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Sterzo e freni (Lez.

#10)
Sterzatura
Gli impianti frenante e sterzante sono completamente differenti da quelli equipaggiati su
un’automobile, perché il contesto di lavoro è molto differente, che richiede una serie
architetture completamente differenti tra loro con conseguenti sistemi differenti.
Ci sono due tipologie di trattori, a cingoli e a ruote, che ovviamente hanno dei sistemi di
sterzatura completamente diversi.
Il trattore a cingoli sterza bloccando (o disinnestando) il cingolo dal lato verso cui si vuole
sterzare, pertanto a livello di comandi, la strumentazione è molto particolare e diversa
rispetto ai trattori dotati di ruote.
La catena cinematica è la seguente: si ha un albero in uscita dal differenziale, il quale ingrana
in un mozzo frizione che poi rimanda a un mozzo corona collegato ai cingoli. Per sterzare è
necessario disinnestare la frizione presente nel mozzo (dx o sx): sono presenti due leve (una
a destra e una a sinistra) per il disinnesto frizioni. Sono presenti, inoltre, dei pedali per
bloccare i cingoli (sia destro che sinistro).

Tuttavia, un trattore a cingoli articolato sterza disallineando i due telai del cingolo.
Soprattutto i trattori articolati molto piccoli che devono eseguire delle manovre in spazi
angusti possono sterzare anche sterzando le ruote, oltre che il semitelaio. Questo sistema è
chiamato dual steer, ovviamente è presente un rapporto di sterzo tra angolo telaio e angolo
ruote.
Per quanto concerne i trattori a ruote, essi sterzano facendo ruotare le ruote direttrici
(solitamente anteriori) rispetto ad un asse verticale.

Sistemi di sterzatura trattore


Per i trattori “vecchi” generalmente con 2 ruote motrici, pneumatici stretti e lisci, avevano
tale sistema per agevolare la rotazione. Un trattore 4wd ha una distribuzione di massa
maggiore sull’assale anteriore (40% circa all’anteriore), è dotato di ruote tassellate e sono
caratterizzati da masse molto maggiori. Pertanto, senza un sistema di servoassistenza si fa
fatica a sterzare le ruote: inizialmente si è pensato di utilizzare un sistema idromeccanico, in
cui tra sterzo e ruote vi è un rinvio (o collegamento) meccanico: ruotando lo sterzo si
movimenta un’asta, collegata ad una valvola (con spola ad inseguimento) che apre dei
condotti in cui viene inviato fluido in pressione (da parte di una pompa idraulica) ad un
attuatore, il quale movimenta il quadrilatero di Ackermann.
Siccome i trattori sono dotati di un impianto idraulico di per sé abbastanza potente, perché
è presente un sollevatore, i costruttori hanno pensato ad un sistema di sterzatura idrostatico:
è un sistema in cui la forza sterzante è data esclusivamente dall’olio in pressione, e non dalla
combinazione olio in pressione/volante operatore. Questo aspetto è importante laddove
sopraggiungono dei problemi di distribuzione di massa all’anteriore, oltre che situazioni di
irregolarità del terreno in cui è difficoltoso poter sterzare le ruote.
È presente una pompa, una doppia valvola collegata al volante, da cui escono delle tubazioni
che rimandano ad un cilindro a doppio effetto.
Quando si sterza, si decide la direzione di sterzo e di quanti gradi si preferisce sterzare: la
doppia valvola è utile a definire verso quale camera dell’attuatore inviare olio in pressione
(valve) e una valvola che comanda quanto olio inviare in pressione (metering unit o valvola
dosatrice). In questo modo, si riesce a controllare la sterzatura delle ruote senza collegamento
rigido volante/ruote.

Schema ponte anteriore con idroguida


Quando si progetta un sistema di sterzo, è necessario selezionare l’architettura dell’assale,
calcolare la coppia necessaria per far ruotare le ruote e dimensionare l’attuatore.
La coppia T è dipendente da vari fattori, come il peso gravante sull’assale anteriore (W), il
coefficiente di attrito (f), l’area dell’impronta a terra (A), momento di inerzia polare
dell’impronta (I0 geometria) e braccio a terra trasversale (e). Dalla geometria si ottiene una
forza, e dall’impianto in cui vige una pressione massima di 190 bar si riesce a dimensionare
“agevolmente” l’attuatore di sterzatura.
𝐼!
𝑇 = 𝑊 ∙ 𝑓& + 𝑒 "
𝐴
Vi sono differenti architetture di attuatori:
- Cilindro singolo differenziale (A) il quale comanda entrambe le ruote: lo svantaggio
collegato ad esso è relativo al fatto che il comportamento non è simmetrico. Il rapporto
di sterzo tra dx e sx è differente;
- La soluzione B è preferibile, perché garantisce
simmetria;
- La soluzione C (trattori molto grossi) prevede un
doppio cilindro con collegamento incrociato, ai fini di
neutralizzare l’effetto asimmetrico. Quando viene
inviato olio in una camera ne viene inviata la stessa
quantità nella camera opposta dell’altro attuatore;

Scatola dell’idroguida
L’insieme delle due valvole è chiamata idroguida. Tre
parametri molto importanti ne evidenziano le caratteristiche:
- Cilindrata: in questo modo si valuta quanto olio è
inviato all’attuatore per ogni giro del volante. Con una certa idroguida, con un
determinato attuatore, si può ottenere un rapporto di sterzo. Tenendo ferma
l’idroguida, variando la dimensione dell’attuatore si ottiene un rapporto di sterzo
sempre diverso.
- Taratura della valvola di sicurezza del cilindro: indica la massima pressione all’uscita
dell’idroguida e in funzione della dimensione dell’attuatore si può ottenere la massima
forza esercitata sull’assale, dunque la coppia;
- Portata: molto importante, perché essa determina quanto velocemente si può sterzare
le ruote con il servo-sistema. Se si sterza molto velocemente, ma il sistema non è in
grado di fornire portata, lo sterzo si appesantirà perché l’idroguida è satura e la
portata dev’essere fornita dall’operatore con una dosatrice.

Descrizione Idroguida
(7) Camicia: cavità cilindrica forata, a cui è collegata una spina (8) che porta con sé un
piccolo albero cardanico. L’albero è collegato con la colonna dello sterzo (9), dunque ruota
col volante. In (7) è posizionato (5), cassetto o spola che reca con sé delle fresature con una
molla a balestra (6). (5) e (7) possono rotare insieme solo quando la molla va a pacco; quindi,
prima di questa condizione si eseguono solo dei piccoli movimenti relativi. La rotazione
relativa serve ad allineare i fori della camicia con le fresature sulla spola, in modo da collegare
le utenze alla pompa o al serbatoio; in altre parole, si decide la direzione di rotazione delle
ruote (funzione di valvola distributrice). (9) è collegato con il gruppo (11)-(12), cioè una
valvola dosatrice di tipo rotativo, meglio definita come gerotor, praticamente uguale ad una
pompa. Tale valvola definisce quanto olio inviare. (5)-(6)-(7) definiscono dove inviare olio in
pressione. La molla (6) serve a centrare cassetto e camicia, in modo da chiudere i collegamenti
se l’operatore non sterza più. La coppia per sterzare le ruote è quella necessaria per
comprimere una piccola molla a balestra, quindi effettivamente si ha una moltiplicazione di
coppia molto importante tra input e output.

In caso di guasto o motore spento, non si ha olio in pressione all’idroguida. Per sterzare le
ruote, l’operatore trasforma il gerotor in una pompa, ma è necessaria una coppia al volante
molto elevata. A livello di omologazione su strada, è necessario che il trattore possa sterzare
le ruote con una coppia limitata ad un certo tetto massimo, in modo da agevolare il lavoro
dell’operatore in questi casi particolari. I costruttori hanno ovviato a questo problema con
un’idroguida a doppio gerotor, di dimensione differente.
Quando nell’idroguida c’è pressione si usa il gerotor grande,
mentre quando non c’è pressione si usa quello piccolo. Con il
gerotor piccolo viene ridotta la coppia necessaria a sterzare le
ruote, a scapito del rapporto di sterzo (aumentano i giri di volante
per giungere a fine corsa).
Nel gerotor grande le connessioni arrivano direttamente
all’attuatore senza passare per la valvola distributrice.
Le idroguide, pertanto, si possono distinguere in non reattive e
reattive.
Le non reattive isolano i cilindri di attuazione quando il volante
è in neutro: in qualsiasi situazione si trovi il trattore, niente può
sterzare le sue ruote, perché ci sarà l’olio in pressione a
controbilanciare.
Essa ha un problema legato al fatto che le asperità portano le
ruote ad essere sterzate, cosa che non succede perché vi è la pressione di bilanciamento.
Questo provoca dei picchi di pressione, per cui si rende necessario inserire valvole antishock
che tagliano i picchi di pressione.
L’idroguida reattiva presenta un collegamento continuo con gli attuatori e il gerotor, dunque
nel momento in cui si presenta un’asperità o irregolarità sotto la ruota del trattore, le ruote
possono essere sterzate. Questo perché vi è un collegamento continuo tra gli attuatori
mediante il gerotor (cosa che comporta un’oscillazione al volante). Quest’ultima è più utile
per trattori che percorrono molta strada, ma l’allineamento non è veloce come l’allineamento
su veicolo
Le idroguide si dividono anche in centro aperto e centro chiuso.

Freni
Il trattore può essere concepito in due configurazioni:
1. Mezzo isolato o con macchine operatrici portate il che comporta una capacità di carico
molto variabile;
2. Motrice di un convoglio, per cui si rende necessaria anche la frenatura di eventuali
rimorchi;

Requisiti del sistema frenante lato trattore


- Spazio di frenata limitato ad un certo valore, limitato da una relazione di
disuguaglianza, funzione della velocità massima a cui si è omologato il veicolo. 𝑠 ≤
#!
0,15 ∙ 𝑣 + $%!;
- Frenata agevole, vincolo sulla massima forza applicata al pedale di freno Fp,max<60
daN (≅60 kgf);
- Necessità di ABS per trattori omologati alla velocità superiore a 60 km/h. Dal 2021
si richiede la presenza di ABS per trattori che superano velocità di 40 km/h
- Il trattore può frenare solo su due ruote se esso marcia al di sotto di una velocità di
30 km/h. Dopo si richiede di frenare con tutte le ruote. Come? Innesto automatico
della doppia trazione in frenata, cioè il freno motore si scarica su tutte le ruote. Per
fare ciò è necessario un innesto elettroidraulico della doppia trazione, comandato dal
pedale del freno
- Tempo di risposta del sistema frenante limitato (tr): la pressione del circuito frenante
deve passare da 0 al 75% del suo valore massimo in un tempo tr<0,6 s. Tale requisito
si applica solo se il sistema frenante è fatto in modo tale che la l’energia di frenatura
sia applicata da una fonte diversa da quella muscolare del conducente (servo freno).

Impianto
Sono due pompanti collegati ai pedali, perché col trattore è possibile frenare le ruote di un
solo lato. Il serbatoio di olio non è collegato al circuito idraulico che percorre il trattore,
perché l’olio dell’impianto frenante è a basso contenuto igroscopico: a causa dell’elevato
calore al contatto con i dischi, un’elevata umidità potrebbe provocare evaporazione e calo di
forza frenante. Si hanno i freni posteriori e (optional) anteriori. Solitamente si usano freni a
disco immersi in olio per il raffreddamento. Poi sono presenti due valvole per il freno
rimorchio, di cui una idraulica e una pneumatica. Il trend è andare verso un sistema
pneumatico, perché esso può essere collegato equivalentemente al trattore e al camion
(autocarro).

Freno rimorchio
Esso viene azionato premendo entrambi i pedali, grazie ad una valvola di tipo “AND”, perché
il freno rimorchio generalmente viene azionato solo in rettilineo. I pedali sono sdoppiati, ma
possono essere collegati con una spina. Con la mother regulation, per velocità v>12 km/h si
azionano entrambi i freni, pur premendo solo un pedale, per una questione di sicurezza (vale
anche per i rimorchi).
Si può avere un impianto frenante dotato di due tipologie di pompa: boosterizzata o non
boosterizzata. Nel primo caso la frenata è servoassistita, per ridurre lo sforzo del conducente:
si movimenta una valvola che invia olio, spostando una spola, direttamente alla pinza dei
freni.
Nel secondo caso, invece, è l’operatore a mettere in pressione l’olio.

Requisiti del freno rimorchio


- Non necessario per tutti i rimorchi, ma solo per quelli di massa m>3,5 t;
- Azionamento automatico del freno rimorchio in sosta;
- Azionamento del freno rimorchio in condizioni di emergenza, quali avaria del circuito
frenante, o disconnessione dal trattore;
- Sincronizzazione della frenata tra trattore e rimorchio, per evitare che quest’ultimo
spinga sul trattore (rischio che il trattore si imbardi);
- Tempo di risposta, valutando il tempo necessario da parte del fluido per raggiungere
il 75% della pressione massima:
o Pneumatico, tr<0,4 s;
o Idraulico tr<0,6 s;
- Necessità di ABS per rimorchi omologati con velocità massima v>60 km/h, v>40
km/h dal 2021;
Azionamento
I trattori possono gestire due tipologie di azionamenti:
- Idraulico, per rimorchi agricoli;
- Pneumatico, per rimorchi stradali;
Un requisito dalla mother regulation è avere il sistema frenante a doppia linea.
Cosa vuol dire doppia linea? Il sistema è dotato di una linea di comando e una di emergenza.
- Linea di comando: linea tale per cui viene data pressione sulla base dell’intensità di
frenata, cioè che è utile per azionare il freno;
- Linea di emergenza: linea utile allo sblocco dei freni. È una linea in cui se manca
pressione il rimorchio ha i freni bloccati.
Come già detto, si può avere un sistema idraulico e pneumatico, dunque sui vari trattori
sono presenti tali linee. Nel caso di doppia linea idraulica, si hanno dei tappi rossi e neri: la
connessione rossa è la linea di comando, la nera è per la linea di emergenza. Nel caso
pneumatico, si ha giallo e rosso.

Freno rimorchio idraulico


Freno rimorchio pneumatico
Vi è un compressore, trascinato dalla cinghia servizi (che gira seguendo il numero di giri del
motore) che è inserito in un circuito a centro aperto. C’è un serbatoio in cui è presente aria
in pressione: ogni qualvolta si scende al di sotto di un certo valore, il circuito invia aria in
pressione al serbatoio stesso. Sono presenti le due linee, di emergenza e comando.
La linea di emergenza ha duplice funzionalità:
- Serve per sbloccare i freni;
- Serve per ricaricare il serbatoio, dal momento che sulla linea di emergenza la pressione
è stabile su un determinato valore, mentre sulla linea di comando la pressione varia.

Valvola testa logica


Il freno rimorchio deve poter essere azionato sempre ogni
qualvolta il veicolo ha v>12 km/h, mentre per v<12 km/h
bisogna premere entrambi i pedali del freno. Per questo è
presente una valvola con logica “AND” chiamata valvola a
testa logica: X1 e X2, sono le linee di pressione dei due
pedali. Il distributore si muove a destra e sinistra in
funzione della differenza di pressione che agisce sui lati.
Senza differenza di pressione il distributore è centrale,
quindi in X3, dove è presente la linea di pressione del
rimorchio si ha alta pressione che prende direttamente il
valore dalle linee dei pedali. Quando vi è una differenza di
pressione, la spola si sposta verso una delle due estremità, per cui il rimorchio viene collegato
con la linea a bassa pressione (dove non è stato premuto il pedale freno), per cui il rimorchio
non viene frenato.

ABS
In figura è rappresentato un trattore provato con e senza ABS. Sono state effettuate diverse
frenate in differenti condizioni. Sull’asse x vi è la velocità di avanzamento del veicolo, mentre
su y vi è il massimo angolo di imbardata del veicolo in fase di frenata.
Per velocità v>50 km/h vi è un’enorme differenza tra le due configurazioni di utilizzo, con
e senza ABS: la frenata con ABS, infatti, è molto più stabile.
Frenando sul bagnato, con rimorchi asimmetrici, è possibile che questi ultimi incorrano in
un ribaltamento.
Field test accelerati per la validazione di macchine agricole
(Lez. #11)
Processo di sviluppo
Per la progettazione e sviluppo di un nuovo veicolo è necessario avere dei target, cioè
conoscere i requisiti di una macchina. Ovviamente in fase di progettazione è necessario
disporre di dati quantitativi, cioè input, chiamati target loads (forze, coppie etc…).
Questi valori, come detto, vengono utilizzati per il dimensionamento in progettazione che
portano alla nascita di un prototipo che viene testato mediante una testing facility. La testing
facility potrebbe essere un banco prova, il quale dovrà riprodurre uno scenario tipico della
macchina. Al banco si dà un input, detto test schedule, una sorta di “ricetta”. Eseguiti tutti
i test, c’è lo sviluppo del prodotto: se c’è una rottura in fase di test si torna indietro
modificando qualcosa oppure creando un nuovo prototipo, cercando di ridurre il più possibile
il numero di iterazioni, dal momento che l’esecuzione dei test ha un costo.
Se il costruttore effettua il test fisicamente allora target loads e test schedule sono
disaccoppiati, ma se si esegue un determinato test sul banco prova, allora la tabella di marcia
in cui si simula lo scenario tipico del trattore dev’essere simulato mediante l’utilizzo di alcuni
attuatori di cui si regolano le forze. Per questo motivo, in questi casi, vi è corrispondenza
diretta tra test schedule e target loads.

Target loads e test schedule


Per avere un prodotto affidabile è necessario progettare bene e conoscere con precisione i
target loads e i test schedule.
Le criticità alcune volte nascono quando non sono chiari i target.
Il costruttore deve progettare una macchina che vada incontro a quelle che sono le modalità
di utilizzo del veicolo: chiaramente un cliente utilizzerà la macchina in maniera differente
dall’altro, quindi tutto si basa sulla statistica. Per accontentare un cliente che stressa
eccessivamente il veicolo il produttore potrebbe progettare un veicolo molto conservativo:
così facendo si rende il processo produttivo poco conveniente, perché questa categoria di
utenti potrebbe essere una nicchia. Per questo motivo si rende necessario il bilanciamento di
sottodimensionamento e sovradimensionamento.
Restando su valori bassi di “design load” si ottiene una percentuale molto bassa di “survivors”:
a questo corrisponde un maggior numero di richiami con conseguente problema di immagine
oltre che di costi di interventi in garanzia. Aumentando il design load si aumenta la qualità
del prodotto e la sua affidabilità, ma d’altro canto il prodotto sarà più costoso. Superato un
certo livello di carico di design (incremento dei carichi per il dimensionamento?) il vantaggio
va a plafonare, per cui non vale più la pena.
Molte aziende fondano le loro campagne di marketing sulla affidabilità, garantendo il loro
prodotto per diverso tempo: questo consente loro di tenere traccia di eventuali problemi di
cui è affetto il prodotto (magari troppo acerbo), senza la diluizione che si verificherebbe con
un periodo di garanzia limitato.

Accelerated testing
Quali sono i processi per la definizione del target load e test schedule?
È necessario conoscere come il prodtto viene impiegato da parte dei clienti. Un’informazione
utile è correlata al luogo geografico in cui viene venduto quel dato prodotto: è molto
importante per le macchine agricole perché ogni zona ha le sue pratiche colturali, terreni etc.
Oltre ciò, è necessario conoscere come viene utilizzato quel dato prodotto tramite una mission
profile. Sulla base di quest’ultimo aspetto, si prende un veicolo campione, lo si strumenta
con alcuni sensori (posti nei punti di interesse, magari considerando un veicolo di precedente
generazione che ha fatto emergere determinate criticità) che saranno successivamente utili
alla progettazione. Successivamente, si fa lavorare un veicolo secondo le abitudini dei clienti.
I dati vengono opportunamente analizzati e a questo seguono i target loads. Da questi
emergono le informazioni per effettuare la progettazione a fatica (ad esempio). Questo carico
può essere sfruttato per progettare o per settare il test schedule: questo dipende dall’impianto
di cui si dispone per eseguire i test. Costruttori piccoli non hanno dei banchi prova, per cui
si potrebbe chiedere a dei test driver di eseguire determinati cicli di lavorazione con la
macchina agricola. L’impianto prova viene “attivato” dal test schedule: è importante che
vengano riprodotte le ampiezze e le frequenze dei cicli (importantissima anche la riproduzione
della frequenza). Tali valori vengono ottenuti per correlazione. Dalla correlazione si ottiene
la ricetta (test schedule).
Target loads e test schedule
Si considerano i requisiti di tl e ts:
1. Devono essere rappresentativi dell’utilizzo in campo;
2. Devono essere in una forma utilizzabile per la progettazione, quindi devono essere dei
dati semplici. In figura si ha un carico su un assale misurato sperimentalmente, tipico
esempio di dato sul “campo” che però è troppo complesso per poter essere utilizzato
in progettazione. Per semplificare le cose ci si riconduce alla curva di Wöhler in cui si
suppone un carico a fatica.

3. Le prove vengono eseguite su vecchio veicolo, da cui derivano informazioni utili al


nuovo veicolo. Le informazioni, per questo motivo, devono essere quanto più
indipendenti dalla specifica dimensione della macchina su cui si eseguono le misure,
dunque è necessario ricavare informazioni “esterne”. Oltre ciò, è importante che le
informazioni siano indipendenti da uno specifico veicolo: si sfruttano delle formule
parametriche (da parametri basilari del veicolo da progettare) per ottenere dei target
di design.

Target loads
Si considerano le varie tipologie di target loads a disposizione: tutto dipende dall’approccio
di progettazione considerato e dalla testing facility (attrezzature a disposizione per la prova).
Se l’approccio è molto semplice si sfrutta un approccio con carico sinusoidale ad ampiezza
costante (1). Una complicazione dello stesso consiste nell’utilizzo di carico sinusoidale ad
ampiezza variabile (2). Per simulazioni con banchi dinamici ci si può permettere di dare
come input un dato complesso derivante dalla misurazione (3). L’analisi dei dati ha
l’obbiettivo di ricondurre l’operatore ad uno dei casi sopra elencati.
Parametri importanti sono essenzialmente 3:
- Ampiezze di sinusoidi o carichi random;
- Frequenza delle sinusoidi [Hz];
- Numero di cicli per ciclo con una data ampiezza;

Uso dei clienti


La mission profile effettua una descrizione sintetica dell’utilizzo della macchina. Qui è
rappresentata la mission profile di un trattore in particolare: si suddividono le tipologie di
lavori che può svolgere il trattore in quattro macro-categorie che sono: trasporto, tiro in
campo, lavorazione con PdP e lavorazione con caricatore frontale. Per ogni tipologia vi è il
contributo sul tempo totale di utilizzo: trasporto 28%, PdP 53%...
Un’altra informazione importante è l’utilizzo annuo in ore, che è un valore percentile su un
campione di utilizzatori (il percentile indica un numero di ore che è superiore di una certa
percentuale della popolazione, che dipende dalle scelte dell’azienda sulla scia del bisogno di
affidabilità). Si può anche considerare un percentile per il quantitativo di anni che deve
durare un mezzo agricolo.

Field loads
I carichi raccolti in campo dipendono da molti fattori:
- Utilizzo mediante mission profile;
- Contesto d’utilizzo, cioè tipologia di terreno che può essere di diversa natura
(sabbioso, limoso, argilloso, duro, soffice…). Tutto questo determina i carichi scaricati
sui componenti;
- Stile di guida;
Queste misurazioni devono essere eseguite per un periodo più o meno lungo, che potrebbe
essere almeno un anno (durata del ciclo colturale), in contesti differenti e per diversi clienti.
Per quanto concerne le misure, esse possono essere eseguite quando si individuano criticità
sul veicolo. Esse vengono svolte in due modi:
- Sensori integrati sul veicolo di tipo CAN-BUS: sensori collegati ad una linea di
trasmissione dati, in comune a tutti i trattori che usano tale tecnologia. Sistema
sviluppato da Bosch che ha permesso all’elettronica di godere di maggiore affidabilità,
oltre che consentire una standardizzazione elettrica, di trasmissione dati e di tipologia
di informazione che popolano questa “rete”, a cui è collegata anche la centralina.
Questo consente di captare dati con estrema facilità, senza grandi competenze
informatiche);
- Sensori aggiuntivi: torsiometri, celle di carico, accelerometri, videocamere, GPS…;

Come già affermato le misure devono avere diversi requisiti, tra cui:
- Misurazione in punti critici;
- Indipendenza dalla macchina;
- Correlazione con l’input proveniente dall’utilizzatore: si dev’essere in grado di leggere
agevolmente una informazione quando l’operatore esegue una certa manovra.

LDA: load data analysis


L’approccio di analisi dei dati serve per passare dai dati raccolti nel campo (complicati e
rumoroso, molto variabile) a un’informazione semplice che può essere usata in progettazione.
Parlando di durabilità in fase di progettazione, si traduce tale requisito in una progettazione
a fatica. L’obbiettivo è ottenere da segnali molto complicati un’informazione che ci permetta
di determinare la severità della condizione di utilizzo, mediante un indice numerico che
consenta di mettere in ordine di criticità i vari dati (indice di rilevanza). Avendo una
gerarchia si può selezionare la condizione peggiore, punto di partenza per la progettazione in
favore di sicurezza.
Grazie a questi indici si possono effettuare delle analisi comparative tra le misure, in modo
da confrontare vari mercati/aree, tipologie di terreni etc.
L’approccio di LDA consiste di una serie di step: il primo è la pulizia, cioè rimozione del
rumore dai segnali, dopodiché si calcola il carico specifico del componente utile alla selezione
di un modello di danneggiamento (per calcolare l’indice di severità). È importante appellarsi
alla statistica, dato che il raccoglimento di dati è consistente.

Pulizia
I segnali possono essere rumorosi a causa
di alcuni sensori che rispondono in
maniera scorretta. Gli estensimetri
soffrono di tali problemi, ad esempio
legati all’aumento di temperatura che
comporta dilatazioni (drift).
Altre “impurità” sono le spikes, ossia dei
valori istantanei molto più alti dei valori
misurati.
Questi effetti devono essere eliminati con
dei metodi.

Calcolo del carico


Un caso comune è la progettazione delle ruote dentate di una trasmissione, ma non è fattibile
misurare i carichi su ogni ruota dentata. Nella pratica, si conoscono la coppia erogata (dal
CAN) dal motore, il regime motore e la marcia innestata che determina il flusso di potenza
(per cambio automatico i dati sono su CAN, per cambio manuale i dati vengono ottenuti
dalla sensoristica, ad esempio un sensore di prossimità sulla forchetta di innesto), il layout
della trasmissione, per cui si riesce a calcolare il carico su ogni ruota dentata e cuscinetto.

Modello di danneggiamento
Esso serve per ridurre la complicazione del dato, cioè per passare da un dato complicato
(storia temporale del carico applicato ad un determinato organo) ad un’informazione fruibile
che possa consentire di eliminare alcune condizioni di lavoro che non risultano utili ai fini
del conteggio perché poco severe, e selezionare quelle più rilevanti. È possibile effettuare
confronti tra mercati, oltre che effettuare confronti tra diverse pratiche lavorative… Per fare
ciò è necessario un modello di danneggiamento, basato sulla “fisica” della rottura a fatica.
È necessario avere una curva di durabilità, come in figura. È un grafico in cui per ogni
ampiezza del carico, quanti cicli possono essere sopportati da quel componente (tenendo quel
valore di carico). Per 1000 Nm di coppia, il componente (albero cardanico) dura per 4*107
cicli. Tanto maggiore è la sollecitazione, tanto minore è il numero di cicli che porta a rottura
il componente. Essa può essere espressa da una formula, in cui S è la sollecitazione, S0 è
l’intercetta con le y, k un esponente di fatica (tanto maggiore è k tanto più pendente sarà la
curva). Tale formula restituisce il parametro Nf che sarebbe il numero di cicli che portano a
rottura il componente.
Dalla curva di durabilità, combinando le sollecitazioni lette dal campo, è possibile andare a

determinare un indicatore numerico detto danneggiamento


(D), rappresentativo della vita consumata dal servizio. Tale
numero varia tra 0 e 1 (intera vita consumata, cioè il
componente potrebbe probabilmente rompersi). Se D=0.5,
allora il componente può farsi carico di un servizio uguale a
quello a cui è stato sottoposto prima di rompersi.
Per danneggiamento D=0 siamo su x=0, mentre se D=1
significa che è stata intercettata una curva di durabilità.
Su carichi variabili, sempre parlando di progettazione a fatica,
il modello di danneggiamento è basato sulla regola di Miner. Il valore D=1 si ottiene solo
quando al materiale si applica un solo carico, ma se c’è più di un carico si raggiunge il
danneggiamento unitario non sulla curva di durabilità. Per questo motivo si sfrutta la nuova
&
regola 𝐷 = ∑' " , in cui Ni è il numero di cicli ad una data ampiezza di carico Si, diviso per
&#"
il numero di cicli che si possono sopportare a quella data ampiezza di carico (incrocio con
curva di durabilità).
Esempio

Il problema relativo a tale procedura è correlato al fatto che si sta eseguendo progettazione
a fatica per un organo che effettivamente ancora non esiste. Non sempre è possibile calcolare
il danneggiamento esatto del materiale. Si sviluppa, a tal proposito, un modello di
danneggiamento semplificato, ma che al contempo sia affidabile. Esso sarà indipendente dalle
caratteristiche specifiche del materiale di cui è sono composti gli organi di macchina.

Pseudo-danneggiamento
Il danneggiamento secondo la regola di Miner prevede che al denominatore ci sia il numero
) &"
di cicli che portano a rottura il componente, cioè 𝑁( = () )*+ , per cui D= ∑' %" &' . Questa
$ ( )
%$
espressione prende il nome di powerload damage formulation.
Qui sono presenti le sollecitazioni (di tipo tensione, cioè N/m2).
Nella formulazione è possibile riconoscere dei parametri dipendenti dal caricamento (come
opera il componente, tramite Ni e Si) e dal materiale (S0 e k). Si cerca quanto più di essere
indipendenti da tali parametri del materiale. Considerando S0 costante, si ottiene qualcosa
che è proporzionale al danneggiamento, ma che non è esattamente il danneggiamento: si
parla di pseudo-danneggiamento, ossia un indice numerico che consente di effettuare tutte
le analisi fatte con danneggiamento, con il limite di non poter calcolare l’esatta durata del
materiale. Questo consente di stabilire comunque la condizione di carico più severa, al fine
di rimuovere quelle condizioni “secondarie”.

Il fattore k resta dipendente dal materiale, ma varia molto meno pronunciatamente col
variare del materiale. Lo PD è vantaggioso perché due caricamenti differenti con due diversi
PD sono nello stesso rapporto rispetto alle durate relative a due caricamenti (affidabilità del
metodo).
Se si ha un caricamento k che provoca uno PD 4 volte superiore rispetto al PD del
caricamento j, allora la durata associata a j sarà 4 volte superiore rispetto a k. Questo è il
motivo per cui molte analisi sono eseguite con lo pseudo danneggiamento.
𝐿. 𝑃𝐷+
=
𝐿+ 𝑃𝐷.
Per materiali metallici, la curva di durabilità è associata alla curva di Wholer. Tale
diagramma è caratterizzato da tre tratti:
- Fatica oligociclica
- Fatica ad alto numero di cicli, tratto più frequente
- Fatica a vita infinita: si può progettare qui, solo per organi di cui si vuole scongiurare
assolutamente la rottura;

La curva di Wholer viene ricavata applicato ad un provino una sollecitazione sinusoidale ad


ampiezza costante e all’inversione, dopodiché si contano il numero di cicli che hanno
provocato la rottura. Si effettuano prove a diversa ampiezza per ottenere la curva di Wholer.
In campo il caricamento non è mai sinusoidale, motivo per cui si rende necessario il calcolo
dello pseudo-danneggiamento (riuscendo almeno a prevedere la famiglia di materiali per la
valutazione dell’esponente k). Per poter entrare nel diagramma di Wholer è necessario
eseguire un algoritmo di conteggio, cioè un algoritmo che sulla base di una serie di intervalli
di (ampiezze di) sollecitazioni, si va a conteggiare per quanti cicli affaticanti esse sono state
applicate. L’algoritmo di conteggio universalmente riconosciuto per le analisi a fatica
sperimentali è noto come rainflow, il
quale si basa sull’estrazione dei punti
di inversione del carico in una storia
di carico (massimi e minimi locali);
prendendo in successione tre punti,
definendo la distanza tra gli Si punti
come ΔSi=|Si-Si+1|, essi descrivono
un ciclo se e solo se ΔS2>ΔS1; fatta
questa verifica si stabiliscono i valori
di carico iniziale e carico finale (solo
per i cicli che rispettano la definizione) e la loro ampiezza.
Si ottengono i cicli come in figura a destra: ciascuna ampiezza dei cicli è quantizzata in livelli
(0-2, 2-4…)e poi i valori inseriti in un istogramma, denominato loadspectra.

Esempio di carico reale gravante su assale anteriore e corrispondente loadspectra ottenuto


con algoritmo rainflow.

Un altro metodo per raggurppare dati è inserirli nella matrice


from-to: in riga si inseriscono gli intervalli di carico iniziale del
ciclo (from), mentre per colonna gli intervalli di carico finale del
ciclo (to). La matrice from-to può essere visualizzata come una
mappa di colori dove il colore è correlato al numero di cicli di
ciascun livello (sulla diagonale non ci sono cicli, perché il ciclo
iniziale coincide con quello finale, dunque non è un ciclo per come
è stato inteso precedentemente).

Un’altra tipologia di visualizzazione utile alla semplificazione dei carichi è la matrice di


danneggiamento: avendo definito ciascun ciclo, si associa ognuno di essi ad uno pseudo-
danneggiamento. Nella matrice from-to si inseriscono le somme degli pseudo-danneggiamenti
corrispondenti. La matrice di danneggiamento consente di stabilire che zone ad alta
frequenza per la matrice rainflow corrispondono a zone a basso danneggiamento nella matrice
di danneggiamento: questo aspetto è dovuto al fatto che l’effetto di danneggiamento è dato
dall’ampiezza dell’oscillazione, non dal suo
valore medio. Sono molto pericolosi i dati che
si allontanano molto dalla diagonale, perché
ad alta ampiezza. Da questa matrice i punti
molto distanti sono molto dannosi, infatti
arrecano la maggior parte del danneggiamento
totale (si intende la somma degli
pseudodanneggiamenti di tutte quelle celle): i punti cerchiati in rosso sono molto rari, eppure
sono molto dannosi, dal momento che è presente un peso molto importante, che sarebbe
l’esponente di fatica che fa sì che i cicli di ampiezza molto alta abbiano un contributo sul
danneggiamento molto maggiore rispetto ai cicli a piccola ampiezza.

Statistica dei field load


È possibile estrapolare in due modi le misure rilevate sul campione:
- Estrapolazione a percentile: si effettua una misura di una sollecitazione quando il
veicolo è guidato da differenti “tester”. Ciascuno di essi indurrà con l’utilizzo uno
pseudo-danneggiamento diverso, e da queste misure (matrici di rainflow dei diversi
operatori) si determina lo pseudo-danneggiamento associato ad un guidatore molto
severo che non è stato misurato e peggiore degli altri tester.
- Estrapolazione di durata: si richiede una vita di servizio di 10000 ore (ad esempio); la
misura di durata 100 ore non è necessariamente corrispondente ad una ripetizione del
test di 100 ore per 100 volte. Può succedere che alcuni carichi gravi non siano registrati
in questo lasso di tempo, perché l’operatore non ripeterà una manovra sempre nello
stesso modo. Con delle funzioni su software di analisi dati si può ottenere il load
spectra relativo all’intera vita dell’organo meccanico, sulla base dei dati misurati.

Nell’analisi dei dati si definisce il cliente target, si seleziona il percentile, cioè il cliente più
severo del 95% (dipende dal target dell’azienda) di tutti i clienti. Dai dati si effettua
l’estrapolazione a percentile e di durata, da cui si ottengono dei target loads. In questo modo
si calcola l’informazione che serve per la progettazione.
Calcolo target loads
Una volta eseguita la misura per ogni lavorazione rilevante, si calcola la matrice target come
somma pesata (sulla base del mission profile: contributo temporale di ogni operazione
sull’utilizzo totale della macchina) delle matrici di ogni condizione di lavoro. La matrice di
target nella forma richiama tutte le matrici relative ai vari impieghi della macchina.

Test accelerato
Esso mira ad applicare ai componenti della macchina lo stesso danneggiamento derivante
dal servizio, tramite tre metodi:
• Incremento delle ampiezze dei carichi: non si può aumentare più di tanto, pena il
rischio di cambiare la modalità di rottura del componente. Il test perderebbe di
affidabilità, dal momento che si desiderano le stesse modalità di rottura che si hanno
durante il servizio;
• Incremento della frequenza dei carichi: si incrementa il regime medio di lavorazione
(ad esempio). Si può aumentare, ma non troppo, altrimenti cambiano le modalità di
rottura: c’è il rischio che il sistema vada in risonanza.
• Rimozione dei cicli non danneggianti: questo è fattibile senza alcun limite, ma bisogna
stabilire una soglia. Si potrebbe fissare il 15% di sollecitazione massima misurata,
come soglia sotto cui tagliare fuori i tempi di sollecitazione.
La prestazione del test è data da un fattore di accelerazione, visto come rapporto tra la
durata del servizio Ts sulla durata del test TT: AF=Ts/TT.

Un test accelerato, per essere realistico, deve soddisfare le seguenti condizioni:


- Riprodurre le stesse modalità di rottura;
- Riprodurre i caricamenti in maniera accurata;
- Essere accelerato, tenendo d’occhio i sovraccarichi;
- Bilanciato tra sottodimensionamento e sovradimensionamento;

Per effettuare il test è necessario:


- Scegliere l’impianto prova: dipende dall’azienda e dalle necessità. Si può dare in prova
il veicolo a degli agricoltori “tester”, test su piste con asperità sul suolo, oppure su
banchi.
o Per quanto concerne il field test, il fattore di accelerazione è molto basso; il
carico non è controllabile;
o Nelle proving grounds si controlla meglio il carico; i vincoli ambientali sono
raramente limitanti; la dinamica viene scarsamente riprodotta; il fattore di
accelerazione è più alto;
o I banchi sono attuatori che vengono azionati in modo da produrre una certa
reazione nel veicolo. La dinamica non è riprodotta bene, però hanno un elevato
fattore di accelerazione. Costo molto alto.
- Correlazione dei carichi target (di servizio) con i carichi applicati dall’impianto prova:
similitudine di ampiezza e frequenza;
- Calcolo di ripetizioni o durata del test;

Calcolo delle ripetizioni


Si ha uno PD target associato ad una durata. C’è, inoltre, un attuatore, il quale può generare
una forza di 80 kN, e che in un’ora può applicare 1800 cicli.
Si considera k=4 in questo caso.

Caso 2)
Sono presenti 2 input: nel caso di un assale di un
veicolo, ci sono due forze differenti relative alle
sollecitazioni della singola ruota. A questo
corrispondono due pseudo-danneggiamenti;
dovendo riprodurre tali sollecitazioni ci saranno
degli pseudo-danneggiamenti da imporre al banco.
In un caso molto semplice si potrebbero avere degli
pd target proporzionali, la quale si cerca di
mantenere al banco sugli pd orari.
Effettuando i vari calcoli, si ottiene che il carico 1 si dovrà eseguire il test per 85 ore, mentre
per il carico 2 il test dovrà durare 34 ore. Bisogna scegliere una durata unica, ovviamente si
sceglie quella più lunga, col rischio che per l’altra sollecitazione (quella che richiedeva meno
tempo) il componente sarà sovra-testato. Riprodurre bene la dinamica dei carichi derivanti
dal campo significa garantire un rapporto tra PDT pari al rapporto tra PDTC,h.

Caso generale
Un caso un po’ più complesso è quello delle trasmissioni, in cui si dovranno testare diverse
componenti, ognuna delle quali avrà una propria modalità di rottura, a sua volta associata
ad un certo PDT. Bisognerebbe applicare un test che sia in grado di garantire di raggiungere
lo PDT per ogni componente e per ogni modalità di rottura ad esso associata.
Ci sono tre fattori da poter controllare (3 gdl): regime, flusso di potenza e valore di coppia.
Il flusso di potenza, ad esempio, indica quali ruote dentate sono in presa.
È impossibile trovare una condizione di carico che vada bene per tutti, per cui si è pensato
di introdurre un test mix, in cui si fa lavorare il motore e cambio in tanti modi differenti, in
modo tale da coprire tutti gli pseudo-danneggiamenti target.
L’obiettivo è quello di creare per ogni “sotto-test” compreso nel test mix la durata di prova
di ciascun sotto-test.
Essendo un problema molto complesso, dato che bisogna combinare il numero di punti di
funzionamento del cambio e il numero di punti di funzionamento del motore, tale problema
si risolve con dei software di ottimizzazione numerica.
- Sono presenti delle incognite, cioè delle condizioni di prova e la durata di ciascuna di
esse.
- L’obbiettivo è creare il test più corto possibile, a scapito di avere dei componenti
sovra-testati. Un altro approccio potrebbe essere quello di creare un test in grado di
riprodurre al meglio degli PDT per ogni componente in modo tale da evitare che
qualche componente sia testato più del necessario. Questo approccio sarà a scapito
della durata.
- Ci sono dei vincoli in cui è necessario riprodurre lo PDT
In questo modo si ottiene la condizione di carico, la durata di ogni condizione di carico, con
il vincolo di avere il danneggiamento del servizio (almeno) e tra tutte le possibili
combinazioni scegliere quella con la durata più breve.

Trasmissioni
Essendo un test accelerato, il test deve essere svolto con motore a pieno carico. Conoscendo
la curva del motore che si accoppia con una certa trasmissione, si ottiene il valore della
coppia a pieno carico per ogni regime. La variabile di progetto era il regime di motore per
ogni singolo rapporto. Tramite un modello di trasmissione si determinano gli PDT di ogni
singolo componente.
L’obiettivo era la minimizzazione della durata del test col vincolo di riprodurre almeno gli
PDT.
Grazie al solutore si ottiene il grafico in figura: per ogni singolo rapporto viene riportata la
durata del test, la coppia corrispondente e il regime operativo. Si nota che il solutore indirizza
il test verso le marce di gamma alta, perché le marce basse consentono al motore di erogare
solo un valore ridotto di coppia (causa limite di aderenza). Ovviamente si effettueranno dei
test anche per le marce di gamma bassa, al limite con le gamme medie.
A livello di regime, il test deve girare ad un regime molto alto per le gamme basse (causa
slittamento). Dove non si raggiunge il limite di slittamento per le ruote (gamme medie e
alte), il test deve girare ad un regime più basso, cioè quello di coppia massima: lo PD è
funzione della coppia e del regime, ma la coppia ha un peso maggiore a causa dell’esponente
k di fatica.

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