#10)
Sterzatura
Gli impianti frenante e sterzante sono completamente differenti da quelli equipaggiati su
un’automobile, perché il contesto di lavoro è molto differente, che richiede una serie
architetture completamente differenti tra loro con conseguenti sistemi differenti.
Ci sono due tipologie di trattori, a cingoli e a ruote, che ovviamente hanno dei sistemi di
sterzatura completamente diversi.
Il trattore a cingoli sterza bloccando (o disinnestando) il cingolo dal lato verso cui si vuole
sterzare, pertanto a livello di comandi, la strumentazione è molto particolare e diversa
rispetto ai trattori dotati di ruote.
La catena cinematica è la seguente: si ha un albero in uscita dal differenziale, il quale ingrana
in un mozzo frizione che poi rimanda a un mozzo corona collegato ai cingoli. Per sterzare è
necessario disinnestare la frizione presente nel mozzo (dx o sx): sono presenti due leve (una
a destra e una a sinistra) per il disinnesto frizioni. Sono presenti, inoltre, dei pedali per
bloccare i cingoli (sia destro che sinistro).
Tuttavia, un trattore a cingoli articolato sterza disallineando i due telai del cingolo.
Soprattutto i trattori articolati molto piccoli che devono eseguire delle manovre in spazi
angusti possono sterzare anche sterzando le ruote, oltre che il semitelaio. Questo sistema è
chiamato dual steer, ovviamente è presente un rapporto di sterzo tra angolo telaio e angolo
ruote.
Per quanto concerne i trattori a ruote, essi sterzano facendo ruotare le ruote direttrici
(solitamente anteriori) rispetto ad un asse verticale.
Scatola dell’idroguida
L’insieme delle due valvole è chiamata idroguida. Tre
parametri molto importanti ne evidenziano le caratteristiche:
- Cilindrata: in questo modo si valuta quanto olio è
inviato all’attuatore per ogni giro del volante. Con una certa idroguida, con un
determinato attuatore, si può ottenere un rapporto di sterzo. Tenendo ferma
l’idroguida, variando la dimensione dell’attuatore si ottiene un rapporto di sterzo
sempre diverso.
- Taratura della valvola di sicurezza del cilindro: indica la massima pressione all’uscita
dell’idroguida e in funzione della dimensione dell’attuatore si può ottenere la massima
forza esercitata sull’assale, dunque la coppia;
- Portata: molto importante, perché essa determina quanto velocemente si può sterzare
le ruote con il servo-sistema. Se si sterza molto velocemente, ma il sistema non è in
grado di fornire portata, lo sterzo si appesantirà perché l’idroguida è satura e la
portata dev’essere fornita dall’operatore con una dosatrice.
Descrizione Idroguida
(7) Camicia: cavità cilindrica forata, a cui è collegata una spina (8) che porta con sé un
piccolo albero cardanico. L’albero è collegato con la colonna dello sterzo (9), dunque ruota
col volante. In (7) è posizionato (5), cassetto o spola che reca con sé delle fresature con una
molla a balestra (6). (5) e (7) possono rotare insieme solo quando la molla va a pacco; quindi,
prima di questa condizione si eseguono solo dei piccoli movimenti relativi. La rotazione
relativa serve ad allineare i fori della camicia con le fresature sulla spola, in modo da collegare
le utenze alla pompa o al serbatoio; in altre parole, si decide la direzione di rotazione delle
ruote (funzione di valvola distributrice). (9) è collegato con il gruppo (11)-(12), cioè una
valvola dosatrice di tipo rotativo, meglio definita come gerotor, praticamente uguale ad una
pompa. Tale valvola definisce quanto olio inviare. (5)-(6)-(7) definiscono dove inviare olio in
pressione. La molla (6) serve a centrare cassetto e camicia, in modo da chiudere i collegamenti
se l’operatore non sterza più. La coppia per sterzare le ruote è quella necessaria per
comprimere una piccola molla a balestra, quindi effettivamente si ha una moltiplicazione di
coppia molto importante tra input e output.
In caso di guasto o motore spento, non si ha olio in pressione all’idroguida. Per sterzare le
ruote, l’operatore trasforma il gerotor in una pompa, ma è necessaria una coppia al volante
molto elevata. A livello di omologazione su strada, è necessario che il trattore possa sterzare
le ruote con una coppia limitata ad un certo tetto massimo, in modo da agevolare il lavoro
dell’operatore in questi casi particolari. I costruttori hanno ovviato a questo problema con
un’idroguida a doppio gerotor, di dimensione differente.
Quando nell’idroguida c’è pressione si usa il gerotor grande,
mentre quando non c’è pressione si usa quello piccolo. Con il
gerotor piccolo viene ridotta la coppia necessaria a sterzare le
ruote, a scapito del rapporto di sterzo (aumentano i giri di volante
per giungere a fine corsa).
Nel gerotor grande le connessioni arrivano direttamente
all’attuatore senza passare per la valvola distributrice.
Le idroguide, pertanto, si possono distinguere in non reattive e
reattive.
Le non reattive isolano i cilindri di attuazione quando il volante
è in neutro: in qualsiasi situazione si trovi il trattore, niente può
sterzare le sue ruote, perché ci sarà l’olio in pressione a
controbilanciare.
Essa ha un problema legato al fatto che le asperità portano le
ruote ad essere sterzate, cosa che non succede perché vi è la pressione di bilanciamento.
Questo provoca dei picchi di pressione, per cui si rende necessario inserire valvole antishock
che tagliano i picchi di pressione.
L’idroguida reattiva presenta un collegamento continuo con gli attuatori e il gerotor, dunque
nel momento in cui si presenta un’asperità o irregolarità sotto la ruota del trattore, le ruote
possono essere sterzate. Questo perché vi è un collegamento continuo tra gli attuatori
mediante il gerotor (cosa che comporta un’oscillazione al volante). Quest’ultima è più utile
per trattori che percorrono molta strada, ma l’allineamento non è veloce come l’allineamento
su veicolo
Le idroguide si dividono anche in centro aperto e centro chiuso.
Freni
Il trattore può essere concepito in due configurazioni:
1. Mezzo isolato o con macchine operatrici portate il che comporta una capacità di carico
molto variabile;
2. Motrice di un convoglio, per cui si rende necessaria anche la frenatura di eventuali
rimorchi;
Impianto
Sono due pompanti collegati ai pedali, perché col trattore è possibile frenare le ruote di un
solo lato. Il serbatoio di olio non è collegato al circuito idraulico che percorre il trattore,
perché l’olio dell’impianto frenante è a basso contenuto igroscopico: a causa dell’elevato
calore al contatto con i dischi, un’elevata umidità potrebbe provocare evaporazione e calo di
forza frenante. Si hanno i freni posteriori e (optional) anteriori. Solitamente si usano freni a
disco immersi in olio per il raffreddamento. Poi sono presenti due valvole per il freno
rimorchio, di cui una idraulica e una pneumatica. Il trend è andare verso un sistema
pneumatico, perché esso può essere collegato equivalentemente al trattore e al camion
(autocarro).
Freno rimorchio
Esso viene azionato premendo entrambi i pedali, grazie ad una valvola di tipo “AND”, perché
il freno rimorchio generalmente viene azionato solo in rettilineo. I pedali sono sdoppiati, ma
possono essere collegati con una spina. Con la mother regulation, per velocità v>12 km/h si
azionano entrambi i freni, pur premendo solo un pedale, per una questione di sicurezza (vale
anche per i rimorchi).
Si può avere un impianto frenante dotato di due tipologie di pompa: boosterizzata o non
boosterizzata. Nel primo caso la frenata è servoassistita, per ridurre lo sforzo del conducente:
si movimenta una valvola che invia olio, spostando una spola, direttamente alla pinza dei
freni.
Nel secondo caso, invece, è l’operatore a mettere in pressione l’olio.
ABS
In figura è rappresentato un trattore provato con e senza ABS. Sono state effettuate diverse
frenate in differenti condizioni. Sull’asse x vi è la velocità di avanzamento del veicolo, mentre
su y vi è il massimo angolo di imbardata del veicolo in fase di frenata.
Per velocità v>50 km/h vi è un’enorme differenza tra le due configurazioni di utilizzo, con
e senza ABS: la frenata con ABS, infatti, è molto più stabile.
Frenando sul bagnato, con rimorchi asimmetrici, è possibile che questi ultimi incorrano in
un ribaltamento.
Field test accelerati per la validazione di macchine agricole
(Lez. #11)
Processo di sviluppo
Per la progettazione e sviluppo di un nuovo veicolo è necessario avere dei target, cioè
conoscere i requisiti di una macchina. Ovviamente in fase di progettazione è necessario
disporre di dati quantitativi, cioè input, chiamati target loads (forze, coppie etc…).
Questi valori, come detto, vengono utilizzati per il dimensionamento in progettazione che
portano alla nascita di un prototipo che viene testato mediante una testing facility. La testing
facility potrebbe essere un banco prova, il quale dovrà riprodurre uno scenario tipico della
macchina. Al banco si dà un input, detto test schedule, una sorta di “ricetta”. Eseguiti tutti
i test, c’è lo sviluppo del prodotto: se c’è una rottura in fase di test si torna indietro
modificando qualcosa oppure creando un nuovo prototipo, cercando di ridurre il più possibile
il numero di iterazioni, dal momento che l’esecuzione dei test ha un costo.
Se il costruttore effettua il test fisicamente allora target loads e test schedule sono
disaccoppiati, ma se si esegue un determinato test sul banco prova, allora la tabella di marcia
in cui si simula lo scenario tipico del trattore dev’essere simulato mediante l’utilizzo di alcuni
attuatori di cui si regolano le forze. Per questo motivo, in questi casi, vi è corrispondenza
diretta tra test schedule e target loads.
Accelerated testing
Quali sono i processi per la definizione del target load e test schedule?
È necessario conoscere come il prodtto viene impiegato da parte dei clienti. Un’informazione
utile è correlata al luogo geografico in cui viene venduto quel dato prodotto: è molto
importante per le macchine agricole perché ogni zona ha le sue pratiche colturali, terreni etc.
Oltre ciò, è necessario conoscere come viene utilizzato quel dato prodotto tramite una mission
profile. Sulla base di quest’ultimo aspetto, si prende un veicolo campione, lo si strumenta
con alcuni sensori (posti nei punti di interesse, magari considerando un veicolo di precedente
generazione che ha fatto emergere determinate criticità) che saranno successivamente utili
alla progettazione. Successivamente, si fa lavorare un veicolo secondo le abitudini dei clienti.
I dati vengono opportunamente analizzati e a questo seguono i target loads. Da questi
emergono le informazioni per effettuare la progettazione a fatica (ad esempio). Questo carico
può essere sfruttato per progettare o per settare il test schedule: questo dipende dall’impianto
di cui si dispone per eseguire i test. Costruttori piccoli non hanno dei banchi prova, per cui
si potrebbe chiedere a dei test driver di eseguire determinati cicli di lavorazione con la
macchina agricola. L’impianto prova viene “attivato” dal test schedule: è importante che
vengano riprodotte le ampiezze e le frequenze dei cicli (importantissima anche la riproduzione
della frequenza). Tali valori vengono ottenuti per correlazione. Dalla correlazione si ottiene
la ricetta (test schedule).
Target loads e test schedule
Si considerano i requisiti di tl e ts:
1. Devono essere rappresentativi dell’utilizzo in campo;
2. Devono essere in una forma utilizzabile per la progettazione, quindi devono essere dei
dati semplici. In figura si ha un carico su un assale misurato sperimentalmente, tipico
esempio di dato sul “campo” che però è troppo complesso per poter essere utilizzato
in progettazione. Per semplificare le cose ci si riconduce alla curva di Wöhler in cui si
suppone un carico a fatica.
Target loads
Si considerano le varie tipologie di target loads a disposizione: tutto dipende dall’approccio
di progettazione considerato e dalla testing facility (attrezzature a disposizione per la prova).
Se l’approccio è molto semplice si sfrutta un approccio con carico sinusoidale ad ampiezza
costante (1). Una complicazione dello stesso consiste nell’utilizzo di carico sinusoidale ad
ampiezza variabile (2). Per simulazioni con banchi dinamici ci si può permettere di dare
come input un dato complesso derivante dalla misurazione (3). L’analisi dei dati ha
l’obbiettivo di ricondurre l’operatore ad uno dei casi sopra elencati.
Parametri importanti sono essenzialmente 3:
- Ampiezze di sinusoidi o carichi random;
- Frequenza delle sinusoidi [Hz];
- Numero di cicli per ciclo con una data ampiezza;
Field loads
I carichi raccolti in campo dipendono da molti fattori:
- Utilizzo mediante mission profile;
- Contesto d’utilizzo, cioè tipologia di terreno che può essere di diversa natura
(sabbioso, limoso, argilloso, duro, soffice…). Tutto questo determina i carichi scaricati
sui componenti;
- Stile di guida;
Queste misurazioni devono essere eseguite per un periodo più o meno lungo, che potrebbe
essere almeno un anno (durata del ciclo colturale), in contesti differenti e per diversi clienti.
Per quanto concerne le misure, esse possono essere eseguite quando si individuano criticità
sul veicolo. Esse vengono svolte in due modi:
- Sensori integrati sul veicolo di tipo CAN-BUS: sensori collegati ad una linea di
trasmissione dati, in comune a tutti i trattori che usano tale tecnologia. Sistema
sviluppato da Bosch che ha permesso all’elettronica di godere di maggiore affidabilità,
oltre che consentire una standardizzazione elettrica, di trasmissione dati e di tipologia
di informazione che popolano questa “rete”, a cui è collegata anche la centralina.
Questo consente di captare dati con estrema facilità, senza grandi competenze
informatiche);
- Sensori aggiuntivi: torsiometri, celle di carico, accelerometri, videocamere, GPS…;
Come già affermato le misure devono avere diversi requisiti, tra cui:
- Misurazione in punti critici;
- Indipendenza dalla macchina;
- Correlazione con l’input proveniente dall’utilizzatore: si dev’essere in grado di leggere
agevolmente una informazione quando l’operatore esegue una certa manovra.
Pulizia
I segnali possono essere rumorosi a causa
di alcuni sensori che rispondono in
maniera scorretta. Gli estensimetri
soffrono di tali problemi, ad esempio
legati all’aumento di temperatura che
comporta dilatazioni (drift).
Altre “impurità” sono le spikes, ossia dei
valori istantanei molto più alti dei valori
misurati.
Questi effetti devono essere eliminati con
dei metodi.
Modello di danneggiamento
Esso serve per ridurre la complicazione del dato, cioè per passare da un dato complicato
(storia temporale del carico applicato ad un determinato organo) ad un’informazione fruibile
che possa consentire di eliminare alcune condizioni di lavoro che non risultano utili ai fini
del conteggio perché poco severe, e selezionare quelle più rilevanti. È possibile effettuare
confronti tra mercati, oltre che effettuare confronti tra diverse pratiche lavorative… Per fare
ciò è necessario un modello di danneggiamento, basato sulla “fisica” della rottura a fatica.
È necessario avere una curva di durabilità, come in figura. È un grafico in cui per ogni
ampiezza del carico, quanti cicli possono essere sopportati da quel componente (tenendo quel
valore di carico). Per 1000 Nm di coppia, il componente (albero cardanico) dura per 4*107
cicli. Tanto maggiore è la sollecitazione, tanto minore è il numero di cicli che porta a rottura
il componente. Essa può essere espressa da una formula, in cui S è la sollecitazione, S0 è
l’intercetta con le y, k un esponente di fatica (tanto maggiore è k tanto più pendente sarà la
curva). Tale formula restituisce il parametro Nf che sarebbe il numero di cicli che portano a
rottura il componente.
Dalla curva di durabilità, combinando le sollecitazioni lette dal campo, è possibile andare a
Il problema relativo a tale procedura è correlato al fatto che si sta eseguendo progettazione
a fatica per un organo che effettivamente ancora non esiste. Non sempre è possibile calcolare
il danneggiamento esatto del materiale. Si sviluppa, a tal proposito, un modello di
danneggiamento semplificato, ma che al contempo sia affidabile. Esso sarà indipendente dalle
caratteristiche specifiche del materiale di cui è sono composti gli organi di macchina.
Pseudo-danneggiamento
Il danneggiamento secondo la regola di Miner prevede che al denominatore ci sia il numero
) &"
di cicli che portano a rottura il componente, cioè 𝑁( = () )*+ , per cui D= ∑' %" &' . Questa
$ ( )
%$
espressione prende il nome di powerload damage formulation.
Qui sono presenti le sollecitazioni (di tipo tensione, cioè N/m2).
Nella formulazione è possibile riconoscere dei parametri dipendenti dal caricamento (come
opera il componente, tramite Ni e Si) e dal materiale (S0 e k). Si cerca quanto più di essere
indipendenti da tali parametri del materiale. Considerando S0 costante, si ottiene qualcosa
che è proporzionale al danneggiamento, ma che non è esattamente il danneggiamento: si
parla di pseudo-danneggiamento, ossia un indice numerico che consente di effettuare tutte
le analisi fatte con danneggiamento, con il limite di non poter calcolare l’esatta durata del
materiale. Questo consente di stabilire comunque la condizione di carico più severa, al fine
di rimuovere quelle condizioni “secondarie”.
Il fattore k resta dipendente dal materiale, ma varia molto meno pronunciatamente col
variare del materiale. Lo PD è vantaggioso perché due caricamenti differenti con due diversi
PD sono nello stesso rapporto rispetto alle durate relative a due caricamenti (affidabilità del
metodo).
Se si ha un caricamento k che provoca uno PD 4 volte superiore rispetto al PD del
caricamento j, allora la durata associata a j sarà 4 volte superiore rispetto a k. Questo è il
motivo per cui molte analisi sono eseguite con lo pseudo danneggiamento.
𝐿. 𝑃𝐷+
=
𝐿+ 𝑃𝐷.
Per materiali metallici, la curva di durabilità è associata alla curva di Wholer. Tale
diagramma è caratterizzato da tre tratti:
- Fatica oligociclica
- Fatica ad alto numero di cicli, tratto più frequente
- Fatica a vita infinita: si può progettare qui, solo per organi di cui si vuole scongiurare
assolutamente la rottura;
Nell’analisi dei dati si definisce il cliente target, si seleziona il percentile, cioè il cliente più
severo del 95% (dipende dal target dell’azienda) di tutti i clienti. Dai dati si effettua
l’estrapolazione a percentile e di durata, da cui si ottengono dei target loads. In questo modo
si calcola l’informazione che serve per la progettazione.
Calcolo target loads
Una volta eseguita la misura per ogni lavorazione rilevante, si calcola la matrice target come
somma pesata (sulla base del mission profile: contributo temporale di ogni operazione
sull’utilizzo totale della macchina) delle matrici di ogni condizione di lavoro. La matrice di
target nella forma richiama tutte le matrici relative ai vari impieghi della macchina.
Test accelerato
Esso mira ad applicare ai componenti della macchina lo stesso danneggiamento derivante
dal servizio, tramite tre metodi:
• Incremento delle ampiezze dei carichi: non si può aumentare più di tanto, pena il
rischio di cambiare la modalità di rottura del componente. Il test perderebbe di
affidabilità, dal momento che si desiderano le stesse modalità di rottura che si hanno
durante il servizio;
• Incremento della frequenza dei carichi: si incrementa il regime medio di lavorazione
(ad esempio). Si può aumentare, ma non troppo, altrimenti cambiano le modalità di
rottura: c’è il rischio che il sistema vada in risonanza.
• Rimozione dei cicli non danneggianti: questo è fattibile senza alcun limite, ma bisogna
stabilire una soglia. Si potrebbe fissare il 15% di sollecitazione massima misurata,
come soglia sotto cui tagliare fuori i tempi di sollecitazione.
La prestazione del test è data da un fattore di accelerazione, visto come rapporto tra la
durata del servizio Ts sulla durata del test TT: AF=Ts/TT.
Caso 2)
Sono presenti 2 input: nel caso di un assale di un
veicolo, ci sono due forze differenti relative alle
sollecitazioni della singola ruota. A questo
corrispondono due pseudo-danneggiamenti;
dovendo riprodurre tali sollecitazioni ci saranno
degli pseudo-danneggiamenti da imporre al banco.
In un caso molto semplice si potrebbero avere degli
pd target proporzionali, la quale si cerca di
mantenere al banco sugli pd orari.
Effettuando i vari calcoli, si ottiene che il carico 1 si dovrà eseguire il test per 85 ore, mentre
per il carico 2 il test dovrà durare 34 ore. Bisogna scegliere una durata unica, ovviamente si
sceglie quella più lunga, col rischio che per l’altra sollecitazione (quella che richiedeva meno
tempo) il componente sarà sovra-testato. Riprodurre bene la dinamica dei carichi derivanti
dal campo significa garantire un rapporto tra PDT pari al rapporto tra PDTC,h.
Caso generale
Un caso un po’ più complesso è quello delle trasmissioni, in cui si dovranno testare diverse
componenti, ognuna delle quali avrà una propria modalità di rottura, a sua volta associata
ad un certo PDT. Bisognerebbe applicare un test che sia in grado di garantire di raggiungere
lo PDT per ogni componente e per ogni modalità di rottura ad esso associata.
Ci sono tre fattori da poter controllare (3 gdl): regime, flusso di potenza e valore di coppia.
Il flusso di potenza, ad esempio, indica quali ruote dentate sono in presa.
È impossibile trovare una condizione di carico che vada bene per tutti, per cui si è pensato
di introdurre un test mix, in cui si fa lavorare il motore e cambio in tanti modi differenti, in
modo tale da coprire tutti gli pseudo-danneggiamenti target.
L’obiettivo è quello di creare per ogni “sotto-test” compreso nel test mix la durata di prova
di ciascun sotto-test.
Essendo un problema molto complesso, dato che bisogna combinare il numero di punti di
funzionamento del cambio e il numero di punti di funzionamento del motore, tale problema
si risolve con dei software di ottimizzazione numerica.
- Sono presenti delle incognite, cioè delle condizioni di prova e la durata di ciascuna di
esse.
- L’obbiettivo è creare il test più corto possibile, a scapito di avere dei componenti
sovra-testati. Un altro approccio potrebbe essere quello di creare un test in grado di
riprodurre al meglio degli PDT per ogni componente in modo tale da evitare che
qualche componente sia testato più del necessario. Questo approccio sarà a scapito
della durata.
- Ci sono dei vincoli in cui è necessario riprodurre lo PDT
In questo modo si ottiene la condizione di carico, la durata di ogni condizione di carico, con
il vincolo di avere il danneggiamento del servizio (almeno) e tra tutte le possibili
combinazioni scegliere quella con la durata più breve.
Trasmissioni
Essendo un test accelerato, il test deve essere svolto con motore a pieno carico. Conoscendo
la curva del motore che si accoppia con una certa trasmissione, si ottiene il valore della
coppia a pieno carico per ogni regime. La variabile di progetto era il regime di motore per
ogni singolo rapporto. Tramite un modello di trasmissione si determinano gli PDT di ogni
singolo componente.
L’obiettivo era la minimizzazione della durata del test col vincolo di riprodurre almeno gli
PDT.
Grazie al solutore si ottiene il grafico in figura: per ogni singolo rapporto viene riportata la
durata del test, la coppia corrispondente e il regime operativo. Si nota che il solutore indirizza
il test verso le marce di gamma alta, perché le marce basse consentono al motore di erogare
solo un valore ridotto di coppia (causa limite di aderenza). Ovviamente si effettueranno dei
test anche per le marce di gamma bassa, al limite con le gamme medie.
A livello di regime, il test deve girare ad un regime molto alto per le gamme basse (causa
slittamento). Dove non si raggiunge il limite di slittamento per le ruote (gamme medie e
alte), il test deve girare ad un regime più basso, cioè quello di coppia massima: lo PD è
funzione della coppia e del regime, ma la coppia ha un peso maggiore a causa dell’esponente
k di fatica.