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1. ARCHITETTURA GRECA
L'architettura greca riveste particolare importanza per tutta la storia dell'architettura occidentale ”ciò che
nacque in Grecia non è la civiltà ma l’Occidente”, come sottolinea Maurice Godelier, scoprire o
comprendere il mondo classico significa scoprire e comprendere almeno in parte le origini della moderna
civiltà occidentale. Ci troviamo intorno agli inizi del primo millennio a.C., in tale periodo l’uomo cosiddetto
“teoretico” comincia a scoprire la coscienza individuale e conseguente valorizzazione della dignità e libertà
del singolo. Effetto di questa acquisita presa di coscienza sarà sul terreno politico-militare lo scontro
vittorioso con la Persia. Presa di coscienza individuale che coincide con un miglioramento della stessa civiltà
sotto gli aspetti politico-istituzionali ed economico-sociali.
La comparsa del popolo greco si verifica intorno al 2000 a.C., quando le popolazioni appartenenti al ceppo
arioeuropeo stanziato nelle steppe russe giunsero nella penisola greca, nel Peloponneso dall’incontro di
queste popolazioni con la civiltà cretese nasce la civiltà detta micenea, che subirà l’invasione dei Dori dando
così l’inizio al periodo noto come “medioevo ellenico”, caratterizzato da una nuova fioritura culturale.
Dalla fine del VIII sino a tutto il VI secolo a.C. si estende il cosiddetto “periodo arcaico”, al regime
monarchico si sostituì quasi dovunque un governo aristocratico. I profondi rivolgimenti politici e sociali che
contraddistinguono questo periodo vennero compiendosi sotto la spinta di due fattori principali: lo
sviluppo della polis aristocratica e la colonizzazione del mediterraneo. La polis greca fece di ogni uomo
greco un vero cittadino; essa è davvero la cornice sociale della cultura greca, inoltre la colonizzazione del
mediterraneo diede nuovi sbocchi sociali, economici e soprattutto culturali a tale bacino.
Intero sistema delle pòleis che vide il proprio declino nel momento in cui Atene perse la guerra (durata ben
27 anni) del Peloponneso 431-404 a.C. nel 359 sul fronte nord della Grecia apparve Filippo II re dei
Macedoni che, attraverso la battaglia di Cheronea, assoggettò una ad una le città greche dando loro una
organizzazione federale sotto la supremazia della Macedonia. Il suo successore Alessandro realizzando nel
giro di otto anni una mirabolante impresa militare, estendendo il proprio dominio sino alle frontiere
occidentali dell’India (esaudendo il sogno paterno). La sua scomparsa improvvisa segna il momento del
passaggio ad una nuova fase storica, nota con il nome di “ellenismo”. Durante la fase pre-ellenistica un
profondo inurbamento è il fenomeno caratteristico, infatti il vigore delle pòleis greche è dettato dal
riconoscimento delle propria identità di cittadino di ogni uomo. In tutti questi periodi la Grecia si riconosce
secondo un unico filo conduttore, ossia la diffusione della cultura come strumento democratico di potere.
Alla morte di Alessandro i diadochi si affrontarono con lo scopo di prevalere l’uno sull’altro per la conquista
del trono. Alessandro fu in grado di diffondere la cultura greca sul vasto impero da lui conquistato,
permane un linguaggio fondamentale, la cosiddetta koinè, necessaria ai fini degli innumerevoli contatti e
scambi tra le diverse popolazioni. Dunque, il lungo periodo che va dalla morte di Alessandro Magno 323
a.C. alla vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31 a.C. si suole definire ellenismo.
Il tempio comincia ad essere costruito fra l’VIII e il VII secolo a.C. sostituendosi al santuario domestico. Il
tempio può essere considerato la più impegnativa realizzazione dell'architettura greca. La codificazione
che, in età arcaica, verrà sviluppata per l'architettura templare diventerà con l'ellenismo il linguaggio
universale del mondo mediterraneo. Rivolto sempre ad est-ovest, con l'ingresso aperto verso est,
poteva essere piccolo o grande, semplice o complesso, ma in ogni caso doveva possedere una cella (naos),
questa ospitava la statua della divinità nella quale solo il sacerdote poteva entrare, mentre il culto si
svolgeva su un altare antistante, all'esterno di esso ma dentro il recinto sacro in cui si situava il tempio ed
altri edifici ad esso connessi. Davanti vi era un atrio (pronaos) costituito dal prolungamento delle pareti
laterali del naos, racchiudenti nel lato anteriore due colonne (tempio in antis, invece doppiamente in anti
quando le due colonne sono presenti anche nell’opistodomo o parte diametralmente opposta al pronao);
oppure da una serie di colonne trabeate (tempio prostilo). A volte il tempio prostilo presentava un analogo
colonnato anche sul lato posteriore (tempio anfiprostilo). Infine queste forme potevano essere circondate
su tutti e quattro i lati da una fila singola (tempio periptero) o doppia di colonne (tempio diptero, un tipo
più raro a causa della complessità degli elementi, complessità non adatta allo spirito chiarificatore dei
greci).
Infine possiamo trovarci di fronte ad un tempio pseudo - periptero caratterizzato da colonne della peristasi
addossate come semicolonne o lesene ai muri esterni della cella che poteva in tal modo essere realizzata
con una maggiore ampiezza; oppure un tempio pseudo – diptero nel quale la peristasi presenta una sola fila
di colonne, ma posta ad una distanza doppia rispetto ai muri della cella. In un periodo più tardo, si può
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trovare la pianta circolare detta tholos. Poiché all’interno della cella erano ammessi soltanto i sacerdoti, lo
sviluppo del tempio era soprattutto esterno: è fuori infatti che si svolgeva il rito, ed è da fuori che il tempio
veniva osservato e percepito nei suoi valori formali e ideali. Ciò giustifica l’attenzione dedicata alle colonne,
che nei tipi più complessi, costituiscono l’elemento visivamente più rilevante.
Sulla superficie superiore (stilobate) di una piattaforma, sopraelevata rispetto al terreno circostante, per
mezzo di pochi gradini (crepidoma), si elevava la struttura della cella del tempio, caratterizzata dalle
colonne. Lo schema della pianta resta sempre uguale, nell’alzato (e più precisamente nella struttura
colonnare e nella decorazione) si distinguono tre stili: dorico; ionico e corinzio, sono detti anche ordini,
perché vi è una disposizione organica nelle varie parti, l’una relazionata all’altra, a costituire un criterio
armonico.
In quello che si ritiene l’ordine più antico, il dorico la colonna, priva di una propria base, poggia
direttamente sullo stilobate, la piattaforma comune a tutto l’edificio. Inversamente a quanto accadeva
nella civiltà cretese e micenea, è rastremata verso l’alto e percorsa verticalmente da una serie di
scanalature abbastanza larghe, il cui crinale divisorio è tagliato ad angolo vivo. Ornata in alto dal collarino, è
coronata dal capitello, formato da due elementi: un cuscino a pianta circolare convessa o tronco-conica
detto echino, e una lastra quadrangolare detta abaco. A circa 1/3 dell’altezza la colonna subisce un lieve
rigonfiamento, detto entasi, quasi una flessione elastica dell’intero fusto come per sostenere il peso delle
strutture portate, con lo scopo di equilibrare la sensazione di assottigliamento che si provocherebbe verso
la metà della colonna, per il suo allungarsi, a causa di un errore ottico, nell’osservarla a distanza. Nel tempio
dorico viene riscontrata una maestosa solennità, un senso di forza contenuta. Tutte le forme sono decise e
contenute, dove la linea verticale si contrappone a quella orizzontale.
L’entasi lascia sottintendere la gravità dell’intera costruzione. Il capitello, di forma nitida, ha la funzione
statica di preparare la parte superiore del tempio. Anche la trabeazione sovrastante risponde alle stesse
caratteristiche di essenzialità: l’architrave è liscio mentre il fregio decorato alterna lastre aggettanti con tre
scanalature (triglifi) e lastre quadrangolari rientranti lisce o scolpite con poche figure dette metope,
raffiguranti delle immagini belliche (talvolta gigantomachie) o mostruose. Infine il tempio si conclude in alto
con la copertura a due spioventi che forma, sulle testate, due zone triangolari (frontoni o timpani) ove
spesso sono collocate scene scolpite con temi mitici.
I greci applicarono una serie di impercettibili correzioni ottiche affinché anche la visuale e non solo
dell'architettura risultasse perfetta. Queste correzioni sono:
l'entasi: il rigonfiamento della colonna, a circa 1/3 dell'altezza, per ovviare all'effetto ottico di
riduzione di diametro;
l'interasse delle colonne è maggiore tra le colonne in corrispondenza dell'ingresso alla cella,
mentre viene ridotto tra le colonne laterali, sempre per correggere le distorsioni;
poiché la misura dell'interasse delle colonne (o del diametro delle colonne) può cambiare dal
fronte rispetto ai lati, le colonne angolari del tempio risultano leggermente ovali affinché la loro
vista di lato o di fronte risulti coerente con le altre colonne;
un maggiore diametro delle colonne esterne dei prospetti nei templi peripteri, perché avendo
come sfondo il cielo, se di pari diametro di quelle centrali, sarebbero apparse più snelle;
una leggera inclinazione delle colonne del fronte verso l'interno del tempio, per correggere la
percezione dell'occhio umano che tenderebbe a vederle pendere verso l'esterno e come in
procinto di cadere addosso;
per lo stesso motivo le colonne angolari risultano anch'esse lievemente inclinate verso il centro
per evitare effetti di divergenza;
un leggero incurvamento convesso, sia dello stilobate che della trabeazione per correggere la
tendenza dell'occhio umano a vedere ricurve verso l'alto le linee orizzontali che sostengono
masse o volumi.
Alcune di queste correzioni sono chiaramente visibili, altre sono riscontrabili solo con la misurazione;
altrimenti più che correzioni apparirebbero deformazioni. Per conseguenza l’edificio si mostra immobile,
come l’idea della divinità che rappresenta l’immobile e quindi il perfetto.
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L’apparizione del tempio ionico è databile intorno alla metà del VI secolo a.C. Oltre alla forma, più leggera e
slanciata rispetto al tempio dorico, si caratterizza per alcuni elementi innovativi. La colonna non si appoggia
più direttamente sullo stilobate, ma ha una propria base costituita da due sporgenze (tori) e da una
rientranza (scozia). La colonna è come quella dorica, rastremata verso l’alto e scanalata, ma le scanalature,
più numerose (circa 24) e di conseguenza più strette, sono intervallate da crinali divisori arrotondati invece
che taglienti. Nel capitello l’echino è ornato con decorazioni ovoidali (ovoli) e, fra esso e l’abaco
quadrangolare, un elemento intermedio (pulvino) si curva lateralmente in due ampie volute sottolineate da
listelli (secondo la leggenda le volute riproducono il cuscino soprastante il capo delle fanciulle portatrici di
acqua). L’architrave si divide in tre fasce ciascuna aggettante verso l'esterno rispetto a quella inferiore, e
coronata superiormente da modanature, ed è sormontato da un fregio continuo scolpito con bassorilievi.
Infine la cornice è decorata con dentelli. Queste differenze rispetto al dorico esprimono una concezione
d’insieme più elegante e raffinata. Mentre nel dorico tutti i passaggi erano decisi, qui erano graduati ed
addolciti. Tuttavia lo ionico non deve essere inteso come un superamento del dorico in quanto i due ordini
rappresentano due diversi aspetti dello spirito umano di due diverse popolazioni, rispettivamente gli Ioni
situati nelle coste orientali delle isole dell’Egeo, mentre i Dori abitanti del Peloponneso antica sede dei
Micenei.
La struttura del tempio corinzio non è dissimile da quella dello ionico, tale ordine architettonico ha inizio
solo nel V secolo a.C. e sviluppo particolare nel periodo ellenistico. La differenza più appariscente, rispetto
allo ionico, è nel capitello, formato da foglie stilizzate di acànto (secondo la leggenda, narrata da Vitruvio,
questo capitello sarebbe ispirato allo scultore Callimàco dalla vista di un cesto avvinto dall’acànto sulla
tomba di una giovane fanciulla). Costituito da una specie di campana rovesciata avente in basso due file di
foglie, dalle quali emergono otto caulicoli ciascuno sormontato da un calice, dalle quali partono volute che
sostengono gli angoli dell’abaco e un motivo a foglie posto assialmente sulle quattro facce uguali del
capitello chiaramente ispirato alle forme vegetali . Va sottolineato che nella trabeazione corinzia compare
sempre il fregio. Tuttavia questo ordine di notevolissimo valore decorativo fu utilizzato dai greci
principalmente negli spazi interni.
Per quanto riguarda il proporzionamento delle altezze delle colonne si parla di un rapporto, tra diametro e
fusto della colonna, pari ad 1/4 nei templi arcaici e 1/6 nei templi dell’età classica, per l’ordine dorico. Di un
rapporto pari ad 1/8 per l’ordine ionico e infine di 1/10 per l’ordine corinzio.
Dopo il tempio, il teatro fu l’architettura più studiata dai greci, che nutrivano per esso un grandissimo
amore (nel teatro greco gli spettatori partecipavano al dramma rappresentato e al mondo naturale che li
circondava). Pensato come un’architettura che vive completamente nello spazio naturale. Essenzialmente è
costituito da un nucleo circolare (orchestra o palcoscenico, luogo riservato alla danza, una zona circolare
sulla quale si esibivano alternativamente gli attori e il coro) attorno al quale si sviluppa per oltre la sua metà
(cosiddetta semicircolare oltrepassata) le gradinate costituenti la cavea (o platea), addossate direttamente
ad un pendio naturale senza bisogno di sostruzioni. Un altro elemento, che solo in un secondo tempo
compare è la scena. Per quanto riguarda l’evoluzione degli edifici teatrali, sarà sufficiente notare che con il
progressivo prevalere dell’azione scenica vera e propria sugli elementi tradizionali del coro, l’edificio della
scena acquista importanza rispetto all’orchestra. Dunque la scena si tramuta in edificio autonomo; in
seguito si arrichirà del proscenio (palcoscenico sopraelevato e sede dell’azione recitativa).
Molto importanti nella città greca erano i luoghi di discussione civile, detti stoà, dai quali prenderanno il
loro simbolico nome i filosofi stoici. Molto importante, in questo ambito, la stoà di mezzo dell’agorà
(piazza) di Atene, originale perché presenta una facciata a colonne condotta su tutti e quattro i lati della
lunghissima pianta rettangolare, in una singolare disposizione periptera. Nuove strade vennero tentate
nella tipologia delle sale coperte da riunione, ad esempio il Bouleterion costituito da una sala coperta
rettangolare, nella quale era inserita una cavea semicircolare, esemplare il Bouleterion di Mileto costituito
da una cavea delimitata da una parete con quattro ingressi simmetrici posta sul fondo della corte stessa.
Costituito interamente in pietra anche il recinto, con pietre più piccole rispetto al tempio sapientemente
adagiate. Il basamento è costituito in piastre di pietra, a coronare l’edificio delle grandi piastre
caratterizzate dal loro taglio. Le decorazioni sono riportate sulle metope di argilla, raffigurano immagini di
bestie o immagini mostruose allontanando, in questo modo, coloro che si accingevano ad oltreppasare il
recinto sacro, appunto intimorendo quest’ultimi. Il crepidoma è costituito da un solo gradino, lungo il naos
senza vestibolo.
Il tempio di Zeus con sei colonne sulla facciata e tredici sui lati lunghi, con cella, portico e opistodomo. Nella
cella, tra i due colonnati, fu posta alla fine dei lavori una statua crisoelefantina (oro e avorio) di Zeus, opera
di Fidia. I blocchi della costruzione erano in calcare locale, coperto con stucco per nascondere le
imperfezioni, mentre le piastrelle del tetto e le sculture erano in marmo. Da notare in quest’opera, le
sagomature delle pietre che consentivano una sorta di auto bloccaggio tra le stesse, e consentivano inoltre
un più facile deflusso dell’acqua. Le colonne erano costituite da più parti (rocchi), mentre all’interno delle
stesse veniva colato del piombo per garantire una maggiore resistenza e stabilità alla colonna. All’interno le
colonne sono più piccole, i setti murari terminano con delle semicolonne, in quest’opera vi è una prima
articolazione dello spazio. Si nota l’assenza di crepidoma (l’ingresso è costituito da una rampa) mentre
un’ultima particolarità riguarda l’altezza maggiore dell’edificio rispetto alle esperienze precedenti. Infine la
pendenza delle falde è regolata dall’altezza delle figure del timpano.
Si tratta di tre templi enormi rispetto alle altre esperienze, templi ai quali vengono apportate le cosiddette
correzioni ottiche.
ACROPOLI DI ATENE
Esempi eccezionali dell’architettura greca sono gli edifici dell’acropoli di Atene, che con i suoi templi
rappresenta il cuore della città, di una polis simbolo di libertà e democrazia. L’Acropoli è dominata dal
Partenone, tempio dedicato ad Athena Parthenos, la dea protettrice della città. Il perimetro dell’Acropoli
che sorge su di un alto dirupo, segue con varie opere murarie rettilinee l’andamento del terreno stesso.
All’interno dell’Acropoli si accedeva mediante le porte d’ingresso (note come propilei) dei recinti sacri,
formate da tre volumi affiancati. Entrando nell’acropoli attraverso i propilei si aveva una sequenza di
vedute molto varia in quanto le architetture erano disposte in modo vario non secondo rapporti geometrici.
Il Partenone anche se posto parallelamente ai Propilei viene letto di fianco per avere una comprensione
completa del volume. Anche la statua di Athena e l’Eretteo, pur costruiti molti anni dopo i propilei, sono
disposti in modo vario.
curve sono riprese nei sorprendenti capitelli a tre facce, con due volute smussate e le sommità ricurve. Il
capitello terminale di un colonnato ionico che presentava una voluta diagonale sull’angolo. I capitelli corinzi
invece vennero usati per le colonne sull’estremità meridionale della cella. Un’altra innovazione della cella
era il fregio contunuo di figure, che correva all’interno lungo i quattro lati. Inoltre la cella si apre dietro una
colonna corizia isolata centrale un sacrario interno, a sua volta aperto sul peridromo mediante una porta
nella parete orientale. La parte più grande dello spazio interno è costituito da un’unica navata avente i muri
laterali caratterizzati da corti setti che si agganciano alle semicolonne ioniche, creando una sorta di nicchie.
Il tempio è rivolto a settentrione e non a oriente come vuole la tradizione, per poter avere attraverso la
luce un ulteriore effetto scenografico.
TEATRO DI EPIDAURO
È il più bello e il meglio conservato, molto rinomato per la sua visibilità e la sua acustica. La sua vasta cavea
simmetrica, a pianta più ampia di un semicerchio, è articolato da scalinate radiali, e presenta un’inconsueta
gradinata suddivisa in due porzioni, di cui quella superiore è più ripida. I sedili del settore inferiore venivano
probabilmente ricoperti da cuscini.
2. ARCHITETTURA ROMANA
Per il Lazio e Roma, l’intermedia collocazione geografica garantì agli sviluppi regionali una funzione di
tenace ed originale presenza. In queste prime fasi, la dipendenza dall’arte etrusca è stata considerata
totale. I monumenti architettonici etruschi rimasti visibili sopra terra sono rimasti pochi, sia perché le città
etrusche furono profondamente trasformate dall’occupazione romana, sia perché gli edifici templari
ebbero in Etruria strutture facilmente deperibili. Nessuna di queste architetture palesa un utilizzo
autonomo dell’arco, che un tempo si era soliti riferire all’Etruria come elemento tipico e originari. Il tempio
etrusco conservò a lungo la struttura lignea attestata dalla tradizione anche per la Grecia primitiva, con
rivestimento di lastre fittili eseguite a stampo, decorate a rilievo e dipinte. Originale rispetto al mondo
greco è l’innalzamento del tempio sopra un podio in muratura: il complesso nasce dalla sovrapposizione
della cella (naos) di tipo greco, alla terrazza augurale (templum). La cella unica per un probabile influsso
romano presentava un pronao continuato nelle alae, cioè i due ambulacri ai quali veniva ad appoggiarsi il
colonnato laterale senza proseguire nel lato posteriore. Il tempio veniva a formare un’architettura di
facciata e non concepita come un volume cubico situato alla maniera greca entro lo spazio. Il tipo di
colonna con capitello dorico, echino ed abaco, priva di scanalature e fornita di base (che nella colonna
dorica è assente) comunemente nota come “colonna tuscanica” appare in uso già negli edifici del periodo
arcaico (VII – VI a.C.).
Ulteriore novità è l’adozione nei grandi santuari laziali dell’arco e del sistema voltato, si può osservare che il
tempio etrusco – italico è partecipe di quel ritmo arioso, con pronai profondi ed ampi ambulacri esterni. Ma
il riferimento preferenziale è sempre rivolto al mondo greco, più che il tempio appare interessante la
formazione del tipo basilicale che non può ricollegarsi alle precedenti esperienze degli edifici come la stoà e
i propilei.
L’arco e la volta a botte non sono invenzioni romane; le porte ad arco in pietra da taglio presenti dal IV
secolo nel mondo greco, si diffondono poco dopo nell’Italia centrale, esemplari le esperienze di porta
Augusta e porta Marzia a Perugia tra il III e il II secolo a.C.
La sequenza ritmica di una serie di archi doveva apparire insolita a un occhio abituato soltanto al contrasto,
tipico della tradizione greca, fra orizzontali e verticali. Questa novità era conseguente a una tendenza da
tempo presente nella cultura ellenistica, per la quale gli ordini perdevano la funzione esclusivamente
strutturale per essere impiegati in una varietà di modi interamente o parzialmente decorativi.
opus incertum: consisteva in una disposizione più accurata sulla superficie a vista del muro dei
cementa (schegge di pietra e sassi mescolati alla malta nel cementizio romano), facendo in modo
che la loro superficie visibile fosse il più possibile piana. Successivamente la tecnica si é sviluppata,
tendendo a livellare la superficie del muro, a ridurre lo strato di malta tra i conci e a scegliere pietre
di forma e dimensioni più regolari, arrivando a spianarne la superficie a vista.
Opus reticulatum: paramento costituito da piccole piramidi tronche a base quadrata in pietra, con
la punta inserita nel cementizio e disposte in diagonale a formare un reticolo.
Opus testaceum: paramento costituito, inizialmente, da tegole smarginate e, poi, da mattoni o
laterizi, di forma triangolare, con la punta inserita nel cementizio.
Opus mixtum: paramento costituito da opera reticolata, con ammorsature in opera laterizia agli
angoli ed agli spigoli.
Opus caementicium: murature costituite in cementizio, ossia malta (calce con sabbia o pozzolana)
mescolata a pietre. L'opera cementizia costituisce generalmente solo il nucleo della muratura,
rivestita all'esterno con un paramento costruito contemporaneamente al muro stesso.
L’arco veniva utilizzato in sostituzione dell’apertura rettangolare che utilizzava il sistema trilitico come
supporto. Questa tecnica era conosciuta anche in passato, ma non veniva sfruttata a pieno, furono i romani
appunto ad incentivarne l’utilizzo. Questo nuovo sistema era una profonda innovazione che obbligò a
cambiare anche la concezione delle forze: l’arco consentiva di spostare il peso ai lati e di realizzare luci più
ampie. I romani usavano spesso volte a botte che è uno tra i sistemi più semplici di copertura non piana,
utilizzata per coprire spazi di forma genericamente rettangolare.
L'architettura romana sacra risente profondamente dell'influsso dei canoni di quelle greca ed etrusca
adottando come tipo il tempio.
La più marcata differenza del tempio romano rispetto al tempio greco è la sua sopraelevazione su un alto
podio, accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare maggiore importanza alla
facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro di recinzione e privo dunque del colonnato.
Gli ordini architettonici maggiormente utilizzati furono quello corinzio, ionico, tuscanico ed il composito. I
materiali usati nell'edilizia templare romana furono il tufo, il legno e i mattoni crudi in età arcaica. Dall'età
repubblicana furono adottati l'opera quadrata in tufo e travertino, mentre in epoca imperiale fu utilizzato
anche il marmo.
Le terme romane erano degli edifici pubblici o privati e rappresentavano uno dei principali luoghi di ritrovo
durante l'antica Roma. Le prime terme nacquero in luoghi dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di
acque calde o dotate di particolari doti curative. Col tempo, soprattutto in età imperiale, si diffusero anche
dentro le città, grazie allo sviluppo di tecniche di riscaldamento delle acque sempre più evolute.
Lo sviluppo interno tipico era quello di una successione di stanze, con all'interno una vasca di acqua fredda
(il frigidarium), tiepida (tepidarium) e calda (calidarium). Attorno a questi spazi principali, si sviluppavano gli
spazi accessori: lo spogliatoio, il sudatorio e il laconico (simili ad una sauna), il destrictorio (sala di pulizia), il
ginnasio (una sorta di palestra). All'interno delle terme più sontuose potevano trovare spazio anche piccoli
teatri, biblioteche, sale di studio e addirittura negozi.
Per basilica si intende l'edificio pubblico, spesso in comunicazione con il foro, che veniva utilizzato come
luogo coperto soprattutto per trattare gli affari, sanare le controversie ed amministrare la giustizia.
Tra i principali monumenti ancora esistenti dell’ultima fase repubblicana dobbiamo ricordare i tre grandi
santuari del Lazio: quello della Fortuna Primigenia a Praeneste (Palestrina), quello di Giove Anxur a
Terracina e infine quello di Ercole Vincitore a Tivoli.
Le rampe davano accesso ad una terrazza con sul fondo un porticato di ordine ionico, sovrastato da un
attico a semicolonne e interrotto da due esedre ugualmente porticate, coperte da volte anulari con
cassettoni e dotate di sedili ("terrazza degli emicicli").
La quinta terrazza ("terrazza dei fornici") presenta un muro di fondo con semicolonne corinzie, che
inquadrano alternativamente una nicchia o una finta porta affiancata da due targhe.
Un'ultima terrazza ("piazza della cortina"), più ampia, era
un vasto piazzale a "U", delimitato su tre lati da un doppio
portico di ordine corinzio e ospitava al centro del lato di
fondo una cavea teatrale. La cavea era a sua volta coronata
da un altro doppio portico corinzio semicircolare, chiuso sul
fondo da un muro e sopra di esso sorgeva il piccolo tempio
circolare, del quale restano solo le fondazioni.
Il santuario è disposto simmetricamente lungo un asse centrale ma in modo tale che il visitatore, mentre
saliva verso l’alto potesse averne esperienza soltanto gradualmente, terrazza dopo terrazza.
Con la vittoria su Marcantonio di Ottaviano ad Azio, nel 31 d.C. termina un lungo periodo di lotte interne e
si instaura un sistema stabile, basato su una struttura autoritaria, storicamente definita come “impero
romano”. I confini, in gran parte definiti durante l’ultimo periodo repubblicano, avranno una espansione
ulteriore solo con Traiano. Gli obiettivi principali erano il consolidamento del dominio romano e
l’organizzazione del complesso apparato amministrativo. Esisteva inoltre una notevole differenza culturale
tra i popoli di lingua greca e quelli occidentali, tutti assoggettati alla “pax romana”. Il potere concentrato
nelle sole mani dell’imperatore ebbe notevoli conseguenze anche nel campo delle realizzazioni
architettoniche con la pratica sempre più estesa del mecenatismo pubblico. Ottaviano, divenuto
imperatore con il nome di Augusto e consolidato il suo potere politico, che durò ben 44 anni, esercitò un
controllo su tutte le arti attraverso uomini di sua fiducia. Nel campo edilizio attuò un programma di opere
pubbliche. Gli edifici pubblici, civili e religiosi si caricano di significati simbolici ed assolvono un importante
ruolo di stabilizzazione politica. Per queste ragioni, l’architettura di questo periodo è caratterizzata da una
forte tendenza classicista. Gli storici concordano nel rilevare l’azione di freno svolta dal classicismo
europeo. Tuttavia la continuità delle esperienze non viene a mancare e si possono registrare risultati
importanti sia nel campo tecnico che formale: i nuovi tipi di volta a crociera ed a vela. Per quanto riguarda il
campo decorativo, si ebbero invece notevoli cambiamenti connessi all’introduzione del marmo. L’uso di
questo materiale, cosi rispondente alle esigenze di monumentalità richiese la presenza di artigiani, i quali
introducendo il loro repertorio formale fecero registrare fenomeni di manierismo decretando l’abbandono
della decorazione a stucco sulle pietre.
Il teatro è voluto da Cesare,ma dedicato da Augusto al nipote Marcello. Il teatro di Marcello costituisce uno
dei più antichi edifici per spettacolo romani giunti fino a noi, nel quale l'articolazione del teatro romano
appare già del tutto delineata, con la cavea a pianta semicircolare sorretta da articolate sostruzioni.
La struttura della cavea è formata da un sistema a setti radiali coperti da volte a botte inclinata, ed è serrata
da un ambulacro esterno che si svolgeva per due o tre piani. Il primo piano è coperto da una volta anulare a
botte, mentre nel secondo piano le volte a botte sono disposte radialmente per evitare spinte orizzontali
sulla facciata convessa, trattata come un “tabularium” con il motivo sovrapposto e ripetuto dell’arco
murario incorniciato dall’ordine architettonico.
La cavea era divisa in una parte inferiore accessibile e da una parte intermedia, accessibile dal secondo
piano, e un’altra parte superiore accessibile tramite scale dall'ultimo livello. In corrispondenza
dell'orchestra vi sono bassi gradini di marmo che ospitavano i seggi dei posti riservati.
La facciata in travertino presenta tre ordini, i due inferiori con le arcate inquadrate da un ordine di
semicolonne doriche con capitelli tuscanici e al piano terreno ioniche superiormente. L'attico al terzo piano,
del quale restano poche tracce, si presentava invece a parete continua ed era decorato con paraste
corinzie.
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forma circolare. Alla pianta ottagonale si riconducono pure degli spazi laterali spazi che fungevano sia da
ambulacri che da elementi di contrafforte per la cupola; a questi spazi si accedeva tramite delle grandi luci
sovrastate da delle piattabande in laterizio).
La bravura costruttiva si manifesta con l’apertura di grandi fornici rettangolari nella pareti dell’ottagono,
tali da far sembrare che tutta la volta sia solo appoggiata sui pilastri angolari, mentre in realtà gli elementi
di sostegno sono costituiti dalle pareti radiali a “v” che proseguono lungo gli spigoli della volta, formando
cosi uno scheletro strutturale sul quale insistono gli otto spicchi del padiglione.
BASILICA ULPIA
COLONNA TRAIANA
Stupefacente monumento alto 38 m, costituito da enormi blocchi di marmo di Carrara, è concepito come
un libro illustrato in pietra, che narra le imprese di Traiano contro i Daci. Questa colossale opera di auto
venerazione ospita nel basamento la tomba dell’imperatore.
Dietro la basilica, al centro c’è la colonna coclide con ai lati le biblioteche, greca e latina e la zona, dove
Adriano farà inserire il tempio dedicato a Traiano, delimitata da un portico semicircolare. Sfruttando il
taglio operato per realizzare lo spazio pianeggiante necessario alla sistemazione del Foro, fu costruito un
complesso commerciale, denominato Mercati Traianei, costruito da una serie di tabernae, disposte ad
emiciclo su diversi piani, in modo da formare una vera e propria opera di contenimento della grande
scarpata. L’emiciclo a corona dell’esedra del Foro, al pianterreno, è formato da una successione di tabernae
con porte di accesso riquadrate da pesanti stipiti ed architravi in travertino, mentre al primo piano le
tabernae poste all’interno sono servite da una galleria che corre lungo il fronte esterno ritmato da finestre
ad arco inquadrate da leggere paraste in mattoni, che sorreggono una cornice con motivo alternato di
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leggeri timpani curvilinei e triangolari. Attraverso rampe di scale si raggiunge la strada superiore che si
svolge intorno all’emiciclo per poi inoltrarsi all’interno sempre tra file di botteghe organizzate su
terrazzamenti a vari livelli. La sala posta a settentrione individuata come la probabile Basilica Traiana, è a
pianta rettangolare, coperta da sei volte a crociera impostate su mensole di travertino sporgenti dai pilastri,
a loro volta collegati da archi ai muri perimetrali. Ai lati vi sono due ordini di botteghe coperte a botte;
quelle inferiori addossate ed aperte sull’ambiente centrale, quelle superiori invece arretrate e servite da
ballatoi coperti che a loro volta si affacciano sulla grande aula.
via via sempre più leggeri verso l'alto: nello strato più vicino al tamburo cilindrico abbiamo strati di
calcestruzzo con scaglie di mattoni, salendo troviamo calcestruzzo con scaglie di tufo, mentre nella parte
superiore, nei pressi dell'oculo troviamo calcestruzzo misto a materiale vulcanico. Lo spessore della
muratura diminuisce verso l'alto ed all'interno della muratura sono stati usati diversi tipi di laterizi sempre
più leggeri via via che si procede verso l'alto. Questi accorgimenti hanno permesso il bilanciamento del
peso della cupola e sono il segreto della sua straordinaria durata. La spazialità perfettamente sferica regala
all'osservatore una sensazione di straordinario armonia, "immota ed avvolgente", grazie anche agli
equilibrati rapporti tra le varie membrature, con articolati effetti di luce ed ombra nelle cassettonature,
nelle nicchie e nelle edicole.
TERME
Per ritrovare i primi esempi di edifici termali, bisogna andare nei dintorni di Napoli, dove esiste ancora
integro un ambiente circolare coperto a volta con oculo centrale, denominato Tempio di Mercurio,
risalente alla prima età augustea. All’inizio questi complessi furono alimentati da sorgenti di acque termali;
in seguito furono messi a punto sistemi di riscaldamento con il passaggio d’aria calda in cunicoli
sottopavimenti (sospensurae come nelle terme stabiane riportate nell’immagine) e dietro le pareti,
attraverso condotti realizzati in mattoni forati.
grandi cortili porticati adibiti a palestre e con grande spazio rettangolare aperto(la pianta delle terme di
Tito era a doppia circolazione, il cui punto centrale era costituito da un grande frigidarium rettangolare con
volte a crociera e una vasca d’acqua fredda a ogni angolo, intorno al quale era simmetricamente disposta
una serie di sale più piccole, in modo da raddoppiare le attrezzature ai due lati).
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Con la morte di Marco Aurelio (180 d.C.) e la successione al trono del figlio Commodo si andavano
delineando gravi situazioni conflittuali nell’impero: crisi economica pressione delle tribù germaniche. Sarà
Diocleziano a ridare stabilità allo stato riorganizzando l’amministrazione le finanze e l’esercito. Egli divise
l’impero in quattro parti e la capitale non fu più unicamente Roma. Nel 306 d.C. scoppiata la lotta fra i
successori, Costantino eliminò colleghi e parenti governando su tutto l’impero. Costantino creò la fusione
tra Stato e Chiesa e fondò la nuova capitale Costantinopoli. Sotto il profilo architettonico sotto Settimio
Severo vi fu un periodo di rinnovato mecenatismo che vide appunto la costruzione delle terme di Caracalla,
infine sotto Diocleziano e Massenzio vi fu un rifiorire dell’architettura che durerà fino a Costantino. Si
considera con una certa difficoltà di delimitazione cronologica come inizio dell’architettura cosiddetta
tardo-antica. Questo termine comprende lo svilupparsi dell’architettura cristiana e l’estendersi della
produzione architettonica nelle aree dell’impero occidentale ed orientale. Con il trasferimento della
capitale da Roma a Costantinopoli nel 330 d.C. si apre la rota verso l’oriente per il quale tale città era il
riferimento come anche per l’interi impero. In oriente va rilevata la contrapposizione tra le zone delle
grandi culture antiche e quelle della cultura greca e della colonizzazione ellenistica-romana. Tutte queste
correnti culturali influenzarono in modo evidente l’antico patrimonio degli elementi architettonici (colonne,
capitelli, fregi ecc) come pure per i motivi e materiali di decorazione. Anche le tecniche costruttive, la forma
delle volte ecc. Caratteristica fondamentale dell’architettura tardo-antica è l’attenzione per lo spazio
interno: alla tecnologia trilitica si sostituisce sviluppando una tendenza dell’epoca flavia e adrianea,
un’architettura degli spazi complessa ed articolata, basata sulle strutture murarie scavate in profonde
nicchie e sulle volte a concrezione. L’interruzione ritmica della continuità della parete muraria è ottenuta
tramite sequenze di finestre con risultati che mettono in evidenza i valori plastici e luministici tramite la
creazione di intense zone di ombra. Grande importanza assume quindi la preziosità e la varietà del
materiale. Esempi significativi dell’architettura tardo-antica sono il cosiddetto Tempio di Minerva Medica,
la basilica di Massenzio e infine il palazzo di Diocleziano.
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decorazione e il disegno dei singoli elementi di dettaglio sebbene presentino una qualità piuttosto
modesta.
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3. L’ARCHITETTURA PALEOCRISTIANA
Dopo la morte di Cristo le prime congregazioni cristiane sarebbero rimaste dei gruppi erettici insignificanti
all’interno delle comunità ebraiche della Palestina. Nel 100 d.C. la nuova fede presente nelle grandi città si
era sviluppata anche nei piccoli centri dell’oriente. Dopo la morte dei discepoli, regolari riunioni dei fedeli
cominciarono a tenersi in case private. Nelle provincie orientali esse erano case unifamiliari alte quattro
piani. Le riunioni dovevano avvenire nella sala da pranzo posta al terzo piano (il triclinium). Dal 250 d.C. si
assiste ad un massiccio diffondersi del cristianesimo. Nelle città all’inizio del III secolo le congregazioni
sentirono il bisogno di strutture adatte ai loro molteplici bisogni, rafforzati dall’evoluzione della liturgia.
Configurandosi come un insieme di ambienti intercomunicanti di varia grandezza chiamato “domus
ecclesiae”, che venne installata all’interno delle domus ricche dimore romane.
Con l’editto di Costantino del 313 d.C. egli riconosceva al cristianesimo una posizione ufficiale. Emersero le
nuove capitali (Treviri, Aquileia o Milano). Alcune si qualificarono come centri ecclesiastici dominanti
dell’impero come Alessandria o Roma. Alla morte di Costantino nel 337 d.C. l’integrazione fra potere
imperiale ed ecclesiastico era completa. La nuova posizione della Chiesa portò ad una maggiore ricchezza e
regolamentazione della liturgia. La Chiesa cristiana avendo ormai un ruolo ufficiale sotto Costantino scelse
il tipo di edificio che riuniva caratteristiche religiose con i criteri di ufficialità: la basilica.
La basilica è un edificio generalmente diviso in una navata centrale e due parti laterali, di cui la prima più
alta delle altre ed illuminata dalle finestre di un claristorio. Le basiliche romane erano raramente di questo
tipo. Nelle forme più semplice erano costituite da sale senza navate minori, occasionalmente divise da
supporti. Nei casi più elaborati la navata principale era completamente o parzialmente avviluppata da
navate minori senza o con gallerie semplici o doppie. Il claristorio poteva essere alto o basso, le entrate sul
lato lungo o corto o su ambedue. L’abside poteva essere unica, o molteplice, sul lato lungo o corto. Di
regola aveva un tetto di travi in legno a vista o un soffitto piano.
Il termine basilica era applicato più ad una funzione che ad un tipo di edificio. Dall’inizio del II secolo d.C. la
basilica fu adattata al rituale di sette religiose.
La basilica cristiana sia per la funzione che per il disegno della pianta fu quindi una nuova creazione
nell’ambito di uno schema tradizionale. Tutto ciò doveva essere normale ai tempio di Costantino, in cui la
basilica cristiana era vista come un’altra sala pubblica monumentale con caratteristiche religiose.
architettura paleocristiana, cioè dei primi secoli del cristianesimo, ha una data spartiacque fra due periodi
contrapposti: l'editto di Milano del 313 da parte dell'imperatore Costantino, che permise la libertà di culto
per i cristiani e fu quindi possibile da questo momento in poi erigere edifici pubblici per la liturgia. Con la
liberalizzazione del culto in epoca costantiniana si pose il problema di quale forma dare agli edifici della
nuova religione.
I primi cristiani trovarono utile utilizzare il già ampiamente sperimentato linguaggio architettonico dei
romani, per esercitare il compito di divulgazione e diffusione del loro credo religioso, e quando si presentò
l'esigenza di trovare una nuova tipologia d'edificio sacro, la scelta si orientò sulla Basilica romana. Ciò per
un duplice motivo, pratico e simbolico. Il tempio classico, era lo spazio della divinità, al quale potevano
accedere solo i sacerdoti, ma non i fedeli. La basilica romana era un luogo fatto per accogliere, e, pur non
essendo stata concepita in origine come spazio religioso, era nata come spazio a carattere collettivo. Essa
voleva accogliere, abbracciare la gente e si confermava tipologia idonea a tale scopo.
La basilica cristiana mantiene infatti la planimetria rettangolare e la suddivisione in tre navate, spostando
però l'accesso su un lato corto e mantenendo l'abside solo sul lato opposto. Nell'abside, solitamente
orientata, venne posizionato l'altare, che divenne il centro focale dell'architettura. Il transetto iniziò ad
essere adottato solo in un secondo momento, con la primitiva basilica di San Pietro in Vaticano, quale
navata trasversale disposta davanti al presbiterio, che dà alla basilica la forma planimetrica di una croce.
Non possiamo giudicare, né dare giudizi sugli effettivi valori artistici di edifici come: S. Giovanni in Laterano
(313), San Pietro (333), San Paolo fuori le Mura (385),.. in quanto non sono arrivate fino a noi ben
conservate.
Possiamo invece citare come testimonianza grandiosa dell’architettura paleocristiana a Roma, S. Maria
Maggiore (430) e S. Sabina (422).
E’ opportuno tenere presente che prima del 350 d.C. non esisteva un tipo edilizio definibile come la
“basilica cristiana”, si trovava tuttavia un gran numero di varianti sul tema basilica. Pianta sviluppata in
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lunghezza con asse longitudinale, tetto travature in legno in vista, o con controsoffittatura piana, una
tribuna finale rettangolare in forma di abside. La navata centrale più le laterali, un alto claristorio con larghe
finestre; raramente erano presenti le gallerie superiori.
Queste caratteristiche del culto imperiale, trasferite quasi naturalmente negli edifici cristiani, sono più
evidenti nelle chiese come la Basilica Costantiniana, ora San Giovanni in Laterano costruita in un’ala di un
palazzo imperiale, il Laterano, donato da Costantino alla chiesa come sede vescovile.
Durante il regno di Costantino ebbero un crescente sviluppo gli edifici per il culto dei morti o martyria.
Queste sale funerarie sembrano aver avuto planimetrie varie ma tutte riconducibili al vecchio tipo della
basilica. Straordinarie un gruppo di chiese romane (San Sebastiano, San Lorenzo, Sant’Agnese ecc, tutte
costantiniane tranne Sant’Agnese databile dopo la morte dell’imperatore). Tutte enormi di tipo basilicale
con navata principale, secondarie e di regola con una entrata a portico (nartece). Pilastri o colonne
sostenevano le mura del claristorio. Negli ultimi quindici anni del regno di Costantino il crescente culto dei
martiri rese necessario l’inserimento del “martyrium” nella basilica.
Un esempio può essere San Pietro in Roma.
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navata centrale con un arco trionfale, portava al centro una grande abside. Il transetto e l’abside
contenevano la memoria del santo, l’altare per le funzioni, i sedili per il clero, in un ambiente unico
scarsamente suddiviso. Le cinque navate coperte a tetto sono dotate di colonne con trabeazione costituite
da materiale di spoglio. La navata centrale e le due laterali erano probabilmente della stessa altezza,
illuminate solo dalle finestre poste in alto e da quelle più esterne. All’esterno, oltre al portico, c’era un
grandioso atrio porticato con un ingresso a tre porte. Nel grande atrio, quadriportico, vi era al centro una
statua di bronzo che serviva per i riti di purificazione.
Dopo la morte di Costantino (337 d.C.) il papato e il clero romano incentrarono la loro attività edilizia nello
sviluppare un tipo di chiesa adatto alle ordinarie necessità delle congregazioni. Fino al 385 quando fu
iniziata la chiesa di San Paolo sembra che sia regnata l’assoluta indifferenza rispetto alla tradizione classica.
San Paolo fuori le mura era chiaramente concepita come una copia del San Pietro Vaticano. Sorgeva su un
mausoleo probabilmente posta sul luogo dove fu sepolto il Santo, per questo motivo era orientata
inversamente con l’entrata ad ovest rispetto a San Pietro e costituiva un vasto ambiente per la venerazione
della tomba.
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Ma nessun edificio classico del passato poteva prestarsi alle operazioni di restauro di Sisto III altrettanto
bene del battistero del Laterano, fondato da Costantino con pianta ottagonale. L’interno illuminato da una
doppia fila di finestre, era uno spazio unico, forse coperto con un tetto di legno. Fu rimodellato
introducendovi un doppio ordine trabeato di otto colonne che forma un baldacchino sulla fonte
battesimale, sormontato dalle grandi finestre del claristorio, coperto da un tetto di legno piramidale o da
una cupola in materiale leggero. Questo nucleo centrale è circondato da un deambulatorio ottagonale
coperto a botte.
L’insieme ricorda il mausoleo di Costantina anche per la ricca decorazione. Lo stesso spirito di rinascita
persiste nella costruzione di Santo Stefano Rotondo. Probabilmente questo edificio era un martyrium, come
può essere suggerito anche dalla sua elaborata pianta centrale, incrocio tra una rotonda e una pianta
cruciforme, forse legata ad altri martyria della terra santa o ad altri edifici profani romani.
Gli interni erano riccamente decorati con lastre di marmo: sono stati rinvenuti tratti del pavimento
originale, con lastre in marmo cipollino e fori sulle pareti testimoniano la presenza di un rivestimento
parietale nello stesso materiale. Nello spazio centrale si trovava l'altare, inserito in uno spazio recintato.
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La chiesa della natività di Betlemme (333 d.C.) originariamente era composta da un atrio e da un corpo
basilicale coperto a tetto, innestato in un ottagono che serviva soprattutto come un martyrium elevato sul
luogo dove Cristo era nato. Gli organismi unificati dopo Costantino in Palestina, mostrano la fusione di una
struttura centralizzata con una navata basilicale; in Terrasanta prevalsero martyria circolari liberi, collegati
alla tradizione romana dei mausolei-heroa. Prototipo di questi fu la rotonda dell’Anastasis (resurrezione) di
Gerusalemme, situata nel cortile retrostante della basilica martyrium di Costantino e racchiudeva il
sepolcro di Cristo, al centro, sotto un baldacchino conico. La rotonda di 17 m di diametro, era costituita da
un ambiente centrale con intorno un corridoio anulare separato da colonne con archi. Numerose saranno
poi le riprese nell’Europa medievale, come Santo Stefano Rotondo, copie selettive che ne riprendono alcuni
elementi dell’originale e ne eliminano altri.
La Siria era tra le più importanti provincie dell’impero romano; i centri maggiori sorti sulla costa o lungo le
vie carovaniere, mostrano legami con Costantinopoli e l’Egeo, per cui sono presenti basiliche a tre navate
con atrii e narteci. L’architettura religiosa e civile delle grandi città rimane largamente sconosciuta,
l’architettura nel resto del paese è ricca di rovine di chiese, monasteri ecc, datati fra il secolo IV e la fine del
VI: vengono elaborati caratteri originali, con una struttura a grandi blocchi di pietra locale, una solidità
volumetrica ottenuta con profili geometrici semplici. Il martyrium quadrifoglio di Seleucia richiama la
primitiva chiesa di San Lorenzo a Milano: le quattro esedre del sistema più interno si espandono
liberamente, sostenute da colonne; non sembra ci fossero gallerie, e forse i deambulatori avevano un piano
ed erano coperti con tetto ligneo.
Senso monumentale e vocabolario classico nell’architettura cristiana del secolo V, soprattutto nella
cosiddetta cattedrale di Qalb Louzeh. In questa chiesa l’abside è affiancata ambienti laterali e l’ingresso si
trova in facciata e lungo i due fianchi. Torri, di poco più basse della navata, si elevano su entrambe i lati di
un profondo portico. Insieme, torri e portico formano la caratteristica facciata tardo-siriana a due torri.
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Ravenna al confine tra parte orientale e parte occidentale dell’impero, ebbe stretti legami con
Costantinopoli, sino all’invasione longobarda (751), Ravenna fa parte dell’impero d’oriente e diventa il
centro dei domini bizantini in Italia (esarcato). Nel V secolo gli edifici ravennati risentono l’influsso
dell’architettura paleocristiana milanese. Il mausoleo di Galla Placidia mostra uno sviluppo a croce libera,
con braccio anteriore allungato: le archeggiature delle finestre indicano modi milanesi.
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BATTISTERO DI AQUILEIA
Si tratta di un sistema a tre navate, è evidente la rientranza
provocata dalla presenza dell’abside. E’ uno dei più antichi
battisteri, organizzato insieme all’atrio, si divide in un
cosiddetto “ambiente triconco”. All’interno di tale battistero vi
è la raffigurazione, sottoforma di mosaico, del modello della
chiesa. L’edificio è donato dal vescovo Eufrasio. L’abside è
organizzata attraverso dei seggi, costituite dalla permanenza
delle semplici forme geometriche dell’antichità.
All’interno, dunque, l’arco trionfale con la sequenza di mosaici: Cristo in grembo alla vergine; il cielo come
elemento di passaggio e la mano del Divino e la corona della salvezza. Nei pressi della zona dell’altare,
grandi finestrature garantiscono una discreta illuminazione.
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4. ARCHITETTURA BIZANTINA
Del periodo che va da Marciano a Giustiniano (450-527) l’unica chiesa sopravvissuta è San Giovanni di
Studio (immagine) con l’annesso monastero, importante centro di cultura: presentava un nartece, tre
navate, abside poligonale all’esterno, copertura a tetto, ricca di decorazione marmorea e musiva.
Particolare chiesa per la mancanza di transetto.
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Nella tipologia religiosa si assiste ad una ripresa della cupola e della centralità per interpretare le nuove
prescrizioni liturgiche. SS. Sergio e Bacco a Costantinopoli riprende il tipo di architettura romana e dai
martyria cristiani.
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5. ARCHITETTURA CAROLINGIA
Nell’ottavo secolo, con l’inizio della dinastia “carolingia”, si ha un temporaneo rafforzamento del potere
statale centrale dovuto alle profonde trasformazioni verificatesi nel campo dei rapporti sociali. Già i
merovingi avevano contribuito ad ampliare il potere privato dei grandi latifondisti concedendo loro i diritti
d’immunità ebbero un ulteriore sviluppo anche per l’avvenuta precisazione del rapporto di vassallaggio. Per
il consolidamento del potere ebbe un ruolo determinante l’alleanza che Carlo Magno strinse con la chiesa.
Questa alleanza è sancita nell’800 dalla incoronazione di Carlo Magno ad Imperatore, che lo identifica come
il protettore della Cristianità. Il rinnovamento che il regno di Carlo Magno portò alle istituzioni, alla politica,
alla cultura è in gran parte dovuto alla sua alleanza con la Chiesa. L’impero di Carlo Magno presentava una
grande eterogeneità dal punto di vista etnico, che en determinò la breve durata. La divisione è sancita già
nell’843 col Trattato di Verdun che pone fine all’unità imperiale. Il tentativo di restaurazione del sacro
romano impero influenza fortemente il programma culturale di Carlo Magno. Il primo passo fu
l’organizzazione di scuole necessarie per preparare un determinato numero di persone ai servizi
della’apparato statale. Ad Aquisgrana, una delle sedi dell’itinerante corte di Carlo Magno l’istituzione della
Schola Palatina costituisce il centro intorno al quale si raccolgono numerosi uomini di cultura. L'architettura
carolingia si sviluppò a partire dalle fortune dei sovrani franchi prima della dinastia dei Pipinidi (da Pipino il
Breve), chiamata poi dinastia carolingia in onore di Carlo Magno. L’aspetto più evidente consiste in una
deliberata ripresa dei modi tardo-antichi, nel recupero di schemi e forme classicheggianti, nell’imitazione
dei monumenti romani.
La maggiore se non unica, committente di opere architettoniche è, in questo periodo la Chiesa e spesso,
alla guida di queste costruzioni troviamo ecclesiastici stessi. Tra le prime costruzioni carolingie è la basilica
dell’abbazia di Saint Denis ricostruita nel 754 e consacrata alla presenza di Carlo Magno nel 775. Il modello
della Chiesa, chiaramente di derivazione romana (pianta cruciforme con tre navate, transetto e abside).
L’elemento nuovo, in questo impianto, è costituito da una più complessa articolazione della parte
occidentale, dove è situato l’ingresso, con un tipo di “westwerk” non ancora precisato.
L’articolazione del corpo occidentale si precisa nella chiesa abbaziale di Saint Riquer.
carolingio, oggi perduto, era costituito da un corpo basilicale a tre navate con un presbiterio quadrato
delimitato da un'abside. Lungo la navata, in prossimità dell'ingresso e dello stesso presbiterio, si inserivano
due transetti; entrambi erano affiancati da torri circolari ed erano chiusi da una copertura conica e da una
lanterna. Particolarità della chiesa era la presenza di un Westwerk che affiancava il primo transetto.
Il vero modello romano è però interpretato senza aderire al sistema degli ordini in maniera fedele e la
superficie, su cui si articolano paraste liberamente collegate, è resa preziosa dall’uso di tasselli di pietre
diverse lavorati regolarmente. Il legame con il mondo orientale è evidente nella costruzione della Capella
Palatina e nel piccolo oratorio di Germigny des Pres .
CAPPELLA PALATINA _ 790 _ ACQUISGRANA
La Cappella Palatina è il nucleo più antico della Cattedrale di
Aquisgrana e fu fatta costruire da Carlo Magno tra il 786 e l'804
come cappella privata del suo palazzo annesso. È una costruzione
ottagonale di circa 31 m d'altezza e 16 m di diametro, sostenuta
da forti pilastri. L’impianto chiaramente centrale, presenta
esternamente sedici lati che all’interno si riducono ad otto, e si
articola in alzato su due piani. Nella parte occidentale si trova un
corpo a tre torri (due contengono le scale), che si identifica
internamente con l’atrio al piano inferiore ed al secondo con la
galleria; a questo corpo si contrapponeva, nella parte opposta, il
coro di dimensioni piuttosto ridotte ed a forma quadrata. Una
notevole abilità si nota nel modo di trattare le coperture: a
crociera quelle del deambulatorio inferiore, alternate con volte
triangolari; a botte rampante quelle del piano superiore aventi
funzione di sostegno per la cupola centrale. La volontà di Carlo
Magno di rivendicare anche il ruolo di imperatore romano
d’oriente può spiegare le evidenti analogie della Capella palatina
con San Vitale in Ravenna. All'interno si accede dal vano del
westwerk ad un preambolo anulare, di 16 lati con basse volte a
crociera circondato da questa struttura, il vano cupolato, sorretto
da pilastri a forma di croce. Al di sopra del primo ordine di arcate a tutto sesto una galleria, o matroneo
aperta sul vano centrale da archi a tutto sesto, articolate da due ordini di colonne con capitelli corinzi, nel
registro inferiore corredate anche di pulvino. Tutte queste strutture verticali creano un ritmo ascensionale
che è coronato dalla cupola centrale, poggiante su un tamburo ottagonale finestrato.
L'ingresso era anticamente preceduto da un quadriportico. Qui sul lato minore si trova un westwerk serrato
fra due torri scalari. In questo ingresso monumentale era presente un nicchione verso l'esterno con una
tribuna al di sopra del portale: qui l'imperatore si mostrava al popolo incorniciato dalla maestosa
architettura per riceverne l'acclamazione.
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L’oratorio di Saint Germigny des Pres, costruito nell’806 per Teodolfo, vescovo
di Orleans, presenta accanto ad evidenti caratteri bizantini nell’impianto a
croce greca, altri elementi nella forma delle arcate a forma di ferro di cavallo.
Si tratta di una struttura completamente voltata, le volte sono a botte coperte
da piccole cupole. In questo caso vi è la rinnovata capacità di coprire l’edificio
con volte, attraverso il dimensionamento delle murature e la riduzione
massima delle aperture.
CHIESA DI SANTA SOFIA _ 760 _ BENEVENTO
Si tratta di una Chiesa caratterizzata principalmente dalla sua forma, ossia una pianta
stellata. Essa è sede di un ducato longobardo, gli elementi recuperati in tale edificio
corrispondono all’età classica, inoltre le abitudini murarie provengono dal mondo romano,
come del resto la volontà di coprire i grandi spazi mediante l’utilizzo delle volte. A
Benevento la cattedrale ha un ruolo molto importante dal punto di vista morfologico per la
città. All’esterno le volte a botte, sono sorrette da una colonna quadrata composta di rocchi
quadrilateri, a differenza di quelle interne che sono tonde e cambiano materiale.
MONASTERO DI SAN GALLO _ SAN GALLO – SVIZZERA
E’ particolare in Svizzera il monastero di San Gallo, monastero caratterizzato dalla sua particolare
disposizione plani volumetrica, che vede l’impianto disporsi su tre navate con doppio corpo trasversale, uno
dei due (quello situato sull’ingresso) è di forma circolare ed è composto da due torri che si distaccano dal
corpo di fabbrica. Tale progetto è spinto da una trascrizione su pergamena giunta a noi, che inquadra il
“monachesimo” come ritiro dal mondo. In Anatolia e in Egitto si formano comunità di anacoreti. San
Benedetto trasforma le comunità in un senso attivo, non solo vita liturgica e spirituale ma anche il
necessario auto sostentamento, una vita di comunità che acquista una polarità. Lo schema
planivolumetrico era costituito da una sala capitolare, ove si riunivano i monaci, un refettorio, luoghi per
produzioni di beni (principalmente orti), istruzione e noviziato ed infine la Chiesa. La rete dei monasteri
diventerà presto internazionale, fino a legarsi in alleanze (fraternitas).
Si tratta di una chiesa databile durante la prima invasione dei sassoni, che saranno poi
sconfitti dai Vichinghi. I sassoni, appunto, invadono luoghi di antica romanità. Un reperto
di quest’età è dato dalla chiesa qui accanto riportata, un piccolo impianti per piccole
comunità. All’interno l’intreccio di murature di tipo diverso è la caratteristica più
evidente, una struttura semplice, isolata. E’ una costruzione in pietra, piuttosto povera,
caratterizzata all’esterno dalla costruzione di una finta loggia. In quest’area molto
importante è la chiesa principale caratterizzata da un campanile a sua volta
caratterizzato dalle sue partizioni decorative con i costoloni che raggiungono i piani alti,
nel culmine dell’edificio le aperture arcuate, finte colonne riprese da un masso. Si tratta
delle torri in perfetto stile preromanico, legata al fatto di farsi vedere, di poter osservare
il territorio circostante. 32
6. ARCHITETTURA OTTONIANA
L’eterogeneità economico-sociale ed etnica dei domini di Carlo Magno ed il processo di feudalizzazione
sviluppatosi ininterrottamente nella società franca determinarono il rapido crollo dell’impero, solo
apparentemente unitario; con la sua suddivisione in tre parti inizia per le nazioni il lungo processo verso il
raggiungimento di una propria identità politica. La dinastia carolingia continuò fino alla fine del X secolo nel
regno dei Franchi Occidentale e fino al 911 in quello d’Oriente con un potere più nominale che reale. Il
potere effettivo si spostò, soprattutto in Francia, ai grandi feudatari che con il riconoscimento
dell’ereditarietà dei feudi (capitolare di Kiersy) acquisirono un’indipendenza ed un’autorità sempre
crescente. Con l’incoronazione di Ottone I del 962, a sacro romano imperatore, sembrano rinnovarsi gli
intenti dell’imperi di Carlo Magno. La formazione di nuove istituzioni, seppure meno avanzate di quelle
carolingie, porta anche una ripresa dell’attività architettonica.
Con il termine architettura ottoniana si indicano le costruzioni presenti nel territorio compreso tra la Mosa
e l’Elba, il Mare del nord e le Alpi, durante il quale appaiono alcune importanti innovazioni.
La tipologia basilicale è quella maggiormente usata; dalle semplici volumetrie carolingie si passa ad
organismi composti da volumi semplici assemblati in maniera più complessa ma non privi di unità. Il
particolare interesse par la superficie muraria e l’organizzazione geometrica dello spazio interno sono
alcune caratteristiche presenti nell’architettura ottoniana che successivamente nel Romanico troveranno
un ulteriore approfondimento e precisazione. Anche nel caso dell’architettura ottoniana il committente è
da identificarsi quasi esclusivamente nella Chiesa ed a capo delle costruzioni troviamo frequentemente
ecclesiastici, che dimostrano esperienza notevole in campo architettonico.
Per architettura ottoniana si intende l'attività edilizia fiorita in Europa occidentale a partire dalla dinastia
ottoniana, all'incirca dall'887 (deposizione di Carlo Il Grosso) fino all'anno Mille. Nell'area di influenza
germanica si ebbe una continuità tra architettura ottoniana e architettura romanica, tanto che alcuni edifici
dell'XI secolo possono essere ascritti ad entrambi gli stili. Proprio come i sovrani carolingi, anche quelli
ottoniani furono instancabili fondatori di grandi edifici ecclesiastici (abbazie, cattedrali) che si distinguono
per un corpo occidentale contrapposto al coro riservato all'imperatore.
Al regno di Ottone II risale la costruzione della grande cattedrale di Magonza, evidenti sono le analogie con
la chiesa abbaziale di Fulda e con l’antico impianto del San Pietro in Roma.
ABBAZIA DI FULDA _ 819 _ FULDA _ GERMANIA
L’influenza del coro della Capella palatina ha operato anche sulla definizione delle
absidi della chiesa di Santa Maria in Campidoglio a Colonia, il cui impianto
complessivo è stato riferito a modelli tardoantichi. Si tratta di un corpo orientale
triabsidato che si innesta su una navata coperta a tetto, ma fiancheggiata da navate
laterali coperte a crociera, le quali richiamano i sistemi costruttivi adottati
contemporaneamente nella cattedrale di Spira.
DUOMO DI SPIRA _ 1030 _ SPYER
Il Duomo di Spira (per Duomo s’intende chiesa della città e non del vescovo come
generalmente si intende) è una grande cattedrale che si trova a Spira, in Germania;
l'edificio è costruito in arenaria rossa ed è il simbolo più conosciuto della città,
contiene le tombe della dinastia imperiale.
La pianta a tre navate, con un’imponente cripta con volte a crociera risale alla fase
iniziale, mentre la navata era dotata in origine di una copertura piana in legno. La
particolare scansione delle pareti della navata avveniva tramite altissime
semicolonne che raggiungevano quasi il soffitto con un’alta galleria di arcate cieche
che incorniciavano le finestre. Presenta due guglie una sulla facciata orientale e
l’altra su quella occidentale.
All’esterno le pareti sono movimentate da lesene e archetti ciechi, mentre ai
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quattro angoli si trovano altrettante torri. L’esterno è anche caratterizzato dal westwerk fiancheggiato da
due torri. La cattedrale presenta internamente ed esternamente la bicromia bianco-rossa.
Le altissime arcate possono essere messe in relazione con esempi tardoantichi (basilica di Treviri, che vede
la prosecuzione dell’impianto basilicale ma soprattutto la tendenza verso la verticalità), ma l’articolazione
delle navate laterali coperte a crociera, con contrarchi (archi ciechi che ribattono le arcate divisorie), e
l’impiego di semicolonne associate a pilastri sono elementi che preludono al Romanico occidentale. Lo
stesso vale per la cripta, sottostante il coro e l’intero transetto, con volte a crociera impostate su pesanti
capitelli “cubici”, tipicamente tedeschi.
La bicromia può essere riferita ad alcune opere del tempo, delle quali possiamo ricordare la chiesa del Trier
Dom sempre in Germania che anticipa sia all’interno che all’esterno il carattere bicromo dovuto ai materiali
utilizzati.
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7. ARCHITETTURA ROMANICA
L'architettura romanica si diffuse in Europa nell'XI e XII secolo, fino all'affermazione dell'architettura gotica.
Nello specifico, il termine "romanico" fa riferimento al legame con l'architettura romana, dalla quale
vennero ripresi alcuni elementi strutturali (l'arco, la colonna, il pilastro, la volta) e una certa impostazione
monumentale e spaziale.
Questo stile si caratterizza all'interno degli edifici religiosi per alcune particolari peculiarità. Ad esempio, la
suddivisione interna si mostra piuttosto articolata, divisa in campate: spesso una campata della navata
centrale (a base quadrata) corrisponde a due campate di lunghezza dimezzata nelle navate laterali. Le
murature vengono realizzate molto spesse e robuste, ed il trattamento della superficie delle pareti è resa in
maniera plastica. Vengono notevolmente utilizzati pilastri e colonne; successivamente si fa uso solamente
di pilastri compositi, come i pilastri cruciformi con semicolonne addossate.
Durante questo periodo si diffonde la cosiddetta volta a crociera, con una versione a sesto acuto; allo
stesso tempo nelle chiese di pellegrinaggio si iniziano a usare strutture che sottolineano l'innesto delle
navate con il transetto, come torri e cupole; si diffonde la volta a costoloni e nasce anche la volta reticolare.
Ulteriore innovazione di questo periodo architettonico sono l'abside con coro, collegato molto spesso al
deambulatorio, su cui si affacciano delle cappelle radiali, nonché l'uso predominante dell'arco a tutto sesto.
Infine si possono notare anche l'utilizzo comune di finestre e altre aperture ridotte, e la presenza di una
cripta ed un presbiterio rialzato rendono la chiesa strutturata su tre livelli.
Gli elementi esterni più frequenti sono la scansione delle murature esterne con arcate cieche e lesene, le
murature esterne vengono spesso trattate plasticamente, la presenza di una torre all'incrocio del transetto
con la navata oppure la presenza di due torri affiancate alla facciata derivata dalla Westwerk oppure la
presenza di un campanile isolato o annesso alle absidi, le fasce bicrome oppure presenza di tarsie
marmoree.
Le volte a crociera furono comunque uno dei fattori che permisero la realizzazione dei grandiosi edifici
romanici. Formate dall'incrocio di due archi diagonali, avevano l'indiscutibile vantaggio rispetto alle volte a
botte di convogliare il peso anziché lungo tutta la linea d'imposta, solo sui quattro sostegni d'angolo,
semplificando la necessità di approntare controspinte e permettendo di alleggerire lo sforzo sulle pareti,
che possono quindi essere più slanciate in altezza o anche traforate da varie aperture.
Arcisse de Caumont scandisce la definizione di Romanico come uno stile che utilizza prevalentemente archi
e volte. Per Romanico s’intende un termine coniato per l’architettura e per l’arte, una corrente che
accomuna un vastissimo territorio organizzato in contee, che comunque si differenziavano anche per il loro
stile, nonostante appartenessero ad uno stesso “stato o nazione”, tuttavia questi popoli erano accomunati
dalla loro grande sapienza in fatto di architettura.
Gli esempi più notevoli, conservati o attendibilmente documentati, sono: Saint Philibert de Tournus; la
chiesa di Saint Benigne a Digione; oppure l’abbaziale Cluny II, consacrata nel 981. Negli stessi anni o poco
dopo, viene compiuta la ristrutturazione del Duomo di Spira, che segna il momento in cui le volte vengono
adottate sopra una grande chiesa sorta nell’area culturale dell’impero e con ciò l’adesione di questo
territorio alla concezione strutturale-figurativa promossa nell’area meridionale. L’organismo statico-
strutturale della chiesa romanica consiste essenzialmente in un sistema atto a consentire la stabilità delle
volte della navata maggiore, mediante l’impiego delle controspinte operate dalle navate laterali alle quali si
aggiungono i carichi verticali molto notevoli. Archi trasversali, longitudinali e diagonali; risalti, semicolonne
e colonnine, che costituiscono il cosiddetto sistema a baldacchino, accentuando la rilevanza formale di
queste membrature rispetto alla parete continua. E’ questa la strada che darà origine all’organismo gotico,
ma nelle costruzioni romaniche la stabilità resta in ogni caso affidata all’esuberanza degli spessori e alla
continuità dei muri perimetrali.
In Francia il frazionamento dovuto alla struttura feudale del territorio, in periodo romanico conduce ad un
frazionamento regionale di scuole architettoniche diverse, caratterizzate da tipi di costruzioni particolari. La
Francia, con due tipi fondamentali caratterizzanti le terminazioni orientali delle chiese, inventa il coro
“radiale” e quello a “gradoni” (abbazia di Cluny II), due soluzioni architettoniche diverse per risolvere
l’esigenza di più altari, legata al problema delle messe ed allo sviluppo del culto dei santi.
Ogni regione preferisce un tipo di chiesa (caratterizzato soprattutto dalla pianta e dalla copertura della
nave principale), in tutte le costruzioni romaniche il particolare peso dato alla massa muraria articolata in
rapporti semplici, l’uso dei pilastri e delle volte, fanno pensare ad influenze dell’Asia minore e della Siria,
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caratterizzate da basiliche a volta e da strutture in pietra. Le correnti in pellegrinaggio che, per raggiungere
Santiago de Compostela (tomba dell’apostolo Giacomo) in Spagna, attraversavano la Francia, conducono
alla creazione di un tipo particolare di chiesa nelle tappe di viaggio del lungo percorso. Il tipo è
caratterizzato da una scarna illuminazione dovuta alla copertura, con volta a botte sulla nave centrale e
semibotti sulle gallerie delle laterali, che non permettono l’apertura di finestre nel muro della nave
maggiore essendo le navi laterali molto alte per contrastare la spinta della botte mediana. A parte l’uso del
coro radiale, queste chiese si distolgono dal modello di Cluny, il cui ordine monastico, potente alleato della
Chiesa di Roma, incentiva i pellegrinaggi. Il modello è quello proprio della regione alverniate ed è comune
alle chiese delle più importanti tappe di pellegrinaggio, compresa la stessa meta religiosa di Compostela:
Saint Martin di Tours e Saint Martial a Limoges (entrambe distrutte), Ste Foy a Conques, Saint Sernin a
Tolosa e Santiago de Compostela. La chiesa di Tours con botte definisce il “tipo” che avrà una cripta con
presbiterio rialzato,un tiburio per l’illuminazione, matronei e torri in facciata. Ste Foy a Conques, iniziata nel
1040 a tre navi è il più antico esempio rimastoci di chiesa di pellegrinaggio. La pianta a cinque o tre navi
consentono una percorrenza a senso unico lungo tutto il perimetro della chiesa, per la venerazione delle
reliquie nei vari altari collocati nella zona presbiteriale.
NORMANDIA. Caratteristiche della scuola normanna sono: la pianta a tre navi, priva di deambulatorio, con
torri in facciata, copertura lignea nella nave centrale mentre volta a crociera nelle laterali, sormontate da
tribune con copertura lignea; torre lanterna quadrata all’incrocio del transetto. L’ordine interno è a tre
piani archi a tutto sesto su pilastri, triforio o galleria, finestre. La decorazione è di tipo geometrico. La prima
importante opera del ducato di Normandia è la chiesa di Jumieges.
CHIESA DI JUMIEGES _ 1066 _ NORMANDIA
L’alternanza dei pilastri con le colonne, presente nella costruzione,
la fronte a due torri con corpo centrale sporgente, la torre lanterna
all’incrocio del transetto, ricordano modelli ottoniani, ma nuovo è lo
slancio della copertura in origine lignea, mentre le navate laterali
sono coperte a volte a crociera. All’esterno due torri di facciata a
base quadrata e poligonali nella parte alta sanciscono il “tipo”
normanno. Nella sala capitolare di Jumieges del XII secolo l’uso della
volta ad ogiva, che aveva fatto una precoce apparizione a Durham in
Inghilterra.
Nella città di Caen nella seconda metà dell’XI secolo furono costruite due abbazie una maschile e l’altra
femminile: il Saint Etienne e la Trinitè.
SAINT’ ETIENNE _ 1081 _ CAEN
L’andamento planimetrico originario seguiva la planimetria benedettina a croce
latina e a coro gradonato. Un coro in stile gotico è stato comunque ricostruito
all’inizio del XIII secolo, pur rispettando per il meglio la struttura romanica della
chiesa. Lo schema d’alzato segue l’andamento a tre livelli che diventerà la scelta
tradizionale normanna in epoca romanica. Tale chiesa presenta come la Trinitè
un solo tipo di sostegno, a pilastri con semicolonne addossate; quelle che
affacciano sulla nave salgono in alto ad accogliere la copertura (originariamente
lignea oggi a crociera). Sopra gli archi delle navatelle è aperta una ulteriore fila di
arcate della stessa larghezza, che accolgono i matronei, e più in alto le finestre,
davanti alle quali corre un ballatoio. Il coro aveva un’abside semicircolare.
L’incrocio del transetto accoglie una torre lanterna e la facciata è scandita in tre
parti dalle due torri laterali che rispecchiano la divisione dello spazio interno.
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BORGOGNA. Caratteristiche della scuola borgognona: pianta comunemente a tre navi (Cluny ne ha cinque)
con o senza deambulatorio, uno o più transetti molto sporgenti, copertura in pietra anche per la nave
centrale, costolonata. L’ordine interno fa uso dell’arco acuto su pilastri, sormontato da un falso triforio e da
finestre; la decorazione scultorea è ricca e floreale, poco figurativa. La Borgogna al sud della Francia e della
Spagna che con la Lombardia avevano sviluppato fin dal X secolo un’architettura di tipo nuovo
caratterizzata da una decorazione esterna ad archetti pensili e lesene.
ABBAZIA DI CLUNY _ 910 _ BORGOGNA
Fondata da Guglielmo, duca di Aquitania.
Rompendo la tradizione benedettina secondo cui
ogni monastero era autonomo, le successive
chiese abbaziali di Cluny sono note come Cluny I, II
e III. Cluny I, consacrata nel 927, fu sostituita da
Cluny II nel 955 e infine da Cluny III nel 1088.
La pianta a cinque navate era dotata di un nartece,
un coro allungato con deambulatorio e cappelle
radiali, un doppio transetto e ben cinque torri. Le
volte a botte di pietra configurano un ambiente
ideale dal punto di vista acustico per le solenni antifone della funzione latina. La zona absidale di Cluny III
era del tipo a chelone o a gradoni: sui lati orientali dei transetti si aprivano absidiole racchiudenti gli altari.
Le navatelle proseguivano verso l’abside oltre i transetti. Nel rifacimento di Cluny III intorno al 1100 la volta
acuta della nave centrale viene impostata molto in alto, riuscendo ad aprire al di sotto di essa una fila di
finestre. I pilastri a fascio scandiscono campate rettangolari, trovano una continuità nei costoloni della volta
a botte. La rivoluzione francese ha quasi completamente raso al suolo questa chiesa, che aveva una pianta
a cinque navate con terminazione a deambulatorio con cappelle radiali, due transetti con altre cappelle
orientate a numerose torri. Di essa resta soltanto il braccio sud del transetto maggiore con la sua grossa
torre ottagonale. Questo monumento prelude il gotico nello slanciare le campate a grande altezza. Ebbe in
seguito nella regione in alcune sue filiazioni dirette Paray-le-Monial ecc.
PARAY-LE-MONIAL _ 1100 _ TOURNUS
Ingresso articolato in campate. Navata centrale a campata rettangolare. All’incrocio
con il transetto scandito in campate, una volta ad ombrello. Terminazione diversa nei
due ambienti laterali. E’ presente il deambulatorio, questa chiesa fa parte delle
cosiddette chiese di pellegrinaggio. All’interno gli archi non sono a tutto sesto, tuttavia
verranno completate e trasformate nei secoli successivi. All’interno da segnalare
anche la presenza di alcuni archi a ferro di cavallo (elementi di sperimentazione), oltre
all’utilizzo degli archi acuti rintracciabili attraverso l’esilità delle murature. All’incrocio
articolazione in fasci di pilastri, che saranno standardizzati in età gotica. Da
sottolineare un elemento in più ossia la presenza di una sorta di finto matroneo
scandito mediante alcune aperture a trifora, si tratta di un registro intermedio tra gli
archi e le finestre (triforio) presenti al terzo piano. Infine nel deambulatorio vi è la
ricerca di classicità mediante la decorazione.
STE MADELEINE DE VEZELAY _ 1120 _ BORGOGNA
In questa chiesa vengono utilizzati pesanti costolonature trasversali bicrome a scandire le crociere delle tre
navi e una ricca decorazione nei capitelli, nella cornice orizzontale che separa i due piani dell’alzato e
attorno agli archi a pieno sesto. Questo a dimostrazione della non perfetta omogeneità architettonica
nonostante ci troviamo all’interno della stessa regione francese.
ST. PHILIBERT _ 980 _ TOURNUS
La pianta a tre navate con: navata centrale divisa in campate quadrate coperte con
volte a crociera, mentre quelle laterali in campate rettangolari coperte con volte a
botte. I pilastri cilindrici diversi, un coro con deambulatorio a cappelle radiali a
forma rettangolare. Al di sotto del coro possiamo trovare una cripta. Collocando la
sua struttura su una preesistente basilica, mediante delle botti traverse si cerca di
ovviare al problema di illuminazione che accompagna l’uso della copertura a botte,
messa di solito longitudinalmente, che scarica il proprio peso sulle pareti, le quali
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non possono essere alleggerite da grosse aperture. La chiesa presenta un nartece a tre navi (coperto a botti
trasversali con crociere centrali), pilastri cilindrici diversi, un coro con deambulatorio a cappelle radiali di
forma rettangolare.
ALVERNIA. Caratteristiche della scuola alverniate: pianta a tre navi con deambulatorio e cappelle radiali,
quasi sempre in un numero pari, copertura in pietra, a botte liscia nella nave centrale, a crociere nelle
navatelle, sormontate da tribune coperte a semibotte. L’ordine interno presenta l’alzato della nave
mediana a due ordini privo di matroneo. La decorazione all’interno è severa, all’esterno con colorazione;
particolarmente risulta la zona presbiteriale. L’Alvernia inventa il sistema delle semibotti rampanti sui
matronei per contrastare la spinta della botte centrale, eliminando l’illuminazione diretta tramite finestre.
Generalmente in fronte è adottato un nartece (tra due torri quadrate) con tribuna che affaccia verso
l’interno, nel transetto una cupola su trombe (esternamente a torre) e nel coro sopraelevato su cripta un
deambulatorio a cappelle radiali di numero pari. Il modello con qualche variante (volta costolonata,
cappelle radiali in numero dispari) è fatto proprio dalle chiese di pellegrinaggio. In particolare nel Saint
Sernin di Tolosa.
SAINT SERNIN _ ALVERNIA
La più grande costruzione romanica francese dopo Cluny, la parte presbiteriale all’esterno si presenta come
proliferazione di elementi definiti a vari stati di crescita, dalle più basse cappelle esterne all’alta torre
poligonale del transetto, la quale pare denunciare al suo interno una nuova embrionale proliferazione
attraverso i numerosi piani in cui essa è divisa.
POITOU. Caratteristiche della scuola: pianta a tre navi con deambulatorio a cappelle radiali, copertura in
pietra, a botte nella nave mediana, a botte o crociere nelle navatelle. L’ordine interno ha solo arcate (ne
triforio ne finestre) che dividono la nave dalle alte navatelle tramite colonne o pilastri a quadrifoglio. La
decorazione è ricchissima nelle facciate, che hanno una forma a capanna, porte arcuate a piani decrescenti
e campanili a terminazione conica rigonfiata.
PERIGORD. Caratteristiche della scuola, detta anche dell’Aquitania: pianta a una sola nave divisa in campate
quadrate e priva di deambulatorio, copertura a cupole su pennacchi (talvolta a crociere). L’ordine interno
ha soltanto finestre sulle pareti, alle quali si addossano i pilastri quadrati o le colonne che reggono la
copertura. La decorazione è rara. Il prototipo di questo tipo di chiesa a nave unica coperto con cupole
possono essere considerati il Saint Etienne a Périgueux.
SAINT’ETIENNE _ PERIGUEUX
Questa chiesa a tre vani di cui uno maggiore, al quale ne è stato addossato uno ancora più grande, presenta
arcatelle vicino al muro che simulano navate laterali.
SAINT FRONT _ PERIGUEUX
Ma l’esempio più caratteristico della regione è dato dal Saint Front, che come San Marco di Venezia, ha per
modello architettonico la chiesa dei SS Apostoli di Costantinopoli. Però a Saint Front mancano i matronei e
il rivestimento musivo; l’impianto di tipo centrale a cinque cupole presenta due cappelle orientate nel
transetto e i quattro piloni centrali composti da quattro pilastri quadrati ciascuno.
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ITALIA. Con l’XI secolo, alla produzione architettonica dell’occidente europeo si aggiunge una fioritura di
qualificate creazioni italiane, con originali caratteristiche “regionali”. Le opere dell’Italia del nord sono le più
vicine al romanico europeo. Nel romanico confluiscono vari fattori, tra cui essenziale è l’incontro tra tipi e
forme occidentali e quelle del mondo greco. Nelle costruzioni del romanico italiano le volte appaiono in
ritardo a sostituire le copertura originali in legno. Più forti nel centro Italia, le permanenze tradizionali si
legano alle rivendicazioni del papato contro l’impero tedesco. In Toscana tendenze classiciste danno luogo
fin dalla prima metà de secolo XI ad un romanico di tipo particolare; a Pisa e nelle città costiere viene
creato un nuovo stile, più aperto ad influssi stranieri.
LOMBARDIA. L’architettura lombarda, pur nella sua varietà, è caratterizzata da costruzioni massicce,
coperte per lo più a volta, con murature scandite da lesene verticali collegate da arcatelle cieche. Il
monumento principale è il Sant’Ambrogio a Milano.
S. AMBROGIO _ 1080 _ MILANO
La basilica di Sant'Ambrogio è una delle più antiche chiese di Milano.
Edificata tra il 379 e il 386 per volere del vescovo di Milano
Ambrogio, fu costruita in una zona in cui erano stati sepolti i cristiani
martirizzati dalle persecuzioni romane. L'impianto a tre navate, senza
transetto, tre absidi corrispondenti e quadriportico, anche se ormai
non serviva più a ospitare i catecumeni, ma come luogo di riunione. Il
tiburio fu aggiunto verso la fine del XII secolo ma crollò ben presto
(1196): venne subito ricostruito, con la particolare conformazione
esterna caratterizzata da gallerie con archetti su due registri
sovrapposti. L'interno venne strutturato secondo le più avanzate
novità d'Oltralpe, con l'uso di volte a crociera a costoloni, nelle quali
ogni elemento confluisce in una struttura portante apposita, con
un'architettura rigorosa e coerente. In sostanza, ogni arco delle volte
poggia su un semipilastro o una semicolonna propria, poi raggruppati
nel pilastro a fascio, la cui sezione orizzontale non è quindi casuale,
ma legata strettamente alla struttura dell'alzato. Le volte delle
navate laterali, con campate di dimensioni pari alla metà del lato di
una campata nella navata centrale, poggiano su pilastri minori e
reggono i matronei. Questi ultimi occupano tutto lo spazio
eventualmente disponibile per il claristorio: lo sviluppo in altezza ne
risulta bloccato ma, coerentemente con lo sviluppo complessivo, la
luce si tende lungo l'asse maggiore e passa dalle finestre della
facciata e dal tiburio. Il materiale di costruzione è povero,
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VENETO. Nelle città dell’entroterra, più vicine ad influssi di tipo occidentale, le forme lombarde acquistano
valori di superficie, come nel San Zeno di Verona. Tra le principali costruzioni ricordiamo:
SAN MARCO _ 1094 _ VENEZIA
La particolare dipendenza di questa chiesa dall’oriente è attestata dal fatto che per la sua ricostruzione
furono appositamente chiamati architetti bizantini. La chiesa, a croce greca con cinque cupole, ha come
modello i SS. Apostoli di Costantinopoli di epoca giustinianea. La tipica costruzione con paramento di
mattoni all’esterno rivestimento di musaici interni, viene qui modificata dal rivestimento esterno delle
cupole, rialzate con la costruzione della facciata, il cui nartece su tre lati fu creato in occasione della nuova
sistemazione della piazza antistante.
SAN ZENO _ 1120 _ VERONA
Il San Zeno ha un impianto a tre navate, con sostegni alternati, e vasta
cripta (il coro è posteriore); sulle pareti della nave centrale, prive di
matronei, si aprono piccole finestre di sensibilità “paleocristiana”, il
soffitto è ligneo. La facciata, che sembra ispirarsi al Duomo di
Modena, ha perso ogni materialità: lesene sottili scandiscono il
prospetto che presenta un protiro centrale e una fila orizzontale di
bifore poco profonde.
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EMILIA ROMAGNA. In questo caso la costruzione già citata del Duomo di Modena come costruzione
esemplare.
DUOMO DI MODENA _ 1190 _ MODENA
Il Duomo di Modena ha la pianta a tre navi di tipo basilicale; i sostegni
sono alternati e le campate scandite nella nave maggiore sono quadrate,
non chiuse in alto da crociere, ma da un soffitto ligneo. Ne risulta esaltato
il valore della parete verticale, scandita ritmicamente dai pilastri, che
accoglie per ogni campata due arcate, due finti matronei a triforio e due
finestre. Il ritmo dei trifori è riportato all’esterno, e prosegue nelle absidi;
la facciata ripropone l’organizzazione dell’interno: su di essa prosegue il
loggiato a trifora racchiusa da un arco, e due pilastri scandiscono la
larghezza e l’altezza della nave centrale.
TOSCANA. La Toscana è tra le regioni italiane la più ricca di contributi al romanico. Il romanico pisano,
derivato dagli scambi, via mare, con l’oriente e dal nuovo linguaggio dei Lombardi, crea un’architettura
particolare che sarà diffusa dall’egemonia della repubblica marinara di Pisa. L’uso di numerosi piani di
gallerie ad archetti, di decorazione bicrome e a losanga, porta alla creazione di un nuovo tipo di facciata,
inaugurato con il Duomo di Pisa.
DUOMO DI PISA _ 1063 _ PISA
L'edificio che in origine era a croce greca con all'incrocio dei bracci una
grossa cupola, oggi è a croce latina a cinque navate con abside e transetto a
tre navate, all'interno suggerisce un effetto spaziale simile a quello delle
grandi moschee islamiche, grazie all'uso di archi a sesto rialzato o a sesto
acuto, all'alternanza di fasce in marmo bianche e nere e all'insolita cupola
ogivale su pianta ellittica, delimitata da due archi trasversali e dai ponti che
permettono il passaggio tra i matronei del presbiterio e quelli delle navate.
La presenza dei due matronei rialzati nelle navate, con le solide colonne
monolitiche di granito, è un
chiaro segno di influenza
bizantina. L’isolamento dei due
bracci del transetto, è dato dal
proseguimento della parete
bicroma della nave centrale, scandita da arcate su colonne,
matronei e finestrelle al di sotto della copertura. La cupola a
pianta ovale elevata all’intersezione fra transetto e navata
presenta trombe e brevi pennacchi che si innalzano su stretti ed
alti arconi a sesto acuto. L'interno è rivestito di marmi bianchi e
neri, ha un soffitto a cassettoni dorati seicenteschi, in legno dorato e dipinto. La facciata di marmo grigio e
bianco, decorata con inserti di marmo colorato. I tre portali sottostanno a tre ordini di loggette divise da
cornici con tarsie marmoree, dietro i quali si aprono monofore, bifore e trifore. Il trattamento murario
esterno della chiesa scandito da arcate cieche su lesene, raddoppiate nell’ordine superiore trabeato
replicate sulla parete della nave principale. Il tipo di facciata riprende il motivo delle arcate cieche dei
fianchi della chiesa (mettendole su colonne) e ha sopra quattro ordini di gallerie ad archetti, che seguono la
variazione di larghezza e la linea di pendenza della copertura.
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PUGLIA. La rielaborazione di modelli lombardi prende avvio dal San Nicola di Bari.
CHIESA DI SAN NICOLA _ 1125 _ BARI
La costruzione della chiesa del San Nicola di Bari viene ad assumere per
l’architettura pugliese la stessa importanza che il Sant’Ambrogio riveste
in Lombardia. Il San Nicola di Bari ha una pianta a tre navate slanciate, tre
absidi non denunciate all’esterno della parete muraria e un transetto su
cripta. L’alzato a tre piani è di tipo lombardo (colonne e pilastri, matronei
e sopra finestre), come gli archetti pensili in facciata e le logge dei fianchi;
invece la copertura della nave centrale a tetto e le finestre in alto, si
riallacciano alla tradizione basilicale. Nella facciata le due torri laterali
(incompiute) hanno un carattere normanno, i pilastri verticali (che
scandiscono la larghezza della nave maggiore), il protiro (schiacciato) e le
bifore, presentano influssi modenesi; motivi bizantini traspaiono nella
lavorazione dei capitelli e nella decorazione di alcuni portali (ad arco
rialzato).
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8. ARCHITETTURA GOTICA
Il termine gotico fu coniato soprattutto dalla critica rinascimentale italiana che trovava barbarica “gotica”,
quella maledizione di tabernacolini (Vasari) esplosa oltralpe. Il carattere gotico è eminentemente
sovranazionale, ma per la critica moderna il concetto di gotico è fondato su un insieme di dati tecnici,
formali e storici. Il gotico è la forma più evoluta raggiunta dall’arte medievale. L’attività edilizia gotica è
immane: l’Europa è tutto un grande cantiere nel quale sono impiegate masse enormi di cittadini. Emerge
“l’individualità” del singolo, perché l’arte medievale non isola l’uomo. Il secondo tratto distintivo è la
razionalità. La grandiosità delle costruzioni gotiche, religiose e civile, ed il loro rapporto con il resto
dell’edilizia abitativa, ci indurrebbe a credere ad una illogicità di scala, ad una mancanza di armonia, ma il
rispetto dalla scala umana che ritroviamo nelle connessioni tra le parti, fuga questi sospetti: il
monumentale gotico, controllato com’è da una fredda logica costruttiva, non è segno di fuga dalla realtà, e
la logica costruttiva è talmente determinata dalla realtà tecnica dai materiali, dalla mano d’opera che
l’interdipendenza di forme e contenuti è assicurata nella maniera più concreta.
Possiamo dire che l’inizio della sua rapida affermazione corrisponde alla metà del XII secolo e che la sua
diffusione perdura per tutto il Medioevo. E’ più facile stabilire una sua mappa grossolana, che è quella
dell’area culturale religiosa dove operò il Cristianesimo, si tratta grossomodo dell’Europa occidentale. Il
quadro storico-politico è quello creatosi dopo la “rinascita dell’anno mille”. Come la diffusione del
romanico era avvenuta nel periodo in cui, dopo la fine delle invasioni barbariche l’economia europea e
tutta la società aveva iniziato una fase di riassestamento e di espansione, il fenomeno gotico si sviluppa nel
contesto della stabilizzazione della politica europea e della creazione dei grandi stati nazionali.
Una costruzione gotica tradizionale presenta almeno tre elementi inconfondibili: l’arco ogivale; l’arco
rampante ed uno spiccato verticalismo. E’ necessario sottolineare che queste ad altre caratteristiche del
gotico esistevano già, talora chiaramente, a volte in embrione, oppure solamente come problematica.
Possiamo intendere l’architettura gotica, come conclusione di una serie di esperienze precedenti, e come
soluzione di problemi lasciati aperti dal romanico. L’ogiva (arco acuto) è orientale di parecchi secoli prima,
infatti l’architettura islamica la impiegava diffusamente già dal VII secolo. L’arco ogivale presenta una serie
di vantaggi rispetto all’arco acuto a tutto sesto; fondamentale il fatto che la risultante delle spinte generate
dal peso proprio e dai carichi gravanti su di esso, cade molto più vicino alla base del piedritto di quanto non
cada la risultante di un arco tradizionale. Il secondo vantaggio è la possibilità di coprire con una volta a
crociera qualunque pianta. L’incrocio di due volte a botte di differente diametro, quindi la copertura di una
pianta non quadrata, non avrebbe reso possibile alcuna crociera, mentre l’introduzione dell’ogiva risolve il
problema. Si deve aggiungere un particolare, cioè la presenza di una nervatura o costolone, anch’esso
derivato da esperienze romaniche. Questo è un elemento autoportante, è lo scheletro, l’ossatura di una
crociera che anche se contempla parti “gettate”, non è più monolitica e quindi scarica le sue spinte
incanalandole entro queste linee di forza che giungono quasi sempre a terra.
Anche gli archi rampanti hanno un origine precedente, essi nascono dalla necessità di controbilanciare le
spinte di una navata centrale molto alta e di ricondurle
verso i contrafforti delle altre navate. All’inizio essi erano
quasi sempre dei puntoni, ma questo tipo di arco
controbilanciava le spinte della navata maggiore in un
punto troppo basso; fu allora sostituito o affiancato da un
altro, che partendo da un punto più alto innalzato
liberamente, veniva lanciato nel vuoto al di sopra del tetto
della navata laterale. Gli ampi studi condotti nell’800 da
Viollet-le-duc, hanno fatto concludere che il sistema
costruttivo gotico è un vero impianto costituito da
scheletro portante e da tamponamenti, corrispondente
alla moderna tecnica del cemento armato, diventa chiaro il
processo di svuotamento delle pareti operato dal XII
secolo in poi. A partire dall’arco ogivale che generava un
nuovo rapporto tra larghezza ed altezza, è evidente come
l’architettura gotica si sviluppasse molto in senso verticale.
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La novità più originale dell’architettura gotica è la scomparsa delle spesse masse murarie: il peso della
struttura non viene più assorbito dalle pareti, ma veniva distribuito su pilastri all’interno e nel perimetro,
coadiuvati da strutture secondarie come archi rampanti e contrafforti. Lo svuotamento della parete dai
carichi permise la realizzazione di pareti di luce, coperte da magnifiche vetrate, alle quali corrispondeva
fuori un complesso reticolo di elementi portanti.
Gli archi rampanti, i pinnacoli, i piloni esterni, gli archi di scarico sono tutti elementi strutturali che
contengono e indirizzano al suolo le spinte laterali della copertura, con conseguente alleggerimento delle
murature di riempimento, che presentano un numero maggiore di aperture.
Gli edifici svuotati dal limite delle pareti in muratura, poterono svilupparsi in uno slancio verticale,
arrivando a toccare altezze ai limiti delle possibilità statiche. Strumenti essenziali per lo sviluppo aereo
furono: l’uso di archi a sesto acuto, che permette di scaricare i pesi sui piedritti generando minori spinte
laterali rispetto ad un arco a tutto sesto; la volta a crociera ogivale, che può creare campate anche
rettangolari; gli archi rampanti innestati su contrafforti esterni, che ingabbiano la costruzione disponendosi
dinamicamente intorno a navate ed absidi.
In Inghilterra si ebbe in seguito un ulteriore sviluppo della volta a crociera, con la volta a sei spicchi e poi a
raggiera o a ventaglio, tutte soluzioni che permettono una migliore distribuzione del peso e quindi una
maggiore altezza.
L’obiettivo di rendere gli interni degli edifici sacri e luminosi e ampi è raggiunto grazie all’utilizzo dei principi
costruttivi della volta a crociera e dell’arco a sesto acuto. L’integrazione di queste due tecniche permetterà
la costruzione di flessibili campate rettangolari e la costruzione di organismi architettonici puntiformi,
dando ai muri esterni solo funzione di tamponamento.
Nella disposizione interna si diffonde il modello della chiesa a sala, cioè con le navate laterali di uguale
altezza rispetto a quella centrale. Ciò fa si che la luce non sia più dall’alto, ma provenga dalle pareti laterali,
illuminando in modo omogeneo tutto l’ambiente.
L’architettura gotica più importante è, senza dubbio, quella francese. È possibile individuare una località e
un padre di questa architettura. La ricostruzione del coro dell’abbazia di Saint Denis nel 1144, nell’Ile de
France, per opera dell’abate Suger, è generalmente considerata come la nascita di questa architettura,
caratterizzata dall’uso di tecniche costruttive già note, ma in un sistema coerente e logico e con nuovi
obiettivi estetici e simbolici, che di li a poco si diffonderà in tutta la Francia e poi nel resto d’Europa.
L’estetica che trova nell’architettura gotica una delle sue maggiori realizzazioni, ha nella matematica e nella
geometria la sua fondazione. Le proporzioni dell’edificio sacro non sono casuali,ma derivano dalla visione
dell’arte come scienza, ricerca dei rapporti geometrici che stanno alla base del cosmo e che sono ritenuti di
origine divina. Dopo la cattedrale di Durham, che costituisce in notevole misura l’anello di congiunzione con
il romanico, il coro della chiesa abbaziale di Saint Denis è il primogenito del nuovo stile. E non si tratta solo
dell’impiego di una nuova tecnica costruttiva, limitata all’impiego sistematico dell’arco ogivale; la novità
consiste anche nel consapevole alleggerimento delle masse murarie, modellate ad offrire una differente
fruizione della luce.
CORO DI SAINT DENIS _ 1144 _ PARIGI
Iniziata nel 1130 presenta una facciata con due torri (di cui una è ora
mancante), facente parte di un nartece a piani che si ricollega chiaramente al
westwerk preromanico. Il coro è composto da un doppio deambulatorio con
archi acuti, volte a costoloni e cappelle radiali attorno ad un abside, ma la
novità è la sostituzione delle pesanti pareti divisorie con snelle colonne, così
che lo spazio poteva fluire liberamente in un gioco di luci e ombre, creando
una tensione verticale che è l’essenza stessa del gotico. Il nuovo capocroce
era nobilitato dalle belle proporzioni in lunghezza ed in larghezza e che la
parte mediana dell’edificio si elevava da dodici colonne. Il coro appare come
una struttura leggera ed aerea decorata senza sfarzo. Il doppio
deambulatorio è coperto: quello più interno da volte a crociera su pianta
quadrilatera irregolare, mentre quello più esterno che genera sette piccole
cappelle radiali a forma trapezoidale è su crociera a cinque costoloni.
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Dopo l’esempio di Saint Denis esplose nell’Ile de France un’intensa attività edilizia che interessò un gran
numero di chiese, tra le quali la cattedrale di Laon o Notre Dame di Parigi.
A partire da Noyon, quest’ultimo un edificio complesso. La pianta presenta un transetto con i bracci
arrotondati, la cui idea proviene da modelli dell’impero. Le crociere sono esapartite, con l’alternanza di
pilastri e colonnine. Segue la cattedrale di Laon.
CATTEDRALE DI LAON_ 1160_ PARIGI
A Laon l’elaborazione va oltre. L’alzato è di pochi metri più alto
e lo schema parietale è identico, ma nella scansione delle
campate, malgrado la volta esapartita, c’è già il rifiuto
dell’alternanza di Noyon. Manifesta una gaiezza esuberante e
pittoresca, particolare memorabile è lo schieramento a cinque
torri di cui: una coppia in facciata, una su ogni transetto e una
all’intersezione fra navata e transetto. La pianta è più grande
ed elaborata, ed il corto coro iniziale viene sostituito nel 1205
con uno più allungato a terminazione rettilinea.
L’incrocio tra navata e transetto individua il tiburio formato da una crociera ad otto spicchi. L’importanza
dell’edificio, sottolineata da una pianta complessa e da un’abbondante decorazione scultorea, è accresciuto
dall’apporto di elementi stranieri come la torre lanterna, i rosoni delle facciate e la terminazione tronca del
coro all’uso inglese. L’alzato è a tre piani ed è dotato di profondi matronei.
NOTRE DAME _ 1163 _ PARIGI
Le esperienze di Noyon e Laon vengono messe a frutto nella cattedrale più grande dell’epoca, Notre Dame
a Parigi. Il progetto è qui più ambizioso e lo dimostra la pianta a cinque navate. I lavori cominciarono dal
coro, che fu terminato nel 1182 insieme alla navata, mentre la facciata principale, rivolta verso ovest, fu
portata a termine intorno al 1200, con le torri campanarie gemelle
completate tra il 1225 e il 1250.
Si tratta di una chiesa a pianta rettangolare, col transetto contenuto
all'interno del perimetro dell'edificio; lo spazio interno, caratterizzato
dalla presenza di numerose cappelle laterali e radiali, è quindi articolato
secondo una pianta a croce latina, con cinque navate che si chiudono,
nella zona absidale, con un doppio deambulatorio coperto da un gioco di
sezioni triangolari. La navata centrale è costituita da cinque doppie
campate, definite da massicci pilastri circolari sui quali sono impostati gli
archi a sesto acuto. Al di sopra delle navate laterali più interne si trova il
matroneo, schermato da eleganti trifore e sormontato da ampie bifore,
una per ogni campata, che danno luce all'interno (anche se insufficienti
ad una buona illuminazione). La copertura è costituita da volte a crociera
esapartite con eleganti costoloni. L'abside è stato edificato durante la
prima fase della costruzione, ed è costituito da un semicerchio ed è situato nella parte orientale della
cattedrale. All'esterno l'abside è circondato dai grandi archi rampanti, che continuano lungo la navata. Tutti
i pilastri, ancora più unificati, terminano su una lunga serie di colonne tutte uguali.
La facciata occidentale è uno degli elementi più conosciuti dell'intero complesso. Essa è suddivisa in tre
livelli distinti: i portali fortemente strombati, con il loro ricco apparato scultoreo, il rosone, affiancato da
due finestroni ogivali, e le due torri gemelle, raccordate tra loro da una leggera teoria di colonne ed archi
intrecciati. Da sottolineare il transetto raccorciato che non emerge dalla larghezza delle navate e le cappelle
incastrate tra i contrafforti.
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Per età classica s’intende la fase nella quale tutti i caratteri essenziali dello stile hanno raggiunto la loro
compiutezza e si presentano nella maniera più adulta. Questa fase si inaugura dopo cinquant’anni di
esperienze, con la cattedrale di Chartres.
CATTEDRALE DI CHARTRES _ 1194 _ PARIGI
La cattedrale di Chartres, chiesa cattedrale consacrata alla
Vergine, è il più celebre monumento di Chartres ed è considerata
uno degli edifici religiosi più importanti del mondo. Il fattore
decisivo che la fa prevalere tra le altre cattedrali francesi è il suo
buono stato di conservazione, specialmente delle sculture e delle
vetrate. Questa cattedrale si riconosce facilmente a causa della
grande differenza tra le sue due torri, la torre sud è dotata di una
base tipicamente gotica e sormontata da una guglia molto
semplice, mentre quella a nord è costruita in epoca più tarda e di
architettura più complessa.
La pianta ha un corpo occidentale relativamente corto nei
confronti del coro: sette campate contro quattro. Il corpo
orientale è più grandioso del solito, ma la pianta non mostra
grosse particolarità al di fuori di una evidente maturazione
delle componenti: l’abside ricalca lo schema di Saint Denis, la
facciata presenta le due solite torri., il transetto sviluppa i
suoi bracci in funzione monumentale autonoma. E’
nell’alzato che l’architetto dimostra la sua originalità. La
crociera raggiunge la sua forma matura con l’abbandono
della forma esapartita: in ogni campata, ad ogni crociera
della navata centrale corrisponde una sola nelle laterali. Viene eliminato il matroneo: con ciò l’architetto
può progettare una superficie finestrata maggiore, ma la grossa innovazione consiste nella maturazione
tipologica dell’arco rampante: questo diventa un elemento necessario, parte integrante e irrinunciabile di
tutto il meccanismo statico. All’interno ne risulta una scansione a tre piani della parete, con un triforio che
separa le arcate ed il claristorio di uguale ampiezza. L'interno si caratterizza per l'armonia e l'eleganza delle
proporzioni. La navata è contraddistinta di pilastri polistili, che dal pavimento giungono alla linea d’imposta
delle volte, dove si fondono con le nervature.
L’influenza esercitata da questa chiesa fu grandissima ed è riconoscibile nelle due grandi cattedrali del
nord, Reims e Amiens.
CATTEDRALE DI REIMS _ 1194 _ PARIGI
La cattedrale assunse l'aspetto attuale entro la fine del XIII secolo, rimanendo incompiuta:
delle sette torri inizialmente progettate (due per ognuna delle tre facciate più una a
coronamento del punto d'intersezione tra navata centrale e transetto), tutte sormontate da
alte guglie secondo l'idea originaria, furono erette solamente quelle del lato ovest, lasciate
tuttavia prive della copertura a cuspide.
La facciata è la parte più bella dell'edificio, e uno dei grandi capolavori del
medioevo tre portali sono ricoperti di statue di grandi e piccole proporzioni. Il
portale centrale è sormontato da un rosone, laddove la lunetta risulta
solitamente ornata, nel panorama gotico, con motivi scultorei in tutto il suo
spazio. Una simile scelta, adottata anche per i portali minori, garantisce
maggiore illuminazione alle navate poste in corrispondenza di detti ingressi. I
portali aggettanti, sormontati da ghimberghe, che individuano gli accessi.
L'interno comprende una navata centrale con navate laterali, transetti con navate, un coro
con doppie navate e un abside con deambulatorio e cappelle disposte a raggiera. L’alzato a
tre ordini, le volte quadrilobate, i pilastri polistili e gli archi rampanti. Sono reperibili i primi
esempi di trifori a giorno: nei trafori piani le aperture sono ritagliate nella pietra massiccia in
modo che resti dominante la superficie muraria, nei trafori a giorno le bifore formano
un’unica apertura vetrate sormontata da un oculo circolare con un traforo esalobato, in cui i
partiti a giorno hanno sostituito quasi interamente i volumi pieni.
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CHIESA ABBAZIALE _ 1220 _ AMIENS Uno degli esempi più chiari del gotico, non esiste più il
matroneo, il triforio ha proporzioni diverse, come anche
per il claristorio. Tre navate nel corpo longitudinale e
cinque nel corpo del coro, sette cappelle radiali con quella
centrale che viene evidenziata anche all’esterno. I
sostegni presenti nelle campate interne sono sostegni più
piccoli rispetto a quelli laterali, tutti della stessa
grandezza, 42 metri l’altezza dell’edificio mentre 112
Giungiamo alla chiesa di Amiens uno degli esempi più
metri l’altezza della guglia. Sopra le volte un importante
sistema di capriate a proteggere appunto la struttura
sottostante.
CHIESA ABBAZIALE _ 1282 _ ALBI
Ad Albi la prima chiesa gotica costruita interamente in mattoni. Diverse crociate si susseguono all’interno
della Francia, una delle quali vede impegnato il popolo degli albigesi. Questa chiesa, appunto, è costruita
come una struttura di difesa, un arroccamento. Grossi contrafforti in setti murari, all’esterno gli archi
rampanti fungono da paramento per questi sforzi.
CATTEDRALE DI SAINT PIERRE de BOUVAIS _ 1247 _ BOUVAIS
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IL GOTICO IN INGHILTERRA
E’ certo che dopo i primissimi esempi francesi, l’ogiva compì il suo viaggio di ritorno attraverso la Manica. E’
evidente però che però che l’isola elaborò il suo gotico in maniera del tutto autonoma. Gli inglesi non
soggiaciono ad un periodo di apprendistato e rapidamente adottarono il nuovo stile, pur non accettando
mai alcuni aspetti fondamentali del gotico francese, videro il gotico non come un sistema alternativo di
decorazione, non comprendendo il senso di ciò che i francesi stavano facendo. Dal punto di vista tipologico
apportarono contributi ed innovazioni notevoli. Una spiccata tendenza alla chiarezza geometrica portò a
piante dal rigido schema ortogonale, che impose l’abside tronca; una tendenza quasi opposta, mirante ad
interpretare la cattedrale come un complesso polifunzionale, è denunciata da piante sovraccariche di
proliferazioni e di edifici annessi, mentre per ragioni liturgiche il coro diventa un elemento più complesso.
Dal punto di vista strutturale quello che veramente di gotico viene accettato, lo si esplora fino alle estreme
conseguenze: il doppio muro viene impiegato persino a terra (Canterbury), la parete subisce il massimo
svuotamento, le nervature si moltiplicano.
E’ d’uso distinguere il gotico inglese in tre periodi corrispondenti a tre fasi di elaborazione: l’early english; il
decorated; ed il perpendicular. Nel primo si riconoscono due momenti, quello primitivo e quello maturo.
Per il gotico primitivo e noto l’esempio di Canterbury.
CATTEDRALE DI CANTERBURY _ 1174_ INGHILTERRA
Il coro fu uno dei primi grandi edifici gotici del paese. La struttura gotica è sopra la
vecchia cripta e nell’ambito delle pareti esterne superstiti delle navatelle del precedente
coro. Questo alzato gotico su tre piani, con volte costolonate esapartite in pietra, le
semicolonne, i capitelli scolpiti a foglie di acanto, gli archi acuti e il deambulatorio
semicircolare esercitarono una notevole influenza. La cattedrale è dotata di un
camminamento ricavato nello spessore della parete davanti alle finestre del claristorio.
Le semicolonne in marmo nero levigato, contrastanti per colore e consistenza delle
superfici in pietra più chiara delle pareti divennero un elemento permanente del gotico
inglese autoctono. Nel 1178 venne realizzata la Trinity Chapel nell’abside e la corona
circolare alla sua estremità, destinate a santuario. Il coro dei monaci, con pilastri
alternativamente circolari e ottagonali, è trattato in modo differente dall’adiacente
presbiterio che ospita l’altare maggiore, dove i pilastri sono dotati di semicolonne, nella
trinity chapel le colonne sono binate, mentre nella corona i pilastri sono sostituiti da
colonne incassate in marmo nero.
Al periodo maturo si ascrive l’abbazia di Westminster (1245). Nella cattedrale di una famiglia regnante di
origine francese, ritroviamo alcuni influssi d’oltre manica come il coro poliabsidato, opposto alla tradizione
inglese della cappella assiale unica, e tutta una tensione ascensionale, un rapporto tra larghezza ed altezza,
tipicamente francesi.
DECORATED: questa seconda fase è caratterizzata dall’introduzione delle finestre ornate a traforo. Invaghiti
dalle immense vetrate, gli inglesi preferirono ormai stabilmente le terminazioni tronche; la massa muraria
si affievolì ancora e la decorazione, da autonoma, diventò componente della struttura. Il nuovo gusto
testimoniato dalla cattedrale di Salisbury (prima metà del XIII secolo) ed affermato nel nuovo coro della
cattedrale di Wells, può essere esaminato nella cattedrale di Exeter. A Salisbury è nota la grande torre e la
finestratura. Il sistema di transetti scandisce in due parti l’edificio. Le torri a volte verranno completate nel
1800.
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IL GOTICO NEL SACRO ROMANO IMPERO: la resistenza apposta alla diffusione del gotico fu forte,
determinata da vari motivi. La presenza di una marcata tradizione locale che si estendeva dal carolingio al
romanico. In altre zone dell’impero l’opposizione dipese dal materiale locale, il mattone, che certamente
non si adattava ai canoni costruttivi francesi, la resistenza cessò quando i costruttori riuscirono a trovare un
linguaggio valido anche per questo materiale: appunto il “gotico del mattone”. Saranno necessari tre qurti
di secolo perché, all’inizio del XIII secolo, si affermi il modello borgognone all’interno stesso del movimento
cistercense. Fra i più notevoli esempi prodotti citiamo l’le abbazie austriache. Nella seconda direttrice,
alcuni studiosi riconoscono un periodo di transizione, molti elementi sono propri di una fase di passaggio;
un esempio l’abbazia di Limburg sulla Lahn, dove c’è una più avanzata acquisizione di elementi gotici; si
nota il rosone e lo schema ad alte torri come a Laon; l’alzato è a quattro piani, ma la struttura della volta
esapartita ed il trattamento del matroneo e del triforio richiama una concezione estetico-costruttiva del
tutto romanica.
LA DIFFUSIONE DEI MODELLI FRANCESI:
Marburg sulla Lahn costituisce un elemento di diffusione dello stile francese. La chiesa di Sant’Elisabetta,
del 1235 costituisce un contributo germanico all’elaborazione gotica.
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IL GOTICO IN ITALIA: opere architettoniche diverse da quelle del resto dell’Europa sono state edificate in
Italia nel periodo gotico. L’exploit del gotico in forme particolarmente ricche e splendide si era avuto in
Francia, con le grandi cattedrali. Questo stile si è, in Inghilterra soprattutto, svincolato da una stretta
aderenza al discorso costruttivo, sviluppando temi basati sul virtuosismo di forme decorative. In Italia
invece nelle opere gotiche realizzate nei secoli XIII e XIV vengono condotte ricerche diverse dalle
espressioni delle altre aree europee. Si utilizzano forme gotiche completamente trasformate: è usato l’arco
a sesto acuto senza però arrivare alla formazione dello spazio gotico tipico delle cattedrali francesi, nelle
quali i costruttori convogliano i carichi lungo determinate linee in modo da poter svuotare il più possibile le
pareti e inondare lo spazio di luce attraverso vetrate colorate. Non si ha il gusto dello spazio dissolto per
mezzo della luce, ne si ricercano altezze o lunghezze eccessive. Il volume esterno appare chiaro e unitario,
non viene frantumato da archi rampanti, elementi scultorei e altri motivi architettonici. Nell’interno poi si
rivela sovente ancora l’uso delle capriate, strumenti costruttivi paleocristiani. Non si ricerca tanto la
continuità formale tra pareti e copertura quanto la creazione di uno spazio vasto e unitario nel quale le
navate laterali addirittura costituiscano un ampliamento della navata principale e formino con essa un tutto
unico; da un numero limitato di campate. Si osserva infine riguardo all’architettura civile che per questa gli
architetti si servono di un linguaggio ancora legato nel complesso al romanico. Sull’architettura religiosa
influisce l’avvento degli ordini mendicanti francescani e domenicani. Componente fondamentale per
l’architettura gotica italiana è l’influenza del pensiero critico e delle teorie di San Bonaventura, o San
Tommaso d’Aquino domenicano, i quali essenzialmente recuperarono i criteri di proporzionalità della
cultura classica, in particolare romana basti pensare a Vitruvio. Una critica alle eccessive lunghezze e
altezze, pur realizzate quali espressioni tangibili dello slancio del popolo verso Dio. Committenti non sono le
monarchie, tranne che nell’Italia meridionale, l’ulteriore sviluppo dei comuni in rapporto con la liberazione
del popolo dal sistema feudale, che costituisce una delle cause sostanziali del fiorire dell’arte gotica italiana.
Un notevole impulso acquisiscono i comuni, che nel periodo gotico assume uno sviluppo maggiore. Tutta la
popolazione dei comuni nel periodo romanico e nel periodo gotico concorre con entusiasmo alla
costruzione dell’edificio comunale e della cattedrale quale casa di Dio e degli uomini, concreto segno della
conquistata libertà e dell’aspirazione al divino. I comuni gareggiano nel realizzare la chiesa di maggior
contenuto spirituale e artistico.
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Gran parte dell’architettura religiosa gotica italiana è riconducibile ad alcuni grandi gruppi costituiti dalle
abbazie dei benedettini-cistercensi, dalle chiese degli ordini mendicanti francescani e domenicani, delle
grandi cattedrali comunali. I benedettini-cistercensi sono i principali diffusori del gotico in Italia. Le loro
abbazie riflettono un ideale basato su una decisa osservanza della regola di San Benedetto, che prescriveva
oltre alla povertà di vita sia il lavoro intellettuale che quello manuale. Questo intento di essenzialità
assoluta, di una bellezza raggiunta con la nuda espressione architettonica delle linee, delle masse, dello
spazio va in parte visto in rapporto con l’essere le abbazie destinate essenzialmente ai monaci.
In Italia le abbazie dei benedettini-cistercensi tra le più famose: Chiravalle di Milano. Interessante l’esame
dell’organizzazione delle varie parti componenti le abbazie costituite dalla chiesa, dalla sacrestia, dal
chiostro, dalla sala del capitolo, luogo di riunione dei monaci e dell’abate, dal refettorio, dal dormitorio,
all’infermeria, costruzioni molto estese per le attività agricole. La disposizione riflette quella della famosa
abbazia di Fontenay.
Per quanto riguarda la pianta della chiesa cistercense italiana troviamo lo schema tipico. La chiesa è a tre
navate con transetto e coro rettangolare finacheggiato da cappelle. Negli esempi più sviluppati in senso
gotico è interamente coperta da volte a crociera con archi a sesto acuto poste su campate rettangolari o
quadrate. All’incrocio tra la navata principale e il transetto si eleva un tiburio molto alto a volte altissimo
per accogliere le campate essendo vietato il campanile. Occorre soffermarsi sul nucleo di dottrine estetiche
esposte da San Tommaso d’Aquino domenicano, il quale attribuisce alla bellezza tre caratteri fondamentali
e cioè l’integrità o perfezione, la proporzione o congruenza e infine la chiarezza o luminosità. E’ importante
non solo la forma ma anche il colore e quindi il tipo di materiale impiegato. La definizione tomistica di
bellezza come “integritas”, “proportio” e “claritas”, è il principio operativo di scelta artistica che sta alla
base della chiesa di Santa Maria Novella dei domenicani di Firenze.
CHIESA DI SANTA MARIA NOVELLA _ 1278_ FIRENZE
Santa Maria Novella, sorta sopra delle prime mura urbane, dove dovevasi sviluppare un popoloso quartiere,
la facciata della quale è stata realizzata nel quattrocento da Leon Battista Alberti è una chiesa a tre navate
con transetto sporgente coperta da volte a crociera nervate, avente la caratteristica della navata principale
costituita da poche campate, percepite di forma quadrata. La forma quadrata è valida per le prime più
vicine all’ingresso in quanto la distanza tra i pilastri a croce lobata diminuisce dalla facciata verso l’incrocio
tra navata e transetto. L’altezza delle navate minori è aumentata arriva fino a tre quarti di quella della
navata grande. In Santa Maria Novella le campate rettangolari delle navate minori sono pressoché fuse con
quelle della navata principale. Si raggiunge cosi uno spazio unitario, nel quale le parti sono completamente
fuse e in cui lo slancio verticale non eccessivo è anche equilibrato dall’ampiezza trasversale della navata
principale accresciuta dalla compartecipazione delle navate minori. Nel 1278 i frati domenicani danno inizio
alla costruzione della chiesa del loro convento cittadino, dedicata a Santa Maria Novella. L’edificio ha pianta
a croce commissa, con coro rettangolare fiancheggiato da cappelle che si aprono lungo il transetto.
All’interno si mostra spoglia di ornamenti, illuminata equamente ha le navate laterali di poco più basse
rispetto alla centrale.
Altra chiesa famosissima dei francescani, è Santa Croce di Firenze.
SANTA CROCE _ 1294 _ FIRENZE
Il Vasari evidenzia l’ampio respiro della navata di Santa Croce, ove pur di
realizzare una navata molto ampia si rinuncia al sistema delle volte e alla
continuità plastica tra pareti e coperture pur mantenendo forme gotiche come
l’arco a sesto acuto. La basilica di Santa Croce, nell'omonima piazza a Firenze, è
una delle più grandi chiese officiate dai francescani. Una delle massime
realizzazioni del gotico in Italia.
La grandiosa navata centrale è ritmata dalle colossali campate. I muri sottilissimi,
sostenuti da archi a sesto acuto su pilastri ottagonali. Il soffitto piano in legno
con capriate a giorno, ingannevolmente "francescano", richiese un complicato
congegno strutturale data l'enorme luce libera e il peso che rischiava di
soverchiare le sottili murature. L'interno, estremamente ampio e solenne, ha
una forma di croce "egizia" (o commissa) cioè a "T", tipico di altre grandi chiese
conventuali, con un transetto particolarmente esteso che taglia la chiesa
all'altezza dell'abside poligonale.
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Arnolfo, rispettando in qualche modo lo spirito francescano, disegnò una chiesa con una pianta
volutamente spoglia, con ampie aperture destinate all'illuminazione delle pareti.
La chiesa gotica di Santa Croce, tra le più famose chiese francescane, che rappresenta invece il punto
d’incontro tra le ricerche spaziali di Santa Maria Novella e le chiese a navata unica toscane.
La santa povertà abbracciata da San Francesco diventa dunque condizione concreta dell’operare
architettonico: San Francesco in Assisi non è ricoperta di ori e materiali preziosi, riprendendo la polemica
Bernardina contro il lusso delle chiese. Mirabili in essa sono gli affreschi di Giotto.
S. FRANCESCO D’ASSISI _ 1181 _ UMBRIA
L’ordine francescano considerava le chiese a sala più confacenti alla loro attività di predicazione.
Le due chiese sovrapposte, nel progetto iniziale, avevano navata unica con transetto sporgente e abside,
poi in seguito quella inferiore venne arricchita di cappelle laterali.
A ridosso del fianco absidale si alza l'altissima torre campanaria, con un gioco di cornici e archetti pensili
che ne spezzano la corsa verso l'alto.
La basilica inferiore era probabilmente un'aula rettangolare, nella sua semplicità vicina al modello
francescano.
La basilica inferiore ha la funzione di chiesa commemorativa, sottolineata anche dalla presenza della cripta.
Appare ancora quasi romanica: è priva di elevazione, le crociere sono larghe, i costoloni hanno una sezione
quadrangolare, i pilastri sono bassi e grossi per sostenere il grave peso della chiesa superiore. Ma che siamo
ormai in un periodo gotico è reso palese dal forte distacco dei costoloni dalle vele, che fa risaltare l'ossatura
in maniera più sentita che nel romanico.
La basilica superiore presenta una facciata semplice a "capanna". La parte alta è decorata con un grandioso
rosone centrale, mentre la parte bassa è arricchita dal maestoso portale strombato.
L'architettura interna mostra invece i caratteri più tipici del gotico italiano: archi a sesto acuto che
attraversano la navata, poggianti su semipilastri a fascio, dai quali si diramano costolature delle volte a
crociera ogivali e degli arconi laterali che incorniciano le finestre. La fascia inferiore è invece liscia. La
basilica francescana presenta un bilanciato equilibrio in alzato, con lo
slancio dei pilastri e delle volte interrotto dall'orizzontalità del ballatoio
che corre sotto le finestre, che dà un sofisticato ritmo di linee
perpendicolari. La chiesa è formata da uno spazio ad aula non diviso in
navate, le poche campate a pianta quadrata danno un ritmo ben
definito.
La basilica superiore è adibita alle funzioni liturgiche di carattere
ufficiale, come testimonia la presenza del trono papale nell'abside.
longitudinale. La struttura a marmi policromi si armonizza cromaticamente con gli edifici vicini, campanile
e battistero, ma tradisce la sua modernità nell'eccessivo zelo tipicamente ottocentesco, caratterizzato da
una sovrabbondante presenza di decorazioni. Inoltre, rispetto ai fianchi della cattedrale, fu utilizzata una
proporzione maggiore di marmo rosso di Siena, per motivi patriottici legati al tricolore della appena
riunificata Italia.
CHIESA DELLA SPINA _ 1200 _ PISA
Con questa chiesa si assiste al moltiplicarsi degli oratori, ossia di piccole chiese che non hanno
funzionamento regolare. Queste “miniature” riproducono le chiese e le cattedrali, vi è una spiccata
miniaturizzazione dell’ambiente sacro.
DUOMO DI SIENA _ 1230 _ SIENA
La facciata con tre profondi portali, nicchie e statue che le danno
un movimento drammatico. La facciata non ha un eccessivo
slancio verticale e risulta una composizione basata sull’equilibrio
tra le varie dimensioni. È suddivisa in due parti: quella inferiore
con tre portali strombati e quella superiore di coronamento con
tre cuspidi. La presenza di rivestimenti marmorei a fasce bianche
e scure segue la tradizione toscana, questo gioco basato sulla
bicromia orizzontale diventi preminente rispetto ai legami
costruttivi, distrugga il volume e lo slancio verticale.
L’interno è a tre navate con transetto e cupola, si ritrova il tema
dell’associazione di un impianto longitudinale e di uno centrale.
Le crociere si impostano su pilastri polistili e predomina la
decorazione a fasce bicrome orizzontali che attenua lo slancio.
All’esterno non si hanno archi rampanti, il campanile è di
carattere romanico.
Osserviamo, ora, il Duomo di Milano unico esempio eclettico in Italia di tipo nordico e altro grosso cantiere
del periodo tardo gotico.
DUOMO DI MILANO _ 1387_ MILANO
Il Duomo di Milano, monumento simbolo del
capoluogo lombardo, è dedicato a Santa Maria
Nascente ed è situato nell'omonima piazza nel
centro della città. È una tra le più celebri e
complesse costruzioni gotiche del mondo. I
cinquantadue pilastri dividono le cinque navate
e sorreggono le volte simulanti un traforo
gotico. Il pavimento, su disegno originale del
Pellegrini, è un intreccio di marmi chiari e scuri
con disegni intersecantisi infinite volte. Il
complesso del presbiterio è formato dal coro
con i suoi stalli lignei, dai due pulpiti dai ciclopici
telamoni rivestiti di rame e di bronzo e dai due
giganteschi organi. Il deambulatorio corre intorno al coro e vi si ammirano i portali delle due sacrestie.
La facciata è una sedimentazione di secoli di architettura e scultura. Una passeggiata intorno alla cattedrale
permette di apprezzare l'infinito numero di sculture, di doccioni, di guglie, di archi rampanti. Sopra la selva
di guglie si eleva quella del tiburio, su cui è stata posata la Madonnina, statua di rame dorato, simbolo della
città. In questo caso le pareti perdono la funzione portante e si aprono in grandi finestre con vetrate a
colori che inviano una luce fantasiosa e irreale all’interno, dove la divisione in cinque navate toglie unità
allo spazio, le arcate acute, molto elevate, strette imprimono una spinta verso l’alto si sperdono e la
decorazione prende il sopravvento sulle strutture architettoniche.
Per quanto riguarda gli edifici civili, si rileva che gli aspetti linguistici gotici vengono impiegati. Si assiste a un
modo di comporre diverso dalle espressioni dei palazzi pubblici del resto dell’Europa. A Venezia però
troviamo architetture molto legate a queste espressioni, avendo questa città frequenti e continui scambi
con il resto dell’Europa. Comunque in Italia troviamo una preponderanza di edifici civili caratterizzati
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principalmente da massa muraria piena, basti pensare al Palazzo Vecchio di Firenze attribuito dal Vasari ad
Arnolfo di Cambio, iniziato nel 1299 è un edificio di sobria eleganza e di aspetto compatto e chiuso, avente
merli e torre, rimasto emblema e ricordo delle lotte civili interne e dei castelli dei feudatari.
Nell’area veneta assistiamo all’uso di un linguaggio legato alle influenze gotiche europee. Negli edifici
veneziani si ha dunque un netto predominio di vuoto su pieno, i palazzi che si rispecchiano sulle acque,
alleggeriti da logge traforate. Il palazzo ducale, sede della pubblica autorità, è senza dubbio l’espressione
più alta delle ricerche veneziane del tempo. Sottomurazione di un edificio più antico con fondazioni su pali,
impianto a quattro ali con cortile centrale. La sua eccezionale bellezza consiste nella composizione delle
pareti, nelle ricerche di linguaggio delle forme architettoniche e nell’inserimento ambientale. Osservando
dall’esterno l’edificio troviamo nella parte bassa un ampio portico ad L, che funge da vera e propria strada
porticata, avente pilastri di una certa consistenza sostenenti archi, e nella parte superiore un loggiato
risolto con una serie di colonne di aspetto molto leggero a sostegno di quello della serie inferiore (loggiato
arricchito dal traforo posto tra arco e arco, a forma di croce quadrilobata). Sopra queste zone traforate
riscontriamo una parte che si presenta prevalentemente come blocco murario pieno, alleggerita da una
decorazione a losanghe con croce centrale raffinata per la forma e il colore.
Si ricordano infine i famosi castelli svevi, espressione della cultura nata e fiorita nell’Italia meridionale
intorno alla metà del XIII secolo, dovuta all’impulso di Federico II di Svevia. Eccezionale è Castel del Monte
iniziato nel 1240 presso Andria in Puglia, sopra una leggera altura come castello di caccia dell’imperatore. Il
castello a pianta ottagonale con cortile e torrioni angolari pure ottagonali. La composizione si basa sulla
geometria dell’ottagono, sulla ricerca proporzionale e sulla essenzialità dei volumi. All’interno si trovano
spazi che hanno pianta trapezoidale e sistemi di copertura gotici.
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9. IL RINASCIMENTO.
Il concetto di rinascimento si qualifica utilizzando una concezione del divenire storico. Nella sua fase iniziale
il movimento di rinascita si impone come cultura “rivoluzionaria”, a larga base partecipativa; in una
seconda fase tale cultura, almeno quella più avanzata, diviene un fiore di serra e si identifica con la corte
del principe. Vi poi una terza fase, che coincide con la sua ufficializzazione a livello europeo. Questa
periodizzazione è volta ad individuare i caratteri preminenti della corrente. Se alla prima fase appartengono
di diritto, nell’architettura, il Brunelleschi e l’Alberti, scena che non oltrepassa di molto la prima metà del
secolo quindicesimo, opera una schiera numerosa di artisti (Ghiberti, Donatello, Rossellino, Michelozzo,
Filarete) ancora in parte intrisi di goticismo, o almeno incapaci di intendere nella sua interezza la struttura
della rivoluzione brunelleschiana.
Sono gli anni della formazione del nuovo codice linguistico delle Arti e della codificazione di una nuova
visione del mondo da parte di letterati e filosofi. Il divario quantitativo fra uso del nuovo repertorio e di
quello tradizionale sottolinea appunto lo scarto già esistente fra classi dirigenti e classi subalterne. I primi
sintomi della crisi si hanno con l’Alberti, attraverso la propria o la trattatistica in generale che da un lato
fornisce agli artisti gli strumenti per la propria elevazione culturale, dall’altro fornisce alla classe, al potere il
veicolo costante di interferenza.
Dall’antichità classica viene dedotto il codice: l’ordine architettonico e l’arco a tutto sesto. In esso si
intravedono ben presto due componenti, una di ordine estetico, l’altra di ordine strutturale che tenderanno
a divergere: la prima, albertianamente intesa come “il principale ornamento in tutta l’architettura”. Nella
seconda accezione, l’ordine sarà inteso come vera e propria “matrice e cerniera di ogni articolazione di
involucri e di spazi” che nella tensione universalistica di un architetto come Bramante assurgerà a compiuto
principio di ornamento e di gerarchizzazione di tutto lo spazio.
L’applicazione delle leggi proporzionali è resa possibile al livello progettuale da uno strumento di
rappresentazione capace di rendere costanti i rapporti dimensionali e posizionali di più oggetti posti alla
stessa distanza dall’osservatore. Tale strumento è la prospettiva scientifica rappresentazione su di un piano
di uno spazio tridimensionale secondo le regole della geometria proiettiva. Con esso è possibile
rappresentare uno spazio esistente, una volta che sono note le misure e le reciproche distanze degli oggetti
presi in esame. La prima codificazione di queste regole compare in due tavolette oggi perdute, eseguite dal
Brunelleschi.
Con il Brunelleschi questi strumenti vengono messi a punto e sperimentati con esiti decisamente
rivoluzionari. Viene riletto e riscoperto lo stesso Vitruvio, immediatamente ripreso e posto al centro di una
serie di studi che produssero un certo numero di copie manoscritte. Immediatamente questo testo assurge
al ruolo di fonte di una “norma” da ristudiare e di tipologie da confrontare con gli edifici reali, sia antichi
che moderni.
Il rinascimento, scegliendo l’antico come modelli, ne estrae tipologie individuando in esse gli strumenti
capaci di relazionare l’indagine storica con la creazione artistica. Tipologie funzionali e tipologie formali,
tipologie d’impianto planimetrico e d’impianto prospettico, formeranno un nuovo grande codice sempre
più largamente accettato e diffuso. Questa astratta griglia tridimensionale di linee, nella sua assolutezza,
renderà lo spazio razionalmente ordinato e misurabile. La determinazione di questo reticolo è la condizione
per il controllo prospettico dell’edificio. Ma non tutte le virtualità implicite nel sistema erano state
sviluppate dal Brunelleschi. Occorrerà ancora indagare e sperimentare perché il processo si affermi. In tale
direzione è l’Alberti a dimostrare la più chiara coscienza del valore di matrice strutturale del sistema
proposto dal Brunelleschi. Sono sostanzialmente le esperienze milanesi che Bramante compirà sugli spazi a
pianta centrale e sulla loro commistione con lo schema basilicale a costituire gli ultimi decisivi apporti alla
costituzione della lingua rinascimentale.
Nella cornice del metodo compositivo si riscontrano una serie di problemi particolari. Uno di questi è il
dibattito “pianta centrale o pianta longitudinale” per l’edificio di culto. Lo schema centrico, assai diffuso
nell’antichità ritorna in auge in questo periodo in conseguenza del suo caricarsi di significati simbolici. Negli
organismi centrali lo spazio interno può essere colto nella sua totalità, mentre l’asse verticale diventa
spesso l’elemento portante di una aggregazione gerarchizzata dello spazio, simbolo della ragione umana,
che al divino ascende e si fonde. Anche gli impianti longitudinali acquistano, in questo periodo, piuttosto la
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caratteristica di impianti centrici allungati. Altro nodo compositivo diviene il tema della facciata delle
chiese, in coincidenza della doppia esigenza: da un lato dare un nuovo assetto alla scena urbana, dall’altro
proiettare sul piano di facciata lo schema dello spazio interno dell’organismo architettonico. I primi
tentativi albertiani, quali la facciata del Tempio Malatestiano e quella per Santa Maria Novella, impostano il
problema ma tuttavia non ne costituiscono la soluzione. La soluzione uscirà dalla più tarda ipotesi
albertiana per il Sant’Andrea a Mantova, passando per San Satiro a Milano e giungendo infine alle facciate
per le chiese veneziane, di Palladio.
FILIPPO BRUNELLESCHI
Con Filippo Brunelleschi le nuove istanze della cultura artistica rinascimentale incontrano la personalità
capace di tradurle in una concreta prassi operativa. Nel suo operato possono essere riscontrati molti
caratteri di continuità con il mondo medievale, ma gli elementi che qui interessa evidenziare sono quelli
sovvertono un tale assetto. Bisognava assegnare all’architettura un repertorio specifico, un nuovo
repertorio che definisse la sua figuratività indipendentemente dai diversi processi tecnologici, che
Brunelleschi ricava dagli edifici dell’antichità classica. Questi offrono un repertorio formale che gli permette
di selezionare gli elementi singoli (paraste, trabeazioni, archi, mensole, nervature) e le associazioni, ma non
le soluzioni d’insieme. Alla normalizzazione degli elementi corrisponde una illimitata libertà nella scelta dei
particolari, entro un numero limitato di tipi costruttivi canonici. Tutto ciò appariva al Brunelleschi come un
inutile spreco di energie
CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE _ 1420 _ FIRENZE
Il concorso per la realizzazione della cupola di Santa Maria Novella, viene bandito nel
1418 e vede vincitori Brunelleschi e il Ghiberti, ai quali viene affidato l’incarico in
collaborazione. Nel 1420 iniziano i lavori. Il Brunelleschi risolve il problema della
copertura del grande vano ottagono, di 43 m di luce, attraverso una serie di scelte
determinanti: anzitutto quella di una sezione a quinto acuto meno spingente
all’imposta rispetto ad una a tutto sesto; quella di una struttura il meno possibile
pesante. Per ottenere ciò il Brunelleschi ricorre ad un tipo di doppia calotta da lui
ideata (il problema della cupola affannava da anni gli operai del Duomo, da quando
cioè era stato costruito il tamburo ottagonale e non restava, per completare la
fabbrica, che coprirlo con la grande volta. Brunelleschi trovò una soluzione
rivoluzionaria: piuttosto che ricopiare il metodo romano di costruzione a calotta
(Pantheon) o quello medioevale delle
centine, propose di alzare la cupola senza
armature, inventando una nuova tecnica
basata sul calcolo), costituita da otto costoloni rampanti
maggiori, emergenti al finito, e da due costoloni intermedi ad
ogni spicchio, per un totale di sedici, interni alle due calotte.
L’ossatura è completata da tratti di archi orizzontali di
collegamento ed irrigidimento. Le murature delle calotte sono
eseguite in conci di pietra, per la parte inferiore, e di mattoni,
per quella superiore, posti in opera secondo il sistema di incastro
detto “a spina di pesce” che permette a Brunelleschi di rendere
ogni anello di pietra o mattoni autoportante. Nella realizzazione
della cupola intervengono le idee architettoniche nel modo di
concepire un'opera rinascimentale ma anche soltanto tecniche
che potevano risolvere i problemi strutturali. La lanterna è
l'ultimo elemento per il completamento della cupola. La lanterna
ha lo scopo di illuminare l'interno della cupola; i lavori iniziarono
nel 1436, pochi mesi prima della morte del Brunelleschi e
l'esecuzione venne affidata a Michelozzo. La cupola domina il
panorama dell'intera città, non solo per l'altezza (oltre 105 metri da terra e 43 metri di diametro), ma anche
per il volume.
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La facciata della chiesa si basa su un portico che ricorda la solenne struttura degli archi di trionfo romani.
Sei colonne corinzie sostengono un attico alleggerito il cui coronamento, incompiuto, è stato protetto da
una tettoia a facciavista. Intorno all'arco a tutto sesto lo spazio è ripartito in figure geometriche scandite da
lesene. Sull'architrave corre un fregio a bassorilievo con Teste di cherubini, mentre i tondi e i piccoli rosoni
cha danno maestosa solennità alla cupoletta sotto alla volta dell'arco presentano una brillante policromia
della terracotta invetriata. Questa cappella testimonia l’insistenza
della ricerca della rappresentazione tra rettangolo e quadrato
(sezione aurea), ossia una ricerca di perfezione che è sinonimo di
ricerca del divino. Tale ricerca è evidente in facciata dove il sistema
quadrato e il sistema rettangolo sono interrelati (secondo lo schema
del tabularium romano). Anche in pianta sono evidenti queste
particolarità: il quadrato in cui si imposta la cupola e si delineano le
parti laterali; ogni insieme è un rettangolo aureo a rappresentare il
perfetto o mistico.
L'interno è molto essenziale e si basa nel modulo a 20 braccia, che è la
misura della larghezza dell'area centrale, dell'altezza dei muri interni e
del diametro della cupola, in modo da
avere un cubo immaginario sormontato
da una semisfera. A questa struttura
vanno aggiunti le due braccia laterali, un
quinto (quattro braccia) ciascuno
rispetto al lato del cubo centrale, e la
cappella dell'altare, larga quanto un
altro quinto, quanto l'arco di ingresso.
Dominano la scena i costoloni e i profili
dei pilastri (paraste) con capitelli corinzi,
tutto in pietra serena grigia che si staglia
sul fondo a intonaco bianco, nello stile
più tipico del grande architetto
fiorentino. La cupola è alleggerita dai sottili costoloni a rilievo e una cascata di
luce inonda la cappella dalla lanterna e dalle finestrelle disposte sul tamburo. Nelle vele della cupola, altri 4
tondi policromi sempre in terracotta, con i 4 evangelisti.
ROTONDA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI _ 1434 _ FIRENZE
Su questa linea di ricerca si muove anche l’edificio centrico di Santa Maria degli Angeli iniziato nel 1434, ma
interrotto incompiuto già nel 1436. Intorno all’ottagono centrale un giro di cappelle raddoppia sul
perimetro esterno il numero dei lati(16): queste ultime dotate di ognuna di possenti nicchie scavate nella
sostanza muraria, indicano la nuova direzione di ricerca che prosegue nel trattamento delle ultime opere
quali le cosiddette “Tribune morte”, costruzioni semicircolari di rinfianco al tamburo della cupola del
Duomo, i cui elementi caratteristici sono ancora le nicchie e l’ordine; e la lanterna della cupola stessa,
opere tutte posteriori al 1434 almeno nell’esecuzione.
S. SPIRITO _ 1440 _ FIRENZE
L’impianto a basilica a tre navate attigua al monastero, fu
l'ultima grande opera del maestro. I continuatori non
compresero a fondo l'originalità del progetto del
Brunelleschi, che prevedeva tra l'altro una inusuale facciata
a quattro porte, per impedire la visione assiale della chiesa
dall'ingresso. La visione dinamica del Brunelleschi venne
alquanto immiserita con la costruzione di una facciata
tradizionale a tre porte e la copertura all'esterno delle
absidiole laterali con un muro piano. Anche la navata
centrale e il transetto furono coperti da un controsoffitto
piano invece della volta a botte prevista.
L’impianto prospettico è evidenziato dall’inserzione di
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colonne in asse tutte uguali e rigorosamente entro le proporzioni della trattatistica, tali colonne non sono
scanalate bensì a fusto unico come nel caso della Basilica Ulpia a Roma, tuttavia il dato di maggior spicco è
il trattamento a nicchie, apparenti anche all’esterno ed anche in facciata, della superficie muraria d’ambito,
che configura la cosiddetta “maniera matura”La mano di Brunelleschi si rivela comunque nella sua più
tipica classicità: le navate sono scandite da colonne in pietra con capitelli corinzi che sorreggono i
caratteristici pulvini brunelleschiani, che con una ricca trabeazione sottolineano lo stacco degli archi a tutto
sesto, dalle tipiche ghiere grigie in pietra serena sullo sfondo intonacato . L’interno di Santo Spirito appare
ancora più arioso ed elegante, grazie alla cupola (retta da pennacchi) ed al transetto più complesso che si
innesta nei prolungamenti della navata. La luce entra dalle numerose finestre, mentre il colonnato e le
cappelle laterali si susseguono senza sosta su tutto il perimetro della chiesa, girando anche dietro all'altare,
quest’ultimo coperto dal baldacchino che riceve la luce dalle aperture ovali della cupola. Il prospetto
esterno della chiesa rimase spoglio, con pietre a vista, fino al XVIII secolo, quando venne intonacato.
PALAZZO PITTI _ FIRENZE
Il palazzo Pitti fu iniziato da Brunelleschi e continuato da Luca Fancelli; nei secoli seguenti la fronte fu
prolungata, tramutando quasi completamente il progetto iniziale, nel quale erano solo sette finestre ad
arco tondo ad ogni piano e un portale pure arcuato al piano terreno. La decorazione a bugnato rustico e la
semplicità delle linee danno un aspetto di classica imponenza al palazzo.
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verso i piani più alti, dando un effetto prospettico di maggior slancio del palazzo rispetto alla sua vera
altezza. Ciò che è evidente è l’uso dell’opus reticulatum con sistema strutturale verticale e paramenti
verticali, a culminare il progetto sui lati l’opus incertum.
In alto il palazzo è coronato da un cornicione poco sporgente, sostenuto da mensole: l'elemento della
loggia è un’ulteriore riprova della rottura con la tradizione medievale e di apertura verso la grande stagione
del Rinascimento.
FACCIATA S. MARIA NOVELLA _ 1448 _ FIRENZE
Nel completamento della facciata per la chiesa fiorentina di
Santa Maria Novella, l’Alberti si trova di fronte ad una
preesistenza gotica, comportandosi nel pieno rispetto di essa.
La facciata marmorea è fra le opere più importanti del
Rinascimento fiorentino. Fu progettata dall’Alberti tra il 1458-
1460 e fu completata definitivamente solo nel 1920. L'Alberti
si innestò quindi sulle strutture precedenti anche se il suo
risultato fu un capolavoro dell'arte rinascimentale. Perciò, fu
costretto dalle circostanze ad armonizzare la precedente
fabbrica con la nuova limitando il suo intervento al portale
centrale classicheggiante (che inserì in un arco a tutto sesto,
incorniciato da due semicolonne corinzie posizionate su due
piedistalli piuttosto alti, utilizzando gli usuali motivi policromi
toscani, una griglia rinascimentale di ordini architettonici, secondo uno schema proporzionale basato sul
quadrato), a tutto il registro superiore e alle zone angolari. Per mascherare alcune contraddizioni della
struttura (come la mancata corrispondenza fra lesene superiori e inferiori) creò un'alta fascia con la serie di
forme quadrate. Il segreto della bellezza delle facciata, infatti, sta soprattutto nella sottile rete di rapporti
modulari che l'Alberti studiò razionalmente con calcoli matematici per stabilire le proporzioni tra i vari
elementi. Un attico fra l’ordine superiore e inferiore delinea la costruzione quattrocentesca :Per l’intera
altezza della navata centrale, L’Alberti organizzò quattro paraste (tetrastilo) corinzie, dalla tipica zebratura
marmorea, che sorreggevano una trabeazione su cui era posizionato un timpano. Mentre due ampie volute
(barchesse) finemente ornate raccordavano l’ordine superiore all’attico, nascondendo gli spioventi del
tetto delle navate laterali.
TEMPIO MALTESTIANO _ 1450 _ RIMINI
Probabilmente la prima opera d’architettura dell’Alberti è il
cosiddetto Tempio Malatestiano, eretto a Rimini per
Sigismondo Malatesta, che intorno al 1450 decide di
trasformare in mausoleo familiare la chiesa gotica di San
Francesco. Il Tempio Malatestiano è la chiesa maggiore di
Rimini; Leon Battista Alberti concepì l’idea di rinnovare
completamente l’esterno edificando un involucro attorno alla
chiesa preesistente e aggiungere un'imponente cupola.
La struttura progettata dal genio genovese non fu
completata. Il progetto dell'edificio comprendeva anche
un'ampia cupola, ma non fu realizzata in seguito alla
sopraggiungere della triste situazione economica per il
Malatesta che rese impossibile il completamento dell'opera.
Della cupola non si conosce nemmeno quale sarebbe stata la sua configurazione e struttura in quanto
l’unica documentazione ci viene data da un’incisione di Matteo de’ Pasti su di una medaglia del 1450.
Ai giorni nostri presenta, in contrasto alla candida facciata marmorea nonché ai lati, una semplice copertura
a tetto in capriate lignee con travi e tavelle visibili. Tuttavia lo stile dell’Alberti è inconfondibile per il
sapiente utilizzo dei setti murari e soprattutto quelli esterni. Nell’incamiciatura di tale chiesa possiamo
notare le quattro paraste in facciata, che poggiano direttamente su un podio. La struttura a tre fornici e
l’apertura centrale ad arco caratterizzano la stessa facciata, a simboleggiare la grandezza di Sigismondo
Malatesta, inoltre una trabeazione sormontata da un tetto a capanna rielaborazione di quel doppio piano
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studiato già da tempo. All’interno le pareti sono caratterizzate da semplici archi a tutto sesto, all’esterno
invece delle nicchie alcuni archi a tutto sesto a formare una sorta di loggia.
In favore di una coerente architettura tutta muraria, indica, nelle due più tarde facciate sacre mantovane,
una svolta decisiva nelle concezioni architettoniche albertiane. La prima di queste è il San Sebastiano.
S. SEBASTIANO _ 1460 _ MANTOVA
L'impianto è centrico, a croce greca sormontato a cupola con atrio a portico
murario. L’enorme volta a botte cassettonata è retta da pilastri contenenti
piccole cappelle quadrate a cupola, che si alternano con le cappelle maggiori
voltate a botte interposte a pilastri.
La facciata con la sua grande apertura ad arco fiancheggiata da aperture più
piccole richiama la scansione delle cappelle maggiori e minori sui fianchi della
navata. La facciata stessa denuncia la presenza delle cinque navate interne,
con scalinate che accedono alle due navate esterne. La facciata è bipartita in
due piani uno dei quali è interrato, la trabeazione molto alta è sormontata da
un grande timpano, per la prima volta la trabeazione viene spezzata da un’apertura sormontata da un arco.
Sul suo “de re aedificatoria” lì Alberti affronterà numerosi problemi strutturali, come questo, all’interno
dello stesso testo saranno preziosi gli interventi dei suoi intercessori, l’opera in dieci libri viene stampata
mediante l’intercessione di Lorenzo de Medici.
S. ANDREA _ 1470 _ MANTOVA
Sant'Andrea è la più grande chiesa di Mantova. Tale chiesa possiede un impianto
longitudinale a croce latina fiancheggiato da un’alternanza di spazi
apparentemente scavati nella profondità della struttura muraria e scanditi sul
fronte della navata dalla concatenazione di due ordini corinzi, secondo un ritmo
detto “travata ritmica”. Questo schema si ripete esattamente all’esterno
definendo il partito del fronte – fusione dell’idea dell’arco trionfale con quella
del tempio antico, sormontato da un timpano classico. Viene sacrificata la
possibilità stessa di coprire completamente, con la facciata tutta l’altezza, ma è
qui che appare per la prima volta all’esterno, in facciata, l’interno ritmo di
concatenazione dello spazio, che si esplicita come “generale principio”
ordinatore di tutto lo spazio. La navata principale è sormontata da volta a botte.
La facciata è concepita sullo schema di un arco trionfale romano; un ampio arco
centrale sostenuto da colonne corinzie. Dato che l'arco si estende per tutta l'altezza della facciata, si parla
di ordine colossale o ordine gigante; la basilica costituisce uno dei primi monumenti rinascimentali per cui
venne adottata questa soluzione. All’interno la navata centrale s’interseca con il transetto, all’ingresso una
sorta di nartece che in realtà è solo la facciata del tempio, la facciata è tetrastila. Nelle navate laterali i
grandi spazi di svuotamento di forme alternate quadrate e rotonde, quest’ultime sormontate da una
cupola, divengono dunque cappelle. Una scansione interna molto simile alla modularità della facciata di
Santa Maria del Fiore. All’interno la capacità di costruire intorno ai grandi pilastroni formati dalle chiusure
di un’intera campata che va a dimensionarsi in altezza, le volte di copertura interne sono caratterizzate dal
sistema a cassettoni presenti anche nel transetto.
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luogo conventuale dove si riunisce la famiglia del principe e tutte le persone a lui vicine. Luciano Laurana è
nominato dal Montefeltro capo maestro dei lavori del palazzo. La critica è quasi concorde nell’attribuirgli il
cortile rettangolare che rappresenta l’elemento coordinatore delle parti del palazzo (i Montefeltro
possedevano in precedenza un edificio trecentesco e un piccolo ampliamento di inizio quattrocento). Nel
raccordare i due vecchi edifici preesistenti, che si trovavano sfalsati su differenti altezze, l’architetto ha
costruito una facciata ad ali, che per la sua forma geometrica, genera uno spazio delimitato da due corpi
che si incontrano ad angolo retto, sulle cui superfici i vuoti si alternano in un ritmo pacatamente chiaro.
Porte e finestre sono incorniciate da paraste e sormontate da architravi che le definiscono e le fanno
risaltare con discrezione dalla parete incompiuta. Dove il dislivello si fa evidente, il Laurana costruì la
“facciata delle torreselle”, obliqua rispetto al resto del palazzo. La facciata, con le due torri cuspidate,
ricorda i castelli medievali settentrionali, allo scopo di affermare la potenza militare dei Montefeltro,
perché domina il panorama della territorio circostante. Malgrado le torri e i merli, la costruzione è
rinascimentale. Le due torri strette e alte somigliano a colonne lisce che incastonano la superficie interna
concentrando la nostra attenzione su di essa. Le finestre si accostano alle torri, lasciando uno spazio libero
e luminoso che da maggior risalto alle logge sovrapposte, queste sporgendo leggermente e penetrando nel
corpo del palazzo con un impianto prospettico evidenziato dalle volte a botte e dal loro progressivo
arretramento dal basso verso l’alto, tolgono ogni residuo aspetto bellico. Nel cortile il Laurana ha potuto
esprimersi ancor più compiutamente. E’ uno spazio rettangolare con un numero differente di arcate sui lati
lunghi (6) e sui lati corti (5). Ma variando anche l’intercolumnio, più ampio di pochi centimetri sui lati corti,
il cortile appare quadrato e dunque immobile. I quattro lati interni, invece che congiungersi si fondono in
una colonna unica, come nei cortili fiorentini, si accostano, ciascuno definito dalla parasta d’angolo. Ciò
toglie loro continuità (quattro superfici, in un chiaro
proporzionamento degli elementi architettonici colonne-
archi, trabeazioni, lesene-trabeazione e finestre vengono
all’architetto indicate per mezzo cesura visivo-strutturale
degli angoli, in una fusione di semicolonna e parasta al
piano terreno, e lesena-parasta al primo piano. Il cortile è
considerato l’oggetto su cui guardano quattro facciate). E’ il
senese Francesco di Giorgio Martini (che fino al 1499 fu
posto dal Montefeltro “sopra tucti maestri) a guidare il
compimento del palazzo e a eseguire nel territorio ducale
oltre cento edifici.
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BENEDETTO DA MAIANO
PALAZZO STROZZI _ 1489 _ FIRENZE
Il palazzo rappresenta l'esempio più perfetto dell'ideale di dimora signorile del Rinascimento.
Fu volontariamente costruito di grandezza superiore del Palazzo
Medici, dal quale copiò la forma cubica sviluppata su tre piani attorno
ad un cortile centrale, ed il bugnato di pietraforte digradante verso
l'alto, a sottolineare il naturale alleggerimento dei pesi via via che si
procede verso l'alto. Al pian terreno si aprono delle finestre
rettangolari, mentre ai piani superiori sono presenti due ordini di
eleganti bifore, poggianti su cornici marcapiano dentellate. Il
cornicione realizzato da Il Cronaca è staccato dal forte bugnato per
mezzo di una fascia neutra, ma non risolve adeguatamente l’edificio.
Su ciascuno dei tre lati che danno sulla strada si aprono tre portali ad
arco, di solenne classicismo. Intorno al palazzo corre uno zoccolo a
pancale continuo ed è coronato da un possente cornicione, poggiante
su un'alta fascia liscia.
GIULIANO DA SANGALLO
Giuliano da Sangallo può essere considerato il maggiore architetto fiorentino post-Brunelleschi. Attivo a
Roma già nel 1465, è presente anche nei cantieri del palazzo di San Marco e dell’abside di San Pietro.
Apprezzato da Lorenzo il Magnifico, Giuliano viene da questi scelto come architetto per la sua villa di
Poggio a Caiano.
VILLA LORENZO il MAGNIFICO _ 1485 _ POGGIO a CAIANO
Essa mostra la concretizzazione degli ideali umanistici dell’ambiente mediceo. La ricerca di un più preciso
rapporto con il territorio è alla base di tale edificio. Su di un podio a pianta quadrata, porticato a cui si
accedeva tramite due scale rettilinee, si svolgono due blocchi, paralleli
fra loro, collegati da un nucleo centrale contenente il salone principale
(coperto con volta a botte) che nella sua altezza impegna i due piani
dell’edificio; una perfetta geometria derivata dal quadrato organizza
gli spazi interni. Il “tempio classico” posto in facciata costituisce una
delle maggiori soluzioni formali di tutto il Rinascimento che avrà degli
sviluppi soprattutto in Palladio. Sulla facciata possiamo notare la
sperimentazione di una villa esastila, i capitelli di ordine ionico
sorreggono una trabeazione e il sovrastante timpano che accoglie lo
stemma familiare de’ Medici.
S. MARIA DELLE CARCERI _ 1484 _ PRATO
Dal 1484 al 1492 Giuliano realizza per conto dei Medici la chiesa di Santa Maria
delle carceri a Prato. L’edificio ha una pianta a croce greca, organizzata intorno al
quadrato centrale dominato dalla cupola internamente percorsa da costoloni che
definiscono lunette traforate da oculi. Il rivestimento adotta la bicromia tipica
dell'architettura pratese, in forme però originali: l'ordine inferiore suggerisce un
classico telaio sorretto da slanciate lesene binate sugli spigoli, che doveva essere
riprodotto nell'ordine superiore per concludersi con un timpano; questo sistema è
sottolineato da fasce in serpentino verde che suddividono gli spazi centrali intorno
alle porte con timpano. La cupoletta sorge da un attico quadrato, con tamburo
forato da dodici occhi, e copertura conica coronata dalla elegante lanterna.
L'interno costituisce il più sintetico e compiuto tempio rinascimentale a croce
greca, di solenne classicità: i quattro bracci - mezzi cubi sormontati da semicilindri
- lasciano al centro un vano cubico, sul quale si imposta la cupola emisferica. Tutti
gli spigoli sono segnati da una serie di membrature in pietra serena (lesene
angolari con preziosi capitelli, sormontate da trabeazione e cornici a sottolineare
la volta). Al piano inferiore paraste doriche marcano gli angoli, al piano superiore
troviamo paraste ioniche, i fronti si concludono con timpani triangolari.
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Il Rinascimento viene visto come una scintilla partita dall’esperienza architettonica di Brunelleschi e
trasmigrata poi nel resto d’Italia e d’Europa, una corrente che ha dato il là a diversi “tipi” di rinascimento
come nel caso milanese, dove Branda Castiglioni invita illustri architetti toscani o meglio li incarica della
progettazione del proprio palazzo, inoltre egli si fa promotore di alcuni celebri edifici che riprendono
genericamente l’impronta fiorentina, come ad esempio il Sant’Eustorgio.
SANT’EUSTORGIO-CAPPELLA PORTINARI_ 1480 (circa)_ MILANO
Si tratta di una cappella funeraria per il bancario fiorentino Portinari. Viene utilizzato il mattone, come è
stato dichiarato inoltre la scuola di restauro dell’800 eliminerà tutto ciò che è stato aggiunto in seguito. Tale
cappella è stata attribuita a Michelozzo, che invierà i suoi disegni ai maestri
milanesi che eseguiranno l’opera. Per quanto riguarda la pianta si tratta di un
disegno molto complesso possiamo notare a chiusura dell’edificio nella parte
occidentale, retrostante al coro due ambienti quadrati (uno più piccolo
dell’altro, appunto la cappella Portinari) coperti da due cupole. La facciata si
mostra profilata da lesene, in essa vi è l’assenza di capitelli bensì la presenza di
archetti pensili, la scansione è approssimata dal proporzionamento dell’ordine.
La cupola principale poligonale (evidenziata dalle nervature cromatiche angolari)
si mostra in tutta la sua altezza sovrastata da una guglia con forme classiche
(pilastri, archi e trabeazione). Il tamburo alla fiorentina con oculi che tendono a
nascondere la curvatura interna. Le finestre a ogiva a sottolineare il permanere
dello stile gotico del prodotto fiorentino, tuttavia questo edificio è
estremamente importante perché è un’innovazione del rinascimento.
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Il punto di riferimento è la città ideale elaborata da Vitruvio e contenuta nel suo “de architettura”. Uno
schema a forma circolare nel quale si innesta una maglia viaria radiocentrica dove, al centro, si colloca il
Foro, luogo dei principali edifici pubblici.
Partendo da un analogo atteggiamento si muove la proposta di Leon Battista Alberti sviluppata nel “de re
aedificatoria”, nella nuova città dovranno essere definite zone di vincolo di aree destinate all’espansione, i
servizi generali, le tipologie delle piazze commerciali e dovrà porsi attenzione alle relazioni tra funzione ed
estetica degli ambienti urbani in generale. Vengono introdotti i criteri proporzionali nei tracciamenti
stradali attraverso determinati rapporti fra la larghezza della strada e l’altezza degli edifici.
La “Sforzinda” che il Filarete idea nel 1464 (nel suo “Trattato di
architettura”) per gli Sforza di Milano è invece la prima città disegnata del
Rinascimento. All’interno di un sistema radio centrico, stellare, risultante
dalla intersezione di due quadrati iscritti nel cerchio del fossato interno; è
cintata da possenti mura bastionate. Gli edifici si distribuiscono in una
gerarchia spaziale dominata dalla piazza centrale, equivalente al foro
romano, dove sorgono gli edifici pubblici e quelli per il culto. Analizzando
ancora le mura notiamo come ad ogni punta della stella si colloca una
torre, mentre ad ogni conca corrisponde un accesso. Tutti gli accessi alla
città avvengono tramite grandi portali. Gli edifici più importanti vengono
concepiti da Filarete in modo del tutto fantastico; la loro dimensione
gigantesca rimanda ad un tempo e ad una civiltà mitica. Interessante come il Filarete, nel tracciare la forma
perimetrale degli edifici posti nel centro della città, ricorra a figure quadrilatere che cadono in palese
contraddizione formale con il sistema radio centrico.
Francesco di Giorgio Martini determina il perimetro esterno delle mura fortificate in forma di croce greca
spigolata recante al centro un quadrato corrispondente alla piazza rappresentativa. Oltre ai problemi della
città-fortezza Francesco di Giorgio affronta, in riferimento costante al modulo antropomorfo, anche
problemi di igiene, di estetica, di funzionalità.
FILARETE
Antonio Averlino detto il Filarete, dopo l’attività di scultore praticata a Firenze col Ghiberti, si trasferisce a
Milano nel 1451 raccomandato da Piero de’ Medici, al servizio di Francesco Sforza, nuovo signore della
città. E’ proprio tramite il Filarete che la nuova cultura rinascimentale formatasi a Firenze penetra, non
senza difficoltà, nell’ambiente milanese e lombardo. Questo artista non aveva ancora ben assimilato la
lezione brunelleschiana, inserito dallo Sforza nei cantieri del Castello e del Duomo ben presto il Filarete si
trova isolato dagli altri progettisti lombardi, capimastri che traevano dalle loro origini dai “maestri
comacini” presenti in tutti i cantieri italiani e che detenevano il patrimonio di esperienza. Nel 1456 lo
Sforza, fondando l’Ospedale Maggiore, offre al Filarete la possibilità di operare in maniera indipendente.
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PERUZZI
Sulla via della composizione di spazi cruciformi a gerarchia verticale, aperta da Bramante, procede
l’architetto e pittore senese Baldassarre Peruzzi. Con la collaborazione di un giovane Raffaello, egli progetta
la villa Farnesina a Roma, concepita come abitazione suburbana e luogo di ritrovo per il banchiere Agostino
Chigi, che diverrà residenza cardinalizia della famiglia Farnesi, diverse sono le residenze di questo tipo
ricordiamo quelle di Parma e Piacenza, strutture di estrema ricchezza negli ambienti interni, strutture
fortificate all’esterno.
VILLA FARNESINA _ 1509 _ ROMA
Peruzzi adotta uno schema ad ali laterali sporgenti, caratteristico della
residenza di campagna, che mira ad integrare l’edificio con lo spazio
naturale. Il volume cosi articolato è racchiuso in un telaio di ordini (i cui
riferimenti si possono trovare nel palazzo della Cancelleria e prima ancora
nel palazzo Rucellai), che nell’intento di controllare rigorosamente la
composizione denunciano la formazione toscana dell’architetto. L’influenza
di Bramante è visibile in questo palazzo, un capolavoro per l’armonica
distribuzione delle membrature architettoniche e per l’eleganza semplice
della decorazione. Nella facciata anteriore aggettano le due ali aggettanti
verso l’osservatore, mentre il corpo centrale dell’edificio è arretrato e
ornato in basso da un porticato dorico armonioso e severo. Tutto l’edificio è verticalmente scompartito da
lesene, tra le quali si aprono eleganti finestre architravate. Il cornicione terminale ha un bel fregio di tipo
romano, rappresentante putti e tripodi reggenti festoni di frutta; vi si aprono finestre.
PALAZZO MASSIMO ALLE COLONNE _ 1532 _ ROMA
E’ soprattutto in questo palazzo che Peruzzi dimostra le proprie capacità innovative ed
insieme l’adesione alle nascenti sperimentazioni del Manierismo, creando una
soluzione totalmente nuova rispetto ai diffusi modelli bramanteschi e sangalleschi. È
costituito da un complesso di tre edifici. La facciata è porticata e curvilinea (convessa),
ed è più larga di quanto non sia in realtà il palazzo, contribuendo a renderlo più
maestoso e imponente. Il palazzo prende il nome dal portico e dalle sei colonne in stile
dorico che compongono la loggia al piano terra. La facciata a bugnato liscio con tre
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ordini di aperture fanno di questo palazzo un elemento di singolare rilievo nel panorama edilizio del primo
‘500.
L'interno è costituito da cortili e sontuose stanze e ambienti. Attraverso un androne si raggiunge un cortile
porticato con loggia riccamente ornata al primo piano.
RAFFAELLO
Bramante è affiancato, ad un certo punto della sua illustre carriera architettonica, da un giovane: Raffaello.
Con Bramante e Raffaello l’architettura romana torna ad essere la più importante, infatti come suo
successore ed allievo, Raffaello mette in atto nelle sue opere (seppur in una brevissima carriera) tutti gli
insegnamenti e consigli dell’insigne maestro. Ricordiamo un’opera raffaelliana molto importante, sempre
nell’ambito dello sviluppo dei “palazzi”: San Pietro e Angelo Massimi. Questo progetto fa parte di una
raccolta del Raffaello relativa ad un unico grande progetto per la città di Roma. Egli collabora alla
progettazione del “palazzo Massimo alle colonne” attribuito a Baldassarre Peruzzi. Nell’osservazione di tale
palazzo è utile rivolgere particolare attenzione alla facciata, caratterizzata da un particolare ingresso con
colonne binate al centro e lesene distribuite irregolarmente sui lati.
SEBASTIANO SERLIO
Per la formazione della cultura architettonica medio e tardo-rinascimentale in Italia, e in
particolare a Venezia, è di grande importanza l’opera teorica di Sebastiano Serlio. Architetto,
scenografo, trattatista, il Serlio è autore di un “Trattato di Architettura”, che fu conosciuto, oltre
che in Italia, anche in Francia contribuendo alla formazione del manierismo europeo. L’importanza
non consiste nell’esposizione di una particolare ideologia, quanto nell’essere stato veicolo di
diffusione di modi compositivi caratteristici del medio e tardo Rinascimento. Per esempio, la tipica
trifora, formata da una arco centrale e da due aperture laterali trabeate, che prende il nome di
“serliana” perché universalmente nota attraverso i disegni di Serlio, è comune all’architettura
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italiana anche prima della pubblicazione dello stesso. I libri presentano anche progetti di interi palazzi che, derivando
gli elementi lessicali da Roma (e soprattutto Peruzzi), li coordinano in un discorso sintatticamente diverso, un discorso
veneziano per la prevalenza dei vuoti nei piani superiori, le cui aperture sono elegantemente inquadrate da pannelli
sobriamente decorati.
MICHELAGELO
Il valore e la testimonianza artistica ed umana di Michelangelo Buonarroti sta nella sua ricerca, condotta
come individuale esperienza di tutte le problematiche artistiche. Michelangelo è profondamente cosciente
dei problemi religiosi e morali avanzati da quei movimenti di pensiero che mirano ad un rinnovamento
spirituale. La posizione di Michelangelo in architettura è caratterizzata da un atteggiamento di autonomia
verso la tradizione antica, che lo porta ad infrangere la norma operando una libera commistione delle parti
canoniche degli ordini, e da un’aspirazione costante ad esprimere nelle sue opere il conflitto spirito-materia
mediante tensioni strutturali e con l’uso dell’ordine gigante. La lezione michelangiolesca, nonostante
l’ammirazione dei contemporanei, rimarrà quasi senza eco nell’architettura del ‘500. La formazione
artistica di Michelangelo ha inizio nel fecondo ambiente che gravita intorno alla corte medicea.
Testimonianza della ricerca e dell’impegno civile di Michelangelo sono i progetti per le fortificazioni di
Firenze (1528), destinati alla difesa della repubblica fiorentina contro l’imminente restaurazione dei Medici,
e di fatto mai realizzati. Anche in questo caso egli appare un innovatore.
La sua prima esperienza architettonica è data dai progetti per la facciata di San Lorenzo che
non verrà mai realizzata. Con la sacrestia Nuova di San Lorenzo, Michelangelo concepisce un
organismo a pianta centrale, simmetrico a quello realizzato da Brunelleschi.
SACRESTIA NUOVA S. LORENZO _ 1519 _ FIRENZE
Destinato ad accogliere le tombe dei Medici, questo impianto a pianta centrale, simmetrica con
un risultato spaziale con un accentuato slancio verticale, ottenuto introducendo una fascia
intermedia fra la zona inferiore e quella delle lunette; la cupola “a creste e vele” del
Brunelleschi e sostituita da una cupola emisferica a cassettoni di derivazione romana, le
finestre sottostanti all’imposta sono di forma trapezoidale. Le pareti laterali vengono scavate
da nicchie poco profonde, che divengono l’ideale collocazione per i gruppi scultorei, realizzati dallo stesso
Michelangelo per le tombe dei Medici.
BIBLIOTECA LAURENZIANA _ 1524 _ FIRENZE
La biblioteca è una delle maggiori realizzazioni dell'artista fiorentino in campo
architettonico, importante anche per il raro decoro di arredo interno, giunto in
buono stato fino a noi.
Nel vestibolo è presente la celebre scala tripartita realizzata in legno e che poi fu
eseguita in pietra serena. Le linee rette delle parti laterali sono pienamente
rinascimentali, i monumentali gradini centrali, di forma ellittica come una
immaginaria colata di pietra, sono un'invenzione originale di Michelangelo.
L'ambiente sarebbe stato inizialmente concepito come un preludio oscuro alla
luce della Sala di lettura, ma rimase incompleto fino agli inizi del '900, gli scalini
mostrano una fine decorazione mediante piccole volute poste sui lati degli stessi gradini. Molto originale è
anche la decorazione delle pareti di questo ambiente, con l'intonaco bianco che fa risaltare le doppie
colonne, i timpani triangolari e le cornici di pietra serena grigia. Lo spazio alto e stretto viene sottoposto ad
un gioco di tensioni per mezzo degli ordini, usati qui in prevalenza per il loro valore di elementi plastici, e
privati della loro funzione strutturale: si vedano appunto le colonne binate, incassate nella parete e
poggianti solo su mensole, e le finestre a edicola che sono in realtà delle nicchie cieche.
La sala di lettura con banchi lignei, fu quasi interamente disegnata da Michelangelo, compreso il soffitto e
gli stessi banchi. Le numerose finestre danno molta luce e movimentano con il loro disegno la prospettiva
della sala, grazie alle numerose cornici e decorazioni architettoniche. Il soffitto in legno, fu intagliato sulla
base dei disegni michelangioleschi, mentre il pavimento era in terracotta rossa e bianca.
L’atteggiamento di estrema libertà compositiva, ha indotto la critica a parlare per la Laurenziana di
atteggiamento manierista da parte di Michelangelo.
PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO _ 1539 _ ROMA
Dopo la caduta di Firenze, Michelangelo si trasferisce definitivamente a Roma. Allo stesso architetto verrà
affidato l’incarico del rifacimento dei palazzi dell’amministrazione. Sono le famiglie più importanti della
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città a decidere sull’amministrazione dei beni cittadini, sull’applicazione degli statuti ecc. Michelangelo
disegna i palazzi dei conservatori, il palazzo dei senatori e il palazzo nuovo con una piazza a disegno stellare
con al centro la statua del Marco Antonio imperatore filosofo a simboleggiare la potenza e l’importanza del
pensiero filosofico nel governo. Nella sistemazione della piazza del Campidoglio si può riscontrare
l’intenzione di caratterizzare, anche a livello emblematico, il centro del potere
civile di Roma, di contro alla sede del potere religioso. Michelangelo sfrutta la
disposizione non ortogonale dei due edifici preesistenti per creare uno spazio
trapezoidale che obbedisce a precisi intenti prospettici; la statua posta al
centro della piazza e la decorazione stellare del pavimento paiono alludere
alla posizione del colle capitolino come “polo ideale” della terra, mentre la
gradinata d’accesso pone l’insieme monumentale in diretto rapporto con la
città. Riferimenti planimetrici, topografici, simbolici mirano alla fusione fra
tradizione romana e nuova tradizione cristiana, per cui il mondo cristiano
deve essere visto come la prosecuzione e la maturazione del mondo antico.
Sulla facciata del palazzo dei conservatori è adottato ancora una volta l’ordine gigante, per formare una
griglia entro cui si inseriscono sistemi secondari di elementi: campate definite da colonne e coperte a
padiglione nella parte inferiore, ed un volume compatto nella parte superiore, secondo il procedimento ad
intreccio che abbiamo visto essere caratteristico del modo di comporre di Michelangelo.
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giovane. Di grande interesse le proposte con le quali l’architetto tende ad attuare il programma di
restaurazione dell’antico, e che mostrano l’intento di riproporre lo spazio compatto del Pantheon. La pianta
riguarda una soluzione a pianta centrale molto vicina all’ultima soluzione bramantesca, dalla quale
differisce solo per l’eliminazione degli accessi porticati ai lati delle absidi, il che porta ad una maggiore
distinzione fra queste e le torri laterali, ed alla mancanza di elementi capaci di definire la fronte principale.
Alla morte di Raffaello, Antonio assume la massima responsabilità che terrà coadiuvato da Peruzzi. Alla
scomparsa dell’architetto senese, Antonio il Giovane mette a punto il suo progetto definitivo. Antonio
apporta alle proposte precedenti due importanti varianti: riporta lo schema dell’organismo alla croce greca,
sostituendo il corpo longitudinale con un elemento (atrio-loggia) legato al corpo centrico attraverso un
portico aperto; rialza i deambulatori in modo da ottenere lungo tutto il perimetro una parete di uguale
altezza. La seconda modifica proposta da Antonio è di fondamentale importanza: attraverso i tre ordini
sovrapposti, proietta infatti sulle pareti la gerarchia stabilita da Bramante fra il sistema maggiore della
croce centrale e quelli minori dei quattro vani disposti ai lati.
L’INTERVENTO DI MICHELANGELO: dopo la morte di Antonio da Sangallo, Michelangelo prepara un modello
della fabbrica e assume la carica di architetto in capo della fabbrica di San Pietro. Presenta la propria
soluzione (1506) come un ritorno a Bramante, egli conserva il nocciolo centrale della fabbrica, cioè i quattro
piloni ed i bracci della croce maggiore, e sacrifica
tutte le articolazioni che definivano l’organismo
bramantesco come aggregazione coordinata di
cellule spaziali simili, ognuna delle quali continuava
a mantenere una certa autonomia all’interno del
sistema. Di particolare importanza l’eliminazione dei
deambulatori circolari ma anche dei bracci esterni
dei quattro sistemi cruciformi minori.
Con queste modifiche, allo schema bramantesco
dello spazio interno basato sopra una croce centrale
intrecciata con una griglia di quattro elementi
incrociati si sostituisce quello di una croce cupolata
intersecata da un grande anello quadrato. La grande
cupola michelangiolesca si eleva solitaria al di sopra
della parete modellata che ne costituisce il
basamento, presenta notevoli elementi
problematici. Il progetto prevede una doppia calotta
appoggiata su nervature, che si concludono con dei
contrafforti muniti di colonne binate. La struttura
generale è a “traliccio”, lontana dalle cupole di
tradizione romana per la massima parte impostate
in modo continuo sulla muratura di base;
Michelangelo sembra accogliere in questo
suggerimenti formali della cupola di Santa Maria del
Fiore. Alla morte dell’artista (1564), la cupola sarà
eseguita più tardi, al tempo di Sisto V, da Domenico
Fontana che introdurrà alcune varianti al disegno
michelangiolesco, rialzando leggermente il sesto.
Successivamente l’intervento del Maderno, che
trasforma lo schema centrico della chiesa in uno
longitudinale e costruisce la facciata, renderà ancora
più difficile il rapporto della cupola con l’organismo
della basilica e con la città.
Nell’immagine sono riportati gli schemi planimetrici per la fabbrica di
San Pietro: rispettivamente le soluzioni di Bramante (primo progetto), Bramante (secondo
progetto), Michelangelo, Peruzzi, Antonio da Sangallo il Giovane.
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IL MANIERISMO
Sotto il termine di “Manierismo” la critica tenta di raggruppare i molteplici fenomeni stilistici verificatesi nel
periodo di tempo che va, dalla fine della fase “classica” del Rinascimento al primo manifestarsi del Barocco.
Nel ‘500 vi furono polemiche contro questo intervento della fantasia a fianco della regola. Palladio biasima
quella maniera di costruire che si distacca dalla semplicità delle cose create dalla natura.
Nel ‘600 il termine “maniera” viene a perdere gradualmente la sua accezione positiva in coincidenza del
delinearsi di una crisi, per cui si considera che l’espressione artistica abbia raggiunto con i grandi limiti non
superabili, o superabili solo in termini di “vuota imitazione stilistica”. Nel ‘700 “maniera” o “manierismo”
sono ormai sinonimo di inerzia creativa, ed hanno un’accezione sempre negativa.
Generalmente però il manierismo è visto in senso restrittivo come un atteggiamento di stile, come una
corrente marginale anche se ricca di importanti risultati; questa interpretazione in chiave razionalista
trascura il lato decorativo, rivolgendo il proprio interesse alla libertà compositiva, all’anticlassicismo degli
elementi architettonici. Il manierismo diventa sinonimo di Cinquecento. Si rivaluta quella libertà
d’invenzione e di temperamento cosi lontana dal dogmatismo quattrocentesco e dalla retorica
classicheggiante del primo Cinquecento.
Ormai da tutti i critici è rivalutata quella libertà immaginativa che nel seicento era stata condannata, dando
al Manierismo un’aureola negativa; si riconosce al Manierismo la validità di questo travaglio di ricerca in cui
si impegnano gli artisti, nel tentativo di superare la tradizione pur senza negarla del tutto, per arrivare a
nuove conquiste formali.
Il “Manierismo architettonico” non può essere dunque considerato un vero e proprio stile dotato di
caratteristiche definite; comprende piuttosto una serie di ricerche, di sperimentazioni su nuovi temi
compositivi, portate avanti nell’arco di tutto il Cinquecento dalle personalità più diverse e negli ambienti
più disparati. Comune a tutte queste manifestazioni è ad ogni modo un atteggiamento di rifiuto
dell’imitazione aulica dell’arte classica; una tendenza ad usare gli elementi architettonici (ordini) in senso
antidogmatico, compiacendosi spesso della trasgressione intenzionale alle regole. Manca agli architetti
manieristi, la coscienza della necessità di rivolgere la progettazione ad un fine organico globale, che vada
oltre l’esperimento occasionale. Per questo bisognerà attendere i primi rivoluzionari risultati delle ricerche
barocche.
GIULIO ROMANO
Giulio Pippi detto Giulio Romano, allievo di Raffaello, collabora col maestro alla costruzione della villa
Madama. Con esso ne assimila la tendenza al pittoricismo in architettura, che svolgerà secondo una propria
linea personale soprattutto nelle opere mantovane. La sua opera più celebre è il Palazzo del te a Mantova.
PALAZZO DEL TE _ 1525 _ MANTOVA
Il Palazzo Te su commissione di Federico II Gonzaga, è l'opera più celebre dell'architetto italiano Giulio
Romano, concepita come residenza suburbana della famiglia Gonzaga. Essa si ispira nell’impianto alla
descrizione vitruviana della casa di abitazione.
Il palazzo è un edificio a pianta quadrata con al centro un grande cortile quadrato anch'esso, un tempo
decorato con un labirinto, con quattro entrate sui quattro lati. L'entrata principale verso la città è una
loggia, la cosiddetta “Loggia Grande”, all'esterno composta da tre grandi arcate su pilastroni bugnati. Sul
lato ovest l'apertura è un vestibolo quadrato, con quattro colonne che lo dividono in tre navate. La volta
della navata centrale è a botte e le due laterali mostrano un soffitto piano.
Il palazzo ha proporzioni insolite: si presenta come un largo e basso blocco, a un piano solo, la cui altezza è
circa un quarto della larghezza. Tutta la superficie esterna è trattata a bugnato
e presenta un ordine gigante di paraste lisce doriche. Il
cortile segue un ordine dorico anch'esso ma su colonne di
marmo lasciate quasi grezze; è visibile una trabeazione
dorica perfetta se non fosse per un triglifo sui lati est e
ovest che sembra scivolare verso il basso al centro di ogni
intercolumnio, come fosse un concio in chiave d'arco; su
questi due lati anche gli intercolumni, come all'esterno,
non sono tutti uguali. Questi dettagli spiazzano l'osservatore e danno una
sensazione di non finito all'insieme.
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IACOPO SANSOVINO
L’estesa attività professionale di Jacopo Tatti detto il Sansovino consiste nell’esecuzione di una facciata
lignea posticcia per la chiesa di Santa Maria del Fiore, in occasione dell’ingresso a Firenze di Leone X, e da
un prolungato soggiorno romano intorno agli esiti architettonici ad esso riferibili (si possono citare il
progetto della chiesa di San Giovanni dei fiorentini, nel 1514, ma soprattutto nel 1519 la costruzione di San
Marcello al Corso, dove è molto interessante l’uso della decorazione, simboliche le volte poste sui fianchi
delle lesene che vedono la ripetizione alternata di divinità terrestri centralmente e divinità fluviali
lateralmente, Sansovino fa ampio uso dei soffitti a cassettoni). Sansovino intorno al 1520 (anno della morte
di Raffaello) si sposta a Mantova presso i Gonzaga dove diviene proto, ossia capo degli architetti facenti
capo alla famiglia mantovana, riesce ad evitare il “Sacco di Roma”. Si concentra quasi integralmente
nell’ambito dei programmi architettonici ed urbanistici della Repubblica di Venezia. Al Sansovino viene
riconosciuta la capacità di una spiccata perizia costruttiva e d’organizzazione del cantiere. Tra le opere
principali abbiamo la sistemazione della Basilica di San Marco, a cui lavora dal 1529 al 1560 circa, il
Sansovino in questi anni riceve la carica di “proto” della basilica di San Marco. Sansovino da al luogo urbano
più rappresentativo, centro del potere della Repubblica, un assetto conforme agli ideali della cultura
umanistica. Allargando la piazza sul lato Sud ed isolando il campanile, egli concepisce uno spazio scenico
ispirato al Foro antico descritto da Vitruvio e interpretato dall’Alberti.
LIBRERIA DI S. MARCO _ 1537 _ VENEZIA
La Libreria è un organismo polivalente, il cui prospetto sulla piazza è risolto con un doppio
ordine di arcate a carattere “romano”, ispirate al Teatro Marcello e ai progetti sangalleschi
per il cortile di palazzo Farnese; ma le alterazioni nelle proporzioni degli ordini denunciano
una volontà d’interpretazione che va oltre la citazione accademica. Complesso con pianta a
L, primo edificio compiutamente classico con gli ordini usati correttamente. Il Sansovino
eseguì lo schema romano e bramantesco, al quale aggiunse grande ricchezza decorativa.
Colonne doriche sono nel piano terreno, ioniche al primo piano; tra di esse si aprono
finestre serliane. Il trattamento della parete, sempre più decorata, comprende al primo
piano due serie di colonne ioniche incassate di dimensioni contrastanti, un fregio
riccamente decorato e un dinamico coronamento di statue ed obelischi.
LOGGETTA DI S. MARCO _ 1537 _ VENEZIA
È concepita come un oggetto di arredo urbano, è un piccolo edificio con il motivo ad archi
trionfali che fu costruito come sala riunioni dei nobili che partecipavano al consiglio di Stato.
PALAZZO DELLA ZECCA _ 1537 _ VENEZIA
L’uso sistematico del bugnato rustico sulla superficie e negli ordini è volto ad accentuare il
carattere di un luogo fortificato dell’edificio sede del deposito aureo della repubblica (luogo
in cui venivano coniate le monete). Siccome l’edificio doveva esprimere sicurezza e forza,
decise di usare l’ordine dorico in funzione espressiva. Comunque caratteristico di questo
edificio è la sovrapposizione degli stili secondo una scelta classica.
ANDREA PALLADIO
L’esperienza architettonica di Andrea di Pietro detto il Palladio operativamente circoscritta al territorio
della repubblica di Venezia. Attraverso una preesistente cultura umanistica Palladio una ricerca per gran
parte autonoma, infatti egli viene selezionato per le sue capacità ed interessi, studi sulle scienze delle
costruzioni ma non solo anche scienze naturali e scienze umanistiche. Cresce nella bottega del padre.
Attraverso il richiamo al processo di rinnovamento culturale che ha luogo in area veneta a partire dal XV
secolo, il positivo risultato dell’opera di sostituzione del repertorio della classicità al codice linguistico
proprio della tradizione lagunare dominato da suggestioni tardogotiche estesesi a tutto il territorio di
terraferma. Palladio come il contemporaneo Jacopo Sansovino, non subisce le conseguenze di un evento
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cosi “importante” in negativo come il sacco di Roma del 1527. Lo studio dell’architettura palladiana risulta
sul piano del duplice confronto con il mondo romano avvertibile nella sua influenza sulle soluzioni adottate
nell’uso degli ordini architettonici, e con l’universo veneto, al quale Palladio appare legato non solo per
scelte tipologiche e funzionali, come nel caso delle ville ma anche negli intenti connessi alla codificazione
teorica dell’architettura (i quattro libri dell’architettura editi a Venezia nel 1570). Palladio si fa autore di
diversi palazzi.
PALAZZO DELLA RAGIONE o BASILICA _ 1549_ VICENZA
A Vicenza edifica la “Basilica” che è il suo capolavoro. E’ opera di
monumentale magnificenza, pur essendo priva di decorazione sculturale. Il
nucleo della costruzione è costituito dal grande salone centrale (riforma
centrale) eretto già nel Medio Evo. Il Palladio pensò al rivestimento
marmoreo esterno, piuttosto prestante perché atto ad accogliere le spinte
laterali della nuova copertura, creando due ordini sovrapposti di logge aperte
(le colonne sovrapposte vedono un ordine tuscanico al piano terra e un
ordine ionico al primo piano, l’ordine è presente anche sulle colonnine facenti parte del sistema della
serliana). Le arcate appoggiano su colonnine binate in profondità e reggenti due
architravi; si viene cosi a formare la triplice apertura della “serliana” (che troviamo
nella libreria di San Marco edifica da Sansovino). Ne deriva un andamento ritmico,
solenne, ma non pesante ne monotono per l’equilibrio fra larghezza e altezza dei
vuoti, per la prevalenza di questi, per l’alternanza di linee curve e linee rette e per
l’alleggerimento offerto dal diaframma traforato delle balaustre, non soltanto quelle
del loggiato ma anche quella continua della terrazza superiore, che toglie rigore
geometrico al coronamento, al di là del quale si vede la copertura (a chiglia di barca)
della grande sala consiliare. Il chiarore delle superfici in pietra viva, l’ombra delle
logge, il chiaroscuro delle sporgenze, rivelano, pur nella maestà, il senso dei rapporti
tonali che farà del Palladio uno dei massimi architetti veneziani.
PALAZZO CHIERICATI _ 1550 _ VICENZA
Palladio per questo edificio utilizzò una tipologia per l'epoca inedita per le residenze cittadine, che ricorda
in parte quella delle sue ville. Il palazzo, di imponenti dimensioni, è costituito da un corpo centrale con due
ali simmetriche leggermente arretrate, dotate di grandi logge al livello del piano nobile.
La pianta è determinata dalle strette dimensioni del sito: un atrio biabsidato centrale è fiancheggiato da
due nuclei di tre stanze con dimensioni armonicamente legate, ognuna con una scala a chiocciola di servizio
e una monumentale al lato della loggia posteriore.
La straordinaria novità costituita da palazzo Chiericati nel panorama delle
residenze urbane rinascimentali deve moltissimo alla capacità palladiana di
interpretare il luogo in cui sorge: un grande spazio aperto ai margini della
città, davanti al fiume, un contesto che lo rende un edificio ambiguo, palazzo
e villa suburbana insieme. Sulla piazza imposta una
facciata a doppio ordine di logge in grado di reggere
visivamente lo spazio aperto. L'armonica facciata è
strutturata in due ordini sovrapposti, soluzione fino ad
allora mai utilizzata per una residenza privata di città, con un coronamento di statue.
PALAZZO VALMARANA _ 1565_ VICENZA
Palazzo largamente incompiuto, realizza evidenti suggestioni michelangiolesche nell’uso dell’ordine gigante
e solleva il problema del rapporto della fabbrica con l’ambiente urbano; quesito che in questo caso
schematizza nella considerevole estensione della facciata in relazione alla esigua sezione stradale
disponibile. Ornata da un unico ordine di paraste corinzie che, poste su un alto piedistallo, salgono fino a
reggere il cornicione terminale, con effetto severo e monumentale; tra le late lesene si aprono le finestre.
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della chiesa in due parti uguali, con l’asse longitudinale più lungo del transetto. Le navate laterali e l’ampio
coro ligneo finemente intarsiato absidato si addizionano a questa pianta, che si apprezza al meglio da sotto
la cupola. La chiesa presenta due cori in quanto in determinate occasioni liturgiche speciali era necessario.
LOGGIA del CAPITANATO_ 1571 _ VENEZIA
La loggia del Capitanato, rimasta incompiuta, venne realizzata in un luogo di un
preesistente edificio analogo, e di esso riprese lo schema tipologico del portico a
pianterreno adibito a uso pubblico. L’applicazione dell’ordine gigante, unitamente ad un
uso non ortodosso degli ordini (interruzione della trabeazione, i triglifi chiamati a
sorreggere in funzione di mensole i balconi del piano nobile), connotano in senso
manierista l’immagine risultante.
CHIESA DEL REDENTORE _ 1577 _ VENEZIA
L'edificio ha pianta rettangolare, con un singolare quanto splendido transetto
costituito da tre absidi comunicanti con la grande cupola centrale. Dall'intersezione di
essi partono due sottili campanili cilindrici, con tetto a cono. L'interno è a navata unica,
con decorate cappelle laterali. Grande importanza ha la luce, come in tutte le opere
palladiane, vera protagonista dell'interno, che valorizza volumi e decorazioni. La
trabeazione dell’ordine maggiore, ad esempio, fascia tutto il
perimetro interno della chiesa senza mai risaltare in
corrispondenza dei sostegni, ed è particolarmente efficace il
taglio in diagonale dei pilastri della cupola. Il risultato è frutto di
una consumata capacità compositiva e di una particolare
sensibilità per gli effetti scenografici.
La facciata in marmo bianco è uno dei più mirabili esempi di
ispirazione neoclassica: quattro timpani triangolari e uno
rettangolare si intersecano tra loro, in un contrapporsi di
superfici lisce, di lesene e di lunette con statue, ostentando
stabilità e rigore classico.
TEATRO OLIMPICO _ 1580 _ VICENZA
Nel 1580 gli Accademici Olimpici di Vicenza decidevano di costruire un teatro. Palladio tuttavia moriva in
questo stesso anno. Anche se costruito da altri, si può ritenere che il teatro olimpico rispecchi con
sufficiente fedeltà le idee di Palladio. E’ il primo teatro costruito stabilmente dopo l’età classica, alla quale si
ispira nella forma della “cavea” e della “scena”, che l’autore conosceva per
visione diretta e attraverso la lettura di Vitruvio. Ma è coperto. Perciò, più che
dal grande teatro greco-romano, deriva da quello più piccolo, riservato
prevalentemente a audizioni musicali, interamente chiuso per un migliore
risultato acustico. Il Palladio crea un’opera originale e moderna, sia nel disegno
della cavea semiellittica, con il moto ascensionale dei gradini che culmina nella
loggia e nella terrazza balaustrata sovrastante, sia nella scena. Questa,
costituita plasticamente con sporgenze e rientranze, come la facciata di un
palazzo, si apre in tre passaggi frontali.
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L’AMBIENTE MILANESE
A Milano alla metà del ‘500 la scena architettonica è dominata dalla figura di Galeazzo Alessi e da Pellegrino
Tibaldi.
GALEAZZO ALESSI
Noto per le realizzazioni eseguite in Umbria e a Genova, la sua opera milanese più importante è Palazzo
Marino.
PALAZZO MARINO _ 1553 _ MILANO
In quest’opera egli mostra un’accentuazione dei partiti decorativi, che si
accompagnano a quelli architettonici e spesso li sovrastano, in una ricerca di
originalità che va oltre le esigenze rappresentative del tema, puntando ad un
effetto globale fantasioso e stupefacente. Palazzo Marino tuttavia rimarrà
vittima degli attacchi bellici della seconda guerra mondiale per poi essere
restaurato per opera di Luca Beltrami, una facciata con la classica
sovrapposizione stilistica, solennizzazione dell’ingresso. L’ultimo degli ordini
ha una terminazione decorativa figurata che non può essere accostata a
nessuno stile; è questo il primo elemento di distacco, molto importanti le
cornici delle aperture.
PELLEGRINO TIBALDI
Con l’arrivo a Milano, nel 1565, del cardinale Carlo Borromeo, si afferma anche in architettura un clima
moralizzatore legato alle convinzioni della Controriforma. Le nuove idee trovano un interprete sensibile in
Pellegrino Tibaldi il quale si distacca dal decorativismo dell’Alessi superando anche l’incerto atteggiamento
formativo di tipo manierista.
S. FEDELE _ 1569 _ MILANO
Situata nel cuore di Milano, tra Palazzo Marino, il Teatro alla Scala e la Galleria Vittorio Emanuele II, la
chiesa fu eretta su istanza di Carlo Borromeo ad opera di Pellegrino Tibaldi (1559).
L'interno è a navata unica, scandito da una serie di monumentali ed altissime colonne in granito. Il
presbiterio della chiesa fu prolungato nel XVII secolo.
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10. IL BAROCCO
L'architettura barocca è quella fase della storia dell’architettura europea che, preceduta dal Rinascimento,
si sviluppò a partire dal XVII secolo, durante il periodo dell'assolutismo.
Il termine barocco, originariamente dispregiativo, indicava la mancanza di regolarità e di ordine, che i
fautori del neoclassicismo, influenzati dal razionalismo illuminista, consideravano indice di cattivo gusto.
Infatti, caratteristiche fondamentali dell'architettura barocca sono le linee curve, dagli andamenti sinuosi,
come ellissi, spirali o curve a costruzione policentrica, talvolta con motivi che si intrecciano tra di loro, tanto
da risultare quasi indecifrabili. Tutto doveva destare meraviglia ed il forte senso della teatralità spinse
l'artista all'esuberanza decorativa, unendo pittura, scultura e stucco nella composizione spaziale e
sottolineando il tutto mediante suggestivi giochi di luce ed ombre. Grande importanza dell’esposizione
dell’immagine architettonica è assunta dalla decorazione specie scultorea, per la sua capacità di mediare il
passaggio fra la solidità della massa muraria e la fluidità dello spazio. L’esigenza di concorrere alla creazione
di un’immagine spaziale varia e dinamica porta gli architetti a sfruttare al massimo: la luce, vista come
elemento di progetto; le scelte dei materiali, texture, colore; effetti scenografici e illusionistici.
Nel 1585 papa Sisto V avviò i lavori per la trasformazione urbana di Roma, dando incarico a Domenico
Fontana di collegare i principali edifici religiosi della città per mezzo di grandi assi stradali rettilinei. Alle
planimetrie centralizzate e chiuse delle città ideali rinascimentali, si contrappose la concezione barocca
della città capitale, più dinamica e aperta verso i propri confini, ma al contempo punto di riferimento per
l'intero territorio. In generale, la piazza barocca cessò la sua tradizionale funzione civica e pubblica, per
divenire mezzo di esaltazione dell'ideologia politica o religiosa.
Tra le chiese, l'edificio doveva soddisfare pienamente le esigenze dettate dalla Controriforma: infatti, la
disposizione longitudinale della pianta permetteva di accogliere il maggior numero di fedeli, mentre la
pianta a croce latina con numerose cappelle laterali rappresentava un ritorno a quella tradizione auspicata
durante il Concilio di Trento. Le chiese potranno essere a pianta longitudinale centralizzata o a pianta
centrale allungata, entrambe solitamente caratterizzate da un asse longitudinale e dalla presenza di un
elemento catalizzatore (come una cupola). Le facciate delle chiese non costituiscono più la terminazione
logica della sezione interna, ma divengono un organismo plastico che segna il passaggio dallo spazio interno
alla scena urbana.
Nell'architettura civile occorre distinguere due tipi di abitazione nobiliare: il palazzo di città e la villa di
campagna.
Il palazzo italiano rimase fedele alla tipologia residenziale del Rinascimento, con un corpo edilizio chiuso
attorno ad una corte interna. Generalmente i prospetti principali furono dotati di avancorpi e decorati
mediante l'impiego di colonne giganti. Si registra inoltre l'estensione dell'asse di simmetria anche
all'interno dell'edificio, dove si aprono il vestibolo e la corte centrale.
Il Barocco è la negazione dello stile, la reazione al classicismo, è la riscossa del sentimento e
dell’immaginazione contro il rigore accademico. Il termine “barocco” ha sempre avuto un’accezione
negativa, o perlomeno legata all’idea di stranezza, trasgressione alle regole ed opposizione al gusto
corrente.
L’idea rinascimentale dell’uomo al centro di un universo immutabile e perfetto, riflesso dell’armonia divina
e dominabile mediante le leggi della geometria e della prospettiva, era già entrato in crisi nel ‘500.
L’atteggiamento verso la natura non è più empirico ma scientifico. I trattati del ‘600, come quello del
Guarini, mostrano un reale interesse per i problemi della geometria e per gli aspetti tecnici connessi alla
progettazione. Lo scopo della ricerca barocca è quello di ampliare il patrimonio delle forme rinascimentali
non solo con le esperienze sporadiche e le trasgressioni alla regola, ma tramite radicali innovazioni di
metodo, capaci di dar vita ad una nuova cultura. La reciproca azione di spazio interno e spazio esterno,
attraverso la parete di separazione, diventa il nodo cruciale dell’architettura: dialogo concavo e convesso,
profili sinusoidali delle facciate, disposizione obliqua degli elementi. Grande importanza in questa
“esposizione” dell’immagine architettonica è assunta dalla decorazione specie scultorea, per la sua capacità
di mediare il passaggio fra la solidità della massa muraria e la fluidità dello spazio atmosferico.
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CARLO RAINALDI
La struttura della città-capitale barocca consta di centri focali (edifici
monumentali e piazze) collegati da strade diritte e regolari, dove ancora
predomina la visuale secondo l’asse di simmetria ed i criteri prospettici
costituiscono lo strumento di controllo della scala urbana. Nelle chiese di Santa
Maria in Montesanto e Santa Maria dei Miracoli a “Piazza del popolo” a Roma,
compiute in collaborazione con Carlo
Fontana non senza un intervento più
o meno diretto del Bernini (a cui
pare si debbano ascrivere i due
pronai di modello classico sulle
facciate simmetriche), il Rainaldi
risolve invece, con felice intuizione
urbanistica, l’innesto del tridente
viario che ha per asse il Corso e forma l’ossatura di una vasta
parte del tessuto stradale di Roma.
PIETRO DA CORTONA
Pietro Berrettini da Cortona si dedica all’architettura negli intervalli della sua prevalente attività di pittore;
arriva a dare un contributo determinante alla formazione del nuovo linguaggio barocco. Egli porta avanti
una ricerca, parallela sostanzialmente indipendente, che lo conduce a formulare per primo alcuni temi
caratteristici del Barocco. Il Cortona impiega un codice architettonico di base classica, elaborato attraverso
la tradizione manieristica; questa influisce sul suo modo di comporre, che procede per accostamento delle
varie membrature lasciando a ciascuna la propria individualità. Pienamente nello spirito barocco è invece
l’uso della luce come elemento unificatore dello spazio architettonico e la tensione ottenuta con
l’accostamento di elementi a differente matrice spaziale. Queste componenti, per cui il Cortona è spesso un
anticipatore, gli garantiscono una posizione di preminenza nella ricerca architettonica del primo 600.
CHIESA DEI SS. LUCA E MARTINA _ 1634 _ ROMA
La chiesa dei SS. Luca e Martina è il risultato di una evoluzione progettuale che porta l’autore da un
primo schema centrale, formato da due cerchi concentrici con accentuazione dell’asse traverso come
in certi studi michelangioleschi, ad uno schema a croce greca con absidi terminali, in cui però i due
bracci laterali si accorciano riportando l’organismo verso il tipo longitudinale. La facciata è su due
ordini, intelaiata da paraste e colonne binate. La parte centrale della facciata si inflette in una curva
concava che sembra essere prodotta dalla pressione esercitata dai corpi rettangolari ai suoi lati (come
effetto di una spinta dello spazio interno), prima enunciazione di un tema destinato ad avere i più
vasti sviluppi.
L'interno è distribuito a croce greca scandito da colonne ioniche e pilastri con absidi semiellittiche. I
bracci sono conclusi a semicerchio. L’interno non è arricchito con statue e colori, al di sotto della
trabeazione tutto è realizzato in stucco e travertino bianco. La cripta è colorata riccamente, dove
troviamo anche una sontuosa altare-urna con i resti di S. Martina.
S. MARIA DELLA PACE _ 1656 _ ROMA
Nella sistemazione della chiesa di Santa Maria della Pace e dello spazio
antistante il Cortona, mirando alla soluzione di un preciso problema di viabilità,
crea uno degli intorni spaziali più suggestivi della Roma barocca. La piccola
piazza è organizzata come un recinto chiuso, in cui la facciata della chiesa col
protiro semicircolare è l’episodio dominante, sottolineato dagli effetti plastici
delle membrature e delle soluzioni di raccordo; i palazzi laterali, dalle facciate
trattate più semplicemente, sono delle pareti che hanno la funzione di
contenere lo spazio entro i limiti propri di un ambiente interno. Più che di un
intervento urbanistico si può parlare di un’operazione architettonica, volta a
definire uno spazio completamente separato da quello naturale. La nuove
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facciata, molto simile al Tempio di Vesta, unitamente alla sistemazione dell’area antistante con il portico
semicircolare a colonne tuscaniche di travertino celebra la chiesa come tempio della pace. Il piano
superiore arretrato (simbolo per la cerimonia di benedizione solenne attraverso il balcone), benché si
inserisca tra due ali concave, è convesso come il pronao e con le colonne incassate, particolare il timpano
classico che ingloba un secondo timpano semicircolare. L’edificio in questione è importante per il proprio
assetto planimetrico, vi è un accentuazione dell’ottagono centrale sul quale è impostata la cupola.
All’interno della chiesa è posta la cappella della Famiglia Chigi.
S. MARIA IN VIA LATA _ 1658 _ ROMA
Eretta sopra una cappella paleocristiana, questa chiesa fu ricostruita più volte, ma Pietro
da Cortona restaurò la cripta come sacrario dell’apostolo. Nella facciata di Santa Maria in
Via Lata la particolare collocazione dell’edificio nella lunga quinta di via del Corso a Roma
suggerisce al Cortona la soluzione di una fronte non più ricurva ma piana, a due ordini
chiaramente separati da un’alta cornice. Un doppio loggiato, che immette in un atrio sia
al piano inferiore che al piano superiore, anima la parete con decisi effetti chiaroscurali,
realizzando attraverso il diaframma delle colonne la compenetrazione di spazio interno e
spazio esterno. Sul fronte d’ingresso realizzò al pian terreno un pronao in antis e,
notando che la chiesa correva il pericolo di essere sovrastata da nuovi edifici aggiunse un
piano superiore privo di funzioni pratiche. Questo appariscente belvedere, un loggiato a
colonne con architrave arcuata, una trabeazione piegata ad arco che invade il frontone.
CASALETTO DEL PIGNETO (villa Sacchetti) _ 1658 _ TOSCANA
Nel Casaletto del Pigneto, oggi, scomparso, il Cortona associa elementi compositivi
derivati dalla tradizione cinquecentesca, come il nicchione che ricorda il cortile del
Belvedere del Bramante, in un ritmo continuo secondo molteplici piani di riferimento
prospettico, creando un effetto spaziale singolare. In questo piccolo ma significativo
edificio sono enunciati temi che verranno ripresi in seguito.
BERNINI
Gian Lorenzo Bernini, architetto, pittore e scultore, domina la scena artistica romana per oltre sessant’anni
con la sua vasta e fortunata attività. Nel campo dell’architettura contribuisce a formare l’immagine della
città barocca con numerosi e significativi interventi. Le componenti più vitali della sua visione artistica
(suggestione di nuove forme spaziali, senso prepotente della natura, gusto della teatralità) sono filtrate
attraverso il Classicismo.
BALDACCHINO DI S. PIETRO _ 1624 _ ROMA
Il baldacchino è una monumentale struttura bronzea facente parte di un arredo sacro a funzione
celebrativa. Questa sorprendente composizione, alta 30 m, intendeva essere una rappresentazione
simbolica della supremazia della chiesa sul paganesimo e sull’ebraismo. La struttura formata da
quattro colonne tortili, che sorreggono il coronamento a frange e volute hanno un’originale
sagoma inflessa, si colloca nello spazio della crociera michelangiolesca, al di sotto della cupola, con
effetto non statico ma dinamico.
PALAZZO BARBERINI _ 1629 _ ROMA
Nel palazzo Barberini, iniziato dal Maderno, al quale è dovuta l’adozione della
caratteristica tipologia ad ali sporgenti, insolita in una residenza di città, e
continuato in collaborazione col Borromini, l’apporto berniniano è evidente
nella loggia centrale e nella graduazione di effetti in facciata: dall’ordine
dorico, di carattere neocinquecentesco, del piano terreno alle finestre del
secondo piano, che presentano un accenno d’illusionismo prospettico.
PALAZZO DI MONTECITORIO _ 1650 _ ROMA
Tale palazzo ha la fronte divisa in tre parti, secondo una volontà classica di
proporzionamento, marcata dalle paraste che segnano la divisione insieme
l’attacco fra i prospetti parziali. L’adesione del Bernini allo spirito barocco è
dimostrata dall’articolazione in pianta della facciata ad ali oblique (dettata anche
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da esigenze urbanistiche) e dalla commistione di elementi architettonici e forme naturali nei bugnati
d’angolo e nelle mostre di alcune finestre del piano terreno.
COLONNATO DI S. PIETRO _ 1656_ ROMA
l’opera di maggior impegno a livello urbanistico è la sistemazione di Piazza San
Pietro, dove il Bernini riesce a soddisfare le esigenze di carattere liturgico e
simbolico connesse alla particolare funzione del luogo, sfruttando i vincoli
imposti dagli elementi preesistenti (obelisco e fontana) e tentando nello stesso
tempo di recuperare la visione della cupola michelangiolesca, compromessa
dall’allungamento della chiesa in seguito all’intervento del Maderno. Lo spazio è
organizzato con una chiara struttura geometrica basata su elementi semplici per
poter racchiudere una vasta piazza ellittica presentava un carattere simbolico
obbligato: un piazzale trapezoidale, con funzione di allontanamento prospettico
e di invito rispetto alla piazza vera e propria, formata da due emicicli ellittici di
colonne doriche architravate (colonnato quadruplo e arco di trionfo all’ingresso
secondo un sistema mai utilizzato prima), in cui è vista l’immagine allegorica
delle braccia della Chiesa tese ad accogliere il popolo dei fedeli. La collocazione
di due fontane nei fuochi dell’ellisse, ed i due varchi di accesso previsti dal
progetto ai lati del braccio centrale, hanno lo scopo di negare quanto più possibile la visione assiale della
facciata.
CHIESA di SANT’ANDREA al Quirinale _ 1658 _ ROMA
La chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, a pianta centrale con cappelle radiali, riprende il tema dell’ellisse con
ingresso sull’asse minore, già proposto nella piazza San Pietro. L’asse trasversale è marcato dall’adozione di
un pieno murario; l’ordine gigante delle pareti prosegue nelle nervature (grandi
costoloni)della cupola ellittica (tuttavia quest’ultima rimane nascosta dalle forme
perimetrali) con un risultato di grande coerenza spaziale, presenti anche l’oculo e
la lanterna per l’accentuazione dell’illuminazione interna. La facciata, inquadrata
da un sobrio telaio di ordine corinzio, si inserisce organicamente nello spazio
stradale con il protiro semicircolare che avanza e le ali curve di raccordo. L’abside
centrale è posta sull’asse principale, ossia quello relativo al lato corto dell’ellisse.
CHIESA di SANTA MARIA all’ARICCIA_ 1662 _ ROMA
Nella chiesa di Santa Maria all’Ariccia il riferimento al Pantheon è preso a spunto per una composizione di
volumi semplici, che da luogo ad un oggetto architettonico sottolineato da decisi accorgimenti spaziali: si
tratta di impianto a simmetria centrale, un esedra avvolgente che, ricorda la progettata sistemazione del
Bramante per il tempietto di San Pietro in Montorio.
SCALA REGIA _ 1663 _ ROMA
Il solenne scalone che conduce agli appartamenti papali, è una delle opere più brillanti del
Bernini. Sfruttando il vincolo imposto dal fatto che i muri esistenti non erano paralleli,
accentuò l’effetto prospettico facendo convergere le due file di colonne ioniche a lato della
scalinata riducendone progressivamente l’altezza man mano che salgono. La luce penetra
da una fonte nascosta a metà della scalinata (in modo da creare una sorta di pausa) e da
due finestre in cima alla rampa inferiore. Sul pianerottolo più basso mise una statua
equestre dell’imperatore Costantino nel momento della conversione, che guarda in alto
attonito la croce dorata sopra l’arco d’ingresso della scalinata.
PROGETTI PER IL LOUVRE _ 1664 _ PARIGI
Fra il 1664 e il 1665 il Bernini esegue tre progetti per il palazzo del Louvre (il primo e il secondo animati da
curve e controcurve mentre il terzo rettilineo ma mosso nei prospetti con sporgenze e rientranze) che,
sebbene non realizzati, documentano l’evoluzione della sua esperienza
creativa alle prese con un tema cosi vasto e complesso. Si tratta di
organismi concepiti unitariamente nella loro vastità, dove
l’organizzazione interna si rivela all’esterno attraverso l’articolazione
dei volumi, secondo un modo di comporre affine a certe esperienze
borrominiane e destinato a influenzare per molto tempo la cultura
europea.
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BORROMINI
Il ruolo dell’esperienza di Francesco Castelli detto Borromini è quello di dare organicità ai tentativi ed alle
ricerche della generazione del primo seicento, affrontando fino in fondo il problema del superamento della
cultura manieristica attraverso l’acquisizione di un metodo che permetta di operare sullo spazio, inteso
come fondamentale parametro compositivo. Questa rigorosa ricerca è condotta dal Borromini con un
impegno personale, frutto della sua formazione artigiana, che da alla sua opera un grandissimo valore
morale oltre che artistico e professionale. Egli guarda alla tradizione ed alla storia come successione di
esperienze da indagare e riutilizzare piuttosto che come principio di autorità; nella sua opera, reminiscenze
gotiche si affiancano all’interesse tutto barocco per l’imitazione strutturale della natura, al gusto
dell’artificio, al senso vivissimo della luce. La fusione di tutte queste componenti conferisce all’opera di
Borromini una carica rivoluzionaria che andrà ben oltre gli angusti orizzonti dell’ambiente romano.
CHIESA DI SAN CARLINO ALLE QUATTRO FONTANE _ 1634 _ ROMA
E’ una chiesa dedicata a Carlo Borromeo, un sistema di cerchiatura muraria scavata da
nicchie, secondo una forma ovale. In pianta si può leggere un insieme di due triangoli
equilateri accostati. Nella facciata Borromini utilizza due ordini giganti che distinguono
la facciata in due parti: una superiore e una inferiore. La parte inferiore è caratterizzata
da successione di superfici concava - convessa - concava; mentre la superiore presenta
tre parti concave di cui la centrale ospita un'edicola convessa. Egli gioca con la concavità
e la convessità delle pareti creando una facciata dinamica e piena di movimento, ma
anche con le fantasiose decorazioni come la nicchia posta sopra al portale d'ingresso in
cui le colonne sono due cherubini le cui ali vanno ad unirsi e creare una copertura alla statua.
La chiesa di San Carlino alle quattro fontane, pur nelle piccole dimensioni, realizza un esempio di perfetta
unità spaziale. La pianta, a complessa matrice ellittica, fonde i due tipi longitudinale e
centrale in un discorso del tutto nuovo, a cui è subordinata la struttura degli elementi
architettonici: le colonne, disposte in gruppi di quattro a seguire l’andamento curvilineo
delle pareti, vengono legate da una trabeazione continua, quest’ultima in corrispondenza
dei pennacchi, abbandona il "percorso" del perimetro diventando lineare secondo un
disegno che unifica anche visivamente l’insieme; al di sopra, tramite un sistema di
pennacchi e catini di raccordo, è impostata la cupola ellittica dall’originale disegno a
cassettoni (è un ovale incisa da un profondo cassettonato nel quale si alternano forme
diverse ottagoni, esagoni, croci, nell’imposta di questa si può scorgere la balconata, una
sorta di ballatoio ingannevole in quanto la cupola sembra sospesa, inoltre il protiro
centrale) componendo un disegno molto particolare illuminato da due finestre poste alla
base e dalla lanterna superiore. Il movimento ondulatorio dei muri e il ritmico alternarsi
a forme sporgenti e rientranti danno luogo a un palpitante organismo plastico, la cui
forma viene sottolineata dall'assenza di sontuose decorazioni. Borromini attirò l’attenzione sulla novità
della forma rifiutando il colore all’interno della chiesa, prevalentemente grigia.
A lato di questo organismo troviamo il chiostro una semplice struttura rettangolare in cui i lati smussati
determinano una continuità della superficie.
CASA DELL’ORDINE dei FILIPPINI _ 1637 _ ROMA
Borromini è autore della facciata del collegio di San Filippo, ossia “dei Filippini” accogliente i cosiddetti
“bambini della strada”, si presenta come un palazzo di città. Si tratta di un edificio complesso in cui allo
studio dei problemi funzionali e distributivi connessi alle esigenze dei committenti si accompagna una
ricerca di nuove soluzioni formali soprattutto nella facciata dell’oratorio (la pianta mostra comunque la
complessità di vincoli preesistenti, vengono pensate diverse soluzioni anche
per questo), ad andamento concavo secondo un dichiarato intento
simbolico analogo a quello del colonnato del Bernini. La facciata inquadrata
da un ordine gigante di paraste e coronata da un timpano mistilineo, è ricca
di novità linguistiche, come i profili delle finestre con archi a tutto sesto (nei
primi due piani) e la nicchia cassettonata del primo piano che corrisponde
alla sporgenza del piano terreno, all’ultimo piano dell’edificio possiamo
notare la sovrapposizione degli stili; ma gli elementi architettonici sono fusi
in un discorso unitario, sottolineato dall’uso sapiente del materiale, una
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facciata caratterizzata da un certo dinamismo. All’interno nei vari portici vengono riproposte le
caratteristiche riportate in facciata ad esempio l’ordine gigante delle lesene concave e convesse , che
divengono lesene a libro negli angoli. Il fianco dell’edificio si mostra liscio.
IL TRIANGOLO: è una delle particolari solennizzazioni dei dogmi, riaffermato durante la controriforma,
incentrato sulla trinità. Il triangolo equilatero ed equiangolo è una metafora della trinità. Una
solennizzazione più astratta deriva dalla combinazione Colomba, triangolo e raggi luminosi, secondo un
utilizzo scenografico della luce sull’altare in San Pietro. Si avvertono sensazioni, percezioni a un fine astratto
o mentale.
SANT’ IVO DELLA SAPIENZA _ 1642 _ ROMA
La cappella è annessa all’università La Sapienza (infatti in questi luoghi si
ottenevano insegnamenti superiori che si differenziavano dalle università
cittadine controllate da organi cittadini, si tratta di organi religiosi che
impartiscono un insegnamento più efficace, a Milano è nota l’università
cattolica).
Borromini arriva alla determinazione dello schema di pianta attraverso
una rigorosa composizione geometrica, impostata sull’intersezione di due
triangoli equilateri che formano una stella a sei punte, simbolo della
Sapienza, con uno spazio esagonale al centro. A lato dell’esagono sono
situate tre absidi semicircolari. Questa forma originalissima è accentuata
dal modo in cui il profilo del cornicione interno si staglia contro la cupola
impostata direttamente sopra di esso, senza la consueta pausa del
tamburo. Dall’interno la cupola acquista la caratteristica configurazione a
spicchi alternatamente concavi, rettilinei e convessi. All’esterno la facciata
è risolta contrapponendo al concavo dell’esedra preesistente il volume
convesso del tamburo, su cui è impostata un’originale cupola a gradini, con la lanterna. Il lanternino
termina con una rampa a spirale conclusa da un serto d’alloro ardente che sostiene una gabbia di ferro
ricurva sotto una croce e una sfera.
SANT’AGNESE in AGONE _ 1653 _ ROMA
Le complesse vicende costruttive della chiesa di Sant’Agnese a piazza Navona, portano ad un’incompleta
realizzazione dell’idea borrominiana; tuttavia anche nella sua forma attuale l’opera rimane fra le più
significative dell’architetto, soprattutto per il suo modo di porsi in relazione con lo spazio antistante
mediante accorgimenti volumetrici e compositivi. La pianta è sostanzialmente una croce greca (organizzata
su un ottagono), con un nucleo centrale quadrato ad angoli smussati, aperta in vani absidati lungo gli assi
ortogonali; la dimensione verticale è molto accentuata dall’insolita altezza
del tamburo. All’esterno, la principale caratteristica è data dalla concavità
della facciata, ribadita dai campanili laterali, che si pone in diretto contatto
con la convessità del tamburo, secondo un procedimento ormai tipico del
modo di comporre di Borromini. Questo gioco di volumi determina una
dialettica spaziale immediatamente e totalmente percettibile secondo le
infinite visuali di scorcio che la piazza lunga e stretta consente; l’invaso
della piazza stessa viene cosi ad essere qualificato dall’episodio edilizio,
che ne diventa il protagonista. L’opera è posta al di sopra di un podio
perché la piazza Navona veniva allagata per i giochi.
PALAZZO DI PROPAGANDA FIDE _ 1647 _ ROMA
Anche nel palazzo di Propaganda di Fide (il cui significato è la colomba
dello Spirito Santo con raggi di luce), Borromini sfrutta una facciata
destinata ad essere vista solo di scorcio: da qui la concavità centrale
(inflessione) e l’accentuazione del rilievo degli ordini, dall’orditura di
paraste giganti alle finestre con forte chiaroscuro, al cornicione sporgente
sorretto da mensole disposte con ritmo ineguale. All’ingresso, un portale
che centralmente segue l’ inflessione dell’intero edificio, le aperture
mostrano due colonnine binate sui lati, al di sopra delle stesse un trionfo
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elegante con una sorta di timpano che alterna forme triangolari a forme circolari. La trabeazione delle
finestre subisce un inflessione caratterizzata dall’andamento sinuoso della facciata. All’interno la chiesa
mostra angoli smussati, mentre sul soffitto è caratterizzata dalla presenza di archi disposti a rete.
SANT’ANDREA delle FRATTE _ 1653 _ ROMA
Con il tiburio ed il campanile di Sant’Andrea delle Fratte Borromini inserisce nel panorama della città
due elementi di grande interesse, realizzati l’uno per composizione di volumi che trae spunto da
esempi romani, l’altro per sovrapposizione di cellule autonome secondo uno schema di tradizione
rinascimentale. I due episodi, posti a caratterizzare un nodo cruciale del tessuto viario, hanno in
questo un preciso valore urbanistico, in linea col modo barocco di formare l’immagine della città.
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particolari piedistalli. Il corpo centrale è a forma ottagonale su cui poggia una grande
cupola emisferica, circondato poi da sei cappelle minori. Le raffinate volute a spirale
stabilizzate da statue fungono da contrafforti per la cupola, sulla cui lanterna si innalza
la statua della Vergine. La chiesa si prolunga verso sud nel volume minore del
presbiterio con absidi laterali, coperto a sua volta da una cupola più bassa e affiancato
da due campanili.
Lo spazioso interno è ampiamente illuminato dalle finestre termali delle sei cappelle
laterali e dai finestroni del tamburo della cupola. La luce dà
risalto alla pavimentazione in tessere di marmi policromi. Il
presbiterio e l'altare maggiore dominano su tutto. Nella
cupola emisferica appesantita da dodici massicci contrafforti barocchi a volute.
L’ingresso è solennizzato da una scalinata d’accesso di forma inusuale, superata
questa ci si trova sul podio accogliente l’intera struttura.
Nelle facciate laterali possiamo notare l’utilizzo dell’apertura semicircolare
(ripresa nel Cisternone di Livorno) e le particolari colonne decorate con
francesismi, secondo lo stile rintracciabile nella chiesa di Saint Moisè. Di
quest’ultima Santa Maria della Salute riprende anche l’utilizzo del timpano e le
decorazioni.
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L’uomo che seppe interpretare queste nuove tendenze ed in sostanza introdusse le esperienze barocche in
Inghilterra fu Cristopher Wren, scienziato con molteplici interessi, divenuto architetto professionista per
circostanze fortuite: la nomina nel 1663 a membro della commissione per il restauro della cattedrale di San
Paolo e lo scoppio dell’incendio di Londra del 1666.
CATTEDRALE DI SAN PAOLO _ 1675 _ LONDRA
La cattedrale di San Paolo, prevista originariamente a pianta centrale, fu
invece realizzata su di uno schema a croce latina, con tre navate ed un
coro molto allungato. La cupola, con un diametro di ampiezza pari a
quella delle tre navate, poggia su otto pilastri ed ha una struttura molto
complessa. Infatti è costituita da una prima cupola interna, in mattoni di
45 cm di spessore, da una intermedia
sempre in mattoni, ma di forma conica,
sulla quale poggia la lanterna con la sfera,
ed infine dalla calotta esterna costruita in
legno e rivestita di piombo. All’esterno i
fianchi sono trattati con due ordini
sovrapposti, con la parte superiore che è
solo una quinta muraria, essendo le navate
laterali alte un piano. La facciata è
articolata con due campanili leggermente
arretrati rispetto ad un pronao a due ordini
di colonne binate, che al piano terra ha cinque campate, corrispondenti
all’ampiezza delle tre navate, mentre al piano superiore si riduce a tre
campate sormontate da un timpano triangolare.
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