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1) INTRODUZIONE
a. Definizioni
Autoveicolo: veicolo a propulsione meccanica, appoggiato su quattro ruote, che si muove su una
superficie solida, in modo autonomo, senza essere vincolato meccanicamente a seguire una
predeterminata traiettoria.
Gli autoveicoli sono classificati sulla base delle differenti mission specifiche, delle diverse soluzioni
architettoniche adottate. Si distinguono fra: autovetture (a quattro ruote, destinati al trasporto di
persone, fino a nove posti); autobus (per il trasporto di persone, con più di nove posti); autoveicoli
promiscui (utilizzati per il trasporto di persone o cose); autocarri (a due o più assi, per il trasporto di
cose); trattori stradali (destinati al traino e non atti a portare carico utile proprio); autotreni
(combinazione di autocarro e rimorchio); autoarticolati (costituiti da un trattore e un semirimorchio);
autosnodati (costituiti da più elementi, dei quali uno motore, interconnessi non rigidamente).
Un’altra classificazione si ha in base alla sorgente di energia che genera energia meccanica utilizzata
per la trazione sotto forma di coppia fornita alle ruote motrici: autoveicoli a combustibile liquido,
autoveicoli elettrici a batterie ricaricabili; autoveicoli ibridi, autoveicoli a combustibile gassoso,
autoveicoli a celle a combustibile, che utilizzano la reazione elettrolitica fra idrogeno e ossigeno per
generare corrente elettrica (e acqua).
b. Omologazione
Un autoveicolo, per essere immesso sul mercato, deve essere conforme a un insieme di caratteristiche
tecniche definite per legge da enti governativi specifici di livello nazionale e internazionale). Per
l’omologazione europea, un tipo di vettura deve essere conforme alle direttive specifiche alle seguenti
cinque aree: prestazioni ambientali (rumorosità, emissioni, consumi); sicurezza attiva: (frenatura,
visibilità); sicurezza passiva (cinture di sicurezza, deformazioni all’urto); illuminazione (fanaleria);
altre prescrizioni (ganci di traino, masse e dimensioni).
Gli obiettivi di questa normativa sono quelli di rendere più sicura la guida, ridurre le conseguenze di
eventuali collisioni e contenere l’impatto negativo del traffico stradale sull’ambiente.
2) CARROZZERIA
La carrozzeria è la parte del veicolo destinata a contenere e isolare dagli agenti esterni i passeggeri e
il carico. Le carrozzerie portanti hanno anche funzioni strutturali di resistenza a carichi esterni, con
deformazioni limitate (rigidezza) e protezione degli occupanti in caso di urti.
La carrozzeria è la struttura di rivestimento esterno applicata al telaio per formare l’abitacolo; la
scocca è lo scheletro che costituisce la parte resistente alle sollecitazioni di deformazione flessionale
e torsionale; l’autotelaio di carrozzeria è la parte bassa della scocca, si interfaccia con gli organi
meccanici; le parti mobili sono componenti in lamiera smontabili senza distruzioni di saldature; le
finizioni sono le parti decorative di comfort o di estetica; gli accessori sono i dispositivi che assolvono
funzioni specifiche.
Il disegno della carrozzeria è detto piano di forma o Master Model Draft.
a. La Scocca
La scocca è un guscio di lamiera saldata che integra le funzioni strutturali; è un componente unico.
Il profilo variabile della strada impone a ogni ruota una determinata posizione, alla quale
corrisponderà, attraverso la flessibilità delle molle delle sospensioni, un determinato carico agente
sulla scocca tale da avere una risultante di torsione non nulla.
Le prestazioni strutturali sono valutate attraverso le rigidezze flessionali e torsionali, come rapporti
fra sforzi e deformazioni.
La rigidezza flessionale è definita dal carico B [daN/mm], che genera la freccia di flessione di 1 mm
nella sezione di applicazione del carico stesso; la rigidezza torsionale [daNm/rad] rapporta la coppia
alla rotazione relativa della sezione alla quale viene applicata, rispetto a quella vincolata.
Per massimizzare le caratteristiche meccaniche, la scocca assume la struttura di un guscio di lamiere
saldate che formano la cosiddetta ossatura.
La funzione protettiva è assolta grazie alla parte anteriore sacrificale, che dissipa l’energia dell’urto
in deformazione plastica, e una centrale di protezione, che reagisce alle forze senza restringere lo
spazio vitale per i passeggeri.
Gli elementi di chiusura sono il tetto, il pavimento anteriore e posteriore, il cruscotto e i parafanghi.
I singoli elementi hanno elevata resistenza grazie alla loro conformazione, che si ottiene saldando fra
loro più lamiere sottili in modo da formare strutture cave, assimilabili a travi.
I principali elementi della scocca di sono:
- i montanti parabrezza anteriore (1), centrale (2)
e posteriore (3);
- le traverse paraurti anteriore (4), pavimento
centrale (5) e posteriore (6);
- il longherone laterale, o brancardo (7) e la
longherina del tetto (8);
- le traverse sotto parabrezza (9), sotto lunotto e il
paraurti posteriore (10);
- il puntone anteriore (11).
b. L’autotelaio
L’autotelaio di carrozzeria è un semilavorato costituito dal parafiamma (separa la sede motore
dall’abitacolo), dai pavimenti, dalle loro traverse e da longheroni e puntoni, uniti fra loro tramite
saldatura con rinforzi in lamiera, con massima cura nell’assemblaggio per ottenere tolleranze
dimensionali contenute.
Poiché l’impatto estetico è nullo, è possibile la condivisione dello stesso autotelaio tra modelli
omologhi di generazioni successive, con vantaggi per i costruttori.
L’attrezzatura di saldatura è costituita da una pressa con elettrodi, che permette di realizzare la
maggior parte dei punti di saldatura con notevole precisione. In seguito, vengono montati i pannelli
di chiusura pavimenti e parafiamma. La rigidezza torsionale del solo autotelaio di carrozzeria non
supera il 20% del valore ottenuto con la scocca completa.
d. Finizioni
Dopo la carrozzatura avviene il montaggio di cablaggi elettrici e di rivestimenti interni del pavimento
e del padiglione, in assenza di porte. Seguono montaggio plancia, incollaggio di parabrezza e lunotto,
fanaleria e mobiletto centrale, guarnizioni di vario tipo e particolari di arredamento variabili sui
diversi modelli. L’ultima operazione è quella che riguarda il montaggio dei sedili.
3) L’INSIEME AUTOTELAIO
a. Il complesso ruota-pneumatico
Le ruote sono dotate di pneumatici, elementi
deformabili, con il compito di:
- sostenere il veicolo;
- trasferire la potenza attraverso il contatto ruota-suolo;
- generare le forze laterali necessarie per controllare la
traiettoria;
- assicurare il mantenimento del contatto con il suolo e
una buona aderenza;
- garantire un adeguato comfort di marcia.
Lo pneumatico è una struttura composita, formata da
strati di tessuto gommato con fili metallici di rinforzo, numerosi in direzione della trama. Questa
struttura ha il compito di ottenere massima rigidezza del battistrada in senso radiale, longitudinale e
trasversale; massima flessibilità dei fianchi per garantire comfort al passeggero.
La capacità di trasmettere forze notevoli è assicurata dall’aria in pressione con cui lo pneumatico è
gonfiato, che garantisce proprietà strutturali a un componente di per sé elastico e cedevole. Sono
classificati in base alla tipologia costruttiva (convenzionali, cinturati, radiali) e al modo in cui viene
trattenuta l’aria in pressione (con camera d’aria o tubeless). Grazie alle prestazioni superiori e al
maggiore comfort, la quasi totalità dei veicoli circolanti monta pneumatici radiali tubeless, in cui il
tallone è modificato per impedire la fuoriuscita di aria. (in caso di foratura garantisce uno
sgonfiamento graduale). La ruota è l’insieme cerchio-disco e soddisfa i seguenti requisiti:
- costruzione leggera, per non gravare eccessivamente sull’entità delle masse non sospese;
- resistenza, per reggere ai carichi che si riscontrano in marcia;
- rigidità, per minimizzare la flessione laterale sotto i carichi dovuti alle accelerazioni centrifughe;
- facile ancoraggio dello pneumatico, con il profilo del cerchio che permetta un agevole montaggio e
smontaggio dello pneumatico e garantisca un accoppiamento perfetto ai fini della tenuta dell’aria.
b. Le sospensioni veicolo
Le sospensioni sono il tramite fra ruota-pneumatico e scocca, hanno il compito di imporre la posizione
dello pneumatico, rispetto a scocca e terreno, nelle varie condizioni di utilizzo; devono consentire
alla ruota di avere moti verticali relativi rispetto al veicolo, garantire l’aderenza al suolo, assorbendo
le eccitazioni dovute alle asperità del terreno.
Per far fronte a queste esigenze, la sospensione è costituita da:
- organi portanti, assicurano la posizione della ruota, lasciando libero il moto di scuotimento; essi
sono elementi rigidi strutturali (aste e bracci oscillanti in acciaio, ghisa o alluminio), connessi fra loro
tramite snodi con elementi elastici di assorbimento (boccole e tasselli in gomma);
- organi elastici, garantiscono il comfort immagazzinando elasticamente l’energia cinetica generata;
essi sono costituiti da molle a elica, barre di torsione e molle a balestra;
- organi smorzatori e dissipatori, smorzano le oscillazioni delle molle e dissipano nell’ambiente
l’energia termica accumulata; l’elemento impiegato è l’ammortizzatore idraulico.
I parametri di progetto molto numerosi e la loro corretta combinazione consente di raggiungere ottimi
risultati; inoltre, si è assistito nel tempo al proliferare di diverse tipologie di sospensioni.
Si possono identificare tre grandi categorie:
-a ruote indipendenti, se su uno stesso assale una ruota può scuotere senza che l’altra ne sia interessata;
-a ruote semi-indipendenti, quando le ruote appartengono a uno stesso corpo, la cui flessibilità non
può essere trascurata;
-a ruote interconnesse rigidamente, se le ruote appartengono a uno stesso corpo rigido.
Incidenza (castor)
L’incidenza o inclinazione (castor) può
essere considerata nel piano trasversale o nel
piano longitudinale. L’incidenza trasversale
riduce la distanza fra il centro di appoggio
degli pneumatici e il punto di proiezione a
terra dell’asse dei perni, favorisce il ritorno
delle ruote direttrici dopo la sterzata e
mantiene lo sterzo in posizione di marcia
rettilinea; l’incidenza longitudinale è
rappresentata dall’angolo fra l’asse di sterzatura della ruota e la verticale passante per il centro ruota.
Concorre a favorire il ritorno dello sterzo in posizione di marcia rettilinea e varia da 0,5° a 5° su
vetture a trazione posteriore; da − 0,5 a +5°, su quella a trazione anteriore.
Campanatura (camber)
La campanatura, o angolo di inclinazione ruota (camber), è l’angolo β formato fra un piano
longitudinale al veicolo, normale al suolo, e il piano di mezzeria della ruota. Serve per compensare
l’angolo di rollio del veicolo, cercando il più possibile la perpendicolarità ruota-suolo in marcia.
Può essere positiva o negativa, con valori normalmente da –1° a +2°.
f. L’impianto frenante
La frenatura di un autoveicolo deve permettere la riduzione di velocità del veicolo, fino all’arresto,
in spazi contenuti; mantenere fermo il veicolo quando si trovi in sosta. Per soddisfare queste due
esigenze il veicolo è dotato di due diversi impianti: impianto di frenatura di servizio; frenatura di
stazionamento.
L’impianto di stazionamento è sempre di tipo meccanico; lo sforzo è trasmesso per mezzo di tiranti,
leve o cavi flessibili che, azionati da una leva, agiscono sui freni posteriori. La leva di comando,
azionata a mano, si trova sul tunnel longitudinale di centro vettura, all’altezza dei sedili anteriori.
L’impianto di servizio può essere pneumatico, se il mezzo di trasmissione è aria compressa, su camion
e autobus; idraulico, quando lo sforzo è trasmesso per mezzo di un liquido in pressione, sulle vetture.
g. La sospensione motore
Essa è composta da tasselli elastici che collegano il motore alla scocca, in numero e disposizione
variabile. Tali elementi elastici smorzano le forze e le vibrazioni trasmesse dal motore in funzione e
minimizzano i movimenti del motore. La ricerca del migliore compromesso fra queste due funzioni
antitetiche è il punto focale nello sviluppo della sospensione. Le forze trasmesse comprendono:
- forze statiche di reazione alla coppia motore;
- forze di inerzia generate dai movimenti della massa del motore in marcia;
- vibrazioni ad alta frequenza, dovute al moto delle masse alterne.
Il numero, la posizione dei punti di vincolo alla scocca e le caratteristiche elastiche dei tasselli
vengono effettuati sulla base dello spettro di eccitazione tipico di ogni motore, cercando la
configurazione ottimale che permetta di trasmettere basse forze.
c. Il cambio di velocità
Analizzando le curve caratteristiche (coppia, potenza,
consumo specifico) di un motore si evidenzia un tratto che
risulta stabile e regolare solo per regimi compresi tra nc e
nmax. Al di sotto il funzionamento è instabile o impossibile,
al di sopra si va fuori giri: è necessario avere un cambio di
velocità perché il motore possa funzionare nella zona
accettabile in ogni condizione.
Il cambio è un ruotismo che varia la coppia in uscita dal
motore, adattandola alla richiesta delle ruote. È costituito
da un’incastellatura (scatola), fissata rigidamente al motore,
che contiene gli alberi di entrata e uscita, sui quali sono riportate le coppie di ruote dentate che,
ingranate fra loro, realizzano i rapporti del cambio o rapporti di trasmissione. Il rapporto di
trasmissione è il rapporto fra la velocità angolare dell’albero in entrata e quella dell’albero in uscita;
esso è uguale al rapporto fra il numero di denti della ruota in uscita e quello della ruota in entrata.
Dove n è la velocità di rotazione dell’albero in entrata (in) e in uscita (out) espresse in giri/min; z è il
numero di denti della ruota. Il cambio manuale più utilizzato, a ingranaggi a dentatura elicoidale, è
riportato in figura ed è costituito dai seguenti componenti principali:
- albero primario (1) e albero secondario parallelo al primo (9);
- coppia di ingranaggi a dentatura elicoidale per la prima marcia (3) e (8); coppia di ingranaggi per la
seconda marcia (5); coppia di
ingranaggi per la terza marcia
(4); coppia di ingranaggi per la
quarta marcia (2);
- coppia conica e gruppo
differenziale (D);
- frizione monodisco (F);
- boccole distanziali (6) e (7).
Riduttore di velocità
È un dispositivo montato su alcuni cambi, dispone d’un numero maggiore di rapporti senza aumentare
troppo gli ingranaggi. Le coppie di ingranaggi in presa per la trasmissione del moto sono due, una per
le marce normali, l’altra per quelle ridotte. Gli ingranaggi delle due coppie sono folli sul primario e
l’innesto è ottenuto spostando un manicotto scorrevole sul primario mediante una leva di comando
situato vicino al cambio. Si ottiene così il doppio delle marce a disposizione, quelle normali e le
corrispondenti ridotte, demoltiplicate secondo un rapporto costante.
Moltiplicatore di velocità (overdrive)
È un dispositivo che riduce di circa il 25% il regime di rotazione del motore con il cambio in presa
diretta, a parità di velocità. Consente su lunghi rettilinei una maggiore silenziosità di marcia, minori
consumi e minore usura degli organi del motore.
d. L’albero di trasmissione
È utilizzato negli autoveicoli con motore
anteriore e ruote motrici posteriori, collega il
cambio con il gruppo di riduzione. Per
evitare alberi troppo lunghi, l’albero di
trasmissione, tubolare, spesso è costruito in
due tronchi, uniti da un giunto cardanico e
sorretti da un supporto intermedio fisso. Il
gruppo di riduzione è situato in basso rispetto
al cambio ed è soggetto a oscillazioni durante
la marcia. Perciò l’albero di trasmissione è collegato agli alberi alle due estremità, per mezzo di giunti
elastici o giunti cardanici. Un accoppiamento scanalato e scorrevole consente piccole variazioni di
lunghezza durante la marcia, evitando pericolose e continue trazioni e compressioni della struttura.
e. I giunti
Sono organi di piccole dimensioni che assolvono compiti fondamentali nella trasmissione del moto.
Quelli più utilizzati sono: il giunto elastico; il giunto cardanico; il giunto idraulico.
Il giunto elastico
È costituito da due flange e un elemento elastico intermedio.
La deformabilità dell’elemento elastico consente
spostamenti assiali, piccoli spostamenti paralleli e angolari
(5-6°). È utile nella trasmissione del movimento fra alberi
disassati, fungendo anche da parastrappi per compensare
bruschi innesti della frizione. Si impiega soprattutto fra il
cambio e l’albero di trasmissione.
Si hanno diverse tipologie di dentature, ma la soluzione più adottata prevede gruppi conici a dentatura
ipoidale. Infatti, la coppia conica a denti diritti ha l’inconveniente di avere una sola coppia di denti
contemporaneamente in presa (non trasmette forze elevate, è rumorosa e trasmette vibrazioni); la
coppia conica a denti ad arco di cerchio (coppia Gleason) ha più denti contemporaneamente in presa
(trasmette forze maggiori ed è più silenziosa); la coppia conica con denti ipoidali, usata nei moderni
autoveicoli, consente un disassamento del pignone dalla corona, sistemazione più bassa dell’albero
di trasmissione, a vantaggio dell’abitabilità e della baricentratura della scocca (le spinte fra i denti
sono più elevate, i cuscinetti sono più sollecitati e risulta necessaria la lubrificazione.
Se è necessario, possono essere impiegati una due coppie di ingranaggi, una conica e l’altra cilindrica.
g. Il differenziale
Inventato nel 1827 dal meccanico Pecqueur,
è un meccanismo che permette alle due ruote
velocità angolari diverse in caso di
necessità; esso è costituito da due ruote
dentate coniche, dette planetari, collegate
alle estremità dei semialberi per mezzo di
alberi scanalati e altre due ruote coniche, i
satelliti, montate su un perno portasatelliti.
Satelliti, planetari e perno portasatelliti sono
montati su un’incastellatura di ghisa
sferoidale, su cui è flangiata la corona
conica che riceve la coppia motrice dal
pignone e la trasmette al perno portasatelliti.
Se veicolo che percorre un tratto rettilineo, la coppia motrice trasmessa dal pignone alla corona fa
ruotare il perno attorno all’asse dei planetari, i satelliti non girano attorno al proprio asse ma fungono
da legame rigido fra i planetari stessi, che in questo caso girano alla stessa velocità. Se l’autoveicolo
si trova in curva, la ruota interna deve percorrere uno spazio inferiore rispetto a quello della ruota
esterna, con un numero di giri differente, consentito dal differenziale che, in questo caso, ha i satelliti
che girano anche sul proprio asse. Le ruote motrici ruotano a velocità differenti, evitando strisciamenti
che provocherebbero usura degli pneumatici e riduzione di stabilità in curva.
Differenziale autobloccante
Il numero di giri del differenziale è pari alla semisomma dei giri delle ruote. Se una delle due ruote
motrici slitta su un terreno scivoloso o sia sollevata da terra, non incontrando resistenza, può girare a
vuoto a una velocità doppia della scatola differenziale, provocando il bloccaggio dell’altra ruota. La
ruota che slitta annulla la ripartizione della coppia motrice per mancanza di aderenza; l’altra rimane
ferma: questa condizione non permette la partenza del veicolo da fermo e risulta molto pericolosa,
causando sbandamenti. Il differenziale autobloccante limita lo scorrimento relativo dei due planetari,
facendo sì che sulla ruota che ha aderenza rimanga una parte della coppia che era presente prima della
perdita di aderenza dell’altra: si sfruttano dischi di frizione interposti fra planetari e scatola differen-
ziale, che vengono premuti sui planetari stessi. Quando la ruota perde aderenza, lo slittamento è
impedito dall’attrito interno fra disco frizione e planetario; la ruota che tende a slittare non perde
reazione e riesce a trasmettere la coppia di slittamento della frizione. Per la partenza si ha un
dispositivo di bloccaggio, costituito da un innesto a denti scorrevole su uno dei due semiassi, che
consente di rendere solidali fra loro i due semiassi.
c. I veicoli ibridi
Una soluzione alla limitata autonomia dei veicoli elettrici consiste nell’affiancare un motore termico
a quello elettrico, ottenendo un veicolo ibrido. Sono possibili diverse configurazioni: bimodale con
sottosistemi separati; ibrido serie, con i flussi energetici che convergono a livello alimentazione;
ibrido parallelo, con i flussi energetici che convergono a livello trazione.
Il motore termico è utilizzato a regime stazionario (emissioni minime) per azionare l’alternatore, che
ricarica le batterie aumentando l’autonomia, oppure intervenire a regimi elevati, per sviluppare
potenza e incrementare l’accelerazione. Il motore elettrico eroga una coppia elevata allo spunto ed è
utilizzato per la partenza e i carichi parziali e in frenata funge da generatore, recuperando l’energia.
a. Generatore di corrente
Esso mantiene carica la batteria durante l’esercizio; è applicato sul motore, azionato mediante cinghia
trapezoidale, collegato con un regolatore di tensione che mantiene costante la tensione stessa,
qualunque sia la velocità di rotazione. L’impianto di ricarica prevede due possibili soluzioni per la
generazione di corrente: dinamo e alternatore.
b. Motorino di avviamento
È un motore elettrico a corrente continua,
imprime al motore la velocità di rotazione
iniziale necessaria all’avviamento, per il
regolare svolgimento dei primi cicli
operativi (80-130 rpm per motori benzina;
200 rpm per i diesel). Essi sono dotati di un
avvolgimento di eccitazione, in serie con
l’avvolgimento dell’indotto, e di un
dispositivo di innesto per l’ingranamento
del pignone calettato sull’albero
dell’indotto con la corona dentata del
volano motore. Il rapporto di trasmissione
fra pignone e corona è compreso fra 1/8 e 1/15. Il dispositivo di innesto può essere a inerzia
(all’avviamento il pignone si sposta per inerzia lungo una filettatura); a comando meccanico (il
pignone si sposta per effetto di una leva); a comando elettromagnetico (lo spostamento del pignone o
del complesso avviene per mezzo di un’elettrocalamita).
c. Batteria di accumulatori
Per l’alimentazione dell’impianto elettrico si usano batterie di accumulatori al piombo, ideate da
Planté nel 1859; sono composte in genere da 6 elementi, in un contenitore isolante. Ciascun elemento
è formato da piastre positive, in perossido di piombo (PbO2), e piastre negative, in piombo metallico
puro (Pb) allo stato spugnoso, disposte alternativamente e immerse in una soluzione di acido solforico
(H2SO4 - elettrolita) in acqua distillata. Fra le piastre sono inseriti separatori porosi, per evitare corto
circuito. Ogni singolo elemento, costituito da due elettrodi nella soluzione elettrolitica, fornisce una
tensione di circa 2,2 volt. Se tra i poli viene chiuso un circuito esterno, si ha un passaggio di corrente,
per cui l’energia chimica viene ritrasformata in energia elettrica: la batteria è sotto scarica. Collegando
in serie i diversi elementi si ottiene la tensione di batteria, pari a 12 V. Per veicoli con tensione di
24V, si collegano in serie più batterie. I poli esterni della batteria vengono collegati, tramite morsetti,
al cavo che porta corrente agli utilizzatori (polo positivo, colore rosso) e alla massa sulla scocca della
vettura (polo negativo, colore nero).
L’elettrificazione dell’autoveicolo riguarda: alimentazione dei fari, delle luci di posizione e
dell’avvisatore acustico (clacson).
La capacità della batteria è la quantità di elettricità, misurata in ampere-ora [Ah], che può essere
fornita al circuito esterno durante la scarica e dipende dalla dimensione e dal numero di piastre, dalla
densità del liquido e dalle condizioni di uso e manutenzione della batteria. La capacità diminuisce
sensibilmente con l’abbassarsi della temperatura e l’aumentare dell’intensità di corrente, condizioni
critiche che si ritrovano facilmente nell’operazione di avviamento a freddo.
7) TRAZIONE STRADALE
a. Aderenza
I veicoli sono definiti ad aderenza naturale poiché le forze si trasmettono al terreno attraverso gli
organi di rotolamento (le ruote) che trasmettono il peso. La stabilità in aderenza longitudinale è
assicurata se per tutte le ruote motrici è verificata la relazione:
Ff <= Fzi * μxi
con: Ff sforzo motore alla periferia della ruota motrice; Fzi forza verticale di contatto sul terreno della
ruota; μxi coefficiente di aderenza pneumatico-suolo. Il prodotto Fz · μx è chiamato aderenza e il
coefficiente è influenzato dalle condizioni del terreno, dalla forma del battistrada e dalla pressione di
gonfiamento (valori variabili 0.05-0.8). Con dispositivi speciali (catene, cingoli, palette) si può
giungere e valicare l’unità. La stabilità della marcia in aderenza può essere pregiudicata se diminuisce
Fz in conseguenza di: variazioni di assetto del veicolo; azioni aerodinamiche; accelerazioni verticali
in velocità.
Queste ultime sono responsabili, insieme ai difetti della superficie stradale, del peggioramento delle
condizioni di aderenza con la velocità.
b. Resistenze al moto
Un veicolo è soggetto a due ordini di forze nella direzione del percorso: le forze attive, o di trazione,
e quelle passive, o resistenze. Per lo studio di un autoveicolo si utilizza la seguente equazione:
dove Me massa equivalente (tiene conto dell’inerzia delle masse rotanti); dV/dt =
accelerazione del moto; R = somma delle resistenze al moto.
Le forze che si oppongono al moto di un autoveicolo
sono forze resistenti all’avanzamento:
• Resistenza dovuta alla pendenza stradale Rp:
componente nella direzione del moto della Fp:
,in cui α è l’angolo di
inclinazione stradale; P è la forza peso.
• Resistenza al rotolamento degli pneumatici Rr:
dipende dalla massa, dalla pendenza e dal coefficiente di rotolamento, funzione a sua volta
delle caratteristiche del suolo e dello pneumatico: , in cui: fr è il coefficiente
di attrito di rotolamento. Valori di riferimento per pneumatici radiali variano da 0,008 a 0,01.
d. Spazio di frenatura
Il freno di servizio agisce su tutte le ruote, deve essere proporzionato per garantire la massima
aderenza sul terreno. Oltre tale limite le ruote si bloccano, la reazione del terreno diminuisce, e si
perde la facoltà di dirigere il veicolo. Lo spazio di frenatura esprime lo spazio percorso dal veicolo,
dal momento in cui viene toccato il pedale del freno fino a quando il veicolo è fermo. Il valore si
riferisce al minimo ottenibile, senza perdere aderenza, riferito a un determinato manto stradale.
sarà uguale a: .
e. Consumi di carburante
Il consumo di carburante dipende dalla velocità dell’automobile; dal tipo-condizioni del fondo strada;
dall’andamento plano-altimetrico; dalle condizioni di circolazione; dalle attitudini del guidatore.
È necessario conoscere prima il consumo specifico, cioè il consumo pesato di combustibile nell’unità
di tempo, rapportato alla potenza erogata. Esso viene definito come: , dove q è il consumo
specifico [g/kWh]; H il potere calorifico; ηm il rendimento motore, dipende da velocità e da potenza.
Scelti i rapporti di trasmissione, la velocità del motore è nota; pertanto, è possibile trovare il punto di
funzionamento del motore sul piano quotato. Il consumo per unità di percorso vale: ,
in cui Q è il consumo per unità di percorso [l/100 km]; Pn la potenza necessaria al moto; ηt il
rendimento della trasmissione; V la velocità del veicolo [m/s]; ρf la densità del carburante.
Più è lungo il rapporto di trasmissione e più è ridotto il consumo, dato che una marcia lunga permette
al motore di funzionare a bassa velocità, in condizioni vicine a quelle di massima potenza (dove il
consumo specifico è basso).