distillata. Fra le piastre sono inseriti separatori porosi, per evitare corto
circuito. Ogni singolo elemento, costituito da due elettrodi nella soluzione elettrolitica, fornisce una
tensione di circa 2,2 volt. Se tra i poli viene chiuso un circuito esterno, si ha un passaggio di corrente,
per cui l’energia chimica viene ritrasformata in energia elettrica: la batteria è sotto scarica. Collegando
in serie i diversi elementi si ottiene la tensione di batteria, pari a 12 V. Per veicoli con tensione di
24V, si collegano in serie più batterie. I poli esterni della batteria vengono collegati, tramite morsetti,
al cavo che porta corrente agli utilizzatori (polo positivo, colore rosso) e alla massa sulla scocca della
vettura (polo negativo, colore nero).
L’elettrificazione dell’autoveicolo riguarda: alimentazione dei fari, delle luci di posizione e
dell’avvisatore acustico (clacson).
La capacità della batteria è la quantità di elettricità, misurata in ampere-ora [Ah], che può essere
fornita al circuito esterno durante la scarica e dipende dalla dimensione e dal numero di piastre, dalla
densità del liquido e dalle condizioni di uso e manutenzione della batteria. La capacità diminuisce
sensibilmente con l’abbassarsi della temperatura e l’aumentare dell’intensità di corrente, condizioni
critiche che si ritrovano facilmente nell’operazione di avviamento a freddo.

d. Dispositivi di illuminazione, segnalazione, controllo e accessori


Tutti gli autoveicoli sono dotati di impianto di illuminazione, segnalazione e diversi dispositivi di
controllo, comando e accessori di tipo elettrico, elettromagnetico o meccanico.
Proiettori
I proiettori sono costituiti da un corpo e da un gruppo ottico, che comprende: riflettore parabolico,
che riflette i raggi luminosi creando un fascio di raggi paralleli; lampadina a due filamenti per il fascio
anabbagliante e abbagliante; cristallo anteriore, con scanalature per la diffusione laterale del fascio.
Lampeggiatore
Il lampeggiatore provoca il lampeggio automatico degli indicatori di direzione, con frequenza
prescritta. Esso è costituito da un’elettrocalamita ottenuta con degli avvolgimenti e due ancore. Lo
spostamento della leva di comando chiude uno dei due circuiti di segnalazione, provocando la
chiusura e l’apertura a intermittenza del contatto dell’ancora principale e quindi l’accensione e lo
spegnimento delle lampadine corrispondenti.
Indicatore livello carburante
Tale indicatore è costituito da un galleggiante situato nel serbatoio, collegato con un sistema di leve
al contatto scorrevole di un reostato, e da uno strumento di controllo sul cruscotto. Lo spostamento
del galleggiante sposta il contatto mobile del reostato, variando il valore della resistenza del circuito
elettrico dell’indicatore. È previsto un livello di riserva.
Tergicristallo
È costituito da uno o due tergitori con spatole azionati da un motorino elettrico. Un manovellismo
trasforma il moto rotatorio in alternativo, con riduzione del numero di giri tramite appositi ingranaggi.
Avvisatori acustici
Si usano avvisatori a membrana, la cui vibrazione (e il suono) è provocata da un elettromagnete
(avvisatori elettrici) o da un dispositivo ad aria compressa (avvisatori pneumatici).

7) TRAZIONE STRADALE
a. Aderenza
I veicoli sono definiti ad aderenza naturale poiché le forze si trasmettono al terreno attraverso gli
organi di rotolamento (le ruote) che trasmettono il peso. La stabilità in aderenza longitudinale è
assicurata se per tutte le ruote motrici è verificata la relazione:
Ff <= Fzi * μxi
con: Ff sforzo motore alla periferia della ruota motrice; Fzi forza verticale di contatto sul terreno della
ruota; μxi coefficiente di aderenza pneumatico-suolo. Il prodotto Fz · μx è chiamato aderenza e il
coefficiente è influenzato dalle condizioni del terreno, dalla forma del battistrada e dalla pressione di
gonfiamento (valori variabili 0.05-0.8). Con dispositivi speciali (catene, cingoli, palette) si può
giungere e valicare l’unità. La stabilità della marcia in aderenza può essere pregiudicata se diminuisce
Fz in conseguenza di: variazioni di assetto del veicolo; azioni aerodinamiche; accelerazioni verticali
in velocità.
Queste ultime sono responsabili, insieme ai difetti della superficie stradale, del peggioramento delle
condizioni di aderenza con la velocità.

b. Resistenze al moto
Un veicolo è soggetto a due ordini di forze nella direzione del percorso: le forze attive, o di trazione,
e quelle passive, o resistenze. Per lo studio di un autoveicolo si utilizza la seguente equazione:
dove Me massa equivalente (tiene conto dell’inerzia delle masse rotanti); dV/dt =
accelerazione del moto; R = somma delle resistenze al moto.
Le forze che si oppongono al moto di un autoveicolo
sono forze resistenti all’avanzamento:
• Resistenza dovuta alla pendenza stradale Rp:
componente nella direzione del moto della Fp:
,in cui α è l’angolo di
inclinazione stradale; P è la forza peso.
• Resistenza al rotolamento degli pneumatici Rr:
dipende dalla massa, dalla pendenza e dal coefficiente di rotolamento, funzione a sua volta
delle caratteristiche del suolo e dello pneumatico: , in cui: fr è il coefficiente
di attrito di rotolamento. Valori di riferimento per pneumatici radiali variano da 0,008 a 0,01.

• Resistenza aerodinamica Ra: dipendente dalla forma del veicolo: , in cui:


ρ = densità dell’aria; V velocità istantanea del veicolo; Cx coeff. di resistenza aerodinamica,
da minimizzare in progetto, dipendente dalla forma del veicolo; S = sezione frontale.
La resistenza totale R = Rp + Rr + Ra cresce all’aumentare della velocità.

c. Velocità massima, pendenza superabile, riprese e accelerazioni


Le velocità massime sono i massimi valori di velocità raggiungibili nelle singole marce; il più grande
è detto velocità massima del veicolo. Per una certa pendenza, in una certa marcia, la velocità massima
si ha quando la potenza resistente uguaglia quella motrice, o quando il motore raggiunge il suo
massimo regime.
Si calcola graficamente considerando l’intersezione fra le curve di potenza disponibile e potenza
necessaria su strada piana, come indicato in figura. La pendenza massima superabile con un certo
rapporto di trasmissione è ricavata dalle curve di potenza necessaria, individuando la curva tangente
a quella di potenza disponibile; tale
pendenza è superabile solo a una
determinata velocità.
Le accelerazioni esprimono la capacità di
aumentare in piano la velocità del veicolo,
con partenza da fermo e con uso del
cambio. Si esprimono in unità di tempo
necessario a percorrere una certa distanza
(400 m / 1 km) o per raggiungere una
certa velocità (100 km/h).
Calcolo dell’accelerazione istantanea
È necessario per determinare le accelerazioni, si ottiene applicando la prima equazione cardinale della
dinamica, scritta in termini di potenza:

in cui: , dove η è il rendimento meccanico della trasmissione nella


marcia; Wd la potenza motrice disponibile; ηWd la potenza disponibile alle ruote; Wr la potenza
resistente; Wes la potenza esuberante; V la velocità istantanea del veicolo; a accelerazione istantanea;
mat = massa apparente traslante.
La massa apparente traslante è introdotta per considerare il veicolo come una serie di masse rotanti
che variano nel transitorio la loro energia cinetica; si ottiene dividendo l’energia cinetica totale per il
quadrato della sua velocità di traslazione. Essa è più grande della massa del veicolo e tanto maggiore
quanto più veloci girano le parti rotanti in rapporto alla velocità del veicolo. Utilizzando la formula

precedente si ottiene il valore dell’accelerazione istantanea: .

d. Spazio di frenatura
Il freno di servizio agisce su tutte le ruote, deve essere proporzionato per garantire la massima
aderenza sul terreno. Oltre tale limite le ruote si bloccano, la reazione del terreno diminuisce, e si
perde la facoltà di dirigere il veicolo. Lo spazio di frenatura esprime lo spazio percorso dal veicolo,
dal momento in cui viene toccato il pedale del freno fino a quando il veicolo è fermo. Il valore si
riferisce al minimo ottenibile, senza perdere aderenza, riferito a un determinato manto stradale.

È dato dalla seguente formula: , con μx pari al coefficiente di aderenza longitudinale ed


è funzione quadratica della velocità iniziale. Se invece si parla di spazio di frenatura sf misurato da
quando il pilota ne ravvisa la necessità, occorre tener conto del tempo di riflesso tr del pilota. Esso

sarà uguale a: .

e. Consumi di carburante
Il consumo di carburante dipende dalla velocità dell’automobile; dal tipo-condizioni del fondo strada;
dall’andamento plano-altimetrico; dalle condizioni di circolazione; dalle attitudini del guidatore.
È necessario conoscere prima il consumo specifico, cioè il consumo pesato di combustibile nell’unità

di tempo, rapportato alla potenza erogata. Esso viene definito come: , dove q è il consumo
specifico [g/kWh]; H il potere calorifico; ηm il rendimento motore, dipende da velocità e da potenza.
Scelti i rapporti di trasmissione, la velocità del motore è nota; pertanto, è possibile trovare il punto di

funzionamento del motore sul piano quotato. Il consumo per unità di percorso vale: ,
in cui Q è il consumo per unità di percorso [l/100 km]; Pn la potenza necessaria al moto; ηt il
rendimento della trasmissione; V la velocità del veicolo [m/s]; ρf la densità del carburante.
Più è lungo il rapporto di trasmissione e più è ridotto il consumo, dato che una marcia lunga permette
al motore di funzionare a bassa velocità, in condizioni vicine a quelle di massima potenza (dove il
consumo specifico è basso).

Potrebbero piacerti anche