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COMPORTAMENTO E AMBIENTE

Appunti per la possibile riqualificazione di uno spazio educativo

Alberto Chicayban

La Psicologia Ambientale

La psicologia moderna ai suoi albori si occupava solamente dei processi interni


alla mente umana. Con l’evoluzione degli studi ha poi iniziato a prendere in
considerazione i fattori interpersonali e, dunque, anche quelli socio-culturali.
Nel 1980, anno attorno al quale è maturata la Psicologia Ambientale, è stata
riconosciuta definitivamente l’influenza dell’ambiente fisico sul
comportamento della persona (Stokols, 1978)

L’evolversi della Psicologia Ambientale, però, non è stato lineare. Le prime


intuizioni rispetto a questa branca della Psicologia appaiono negli USA verso la
fine degli anni Cinquanta, con l’inserimento della materia come settore
autonomo nell’ambito della psicologia classica. Solo negli Anni Settanta, però,
prenderà il nome di environmental psychology e si affermerà come lo studio
dell’interfaccia tra comportamento umano ed ambiente socio-fisico (Stokols e
Altman, 1987).

La Psicologia Ambientale non sorge da speculazioni teoriche, ma da


esperienze concrete. La caratteristica di concretezza sembra costituire il
destino della disciplina. Le sue fortune iniziali sono legate alla ricerca nel
campo della Psichiatria connesse allo studio, finanziato dall’Istituto
Nazionale di Salute Mentale (New York, 1958) sulla possibile
correlazione tra l’assetto spaziale-architettonico dell’ospedale
psichiatrico ed il comportamento dei pazienti. Il passaggio poi dallo studio
dell’assetto fisico dell’ospedale psichiatrico allo studio dei rapporti tra
comportamento ed assetto fisico ambientale è stato quasi immediato.
La Psicologia Ambientale potrebbe essere definita come una ricerca di
confine, basata sulla collaborazione tra il versante psicologico ed altri ambiti,
sia disciplinari che tecnici, interessati ai problemi di assetto, cambiamento e
gestione dell’ambiente fisico umano. In questo senso, si tratta di mettere
in correlazione l’architettura, la progettazione ambientale, la geografia
comportamentale (o della percezione) e le scienze bio-ecologiche, i
principali attori della Psicologia Ambientale – elementi stimolanti dall’esterno.

Roger Barker, sulle orme di Kurt Lewin, ha messo in primo piano il


ruolo dell’ambiente, attribuendogli la stessa rilevanza di quella assegnata ai
fattori personali nella determinazione del comportamento individuale.
Successivamente, Barker e Wright (1951) hanno sviluppato un
procedimento che intendeva identificare e descrivere con precisione la
varietà dei settings1 che compongono un particolare contesto
ambientale, definendo tale procedimento behavioral setting survey. Il
carattere organizzato e interdipendente delle varie componenti fisiche e sociali
del setting è assicurato dal programma del setting, costituito dall’insieme delle
sequenze prescritte e ordinate nel tempo per le attività, gli scambi tra le
persone e gli oggetti al suo interno.

Pur soggetta a revisioni ed aggiustamenti successivi da parte dello stesso


Barker e colleghi, l’esperienza della Psicologia Ambientale rimane un punto
di riferimento obbligato per ogni ricerca psicologica che intenda operare
programmaticamente in condizioni esterne al laboratorio, in quanto gran
parte dell’ordine, della stabilità e della prevedibilità del
comportamento umano deriva dall’ambiente circostante: gli
strutturati, omeostatici, coercitivi settings comportamentali che la
gente abita (Barker, 1987).

1
Setting significa il contesto, tutte le caratteristiche ambientali e temporali coinvolte in una
data circostanza.
La Psicologia Ambientale è evoluta ed è stata assorbita all’interno di una
nuova branca di nome Ecopsicologia. La Psicologia Ambientale rappresenta
sicuramente l’antecedente dell’Ecopsicologia, che arriva a ridefinire
radicalmente il rapporto che lega essere umano ed ambiente, includendo anche
il setting naturale.

Adottando la definizione di Davis (1999), possiamo così riassumere gli elementi


focali propri della Psicologia Ambientale: lo studio della percezione
ambientale, l’esame degli effetti che l’ambiente produce sul
comportamento umano e gli effetti del comportamento umano
sull’ambiente stesso.

Lo Stress Ambientale

Nell’ambito della Psicologia Ambientale, gli studi relativi al contesto urbano


hanno condotto alla definizione del concetto di Stress Ambientale per
indicare gli effetti negativi che riversano sugli individui quei fattori legati alle
attuali condizioni di vita. Sono stati individuati, quali principali stressori
ambientali: il rumore, l’inquinamento dell’aria, l’affollamento, il
traffico, le variazioni di temperatura (Peron e Saporiti,1995).

A livello fisiologico lo Stress Ambientale influisce sull’attivazione del


sistema nervoso autonomo - aumento della pressione sanguigna, della
conduttanza cutanea, della frequenza respiratoria, della tensione
muscolare e variazione del battito cardiaco. Inoltre, lo Stress Ambientale
agisce sull’attività ormonale (aumento delle catecolamine e dei
corticosteroidi nel sangue) (Evans e Cohen, 1987).

Lo Stress Ambientale, inoltre, influenza negativamente la prestazione


dei soggetti in compiti cognitivi che coinvolgono l’attenzione, la
memoria a breve termine e la memoria incidentale (Hockey,1979).
Le conseguenze dello Stress Ambientale si estendono poi anche alle
relazioni interpersonali e agli affetti. In particolare è stato dimostrato che,
in condizioni di stress, recede il livello di altruismo e di cooperazione tra
gli individui e si registra un incremento delle condotte aggressive
(Cohen, 1980).

Ci siamo ormai adattati a vivere in ambienti malsani e non ci


accorgiamo neanche più di quelle gravi forme di inquinamento che
riducono notevolmente la qualità della vita. L’ambiente malsano può
essere un quartiere degradato, nel quale, per un motivo o per l’altro,
mancano i servizi essenziali, la nettezza urbana o la manutenzione degli spazi
comuni. Ma l’ambiente malsano può essere anche la struttura
residenziale o sanitaria nella quale le caratteristiche ambientali
lavorano contro il benessere degli ospiti e contro gli obiettivi educativi
o terapeutici, vanificando gli sforzi dello staff.

Gli studi di psicologia ambientale che indagano gli effetti a lunga scadenza
dello stress ambientale, verificabili dopo ripetute o prolungate esposizioni
al fattore stressante, mostrano quello che viene definito fenomeno di
adattamento allo stress (Evans e Cohen, 1987).

Una prima forma di adattamento è rappresentata dall’abitudine alla


situazione stressante, che comporta un conseguente decremento nella
risposta del soggetto. In questo caso, accade che l’individuo si abitua allo
stimolo disturbante e la sua sensibilità alla fonte di stress di riduce. È
quello che succede – dice Baroni – quando una persona abituata a vivere
in un ambiente rumoroso si adatta e non soffre quasi più se deve dormire
in una stanza che dà su una strada piena di traffico, come se lo stress si
fosse in qualche modo cronicizzato (Baroni, 1998).
Dunque la situazione di degrado ambientale finisce per diventare normale, un
presupposto naturale a cui non si presta neanche più attenzione. In
conseguenza di ciò, si arriva a tollerare ogni forma di dissesto
ambientale, con la conseguente riduzione della percezione
dell’esistenza degli stessi.

Un secondo tipo di adattamento consiste inoltre nella generalizzazione


della risposta a quelle circostanze che in realtà non ne presentano la
necessità. Per restare nell’esempio del rumore – continua Baroni – è possibile
che l’individuo generalizzi le risposte al rumore anche a situazioni in cui non ce
n’è bisogno, attutendo la sua sensibilità agli stimoli uditivi anche in situazione
di quiete, come se di notte si mettesse dei tappi nelle orecchie e dimenticasse
di toglierseli al mattino (Ibidem).

Nel terzo gruppo di effetti a lunga scadenza sono da includere, infine, i


disordini psicologici e fisici. Esistono ricerche confermate che
dimostrano che la possibilità di contrarre il raffreddore, l’influenza e le
infezioni batteriche aumenta a seguito di un periodo di stress
(Cohen,Tyrrell e Smith, 1991; Cohen e Williamson, 1991). Tra gli effetti a
lunga scadenza, inoltre, si registrano anche possibili comportamenti
aggressivi e vandalici (Moser,1992). Sono conosciute le reazioni
aggressive degli anziani affetti dalla Demenza d’Alzheimer in presenza
di fattori ambientali stressanti, rispetto ai quali Moyra Jones, creatrice della
tecnica gestionale Gentle Care, ha realizzato un’interessante ricerca2.

Le caratteristiche pianificate di setting nell’ambiente artificiale


(Ambiente Costruito), abbinate a fattori sociali, possono rafforzare
effettivamente comportamenti e sentimenti desiderabili nelle persone.
Per esempio, se l’amministrazione di un ospedale desidera creare un
programma per ridurre la violenza contro lo staff e promuovere cambiamenti
desiderati nel contatto fra visitatori e personale – oltre a stabilire norme che

2
JONES, MOYRA. Un modello positivo di assistenza all’Alzheimer. Ed. Carocci Faber 2005
spingono verso un comportamento garbato e sensibile dalle due parti e
formare adeguatamente il personale - l’amministrazione dovrà, come minimo:
a) introdurre una chiara segnaletica destinata ad evitare
disorientamento ed equivoci che possono portare stress ai visitatori;
b) disporre un tipo di sorveglianza discreta ed efficace nei punti più
sensibili dello spazio nel quale il contatto fra visitatori e staff sono più
frequenti; c) mantenere gradevole e umano l’aspetto dell’ambiente,
oltre ad assicurare alti indici di pulizia negli spazi interni ed esterni. Il
rispetto di questi tre semplici punti può essere fondamentale per
ridurre radicalmente lo stress e gli eventuali episodi di violenza3.

È necessario comprendere che il comportamento è un fenomeno sociale. Non si


tratta solamente di una scelta individuale come tanti immaginano.
Nonostante le scelte individuali siano veramente importanti, le
modulazioni comportamentali stimolate dall’ambiente sono da
prendere sul serio nella progettazione o nella riqualificazione di un
Ambiente Costruito.

Quanto sarebbe importante la coscienza del potere modulante


dell’ambiente sul comportamento nella pianificazione di un Ambiente
Costruito deputato a processi riabilitativi, educativi o terapeutici?

Spazi del Disagio

Dal 2003 mi occupo, all’interno della Cooperativa Itaca, del Laboratorio di


Stimolazione Musicale, un pratica pedagogico-educativa. Come attività
trasversale ai settori, il Laboratorio di Stimolazione Musicale è stato (e lo è
tuttora) a servizio di strutture come Centri Diurni per Anziani e per l’Handicap,
Case di Riposo, Centri di Salute Mentale e Residenze Psichiatriche. Durante il
lavoro in queste strutture ho potuto notare alcune caratteristiche

3
Cabinet Office and Institute for Government (2010), England - Mindspace: infuencing
behaviour through public policy.
ambientali che sembravano andare in direzione contraria rispetto agli
obiettivi educativi o terapeutici locali. I commenti che seguono non sono
realizzati con la finalità di denigrare o sottostimare il lavoro delle persone
impegnate in quelle unità, ma con l’obiettivo di segnalare l’esistenza, non
ancora messa a fuoco, di problemi ambientali capaci di vanificare lo
sforzo atto a creare benessere negli assistiti e di contribuire
all’aumento dell’incidenza del burn out fra gli operatori.

Un giorno sono andato a realizzare un sopralluogo in una casa di riposo


comunale nei pressi di Udine. La direttrice, molto sollecita, mi ha guidato fra i
diversi reparti presentandomi, alla fine, il piano abitato dalle persone
gravemente affette da diversi tipi di demenza (nei confronti delle quali era
programmato il mio lavoro). In quel piano si ascoltava della musica rock
ad alto volume, trasmessa da un sistema di filo diffusione sintonizzato
su un’emittente radio commerciale (stranamente gli altri piani non
avevano accesso alla stessa programmazione musicale). Non poche volte
avevo ascoltato musica rock aggressiva o musica pop ad alto volume nei
sistemi di suono di case di riposo e centri diurni. Quando ho domandato agli
operatori il perché della scelta mi è stato detto che portava della gioia
all'ambiente e alleggeriva il carico di lavoro. Non a caso, però, su quel
piano i disturbi di condotta degli ospiti erano molto frequenti: grida,
urla, aggressioni e sputi su visitatori ed operatori.

Nei corridoi si vedevano mobili ed oggetti accatastati in ordine sparso,


insieme a vecchie sedie a rotelle da riparare ed a quadri infantili
appesi alle pareti, in una sorta di caos. È abbastanza comune vedere
appesi, alle pareti o al soffitto degli spazi assistenziali per adulti, anziani o
meno, i tipici interventi delle così dette Animatrici: coniglietti, cagnolini,
farfalline, cuoricini, bandierine insieme a superstiti addobbi natalizi o pasquali,
simboli di una realtà regressiva e parallela nella quale l’ospite viene
mantenuto privo del contatto con il mondo reale, non bastassero gli
acciacchi e le menomazioni che molto spesso lo mantengono lontano dal
convivio sociale.

Non è difficile trovare, all’interno di strutture deputate a lavori


riabilitativi o educativi, le pareti dipinte di un deprimente bianco
sporco, o di colori aggressivi ed arte graffitara - che potrebbero stare
benissimo in un galleria di arte contemporanea od all’interno di un centro
sociale - le cui funzioni non c’entrano per nulla con gli obiettivi locali.

La scelta dei colori utilizzati negli Ambienti Costruiti destinati alla


riabilitazione o alle attività educative, dovrebbe invece obbedire ad un
criterio di funzionalità rispetto al lavoro svolto all’interno di quegli
spazi. Gli ambienti, se sistemati razionalmente, possono inoltre fare una bella
differenza rispetto al comportamento di chi usufruisce di quegli spazi e
facilitare il lavoro dell’equipe.

Uno spazio di cura non è una scuola materna o un centro sociale.


Mutuare l’estetica caratteristica degli spazi concepiti per accogliere bambini od
aggregare ragazzi, adattandola acriticamente agli spazi di cura per adulti in
situazione psicosociale completamente diversa, non è sensato. Anzi, forse un
tale adattamento potrebbe indicare simbolicamente la
disorganizzazione del gruppo di lavoro e l’ assenza di coscienza critica
rispetto ai compiti educativi o riabilitativi da svolgere all’interno dei
suddetti spazi di cura.

Nei gruppi appartamento, residenze protette, centri diurni e case di riposo,


l'alternativa ambientale può situarsi, in genere, tra la freddezza e
l'impersonalità dell'ambiente ospedaliero e lo squallore
dell'improvvisazione di mobili o quadri riciclati male e di suppellettili
accatastate. Gli ambienti educativi o terapeutici spesso diventano
magazzini o parcheggi per oggetti rifiutati da altri.

Da segnalare, poi, che nella maggior parte delle strutture educative e


riabilitative manca la presenza di piante o fiori, in grado da soli di
umanizzare l’ambiente, oltre a stimolare la naturale biofilia nelle
persone assistite4.

Alcune volte ho visto dei quadri inquietanti in residenze e centri diurni


per persone affette da problemi psichiatrici, demenza o handicap. Gli
Animatori, Operatori o Responsabili della gestione delle strutture, a volte con
delle lauree in psicologia alle spalle, non sembravano accorgersi
dell'inadeguatezza dell'arredo, capace di creare un’atmosfera truce e crudele.

Ricordo l’ex ospedale psichiatrico trasformato in RSA con un quadro


che raffigurava un branco di cani, o lupi, che sbranavano un cervo
sanguinante e morente. Un altro quadro appartenente agli spazi di un
DSM ritraeva un capodoglio, o pesce gigantesco, che cercava di
inghiottire un uomo (è impossibile una metafora migliore per una psicosi!).
Invece, all’interno di una casa di riposo comunale vicino a Pordenone, gli ospiti
convivevano con un grande quadro rosso che riproduceva in maniera
realistica un incendio che divorava una casetta, mentre un uomo
inquietante guardava la scena con le spalle girate verso gli
osservatori. Forse non era solamente una coincidenza il fatto che i tre
ambienti menzionati non fossero famosi per l’assenza di disturbi di condotta
fra gli ospiti.

4
Da una ricerca di Lohr (1996) è risultato che gli individui che lavorano in una stanza con
piante riferiscono di sentirsi più concentrati, lavorano più efficientemente e registrano una
pressione del sangue inferiore rispetto ai compagni che occupano la medesima stanza senza
piante. Innumerevoli ricerche hanno confermato l’importante ruolo delle piante negli ambienti
rispetto la produzione.
Nei casi citati ho riferito tutte le mie obiezioni agli Operatori e al
Coordinamento responsabile per la struttura, ma paradossalmente non
riuscivano a capire dov'era il problema di tenere immagini minacciose
o inquietanti in quegli ambienti. Non riuscivano a trovare il nesso fra
le caratteristiche ambientali ed il comportamento umano, come se le
persone fossero in ogni caso immuni alla stimolazione di suoni, forme e colori
utilizzati a casaccio.

Appunti per una probabile riqualificazione

Riassumendo, si potrebbero individuare i seguenti punti d’intervento generali,


come basi per una riqualificazione ambientale destinata ad uno spazio
educativo e riabilitativo:

Rumore e Musica inadeguata (soluzione: contenere l’intensità -


pianificare la Musica Ambientale in maniera coerente con le necessità
educative o riabilitative locali – obiettivo benessere)

Accatastamento di mobili e suppellettili (soluzione: ridurre la quantità


degli elementi in maniera da impostare un design funzionale capace di
dare allo spazio un chiaro equilibrio visivo – regole definite per
l’accettazione delle donazioni di oggetti o mobili )

Quadri ed allestimento aleatorio (soluzione: stabilire tema o temi


capaci di dare un senso al materiale visivo da esporre basandoli sugli
obiettivi educativi generali da raggiungere – mantenere l’armonia fra
colori degli elementi con un criterio di coerenza generale)
Colori inadeguati delle pareti (soluzione: realizzare opzioni coerenti
con le linee guida per stimolare un comportamento adeguato agli
obiettivi educativi generali da raggiungere)

Assenza di piante o fiori all’interno degli ambienti (soluzione:


scegliere le opzioni migliori ed i punti strategici dove piazzare queste
piante o fiori – magari la cura delle piante potrebbe essere parte di
alcuni progetti educativi individualizzati)

DUE PRIMI PASSI CONSIGLIATI PER LA RIQUALIFICAZIONE


AMBIENTALE

a) REALIZZAZIONE DI UN MOMENTO FORMATIVO SEMINARIALE

In un primo momento l’Equipe riceverebbe informazioni generali sulla


questione Ambiente e Comportamento. In un secondo momento,
informata sull’argomento, tramite un confronto sulle modifiche da
introdurre, L’Equipe imposterebbe le linee guida generali per tutte le
soluzioni pratiche da mettere in campo, al fine di ottenere un aumento
della qualità nella gestione dell’Ambiente, quale strumento coerente
con gli obiettivi generali di lavoro.

b) INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI ISOLA PER I CAMBIAMENTI

Realizzata dall’Equipe l’impostazione delle linee guida, si passerebbe


all’individuazione di una piccola parte dell’Ambiente, da trasformare
secondo i nuovi criteri, in maniera tale che, all’interno di questa
piccola parte scelta, siano presenti gli elementi generali di
trasformazione ambientale e le nuove regole d’utilizzo dello spazio.
Approvata dall’Equipe la realizzazione dalla prima Isola, si passerebbe
alla scelta di una seconda Isola da trasformare e così via, onde evitare
cambiamenti bruschi che potrebbero stravolgere troppo i ritmi della
comunità.

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