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UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA

FACOLTÀ DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE


CURRICOLO DI PSICOLOGIA CLINICA E DI
COMUNITÀ

È POSSIBILE CAMBIARE LA PERSONA OLTRE IL TRAUMA


MODELLI TERAPEUTICI E CLINICI A CONFRONTO

STUDENTE: BAVU Mulenga


RELATORE: Prof.ssa DE NITTO Carla
CO-RELATRICE: Prof.ssa CINZIA Messana
PRESIDENTE: Prof MONTISCI Ubaldo

2021-2022
INTRODUZIONE

Il tema della tesi ha come focus il tema del trauma e la possibilità di


cambiamento. La visione del trauma verrà descritta a partire dal fondamento filosofico
antropologico dove si descrive come le persone hanno affrontato tali esperienze (Frankl,
2011, 2014) e hanno dato senso alla sofferenza (Ogden et al., 2012). Una visione della
persona in senso integrativo comprende la sua capacità di libertà e auto-determinazione,
auto-trascendenza e la capacità di superare la sofferenza. La finalità del tema sarà di
comprendere i sintomi manifestati dal paziente e i significati attribuiti alle memorie
traumatiche senza patologizzarli.
Il tema del trauma mette al centro come gli apprendimenti emotivi siano alla
base dei comportamenti inconsci e inconsapevoli messi in atto dalla persona (Benjamin,
2004; Ecker et al., 2012b, 2018) e che possono attivarsi nelle diverse situazioni sia in
contesti di pericolo che non (Benjamin, 2004). La tesi descriverà come le esperienze
precoci costituiscono forme di apprendimento inconsce dalla persona, nelle quali
costruisce gli schemi mentali, modelli operativi interni (Ammaniti, 2002; Ammaniti &
Gallese, 2014). Nel trattare il tema del trauma verranno presentate delle teorie legate al
trauma,
come la neurobiologia interpersonale (Siegel, 2013, 2014b) e gli studi recenti sulle
ricerche in cui si analizzano i processi di sé, del mondo e della realtà. Questi
apprendimenti emotivi possono essere appresi come «credenze, schemi mentali e
modelli operativi interni» (Benjamin, 2004). In base alle tipologie di relazioni e ruoli
che il bambino ha avuto con le figure significative, il bambino crea degli schemi mentali
e i modelli operativi interni. Sarà importante descrivere come questi schemi mentali e
modelli operativi interni abbiano un impatto sul sistema nervoso e sulla memoria in
risposta alle sofferenze. «Nelle prime fasi della vita, la creazione di nuove
interconnessioni fra i neuroni attivati porta alla formazione della cosiddetta memoria
implicita; […] questo tipo di memoria comprende vari aspetti, fra cui la memoria
percettiva, emozionale, comportamentale e verosimilmente, quella sensoriale, corporea.
Anche il priming può essere determinato in modo implicito così come i cosiddetti
modelli

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mentali, ossia generalizzazioni di esperienze ripetute» (Siegel, 2014, p. 30). Fino
all’inizio del 1997 i neuroscienziati le neuroscienze avevano sostenuto che questi
apprendimenti emotivi, schemi mentali, credenze e convinzioni non potevano essere
eliminati al livello cerebrale, «la possibilità di un ricordo consolidato ha rappresentato
un’inversione importante del principio canonico dell’indelebilità» (Ecker et al., 2018, p.
41) La finalità che si propone sarà descrivere come la scoperta sulla neuroplasticità
sostenuta da vari autori (Van der Kolk, 2015b) evidenzi la possibilità di creare nuovi
circuiti cerebrali che rappresentano un cambiamento anche dal punto di vista strutturale.
I circuiti neurali non sono fisicamente separati dal vecchio apprendimento
indesiderato, poiché «si può ipotizzare che la riattivazione di ricordo consolidato possa
riportalo ad uno stato labile, sensibile, in cui possa essere modificato, rafforzato,
cambiato o addirittura cancellato» (Ecker et al., 2018, p.42). Secondo le attuali
conoscenze delle neuroscienze, circuiti degli apprendimenti esistenti possono essere
cancellati solo attraverso la sequenza di cancellazione con le particolari condizioni.
Grazie alla neuroplasticità del cervello e ai processi di riconsolidamento della
memoria, è possibile lo sblocco delle sinapsi di un apprendimento emotivo target
facendo in modo che non sia semplicemente scavalcato, ma realmente annullato e
cancellato da un nuovo apprendimento. Questa teoria dimostra come il cervello umano
sia in grado di sbloccare e dissolvere gli apprendimenti emotivi. Queste scoperte
consentono di promuovere il cambiamento mediante diversi modelli terapeutici che
tengano conto dei processi del
riconsolidamento.
Il secondo approccio teorico preso in considerazione in questa tesi è quello
dell’Analisi Transazionale; esso è radicato nella visione antropologica in cui l’uomo è
visto come capace di fare scelte, nel rispetto della persona e per far sì che la terapia sia
efficace e verrà descritto per avere una comprensione integrativa di come si promuove il
cambiamento trasformativo.
La teoria dell’Analisi Transazionale metterà in evidenza come esperienze
precoci possano creare degli schemi (Cornell et al., 2018; Stewart & Joines, 2000a);
sarà la teoria della personalità costituita dagli stati dell’io Bambino, Adulto e Genitore
una lente importante per comprendere come le relazioni precoci influenzano il
comportamento del

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paziente nei momenti attuali. Il lavoro sul copione, attraverso la terapia della ridecisione
(Goulding & Goulding, 1983), è al centro in quanto riporta la persona alla
consapevolezza del problema e guida nel processo di cambiamento.
L’obiettivo che si intende raggiungere in questi tre capitoli ruota intorno al
concetto del trauma per evidenziare come sia possibile il cambiamento anche in
situazioni di grossa vulnerabilità, alla luce della ricerca attuale sul campo
neuroscientifico. Il primo capitolo metterà al centro la condizione umana legata alle
situazioni di limite, in particolare il tema della sofferenza. In questo capitolo l’intento è
quello descrivere come l’uomo nonostante la condizione di sofferenza abbia anche delle
capacità di superare la tale condizione perché è insita in sé stesso la possibilità di
autodeterminarsi, essere, libero, auto-trascendersi. Allo stesso tempo il capitolo
descrive come la vulnerabilità e la finitudine nelle esperienze traumatiche, mediante
la sofferenza estrema, possano diventare un trauma. Si è deciso di strutturare il capitolo
in tal modo al fine di presentare gli aspetti della lettura filosofico antropologica, che
indicano che l’uomo già mette in atto gli aspetti di superamento del trauma in quanto
insiti nella condizione stessa dell’uomo, e quindi partendo da ciò descrivere alcune
condizioni nelle quali ciò non è stato possibile per poi descrivere prontamente il
concetto di trauma.
Nel secondo capitolo si vedrà come il modello della Coherence Therapy (Ecker
et al., 2018) favorisce il processo di cambiamento secondo le nuove scoperte
scientifiche. Si utilizza tale modello perché la Coherence Therapy ha superato la visione
dell’indelebilità del ricordo traumatico, secondo le quali non poteva essere superato,
dando una nuova prospettiva, ovvero, che le esperienze traumatiche possono essere
superate e modificate anche da un punto di vista biologico.
Il terzo capitolo metterà in evidenza come l’Analisi Transazionale favorisce i
processi di cambiamento. Nell’ultimo paragrafo la finalità è presentare una riflessione
critiche sul tema ed in particolare riflettere sui pregi e i limiti dei modelli riferimento,
cercando di estrapolare le tecniche e le prospettive che possano apportare possibilità
nuove nella trattazione teorica e nella pratica della psicologia sul trauma.
Conseguentemente il lavoro sarà strutturato nel modo seguente. Nel capitolo
primo si introdurrà il tema esplicitando la visione antropologica filosofica umana e le

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caratteristiche della persona. Verranno descritti alcuni elementi caratteristici, come la
liberta, auto-determinazione e la volontà della persona (Campodonico, 2007). La
seconda parte del primo capitolo metterà in evidenza in maniera sintetica le definizioni
e le ricerche sul trauma, facendo riferimento ad alcuni modelli teorici. Il modello della
neurobiologia interpersonale (Siegel, 2020) mette al centro sulla relazione precoce con
le figure significative e il loro impatto e i possibili esiti della patologia. Il concetto
biopsicosociale di Van der Kolk (2015a) “il corpo accusa il colpo” descrive l’impatto
del trauma sul corpo e sulla memoria. Il concetto di trauma come dissociazione (Hart et
al., 2011) mette in luce come il trauma cronico ha un impatto sulla struttura della
personalità e come queste forme di trauma si adattano alle terapie più lunghe.
Nel secondo capitolo verrà descritta la teoria della Coherence Therapy (Ecker et
al., 2012a) Le neuroscienze negli ultimi anni hanno scoperto che gli apprendimenti
emotivi generati in presenza di un’emozione intensa, come le credenze di base e gli
schemi cognitivi generati durante l’infanzia, sono fermati nel cervello da sinapsi in
maniera straordinaria. Il riconsolidamento della memoria verrà descritto in relazione ai
processi specifici che cancellano i vecchi circuiti neurali con un nuovo apprendimento,
in particolare. Verranno descritte e definite le fasi principali della metodologia, il
concetto della coerenza del sintomo e la sua funzione. Infine verrà descritto la tecnica
della “giustapposizione” nella Coherence Therapy per soddisfare le condizioni poste dal
cervello per disimparare o annullare uno schema allo scopo di favorire un cambiamento
trasformativo nel paziente.
Il terzo capitolo descriverà il modello dell’Analisi Transazionale e la teoria della
personalità (Cornell et al., 2018); ai fini della crescita e del cambiamento della persona
verranno presentati i modelli degli stati dell’io Bambino, Adulto e Genitore come
sistemi coerenti per comprendere le esperienze precoci e le influenze sulla persona
(Cornell et al., 2018; Erskine, 2018; Stewart & Joines, 2000). Inoltre verrà mostrato
come l’Analisi Transazionale possa promuovere processi di cambiamento, attraverso la
costruzione del contratto, il lavoro sul copione e con il modello di riferimento della
teoria della ridecisione (Goulding & Goulding, 1983a).

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La metodologia utilizzata nella stesura della tesi è di tipo compilativo, ed in
particolare si è cercato di focalizzarsi su temi di ricerca recenti attraverso diversi articoli
di ricerca, che potessero rappresentare una base di partenza per poi approfondire i temi
che pian piano si coglievano, all’interno di volumi così da avere una visione più
completa. La ricerca di tale bibliografia è stata effettuata nella Biblioteca Don Bosco, e
in particolare attraverso la banca dati OPAC-EBSCO.

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CAPITOLO 1 TRAUMA E POSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO.

In questo capitolo verrà presentato il tema del trauma, partendo da una visione
filosofico-antropologica. Nella prima parte si descriverà la visione dell’uomo e la sua
risposta alla condizione di sofferenza. Si metteranno in evidenza alcune caratteristiche
come l’autodeterminazione, la liberta, il concetto di auto-trascendenza siano
caratteristiche nel frontegiamento della condizione di sofferenza umana. Inoltre il limite
della sofferenza umana verrà descritto in relazione a come in alcune condizioni si
trasforma in condizione di patologia ed esperienza traumatica e perciò verranno
presentati degli approcci teorici per descrivere il trauma: la prospettiva neurobiologica,
quella di Bassel Van Der Kolk e quella di Onno Van Der Hart.

1. La visione antropologica e filosofica dell’uomo

La complessità degli eventi che riguardano l’uomo del nostro tempo spinge la
filosofia ad ulteriori riflessioni su ciò che riguarda il suo essere, le sue contraddizioni, il
sentimento di curiosità che lo accompagna per cercare di rispondere alle domande
esistenziali. È insito nell’uomo il desiderio di conoscere la verità sulle domande
esistenziali svincolandosi dalle passioni che glielo impediscono, «c’è in lui la capacità
di conoscere la verità e di essere felici, ma l’uomo non possiede alcuna verità, né
stabile, né soddisfacente» (Pascal, 1996, p. 117). L’uomo vive in un tempo dove
insorgono continuamente domande sull’etica, la tecnologia, la genetica e scoperte
scientifiche che sono arrivate ormai oltre ciò che ci si poteva attendere. Tuttavia, è
evidente come l’uomo faccia fatica o quasi sia incapace di fare un percorso che lasci la
possibilità di esplorare la sua interiorità, contraddizioni, limiti verso la costruzione della
sua identità. Questa difficolta è alla base della sofferenza dell’asfissia, cioè
l’impossibilita di trovare la speranza. Nonostante ciò, una caratteristica importante per
l’uomo è legata al concetto e al desiderio di conoscere sé stesso, ed è in questa ottica
che l’uomo può domandarsi, “Ma

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in fondo chi è l’uomo?”. Al di là di appartenenze sia politiche che economiche, porsi
questa domanda è un modo in cui ogni persona fa la domanda a sé stesso: “chi è l’uomo
che sono oggi”.
In questa analisi filosofica di tipo fenomenologico si propone una lettura della
persona in tre livelli proposto da Palumbieri (2006); il livello del sé, il livello per il sé e
il livello per gli altri. Questi tre aspetti importanti nella descrizione della persona hanno
come punto di arrivo l’amore come telòs, caratteristica struttura d’essere, che parte in
sé, e attraverso il per sé, si apre all’altro-da- sé. Inoltre Palumbieri (ib.) fa l’analisi della
con- centrazione dove ricerca quelli che sono i punti della concentrazione; in altre
parole, il punto di incontro dell’uomo è nella sua interiorità, spirito-unitotalità, auto-
trascendenza senza limite, il suo senso diretto verso l’illimite «solo quando si è amati, ci
si rende conto di valere pienamente non per quello che si ha, ma per quello che si è,
perché l’amore conosce l’ontologia e non l’economia» (Ivi, p. 190).
Nella trattazione della visione antropologica della condizione esistenziale
emergeranno in maniera più forte i temi della storicità, fragilità, mortalità. Mentre nella
prima parte antropologica, l’uomo si dimostra come meraviglia, nella seconda come
ricerca di incontro e di integrazione del suo essere nella conoscenza di sé stesso, nella
relazione con sé, nella terza parte si disvela come paradosso, perché qui si evidenzia la
compresenza dei suoi contrari. L’uomo passa dalla prospettiva della meraviglia a quella
del paradosso, che è la morte (Ariès, 1980; Goss & Klass, 2005; Klass & Steffen, 2018)
ed è il luogo per eccellenza del contrasto tra la tensione che porta dentro, al desiderio di
vivere di più e all’angoscia di non essere in grado di impedirla. Ciò emerge dal fatto
(Boros, 1969) che l’uomo non può domandarsi il senso della sua morte soltanto nel
momento della agonia. L’essere umano non ha un’esperienza immediata della morte e
non si può lasciare la possibilità di riflettere sul significato della morte ai momenti di
agonia o nell’ora della morte. «La morte è una dimensione costitutiva fondamentale
dell’esistenza vivente» (Heidegger cit. in Boros, p. 46). L’esistenza umana porta in sé la
morte nel suo seno e «l’uomo di fatto muore per tutta la durata della sua esistenza»
(Agostino, cit. in Boros, p. 47). «Chi conosce la morte conosce anche la vita. E
viceversa: chi dimentica la morte dimentica anche la vita» (Boros, 1969). Quindi ogni
essere umano

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è chiamato ad una riflessione costante sul suo significato. Il sentimento della finitudine,
è ordinato a una presa di responsabilità, più acuta, dell’impegno di farsi-uomo. «Noi
non siamo propriamente uomini, ma lo diventiamo ogni giorno» (Ibidem, p. 47).
L’uomo è un essere il cui essere è il divenire nell’essere. La persona può essere
considerata come un centro ricetrasmittente di sfide e stimoli, trasformati in messaggi e
scommesse. Incentrata nell’autocoscienza, essa è il punto di innesto della sua vita
individuale e relazionale. È il nucleo della percezione della identità, e più esercita
l’apertura tanto più si conferma la coesione metafisica interiore. Il percorso di
umanizzazione implica l’accettazione del proprio essere paradosso sia sul piano
psicologico che etico e il vivere tutto con equilibrio. Assumere questo atteggiamento è
conoscenza del paradosso è vivere a misura d’uomo.

1.1. La persona come autodeterminazione

La caratteristica della determinazione è stata espressa dai filosofi (Kierkegaard,


1953) anche descrivendo esperienze personali «fin dall’inizio, la mia vita è stata segnata
dalla sofferenza come forse pochi riuscirebbero appena a immaginarsi, gettato nella
malinconia più profonda, e da questa anche nella disperazione, sì che mi sono convinto
che dovevo scrivere […] per superarla» (Spera, 1986, p. 60). In altre parole
l’autodeterminazione è vissuta in relazione con il desiderio di compiere e dare senso
all’esperienza. L’autodeterminazione in relazione con la volontà «non è altro che l’atto
stesso della persona considerata nel suo aspetto inoffensivo piuttosto che nel suo aspetto
creatore (Danese, 1986, p. 125). Questa inclinazione della ricerca della verità storica
diventa tensione, non solo di tipo cognitivo, ma anche curiosità della verità reale.
L’uomo registra non solo la capacità della conoscenza o contatto intenzionale verso
l’essenza della realtà, ma possiede anche la volontà o tensione verso il contatto reale. Il
primo aspetto nel processo di auto-determinazione passa attraverso la conoscenza e
presume che questo avvenga nel momento in cui si ponga una domanda: «non si fanno
esperienze senza porre delle domande. Il venire a riconoscere che le cose stanno in
modo diverso da come si credeva inizialmente presuppone ovviamente che si sia passati
attraverso la fase della domanda, che ci si sia chiesti se le cose stiano in questo o
quel modo» (Gadamer &

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Vattimo, 2000, p. 747). Il secondo principio è legato alla volontà e al sentimento del
bello come caratteristiche che costituiscono la struttura intellettiva antropologica della
persona. Nella autodeterminazione, la libertà è una tensione continua nel soggetto
perché è quello che spinge l’uomo a non essere condizionato o determinato da pressioni
e influssi sia all’interno che all’esterno. L’auto-determinazione è stata sviluppata molto
anche dai filosofi umanisti del dopoguerra; «la libertà della volontà consiste quindi
nell’essere libero da spinte impulsive per essere responsabile, per avere coscienza»
(Frankl, 2014, p. 59). La visione metafisica viene espressa nella dimensione relazione
con altro-da sé. Solo nella possibilità di essere in relazione con l’altro da sé si può
essere liberi, «Sii padrone della volontà e schiavo della tua coscienza» (Frankl, 2014, p.
60). L’uomo può essere schiavo della sua volontà in quanto capisca rettamente di essere
libero e pienamente responsabile, e allora sarà schiavo della sua coscienza e ciò sarà
possibile solo, se questa coscienza è qualcosa di altro da sé stesso» (Ibidem). L’uomo
può essere schiavo di sé stesso soltanto nella misura in cui la sua comprensione, cioè la
coscienza solo se, nella comprensione della sua auto-comprensione, considera la
coscienza come un fenomeno che trascende il puro essere-uomo, in altre parole
partendo dalla trascendenza. In questa prospettiva dell’uomo, l’uomo come essere
meraviglia può essere definito così «L’uomo è una realtà capace radicalmente di
superare il puro sé, per raggiungere l’altro da sé, passando per la fase intermedia della
conoscenza di sé, del possesso del sé, del progetto al meglio di sé» (Palumbieri, 2006, p.
18). L’altro aspetto fondamentale dell’uomo è il suo essere paradosso: il paradosso
risveglia nell’uomo dei sentimenti contrastanti, se davanti alla bellezza prova una
calorosa partecipazione affettiva, invece davanti alla minaccia avverte l’orrore,
«Stupore davanti al bello, fervore davanti al vero ed orrore davanti al niente» (Ibidem,
p. 18). Ed è la capacità di reazione difronte alle situazioni di limite che l’uomo si
autodetermina tramite la possibilità di scelte. Per far sì che l’autodeterminazione sia
possibile, la libertà è l’asse centrale sia nella visione antropologica e filosofica e snodo
esistenziale di problemi personali, familiari e sociali.

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1.2. La volontà e l’auto-trascendenza.

L’originalità dell’uomo si dimostra anche nel modo di porsi continuamente la


domanda, il suo inabissarsi nel suo mondo, coagulato attorno alla sua
autocomprensione, che è l’asse del suo pensiero e della sua azione. L’uomo si domanda
e la sua domanda coincide con l’oggetto perché l’interrogante è la stessa realtà
dell’interrogato. Il domandare dell’uomo è dunque capacità di superamento incessante
del dato. Il domandarsi è sprofondarsi nel mistero che gli esseri umani portano dentro,
alla scoperta di chi è l’uomo (Campodonico, 2007). Ed è dalla domanda stessa, che
percepisce e scopre il suo essere “chi è l’uomo che sono io” sia legato ad un rapporto
metafisico che fenomenologico-coscienziale. L’affermazione di Frankl (2011) durante i
campi di concentramento poneva la stessa domanda e analizza fenomenologicamente, il
senso della propria vita che può essere realizzata tramite le tre categorie di valori: il
valore della creazione, di esperienza ed atteggiamento: «con i primi l’uomo può trovare
il senso della sua esistenza adempiendo con consapevolezza, cioè con responsabilità, i
compiti concreti che gli si presentano nella professione e nella vita familiare. Con i
valori di esperienza l’uomo è chiamato ad un’accoglienza cosciente del mondo, come
avviene nella dedicazione della natura o dell’arte» (Fizzotti, 2008, p. 69). E per spiegare
come l’uomo può trovare e scoprire il significato in ogni situazione perché nessuna
situazione della vita è realmente priva di significato. Ciò vuol dire che gli stessi
elementi che apparentemente sembrano segnati dalla negatività, come è il caso della
tragica triade dell’esistenza umana, formata dalla sofferenza, dalla colpa e della morte,
«possono essere sempre trasformati in una conquista, in un’autentica prestazione, a
patto che si assumano nei loro confronti, un atteggiamento e un’impostazione giusta»
(Frankl, 1998, p. 121). Il trascendente non è assolutamente un fatto dato con l’esserci,
ma una possibilità della libertà in esso (Ibidem). La auto-trascendenza dell’uomo è
legata proprio alla sua capacità di auto-progettarsi, una dimensione relazionale fondata
dell’essere per e più il proprio poter essere. All’essere ed al potere dell’Esserci, in
quanto essere nel mondo, appartengono in linea essenziale l’apertura e lo scoprire. «Per
l’Esserci ne va del suo poter-essere-nel-mondo, cioè tra l’altro, del prendersi cura
dell’ente intramondano scoprendolo ambientalmente»

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(Heidegger, 1970, p. 239). La visione della persona che emerge nella visione
trascendentale è quella che non subisce i condizionamenti ambientali, sociali, economici
e psicologici, ma in forza della sua coscienza, carattere trascendente diventa
responsabile di tutte le decisioni esistenziali adottate nella vita. «all’uomo nel lager si
può prendere tutto, eccetto una cosa sola: l’ultima libertà umana di affrontare
spiritualmente, in modo o nell’altro, la situazione imposta» (Frankl, 2005, p. 114).
Un aspetto del quale la società odierna fa fatica a domandarsi e che porta il
sentimento dell’angoscia riguarda il significato della morte (Ariès, 1980). Il sentimento
dell’angoscia suona nella coscienza della persona, nel suo essere uomo come spazio
desiderato che lo chiama per la possibilità di scelte. Il sentimento dell’angoscia è uno
slancio per la ricerca di significati e senso dell’esistenza. E nella totale indifferenza di
riconoscere l’importanza della volontà nella persona rispetto alle ragioni che danno un
senso alle scelte concrete si giustificherebbe, infatti soltanto presupponendo un essere
capace di creare il senso stesso delle sue azioni. È stata la visione dell’uomo di
Nietzsche, tanto irreale quanto contradditorio, poiché di fatto «è destinato a dissolversi
nel flusso dell’istinto vitale e della ciclicità di una storia che perde il suo carattere nel
momento in cui la libertà umana, privata di un fine e di un senso, è distrutta»
(Marcolungo & Zucal, 2005, p. 123).

1.3. L’uomo come relazione.

Se nella lettura precedente, si è data importanza alle capacità dell’uomo di


autodeterminarsi e trascendersi, l’uomo non è soltanto il soggetto che pone la domanda
sul senso dell’essere, ma è il soggetto che non riduce come semplice-presenza delle cose
in senso oggettivo, cioè poste davanti a sé. È un fatto che l’uomo si realizza nella
dimensione relazionale. L’uomo è stato descritto da Frankl (1998) in tre livelli: «l’asse
della libertà importante nella visione antropologica, poiché ne rappresenta l’essenza»
(Frankl, 1998, p. 29) vede l’uomo come un essere costituito da tre livelli: fisico,
condiviso con gli animali, psichico e spirituale che lo distinguono da essi. L’autore
mette in evidenza come un funzionamento olistico è in grado di non ridurre l’esistenza
ad uno solo

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di questi tre livelli, ma apre l’uomo alla possibilità di sperimentare una maggiore
pienezza evitando una visione riduzionista dell’esistenza. Nella compiutezza della
relazione, l’uomo trova il senso dello stupore. Questo stupirsi nell’uomo non è l’effetto
dell’ignoranza, ma piuttosto il segno della freschezza interiore, che è l’incanto per la
riscoperta di aspetti sempre nuovi di una realtà anche familiare (Marcel & Trenti, 1983).
Anche l’amore, nel suo penetrante sguardo spirituale, anticipa qualcosa: «si tratta delle
possibilità personali, non ancora realizzate, che la persona amata, nella sua concretezza,
ancora nasconde in sé» (Frankl, 2014, p. 39). In questa prospettiva va ricordato come la
coscienza abbia un ruolo significativo «la coscienza appare come una funzione
essenzialmente intuitiva per anticipare ciò che deve essere ancora realizzato, esse deve
prima intuire; ed in questo senso la coscienza, l’ethos, appare effettivamente irrazionale
e solo in seguito razionalizzabile» (Ivi, p. 38). Ma l’essenza della relazione trova la sua
pienezza nell’amore, perché l’amore schiude le possibilità singolari, irripetibili della
persona amata, «è solo l’amore è in grado di scorgere una persona nella sua unicità,
quale individuo assoluto» (Ivi, p. 42). La libertà interiore ne è un aspetto essenziale per
far sì che tutto possa essere realizzato. Nella libertà interiore esiste la capacità di scelta
che non è legata ai condizionamenti e libertà estrinseche. La libertà interiore nelle
possibilità di fare delle scelte diventa un dono più alto che l’uomo fa di sé, «anche
nell’amore l’essere umano si manifesta come essere che si decide. In effetti, la scelta
della persona amata, è realmente una scelta solo quando non è dettata dall’istinto»
(Ibidem, p. 42). La dimensione relazionale contrasta la visione della incomunicabilità
delle relazioni umani. Il concetto della incomunicabilità è stato descritto anche da altri
filosofi (Sartre, 1972) in cui veniva affermato come ogni suo tentativo fosse un
fallimento, «l’uomo è una passione inutile» (Ivi, p. 738). Il suo era un tentativo di far
coincidere l’uomo con la libertà, affermando che in realtà, l’uomo non è altro che ciò
che si fa» (Ivi, p. 29). Per cui negava all’uomo la possibilità di una relazione autentica e
promuovendo che i suoi comportamenti e scelte siano frutto dell’istinto umano. Da
questa concezione sono nate molte forme del nichilismo Sartriano, quasi in un percorso
strutturato di negazione della relazione e perpetuando un approccio di decostruzione
dell’uomo all’interno di un movimento di etnologia, incline a rompere con le culture
dell’occidente (Ibidem).

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In questi tre aspetti della antropologia filosofica si è visto l’uomo come
meraviglia, stupore, che nei processi di auto-determinazione e auto-trascendenza, si
confronta con il grande concetto ed esperienza della libertà. Il suo percorso per i
processi di umanizzazione si radicano in questi dinamismi. La fedeltà a questa struttura
dell’uomo, di come farsi uomo è nell’orizzonte del suo percorso del paradosso che allo
stesso tempo indica la direzione della risposta. E alla domanda su chi è l’uomo? Si
risponde «l’uomo è colui che può essere. È il possibile ad essere in definitamente. E
l’essere strutturato a metafisica possibilità […] «la possibilità è ossigeno e vita»
(Kierkegaard, 1953, p. 43). Questo paradosso ha trovato la sua espressione in molti
contesti di sofferenza umana, negli orrori commessi contro l’umanità, di morte ed
esperienze traumatiche. Tale prospettiva mette in luce la finitezza della persona umana e
la sua vulnerabilità rispetto al senso della storia in cui «la vera storia è nelle viscere
delle vicende umana, nelle profondità delle coscienze, nel mistero delle libertà e della
formazione alla libertà dei soggetti» (Palumbieri, 2006, p. 255).

2. Definizioni di trauma

Le esperienze traumatiche sono parte integrante della esistenza e condizione


umana. Tra i primi studi sul trauma nascono dagli studi di Kardiner (2012) con i
veterani di guerra e comportamenti a seguito dei suoi effetti. L’autore analizza come la
difficoltà di adattamento ne fosse una caratteristica: «il trauma significa lesione, un
disadattamento, pattern comportamentale disorganizzato o frantumato, destrutturazione
dell’io o semplicemente le alterazioni dei processi adattativi» (Ivi, p. 74). Un trauma
non può essere definito solo in termini di provocazione o di reazione a tale
provocazione, ma di relazione tra uno stimolo esterno e le risorse immediatamente
disponibili per adattarsi. Inoltre varie forme di esperienze intaccano varie esperienze
della persona in relazione al trauma «l'atto di attenzione, la fatica, un dolore improvviso,
un piccolo incidente, una frattura del cranio, l'arteriosclerosi, un tumore al cervello»
(Ibidem, p.74). Molti studi (Figley et al., 1997; Van der Kolk, 2014) sul trauma
originano dall’analisi dei fenomeni della guerra.

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Lo studio del trauma psichico implica venire faccia a faccia con la vulnerabilità
umana nel mondo, della natura e la capacità della natura umana di operare il male.
Studiare il trauma significa essere pronti a diventare testimoni di eventi orribili. Quando
gli eventi sono disastri naturali, i testimoni simpatizzano rapidamente con la vittima; ma
quando gli eventi drammatici appartengono a un disegno umano, quelli che sono stati
testimoni vengono coinvolti nel confitto tra la vittima e il persecutore «È moralmente
impossibile rimanere neutrali nel conflitto e lo spettatore è costretto a prendere
posizione» (Herma, 2005, p. 19). Ma come afferma (Williams, 2009)

«Le fonti di tali esperienze dirompenti possono essere diverse per ciascuno di
noi, ma sembrano presentarsi come un dato quasi ineluttabile: le separazioni e le
perdite irreparabili, le violenze e gli abusi, l’alienazione e il venir meno
dell’appartenenza alla comunità umana, la caduta di senso del proprio progetto di
vita, il crollo dei propri ideali, lo svanire dell’esperienza di vita interiore, le minacce
all’integrità biologica e alla sopravvivenza» (Williams, 2009, p. xv).

L’evento traumatico ha un forte impatto sulla persona, è come se la situazione


traumatica originale fosse ancora in essere e avvia espedienti protettivi che
nell’occasione originale non hanno sortito alcun effetto. Ciò significa all’atto pratico,
che il suo concetto del mondo esterno e la concezione di sé stesso sono stati alterati in
mondo permanente» (Kardiner, 2012, p. 82). Questo fu l’inizio degli studi dei sintomi, e
dei riconoscimenti dei concetti come la sindrome post traumatica da stress e la nevrosi
da guerra. Inoltre nella descrizione del disturbo post-traumatico da stress in modo
sistematico, L’Autore evidenziò delle reazioni come la nevrosi traumatica, in quanto i
pazienti dimostravano un costante senso di iper-vigilanza. «L'irritabilità della nevrosi
traumatica, dal punto di vista della distribuzione, l'irritabilità non è assente in
nessun caso di nevrosi traumatica riguarda principalmente gli stimoli uditivi, ma in
alcuni casi ci può essere sensibilità alla temperatura, al dolore, agli stimoli tattili
improvvisi» (kardiner, 2012, p. 95). Questi pazienti «non sopportano di essere
schiaffeggiati bruscamente sulla schiena; non possono tollerare un passo falso o un
inciampo. Dal punto di vista psicologico questi pazienti, in risposta a stimoli uditivi
improvvisi, non vanno in stati di ansia, ma reagiscono con paura» (Ibidem, p. 95). Gli
studi di questi anni hanno permesso l’inizio del riconoscimento del disturbo post
traumatico da stress. Il lavoro intrapreso negli ospedali e nelle cliniche per

15
i veterani costrinse la gente a riconoscere non soltanto gli effetti a breve termine
dell’esposizione agli orrori di una guerra, ma anche le conseguenze a lungo termine
sulla personalità e sull’adattamento (Walker & Kampman, 2021). Invece altri autori
definiscono il trauma come «il risultato mentale di un evento o una serie di eventi
improvvisi ed esterni in grado di rendere l’individuo temporaneamente inerme e di
disgregare le sue strategie di difesa e di adattamento, fattori individuali e ambientali»
(Giannantonio, 2009, p. 110) La comunità scientifica è concorde nel ritenere che eventi
traumatici specifici possano essere gli elementi essenziali nello sviluppo di disturbi
psicopatologici significativi e duraturi. Uno studio di O’Neill et al. (2021) ha
evidenziato come il ruolo della dissociazione sia in correlazione con trauma-psicosi.
Inoltre, è stato proposto che l'associazione tra trauma e sintomi psicotici possano sia
direttamente che indirettamente spiegare i processi dissociativi. Lo studio di O’ Neil
(Ivi, p. 432) ha cercato di indagare la relazione tra età del primo trauma sessuale,
esperienze dissociative ed insorgenza delle esperienze psicotiche. Un altro studio di Lau
et al., (2021) analizza l’impatto delle attribuzioni di responsabilità esterne dopo un
infortunio e come queste siano associate ad un recupero peggiore. Tuttavia, rimane
limitata la comprensione di chi accetta la responsabilità personale per l’infortunio e se o
come le attribuzioni di responsabilità cambiano nel tempo. Questo studio ha incluso
pazienti che hanno ricevuto cure da coordinatori di recupero dopo un grave infortunio e
il ricovero in un importante centro traumatologico di Victoria, Australia. Le attribuzioni
di responsabilità personali auto-riferite (totalmente, parzialmente, non responsabile)
sono state raccolte in tre momenti (ammissione, dimissione, e sei mesi dopo
l'infortunio) e collegate a dati demografici, infortunio e la conclusione della ricerca ha
analizzato come le attribuzioni di responsabilità personale spesso cambino nel tempo.
Pertanto, le attribuzioni di responsabilità non dovrebbero essere considerate statiche, e
le attribuzioni fatte in momenti diversi dopo l'infortunio non dovrebbero essere usate in
modo intercambiabile nella ricerca o nei contesti clinici. Dato che le attribuzioni di
responsabilità esterne sono associate a peggiori risultati post-infortunio, i potenziali
interventi per ottimizzare il recupero dovrebbero essere prioritari per i pazienti che
riportano prevalentemente livelli più bassi di responsabilità personale, specialmente le
donne e le persone con lesioni

16
risarcibili. Nel frattempo, i fattori associati ad alti livelli di responsabilità personale
evidenziano l'opportunità di implementare strategie mirate di prevenzione degli
infortuni. Gli studi recenti (Horowitz, 2004), naturalmente non solo sui traumi singoli
o multipli, hanno permesso la nascita dello studio del Disturbo post traumatico da
stress (PTSD) nei bambini e degli adolescenti, per favorire una maggiore
comprensione delle realtà e sofferenze che colpiscono i bambini. Lo studio dei disturbi
post traumatici è stato ampliato allo studio di intervento non soltanto rivolto al singolo,
ma un intervento di casi di popolazioni intere, uomini e donne reduci della guerra,
comunità collettive di disastri ambientali (Giannantonio, 2009). Lo studio del trauma ha
avuto come obiettivo «la tutela dell’equilibrio psichico delle persone coinvolte e della
funzionalità del tessuto sociale ai fini delle crescita, salute psichica degli individui»
(Iacolino, 2016, p. 24). Alla fine questi criteri sono diventati progressivamente gli
obiettivi prevalenti dell’intervento anche nella psicologia dell’emergenza. Si ipotizza
che l’esperienza di eventi stressanti nel corso della vita possano dare origine a molti
tipi di problemi e disturbi psicopatologici, ma questa non è affatto un’eventualità
necessaria, perché una parte rilevante di persone sperimenterà nella vita eventi stressanti
potenzialmente dannosi, e solo una percentuale modesta di loro avrà accertabili
conseguenze psicologiche durature. L’American Psychiatric Association ebbe la sua
influenza sullo studio già confermato durante il periodo del terrorismo in America
nel 2001. «La gente a New York dopo l’attacco terroristico aveva sviluppato risposte
condizionate di paura in relazione a luoghi specifici» (Horowitz, 2004, p. 119).
Nonostante i molti studi la definizione di trauma resta ancora difficile da definire in
maniera univoca, in quanto molti affermano che lo sviluppo del PTSD sia legato alla
natura dell’evento, mentre altri, invece, sostengono che possano essere gli effetti della
situazione ad essere rilevanti. In relazione a questo c’è stata un accorgimento che i
traumatizzati possono andare incontro a modificazioni della personalità (Horowitz,
1988,
2004) ad alti livelli di ansia e di depressione.

17
3. Il trauma da diverse prospettive

In questa parte verrà presentato il concetto del trauma da varie prospettive, dalla
definizione del trauma secondo il DSM-5, dalla neurobiologia interpersonale, dagli studi
sul trauma dalla prospettiva di Van Der Kolk e il corpo accusa il colpo e infine il trauma
come dissociazione dalla prospettiva di Onno Van Der Hart. Questi tre riferimenti
mettono evidenza sia il trauma in termini relazionali, l’impatto del trauma sul cervello e
sulla struttura della personalità.

3.1. Il Disturbo Post Traumatico secondo il DSM-5

Il Manuale diagnostico dei disturbi mentale (American Association of Psychology,


2014) definisce il PTSD, come «L’ esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave
lesione, oppure violenza sessuale in uno o più dei seguenti» (American Association of
Psychology, 2014). Nella Tabella 1.1 vengono presentati i criteri diagnostici si
riferiscono adulti, e adolescenti e bambini di età superiore ai 6 anni.

Disturbo da stress post traumatico

A Esposizione a morte a morte reale o minaccia di morte, grave lesione, oppure


violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi:
1. Fare esperienza diretta dell’evento/i traumatico/i
2. Assistere direttamente a un evento/i traumatico/i accaduto ad altri.
3. Venire a conoscenza di un evento/i traumatico/i accaduto a un membro della
famiglia o di un amico, l’evento/i deve essere stato violento o accidentale.
4. Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi
dell’evento/i traumatico/i (per es: i primi soccorritori che raccolgono resti
umani; agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli di abusi su minori

18
Nota: il criterio A4 non si applica all’esposizione attraverso media
elettronici, televisione, film, o immagini, o meno che l’esposizione non sia legata
al lavoro svolto.

B
Presenza di uno (o più) dei seguenti sintomi intrusivi associati all’evento/i
traumatico/i che hanno inizio successivamente all’evento/i traumatico/i:
1. Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell’evento/i
traumatico/i.
Nota: Nei bambini di età superiore ai 6 anni può verificarsi un gioco ripetitivo in
cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti l’evento/i traumatico/i
2. Ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto e/o le emozioni del sogno
sono collegati all’evento/i traumatico/i.
Nota: Nei bambini, possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto
riconoscibile.
3. Reazioni dissociative (per es., flashback) in cui il soggetto sente o agisce
come se l’evento/i traumatico/i si stesse ripresentando. (Tali reazioni
possono verificarsi lungo un continuum, in cui l’espressione estrema è la
completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante.).
Nota: il Nei bambini, la ritualizzazione specifica del trauma può verificarsi nel
gioco.
4. Intensa o prolungata sofferenza psicologica specifica a fattori scatenati
interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto
dell’evento/i traumatico/i.
5. Marcate reazioni fisiologiche a fattori scatenati interni o esterni che
simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento/i
traumatico/i.

C Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento/i traumatico/i, iniziato


dopo l’evento/i traumatico/i, come evidenziato da uno o entrambi i seguenti
criteri:
1. Evitamento o tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti
relativi o strettamente associati all’evento/i traumatico/i.

19
2. Evitamento o tentativi di evitare fattori esterni (persone, luoghi,
conversazioni, attività, oggetti, situazioni) che suscitano ricordi
spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati
all’evento/i traumatico/i.

D Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento/i traumatico/i,


iniziate o peggiorate dopo l’evento/i traumatico/i, come evidenziato da due (o
più) dei seguenti criteri:
1. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento/i
traumatico/i (dovuta tipicamente ad amnesia dissociativa e non ad altri
fattori come trauma cranico, alcol o droghe).
2. Persistente ed esagerate convinzioni o aspettative negative relative a se
stessi, ad altri, o al mondo (per esempio., “io sono cattivo”, “Non ci sono
si può fidare di nessuno” “il mondo è assolutamente pericoloso”, “il mio
intero sistema nervoso è definitamente rovinato”).
3. Persistente, distorti pensieri relativi alla causa o alle conseguenze
dell’evento/i traumatico/i che portano l’individuo a dare la colpa a sé
stesso oppure agli altri.
4. Persistente stato emotivo negativo (per es., paura, orrore, rabbia, colpa o
vergogna).
5. Marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative.
6. Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri.
7. Persistente incapacità di provare emozioni positive (per es., incapacità di
provare felicità, soddisfazione o sentimenti d’amore.

E Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività associati all’evento/i


traumatico/i, iniziate o peggiorate dopo l’evento/i traumatico/i, come evidenziato
da due o più dei seguenti criteri:
1. Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia (con minima o nessuna
provazione) tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o
fisica nei confronti di persone o oggetti

20
2. Comportamento spericolato o autodistruttivo.
3. Ipervigilanza.
4. Esagerate risposte di allarme.
5. Difficolta relative al sonno (per es., difficoltà nell’addormentarsi o nel
rimanere addormentati, oppure sonno non ristoratore.

F La durata dell’alterazioni (criteri B, C, D, e D è superiore a 1 mese.

G L’alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del


funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

D Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del


funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

H L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es.,
farmaci, alcol) o un un’altra condizione medica

Specificare quale:

Con sintomi dissociativi: i sintomi dell’individuo soddisfano i criteri per un


disturbo da stress post- traumatico e inoltre, in risposta all’evento stressante,
l’individuo fa esperienza di sintomi persistenti o ricorrenti di uno o dei due
seguenti criteri:
4. Depersonalizzazione: Persistente o ricorrenti esperienze di sentirsi
distaccato dai, e come se di fosse un osservatore esterno dei, propri processi
mentali o dal proprio corpo (per es., sensazione di essere in un sogno;
sensazione di irrealtà di se stessi o del proprio corpo o del lento scorrere del
tempo).
5. Derealizzazione: Persistente o ricorrenti esperienze di irrealtà dell’ambiente
circostante (per es., il mondo intorno all’individuo viene da lui vissuto come
irreale, onirico, distante, o distorto).
Nota: Per utilizzare questo sottotipo, i sintomi dissociativi non devono essere
attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., blackout,

21
comportamento durante un’intossicazione da alcol) o a un’altra condizione
medica (per es. crisi epilettiche parziali complesse)

Specificare se: Se i criteri diagnostici non sono soddisfatti appieno entro 6 mesi
dall’evento (ancorché l’insorgenza e l’espressione di alcuni sintomi possono
essere immediate
Nota: Per utilizzare questo sottotipo, i sintomi dissociativi non devono essere
attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (per es, blackout,
comportamento durante un’intossicazione da alcol) o a un’altra condizione
medica (per es., crisi epilettiche parziali complesse

Tabella 1.1. Disturbo da stress post-traumatico (American Association of


Psychology, 2014, p. 316)

Le caratteristiche essenziali per la diagnosi del PTSD è lo sviluppo di sintomi


tipici che seguono l’esposizione a uno o più eventi traumatici. Le reazioni tipiche ed
emotive all’evento traumatico, es, paura, disperazione, orrore, non fanno più parte del
criterio A. La manifestazione del PTSD è variabile per ogni individuo, per alcuni sono
più predominanti i sintomi emotivi e comportamentali invece per gli altri sono i sintomi
disforici e gli stati d’animo anedonici e pensieri negativi. Questo criterio
dell’individualità tiene presente «il criterio A che comprende anche un elemento
soggettivo: lo stesso evento potrebbe non essere traumatico per tutti, quindi vanno
considerati aspetti oggettivi e soggettivi» (Yule, 2000, p. 10). Gli eventi traumatici non
sono limitati a esposizioni alla guerra come soldati o civili, aggressione fisica reale o
minaccia, violenza, abuso sessuale, essere rapiti, disastri naturali o provocati dall’uomo.
Invece per i bambini eventi sessualmente violenti possono includere esperienze sessuali
inappropriate. Un’esposizione diretta e/o indiretta attraverso l’apprendimento di un
evento traumatico limitata a persone traumatizzate o esperienze dirette e/o indirette che
interessano i parenti e persone strette, «la maggior parte dei bambini è colta da pensieri
intrusivi e ripetitivi riguardanti l’incidente che possono verificarsi in qualsiasi momento,

22
ma particolarmente nei periodi di calma, come quando si coricano per dormire» (Yule,
2000, p. 22). Invece quando il bambino ha già sviluppato il modello operativo interno
tramite uno stile di attaccamento sicuro «comprende l’aspettativa implicita che le rotture
dell’equilibrio omeostatico potranno essere ripristinate, permettendo così al bambino di
adottare su di sé quelle funzioni regolatorie che prima aveva assolto il caregiver nei suoi
confronti» (Schore in Williams, 2009, p. 101) Nel criterio B l’individuo può presentare
ricordi intrusivi e ricorrenti in maniera involontaria. Un sintomo comune sono i sintomi
spiacevoli che ripetono l’evento stesso o che sono rappresentativi della esperienza
traumatica. Nel criterio B2 l’individuo potrebbe sperimentare stati dissociativi, in cui il
soggetto rivive l’evento come se stesse succedendo proprio in quel momento e il criterio
B3. Queste reazioni vanno da un continuum da un breve periodo di intrusioni visive
legati all’evento traumatico fino alla perdita della consapevolezza dell’ambiente
circostante. Questi elementi descrivono l’esistenza continua dei deficit di coping dello
stress sia nei bambini che negli adulti, «in soggetti traumatizzati si sviluppa una risposta
cronica di tipo dissociativo, anche in presenza di stress minore» (Schore in Williams,
2009, p. 117).
La tendenza del cervello umano tende a dare più priorità agli stimoli negativi
“bias negativo” rispetto a quelli positivi che dà luogo a tutti stimoli associati a un
precedente pericolo» (Fisher, 2017, p. 51). I criteri B4 e B5 descrivono la reattività
fisiologica e l’intensità della sofferenza psicologica, nei momenti in cui l’individuo
viene esposto a ciò che assomiglia e richiama l’evento traumatico. Nei criteri D1 è
descritto come alterazioni negative includono un’incapacità di ricordare un aspetto
importante dell’evento traumatico; questa amnesia è tipicamente dovuta ad una amnesia
dissociativa
«la dissociazione strutturale può manifestarsi attraverso problemi mnesici più sottili,
difficolta a ricordare come sia trascorso il tempo, ricordare una conversazione,
l’argomento principale di una seduta di terapia, perdersi mentre si sta guidando verso un
luogo famigliare» (Fisher, 2017, p. 40). I criteri D3 esprimono un persistente negativo
stato d’animo, che è legato alla colpa, i sentimenti di vergona (Van der Kolk, 2015b). I
criteri D5, D6, D7, descrivono una difficolta nei coinvolgimenti nella relazione
interpersonale. Invece criteri E descrivono i possibili esiti di comportamenti, dai
comportamenti distruttivi, la sensibilità alle potenziali minacce a molte reazioni

23
inaspettate in risposta a stimoli di allarme, che sono legati anche ai problemi del sonno.
Invece alcuni individui possono sperimentare sintomi dissociativi di distacco dal loro
corpo come la depersonalizzazione o la derealizzazione.

3.2. Il trauma dalla prospettiva della neurobiologia interpersonale

Nella comprensione della mente umana, negli ultimi anni, sono stati fatti molti
studi. La definizione della mente è quella di comprendere come si evolve la vita e che
cosa si può effettivamente intendere per mente sana. Gli studi della psicologia infantile
ci spiegano una visione delle influenze familiari nello sviluppo della mente del bambino
(Siegel, 2008). La capacita di «mindsight favorisce lo sviluppo di insight, empatia e
integrazione nella nostra vita. Poiché la mente è sia dentro di noi sia fra noi e gli altri, è
incarnata nel corpo ed è relazionale, la conoscenza del funzionamento del cervello e
delle caratteristiche delle relazioni è fondamentale per rafforzarla» (Siegel, 2008, p. 69).
Il concetto della mente non è stato visto in maniera semplicistica come una produzione
delle attività cerebrali ma un processo che in una cornice più integrale, sia come entità
interiore e intraindividuali. Nella definizione della mente, bisogna considerare tre
dimensioni: «la vita mentale è pervasa dall’esperienza soggettiva individuale di
pensieri, emozioni, ricordi e di altre attività mentali che influenzano direttamente il
comportamento, ossia le azioni esterne compiute nel mondo, fra cui rientrano le
interazioni con gli altri» (Siegel, 2014b, pp. 1–2). La prima è l’esperienza soggettiva:
non è possibile definire la mente solo facendo riferimento alla massa cerebrale, poiché
essa ha a che fare con l’esperienza della persona nella sua totalità. (Siegel, 2020, p. 3).
Per questo, è proprio l’esperienza soggettiva, la caratteristica rilevante quando si parla
della mente. Gli studi sul cervello infantile dimostrano che il suo sviluppo avviene in
fasi che comprendono alcuni periodi critici e che la sua maturazione è influenzata
dall'ambiente ed è condizionata dall'esperienza.
Uno degli aspetti importanti del concetto di trauma è lo studio sulle conseguenze
traumatiche legate alla trascuratezza. La Trascuratezza è definibile come assenza di
esperienze di organizzazione importanti durante le fasi fondamentali dello sviluppo.

24
Nonostante la sua palese importanza per la comprensione del maltrattamento infantile,
essa è stata poco studiata. In realtà, «la deprivazione di esperienze importanti durante lo
sviluppo può essere il fattore più distruttivo e tuttavia il meno compreso, del
maltrattamento del bambino. Questo aspetto è il meno studiato in quanto ci sono meno
studi documentati di esperienze di trascuratezza specifiche» (Williams, 2009, p. 74). La
ricerca psicologica concorda sull’importanza di considerare lo sviluppo, sottolineando
drammaticamente che le funzioni socioaffettive emergenti del bambino sono
fondamentalmente influenzate dalle transazioni diadiche che il bambino ha con i
caregiver primari, «tanto più precoce e pervasiva è la trascuratezza, quanto più
devastanti saranno i problemi di sviluppo per il bambino» (Bruce D. Perry in Williams,
2009, p. 75). Questi dati suggeriscono che le funzioni di regolazione della madre non
solo modulano lo stato interno del bambino, ma modellano anche in modo indelebile e
permanente la capacità di auto-organizzazione del sé emergente (Stern, 1987). Gli studi
del processo relazionale incipiente e i loro effetti sulla struttura in via di sviluppo sono
quindi un paradigma eccellente per la comprensione più profonda dell'organizzazione e
della dinamica di risposta agli eventi traumatici del bambino. Lo sviluppo
neurobiologico emozionale può essere compreso facendo riferimento alle relazioni e
alle condizioni primordiali, e a come queste si evolvono e si verificano nel contesto
dell'interazione bambino-caregiver, e pertanto una conoscenza dei principi della
psicologia dello sviluppo sembra essere un prerequisito e un potente impulso alla
delucidazione del meccanismo dinamico e allo sviluppo del cervello socio-emotivo; «il
cervello socio-emotivo esercita una funzione di controllo esecutivo sull’intero emisfero
destro, che è la sede del sé emotivo e del sé implicito» (Schore in Williams, 2009, p.
99). Le interazioni affettive dei neonati o lo stile di attaccamento sono fondamentali
nella regolazione corticale destra del sistema nervoso. I sistemi prefrontale e in
particolare «il sistema frontolimbico è connesso direttamente alla formazione reticolare
sottocorticale, svolgendo così una funzione regolatoria dell’aruosal, che è un
componente centrale di tutti gli stati emotivi» (Ibidem). L'ambiente sociale precoce
influenza direttamente e indelebilmente la maturazione postnatale della struttura
cerebrale che regolerà tutte le future funzioni socio-emotive. Inoltre, le caratteristiche
strutturali e le proprietà funzionali dinamiche di tale sistema

25
sono identificate per essere mediate dalla corteccia orbito-frontale, il principale sistema
cerebrale coinvolto nel processo sociale, emotivo, motivazionale e di autoregolazione.
Questa struttura cerebrale si trova nella parte anteriore inferiore e interiore della
corteccia, ed è particolarmente sviluppata, nell'emisfero destro rappresenta l'apice
gerarchico del sistema limbico. In una condizione ottimale «promuove attaccamento
sicuro, organizza un sistema regolatorio lateralizzato, in grado di modulare, sotto stress,
un pattern flessibile di coping, che permette di passare da uno stato di equilibrio
automatico a una modalità di controllo reciproca, nel quale l’innalzamento
dell’equilibrio omeostatico nell’attività di un settore del SNA si associa alla
diminuzione nell’altro» (Ibidem, p. 99). Un periodo critico per la maturazione di questa
struttura prefrontale si sovrappone esattamente all'intervallo temporale
ampiamente indagato sia dagli studiosi
dell’attaccamento che dai ricercatori psicoanalitici. Una comprensione dello sviluppo
influenzato dal caregiver di questa struttura limbo-corticale, in quanto il trauma
comporta un’eccessiva potatura dei circuiti dell’emisfero destro, «l’eccessiva potatura
sinaptica del sistema corticolimbico, costituisce uno scenario ad alto rischio
prodotto dal trauma relazionale» (Ivi, p. 112). La maturazione precoce dell'emisfero
necessita di un ambiente dove sia presente affetto, cognizione e comportamenti in
grado di regolare adattativamente l’arousal e gli stati psicologici interni del
bambino, il processo di regolazione rafforza la capacità del bambino di coping e
spiega in che modo la sicurezza del legame di attaccamento è la principale difesa dalla
psicopatologia» (Ivi, p. 102). I risultati della ricerca sulla trascuratezza di (Williams,
2009) «sono connessi allo sviluppo dei disturbi del linguaggio, ritardi nella motricità
fine e grossolana, impulsività che è una caratteristica presente nei comportamenti
antisociale, attaccamento disorganizzato, disforia, disturbi dell’attenzione e
l’iperattività» (Ivi, p. 78). La concezione delle esperienze traumatiche in relazione con
le figure significative nella prima infanzia è una caratteristica importante nella
costruzione dell’immagine di sé e del loro modo di risposta agli eventi traumatici.
L’effetto disregolativo del caregiver ha un impatto sullo stato emotivo del bambino e
la sua capacità «incapacità di regolare psicologicamente gli effetti negativi da eccessivo
o scarso livello di arousal possono influenzare la patomorfogenesi» (Ivi, p. 111).
Inoltre sono state descritte le possibili reazioni legate alla lentezza della

26
maturazione cerebrale e come la difficoltà della gestione dello stress diventi indicatore
di possibili comportamenti aggressivi e deficit di attenzione (Hill et al., 2017). Il
disturbo post- traumatico da stress nell’età infantile e adolescenziale, «nella forma
dell’iperattivazione e della dissociazione rappresenta il modello sulla cui si basa si
strutturano le reazioni post traumatiche» (Williams, 2009, p. 111).
Il lavoro con i bambini vittime di abuso (Pernicano, 2014) ha dimostrato come
durante il programma per il ricongiungimento familiare i loro bambini, alcuni dei quali
erano esposti a significativi abusi o trascuratezza, e che avevano l’età tra cinque ai
dodici mesi di età, «Questi bambini possono essere troppo tranquilli (poche
vocalizzazioni), non reattivi (poco contatto visivo), nervosi o irritabili. Un buon numero
di questi bambini non inizia a gattonare fino agli otto-dieci mesi di età. Se sono mobili,
si muovono fuori dalla vista del care-giver con poco riguardo per la sicurezza»
(Pernicano, 2014, p. 12). A livello neurobiologico, lo stress legato agli eventi traumatici
può cambiare il cervello e i comportamenti dei bambini. Gli scienziati dimostrano che
questi cambiamenti nel cervello possono portare a problemi di memoria, ritardi nel
parlare, imparare a parlare più tardi degli altri bambini, iperattività (sempre in
movimento, come un motore in funzione); «non prestare attenzione (sintonizzarsi);
essere troppo emotivo (paura o rabbia); fare le cose senza pensare; difficoltà a imparare
a leggere e scrivere; elaborazione più lenta; problemi di attenzione e concentrazione»
(Pernicano, 2014, p. 206). Le prime relazioni con le figure significative, sia nel bene che
nel male prepara la persona per le relazioni successive. Invece, il lavoro con gli
adolescenti ha messo in evidenza i possibili esiti del trauma, «nel mio lavoro con
vittime adulte di violenza da parte del partner e con preadolescenti o adolescenti abusati,
ho osservato che alcuni iniziano a usare droghe o alcol per diminuire l'eccitazione ed
evitare le emozioni dolorose, mentre altri si impegnano nell'autolesionismo» (ivi 2014,
p. 206). Molti degli schemi di base utilizzati derivano da strategie di attaccamento
precoci che erano necessarie per sopravvivere, ma che non sono più adattive.
Un aspetto importante nella relazione tra il bambino e la madre è l’affetto. In
quanto l’affetto diventa una lettura in cui il caregiver diventa un regolatore nella misura
in cui il bambino dopo è capace di adattarsi, e di autoregolarsi «l’affetto regolato

27
ottimizza la flessibilità è la capacita di risposte dative alle domande mutevoli
dell’ambiente e alle necessità del sé» (Hill et al., 2017, p. 15). Tutto quanto è possibile
perché il bambino ha maggiore padronanza di sé stesso, perché le esperienze apprese
costruiscono il senso di autoefficacia, senso di autenticità e del benessere personale.
Quando le esperienze affettive sono vissute in maniera disregolata, la persona è meno
disponibile alla relazione intersoggettiva. La teoria della regolazione affettiva ipotizza
quanto «la regolazione dell’affetto sia fondamentale per un funzionamento ottimale e
come deficit di regolazione siano alla base di tutti i disturbi psicologici dello sviluppo»
(Ivi, p. 16) La regolazione e disregolazione nei bambini è un indicatore importante per
comprendere il livello di risposta all’esperienza stressante, «le carenze nelle strategie di
autoregolazione dell’emisfero destro si manifestano in una limitata capacità di modulare
l’intensità e la durata degli effetti specialmente di origine biologica come la vergogna,
rabbia, eccitazione, l’euforia, il disgusto, il terrore-panico e la disperazione» (Schore,
2008, p. 195).
La crescita del cervello avviene in periodi critici ed è influenzata dall'ambiente
sociale. Il concetto di critical o periodi critici è uno dei costrutti duraturi in biologia e
l'ipotesi afferma che nell'organismo in maturazione i processi di sviluppo in diverse aree
procedono a ritmi diversi, «durante questa crescita e differenziazione intensificata,
l'organismo è soggetto a condizioni ambientali, e se queste sono al di fuori della gamma
normale si verifica un arresto permanente dello sviluppo» (Schore, 2016, p. 11). Il
lavoro sotto forma di stress emotivo ha rivelato che «ogni organo in via di sviluppo o
anche parti di un organo passa attraverso un periodo critico individuale di crescita
accelerata e la differenziazione durante il quale diventa sensibile alle condizioni
dell'ambiente esterno» (Ivi, p. 12) Gli studi affermano come i primi periodi sono critici
per lo sviluppo della struttura del cervello che è sensibile, non solo alle influenze
ambientali anormali o dannose ma anche a tutti i tipi di stimolazione ambientale. Il terzo
aspetto nello sviluppo della mente del bambino è Il sistema genetico che programma lo
sviluppo del cervello. Gli effetti della genetica non esercitano un'influenza totale alla
nascita, «ma sono applicati durante i periodi di progressione maturativa graduale dello
sviluppo, e infatti si pensa che

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diverse e specifiche interazioni gene-ambiente si verifichino nel corso dello sviluppo»
(Ivi, p. 16).
La tipologia della relazione che esiste tra il bambino e il caregiver determina il
tipo di relazione, per i bambini vittime di abusi, stili di attaccamento disorganizzati
oppure lo stile di attaccamento che darà poi origine ad un modello operativo interno
patologico «la sensibilità genitoriale è la capacità del genitore di percepire i segnali
comunicativi del figlio, di dare loro un senso, comprendendo il significato che hanno
per il mondo interiore del bambino e poi di rispondervi in modo tempestivo ed efficace
per soddisfare i bisogni del piccolo» (Siegel, 2014b, p. 22). La sensibilità del genitore
consente di relazionarsi con responsività, mettendo in atto una comunicazione
contingente, in cui il segnale inviato dal bambino trova una risposta in un segnale
dell’adulto con cui si relaziona. La risposta coerente del caregiver ai pattern di
comunicazione prevedibili che sono caratterizzati anche da azioni riparative alle forme
di rotture e sintonizzazione costituiscono un modello operativo interno sicuro. Questo
attaccamento consente al bambino di andare ad esplorare il mondo, realizzando
pienamente le proprie potenzialità, intrecciare relazioni significative con gli altri e
sviluppare la capacità di regolare le proprie emozioni in maniera adeguata a realizzare
una vita equilibrata, «L’elemento fondamentale per creare un attaccamento sicuro non
è la sintonizzazione perfetta, bensì l’intenzione di creare un legame e di riparare
quando, nella nostra vita di esseri umani si verificano inevitabili problemi di
comunicazione» (Ivi,
p. 23). Il bambino avendo la possibilità di sperimentare le relazioni variegate sviluppa
diverse strategie di sopravvivenza. Tutto questo dimostra come in realtà, il concetto
dell’attaccamento serve essenzialmente solo per classificare la tipologia della relazione
«la sicurezza non è una caratteristica del bambino; piuttosto, descrive la natura di una
relazione interpersonale ossia di un pattern ripetuto di condivisione di flussi di energia e
informazione» (Ivi, p. 25). Per la (Crittenden, 1997) questo ha un influsso importante
anche negli stili di attaccamento disorganizzato e nelle esperienze traumatiche. La
risposta del bambino in quel momento è sostanzialmente in relazione al pericolo che sta
sperimentato per la sua sopravvivenza. Ciò che è centrale in questa concettualizzazione
è la nozione che, senza un'adeguata integrazione riflessiva, le strategie infantili
possono

29
essere applicate in modo inappropriato ai contesti adulti, gli errori di attribuzione e di
risposta comportamentale possono essere portati avanti senza consapevolezza, e nuove
distorsioni ed errori possono essere aggiunti in risposta alle nuove capacità di
maturazione. La maturazione crea punti naturali di riorganizzazione e l'esperienza
fornisce sia nuove opportunità per organizzare risposte strategiche che nuove
informazioni sul mondo e su sé stessi.

3.3. Il trauma nella prospettiva di Bessel Van der Kolk: Il Corpo accusa il colpo

The body keeps the score (Van der Kolk, 2014) è un libro tra i più importanti
nella ricerca e nel trattamento dello stress traumatico. L’autore ha fondato il Trauma
Center di Brooklyn e che attualmente dirige Complex Trauma Treatment Network. Lo
studio di Van der kolk ha origine dagli studi di (Kardiner, 2012) che aveva definito gli
effetti della guerra con il termine nevrosi di guerra. E uno degli effetti delle persone
traumatizzate di guerra era proprio difficoltà di tollerare le esperienze, perché i ricordi,
riportati alla mente avevano la stessa potenza dell’esperienza vissuta. Inoltre descrive
l’impatto del trauma vissuti anche da suo padre «mio padre non ci aveva mai parlato
delle sue esperienze di guerra, ma era incline a scoppi di rabbia improvvisi che, da
bambino, mi lasciavano attonito» (Van der Kolk, 2015, p. 11). Non bisogna essere un
soldato o visitare un campo di rifugiati in Siria o in Congo per imbattersi nel trauma, il
trauma accade a noi, ai nostri amici, alle nostre famiglie e ai nostri vicini intaccando
non soltanto il nostro senso di sé, ma anche il senso che ciascuno di noi conferisce alla
propria esistenza.
Una vasta letteratura su traumi da combattimento, crimini, stupri, rapimenti,
disastri naturali, incidenti e reclusione hanno dimostrato che la risposta al trauma è
bimodale: «ipermnesia, iperreattività agli stimoli e di rivivere l’evento traumatico
coesistono con intorpidimento psichico, evitamento, amnesia e anedonia» (Ivi, p. 12)
Queste risposte alle esperienze estreme sono così coerenti tra gli stimoli traumatici che
questa reazione bifasica sembra essere la risposta normativa a qualsiasi esperienza
travolgente e incontrollabile. In molte persone che hanno subito un forte stress, la
risposta post-traumatica svanisce nel tempo, mentre in altre persiste. C'è ancora molto
lavoro da

30
fare per precisare le questioni di resilienza e vulnerabilità, ma l’intensità
dell'esposizione, il trauma precedente e il supporto sociale sembrano essere i tre
predittori più significativi per lo sviluppo del PTSD cronico. In un apparente tentativo di
compensare l'iperarousal cronico, le persone traumatizzate sembrano spegnersi: la
persona non sa mai quando sarà di nuovo assalita dai flashback e non ha modo di sapere
quando si fermeranno» (Ivi, p. 16): a livello comportamentale, evitando gli stimoli che
ricordano il trauma; a livello psicobiologico, con l'intorpidimento emotivo, che si
estende sia al trauma, sia all'esperienza quotidiana. Così, le persone con PTSD cronico
tendono a soffrire di intorpidimento della reattività all'ambiente, punteggiato da
iperarousal intermittente in risposta a stimoli traumatici condizionati. «Il trauma esista
in una fondamentale trasformazione del modo in cui mente e cervello organizzano le
percezioni. Cambia non solo il modo in cui pensiamo e ciò che pensiamo, ma anche la
nostra effettiva capacità di pensare» (Ivi, p. 25).
Il trauma non permette alla persona di organizzare la sua esistenza, progettare un
futuro, e creare anche delle relazioni soddisfacenti. Ignorare la realtà così complessa del
trauma e dalla sua diffusione nel contesto sociale e famigliare, rende ciechi e impotenti
verso quella che lui chiama “l’epidemia nascosta”, e nell’introduzione del suo testo
afferma che «il non sapere che traumi estremi e prolungati in età adulta, come la
prigionia, la persecuzione, la tortura comportano gravi conseguenze sul piano emotivo e
cognitivo, destrutturando l’identità personale, e può distrarre dall’emergenza
umanitaria, lasciando una traccia enorme, e segreti nascosti ma tramandati tra le
generazioni» (Ivi, p. IX) La grande sfida riguarda impegno e energia che la persona che
ha subito il trauma mette in atto per affrontare il trauma. Il trauma lascia le tracce nella
mente della persona, le impedisce di provare la gioia, entrare in intimità e questo ha
anche un impatto sul sistema immunitario e sulla biologia; «la maggior parte dei soldati
e bambini molestati si rivelano così turbati al pensiero di ciò che hanno vissuto, da
cercare di estirparlo dalla mente e di andare avanti, provando a comportarsi come niente
fosse accaduto» (Ivi, p. 4). Tutte queste esperienze richiedono alla persona molte
energie per continuare a vivere nel tentativo di tenere lontano quel ricordo terrorizzante
e il senso di colpa e la convinzione di vulnerabilità personale. Mentre il desiderio di
ogni persona è “Andare oltre” il cervello

31
umano che garantisce la sopravvivenza, non è così abile a negare. Il cervello è definito
come «quel dispositivo che rileva, amplifica e analizza l’informazione al fine di
garantire la conservazione dell’individuo nel proprio ambiente interno ed esterno» (Paul
MacLean in Williams, 2009, p. 11). I tre sistemi in cui è sviluppato il cervello sono così
interdipendenti tra di loro: il midollo allungato e l’ipotalamo che sono responsabili
principalmente della regolazione dell’omeostasi, il sistema limbico, che è responsabile
della conservazione tra il mondo esterno e il mondo interno e la neocorteccia,
responsabile dell’analisi e dell’interazione con il mondo esterno. «Il trauma sembra
influenzare i diversi livelli del funzionamento biologico dell’individuo» (Van der kolk
in Williams, 2009, p. 11). Questi sistemi controllano il riposo, il sonno, i processi
riproduttivi e le forme elementari di accudimento. Inoltre il cervello deve monitorare il
mondo esterno mentre cerca di classificare tutte le informazioni che riceve, mentre
l’organismo deve esser in grado di impegnarsi in compiti di routine di esplorazione
senza disorganizzarsi» (Ivi, p. 12). Quindi il cervello, il corpo e la mente sono
inestricabilmente connessi e solo per motivazione euristiche vengono dissociate come
entità separate. I tre sistemi: il sistema ipotalamo, il sistema limbico e la neocorteccia
sono importanti per un funzionamento ottimale (Ibidem)
La sintomatologia biologica del PTSD è legata allo svolgimento dei compiti
principali di uno dei tre sistemi, la neocorteccia può avere difficoltà a trovare strategie
per risolvere situazioni che riguardano il mondo esterno, nell’apprendimento e
discriminazioni di stimoli complessi» (Ivi, p. 13). Le esperienze traumatiche possono
riattivarsi ad un minimo accenno di pericolo e mobilitando i circuiti cerebrali disturbati,
secernendo enormi quantità di ormoni dello stress suscitando reazioni fisiche
sgradevoli, aggressive e impulsive. Gli effetti evidenza producono cambiamenti
psicologici reali, una ritaratura del sistema d’allarme del cervello (Ibidem)
Il trauma compromette l’area legata alla mediazione tra lo stimolo sensoriale e la
risposta motoria: le aree corticali d’associazione sensoriale, il tronco cerebrale, il
talamo, i gangli della base, il sistema limbico, il cervelletto e la neocorteccia del
cervello che trasmette la percezione fisica e corporea dell’essere vivi» (Ibidem). Questo
è alla base delle informazioni per cui, la persona che ha vissuto un’esperienza
traumatica, tende a

32
non essere più spontanea ma sempre ipervigile. Gli studi del cervello dimostrano che le
persone traumatizzate tendono a rimettere in atto le stesse situazioni problematiche e
hanno grande difficoltà ad imparare dalle loro esperienze, e i loro comportamenti non
sono frutto della debolezza morale ma sono causati da modificazioni cerebrali reali.
L’evento traumatico, anche a distanza di anni, può essere riattivato da vari
triggers, perché «le emozioni dell’individuo affetto da PTSD non sembrano svolgere la
loro normale funzione di segnalazione. Nel PTSD la reattività emotiva e l’azione diretta
al conseguimento di uno scopo sono spesso tra loro sconnesse» (Ivi, p. 16). Quindi la
perdita della funzione di segnale delle emozioni è legata al fatto che la persona «userà
più la reattività come segnale della necessità di prestare attenzione all’informazione
afferente e tenderà invece a passare direttamente dallo stimolo alla risposta senza essere
prima in grado di capire il significato di ciò che sta accadendo» (Williams, 2009, p. 32).
Questi ricordi possono apparire come immagini, suoni, flashback ricorrenti. Uno
degli effetti del trauma è la perdita del sé, che paralizza la persona, perché non si
riconosce più in quello che sta succedendo e quello che fa. Questo ha un impatto sia
nell’immagine di sé che nelle relazioni intime «il trauma che si tratti del risultato di
qualcosa che ci è accaduto o che abbiamo fatto, rende quasi sempre gravoso il
coinvolgimento in relazione intime» (Van der Kolk, 2015, p. 16).
Darsi la possibilità di riconoscere quello che è successo nella vita richiede
maggiore consapevolezza, perché è una delle sfide, la mente traumatizzata è legata alla
sensazione di vergogna e al senso di colpa delle atrocità subite. L’altro effetto del
trauma è il numbing, o ottundimento, ovvero, l’incapacità di sentirsi emotivamente
insensibile, la difficoltà di provare sentimenti profondi. Un altro studio importante sugli
effetti del trauma furono, i test di Roscharch, test difficile da falsificare, le risposte che
venivano date dalle persone traumatizzate, difronte alle macchie di Roscarch,
descrivevano le stesse, immagini, sentendo gli stessi odori e percependo le stesse
sensazioni fisiche che avevano avvertito durante l’evento originale» (Ivi, p. 19), questo
studio mise in evidenza, quanto l’episodio traumatico modifichi la percezione e
l’immaginazione delle persone. Le tavole di Roscharch riattivavano le sensazioni del
trauma nelle persone traumatizzate. in conclusione «le persone traumatizzante hanno
un’attitudine a sovrapporre il loro

33
trauma a qualunque cosa accada loro e hanno molte difficoltà a decifrare cosa stia
succedendo intorno a loro» (Ivi, p. 20).
Importanti sono anche gli studi di neuroimaging, tramite la raccolta delle
informazioni dei frammenti isolati delle loro storie come immagini, suoni, emozioni,
che sono potenti trigger per le reazioni fisiologiche come la pressione sanguigna e il
battito cardiaco. Inoltre è stato scoperto che l’area maggiormente coinvolta del cervello
è legata all’area limbica, anche detta, il cervello emotivo; «quando le persone
traumatizzate sono esposte a immagini, suoni o pensieri relativi alle loro specifiche
esperienze l’amigdala reagisce con l’attivazione di uno stato di allarme» (Ivi, p. 51). In
questo studio, nel lobo frontale sinistro della corteccia, l’area di Broca è coinvolta,
avendo un ruolo chiave nella produzione della parola e comprensione, lo studio
indicava come, difronte ai flashback
«le nostre scansioni mostravano che l’area di Broca si spegneva tutte le volte in cui era
sollecitato un flashback» (Ibidem), per questo rende complicata e spesso impossibile da
produrre i pensieri in parole. Le immagini del trauma passato attivano l’emisfero destro
del cervello e disattivano quello sinistro Questo spiega perché anche a distanza di anni,
le persone traumatizzate hanno enormi difficoltà nel raccontare agli altri tutto ciò che gli
era successo. Il trauma trova la sua espressione nel corpo: «il corpo rivive il terrore, la
rabbia e l’impotenza così come l’impulso all’attacco o alla fuga diventano sentimenti,
reazioni che sono presso che impossibili da esprimere. Il trauma, per sua natura, ci porta
al limite della comprensione, tagliandoci fuori da un linguaggio condiviso o da un
passato immaginabile» (Ivi, p. 52). Per rispondere al trauma il corpo deve esser in
armonia, «in situazioni come la difesa, il supporto fisiologico è necessario non solo per
il corpo. Anche il cervello ha bisogno di essere mobilitato ed energizzato, attraverso il
processo di aruosal» (LeDoux, 2015, p. 90). Mentre la maggior parte degli studi sul
PTSD sono stati fatti sugli adulti, in particolare sui veterani di guerra, negli ultimi anni
sta emergendo una piccola letteratura prospettica che documenta gli effetti differenziali
del trauma a vari livelli di età, i livelli di sviluppo influisce sugli effetti psicologici del
trauma «i bambini vittime di abusi presentano problemi significativi nella funzione
dell’emisfero dominante relativamente allo sviluppo del linguaggio» (Williams, 2009, p.
27)

34
Disturbi d'ansia, iperarousal cronico e disturbi comportamentali sono stati
regolarmente descritti nei bambini traumatizzati, cosi come le difficoltà dei disturbi di
apprendimento.

3.4. Il trauma come dissociazione nella prospettiva di Onno Van Derk Hart

La teoria della dissociazione strutturale, si focalizza sul lavoro con le persone


sopravvissute a traumatizzazione cronica che si differenzia dagli approcci cognitivo-
comportamentale e (Eye movement Desensitization and Reprocessing) EMDR. Negli
studi di Hart et al. (2011) l’EMDR non si dimostrano come approccio terapeutico
adeguata ai sopravvissuti a traumatizzazione cronica. Il lavoro di (Hart et al., 2011) ha
portato allo sviluppo di un modello di trattamento phase oriented che si focalizza
sull’identificazione e sul trattamento della dissociazione strutturale e delle azioni
mentali e comportamentali di tipo disadattivo a essa correlate, dove il lavoro richiede
più tempo nel sostegno dei pazienti ad apprendere azioni mentali e comportamentali
efficaci. L’ipotesi sulla teoria della dissociazione suggerisce che i modi in cui le azioni
mentali e comportamentali dei sopravvissuti cambiano dipende dal tipo di parte
dissociativa che esercita il controllo esecutivo, un fatto che è in gran parte sfuggito
all’attenzione degli studi sullo stress traumatico» (Ivi, p. 3). Nella definizione del
concetto di trauma, molta enfasi era associata alla «mancata realizzazione del ricordo
del trauma, dove la realizzazione implica le azioni mentali che consentono di
differenziare e collegare le esperienze nell’arco del tempo, all’interno di una personalità
flessibile» (Klunt, in Hart et al, p. 36). La divisione della personalità ha la funzione di
sopravvivenza, che consente alla persona di funzionare nella vita di tutti i giorni quando
l’evento traumatico e o sono troppo da realizzare. Per comprendere la dissociazione è
necessario riconoscere ruolo e funzioni di diversi e multipli sistemi, emozionali,
motivazionali, o di azione che sono innate e plasmati dall’apprendimento, che
normalmente le esperienze traumatiche disorganizzano. Tale disorganizzazione si
manifesta con quei disturbi delle funzioni mentali superiori che costituiscono la
dissociazione. «La dissociazione è l’essenza del trauma. L’esperienza travolgente è
divisa e frammentata, cosi che emozioni, immagini,

35
pensieri e sensazioni fisiche, legati al trauma assumono una vita propria» (Van der
Kolk, 2015, p. 76). La dissociazione strutturale è una particolare organizzazione nella
quale differenti sottosistemi psicologici della personalità sono indebitamente rigidi e
chiusi l’uno rispetto all’altro. Questi elementi portano alla difficoltà e mancata coerenza
del coordinamento della personalità in chi ha subito un trauma. Il termine dissociazione
si riferisce all’esclusione dalla consapevolezza cosciente, questo vuol dire che le due
parti o più processi o contenuti mentali non sono associati o integrati, mentre
dovrebbero essere integrati nella consapevolezza cosciente, nella memoria e
nell’identità. La dissociazione è stata descritta come un processo attraverso il quale
certe «funzioni mentali che sono ordinariamente integrate con altre funzioni
presumibilmente operano in modo più compartimentalizzato, solitamente fuori della
sfera della consapevolezza cosciente e del richiamo della memoria» (Giannantonio,
2009, p. 75). La definizione della dissociazione che viene adottata «non include i
fenomeni spontanei o ecologici di apparente dissociazione quelli in cui parti modulari
della mente gestiscono con perfetta efficienza i comportamenti umani» (Ivi, p. 78) Un
altro elemento è la dissociazione interpretata come meccanismo di difesa, dove la
persona tenta di preservare qualche forma di sicurezza e controllo e identità di fronte
all’evento stressante. Le difese dissociative possono dare alla vittima il falso senso di
controllo e sollievo dall’esperienza del trauma.
Il concetto della dissociazione nasce dal fatto che la persona viene concepita
come un sistema; i sistemi che sono correlati tra di loro e con altri sistemi che danno
una definizione della persona come «l’organizzazione dinamica all’interno
dell’individuo dei sistemi psicofisiologici che determinano i comportamenti e pensieri
caratteristici di quella persona» (Hart et al., 2011, p. 12). Le esperienze traumatiche
sono legate proprio a questi due sistemi, «sul sistema di azione che formano la
personalità che riguardano gli obiettivi di adattamento alla vita quotidiana; la seconda
comprende i sistemi d’azione per la difesa dai principali pericoli e per il ricupero delle
energie» (Ibidem). Il lavoro di integrazione psichica implica il dispiegarsi di due azioni
mentali per il funzionamento della mente “sana” la sintesi e la realizzazione. La sintesi
«è il processo attraverso cui vengono percepite, connesse e differenziate le diverse
componenti dell’esperienza. Secondo il grado di complessità, questa si svolge in modo
automatico, inconsapevole e con limitato

36
dispendio di energia, o in modo intenzionale e cosciente» (Ivi, p. 20). Questa viene
definito da Hart come «una capacità che permette alla persona di sentirsi, e a volte
mettendo in atto comportamenti bizzarri tenendo comunque la sua integrità» (Ivi, p. 21).
Invece la realizzazione si compie attraverso l’azione del prendere pieno possesso
mentale delle proprie esperienze riconoscendole come appartenenti a sé, che i pensieri,
emozioni parole che scaturiscono sono aspetti del proprio io e appartengono alla mente:
«la realizzazione riguarda le azione mentali volte allo sviluppo della consapevolezza
della realtà così com’è accettandola e adattandosi a essa in modo riflessivo e creativo»
(Ibidem)
. La dissociazione viene spiegata anche in relazioni ai disturbi del confine dell’Io del
delirio (Rossi Monti, 2008). La perdita del senso di appartenenza a sé e dei propri
pensieri vissuti come non propri è alla base dei principi organizzatori dei disturbi dei
confini dell’io: perdita di meità: che il soggetto vive quando una persona fa l’esperienza
che i pensieri che si trova in testa non gli sono semplicemente estranei […] ma dichiara
che non sono generati da lui» (Ivi, p. 49).
Quando ci sono eventi traumatizzanti per lungo periodo (traumi complessi), la
persona tende a mettere in atto questi due sistemi già indicati precedentemente che
producono una forma di personalità rigidità, perché compromette i due sistemi sia quelli
finalizzati ad avviarsi ai momenti piacevoli e la gestione degli eventi di pericoli che
comprendono l’evitamento. La mancanza o fatica nel processo di integrazione delle
informazioni, può esistere nella frammentazione attentive e auto-regolative, sia a livello
del sistema nervoso centrale nel sintetizzare le sensazioni relative al trauma in una
memoria semantica integrata. La mancanza di coesione e integrazione della personalità
si manifesta molto chiaramente «nell’alternanza e nella coesistenza tra il riesperire gli
eventi traumatizzanti e l’evitare i ricordi dell’esperienza traumatica, focalizzandosi sul
funzionamento quotidiano» (Hart et al., 2011, p. 12). La dissociazione strutturale legata
a traumi «è un deficit nella coesione e nella flessibilità della struttura di personalità»
(Ibidem). La dissociazione strutturale è stata descritta in tre livelli.
La prima è la dissociazione strutturale primaria, «la più semplice e basilare
divisione della personalità correlata a traumi avviene tra una apparently normale
personality,(ANP) cioè persone che sono fissate a portare avanti una vita quotidiana

37
normale, come esplorazione, accudimento, attaccamento mentre cercano di evitare
memorie traumatiche ed i Emotional personality, sono fissati sul sistema di azione,
come di difesa e sessualità, del quali i loro sottosistemi di iper-vigilanza che sono stati
attivati nel momenti di esperienze traumatiche. Le parte dissociative della emotional
personality (EP) rimangono non molte funzionale nella vita quotidiana.
La dissociazione secondaria è quando gli eventi traumatizzanti diventano sempre
più potente e quando perdurano nel tempo sviluppando altre forme di EP invece la ANP
rimane sempre intatta. La dissociazione strutturale secondaria si basa sul fallimento
dell’integrazione di meccanismi difensivi psicologiche e che hanno combinazione di
affetti di cognizioni, percezione e azione motorie di tipo, immobilizzazione, attacco,
fuga sottomissione completa. La dissociazione può essere descritta come meccanismo
difensiva e rappresentativa dello sforzo di mantenere un dominio ideale dell’esperienza
caratterizzato da relazioni gratificanti e piacevoli tra il sé e l’altro, fuggendo nel
contempo dall’esperienza terrificante degli stati affettivi negativi» (Clarkin &
Lenzenweger, 2006, p. 123).
La dissociazione strutturale terziaria «avviene quando aspetti non evitabili sono
associati a passati traumi, gli triggers, tendono a riattivare memorie traumatiche
attraverso il processo di apprendimento generalizzato» (Hart et al., 2011, p. 15). Quando
il funzionamento di apparently normal personality è cosi povero, la vita quotidiana
stessa è soverchiante, si possono sviluppare nuove ANP, «più di una singola parte del sé
può avere un forte grado di elaborazione e di emancipazione» (Ibidem, p. 15).

Rilievi conclusivi

In questo capitolo sono stati presentati la capacità dell’uomo di


autodeterminazione anche nelle situazioni estreme di sofferenza (Frankl, 2005). Inoltre,
alcune caratteristiche come la libertà, il senso di auto-trascendenza e la volontà
caratterizzano la persona nelle possibilità di cambiamento. È stato presentata la
definizione del trauma partendo dalla definizione del DSM 5. In questo capitolo sono
stati descritti i modelli sul trauma: la neurobiologia interpersonale che evidenzia
come le

38
esperienze primarie siano importanti nella regolazione e gestione degli eventi stressanti
(Siegel, 2014b). La maggior esposizione nel tempo a fattori altamente stressanti
predispone la persona allo sviluppo del PTSD. Come predittori delle esperienze
traumatiche ci sono la trascuratezza, l’abuso, la disregolazione emotiva con le figure
significative e il rischio di sviluppare gli stili di attaccamento disorganizzato. Il sistema
motivazionale di attaccamento ha una funzione protettiva che si esercita attraverso la
ricerca attiva di vicinanza» (Liotti & Farina, 2011, p. 75). Inoltre la visione
biopsicosociale di Van der Kolk (2015) evidenzia come il corpo a distanza di tempo
mantiene l’evento traumatico, mettendo al centro come il cervello emotivo, non segua
delle regole razionali in risposa a questo in quanto varie trigger possono attivare il
trauma. Il trauma come dissociazione di (Hart et al., (2011) rileva come il trauma
cronico impatta sulla struttura della personalità. La dissociazione implica un blocco
verso il processo di integrazione dei sistemi psicobiologici della personalità; queste
strutture possono essere frutto di una struttura immatura cerebrale oppure essere legate
all’incapacità di integrazione di regolazione affettiva «tramite le interazioni con il
bambino e le reazioni ai suoi stati affettivi, la madre lo aiuta a regolare e organizzare
l’aruosal affettivo (Clarkin & Lenzenweger, 2006, p. 127).
Il secondo capitolo descriverà il riconsolidamento della memoria, la teoria della
Coherence Therapy e la relazione con la scoperta della neuroplasticità noto anche come
riconsolidamento della memoria (Ecker, 2018). Questa teoria dimostra come il cervello
umano sia in grado di sbloccare e dissolvere gli apprendimenti emotivi sottostante alla
sofferenza umana. Infine, l’importanza di questa teoria è quella di poter essere applicata
in maniera integrativa.

39
CAPITOLO 2. TRAUMA E CAMBIAMENTO NELL’APPROCCIO CLINICO DA
PROSPETTIVE DIVERSE.

Nel primo capitolo è stato descritto sia visione antropologica e filosofica della
persona umana, dove è il concetto è stato anche di mettere in luce sia dimensione umana
capace di fronteggiare le situazioni di sofferenza e superare proprio perché l’uomo è
portatrice di liberta ed è capace di autodeterminarsi. Inoltre si è visto come la stessa la
persona umana dimostra la sua finitudine e vulnerabilità e in alcune situazioni
esistenziali che creano esperienze traumatiche, sia essa tipo relazionale oppure legati
agli eventi specifici. In questo della Coherence Therapy si evidenzia la sua metodologia
legato alla neuroplasticità e i processi di cambiamento trasformativo. La metodologia
utilizzata nel promuovere il cambiamento trasformativo può essere applicata ai nel
promuovere il cambiamento nelle esperienze traumatiche descritte nel capitolo
precedente.
La Coherence Therapy riconosce il ruolo centrale degli apprendimenti di tipo
emotivo ai fini del mantenimento dei sintomi e consiste nella facilitazione empatica da
parte del terapeuta del riconoscimento dell’esperienza emotiva bloccata, unita alla
promozione di una riflessione consapevole dei significati emotivi ad essa collegati;
«diventano il terreno di coltura in cui poi avrà luogo il processo di cambiamento
duraturo nel tempo attraverso il riconsolidamento terapeutico» (Ecker et al., 2018, p.
11). Al centro della teoria della coherence therapy è di rilievo il tema legato
all’efficacia dei vari approcci di psicoterapia. La ricerca sul riconsolidamento della
memoria «è una via chiara e unitaria costituita da un metodo che consente una profonda
forma di accompagnamento, in modo da guidare il cliente verso la comprensione e la
trasformazione di quegli schemi centrali di azione e interpretazione della realtà che
costituiscono il problema, all’interno di un relazione terapeutica che garantisca
equamente efficacia e rispetto» (Ivi, p. 13).

40
1. Il fondamento del cambiamento nella Coherence Therapy

Il fondamento principale della coherence therapy (Ecker et al., 2012) può essere
sintetizzato come segue «Trovare gli apprendimenti emotivi che generano i sintomi del
paziente e guidare il processo di disapprendimento profondo» (Ecker & Hulley, 1996, p.
94). Per sintomo si intende emozioni, comportamenti, pensieri e disturbi somatici di cui
il paziente si vuole liberare. Nella coherence therapy quando viene applicato questo
principio il cambiamento trasformativo e duraturo «la cancellazione denota la
scomparsa permanente di tutti gli effetti dell'apprendimento target sul comportamento e
sullo stato d'animo. In psicoterapia, la cancellazione di un apprendimento emotivo non
desiderato viene sperimentata come un cambiamento liberatorio e trasformativo»
(Ecker, 2020, p. 11). I principi della coherence therapy sono orientati a portare il
cambiamento nella persona in un senso umanamente efficace e affidabile. La
conoscenza che il cervello umana abbia delle regole precise che possano permettere di
alleviare gli eventi o memorie traumatiche sia un grande sostegno per i terapeutici. La
metodologia per trovare gli apprendimenti emotivi è legata con la struttura della
memoria in maniera specifica e la coerenza del contenuto degli apprendimenti stessi che
il soggetto si costruisce. Inoltre il processo di disapprendimento e la cancellazione della
conoscenza emotiva implicita avviene attraverso l’applicazione delle tecniche specifiche
richieste dal cervello stesso e il riconsolidamento della memoria per liberare il cliente da
risposte negative radicate, vecchi modelli di attaccamento, schemi inconsci di base e
ferite emotive. La cancellazione produce markers distintivi e verificabili: «assenza
completa delle espressioni affettive e comportamentali dell'apprendimento target in tutte
le situazioni in cui vengono presentati i suoi spunti e persistenza permanente di queste
cessazioni senza l'applicazione di misure preventive. La risonanza magnetica è l'unico
tipo conosciuto di neuroplasticità del cervello che può produrre questi effetti» (Ivi, p.
277).

41
2. I principi di base della coherence therapy

Uno dei punti di forza della coherence therapy è quello di mappare il processo
del cervello per favorire il cambiamento, ed è una teoria applicabile in altri approcci di
Ecker & Bridges, (2020) che hanno un filo teorico che pone al centro il cambiamento.
La coherence therapy attraverso il riconsolidamento della memoria è un processo in cui
si verifica ed è possibile accedere, attivare e cancellare un apprendimento emotivo.
Questo processo di cambiamento trasformativo è stato verificato non solo in un contesto
terapeutico ma le stesse procedure sono state osservate anche in laboratorio.
Il primo modello che è stato notato era che nelle interazioni cliente-terapeuta che
portavano direttamente al cambiamento profondo. L’obiettivo principale “Radical
Inquiry” (indagine radicale) «è la metodologia del terapeuta per trovare la verità
emozionale del sintomo, che rende lucidamente chiaro come e perché il sintomo
presentato è in realtà più importante, è necessario averlo» (Ecker & Hulley, 1996, p.
22). Le tecniche che vengono utilizzato hanno una visione costruttivista perché «si tratta
di un processo fenomenologico esperienziale di scoperta, realizzato interamente nei
termini del mondo soggettivo di significato del cliente» (Ibidem, p. 22) Piuttosto di
cercare di contrastare i sintomi al fine di prevenirli, come prima regola per favorire un
cambiamento trasformativo (No counteracting) «invece si è concentrati sul trovare sia la
depressione o gli attacchi di panico, o le relazioni burrascose “che” abbiano un senso,
secondo il mondo esistente di significato che la persona si è costruito» (Ecker, 2015c, p.
10). Il processo di counteracting viene definito come «qualsiasi comunicazione o
processo che si presenta al cliente che ha intento di impedire il verificarsi del sintomo»
(Ivi, p. 10). La coherence therapy attraverso lo studio dei diversi casi ha reso possibile
la scoperta del secondo principio trovare la coerenza della produzione dei sintomi: il
riconoscimento che il senso nascosto di un dato sintomo risultava sempre implicare una
qualche necessità emotivamente avvincente, uno scopo adattivo specifico, urgente ma
non riconosciuto, che in un modo o nell'altro richiedeva la produzione del sintomo,
ovvero, «il sintomo aveva sempre una coerenza, sebbene fosse una coerenza nascosta e
dovesse essere scoperta e portata alla consapevolezza» (Ecker & Bridges, 2020, p. 11).

42
Questo concetto, chiamato the emotional truth of symptom, la verità emotiva del
sintomo è stato il concetto fondamentale nella costruzione della teoria della Depth-
oriented brief therapy (Ecker & Hulley, 1996); ha l’obiettivo di «comprendere e
mappare la storia dall’apprendimento del soggetto e come il sintomo sia abbastanza
necessario da avere, che sono diventati costrutti e schemi impliciti» (Ecker & Hulley, p.
95). Questi costrutti sono così pienamente coerenti a livello limbico, che, quando
riportati alla consapevolezza e confrontati con un’esperienza incompatibile, possono
essere dissolti, ma l’efficacia terapeutica in Depth oriented therapy (DOP) è legata alla
motivazione profonda del cliente, perché il terapeuta rimane powerlessness «Non ho
alcun potere di creare un cambiamento per te. Sei tu ad avere questo potere, non io.
Posso aiutarti a fare un cambiamento che vuoi veramente, non posso aiutarti a fare un
cambiamento che non vuoi» (Ivi, p. 136). La ricerca sulla coerenza del sintomo è stata
confermata nell’osservazione di tante teorie sia quella familiare che quella individuale,
ed è emerso che la condizione chiave per un lavoro profondo e breve sarebbe stata una
conoscenza da parte del terapeuta quali sono i costrutti inconsci che generano il
problema dei clienti sono immediatamente accessibili e modificabili dall'inizio della
terapia (Ecker, 2015c).
Il terzo principio della Coherence Therapy è guidare il processo specifico di
cancellazione degli schemi. È stato osservato come elemento fondamentale
l’osservazione che «non appena un cliente ha trasformato i costrutti scoperti che
richiedevano un sintomo, in modo che non esistesse più alcun costrutto secondo il quale
il sintomo era necessario da avere, il sintomo ha cessato di verificarsi immediatamente»
(Ivi, p. 13). La cancellazione degli schemi appresi ha modificato la verità sostenuta dai
ricercatori negli ultimi anni del fatto che «gli apprendimenti generati in presenza di
un’emozione intensa, come le credenze di base e gli schemi cognitivi generati durante
l’infanzia, fossero bloccati nel cervello da sinapsi straordinariamente durevoli e
sembrava che il cervello ne avesse gettato via la chiave» (Ecker et al., 2018, p. 23).
Invece con la cancellazione che viene verificata con i markers specifici: la non-
riattivazione del sintomo, un nuovo apprendimento che crea i nuovi circuiti neurali, ed è
solo quando il nuovo apprendimento determina anche la disconnessione dal vecchio
apprendimento che si verifica un cambiamento trasformativo. In questo processo il
sistema limbico ha un

43
ruolo importante in quanto mantiene una vasta conoscenza degli apprendimenti impliciti
che il cervello riscrive e cancellando qui schemi indesiderati che producevano il
sintomo. Inoltre la coherence therapy ha come obiettivo di portare il cambiamento nella
persona in un senso umanamente efficace e affidabile.

2.1. Il concetto del sintomo

La cornice teorica della coherence therapy è legata al paradigma


dell’apprendimento e disapprendimento emotivo. Quindi si focalizza sul processo della
cancellazione degli apprendimenti emotivi esistenti che il soggetto ha imparato e
immagazzinato nella memoria implicita. Quindi la Coherence Therapy ha come
obiettivo quello «dissipare una vasta gamma di sintomi e di problemi generati da
apprendimenti, cioè, che l’individuo non è consapevole di possedere, e anche se questi
apprendimenti si riattivano e portano a riposte indesiderate» (Ecker et al., 2018, p. 26).
Il cervello emotivo sottocorticale o sistema limbico viene descritto in senso
patologizzato, per cui il sistema limbico che è un cervello primitivo, irrazionale invia
risposte indesiderate e problematiche, invece nella nuova cornice i sintomi sono solo dei
comportamenti adattativi difronte al pericolo. La comprensione del sintomo in un’ottica
della storia della persona e all’interno del suo comportamento alla fine ha un valore
diverso per il terapeuta. In questo senso si potrebbe definire l’apprendimento emotivo
come «un modello mentale costruito di come funziona il mondo, un modello o schema
che rappresenta la generalizzazione attraverso cui si attribuisce un significato
individuale ai dati grezzi percettivi ed emotivi» (Ivi, p. 27). Ogni apprendimento
emotivo è anche un modello mentale perfettamente coerente formatosi in risposta alla
situazione della persona. Il sintomo « […] è un’espressione diretta di un apprendimento
coerente, ed una risposta totalmente adattiva ed emotivamente necessaria secondo il
modello mentale sottostante, e ogni sintomo significa sofferenza, un tale livello di
sofferenza che spinge la persona a chiedere un aiuto» (Ecker, 2018a, p. 5). Eppure il
sintomo è necessario a livello emotivo, è al di fuori del livello della consapevolezza, che
la persona continua a produrre quel sintomo nonostante la sofferenza che porta. La
mente umana e il cervello estraggono

44
attivamente concetti generalizzati, astrazioni e significati da diverse esperienze, per
essere pronti e orientati a risolvere nuove situazioni in cui appaiono caratteristiche
simili. Tale conoscenza generalizzata o schematica costituisce la memoria semantica
implicita» (Ivi, p. 5). La memoria emotiva trasforma il passato in un’aspettativa del
futuro, al di fuori della consapevolezza. Questo può essere un vantaggio e uno
svantaggio allo stesso tempo: un vantaggio in quanto la memoria implicita non richiede
maggior tempo al cervello per l’elaborazione di dati concettualmente e verbalmente; è
uno svantaggio, perché fa sì che le peggiori situazioni ed eventi del passato rimangano e
si presentino con la stessa intensità con cui sono stati vissuti. Ecker all’interno dei suoi
studi riporta la storia di un uomo che giunge in terapia cercando sollievo da uno stato
depressivo; nell’analisi degli apprendimenti emotivi, si rileva che durante la sua infanzia
l’uomo aveva vissuto delle relazioni non sintonizzate in cui i genitori rispondevano ai
suoi bisogni con rabbia e rifiuto, andando ad attivare impropriamente l’arousal. Tale
esperienza primitiva reiterante sembra aver creato degli apprendimenti emotivi
semantici, ad esempio che lui stesso fosse un essere disgustoso e inaccettabile, il che ha
portato ad una serie di reazioni per cui il bambino ha vissuto un forte senso di disagio e
di vergogna e ha interiorizzato l’aspettativa che l’altro e il mondo siano malvagi e
pertanto si inferisce un forte senso di isolamento (Ivi, p. 6-7). Lo schema implicito
costruito dalla persona e che comprende la generazione del sintomo sembra essere
necessario per la persona costituendo una situazione di adattamento, poiché senza di
esso la persona andrebbe incontro ad una situazione peggiore. Per il paziente avere il
sintomo è la minore delle due sofferenze con o senza sintomo. Inoltre esiste una classe
di sintomi che hanno la funzione di sopprimere tutta la consapevolezza della memoria
episodica angosciante o della conoscenza angosciante che la memoria episodica
cosciente creerebbe. Esempi di sintomi che sopprimono la memoria episodica sono la
disconnessione dagli affetti, l'alimentazione compulsiva, la continua auto-distrazione
tramite l'attenzione compulsiva al lavoro, a videogiochi, la pornografia o qualsiasi altra
forma di eccitazione intensa come il gioco d'azzardo, e i comportamenti evitanti che
impediscono gli incontri con specifici ricordi della memoria episodica. Questi sintomi
non sono prodotti dalla memoria episodica ma dalla memoria implicita e sono adattivi
e coerenti in quanto «incarnano gli sforzi della

45
persona per evitare la sofferenza e garantire il benessere» (Ivi, p. 28). Il concetto della
coerenza del sintomo «esiste perché è emotivamente necessario secondo almeno un
apprendimento emotivo presente nella memoria nonostante la sofferenza che implica e
il sintomo sparisce permanentemente quando gli apprendimenti sottostanti vengono
direttamente disappresi e non esistono più nella memoria» (Ecker et al., 2012,
traduzione mia).

2.2. I processi di cambiamento

Il punto di forza della coherence therapy per un cambiamento trasformativo è


nel potere terapeutico di creare una consapevolezza corticale diretta di ciò che conosce
il cervello emotivo, quindi il passaggio dalle conoscenze implicite alla consapevolezza
esplicita. Il processo di cambiamento ha come regola «portare questi apprendimenti
sottostanti alla consapevolezza rende inequivocabilmente evidente per il cliente, ad un
livello molto sentito che il sintomo esiste come parte di sforzi coerenti e adattivi»
(Ecker et al., 2018, p. 28). Questi apprendimenti emotivi adattivi ma generatori di
sintomi sono costrutti ben definiti e coerenti, ma prima di essere recuperati, sentiti e
verbalizzati in terapia, esistevano per il paziente solo nella memoria implicita e
operavano al di fuori del dominio esplicito di parole, concetti e consapevolezza
cosciente. Sono modelli di memoria semantica, distinti dalla memoria episodica o
autobiografica di esperienze ed eventi particolari; sono modelli generalizzati,
schematici, astratti dalle istanze concrete vissute dall'individuo. Sono modelli di realtà
emotivamente convincenti, e i sintomi che generano sono coerentemente necessari
secondo il modello di realtà di ogni costrutto. Il processo di cambiamento è legato alla
conoscenza del processo esperienziale di come la mente organizza le esperienze.
«L'organizzazione della mente della conoscenza implicita acquisita in schemi è stata a
lungo una caratteristica importante della scienza cognitiva e delle sue applicazioni
cliniche» (Ecker, 2018, p. 6). La memoria semantica e quella episodica non sono sistemi
completamente dissociati, ma i loro collegamenti sono una questione complessa e
sottile. Ecker mette in evidenza come queste osservazioni siano frequente nella pratica
clinica «accedendo consapevolmente a uno dei due sistemi di

46
memoria non si accede necessariamente anche consapevolmente all'altro» (Ibidem).
Allo stesso modo, assistere ad una risposta emotiva o un comportamento generato da
uno dei due non accede automaticamente in modo cosciente al materiale episodico o
semantico sottostante. Il cambiamento non significa solo il recupero di un materiale in
maniera consapevole «sono stati molti casi nell'esperienza clinica dell'autore di un
cliente in terapia che ha recuperato uno schema emotivamente potente nella
consapevolezza lucida dalla memoria semantica senza che questo portasse alcun
corrispondente ricordo episodico delle esperienze in cui lo schema era stato appreso»
(Ibidem). Quindi il target nel processo di cambiamento rimane evidentemente lo
schema,

«lo schema è la causa principale di ogni sintomo che esso genera, così ogni sintomo
basato su schemi emotivi cessa di verificarsi non appena tutti gli schemi non derivanti da
quel sintomo sono stati disimparati e cancellati. Pertanto, per qualsiasi sintomo prodotto da
uno schema emotivo, lo schema è l'obiettivo ottimale del cambiamento, piuttosto che il
sintomo» (Ivi, p. 7).

A differenza di altri approcci dove il tentativo è di prevenire o ridurre un


sintomo con metodi controattivi che pertanto lasciano intatto il materiale di memoria
sottostante non eliminandolo può far sì che il cliente in terapia sia soggetto a ricadute. Il
modo in cui la conoscenza semantica genera la qualità emotiva di una data esperienza,
sia nel suo verificarsi originale che nel richiamo della memoria episodica, è stato
descritto in molti casi clinici di stage flight (Ecker et al., 2012, p. 86-91).
Un esempio per chiarire il concetto. La cliente è una donna di trenta anni che,
durante una sessione di terapia, ha inaspettatamente iniziato a sperimentare, per la prima
volta, un ricordo episodico intrusivo di un'esperienza traumatica all'età di otto anni,
quando era sul sedile posteriore dell'auto di famiglia mentre il padre ubriaco guidava lei,
sua madre e sua sorella su una traiettoria sbalorditiva ad alta velocità verso un ponte
visibile in distanza (Ivi p. 86). Per la natura stessa dei suoi flashback, non stava
semplicemente ricordando l'incidente; piuttosto, stava re-inventando la scena e
l'esperienza, e la descriveva dal punto di vista di essere lì in macchina mentre il ricordo
vivente si ripeteva nel presente (Ibidem). Sentì l'auto sfiorare la ringhiera sul lato della
strada e seppe che stava per morire. Sentendosi impotente nel precipitare verso la morte,
il suo corpo era congelato e rigido nel panico. Ecker descrive come la reazione di

47
impotenza siano così legati con i sentimenti traumatici di vulnerabilità impotente e di
panico che facilmente possono ri-emergersi attraverso fattori o immagine intrusive. La
plausibilità di questa affermazione diventa evidente attraverso l'esperimento del
pensiero di immaginare un altro bambino di otto anni al suo posto in quella macchina:
un bambino che si era da poco trasferito nella casa accanto con la sua famiglia, che
aveva bisogno di un passaggio, che aveva passato la maggior parte dei suoi otto anni per
strada tra giovani violenti, e che era rimasto vivo essendo assertivo e aggressivo quanto
necessario per farlo (Ibidem). Non appena vide il grado di pericolo che si stava
sviluppando nell'auto, si buttò in avanti, afferrando i capelli dell'autista con una mano e
la gola con l'altra e gli urlò all'orecchio: «Se vuoi un altro respiro, figlio di puttana,
frena e accosta subito! L'autista fa esattamente questo in pochi secondi, e il ragazzo
scende» (Ibidem). Sapeva che avrebbe preso il controllo della situazione, non si è mai
sentito impotente, e quindi ha vissuto l'incidente non come un trauma, ma solo come
un'altra serie di onde agitate in un oceano molto più grande e agitato della vita (Ecker,
2018). Il terapeuta guidò la donna attraverso un'esperienza di re-enactment experience
of screaming (revocazione immaginaria) di urlare al padre, ordinandogli di fermare la
macchina (Ivi, p.7). Quando lui non lo fece immediatamente, lei aprì lo stesso la portiera
dell'auto, poi lui frenò e si fermò, e lei uscì dall'auto per mettersi al sicuro, chiedendo
assistenza anche ad altre persone. Quell'esperienza di re-enactment immaginaria le
sembrò vividamente e quasi fisicamente reale (Ibidem). Ecker descrive da questa
esperienza come tale «comportamento assertivo non solo violava le sue regole
semantiche, ma disconfermava anche quella che era sembrata la loro inviolabilità e
assolutezza» (Ivi, p. 8). In seguito, «il ricordo traumatico non conteneva più impotenza,
e lo stato somatico congelato, che era un sintomo frequente in varie situazioni sociali nel
suo presente di adulta, cessò di verificarsi» (Ivi, p. 8). Inoltre, la sua esperienza di
ricordare l'incidente non aveva più risvegliato quella sensazione di terrore come parte
della memoria episodica. Le componenti semantiche ed emotive di un ricordo episodico
si dimostrano essere mutabili indipendentemente dalle componenti percettive del
ricordo. Le osservazioni cliniche (Ibidem) come queste sembrano indicare una
fenomenologia che opera in questo modo: quando un ricordo episodico viene
recuperato, affrontato in terapia e aggiornato con successo, trasformando l'emozione

48
insita nel ricordo, ciò che è stato aggiornato è la conoscenza semantica che operava al
momento dell'esperienza originale ed è stata una componente implicita della memoria
episodica. Questo aggiornamento cambia fondamentalmente e retroattivamente il
significato personale codificato dell'esperienza, che a sua volta cambia l'emozione
generata dall'incidente come esiste ora nella memoria episodica.

2.3. Il riconsolidamento della memoria

Il riconsolidamento della memoria «è un processo integrativo nel cervello che ha


la finalità di usare le nuove esperienze di apprendimento per modificare e aggiornare i
contenuti della memoria appresi precedentemente» (Ecker et al., 2012a, p. 16,
traduzione personale) L’aggiornamento di questi contenuti della memoria porta ad un
cambiamento sia al livello dell’esperienza che del comportamento soggettivi sia al
livello della codifica neuronale (Ecker, 2018). Il riconsolidamento della memoria è un
cambiamento neurologico determinato dalla esperienza. Questo concetto è molto
importante perché nella scienza dell’apprendimento e della memoria tutto il ventesimo
secolo ha basato la sua ricerca sull’estinzione dell’apprendimento emotivo e aveva
indotto i neuro-scienziati a concludere che il cervello non possedesse nessun
meccanismo per un disapprendimento profondo. Nel cervello «non sembrava che
esistesse alcuna forma di neuroplasticità in grado di sbloccare le sinapsi che
mantenevano consolidati i circuiti della memoria implicita» (Ecker, 2015a, p. 15). Sulla
base di molti studi legati sull’estinzione del sintomo che non avevano mai ottenuto il
disapprendimento e cancellazione. Attraverso gli studi dei neuroscienziati di cui (Ecker
et al., 2012)si avvalsi con la scoperta del riconsolidamento della memoria, si studiano
«gli effetti della riattivazione di un ricordo emotivo implicito sull’espressione
comportamentale animali». (Ecker et al., 2018, p. 41). Questi studi hanno dimostrato
come «i ricordi ben consolidati siano soggetti a dissoluzione quando vengono riattivati»
(Ibidem) I circuiti della memoria diventano strettamente forti e durevoli. Gli
apprendimenti emotivi sono talmente durevoli che la ricerca sulla loro estinzione per
tutto il ventesimo secolo non ha rilevato il loro totale annullamento. L’estinzione
sopprimeva sempre una risposta in maniera temporanea e le

49
ricadute erano sempre provocabili e questo dimostrava che l’apprendimento target
esisteva ancora, «sulla base della estinzione, i neuroscienziati credevano che gli
apprendimenti emotivi fossero indelebili e incancellabili tutto l’arco di vita di un
individuo» (Ecker et al., 2018, p. 23) e solo tra il periodo tra 1997 e 2000, i
neuroscienziati hanno scoperto il metodo del riconsolidamento della memoria, un
meccanismo innato del cervello che può eliminare e aiutare a disapprendere un
apprendimento emotivo. Quindi, essendo gli apprendimenti emozionali la causa
principale dei sintomi, allora la loro eterogeneità osservata per lo stesso sintomo implica
che il trattamento psicoterapeutico, se vuole dissipare il sintomo alla sua radice, deve
essere unicamente personalizzato per ogni cliente. La ricerca sul riconsolidamento della
memoria è giunta alla stessa conclusione, ovvero che «le caratteristiche specifiche e
uniche di un apprendimento emozionale dettano il disegno delle esperienze necessarie
per indurre la destabilizzazione, il disapprendimento e la cancellazione di esso» (Ivi, p.
11).
I ricercatori credevano che dopo che un apprendimento emotivo è stato
consolidato oppure codificato neurologicamente nella memoria di lungo termine
restasse lì per sempre. Credevano che il cervello non possedesse nessun meccanismo
per deconsolidare la decodifica neuronale, un meccanismo che lo renderebbe
suscettibile al disapprendimento profondo e alla cancellazione. La conseguenza di
questo, è il fatto che la persona sta contrastando gli apprendimenti emotivi e le risposte
negative strutturando le credenze migliori che possano competere/regolare e
possibilmente by-passare gli apprendimenti negativi.
In uno studio i ricercatori hanno prima addestrato i topi (Ecker & Toomey, 2008) a
rispondere con paura a un tono uditivo accoppiando il tono con uno stimolo sgradevole.
Poi hanno aspettato un giorno, tempo sufficiente per il consolidamento completo del
circuito di memoria della paura. Dopo aver riattivato la memoria della paura con il
suono, nella parte portante della memoria dell'amigdala di ogni topo è stata iniettata
prontamente con anisomycin una sostanza chimica che blocca precisamente la
produzione di proteine necessarie per il consolidamento di un circuito di memoria.
Quando il tono è stato successivamente riprodotto, i topi non hanno più risposto con
la paura, la memoria

50
implicita era sparita. Invece quando l’anisomycin è stata applicata senza prima
riprodurre il suono per riattivare la memoria è rimasta intatta, e la risposta di paura è
continuata. Il fatto che una sostanza chimica che blocca il consolidamento potrebbe
cancellare una memoria implicita già consolidata e riattivata significava che la
riattivazione aveva causato il riconsolidamento della memoria. «Questo a sua volta
implicava che una memoria riattivata e riconsolidata non subisce il processo naturale di
riconsolidamento, che presto ricollega le sinapsi e riporta la memoria di lungo termine»
(Ecker, 2010, p. 44). Inoltre da questi studi è stato compreso che il cervello possiede un
meccanismo naturale che sblocca neurochimicamente la codifica neurale
dell’apprendimento consolidato portando la codifica ad uno stato deconsolidato che è
cancellabile. Il deconsolidamento è stato scoperto in studi di laboratorio e osservato con
un comportamento target consolidato, ad esempio con una paura condizionata nei topi è
stato cancellato dalla memoria con i trattamenti che non avevano nessun effetto con la
memoria. Questo significa che l’apprendimento target è stato deconsolidato e
destabilizzato. In altre parole il riconsolidamento della memoria è l’unico meccanismo
conosciuto neuro-plasticità del cervello che può produrre questi indicatori (Ecker,
2018).
«I ricercatori scoprirono che una volta indotto il processo di deconsolidamento, dopo
avere destabilizzato un apprendimento target, hanno capito che la finestra di
riconsolidamento dura circa cinque ore “finestra di riconsolidamento” e poi la codifica
neuronale si consolida oppure si ristabilizza automaticamente nella memoria di lungo
termine» (Ecker et al., 2013, p. 84). Durante i processi di riconsolidamento della
memoria o la finestra del riconsolidamento; un periodo nel quale un apprendimento
target è vulnerabile al cambiamento profondo e alla cancellazione. La verifica di
cambiamento nel riconsolidamento della memoria è legata al concetto stesso di
cambiamento trasformativo che deve esserci al livello cerebrale. La cancellazione è il
modo in cui la risposta appresa scompare completamente e non si verifica mai più in
risposta agli stimoli originali senza nessuna misura di prevenzione continuativa. Il
cambiamento che avviene al livello cerebrale ha degli indicatori trasformativi precisi e
chiari «come scomparsa totale della riattivazione di un apprendimento emotivo, la
cessazione dei sintomi come i comportamenti, emozioni, pensieri gli aspetti somatici
problematici scompaiono e la

51
permanenza senza sforzo, la non reiterazione della risposta emotiva e dei sintomi
continua senza misure contro-attive o preventive di qualsiasi tipo» (Ivi, p. 43).

3. Il cambiamento nell’approccio terapeutico nell’ottica della Coherency therapy

Il percorso nel cambiamento trasformativo nella coherence therapy è stato quello


di avere applicato una metodologia empiricamente approvata sul riconsolidamento della
memoria ai vari processi di psicoterapia, descrivendo che cosa fosse necessario per il
cervello umano per una cancellazione degli apprendimenti emotivi e un cambiamento
trasformativo. Il riconsolidamento della memoria «è la metodologia clinicamente più
ampiamente applicabile della cancellazione comportamentale che è direttamente e
interamente dettata è definita dalla ricerca sul riconsolidamento» (Ecker, 2020, p. 278).
La risposta alla domanda è stata data mettendo in considerazione le implicazioni degli
studi del riconsolidamento della memoria in laboratorio per la traduzione clinica che
sono meglio riconosciute comprendendo gli studi principalmente in termini di
esperienze soggettive indotte, piuttosto che in termini di procedure seguite in
laboratorio. L’esperienza soggettiva dell’apprendimento emotivo e il significato
rimangono punti importanti. Inoltre nella coherence therapy (Ecker, 2020) per ottenere
la cancellazione comportamentale di un apprendimento target, le esperienze richieste
dal cervello sono la riattivazione dell'apprendimento target, il mismatch e il
counterlearning o nuovi apprendimenti. Le esperienze di riattivazione e di mismatch
destabilizzano l'apprendimento target, e poi le esperienze di counterlearning
funzionano come esperienze di disapprendimento che disconfermano e cancellano
l'apprendimento target e aggiornano la sua codifica neurale di conseguenza. La verifica
della cancellazione consiste quindi nell'osservare questi tre marcatori precedentemente
definiti. La Tabella
2.1. seguente descrive i passi che il cervello ha bisogno di fare per il cambiamento
trasformativo. Questo modello è stato approvato scientificamente e viene chiamato
Empirically confirmed process of erasure (ECPE). Dopo la fase della cancellazione
viene fatta una fase di verifica dei makers di cancellazione che consiste in test
comportamentali per valutare se l’apprendimento target esiste ancora nella memoria.
(Ecker et al., 2018,

52
p. 54). Alla base della sequenza di trasformazione nel contesto di terapia si sottolineano
gli aspetti distinti di cambiamento trasformativo a quello contro-attivo. La cancellazione
di per sé è costituita da tre fasi di esperienze definite in assenza di riferimenti e tecniche
specifiche per la loro realizzazione. La sequenza di cancellazione è un meta-processo
universale, indipendente dalla teoria e, in quanto tale, può essere applicata da ogni
terapeuta scegliendo le tecniche esperienziali già esistenti in quel approccio
psicoterapeutico (Ibidem). Processo di riconsolidamento terapeutico:

A. Identificazione dei sintomi


1. Sequenza di accesso B. Recupero dell’apprendimento target
(schema richiedente il sintomo)
C. Identificazione della conoscenza disconfermante

1. Riattivazione dello schema richiedente il sintomo B)


2. Sequenza di 2. Attivazione della conoscenza disconfermante (C),
Cancellazione (ECPE) mancata corrispondenza con lo schema richiedente il
sintomo (B)
3. Ripetizione della coppia (B)-(C)

3. Fasi di verifica
V. Osservazione di:
- Non riattivazione emotiva
- Cessazione del sintomo
- Mantenimento senza sforzo

Tabella 2.1. Passi del processo di applicazione clinica del riconsolidamento mnesico (Ecker et al., 2018,
p. 58).
«Il processo di cambiamento nella Coherence Therapy, a differenza delle
ricerche in laboratorio, fa emergere due realtà di conoscenze importante: contenuto
sconosciuto dell’apprendimento target e la sua complessità» (Ecker et al., 2018, p. 55).
Il primo passo fondamentale del terapeuta è l’identificazione del sintomo e comprendere
gli apprendimenti emotivi che generano i sintomi del paziente e guidare il processo di
disapprendimento profondo. Il terapeuta deve avere una descrizione precisa del/i
sintomi. L'identificazione dei sintomi consiste nel coinvolgere attivamente il cliente
«nel

53
riconoscere ed etichettare i comportamenti specifici, le emozioni, gli stati d'animo, gli
impulsi, i pensieri e i sintomi somatici che il cliente considera come il problema, così
come nell'identificare quando queste esperienze indesiderate accadono, cioè le
situazioni e le percezioni che le evocano o le intensificano» (Ecker & Hulley, 1996, p.
12). Queste informazioni specifiche su cosa e quando succede, sono raccolte nella fase
A, sono la base essenziale per eseguire efficacemente la fase B. L'identificazione dei
sintomi spesso si realizza adeguatamente nella prima seduta, ma può richiedere diverse
sedute con alcuni clienti. Il passo B, il recupero degli apprendimenti target, è un
processo esperienziale che porta alla consapevolezza esplicita gli apprendimenti emotivi
normalmente impliciti e non coscienti e la memoria che mantiene il sintomo o i sintomi
identificati nella fase A. Per questo lavoro di recupero vengono usati tutti i metodi
esperienziali adatti. Il cliente è guidato a verificare il nuovo materiale cosciente mentre
lo sente affettivamente dal dentro e somaticamente, e in questo modo riconosce
accuratamente la sua composizione specifica e sviluppa la consapevolezza meta-
cognitiva di esso come sua propria verità emotiva.
L'integrazione di queste conoscenze e sensazioni nella consapevolezza
quotidiana di routine completa la fase B. ll materiale recuperato che genera i sintomi
può consistere nella memoria episodica (l'esperienza soggettiva di specifici eventi
passati, compresi gli elementi affettivi e somatici) e/o nella memoria semantica (schemi
strutturati, conoscenze e regole generalizzate riguardanti un certo tipo di situazione,
compresi i modelli mentali, i significati attribuiti, le aspettative se/quando, la
vulnerabilità di sé a un tipo specifico di sofferenza, il comportamento atteso di altri/sé/
il mondo e le tattiche e i ruoli necessari di autoprotezione» (Ecker, 2020, p. 281). Il
recupero di uno schema emotivo che genera sintomi può implicare che il cliente senta
una significativa vulnerabilità ed emozione disforica e perciò richiede molta abilità da
parte del terapeuta, che deve ritmare il processo in modo funzionale alle tolleranze del
cliente e fornire un accompagnamento empatico necessario per il senso di sicurezza e
fiducia del cliente. Il numero di sedute necessarie dipende dalla complessità e
dall'intensità emotiva del materiale. L'obiettivo del cambiamento non è il sintomo o i
sintomi identificati nel Passo A della Therapeutic Reconsolidation Process (TRP) ma
piuttosto l'apprendimento necessario al sintomo

54
rivelato nel Passo B. I sintomi cessano quando i loro apprendimenti/schemi emotivi
sottostanti sono disconfermati, disimparati e annullati. Il passo B porta gli schemi
cruciali alla consapevolezza, ma essi non vengono disconfermati e annullati fino a
quando non hanno luogo anche i successivi passi C-1-2-3 della TRP (Ivi, p. 280).
Invece l’identificazione della conoscenza disconfermante, TRP, nel passo C,
consiste nel «trovare esperienze passate o presenti in cui il cliente ha una conoscenza
diretta e viva che contraddice specificamente gli apprendimenti e i ricordi target
recuperati nella fase B» (Ivi, p. 281). La specificità della disconferma è criticamente
importante per raggiungere con successo la nullificazione del materiale target
sottostante. Inoltre Ecker descrive come la conoscenza contradittoria «è necessaria nel
processo di cancellazione e può essere trovata sia nella conoscenza già esistente del
cliente, da esperienze passate, o può essere creata da una nuova esperienza che avviene
durante o tra le sedute di terapia» (Ibidem). Il passo C consiste nel trovare dove e come
il cliente può accedere a tale conoscenza non confermante. Compiere il passo C può
richiedere pochi minuti o alcune sessioni, a seconda soprattutto dell'ampiezza del
repertorio di tecniche del passo C del terapeuta. Non appena il terapeuta comprende
come accedere alla conoscenza definita contraddittoria, il Passo C è fatto, e il terapeuta
procede a guidare i Passi 1-2-3 della TRP, la sequenza di cancellazione (ECPE).
Muoversi attraverso i Passi 1-2-3 richiede solo pochi minuti, mentre la fase di
preparazione, Passi A-B-C, può richiedere diverse sessioni o più (Ibidem).

3.1. Identificazione del sintomo

Il primo passo del terapeuta è quello di identificare il sintomo; questo è


importante perché la conoscenza di quali siano i sintomi aiuta nel processo di “what and
when”, nel trovare i sintomi sottostanti. Il primo atteggiamento del terapeuta si
focalizza nell’imparare dal paziente, cosa la persona sperimenta così problematico,
comprendendo l’umore, il comportamento, l’emozione, i pensieri, le sensazioni, per cui
il paziente vorrebbe sapere perché capitano e in risposta a quali stimoli si verificano con
maggiore intensità. Questo diventa il primo passaggio e la fase A del processo di
riconsolidamento

55
terapeutico. Il principio centrale della coherence therapy, è che «dagli apprendimenti
originano molti più sintomi di quanto non sia generalmente riconosciuto e che i sintomi
dovuti all’apprendimento esistono esclusivamente in quanto adattivamente e
obbligatoriamente necessari per ottenere benessere» (Ecker et al., 2018, p. 76). Il terapeuta
dà importanza al concetto delle emotional wounds perché «a differenza delle ferite
fisiche, le ferite emotive non guariscono automaticamente con il tempo, sono
peculiarmente senza tempo. (Ecker & Hulley, 1996, p. 41). Le ferite emotive legate agli
episodi traumatici,

«naturalmente, consistono principalmente di significati emotivi non linguistici


immagazzinati ed espressi in senso somatico sono legata alla memoria percettiva, e
secondariamente, sono anche composti da qualsiasi cognizione basata sul linguaggio con cui
l’individuo ha compreso o dato una senso all’esperienza emotivamente ferita o
traumatizzante» (Ecker & Hulley, 1996, p. 109).

L’apprendimento emotivo richiedente il sintomo, essendo uno schema è in gran


parte se non del tutto interamente implicito. La coerenza del sintomo è stata descritta
con la storia della donna nella parte sui processi di cambiamento, la coerenza del
sintomo è ben definita e può essere scoperta e cancellabile attraverso una sequenza di
trasformazione; «la coerenza del sintomo implica che, appena ogni apprendimento
emotivo che mantiene un sintomo viene dissolto, il sintomo cessa e la sua non-
ricorrenza è in seguito semplice e non necessità di alcuna misura preventiva» (Ecker et
al., 2018, p. 76).

3.2. Fasi di scoperta e Integrazione

La consapevolezza del sintomo da parte del terapeuta guida continuamente il


lavoro di scoperta che rappresenta l’inizio del passo B. Questo processo attraverso la
creazione di esperienze di scoperta ha delle implicazioni: «in questa esperienza, il
cliente ha un incontro soggettivo reale con i significati e gli apprendimenti emotivi
impliciti che generano coerentemente il sintomo, e in questo modo diventa consapevole
di questo materiale direttamente e con precisione, non attraverso la speculazione,
l’interpretazione o la teoria» (Ecker et al., 2018, p. 77). In questa fase vanno fatte le
domande che aiutano

56
a scoprire e rendere cosciente ciò che è inconscio al paziente. Le domande devono far
sentire il paziente coerente con la sua esperienza personale per non patologizzare la sua
sofferenza. Questa fase della scoperta è la prima importante della coherency therapy,
portare alla consapevolezza in modo esperienziale qualsiasi apprendimento implicito sia
presente e genera i sintomi nel paziente. Rendere cosciente ciò che è inconscio per la
maggior parte nel XIX secolo era considerato un processo lento, lungo e torbido. La
fase di scoperta dell’apprendimento emotivo implicito è un viaggio nel mondo del
paziente di ciò che è inconscio per la persona (Ibidem). La coherence therapy ha inoltre
l’importanza a due concetti molto significativi nella comprensione della storia della
persona: Conscious and the Unconscious knowing «tutta l'attività psicologica umana
consiste fondamentalmente nell'attività di conoscere, che avviene con o senza il
coinvolgimento dell'io cosciente» (Ecker & Hulley, 1996, p. 103)

«[…] se una cosa è inconscia, allora il cliente è considerato privo di conoscenza


rispetto ad essa. Noi adottiamo un punto di vista diverso e consideriamo i costrutti e i
processi inconsci di tutti i tipi emozioni inconsce, cinestesie come se fossero di fatto delle
conoscenze, anche se non seguite dall'io cosciente» (Ecker & Hulley, 1996, p. 104,
traduzione personale).

Il sintomo per evocare una risposta implicita che è legata ad un apprendimento


implicito sottostante deve essere portato all’esperienza diretta, ad una consapevolezza
esplicita e cosciente. Il sintomo è l’espressione diretta del suo apprendimento
sottostante. Quindi esiste un collegamento reale tra il sintomo e il suo apprendimento
emotivo sottante (Ibidem). Il sintomo è la porta o chiave di accesso del suo
apprendimento emotivo; quando si evoca la sua risposta, una risposta che viene evocata
nella consapevolezza come verità soggettiva, affettiva oppure somatica, come
immagine, o conoscenza (Ibidem). Mentre nell’emergere dello schema e della verità
soggettiva, il paziente inizia a verbalizzarla. E da questo punto lo schema fluisce dalla
conoscenza implicita alla conoscenza esplicita e conscia. In questo modo il terapeuta
impara dal paziente quali siano i contenuti specifici dello schema «il cliente è guidato ad
imbattersi e rivela al terapeuta costrutti, cognizioni, emozioni e obiettivi
precedentemente inconsci che rendevano fortemente necessario il suo cronico dubitare
di sé, la sua sensazione di insicurezza e incertezza alla base di questo dubitare di sé»
(Ecker et al., 2018, p. 78). Il secondo concetto importante della fase di scoperta è
meaning of experiential in coherence
57
therapy. Si riferisce a questo concetto in quanto nella coherence therapy il terapeuta non
interpreta,

«trovare la verità emotiva del sintomo non implica nemmeno l'invenzione o


l'innesto di una "narrazione migliore", per quanto collaborativamente costruita. La verità
emotiva del sintomo è completamente la costruzione di significato già esistente ma non
riconosciuta del cliente, ed è attraverso il riconoscimento e l'ulteriore evoluzione di questa
costruzione che avviene il cambiamento nella terapia breve orientata alla profondità» (Ecker
& Hulley, 1996, p. 23).

Molte volte il terapeuta impara dal cliente quali siano i contenuti dello schema,

«gli apprendimenti emotivi e i temi che emergono sono al di fuori della gamma di
possibilità familiare al terapeuta, per cui è importante che il terapeuta adotti una posizione di
“non sapere”. L’esperienziale nella coherence therapy significa che il paziente si trova
dentro la realtà emotivamente significativa dello stato dell’Io o dello schema emergente,
parla partire dall’interno di quella realtà emotiva e non parla di essa mentre si sta facendo il
lavoro di scoperta» (Ecker et al., 2018, p. 79).

«Una caratteristica fondamentale del modello della coerenza sintomatica della


produzione del sintomo è il riconoscimento che la sofferenza dovuta ad un sintomo
funzionale è in realtà il minore fra due mali: l’altro male maggiore è la sofferenza attesa
inconsciamente nel caso in cui non fosse presente il sintomo» (Ivi, p. 80).

Il passo della scoperta «Qualunque siano le tecniche utilizzate, ogni passo


dell'indagine radicale è realizzato dal terapeuta in modo tale che rispondere ad esso
porta inevitabilmente il cliente in un'esperienza della posizione nascosta, pro-sintomo,
la verità emozionale nascosta del problema» (Ecker & Hulley, 1996, p. 22). Nella fase
di scoperta sono utilizzate delle tecniche esperienziali «compresi i lavoro con le parti, il
lavoro con le sedie, la focalizzazione, il lavoro sul sogno, la stimolazione bilaterale, il
lavoro con il bambino interiore per portare quel materiale normalmente implicito alla
consapevolezza esplicita» (Ecker et al., 2018, p. 81). Per il lavoro con le persone di
vittime di eventi traumatici «il terapeuta occorre che presti attenzione a seguire un
processo in maniera graduale di passi abbastanza piccoli all’interno del materiale
emergente per limitare l’intensità dell’accesso emotivo a livelli che non siano
destabilizzanti o soverchianti» (Ivi,
p. 81). Il fine in questo passo per far sì che il paziente possa sentirsi sostenuto e allo
stesso tempo possa tollerare quella sofferenza e questo grazie alla sensazione di essere

58
accompagnata dal terapeuta, «ma trovarsi da solo l’esperienza dopo la seduta può essere
vissuta con timore» (Ivi. P. 81).

3.3. Fase trasformativa di conoscenza disconfermante

La nuova consapevolezza di un apprendimento emotivo è carica di angoscia, non


sempre viene mantenuta; sperimentare coscientemente il materiale della sofferenza per
la prima volta può portare il paziente in uno stato alterato e il materiale può facilmente
scivolare fuori dalla consapevolezza. Dopo la fase di scoperta c’è bisogno di fare i
processi di integrazione che consiste nella ripetizione delle esperienze e nella scoperta
dei materiali durante le sedute in modo che diventi una consapevolezza salda e abituale,
durante delle sedute. Perché la consapevolezza integrata è ciò che rende lo schema
successivamente un processo disapprendimento: «l’integrazione stabile nella
consapevolezza quotidiana completa il recupero dello schema richiedente il sintomo
dalla memoria implicita alla consapevolezza esplicita» (Ivi, p. 82). In questa fase il
terapeuta per il lavoro di integrazione non interpreta, ma offre osservazioni che
riflettono lo scopo del sintomo precedentemente vissuta dal paziente in modo che
diventi esplicito;
«l’esplicito riconoscimento esperienziale da parte del cliente del proprio scopo e
comportamento alla base di un sintomo rappresenta una pietra miliare chiare del
recupero in fase di integrazione e un maker chiave dell’integrazione» (Ivi, p. 83). Il
terapeuta utilizza un linguaggio vivido che il paziente conosce bene ma è un linguaggio
chiamato linguaggio limbico, riferendosi al sistema limbico del cervello, come sede
principale della memoria emotiva implicita. Inoltre l’esperienza emotivamente profonda
richiede che il terapeuta si senta a suo agio nello stare con il cliente durante la sua
esperienza di recupero profondo. Inoltre un aspetto importante è

«che il terapeuta si astenga dal seguire qualsiasi riflesso controattivo: l’impulso di


applicare immediatamente tutte le possibili influenze contro lo schema-pro-sintomo di nuova
scoperta per correggerlo, confutarlo, aggiustarlo, sovrascriverlo evitarlo, disconnetterlo o
gestirlo, credendo che ciò possa produrre un cambiamento duraturo» (Ivi, p. 84).

«Il cambiamento trasformativo segue un processo di integrazione assolutamente


non contro-attivo: «il terapeuta guida il cliente semplicemente a stare in contatto e

59
continuare a sperimentare la verità emotiva richiedente il sintomo, abbracciando e
integrando lo schema nella consapevolezza cosciente così è com’è» (Ivi, p. 85). Il lavoro
di integrazione del cliente nella coherence therapy è un lavoro costante di mindfulness
degli apprendimenti emotivi specifici riportati alla consapevolezza, così il cliente
accetta senza riserve le proprie conoscenze emotive richiedente il sintomo.
«l’integrazione di uno schema o posizione pro-sintomo è completa, di regola, finché
tutte le sue componenti non sono state sperimentate emotivamente e, mentre vengono
sperimentate, verbalizzate con precisione dal cliente e poi incorporate nella
consapevolezza quotidiana» (Ivi, p. 88). La cancellazione di un apprendimento emotivo
è «la dissoluzione di determinati costrutti in uso dal cervello emotivo e questa
dissoluzione si verifica solo quando questi costrutti ricevono una tale disconferma
diretta e decisamente attraverso una nuova vivida esperienza, tale per cui il cervello
emotivo stesso riconosce e accetta la disconferma dei propri costrutti» (Ivi, p.88). In
questo momento tutto ciò che sembrava irreale per il paziente infine viene riconosciuto
semplicemente come uno dei propri costrutti fallibili (Ibidem). L’esperienza
disconferma per l’individuo ha un impatto significativo perché «è soltanto dopo la loro
disconferma esperienziale che i costrutti che costituiscono un apprendimento emotivo
vengono riconosciuti dall’individuo come costrutti, piuttosto che come realtà» (Ivi, p.
89). Il risultato della dissoluzione dei costrutti è un cambiamento fondamentale nel
modo in cui un individuo sperimenta e percepisce il mondo. Dal momento che questo
passo della consapevolezza è diventato cosciente ed esplicito, rivelando a terapeuta e
cliente i costrutti specifici al suo interno, il lavoro può procedere con il passo C del
processo di riconsolidamento terapeutico, dove viene trovata una conoscenza
contradditoria con il modello pro-sintomo e sia accessibile al cliente.

4. Modalità di promozione di cambiamento

La coherence therapy per la promozione del cambiamento utilizza il


riconsolidamento terapeutico, seguendo i processi già descritti. Il terapeuta in questa
non rimane incline all’utilizzo delle tecniche ma può seguire metodi diversi per
facilitare il cambiamento, conoscendo già la metodologia precisa del quale il cervello
abbia bisogno.

60
«Inoltre gli indicatori specifici cervello umano segue al livello neurologico: un sblocco
delle sinapsi, che consente che la codifica neurale di un apprendimento emotivo ben
consolidato sia cancellato dalla memoria attraverso la riscrittura e la sostituzione tramite
un nuovo apprendimento» (Ivi, p. 73). Il terapeuta promuove il cambiamento
trasformativo cercando di cogliere gli apprendimenti emotivi che generano i sintomi del
paziente e guidare il processo di disapprendimento profondo. All’inizio della terapia
non solo gli apprendimenti emotivi non sono accessibili alla consapevolezza. È stato già
descritto come ogni sintomo sia necessario per il cliente. In questo lavoro si possono
descrivere anche i quattro apprendimenti emotivi sottostanti.
Gli apprendimenti emotivi sottostanti, i diversi termini si focalizzano su vari
aspetti degli apprendimenti emotivi. Il termine Emotional learning (Ecker et al., 2012a)
“Apprendimento emotivo” nella coherence si riferisce a «ciò che guida la produzione
del sintomo e nella maggior parte dei casi, questo sembra essere un apprendimento
adattativo formato a partire dalle esperienze passate che sono emotivamente
significative» (Ibidem) Symptom-requiring schema schema model, sottolinea che un
apprendimento emotivo esiste in una conoscenza strutturale, entrambi questi termini
sono molto utilizzati nell’ambito delle scienze cognitive. The emotional truth of the
symptom (la verità emotiva del sintomo) per cui il sintomo esiste e perché la sua
esistenza è indispensabile nel modo adattativo secondo lo schema. Quando si fa
riferimento «alla esperienza soggettiva della persona dello schema richiedente il
sintomo una volta che si trova nella consapevolezza diretta si parla della verità emotiva
del sintomo» (Ecker et al., 2018, p. 80) Pro-symptom position, posizione pro-sintomo
questo per sottolineare l’esperienza soggettiva che il paziente fa di uno stato dell’io in
modo assertivo e favorevole ad avere il sintomo e quando percepisce il potere personale
“Agency” nel produrre il sintomo, «il cliente è diventato consapevole
dell’apprendimento emotivo che rappresenta la verità emotiva del sintomo» (Ibidem).
Ovviamente il paziente è consapevole di avere uno stato dell’io pro- sintomo solo
quando il lavoro della scoperta ha reso consapevole lo schema implicito. All’inizio della
terapia, la posizione oppure lo stato dell’io conscio del paziente è ciò che viene
chiamato posizione anti-sintomo, in altri termini una posizione oppure stato dell’Io

61
che totalmente contro avere il sintomo. Questo stato dell’Io non vede nulla quanto il
sintomo emotivamente necessario, vuole solo sbarazzarsene.

4.1. Guidare i processi di giustapposizione

I processi e passi del riconsolidamento della memoria per disapprendimento e


cancellazione di un apprendimento emotivo target segue un modello empirico “Core
process for schema erasure”. «I processi fondamentali per una cancellazione di un
apprendimento target consistono in una serie di tre esperienze: Il primo passo è
l’esperienza del paziente della riattivazione cosciente dell’apprendimento oppure dello
schema target che si mira ad apprendere e annullare» (Ecker, 2020, p. 278). In
psicoterapia è lo schema sottostante il sintomo che guida il sintomo del paziente. In
questo primo passo la riattivazione del paziente si riferisce al fatto che il paziente
percepisce direttamente lo schema affettivo, fisico e contemporaneamente lo riconosce
cognitivamente nella sua mente, lo verbalizza nel suo contento specifico e il contenuto
specifico dello schema. Le fasi iniziali di scoperta di integrazione sono ideali per
preparare il passo 1 della cancellazione, quando ormai l’apprendimento target è stato
portato alla consapevolezza ed è pronto alla riattivazione del passo 1(Ibidem)
Il secondo passo è il deconsolidamento, oppure destabilizzazione oppure lo
sblocco i circuiti neuronali dello schema. Questo secondo passo è molto importante e
consiste, nella creazione di un’esperienza che interferisce innegabilmente con ciò che
uno schema target riattivato si aspetta rispetto al mondo. In altri termini, mentre la
riattivazione dell’apprendimento target si sta verificando nel passo 1, il passo 2 è
un’esperienza aggiuntiva che rende evidente che il mondo non funziona nel modo in cui
lo schema precedente si aspetti che funzioni. Questa mancanza di mismatch che avviene
nel passo 2 non solo differisce da ciò che lo schema conosce e si aspetta ma la
contraddice anche è una contraddizione totale di ciò che lo schema conosce e si aspetta
(Ivi, p. 91). Il sentire e entrare in quella scena aiuta la persona ad un apprendimento di
messaggi contradditoria. «L’esperienza concomitante o la giustapposizione di una
conoscenza non corrispondente, disconfermante è necessaria perché è il passo della
sequenza di

62
trasformazione che sblocca le sinapsi mantenendo l’apprendimento target» (Ibidem).
Questi messaggi contradittori per il cliente sono sentiti entrambi come veri per il
paziente anche se questo non è possibile. Nella coherence therapy la simultaneità, nel
senso che entrambi nello stesso momento sono del passo 1 del passo 2 viene chiamata
esperienza di Giustapposizione (Ecker, 2018) e ciò che i ricercatori della
riconsolidamento della memoria chiamano una mancata corrispondenza della memoria,
oppure esperienze di errore di previsione. Durante l’esperienza della giustapposizione è
consigliato di non dare mai le preferenze dei messaggi, e il paziente deve imbattersi
nelle sue conoscenze contradditorie e la risposta a quei messaggi di contraddizione e
giustapposizione oppure errore, e il cervello fa qualcosa di straordinario, la codifica
neuronale di apprendimento target subisce un rapido cambiamento da uno stato
bloccato, consolidato ad un stato sbloccato deconsolidato e labile, e questo è l’avvio del
processo di riconsolidamento della memoria (Ecker & Toomey, 2008).
Il fatto che ci sia questo mismatch e questo sblocco è stato studiato e confermato
da studi di ricerca rassegna di (Ecker & Toomey, 2008). Questo indica che il primo
passo, la riattivazione dello schema, non deconsolida il circuito neuronale dello schema
e non dà avvio ai processi di riconsolidamento. Gli studi hanno dimostrato che quando
un apprendimento emotivo viene riattivato senza errore di previsione, senza ciò che già
si aspetta dal mondo, non c’è nessun deconsolidamento» (Ecker & Toomey, 2008)
Invece l’avvio del processo di deconsolidamento della memoria viene avviato se le due
aspettative vengono violate e considerate come una conferma importante del
funzionamento di aggiornamento del cervello. Alla riattivazione dell’apprendimento
target bisognava aggiungere l’errore di previsione o mismatch per processo di
deconsolidamento dello schema.
Nel processo di cambiamento trasformativo ciò che avviene nella durante il
passo della verifica, è la ripetizione della stessa esperienza della giustapposizione dal
passo 2. In questa fase «ogni esperienza di giustapposizione consiste nello sperimentare
simultaneamente lo schema pro-sintomo insieme alla cognizione fortemente
contradditoria» (Ecker et al., 2018, p. 93). Quella stessa giustapposizione ripetuta e
riproposta empaticamente per altre due o tre volte ha la funzione della disconferma
dello

63
schema target, lo annulla, riscrive e sostituisce lo schema target con uno schema nuovo.
La revisione empatica che è così naturale e facile da fare durante il processo di
giustapposizione in quanto «il cliente deve essere guidato a sentirsi libero di occuparsi
di entrambi le consapevolezze reciprocamente incompatibili e tutto ciò è favorito
dall’atteggiamento accogliente del terapeuta verso entrambi è cruciale» (Ivi p. 93) In
questo processo viene riattivato un apprendimento target e una esperienza
contradditoria e poi il paziente viene accompagnato a fare la giustapposizione due o tre
volte. Nella fase della trasformazione lo schema, o apprendimento emotivo che genera il
sintomo ora è pienamente cosciente e viene sottoposto ad uno speciale processo di
disapprendimento,

«pertanto né una vera e propria giustapposizione né uno sblocco sinaptico, né un


cambiamento trasformativo avrebbero luogo, poiché la giustapposizione crea la mancata
corrispondenza necessaria solo se entrambe le cognizioni sono vissute come vere e
l’impossibilità dissonante di questo è sentita fortemente» (Ivi, p. 93).

Appena lo schema che genera il sintomo si estingue cominciano a mostrare i tre


indicatori che abbiamo già presentato prima del cambiamento trasformativo.

4.2. Verificare i cambiamenti confermando i makers di cancellazione

Il passo finale della coherence therapy è il processo della verifica che conferma
che il sintomo e lo schema sottostante, non accadono più in quelle situazioni fonte di
sofferenza in cui precedentemente si verificavano. Durante la fase di verifica «se lo
schema è stato dissolto, la sua presa emotiva così familiare è sorprendentemente assente
nella scena in cui era sempre stata presente e la risposta del cliente rivela questa
assenza, così come la sensazione rispetto a questa sorprendente assenza» (Ivi, p. 95).
Questo passo viene fatto verificando lo schema, utilizzare stimoli che precedentemente
lo attivavano, questo può essere fatto, facendo le domande al paziente riguardo alle
situazioni della vita tra le sedute in cui i sintomi e lo schema erano sempre attivate. Il
modello della coherence ha la sua efficacia (Toomey & Ecker, 2009) nel cambiamento
trasformativo per cui devono essere presenti le seguenti caratteristiche, la scomparsa
permanente dei sintomi e dello schema, la scomparsa persiste senza nessuno sforzo. La
coherence therapy

64
considera questo come un modello standard della efficacia terapeutica, alla luce del
funzionamento del riconsolidamento della memoria. Per il paziente un riconoscimento
del significato provoca sensazioni di liberazione e benessere ed è accompagnato da
sentimenti di compassione di sé stessi. Come funziona il riconsolidamento della
memoria e cosa deve verificarsi durante una seduta della psicoterapia per realizzare il
processo mentale di cui il cervello ha bisogno per il cambiamento trasformativo in
maniera sintetica devono esserci questi tre Markers del cambiamento trasformativo
(Ecker et al., 2018, p. 100): Questo è un set di processi che non appartiene alla
Coherence therapy,
«non può essere posseduto da nessun sistema terapeutico» (Ecker et al., 2018, p. 217).
La fase della verifica è quando «la cancellazione è bene stabilita solo quando una
posizione pro-sintomo non viene più innescata coerentemente da stimoli e contesti che
precedentemente, prima della giustapposizione, la attivavano. Nella fase della verifica
l’utilizzo delle tecniche esperienziali è di grande importanza. La cancellazione delle
memorie traumatiche non è la cancellazione della memoria autobiografica oppure eventi
della vita, questo è importante perché può suscitare in molti la perplessità che si tratti
della cancellazione della memoria oppure eventi della persona. Non si può perdere la
memoria di ciò che la persona ha vissuto, anzi nella fase della scoperta che precede
questa fase di disapprendimento, può verificarsi un arricchimento della consapevolezza
della esperienza vissuta.

4.3. I processi di nuovi apprendimenti emotivi

Gli stessi indicatori del cambiamento trasformativo sono riferibili al processo di


cancellazione ed avvenuto riconsolidamento perché finora non si conosce altro sistema
se non il cervello in grado di farlo. Negli studi condotti sugli animali (Ecker & Bridges,
2020) hanno analizzati i tessuti cerebrali di questi animali, hanno scoperto gli indicatori
neurochimici che provano con rigore che si sia verificato il consolidamento della
memoria. Durante il processo di riconsolidamento vengono generati nuovi circuiti
neurali, e ciò si può verificare per tutto l’arco della vita, impegnandosi nel nuovo
apprendimento» (Ecker, 2018, p. 11) Il cambiamento trasformativo si ha solamente,

65
quando il nuovo apprendimento disconnette e sostituisce un apprendimento esistente. Il
cambiamento trasformativo «è un processo di disapprendimento della conoscenza
implicita che è stata appresa in modo adattivo dal cervello sottocorticale all'inizio della
vita» (Ecker, 2018, p. 62). I processi già descritti dimostrano che i terapeuti devono dare
importanza allo sviluppo scientifico legato agli apprendimenti emotivi.

«perpetua una visione patologizzante della produzione dei sintomi che non è
coerente con la neuro scienza dell'apprendimento implicito e del disimparare. "Correttivo"
implica che gli apprendimenti emotivi precedenti del cliente sono errati almeno nell'ambiente
del presente, anche se erano corretti nel contesto di apprendimento originale» (Ibidem).

I due apprendimenti coesistono e competono per il controllo del comportamento


oppure dello stato mentale del paziente. Il nuovo apprendimento in qualche modo regola
il vecchio, qualche volta producendo un cambiamento progressivo ma l’apprendimento
originale è ancora li e rimane molto potente e la vita lo riattiverà producendo una
ricaduta. Questo è motivo di molte esperienze che producono uno spostamento
temporaneo. Nel caso in cui non esiste «il processo di giustapposizione, il nuovo
apprendimento forma i propri circuiti neuronali separati e può solo competere con un
apprendimento target e regolarlo almeno parzialmente» (Ecker, 2020, p. 282). In una
situazione come questa la cosa che viene spesso fatta è di imparare delle tecniche di
rilassamento per ridurre l’ansia, imparare il blocco del pensiero positivo per ridurre la
depressione (Ecker, 2015c). Tutti quei metodi di “counteracting symptoms” che hanno
come obiettivo che la persona possa imparare a ridurre, uno stato mentale, oppure possa
apprendere un comportamento migliore sicché si verificherà questo al posto del sintomo
Un’esperienza contro-attiva di regola produce un cambiamento progressivo che non è
stabile “compartimentalizzazione” in parte divise» (Ecker, 2015c, p. 10) Invece la
coherence therapy la chiama «contro- attivo» perché richiede uno sforzo costante per
essere mantenuta altrimenti la caduta è immediata. Lo sforzo costante fa parte di questo
metodo perché si sta cercando di costruire un pattern migliore attraverso la molteplice
ripetizione di esso nel tempo» (Ecker, 2018, p. 64).
Invece il nuovo apprendimento si verifica nella modalità specifica, come avviene
nel riconsolidamento, come nei passi uno, due e tre già definiti precedentemente. Il
nuovo

66
apprendimento incide direttamente sulla codifica dell’apprendimento negativo esistente,
e l’apprendimento esistente subisce una rapida e fondamentale disconferma,

«affinché qualsiasi esperienza produca disconferma e robustezza, durante la cessazione


di un comportamento o di uno stato d'animo indesiderato, il cervello richiede alcuni fattori
specifici, vale a dire che la nuova esperienza deve avvenire in concomitanza con la riattivazione
dell'apprendimento emotivo problematico» (Ivi, p. 63).

La disconferma è un elemento fondamentale nel processo di cambiamento


trasformativo. La disconferma consiste nel fatto che il cliente ha un'esperienza nuova e
inaspettata mentre sperimenta anche la vecchia aspettativa o attribuzione di significato.

Rilievi conclusivi

In questo capitolo è stato presentato il modello della coherence therapy e i


processi di cambiamento attraverso il riconsolidamento della memoria. È stato descritto
come alla base delle esperienze di sofferenza siano legati agli apprendimenti emotivi
impliciti. necessita di due ingredienti, lo schema che è stato già scoperta nella fase
precedente sia fondamentale nella fase di integrazione. In questo modello viene dato
l’importanza agli apprendimenti emotivi nonostante generino nei pazienti
comportamenti e stati mentali e corporei sgraditi, stavano funzionando correttamente
nel farlo, In questo senso, molte condizioni spesso definite "disturbi della memoria
emotiva" non sono affatto disturbi: «Descrivere le credenze o gli schemi di base di un
cliente in terapia come errati, disadattivi o patogeni è in realtà accusare il processo di
selezione naturale di avere quegli attributi, perché le credenze e gli schemi persistenti di
una persona esistono a causa del corretto funzionamento, non del malfunzionamento del
cervello emotivo» (Ecker, 2018,
p. 24). In questo senso il compito della psicoterapia, «è quello di facilitare il completo
disimparare, attraverso la riconsolidamento della memoria, le aspettative, i significati, le
modalità, i ruoli, le regole e le tattiche costrittive che sono state apprese in precedenza
nella vita, e che ora stanno mantenendo effetti indesiderati, e possono ora essere
aggiornate e sostituite da costrutti più efficacemente adattivi» (Ivi, p. 24).

67
Nel capitolo seguente verrà presentato un altro modello dell’Analisi transazionale. Il
modello che analizzerà come le prime esperienze come figure significative siano
importante nella formazione di una personalità adulta libera. Inoltre presenterà la
costruzione del copione.

68
CAPITOLO 3. TRAUMA E CAMBIAMENTO NELL’APPROCCIO
DELL’ANALISI TRANSANZIONALE

In questo capitolo verranno presentati il concetto di trauma, e i processi psicologici e


neurobiologici che partendo dall’esperienza relazionale del bambino possono andare a
condizionare lo sviluppo di modalità disfunzionali in relazione al sé, all’altro e al
mondo. Verrà presentato come attraverso queste esperienze di vulnerabilità, esposizione
ad eventi avversi, il bambino avvii la formazione di un copione. Inoltre verrà presentato
come l’Analisi Transazionale attraverso il modello di ridecisione, sia in linea con
l’approccio antropologico trattato nel primo capitolo: il bambino che possiede la
capacita di fronteggiare le situazioni, nonostante la sua vulnerabilità, sceglie ciò che è
possibile per lui, talvolta limitandosi molto. Con il modello della ridecisione e il lavoro
sul copione è possibile accedere alle memorie affettive e traumatiche e promuovere un
cambiamento. Nell’ultima parte del capitolo verranno presentate delle osservazioni
critiche sul tema.

1. Trauma e cambiamento nell’Analisi Transazionale

Il modello dell’Analisi Transazionale del trauma è situato all'interno di un


paradigma relazionale. Il modello propone che lo stato dell'Io Adulto ci permette di
formare un sé narrativo o un senso coerente di identità. Invece il trauma o le esperienze
traumatiche interferiscono con questa capacità integrativa, creando stati dell'Io esclusi e
un sé disorganizzato (Cornell et al., 2018). L'esperienza del bambino con i caregivers
abusanti viene interiorizzata in una serie di stati dell'Io del Bambino - Genitore tossici.
Il mondo interno modella la visione che il bambino ha di sé, degli altri e del mondo
esterno, portando a modelli di re-enactment transferale (Ecker et al., 2018), che
rinforzano un copione traumatico.
Il modello dell’Analisi Transazionale descrive come tramite il lavoro sul
copione, l’alleanza terapeutica e i processi della ridecisione la persona può sviluppare
uno stato dell’Io Adulto, libero capace di creare una narrazione coerente del sé.
L’analisi transazionale cerca di sviluppare una teoria generale della psicopatologia
che riesca a

69
tenere conto delle vicende individuali, evitando le trappole nosografiche della
psichiatria ma mettendo in evidenza, la soggettività, insight e i processi che favoriscono
il cambiamento la persona adulta vive armoniosamente tutti e tre gli stati dell’Io

2. I concetti di base dell’Analisi Transazionale

L’Analisi Transazionale viene definita come «una teoria della personalità e una
psicoterapia sistematica ai fini della crescita e del cambiamento della persona» (Stewart
& Joines, 2000, p. 15). Nell’analisi della teoria della personalità utilizza il modello
strutturato in tre parti degli stati dell’Io. Tale aiuta a comprendere sia il funzionamento
che i comportamenti della persona. Inoltre il modello offre una teoria della
comunicazione, un metodo in cui si analizzano i sistemi e le organizzazioni. L’ AT offre
una teoria sullo sviluppo infantile, lo sviluppo legato al concetto del copione spiegando
come gli schemi di vita attuali abbiano origine nell’infanzia. Attraverso il copione l’AT
«elabora la spiegazione di come nella nostra vita di adulti noi continuamente tendiamo a
riproporre delle strategie imparate dalle strategie infantili anche quando esse generano
risultati autolesionisti o dolori» (Ivi, p. 15). L’analisi del funzionamento degli stati
dell’Io è importante ai fini di riconoscere le transazioni cioè gli scambi di
comunicazione e i messaggi che vengono comunicati. In AT «qualsiasi atto di
riconoscimento è chiamato una carezza che è fondamentale per mantenere il benessere
psichico degli individui» (Ivi,
p. 17). Un altro concetto nell’AT è il copione, ogni individuo già nella primissima vita
scrive la sua storia per se stesso, un proseguimento e una fine, «noi scriviamo il copione
di base negli anni della primissima infanzia, ancor prima di essere abbastanza grandi da
saper dire qualche parola e il tentativo è quello di avvinarsi sempre di più al copione
finale» (Ivi, p. 17).

70
2.1. Il concetto di stato dell’Io

Nell’Analisi Transazionale il concetto fondamentale è il concetto di stato dell’Io: «uno


stato dell’Io è un insieme di comportamenti pensieri, ed emozioni tra loro collegati»
(Ivi, 16). Attraverso gli stati dell’Io la persona manifesta chi è in un contesto particolare.
Lo stato dell’Io Adulto si riferisce a tutti i momenti in cui la persona utilizza nel qui ed
ora le risorse sue personali. «Invece si parla di stato dell’Io Genitore, nei momenti in cui
le esperienze della prima infanzia della persona, la sua capacità di analizzare il presente
è influenzata dai comportamenti dei genitori reali» (Ivi, p. 16). Può essere definito come
stato dell’Io Bambino «ritornare a modi di comportamenti, di pensieri e di emozione che
si utilizza da bambino» (Ivi, p. 16). Quindi gli stati dell’Io Genitore (G) dell’Io Adulto
(A) e del Bambino (B) sono sistemi coerenti di sentimenti ed esperienze che motivano
un sistema coerentemente e correlato di modelli comportamentali. Quindi uno stato
dell’Io fenomenologicamente è «un sistema coerente di sentimenti legati ad un
determinato argomento, e operativamente come una serie coerente di schemi
comportamentali, o pragmaticamente come un sistema di sentimenti che motivano una
serie di schemi comportamentali connessi» (Cornell et al., 2018, p. 23). Negli stati
dell’Io Bambino sono dominanti i processi emozionali; negli stati dell’Io Adulto sono
dominanti i processi simbolici e linguistici con riflessione su sé e sull’altro, sul mondo
interno ed esterno; questi processi a volte possono riflettere anche delle caratteristiche
della vulnerabilità del bambino stesso, difronte alle situazioni nelle quali non è in grado
di codificare il messaggio. In questo modo il messaggio passa attraverso i processi
emozionali come canale preferenziale. Negli stati dell’Io Genitore sono dominanti
invece i processi normativi.
Il concetto di stato dell’Io è uno dei principali contributi teorici del fondatore
dell’Analisi Transazionale. L’A.T ha ispirato molti autori che non sono analisti
transazionali e che ne fanno uso nei loro modelli psicoterapeutici (Schema therapy),
data la loro capacità intuitiva e allo stesso tempo profonda nello spiegare la personalità.
Il concetto degli stati dell’Io è stato continuamente rivisitato a livello teorico.
Scilligo,

71
(2009) ridefinisce il concetto di stato dell’Io come processi o schemi socio-cognitivi
attivi, continuamente ricreati nell’interazione dinamica tra l’individuo e il suo ambiente.
In questo modo supera la distinzione tra struttura e funzione che era plausibile all’epoca,
e integra i contributi di ricerche e teorie della psicologia sociale recente, delle teorie
dell’attaccamento, della psicoanalisi delle relazioni oggettuali e della psicologia
cognitiva.

2.2. Il modello funzionale

L’analisi funzionale tenta di studiare e di comprendere più approfonditamente i


comportamenti comunicativi delle persone. È probabile che nello stato dell’Io, «la
persona abbia imparato i modi di sentire, pensare e comportarsi utilizzando strategie di
adattamento per evitare i conflitti, oppure la possibilità di espressioni delle emozioni
con delle figure genitoriali» (Ivi, p. 37). La persona viene vista come un insieme
dinamico e complesso di sistemi tra loro interagenti: la triade è concepita come tale in
quanto l’evoluzione della personalità è vista legata alla necessità filogenetica e
ontologica di arrivare a una mediazione tra necessità psicologiche dell’individuo e
istanze di realtà e culturali. Berne nel suo lavoro su intuizione ha posto al centro l’Io
come tre temi importanti della psicologia:
L’analisi funzionale degli stati dell’Io Genitore, Adulto e Bambino implica la lettura dei
comportamenti dell’individuo e degli altri: «tramite l’analisi funzionale viene
classificato il comportamento osservabile e sono resi visibili gli schemi presenti
attraverso il comportamento» (Cornell et al., 2018, p. 23). L’enfasi è posta sul
comportamento sociale e non sul piano intrapsichico. La figura 1 descrive gli stati
dell’io funzionale.

72
Fig. 1 Analisi funzionale degli Stati dell’Io (Stewart & Jones, p. 38)

Il Genitore Normativo nella sua modalità positiva offre struttura e limiti utili E
qualche volta eccessivi. Può essere positivo e negativo, infatti. Viene considerato
positivo
«quando le direttive genitoriali agli altri mirano autenticamente a proteggere o
promuovere il benessere» (Stewart & Joines, 2000, p. 43). Invece nella modalità
negativa può essere dominate, autoritario, e/o punitivo. E per Genitore Normativo
negativo si riferisce «a tutti i comportamenti genitoriali che comportano una
sminuizione oppure la svalutazione dell’altro» (Ivi, p. 43).
Il Genitore Affettivo (GA) nella sua modalità positiva è considerato premuroso,
supportivo, comprensivo ed amorevole. In questo stato, la persona «si comporta
prendendosi cura degli altri perché questo deriva da un autentico rispetto per la persona
aiutata» (Ivi, p. 43). Invece nella sua modalità negativa mette in atto dei comportamenti
dove risulta indulgente, soffocante e troppo permissivo: «il desiderio di prendersi cura
degli altri nasce da una posizione di superiorità che svaluta l’altro mettendolo nella
posizione di non essere altezza» (Ibidem).
L’Adulto (A) pensa e agisce logicamente. L’Adulto risponde alle situazioni
utilizzando tutte le risorse che ha a disposizione. L’Adulto può anche apparire
distaccato,

73
invece il Bambino Naturale (BN) nella sua modalità positiva può essere spontaneo,
autentico, giocoso e/o e curioso. «Il Bambino Naturale o Libero si riferisce a quei
momenti in cui la persona si comporta in modo infantile non censurato» (Ivi, p. 39).
Questi comportamenti sono importanti perché aiutano la persona ad un’esperienza di
esplorazione e di crescita. La persona mantiene un contatto con se stesso: «molti di noi
raggiungiamo la vita adulta tenendosi ancora dentro delle sensazioni inespresse di
dolore, di paura o di desiderio del contatto fisico proprie del bambino» (Ivi, p. 41).
Invece Il Bambino Libero viene considerato come aspetto negativo quando è
«egocentrico, spericolato, senza limiti e/o immaturo in quanto può mancare la
sensibilità verso gli altri» (Cornell et al., 2018, p. 24). Si considera Bambino Libero
Negativo, quando la persona adulta non valuta le conseguenze dei suoi comportamenti
per sé e per gli altri: la persona
«può mettere in atto i comportamenti mettendo a repentaglio la vita sua e quella degli
altri» (Stewart & Joines, 2000, p. 41).
La persona che attiva lo stato dell’Io Bambino Adattato (BA) nella prospettiva
positiva considerata «può essere cooperante, operante, obbediente e amichevole, e/o
compiacente» (Cornell et al., 2018, p. 25) Nella sua modalità negativa può essere
passiva, ribelle, lamentosa, e/o iperadattata.
Quindi si capisce molto bene come ogni stato dell’Io ha sia una parte di sé che
può essere considerata positiva e una parte negativa. L’eccesso di qualcosa di buono
diventa esso stesso il problema tanto è vero che nella analisi funzionale, «se il Genitore
Affettivo fornisce troppa cura, il Bambino può essere etichettato indulgente così il
Bambino naturale eccessivamente spontaneo visto come egocentrico e mancante di
considerazione verso gli altri (Ivi, p. 25). Invece in altre situazioni «la cooperazione del
Bambino Adattato può essere considerato come un aspetto necessario» (Ibidem). Invece
per quanto riguarda il Bambino Iperadattato è troppo focalizzato su ciò che gli altri
vogliono e fa fatica a valutare ciò che lui stesso vuole. Nella modalità negativa la
persona adulta può mettere in atto dei comportamenti già imposti dai genitori per
soddisfare le loro aspettative. Questi comportamenti sono osservabili da adulto quando
la persona si relaziona verso altre che hanno autorità nei suoi confronti, «mettendo in
atto questi comportamenti, esprime in maniera inconsapevole i modi in ancora reagisce
alle regole

74
infantili» (Stewart & Joines, 2000, p. 39). Per Berne gli stati dell’Io, sia Genitore,
Adulto, e Bambino sono riferibili alla storia precisa delle persone, reali che sono esistite
nel tempo con una identità chiara e che si manifestano negli stati dell’Io.

2.3. Il Modello Strutturale

«L’analisi strutturale rivela un’immagine dello sviluppo della struttura della


personalità di una persona secondo il suo vissuto» (Cornell et al., 2018, p. 22). L’analisi
strutturale è la manifestazione grafica della struttura psicologica di base di una persona
“il dentro”. È un approccio che analizza che cosa sia il suo contenuto attraverso la
struttura interna, riconoscendo il modo in cui pensa, sente e mette in atto i suoi
comportamenti, «sappiamo però che ognuno ha dei ricordi del proprio passato e che
alcuni di essi possono essere facilmente riportati alla consapevolezza, mentre altri sono
più difficili da recuperare in modo particolare i ricordi della prima infanzia possono
riaffiorare solo nei sogni e nelle fantasie» (Stewart & Joines, 2000, p. 49) L’analisi del
modello strutturale per «classificare in modo utile questi ricordi all’interno dell’ormai
familiare quadro di riferimento degli stati dell’Io» (Ivi, p. 49).

fig. 2: Diagramma strutturale di primo ordine: il modello degli stati dell’Io (Stewart &
Jones, 2000, p. 26)

75
Il modello strutturale è diviso in tre piani: il modello strutturale di primo ordine
che è rappresentato: stato dell’Io Genitore dove «i comportamenti, pensieri, emozioni
introiettati dai genitori o dalle figure genitoriali, è uno dei modi in cui la persona può
rendersi conto, chiedersi: cosa sento che mia madre o mio padre mi dicono dentro di
me?» (Ivi, p. 28). Invece attraverso lo Stato dell’Io Adulto, i comportamenti, pensieri ed
emozioni che la persona mette in atto sono una risposta in maniera adulta a ciò cui sta
rispondendo nella situazione diretta del qui ed ora. Inoltre lo Stato dell’Io Bambino, «i
comportamenti, pensieri emozioni sono una risposta alle situazioni attuale mettendo in
atto quelle strategie che la persona utilizza quando era bambino o per paura o
ribellione» (Ivi, p. 27). L’energia carica nello stato dell’Io Bambino è collegata alle
esperienze primarie con le figure significative. Le esperienze primarie con i caregiver
sono di grande importanza nella formazione di pensieri, emozioni, e comportamenti e
possono manifestarsi nei momenti specifici; «lo stato dell’Io Bambino contiene ricordi
di situazioni dell’infanzia e possono essere ricordi di gioia, rabbia, di sentimenti di
felicità, di vergogna vissuta in varie situazioni durante il periodo della infanzia»
(Cornell et al., 2018, p. 28). La persona nello stato dell’Io può non essere consapevole al
livello conscio di mettere in atto comportamenti che rivelano la propria infanzia. Se
invece in altri momenti l’incontro con altre figure che mettono in risalto i pensieri,
comportamenti, che assomigliano a quelli del genitore, allora lo stato dell’Io passa a
quella genitoriale, che spesso sono cariche di norme, convinzioni morali, e questi
comportamenti, e sentimenti possono essere messi in pratica da un adulto verso altri in
maniera inconsapevole. Quando viene coinvolto lo stato dell’Io Adulto si può valutare il
comportamento esistente, in questa fase lo stato dell’Io è focalizzato sull’affrontare i
problemi «quando una persona adulta funziona efficacemente, il suo stato dell’Io è al
comando» (Ivi, p. 29). «L’Adulto utilizza le informazioni della situazione, oltre alle
informazioni degli stati dell’Io Genitore e Bambino e tra i due impulsi c’è la presenza
della riflessione» (Ivi, p. 29). Quindi diventa evidente come l’esperienza, come le norme
e i valori che uno ha ereditato a casa o da qualche altra parte appartengono allo stato
dell’Io Genitore. Nel percorso di crescita, la persona mette in atto vari comportamenti
che fuori possono essere percepiti semplicemente come frutto di adattamento ma che in
realtà sono legati agli stili di vita e

76
pensieri che sono stati in contrasto con gli stili di comunicazione. Il modo in cui
l’energia mentale è distribuita internamente tra gli stati dell’io interni influenza
notevolmente come qualcuno pensa rispetto a qualcosa verso gli altri e se stessi. Quindi
l’Analisi Transazionale utilizza il modello strutturale di secondo ordine “per archiviare”
le tracce mnemoniche dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti di una persona
in modo che gli risulti utile a capire la personalità del paziente attraverso l’analisi
strutturale» (Stewart & Joines, 2000, p. 50).
L’analisi strutturale di secondo ordine descrive il Genitore e il Bambino
suddivisi in base alla modalità con cui si sono sviluppati dalla nascita e l’analisi
strutturale di terzo ordine suddivide ulteriormente il Bambino in base alle esperienze
acquisite durante i primissimi anni di vita. Le persone durante la crescita costruiscono i
significati con cui immaginano le esperienze e le riflessioni su queste esperienze e
questo è il modo in cui si sviluppa la personalità. La fig. 3 descrive il modello strutturale
di secondo ordine

Fig. 3 Modello strutturale di secondo ordine (Stewart & Joines, 2000, p. 50)

Il Genitore “G2” è costituito dal genitore e dalle figure di riferimento con le


quali la persona ha avuto esperienza diretta fino ad ora, per cui l’esperienza totale
dell’altro-

77
Genitore, l’Adulto e il Bambino dell’altro è introiettata nel G2. I Genitori introiettati del
primo livello sono stati denominati con il G3, A3, B,3 invece A2, non viene
ulteriormente suddiviso.
Nella struttura di secondo ordine il Bambino viene definito come «qualsiasi
esperienza immagazzinata dall’infanzia di una persona come parte del contenuto dello
stato dell’Io Bambino» (Ibidem) che è rappresento dalla nascita e rappresenta le
predisposizioni e le caratteristiche temperamentali congenite dell’individuo. Queste
situazioni possono essere fantasie che il bambino si costruisce con il tempo per spiegare
le regole imposte dai genitori e vedere esauditi i propri desideri. Tutti questi
comportamenti vengono messi in atto perché il bambino non ha la capacita di verificare
razionalmente i comportamenti del genitore.
Adulto nel Bambino A1 che osserva le strategie che il bambino possiede per
risolvere i problemi: le intuizioni e il pensiero pre-logico. Questa parte viene chiamato il
Piccolo professore, perché il bambino mette in atto tutte le strategie per risolvere i
problemi che si affinano con l’età.
Genitore nel Bambino, G1, i cui sono i immagazzinati i messaggi provenienti
dall’ambiente durante l’infanzia, oltre che le fantasie su di essi. Tutte le esperienze in
una struttura anteriore a quella presente, vissuti prevalentemente in termini di emozioni
corporee. L’analisi strutturale viene paragonata con un archivio, un sistema di
immagazzinamento. Durante la crescita la persona immagazzina i ricordi e i pensieri,
sentimenti e comportamenti. In questo momento «in base al secondo livello le
esperienze dirette sono immagazzinate nel bambino, mentre le impressioni ottenute dal
bambino sui sentimenti, pensieri e comportamenti di altri significativi sono
immagazzinate nel genitore» (Ivi, p. 33). L’immagine dell’archivio comunque non
sempre corrisponde a ciò che viene ricordato perché la mente umana ha possibilità di
modificare i ricordi perché è in continua esperienza di altre «le persone riscrivano i
propri ricordi e che un ricordo può anche essere sovrascritto su un altro. Quando una
persona diventa a sua volta padre o madre, anche i suoi ricordi sulla propria crescita
cambiano» (Ibidem). Analisi strutturale di secondo livello, paragona tutte le esperienze
primarie nella comprensione dello sviluppo dello stato dell’Io Bambino, «i bisogni, le
aspirazioni e le emozioni come la

78
fame, la sete, il piacere, la rabbia e la paura, sono tutti presenti dalla nascita» (Ivi, p. 34).
Queste emozioni che il bambino archivia sono accompagnate con i gesti e il tono di
voce di quei momenti. Le relazioni hanno un’importanza in quanto per il bambino
costituiscono il significato in relazione alle sue esperienze. Nei momenti in cui le
esperienze per il bambino siano state introiettate positivamente, il Bambino ha la
convinzione di essere benvoluto: «tu sei una persona ok, tu puoi fare esperienze,
piangere, ridere, arrabbiarti e fare errori. Ti è permesso di pensare, Tu, l’altro e il mondo
capiranno» (Ibidem). Invece nei momenti in cui le esperienze sono state codificate
negativamente, non essere così stupido, non lo toccare, comportati bene, stai attento,
possono creare comportamenti ansiosi negativi e difensivi. Invece lo Stato dell’io
Genitore viene descritto come la «raccolta accumulata di pensieri, sentimenti e
comportamenti che il bambino ha acquistato dai caregiver e da altri educatori durante i
suoi primi anni» (Ivi, p. 36). Con il passare del tempo, il bambino conserva queste
esperienze facendo delle sue conclusioni e creazione delle credenze e schemi
comportamentali. Lo stato dell’Io Adulto è descritto «come segue la capacita di
valutazione e possibilità di accedere sia a tutto ciò che collegato con l’esperienza di
dell’io Genitore e dell’io Bambino per formare una “Adulto integrato» (Ivi, p. 39). Ciò
che emerge dalla descrizione della struttura funzionale degli stati e in relazione alle
memorie traumatiche è che il Bambino in relazioni disorganizzate può attivare un
sistema di difesa e mette in atto comportamenti di paura, evitamento di ottundimento
che sono facilmente riconducibili alle esperienze e memorie traumatiche. «Il sistema di
difesa, quando attivato da una minaccia grave alla quale si è sopravvissuti, implica una
memorizzazione forzata e ripetitiva dell’evento traumatico» (Caretti et al., 2013, p.
55).Uno dei sintomi del trauma è il numbing: per un bambino la difficolta di trovare
delle parole per descrivere l’esperienza traumatica è legato al sistema della difesa. Sono
questi atteggiamenti diventati come “contenuto” che sono alla base dei comportamenti
del Bambino. Queste esperienze sono alla base dello sviluppo della personalità
disorganizzata per il bambino oppure dello sviluppo del disturbo post- traumatico da
stress. La neurobiologia ha evidenziato come possono essere già codificato nel sistema
limbico ed è il cervello emotivo che organizza e influenza il comportamento del
Bambino.

79
2.3.1. La patologia degli stati dell’Io

Nell’Analisi Transazionale la normalità è concepita come la condizione in cui la


persona utilizza i tre stati dell’Io. Ci sono contesti dove stare nell’Io Genitore o
Bambino può essere adattivo per l’individuo e invece stare continuamente in uno di
questi due stati può risultare patologico in quanto si può perdere la flessibilità stessa.
La patologia in questo senso è quella condizione in cui uno o più Stati dell’Io
invade in modo che essa non possa né riconoscerli né gestirli. Con la stessa
terminologia di Novellino (1991a) «la patologia è intesa come scompenso di una
struttura di base; il confine tra normale e patologico viene superato allorché pressioni
provenienti dall’ambiente, esterno o interno, risultano eccessive per la capacità di
adattamento inerenti alla struttura di base» (Ivi, p. 37). In quest’ultima il sintomo è il
risultato dell’incapacità di gestire il conflitto con i mezzi psicologici permessi dal
potenziale strutturale.
Berne distingue due modelli di patologia: strutturale e funzionale. La prima si
riferisce alla contaminazione, questo consiste nella invasione dello stato dell’Io Adulto
da parte del Bambino o Genitore. In pratica nella contaminazione «è come se uno Stato
dell’Io invadesse i confini dell’altro» (Stewart & Joines, 2000, p. 75). La
contaminazione dal Genitore esiste quando vengono scambiati erroneamente degli
slogan genitoriali per una realtà adulta. Consiste delle credenze, pregiudizi che sono
stati introiettati apprese da bambino: «il mondo è un posto cattivo». La seconda è la
contaminazione dal Bambino, quando «i pensieri da persona adulta sono annebbiati da
credenze derivati da esperienze infantili e prese come dati di realtà» (Ivi, p. 77). È per
indicare questa contaminazione che contiene delle idee fisse, «io non piaccio agli altri».
L’ultima è la doppia contaminazione che consiste in «tutti quegli slogan genitoriali a cui
la persona associa e adegua un credenza da bambino e scambia entrambe queste cose
per la realtà: Per vivere bene al mondo, devo starmene tranquillo» (Ibidem).
La seconda categoria di patologia è l’Esclusione, dove la persona può sigillare
uno o più stati dell’Io. Questa fase consiste nella iper-rigidità dei confini esistenti tra gli
Stati dell’Io, impedendo il passaggio da uno stato ad un altro. Berne definisce tre

80
possibilità di esclusione: «Le persone che escludono il Genitore agino senza nessuna
regola pronta per l’uso riguardo al mondo, ma a ogni occasione creano delle regole
nuove» (Stewart & Jones, p. 79). Invece per quanto riguarda una persona che esclude il
Bambino, è tipico delle persone che tendono ad allontanare ogni ricordo legato
all’infanzia, e comunque non hanno accesso alle loro emozioni e risulta quindi
impossibile esprimerle.
Invece che esclude l’Adulto e se disattivasse tutto il potere di persona adulta che
lo permette di esaminare la realtà «Sentono solo un dialogo interno tra Genitore e
Bambino e le emozioni e i loro pensieri rispecchiano questa costante lotta» (Ivi, p. 79).
La difficoltà della gestione di questi sentimenti possono indurre anche alla diagnosi dei
disturbi mentali, come depressione e psicosi.
L’esclusione del Bambino è escludere i ricordi immagazzinati della propria
infanzia. Queste persone fanno fatica come adulti ad esprimere emozioni e spesso sono
considerati come «pezzo di ghiaccio» (Ivi, p. 80). A livello interpersonale l’autore
(Widdowson, 2016) mette in evidenza, la difficoltà di espressione emotiva nelle persone
con depressione, «un individuo con depressione può contemporaneamente cercare di
contrastare il suo senso di cattiveria, prevenire l'abbandono e trattare gli altri come se
avessero più valore (I’m not OK – you’re OK) comportandosi da una posizione di
Genitore Affettivo, o salvando gli altri» (Widdowson, 2016, p. 45). Una persona con
depressione, con un senso di impotenza nella relazione terapeutica, può anche
presentarsi da una posizione di Vittima, invitando il terapeuta e gli altri a salvarla. Nei
momenti in cui vengono esclusi due stati dell’Io su tre l’unico stato operativo è
chiamato costante o esclusore. In questo senso «una persona con un Genitore costante
affronterà il mondo unicamente attraverso un insieme di regole genitoriali. Invece un
Adulto costante praticamente funzionerà come programmatore memorizzatore ed
elaboratore di dati» (Stewart & Joines, 2000, p. 81). Se sono esclusi due stati dell’io su
tre, l’unico stato dell’Io rimasto operativo è chiamato costante o esclusore. Se è il
Bambino ad essere esclusore «si comporterà, penserà e sentirà sempre come se fosse
ancora nell’infanzia. Di fronte a un problema la strategia di questa persona sarà di dar
libero sfogo alle proprie emozioni» (Stewart & Joines, p. 81). In questo modo queste
persone escludono tutte le

81
regole ricevuti dai genitori che permettono la persona adulta ad avere lettura della realtà.
Queste persone possono essere considerate dai loro comportamenti di esseri immaturi.

3. Il cambiamento nell’Analisi Transazionale

L’Analisi Transazionale nella sua visione di cambiamento mette al centro una


terapia di tipo contrattuale. Ha come base la visione dell’uomo come responsabile, e
capace di stipulare un contratto su ciò che riguarda il loro cambiamento. E’ stato
descritto nel primo capitolo come l’originalità dell’uomo si dimostri continuamente nel
modo di porsi delle domande. Questa capacità dell’uomo di reagire difronte alle
situazioni di limite, fa emergere la sua autodeterminazione, la libertà di scelta sia
sempre possibile. Questa visione antropologica ha come sentimento di slancio la ricerca
di significati e senso dell'esistenza. Il processo di cambiamento necessita di una
relazione terapeutica nel quale la persona possa sentire compresa nella totalità.
L’Analisi Transazionale avendo questi elementi alla base l’importanza della
autodeterminazione, della libertà interiore, si focalizza tanto sull’autoterapia: la persona
esaminando i propri comportamenti ed emozioni e riportando alla consapevolezza i suoi
schemi, la posizione di vita è capace di impegnarsi nel processo di cambiamento.
Quindi esiste una comprensione di ciò che la persona desidera, cosa vuole; nel
contratto di cambiamento vengono analizzate
«situazioni blocco per il paziente e la capacità del terapeuta di saper riconoscere in
quale stato dell’Io è prevalente nella produzione del sintomo» (Berne, 1961, p. 61).

3.1. La costruzione del contratto

Berne (Stewart & Joines, 2000) ha definito il contratto come «un esplicito
impegno bilaterale per un ben definito corso d’azione» (Ivi, p. 331). Un contratto è un
impegno Adulto di effettuare un cambiamento preso con sé stessi e/ qualcun altro. Il
contratto comprende «sia una serie di obiettivi comuni che la chiara comprensione della
struttura e del processo necessari per raggiungere gli obiettivi mutamente concordati»
(de Nitto, 2006, p. 190). Nel lavoro con il paziente viene definito che cosa faranno, chi
sono

82
entrambi e, il tempo che ci vorrà per il lavoro, e l’obiettivo della terapia. Nella AT ci
sono due tipi di contratti: il contratto amministrativo e il contratto clinico che viene
definito
«quali cambiamenti vuole fare e specifica di essere disposto a contribuire all’effettuare
questi cambiamenti e il terapeuta dà la sua conferma se è disposto a lavorare col
paziente nell’ottenimento dei cambiamenti che desidera e afferma quale sarà l’input che
immetterà nel processo» (Stewart & Joines, 2000, p. 331). Ci sono quattro requisiti che
fanno sì che il contratto sia in campo legale: il consenso reciproco, remunerazione
valida, competenza, e obiettivo legale (Ivi, p. 332). La costruzione del contratto arriva
proprio dal concetto alla base della AT ognuno è ok. Dove il terapeuta restituisce la
responsabilità al paziente e condividono di conseguenza il lavoro nel processo di
cambiamento trasformativo.
Dopo questo per il paziente e il terapeuta diventa chiaro qual è il programma che
desiderano portare avanti perché i patti sono stati dichiarati e non esiste un programma
nascosto per entrambi. La mancanza di chiarezza a livello sociale può portare nei
comportamenti indesiderati sia dal terapeuta che dal paziente. Nella costruzione del
contratto si bisogna orientare il cambiamento, il paziente può portare un problema che
desidera affrontare, ma insieme il terapeuta dovrebbe concordare con il paziente e
deviare l’attenzione dal problema e concentrarla invece sull’obiettivo del cambiamento,
«il contratto è un punto di riferimento rispetto al quale il terapeuta e il cliente possono
misurare i cambiamenti nel processo, nel contenuto o nel livello di impegno, per
lavorare insieme» (de Nitto, 2006, p. 190). Il terapeuta aiuta il paziente nella
costruzione di un quadro mentale di immagine dell’esito desiderato del loro lavoro
insieme. Questa parte è fondamentale per il paziente perché suscita dentro di sé una
raccolta delle energie interiori di vedere possibile l’attuazione del cambiamento. Il
lavoro con l’immagine aiuta il paziente e il terapeuta a visualizzare il percorso che
stanno facendo e la loro risoluzione del problema. Alcune caratteristiche che il contratto
deve avere: il primo è che il contratto deve essere enunciato in termini positivi, il
paziente nel primo incontro può portare il problema con aspetti negativi, che poi non
aiutano a lavorare su quel problema se la persona non visualizza continuamente la
situazione problematica che si è posta di affrontare. Il contratto è efficace quando va
specificata la cosa positiva e che si intende fare e allo stesso momento fornisce anche

83
una nuova opzione di sopravvivenza e di

84
esaudimento dei bisogni che perlomeno altrettanto valida della vecchia di copione»
(Stewart & Joines, 2000, p. 336).
In questo si lavora su ciò che è reale per il paziente è frutto di una fantasia ma
concretamente. L’altro aspetto specifico del contratto è che l’obiettivo deve essere
specifico e osservabile. Infine il contratto deve essere fatto da uno stato dell’Io Adulto
con cooperazione del Bambino Libero. Un contratto sicuramente che deve adeguarsi
alla situazione della persona e contribuire a soddisfare i suoi bisogni del Bambino più
che negarli. Alla base di questo contratto, il terapeuta è accompagnato dall’obiettivo che
deve essere raggiunto: la promozione dell’autonomia «l’autonomia si conquista quando
si liberano o si recuperano tre capacita: consapevolezza, spontaneità e intimità» (Ivi, p.
340). Mettendo insieme questi tre aspetti e il fatto che la persona deve essere libera dal
copione, Berne definisce l’autonomia come: «un comportamento, un pensiero o
un‘emozione che è una risposta alla realtà qui-e-ora più che una risposta a convinzioni
di copione» (Ivi, p. 341).

3.2. Il lavoro sul copione

L’Analisi Transazionale essendo prettamente interpersonale, considera che ogni


persona possiede una propria storia scritta già dai primi anni di vita; perciò sono
importanti le figure significative con cui la persona si relaziona e a partire dalle quali il
bambino crea una posizione di vita: «un insieme di convinzioni fondamentali su di sé e
su gli altri, utilizzate per giustificare le proprie decisioni ed il proprio comportamento.
Bernie definisce il copione «un piano di vita che si basa su di una decisione presa
durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e
che culmina in una scelta decisiva» (Stewart & Joines, 2000, p. 134). La definizione che
viene data da Berne è legata a come il bambino stesso dalle prime esperienze riesce a
costruire gli schemi di vita, a scrivere un piano specifico della propria vita. Quindi il
copione è una parte determinata da forze esterne, quali i genitori e l’ambiente, e in parte
dall’individuo, che decide il proprio piano di vita sulla base non di riflessioni deliberate,
quanto piuttosto

85
di esperienze emozionali, sensazioni. Le decisioni di copione, quindi, rappresentano per
il bambino la migliore strategia per sopravvivere in un contesto ostile, cercando di
adattarsi al proprio contesto di vita e impedire situazioni frustranti. Il copione viene
rinforzato dai genitori «i messaggi di copione sia verbali che non verbali costituiscono
la struttura di riferimento in risposta alla quale vengono prese le principali decisioni di
copione del bambino» (Ivi, p. 135). E questi messaggi di copione sul quale il bambino
costruisce il suo copione di vita sono vissuti in maniera inconsapevole. In pratica sono
inviati dagli altri in base allo stile relazionale, e secondo l’A.T. provengono dagli Stati
dell’Io Genitore, Adulto e Bambino. In ogni copione per avere un impatto sugli Stati
dell’Io, il Bambino esercita in qualche modo la sua libertà, sceglie e decide come
costruire il proprio copione.
Nell’A.T i messaggi per i quali si costruiscono i copioni possono essere spinte 1 o
contro-ingiunzioni: che sono messaggi espliciti o impliciti inviati dallo Stato dell’Io
Genitore allo Stato dell’Io Genitore del Bambino nella tarda infanzia. Invece
ingiunzioni o permessi: sono solitamente non verbali, inviati dallo stato dell’Io Bambino
del genitore allo Stato dell’Io Bambino nella prima infanzia, vissuta sotto una forte
tensione emotiva, del quale il Bambino percepisce il vissuto emotivo del genitore. Le
ingiunzioni sono molto importanti, in quanto da esse nascono i permessi a fare qualcosa
e allo stesso tempo anche i cosiddetti mancati permessi oppure riconoscimenti positivi
che alla fine hanno un’ingiunzione negativa sul fare, sentire e sull’essere. Nell’analisi
delle ingiunzioni è importante considerare come il linguaggio non verbale sia una
comunicazione emotiva e può raccogliere vari messaggi che un adulto non in maniera
inconsapevole può comunicare al principalmente al bambino. Le principali ingiunzioni2
fanno parte del contenuto del copione che la persona stessa ha costruito.

1
Sii perfetto: devo essere perfetto e fare le cose perfettamente, Sii forte: devo essere forte, e non
sentire ciò che sento, provo. Sforzati: devo sempre impegnarmi al massimo nel fare le cose. Cerca di
piacere: devo avere l’altro come riferimento, e non me stesso. Sbrigati: devo sempre fare le cose
velocemente e subito.
2
Non esistere, Non essere te stesso, Non essere un bambino, non crescere, Non riuscire, Non fare
niente, non essere importante, Non fare parte, Non entrare in intimità, Non stare bene, Non pensare,
Non sentire.

86
Anche il lavoro sul copione riproponendo il lavoro di cambiamento
trasformativo è reso possibile nel concetto di autodeterminazione proprio come base
antropologica dell’Analisi Transazionale (Scilligo, 2009). Il paziente che ha già
presentato il suo problema che dovrebbe affrontare, e fatto il contratto, va aiutato a
riportare alla consapevolezza quelli che sono i suoi schemi principali.
Nel lavoro che segue è importante per il cliente riconoscere i bisogni del suo
stato dell'Io Bambino e, allo stesso tempo, sviluppare un robusto stato dell'Io Adulto che
permetterà alla persona di allargare la sua coscienza per sviluppare di più le sue risorse
«Il lavoro si focalizza sulla decontaminazione dello stato dell’io Adulto, lo sviluppo
emotivo e ricostruzione delle relazione intrapsichica» (Ivi, p. 121). Questi processi
aiutano il paziente ed essere consapevole di quale Stato dell’Io stia prevalendo nel suo
comportamento mentre sta riproponendo quei schemi, ed un processo che l’aiuti ad
assumere il controllo dello Stato dell’Io. (Stewart & Joines, 2000, p. 202).
Inoltre nel lavoro sui copioni bisogna riconoscere tramite il racconto della
persona, quali sono le spinte apprese dalle sue esperienze, che in maniera inconsapevole
continua a ripetere nella situazione attuale. Le spinte sono fondamentali anche
nell’individuare il contesto in cui la persona abbia vissuto, il contesto storico oppure
relazionale, ma tramite le spinte comportamentali ricevute attraverso il tono di voce, gli
atteggiamenti, le espressioni facciali, e possono emergere in maniera evidente.
Nel lavoro sul copione, di conseguenza, «gli individui possono mettere in atto i
tipi di relazioni che le loro figure genitoriali erano solite avere. In molti casi questo è il
modo in cui i clienti usano inconsciamente la relazione terapeutica per comunicare il
conflitto emotivo o relazionale irrisolto di un antenato» (Gayol in Erskine, 2016, p.
124). I pazienti cercano l'aiuto del terapeuta per liberarsi dalla catena generazionale che
ha danneggiato le loro relazioni attuali. Questo momento di therapeutic mourning è di
grande importanza: lavorare con il dolore e le sue varie fasi è rilevante nella
psicoterapia transgenerazionale perché i clienti hanno bisogno di lasciarsi alle spalle le
loro fantasie di vendetta o di superiorità e abbandonare i loro atteggiamenti di giudizio.
In questa situazione il paziente affronta anche situazioni che possono riguardare
l'esclusione di un antenato. L’esclusione in questo caso di un antenato danneggia il
sistema familiare perché

87
«tutti hanno diritto ad appartenere alla famiglia, ed escludere qualcuno lascia questioni
irrisolte nella storia familiare» (Ivi, p. 125). Tali questioni possono poi essere riprese da
un giovane membro della famiglia, generalmente qualcuno che è arrivato dopo, «Il
trauma in sé è definito dalla distruzione di quel legame, e il recupero deve venire da
quel luogo di ricostruzione del legame interno tra il sé e l'altro» (Mucci in Erskine,
2016, p. 125). Per i clienti, lavorare sulle esperienze traumatiche significa la possibilità
di vivere i processi forgiveness e liberation from scripts (perdono e liberazione dal
copione). Nella terapia il paziente lavorando sul perdono, permette un processo di
guarigione profondo per la persona

«La rinuncia all'illusione che le altre persone cambino, permette e aiuta a guarire
perdonare sé stessi per qualsiasi errore che possono aver commesso e riconoscere che il loro
vero potere sta nel riparare il rapporto che hanno con sé stessi e, per quanto possibile, il
danno che hanno causato alle altre persone» (Gayol in Erskine, 2016, p. 125).

L’AT nel suo lavoro sul copione utilizza anche altri approcci come la Gestalt.
usando le tecniche del linguaggio del corpo, voce, i toni. Il linguaggio tramite gli
atteggiamenti del corpo sono fondamentali nell’accogliere le emozioni da parte del
paziente. «La sensazione vaga provata è un significato implicito di alto livello, di
qualcosa che include pensieri, sentimenti, percezioni, azioni interne e il contesto»
(Greenberg et al., 2000, p. 177). La vaga sensazione da parte del paziente esiste da una
difficoltà ad elaborazione delle informazioni implicite. L’attenzione e il sostegno del
terapeuta fanno sì che il cliente sviluppi qualche forma di espressione simbolica di esso,
o sotto forma di un’etichetta, di una metafora o di un’immagine. Le tecniche si basano
sul processo centrale della focalizzazione: è la piena articolazione degli schemi emotivi,
ossia le strutture cognitive/affettive che integrano una varietà di livelli di elaborazione
che includono l’esperienza sensoriale e le rappresentazioni verbali proposizionali. La
focalizzazione è importante per il cliente ma anche per il terapeuta perché «molteplicità
di linguaggi espressivi è una ricchezza e rivelatrice della complessità umana» (de Nitto,
2006, p. 116).
Il principale obiettivo del terapeuta secondo la visione umanistica alla base
dell’Analisi Transazionale è quello di promuovere autonomia (de Nitto, 1987) e

88
autodeterminazione nel cliente, «un compito globale del trattamento è quello di aiutare i
clienti a realizzare i loro potenziale di crescita e autodeterminazione, la padronanza di sé
e di libertà» (Greenberg et al., 2000, p. 124). La conoscenza di quale copione la persona
ha sempre utilizzato può cominciare attraverso l’autonomia darsi del permesso di essere
libero (Benjamin, 2004).

3.3. La Teoria della Ridecisione

La terapia della Ridecisione nasce nel contesto socio-culturale del dopoguerra in


un periodo dove molte psicoterapie conferivano più potere al terapeuta e nessun potere
al paziente e cosi diventò una regola per (Goulding & Goulding, 1983b): «qualsiasi
terapeuta che veda un paziente per più di un anno lo sta imbrogliando» (Erskine, 2018,
p. 72). Quindi il modello della terapia ridecisionale vuole restituire il potere e
responsabilità di cambiamento nelle mani della persona. Il modello della terapia
ridecisionale è definito come:

«un atto specifico, come una nuova decisione, come un’occasione che,
retrospettivamente, può essere vista come un momento di cambiamento di vita e si è spesso
ritenuto che i cambiamenti di comportamento seguissero le ridecisione a causa della
liberazione di energia derivante da un precedente blocco di investimento» (Mastromarino,
2021, p. 23).

Alla base della loro teoria, ipotizzarono che ogni persona risponde con
responsabilità anche se piccola ai vari messaggi che riceve. L’obiettivo è favorire il
cambiamento in modo creativo nel minor tempo possibile, «possiamo curare la maggior
parte delle fobie in dieci minuti e le fobie dell’acqua in meno di mezz’ora, invece altri
problemi richiederebbe più tempo» (Goulding & Goulding, 1983b, p. 13). Quindi anche
le ingiunzioni dovevano essere accettate e vissute come modalità di risposta alle
situazioni dal Bambino per avere avuto un impatto. La teoria vuole «aiutare le persone a
ritornare esperienzialmente a quelle scene precoci della loro infanzia e, con l’aiuto del
gruppo e del terapeuta, ribaltare le accettazioni precoci che essi chiamavano decisioni
precoci» (Erskine, 2018, p. 75).

89
Il processo della ridecisione richiede tre passi: il lavoro sul contratto,
chiarimento dell’impasse e il lavoro ridecisionale. Il primo elemento è la capacità in
maniera chiara e creativa di entrare un contratto con il cliente che riguardava un
obiettivo molto concreto. Il secondo aspetto era il chiarimento dell’impasse considerato
come un processo educativo in cui il paziente faceva ritorno alle sue esperienze infantile
con le figure significative, incluse le ingiunzioni e far emergere con erano collegate con
i problemi attuali. Però «le ingiunzioni intese come proibizioni non spiegano
completamente il peso dell’influenza che esercita sulla vita della persona per essere così
potente deve avere un fondamento di verità che ha bisogno di essere in qualche modo
contestualizzato perché tutte le ingiunzioni sono false» (Mastromarino, 2021, p. 26).
Impasse è il lavoro sul blocco del paziente con il terapeuta, un tempo in cui il paziente
rivive e vede come sta riproponendo gli stessi comportamenti. Questa fase avvia il
processo di cambiamento. Il chiarimento dell’impasse è un processo educativo in cui il
passato includeva le ingiunzioni, era collegato alla difficolta attuale nella vita. Tutte le
ingiunzioni sono false […] un messaggio ingiuntivo è più di una semplice proibizione
ingiunta, è una falsa credenza della peggiore specie. È stato osservato che un bambino,
di fronte alla situazione, carico emotivamente fa due scelte in quel momento, «per ogni
singola ingiunzione sono presenti due decisione molto diverse tra loro: una di sfida ed
una di disperazione il cui effetto è quello di legare la persona in maniera forte al
messaggio ingiuntivo» (Mastromarino, 2021, p. 27). «Invece quando la persona ha a che
fare con la decisione di sfida ha più l’aspetto di essere sana invece quando la persona è
in contatto con la decisione di disperazione appare bisognosa di aiuto» (Ivi, p. 27).
Queste due credenze non possono essere vere per il paziente, e nella modalità in cui il
paziente li mette in atto possono essere una conferma del copione. Il paziente può
trovare i momenti di sollievo nei momenti in cui si sposta da una posizione della
disperazione a quella della decisione e questo può essere che nella fase della sfida la
vita del paziente può essere caratterizzata da una forte determinazione che domina tutta
la sua vita e il benessere si raggiunge solo con gli obiettivi e comprendere la vita stessa.
Nell’altra decisione che riguarda la disperazione «la persona sembra più disponibile
all’aiuto anche se ciò non è reale almeno fino a quando queste decisioni mantengono
per l’individuo un qualche

90
fondamento di verità» (Ibidem). Questa caratteristica della sfida e della disperazione ha
origine dal Genitore Normativo che il Bambino ha immagazzinato difronte ai messaggi
ingiuntivi.
Il lavoro ridecisionale include di aiutare la persona ad accedere tramite i
comportamenti della persona e valutare attraverso ciascuna ingiunzione lo schema
comportamentale del cliente. I processi di ridecisione tramite la diagnosi dei
comportamenti arrivano alla conoscenza di quale falsa credenza ha avuto un impatto
sulla vita della persona. Si può notare come la formazione degli schemi
comportamentali siano frutto di esperienze apprese in varie condizioni, e tendono a
formare il modo di vedere se stessi e gli altri e anche del modo di comportarsi. In
relazione ad Ecker, la formazione degli schemi passano attraverso gli apprendimenti
emotivi mentre nell’Analisi Transazionale le ingiunzioni ha un impatto forte per il
bambino nonostante la sua libertà di poter di creare gli schemi comportamentali. In
questo senso la ridecisione è «un cambiamento di vita grazie alla sua riconosciuta
capacità di porre fine ad un modello distruttivo» (McNeel in Mastromarino, 2021, p.
29). Il lavoro si fonda sulla capacità di acquisizione della nuova credenza, «chiudendo
con la credenza costrittiva, la convinzione o con una ossessione la persona avrebbe
sperimentato un cambiamento» (Ivi, p. 29). Questa la tecnica aiutava la persona a
sperimentare il processo di ridecisione come atto liberatorio, nel modo in cui si
percepiscono e questi eventi diventano potente da produrre un cambiamento desiderato.
L’aspettativa di questo processo era un cambiamento dimostrabile nel comportamento
della persona e la capacità evidente di agire in maniera autonoma (Erskine, 2018, p. 75).
Il lavoro di ridecisione andava proprio a rompere lo schema comportamentale che il
paziente ha già appreso su una falsa credenza. Quindi il processo di ridecisione passava
partendo da un evento di falsa credenza potesse arrivare ad una decisione. La nuova
decisione implica un lavoro sul nuovo atteggiamento delle figure significative, «per
molte persone le voci genitoriali che hanno in testa risalgono alla loro infanzia e non
sono né dolci né sagge. Se esiste un messaggio ingiuntivo, troverete una voce
genitoriale precoce che in qualche modo è in collusione con quel messaggio. Le persone
hanno bisogno di avere dentro di sé voci che contengano compassione, saggezza e
amore» (Erskine, 2018, p. 80). Nella promozione della

91
ridecisione diventare autonomi è legato al recupero delle tre capacità al ricupero delle
tre capacita: consapevolezza, spontaneità ed intimità.
L’obiettivo nel processo di ridecisione è identificare le nuove credenze
necessarie a risolvere pienamente il potere del messaggio ingiuntivo perché fa emergere
nuove convinzioni sane che permette il cliente ad un nuovo inizio. Il processo di
risoluzione è legato al poter incidere sulla potente influenza che il messaggio ingiuntivo
come “non esistere” oppure non appartenere” può aver sul comportamento, creando i
modelli di pensieri che possono indurre la persona anche nei comportamenti di
isolamento. «Il modo efficace per rompere l’effetto di un un’ingiunzione e quello di
acquisire una nuova credenza» (McNeel in Mastromarino, 2021, p. 30).

Rilievi conclusivi

In questo capitolo è sono descritti presentati stili relazionali in maniera implicita che
possono legati ad esperienze traumatiche e cambiamento nell’Analisi Transazionale. È
stato presentato il tema del trauma attraverso la descrizione degli stati dell’Io in quanto
essendo esperienze precoci che il bambino con le figure significative possono esser
cariche di messaggi e significati capaci di creare dei legati sia disorganizzati con le
figure di riferimento. Inoltre è stato come a partire dalla stessa esperienza dai messaggi
ingiuntivi il Bambino crea dei significati in maniera adattiva per dover rispondere a
varie situazioni e che poi queste situazioni possono essere disfunzionali per il bambino.
Il processo di cambiamento nella Analisi Transazionale presentato avviene nel lavoro
sul copione utilizzando il modello ridecisionale, dove il copione può rappresentare delle
decisioni che influenzano il comportamento e delle decisioni della persona. Le decisioni
di copione, quindi rappresentano per il bambino come migliore strategia che per
sopravvivere in un contesto ostile per lui, cercando di adattarsi al proprio contesto di
vita e impedire situazioni frustranti. Tutto ciò è reso possibile dalla forza della visione
antropologica del quale la persona ha la capacità di decidere, quindi nel processo di
ridecisione emerge come la persona, a partire dalla costruzione del contratto con il
cliente,

92
il lavoro sul copione, si favorisce che quelle esperienze traumatiche del cliente del quale
hanno creato degli schemi, comportamentali possono trovare, nuove credenze.

4. Le riflessioni critiche

Il primo aspetto riguarda l’importanza sul concetto della visione antropologica


che è stata presentata in questa tesi in quanto mette al centro la visione della persona e
abbia il potere in condizione di sofferenza umana (Frankl, 2011). Inoltre nella
presentazione del prima capitolo è stato descritto anche come l’uomo abbia delle
caratteristiche, come la liberta, auto-determinazione e la volontà siano una base per
superare i momenti di estrema sofferenza. D’altra parte è stato messo in evidenza che
nonostante ciò, l’uomo è vulnerabile difronte in alcune situazioni che finiscono a
costituire secondo le scienze umane esperienze traumatiche. Questa visione
antropologica e antropologica viene integralmente accompagnata nella lettura delle
memorie traumatiche sia nella Coherence Therapy e Nell’Analisi Transazionale.
Un altro aspetto che emerge il focus riguarda il lavoro sulle memorie
traumatiche. Questo lavoro sulle memorie traumatiche mette in evidenza come, la
persona che ha subito un trauma anche a distanza di anni, può rivivere quell’esperienza
fino ad essere travolta da sensazioni e immagini che possono portare disorientamento e
confusione. I racconti di una memoria traumatica possono essere abbastanza incoerenti
e frammentati, si possono presentare dei flash o della situazione oppure della persona
abusante (Ibidem). Questo lavoro sulle memorie traumatiche mette evidenza come il
cervello emotivo giochi un ruolo fondamentale. Questo lavoro di promozione di del
cambiamento richiede la capacità di ascolto, «la persona comunica a se stessa e agli altri
ciò che ha imparato, che porta avanti, talvolta con le sue battaglie e talaltra con la sua
esperienza pacifica, mentre si destreggia nel suo mondo» (de Nitto, 2006, p. 116).
Svelare i segreti della propria sofferenza per le persone che hanno vissuto un’esperienza
traumatica non è una cosa facile. Il terapeuta può utilizzare i processi legati allo
sviluppo della mentalizzazione per creare una base sicura di sostegno per i pazienti con
storie di traumi: «il terapeuta dovrebbe avere una bussola per orientarsi con quegli stati
emotivi insostenibili come la

93
paura, il panico, il terrore, la rabbia e disperazione» (Caretti et al., 2013, p. 64). La
concettualizzazione teorica e lo scambio interpersonale sono fondamentali per rendere
un intervento efficace e accessibile all’altro. Questi elementi favoriscono i pazienti nella
narrazione personale. In riferimento alle persone con esperienze traumatiche, si
evidenzia la rimozione dell’evento traumatico in quanto esso provoca un senso di
vergogna (Van der Kolk, 2015), di non essere stato capace di proteggersi con
l’abusante, ma questo può verificarsi sia nelle relazioni di aiuto che e in relazione
intime. Nella narrazione dell’esperienze come riporta nei racconti di persone con storie
di abuso «Lo scopo principale non è stabilire cosa sia esattamente accaduto, ma aiutare
le persone a tollerare le sensazioni, le emozioni e le reazioni che provano, senza essere
sopraffatti e dirottati» (Ivi, p. 200). Bisogna aiutare i pazienti che hanno storia di traumi
affinché in quei momenti in cui emerge il senso di colpevolizzazione accettino che non
è stata colpa loro
«che non è stato causato da qualche loro difetto e che nessuno può meritarsi quello che è
accaduto loro» (Ibidem).
Il terzo aspetto riguarda invece la possibilità di cambiare rispetto a memorie
emotive presentati relativamente alla Coherence Therapy e all’Analisi Transazionale. Il
modello della Coherence Therapy evidenzia come, grazie alla neuroplasticità sia
possibile il cambiamento trasformativo mediante il processo noto come
riconsolidamento della memoria. Le scoperte sulla neuroplasticità, ovvero lo sblocco
delle sinapsi di un apprendimento emotivo target, vissuto sotto un’emozione traumatica,
sia una grande scoperta che possa permettere ai terapeuti un lavoro di terapia più
efficace, e realizzabile fin dalle primissime sedute, se solo il terapeuta fosse a
conoscenza dei processi trasformativi della Coherence Therapy (Ecker & Hulley, 1996,
p. 1). Questo modello promuove il cambiamento attraverso un processo centrale, di set
di esperienze che permette al cervello umano di disapprendere, cancellare gli
apprendimenti emotivi alla base della sofferenza e aggiornarli con degli altri. Invece nel
terzo capitolo è stata descritta l’Analisi Transazionale: è stato presentato il concetto
degli stati dell’Io, mettendo in enfasi che il cambiamento è possibile mediante il lavoro
ridecisionale, anche relativamente a processi emotivi tipici dello stato dell’Io Bambino.

94
L’altro aspetto significativo è l’importanza della relazione terapeutica. Ciò che
emerge sia negli studi di Ecker, (2015c), pone alla domanda anche sull’efficacia della
terapia. Da una parte nella Coherence Therapy emerge come i processi di
riconsolidamento della memoria richiede la conoscenza dei processi precisi e che allo
stesso tempo che si basino sulla formazione del terapeuta.
Il lavoro con esperienze e memorie traumatiche che il terapeuta sia formato e
abbia certe caratteristiche, come l’empatia, l’accettazione incondizionata, e che sia
congruente con il paziente. L’accettazione e l’empatia sono considerati anche da altri
approcci (Benjamin, 2004) necessari nell’alleanza terapeutica. Il rischio della mancata
formazione è evidente negli interventi dei giovani terapeuti nella modalità di gestione
del tempo con il paziente, «i pazienti e i terapeuti alle prime armi di solito portano i
problemi difficili alla fine della seduta. Il terapeuta dovrebbe fare di tutto per evitare
questo errore, se il terapeuta decide di concentrarsi su un nuovo aspetto del problema, è
bene farlo quando c’è tempo per discuterne» (Ivi, p. 253). Uno degli elementi sul quale
il terapeuta dovrebbe formarsi «è la gestione del controtransfert dei sentimenti del
terapeuta nei confronti del pazienti […] e la reazione del terapeuta al paziente, anche
quando il paziente è ostile, offre delle importanti informazioni sul paziente» (Ivi, p.
364). Questo aspetto è importante perché il terapeuta deve conoscere sé stesso, la sua
storia personale, per poter aiutare i pazienti. Il terapeuta attraverso il self-disclosure,
attraverso i frammenti di vita personale del terapeuta, esperienze passate, credenze
valori etici, dilemmi emotivi, fallimenti o successi, paure o persino sogni possono essere
svelati in seduta e aiutano all’autenticità del terapeuta. Lo stesso concetto viene espresso
da Yalom in quanto il terapeuta è importante che il paziente sia considerato importante
per il terapeuta, «Se fate un errore, ammettetelo. Qualsiasi tentativo di insabbiamento
alla fine si ritorcerà contro di voi.» (Yalom, 2002, p. 32). Un altro aspetto importante
nella formazione del terapeuta è la gestione del transfert «tutti i sentimenti e opzioni del
paziente riguardanti il terapeuta probabilmente distorti perché sono delle proiezioni sul
terapeuta di conflitti precedenti irrisolti» (Benjamin, 2004, p. 264). Una relazione
terapeutica autentica è un aspetto essenziale anche nella visione dell’Analisi
Transazionale affinché una psicoterapia sia efficace; anzi è un «prerequisito vitale per
l’efficacia di una qualsiasi terapia»

95
(Widdowson, 2018, p. 134). È il fondamento che accompagna il terapeuta nella
costruzione della relazione terapeutica IO sono OK – Tu sei Ok.
un’altra osservazione è il lavoro sulla memoria traumatica in quanto gli studi sul
trauma e gli apprendimenti emotivi fanno emergere dati diversi per quando riguarda la
memoria ordinaria e la memoria traumatica nel racconto dell’esperienze. La memoria
ordinaria praticamente è essenzialmente sociale: «la storia che si può raccontare e che
ha un fine […] così come le storie autobiografiche, non sono resoconti fedeli della
realtà; sono, più che all’altro, storie che trasmettono il nostro personale punto di vista
sulla realtà» (Ivi, p. 201). Invece la memoria traumatica è attivata da «specifici triggers
e quando un elemento dell’esperienza traumatica viene sollecitato, molto probabilmente
altri elementi vi si assoceranno in modo automatico» (Ivi, p. 207). La mente umana ha
una grande capacità in cui organizza e riscrive i ricordi con il passare del tempo, per la
persona che non ha vissuto sviluppato un PTSD, viene dimostrato come con il passare
del tempo, gli eventi sofferenti della vita perdono il loro terrore, invece per chi è stato
traumatizzato il ricordo di quei sono preservati nel tempo (Ibidem). Il cervello emotivo è
di grande importanza per quanto riguarda le esperienze traumatiche perché nelle
persone traumatizzate aspetti come l’amnesia e la dissociazione caratterizzante.
Le nuove piste riguardo lo studio sul trauma e rimane è in continua evoluzione,
soprattutto legato dove si dovrebbe dare importanza agli apprendimenti emotiva, per
descrivere varie forme di sofferenza che sono alla base di vari sintomi. Inoltre sono
interessati gli studi sul trauma e la resilienza di Bonanno che hanno preso una impronta
diversa lavorando con le persone che sono state gravemente traumatizzate. Già Nel suo
articolo Perdita, Trauma e Resilienza Umana Bonanno (2004) pone tale quesito: «non
avremo sottostimato la capacità umana di crescere dopo eventi estremamente negativi?
Nella sua ricerca sintetizzava varie traiettorie e possibili esiti dell’impatto dell’evento
traumatico nell’arco in un determinato tempo. Nel suo nuovo libro (Bonanno, 2021) con
il libro The end of trauma. How the new science of resilience is changing how we think
of PTSD, elabora come gli studi sulla resilienza stanno cambiando il modo di
comprendere il trauma. Nella analisi del trauma fa riferimento alla situazione
pandemica, dove il compito chiave per la maggior parte delle persone per affrontare la
situazione era

96
quello di mantenere lo stress al minimo (Ibidem). Molti si stanno adattando a una nuova
realtà che include, in una forma o nell'altra, le paure per la diffusione virale e il
contagio, lo stress della quarantena, le carenze di approvvigionamento, la cura dei
propri cari e l'incertezza sul futuro ma non solo, alcuni stavano affrontando la malattia e
la paura della morte. La paura per la salute dei propri cari e le perdite finanziarie erano e
sono cosi incombenti. In questo periodo superare questi stress e trovare la strada verso
la resilienza significava «riflettere sulla nostra situazione in evoluzione e usare qualsiasi
strumento che abbiamo già a nostra disposizione per gestirla, in altre parole, dobbiamo
essere flessibili» (Ivi, p. 258). Durante il periodo della pandemia Bonanno
consigliava che
«dobbiamo prestare attenzione a ciò che ci sta accadendo, adattare il nostro
comportamento per adattarlo a qualsiasi situazione, e controllarci per assicurarci che
qualsiasi cosa stiamo facendo stia funzionando; se non fosse così, dobbiamo passare a
qualcos'altro. Questo lo dobbiamo continuare a fare «la vita non si ferma, e neanche
questa pandemia lo farà. Dobbiamo continuare ad adattarci e riadattarci mentre andiamo
avanti» (Ivi, p. 259). L'antidoto che ha suggerito e ripetuto sempre per aiutare le persone
a combattere lo stress, «era di avere una flessibilità mentale. Ad ogni occasione, il
mantra: “Questa pandemia non è facile, ma possiamo gestirla. la supereremo”. Gli esseri
umani hanno sempre dimostrato abbondante resilienza psicologica di fronte a quasi tutte
le avversità immaginabili, e lo faremo» (Ibidem). In questa linea si possono descrivere
importanti studi sulla crescita post-traumatica di Tedeschi et al., (2018).

97
Conclusione

In questo lavoro di tesi, ci si è chiesti se fosse possibile cambiare la persona oltre


il trauma, e per rispondere a tale quesito si è fatto riferimento a diversi modelli
terapeutici e clinici per poi porli a confronto. Nella presentazione della visione
antropologica e filosofica della persona umana, è stata messa al centro una visione
integrale per cercare di comprendere il suo vissuto. Nel presentare la visione
antropologica emerge che l’uomo non può essere schiavo e condizionato dalle sue
esperienze passate, ma esso è libero e capace di auto-determinazione. Questo dato viene
sia dalle caratteristiche insite nella persona umana sia dai dati che provengono dalla
letteratura che spiegano i comportamenti e le reazioni in contesti di estrema sofferenza.
Nella presentazione della visione antropologica emerge il dato della vulnerabilità
e della finitudine della persona. Tali dimensioni dell’essere umano evidenziano la
possibilità che la persona possa sviluppare un disturbo post traumatico da stress e altri
disturbi psichici legati, in presenza di situazioni intrapsichiche e intersoggettive di
estrema vulnerabilità. Il trauma viene esaminato da varie prospettive: legati agli eventi
come presentati nel DSM-5. Dall’analisi sugli studi presentati emerge come gli
apprendimenti emotivi esercitino un’influenza enorme sulla vita della persona, e per
sopravvivere essa tende a dare significato a ciò che ha vissuto. Se nella Coherence
Therapy emerge in maniera così forte il concetto degli apprendimenti emotivi, l’Analisi
Transazionale permette di riflettere sul copione, e a quanto nonostante le esperienze
traumatiche che possono essere espresse attraverso i messaggi ingiuntivi, la persona
abbia la possibilità di “riscrivere il proprio copione” evidenziando la libertà e la capacità
della persona di autodeterminarsi. Ciò che emerge nella promozione dei processi di
cambiamento della persona, è infine, il sapere cogliere la singolarità oppure gli aspetti
bio-psico-sociali e spirituali, in quanto non tutte le persone rispondono nella stessa
maniera nelle stesse situazioni. La persona con la storia traumatica va compresa
partendo dal suo vissuto. Inoltre la prospettiva proposta aiuta a non avere un approccio
esclusivamente medico del cambiamento come “assenza di malattia”, ma ad integrare
tale visione in un concetto più complesso di benessere. Sapere utilizzare in maniera
precisa

98
tutti i processi della Coherence Therapy secondo la riflessione proposta all’interno del
lavoro, può rendere la terapia tecnologizzante ed è pertanto importante sottolineare che
il cambiamento deve comprendere anche la cura e il rispetto della persona. In questa
tesi, in cui ci si è chiesti se fosse possibile cambiare la persona oltre il trauma, si è
cercato di rispondere all’obiettivo inziale, tramite la presentazione dei vari modelli che
trattano il tema del trauma, e la conoscenza dei fattori che possono incidere sulla
vulnerabilità della persona. I modelli teorici della Coherence Therapy e dell’Analisi
Transazionale, permettono di descrivere quali processi vengono messi in atto per
favorire un cambiamento trasformativo nella persona. Inoltre questi modelli si integrano
perfettamente tra di loro nei principi e nella concezione della persona umana. Uno dei
limiti di tale lavoro, riguarda la difficoltà nel recupero delle fonti, che non ha permesso
di approfondire i processi dell’Analisi Transazionale e le tecniche specifiche che mette
in atto per indurre il cambiamento trasformativo; rimane il fatto che si tratta di una tema
molto complesso e che non può essere esaurito in una tesi di licenza, ma certo può
offrire un punto di partenza ed un eventuale spunto per lavori futuri.
Il tema del trauma rimane uno dei temi più delicati e allo stesso momento
affascinante, e le ultime prospettive di studio che riguardano il filone di studi sul trauma
evidenziano la valorizzazione del corpo. Credo che anche questo tempo della pandemia
sia un momento che in varie situazioni lascia delle piste di possibilità di
approfondimento riguarda alla risposta personali. Un pregio di questo lavoro è la
presentazione delle analisi critiche poste a fondamento dei tre capitoli prima e della
conclusione finale, in quanto permette di poter presentare quello che è il pensiero critico
maturato negli anni di studio. Si crede inoltre, che questo aspetto sia molto coerente con
la visione antropologico- filosofica proposta all’inizio del lavoro, che si ritiene essere
una parte fondante e molto rilevante nell’avvicinarsi agli studi sul trauma.

99
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INDICE
INTRODUZIONE..........................................................................................................2

CAPITOLO 1. TRAUMA E POSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO

1. La visione antropologica e filosofica dell’uomo…........................................5


1.1. La persona come autodeterminazione.................................................8
1.2. La volontà e auto- trascendenza........................................................10
1.3. L’uomo come relazione....................................................................11
2. Definizioni di trauma.....................................................................................13
3. Il Trauma da diverse prospettive....................................................................17
3.1. Il Trauma post traumatico secondo il DSM-5…..............................17
3.2. Il Trauma dalla prospettiva della neurobiologia interpersonale.......23
3.3. Il Trauma nella prospettiva di Bessel Van Der Kolk: Il corpo accusa
il Colpo….........................................................................................29
3.4. Il Trauma come dissociazione nella prospettiva di Onno Van Derk
Hart...................................................................................................34

CAPITOLO 2. TRAUMA E CAMBIAMENTO NELL’APRROCCIO


CLINICO DA PROSPETTIVE DIVERSE

1. Il fondamento della Coherency Therapy…....................................39


2. I principi di base della Coherency Therapy…..................................41
2.1. Il Concetto di Sintomo................................................................43
2.2. I Processi di Cambiamento.........................................................45
2.3. Il riconsolidamento della memoria..............................................48
3. Il Cambiamento nell’approccio Terapeutico nell’ottica della Coherency
Therapy…...................................................................................51
1.1. Identificazione del Sintomo…..........................................................54
1.2. Fasi di scoperta e Integrazione..........................................................55

108
1.3. Fase trasformativa di conoscenza disconfermante...........................58
3. Modalità di promozione di cambiamento….................................................59
3.1. Guidare i processi di giustapposizione...........................................61
3.2. Verificare i cambiamenti confermando di markers di
cancellazione.................................................................................63
3.3. I processi di nuovi apprendimenti emotivi.....................................64

CAPITOLO 3. TRAUMA E CAMBIAMENTO NELL’APPROCCIO


DELL’ANALISI TRANSANZIONALE

1. Trauma e cambiamento nella Analisi Transazionale....................................68


2. I concetti di base dell’Analisi Transazionale................................................69
2.1. Il concetto di stato dell’Io.................................................................70
2.2. Il modello funzionale.......................................................................71
2.3. Il Modello Strutturale.......................................................................74
2.3.1. La patologia degli stati dell’Io…..............................79
3. Il cambiamento nell’Analisi Transazionale..................................................81
3.1. La costruzione del contratto…..........................................................81
3.2. Il lavoro sul copione.........................................................................83
3.3. La teoria della ridecisione.................................................................87
4. Le riflessioni critiche....................................................................................91
Conclusione.................................................................................................96
Bibliografia....................................................................................................98
INDICE........................................................................................................107

109

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