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Quodlibet Studio

Imre Toth

Imre Toth La filosofia della matematica di Frege


Analisi filosofiche

Il nome di Gottlob Frege è spesso ricordato come quello del fondatore La filosofia della matematica di Frege
del logicismo – che segna una rottura di paradigma dopo l’incontrastato
dominio del modello aristotelico – e anche del grandfather della filosofia Una restaurazione filosofica,
analitica per i suoi studi sul linguaggio. Dell’impresa fondazionale di una controrivoluzione scientifica
Frege si tende spesso a constatare i limiti, ma di rado si è osato mettere
in dubbio il carattere “rivoluzionario” della sua filosofia della logica e
della matematica. Eppure, di fronte alle geometrie non euclidee, le radi- Quodlibet Studio
cali tendenze innovative del logico di Jena subirono un arresto: è quanto
sostiene il grande storico della matematica Imre Toth nel saggio che qui
si presenta come un contributo per molti versi “eccentrico” nella vasta
letteratura critica su Frege.
Per Toth, la geometria non euclidea non soltanto rappresentò uno scon-
volgimento senza precedenti nella storia della matematica, ma fu anche
una sorta di boccata d’aria per coloro che aspiravano a una verità senza
dogmi e a conseguire uno spazio di libertà anche all’interno delle scienze
esatte. A suo avviso la sostanziale incomprensione da parte di Frege del-
la geometria non euclidea costituisce il limite principale del suo sistema,
nell’ambito del quale non sarebbe possibile un’ontologia pluralista ma
avrebbe posto una concezione univoca ed assolutista della verità, con ri-
verbero sulle sue opinioni politiche e sociali. A differenza della maggior
parte degli studi critici più recenti, il saggio tothiano pone in evidenza
elementi di “arcaicità” ed errori presenti nelle opere del logico tedesco
e indica le difficoltà dello stesso paradigma logicista rispetto ad altre
forme di fondazionalismo matematico, da quelle formaliste di Hilbert a
quelle di Cantor, di Peano o di Dedekind.

Imre Toth (Satu Mare, Romania 1921 - Parigi 2010) proveniva dalla minoranza
ebreo-ungherese della Transilvania. Ha insegnato Filosofia e Storia della matematica
presso le università di Bucarest, Francoforte, Bochum e Regensburg e tenuto corsi pres-
so l’Institute for Advanced Study di Princeton, l’Istituto Italiano di Studi Filosofici di
Napoli e l’École Normale Supérieure di Parigi. Ha studiato soprattutto il rapporto tra
creazione matematica e pensiero filosofico antico e moderno, con particolare attenzione
alle geometrie non euclidee. Tra le sue opere tradotte in italiano: I paradossi di Zenone
nel Parmenide di Platone (1994), Aristotele e i fondamenti assiomatici della geometria
(1997), Essere ebreo dopo l’olocausto (2002), La filosofia e il suo luogo nello spazio
della spiritualità occidentale (2007).

isbn 978-88-7462-740-0

20,00 euro QS
Quodlibet Studio
Analisi filosofiche
Imre Toth
La filosofia della matematica di Frege
Una restaurazione filosofica,
una controrivoluzione scientifica

A cura di Teodosio Orlando

Quodlibet
Prima edizione: ottobre 2015
© 2015 Quodlibet
Via Santa Maria della Porta, 43 - 62100 Macerata
www.quodlibet.it
Stampa a cura di pde Promozione srl presso lo stabilimento di Legodigit srl - Lavis (tn)

isbn 978-88-7462-740-0

Analisi filosofiche
Collana diretta da Rosaria Egidi

Titolo originale: La philosophie mathématique de Frege. Restauration philosophique et


contre-révolution scientifique, in Liberté et vérité. Pensée mathématique et spéculation phi-
losophique, Éditions de l’éclat, Paris-Tel Aviv 2009, pp. 61-142.
Traduzione dal francese di Teodosio Orlando.

Comitato scientifico
Robert Audi (University of Notre Dame), Giovanna Corsi (Università di Bologna), Mario
De Caro (Università Roma Tre), Massimo Dell’Utri (Università di Sassari), Herbert Hoch-
berg (University of Texas at Austin), Diego Marconi (Università di Torino), Brian McGuin-
ness (Università di Siena e Oxford), Georg Meggle (Universität Leipzig), Kevin Mulligan
(Université de Genève), Sandro Nannini (Università di Siena), Paolo Parrini (Università di
Firenze), Eva Picardi (Università di Bologna), Joachim Schulte (Universität Zürich), Paolo
Spinicci (Università di Milano), Erwin Tegtmeier (Universität Mainz).
Indice

7 Prefazione
di Teodosio Orlando

La filosofia della matematica di Frege


13 1. Matematici e filosofi contro la geometria non euclidea
21 2. Frege: tradizione e modernità
25 3. Unicità dell’essere e della verità. Priorità dell’essere rispetto al
sapere
28 4. Matematica e geografia: analogia della loro struttura epistemica
33 5. Il teorema di Saccheri e la simultaneità ontologica di domini
d’essere geometrici opposti
38 6. La struttura ontologica ed epistemologica del cammino del pen-
siero matematico. Il non essere precede l’essere
48 7. Contro il formalismo e il creazionismo. La teoria matematica a
confronto con la sua parabola storica
56 8. Gli Elementi di Euclide come ideale epistemologico del sistema
unico
60 9. Il soggetto trascendentale. La genealogia neoplatonica della filo-
sofia della matematica
63 10. La geometria nella prospettiva di Frege
69 11. La logica non euclidea nella storia della libertà
73 12. Frege, la libertà del soggetto e la geometria non euclidea
78 13. Noterelle politiche. Per un’«elaborazione ulteriore»
6 indice

85 Appendice

99 Postfazione
Fondazione della geometria, semantica e verità. Imre Toth e
Gottlob Frege
di Teodosio Orlando

165 Bibliografia
183 Indice dei nomi
Prefazione

La presente traduzione del saggio di Imre Toth La philosophie


mathématique de Frege. Restauration philosophique et contre-révolu-
tion scientifique è stata da me condotta sul testo apparso nel libro di
Toth Liberté et vérité. Pensée mathématique et spéculation philoso-
phique, di cui costituisce la seconda parte1. Rispetto alla monografia
inclusa in Liberté et vérité il testo qui pubblicato presenta solo minime
variazioni, consistenti sostanzialmente in alcune rettifiche di citazioni2.
Mi sia consentito qui di ricordare brevemente le occasioni che
hanno segnato il mio rapporto con l’illustre studioso. Il mio incontro
con Toth fu determinato precisamente da un seminario di argomento
fregeano che egli tenne dal 12 al 16 luglio del 1993 a Napoli, pres-
so l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, e che de facto costituì
la prima occasione in cui mi sia occorso di confrontarmi realmente
con la sua interpretazione delle dottrine fregeane e della storia delle
geometrie non-euclidee. Tali temi, che ritroveremo tutti nel presente
libro, divennero l’argomento di numerose conversazioni che da allo-
ra venni intrattenendo con Toth, ora a Parigi, ora a Roma, a Napoli
o a Firenze, durante le quali egli fu sempre prodigo di delucidazioni e
fonte inesauribile di dettagli teorici e storici. Nelle conversazioni che

1 Éditions de l’éclat, Paris-Tel Aviv 2009, pp. 61-142. Il primo saggio intitolato La

philosophie et son lieu dans l’espace de la spiritualité occidentale (pp. 7-60) forma con
il secondo un ideale dittico all’insegna del binomio libertà e verità, dove per libertà si
intende quella del soggetto della speculazione filosofica e per verità quella garantita dalla
matematica nel suo senso più ampio. Di questo primo saggio esiste una traduzione italiana
a cura di Romano Romani (Toth 2007).
2 Una prima stesura parziale del testo francese era già apparsa per la prima volta

con il titolo La philosophie mathématique de Frege et la “moderne Mathematik” de


Dedekind, Cantor et Hilbert nella raccolta Logic and Philosophy in Italy: Some Trends and
Perspectives, Polimetrica, International Scientific Publisher, Monza 2006, pp. 267-308.
8 teodosio orlando

ebbi con lui, egli espresse più volte il desiderio che il suo saggio ve-
nisse tradotto in italiano, ma per altri versi auspicò anche un suo am-
pliamento, a cui ebbe poco tempo per lavorare, essendo impegnato
nella stesura di altri lavori su Platone e Aristotele che lo occuparono
fino alla morte, avvenuta nel maggio 2010.
Dopo la pubblicazione di Liberté et vérité nel 2009, Toth mi tra-
smise in formato elettronico del materiale inedito consistente essen-
zialmente in testi di variabile lunghezza da inserire, come integrazio-
ni e/o chiarimenti, in alcuni punti del suo saggio originario su Frege.
Tale materiale è qui incluso nell’Appendice apposta al termine della
traduzione italiana del saggio tothiano e pubblicato nell’originale
francese, con una mia versione in italiano. Nel saggio francese qui
tradotto il rimando ai testi contenuti nell’Appendice è indicato in
note a piè di pagina relative a ciascuno dei passi trasmessi.
Per utilità del lettore ho inserito in nota le citazioni per esteso, nel-
le lingue originali, dei passi di Frege e di altri filosofi menzionati nel
testo. Ho anche segnalato, ove necessario, le difformità rispetto alle
citazioni di testi fregeani fatte dall’Autore e talvolta «improvvisate».
Altri miei interventi sono limitati a correzioni di sviste e all’individua-
zione più precisa di alcuni passi, con riferimenti alle edizioni critiche.
In vari casi ho aggiunto delle note finalizzate a chiarire alcuni aspetti
tecnici di filosofia della matematica e seguite dalla dizione [N.d.T.].
La bibliografia, unificata al termine del volume, contiene, rispetto
all’originale francese, sia tutte le opere citate da Toth (con l’indica-
zione esatta dell’editore, della data di pubblicazione e delle pagine a
cui rimanda, seguita ovviamente dal riferimento alle eventuali tradu-
zioni italiane), sia le opere citate nella mia Postfazione, ivi compresi i
più importanti lavori di Toth in materia di filosofia della matematica,
sia altre opere pertinenti consultate.

Nel licenziare il presente volume, vorrei rivolgere un particolare


ringraziamento alla prof. Rosaria Egidi, per aver creduto in questo
lavoro e per il costante supporto: la sua inestimabile competenza e
scholarship su Frege e sul contesto dei dibattiti intorno alla filosofia
della logica e della matematica è stata preziosissima perché il lavoro
andasse a buon fine. Un ringraziamento doveroso va anche al prof.
Romano Romani, che ha benevolmente approvato e seguito i vari
passi dell’«impresa». Ringrazio altresì Mariannina Failla e Daniela
prefazione 9

Romani per l’incoraggiamento continuo: senza la loro insistenza e


il loro sostegno probabilmente questo lavoro non avrebbe visto la
luce. Ho poi approfittato della lettura attenta del testo condotta da
Angela Ales Bello, Claudio Bartocci, Giuseppe D’Acunto, Mario De
Caro, Marco Valerio Di Schiena, Francesca Ervas, Francesco Fanelli,
Micaela Latini, Italo Nobile, Mario Piazza, Fiorenza Toccafondi
e Marco Trainito, i quali sono stati prodighi di consigli e utili
suggerimenti. Un ringraziamento particolare va infine al prof. Remo
Bodei, che ha letto il manoscritto nelle ultime bozze, esprimendo il
suo apprezzamento e fornendo utili consigli.
t.o.
La filosofia della matematica di Frege
Sono stato indotto allo studio della filosofia della matematica di
Frege in seguito alle mie ricerche concernenti l’ampia controversia
che ebbe luogo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, intorno
alla geometria non euclidea. Frege apparteneva al campo degli avver-
sari della nuova geometria. Non era però il solo.

1. Matematici e filosofi contro la geometria non euclidea

Nella pattuglia di questi avversari si può incontrare Georg Cantor,


che protestava contro ogni tentativo di paragonare la creazione dei
numeri transfiniti a quelle che gli sembravano «speculazioni metama-
tematiche, a quelle fantasticherie “non-euclidee”», come le chiama-
va. Vi si ritrova il grande studioso di geometria Arthur Cayley, la cui
opera costituì in seguito, paradossalmente, una delle fonti più impor-
tanti dello sviluppo ulteriore della geometria non euclidea; lui stesso,
tuttavia, rifiutava di accordare lo statuto scientifico di geometria a
ciò che designava sarcasticamente come una «quasi-geometria». O
ancora, Charles Lutwidge Dodgson, lecturer al Christ Church Colle-
ge di Oxford (meglio conosciuto con lo pseudonimo, Lewis Carroll),
e Augustus de Morgan, suo amico e celebre matematico, i quali era-
no d’accordo sul fatto che la geometria nella quale la somma degli
angoli di un triangolo è uguale a due retti «is a very English subject»,
cosicché «gli eretici che respingono questa ortodossia si trovereb-
bero al punto estremo di qualsiasi eresia». E ricordavano che per-
fino monsignor John William Colenso, vescovo anglicano di Natal,
in Sudafrica, scomunicato per eresia dalla Chiesa d’Inghilterra per
aver predicato l’uguaglianza dei neri, aveva pubblicato un’opera di
geometria dove la verità dei teoremi euclidei rimaneva incontestata.
14 la filosofia della matematica di frege

Tutti i grandi matematici russi del XIX secolo, come Viktor


Jakovlevič Bunjakovskij, ma anche Vasilij Jakovlevič Zinger, fonda-
tore della celebre scuola geometrica di Mosca, rigettarono la geo-
metria non euclidea. Michail Vasil’evič Ostrogradskij, una sorta di
«Lagrange» russo, parlava con il più profondo disprezzo di Nikolaj
Ivanovič Lobačevskij, autore di quella che definiva una «caricatura
della geometria», e al quale egli riservava senza esitazione la qua-
lifica di «ignaro di matematica». Solo il suo collega Pëtr Ivanovič
Kotelnikov, professore di meccanica celeste presso l’Università di Ka-
zan, nel 1842 gli dedicò un discorso di omaggio elogiativo e intravide
nella geometria di Lobačevskij uno strumento potente di emancipa-
zione spirituale, situato nell’orizzonte della filosofia hegeliana della
libertà. Ma il lavoro di Kotelnikov fu completamente ignorato, e lo
è tuttora. Costituì un’eccezione quasi unica e stupefacente, non solo
per la Russia, ma per l’intera comunità planetaria degli scienziati.
Non cantava nel coro: la sua voce di dissenso era quella della prima
rondine che annunzia la primavera.
Lo stesso atteggiamento ostile si riscontra anche in Francia. In una
conferenza tenuta nel 1869 all’Académie Française, Joseph Bertrand,
studioso di geometria di grande reputazione, presentò la geometria
non euclidea come «il capriccio del vizio logico di Lobačevskij». Più
tardi, nel 1915, il celebre fisico ed epistemologo Pierre Duhem pub-
blicò un libro, La scienza tedesca, francamente stupido e mediocre,
nel quale difese la geometria di Euclide con una veemenza poco co-
mune, «in nome dell’esprit de finesse che è lo spirito franco del buon
senso francese». Secondo Duhem, è questo esprit de finesse, specifi-
camente francese, che «giudica come vero ed impone il postulatum
di Euclide. È così che dovete pensare, che dovete parlare – esorta i
suoi lettori – se volete che il vostro pensiero e la vostra parola siano
cristiani. Ma quando, all’interno e all’esterno, il vostro verbo seguirà
questa norma, sarà franco; ovvero penserete, parlerete in francese»1.
Secondo Duhem, al fine di proteggere gli studiosi francesi da tutte le
seduzioni perniciose, verso cui le geometrie non euclidee li avrebbero
sospinti, sarebbe stato necessario mantenere la ragione nel rispetto

1 «C’est ainsi qu’il vous faut penser, qu’il vous faut parler, si vous voulez que votre

pensée et votre parole soient chrétiennes. Mais quand, au-dedans comme au-dehors, votre
verbe suivra cette règle, il sera franc; c’est-à-dire que vous penserez, que vous parlerez en
Français» (Duhem 1915, p. 99).
la filosofia della matematica di frege 15

profondo del buon senso. Per lui, «i tedeschi sconvolgerebbero tutto


ciò», invertendo le condizioni normali della conoscenza umana: egli
arriva a qualificare «il tedesco» come un demente e sostiene che «la
sua ragione è un mostro» (Duhem 1915, p. 71). La teoria della rela-
tività con la sua geometria non euclidea è la sua progenie tipica: «tale
devastazione non ha nulla che possa dispiacere al pensiero germani-
co» (idem, p. 136), i cui prototipi sono – secondo Duhem – Heinrich
Hertz, Albert Einstein ed Hermann Minkowski (Si noti che tutti e tre
erano Ebrei e durante il Terzo Reich venivano citati ovunque come
i rappresentanti tipici di ciò che si designava ufficialmente con l’e-
spressione ingiuriosa di jüdische Physik).
Parallelamente, i filosofi di tutte le scuole condussero una campa-
gna appassionata contro la nuova geometria.
In Germania, i suoi avversari più celebri furono il grande filoso-
fo Hermann Lotze e, nella nuova generazione, Franz Brentano ed
Edmund Husserl2. Ma la voce più forte, più arrabbiata e – occorre
dirlo – anche più grezza e prolissa fu quella del famoso filosofo po-

2 Ma la posizione di Husserl appare oggi più sfumata, soprattutto dopo la pubblicazione

di alcuni inediti dedicati alla geometria e allo spazio. Si veda in particolare Husserl 19832,
pp. 317-347, in particolare p. 317: «Wir hätten dann einen endlich, in sich zurücklaufenden
Raum, und es ist fraglich, ob diese oder die euklidische Raumhypothese richtig ist. Jeden-
falls ist die eine wie andere Annahme logisch gleich zulässig». [«Avremmo allora uno spazio
finito, che ritorna in sé, ed è problematico se sia giusta questa ipotesi sullo spazio o quella
euclidea. In ogni caso l’una come l’altra supposizione sono parimenti ammissibili, da un
punto di vista logico».]. Cfr. anche Husserl 2004, dove l’ipotesi delle geometrie non-euclidee
viene paragonata alla finzione hobbesiana di uno stato di natura nel quale gli uomini sono
dominati esclusivamente da istinti egoistici: anche se fosse una mera ipotesi, sarebbe co-
munque metodologicamente utile per far progredire la scienza della politica; e sembra che
analogamente si possa dire per quanto riguarda il rapporto tra le geometrie non euclidee e il
progresso della matematica. Osserva infatti Husserl: «Um nun die Bedeutung der verschie-
denen Axiome für den ganzen Typus der euklidischen Geometrie herauszustellen, macht der
Geometer hypothetische Ansätze der Art: Wie würde diese Geometrie aussehen, wie würde
sich ihr Satzsystem ändern, wenn z.B. das Parallelenaxiom und so überhaupt dies oder jenes
Axiom nicht gelten würde, wenn stattdessen ein abgewandeltes Axiom eingeführt würde?
Welche Satzsysteme, welche zusammenhängenden Theorien blieben bestehen, welche wür-
den sich und wie würden sie sich ändern?» [«Ora, per evidenziare il significato dei diversi as-
siomi dell’intero modello della geometria euclidea, il geometra elabora abbozzi ipotetici del
tipo: come apparirebbe questa geometria, come muterebbe il suo sistema proposizionale, se,
per esempio, non valessero l’assioma delle parallele o in generale questo o quell’assioma, se
al loro posto fosse introdotto un assioma modificato? Quale sistema proposizionale e quali
teorie connesse rimarrebbero validi, quali muterebbero e in che misura?»] (Husserl 2004, p.
56; trad. it. pp. 55-56) [N.d.T.].
16 la filosofia della matematica di frege

sitivista Eugen Dühring, docente all’Università di Berlino. Nei suoi


corsi universitari, estremamente popolari – soprattutto a causa del
loro antisemitismo sfrenato – e frequentati da centinaia di studenti,
Dühring attribuiva la geometria non euclidea «alla putrefazione di
alcune cellule nel cervello di Gauss» e si dilettava a sommergere gli
aderenti della nuova geometria con un’inondazione di insulti di una
volgarità incredibile3. Si legge tra l’altro in una delle sue opere, a pro-
posito di Gauss: «Il titolo di Hofrath, cioè di consigliere di corte, che
portava questo figlio di capomastro itinerante, spetta a buon diritto
a ogni scienziato kasher, ossia senza carattere, come lo era Gauss.
A questa geometria prostituita ipereuclidea, anti-euclidea, e di fatto
non-matematica che egli ha sviluppato, ho opposto, per quanto mi
compete, la mia propria matematica, aprendo a questa scienza pro-
spettive nuove e decisive»4.
In Francia la campagna contro la geometria non euclidea venne
condotta da Charles Renouvier, autore del Manuale repubblicano
dell’uomo e del cittadino, apparso nel 18485; fu continuata dall’a-
bate Auguste-Théodore-Paul de Broglie, ex allievo dell’École Poly-
téchnique, una delle menti più ragguardevoli del mondo cattolico
francese, e da molti altri che la portarono ulteriormente avanti. Piut-
tosto curiosamente, Paul Lafargue, genero di Karl Marx, fu l’unico
autore filosofico della Francia positivista a pronunciare alcune parole
timide (in un piccolo libro, pubblicato nel 1924 a Char’kov) a favore
della nuova geometria che in precedenza Friedrich Engels aveva trat-
tato con disprezzo e sarcasmo, dato che secondo lui rappresentava la
penetrazione dello spiritualismo clericale nella scienza materialistica
dello spazio.
Bisogna osservare che la Russia, patria di Lobačevskij, accolse
la nuova geometria con un’ostilità forte e quasi unanime. Nelle sue
lettere dalla Siberia, dove era stato deportato, il grande pensatore de-
mocratico russo Nikolaj Gavrilovič Černyševskij combatté con con-

3 È vero che – dopo lunghe e tempestose discussioni pubbliche (tra l’altro Friedrich

Engels aveva anche lui protestato contro ciò che giudicava essere una violazione flagrante
della libertà di parola) – il Senato dell’Università di Berlino gli ritirò la venia legendi, ma
Dühring rimase uno dei grandi maîtres à penser della Germania del suo tempo [N.d.T.].
4 Dühring 1875, p. 68. Cfr. anche Dühring 1884, vol. I, pp. 501-503.
5 Cfr. Renouvier 1904 [Nel testo francese Toth attribuisce, per una svista, a Renouvier

il Catechismo del rivoluzionario, che venne invece redatto da Sergej Gennadievič Nečaev e
Michail Bakunin, e pubblicato nel 1868. N.d.T.].
la filosofia della matematica di frege 17

vinzione profonda la geometria di Lobačevskij come fonte di oscu-


rantismo, nemica dell’emancipazione e della liberazione spirituale del
popolo russo. Elia de Cyon, fisiologo di grande reputazione in tutto
il mondo, ex membro della Prima internazionale diventato difensore
entusiasta del regime zarista, identificò, da parte sua, il darwinismo
e la geometria non euclidea come le due fonti pericolose delle idee
rivoluzionarie che condussero alla rivoluzione del 1905.
La stessa situazione si verificò in Inghilterra. John Cook Wilson,
a suo tempo famoso professore di filosofia a Oxford, peraltro molto
versato in matematica, dedicò tutta una serie di corsi universitari alla
geometria non euclidea, ossia a quella che chiamava «questa nuova
eresia». «Ci tengo a distruggere quest’aborto – ripeteva –, questa mo-
struosità pseudo-matematica moderna» (1969, vol. II, p. 554). Con un
tono più moderato – prova della sua squisita educazione letteraria e
civile – Bertrand Russell adottò un atteggiamento non meno categori-
co contro la nuova geometria: «Le linee che sono rette in uno spazio,
non lo sono nell’altro […]. E ancora, per addentrarci in una discus-
sione più filosofica, due spazi diversi, in particolare quello di Euclide
e quello di Lobačevskij, non possono coesistere nello stesso mondo.
Noi non siamo in grado di decidere della loro divisione, questo è vero,
ma non è men vero che questi due spazi contraddittori tra loro restano
assolutamente incompatibili»6. Cosa che è, d’altronde, completamen-
te falsa, come gli ribatté Henri Poincaré nella sua replica. Intelletto
sensibile, Russell comprese con grande esattezza che la responsabili-
tà di questa deviazione geometrica spetta allo spirito della negativi-
tà: lo spirito della negazione è Satana, il Principe delle Tenebre – Ich
bin der Geist, der stets verneint [Sono lo spirito che sempre dice no],
come si esprime Goethe nel Faust7. Scrive infatti il logico inglese nel
suo The Metaphysician’s Nightmare. Retro me Satanas: «L’ho potuto
incontrare personalmente, e mi sono convinto che il suo corpo è nega-
tivo, e pure il suo spirito è pura negatività. Sono rimasto colpito dallo
spettacolo: egli è dunque il nulla puro, il non essere perfetto! E da lui

6 «The straight lines of one space cannot be put into the other […]. Again, to proceed

to a more philosophical argument, two different spaces cannot co-exist in the same world:
we may be unable to decide between the alternatives of the disjunction, but they remain,
none the less, absolutely incompatible alternatives» (Russell 1897, p. 85; trad. it. pp. 97-
98 [modificata]).
7 Goethe 1984, pp. 102-103, verso 1338 (Erster Teil, Studierzimmer).
18 la filosofia della matematica di frege

emana ogni negazione. È circondato da un coro di filosofi sicofanti,


che hanno sostituito il pandiavolismo al panteismo. Ma in realtà basta
denunciarlo in quanto è soltanto una cattiva abitudine linguistica (bad
linguistic habit). Retro me Satanas! Ormai non mi servirò più della pa-
rola “non”. Ascoltate questo grande comandamento: “Non utilizzerai
affatto la parola NON!”. Evitate la parola “non”, e l’impero di Satana
cesserà d’un solo colpo, come per magia!»8.
Negli Stati Uniti, il famoso filosofo kantiano Paul Carus mise le pa-
gine della prestigiosa rivista filosofica The Monist, di cui fu fondatore
ed editore, a disposizione degli oppositori della geometria non eucli-
dea, contro la quale si pronunciò anche John Bernard Stallo, filosofo e
uomo politico di grande autorità. Egli scrive nel suo The Concepts and
Theories of Modern Physics, del 1882, tradotto in francese e in tedesco
immediatamente dopo la sua pubblicazione: «leggendo Riemann si è
colpiti dalla sua ignoranza in relazione alla logica e dal carattere grezzo
delle sue speculazioni»9; e conclude la sua prolissa esposizione con la
seguente facezia riassuntiva: «Le superfici pseudo-sferiche [non eucli-
dee] sarebbero immaginabili da esseri non euclidei aventi gli organi sen-
soriali non euclidei, e dotati d’intelligenza non euclidea in uno spazio
non euclideo curvo, ammesso che ve ne sia uno» (Stallo 1960, p. 260).

8 Russell 1954, pp. 31-34; trad. it. pp. 43-47. Riportiamo qui di seguito il testo inglese

originale, da Toth parzialmente citato e parzialmente parafrasato: «At the very centre
of the infernal kingdom is Satan, to whose presence only the more distinguished among
the damned are admitted. The improbabilities become greater and greater as Satan is ap-
proached, and He Himself is the most complete improbability imaginable. He is pure
Nothing, total non-existence, and yet continually changing. I, because of my philosophical
eminence, was early given audience with the Prince of Darkness. I had read of Satan as
der Geist der stets verneint, the Spirit of Negation. But on entering the Presence I realized
with a shock that Satan has a negative body as well as a negative mind. […] Every negation
emanates from Him and returns with a harvest of captured frustrations. […] He is sur-
rounded by a chorus of sycophantic philosophers who have substituted pandiabolism for
pantheism. […] The great truth is that the word “not” is superfluous. Henceforth I will not
use the word “not”. […] His shining armour was real and inspired terror, but underneath
the armour there was only a bad linguistic habit. Avoid the word “not”, and His empire is
at an end. […] But at the last, when I denounced Him as a bad linguistic habit, there was a
vast explosion, the air rushed in from all sides, and the horrid shape vanished».
9 «Not only are its statements, both of the problem and of the proposed methods of

solution, crude and confused, but they bear the impress throughout of Riemann’s very
imperfect acquaintance with the nature of logical processes and even with the import of
logical terms» (Stallo 1960, p. 259). La traduzione nel testo è un adattamento riassuntivo
di queste espressioni [N.d.T.].
la filosofia della matematica di frege 19

Intorno al 1900 il numero dei matematici e filosofi che avevano ac-


cettato la geometria non euclidea superava appena la dozzina: Eugenio
Beltrami, Hermann von Helmholtz, Otto Liebmann, Sophus Lie, Felix
Klein, William Kingdon Clifford, David Hilbert, Richard Hönigswald,
Moritz Pasch, Giuseppe Peano, Charles Sanders Peirce, Henri Poincaré,
monsignor Paul Mansion e alcuni altri studiosi sparsi per il mondo. Era
una minoranza trascurabile – è vero – ma, come dice un celebre motto
latino: «non numerare, sed ponderare» (non contare, ma valutare).
Occorre anche ricordare che i filosofi neokantiani della Scuo-
la di Marburgo furono i primi a prendere sul serio e a interessarsi
della geometria non euclidea. In uno studio pubblicato nel 1871,
Otto Liebmann, fondatore della scuola neokantiana di Marburgo
e collega di Frege all’Università di Jena, uomo di notevole cultura
e di squisita sensibilità matematica, utilizzò per la prima volta l’e-
spressione «rivoluzione scientifica» per designare la geometria non
euclidea. Rivoluzione nel senso della libertà, della creazione libera
di un soggetto; si tratta di una geometria – per ricordare una nota
espressione di Henri Poincaré – totalmente liberata dalla tirannia del
mondo esterno, ossia dalla tirannia di qualsiasi intuizione spaziale.
Qui si tratta di uguaglianza, di pari diritti di cittadinanza nell’u-
niverso dell’epistéme; di fraternità: la geometria euclidea e quella
non-euclidea sono collegate tra loro da un legame indissolubile di
reciproca e mutua coerenza; se una delle due è coerente, l’altra, il suo
opposto, deve anch’essa essere necessariamente coerente. Frege ha
preso categoricamente posizione contro la rivoluzione non-euclidea,
trovandosi quindi non soltanto in ottima compagnia, fra i più insigni
matematici e filosofi del suo tempo, ma anche nel campo della mag-
gioranza democratica assoluta.
Tra gli avversari della geometria non-euclidea la posizione di Fre-
ge è comunque particolarmente significativa, e rappresenta in defi-
nitiva una caratteristica unica: egli fu certamente il più tenace, com-
battivo e intransigente di costoro. Costituiva un punto focale, che
accumulava in sé la totalità delle argomentazioni ostili alla geometria
non euclidea, disperse nel campo caotico delle opinioni.
Frege rappresentò certamente la nave ammiraglia dell’armada in-
vestita della missione di distruggere la geometria non euclidea.
Quel che assegna al punto di vista di Frege questa posizione privi-
legiata in tutta la grande controversia sulla geometria non euclidea,
20 la filosofia della matematica di frege

di lunghissima durata (dal 1860 fino agli anni ’30 del Novecento), è,
ovviamente, la sua competenza professionale straordinaria, in quanto
egli fu il fondatore rivoluzionario della logica moderna e l’iniziatore
delle ricerche autonome sui fondamenti della matematica. Fu anche
uno di coloro che contribuirono in modo decisivo all’eliminazione
dello psicologismo dall’epistemologia matematica. Last but not least,
in quanto antenato fondatore della grande corrente di pensiero del-
la razionalità scientifica, egli è implicitamente la figura emblematica
della filosofia analitica.
Considerato il più grande logico dopo Aristotele, fu anche il suo
genio logico a permettergli di svelare la struttura nascosta dei ragio-
namenti che hanno condotto i matematici contemporanei alle nuove
concezioni riguardanti, ad esempio, i numeri irrazionali e i fondamenti
assiomatici della geometria. Parimenti, Frege riuscì anche a mettere
in piena luce l’incompatibilità di quest’avanzamento del pensiero ma-
tematico con i princìpi della logica classica che poi erano i suoi stessi
princìpi. Ma furono soprattutto i suoi princìpi etici, il suo tradiziona-
lismo intransigente («Con le delucidazioni concernenti l’impiego dei
vocaboli “assioma” e “definizione”, io penso di restare nella scia della
rispettabile tradizione maturata con il tempo [im Gleise des Alther-
gebrachten], e di disporre del diritto di esigere di non instaurare la
confusione introducendo un uso completamente nuovo»10), nonché la
sua fedeltà incrollabile ai princìpi metafisici dei tempi passati che lo
determinarono ad opporsi fermamente a ciò che designava sarcasti-
camente con la formula «la matematica moderna», la quale, secondo
le sue previsioni, avrebbe contaminato la scienza con quella malattia
fatale che egli chiamò morbus mathematicorum recens.
Nella sua filosofia e nel suo atteggiamento nei confronti della co-
noscenza matematica, rimase irriducibilmente fedele alla tradizione,
in opposizione ostinata a qualsiasi nuova idea che riguardasse i fon-
damenti della matematica. L’eccezione è costituita dalle sue ricerche
nel campo della logica: la sua Begriffsschrift (Ideografia), apparsa nel
1879, fu un’innovazione rivoluzionaria irreversibile che non mancò
di conquistare il mondo.

10 «Ich glaube mit meinen Ausführungen über den Gebrauch der Wörter “Axiom” und

“Definition” mich im Gleise des Althergebrachten zu bewegen und mit Recht verlangen
zu können, daß man nicht durch einen ganz neuen Gebrauch Verwirrung stifte» (Frege
1906a, p. 295; rist. in Frege 19902, p. 283).
la filosofia della matematica di frege 21

2. Frege: tradizione e modernità

Il rifiuto categorico della geometria non euclidea non è, per Frege,


un semplice avvenimento aleatorio, un dettaglio biografico minore,
ma la conseguenza necessaria di un intero sistema di pensiero – siste-
ma ambizioso, altrettanto esaustivo quanto esigente: la sua argomen-
tazione è fondata ampiamente ed esplicitamente su una filosofia della
matematica dettagliata, chiara e precisa.
Sebbene Frege non abbia mai dato una presentazione indipenden-
te e sistematica della sua filosofia, questa è esposta in modo espli-
cito e particolareggiato proprio nei suoi saggi sui fondamenti della
geometria, pubblicati nello Jahresbericht der Deutschen Mathemati-
ker-Vereinigung (Frege 1903b e 1906a), ma anche nei suoi libri sui
fondamenti dell’aritmetica. Un secolo dopo la loro pubblicazione,
occorre peraltro constatare che questi testi sono rimasti praticamente
sconosciuti nella vasta letteratura esegetica del pensiero fregeano.
I princìpi fondamentali di questa filosofia vennero formulati da Fre-
ge in modo indiretto e polemico, nel quadro, segnatamente, del suo
confronto critico con le teorie di Weierstraß, Dedekind, Cantor, Hilbert
e di altri matematici contemporanei, teorie inconciliabili con l’onto-
logia e l’epistemologia tradizionali, professate queste ultime da Frege.
Niente, fino alla più piccola pagliuzza nell’occhio dell’avversario,
sfuggì al suo sguardo implacabile.
Frege ebbe un carattere morale fermo, inflessibile; rettitudine,
probità, sincerità, onestà erano le sue caratteristiche fondamentali.
Egli era profondamente convinto che la sua filosofia rappresentasse
la scienza pura, la verità, dunque, e che la verità scientifica fosse
anche il criterio supremo dei valori morali. Non poteva ammettere
che, dopo aver rivelato pubblicamente le sue teorie sulla verità in
matematica, gli autori da lui criticati ignorassero le sue concezioni e
continuassero a perseverare diabolicamente nel peccato. In materia
di verità, si rivelò irriducibile. Il suo carattere era incorruttibile, la
sua critica acuta e rigorosa: non tollerava il minimo compromesso,
giacché non accordava alcuna concessione a quelli che esitavano ad
accettare la verità scientificamente fondata, che egli offriva loro. La
tolleranza non era certamente il suo vizio preferito.
Ma era precisamente la creazione libera degli oggetti e, a fortiori,
dei mondi e dei domini ontici autonomi quello che si proponevano di
22 la filosofia della matematica di frege

realizzare i suoi contemporanei: si tratta di scienziati quali Dedekind,


Weierstraß, Cantor, Hilbert e altri autori che Frege designava come
«matematici moderni». D’altronde, egli utilizzava la parola «moder-
no» soltanto in senso peggiorativo, attribuendole sempre la stessa
connotazione del vocabolo «moda» (termine di cui supponeva – a
torto – che avesse la stessa radice etimologica di «moderno»), espres-
sione della frivolezza e della bruttezza imposta come bellezza («la
consuetudine comune, infatti, ha una forza legittimante, come ad
esempio la moda, che è in grado di imprimere il timbro della bellez-
za al costume più brutto»11). La matematica moderna, secondo lui,
sarebbe una sorta di malattia ridicola o piuttosto di futilità passegge-
ra: un morbus mathematicorum recens12. «Non si è ancora usciti da
questi esecrabili (gräßlich) tempi moderni?»13, poneva la domanda
retorica nella sua polemica contro Hilbert (Frege 1906a). E ciò che
questi matematici moderni chiamano creazione per Frege non è in
verità se non «stregoneria» [anzaubern] (Frege 1893, p. XIII; trad. it.
1965, p. 484; trad. it. 1995, p. 12); «inganno» [Täuschung] (Frege
1903a, p. 93; trad. it. 1965, p. 528); «prestidigitazione sorprenden-
te, bluff» [verblüffendes Taschenspielerstück, Taschenspielerkunst-
griff] (Frege 1903a, pp. 143-144); «gioco di prestigio logico» [logi-
sche Taschenspielerei] (Frege 1903b, p. 321; rist. in Frege 19902, p.
263; Frege 1976b, p. 62; trad. it. p. 47); «fumisteria vana e futile» o
«mera parvenza» [eitel Schein und Dunst] (Frege 1884, p. 102; trad.
it. p. 34); «fata morgana» [Luftschloss(e)] (Frege 1903a, p. 127);
«elucubrazioni fantasmagoriche, fantasmi» o «chimere soggettive»
[Hirngespinnste] (Frege 1884, p. 105; trad. it. p. 344,); e, infine, pura
affabulazione che come tale appartiene al dominio della poesia e non
a quello della scienza (Frege 1903a, p. 130).
Per parafrasare le parole dello stesso Frege, «la nuova concezione
degli assiomi del signor Hilbert e soprattutto la sua pretesa di avere
dimostrato l’indipendenza logica dell’assioma delle parallele» (che

11 «Denn das allgemein Übliche hat eine rechtfertigende Kraft, wie ja die Mode der

hässlichsten Tracht den Stempel der Schönheit aufzudrücken vermag». [«La consuetudine
comune, infatti, ha una forza legittimante, proprio come pure la moda dei più sgradevoli
addobbi può esprimere il canone della bellezza».] (Frege 1903a, p. 71; trad. it. 1965, p.
504 [modificata]).
12 Cfr. Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 241; trad. it. p. 359.
13 «Sind wir denn noch immer nicht aus dieser gräßlichen modernen Zeit heraus?»

(Frege 1906a, p. 297; rist. in Frege 19902, p. 284).


la filosofia della matematica di frege 23

sarà, secondo Hilbert, identico all’assioma di Euclide) costituiscono


«un errore grossolano» (grober Irrtum), che introduce «un’oscurità
misteriosa» (geheimnisvolles Dunkel) nella geometria. La chiarezza
del resto rappresentava per Frege la virtù suprema del pensiero mate-
matico, ignorata apertamente dai matematici moderni, a cominciare
da Hilbert. Sicché, richiamandolo all’ordine, gli lanciava un’esorta-
zione severa con il tono imperativo che era suo: «Klarheit! Klarheit!
Klarheit!» (Frege 1906a, p. 297; rist. in Frege 19902, p. 285).
Al fine di confutare il creazionismo dei formalisti, Frege introduce
alcuni esempi concreti, adeguati, a suo avviso, a fornire una prova
perentoria della sua tesi per cui il soggetto non è libero di definire e di
creare nuovi numeri a suo piacimento. Nella scelta dei suoi esempi,
che faranno risaltare l’assurdità del creazionismo matematico, egli ha
dato prova di un notevole sense of humour.
Peraltro, il solo esempio la cui confutazione è ampiamente esposta
e commentata si trova nei Fondamenti dell’aritmetica, al § 96 (Frege
1884, pp. 98-99; trad. it. pp. 336-337).
Nel suo argomento egli ricorre ad una strategia prolettica, figura
preferita della sua retorica: espone l’argomentazione di domani del
suo interlocutore, per ridurlo all’assurdità e così rallegrarsi già oggi
del suo fallimento.
In nome dei formalisti, Frege, assumendo il ruolo di advocatus dia-
boli, propone di definire un numero x che soddisfi le due relazioni se-
guenti formulate in maniera arbitraria: x+1=2 e x+2=1. Ma come – si
dirà – sono due relazioni aritmetiche che si contraddicono reciproca-
mente! Ovviamente, tra i numeri che ci sono familiari – i numeri na-
turali, reali o complessi – è impossibile trovarne uno qualunque, «x»,
che possa soddisfare le due relazioni simultaneamente. «Certo! Ma che
importa! – egli esclama alla stregua dei formalisti. Lasciateci introdurre
un segno che risolverà il problema. Ampliamo il nostro sistema nu-
merico e lasciateci creare nuovi numeri che soddisfino alla condizione
richiesta! Ciò fatto resteremo poi in attesa di qualcuno che sia in grado
di dimostrare l’incoerenza di questo nuovo sistema. Chi può prevedere
tutto ciò che è ancora possibile nel nuovo dominio numerico?»14.

14 «Aber erweitern wir doch unser Zahlsystem, schaffen wir doch Zahlen, die den An-

forderungen genügen! Warten wir ab, ob uns jemand einen Widerspruch nachweist! Wer
kann wissen, was bei diesen neuen Zahlen möglich ist?» (Frege 1884, p. 98; trad. it. p. 336
[modificata in base al testo dello stesso Toth]).
24 la filosofia della matematica di frege

Benché gli sembrasse che la creazione di un numero che possa


sostituire il segno x nelle due relazioni date costituisse l’impossibilità
in persona, Frege ci teneva tuttavia ad aggiungere esplicitamente, e
con il tono imperativo dell’interdizione che amava tanto, che un tale
atto di creazione è per sempre irrealizzabile: «No. Il matematico non
può creare qualcosa ad arbitrio, proprio come non lo può il geogra-
fo. Sia l’uno che l’altro possono soltanto scoprire quel che già esiste,
e dargli un nome»15. Questo modesto esempio – senza parlare della
retorica appassionata della sua protesta – gli è sufficiente come prova
perentoria dello scacco evidente del formalismo e del creazionismo.
Tuttavia, la scelta dell’esempio non è stata felice.
Il dominio ontico autonomo di cui egli proponeva la creazione
ai formalisti della sua epoca, nella certezza che costoro avrebbero
ammesso l’impossibilità di riconoscere implicitamente il loro scacco
– ossia i numeri 1, 2 e x –, esisteva già da due millenni e la sua teoria
è esposta nel libro IX degli Elementi di Euclide: si tratta della teoria
deduttiva della parità, la prima teoria deduttiva rigorosa della storia,
dovuta d’altronde ai Pitagorici. E se si legge il segno 1 come dispari
e il segno 2 come pari, è evidente che il segno x deve essere sostituito
con il segno 1 o con la parola «dispari». Dunque: 1+1=2, 1+2=1 (di-
spari e dispari danno pari; dispari e pari danno dispari).
La stessa relazione tra pari e dispari è introdotta da Platone nel
suo Ippia maggiore (303B-C), come qualcosa che ha una struttura
algebrica simile alla relazione tra grandezza irrazionale e razionale16.

15 «Nein! auch der Mathematiker kann nicht beliebig etwas schaffen, so wenig wie der

Geograph; auch er kann nur entdecken, was da ist, und es benennen» (Frege 1884, p. 98;
trad. it. pp. 336-337).
16 «Socrate: Dunque, Ippia, a quale dei due casi ti pare che appartenga il bello? A

quello che dicevi tu, cioè se io sono forte, e lo sei anche tu, lo siamo anche entrambi, e
se tu ed io siamo giusti, lo siamo anche entrambi, e se entrambi, lo è anche ciascuno sin-
golarmente; così, se tu ed io siamo belli, lo siamo anche entrambi, e, se entrambi, anche
ciascuno singolarmente? O nulla impedisce che sia come per i numeri, nei quali, essendo
due numeri insieme pari, ciascuno dei due può essere sia dispari sia pari; e d’altra parte, es-
sendo ciascuno dei due irrazionale, gli insiemi possono essere sia razionali, sia irrazionali;
così innumerevoli altri casi simili che mi apparivano, come dicevo? In quale dei due gruppi
poni il bello? O anche tu la pensi come me su questo punto? Infatti a me sembra molto
irragionevole che entrambi insieme siamo belli e presi singolarmente non lo siamo, o che
lo siamo presi singolarmente e insieme no e qualsiasi altro esempio simile. La pensi come
me o in qual modo?» (Platone, Ippia maggiore, in Platone 1970, vol. I, pp. 277-278 [trad.
modificata]. Cfr. anche Platone 2000, p. 993) [N.d.T.].
la filosofia della matematica di frege 25

3. Unicità dell’essere e della verità. Priorità dell’essere rispetto al


sapere

Il fondamento della filosofia di Frege è il postulato metafisico


dell’unicità e della priorità ontica dell’essere. Il principio fondamen-
tale della sua epistemologia enuncia di conseguenza l’unicità della
verità e la posteriorità esistenziale del sapere. Nel processo della co-
noscenza matematica, la priorità spetta, ovviamente, all’oggetto la
cui esistenza preliminare è garantita; il segno, la parola, il sapere,
la conoscenza dell’oggetto sono posteriori al suo essere. Per quanto
riguarda la matematica, essa rappresenta per eccellenza la scienza in
cui sia il suo dominio d’essere, sia il suo dominio epistemico sono
entrambi sottoposti al più rigoroso regno dei princìpi della logica.
La conoscenza matematica è perciò, secondo Frege, il risultato di
un atto di scoperta ulteriore, giacché l’oggetto del sapere matemati-
co preesiste al di fuori e indipendentemente dal soggetto; è anterio-
re rispetto a ogni atto cognitivo. Infatti, la conoscenza matematica
produce il vero sapere scientifico precisamente perché è il risultato
di una scoperta, di una percezione immediata e diretta dell’oggetto
preesistente e delle sue proprietà17. Sebbene non materiali, e dunque
inaccessibili ai nostri organi di senso, gli oggetti aritmetici non sono
tuttavia – Frege ritorna più volte su questo punto – fantasmagorie
soggettive (subjective Hirngespinnste), poiché «non vi è nulla di più
oggettivo che le leggi dell’aritmetica»18.
Per Frege – occorre sottolineare – il soggetto va considerato sem-
pre da un punto di vista puramente psicologico, ed è sinonimo del
soggetto individuale della demografia19, di ciò che Meister Eckhart

17 Frege 1884, p. 104; trad. it. p. 344; cfr. anche Frege 1903a, pp. 161-162; trad. it.

1965, pp. 564-565.


18 Riportiamo il passo preciso di Frege: «Und doch, oder vielmehr grade daher sind

diese Gegenstände nicht subjective Hirngespinnste. Es giebt nichts Objectiveres als die
arithmetischen Gesetze». [«Eppure, malgrado questo loro carattere razionale, anzi proprio
a causa di esso, gli oggetti dell’aritmetica non sono chimere soggettive. Proprio al contra-
rio: non vi è nulla di più oggettivo che le leggi dell’aritmetica».] (Frege 1884, p. 105; trad.
it. p. 344 [modificata]).
19 Frege 1884, pp. 96-97; trad. it. pp. 333-334; Frege 1914; poi in Frege 19832, p.

223; trad. it. p. 338: «Aber auch hierbei kommt es nicht auf die subjektive, psychologi-
sche Möglichkeit an, sondern auf die objektive. Von unserem Tun kann doch eigentlich
die Wahrheit eines Theorems nicht abhängig sein, die ganz unabhängig von uns besteht».
[«Anche qui, tuttavia, non si tratta di una possibilità soggettiva o psicologica, ma di una
26 la filosofia della matematica di frege

cita come «un certo Henrich e un certo Konrad». «Il numero non è
un’entità psicologica ma qualcosa di oggettivo» (Frege 1884, pp. 7-8
e 96-97; trad. it. pp. 216-217 e 333-334).
«Pertanto, alla parola “enunciato derivato” preferisco il termine
“teorema” e al termine “enunciato primitivo” il termine “assioma”;
per assiomi e teoremi intendo pensieri veri. Si deve aggiungere che il
pensiero non è qualcosa di soggettivo e neppure il prodotto di un’at-
tività psichica. Infatti, il pensiero espresso dal teorema di Pitagora è
lo stesso per tutti e la sua verità è completamente indipendente dal
fatto se sia pensata o no da questa o quella persona. Si deve conside-
rare il pensare non come produttore, generatore del pensiero (nicht
als Hervorbringen des Gedankens), ma piuttosto come la facoltà che
lo afferra (sondern als dessen Erfassen)»20. Ciò che si chiamava e
si chiama tuttora in filosofia «soggetto trascendentale» fu del tutto
sconosciuto a Frege, che piuttosto lo identificava senza esitazione con
il soggetto psicologico individuale. Come al Dottor Faust di Goethe
di fronte al pentagramma mistico, così a lui faceva male la semplice
vista di una parola come «trascendente» o «trascendentale» (Frege
1893, pp. XXII-XXIII; trad. it. 1995, pp. 21-22). Di conseguenza,
qualsiasi tentativo per fondare la conoscenza matematica sul sogget-
to trascendentale21 è qualificato da Frege in senso peggiorativo come
psicologismo, solipsismo e anche idealismo (Frege 1893, pp. XVIII-
XIX; trad. it. 1965, pp. 489-491; trad. it. 1995, pp. 16-17).
Frege ricorda nel II volume dei Grundgesetze der Arithmetik che
egli stesso non ha introdotto alcuna idea nuova22. In effetti, le sue

possibilità obiettiva. La verità di un teorema non può certo dipendere da quel che noi fac-
ciamo; essa sussiste del tutto indipendentemente da noi».].
20 «Ich sage darum nicht „Lehrsatz“, sondern „Theorem“, nicht „Grundsatz“, son-

dern „Axiom“ und verstehe unter Theoremen und Axiomen wahre Gedanken. Hiermit ist
aber auch gesagt, dass der Gedanke nichts Subjektives, kein Erzeugnis unserer seelischen
Tätigkeit ist; denn der Gedanke, den wir im Pythagoräischen Theorem haben, ist für alle
derselbe, und seine Wahrheit ist ganz unabhängig davon, ob er von diesem oder jenem
Menschen gedacht wird oder nicht. Das Denken ist nicht als Hervorbringen des Gedan-
kens, sondern als dessen Erfassen anzusehen» (Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 223;
trad. it. [modificata] p. 337). Cfr. anche Appendice, Testo n. 1.
21 La polemica antipsicologistica e antitrascendentalista è diretta in particolare contro

il filosofo neokantiano Benno Erdmann, uno dei primi sostenitori della geometria non
euclidea [N.d.T.].
22 «So thun wir also mit dieser Umsetzung eigentlich nichts Neues; aber wir thun es

mit vollem Bewusstsein und mit Berufung auf ein logisches Grundgesetz. Und was wir so
la filosofia della matematica di frege 27

idee appartengono al patrimonio di un’epistemologia tradizionale,


quasi folklorica, che si richiama a Euclide: «Non potrò mai sottoli-
neare abbastanza che io mi riferisco soltanto agli assiomi nel senso
euclideo tradizionale quando riconosco in essi una fonte della cono-
scenza geometrica»23 . Ancora: «Vorrei illustrare come segue l’ideale
di un metodo rigorosamente scientifico della matematica che io qui
ho cercato di realizzare, e che si potrebbe ben designare con il nome
di Euclide»24. La filosofia di Frege è completamente identica alla
concezione tradizionale per quanto riguarda lo statuto ontologico ed
epistemologico del sapere matematico.
Spirito fondamentalmente e radicalmente conservatore, Frege re-
spinse con fermezza il sistema democratico della Repubblica di Wei-
mar conservando fino al termine della sua vita (1925) l’attaccamento
all’imperatore. Del tutto coerente con sé stesso, mantenne il suo con-
servatorismo anche nel campo della matematica. Il suo ideale scienti-
fico era – in pieno accordo con le sue convinzioni politiche – quello di
una mon-archeia assiomatica: principe unico, unico principio, unica
arché, verità unica ed eterna indistruttibile, che esige imperativamen-
te la sottomissione incondizionata: l’assioma delle parallele di Eu-
clide. Da questo punto di vista, la sua concezione della conoscenza
matematica è una restaurazione filosofica.
L’originalità del lavoro intrapreso da Frege – come sottolinea egli
stesso nella prefazione del primo volume dei Grundgesetze der Arith-
metik (Frege 1893, p. VI; trad. it. 1965, p. 480) – si riduce alla de-
cisione di far «rispettare ed applicare rigorosamente» questi principi
filosofici e di realizzare tale ideale scientifico, essenzialmente eucli-
deo nella sua stessa essenza; altrimenti, secondo l’opinione espres-
sa abbondantemente e in diverse forme nei suoi lavori successivi, la
matematica rischia di naufragare nel disordine, nel caos, nella con-
fusione (Verwirrung), nell’anarchia (Anarchie), nell’arbitrio soggetti-
vo (subjektives Belieben); diventerebbe una prestidigitazione logica

thun, ist von dem regellosen willkürlichen Zahlenschaffen vieler Mathematiker ganz ver-
schieden» (Frege 1903a, p. 148).
23 «Ich kann darum nicht stark genug betonen, dass ich nur die Axiome im alten eu-

klidischen Sinne meine, wenn ich eine geometrische Erkenntnisquelle in ihnen anerkenne»
(Frege 1924-25a; poi in Frege 19832, p. 293; trad. it. p. 421).
24 «Das Ideal einer streng wissenschaftlichen Methode der Mathematik, das ich hier zu

verwirklichen gestrebt habe, und das wohl nach Euklid benannt werden könnte, möchte
ich so schildern» (Frege 1893, p. VI; trad. it. 1965, p. 480, [modificata]).
28 la filosofia della matematica di frege

(logische Taschenspielerei), farebbe affondare la scienza in uno stato


letale25 – espressioni preferite, queste, che ricorrono spesso nei suoi
testi – e finirebbe essa stessa con lo smarrirsi «in una selva selvaggia
di contraddizioni»26.
Ancora, in un resoconto su un lavoro di Hans Schubert27, Frege
parla di «scandalo» (Skandal, termine ripetuto tre volte) a proposito
del modo nel quale l’autore presenta le diverse categorie del numero;
un’interpretazione scandalosa che Frege considera «una mancanza
(Mangel), un atto pernicioso (Gebrechen), una malattia mortale (tödli-
che Krankheit)» (Frege 1899, p. IV; rist. in Frege 19902, p. 240).

4. Matematica e geografia: analogia della loro struttura epistemica

Tenuto conto di queste circostanze, non è affatto sorprendente


che l’esempio paradigmatico invocato da Frege a favore della sua on-
tologia ed epistemologia matematica sia rappresentato dalla natura
fisica e dalle scienze della natura come la botanica, l’astronomia e
soprattutto la geografia. Il numero 10.000 è una cosa che ha la stessa
esistenza obiettiva di un fenomeno geografico. «Ed invero il numero
non costituisce un oggetto della psicologia, né può considerarsi come
un risultato di processi psichici, proprio come non può considerarsi
tale, per esempio, il mare del Nord. […] Il botanico intende asserire
qualcosa di altrettanto effettivo, sia quando accenna al numero dei
petali di un fiore, sia quando accenna al colore di essi. L’una cosa non
dipende dal nostro arbitrio (Willkühr) né più né meno dell’altra»28.
E ancora: «Come il geografo non crea alcun mare quando traccia le

25 Più precisamente, in una lettera a Hilbert Frege afferma che «la scienza giungerebbe

a un punto di stallo». [«So würde die Wissenschaft zum Stillstande gebracht».] (Frege
1976b, p. 59; trad. it. p. 44).
26 «So verstrickt man sich in eine Wildnis von Widersprüchen» (Frege 1906b, p. 396;

rist. in Frege 19902, p. 311; cfr. anche Frege 1897; poi in 19832, p. 242; trad. it. pp. 359-
360.
27 Lavoro pubblicato nella Enzyklopädie der mathematischen Wissenschaften di Felix

Klein; il resoconto corrisponde a Frege 1899; rist. in Frege 19902, pp. 240-261.
28 «Denn die Zahl ist so wenig ein Gegenstand der Psychologie oder ein Ergebniss

psychischer Vorgänge, wie es etwa die Nordsee ist. […] Der Botaniker will etwas ebenso
Thatsächliches sagen, wenn er die Anzahl der Blumenblätter einer Blume, wie wenn er ihre
Farbe angiebt. Das eine hängt so wenig wie das andere von unserer Willkühr ab» (Frege
1884, pp. 39-40; trad. it. pp. 255-256).
la filosofia della matematica di frege 29

linee di confine e dice: “La parte di superficie acquea delimitata da


queste linee la voglio chiamare Mar Giallo”, così anche il matema-
tico mediante le sue definizioni non può propriamente creare nulla.
Con una mera definizione, non si può assegnare per stregoneria a una
cosa una proprietà che non possiede, tranne quella di chiamarsi come
la si è battezzata»29.
Il processo della conoscenza matematica può essere considerato
come una scoperta delle cose e delle loro proprietà preesistenti esat-
tamente al pari delle scoperte geografiche. Ecco una delle idee essen-
ziali dell’epistemologia fregeana che ritorna in modo ricorrente nelle
sue opere: «I pensieri – ad esempio le leggi naturali – non solo non
necessitano del nostro riconoscimento per essere veri, ma neppure
abbisognano a tal fine di essere pensati da noi. Una legge di natura
non viene inventata da noi, bensì scoperta. E, come un’isola deser-
ta tra i ghiacciai è là molto tempo prima di essere avvistata dagli
uomini, così anche le leggi di natura, al pari di quelle matematiche,
valgono già da prima e non solo dal momento della loro scoperta»30.
Sia la conoscenza geografica, sia la conoscenza matematica dispon-
gono dello stesso grado di obiettività: né l’una né l’altra sono il pro-
dotto della soggettività psicologica dell’individuo, «della mia vita in-
teriore», come dice Frege stesso. In questo senso sussiste una relazione
di similarità (Ähnlichkeit) tra i due domini epistemici, quello dei corpi
fisici, da un lato, e quello dei pensieri, dall’altro; differiscono tra loro
soltanto per la sostanza: l’obiettività fisica è materiale e spaziale, mentre
l’obiettività del pensiero matematico è immateriale ed a-spaziale. «L’o-
biettività, come proprietà indipendente dalla nostra vita psichica, non

29 «Wie der Geograph kein Meer schafft, wenn er Grenzlinien zieht und sagt: den von

diesen Linien begrenzten Theil der Wasserfläche will ich Gelbes Meer nennen, so kann
auch der Mathematiker durch sein Definiren nichts eigentlich schaffen. Man kann auch
nicht einem Dinge durch blosse Definition eine Eigenschaft anzaubern, die es nun einmal
nicht hat, es sei denn die eine, nun so zu heissen, wie man es etwa benannt hat» (Frege
1893, p. XIII; trad. it. 1965, p. 484; trad. it. 1995, pp. 11-12 [modificata]).
30 «Gedanken – z. B. Naturgesetze – bedürfen nicht nur unserer Anerkennung nicht,

um wahr zu sein, sie brauchen dazu nicht einmal von uns gedacht zu werden. Ein Naturge-
setz wird nicht von uns ersonnen, sondern entdeckt. Und wie eine wüste Insel im Eismeer
längst da war, ehe sie von Menschen gesehen wurde, so gelten auch die Gesetze der Natur
und ebenso die mathematischen von jeher und nicht erst seit ihrer Entdeckung» (Frege
1897; poi in Frege 19832, p. 144; trad. it. p. 240. Cfr. anche Frege 1976b, pp. 121, 127-
128; trad. it. pp. 99, 105-107).
30 la filosofia della matematica di frege

deve in nessun caso essere spaziale, materiale, reale (wirklich)»31. Non a


caso un breve scritto fregeano risalente al 1897, e che porta come titolo
Logik (Frege 1897; poi in Frege 19832, pp. 137-163; trad. it. pp. 231-
269), è quasi per intero dedicato all’esposizione di questa tesi.
Per mettere in evidenza l’assurdità della nuova interpretazione
elaborata da Hilbert per concetti come quello di assioma o come
quello di termini primitivi della geometria, Frege propone una reduc-
tio ad ridiculum di Hilbert, «traducendo» il testo del suo assioma
geometrico per cui ogni retta è incidente in almeno due punti. Frege si
serve delle proposizioni seguenti, che si presume siano conformi alla
concezione del grande matematico di Göttingen: 1) la proposizione
geografica «Ogni Anej bazet almeno due Ellah» (Anej ed Ellah sono i
nomi delle città di Jena e di Halle scritti all’inverso [in verlan tedesco,
N.d.T.]; 2) l’enunciato che appartiene al dominio della salumeria per
cui ogni salsiccia ha almeno due capi; 3) e, infine, un assioma elmin-
tologico, per cui un verme ha almeno due piedi (Frege 1906a p. 297,
rist. in Frege 19902, p. 285). Poiché la sua opera è costellata di simili
piacevolezze, si può presumere che Frege fosse convinto della verità
del proverbio: il ridicolo uccide. Sì, probabilmente uccide, ma chi?
Colui che è ridicolizzato o colui che ridicolizza?
In ogni caso, gli esempi preferiti da Frege per illustrare un modo
di pensiero diametralmente opposto al suo e, di fatto, secondo lui, as-
solutamente incompatibile con la conoscenza scientifica e innanzitut-
to con il pensiero matematico – esempi che ritornano in abbondanza
ovunque nella sua opera – sono tratti dal campo dell’arte: creazione,
fare della poesia sono le espressioni peggiorative da lui preferite per
condannare i metodi moderni di fondazione assiomatica dei diversi
domini dei numeri: «La poesia, al pari della pittura, si rivolge alla fin-
zione. Le asserzioni in poesia non sono da prendere sul serio: si tratta
solo di asserzioni apparenti»32; «è un gioco». «Invece che di poesia
si potrebbe parlare di “pensiero apparente”»33. «Se un enunciato ha

31 «Das von unserem Seelenleben Unabhängige, das Objektive braucht durchaus nicht

räumlich, stofflich, wirklich zu sein. Wenn man das nicht beachten wollte, würde man
leicht in eine Art von Mythologie verfallen» (Frege 1897; poi in Frege 19832, p. 149; trad.
it. p. 245. Cfr. anche Frege 1971, p. 52).
32 «Die Dichtkunst hat es, wie z. B. auch die Malerei, auf den Schein abgesehen. Die

Behauptungen sind in der Dichtung nicht ernst zu nehmen: es sind nur Scheinbehauptun-
gen» (Frege 1897; poi in Frege 19832, p. 142; trad. it. p. 237).
33 «Statt „Dichtung“ könnten wir auch „Scheingedanke“ sagen» (ivi, p. 141; trad. it.

p. 236).
la filosofia della matematica di frege 31

solo un senso ma non un valore di verità, esso appartiene alla poesia


e non alla scienza»34.
I giudizi scientifici sono oggettivi, la verità è la stessa per tutti;
la verità è vera indipendentemente dal nostro riconoscimento. «Chi
cercasse di confutare la veduta che il vero è tale indipendentemente
dal nostro riconoscimento, contraddirebbe con la sua asserzione ciò
che ha asserito, analogamente al Cretese che dice che tutti i cretesi
mentono»35. Al contrario, gli enunciati estetici sono completamente
soggettivi, e «[de gustibus] disputandum non est»36. «C’è poi la diffe-
renza essenziale che il vero è vero indipendentemente dal nostro rico-
noscimento, mentre il bello è bello solo per coloro che lo percepisco-
no tale»37. La sua tesi è illustrata con un esempio «rinologico» molto
icastico (d’impiego frequente nella retorica politica del suo tempo: la
forma del naso come indice biologico infallibile dei valori spirituali
e morali del suo proprietario). A causa della sua supposta evidenza
Frege gli assegna anche una grande forza di persuasione: «Com’è
possibile far recedere un negro dell’interno dell’Africa dall’opinione
che i nasi affilati degli europei sono brutti e quelli larghi dei negri
sono belli?»38.
Occorre sottolineare fin dall’inizio che la contrapposizione radi-
cale della poesia con il pensiero matematico è così infelice come la
similarità supposta tra conoscenza matematica e geografica.
Quel che è sfuggito a Frege è che μάθησις (máthesis) e ποίησις (poíe-
sis) – creazione matematica e creazione poetica – esibiscono una stu-
pefacente somiglianza non soltanto rispetto alla sostanza puramente
noetica del loro oggetto ma anche rispetto alle strutture estremamente
fini e complesse del loro modo di procedere epistemico. Non è infatti

34 «Wenn ein Satz nur einen Sinn, aber keine Bedeutung hat, so gehört er der Dichtung,

nicht aber der Wissenschaft an» (Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 262; trad. it. p. 383).
35 «Wenn jemand dem widersprechen wollte, dass das Wahre unabhängig von unserer

Anerkennung wahr ist, so würde er eben durch seine Behauptung dem, was er behauptete,
widersprechen, in ähnlicher Weise, wie ein Kreter, der sagte, dass alle Kreter lögen» (Frege
1897; poi in Frege 19832, p. 144; trad. it. p. 239).
36 Ibidem.
37 «Ferner ergibt sich dabei der wesentliche Unterschied, dass das Wahre unabhängig

von unserer Anerkennung wahr ist, dass aber das Schöne nur für den schön ist, der es als
solches empfindet» (ivi, p. 143; trad. it. p. 238).
38 «Wie soll man einen Neger im Innern Afrikas davon abbringen, dass die schmalen

Nasen der Europäer hässlich, die breiten der Neger hingegen schön seien?» (ivi, p. 143;
trad. it. p. 239).
32 la filosofia della matematica di frege

la scoperta di tipo geografico ma proprio la ποίησις, ossia la creazione


di tipo poetico, che è sempre stata e resta la fonte più potente della
dilatazione permanente del dominio d’essere del pensiero matematico.
Il gran numero di esempi tratti dal campo della vita politica quoti-
diana della sua epoca al fine di illustrare l’obiettività degli enti mate-
matici e delle loro proprietà – sebbene in generale anodini – è comun-
que sorprendente39. La grande frequenza di scherzi metaforici aventi
come argomento «il negro»40 attira particolarmente l’attenzione, a
causa soprattutto del leggero odore di razzismo che ne emana e che,
al suo tempo, apparteneva certamente ad una tradizione venerabile.
Le sue osservazioni critiche in relazione ai celebri Beiträge zur Be-
gründung der transfiniten Mengenlehre di Georg Cantor, che conten-
gono i testi fondanti della teoria degli insiemi infiniti, si riducono ad
una burla voluttuosa. Per respingere il metodo di «alcuni matematici
moderni» (nel caso in questione Georg Cantor), tendente ad intro-
durre nuovi numeri per mezzo di una «definizione», Frege identifica
questa «definizione» cantoriana con il nome del dio indiano «Brah-
ma», facendo così allusione «al tipo di effetti magici di cui si suppone
siano dotate quelle attività»41. Proprietà che non esistono sono allora
create tramite tale definizione. «Dotati di questi poteri magici – egli
aggiunge – non si è più molto lontani dall’onnipotenza»42. Per ap-
prezzare il valore di questa credenza «non molto felice del signor
Cantor» nell’efficacia delle forze magiche della sua «definizione»,
Frege compara il fondatore della teoria degli insiemi agli indigeni
«dell’interno profondo dell’Africa» che, vedendo per la prima volta
un cannocchiale o un orologio da taschino, sono pronti ad attribuire
a queste cose proprietà del tutto miracolose, che dipenderebbero
dalla stregoneria (Frege 1890-1892; poi in Frege 19832, pp. 77-78;
trad. it. p. 158).

39 Sono esempi che si trovano in tutti gli scritti di Frege, e aumentano sempre di più

con il passare degli anni. Per un elenco sommario, cfr. la nota 43. [N.d.T.].
40 Cfr. Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 230; trad. it. p. 346 [in realtà qui parla di un

ignoto capo tribù dell’interno dell’Africa, N.d.T.]; Frege 1971, pp. 12, 16, 44; Frege 19832,
p. 68; trad. it. p. 147; pp. 70-71; trad. it. p. 150; p. 143; trad. it. p. 239.
41 «Die beigesetzten indischen Götternamen sollen die Art der zauberischen Wirkun-

gen andeuten, die man dabei voraussetzt» (Frege 1890-1892; poi in Frege 19832, p. 78;
trad. it. p. 158).
42 «Im Besitze dieser Zauberkräfte ist man von der Allmacht nicht mehr weit entfernt»

(ibidem).
la filosofia della matematica di frege 33

Comunque sia, la natura di questi esempi testimonia per lo meno


del suo interesse vivo e permanente per gli eventi politici, interesse
sempre presente anche nel contesto delle sue riflessioni professionali
sulla scienza della logica43.
Si deve sottolineare anzitutto che la panoplia di metafore geo-
grafiche che attraversa l’opera di Frege è stata una scelta dettata da
un’ispirazione francamente infelice. Non c’è infatti nulla di più estra-
neo alla conoscenza matematica che il paesaggio naturale della geo-
grafia, dell’astronomia o della zoologia. Senza contare la circostanza
più importante, ossia il fatto che la differenza ontologica tra obiettività
fisica e obiettività matematica non si riduce ad una semplice differenza
tra sostanza materiale ed immateriale con la preservazione di una certa
similarità di struttura epistemica; questa differenza, di primo acchito
inessenziale, conduce in effetti ad una frattura abissale tra i due domini
d’essere, che proibisce ogni raffronto pertinente tra di essi.
Le figure non euclidee dispongono della stessa «obiettività» (se si
prende questo termine nel senso di Frege) di quelle della geometria
euclidea; è certo che il triangolo non euclideo non è e non può essere
il risultato di una scoperta né terrestre né celeste, anche se può darsi
che il triangolo euclideo lo sia. Abbiamo a che fare con lo stesso caso
in riferimento ai numeri irrazionali, come la radice quadrata √2, non-
ché all’unità immaginaria, i.
La differenza ontologica tra il dominio fisico della natura e quello
puramente noetico del pensiero matematico impone strutture episte-
miche che non mostrino nessuna rassomiglianza reale tra loro.

5. Il teorema di Saccheri e la simultaneità ontologica di domini


d’essere geometrici opposti

Ecco un esempio significativo. La logica classica del concetto – in-


tensione, tratti caratteristici predicativi; estensione, insieme di oggetti
che soddisfano la definizione di un concetto dato o, secondo l’espres-
sione di Frege, oggetti che cadono sotto il concetto (das Fallen eines Ge-
genstandes unter einen Begriff) (Frege 1892-1895, poi in Frege 19832,

43 Cfr. Frege 1884, pp. 60-62; trad. it. pp. 281-285; Frege 1903a, pp. 104, 109; Frege

1892, pp. 47-48; rist. in Frege 19902, p. 160; trad. it. pp. 53-54; Frege 19832, pp. 67; 77;
143; trad. it. pp. 145-146, 158, 239.
34 la filosofia della matematica di frege

p. 130; trad. it. p. 224; cfr. anche Frege 1971, p. 28) –, che è una logica
ispirata alla tassonomia zoologica, è completamente inapplicabile alla
matematica: essa è infatti del tutto incompatibile con il dominio d’es-
sere della conoscenza matematica. Il seguente esempio potrà chiarire
meglio la questione: «mammifero» è un concetto astratto, perché non
esiste alcun oggetto nella realtà effettiva che sia mammifero in sé e
nient’altro. Ma l’estensione del concetto di «mammifero», ossia l’in-
sieme di tutti i mammiferi, contiene dei sottoinsiemi complementari,
ad esempio la classe dei leoni e quella dei cervi. I due sottoinsiemi sono
parti proprie dell’insieme di tutti i mammiferi.
Ovviamente, è assolutamente impossibile che la totalità dei leoni
sia coestensiva con la totalità dei mammiferi e che, allo stesso tempo,
la totalità dei cervi sia anch’essa coestensiva con la totalità dei mam-
miferi. Se un mammifero è un leone, non ne consegue affatto che tutti
i mammiferi siano leoni.
Per illustrare la relazione logica tra il «tutto» e la «parte», tra giu-
dizio universale e giudizio particolare, nel suo famoso Dialogo con
Pünjer sull’esistenza, Frege esamina la relazione tra la classe partico-
lare dei «negri» e l’estensione universale del concetto di «uomo». «Se
siamo d’accordo su questo punto, possiamo convertire un giudizio
particolare affermativo come “Alcuni uomini sono negri” in “Alcuni
negri sono uomini”. L’impressione di assurdità che nasce in un primo
tempo è dovuta al fatto che involontariamente si aggiunge mental-
mente: “Ma alcuni negri non sono uomini”. Questo pensiero acces-
sorio viene escluso dalla nostra precisazione “forse anche tutti”»44.
In modo piuttosto curioso, il giudizio particolare «alcuni cervi sono
mammiferi» non causa alcuna sensazione di repulsione poiché, anche
ai tempi di Frege, a nessuno veniva in mente – anche involontaria-
mente – di obiettare: «ma alcuni cervi non sono mammiferi».
Le cose stanno diversamente nella metagalassia degli universi e dei
concetti matematici. Aristotele cita più di quaranta volte il teorema che
riguarda l’uguaglianza della somma degli angoli del triangolo con due

44 «Wenn hierüber Einverständnis herrscht, so kann man ein partikulär bejahendes Ur-

teil, wie „Einige Menschen sind Neger“ umkehren in „Einige Neger sind Menschen“. Das
Widerstrebende, das hierin zunächst liegt, hat darin seinen Grund, dass man unwillkürlich
hinzudenkt: „aber einige Neger sind nicht Menschen“. Dieser Nebengedanke wird durch
unseren Zusatz „vielleicht auch alle“ ausgeschlossen» (Frege 1884b; poi in Frege 19832, p.
68; trad. it. p. 147. Cfr. anche Frege 1971, p. 12).
la filosofia della matematica di frege 35

angoli retti, 2R, come esempio paradigmatico della «cattolicità» di un


enunciato, ossia della sua universalità. Ci ha trasmesso anche la sua
dimostrazione: è rigorosamente effettuata per mezzo del postulato delle
parallele, E, di Euclide. Si tratta dunque di un teorema euclideo: il trian-
golo è un oggetto dell’universo euclideo e l’uguaglianza della somma
dei suoi angoli con 2R è una proprietà universale del mondo euclideo,
giacché la somma degli angoli è, in tutti i triangoli, uguale a 2R. In un
lavoro famoso ma di cui Frege non ha mai preso conoscenza (Euclides
ab omni naevo vindicatus. Sive conatus geometricus quo stabiliuntur
prima ipsa universae geometriae principia)45, il gesuita Padre Gerola-
mo Saccheri ha dimostrato, nel 1733, il celebre teorema fondamentale
della geometria: se, in un triangolo, la somma degli angoli è uguale
a 2R, essa sarà necessariamente uguale a due retti in tutti i triangoli;
e se in un triangolo la somma degli angoli è inferiore a 2R, essa sarà
necessariamente inferiore a due retti in tutti i triangoli: si in uno, in
omni. Questo vuol dire che il predicato improprio dell’universalità, as-
segnato alla proprietà geometrica «somma degli angoli del triangolo»,
è una proprietà assoluta46. In altre parole, Saccheri non ha dimostra-
to la proprietà geometrica dell’eguaglianza con 2R della somma degli
angoli del triangolo, ma piuttosto il teorema della «cattolicità» della
proprietà non-geometrica dell’universalità della somma degli angoli del
triangolo, sia che i triangoli siano euclidei, sia che siano non euclidei.
Il che vuol dire che l’enunciato dell’universalità in sé è un teorema del-
la geometria assoluta. Il teorema relativo all’universalità della somma
euclidea degli angoli può dunque essere dimostrato con i mezzi più
ristretti della geometria assoluta, senza ricorrere al postulato E di Eucli-
de; le dimostrazioni di Aristotele e di Euclide restano sempre corrette,
impeccabili: semplicemente, dopo Saccheri si rivelano ridondanti.
Inoltre, essendo la verità del teorema di Saccheri assoluta, il teore-
ma che riguarda l’universalità della somma degli angoli del triangolo
resta necessariamente vero indipendentemente dal fatto se la somma
degli angoli è euclidea, dunque uguale a 2R, o se è non euclidea, cioè
inferiore a 2R – e questo anche se si respinge la geometria non eucli-
dea assegnandole, come faceva Frege, il valore logico del falso ed il
valore ontologico del non essere. Ciò vuol dire che la somma degli
angoli del triangolo resterebbe inconfutabilmente inferiore a 2R, in
45 Cfr. Saccheri 2001, proposizioni 5-7, pp. 82-93. Cfr. anche Appendice, Testo n. 3.
46 Cfr. Appendice, Testo n. 2.
36 la filosofia della matematica di frege

tutti i triangoli, anche se i triangoli non euclidei fossero non esseri e


anche se il teorema non euclideo della somma degli angoli fosse falso.
Una delle conseguenze più sorprendenti del teorema di Saccheri è
la seguente: si può dividere la totalità dei triangoli in due sottoinsie-
mi complementari, uno dei quali contiene tutti i triangoli equilateri,
mentre gli elementi dell’altro sono tutti triangoli non equilateri. I
due sottoinsiemi sono parti proprie della totalità dei triangoli. Ma la
stessa operazione è impossibile con la coppia oppositiva: «triangolo
euclideo, E – triangolo non euclideo, non-E». La totalità di tutti i
triangoli non può essere divisa in due parti complementari, E, l’u-
na, non-E, l’altra. Le due proprietà, «essere euclideo, E» ed «essere
non euclideo, non-E», sono predicati che possono essere assegnati
soltanto a quell’oggetto geometrico improprio e unico che si chiama
«Universo» (oggetto che, peraltro, dispone di proprietà geometriche
concrete: ha un raggio di curvatura ben definito ed un «Assoluto»
fornito di una struttura topologica precisa).
Infatti, conformemente al teorema di Saccheri, gli insiemi partico-
lari, E e non-E, contengono, entrambi, necessariamente ed in sovrap-
posizione logica, la totalità di tutti i triangoli; nessuno dei due è una
parte propria, un sottoinsieme dell’insieme della totalità dei triangoli,
giacché nessun triangolo è assente né dall’uno né dall’altro dei domini
d’essere geometrici. I due enunciati, E e non-E, sono due mondi auto-
nomi, ontologicamente chiusi; entrambi sono simultaneamente veri,
ossia costituiscono delle verità atemporali, incrollabili, eterne. Nessu-
na delle due geometrie è un «caso speciale» concreto della geometria
assoluta, supposta essere più generale ed astratta, così come, al contra-
rio, il leone è un caso speciale del mammifero generale ed astratto47.
Per quanto possa sembrare controintuitivo, in realtà tutto ciò,
lungi dal rendere ridicolo il teorema di Saccheri, dimostra soltanto
che la teoria classica del concetto, che risale ad Aristotele ed è così
ben applicabile nel settore della tassonomia zoologica o botanica,
perde completamente la sua validità nella metagalassia degli universi

47 «Assoluta» è la geometria indipendente dalla verità e dalla falsità sia dell’assioma

euclideo E, sia dell’assioma non euclideo non-E. Queste proposizioni, articolabili entrambe
nello stesso linguaggio geometrico, sono indecise e indecidibili; dunque la geometria as-
soluta in sé stessa è indecisa e aperta in quanto concerne la verità oppure la falsità delle
proposizioni E e non-E [N.d.T., sulla base di una comunicazione orale dello stesso Imre
Toth].
la filosofia della matematica di frege 37

geometrici, composta di una pluralità infinita di universi, di domini


d’essere autonomi, differenti e perfino opposti gli uni agli altri, come
lo è l’universo euclideo, E, rispetto a quello non euclideo, non-E.
Traducendo il teorema di Saccheri nella lingua «mammifera» del
leone e del cervo si ottiene ovviamente un’assurdità sorprendente.
Ma ciò non significa null’altro se non che ogni metafora zoologica o
geografica è inefficace e, pertanto, completamente inammissibile nel-
la spiegazione del processo spirituale della conoscenza matematica.
La geometria assoluta non è astratta rispetto alle geometrie E e
non-E. I suoi triangoli dispongono della stessa esistenza reale dei trian-
goli dello spazio euclideo e non euclideo; la differenza che li separa ed
oppone è quella dell’indeterminato rispetto al determinato. La geome-
tria assoluta è non categorica, perché ammette modelli non isomorfi
tra loro; d’altra parte, la geometria euclidea come la geometria non
euclidea sono sistemi categorici, perché i loro modelli sono isomor-
fi tra di loro, hanno cioè la stessa struttura. La somma degli angoli
del triangolo assoluto dispone di un’esistenza concreta, benché il suo
valore sia realmente ed effettivamente indeterminato: né euclideo, né
non euclideo. Ogni affermazione concernente il valore della somma
degli angoli del triangolo assoluto è indimostrabile ma anche inconfu-
tabile: l’indimostrabilità della proposizione è essa stessa rigorosamente
dimostrabile. La somma degli angoli del triangolo sia nell’universo E,
sia nell’universo non-E è, invece, strettamente determinata e decisa. Il
quantificatore universale, ∀, o il pronome tutto, πᾶν, si trasformano
improvvisamente in sostantivo, il Tutto, τὸ πᾶν, l’Universo. Essi, con
il teorema assoluto di Saccheri, si vedono assegnati simultaneamente i
predicati E, euclideo, e non-E, non euclideo: «il Tutto è euclideo» e «il
Tutto è non euclideo». Euclideo, E, e non euclideo, non-E, sono, simul-
taneamente e necessariamente, dei predicati assolutamente universali.
Tuttavia, secondo l’opinione di Frege (nel suo secondo articolo dedica-
to ai Fondamenti della geometria di Hilbert), l’accettazione della geo-
metria non euclidea implicherebbe necessariamente che la «geometria
euclidea diventi un caso speciale [...] di un insieme con geometrie in-
numerevoli, se si volesse ancora ammettere questa parola»48, cosa che

48 «Danach wird sich die euklidische Geometrie als ein besonderer Fall eines umfassen-

deren Lehrgebäudes darstellen, neben dem es vielleicht noch unzählige andere besondere
Fälle geben kann, unzählige Geometrien, wenn man dies Wort noch zulassen wird» (Frege
1903b, p. 374; rist. in Frege 19902, p. 272). Cfr. anche Appendice, Testo n. 4.
38 la filosofia della matematica di frege

contraddice formalmente il teorema di Saccheri: è dunque un enuncia-


to che si può dimostrare falso. Ma la verità del teorema fondamentale
di Saccheri è una necessità assoluta; conseguentemente contraddirlo è
un errore formale, anche se si respinge la geometria non-E e si accetta
come unicamente vera soltanto la geometria E, poiché con la geome-
tria E si accetta necessariamente ed automaticamente anche la verità
della geometria assoluta.
L’universo non euclideo non è vuoto, anche se i triangoli non eu-
clidei sono non esseri; al contrario, contiene sempre tutti i triangoli
non euclidei, come l’universo dei centauri contiene la totalità di tutti
quei non esseri che sono i centauri. Il teorema zoologico analogo a
quello di Saccheri dovrebbe essere il seguente: «se un mammifero è
cavallo, allora tutti i mammiferi sono cavalli»; e «se un mammife-
ro è centauro, allora tutti i mammiferi sono centauri». Un’assurdità
zoologica evidente che non inficia tuttavia la validità assoluta del
teorema di Saccheri e, soprattutto, non lo rende ridicolo.
Da tutti i punti di vista, fu un errore materiale allorché, nelle Grundla-
gen der Arithmetik (Frege 1884, pp. 64-66; trad. it. pp. 287-290), Frege
addusse l’insieme dei triangoli non euclidei come tipico esempio dell’in-
sieme vuoto, il cui numero di elementi è uguale a zero: «affermare l’esi-
stenza – egli scrive a questo proposito – equivale infatti a negare il nume-
ro zero»49. Si trattava certamente di un’affermazione un po’ avventata
poiché – conformemente al suo enunciato – questo implicherebbe l’esi-
stenza effettiva e necessaria dei triangoli non euclidei, una conclusione
certamente sgradevole che Frege non avrebbe mai potuto ammettere.

6. La struttura ontologica ed epistemologica del cammino del


pensiero matematico. Il non essere precede l’essere

Come ho sottolineato in precedenza, nel Sofista e nel Parmenide Pla-


tone aveva osservato che ciò che si chiama il non-essere (dunque il trian-
golo non-euclideo, citato da Frege) «dispone di una natura propria, im-
mutabile» (τὸ μὴ ὂν βεβαίως ἐστὶ τὴν αὑτοῦ φύσιν ἔχον. Sofista 258B;
Platone 2000, p. 301) e «può essere conosciuto», esattamente come l’es-
sere (οὐδὲν γὰρ ἧττον γιγνώσκεται, τὶ τό λεγόμενον μὴ εἶναι. Parmenide
49 «Es ist ja Bejahung der Existenz nichts Anderes als Verneinung der Nullzahl» (Frege

1884, p. 64, § 53; trad. it. p. 288). Cfr. Toth 1984, pp. 101-107.
la filosofia della matematica di frege 39

160D; Platone 2000, p. 401). Al tempo di Platone, si trattava di una


delle cose più straordinarie e decisive nello sviluppo della conoscenza
matematica, in particolare di un’entità aritmetica che vorrei designare
con il simbolo 2*. Nella terminologia attuale si utilizza il simbolo √2,
che designa un elemento del linguaggio-oggetto aritmetico, il numero ir-
razionale «radice quadrata di due» a cui, ovviamente, si assegna il valore
ontologico di «essere», come del resto a qualsiasi numero intero o razio-
nale, sebbene si tratti di un algoritmo senza fine, il quale produce numeri
razionali che restano sempre inferiori al numero irrazionale 2*. Il simbo-
lo, o il nome 2*, è definito in modo univoco dalla relazione «2*•2*=2».
Questa definizione ha, naturalmente, un senso (Sinn); per meglio dire,
si tratta di un senso unico: «la composizione moltiplicativa di 2* con sé
stesso è uguale al numero 2». Il simbolo 2 ha un senso ma ha anche un
riferimento (Bedeutung). Il simbolo 2, peraltro come il simbolo 2*, è
un’espressione metalinguistica, e 2 dispone anche di un riferimento nel
dominio del linguaggio-oggetto aritmetico: è l’oggetto aritmetico che si
chiama «numero due», una parola-oggetto che si può senza problema
sostituire con il proprio segno metalinguistico, 2.
Ma che cosa denota, che cosa significa il segno 2*? Significa che
l’esistenza di un simile oggetto aritmetico 2* è assolutamente impos-
sibile nell’universo del logos, ossia nel linguaggio-oggetto dei numeri
razionali. Ma l’universo del logos è il dominio d’essere ontologicamen-
te chiuso dei numeri, tout court. Tutto ciò che è logos, numero, parola
del linguaggio-oggetto aritmetico, si trova al suo interno; al di là delle
sue frontiere regna il dominio assoluto del non essere, coestensivo con
il dominio dell’irrazionale, dello álogos, dell’ineffabile (Sofista 238C;
Platone 2000, p. 283). Il dominio del logos non è dunque un sottoin-
sieme particolare della totalità degli oggetti aritmetici reali, ma è coe-
stensivo con questa realtà stessa, nella sua totalità integrale.
Il simbolo 2* non significa dunque nulla, non designa nessun
oggetto nel dominio d’essere aritmetico o semmai, secondo la bella
espressione di Platone, indica un buco nel dominio dell’essere, riem-
pito «dalle tenebre del non essere» (τὴν τοῦ μὴ ὄντος σκοτεινότητα;
Sofista 254A; Platone 2000, p. 297). Dunque, 2*, «il non essere in
sé non può essere enunciato, né articolato, né essere pensato; ma è
impensabile, impronunciabile, ineffabile e irrazionale»50�.
50 τὸ μὴ ὂν … ἀδιανόητόν τε καὶ ἄρρητον καὶ ἄφθεγκτον καὶ ἄλογον. (Sofista 238C;

Platone 2000, p. 283).


40 la filosofia della matematica di frege

Platone ha dedicato alcune splendide pagine del suo Sofista


(236E-242A; Platone 2000, pp. 281-286) alla discussione dell’onto-
logia di questo non-essere irrazionale e ineffabile. Cedendo, suo mal-
grado (240C) – come sottolinea – ad una costrizione irresistibile di
un personaggio mitico, il sofista Policefalo (nome d’arte del soggetto
trascendentale), egli insorge contro l’insegnamento del grande Par-
menide, ammettendo che, in qualche modo, il non-essere, 2*, dispo-
ne dell’essere. Ma questo contraddice formalmente la tesi di nostro
padre Parmenide: «mai tu imporrai l’essere al non-essere». Occorre
dunque sottoporre l’opinione di Parmenide a una tortura adatta: «a
mild degree of torture», nella traduzione molto felice di Cornford
(1967, p. 200), per fargli riconoscere con assoluta chiarezza che il
non-essere è51.
A questo proposito, mi permetto di ricordare la confessione quasi
identica di Georg Cantor, che riguarda la creazione della sua teoria
dei numeri irrazionali e transfiniti: «Io sono arrivato quasi contro la
mia volontà all’idea che l’infinitamente grande non vada pensato solo
nella forma del crescente oltre ogni limite o in quella, strettamente
connessa alla prima e introdotta nel Seicento, di successione infinita
convergente, ma vada anche fissato matematicamente mediante nu-
meri, nella forma precisa dell’infinito-compiuto; questa idea, infatti,
è in contrasto con tradizioni che mi erano care. Ma mi si è imposta
logicamente nel corso di lunghi anni di laboriosi sforzi scientifici,
tanto che non credo si possano addurre contro di essa argomenti ai
quali non saprei rispondere»52.
Tutto il contesto dei dialoghi Teeteto, Sofista, Politico, Parmenide,
Filebo, ma anche Epinomide, ci permette, o addirittura ci impone,
di identificare il non-essere irrazionale, ineffabile, impronunciabile –
51 ὁ λόγος αὐτὸς ἂν δηλώσειε μέτρια βασανισθείς. [«Sarà il discorso stesso, una volta

sottoposto a una tortura di grado leggero, a fornirci la più evidente prova possibile»] (So-
fista, 237B; Platone 2000, p. 282).
52 «Zu dem Gedanken, das Unendlichgroße nicht bloß in der Form des unbegrenzt

Wachsenden und in der hiermit eng zusammenhängenden Form der im siebzehnten Jahr-
hundert zuerst eingeführten konvergenten unendlichen Reihen zu betrachten, sondern es
auch in der bestimmten Form des Vollendet-unendlichen mathematisch durch Zahlen zu
fixieren, bin ich fast wider meinen Willen, weil im Gegensatz zu mir wertgewordenen
Traditionen, durch den Verlauf vierjähriger wissenschaftlicher Bemühungen und Versuche
logisch gezwungen worden, und ich glaube daher auch nicht, daß Gründe sich dagegen
werden geltend machen lassen, denen ich nicht zu begegnen wüßte» (Cantor 1962, p. 175;
trad. it. p. 89).
la filosofia della matematica di frege 41

termini tecnici matematici al tempo di Platone – con ciò che abbiamo


designato in precedenza con il nome o il simbolo 2*. Nel Sofista, Pla-
tone confessa apertamente che assegnando l’essere al non-essere, 2*,
si contraddice da sé stesso, poiché poco prima sosteneva ancora che è
impossibile assegnare l’essere al non essere, 2* (239A; Platone 2000,
p. 283)53. È dunque con questa negazione esplicita del suo non essere
che il segno, il nome 2*, scende dal metalinguaggio nel dominio del
linguaggio-oggetto aritmetico ed acquisisce il valore ontico dell’es-
sere. Il non-essere, designato dal nome metalinguistico, 2*, precede
dunque l’essere, giacché il nome 2* dispone dell’essere come espres-
sione del linguaggio-oggetto aritmetico. Il nome si sdoppia: il segno
metalinguistico, 2*, è identico all’oggetto 2*, del linguaggio-oggetto;
è dunque un nome che è soltanto il nome di un nome, un segno il cui
riferimento è questo segno stesso, un segno che significa sé stesso54.
In opposizione dunque a Frege, David Hilbert scriveva nel 1922: «In
principio è il segno», dove «il segno» prioritario è l’obiettivo delle
imprecazioni sulfuree di Frege (Hilbert 1964, p. 18: «am Anfang – so
heißt es hier – ist das Zeichen»).
Per designare questo passaggio dal non-essere all’essere, Plato-
ne utilizza espressioni molto vicine, quasi come fossero sinonimi,
alla nostra parola «creazione»: generazione verso l’essere (γένεσιν
εἰς οὐσίαν, Filebo 26D-E; Platone 2000, p. 441); essenza necessa-
ria del venire all’essere (τὴν τῆς γενέσεως ἀναγκαίαν οὐσίαν, Poli-
tico 283D; Platone 2000, p. 342); produzione del numero (ἀριθμὸν
ἀπεργάζεται, Filebo 25E; Platone 2000, p. 440; occorrenza molto
curiosa del termine «numero» nel contesto dell’irrazionale; lo stes-
so termine «numero» ritornerà ancora una volta nello stesso senso
dell’irrazionale in Epinomide 990D; Platone 2000, p. 1785); genera-
zione della misura giusta, come limite55. Il numero irrazionale 2* è

53 Οὐκοῦν τό γε ῾῾εἶναι᾿᾿ προσάπτειν πειρώμενος ἐναντία τοῖς πρόσθεν ἔλεγον. [«Ten-

tando di attribuirgli l’essere, non facevo affermazioni in contraddizione con le preceden-


ti?»] (Sofista, 238E-239A; Platone 2000, p. 283. Cfr. anche 241A-D; Platone 2000, pp.
285-286).
54 τὸ ὄνομα ὀνόματος ὄνομα μόνον, ἄλλου δὲ οὐδενὸς ὄν. [«Il nome è soltanto nome

di un nome; ma non è tale di nient’altro».] (Sofista, 244D; Platone 2000, p. 288).


55 τὴν τοῦ μετρίου γένεσιν (Politico 284C-D; Platone 2000, p. 343); γένεσιν εἰς οὐσίαν

ἐκ τῶν μετὰ τοῦ πέρατος ἀπειργασμένων μέτρων. [«Una generazione verso l’essere dipen-
dente dalle misure che si producono come conseguenza del limite».] (Filebo 26D; Platone
2000, p. 441; cfr. anche Politico 284B; Platone 2000, p. 343).
42 la filosofia della matematica di frege

la misura assolutamente esatta – non approssimativa – del rapporto


tra la diagonale del quadrato e il lato, e il suo valore numerico rap-
presenta, nonostante la sua ineffabilità (Repubblica 546C; Platone
2000, p. 1264), l’esattezza in sé (Politico 284D; Platone 2000, pp.
343). È il limite di una successione infinita di λόγοι, approssimazio-
ni razionali di 2* – successione citata da Platone nella Repubblica
(546C) e menzionata da Proclo, nel suo commento ad locum, come
«il teorema elegante» dei pitagorici (θεώρημα γλαφυρόν, Proclo
1965, II, 27).
All’inizio del Sofista (219B; Platone 2000, p. 266), si può leg-
gere – come una sorta di preparazione a ciò che seguirà – che tutto
quanto non esisteva prima, ma che, in seguito, è condotto all’esse-
re, si presenta come il risultato di un atto di creazione (ποίησις): si
tratta di un’espressione utilizzata più tardi da Cantor (che cita il
Filebo 23D e 25D a favore del suo concetto dell’infinito in atto e del
limite56), da Dedekind (il quale fa anche lui riferimento esplicito alle
fonti antiche), da Hilbert, Peano e da altri matematici del XX secolo.
Quella dell’irrazionale non è certamente una scoperta di tipo geo-
grafico e quindi è logicamente del tutto irriducibile al mondo del logos,
dei numeri razionali. Il collegamento – e la separazione – tra logos ed
álogos è stabilito da una negazione inevitabile e impietosa.
Platone stesso ammette che tutta la discussione sul passaggio dal
non-essere all’essere dà l’impressione di un’operazione di stregoneria
o di magia nera (Sofista 241B; Platone 2000, p. 285), di un dibattito
eristico; tuttavia, egli aggiunge che non è uno scherzo sofistico, ma

56 Cfr. Platone 2000, pp. 438 e 440. Il passo di Cantor è il seguente: «Per molteplicità o

insieme intendo infatti, in generale, ogni Molti che si possa pensare come Uno, ovvero ogni
classe composta di elementi determinati che possa essere unita in un tutto da una legge, e
credo di definire in questo modo qualcosa di affine all’ εἶδος o ἰδέα di Platone, nonché a
ciò che lo stesso Platone, nel Filebo o del sommo bene, chiama μικτόν. Egli contrappone
questo μικτόν sia all’ἄπειρον, cioè all’illimitato e indeterminato, che io chiamo infinito
improprio, sia al πέρας o limite, e lo descrive come una “ordinata mescolanza” dei due»
[«Unter einer „Mannigfaltigkeit“ oder „Menge“ verstehe ich nämlich allgemein jedes Vie-
le, welches sich als Eines denken lässt, d.h. jeden Inbegriff bestimmter Elemente, welcher
durch ein Gesetz zu einem Ganzen verbunden werden kann, und ich glaube hiermit etwas
zu definieren, was verwandt ist mit dem Platonischen εἶδος oder ἰδέα, wie auch mit dem,
was Platon in seinem Dialog “Philebos oder das höchste Gut” μικτόν nennt. Er setzt dieses
dem ἄπειρον, d. h. dem Unbegrenzten, Unbestimmten, welches ich Uneigentlich-unendli-
ches nenne, sowie dem πέρας d. h. der Grenze entgegen und erklärt es als ein geordnetes
„Gemisch“ der beiden letzteren».] (Cantor 1962, p. 204; trad. it. p. 127 [modificata]).
la filosofia della matematica di frege 43

una cosa seria (σπουδῇ, Sofista 237B; Platone 2000, p. 282). Qualsi-
asi passaggio dal non essere all’essere – ricorda Diotima nel Simposio
– è creazione (ποίησις)57. «Si tratta del vecchio enigma platonico del
non essere. Il non essere deve, in un certo senso, essere, altrimenti
che cosa sarebbe ciò che non c’è? Questa intricata dottrina potrebbe
essere soprannominata “la barba di Platone”; nel corso della storia si
è dimostrata resistente, ed è riuscita spesso a smussare il filo del raso-
io di Occam», come esclamava il grande filosofo americano Willard
van Orman Quine, nel suo famoso From a Logical Point of View58.
Il passaggio dal non-essere all’essere – ovvero questa rottura ontolo-
gica reiterata, fenomeno veicolato dall’operazione di negazione e dalla
frattura ontologica che rappresentano i passaggi dal non-essere all’es-
sere, nel senso del Sofista di Platone – definisce la struttura intima del
cammino del pensiero matematico a partire dalla creazione di entità
irrazionali, attraverso la creazione dei nuovi universi aritmetici dei nu-
meri negativi, dei numeri immaginari, della metagalassia dei mondi non
euclidei, degli insiemi non cantoriani e così via.
Il capitolo 17 dell’Opus novum de proportionibus (Basilea, 1570)
di Girolamo Cardano, porta il titolo: Quot modis numerus possit
produci ex non numero [In quanti modi il numero può essere prodot-
to dal non numero]. Si tratta ovviamente di un non-essere aritmetico,
che è un non numero e che dal suo stato ontico di non-essere aritme-
tico passa allo stato ontico positivo dell’essere: come tale, sarà desi-
gnato dal termine tecnico di «numero immaginario» o «complesso».
E la produzione di un numero, di un essere aritmetico, a partire da un
non-numero, da un non-essere aritmetico, è precisamente l’effettuare
l’atto di creazione di cui parlava Diotima.
La genealogia del pensiero matematico è costituita da una lunga
catena di discontinuità, caratterizzata da quella proprietà ecceziona-
le che Hegel59 designava con il termine Diremption (o Diremtion),
mutuato dal latino diremptio, e che indica un procedimento con cui

57 ἡ γάρ τοι ἐκ τοῦ μὴ ὄντος εἰς τὸ ὂν ἰόντι ὁτῳοῦν αἰτία πᾶσά ἐστι ποίησις (205B;

Platone 2000, p. 513: «Infatti, ogni causa per cui ogni cosa passa dal non essere all’essere
è sempre una creazione»).
58 «This is the old Platonic riddle of non-being. Non-being must in some sense be,

otherwise, what is it that there is not? This tangled doctrine might be nicknamed Plato’s
beard; historically it has proved tough, frequently dulling the edge of Occam’s razor»
(Quine 1963, p. 2; trad. it. p. 14).
59 Si veda a questo proposito Toth 1987 [N.d.T.].
44 la filosofia della matematica di frege

si separano e si collegano gli opposti60. Nel caso del movimento dia-


cronico, ma anche acronico, del pensiero matematico, è l’atto di ne-
gazione che separa radicalmente e lega indissolubilmente il mondo
del numero razionale e l’universo irrazionale, il mondo del numero
reale e quello immaginario, il mondo euclideo e gli universi non eu-
clidei, la teoria degli insiemi di Georg Cantor e quella di Paul Cohen
o l’analisi non standard di Abraham Robinson e Detlef Laugwitz,
ecc. Il risultato di questo movimento del pensiero è la pluralità delle
verità contraddittorie e dei domini d’essere contrapposti gli uni agli
altri – separati e legati tra di loro dallo spirito della negazione, ossia
dal passaggio dal non essere all’essere, la cui fonte unica è il soggetto,
la libertà umana.
È stato un altro italiano, il grande logico e matematico Giuseppe
Peano, che nel 1910 ha descritto e caratterizzato esplicitamente que-
sto fenomeno. Potremmo così parafrasarlo: «La difficoltà che incon-
tra la definizione delle nuove entità è soltanto parzialmente di natura
linguistica. Infatti, se si applica lo stesso nome numero ad un’entità
che moltiplicata per sé stessa dà -1, mentre in precedenza il nome
numero designava un dominio ontico, dove ciò rappresenta un’im-
possibilità dimostrabile, allora la parola numero, applicata all’entità
così definita, rappresenta una contraddizione clamorosa. È un nome
dato a un non-essere! Ma, messi di fronte a tale impossibilità, fabbri-
chiamo o per meglio dire – e per parlare con il Signor Dedekind – noi
creiamo una nuova entità, come d’altronde anche in ben altri casi»
(Peano 1910, pp. 31-37).
È esattamente ciò che Frege chiamava in senso peggiorativo «de-
finizione frammentaria» (stückweise Definieren, Frege 1914, poi in
Frege 19832, pp. 261-262; trad. it. pp. 382-383) e combatteva in
quasi tutti i suoi lavori; infatti, la discontinuità imposta al procede-
re matematico da tale modo frammentato di fondare separatamen-
te ogni categoria di numero era in contraddizione ovvia con la sua
tesi metafisica dell’unicità dell’essere e del sistema unico, della pre-

60 Cfr. ad esempio il seguente passo hegeliano: «In den zwei betrachteten Verhältnis-

sen geht der Prozeß der Selbstvermittlung der Gattung mit sich durch ihre Diremtion in
Individuen und das Aufheben ihres Unterschiedes vor». [«Nelle due relazioni considerate,
il processo dell’automediazione del genere con sé stesso ha luogo mediante la scissione di
esso in individui e la soppressione della loro distinzione».] (Hegel 1830, § 371, p. 306;
trad. it. p. 364) [N.d.T.].
la filosofia della matematica di frege 45

esistenza e della priorità ontologica dell’oggetto matematico rispet-


to alla sua definizione, e dunque in contraddizione con la sua tesi
dell’impossibilità della creazione.
Ma colui che osservò con chiarezza perentoria questo fenomeno
matematico e riconobbe in tutta la sua profondità il suo significato
per l’intero ambito spirituale del pensiero umano fu, nel 1921, Franz
Rosenzweig, spirito straordinario, famoso per il suo libro Der Stern
der Erlösung: «Ma per questo percorso, che porta da un nulla al suo
qualcosa, si offre come guida una scienza la quale a sua volta non
è altro se non un costante dedurre qualcosa (e mai più di qualcosa,
di un “qualche”) dal nulla, mai però dal nulla vuoto e universale,
bensì dal nulla peculiare, dal nulla “proprio” di questo qualcosa: la
matematica. Che la matematica non conduca oltre il qualcosa, oltre
il “qualche”, e che il reale stesso, il caos del “ciò”, sia al massimo
sorpreso da essa, ma neppur più colpito, è una scoperta che risale a
Platone. […] Così dal nulla al qualcosa esso [il differenziale] dischiu-
de due vie: la via della negazione del nulla e quella dell’affermazione
di ciò che nulla non è. La guida per entrambe queste vie è la mate-
matica. Essa insegna a conoscere nel nulla l’origine del qualcosa»
(Rosenzweig 1921, pp. 29-30; trad. it. pp. 20-21 [modificata]).
Prendendo in prestito un termine hegeliano, Georg Cantor parla
«di una produzione dialettica dei concetti» (dialektische Begriffserzeu-
gung)61 dei nuovi numeri, o più semplicemente di nuovi concetti: è
un atto che dipende dalla libertà del soggetto trascendentale; «ed è
proprio la libertà – sottolinea Cantor (che qui parafrasiamo) – e non la
purezza, che costituisce l’essenza stessa della matematica, che rappre-
senta una necessità in sé, intrinseca alla conoscenza matematica, e che
esclude l’incursione di ogni atto arbitrario. Occorre riconoscere con
assoluta chiarezza che il numero irrazionale nella nostra mente dispo-
ne, con la struttura imposta dalla sua definizione, di una realtà tanto
determinata quanto quella del numero razionale, anzi quanto quella
del numero razionale intero; è per mezzo di questo principio di pro-
duzione che un nuovo numero è creato, che è concepito come il limite

61 «[W]ir sehen hier eine dialektische Begriffserzeugung, welche immer weiter führt

und dabei frei von jeglicher Willkür in sich notwendig und konsequent bleibt». [«Siamo
in presenza, come si vede, di una produzione di concetti dialettica che prosegue illimita-
tamente e tuttavia è immune da qualsiasi arbitrio e in sé necessaria e consequenziale».]
(Cantor 1962, p. 148; trad. it. p. 56).
46 la filosofia della matematica di frege

di una successione di numeri senza un numero limite, limite definito


come il numero più grande che succede immediatamente all’insieme
di tutti i numeri della successione data di numeri» (Cantor 1962, pp.
149, 182, 187, 196, 199) [parafrasi di p. 182; trad. it. pp. 98-99].
L’essere dell’oggetto numerico generato da tale atto di creazione – un
passaggio dallo stato ontico del non-essere alla modalità dell’essere
reale – è ovviamente uno hysteron rispetto alla sua definizione che,
rispetto al numero nuovo creato, è un proteron.
Tale concezione rappresentò per Frege una provocazione. La sua
reazione fu viva, il suo discorso appassionato. Egli non accettava
compromessi, come, secondo la sua convinzione, si deve fare nei ri-
guardi di tutti coloro che rifiutano di accettare il bene supremo del-
la scienza, la Verità. Non risparmiava dunque coloro che erano di
un’opinione diversa dalla sua. Purtroppo il suo discorso consisteva
soltanto in dichiarazioni di intenti categoriche ed imperative, e di
canzonature la cui qualità non era certamente sempre all’altezza delle
circostanze.
La sua concezione era chiara: nell’atto conoscitivo la priorità
spetta all’oggetto preesistente; il segno è sempre uno hysteron ul-
teriore (Frege 1903a, pp. 84-85; trad. it. 1965, pp. 520-521; Frege
1903a, pp. 140-149); senza un oggetto preesistente da esso desi-
gnato, il segno formale non è nulla se non uno schizzo (Klex), una
macchia d’inchiostro nero su di un foglio di carta62; solo la preesi-
stenza dell’oggetto può garantire l’obiettività della verità, ulterior-
mente conosciuta: l’essere è la condizione necessaria e sufficiente, il
fondamento dell’essere-vero. E l’essere-vero è pure indipendente da
qualsiasi soggetto quanto lo stesso essere (Frege 1884, p. 85; trad.
it. p. 318). Negare l’obiettività dell’essere-vero implica il soggetti-
vismo, che conduce inevitabilmente alla rovina di ogni conoscenza
scientifica (ivi, pp. 95-97; trad. it. p. 331-334); una definizione da
sola non è nulla se non un enunciato arbitrario. Senza appoggio su
un oggetto preesistente al quale sia rapportata, essa non definisce
nulla e non può dunque allargare l’ambito della conoscenza (Frege
1903b, pp. 319-322; rist. in Frege 19902, pp. 262-264). Certamente
allo scopo di conferire al suo discorso una maggiore forza di per-
suasione, Frege dà ad esso a volte una forma versificata: «Vi sfugge,
62 Frege 1884, pp. 98, 102; trad. it. pp. 336, 341; Frege 1903a, pp. 105-106; trad. it.

1965, pp. 539-540; Frege 1903a, p. 125.


la filosofia della matematica di frege 47

la dimostrazione? /Traetela per definizione»63 – piccolo esercizio di


versificazione, la cui qualità letteraria è in buon accordo con le sue
opinioni sulla letteratura64.
L’unicità monolitica dell’essere esclude la pluralità dei mondi
aritmetici come qualsiasi atto di creazione: i diversi tipi di numeri –
naturali, razionali, reali, complessi – devono essere parti proprie di
quest’universo unico; essi preesistono dall’eternità in attesa della loro
scoperta da parte di un soggetto conoscitivo (Frege 1924-1925b, in
Frege 19832, p. 299; trad. it. p. 428).
Se i matematici italiani del XVI secolo e i matematici in genere
dell’Ottocento pensavano che i numeri immaginari fossero il prodot-
to di un atto di libera creazione, s’ingannavano, giacché ignoravano
semplicemente la loro presenza preliminare nel dominio dell’essere.
«Quando non si sa se un numero che ha il quadrato uguale a -1 esista
o no, allora se ne crea uno, ecco!»65 – Frege esclama con indignazio-
ne retorica contro le concezioni “creazioniste” di Dedekind, Cantor,
Weierstraß, Hankel e altri (Frege 1903a, pp. 141-142).
L’unicità dell’essere esclude evidentemente ogni pluralità dell’uni-
verso aritmetico. Non vi è che un solo numero 1, un unico numero
7; occorre dunque definire «il numero», senza ambiguità, definitiva-
mente, una volta per tutte: la definizione deve essere univoca (Frege
1884, pp. 102-103; trad. it. pp. 341-343). Il 7 come numero naturale
è identico al 7 intero, razionale, reale e complesso. Tuttavia, nelle
teorie moderne lo stesso 7 è definito ogni volta separatamente e, quel
che è più importante, in una maniera del tutto contraddittoria: è im-
possibile assegnargli una radice quadrata in quanto razionale, è ne-
cessariamente fornito di una radice quadrata in quanto reale (Frege
1903a, pp. 70-74; trad. it. 1965, pp. 502-508).
Si tratta di una contraddizione evidente e intollerabile, ma essa
riguarda soltanto l’ambito epistemologico della teoria aritmetica do-
minante, dimostrando la sua incoerenza. Nel dominio d’essere, quel-

63 «Was man nicht recht beweisen kann,/das sieht man als Erklärung an» (Frege

1903b, p. 321; rist. in Frege 19902, p. 264; Frege 1976b, p. 62; trad. it. p. 46: «Si consideri
come definizione ciò di cui non si possiede un’esatta dimostrazione»).
64 Per altri esercizi di stile simili si veda Frege 1906b, p. 588; rist. in Frege 19902, p.

326: «Wohltut des Abstrahierens Macht,/ Wenn es der Mensch bezähmt, bewacht;/ Doch
furchtbar wird die Himmelskraft,/ Wenn sie der Fessel sich entrafft».
65 «Wenn man nicht weiss, ob es eine Zahl gebe, deren Quadrat –1 ist, nun so schafft

man sich eine» (Frege 1903a, p. 142).


48 la filosofia della matematica di frege

lo della realtà obiettiva rappresentato dall’universo unico dei numeri


– Frege ne è certo –, una tale contraddizione non esiste (Frege 1924-
1925b, in Frege 19832, p. 299; trad. it. pp. 428-429). L’incoerenza
e il disordine epistemologico sono la conseguenza di uno sviluppo
storico veicolato dalle forze dell’irrazionale. L’evoluzione storica del-
la conoscenza matematica – Frege ritorna su questo punto parecchie
volte – è certamente segnata da queste discontinuità logiche, o con-
traddizioni, ed è impossibile non constatare che «la storia della scien-
za si trova così in conflitto con le esigenze della logica»66.
Non si potrebbe dire meglio! Ma a chi è imputabile l’errore? Non
sarebbe consigliabile sottoporre quest’incompatibilità ad una ricerca
e porsi la domanda se l’avanzamento storico del pensiero matema-
tico non disponga della sua struttura, della sua logica immanente,
diversa ed incompatibile con la logica dell’unicità di essere e verità?
Nel suo famoso Tractatus politicus, Spinoza raccomandava di esa-
minare gli eventi della storia «eadem animi libertate, qua res mathe-
maticas solemus (con quella stessa libertà d’animo che siamo soliti
adoperare in matematica)». Ed aggiungeva: «sedulo curavi, humanas
actiones non ridere, nec lugere neque detestari, sed intelligere (mi sono
impegnato a fondo non a deridere, né a compiangere, né tanto meno a
detestare le azioni degli uomini, ma a comprenderle)» (Spinoza 1925,
I, 4, p. 272; trad. it. pp. 1632-1633). Frege si faceva abbondantemente
beffe dei «matematici moderni», li deplorava e li detestava. Un intelli-
gere della storia non veniva da lui preso in considerazione.
Ecco perché Frege si propone di mettere fine, una volta per tutte,
a questa confusione intollerabile tra l’universo unico e monolitico
dell’essere enunciato dalla sua filosofia, da una parte, e l’universo
pluralista dell’epistéme matematica, dall’altra.

7. Contro il formalismo e il creazionismo. La teoria matematica a


confronto con la sua parabola storica

L’unicità dell’essere implica evidentemente l’unicità della verità. Il


fondamento della verità è l’essere: il vero dispone di una determinata

66 «Die Geschichte der Wissenschaft tritt so in einen Gegensatz zu den Anforderungen

der Logik» (Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 261; trad. it. p. 381; cfr. anche Frege 1884,
p. 8; trad. it. pp. 217-218).
la filosofia della matematica di frege 49

connotazione ontologica, ossia di quella dell’essere-vero, dell’essere


là, dell’essere presente in quanto verità (Wahrsein).
Frege era al corrente della comparsa della geometria non-euclidea: le
sue Grundlagen der Arithmetik, del 1884, dimostrano una certa cono-
scenza dello studio Über die Phänomenalität des Raumes, pubblicato
nel 1876 a Strasburgo, l’autore del quale era il suo collega di Jena Otto
Liebmann. Si tratta del primo lavoro filosofico in cui, come ho già ac-
cennato più sopra, la geometria non-euclidea è presentata come «una
rivoluzione scientifica». Frege ritiene, in effetti, che queste ricerche «non
siano completamente sprovviste di una certa utilità» (nicht unnütz)
(Frege 1884, p. 28; trad. it. p. 241), ma deplora altresì che esse abban-
donino completamente il terreno dell’intuizione: è la geometria euclidea
che resta l’unica di cui abbiamo una rappresentazione intuitiva.
Sennonché, il testo della geometria non-euclidea non deve esse-
re preso alla lettera ma simbolicamente, per qualcosa di altro; ad
esempio, con la parola «retta» si designa ciò che in realtà è percepito
intuitivamente come «curva». Ma l’essere e la verità spettano soltan-
to e unicamente alla geometria euclidea: la «retta» può essere retta
soltanto nello spazio di Euclide.
Frege fa ovviamente allusione a una configurazione geometri-
ca costruibile nel piano assoluto (ad esempio il «disco aperto» di
Poincaré), senza ricorrere però al postulatum euclideo, E, delle
parallele: questa configurazione può essere interpretata come rap-
presentazione o modello isomorfo dell’universo non-euclideo, nel
quale la parola «retta» non è interpretata in senso metaforico, non
è un’espressione simbolica, ma significa realmente l’oggetto geome-
trico retta, nel senso proprio della parola, proprio come nel caso
della geometria assoluta o euclidea. Ma ciò che si chiama «retta»
nel mondo non-euclideo è rappresentato nel suo modello assoluto
da una linea chiamata «ciclo».
Tale interpretazione ha naturalmente il vantaggio immenso di
salvarci dalla situazione scomoda che ci mette di fronte all’esistenza
simultanea di un triangolo «rettilineo» euclideo e a quella di un
triangolo anch’esso rettilineo ma non-euclideo, e di assegnare così
due predicati contraddittori, E e non-E, a un solo ed unico soggetto
grammaticale: «triangolo rettilineo». Questo è ovviamente escluso,
poiché per mezzo di un’interpretazione il predicato E è assegnato
ad un triangolo rettilineo, mentre non-E è assegnato ad una figura
50 la filosofia della matematica di frege

triangolare i cui lati non sono segmenti di rette ma archi di cerchi


o, piuttosto, di cicli.
Quest’interpretazione, molto popolare al tempo di Frege e con-
divisa da quasi tutti ancora al giorno d’oggi, è purtroppo comple-
tamente falsa e conduce ad una contraddizione. Infatti, si possono
costruire nel piano assoluto due configurazioni geometriche: una è il
disco aperto di Poincaré (superficie circolare la cui periferia, ossia la
circonferenza, è tolta) dentro cui si costruiscono tutti gli archi di cicli
(corrispondenti assoluti del cerchio) ortogonali sulla periferia assente;
l’altra è la configurazione assoluta di Möbius, costituita dalla totalità
di tutti i cicli che sono incidenti in un unico foro trapanato nel piano
(piano punteggiato). I cicli di Möbius sono anch’essi punteggiati in
un punto comune della loro periferia. Essendo configurazioni del pia-
no assoluto, le due configurazioni soddisfano anche gli assiomi della
geometria assoluta, ovvero si ottengono degli enunciati che soddisfa-
no gli assiomi assoluti sostituendo le espressioni «cicli-Poincaré» e
«cicli-Möbius» con l’espressione assoluta «retta». Ma dagli assiomi
assoluti dei «cicli-Poincaré» risulta immediatamente che la somma
degli angoli di un triangolo i cui lati sono «cicli-Poincaré» è inferiore
a 2R, mentre dagli stessi assiomi consegue che la somma degli angoli
di un triangolo Möbius, i cui lati sono «cicli-Möbius», è uguale a
2R. La geometria assoluta, come abbiamo mostrato in precedenza,
è non-categorica, ammette modelli non-isomorfi. Le due proposizio-
ni sono teoremi dimostrabilmente veri della geometria assoluta. Ma
se si procede alla stessa sostituzione del termine «ciclo» con «ret-
ta», allora si ottengono già all’interno della geometria assoluta due
proposizioni contraddittorie: l’enunciato euclideo e l’enunciato non
euclideo, formulati tutti due in termini di «retta». La geometria asso-
luta risulterebbe essere pertanto inconsistente67.

67 Nella geometria assoluta e in quella iperbolica il cerchio infinito è un paraciclo. Il

cerchio diventa iperciclo e si trasforma poi in una retta. Tre punti del piano assoluto, eu-
clideo e non euclideo, determinano un ciclo, ma nella geometria non euclidea il ciclo può
essere chiuso o aperto (invece in quella euclidea è sempre chiuso: dunque è un cerchio).
Nel caso della geometria non euclidea, se si gonfia un cerchio la periferia si allontana; in
un attimo arriva all’orizzonte. Questo cerchio infinito è simile alla parabola: una ellisse
è gonfiata all’infinito e diventa una parabola. Ha due fuochi e quando arriva all’infinito
uno dei due fuochi sparisce. Ci sono in astronomia comete che hanno una traiettoria pa-
rabolica. Nella geometria euclidea il cerchio all’infinito diventa una retta. Nella geometria
ellittica non si può parlare di cerchio infinito bensì di cerchio massimale che si identifica
la filosofia della matematica di frege 51

Tutto ciò si accorda completamente con il famoso «teorema della


rappresentazione», dimostrato, alcuni decenni fa, da Wanda Szmie-
lew68. Secondo questo teorema, ogni modello che soddisfa gli assio-
mi della geometria assoluta, dunque ogni modello della geometria
assoluta, soddisfa necessariamente sia l’assioma euclideo, E, sia l’as-
sioma non euclideo, non-E, delle parallele. Questo significa che, già
nel contesto assoluto, la struttura euclidea o non euclidea dei modelli
è decisa tramite un semplice ragionamento logico: la configurazione

con il quadrato massimale. Si veda anche l’Etica Eudemia di Aristotele (1222b 36), dove
viene menzionato l’esempio del quadrato con otto angoli retti, che infatti è un’unica retta
chiusa in sé.
Nel piano euclideo tre punti A, B, C definiscono univocamente un cerchio, una circonfe-
renza chiusa in sé. Se il raggio cresce e raggiunge l’infinito, la circonferenza diviene una retta
nel piano assoluto – così esso non sarà né euclideo né non-euclideo. I tre punti definiscono
anche univocamente una linea che si chiama ciclo, ma questo ciclo non è né una linea curva
né una retta, perche è indeciso ed indeterminato, come nel caso della geometria assoluta.
Ciò nonostante la sua esistenza è certa e definita per i tre punti A, B, C. Se si decide che E
sia vero, allora il ciclo assoluto diviene determinato come cerchio euclideo; se si decide che
non-E sia vero, allora i tre punti cociclici giacciono su una periferia ciclica chiusa in sé, i.
e. un cerchio non-euclideo; ma se il raggio di questo cerchio non-E diviene infinito, la linea
ciclica non si trasforma in una retta, ma rimane curva e si chiama paraciclo (denomina-
zione proveniente da Gauss; Bolyai lo chiama linea-L), o anche cerchio con raggio infinito
diverso da una retta – cerchio punteggiato da un punto unico all’infinito. Ma gli stessi tre
punti possono giacere anche su una periferia ciclica, dunque curva, che si chiama iperciclo
(termine di Gauss, mentre Bolyai lo chiama linea equidistante, perché – benché non sia retta
– possiede la notevole proprietà della retta euclidea di essere equidistante da una retta op-
pure da una diversa curva equidistante): l’iperciclo assomiglia a una linea iperbolica avente
due punti diversi all’infinito; infatti è omeomorfo con un segmento retto aperto a entrambi
i suoi estremi. Sul disco aperto di Poincaré, i.e. sul modello assoluto della geometria non
euclidea, tutte queste linee – retta, ciclo chiuso (cerchio), ciclo aperto (paraciclo aperto a
un unico punto, iperciclo, con due punti all’infinito) – sono rappresentate da un arco di
cerchio: la retta è rappresentata da un semiciclo ortogonale sulla periferia assente del disco,
e rappresenta la linea dell’orizzonte infinitamente lontano del piano non euclideo (iperboli-
co); il paraciclo è rappresentato da un cerchio all’interno del disco che tocca la sua periferia
assente in un punto – infatti si tratta di un buco riempito dalle tenebre del non essere (τὴν
τοῦ μὴ ὄντος σκοτεινοτήτα, Platone, Sofista, 254A). Il paraciclo è rappresentato da un arco
di cerchio incidente con il semicerchio ortogonale nei due punti – vuoti dell’essere – dove
questo semicerchio interseca la periferia del disco; ovviamente, come questo semicerchio, la
retta non-euclidea dispone di due punti differenti all’infinito; il ciclo chiuso, i. e. il cerchio,
è rappresentato da un cerchio quasi normale all’interno del disco; quasi normale, è da in-
tendere nel senso che il suo centro non coincide con il centro geometrico assoluto: infatti,
è tanto più vicino al perimetro del cerchio, quanto questo s’avvicina alla periferia del disco
[N.d.T., basata su una lunga comunicazione orale dello stesso Imre Toth].
68 Un’allieva di Alfred Tarski che si occupò insieme al maestro di modelli metamate-

matici della geometria [N.d.T.].


52 la filosofia della matematica di frege

grafica del piano assoluto, sia di Poincaré, sia di Möbius, è in sé


determinata, in quanto o ha una struttura euclidea o non-euclidea.
Ma la geometria assoluta non è decisa, è indecidibile: è dimostra-
bilmente indimostrabile. Identificare la parola assoluta «retta» con
il termine assoluto «ciclo» significherà che la verità dei due assiomi
contraddittori, E e non-E, dovrà essere decisa già nel contesto del lin-
guaggio assoluto. Abbiamo a che fare con la decidibilità del modello
e con l’indecidibilità dell’universo dell’essere (che il modello non fa
che rappresentare come la sua carta geografica, a mo’ di metafora):
è dunque l’opposizione irriducibile «decidibile-indecidibile» oppure
«determinato-indeterminato» che impedisce di identificare modello
ed universo, carta geografica e paesaggio, metafora e realtà.
In tutti i modi, nel 1884 Frege riconosceva ancora la presenza
effettiva di un testo non-euclideo, anche se gli concedeva soltanto lo
statuto di un semplice simbolo irreale. Questo primo incontro con
un testo non-euclideo lo indusse a chiedersi se una situazione simile
non potrà prodursi anche nel contesto aritmetico dei numeri. La sua
risposta è pronta e senza esitazione: formulare un testo aritmetico
dove uno degli assiomi sia sostituito dalla sua negazione è assoluta-
mente impossibile e impensabile. Tutto affonderà nel caos: se si nega
un assioma aritmetico, il pensiero stesso diventerà impossibile69. Le
leggi dei numeri sembrano essere nella relazione più intima con le
leggi del pensiero (Frege 1884, p. 29; trad. it. p. 242).
La possibilità di un’aritmetica eterodossa, non-euclidea, è appas-
sionatamente negata. L’argomentazione, che Frege probabilmente
ritiene persuasiva, è nuovamente tratta dall’ambito dell’essere ve-
getale; infatti, l’impossibilità di una botanica non-euclidea sembra
essere l’evidenza stessa, cosa che, secondo il ragionamento di Frege,
riduce automaticamente all’assurdità anche l’idea di un’aritmetica
non-euclidea: «Non si possono avere due aritmetiche diverse come è
impossibile avere due botaniche dello stesso universo»70.

69 «Stürzt nicht alles in Verwirrung, wenn man einen von diesen leugnen wollte? Wäre

dann noch Denken möglich?». [«La negazione di una di esse [scil. di una delle leggi fonda-
mentali dell’aritmetica] non trascinerà con sé la confusione più generale? Sarebbe ancora
possibile il pensiero, allorché si volesse persistere in tal negazione?»] (Frege 1884, p. 29;
trad. it. p. 242).
70 «Evidentemente ognuno di costoro unisce alla parola “numero” un senso diverso. E

quindi anche le aritmetiche di questi tre matematici [verosimilmente Weierstraß, Thomae


e Cantor] saranno completamente diverse l’una dall’altra. Un enunciato della prima avrà
la filosofia della matematica di frege 53

La verità è là, di fronte a noi: aspetta solo di essere scoperta come


se fosse un astro; essa esiste obiettivamente e, come tale, è assolu-
ta ed eterna: la sua essenza è diametralmente opposta a ciò che un
soggetto qualunque ritiene arbitrariamente essere vero (Führwahrge-
haltenwerden). Il numero 2, il numero 1 sono gli stessi dappertutto,
per tutti i soggetti e per sempre. È del tutto impossibile che per un
soggetto sia vero 1•1=1 e per un altro 1•1=2 (Frege 1893, pp. XVI-
XVIII; trad. it. 1965, pp. 486-490): il numero 1, il numero 2 signifi-
cano dappertutto, in tutte le galassie, la stessa cosa (Frege 1884, pp.
102-103; trad. it. pp. 341-342).
Frege cita un’obiezione possibile: un logico psicologista dirà forse:
presso gli abitanti di altre galassie sono valide le loro leggi, per noi
le nostre. Ma «quanto a me» – replica Frege – «io dirò: qui noi ab-
biamo a che fare con una demenza sconosciuta fino ad oggi»71. Pur-
troppo nessun altro argomento viene invocato contro la possibilità e
l’esistenza di tali universi aritmetici demenziali72.
Come un’assurdità evidente, impossibile da produrre per mezzo
della libera creazione, viene citato tra gli altri un dominio di nume-
ri, che si suppone soddisfino gli assiomi di Peano; si tratta di una
sequenza di numeri naturali, dove le regole familiari 1•1=1 saranno

un senso del tutto diverso da un enunciato della seconda dall’identico suono. È come se i
botanici non fossero d’accordo su che cosa si debba intendere per pianta, e se uno volesse
intendere una struttura che si sviluppa organicamente, l’altro un oggetto artificialmente
prodotto dalla mano dell’uomo, e un terzo qualcosa che non è affatto percepibile dai sensi.
Così però non si avrebbe come risultato una botanica unitaria». [«Offenbar verbindet
jeder von diesen mit dem Worte „Zahl“ einen anderen Sinn. Die Arithmetiken dieser drei
Mathematiker müssen also ganz voneinander verschieden sein. Ein Satz des ersteren muss
einen von dem gleichlautenden Satz des anderen ganz verschiedenen Sinn haben. Es ist dies
ähnlich so, als ob die Botaniker nicht einig darin wären, was sie unter Pflanze verstehen
wollten, sodass ein Botaniker etwa ein organisch sich entwickelndes Gebilde, ein anderer
ein von Menschenhand künstlich zusammengesetztes Ding, ein dritter etwas darunter ver-
stehen wollte, was überhaupt nicht sinnlich wahrnehmbar wäre. Das ergäbe doch nicht
eine einheitliche Botanik».] (Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 233; trad. it. p. 349).
71 «Ich würde sagen: Da haben wir eine bisher unbekannte Art der Verrücktheit» (Fre-

ge 1893, p. XVI; trad. it. 1965, p. 488; trad. it. 1995, p. 14 [modificata]).
72 In realtà Frege osserva che, se il significato dei numeri e le verità che li concernono

non avessero esistenza obiettiva, allora qualsiasi soggetto potrebbe avere il suo proprio
numero 2, e, con ogni nuova generazione, «sorgerebbero sempre dei nuovi 2; e chi può sa-
pere se essi non si evolverebbero coi secoli, talché il prodotto 2 x 2 non divenisse un giorno
uguale a 5?» [«Mit den heranwachsenden Menschen entständen immer neue Zweien, und
wer weiss, ob sie sich nicht in Jahrtausenden so veränderten, dass 2 x 2 = 5 würde?»] (Fre-
ge 1884, p. 42; trad. it. p. 259) [N.d.T.].
54 la filosofia della matematica di frege

sostituite dalle definizioni liberamente scelte. Ad esempio: 1•1=2:


«Se un uomo dicesse “uno per uno dà uno” e l’altro “uno per uno dà
due”, non si potrebbe far altro che prendere atto di questa diversità
e concludere: il tuo uno ha questa proprietà, il mio quest’altra»73.
Proprio come nell’universo familiare a noi tutti, in quest’univer-
so il successore di un numero è definito dalla relazione succ.n=n+1
e si ha in quest’ultimo anche: n+succ.m = succ.(m+n) e n•succ.
m=n•m+1•m. Ma in quest’universo l’elemento iniziale «1» non è
elemento neutro della moltiplicazione. Infatti, se si ha 1•1=2, si avrà
necessariamente: 1•m=m+m. La particolarità più significativa dei nu-
meri di quest’universo è quella di non essere sottoposti alla legge,
apparentemente ovvia e fondamentale dell’aritmetica euclidea, che
è quella dell’unicità della scomposizione in fattori primi. I domini
numerici non sottoposti al teorema euclideo dell’unicità della scom-
posizione in fattori primi sono considerati come strutture algebriche
non euclidee.
Tali strutture, dove l’unicità della scomposizione in fattori primi
è negata, sono state, a seguito della loro scoperta nel 1876 da parte
di Dedekind, oggetto di ricerche intense nell’ambito dell’algebra del
loro tempo, ma negli scritti di Frege non si trova alcuna prova che
ci permetta di concludere che abbia mai preso conoscenza di questi
risultati. Probabilmente l’esempio più semplice è quello di un mon-
do aritmetico fondato sull’enunciato assiomatico: 1•1=2. Secondo il
folklore matematico, è attribuito al matematico italiano Mario Pieri,
un contemporaneo di Frege. La successione di questi numeri, non
soltanto non-naturali ma anche non euclidei e davvero completa-
mente “insensati”, è la stessa di quella dell’aritmetica di Peano: 1,
2, 3, 4,…, n, succ.n,…; i numeri d’ordine dispari – 1, 3, 5,… – sono
tutti numeri primi giacché non sono divisibili per nessun altro nume-
ro, neanche per 1 o per sé stessi. I numeri d’ordine pari – 2, 4, 6,…
– non sono divisibili per sé stessi, ma sono divisibili per l’unità e per
altri numeri. Così il numero 30 può essere scomposto nei due fattori
primi: 30=1•15, ma allo stesso tempo si avrà anche una seconda
scomposizione in fattori primi: 30=3•5. Ma 15, essendo un numero
primo, non è uguale a 3•5. Si può così facilmente dimostrare che

73 «Und wenn der Eine sagte „einmal Eins ist Eins“ und der Andere „einmal Eins ist

Zwei“, so könnte man nur die Verschiedenheit feststellen und sagen: deine Eins hat jene
Eigenschaft, meine diese» (Frege 1893, p. XVIII; trad. it. 1965, p. 490).
la filosofia della matematica di frege 55

l’universo aritmetico di Pieri è relativamente coerente: se l’universo


italiano di Pieri celasse una contraddizione, la nostra aritmetica quo-
tidiana, quella di Peano74, dovrebbe anch’essa crollare sotto l’esplo-
sione di una bomba logica nascosta. La dimostrazione è realmente
semplice: il sottoinsieme dei numeri pari di Peano costituisce un mo-
dello isomorfo dell’universo di Pieri. Ma isomorfismo e identità sono
entità ben differenti. Questa piccola struttura algebrica non-euclidea
non è in sé interessante dal punto di vista matematico, ma è tuttavia
citata nei manuali d’algebra come esempio semplice di una struttura
aritmetica «non-euclidea» dove il teorema euclideo dell’unicità della
scomposizione in fattori primi non è vero.
La scelta della figura retorica della prolessi – la confutazione
anticipata di una tesi opposta – fu, anche questa volta, abbastanza
sfavorevole. Frege sembra essere stato male informato, quando pro-
nosticò l’impossibilità di altre aritmetiche, diverse e opposte a quella
di Euclide. Il suo disperato sortilegio, secondo il quale un’aritmetica
non-euclidea avrebbe rovinato il pensiero stesso, è stato portato via
dalla prima brezza leggera.
Impossibilità assoluta forse, come credeva Frege, ma la relazione
assiomatica 1•1=2 è tuttavia di fronte ai nostri occhi, presente nel
dominio della realtà matematica75.
Si trovano alcuni esempi maldestramente scelti, o semplicemente
falsi, praticamente presso tutti gli autori. Frege, tuttavia, occupa fra
questi profeti dell’impossibile un luogo singolare grazie alla coerenza
del suo repertorio. Infatti, i suoi esempi matematici, nella loro tota-
lità, sono affetti da errori che annullano il loro effetto (Toth 1984).
Coloro che ammettono la creazione di nuovi numeri ammettono
implicitamente la priorità del soggetto in rapporto all’oggetto creato,
e nell’interpretazione di Frege si tratta sempre del soggetto psicolo-
gico dell’individuo demografico, che è l’unica entità a disporre del
diritto di essere designata con il termine «soggetto».
La priorità del soggetto si manifesta, con ogni evidenza, nell’esistenza
autonoma e preliminare del segno. È il credo di quello che Frege chiama
il formalismo, come venne formulato dal suo esponente più autorevole,
David Hilbert. Il formalista si arroga il ruolo del dio – gli rimprovera
Frege –, assegnando un oggetto, la sua propria creazione ulteriore, al
74 Cfr. Appendice, Testo n. 5.
75 Cfr. Appendice, Testo n. 6.
56 la filosofia della matematica di frege

segno definito prima di tutto arbitrariamente da lui. Per il formalista, la


coerenza della definizione sembra bastare per garantire l’esistenza della
cosa definita. Ora, secondo Frege, poiché la coerenza logica in sé non
è sufficiente per ammettere la creazione di un oggetto, nessun oggetto
uscirà dal nulla per mezzo della semplice articolazione del “fiat” divi-
no (Frege 1884, p. 98-99; trad. it. pp. 336-337). L’esistenza dell’ogget-
to può essere provata con un solo metodo: mostrandolo, esibendolo
(aufweisen; Frege 1976b, p. 71) effettivamente davanti al pensiero. Se, e
soltanto se, la sua esistenza è stata garantita preliminarmente per mezzo
di un tale atto di esibizione, allora, dopo una tale dimostrazione di esi-
stenza, può cominciare la sua conoscenza e la sua definizione.

8. Gli Elementi di Euclide come ideale epistemologico del sistema


unico

Frege deplora la situazione della matematica a lui contempora-


nea, poiché essa si presentava nella forma di una pluralità di teorie
personali e parziali. Ne derivava l’impossibilità di integrarla in un
solo e unico Sistema coerente e rigido. Gli sembra deplorevole che
l’idea stessa di Sistema sia, in queste circostanze, caduta nell’oblio.
Di conseguenza, in modo paradossale, nessun’altra scienza si è per-
duta in una nebbia così spessa come la matematica. La situazione gli
sembra intollerabile ma – e Frege ne è convinto – essa non può più
durare a lungo. «L’assenza di ogni connessione logica tra le teorie
(Zusammenhanglosigkeit) non riuscirà alla lunga ad accontentarci»,
giacché «solo col sistema si può creare ordine. Ma per la costruzione
del sistema è necessario che si proceda consapevolmente attraverso
inferenze logiche»76. Occorre sottolineare che questa concezione del
sistema unico, che stabilisce l’Ordine rigido imposto dal regno del-
le Leggi eterne e incrollabili del Pensiero logico – Ordine e Legge
(Ordnung und Gesetzmäßigkeit) (Frege 1884, p. 9; trad. it. p. 218) –,
è stata sviluppata da Frege dopo che egli aveva rinunciato all’edifica-

76 «Die jetzt herrschende Zusammenhanglosigkeit kann nicht dauernd befriedigen.

Nur durch das System kann Ordnung geschaffen werden. Zum Aufbau des Systems aber
ist erforderlich, dass das Fortschreiten mit Bewusstsein in logischen Schlüssen geschehe»
(Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 221; trad. it. [modificata] p. 335; cfr. ivi, p. 261; trad.
it. p. 381).
la filosofia della matematica di frege 57

zione dell’aritmetica sulle sole leggi della logica. Nel 1924-1925 egli
esprimeva la speranza di poter fondare l’aritmetica e la totalità della
matematica sulla geometria (cfr. Frege 19832, pp. 282-302; trad. it.
pp. 413-422), e stabilire così il Sistema unico.
La sua speranza non si è mai realizzata. L’idea stessa risale cer-
tamente ai Greci, ma nel corso del XIX secolo è diventata del tutto
caduca. L’ideale greco, di fondare la matematica sulla geometria, si
è rivelato sterile: una siffatta via, mostratasi impraticabile, è stata
in seguito necessariamente abbandonata, costituendo un ostacolo
manifesto al progresso ulteriore e producendo di conseguenza delle
limitazioni impossibili da accettare.
Tuttavia, l’ideale del Sistema unico, per Frege, è costituito inne-
gabilmente dagli Elementi di Euclide77, paradigma del Sistema unico
delle verità obiettive a cui egli rimanda costantemente.
Peraltro, Frege è convinto di essere il solo a utilizzare le parole defi-
nizione e assioma «nel loro senso antico, quello di Euclide», opposto,
a suo avviso, «a quello moderno», che Hilbert e i suoi discepoli hanno
loro impresso «tramite una deviazione arbitraria del senso tradizionale
delle parole». E un tale atto, che non può che «seminare confusione»,
deve, dal momento che è commesso «intenzionalmente», essere stig-
matizzato e condannato come un peccato perpetrato contro la scienza
(«Versündigung an der Wissenschaft»; Frege 1906a, pp. 297-301, rist.
in Frege 19902, pp. 285-288). Quanto a lui, egli persiste fermamen-
te nella credenza «di aver conservato l’orientamento consacrato dalla
tradizione e, di conseguenza, di essere investito del diritto di esigere di
non seminare la confusione» utilizzando le parole definizione e assio-
ma «in un senso del tutto nuovo»78. Al contrario, «ciò che il signor
Hilbert chiama “definizione” del punto» in conformità alla sua con-
cezione delle cosiddette definizioni, «non è una definizione nel sen-
so antico del termine»79. In effetti, quelli che Hilbert chiama assiomi
sono «proposizioni improprie» (uneigentliche Sätze) – il che vuol dire

77 Cfr. Frege 1906a, pp. 296-298; rist. in Frege 19902, pp. 284-285; pp. 381-383; rist.

in Frege 19902, pp. 299-300; p. 386; rist. in Frege 19902, p. 303; cfr. anche Frege 19832,
pp. 223, 266, 270, 293, 298; trad. it. pp. 337-338, 387-388, 392, 421-422, 427-428.
78 Frege 1906a, pp. 295-296; rist. in Frege 19902, p. 283; pp. 297-298; rist. in Frege

19902, p. 285; cfr. anche Frege 19832, p. 298; trad. it. p. 428.
79 «Zunächst ist jedenfalls das, was Herr Hilbert Definition des Punktes nennt, nicht

eine Definition im alten Sinne des Wortes» (Frege 1906a, p. 384; rist. in Frege 19902, p.
301; p. 300; rist. in Frege 19902, p. 287).
58 la filosofia della matematica di frege

che esse non asseriscono nulla, giacché sono, «in quanto proposizio-
ni improprie, necessariamente composte da segni che non significano
nulla». Per Frege, la fedeltà alla tradizione costituiva, a quanto pare,
l’equivalente morale della fedeltà alla verità.
Sembra in effetti che l’autore degli Elementi fosse ispirato dal van-
gelo della gnosi formalista: «in principio è il segno», che l’eresiarca Hil-
bert (1964, p. 18) formulò nel 1922, «in opposizione rigorosa a Frege»,
come egli stesso sottolineò, piuttosto che dall’ortodossia filosofica del
grande logico di Jena. Io vorrei ricordare a questo proposito, a titolo di
semplice curiosità, il fatto che negli Elementi di Euclide – opera fami-
liare a Hilbert in lingua originale – la prima parola è segno, Σημεῖον:
«segno è ciò che non ha parti» (Σημεῖόν ἐστιν, οὗ μέρος οὐθέν).
L’occorrenza della parola punto (στιγμή) in Euclide – e in tutta la
letteratura matematica dell’antichità – è uguale a zero. Dappertutto
nel suo testo si incontra soltanto il vocabolo «segno» (ad esempio
nella Definizione 16 del Primo libro: «il segno che è in mezzo al cer-
chio si chiama “centro”»80). Nella prima traduzione latina degli Ele-
menti, il Palinsesto di Verona, si legge dappertutto la parola «segno»
(signum). Non è certamente decisivo o importante, tuttavia un po’
«spiacevole». Ma come è possibile! Euclide era un formalista?
Frege non cessa di ripetere le sue dichiarazioni di fedeltà agli assio-
mi e ai postulati di Euclide, poiché a suo avviso questi e soltanto questi
sono conformi alla sua filosofia in quanto solo essi sono in grado di
esprimere una verità obiettiva unica e corrispondente a uno stato di
cose indipendente dal pensiero e perfino dall’esistenza di ogni soggetto.
Ma gli è certamente sfuggito il fatto che negli Elementi di Euclide
d’Alessandria due rette complanari ma non coortogonali, ossia due
rette oblique dello stesso piano, si incontrano necessariamente, ma
soltanto e unicamente perché obbediscono alla costrizione enuncia-
ta dall’ordine imperativo del soggetto trascendentale della geome-
tria, soggetto designato all’occorrenza dal nome proprio «Euclide».
Può darsi che questo mondo, nel quale viviamo, sia stato creato dal
fiat!, imperativo di Dio. Ma è certo che la geometria fu creata eu-
clidea dall’imperativo di Euclide in quanto soggetto trascendentale
della geometria: ᾽Ηιτήσθω, l’imperativo impersonale che introduce

80 Cfr. Euclide 2007, pp. 778-779: Κέντρον δὲ τοῦ κύκλου τὸ σημεῖον καλεῖται. La

traduzione italiana di Fabio Acerbi suona: «Ed il punto è chiamato centro del cerchio»
[N.d.T.].
la filosofia della matematica di frege 59

la lista dei postulati è in realtà un ordine che proviene da un sogget-


to libero che dispone del diritto di decisione e di comando, rivolto a
tutte le coppie di rette complanari di incontrarsi se la somma degli
angoli interni che esse formano con una secante comune e dallo
stesso lato della trasversale non è supplementare, ossia è inferiore
a due angoli retti, 2R. E tutte le coppie di rette si sottomettono
senza esitazione a tale ordine metalinguistico ed eseguono questo
comando venuto dall’aldilà dell’universo degli oggetti geometrici. Si
tratta dunque evidentemente di un ordine che proviene dal soggetto
trascendentale della geometria, ordine rivolto al piano bidimensio-
nale, esigendo imperativamente da esso che sia euclideo. «Euclide»
è il nome del quale i Greci si sono serviti per designare il soggetto
trascendentale della Geometria, il Dio geometrizzante di Platone.
Inoltre – un dettaglio che non è sfuggito agli storici – la biografia di
Euclide è succinta quanto quella di Dio.
Ma mentre l’edificio euclideo rappresenta l’ideale stesso della teoria
scientifica, «la parola teoria è impropria», a suo avviso, per designare il
testo di geometria di Hilbert; «occorrerà piuttosto parlare di giuochi»81,
propone sarcasticamente Frege. «La matematica moderna – o, diciamo
più semplicemente, il signor Hilbert – considera l’assioma non come
un enunciato proprio, ma come una proposizione impropria»82 – com-
menta Frege, ed egli è dell’avviso che «manifestamente il signor Hilbert
non sappia lui stesso che cosa intende con la parola assioma»83.
Insomma, quelli che Hilbert chiama assiomi non sono in verità
che degli pseudoassiomi, e «se il signor Hilbert li utilizza in quanto
premesse non arriverà a produrre se non catene inferenziali che non
hanno che l’apparenza di ragionamenti, e saranno solamente delle
pseudo-dimostrazioni»84.
81 Frege 1906a, p. 396; rist. in Frege 19902, p. 311: «man sollte “Spiel” sagen».
82 «Die neuere Mathematik – oder sagen wir einfach: Herr Hilbert – versteht unter
einem Axiome nicht einen eigentlichen Satz, der einen Gedanken ausdrückt, sondern einen
uneigentlichen, aus dem beim Schließen vom Allgemeinen zum Besondern verschiedene
eigentliche Sätze hervorgehen können, die dann also Gedanken ausdrücken» (Frege 1906a,
p. 382; rist. in Frege 19902, pp. 299-300).
83 «Offenbar weiß Herr Hilbert selber nicht, was er mit dem Worte „Axiom“ meint,

und damit wird es auch zweifelhaft, ob er wisse, welche Gedanken er mit seinen Sätzen
verbinde» (Frege 1906a, p. 294; rist. in Frege 19902, p. 282).
84 «Wenn also Herr Hilbert scheinbar doch seine Axiome als Prämissen von Schlüssen

benutzt, wenn er scheinbar Beweise auf sie gründet, so können das eben nur Scheinschlüs-
se, Scheinbeweise sein» (Frege 1906a, p. 390; rist. in Frege 19902, p. 306).
60 la filosofia della matematica di frege

Ciò che gli assiomi di Hilbert rappresentano non è il risultato


ulteriore di una scoperta, poiché quel che essi enunciano è privo di
ogni riferimento obiettivo al di fuori del soggetto. Ne consegue che
«gli assiomi del signor Hilbert non sono degli enunciati propri e non
esprimono alcun pensiero, come prova il fatto che secondo lui un as-
sioma una volta valido non lo è più una seconda volta»85. Tali propo-
sizioni – come l’assioma di Euclide, E, e quello di Lobačevskij, non-E
– sono comparabili – egli ritiene – a un naso di cera, che si può girare
a proprio piacimento a sinistra o a destra. Frege raccomanda, di con-
seguenza, di esporre la testa di Hilbert, con i suoi pseudo-assiomi di
cera, in un Musée Grévin della Geometria86.
La qualità letteraria dei sarcasmi polemici di Frege mi sembra,
una volta di più, essere in piena armonia con le sue espressioni reite-
rate di disprezzo per la poesia.

9. Il soggetto trascendentale. La genealogia neoplatonica della fi-


losofia della matematica

Al centro della polemica condotta da Frege contro Weierstraß,


Dedekind, Hankel, Hilbert e gli altri «matematici moderni» si trova-
va la nozione di soggetto, come unica fonte della libertà di creazione:
il ruolo del soggetto libero nell’edificazione delle scienze matemati-
che o, in altri termini, il problema della relazione tra verità e libertà.
Secondo Frege, la verità è il limite della libertà.
In queste circostanze non è affatto stupefacente che il vocabolo
«libertà» sia, come mi sembra, assente dal lessico fregeano. Infatti,
Frege preferisce sostituirgli espressioni che suggeriscono il vizio, come
quelle di «arbitrio capriccioso», «gioco», «licenza» e «anarchia»87.
Al contrario, nell’opinione degli altri studiosi da lui criticati, la
libertà è la virtù suprema del soggetto, tanto nell’accezione morale
della parola quanto in quella fisica, come sinonimo di «potenza»: la
libertà è la fonte unica della verità.

85 «Herrn Hilberts Axiome aber sind uneigentliche Sätze, die also keine Gedanken

ausdrücken. Dies ersieht man daraus, daß nach Herrn Hilbert ein Axiom bald gilt, bald
nicht gilt» (Frege 1906a, p. 424; rist. in Frege 19902, p. 318).
86 Frege 1906a, p. 385; rist. in Frege 19902, p. 302; Frege 1906a, pp. 398-399; rist. in

Frege 19902, pp. 313-314.


87 Cfr. per esempio Frege 1976b, pp. 62, 71; trad. it. pp. 46, 57.
la filosofia della matematica di frege 61

La verità, o piuttosto l’universo pluralistico delle verità assioma-


tiche, è il prodotto di un atto di creazione da parte di un soggetto
che dispone della libertà e del potere di assegnare alla verità, che egli
stesso ha preliminarmente stabilito, in quanto proteron, il suo uni-
verso di oggetti, come hysteron. La metagalassia delle verità e degli
universi matematici, lungi dall’essere un monolite rigido, un sistema
unico dato una volta per tutte, rappresenta piuttosto una pluralità di
mondi in permanente espansione e progresso, veicolati dall’instanca-
bile attività di creazione esercitata dal suo agente, il soggetto trascen-
dentale della matematica88.
Successivamente l’idea del soggetto trascendentale, come agente
di «geometropoiesi», è menzionata una volta in una formula molto
bella del Trattato sulla contemplazione di Plotino89. Si trova molto
più tardi, in una forma più concreta e più esplicita, nel cardinale
Niccolò Cusano90 e nei neoplatonici italiani, come Marsilio Ficino e
soprattutto Girolamo Cardano (Cardano 1963, X, p. 4).
Nelle Meditazioni metafisiche di Descartes il soggetto creatore
assolutamente libero della verità occupa, nell’ipostasi dell’agente di-
vino, il centro delle sue riflessioni (si ricordi la celebre espressione
cartesiana: Deus fons veritatis)91. Giambattista Vico, da parte sua,

88 Nel testo francese si trova “transcendant”, ma nelle correzioni autografe dello

stesso Toth leggiamo, com’è naturale, “transcendantal”. Cfr. anche Appendice, Testo n.
7 [N.d.T.].
89 «καὶ τὸ θεωροῦν μου θεώρημα ποιεῖ, ὥσπερ οἱ γεωμέτραι θεωροῦντες γράφουσιν·»

[«E il mio contemplare produce i suoi oggetti, come fanno i geometri, i quali, contem-
plando, disegnano (i. e. dimostrano) le figure».] (Plotino 2002, Enneade III 8.4, p. 771).
Potremmo anche tradurre così: «Contemplando mi faccio teorema, ossia divento teore-
ma, oggetto della mia contemplazione, proprio come i geometri producono i loro teoremi
dimostrandoli – in quanto oggetto della loro contemplazione». [Si tratta di un gioco di
parole con il termine “teorema”, un calembour impossibile da tradurre, N.d.T.]. Cfr. anche
Appendice, Testo n. 8.
90 Cusano 1514: I, p. 26v [De docta ignorantia, libro terzo, cap. III], p. 82r [Idiotae.

De mente, libro terzo], p. 165r [De ludo globi, libro II], p. 184v [Il trialogo De possest], p.
184rv [De beryllo]; trad. it. pp. 165-166, 467-468, 912-913, 786-788, 643-645; II, p. 54v
[Excitationum ex sermonibus. Liber primus. Ex sermone “Dies sanctificatus”], p. 186r
[Idem. Liber decimus. Ex sermone “Qui me inveniet”]; II, fol. 93-97 [Complementum
theologicum figuratum in complementis mathematicis]; trad. it. pp. 607-627; si veda anche
la sua lettera a Nicolò Albergati del 1463, in Cusano 1955.
91 L’espressione, all’accusativo (Deum fontem veritatis), di origine agostiniana (cfr.

Agostino 1990, XII.30, 41, pp. 522-523), si trova alla fine della Prima Meditazione,
nell’ipotetica contrapposizione del vero Dio alla finzione di uno spirito maligno: «Sup-
ponam igitur non optimum Deum, fontem veritatis, sed genium aliquem malignum, eun-
62 la filosofia della matematica di frege

secolarizza il soggetto della matematica investendolo della libertà di


creare la sua propria verità per mezzo del suo cogito (Vico 1858-
1860, vol. I, pp. 77, 117, 131; trad. it. pp. 66-69, 110-111, 126-
127). Piuttosto curiosamente, l’idea del soggetto creatore della verità
matematica viene più ampiamente sviluppata, a partire dalla fine del
XVIII secolo, consecutivamente ed indipendentemente da tre poeti:
François Hemsterhuis, in Francia92, Novalis in Germania93, ed Edgar
Allan Poe, in America. Il testo prodotto da quest’ultimo nel suo Eu-
reka è veramente stupefacente, anzi del tutto incredibile: il che, dal
punto di vista storico, mi sembra rappresentare un mistero inspiega-
bile. Infatti, si tratta del primo scritto dove l’idea dei principi assio-
matici opposti come anche l’idea della consistency (resa dalla parola
consistance nella traduzione di Baudelaire), in quanto unico criterio
della verità, si trovano esplicitamente enunciati (Poe 1902, XVI, pp.
196, 209, 241, 276, 302, 311; trad. it. pp. 26-27, 50-53, 110-113,
176-177, 222-225, 238-241; si veda anche Séguin 1988).
Alla stessa genealogia filosofica appartiene altresì Paul Mongré,
poeta e saggista tedesco dell’inizio del XX secolo, oggi dimenticato,
sempre vissuto nella città di Bonn, dove, in segno di omaggio (con
sua moglie e sua cognata misero fine alla loro vita, nel giorno fissato
per la loro deportazione), una via porta il suo nome di stato civile:

demque summe potentem et callidum, omnem suam industriam in eo posuisse, ut me


falleret». [«Supporrò dunque che, anziché un Dio ottimo, fonte di verità, vi sia un genio
malvagio, che, sommamente potente ed astuto, ce la metta tutta per ingannarmi».] (Des-
cartes 1900, vol. VII, p. 22; trad. it., pp. 34-35) [N. d.T].
92 Cfr. ad es. Hemsterhuis 1809, I, p. 247: «La géométrie et l’arithmétique pure sont les

seules branches des connoissances humaines où la science soit parfaite, parce que les objets
de ces sciences sont tous de notre création, que par conséquent l’objet et l’idée de l’objet ne
sont qu’une seule et même chose et qu’enfin, chaque nouvelle idée est une idée de rapport
parfait et déterminé». [«La geometria e l’aritmetica pura sono le uniche branche della
conoscenza umana in cui la scienza è perfetta, sia perché gli oggetti di tali scienze sono tutti
di nostra creazione, in modo che l’oggetto e l’idea di esso sono una sola e medesima cosa,
sia perché ogni nuova idea è un’idea di rapporto perfetto e determinato».] (trad. it., p. 78).
Cfr. anche Hemsterhuis 1809, I, p. 130; II, pp. 50, 151, 178, 183; trad. it. pp. 634-635,
257, 279, 283 [N.d.T.].
93 Cfr. ad es. Novalis 1975, II, p. 168: «Unsre Natur ist immanent – unsre Reflexion

transscendent. Gott sind wir – als Individuum denken wir». [«La nostra natura è imman-
ente – la nostra riflessione è trascendente. Dio siamo noi – pensiamo in quanto individui».],
trad. it., vol. I, p. 129 [modificata]. Cfr. anche Novalis 1975, II, p. 625; III, pp. 168, 175,
309, 415, 445, 473, 593-594; trad. it. I, pp. 568-569; II, pp. 170, 177-178, 337-338, 446,
477-478, 507, 677-678 [N.d.T.].
la filosofia della matematica di frege 63

Felix Hausdorff, allievo di Georg Cantor, già professore di matematica


all’Università di Bonn e uno dei più grandi matematici della sua epoca.

10. La geometria nella prospettiva di Frege

L’impresa di Frege riguardava esclusivamente l’universo dell’epi-


stéme aritmetica, ovvero la conoscenza e l’architettura teorica dell’a-
ritmetica, e non il dominio ontico del mondo dei numeri, non gli
insiemi di oggetti numerici.
Egli si proponeva di eliminare la pluralità (o, secondo lui, il caos)
delle teorie e non i numeri stessi di cui le teorie dei matematici mo-
derni pretendevano di aver reso conto. Non ha mai negato l’esistenza
e la realtà effettiva dei numeri irrazionali o immaginari: ha negato
solamente la legittimità dei tentativi di fondazione che offrivano i
moderni e che lui, Frege, considerava completamente erronei.
In rapporto all’aritmetica la geometria presentava uno spettacolo
confortante: un solo universo – il dominio ontologicamente chiuso in
sé di tutti gli oggetti geometrici –, una sola teoria, ossia la geometria
euclidea, il Sistema unico ideale, senza fenditure, senza discontinuità
logiche, e infine un solo testo, perfettamente coerente in sé. Quest’u-
niverso preesisteva fin dall’eternità all’esterno del soggetto della co-
noscenza ed indipendentemente dall’esistenza o inesistenza di ogni
agente cognitivo. Fornito di una fonte specifica di conoscenza geo-
metrica, il soggetto ha tuttavia accesso per intuizione immediata alle
verità fondamentali, ancestrali e immanenti di quest’universo, verità
che si articolano sotto forma di pensieri propri, cioè di affermazioni
assiomatiche.
L’edificio geometrico, così come è stato tramandato da una ri-
spettabile tradizione, rappresentava la prova decisiva a favore di una
filosofia matematica che appartiene, peraltro, alla stessa tradizione,
e di cui la geometria di Euclide costituiva l’unica fonte d’ispirazione.
I suoi fondamenti erano saldi: non c’era nessuna necessità dunque di
concepire opere critiche, che proponessero nuovi fondamenti della –
e per la – geometria.
La struttura di questa geometria – l’unica che ci ha trasmesso una
tradizione bimillenaria – era organica, dominata dalla legge rigoro-
sa dell’implacabile ordine logico che imponeva purezza, trasparenza,
64 la filosofia della matematica di frege

intellegibilità, coerenza, armonia e soprattutto chiarezza – così cara a


Frege. «Je trône dans l’azur...» – come la dea bianca senza macchia di
Baudelaire (cfr. Les fleurs du mal, XVII, La Beauté; Baudelaire 2010,
pp. 100-101); la Geometria, immobile, eterna, incarnava la dea stes-
sa della razionalità logica, l’ipostasi secolare della divina ratio. E la
sua chiesa – l’unica chiesa assolutamente universale (καθόλου) – non
conosceva né scettici né agnostici e, meno ancora, atei.
È vero: una sessantina di anni prima, una piccola ribellione ebbe
luogo proprio nel cuore della guardia Svizzera del Dio geometrizzan-
te di Platone: Monsieur Jean Bolyai de Bolya, Lieutenant au Corps
du Génie de Sa majesté Impériale et Royale à Temeswar (in francese
nell’originale) – era il suo indirizzo ufficiale –, nel mese di novembre
del 182394, riferiva a suo padre, professore di matematica al collegio
calvinista di Marosvásárhely, in Transilvania (ora Târgu-Mures, in
Romania): «dal Nulla, ho creato un nuovo mondo, un altro mon-
do!» Senza dubbio il giovane tenente era di carattere alquanto diffi-
cile e soprattutto anarchico, un ribelle che conduceva la sua vita ai
margini della società. Parallelamente alla riforma della geometria si
proponeva, nella sua Teoria della salvezza universale, di riformare
la società umana nel suo insieme: di eliminare le frontiere, fonti per-
manenti delle guerre, di stabilire la proprietà collettiva della terra, di
riorganizzare la vita umana secondo i princìpi di Fourier, ecc.
Ma ecco che la stessa eresia geometrica venne simultaneamente
ripresa da due rispettabili matematici dell’establishment accademico.
Innanzitutto Carl Friedrich Gauss, partigiano fermo del sistema mo-
narchico, benché di una monarchia costituzionale, che garantisce diritti
rigorosamente uguali a tutti i suoi cittadini, senza differenza di religione
e di status sociale. Ma c’era anche Nikolaj Lobačevskij, rettore dell’Uni-
versità di Kazan, adepto incondizionato della Chiesa pravoslava e dello
Zar, generosamente retribuito, peraltro, per le sue prove di fedeltà verso
il governo (fu testimone dell’accusa in un processo a San Pietroburgo
e in un altro processo a Kazan, intentati a un gruppo di suoi colleghi,
accusati e condannati per il crimine di essere «liberi pensatori»).
Riprendendo un’espressione metaforica di Gauss (1876, p. 171),
Felix Klein (1893, p. 169) chiedeva di accordare alla geometria non
euclidea diritti di cittadinanza uguali a quelli di cui godeva da un’e-

94 Archivi dell’Accademia delle Scienze di Budapest, B 1126. 33.


la filosofia della matematica di frege 65

ternità la geometria di Euclide. Poincaré riprese – lasciandola in tede-


sco in un articolo pubblicato in inglese, e con entusiasmo – l’espres-
sione della Gleichberechtigung delle geometrie opposte l’una all’altra
(Poincaré 1898, p. 17). La connotazione politica dell’espressione è
difficile da misconoscere.
Non sarà forse inutile aggiungere che la metafora politica dei
diritti di cittadinanza uguali era, all’inizio del XIX secolo quando
Gauss se ne era servito, chiaramente legata alla recente Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino. All’epoca di Felix Klein, l’idea
della Gleichberechtigung apparteneva ad uno spazio di discorso po-
litico diverso: alla fine del XIX secolo il problema dell’uguaglianza
dei diritti di tutti i cittadini si trovava all’ordine di giorno dei dibattiti
politici, estremamente appassionati, che riguardavano la popolazio-
ne ebraica della Germania (cfr. il testamento politico di Frege, note
del 9 e del 30 aprile 1924, in Frege 1994). Per quanto riguarda Felix
Klein, egli non lasciava dubitare nessuno su quale fosse la parte per
cui era schierato, nella politica della scienza come nella politica tout
court. Frege si trovava dall’altra parte.
Frege stesso non era certamente del parere che ciò che si chiama-
va geometria non-euclidea meritasse di essere presa seriamente non
soltanto in quanto teoria scientifica ma soprattutto come geometria.
Infatti, a suo avviso tutto quello che riguarda la geometria dipen-
de inizialmente dall’intuizione95. E il concetto dello spazio a curva-
tura positiva o a quattro dimensioni non è certamente fondato sul
terreno stabile dell’intuizione. Ora, se il fondamento della geometria
è l’intuizione, allora è sempre lo spazio euclideo quello di cui abbia-
mo una rappresentazione intuitiva. In effetti, le verità geometriche
(quelle della geometria euclidea, evidentemente) regnano sul domi-
nio dell’intuizione spaziale, poco importa che riguardino la realtà o
i prodotti dell’immaginazione. Pertanto, le fantasmagorie più audaci
dei miti e dei poeti – egli rammenta – restano anch’esse nel quadro
dell’intuizione, sottoposte agli assiomi della geometria euclidea96. Ed
95 «Denn alles Geometrische muss doch wohl ursprünglich anschaulich sein». [«Eppure

tutto ciò che è geometrico dovrebbe essere, in origine, intuitivo!»] (Frege 1884, p. 72; trad.
it. p. 301).
96 «Die tollsten Fieberphantasien, die kühnsten Erfindungen der Sage und der Dichter,

welche Thiere reden, Gestirne stille stehen lassen, aus Steinen Menschen und aus Men-
schen Bäume machen, und lehren, wie man sich am eignen Schopfe aus dem Sumpfe zieht,
sie sind doch, sofern sie anschaulich bleiben, an die Axiome der Geometrie gebunden».
66 la filosofia della matematica di frege

anche se la parola «retta» figura nei testi sviluppati per inferenza a


partire da un’ipotesi che contraddice il postulatum di Euclide, non
deve essere interpretata nel senso proprio ma simbolicamente: si leg-
ge «retta», ma la parola «retta» designa infatti, per abuso di lingua,
una curva. La geometria non euclidea è in verità soltanto una gigan-
tesca catacresi. «Scrivono Londra, leggono Costantinopoli», come
diceva Voltaire ai suoi tempi prendendosi gioco degli inglesi.
Il passaggio summenzionato (Frege 1884, pp. 28-29; trad. it. pp.
241-242) parla evidentemente delle geometrie non euclidee senza,
peraltro, che l’espressione sia esplicitamente articolata nel libro.
Com’è ovvio, poiché le conseguenze inferenziali di un’ipotesi che
contraddice il postulatum di Euclide non possono affatto costituire
una geometria, secondo Frege. Il termine «geometria» è inadeguato
a designarle. Una geometria che non è euclidea non è una geometria;
un oggetto geometrico che è non euclideo è un non-ens, un oggetto
che non esiste, puro non senso.
È ciò che vuole in fondo dire il modo in cui Frege definisce l’insie-
me vuoto, come l’estensione assegnata al concetto di triangolo non-
euclideo, i cui angoli superano due retti; l’esempio lo suggerisce senza
equivoci: le figure non euclidee secondo lui appartengono all’insieme
vuoto, come abbiamo spiegato più sopra.
Frege ammette dunque, almeno nel 1884 – il passaggio è inequivo-
cabile – che il concetto di «geometria non euclidea» (implicitamente la
proprietà o il predicato non euclideo) è completamente pensabile senza
pericolo che esso celi una contraddizione logica. La consistenza del
concetto di «geometria non euclidea» è un teorema meta-matematico:
la verità dell’enunciato è suscettibile di una dimostrazione rigorosa per
mezzo dei cosiddetti modelli, una metodologia del tutto nuova, sco-
perta nel 1868 da Eugenio Beltrami. Ma più tardi Frege rifiuterà di
accettare la verità del teorema della coerenza di Beltrami, cosa che è
veramente stupefacente e non degna del logico geniale che era.
Accettare o respingere la geometria non euclidea dipende da una
decisione libera del soggetto. Poiché la verità degli enunciati assio-

[«Le più stravaganti fantasie prodotte dalla febbre, le più ardite costruzioni del mito e dei
poeti (che fanno parlare gli animali e restar ferme le stelle, che fanno nascere gli uomini
dalle pietre e le piante dagli uomini, che insegnano come ci si possa sollevare dal pantano
afferrandosi ai propri capelli) soddisfano tutte però, fin quando rimangono intuibili, agli
assiomi della geometria».] (Frege 1884, p. 28; trad. it. p. 241).
la filosofia della matematica di frege 67

matici E e non-E è indimostrabile, è il soggetto, e il soggetto solo, che


dispone della libertà e del potere di assegnare la verità come predica-
to proposizionale a E oppure a non-E.
In opposizione al predicato vero, il predicato proposizionale in-
decidibile esprime una proprietà oggettiva di cui gli enunciati E e
non-E dispongono simultaneamente; è rigorosamente dimostrabile
che sono entrambi forniti di questa proprietà. Se E è indecidibile, lo
è necessariamente anche non-E. Se E è logicamente coerente, anche
non-E è necessariamente coerente.
Respingere la geometria non euclidea non costituisce alcun errore
di logica; lo stesso è del resto valido anche per la geometria euclidea.
Respingere l’inderivabilità, o non tenere conto della inderivabilità di E
e di non-E dai teoremi della geometria assoluta di Bolyai, costituisce
un errore logico, e ciò anche qualora la geometria non euclidea sia
categoricamente respinta.
È precisamente l’errore che riguarda l’esempio del concetto di dire-
zione, definito nelle Grundlagen di Frege attraverso l’equivalenza pre-
sunta della relazione del parallelismo delle rette con quella dell’ugua-
glianza aritmetica dei numeri, un esempio a cui egli dedica un numero
considerevole di pagine (Frege 1884, pp. 71-76; trad. it. pp. 299-306).
Infatti, il parallelismo è una relazione transitiva, come l’uguaglian-
za dei numeri, ma esclusivamente nel quadro ristretto della geometria
euclidea, se dunque il postulato E di Euclide è vero. In effetti, in Ele-
menti I 30 Euclide dimostra in modo esplicito quest’enunciato («Rette
parallele ad una stessa retta sono parallele anche fra loro»), intuitiva-
mente così ovvio, per mezzo del postulato E. Considerato in modo
assoluto, il parallelismo non rappresenta una relazione d’equivalen-
za: non può dunque mai servire per l’illustrazione dell’equivalenza, e
meno ancora per definire il concetto di «medesima direzione».
Piuttosto stranamente, l’impossibilità di definire la direzione per
mezzo del parallelismo è stata da tempo riconosciuta e in gran parte
discussa nella letteratura specialistica da autori che, peraltro, respin-
gevano la geometria non euclidea, come ad esempio da Charles L.
Dodgson, alias Lewis Carroll, nel suo celebre libro Euclid and His
Modern Rivals (Dodgson 1879).
La situazione cambiò radicalmente con la pubblicazione dei Fon-
damenti della geometria di Hilbert, nel 1899. La geometria euclidea e
quella non euclidea si trovavano in questo lavoro esposte nella stessa
68 la filosofia della matematica di frege

lingua geometrica. Lo stesso soggetto, nella fattispecie Hilbert, pen-


sava ad oggetti che designava con lo stesso termine di «retta», nell’u-
na e nell’altra geometria. Egli assegnava il valore di verità all’assioma
E di Euclide e, simultaneamente, all’assioma non-E di Lobačevskij.
I due enunciati, che si contraddicono formalmente a vicenda, era-
no così accettati simultaneamente dal soggetto, e il suo accordo con
il loro contenuto poteva essere espresso esplicitamente grazie all’as-
segnazione del predicato proposizionale «vero». I Fondamenti di
Hilbert hanno messo fine una volta per tutta alla speranza di poter
considerare il testo non euclideo come una metafora o catacresi, dove
la parola «retta» sarebbe utilizzata impropriamente e come un con-
trosenso per indicare una curva.
Infatti, la geometria euclidea e quella non euclidea erano svilup-
pate entrambe, nel lavoro di Hilbert, con un semplice atto di biforca-
zione assiomatica, in quanto si aggiungevano separatamente la pro-
posizione vera E, e la proposizione anch’essa vera, non-E, allo stesso
sistema di assiomi della geometria assoluta.
Del resto ci si può chiedere: se, a seguito di tale allargamento
assiomatico coerente che, a partire dalla geometria assoluta, ha ge-
nerato la geometria non euclidea, la retta, inizialmente intesa come
retta della geometria assoluta, è improvvisamente diventata curva,
come si spiega che, esattamente in conseguenza della stessa operazio-
ne d’allargamento assiomatico della geometria assoluta con l’enun-
ciato E, la retta non abbia subito alcuna metamorfosi e sia riuscita a
preservare la sua forma diritta, la sua dirittura? Infatti, perché non
può accadere l’inverso? Ossia passando, per allargamento assiomati-
co, dalla geometria assoluta alla geometria di Lobačevskij, perché la
retta assoluta non sarebbe restata una retta nel piano non euclideo,
mentre sarebbe diventata curva, se agli assiomi della geometria asso-
luta si fosse aggiunto l’assioma euclideo E?97

97 La retta assoluta, la retta non-euclidea e la retta euclidea presentano tutte e tre, per

l’intuizione diretta, senza alcuna distinzione, la stessa immagine grafica di una linea dirit-
ta, priva di qualsiasi deviazione a destra o a sinistra, e di qualsiasi curvatura. Nei domini
finiti del piano ciascuna di esse è definita in modo univoco, senza alcuna ambiguità, da due
dei suoi punti, mentre una curva ha necessità di almeno tre punti per essere definita. La
distinzione radicale che le separa ed oppone non si manifesta da nessuna parte nell’ambito
delle estensioni finite e reali del loro dominio d’essere coestensivo al piano; per constatare
la differenza che le oppone occorre uscire dal dominio finito del piano, ossia abbandonare
il dominio finito dell’essere ed installarsi nelle regioni dell’Assoluto di Cayley il cui statuto
la filosofia della matematica di frege 69

11. La logica non euclidea nella storia della libertà

Tuttavia l’inderivabilità di E e di non-E conduce all’apertura di uno


spazio di libertà geometrica, limitato soltanto dall’assioma eleatico
dell’unicità dell’essere e della verità. Questo spazio si chiama Soggetto
e la sua essenza si designa con la parola libertà: si tratta dello spazio
della riflessività assoluta, senza estensione, immateriale, riempito dalla
sostanza della libertà.
Il soggetto è necessariamente sottoposto al principio del terzo esclu-
so, cioè alla necessità di manifestarsi come soggetto, ossia di agire. La
sua azione si chiama praxis e consiste nella decisione di scegliere uno
dei due termini di un’alternativa. La locuzione tecnica «indecidibilità
dell’alternativa geometrica» cela tacitamente l’idea che la verità non
possa essere assegnata ad uno degli enunciati E o non-E se non con un
atto di decisione, cioè da parte di un soggetto libero98.

ontologico è strettamente il non-essere. In ogni caso, la retta assoluta non dispone né di


uno, né di due punti comuni con l’Assoluto: il suo statuto è indeterminato, non deciso; la
retta euclidea è determinata, dispone d’un unico punto comune, e la retta non-euclidea,
ugualmente determinata, si costituisce come non-euclidea per mezzo di due di questi punti
incidenti all’infinito con l’Assoluto. Il teorema di Saccheri ammette, in queste condizioni,
la seguente formulazione semplificata: con lo spostamento di una retta sull’altra il numero
dei punti all’infinito della retta resta invariabile. Lo statuto ontologico di questi punti
all’infinito è, ovviamente, quello del non-essere, il che significa che la natura euclidea o
non-euclidea del dominio d’essere è determinata nel dominio assoluto del non-essere. Una
conseguenza completamente inaccettabile nel quadro dell’ontologia tradizionale che era
quella di Frege [N.d.T. sulla base di una conversazione con Imre Toth del marzo 2009].
98 Il termine tecnico «geometria non euclidea» fu introdotto da Gauss nel 1824 in que-

sto senso preciso: il soggetto accetta simultaneamente E e non-E come assiomi, ciascuno
di un sistema di teoremi, e assegna loro simultaneamente il predicato proposizionale della
verità, accettando una pluralità di mondi, cioè l’esistenza simultanea di domini ontici com-
pleti e chiusi di strutture geometriche opposte. Infatti, le conseguenze dell’enunciato non-E
sono state completamente sviluppate da Saccheri, Lambert, Schweikart, Wachter e Tauri-
nus, tra il 1733 e il 1825. Esse sono state indipendentemente sviluppate anche da Gauss,
alcune decine di anni prima dell’istituzione della geometria non euclidea propriamente
detta. Nel suo ambiente e anche in quello dei due Bolyai questo sistema di proposizioni era
designato con il termine «sistema antieuclideo» (Taurinus parlava di un sistema logaritmo-
sferico, Schweikart di una geometria astrale, espressioni nelle quali si avverte una sorta di
senso mistico, quasi di spiritismo).
Non c’è nessuna differenza tra il testo dell’enunciato antieuclideo non-E e l’enunciato
non euclideo non-E – fino a quando si resta nel quadro del linguaggio-oggetto. Le diffe-
renze, anzi la loro stessa opposizione, possono essere articolate soltanto nello spazio d’im-
mersione del metalinguaggio. Infatti, fino a quando la coppia di enunciati formalmente
opposti uno all’altro {E, non-E} è sottoposta simultaneamente agli assiomi logici di non-
70 la filosofia della matematica di frege

La libertà di scegliere e decidersi per l’uno e respingere l’altro (non


importa), quale dei due enunciati E o non-E, può essere designata
come libertà aristotelica. Infatti la libertà, secondo Aristotele, consi-
ste nella decisione del soggetto, in assenza di qualsiasi costrizione, di
scegliere l’uno e respingere l’altro dei due termini di un’alternativa.
Piuttosto stranamente, Aristotele tiene a sottolineare che per me-
glio illustrare questa idea egli introdurrà un esempio plastico: è l’al-
ternativa di un triangolo euclideo e non-euclideo, intendendo i due
come archai di una catena d’inferenza, che rappresenta, per analogia,
la praxis, risultato necessario della libera scelta99. Il cammino storico
che ha condotto dopo un’evoluzione tortuosa bimillenaria alla crea-
zione della geometria non euclidea zampilla nel giardino dell’Accade-
mia, nell’orizzonte spirituale della libertà.
In effetti, il cammino intellettuale orientato nel corso della storia
verso la geometria non euclidea, in quanto sua fine e suo compimen-
to, è parte integrante della storia della libertà, o meglio del processo
fenomenologico che ha trasportato il movimento dello spirito come
presa di coscienza della libertà, in quanto costituente la sua essenza.
Tuttavia l’idea aristotelica di libertà è limitata: definisce la libertà
come sottomessa alla costrizione e alla necessità, e non opera alcuna
distinzione tra la licenza arbitraria, da un lato, e la virtù suprema
della libertà, dall’altro.
Ma la rivoluzione non euclidea non fu un colpo di stato anti-
euclideo. Non conduceva ad un semplice cambiamento del potere
euclideo con un governo anti-euclideo. La sua essenza non può nep-
pure essere ridotta ad una ribellione nelle varie concezioni relative

contraddizione e del terzo escluso, i due enunciati si trovano in una relazione d’alternativa
rigorosa l’uno rispetto all’altro: almeno a uno di essi è necessario, ma tutt’al più a due di
essi è possibile assegnare il predicato proposizionale della verità.
Gli assiomi della logica restano ovviamente completamente inefficaci per quanto ri-
guarda il contenuto geometrico degli enunciati. Essi sono soddisfatti evidentemente se la
verità è assegnata a E, e il predicato falso spetta implicitamente a non-E. Ma gli assiomi
della logica sono del tutto compatibili anche con il caso in cui la verità sia assegnata a
non-E e, di conseguenza, E è falso. Abbiamo nel primo caso una geometria euclidea vera
e – contenuta nel testo come un capitolo romanzesco – una geometria antieuclidea fal-
sa. Nel secondo caso abbiamo una geometria antieuclidea vera, contenente, sotto forma
di testo coscientemente falso, il romanzo della geometria euclidea (è stata effettivamente
elaborata e proposta a Gauss da uno dei suoi allievi, Wachter) [N.d.T. sulla base di una
comunicazione di Imre Toth].
99 Cfr. Aristotele 2008a, 1222b 15-42. Cfr. altresì Aristotele 2008b, 1187a 29-44.
la filosofia della matematica di frege 71

all’intuizione dello spazio. Infatti, la struttura euclidea dell’intuizione


spaziale è un argomento estremamente controverso ma – ed è decisi-
vo – non riguarda né la scienza della geometria né la sua sovrastrut-
tura epistemologica. Questo punto è diventato molto chiaro dopo la
pubblicazione dei Fondamenti della geometria di Hilbert.
Dopo l’instaurazione della geometria non euclidea la verità della
geometria euclidea, come ha sottolineato Beltrami nel 1868, è restata
intatta. Ciò che l’instaurazione non euclidea ha abolito era un prin-
cipio molto più sacro di un assioma geometrico; era in particolare il
principio eleatico dell’unicità dell’essere e della verità. Il testo non-
euclideo conteneva il primo proclama Contro l’Uno. La rivoluzio-
ne non euclidea ha abolito il regno assoluto di una sola arché – la
mon-archeia geometrica, la schiavitù volontaria100 nei confronti di
Euclide, stabilendo un universo epistemico di una pluralità simulta-
nea di teorie, di verità e di universi opposti. All’inizio del XX secolo,
il filosofo italiano Giovanni Vailati parlava di un vero pluralismo
democratico della città geometrica.
Ciò che si designa con l’espressione «nascita della geometria non
euclidea» non consisteva nella scoperta o nell’articolazione, né nella
dimostrazione di alcuni teoremi opposti a quelli di Euclide: il corpus
di questi teoremi esisteva già, perché era stato sviluppato dalle genera-
zioni di geometri anti-euclidei, e in particolare da Gauss già all’inizio
del XIX secolo. La conoscenza di questi teoremi e la presenza di essi
non costituivano, peraltro, una prova d’esistenza della geometria non
euclidea. L’atto unico e istantaneo che ha instaurato la geometria non
euclidea fu il rifiuto dell’alternativa e la scelta simultanea dei due assio-
mi E e non-E, formalmente opposti l’uno all’altro. È stata la decisione
di assegnare simultaneamente l’attributo d’assioma o di verità a E e
a non-E che ha indotto Gauss a parlare nel 1824, per la prima volta,
di «geometria non euclidea». Egli era in possesso dei suoi teoremi da
alcune decine di anni, ma oscillava tra i due poli dell’alternativa senza
potersi decidere. Il passo decisivo che lo liberò da questo stato di tor-
tura e d’indecisione non fu la scoperta improvvisa di un teorema qua-
lunque, ancora sconosciuto a lui ed a molti altri, ma consistette nella
presa di coscienza della sua libertà di scegliere simultaneamente i due,
ed assegnare simultaneamente la verità a E ed a non-E.
100 Di cui parlò Étienne de la Boëtie, amico di Montaigne, nel suo celeberrimo saggio

Contr’Un [N.d.T.].
72 la filosofia della matematica di frege

Rispetto alla decisione arbitraria di scegliere E e respingere non-


E, o di scegliere non-E ma allora respingere E (questa scelta è stata
proposta da Wachter, uno degli allievi di Gauss, al maestro), la scelta
simultanea di E e di non-E è l’unica che realizza la virtù, la virtus,
la potenza morale della libertà, ma di quella libertà che costituiva
il centro della filosofia di Spinoza. Contrariamente ad Aristotele, in
questa concezione non sono la necessità o la costrizione che limitano
la libertà, ma l’arbitrio. Il tiranno non è libero, egli resta lo schiavo
dei suoi affetti. In opposizione all’arbitrio, esente da qualsiasi neces-
sità, la libertà è associata ad una certa necessità, una necessità finale
o deontica, una necessità morale o, se necessario, anche politica: è
una potenza – «virtus est, quae ex animi fortitudine oritur» (è una
virtù che nasce dalla fortezza dell’animo) (Spinoza 1925, V, 4, p.
296; trad. it. pp. 1668-1669). È esattamente ciò che Spinoza desi-
gnava come «l’amore intellettuale di Dio»: amor intellectualis erga
Deum seu libertas. Le opere dell’arbitrio sono reversibili, poiché non
vi è connessa nessuna necessità finale. Le opere della libertà sono
irreversibili, corrispondono a ciò che è necessario compiere, ossia a
ciò a cui è impossibile rinunciare.
Solo la geometria non euclidea è opera della libertà. Solo l’idea
della pluralità degli assiomi è irreversibile. Molti geometri hanno
pensato alla geometria anti-euclidea, ma le assegnavano il valo-
re proposizionale di «falso». Ma nessuno prima di Gauss, Bolyai e
Lobačevskij ha mai pensato di accettare simultaneamente la geome-
tria non euclidea e quella di Euclide. Ed una volta arrivati a quel
punto, risultava impossibile rinunciarvi. Qualsiasi opposizione si è
dimostrata essere inutile.
Il vero messaggio rivoluzionario della geometria non euclidea non
consisteva dunque nel contenuto geometrico nuovo di quegli enuncia-
ti, ma nella proclamazione della presa di coscienza improvvisa che essa
ha portato al soggetto della geometria. Infatti, è per mezzo della geo-
metria non euclidea che il soggetto della geometria si è accorto che la
sua essenza consiste nella libertà spinoziana di creare simultaneamente
una pluralità di verità assiomatiche e di mondi geometrici opposti. La
fondazione della geometria non euclidea rappresenta dunque una ne-
cessità storica per lo sviluppo ulteriore del pensiero matematico.
Ed è precisamente questa presa di coscienza della libertà che si
trova realizzata nei Fondamenti della geometria di Hilbert, in par-
la filosofia della matematica di frege 73

ticolare sotto la forma efficace di una metodologia assiomatica. Ciò


che è avvenuto con il postulatum di Euclide è soltanto il caso parti-
colare di un procedimento universale, di una metodologia completa-
mente nuova che permette la produzione di nuovi sistemi assiomatici
con il solo mezzo dell’operazione di negazione.
Questa metodologia – una manifestazione della libertà assoluta
del soggetto – si è dimostrata di una fertilità e di un’efficacia senza
precedenti nella creazione di una pluralità praticamente illimitata di
nuove teorie e di nuove verità che recano, nel loro stesso nome, il
ricordo della loro ontologia negativa creazionista: sistemi non ar-
guesiani, non pascaliani, non archimedei, logiche non-aristoteliche,
insiemi non cantoriani, ecc. ecc.
La rivoluzione non euclidea dispone dunque di una struttura evi-
dente etico-politica: geometria more ethico. Infatti, essa consiste per
essenza in una decisione per o contro il principio della libertà di cre-
azione simultanea di una pluralità di mondi e di verità assiomatiche,
una decisione per o contro il soggetto.

12. Frege, la libertà del soggetto e la geometria non euclidea

Non v’è dubbio che Frege sia riuscito molto precisamente ad iden-
tificare il pericolo che la geometria non euclidea rappresentava per la
filosofia di cui era adepto.
La filosofia dell’unicità è inconciliabile con la verità simultanea
di E e di non-E; quindi l’esistenza di un universo euclideo, di un do-
minio ontico euclideo, è incompatibile con l’esistenza di oggetti non
euclidei.
Più chiaramente di qualsiasi altro avversario della nuova geo-
metria, Frege ha immediatamente riconosciuto che il punto centrale
della decisione per o contro la geometria non euclidea è l’assioma
ontologico dell’unicità della verità.
Infatti, in un testo concepito tra il 1899 e il 1906, egli richiama i
partigiani della geometria non euclidea ad un passaggio ben noto del
Vangelo secondo Matteo: «Nessuno può servire due padroni. Non si
può servire [contemporaneamente] la verità e la falsità. Se la geometria
euclidea è vera, quella non euclidea è falsa, e se la geometria non eucli-
dea è vera, quella euclidea è falsa [...] Chi riconosce vera la geometria
74 la filosofia della matematica di frege

euclidea deve respingere come falsa quella non euclidea e chi riconosce
vera la geometria non euclidea deve respingere quella euclidea»101.
Il testo è categorico: senz’alcuna esitazione Frege postula l’esisten-
za di una verità unica ed esclude la coesistenza di due verità assioma-
tiche. Ma questo postulato ontologico non contiene in sé nulla che
possa giustificare la scelta preferenziale della geometria euclidea: la
libertà del soggetto di scegliere a piacimento una delle due geometrie,
sia quella di Euclide, sia quella di Lobačevskij, resta intatta.
Tuttavia, il Vangelo geometrico secondo Frege non accorda al sog-
getto alcuna libertà di scelta. Un comandamento rigoroso gli proibisce
strettamente di gustare il frutto della conoscenza non euclidea, conser-
vando una fedeltà incondizionata alla tradizione geometrica millenaria.
Infatti, nella sua lettera indirizzata a Hilbert (27 dicembre 1899),
Frege esprime il suo timore per l’«anarchia completa» e l’«arbitrio
soggettivo»102, conseguenze inevitabili della «confusione» instaurata
dall’interpretazione degli assiomi data nei Fondamenti della geome-
tria di Hilbert.
Questa nuova interpretazione degli assiomi fornita da Hilbert ha
inquinato – secondo Frege – «la fonte conoscitiva geometrica», in
quanto «si è operata una contaminazione (Verunreinigung), stravol-
gendo, all’inizio impercettibilmente, il senso euclideo tradizionale e
conferendo così un senso diverso anche agli enunciati nei quali gli
assiomi ci sono stati tramandati»103. E che cosa avverrà – egli si do-
manda – se il postulatum di Euclide non fosse più valido? La do-
manda è puramente retorica – è ovvio – poiché, secondo il parere
di Frege, «un pensiero che contraddica l’assioma delle parallele [il
postulatum di Euclide] non può essere assunto come premessa di un

101 «Niemand kann zwei Herren dienen. Man kann nicht der Wahrheit dienen und der

Unwahrheit. Wenn die euklidische Geometrie wahr ist, so ist die nichteuklidische Geome-
trie falsch, und wenn die nichteuklidische wahr ist, so ist die euklidische falsch […].Wer die
euklidische Geometrie als wahr anerkennt, muss die nichteuklidische als falsch verwerfen,
und wer die nichteuklidische als wahr anerkennt, muss die euklidische verwerfen» (Frege
1899-1906; poi in Frege 19832, pp. 183-184; trad. it. p. 287 [modificata]).
102 «Jetzt scheint mir darin völlige Anarchie und subjektives Belieben obzuwalten.

Erlauben Sie mir, Ihnen Einiges darzulegen, was ich darüber gedacht habe» (Frege 1976b,
p. 62; trad. it. p. 46). Cfr. anche Appendice, Testo n. 9.
103 «Aber selbst hierbei hat man in neueren Arbeiten über Axiome eine Verunreinigung

bewirkt, indem man den alten euklidischen Sinn zunächst kaum merklich verdreht und
damit auch den Sätzen, in denen uns die Axiome überliefert sind, einen anderen Sinn bei-
gelegt hat» (Frege 1924-1925a; poi in Frege 19832, pp. 292-293; trad. it. p. 421).
la filosofia della matematica di frege 75

ragionamento inferenziale»104. Il testo che ne risulterà è privo ne-


cessariamente di qualsiasi carattere di scientificità: «Si è creduto un
tempo di praticare una scienza detta alchimia; ma non appena ci si
accorse che questa presunta scienza era erronea da cima a fondo la si
bandì dal novero delle scienze. Analogamente, si è creduto una volta
di praticare una scienza detta astrologia. Ma anch’essa fu bandita
dal novero delle scienze, una volta riconosciutane la non scientifici-
tà. Ora si tratta di cancellare o la geometria euclidea o quella non-
euclidea dal novero delle scienze e di classificarla fra le mummie,
insieme all’alchimia e all’astrologia. Chi si lascia abbindolare dalle
immagini, può non prendere la cosa sul serio; nella scienza, però, il
tendere verso la verità deve esercitare una disciplina severa (strenge
Herrschaft führen). Il che significa: o dentro o fuori (entweder herein
oder heraus)! È la geometria euclidea o la geometria non-euclidea
che deve lasciare il campo (hinausfliegen)? Questo è il problema. Si
oserà trattare gli Elementi di Euclide, che da più di 2000 anni hanno
avuto un riconoscimento incontrastato, alla stregua dell’astrologia
o dell’alchimia? Se però uno non se la sente di far questo, non può
considerare gli assiomi di Euclide come falsi o dubbi. In tal caso è la
geometria non-euclidea che andrà annoverata fra le discipline non
scientifiche (Unwissenschaften) che meritano una qualche considera-
zione solo come curiosità storiche»105.

104 «Demnach kann ein Gedanke, der dem Parallelenaxiom widerspricht, nicht zur

Prämisse eines Schlusses genommen werden» (Frege 1914; poi in Frege 19832, p. 266;
trad. it. p. 388).
105 «Man hat einst geglaubt, eine Wissenschaft zu betreiben, die man Alchimie nann-

te; als man aber erkannt hatte, dass diese vermeintliche Wissenschaft durch und durch irr-
tümlich war, verbannte man sie aus der Reihe der Wissenschaften. Ebenso hat man einst
geglaubt, eine Wissenschaft zu betreiben, die man Astrologie nannte. Auch diese verbannte
man aus der Reihe der Wissenschaften, nachdem man ihre Unwissenschaftlichkeit durch-
schaut hatte. Jetzt handelt es sich darum, die euklidische oder nichteuklidische Geometrie
aus der Reihe der Wissenschaften zu streichen und der Alchimie und Astrologie als Mumie
anzureihen. Wo man sich nur von Vorstellungen umgaukeln lassen will, braucht man es
nicht so ernst zu nehmen; in der Wissenschaft aber muss das Wahrheitsstreben eine strenge
Herrschaft führen. Da heisst es: entweder herein oder hinaus! Soll nun die euklidische oder
die nichteuklidische Geometrie hinausfliegen? Das ist die Frage. Wagt man es, Euklids Ele-
mente, die mehr als 2000 Jahre ein unbestrittenes Ansehen behauptet haben, als Astrologie
zu behandeln? Nur dann, wenn man es nicht wagt, kann man auch Euklids Axiome nicht als
falsch oder zweifelhaft hinstellen. Dann muss die nichteuklidische Geometrie zu den Unwis-
senschaften gezählt werden, die man nur noch als geschichtliche Seltsamkeiten einer geringen
Beachtung wert achtet» (Frege 1899-1906; poi in Frege 19832, p. 184; trad. it. pp. 287-288).
76 la filosofia della matematica di frege

Come decisione libera, la scelta fregeana di respingere la geome-


tria non euclidea dipende dal dominio politico della vita scientifica
e Frege disponeva del diritto innegabile di ritirarsi nei tempi passati
della scienza con un esemplare del libro mummificato della geome-
tria euclidea. Non faceva in fondo che approfittare della libertà di
scelta che egli stesso, con una perentorietà di tono degna di un cortile
di caserma, rifiutava ai geometri.
Il rifiuto della geometria non euclidea non costituisce, nel quadro
della biografia scientifica di Frege, un evento episodico o un passo
falso. Al contrario, è la conseguenza inevitabile della filosofia dell’u-
nicità dell’essere e dell’impossibilità della creazione, a cui egli accor-
dava una priorità incontestabile, e del suo retrivo, inflessibile conser-
vatorismo. Tale filosofia per sé stessa non esclude però l’ammissione
di una geometria anti-euclidea che, in questo caso, si sostituirà al
sistema euclideo. La decisione di assegnare ed accordare la dignità di
scienza alla geometria euclidea è, da sola ovviamente, un atto di po-
litica scientifica. E, nel quadro della biografia di Frege, tale decisione
politica è stata certamente favorita, forse anche determinata, dalla
sua avversione per la libertà e dalla sua repulsione profonda contro
tutto ciò che gli sembrava essere moderno.
Se ogni creazione libera è impossibile, «come sarebbe possibile
la costituzione di qualcosa di nuovo?». È la domanda che Alwin
Reinhold Korselt, un discepolo di Hilbert, ha posto a Frege nella sua
replica ai primi due articoli sui fondamenti della geometria, pubbli-
cati nel 1903 da Frege. «Come può parlare il signor Frege – si chie-
deva lo stesso Korselt – dello sforzo dei matematici contemporanei
per stabilire la loro scienza su basi solide, bollandolo come proprio
degli “esecrabili tempi moderni”?». E Korselt medesimo esprimeva
l’opinione che il matematico debba procedere ad una scelta libera fra
i suoi pensieri e che da questo punto di vista sia piuttosto comparabi-
le all’artista creatore (Korselt 1905, p. 388; 1908, p. 121).
Un significato particolare deve certamente essere accordato in
questo contesto ad un articolo, pubblicato nel 1905 nella stessa rivi-
sta di Korselt, da parte di Heinrich Liebmann, figlio del filosofo Otto
Liebmann, e collega di Frege a Jena. Heinrich Liebmann apparteneva
al novero dei primi discepoli di Hilbert e fu lui che ebbe il ruolo di
mediatore tra quest’ultimo e Frege in occasione della corrispondenza
che essi si scambiarono sui fondamenti della geometria. Liebmann
la filosofia della matematica di frege 77

divenne poi uno degli esperti più insigni della geometria non-euclidea
in Germania. L’articolo del 1905 contiene il testo del suo discorso
inaugurale tenuto in occasione dell’investitura come titolare di una
cattedra all’Università di Lipsia. L’articolo porta il titolo program-
matico Notwendigkeit und Freiheit in der Mathematik [Necessità e
libertà in matematica], e consiste essenzialmente in un argomento a
favore della libertà della creazione come fondamento del progres-
so delle scienze matematiche, argomento esemplificato soprattutto a
partire dal contesto della geometria non-euclidea. Senza citare espli-
citamente il nome di Frege, tutto l’articolo sembra essere una replica
alle concezioni del logico di Wismar, con le quali Liebmann doveva
avere familiarità. Sembra essere indirizzata personalmente a Frege
la domanda retorica: «come garantire uno spazio di libertà se si è
incatenati e sottoposti alla schiavitù delle leggi logiche?» (Liebmann
1905, p. 231).
Nel numero del 1906 della stessa pubblicazione, Johannes Tho-
mae, anche lui professore di matematica all’Università di Jena, aveva
indirizzato al suo «amico e collega» qualche commento, un po’ iro-
nico, con il titolo Gedankenlose Denker [Pensatori senza pensieri], in
difesa della filosofia di Hilbert, alla quale aderiva interamente. Frege
replicò nel numero successivo della rivista. Non fu tenero con il suo
collega. Dopo avergli recitato nuovamente dei versi sarcastici, com-
posti per quest’occasione nello stile poetico che gli era proprio, egli
concluse la sua risposta con una vera valanga di invettive: «Che mi
si risparmi questa…, ma io non voglio comportarmi in modo “non-
parlamentare”» (il segno tipografico convenzionale «...» sostituisce
una piccola interiezione scatologica, la cui pubblicazione era vietata in
Germania dalle leggi sulla stampa. In una nota pubblicata in Historia
Mathematica, Gottfried Gabriel ha mostrato che la parola eliminata
era Bockmist, ossia «sterco di capra»). «Mi dispiace di non conoscere
alcun mezzo parlamentare e liberale ammissibile per respingere tali
opinioni nel loro buco, in modo che non osino più mostrarsi alla luce
del giorno» (Frege 1906b, p. 590; rist. in Frege 19902, p. 328). In ef-
fetti, Frege era per sua natura un homo politicus. Il suo interesse per gli
eventi della politica è testimoniato, come abbiamo già rilevato, dall’ab-
bondanza di esempi del genere nel suo repertorio. Anche se nella loro
parte principale sono anodini, la loro frequenza documenta tuttavia la
presenza permanente della politica nella sua coscienza.
78 la filosofia della matematica di frege

In Über Sinn und Bedeutung, del 1892, ci sono tuttavia alcuni


esempi di natura politica che permettono più chiaramente di intra-
vedere la sua posizione. L’ambiguità nella definizione della nozione
del numero – la fonte principale di tanti gravi errori nella storia del-
la matematica – è comparata all’«abuso demagogico delle parole»
nell’impiego corrente dell’espressione «la volontà del popolo» (Frege
1892, p. 4; rist. in Frege 19902, p. 155; trad. it. p. 47). Nello stes-
so lavoro appare anche due volte una proposizione sull’annessione
dello Schleswig-Holstein da parte della Germania come esempio di
un enunciato che esprime un pensiero («Dopo che lo Schleswig-Hol-
stein venne separato dalla Danimarca, Austria e Prussia entrarono in
conflitto»106). Ma l’esempio più notevole è certamente una proposi-
zione dedicata al presidente del partito socialdemocratico, Auguste
Bebel, che esigeva la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia.
Bebel era trattato dalla stampa di destra ovviamente come un tra-
ditore ed il tono leggermente sarcastico della proposizione scelta da
Frege come un esercizio di logica mostra abbastanza chiaramente
che l’intenzione dell’autore era quella di stigmatizzare Bebel in uno
studio dedicato ai problemi della logica («Bebel si illude che con la
restituzione dell’Alsazia-Lorena possano essere placati i sentimenti di
vendetta della Francia»107).

13. Noterelle politiche. Per un’«elaborazione ulteriore»

Le riflessioni che Frege ha registrato per iscritto tra il 10 marzo ed


il 9 maggio 1924 ci offrono informazioni ulteriori riguardanti le sue
opinioni sulla demagogia politica e la relazione dei socialdemocratici
con il patriottismo.
Occorre innanzitutto ricordare che queste note sono menzionate
nella letteratura critica sotto la designazione di «diario» (Tagebuch),
una designazione che non proviene da Frege. Questo titolo è stato
certamente ispirato dalla esatta datazione di ciascuna delle note. Fre-

106 «Nachdem Schleswig-Holstein von Dänemark losgerissen war, entzweiten sich

Preußen und Österreich» (Frege 1892, p. 49; rist. in Frege 19902, p. 161; trad. it. p. 56).
107 «Bebel wähnt, daß durch die Rückgabe Elsaß-Lothringens Frankreichs Rachege-

lüste beschwichtigt werden können» (Frege 1892, p. 47; rist. in Frege 19902, p. 160; trad.
it. p. 54).
la filosofia della matematica di frege 79

ge sottolinea nella sua introduzione che si tratta di una raccolta non


sistematica di idee che egli considera degne di essere annotate in at-
tesa di un’eventuale futura elaborazione. Nella nota datata 10 marzo
1924 egli sottolinea ancora una volta che la sua intenzione non è di
fare proposte per il presente e che i suoi pensieri politici riguardano
un futuro un po’ più lontano (10 marzo e 9 maggio 1924).
Il suo esempio matematico favorito, che riguarda la confusione
linguistica che regna nell’aritmetica, è ricordato il 23 marzo per il-
lustrare le conseguenze nocive alle quali conduce tale confusione di
linguaggio nel settore politico. Si tratta della confusione tra il concet-
to giuridico di «diritto» e quello morale-religioso di «giustizia» (in
tedesco le due parole Recht e Gerechtigkeit provengono dalla stessa
radice; nota del 18-22 marzo 1924). La conclusione di queste lunghe
riflessioni è che sia inammissibile per un giudice lasciarsi influenzare
dall’idea religiosa e morale della giustizia per favorire, dinanzi alla
legge, il povero a scapito del ricco.
La situazione economica dei cittadini poveri deve essere eleva-
ta, certamente; ma non a spese dell’imprenditore. «Considero ogni
tendenza simile come una malattia mentale» (26 marzo 1924). Del
resto, in alcune note successive e molto dettagliate (10-12, 20 mar-
zo 1924), egli insiste nel sottolineare, contro un’opinione corrente
condivisa anche, in nome del Vangelo, da alcuni teologi, che i veri
benefattori degli operai sono gli imprenditori capitalisti.
Le note del 30 e 31 marzo offrono un’illustrazione di queste stes-
se idee sotto forma di favola, abbastanza ridondante: una piccola
pièce di letteratura intitolata I due diavoli ed il teologo. I due diavoli
sono l’uno quello dell’arroganza e l’altro quello della gelosia, ma
hanno bisogno dell’aiuto di un terzo diavolo, quello della cupidigia
(Habsucht), e, soprattutto, dell’aiuto della stupidità – per convin-
cere il teologo a prendere, da buon cristiano, sempre «la difesa dei
poveri e degli oppressi contro i ricchi». «Il diavolo che fa mostra di
essere un buon cristiano» riesce dunque a trasformare il teologo in
uno strumento «di queste opere diaboliche». La morale della favola
è lapidaria: «Ecco ciò che avviene se si disprezzano la ragione e la
scienza! Le opere diaboliche hanno la migliore possibilità di successo
nella notte della stupidità». Infatti, «fino ad oggi, gli operai non han-
no usato i loro diritti politici che a loro detrimento»; poiché «erano
guidati dall’idea di imposte le più basse possibili». La conseguenza:
80 la filosofia della matematica di frege

«armamento insufficiente, guerra persa» (8 aprile 1924). Ed il 5 mag-


gio 1924 egli aggiunge: se si fosse seguita un’altra politica «la Francia
sarebbe caduta, senza soccorso».
La guerra persa, la ricerca dei responsabili: ecco l’idea dominante
che definisce le riflessioni fregeane. Il tentativo di formulare una sorta
di proclama indirizzato alla gioventù tedesca viene ripreso varie vol-
te nelle annotazioni del diario (1, 4, 16, marzo 1924). Ecco il testo
dell’ultima: «Gioventù tedesca, non celebrare feste per ora! Attende-
te per questo di aver aiutato la Germania ad acquistare di nuovo una
qualche considerazione agli occhi dei popoli riportando una vittoria
sui francesi. Allora soltanto avreste acquisito il diritto di celebrare
una grande festa. Ma non anticipate nulla prima di avere compiuto
qualcosa di grande. Può forse darsi che occorra che siano i figli o i
nipoti dei giovani tedeschi che vivono oggi a compiere atti eroici, fino
al giorno in cui la Germania non riacquisterà il vecchio rispetto di cui
godeva sotto Guglielmo I» (16 aprile 1924). Ed ancora: «Voi giovani
tedeschi, cessate di fare festa in questi giorni della più profonda sven-
tura della nostra patria. La patria attende da voi che la traiate fuori
dall’ignominia e dallo sconforto» (31 marzo 1924). «Un compito
di dimensione spaventosa vi attende, quello della ricostruzione della
patria. Quando vi sarete ben avviati su questo sentiero e conosciuto
i primi successi, potrete di nuovo celebrare delle feste. Chiedete ai
nostri grandi generali della Guerra mondiale di indicarvi l’ora e il
momento» (3 aprile 1924).
Per Frege, i responsabili della sconfitta, ed implicitamente della
miseria della Germania di allora, erano il Partito di Centro (partito
cattolico), i socialdemocratici e gli Ebrei.
Il Partito di Centro è «la malattia cronica della Germania». Da un
certo punto di vista, è peggiore del Partito social-democratico. Infatti,
alcuni membri del Partito social-democratico sono riusciti «a liberar-
si dal terrore del loro partito aderendo in massa alla Deutschvölki-
sche Freiheitspartei [il futuro partito nazional-socialista], provando
così la sensazione di essere tedesco e di avere una patria tedesca. Ma
ci si aspetterà invano tale mutato atteggiamento da parte degli ultra-
montani» (10, 12, 26 aprile 1924). In effetti, il cattolicesimo è in-
compatibile con il sentimento di essere tedeschi, con il patriottismo.
Frege raccomanda con insistenza di leggere «non soltanto una
volta ma molte e minuziosamente» l’articolo pubblicato da «sua ec-
la filosofia della matematica di frege 81

cellenza Ludendorff» nel numero 4/1924 della rivista Deutschlands


Erneuerung, una pubblicazione della destra estrema nazional-sociali-
sta, fortemente antisemita. L’articolo riproduceva la perorazione del
generale Ludendorff, tenuta al processo intentato a Monaco contro
gli organizzatori del famoso Putsch nazional-socialista dell’8 novem-
bre 1923, condotto da Adolf Hitler e dallo stesso Ludendorff.
Nello stesso numero era riprodotto il discorso dell’organizzatore
del Putsch, Adolf Hitler, con il quale Frege esprime il suo accordo
totale: «Adolf Hitler ha ragione quando scrive nel numero di aprile
di Deutschlands Erneuerung che la Germania non aveva più, dopo le
dimissioni di Bismarck, un obiettivo politico chiaramente definito»
(5 maggio 1924). Tuttavia, un’osservazione del 4 maggio lascia intra-
vedere il suo disaccordo con il Putsch come metodo politico.
La rivista Deutschlands Erneuerung è del resto l’unico esempio di
pubblicistica politica citata esplicitamente nelle sue riflessioni politi-
che (È certamente una delle curiosità dell’articolo firmato da Luden-
dorff che il dott. Adenauer, allora sindaco cattolico di Colonia – che
si trovava del resto al centro degli attacchi del generale Ludendorff
– sia qualificato da quest’ultimo come «agente degli Ebrei»).
Frege tiene ad esprimere la sua adesione incondizionata (il 23
aprile 1924) «all’estirpazione (Austilgung) del marxismo», sostenu-
ta nell’articolo del generale Ludendorff e in quello del dott. Weber,
uno degli organizzatori del Putsch, accusato nello stesso processo.
«Utilizzo qui quest’espressione diventata ora corrente (cioè “marxi-
smo”) – aggiunge, ispirato certamente dalla stessa preoccupazione di
chiarezza che lo caratterizza – con la convinzione che ovunque nel
mondo sarà compresa nello stesso senso» e con lo stesso desiderio
di evitare l’ambiguità che ispirava la sua intera impresa intellettuale.
Le riflessioni che seguono a partire dal giorno seguente, il 24 aprile,
offrono al lettore dettagli abbondanti per comprendere inequivocabil-
mente il senso nel quale Frege usa il termine «marxismo». Per evitare
possibili interpretazioni affrettate, devo sottolineare che il comunismo,
il Partito comunista, gli spartachisti non sono citati da nessuna parte
nelle sue riflessioni politiche; si tratta invece dell’unico e più grande
pericolo che minacciava l’impero dal 1914: «il cancro della socialdemo-
crazia». La socialdemocrazia – questa «epidemia» che si sviluppa «lus-
sureggiando in un’atmosfera nauseabonda» (16, 17, 26 marzo, 2 aprile
1924) – è la demagogia pura e nient’altro che demagogia: sono in verità
82 la filosofia della matematica di frege

soltanto i più stupidi (nur besonders dumme) che danno credito ai so-
cial-democratici, quelli, in particolare, ai quali la cupidigia (Habsucht)
è riuscita a soffocare quasi completamente ogni nobile tendenza. Infatti,
questi demagoghi social-democratici, in maggioranza Ebrei, non cre-
dono affatto a niente di ciò che l’uomo possiede di nobile e provano a
guadagnare l’adesione della gente sfruttando i loro lati peggiori.
Frege non pensava che tutti gli operai fossero stati così stupidi da
accordare del credito alla tentazione socialdemocratica, ma che fossero
in gran parte influenzati dai sindacalisti e dal terrorismo praticato dai
più attivi di essi. «Sarebbe stato dovere del governo di stroncare que-
sto terrorismo e difendere il diritto, sia il diritto degli operai salariati
contro la violenza dei loro compagni, sia il diritto degli imprenditori.
Ma allora sarebbe stato necessario ricorrere a metodi draconiani, men-
tre l’Imperatore si rifiutò, nel timore di non potere più presentarsi nel
ruolo «dell’Imperatore dei poveri e degli oppressi» (6 maggio 1924).
Frege riteneva che uno dei tratti più deplorevoli della socialdemo-
crazia fosse la carenza totale di un pensiero teorico: «Parlare di un’i-
dea dei socialdemocratici equivarrebbe a impiegare un’espressione
del tutto inadeguata e a sopravvalutarli ampiamente. Invece di un’i-
dea essi preferivano discorsi confusi, vaghe promesse che facevano
sfavillare paradisi immaginari (Wolkenkuckucksheim) e che attizza-
vano gli odi contro tutti coloro che si opponevano alla realizzazione
di questo stato di felicità».
Ma non soltanto la socialdemocrazia, bensì qualsiasi forma di de-
mocrazia o di repubblica è difficilmente compatibile con il patriotti-
smo: «Più le istituzioni di uno stato sono democraticamente organiz-
zate, più è difficile a qualsiasi uomo di stato giustificare i suoi atti con
il più puro amor patrio». La sola forma di governo accettabile per tutti
è la monarchia legittima; è la monarchia soltanto che può garantire
«l’unione organica del bene del popolo e del bene del monarca e della
dinastia» (28 aprile, 3 maggio 1924). Il sistema parlamentare dei par-
titi politici è risultato essere impraticabile. La Germania ha bisogno
«di una personalità superiore e forte (überragender Mann), capace
di abbracciare con un colpo d’occhio simultaneamente la politica
estera e quella interna. Forse tale uomo esiste in Germania, ma –
Frege si domanda – come trovarlo?» (11 aprile 1924).
La Germania ha ora bisogno di un uomo il cui sguardo sia capace
di superare i problemi immediati e preparare un piano per liberarla
la filosofia della matematica di frege 83

dalla supremazia francese. Quest’uomo deve beneficiare della fiducia


generale. Ma dov’è? Dalla pagina 198 della rivista «Deutschlands Er-
neuerung», che Frege era proprio allora intento a leggere e commen-
tare, il volto di Adolf Hitler fissava su di lui il suo sguardo severo.
In effetti, i leader della socialdemocrazia erano, in maggioranza,
Ebrei senza patria, demagoghi, privi di qualsiasi sentimento naziona-
le-tedesco, tutti nemici implacabili della monarchia.
Frege riteneva che una delle cause più decisive delle sventure del-
la sua epoca fosse la carenza nei tedeschi del sentimento d’orgoglio
nazionale. È dell’avviso che «abbiamo un numero troppo grande di
gente d’origine etnica straniera fra noi, la quale ostenta la pretesa di
essere considerata (riconosciuta) come tedesca». Nelle righe che se-
guono questi «stranieri» sono esplicitamente identificati come Ebrei.
Ricordo, en passant, che gli Ebrei si erano stabiliti in Germania al
tempo della conquista romana, parzialmente come legionari, e che la
loro percentuale nella popolazione non ha mai superato l’1%. No-
nostante la loro presenza e partecipazione millenaria alla vita del
popolo tedesco, essi sono restati, secondo Frege, degli stranieri, dei
«semiti» che dovevano essere eliminati dal corpo della nazione.
Il liberalismo ha concesso loro diritti uguali di cittadinanza
(Gleichberechtigung) e gli Ebrei stessi sono diventati i protagonisti
del liberalismo (12 aprile 1924). Dopo il 1866 con la concessione dei
diritti politici, gli Ebrei hanno beneficiato dell’uguaglianza in materia
di diritti per le elezioni (gleiches Wahlrecht). «Un atto di generosità
verso gli Ebrei – un regalo della Francia. E noi tedeschi abbiamo sem-
pre facilitato la Francia, incitato la Francia a renderci felici con i suoi
regali, quella Francia che, prima del 1871, ci trattava molto male.
Anziché adottare le leggi francesi, sarebbe stato necessario trovare
tedeschi dotati di sentimenti nobili e d’amor patrio e creare con il
loro aiuto leggi ed istituzioni che scaturissero dallo spirito e dal cuore
autenticamente tedeschi».
Di queste leggi, sgorgate dallo spirito e dal cuore autenticamente
tedeschi, Frege dà un solo esempio concreto: una legislazione efficace
riguardante gli Ebrei. «Poiché se ci si vuole dare leggi contro gli Ebrei,
è indispensabile poter definire chiaramente le caratteristiche che per-
mettono l’identificazione certa di ogni Ebreo». E Frege non esita ad
ammettere le difficoltà che potrebbe incontrare tale definizione (22
aprile 1924). È dell’avviso che l’eguaglianza di diritti con i «cittadi-
84 la filosofia della matematica di frege

ni ariani» (mit den Bürgern arischer Abkunft), accordata ai cittadini


di origine ebraica, sia una vera disgrazia (Unglück) per la Germania.
Il desiderio di ritirare i diritti politici agli Ebrei o, meglio ancora, il
desiderio in sé che scompaiano (verschwinden) dalla Germania, non
bastano. È necessario introdurre un segno di riconoscimento per po-
ter distinguere con certezza gli Ebrei dai non Ebrei (muss man ein
Kennzeichen angeben können, aus dem man sicher einen Juden erken-
nen kann) (30 aprile 1924). Questo comporterà – è sottinteso – una
definizione chiara, esatta, univoca e senza ambiguità del concetto di
«ebreo», «permettendo l’identificazione certa di ogni Ebreo».
Nell’ultima annotazione del suo manoscritto, Frege parla della ne-
cessità di una biografia scientifica di Gesù («Occorrerebbe raccontare
la vita di Gesù, secondo i risultati delle ricerche tedesche, in modo
assolutamente veridico»); e a questo proposito egli formula l’esergo
emblematico della sua vita: «poiché desidero la verità e null’altro che
la verità» (Ich wünsche Wahrheit und nichts als Wahrheit). Nel Tage-
buch seguono le parole del professor Heinrich Scholz di Münster, che
ne ha dattilografato e conservato il manoscritto: «Qui si completa il
diario del dottor Gottlob Frege».
Quelle parole (Ich wünsche Wahrheit und nichts als Wahrheit)
sono in effetti le ultime che Frege ci ha lasciato: confessione di una
vita dedicata appassionatamente alla verità.
Appendice
La presente Appendice, comprendente testi da me numerati progressivamente da 1 a
9, è costituita – come specificato nella Prefazione – dalle aggiunte dell’Autore al saggio
su Frege qui tradotto, unitamente alla traduzione italiana di esse (inserita tra parentesi
quadre). I testi sono qui pubblicati come compaiono nell’allegato al messaggio di posta
elettronica inviatomi da Toth in data 10 marzo 2009 e riprodotto in calce a questa stessa
Appendice.
Testo n. 1

Cela rappelle une conception désignée dans la littérature actuelle


par le terme « platonisme »
Donc : Frege platoniste ?
Cette question revient souvent et une telle opinion est, en effet,
très répandue dans la doxographie exégétique de Frege. Pour autant,
il faut relever que la pensée de Platon était beaucoup plus subtile,
plus sophistiquée et elle dépasse sensiblement, dans son extension
et dans son essence, les frontières du « platonisme » conventionnel.
Comme je vais le montrer plus bas, dans son Politique ainsi que dans
son Philèbe Platon – en opposition à Frege – parle explicitement de
la faculté génératrice de la pensée, plus précisément, d’un processus
d’engendrement à l’être, (Phil. 26D), de la production de l’idée du
nombre (ἀριθμός, Phil. 25E), mais aussi de la génération de la juste
mesure (τὸ μέτριον, Pol. 283E) ; c’est évidemment la mesure non
mesurable ou irrationnelle, dont la valeur numérique est représentée
par un nombre, notamment par un nombre irrationnel. Et un tel acte
épistémique n’est évidemment pas, et ne peut point être, le résultat de
ce qui est désigné communément par le terme « découverte ». Cette
conception de Platon, à son tour, n’a pas été retenue, il me semble,
par la très abondante littérature consacrée au « platonisme ».

[Questo ricorda una concezione designata nell’attuale letteratura


critica con il termine «platonismo».
Quindi: Frege è stato un platonista?
Tale domanda ritorna spesso, e questo punto di vista è infatti mol-
to diffuso nella dossografia esegetica su Frege.
88 appendice

Tuttavia, va notato che il pensiero di Platone era molto più sottile


e sofisticato, e superava sensibilmente, nella sua estensione e nella sua
essenza, i confini del «platonismo» convenzionale. Come mostrerò
qui di seguito, nel Politico e nel Filebo, Platone, al contrario di Frege,
parla esplicitamente della facoltà generatrice del pensiero e, più in
particolare, di un processo di generazione all’essere (Filebo 26D),
della produzione dell’idea di numero (ἀριθμός, Filebo 25E), ma an-
che della generazione della giusta misura (τὸ μέτριον, Politico 283E);
si tratta ovviamente della misura non misurabile o irrazionale, il cui
valore numerico è rappresentato da un numero, segnatamente da un
numero irrazionale. E un tale atto epistemico non è ovviamente né
può essere il risultato di ciò che viene comunemente denominato con
il termine «scoperta». Questa concezione di Platone, a sua volta, non
è stata presa in considerazione – mi sembra – dalla letteratura molto
ampia dedicata al «platonismo»].

Testo n. 2

Mais même si Platon a eu raison que le terme « geo-metria » –


mesure des terres – soit un nom ridicule (σφόδρα γελοῖον ὄνομα
γεωμετρίαν. Epin. 990D) pour en désigner la science absolument
exacte et purement noétique des Formes immatérielles, le témoignage
de Hérodote reste plausible – notamment que le savoir des figures de
la géométrie euclidienne fut le produit d’une découverte que les agri-
menseurs égyptiens ont fait dans le delta du Nil – il est, pour autant
un matter of fact indubitable qu’il n’existe aucun Nil hyperouranien
où les fondateurs de la géométrie non euclidienne eussent effectué des
mesures pour être ainsi conduits à une découverte de leurs propriétés
non euclidiennes.
[Ma anche se Platone ha avuto ragione a sostenere che il termi-
ne «geo-metria» (misurazione della terra) fosse un nome ridicolo
(σφόδρα γελοῖον ὄνομα γεωμετρίαν. Epinomide 990D) per designa-
re la scienza assolutamente esatta e puramente noetica delle Forme
immateriali, la testimonianza di Erodoto rimane plausibile; si tratta
cioè del fatto che la conoscenza delle figure della geometria euclidea
è stato il prodotto di una scoperta che gli agrimensori egizi hanno
compiuto nel Delta del Nilo. Pertanto, è una matter of fact indubbia
appendice 89

che non esista alcun Nilo iperuranio in cui i fondatori della geome-
tria non-euclidea abbiano effettuato delle misure per essere così con-
dotti alla scoperta delle loro proprietà non-euclidee.]

Testo n. 3

Dans un célèbre travail (Euclides ab omni naevo vindicatus. Sive


conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa geometriae princi-
pia, prop. 5-7), dont Frege n’a jamais pris connaissance, et on n’en
trouve, d’ailleurs, aucune trace non plus dans la vaste littérature de
la philosophie analytique.

[In un lavoro famoso (Euclides ab omni naevo vindicatus. Sive


conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa universae geome-
triae principia, prop. 5-7), di cui Frege non ha mai preso conoscenza
e di cui non si trova, d’altronde, nessuna traccia neppure nella vasta
letteratura della filosofia analitica].

Testo n. 4

Selon la conception bien connue de Frege le nombre naturel


constitue une propriété assignée à un concept, propriété définie d’une
manière univoque par la puissance de l’extension du concept. Ain-
si l’extension du concept « le quadrige de l’Empereur » définit le
nombre « quatre » (Grundlagen der Arithmetik, p. 59) ; le nombre
« quatre » est donc une propriété assignée au concept « quadrige de
l’Empereur ». Bel exemple, sans doute, même très populaire, illus-
trant d’une manière plastique sa philosophie arithmétique, mais, par
surcroît, accompagné aussi en contrepoint d’une fine réverbération,
messagère de sa fidélité monarchique.
De la même manière pourra-t-on assigner à l’extension du concept
« la population terrestre vivante » un nombre naturel, p. ex. 6•109. Et
on assigne en effet universellement à l’extension du concept « ensemble
vide » le nombre zéro « 0 », le nombre de ses éléments, sa puissance,
étant nul. Et Frege tient à illustrer le concept de ce nombre, « 0 »,
particulièrement significatif pour toute la pensée mathématique – ou,
90 appendice

plutôt, universelle – par un exemple intuitive, qu’il considère, selon


toutes les apparences, d’une évidence incontestable, dictée par le bon
sens. C’est l’ensemble des triangles non euclidiens : [la proposition,] il
n’existe aucun triangle rectangle, rectiligne, équilatéral [énonce] une
propriété du concept « triangle rectangle, rectiligne, équilatéral » ; on
lui assigne le nombre zéro (Grundlagen der Arithmetik, p. 64, 67). Et,
pour être claire, il y ajoute : « L’affirmation de l’existence n’est rien
d’autre que la négation du nombre zéro » – écrit-il à ce propos (ibid.
p. 65). C’était certainement une assertion quelque peu irréfléchie.
Dans le même esprit on serait certainement contraint de dire que l’ex-
tension du concept « population défunte » ou encore « âmes mortes »
est vide, définissant sans ambiguïté aucune le nombre zéro, « 0 ».
Il saurait impossible de reprocher la moindre erreur à l’énoncé de
Frege, selon lequel il n’existe point de triangles non euclidiens. En
effet, l’existence du triangle non euclidien rectiligne est aussi indé-
montrable que l’existence d’un triangle euclidien rectiligne ; elle est,
pourtant, aussi irréfutable, et Frege, comme nul autre, n’a jamais
pu, pas même tenté – comme tant d’autres avant et après lui – de
produire une telle réfutation. La décision de l’alternative, la krisis
parmédienne : Être ou ne pas être, (ἡ δὲ κρίσις περὶ τούτων ἐν τῷδ᾽
ἔστιν· ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν·, Frg. 8, 15-16) relève du sujet, plus précisé-
ment, de la liberté du sujet. Par contre, la proposition : l’extension
du concept « triangle non euclidien » contient l’infinité absolue de
tous les triangles – ne dépend de la décision libre d’aucun sujet,
elle est, en effet un théorème de la géométrie absolue, démontré, en
toute rigueur, par le Père Saccheri. Le théorème de Saccheri exige
donc impérativement l’assignation d’un nombre actuellement infini
à l’extension du concept triangle non euclidien – un des nombres
transfinis, Aleph-un, ℵ1 , de Cantor – celui, sans doute, qui cor-
respond à la puissance du continu. Mais tout comme le nombre
zéro signifie non-existence – le terme « nombre » est, selon Frege,
à peu près équivalent à  existence (Grundlagen der Arithmetik, p.
65). Conformément à cet énoncé, on sera donc contraint d’assigner
de l’existence actuelle et nécessaire à l’ensemble des triangles non
euclidiens – une conclusion certainement désagréable que Frege ne
saurait jamais admettre.
C’était donc, de tous les points de vue, une faute matérielle même
formelle que d’affirmer le vide de l’extension du concept triangle non
appendice 91

euclidien (v. I. Toth, Three Errors in Frege’s « Grundlagen » of 1884 :


Frege and non-Euclidean Geometry, in : Frege Conference 1984, éd.
G. Wechsung, Akademie Verlag, Berlin 1984, p. 101-107).

[Secondo la ben nota concezione di Frege, il numero naturale co-


stituisce una proprietà assegnata a un concetto, proprietà definita
in modo univoco dalla potenza dell’estensione del concetto. Così
l’estensione del concetto «la quadriga dell’imperatore» definisce il
numero «quattro» (Frege 1884, p. 59); il numero «quattro» è dunque
una proprietà assegnata al concetto «la quadriga dell’imperatore».
Bell’esempio, probabilmente anche molto popolare, con cui egli illu-
strò in maniera plastica la sua filosofia dell’aritmetica, esempio che
venne, inoltre, accompagnato anche in contrappunto da un fine ri-
verbero, messaggero della sua fedeltà monarchica.
Allo stesso modo si può assegnare all’estensione del concetto «la
popolazione vivente sulla terra» un numero naturale, ad esempio 6
• 109. E in effetti si assegna universalmente all’estensione del concet-
to «insieme vuoto» il numero zero, «0», dato che il numero dei suoi
elementi, la sua potenza, è nullo. E Frege si preoccupa di illustrare
il concetto del numero «0», particolarmente significativo per tutto il
pensiero matematico o, piuttosto, universale, con un esempio intuitivo,
che egli considera, secondo ogni apparente buon senso, di evidenza in-
contestabile. Si consideri l’insieme dei triangoli non-euclidei: la propo-
sizione per cui non vi è alcun triangolo rettangolo, rettilineo, equilatero
enuncia una proprietà del concetto «triangolo rettangolo, rettilineo,
equilatero»; gli è stato assegnato il numero zero (Frege 1884, p. 67). E
per essere chiari, aggiunge: «L’affermazione dell’esistenza non è null’al-
tro che la negazione del numero zero» - egli scrive a questo proposito
(ibid., p. 65). È stata certamente un’affermazione un po’ avventata.
Nello stesso spirito si sarebbe certamente costretti a dire che l’e-
stensione del concetto «popolazione defunta» o anche «anime mor-
te» è vuota, definendo senz’alcuna ambiguità il numero zero, «0».
Sarebbe impossibile rimproverare il minimo errore all’enuncia-
to di Frege secondo cui non esistono affatto triangoli non-euclidei.
Infatti, l’esistenza del triangolo non-euclideo rettilineo è altrettan-
to indimostrabile dell’esistenza di un triangolo euclideo rettilineo;
anzi, essa è, conseguentemente, altrettanto inconfutabile. Frege, non
ha mai potuto, e nemmeno tentato, escogitare una confutazione del
92 appendice

genere. La decisione in favore di uno dei due corni del dilemma, la


krisis parmenidea (essere o non essere; ἡ δὲ κρίσις περὶ τούτων ἐν
τῷδ᾽ ἔστιν· ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν·, Frammento 8, vv. 15-16), appartiene
al soggetto, e più precisamente alla libertà del soggetto. Al contrario,
la proposizione «l’estensione del concetto “triangolo non-euclideo”
contiene l’infinità assoluta di tutti i triangoli» non dipende dalla libe-
ra decisione di alcun soggetto: si tratta in effetti di un teorema della
geometria assoluta, dimostrato con grande rigore da Padre Saccheri.
Il teorema di Saccheri richiede imperativamente l’assegnazione di un
numero in effetti infinito all’estensione del concetto «triangolo non-
euclideo» – uno dei numeri transfiniti (aleph con uno, ℵ1 ) di Cantor,
verosimilmente quello che corrisponde alla potenza del continuo.
Ma, proprio come il numero zero significa non-esistenza, il termine
«numero» è, secondo Frege, equivalente all’incirca a esistenza (Fre-
ge 1884, p. 65). Conformemente a tale enunciato, si sarà dunque
costretti ad assegnare un’esistenza effettiva e necessaria all’insieme
dei triangoli non-euclidei, una conclusione certamente spiacevole che
Frege non vorrà mai ammettere.
Sostenere, dunque, che l’estensione del concetto «triangolo non
euclideo» è vuota equivaleva, sotto tutti i punti di vista, a un errore
sia materiale, sia formale (cfr. Toth 1984)].

Testo n. 5

Si l’univers italien de Pieri recelait une contradiction, notre arithmé-


tique quotidienne, celle de Peano (elle aussi writ’ in choice Italian – tout
comme le pantomyme du Hamlet), devrait également elle aussi s’effon-
drer sous l’explosion d’une bombe logique cachée.

[Se l’universo italiano di Pieri celasse una contraddizione, la nostra


aritmetica quotidiana, quella di Peano (anch’essa writ’ in choice Ita-
lian, proprio come la pantomima dell’Amleto), dovrebbe anch’essa
crollare sotto l’esplosione di una bomba logica nascosta.]
appendice 93

Testo n. 6

Impossibilité absolue peut-être, comme le croyait Frege, mais la


relation axiomatique 1•1=2 est pourtant là, présente dans le domaine
de la réalité mathématique, un matter of fact du Cosmos universel de
la pensée dont la porté n’est pas limitée au seul monde spécifique du
savoir mathématique.

[Impossibilità assoluta forse, come credeva Frege, ma la relazio-


ne assiomatica 1•1=2 è tuttavia di fronte ai nostri occhi, presente
nel dominio della realtà matematica, una matter of fact del Cosmos
universale del pensiero la cui portata non è limitata al solo mondo
specifico del sapere matematico]

Testo n. 7

Création permanente, révolution permanente, chaîne ininterrom-


pue de discontinuités, dont les anneaux sont entrelacés par des actes
de négations réitérés.

[Creazione permanente, rivoluzione permanente, catena ininter-


rotta di discontinuità, i cui anelli sono connessi attraverso atti di
negazione reiterati.]

Testo n. 8

L’idée du sujet transcendantal, en tant qu’agent de la géométro-


poïèse, est mentionnée explicitement – pour la première fois, me
semble-t-il – dans une très belle formule, un jeu sur le mot « théo-
rème », magnifique calembour impossible à traduire, du Traité sur la
Contemplation de Plotin :
τὸ θεωροῦν μου θεώρημα ποιεῖ, ὥσπερ οἱ γεωμέτραι θεωροῦντες
γράφουσιν : en me contemplant je me fais théorème ou bien je de-
viens théorème – quoique le verbe ποιεῖν signifie faire, créer et non
pas devenir  : – objet de ma propre contemplation – tout comme
les géomètres fonts leur théorèmes en les démontrant – en tant
qu’objets de leur contemplation (Ennéades III 8.4, éd. Bréhier, Paris
1925 : 157).
94 appendice

[L’idea del soggetto trascendentale, come agente della «geometro-


poiesi», è menzionata esplicitamente – mi sembra per la prima volta
– in una formula molto bella, un gioco di parole sul termine «teore-
ma», magnifico calembour, impossibile da tradurre, dal Trattato sulla
contemplazione di Plotino:
τὸ θεωροῦν μου θεώρημα ποιεῖ, ὥσπερ οἱ γεωμέτραι θεωροῦντες
γράφουσιν: contemplandomi io mi faccio teorema, o anche io diven-
go teorema – benché il verbo ποιεῖν significhi «fare», «creare» e non
«divenire» –, oggetto della mia propria contemplazione, proprio come
i geometri fanno i loro teoremi dimostrandoli, in quanto oggetti della
loro contemplazione (cfr. Plotino 2002, Enneade III 8.4, p. 771)].

Testo n. 9

Sur ce point, me semble-t-il, une controverse silencieuse a eu lieu


entre Frege et son collègue, Otto Liebmann, et il est permis de présu-
mer qu’elle a été partiellement secondée par des discussions que les
deux professeurs de l’Université d’Iéna ont personnellement entretenu
au sujet de la géométrie non euclidienne. Quoiqu’il en soit, il est attesté
que de tels entretiens ont eu lieu entre Heinrich, le fils de Otto Lieb-
mann, qui s’appliquait à gagner Frege pour la nouvelle vision géomé-
trique. En effet, certains passages d’un livre de Liebmann, publié en
1899, se lisent comme une manifeste prise de position contre les opi-
nions de Frege. Après l’exposition de sa propre conception concernant
la nouvelle géométrie, Liebmann en tire la suivante conclusion laco-
nique : les géométries non euclidiennes ont le droit légitime (Anspruch)
d’être comptées au statut des théories de la géométrie (Gedanken und
Tatsachen. Philosophische Abhandlungen, Strassburg, 1899, I p. 39).
Mais déjà en 1876, dans un livre devenu très connu, publié à Stras-
bourg, où, avant d’occuper la chaire de philosophie à l’Université de
Leipzig, il était professeur, Otto Liebmann a publié une critique péné-
trante de la conception dominante, qui était aussi celle de Frege, rejetant
la géométrie non euclidienne. « Toute objection faite au nom de notre
intuition spatiale immédiate est caduque ; » – écrit-il – « tout argument
qui relève du plaisir du sens de la vue est nul et de nul effet. Du point de
vue subjectif l’intuition visuelle de l’espace dispose, naturellement, de
priorité, mais d’une priorité limitée seulement à la dimension tempo-
appendice 95

relle, par rapport au concept d’espace. L’intuition spatiale n’est qu’un


πρὸς ἥμας πρότερον – un proteron rapporté à nous, à notre sensibilité
visuelle. Mais objectivement, le concept émancipé de toute in­tuition est
supérieur à celle-ci. Et, une fois présente dans la pensée, le concept se
moque de l’intuition bornée et ouvre à la raison discursive une infinité
de possibilités jamais soupçonnées auparavant. Le concept est le véri-
table λόγῳ πρότερον – la priorité absolue revient toujours au concept,
dans ce cas au concept de l’espace. Et, comme l’a montré le pr. Fechner,
l’existence d’autres intelligences capables d’intuitionner ces mondes
inaccessibles à notre propre intuition, est indubitable, donc indiscu-
table est également qu’un tel monde puisse exister realiter. Conclure du
non posse videri ad non posse esse est une manière de pensée tout à fait
indigne d’un philosophe ». (Zur Analysis der Wirklichkeit. Eine Erörte-
rung der Grundprobleme der Philosophie, p. 63). Et il conclut avec un
bon mot provenant d’une Réponse connue de Leibniz1 à la quatrième
Réplique de Mr. Clarke: « Pour les philistins de l’esprit géométrique
c’est partout comme chez nous »(en français dans le texte).

[Su questo punto, mi sembra, si è verificata una controversia silen-


ziosa tra Frege e il suo collega Otto Liebmann: si può presumere che
essa sia stata in parte favorita dalle discussioni che i due professori
dell’Università di Jena hanno avuto personalmente circa la geometria
non-euclidea. Comunque sia, è attestato che queste discussioni hanno
avuto luogo anche tra Frege e Heinrich, il figlio di Otto Liebmann,
che si adoperò per far accettare a Frege la nuova visione geometrica.
In effetti, alcuni passaggi di un libro di Liebmann, pubblicato nel
1899, possono leggersi come una manifesta presa di posizione con-
tro le opinioni di Frege. Dopo l’esposizione della propria concezione
concernente la nuova geometria, Liebmann ne trae la seguente laco-
nica conclusione: le geometrie non-euclidee hanno il diritto legittimo
(Anspruch) di essere ascritte allo status di teorie della geometria2. Ma

1 «  En effet, à cet égard on peut dire, comme disait Harlequin dans l’Empereur de

la lune, que c’est tout comme icy » (in : Opera philosophica quae exstant latina gallica
germanica omnia, instruxit Johann Eduard Erdmann : Cinquième écrit de Mr. Leibniz, Ou
Réponse à la quatrième Réplique de Mr. Clarke ; fac-similé de l’édition de 1840, élargie
après de nouveaux fragments par R. Vollbrecht, Aale 1959, p. 765b. [Per questo scritto
leibniziano cfr. l’edizione critica di A. Robinet: Leibniz 1957, p. 132; cfr. anche Leibniz
1875, vol. VII, p. 394. N.d.T.]
2 Cfr. Liebmann 1899, I, p. 39.
96 appendice

già nel 1876 in un famoso libro, pubblicato a Strasburgo, dove era


professore prima di assumere la cattedra di filosofia presso l’Univer-
sità di Lipsia, Otto Liebmann sviluppò una penetrante critica della
concezione dominante, che era anche quella di Frege, ostile alla geo-
metria non-euclidea. «Qualsiasi obiezione fatta in nome della nostra
intuizione spaziale immediata è caduca;» – egli scrive. «Qualsiasi ar-
gomento che dipende dal piacere del senso della vista è inconsistente
e di nessun effetto. Da un punto di vista soggettivo l’intuizione visiva
dello spazio dispone, ovviamente, di priorità, ma di una priorità limi-
tata solo alla dimensione temporale, in relazione al concetto di spa-
zio. L’intuizione spaziale è semplicemente un πρὸς ἥμας πρότερον,
un proteron riferito a noi, alla nostra sensibilità visiva. Ma, obietti-
vamente, il concetto emancipato da qualsiasi intuizione è superiore
ad essa. E, una volta presente nel pensiero, il concetto si prende gioco
dell’intuizione limitata e apre alla ragione discorsiva un’infinità di
possibilità mai sospettate prima. Il concetto è il vero λόγῳ πρότερον
– la priorità assoluta spetta sempre al concetto, in questo caso al
concetto di spazio. Come ha mostrato il professor Fechner, l’esisten-
za di altre intelligenze in grado di intuire questi mondi inaccessibili
alla nostra intuizione è indubbia ed è altrettanto indiscutibile che
un siffatto mondo possa esistere realiter. Concludere dal non posse
videri al non posse esse è un modo di pensare del tutto indegno di un
filosofo»3. E conclude con una battuta proveniente da una Risposta
di Leibniz alla quarta Replica di Samuel Clarke: «Per i Filistei dello
spirito geometrico è dappertutto come a casa nostra»4].

3Cfr. Liebmann 1900, p. 63.


4«En effet, à cet égard on peut dire, comme disait Harlequin dans l’Empereur de la
lune, que c’est tout comme icy» («E a tale riguardo si può dire, come ripeteva Arlecchino
nell’Imperatore della Luna, che “tutto è come qui”») (Leibniz 1840, p. 765b; cfr. anche
Leibniz 1957, p. 132; trad. it. vol. III, p. 529) [N.d.T.].
appendice 97

E-mail di Imre Toth del 10 marzo 2009 contenente in attachment


i testi qui riprodotti:

---------- Messaggio inoltrato ----------


Da:<emerich.toth0076@orange.fr>
Date: 10 marzo 2009 14:00
Oggetto:
A: Teodosio Orlando <teodosio.orlando@gmail.com>

Mio carissimo Teo,


fu grande di averla a Parigi, da me, ma oggi ho scoperto una cosa
vergognosa: ho dimenticato di mostrarle le altre inserzioni che ho
fatto per il volume francese; ero convinto che le avevo già trasmes-
se; un attimo ho avuto un certo dubbio quando ho introdotto; una
leggera suspicione ma...; ecco dunque invio qui come pièce attachée
tutto il testo italiano che abbiamo corretto insieme, con le inserzioni
tutte marcate con giallo e con carattere lucida handwriting, introdot-
te ai luoghi nel testo; la prego di leggerle con lo sguardo critico che
è il suo e di eliminare tutte quelle che le sembrano superflue; invio
anche alcune fotos fatte a me e da me come corpus delicti della sua
visita * con lo stesso affetto e con mille scuse * IM TO ** 
Post scriptum natum: in questo attimo ricevo la versione cinese
del testo del mio piccolo libro uscito da Bollati Boringhieri – un testo
par excellence non cinese * come sono venuti i compagni cinesi a
tradurlo – rimane un mistero *
semper idem IM TO **
Postfazione

Fondazione della matematica, semantica e verità.


Imre Toth e Gottlob Frege

di Teodosio Orlando
Alla venerata memoria del Professor Imre Toth

θεὸς ὤν τις ἐλεγκτικός


Platone, Sofista, 216b

1. Oggetto e tesi fondamentali di Toth sulla filosofia fregeana del-


la matematica

Il saggio di Imre Toth La filosofia della matematica di Frege e la


matematica della sua epoca si presenta come un contributo per molti
versi anomalo nella letteratura critica sulla filosofia della matematica
di Gottlob Frege. Infatti, a differenza della quasi totalità degli studi
più recenti, nello scritto di Toth vengono messi in evidenza gli ele-
menti di «arcaicità» e gli errori presenti nelle opere del logico tedesco
piuttosto che l’originalità e la novità delle sue teorie che hanno se-
gnato l’avvento del paradigma logicista. Tutto questo viene sostenuto
sulla base del rapporto tra Frege e le geometrie non euclidee, a cui
egli opporrebbe, secondo Toth, un rifiuto categorico. Questo rifiuto
non sarebbe un dettaglio biografico poi superato o l’espressione di
una presa di posizione occasionale, ma discenderebbe da un sistema
speculativo coerente e ben fondato, nell’ambito del quale non sareb-
be possibile un’ontologia pluralista e verrebbe sostenuta una conce-
zione univoca ed assolutista della verità. Viene così messo in questio-
ne il «mito» della mancanza di un «impegno ontologico» forte nella
filosofia di Frege, che per molti interpreti sarebbe ontologicamente
neutrale. Per Toth non ci sarebbe spazio, nel pensiero di Frege, per
l’ammissione simultanea di una geometria euclidea e di una geome-
tria non euclidea; una delle due non potrebbe mai rivendicare diritti
di cittadinanza paritari nell’universo della conoscenza matematica.
102 teodosio orlando

Dato che Frege non formulò mai in modo sistematico queste idee,
Toth è andato a rintracciarle in vari scritti occasionali, soprattutto
recensioni e discussioni delle opere di vari matematici contempora-
nei, nonché nel ricco epistolario: ne emergerebbe l’adesione convinta
di Frege a un’epistemologia per molti versi fortemente ancorata ad
Aristotele e alla scolastica, in gran parte incompatibile con le teorie
di Weierstraß, Dedekind, Cantor, Hilbert e di altri matematici a lui
contemporanei. In modo a nostro parere più discutibile, Toth correla
continuamente l’idea che la filosofia fregeana rappresenti la scienza
e la verità «pure» con la tesi che da essa discenderebbe un’adesione
incondizionata ai valori «morali», quasi che gli autori da lui criticati
continuassero a perseverare in una concezione amorale del mondo,
associata alla messa in discussione delle verità eterne della matematica.
Questo spiega il nesso continuo che Toth ravvisa tra la nozione
di libertà lato sensu e quella di creazione libera (da Frege degradata
spesso a «stregoneria» o a «gioco di prestigio logico») degli oggetti
e dei mondi matematici autonomi, che si proponevano di realizzare
coloro che il logico di Jena amava designare, non senza sarcasmo,
come «matematici moderni». È soprattutto contro i cosiddetti «for-
malisti», rappresentati prima da Carl Johannes Thomae e in seguito
da David Hilbert, che egli appunta i suoi strali. Per lui, non essendo il
soggetto della matematica libero di definire e di creare nuovi numeri
a suo piacimento, le tesi formaliste si ridurrebbero a una sorta di
assurdo «creazionismo». Secondo Frege il matematico non potrebbe
creare entità in modo arbitrario, più o meno come il geografo non
può creare ex nihilo il Mare del Nord, ma solo scoprirlo. Ogni co-
noscenza matematica si riduce così a una scoperta di oggetti che pre-
esistono indipendentemente dalle strutture conoscitive del soggetto,
ridotto spesso al «soggetto capriccioso della psicologia», essendo a
Frege estranea, per Toth, la nozione di «soggetto trascendentale» in
senso kantiano1.
È come se il logico di Jena ponesse a fondamento della sua filoso-
fia una sorta di postulato metafisico dell’unicità e della priorità on-
tica dell’essere e della verità, rispetto a cui ogni forma di conoscenza
non potrà che essere a posteriori. Per la matematica in particolare si

1 Frege arriva perfino a parlare di «percezione immediata» di questi oggetti preesi-

stenti. Cfr. Frege 1884, p. 104; trad. it. p. 344 (qui è usato il verbo durchschauen); Frege
1903a, pp. 161-162; trad. it. in Frege 1965, pp. 564-565 (qui è preferito auffassen).
postfazione 103

può sostenere che si verifichi una sorta di correlazione inestricabile


tra ontologia ed epistemologia: quello che esiste esaurisce l’ambito
del conoscibile, ed entrambi i domini trovano un ancoramento fon-
dazionale nel regno dei princìpi della logica. Questi presupposti ven-
gono sottoposti nello scritto di Toth a una continua e serrata analisi
critica, che approda a una serie di tesi che si oppongono radicalmente
all’immagine reçue del logico tedesco, proponendo un’interpretazio-
ne alternativa, basata sui seguenti punti nodali:
1) Il logicismo di Frege non è una filosofia della matematica in
grado di spiegare alcuni importanti risultati ottenuti dai matematici
di fine Ottocento. E questo avviene non solo a causa del celebre pa-
radosso di Russell-Zermelo (relativo all’insieme di tutti gli insiemi
che non appartengono a sé stessi)2, per cui sia la fondazione logicista
dell’aritmetica di Frege, sia la cosiddetta teoria ingenua (o intuitiva)
degli insiemi di Georg Cantor, falliscono il loro obiettivo, perché non
riescono a sfuggire a una serie di antinomie logiche. Ma anche per-
ché Frege stesso non tenne conto di una serie di risultati raggiunti da
alcuni suoi contemporanei, da Dedekind allo stesso Cantor, e tali da
determinare un cospicuo processo evolutivo, specialmente in analisi
e in algebra.
2) Frege non riuscì mai a comprendere a fondo le geometrie non-
euclidee. In ciò fu in buona compagnia, perché l’incomprensione (o la

2 Il paradosso di Russell-Zermelo può essere enunciato in modo informale nel modo

seguente. Supponiamo che (F) sia il predicato «non poter essere predicato di sé stesso».
Può (F) essere allora predicato di sé stesso? In entrambi i casi ci troviamo a che fare con
un’impossibilità logica. Oltre che per i predicati, il paradosso vale anche per le classi o
insiemi. Come scrive Frege: «Il signor Russell ha scoperto una contraddizione che ora
esporrò. Nessuno vorrà asserire, della classe degli uomini, che essa sia un uomo. Abbiamo
qui una classe che non appartiene a sé stessa. Dico infatti che qualcosa appartiene a una
classe se questo qualcosa cade sotto un concetto, la cui estensione è proprio la classe stessa.
Fissiamo ora l’attenzione sul seguente concetto: “classe che non appartiene a sé stessa”.
L’estensione di questo concetto, ammesso che se ne possa parlare, è, per quanto detto, la
classe delle classi che non appartengono a sé stesse. Vogliamo chiamarla brevemente la
classe K. Chiediamoci ora se questa classe K appartenga a sé stessa. Supponiamo in pri-
mo luogo che essa appartenga a sé stessa. Se qualcosa appartiene a una classe, esso cade
sotto il concetto la cui estensione è la classe in esame; di conseguenza, se la nostra classe
appartiene a sé stessa, allora è una classe che non appartiene a sé stessa. La nostra prima
supposizione conduce quindi a una contraddizione. Supponiamo, in secondo luogo, che la
nostra classe K non appartenga a sé stessa: in questo caso essa cade sotto il concetto di cui
essa stessa rappresenta l’estensione, quindi appartiene a sé stessa: qui di nuovo abbiamo
una contraddizione!» (Frege 1903a, pp. 253-254; trad. it. pp. 575-576 [modificata]).
104 teodosio orlando

parziale comprensione) delle geometrie non euclidee caratterizzò una


buona parte della comunità scientifica e filosofica del suo tempo, da
Arthur Cayley a Otto Liebmann, da Pierre Duhem a Eugen Dühring.
3) Frege aveva una concezione univoca ed assolutista della verità,
per cui esiste un solo universo aletico, né può essere messo in dubbio il
principio di bivalenza. Inoltre, nella prima delle Ricerche logiche, Der
Gedanke, egli critica la cosiddetta teoria corrispondentista della verità
e sembra che pervenga all’idea che sia destinato al fallimento non solo
il tentativo di definire la verità come corrispondenza, ma anche ogni al-
tro sforzo di definire lo stesso concetto di essere-vero, per le inevitabili
ambiguità e oscillazioni semantiche che esso comporta3.
4) La sua concezione della geometria, e della matematica in ge-
nerale, era conservatrice, mentre quella della logica era innovativa,
al punto da rivoluzionare il paradigma della logica tradizionale di
matrice aristotelica. Peraltro, anche su quest’argomento, Toth non
considerava con timore reverenziale le teorie del logico e matematico
tedesco come feticci da adorare, ma piuttosto come punti di svolta
che avrebbero potuto aprire l’orizzonte di successive acquisizioni te-
oriche. Inoltre, la posizione di Toth si differenzia notevolmente anche
da quella dei filosofi analitici che subordinano le teorie fregeane rela-
tive ai fondamenti della matematica alla sua filosofia del linguaggio.
5) Frege fu sempre convinto del fatto che l’aritmetica e l’algebra
sono analitiche a priori, mentre sulla geometria arrivò a concludere
che fosse sintetica a priori. Ma questo è un punto debole del suo pen-
siero, perché lo rende poco coerente e rischia di creare due diverse
epistemologie della matematica.
6) La sua avversione per le geometrie non-euclidee si correla alla
sua angusta concezione della libertà del soggetto trascendentale, che
presuppone la priorità dell’essere rispetto al conoscere. Per Frege,
parlare di potenza creativa del soggetto della matematica è qualcosa
di discutibile. Egli trae anche implicazioni metapolitiche da questa
concezione, che spiegherebbero perfino il suo tardo antisemitismo.
3 Scrive Frege: «La parola “vero” appare come aggettivo (Eigenschaftswort). Pertanto

sorge il desiderio di delimitare più strettamente il campo in cui si possa enunciare la verità,
anzi dove in generale la verità possa venir messa in questione. Si trova la verità predicata
di immagini, rappresentazioni, enunciati e pensieri. Qui colpisce il fatto che cose visibili
e udibili ricorrano insieme a cose che non possono essere percepite con i sensi. Questo
rimanda al fatto che si sono verificati slittamenti del senso» (Frege 1918, p. 59; trad. it. p.
45 [modificata]).
postfazione 105

7) Per Toth, Frege si distacca dalla tradizione del cosiddetto te-


orema di Saccheri, secondo il quale è lecito parlare di simultaneità
ontologica di domini opposti degli enti geometrici (euclidei e non
euclidei), ossia della possibilità di concepire come reali enti geome-
trici che abbiano proprietà diverse e apparentemente contraddittorie.
8) Frege si oppone al formalismo e alle teorie che stabiliscono la
priorità del non essere rispetto all’essere nel processo di creazione
matematica.
9) Per Frege gli Elementi di Euclide rappresentano l’ideale episte-
mologico del sistema unico e della verità assoluta4.
10) Sulla base di questi presupposti, è improprio definire Frege un
«platonista». O meglio, lo si può fare solo secondo una concezione
schematica e unilaterale del platonismo, che lo limita alla concezione
per cui gli oggetti logici e matematici sono entità astratte e separate
dalla realtà empirica e dal soggetto creativo della logica.
In realtà, potremmo obiettare quanto segue alle tesi su esposte, in
conformità agli assunti sostenuti da altri interpreti di Frege, da Mi-
chael Dummett (1996, pp. 126-157) a Hans Sluga (1980):
1) La concezione della geometria di Frege aveva molte affinità
con quella kantiana, perché egli credeva, almeno all’inizio della sua
carriera, che spazio e tempo fossero intuizioni a priori. Pertanto, le
proposizioni geometriche e quelle che implicano la nozione di tempo
sono da considerarsi sintetiche a priori, concezione che emerge nelle
Grundlagen der Arithmetik e che verrà però parzialmente corretta
in due serie di articoli (1903b e 1906a) dedicati ai fondamenti della
geometria e che si occupano della natura degli assiomi e del loro sen-
so. Questa tesi ha trovato una particolare difesa da parte di studiosi
come Sluga, che hanno insistito in modo particolarmente incisivo
anche sull’eredità kantiana presente negli scritti di Frege.
2) Pertanto, la sua concezione dello spazio è di tipo trascendenta-
listico: gli oggetti che lo occupano, nel senso ordinario ed empirico,
sono meri fenomeni e non esistono indipendentemente dal soggetto

4 Per Frege la verità assoluta è perfettamente concepibile: «Una corrispondenza (Über-

einstimmung) è una relazione. Questo viene però contraddetto dall’uso corrente della
parola “vero”, che non è una parola che indichi una relazione e non contiene nessun
rimando a qualcos’altro con cui dovrebbe concordare. Se io non so che un’immagine deve
rappresentare il duomo di Colonia, non so con che cosa dovrei confrontare l’immagine per
decidere della sua verità» (Frege 1918, pp. 59-60; trad. it. p. 45 [modificata]).
106 teodosio orlando

che li conosce. Una simile concezione si potrebbe ricondurre anche al


tentativo di differenziarsi dai sostenitori di teorie di stampo più reali-
sta, presenti nella cultura tedesca e austriaca dell’epoca, dalla scuola
di Brentano (Stumpf e Meinong) alle varie forme di realismo critico e
immanentistico (Külpe e Schuppe).
3) Secondo Frege gli assiomi della geometria scaturiscono da una
fonte della conoscenza che non è quella logica e che talora egli chia-
ma intuizione spaziale (concezione, peraltro, che si può rinvenire solo
in alcuni luoghi delle sue opere e non è stata sempre da lui sostenuta).
Su questi temi ha particolarmente insistito Dummett, nel tentativo di
mettere in risalto l’originalità di Frege rispetto alle principali correnti
di filosofia della matematica della sua epoca.
4) Per Frege, una proposizione a priori è tale se può essere dimo-
strata solo facendo riferimento alla definizione dei termini implicati,
partendo da leggi generali fondamentali che non ammettono a loro
volta dimostrazioni.
Cercheremo di evidenziare come questi quattro punti da un lato
corrispondano alle tesi di Toth su Frege, ma dall’altro ne delineino
un’immagine meno ancorata al platonismo matematico. Del resto,
come hanno messo in luce Wolfgang Carl e Hans Sluga, la scho-
larship su Frege può dividersi tra coloro che ne accreditano un’imma-
gine come un platonista e coloro che lo ritengono un neokantiano. Le
due prospettive sono apparentemente contraddittorie, perché il pla-
tonismo veicola una prospettiva ontologica e metafisica che invece
il neokantismo, inteso genericamente, depreca o verso cui è comun-
que diffidente. D’altro canto, se si analizzano, come faremo oltre,
alcuni passi fregeani, ci accorgeremo che egli è molto più interessato
allo statuto epistemico delle cosiddette entità del «terzo regno» che
a quello ontologico. Tuttavia, non si può facilmente ricavarne un’in-
clinazione verso le prospettive neokantiane. Infatti, mentre queste
ultime sono legate imprescindibilmente alla nozione di rappresenta-
zione mentale, Frege si riferisce, ogni volta che usa il termine «pen-
siero» (Gedanke), ai contenuti potenziali delle proposizioni e quindi
a qualcosa che ha a che fare con la semantica formale piuttosto che
con la filosofia della mente in senso stretto. Se proprio di ascendenze
neokantiane fosse lecito parlare, queste dovrebbero essere ricercate
in alcuni spunti offerti dalla logica di Hermann Lotze, che già costi-
tuiva un tentativo di sintesi tra platonismo e kantismo. Tutto questo
postfazione 107

si può notare nella nozione fregeana di «afferrare un pensiero» (ei-


nen Gedanken auffassen), vale a dire nella relazione che intercorre
tra l’apparato conoscitivo umano e le entità del «terzo regno» (ad es.
un oggetto astratto come un numero o un valore di verità). Questa
relazione è necessariamente intesa come qualcosa di non sensibile,
anche se Frege non si preoccupa di spiegarne la natura in termini
sufficientemente chiari.
Infine, l’apriori che abbiamo evidenziato soprattutto nel punto 4
è connesso in particolare allo statuto epistemico della matematica.
Frege preferisce la nozione leibniziana e analitica di apriori, eccetto
per le verità geometriche, che implicano l’intuizione spaziale; ma ciò
vale anche per proposizioni di tipo self-indexical (in qualche modo
di ascendenza cartesiana, come ad esempio «Io sono qui in questo
momento»), che per Frege sono vere a priori.

2. La polemica Frege-Hilbert sui fondamenti della geometria

Sicuramente la polemica che Frege conduce contro Hilbert, a parti-


re dai citati articoli del 1903b e del 1906a, va nella direzione che Toth
ha messo in luce, in quanto si distacca dal convenzionalismo e dal
formalismo in nome di una concezione assoluta della verità. Come ha
chiarito Patricia A. Blanchette (2013), Frege propone una procedura
generale per dimostrare l’indipendenza di un determinato enunciato
matematico da tutti gli altri, che si contrappone ai metodi hilbertiani.
In riferimento a questa procedura, vale la pena di evidenziare che fino
al 1906 Frege aveva messo in dubbio la stessa legittimità delle prove
d’indipendenza degli assiomi e di altri enti matematici come erano
state formulate da Hilbert. Ora cambia atteggiamento, arrivando a
una proposta positiva per dimostrare l’indipendenza degli enunciati
matematici; si tratta però del suo unico tentativo in quanto egli non
ritornò più sulla procedura qui proposta, a causa del fatto che non la
riteneva sufficientemente rigorosa in base ai suoi standard abituali.
Ad esempio, nel 1910 Frege sostiene che l’indipendenza dell’assio-
ma delle parallele – proprio quel tipo di oggetto che presumibilmente
avrebbe dovuto essere provato con il metodo da lui proposto – «non
può essere dimostrata». Inoltre, si può notare nel metodo proposto
da Frege una somiglianza con quello di Hilbert molto maggiore di
108 teodosio orlando

quanto ci si aspetterebbe, data la sua incessante critica al matematico


tedesco esercitata negli anni precedenti. Nello scritto Sui fondamenti
della geometria (1906a) (a parere di Toth, il saggio più controverso),
Frege sottopone i risultati di Hilbert sulla coerenza e sull’indipendenza
delle proposizioni matematiche a una critica impietosa, che continua
quella esposta nella corrispondenza con lo stesso Hilbert (intercorsa
tra il 1899 e il 1900. Cfr. Frege 1976b, pp. 60-79; trad. it., pp. 45-62)
e nell’altro saggio sui fondamenti della geometria del 1903.
Per cominciare, Frege chiarisce che cosa intende con il concetto
di «indipendenza»: un dato «pensiero» (Gedanke)5 è indipendente
da una collezione di pensieri, se esso non può ottenersi con una se-
rie di passi (presumibilmente finita) logicamente conseguenti che si
basino esclusivamente sui pensieri contenuti in quella collezione. La
terminologia fregeana può sembrare insolita, ma non è casuale: il
problema dell’indipendenza è un problema d’implicazione logica, co-
sicché si pone solo per i pensieri, vale a dire per i tipi di oggetti a cui
si può associare un preciso valore di verità, e che non sono soggetti a
eventuali reinterpretazioni, come accade con i semplici enunciati. Per
usare le parole dello stesso Frege:

Quando in matematica si usa l’espressione «provare una proposizione» (ei-


nen Satz beweisen), con il termine «proposizione» non si intende chiaramente
una sequenza di parole o un gruppo di segni, ma un pensiero, ossia qualcosa di
cui si può dire che è vero. E allo stesso modo, quando si parla di indipendenza
delle proposizioni o degli assiomi, anche quest’espressione in realtà verterà
sull’indipendenza dei pensieri6.

Come si può, nel concreto, dimostrare l’indipendenza di un pen-


siero da un gruppo di pensieri? Prima di tutto, si può notare che con
questa domanda entriamo in un regno che è estraneo alla matematica
vera e propria. Infatti, anche se, come tutte le altre discipline scienti-
fiche, la matematica si svolge in pensieri, tuttavia, i pensieri non sono
specificamente l’oggetto delle sue indagini. Anche l’indipendenza di

5 Il termine «Gedanke» ricorre qui nel senso in cui è usato da Frege nei suoi scritti di

filosofia della logica, da Senso e significato alle Ricerche logiche. Il pensiero è il senso di
un enunciato, da non confondere con il suo significato, coincidente con il valore di verità,
benché le due nozioni siano strettamente interdipendenti, come vedremo in seguito più
dettagliatamente.
6 Frege 1906a, p. 401; rist. in Frege 19902, p. 316 [trad. nostra].
postfazione 109

un pensiero da un gruppo di pensieri è ben distinta dalle relazioni al-


trimenti studiate in matematica. Ora, si può ritenere che questo nuo-
vo dominio d’indagine abbia le sue caratteristiche specifiche. Ossia,
si può supporre che le verità di base che sono essenziali per le prove
costruite in esso si comportino come gli assiomi della geometria in
quanto prove della geometria, e che abbiamo anche bisogno di que-
ste verità fondamentali soprattutto per dimostrare l’indipendenza di
un pensiero da un gruppo di pensieri.
Frege inizia il suo disegno della nuova disciplina, stabilendo due
semplici «verità di base», ossia:
(L1) Se il pensiero G segue dai pensieri A, B, C per mezzo di una
deduzione logica, allora G è vero.
(L2) Se il pensiero G segue dai pensieri A, B, C per mezzo di una
deduzione logica, allora ciascuno dei pensieri A, B, C è vero.
Si può notare da queste semplici proposizioni come Frege tenga fede
a una concezione dell’assiomatica di tipo tradizionale, addirittura ri-
salente agli Analitici secondi di Aristotele7, pur senza menzionare lo
Stagirita in questo contesto: ogni teoria matematica muove da assio-
mi, definizioni e spiegazioni. I primi vengono, secondo la tradizione,
considerati come verità autoevidenti, che nella loro ovvietà non hanno
bisogno di giustificazioni interne alla teoria (come nel caso degli assio-
mi della geometria euclidea, che stabiliscono le proprietà degli oggetti
spaziali in base alla loro intuibilità a priori: è quanto accade nell’Este-
tica trascendentale di Kant). Le definizioni devono obbedire invece a
due requisiti fondamentali: a) non devono essere creative, nel senso di
introdurre nuovi enti; b) devono essere eliminabili all’occorrenza (ad
esempio sostituendo una combinazione di segni con una combinazione
analoga di cui già conosciamo il significato). Le spiegazioni sono invece
chiarimenti informali su tutto ciò che non può essere definito in modo
rigoroso (come gli scolii nell’Ethica ordine geometrico demonstrata di
Spinoza). A questa concezione tradizionale dell’assiomatica fa riscon-
tro una concezione altrettanto tradizionale della geometria, in base al
seguente schema proporzionale: a) assiomatica tradizionale: geometria
euclidea = b) assiomatica convenzionalistica: geometria non euclidea.
Difficilmente Frege avrebbe potuto dissentire maggiormente su
questo punto rispetto alle tesi di Hilbert. Il grande matematico te-

7 È quanto sostiene Mauro Mariani nella sua Introduzione a Frege (1994, pp. 76-78).
110 teodosio orlando

desco, infatti, aveva una concezione ben diversa del metodo assio-
matico applicato alla geometria, soprattutto perché il suo intento
era anche (benché non soprattutto) quello di fornire una fondazione
adeguata delle geometrie non euclidee.
Hilbert si serve in questo contesto del concetto di definizione im-
plicita risalente, nella sua prima teorizzazione, al matematico francese
Joseph Diaz Gergonne (1771-1859). Una definizione implicita si ha
quando, pur non essendo conosciuto il significato di un termine che
compare in un enunciato, la comprensione dell’enunciato stesso per-
mette di dare un senso anche a quel termine. Secondo Hilbert un insie-
me di assiomi costituisce una definizione implicita dei termini primitivi
che poi si impiegheranno in una dimostrazione. Questo concetto è si-
mile a ciò che in seguito verrà chiamato modello di una teoria, ossia un
insieme di proposizioni i cui elementi, posti in corrispondenza biunivo-
ca con i termini non definiti contenuti nella base assiomatica, possono
soddisfare le relazioni fondamentali espresse dagli assiomi medesimi.
La mossa di Hilbert che Frege non vuole accettare – e su cui Toth
ha forse insistito eccessivamente, in sede di esegesi critica, quasi im-
putando a Frege una sordità scientifica che non gli appartiene – è
quella che fonda l’ammissibilità di un sistema di assiomi esclusiva-
mente sulla loro coerenza, senza preoccuparsi di una possibile con-
gruenza con una realtà preesistente ad essi8, benché la tarda episte-
mologia fregeana della verità offra la possibilità di ammettere anche
questa concezione.
Le tesi di Hilbert trovavano per certi versi assonanza in quelle del
fisico e filosofo francese Jules Henri Poincaré (1854-1912), il quale
ritenne – in vari scritti di fisica e in alcune polemiche contro le filo-
sofie di Kant riguardo al sintetico a priori, di Mill relativamente alla
fondazione psicologistica della geometria, di Russell in riferimento
alla fondazione platonista della matematica – che non esistesse alcun
esperimento cruciale in grado di determinare quale sia la «vera» ge-
ometria del mondo. Non si può in alcun modo stabilire l’esistenza di
fenomeni possibili nello spazio euclideo ma impossibili in quello non
euclideo, in modo che l’esperienza, nel constatare questi fenomeni,
risulti in contraddizione con l’ipotesi non euclidea.

8 Allo stesso modo nell’ontologia aristotelica le proposizioni rappresentano stati di

cose esistenti e nell’assiomatica euclidea gli assiomi rappresentano gli oggetti presenti in
quello spazio.
postfazione 111

La conseguenza è che non esiste nessuna «vera» geometria del


mondo, anche perché gli assiomi della geometria non sono né giudizi
sintetici a priori in senso kantiano (la cui concezione dello spazio vie-
ne così messa in crisi), né generalizzazioni empiriche, come volevano
le varie scuole empiriste e psicologiste (ad esempio quella difesa da
Mill nel Sistema di logica deduttiva e induttiva), bensì convenzioni
assunte per la loro maggiore comodità: e questo indipendentemente
dal fatto se appartengano alla geometria euclidea o a quella non-
euclidea. Come Poincaré scrive nel saggio La scienza e l’ipotesi:

La maggior parte dei matematici considera la geometria di Lobačevskij


una semplice curiosità logica; tuttavia qualcuno di loro è andato oltre. Dato
che parecchie geometrie sono possibili, è certo che quella vera sia la nostra?
Senza dubbio l’esperienza ci insegna che la somma degli angoli di un triangolo
è uguale a due angoli retti; ma ciò è perché non operiamo che su triangoli trop-
po piccoli; la differenza, secondo Lobačevskij, è proporzionale alla superficie
del triangolo: non potrebbe tale differenza divenire sensibile qualora operassi-
mo su triangoli più grandi o quando le nostre misure divenissero più precise?
(Poincaré 1902, p. 64; trad. it. p. 93).

Per il matematico francese, sarebbe assurdo dire che possiamo


sperimentare su rette o su circonferenze ideali; gli unici esperimenti
possibili riguardano gli oggetti materiali. Peraltro, se la geometria
fosse una scienza sperimentale, non sarebbe una scienza esatta, per-
ché sarebbe sottoposta a una continua revisione. Pertanto, una fon-
dazione sperimentale della geometria risulterebbe contraddittoria e
la priverebbe del carattere di scientificità.
In realtà la posizione di Hilbert era meno radicale di quella di
Poincaré, come Frege aveva ben capito a partire dalla lettera che spe-
dì al suo collega tedesco il 6 gennaio del 1900 (Frege 1976b, pp. 70-
76; trad. it. pp. 55-62). Per l’autore delle Grundlagen der Arithmetik,
il metodo hilbertiano può essere interpretato come un tentativo di
separare la geometria dall’intuizione spaziale e di ricondurla alla lo-
gica. Tuttavia, il «logicista» Frege, che per tutta la vita perseguì un
programma simile per l’aritmetica elementare, non ritenne opportu-
no estendere tale approccio agli altri ambiti della matematica, e se-
gnatamente alla geometria. Per Hilbert, a ogni teorema di geometria
(T) è associato un insieme di assiomi (A), tale che la dimostrazione
del teorema può ridursi all’esplicitazione di A, come se avessimo a
che fare con un condizionale materiale: A→T.
112 teodosio orlando

Le concezioni della matematica fin qui delineate, per quanto pos-


sano sembrare in contrasto con molte tendenze di tipo trascenden-
talista, trovarono numerosi adepti e sostenitori; anche un autorevole
esponente del neokantismo, come Ernst Cassirer, cercò di adattar-
le alla filosofia kantiana. Secondo Cassirer, Hilbert aveva mostrato
come la matematica avesse un significato puramente formale e ideale,
non sensibile e quindi non intuitivo9. Come per Husserl (almeno lo
Husserl del periodo di Göttingen, collega di Hilbert stesso), la mate-
matica pura descrive strutture relazionali astratte, i cui concetti non
possono in nessuna maniera venire considerati frutto di quello che
Cassirer chiama «astrazionismo», ossia una concezione che apra la
strada a un tipo di astrazione definito dalle strutture trascendentali
del soggetto conoscitivo: questa conclusione la si può raggiungere
confrontando le procedure hilbertiane con le definizioni di Euclide.
Queste ultime prendono i concetti di punto e linea, da cui procedono,
come oggetti immediatamente dati dell’intuizione, la quale conferisce
ad essi un carattere permanente e immutabile; per Hilbert, invece,
gli oggetti geometrici hanno una sussistenza permanente garantita
unicamente dalle condizioni formali a cui sottostanno. L’unica forma
di obiettività è quella che scaturisce dalla pura teoria formale delle
relazioni, che sovrasta ogni forma di esperienza. Tesi che trova un
importante precedente scientifico, in pieno positivismo, nelle teorie
di Hermann von Helmholtz, per il quale le strutture fondamentali
della nostra conoscenza sono costituite da relazioni formali di segni
(Zeichen) e non da raffigurazioni intuitive o copie (Abbilder) degli
oggetti. Nel caso delle raffigurazioni intuitive si richiede una qual-
che relazione di somiglianza con l’oggetto raffigurato, che però può
facilmente diventare il bersaglio delle critiche scettiche. Viceversa, i
segni formali non richiedono una somiglianza tra gli elementi rap-
presentanti e quelli rappresentati, bensì soltanto una corrispondenza
funzionale in un insieme di rapporti bilaterali. Quello che diventa de-
cisivo non è tanto il carattere intrinseco degli oggetti designati quan-
to piuttosto l’insieme delle relazioni oggettive che essi intrattengono
con altri oggetti simili.

9 Cfr. in proposito Friedman 2000, pp. 94-95; trad. it. pp. 118-119. Cfr. anche Cassirer

1910, pp. 122-123; trad. it. p. 129.


postfazione 113

3. Ancora sul rapporto di Frege con Hilbert sull’epistemologia


della matematica

Il matematico Karl Menger, autorevole membro del Wiener Kreis,


riteneva che la fondazione hilbertiana della geometria, da lui definita
metalogica, segnasse la vera novità, anche a livello epistemologico,
del suo tentativo. Secondo Menger, per ogni teoria matematica o lo-
gica bisogna preliminarmente stabilire come vengano designati i con-
cetti di base (intesi come segni) e come gli enunciati della teoria ven-
gano costruiti come serie segniche a partire dai segni fondamentali.
Nel caso della geometria euclidea, esposta nella sua forma assioma-
tica, i concetti-segni di base sono costituiti dai punti, dalle rette e dai
piani. Una relazione fondamentale è quella del «giacere in». Una re-
gola essenziale è quella per cui dovunque appaia il segno di un punto,
prima delle parole «giace in», dopo le stesse parole appare il segno di
una retta o di un piano. In secondo luogo, si trattava di stabilire quali
sono gli assiomi della teoria, ossia le serie di segni che corrispondono
a determinati enunciati: similmente al calcolo proposizionale, questi
cosiddetti assiomi sono da considerarsi semplicemente come formule
che vengono premesse all’intero sviluppo della teoria. In terzo luogo
occorre stabilire le regole della teoria in grado di generare nuove
formule (ad esempio le regole del calcolo), al fine di derivare dalle
serie di segni coincidenti con gli enunciati della teoria nuove serie di
segni a cui corrisponderanno, proporzionalmente, nuovi enunciati
della teoria stessa.
I risultati decisivi saranno due: 1) la teoria sarà ridotta a un cal-
colo (riprendendo un’idea della tradizione dell’algebra della logica,
da Boole a Schröder fino a Peirce); 2) la teoria di questo calcolo sarà
denominata metateoria e si concentrerà sull’analisi delle proposizioni
della teoria originaria, esaminando come ciascuna di esse si connetta
con le altre e come possano generare nuove proposizioni; in questo
contesto, diventerà più semplice stabilire quali proposizioni possano
essere dimostrate o confutate partendo dagli assiomi. Rispetto alla
tradizionale geometria euclidea il vantaggio teorico non è immedia-
tamente intellegibile, ma potrà essere chiarito con un esempio: nella
geometria euclidea classica (o meglio, nella sua assiomatica, vale a
dire sulla base delle regole derivate dagli assiomi e che permettono
di generare formule), ci si limita a dimostrare che la somma degli
114 teodosio orlando

angoli interni di ogni triangolo equivale a 180 gradi; nella metateo-


ria geometrica hilbertiana si evidenzia quali assiomi euclidei specifici
siano indispensabili per la derivazione di questo teorema. Viene così
in luce, da un punto di vista metageometrico, che l’assioma delle
parallele in questo contesto è indipendente dagli altri assiomi. La
metateoria dovrà poi stabilire l’assenza di contraddittorietà (Wider-
spruchsfreiheit) della teoria di base, ossia che in essa non si verifichi
la circostanza che possa essere dimostrabile contemporaneamente sia
un teorema, sia il suo contrario.
Toth, nonostante una certa diffidenza verso il neopositivismo lo-
gico, tiene ben conto di queste affermazioni di Menger, soprattutto
allorché quest’ultimo scrive: «Attraverso riflessioni di carattere meta-
geometrico […] si può dimostrare che se la geometria euclidea è libera
da contraddizioni, allora lo è anche la geometria non euclidea»10. Ma
Hilbert pensava, o si illudeva, di estendere questo procedimento all’am-
bito dell’intera matematica, ipotizzando una metamatematica che fosse
in grado di provare l’assenza di contraddizioni di ogni teoria mate-
matica di base. In questo modo, non solo la matematica sarebbe stata
liberata dalla crisi in cui era incappata a causa del paradosso di Russell,
ma sarebbe stata per sempre esente dal rischio di nuove crisi, perché lo
avrebbe garantito il suo carattere assolutamente non contraddittorio.
I metodi metalogici di Hilbert furono senza dubbio decisivi per
ulteriori progressi nel campo della filosofia della matematica. Furo-
no proprio le geometrie non euclidee le prime a riceverne benefici,
nella misura in cui accanto alla geometria euclidea assunsero piena
legittimità anche altre geometrie ciascuna delle quali rappresenta un
sistema chiuso in sé stesso e perfettamente coerente. Così anche in
logica fiorirono numerosi sistemi ognuno dei quali divergeva dagli
altri, ma costituiva comunque un sistema in sé chiuso e coerente.
Un esempio di ciò potrebbe essere fornito dalla logica a più valori
(mehrwertig, many-valued) sviluppata da Jan Łukasiewicz e da Emil
L. Post. Mentre nella logica tradizionale e in quella classica, ossia
in quelle di Aristotele e di Frege-Russell, tutti gli enunciati vengono
divisi in due classi, quella degli enunciati veri e quella degli enunciati
falsi, in modo tale che un enunciato o appartiene all’una o all’altra
classe (sulla base del principio del terzo escluso e del principio di

10 Cfr. Die neue Logik, in Stöltzner-Uebel 2006, p. 498.


postfazione 115

bivalenza), nella logica polivalente gli enunciati vengono ricondotti a


tre classi, cosicché vale una sorta di principio del «quarto» escluso.
Ne consegue che gli enunciati vengono ripartiti in (1) sicuramente
veri; (2) sicuramente falsi; (3) indecidibili. Ma il processo può essere
spinto all’infinito. Si supponga infatti per un qualsiasi numero n che
ci sia una logica a n valori, tale che in essa gli enunciati vengano di-
visi in n classi, e tale che contenga una sorta di principio dello (n+1)
escluso. In questo contesto, la logica classica varrebbe come una logi-
ca a due valori e a ognuna di queste logiche a n valori verrebbe asso-
ciata una matematica propria, la cui natura è ancora tutta da deter-
minare. Menger conclude osservando che una simile ipotesi avrebbe
fatto fatica ad affermarsi, se persino un ingegno lungimirante come
quello di Poincaré tendeva ad escluderla. Ovviamente, il programma
mirante a provare la non-contraddittorietà della totalità delle teorie
matematiche ricorrendo a una sola di esse finì con il rivelarsi impossi-
bile, a causa dei risultati a cui pervenne Kurt Gödel con i suoi celebri
teoremi11. Il nostro intento è tuttavia ora quello di ritornare a vedere
come questi temi siano stati sviluppati da Frege in solo apparente
antagonismo con le riflessioni hilbertiane che abbiamo esposto.
Frege ritiene che Hilbert sopravvaluti l’importanza delle dimo-
strazioni di coerenza, e gli obietta che potremmo benissimo conside-
rare gli assiomi come una descrizione di ciò che li soddisfa rendendo
coerente il sistema. Inoltre, secondo il punto di vista fregeano, Hil-
bert non tiene conto della distinzione tra concetti di primo e di secon-
do grado (Stufe), connessa alla sua logica predicativa. Se prendiamo
un assioma euclideo come il seguente: «esistono almeno due punti

11 Ossia il teorema di completezza, dimostrato nel 1929, che stabilisce una corrispon-

denza tra verità semantica e dimostrabilità logica nella logica del primo ordine; e il più
celebre teorema di incompletezza, da lui reso noto nel 1931. Questo teorema considera
un sistema formale assiomatico T tale che sia coerente e capace di far derivare da esso
l’aritmetica ricorsiva. Ora, nel linguaggio di T esistono proposizioni indecidibili tali che né
esse né le loro negazioni sono dimostrabili rimanendo all’interno di T stesso. Ne consegue
che il sistema assiomatico viene detto sintatticamente incompleto. Gödel (1931) ha dimo-
strato che quest’incompletezza è, per così dire, connaturata al sistema assiomatico: anche
se ampliassimo l’insieme degli assiomi del sistema incompleto, in modo che tra gli assiomi
figuri la proposizione indecidibile, il sistema rimarrebbe incompleto. Ne consegue che nel
sistema T non è dimostrabile la stessa proposizione che asserisce la coerenza del sistema
medesimo; ossia, la coerenza di T non è dimostrabile con mezzi formali appartenenti a T,
come esigevano le cosiddette dimostrazioni finitiste di Hilbert, che però a questo punto
sembrano destinate a fallire.
116 teodosio orlando

che giacciono su una retta», e accettiamo il concetto di definizione


implicita, ne scaturisce che gli assiomi sembrano definire implicita-
mente le nozioni primitive che qui compaiono. Sembrerebbe quindi
che l’esistenza stessa di questi punti sia stabilita per definizione, in
modo analitico (come l’esistenza di Dio nel cosiddetto argomento
ontologico di Anselmo d’Aosta). Ma in realtà l’assioma non attri-
buisce una proprietà di primo grado (o livello) agli oggetti «punti»,
bensì stabilisce una proprietà di secondo livello per il concetto «esse-
re un punto». Infatti, per Frege l’esistenza, così come l’universalità e
i numeri, è un concetto di secondo livello: i concetti di primo livello
si applicano agli oggetti, mentre i concetti di secondo livello, come i
quantificatori, a quelli di primo livello. Va osservato che un concetto
come quello di «zero», che esprime la non esistenza, è un concetto
di secondo livello che si applica con verità ad un concetto di primo
livello (per esempio «smilodonte vivente») se e solo se non ci sono
oggetti a cui tale concetto di primo livello si applica veridicamente.
Per certi versi Frege comprende benissimo la portata dell’impresa
di Hilbert, pur criticandone alcuni risultati: gli assiomi hilbertiani, in
quanto esprimono proprietà di secondo livello degli elementi primiti-
vi che compaiono in essi, non si riferiscono a oggetti, ma a concetti,
come Frege ha affermato nei saggi Funzione e concetto e Concetto
e oggetto12. Ma dato che niente garantisce l’esistenza di un solo in-
sieme di concetti che possa soddisfare i requisiti di un dato sistema
assiomatico, ne deriva che questo sistema potrà descrivere diversi
ambiti concettuali, ad esempio varie geometrie in ciascuna delle quali
ci sarà un diverso concetto (di primo livello) di punto. Alla fine, per
quanto Frege l’abbia apparentemente sottovalutato, il metodo hil-
bertiano si rivelerà fecondissimo, in quanto permetterà una grande
libertà nella costruzione delle teorie matematiche che verranno svin-
colate da anguste considerazioni di carattere ontologico. Si aprirà
così la strada verso lo studio metamatematico dei sistemi formali.
Tornando a Frege, possiamo notare come la sua distanza dalla pro-
spettiva di Hilbert sia per certi versi notevole, ma questo non deve

12 In Funzione e concetto, ad esempio, Frege rimanda ai Fondamenti dell’aritmetica

(1884), dove alla fine del § 53 parla «di “secondo ordine” al posto di “secondo livello”.
La prova ontologica dell’esistenza di Dio soffre per l’errore di trattare l’esistenza come un
concetto di primo livello» (Frege 1891, p. 27; rist. in Frege 19902, p. 140; trad. it. p. 23
[modificata]).
postfazione 117

portarci a sottovalutare il suo intento di rifondare la geometria su basi


simili a quelle della logica, ossia assiomatizzandola. Semmai, la diffe-
renza tra i due grandi matematici consiste nel fatto che per Frege l’as-
siomatizzazione della logica, che prima di lui non era mai stata tentata
in modo sistematico – se si eccettuano le intuizioni di Gottfried W.
Leibniz (2008) e i tentativi di George Boole (1847) –, è del tutto prio-
ritaria rispetto a quella della geometria e della matematica in generale.
Questo intento fu chiaro fin dal 1879, quando egli nella Begriffsschrift,
nel capitolo intitolato «Esposizione e derivazione di alcuni giudizi del
pensiero puro», sostenne che fosse possibile isolare un piccolo nucleo
di leggi logiche tali che potenzialmente implicassero l’insieme di tutte
le altre leggi (cfr. Kenny 2003; trad. it. pp. 43 sgg.). Propose così un
sistema con nove assiomi fondamentali, dei quali i primi tre si servono
di variabili letterali e dell’operatore di implicazione; i successivi tre ag-
giungono il segno di negazione; altri due comprendono anche un sim-
bolo che permette di stabilire l’identità dei contenuti proposizionali;
l’ultimo contiene un segno che permette di generalizzare, ossia quello
che oggi si chiama il quantificatore universale. Dopo questi assiomi
seguono le proposizioni vere e proprie (diremmo forse meglio: i teore-
mi), che vengono rappresentate con variabili proposizionali, ossia con
lettere che stanno al posto di interi enunciati.
La condizione perché un sistema assiomatico consenta di derivare
teoremi a partire dagli assiomi è che esso contenga sia gli assiomi
stessi, sia un gruppo di regole di inferenza che permettano di deriva-
re una formula da un’altra. Ad esempio, prendendo uno dei classici
modi di inferenza, ossia il modus ponens, già presente nella logica
degli Stoici (se p, allora q, ma p, allora q), Frege pensa che si possano
dimostrare tutte le leggi della logica utilizzando questo modo come
unica regola inferenziale. Tutti gli altri modi inferenziali verranno
giustificati o tramite determinati assiomi o sulla scorta di teoremi che
si dimostreranno a partire da essi.
A queste tesi Frege rimarrà costantemente fedele, come si può ad
esempio notare in uno scritto del 1914, Logik in der Mathematik,
dove sostiene che la matematica è la scienza più vicina alla logica se
la si confronta con tutte le altre, dato che la sua intera attività consi-
ste nel trarre inferenze. Per Frege, oltre al trarre inferenze (schliessen),
l’attività del matematico consiste nell’elaborare definizioni: entrambe
le attività sono subordinate alle leggi della logica. Ma esistono alcune
118 teodosio orlando

attività matematiche che non sottostanno alle leggi logiche, come ad


esempio – dice Frege – il principio di induzione applicato alla disu-
guaglianza di Bernoulli (il passaggio da n a n+1), che comunque si
può subordinare a una legge di questo tipo:

Se il numero 1 possiede la proprietà Φ, e se, in generale, per ogni numero


intero positivo n vale il fatto che, se esso ha la proprietà Φ, anche n+1 ha la
proprietà Φ, allora ogni numero intero positivo ha la proprietà Φ (Frege 1914,
in Frege 19832, p. 219; trad. it. p. 334)13.

Per Frege questa legge può essere annoverata tra i teoremi qualora
sia possibile dimostrarla; altrimenti farà parte degli assiomi. Infatti,
secondo il logico tedesco in questo contesto non è tanto importante
che si abbia a che fare con una legge logica, quanto con una legge
generale da cui si possano trarre conclusioni riconducibili comunque
alle leggi logiche. Per lui infatti si possono distinguere due tipi di in-
ferenze: quelle che muovono da due premesse e quelle che muovono
da una sola premessa. In matematica si procede in modo da scegliere
una o due verità riconosciute come premesse di un ragionamento.
La proposizione così ottenuta in quanto teorema diventa una nuova
verità della matematica e può essere usata o da sola o collegata con
un’altra verità in modo da formare un ulteriore ragionamento.
Sarebbe così possibile chiamare teorema ogni verità così ottenuta.
In effetti, abitualmente una verità del genere viene chiamata teorema e
viene utilizzata come premessa per molti altri ragionamenti, soprattut-
to se si vuole dare alla scienza una veste sistematica, formandosi così
le catene inferenziali che legano tra di loro le verità. In questo contesto
Frege riprende tesi correnti nella cultura del positivismo anglo-tedesco,
del razionalismo austriaco e del realismo logico, da Bolzano a Mill,
da Sigwart a Husserl. E tanto più la scienza progredisce, tanto più le
catene inferenziali diventano lunghe, sviluppandosi poi da esse molte-
plicità di teoremi sempre più numerose. Ma il procedimento può essere
anche regressivo, se si vuole ricostruire da un punto di vista filosofico
l’edificio di una scienza. Infatti, per ogni teorema si può risalire alle
verità a partire dalle quali lo abbiamo dimostrato. In questo caso, anzi-
ché un aumento delle verità avremmo una loro riduzione, come aveva

13 Cfr. anche Frege 1971, p. 93; trad. it. p. 334. Per molti versi, questo principio coin-

cide con il quinto assioma di Peano.


postfazione 119

già accennato Pappo di Alessandria14. Infatti, mentre la possibilità di


andare avanti per costruire sempre nuovi teoremi è apparentemente
infinita, il procedimento regressivo deve avere una fine, in quanto con-
duce a verità che non possono a loro volta venir desunte da altre, come
aveva già chiarito Aristotele negli Analitici secondi15.
Le catene inferenziali compongono la dimostrazione del teorema.
Detto in altri termini, si può sostenere che, per Frege, la dimostrazione,
muovendo da verità riconosciute, conduce al teorema per mezzo di
catene inferenziali. Ma la dimostrazione potrebbe anche essere com-
posta da una sola inferenza e non da una catena: in questo caso, la
certezza della dimostrazione è garantita da altri teoremi che l’assioma-
tica tradizionale chiamava lemmi. Ma nella maggior parte dei casi la
dimostrazione procederà per mezzo di verità che non vengono chiama-
te teoremi soltanto per il fatto che figurano in un dato procedimento
dimostrativo ma non vengono adoperate altrove. Del resto, la dimo-
strazione non deve soltanto persuaderci della verità di ciò che viene
dimostrato, ma anche della connessione logica delle verità tra di loro.
Se si insiste più sul tema della verità si accentua il lato logico-
semantico, se invece su quello della connessione logica si sottolinea
la dimensione sintattica. Tuttavia, per Frege, la logica non è essen-
zialmente connessa con la sintassi in alcun modo, a differenza di quel
che accade in Hilbert. La logica non riguarda in prima istanza la
forma degli enunciati o altri fattori linguistici. Le inferenze logiche
e i princìpi che le governano hanno come contenuto essenzialmente
quelli che Frege chiama i pensieri (Gedanken), ossia, come avevamo
rilevato e come infra spiegheremo meglio, i sensi delle proposizioni.

14 Cfr. Cellucci 1998, pp. 292-299. A Pappo si deve anche la prima teorizzazione espli-

cita della differenza tra procedimento sintetico e analitico, in margine a un commento al


XIII libro degli Elementi di Euclide: «L’Analisi è l’assunzione di ciò che è cercato come se
fosse ammesso [ed il procedere] attraverso le sue conseguenze fino a qualcosa di ammesso
come vero. Sintesi invece è l’assunzione di ciò che è ammesso [ed il procedere] attraverso
le sue conseguenze fino all’attingimento di ciò che è cercato».
15 «Ora, è chiaro che per noi è necessario conoscere le cose prime per induzione: ed

infatti è in questo modo che la sensazione produce in “noi” l’universale. E poiché, tra gli
abiti relativi al pensiero con i quali diciamo il vero, gli uni sono sempre veri, gli altri accol-
gono il falso (per esempio, l’opinione e il ragionamento; invece la scienza e l’intellezione
sono sempre “vere”), e nessun altro genere di conoscenza è più esatto dell’intellezione, ed i
princìpi sono più noti delle dimostrazioni, ed ogni scienza s’accompagna a ragionamento,
ne consegue che dei princìpi non vi può essere scienza» (Aristotele 1996, libro II, cap. 19,
100b 7-11, p. 111 [trad. modificata]).
120 teodosio orlando

In un passo della sua recensione a Hilbert, a proposito del modo


di dimostrare l’indipendenza di una data asserzione matematica ri-
spetto a un’altra, Frege sostiene che esso «si potrebbe chiamare
un’emanazione della natura formale delle leggi logiche». Ma qui il
termine «formale» non vuol dire puramente sintattico o scisso dai
contenuti. In fondo, gli enunciati della matematica sono soltanto
un mezzo contingente per esprimere i pensieri, i quali a loro volta
rimandano ai princìpi fondamentali assiomatici della logica. Nella
Begriffsschrift c’è sicuramente un complesso sistema di derivazione
sintattica, ma dentro tale sistema non c’è nessuna giustificazione logi-
ca ed epistemologica di questa derivazione: tale giustificazione viene
ottenuta mediante i princìpi logici fondamentali che legano i pensieri
nelle catene di inferenze e per mezzo delle scelte contingenti che il
soggetto compie per connettere enunciati di un certo tipo a pensieri
di un altro tipo. Come Frege afferma:

Ci si potrebbe appellare alla natura formale delle leggi della logica, secondo
le quali, nella misura in cui è coinvolta la logica stessa, ogni oggetto può essere
assunto a scapito di qualsiasi altro e ogni concetto di primo livello può pren-
dere il posto di ogni altro o può essere sostituito da quest’ultimo. Ma questa
conclusione sarebbe troppo affrettata, giacché la logica non è formale senza
restrizioni, come qui viene presupposto. Se lo fosse, allora sarebbe priva di
contenuti. Proprio come il concetto di punto appartiene alla geometria, così la
logica ha pure i suoi concetti e relazioni; ed è solo in virtù di essi che può avere
un contenuto. Nei confronti di ciò che le è proprio, la sua relazione non è affat-
to formale. Nessuna scienza è completamente formale; ma anche la meccanica
gravitazionale è formale fino a un certo grado, nella misura in cui le proprietà
ottiche e chimiche sono indifferenti in rapporto ad essa. Anzi, in quanto ce ne
occupiamo, i corpi con masse differenti non sono mutuamente sostituibili; ma
nella meccanica gravitazionale la differenza dei corpi rispetto alle loro pro-
prietà chimiche non costituisce un impedimento alla loro mutua sostituzione.
Alla logica, ad esempio, appartengono i seguenti concetti: negazione, identità,
sussunzione, subordinazione di concetti. E qui la logica non tollera sostituzioni
(Frege 1906a, pp. 427-428; rist. in Frege 19902, pp. 321-322 [trad. nostra]).

Prima ancora, Frege aveva rilevato che in un’inferenza noi pos-


siamo sostituire il nome «Carlomagno» con il nome «Sahara» e il
concetto di «re» con il concetto di «deserto», nella misura in cui que-
ste sostituzioni non alterino la verità delle premesse. Ma non si può
sostituire la relazione di identità con una relazione geometrica – ad
es. il fatto che il punto giaccia su un piano non può essere sostituito
postfazione 121

da F (x) = G (x). Infatti, l’identità è un tipo di relazione per la quale


valgono delle leggi logiche che, come abbiamo visto, non possono
essere annoverate tra le premesse. Per Frege, la logica può condurre
a sapere solo quanto occorre nelle premesse riguardo a ciò che le è
estraneo. Ma rispetto a ciò che le è proprio, essa può conoscere tutto.

4. Il quadro concettuale dello scritto Logica nella matematica

Sintetizzando le conclusioni a cui Frege perviene, potremmo così


delineare il quadro concettuale che egli traccia in Logik in der Ma-
thematik (1914).
1) Innanzitutto è affrontato il concetto di dimostrazione, costi-
tuito dalle catene inferenziali che conducono ai teoremi; la dimo-
strazione non deve soltanto convincerci della verità di ciò che viene
dimostrato, ma deve anche mettere in luce la connessione logica delle
verità l’una rispetto all’altra.
2) In secondo luogo abbiamo il concetto di verità prima
(Urwahrheit), ossia di verità non ulteriormente dimostrabile. Ma la
scienza dovrebbe cercare di restringere questo ambito di verità indi-
mostrabili finché le è possibile. Per Frege, entro queste verità è rac-
chiusa l’intera matematica, come se fosse contenuta in una cellula.
Egli poi sottolinea l’importanza di distinguere la verità di immagini e
rappresentazioni, che può essere ridotta alla corrispondenza e all’a-
daequatio rei et intellectus, dalla verità di proposizioni e pensieri, che
necessita di un altro tipo di fondazione.
3) Abbiamo poi il concetto di sistema, ossia di connessione orga-
nica di tutte le verità, che era poi l’ideale di Euclide. Secondo Frege,
questo ideale è ormai remoto, perché ogni matematico lavora a una
parte della disciplina senza congiungerla con altre in un sistema orga-
nico. Eppure è proprio l’ideale del sistema e lo sforzo per realizzarlo
ciò che rende la matematica un modello di scientificità. Per il logico
tedesco, il fatto che negli ultimi tempi sia prevalsa l’incoerenza e la
mancanza di connessione tra le varie branche della disciplina non è
un fenomeno positivo. Per lui (e in questo senza dubbio i rilievi critici
di Toth appaiono fondati), l’ideale del sistema corrisponde alla realiz-
zazione dell’ordine matematico e scientifico in generale: «Nur durch
das System kann Ordnung geschaffen werden» («l’ordine può essere
122 teodosio orlando

realizzato solo attraverso il sistema»). Ma a differenza di quanto pensa


Toth, non è qui del tutto assente la prospettiva del soggetto trascen-
dentale. Infatti, Frege sottolinea che per edificare il sistema è necessario
che la coscienza accompagni progressivamente tutti i passi inferenziali.
Chi esegue un’inferenza deve non solo sapere quali sono le premesse,
ma deve anche evitare di confonderle con le leggi puramente logiche;
infatti la purezza logica del ragionamento andrebbe perduta e le stesse
premesse, mescolate confusamente con le leggi, non sarebbero distin-
guibili come tali. Ma il mancato riconoscimento delle premesse rischia
di impedire il raggiungimento delle Urwahrheiten, senza di cui non si
può costruire il sistema. In matematica, non ci si può sentire rassicurati
per il fatto che qualcosa sia evidente o che ci si senta convinti da un
ragionamento superficiale. In realtà, il matematico deve raggiungere,
come il filosofo, una chiara comprensione (Einsicht) che gli permetta
di districare la ragnatela dei ragionamenti. Da questo punto di vista,
Frege inclina verso una prospettiva cartesiana.
4) Abbiamo in seguito il concetto di assioma, come ci è stato con-
segnato dalla tradizione matematica. Gli assiomi sono verità come
i teoremi, ma tali che né vengono provati all’interno di un sistema,
né hanno bisogno di una prova. Ne consegue che, per Frege, ogni
discorso su possibili assiomi falsi è assurdo, ma è altresì contrad-
dittorio ipotizzare l’esistenza di assiomi dubbi. Infatti, un pensiero
dubbio o è errato e quindi non è un assioma, o è vero, ma ha bisogno
di una dimostrazione, e quindi non è comunque un assioma, anche
se talora gli assiomi possono diventare teoremi, come ha osservato
Wolfgang Künne (2010, p. 151). Certo, non ogni verità che non ri-
chiede la prova è un assioma, in quanto potrebbe essere comunque
dimostrata, almeno in un determinato sistema. Che una verità sia un
assioma, può dipendere anche dal sistema stesso.
La prospettiva di Frege qui appare più sfumata rispetto all’asso-
lutismo logico che gli attribuisce Toth. Per il logico tedesco è possi-
bile che una verità sia un assioma in un sistema mentre in un altro
non lo sia. Esemplificando: è concepibile che vi siano una verità A e
una verità B, di cui ognuna può essere dimostrata partendo dall’al-
tra in connessione con le verità C, D, E, F. Queste ultime però, con-
siderate isolatamente, non bastano né per la dimostrazione di A, né
per quella di B. Abbiamo per Frege una scelta: o assumiamo A, C,
D, E, F come assiomi e B come teorema; oppure assumiamo B, C,
postfazione 123

D, E, F come assiomi, mentre a fungere da teorema sarà A. Da que-


sto si vede che la possibilità di un sistema non richiede di escludere
quella di un altro, cosicché abbiamo la facoltà di scegliere tra diversi
sistemi. Anche il concetto di assioma viene relativizzato in rapporto
a un determinato sistema.
Come ha osservato Gottfried Gabriel nella sua Einleitung agli
scritti postumi di logica (Frege 1971, pp. XI-XXVII), Frege qui rap-
presenta la relatività degli assiomi di una teoria rispetto a tutto il
sistema, nel senso che, ad esempio, una proposizione che in un si-
stema rivendica il ruolo di assioma, in un altro invece si presenta
come proposizione derivata. Frege sembra non condividere, almeno
in questo caso, la tesi classica sulla natura degli assiomi, che si può
riscontrare in Aristotele, Pascal e Husserl. Secondo questo punto di
vista, un assioma si distingue da altre proposizioni per il fatto che esi-
bisce un grado massimo di evidenza immediata, fondata sulla natura
delle cose a cui si riferisce (ad es. sulla natura delle relazioni spaziali).
In questo Frege si oppone anche a Kant, il quale condivide la conce-
zione classica sulla natura degli assiomi, sottolineando che le propo-
sizioni matematiche si riferiscono alla costruzione dei concetti basata
sull’intuizione a priori e che gli assiomi corrispondono alle costruzio-
ni più semplici e fondamentali. Frege tuttavia sembra più vicino alla
posizione di Leibniz, per il quale i cosiddetti assiomi non hanno una
posizione privilegiata, che possa venir loro attribuita attraverso la ri-
cognizione della natura delle cose. Secondo Leibniz, bisogna provare
anche gli assiomi riducendoli al principio di identità. Ne risulta che
ogni dimostrazione è, in fondo, un’applicazione del principio di iden-
tità (Leibniz 1875, p. 156). Se Frege realmente appoggia la posizione
di Leibniz sulla questione della natura degli assiomi, è chiaro che
risulta problematico come egli sia riuscito a conciliare tale tesi con
la postulazione di una fonte di conoscenza geometrica (geometrische
Erkenntnisquelle) che si avvicina notevolmente alle teorie kantiane
dell’intuizione a priori.
5) Il concetto di proposizione (Satz, talora assimilato a quello di
teorema) e il concetto di pensiero (Gedanke). Con l’espressione «pro-
posizione» Frege designa un segno composto, indipendentemente dal
fatto se le parti componenti siano suoni o caratteri. A ogni segno è
associato un senso (Sinn). Le proposizioni che ritiene rilevanti per
la logica sono soltanto quelle che Aristotele chiamava apofantiche,
124 teodosio orlando

ossia che enunciano o asseriscono uno stato di cose. Anche nel caso
di una traduzione da una lingua a un’altra, una proposizione può
cambiare le parti che la compongono, ma ciò che viene preservato
è il senso. Ogni proposizione conserva il suo valore di verità grazie
al senso che noi siamo in grado di afferrare quando la valutiamo e
che riconosciamo come identico anche in una traduzione. Il senso di
una proposizione è ciò che Frege chiama «il pensiero» (der Gedan-
ke), che si mantiene invariato anche in una traduzione. Al momento
di effettuare una dimostrazione, noi non la conduciamo tanto sulle
proposizioni quanto sui pensieri. Quando in matematica si dimostra
un teorema (in tedesco Lehrsatz), di solito si pone l’accento sull’e-
spressione Satz: ma per Frege, ciò comporta che non si distingua
abbastanza tra l’espressione verbale o segnica e il relativo pensiero.
Tuttavia, per lui la distinzione è importante nella misura in cui il
pensiero non è percepibile con i sensi, benché in ogni proposizione gli
accordiamo una specie di rappresentante sensibile, che sia attraverso
la vista o l’udito. Da ciò si spiega anche la scelta di Frege di ricorrere
ai termini greci Theorem al posto di Lehrsatz o Axiom al posto di
Grundsatz. Il pensiero è assolutamente anti-soggettivo, come Frege
aveva dimostrato nelle Grundlagen der Arithmetik, in quella critica
dello psicologismo per molti versi ripresa da Husserl nei Prolegomeni
a una logica pura. La verità del teorema di Pitagora è indipendente
dal fatto che venga o no pensato da questo o da quell’uomo. Secondo
Frege, quando pensiamo non produciamo i pensieri, ma li afferriamo
come se esistessero da sempre. Egli attacca la concezione psicologi-
ca delle leggi logiche, arrivando a contestare la stessa espressione
«leggi del pensiero» (Gesetze des Denkens) per caratterizzare le leggi
prescrittive o descrittive della logica pura, che pure aveva lui stesso
adoperato nella Begriffsschrift.
6) Il concetto di postulato: i postulati sembrano differire dagli
assiomi, perché si fondano su costruzioni empiriche (ad es. il postu-
lato di Euclide che dice: «si richieda di tracciare una linea retta da un
punto verso ogni altro punto»). In realtà per Frege i postulati sono
verità come gli assiomi e differiscono da questi ultimi solo per il fatto
che racchiudono alcune proprietà degli oggetti su cui vertono. Per
altri versi i postulati sembrano rimandare all’idea kantiana per cui la
geometria procede per costruzione di concetti: i postulati produco-
no le attività più elementari che consentono tutte le costruzioni dei
postfazione 125

concetti e fondano la loro stessa possibilità. Frege avverte che il suo


costruttivismo non è qualcosa di minimale che permetterebbe soltan-
to la soluzione di problemi, ma è un approccio globale al problema
della giustificazione delle dimostrazioni. Infatti, per ogni dimostra-
zione geometrica sono richiesti quelli che egli chiama oggetti ausiliari
(Hilfsgegenstände), ad es. una linea ausiliaria o un numero ausilia-
rio. Un oggetto ausiliario è nient’altro che un oggetto che non viene
descritto per le sue proprietà nella dimostrazione di un teorema, ma
che viene comunque utilizzato, in modo tale che la dimostrazione
sarebbe condannata all’insuccesso se tale oggetto non fosse presente.
Nel caso della sua assenza dobbiamo «fabbricarne» uno, cosa che
richiede la presenza di un postulato. Ovviamente le linee e i punti di
cui Frege qui parla non vanno intesi come linee concrete tracciate
su carta o su un altro materiale. Si tratta di linee immaginarie o per
meglio dire immaginate: è ovvio che nessuno potrà ragionevolmente
pretendere che venga tracciata mai una linea reale tra due astri di-
stanti anni luce, come Sirio e Rigel. Ma questo vale per ogni linea che
venga tracciata, perché in ogni caso va esclusa ogni considerazione
soggettiva e psicologica. La verità di un teorema non può essere di-
pendente dall’attività di un essere umano. Quando tracciamo una
linea retta portiamo comunque nella nostra coscienza ciò che esiste
senza di noi. Secondo Frege:

se dunque l’essere vero è indipendente dal fatto di essere riconosciuto da


qualcuno, allora anche le leggi dell’esser vero non sono leggi psicologiche, ben-
sì pietre di confine fissate su un terreno eterno, che può essere inondato dal
nostro pensiero, ma non spostato. E poiché sono tali, esse sono normative per
il nostro pensiero, se esso vuole raggiungere la verità (Frege 1893, p. XVI; trad.
it. 1995, p. 14 [modificata]).

In conclusione, per Frege i postulati non differiscono dagli assio-


mi in modo essenziale, al punto che possono essere considerati solo
come una varietà particolare dei primi.
7) Nell’introdurre il concetto di definizione Frege si preoccupa
di distinguerlo nettamente da quello di spiegazione o delucidazione
(Erläuterung). Infatti, bisogna partire dal presupposto che le paro-
le usate nel linguaggio ordinario non sono adatte per fini scienti-
fici, a causa della loro strutturale ambiguità e delle oscillazioni a
cui è sottoposto il loro significato. La scienza ha quindi bisogno di
126 teodosio orlando

espressioni artificiali, che abbiano significati fissati e determinati; per


intendersi su tali significati ed evitare possibili fraintendimenti sa-
ranno necessarie le spiegazioni. Per chiarire meglio il suo concetto di
definizione, Frege ricorre ad alcune nozioni tratte dalla sua filosofia
del linguaggio: per lui, bisogna sempre cercare di sostituire a dei
segni complessi un segno unico più semplice. Una proposizione in-
fatti è un segno complesso a cui corrisponde un pensiero altrettanto
complesso. E alle parti del pensiero corrispondono in modo isomor-
fo le parti della proposizione. Ne consegue che un gruppo di segni
che ricorre in una proposizione ha un senso che è parte del pensiero
composto. Se ora introduciamo un segno semplice al posto di questo
gruppo di segni, otterremo una definizione. Il segno semplice pro-
durrà un senso che coincide con quello che aveva l’intero gruppo di
segni. Frege qui non si discosta molto dalle concezioni di Hilbert, in
quanto ritiene che introdurre segni più semplici non cambi molto
nella struttura dei significati della proposizione. Il segno semplice è
unicamente l’espressione che viene spiegata o delucidata e il gruppo
di segni l’espressione che spiega o delucida: il primo riceve il suo
significato attraverso il secondo e viene costruito sulla scorta delle
parti dell’espressione definitoria.
In conclusione, come ha efficacemente spiegato Carlo Penco
(2010), la filosofia della matematica di Frege ha sicuramente due
obiettivi polemici: da un lato essa può considerarsi una reazione con-
tro una tendenza particolarmente insidiosa del suo tempo, ossia la
logica delle scuole di stampo psicologistico (il cui massimo rappre-
sentante per Frege è il filosofo neokantiano Benno Erdmann), secon-
do le quali la logica si può ridurre allo studio delle leggi psicologiche
del pensiero. Dall’altra parte, il suo secondo obiettivo polemico è
costituito dalle teorie formalistiche, come quella di Carl Johannes
Thomae16 e del più famoso David Hilbert, le quali riducono i numeri
a segni numerici facendo della matematica quasi un gioco di segni.
Ma abbiamo appena cercato di mostrare che progressivamente Frege
si avvicinò sempre di più a questo approccio, contro cui pure aveva
polemizzato.

16 Cfr. Frege 1906b; rist. in Frege 19902, pp. 324-328.


postfazione 127

5. La polemica di Frege contro lo psicologismo

Va comunque rilevato che la teoria fondamentale fregeana rima-


se sempre quella che metteva capo a una concezione oggettiva degli
enti matematici e logici: essi sussistono in sé, insieme con le loro leggi,
indipendentemente dal soggetto conoscente, che sia trascendentale o
psicologico poco importa. Frege tenne sempre fede ad alcuni princìpi
delineati nelle Grundlagen der Arithmetik e che possiamo compendia-
re sotto tre titoli: 1) la separazione dell’elemento soggettivo da quello
oggettivo; 2) la spiegazione del significato di un’espressione nel conte-
sto di un enunciato (il cosiddetto principio del contesto, di cui quella
appena delineata è una sorta di variante semiformalistica); 3) la distin-
zione tra concetto e oggetto. Quest’ultimo principio, in particolare, è
connesso con l’ontologia e la semantica fregeane: concetto e oggetto
sono infatti entità che fungono da significati (o riferimenti, Bedeutun-
gen) per diversi tipi di espressioni linguistiche. Per lui la distinzione tra
concetto e oggetto è di enorme importanza, anche più di quella tra un
giudizio e il suo contenuto. I concetti sono essenzialmente qualcosa di
generale ed è per mezzo della loro generalità che differiscono dagli og-
getti presi come cose individuali (Einzeldinge). Come ha rilevato Wolf-
gang Carl (1994, pp. 63-64), se ciò che è generale è tale che qualcosa o
un’altra può cadere sotto di esso, concetti e oggetti stanno tra di loro in
una relazione asimmetrica, perché ciò che cade sotto un concetto non
può essere qualcosa sotto cui possa cadere un qualsiasi concetto, ossia
essere tale da sussumere concetti.
In particolare, Frege distingue le espressioni sature (gesättigt), os-
sia i nomi, e le espressioni insature (ungesättigt), ossia predicati e
funzioni. Un concetto è insaturo, ragione per cui non può esistere in-
dipendentemente. Questa distinzione permetterà poi di fondare una
«gerarchia dei livelli» che anticipa la stessa teoria dei tipi di Russell.
Infatti, usando questa gerarchia i numeri sono posti al livello più bas-
so della gerarchia ed equiparati agli oggetti. Più precisamente, Frege
li definisce come estensioni di concetti, ossia come oggetti veri e pro-
pri e non come proprietà o qualità degli oggetti. Quando formulia-
mo un’asserzione numerica, ossia quando ad esempio specifichiamo
quante cose vi siano di un certo tipo, in realtà enunciamo un’asser-
zione su un concetto (Frege 1884, § 46, p. 60; trad. it. pp. 281-282).
Ad esempio, nell’enunciato «gli apostoli sono 12» abbiamo a che
128 teodosio orlando

fare con il concetto di «apostoli» e affermiamo che il numero 12 cade


sotto il concetto di «apostoli». Il numero non sarà quindi una pro-
prietà degli oggetti, perché ovviamente non vi è nessun apostolo che
abbia come proprietà il 12. Il numero 12 diventa allora quell’oggetto
che coincide con l’estensione del concetto «apostoli», ma anche con
l’estensione di altri concetti: ad esempio dei concetti «mesi dell’anno
solare» o «segni dello zodiaco». Per usare la terminologia di Russell,
potremmo dire che i numeri sono classi di classi o insiemi di insiemi:
il 12 non è altro che la classe di tutte le dozzine.
Del resto una classe può essere considerata sotto diversi concetti:
ad esempio una classe di soldati forma un (1) esercito ma anche 400
plotoni. Usando la nozione matematica di corrispondenza biunivo-
ca, Frege stabilì che si può far corrispondere uno a uno gli oggetti
che cadono sotto un concetto agli oggetti che cadono sotto un al-
tro tipo di concetto. Si tratta della nozione di «equinumerosità» di
due concetti, per cui il numero spettante a un concetto F è definito
come l’estensione del concetto «equinumeroso a F» (Frege 1884, §
46). Notoriamente, il suo tentativo di assiomatizzazione somiglia a
quello che ancora più rigorosamente intraprese Peano. Frege infatti
definisce come concetti primitivi quelli di classe dei numeri natura-
li, di zero e di successore di un numero, ossia le stesse nozioni che
il matematico torinese aveva assunto nella sua assiomatizzazione
dell’aritmetica.
Venendo al «principio del contesto», Frege gli attribuisce tanta
importanza perché vuole evitare che definendo il significato di una
parola come un’immagine mentale (come aveva fatto John Locke)
si cada nello psicologismo. Infatti, le immagini mentali sono sogget-
tive e mutevoli, mentre ancorando il significato di un’espressione al
contesto in cui ricorre otterremo qualcosa di oggettivo. Un linguag-
gio oggettivo diventa per la logica uno strumento essenziale come
lo sono la vela e l’uso del vento per la navigazione rispetto ai remi,
con i quali si procede più lentamente. Il linguaggio non va inteso
come condizione dell’oggettività dei pensieri, ma solo come chiave
di accesso ad essi. Del resto, i pensieri, per il Frege degli ultimi anni,
particolarmente del già citato saggio del 1918 Der Gedanke, costitui-
scono una sorta di «terzo regno» accanto al mondo fisico e al mondo
psichico, meramente soggettivo. In questo caso si può legittimamente
parlare di platonismo (mentre Popper, che pure riprenderà questa
postfazione 129

tricotomia, parlerà di «terzo mondo» delle costruzioni culturali, in


senso quasi antiplatonico. Cfr. Popper 1972, p. 106; trad. it. p. 150).
Con la nozione di «terzo regno» Frege riprende e difende in modo
radicale il principio 1 che aveva definito nelle Grundlagen der Arith-
metik, anche se in quest’opera egli aveva criticato solo le forme su-
perficiali di empirismo e di formalismo. Anche il suo programma
logicista fu da lui difeso contro chi lo accusava di cripto-formalismo,
per cui la matematica si sarebbe ridotta a una serie di tautologie o
sillogismi. Oltre a Hilbert, un altro suo avversario fu Poincaré, che
preferiva il sintetico a priori di Kant come garanzia della scientificità
della matematica. Per Frege, invece, dai princìpi logici e dalle regole
logiche si può dedurre l’intero edificio della matematica; tuttavia la
conoscenza degli sviluppi che partono da pochi princìpi rappresenta
una nuova conoscenza rispetto ad essi, anche considerando analiti-
che a priori le proposizioni della matematica.
Cerchiamo ora di trarre alcune conclusioni. Il lavoro di Frege in
logica e in filosofia della matematica è stato sottoposto a critica da
parte di Toth sulla base, soprattutto, dell’idea che la sua concezione
assolutista della verità e la sua interpretazione dei fondamenti me-
tateorici della geometria non sarebbero compatibili con lo sviluppo
delle geometrie non-euclidee. In realtà, la tesi di Toth è giustificata
solo in parte, come abbiamo visto analizzando alcuni aspetti della
filosofia della matematica di Frege. Soprattutto, come hanno messo
in luce vari interpreti (da Blanchette a Dummett), la filosofia della
matematica di Frege non si configura come un edificio monolitico:
ad esempio, le verità delle geometria non sono implicate da quelle
della logica o dell’aritmetica; anzi, ancora più decisamente si può
sostenere che alcune di esse sono indipendenti dalle altre. Pertanto,
come scrive la Blanchette: «As he, and we, would put it: the truths of
Euclidean geometry are independent of the truths of logic, and some
of them are independent of one another» (Blanchette 2005, p. 29).
D’altra parte, nello specifico Toth ha perfettamente ragione a met-
tere in risalto i difetti e i limiti del programma fregeano, tanto più che
rispetto a quello di Hilbert Frege non riuscì a dimostrare pienamente la
coerenza, la consequenzialità logica e l’indipendenza degli assiomi dei
sistemi matematici, tanto meno di quelli della geometria. Per Hilbert,
le relazioni logiche tra gli assiomi geometrici sono indipendenti dai
contenuti particolari di questi assiomi: potremmo quindi soddisfare
130 teodosio orlando

queste relazioni sia con concetti geometrici, sia con concetti numerici.
Per Frege, invece, dato che le relazioni logiche tra gli assiomi dipendo-
no dalle relazioni tra i concetti e gli oggetti menzionati negli assiomi
stessi, non sarà mai possibile dimostrare la coerenza degli assiomi geo-
metrici dimostrando che concetti non geometrici possano soddisfare le
condizioni iniziali, secondo quanto invece pensava Hilbert.

6. Interpretazioni della filosofia fregeana della matematica: Dum-


mett e Künne

Il tentativo più convincente di recuperare le tesi di Frege è stato in


realtà compiuto da Dummett (1991), per il quale la coerenza di una
teoria richiede una dimostrazione che implica l’esistenza di un
modello di essa; solo costruendo un modello semantico è possibile
provarne la coerenza. Ma non è questa la sede per soffermarsi su
questi ulteriori sviluppi. Analizzeremo invece alcuni problemi relativi
alla filosofia della logica di Frege, intesa anche come logica filosofica,
in rapporto soprattutto alla concezione di verità. Di recente su questi
temi ha scritto due libri illuminanti Wolfgang Künne (2003; 2010).
Il secondo libro, a cui ci rifaremo, si propone come un’introduzio-
ne alla logica filosofica di Frege attraverso il commento di alcuni
testi cruciali, ossia l’Introduzione al I volume dei Grundgesetze der
Arithmetik, le Logische Untersuchungen (comprensive, com’è noto,
dei tre saggi: Der Gedanke, Die Verneinung, Gedankengefüge), e il
frammento Logische Allgemeinheit, composto dopo il 1923. Nell’In-
troduzione al I volume dei Grundgesetze Frege elabora la sua ful-
minante critica allo psicologismo e nelle Ricerche logiche traccia un
bilancio dello sviluppo delle sue teorie logiche.
Come scrisse Quine, la logica è un argomento antico, e dal 1879
è diventato un argomento di primaria grandezza. La data coincide
con la pubblicazione della Begriffsschrift di Frege, che ha soppian-
tato definitivamente il paradigma aristotelico degli A nalitici primi.
La Begriffsschrift nella sua seconda parte contiene un sistema as-
siomatico-deduttivo completo e coerente di logica proposizionale e
di logica dei predicati del primo ordine con identità; nella sua terza
parte compare anche un sistema coerente di logica predicativa del se-
cond’ordine. C’è chi scrisse che l’apparizione della Begriffsschrift fu
postfazione 131

come quella di Pallade Atena dalla testa di Zeus, già tutta catafratta.
Seguendo Künne, potremmo invece così schematizzare il programma
dei Grundgesetze e la loro posizione per la matematica del tempo:
1. L’ideale euclideo come ideale della matematica antica da recu-
perare.
2. Le differenze rispetto alla Begriffsschrift e alle Grundlagen der
Arithmetik: anche qui siamo in presenza di un’impresa fondazionale
della matematica, ma con un approccio più esaustivo.
3. La critica alla matematica contemporanea, in particolare ad
altre scuole di pensiero, da Dedekind a Cantor. Un importante aspet-
to dei Grundgesetze è la continua polemica antipsicologistica: «la
rovinosa irruzione della psicologia nella logica» (der verderbliche
Einbruch der Psychologie in die Logik) è l’espressione di cui Frege si
serve per bollare questa vera e propria epidemia.
4. La distinzione tra verità e il ritenere come vero (Fürwahrhalten).
5. La distinzione tra obiettività e realtà.
6. Studio di un caso: il precipitare del filosofo Benno Erdmann nella
palude dell’idealismo.
7. Esistenza e realtà (e altre fini distinzioni). Una speranza appa-
rentemente debole: come salvare l’oggettività?
Secondo Künne, nella filosofia della matematica Frege si può de-
finire un Halbkantianer; epiteto introdotto nel 1827 dallo storico
della filosofia Heinrich Ritter ed esteso da Johann E. Erdmann a Fries
e Bolzano. Già nella sua dissertazione dottorale di Göttingen, Frege
aveva formulato l’ipotesi, a cui tenne fede per tutta la vita, secondo la
quale «l’intera geometria in ultima analisi si basa su assiomi che trag-
gono la loro validità dalla natura della nostra facoltà intuitiva». Al
contrario, la teoria kantiana dell’aritmetica venne da lui sempre rifiu-
tata: il suo logicismo implica che l’aritmetica non si deve impegnare
a invocare una pura intuizione come ultimo fondamento della cono-
scenza (Frege 1884, § 12). Anche nei suoi ultimi scritti, gli schizzi per
una fondazione non logicistica dell’aritmetica, del 1924-25, continua
a sostenere che l’aritmetica non può basarsi sulla pura intuizione del
tempo come ultimo fondamento conoscitivo.
Del resto, anche sul piano assiomatico, Frege ritiene che quelli della
geometria euclidea siano gli unici assiomi che meritino questo titolo
nel senso tradizionale e che la loro evidenza implichi l’intuizione spa-
ziale (ivi, § 13). Il problema è che non è chiaro che cosa egli intenda
132 teodosio orlando

con l’espressione «intuizione spaziale». Va comunque detto che l’es-


sere evidente di un assioma geometrico non è qualcosa che si possa
ricavare solo dal suo senso, ossia dal senso dell’espressione linguistica
che lo veicola (ivi, § 90). Del resto, non ogni enunciato immediatamen-
te evidente può essere considerato una legge fondamentale. Si prenda
una delle leggi logiche fondamentali, come il modus ponendo ponens:
la sua evidenza immediata risulta dal fatto che il pensiero espresso at-
traverso la sussunzione in termini di quantificazione universale (∀p ∀q
(((p→ q) & p) → q)) è immediatamente evidente.
Il motivo per cui non tutti gli enunciati immediatamente evidenti
possono essere considerati leggi fondamentali o princìpi (Grundge-
setze) risiede in due fattori: a) non sono universali; b) una legge fon-
damentale non può avere né ha bisogno di una dimostrazione. Invece
quel tipo di pensiero può essere dimostrato, benché non ne abbia
bisogno. Tutto ciò viene ripreso nella polemica con Hilbert, già ri-
chiamata, a proposito della cosiddetta dimostrazione di indipenden-
za, fondamentale per il dibattito sull’assioma euclideo delle parallele.
Come Mark Wilson (2002) ha ben messo in evidenza, nel § 26
delle Grundlagen der Arithmetik, Frege ritiene che due matematici
potrebbero benissimo essere d’accordo sul contenuto dei teoremi del-
la geometria proiettiva, nonostante il fatto che uno intuisca i punti
geometrici come qualcosa con il vero aspetto di punti, mentre l’altro li
intuisca come se fossero linee. Per Frege, si possono congegnare espe-
rimenti mentali (Gedankenexperimente) che ci dovrebbero portare a
trasferire l’apparenza intuitiva delle rette a punti immaginari selezio-
nati. Né ci si deve far fuorviare dal fatto che Frege spesso afferma che
l’unica fonte delle verità geometriche stia nell’intuizione geometrica.
Questo vuol dire soltanto che il nostro intero corpus di conoscenza
geometrica deriva dai fatti che l’intuizione ci veicola. Ma, proprio
come Poncelet, tra i fondatori della geometria proiettiva, anche Frege
è convinto che i dati della geometria non abbiano nessuna relazione
con i numeri intesi come fatti, se non per isomorfismo accidentale.
D’altra parte, sebbene tutti i fatti della geometria ci debbano essere
riportati come intuizioni, non ne consegue che tutti gli oggetti propri
della geometria debbano apparirci in veste intuitiva.
Secondo il logico di Jena le leggi logiche trattano di tutto: ossia di
tutti gli oggetti e di tutte le funzioni, a cui secondo la sua concezione
appartengono concetti e relazioni. Si potrebbe definirla una concezio-
postfazione 133

ne universalistica della logica. A ciò su cui nelle leggi logiche si quanti-


fica appartengono tutti gli oggetti e le funzioni che vengono designati
attraverso i nomi propri e i predicati negli enunciati singolari e in quelli
normativi delle altre scienze. Ecco perché Frege potrebbe benissimo
sottoscrivere l’affermazione di Russell per cui la logica si occupa del
mondo reale, altrettanto quanto la zoologia. A tal proposito, in uno
scritto nel quale mette a confronto la sua concezione di una lingua
logica perfetta con l’analogo tentativo di George Boole, egli afferma:

Già nella prefazione alla mia Begriffsschrift ho sostenuto che il fatto che mi
sia occupato solo di alcune forme inferenziali è un limite da superare negli svi-
luppi successivi. Ciò può avvenire nella misura in cui si converta in una regola
di calcolo ciò che lì era espresso come giudizio in una formula (1880-1881, in
Frege 19832, p. 32; trad. it. p. 103 [modificata]).

Del resto, il fine di Frege è più ambizioso di quello di altri logici


del suo tempo, come Ernst Schröder, che si colloca nel solco dell’al-
gebra di Boole, nella misura in cui persegue una riforma matematica
della logica; mentre Frege si propone una riforma logica dell’intera
matematica. Per Frege il calculus ratiocinator, inteso come calcolo
deduttivo, può essere compreso solo come una componente indispen-
sabile di una characteristica universalis in senso leibniziano, ossia di
un sistema di segni per ogni scienza rigorosa.
Nella sezione iniziale dei I volume dei Grundgesetzte («Darlegung
der Begriffsschrift») Frege ascrive una particolare importanza ai pre-
dicati semantici che vertono sulla nozione di verità. Qui distingue, in
realtà, tra predicati semantici (come «x significa il vero») e predicati
quasi semantici («x è il vero»). Nel primo caso ci si riferisce soltanto
a proposizioni che esprimono pensieri veri/falsi, nel secondo caso ci
si riferisce soltanto al Vero o al Falso, concepiti come oggetti.
Frege usa i predicati semantici e quasi-semantici in primo luo-
go allorché fissa il significato dei segni fondamentali dell’ideografia
usando la lingua naturale tedesca come metalinguaggio (la tradu-
zione di Darlegungssprache con «metalinguaggio» ci sembra la più
opportuna). Ecco due esempi:
«a = b» significa «il vero» se a coincide con b; in tutti gli altri casi
significa «il falso».
∀x (Fx) significa «il vero» se il valore della funzione F ( ) per ogni
argomento è il vero, o altrimenti il falso (1893, § 8).
134 teodosio orlando

Frege si serve di questi predicati in secondo luogo nel caso della


spiegazione dei princìpi logici. La verità delle leggi logiche per la sua
concezione diviene evidente allorché ci si rende chiaro il senso di una
proposizione che essa esprime. Nei Grundgesetze questo esercizio di
autochiarificazione assume sempre la forma di un argomento nel me-
talinguaggio, in cui il ricorso a ciò che certi segni significano gioca un
ruolo fondamentale. Un argomento del genere ovviamente non è una
dimostrazione di tipo ideografico; se lo fosse, allora la legge logica
non sarebbe un principio fondamentale.
Come spiega Künne (2010), se prendiamo un’operazione come
l’implicazione materiale (→), il valore della funzione che il segno di
implicazione esprime è il Falso se l’antecedente significa il Vero e il
conseguente no, mentre in tutti gli altri casi coincide con il Vero (ta-
vola di verità dell’implicazione materiale). Così, una sequenza come
«A → (B→A)» potrebbe designare il falso solo allorquando «A &
B» designano il vero mentre «A» non designa il vero. Ma questo è
impossibile. Ne consegue che il primo dei princìpi fondamentali coin-
cide con la seguente formula:

∀p ∀q (p→ (q→p)).

In terzo luogo, i predicati semantici e quasi semantici svolgono


un ruolo decisivo quando Frege si preoccupa se i suoi lettori abbiano
chiaro il fatto che nel seguire una regola che permette di passare da
una o più proposizioni dell’ideografia ad altre rimane invariato il
valore di verità.
Nel caso, ad esempio del modus ponendo ponens, egli ricorre a
un argomento indiretto, riferendosi al significato (nel senso della Be-
deutung) dell’operatore logico condizionale. Se invece avesse formu-
lato il suo argomento ricorrendo a un predicato di tipo semantico,
avrebbe potuto argomentare nel seguente modo: «da due premesse,
in cui vengono affermate in modo conforme a verità un’implicazione
e il suo antecedente, si può passare all’affermazione del conseguente»
(Künne 2010, pp. 383-384).
Ma in questo caso la conclusione di tale argomento non signifi-
cherebbe il vero: infatti, una delle due premesse dovrebbe significare
il falso, grazie al significato dell’implicazione. Ecco allora perché Fre-
ge è costretto a ricorrere a predicati quasi-semantici:
postfazione 135

Dalle proposizioni |- B → A e |- B si può inferire |- A ; se A non fosse il vero,


allora, dato che B è il vero, B → A sarebbe il falso. (Frege 1893, p. 25 [tradu-
zione nostra con simbologia modificata secondo l’esempio di Künne 2010, p.
384]).

Argomenti analoghi vengono usati da Frege allorché deve criti-


care i sostenitori dell’aritmetica formale, a partire da Thomae fino
allo stesso Hilbert. Come afferma molto efficacemente in uno degli
articoli della serie Über die Grundlagen der Geometrie:

Un’inferenza (Schluß) non è composta di segni. Si può solo dire che nel
passaggio da gruppi di segni a un altro gruppo di segni talvolta si presenta
esteriormente un’inferenza. Un’inferenza qui corrisponde alla formulazione
di un giudizio che viene realizzata sulla base di altri giudizi già formulati in
precedenza secondo leggi logiche. Ognuna delle premesse corrisponde a un
determinato pensiero riconosciuto come vero, e nel giudizio inferenziale un
determinato pensiero viene a sua volta riconosciuto come vero (Frege 1906a,
p. 387; rist. in Frege 19902, p. 303 [trad. nostra]).

Del resto, Frege insiste e distingue tra regole deduttive (De-


duktionsregeln), che riguardano il passaggio da una o più proposi-
zioni a una sola proposizione, e regole inferenziali (Schlussregeln),
che riguardano il passaggio da uno o più pensieri a un solo pensiero
(Gedanke).

7. Fatti, nomi e pensieri

Un’ulteriore complicazione viene fornita dalla circostanza per


cui Frege sottolinea a più riprese che i pensieri non possono mai
coincidere con i fatti. Questo dipende dal fatto che la sua seman-
tica prevede, com’è noto, due livelli di contenuto linguistico: senso
(Sinn) e significato o denotazione (Bedeutung). Il senso riguarda
ciò che crediamo o sappiamo quando, volta per volta, crediamo o
sappiamo che un enunciato è vero. Il significato invece riguarda ciò
su cui verte ogni enunciato. I sensi degli enunciati coincidono con
i pensieri, i quali possono essere veri o falsi17. Il problema è che i

17 In Über Sinn und Bedeutung (1892), il logico di Jena si preoccupa di tracciare net-

tamente la distinzione tra senso e significato o denotazione, cominciando con i nomi, per
poi passare agli enunciati (e avrebbe voluto applicarla anche alle «parole-concetto»). Per
136 teodosio orlando

pensieri non sono buoni candidati come entità che possano rendere
conto del fenomeno della verità, perché si rischia di cadere nell’ar-
gomento della circolarità (un pensiero vero dovrebbe garantire la
nozione di verità prima ancora che sia stata chiaramente definita).
Ma questa circolarità, per quanto ancora poco rigorosa, e assunta
peraltro in via provvisoria, non implica affatto che l’identificazione
sia sbagliata. Infatti, alla fine Frege pensava che ci si dovesse accon-
tentare della distinzione tra pensieri veri e pensieri falsi. Il motivo
per cui l’identificazione è sbagliata va cercato altrove, anche perché
richiamarci semplicemente alla nostra intuizione, in quanto sugge-
risce che i fatti non possono essere entità come i pensieri, risulta un
argomento debole. Come è stato variamente osservato, ad esempio
da Wolfgang Carl e Sergio Bernini, possiamo rappresentare i fatti in
forma singolare astratta. Supponiamo infatti che essi esistano e che
siano le cose che designiamo con espressioni della forma seguente:
«il fatto che A», dove A è un enunciato. Consideriamo ad esempio
la seguente espressione:
1) il fatto che la stella della sera è gialla.
Possiamo dire che lo stesso fatto può essere rappresentato in for-
ma singolare astratta. Ciò equivale a dire che la seguente proposizio-
ne ha lo stesso significato di (1):
2) il possesso del colore giallo da parte della stella della sera.
Secondo la nostra intuizione, ciò che (2) denota non dipende dal
modo in cui l’individuo in questione – il pianeta Venere – è denota-
to (anche a prescindere dalla disputa sulle qualità secondarie, a cui
appartiene il colore). Nell’universo ci sono tanti casi di possesso del
colore giallo da parte di un pianeta quanti sono i corpi celesti dotati
di tale colore: ma ciò non dipende dai modi che il linguaggio uma-
no ha per denotarli. Detto diversamente: se sappiamo che la stella
della sera è identica alla stella del mattino, allora noi ci rendiamo

quanto riguarda i nomi, egli mostra che essi hanno un senso, mentre il loro significato va
identificato con ciò che essi designano. Per ciò che concerne gli enunciati, vuole provare
che essi hanno un significato, mentre il senso coincide con il pensiero che essi esprimono.
Tuttavia, come ha notato Carl (1994, pp. 116 sgg.), Frege qui è piuttosto «operativo»,
nel senso che, pur tracciando una distinzione tra due classi di espressioni, non si dà la
pena di fornire una spiegazione generale della distinzione stessa. E neppure fornisce alcuna
giustificazione per l’assunzione secondo la quale la distinzione va tracciata per entrambi i
casi o per l’ipotesi che ci sia qualcosa in comune tra il significato dei nomi e quello degli
enunciati.
postfazione 137

conto che il possesso del colore giallo da parte della stella della
sera è la stessa cosa del possesso di tale colore da parte della stella
del mattino. Sembra così naturale considerare l’espressione (2) re-
ferenzialmente non opaca18, in quanto essa ha lo stesso significato
dell’espressione seguente:
3) il possesso del colore giallo da parte della stella del mattino.
Ma questa coincide con la rappresentazione in forma singolare
astratta di un certo fatto, e in particolare del fatto denotato da un’al-
tra espressione:
4) il fatto che la stella del mattino ha il colore giallo.
Quindi, (1) e (4) hanno lo stesso significato. Ma allora anche (1)
risulta referenzialmente non opaca (supposto che sia vero che la stel-
la della sera si identifica con quella del mattino).
Dovendo allora cercare una correlazione tra un dato enunciato A
e «il fatto che A», siamo costretti a riconoscere che «il fatto che A»
non coincide con il senso di A; per Frege corrisponde semmai al suo
significato. Questo si correla all’indipendenza del fatto dall’espres-
sione, ossia all’indipendenza dal modo linguistico o logico con cui
gli oggetti sono denotati. È questa una peculiarità della nozione fre-
geana di significato che spiega anche l’assolutezza della sua nozione
di verità. Gli stessi fatti all’interno di una semantica di tipo fregeano
potranno essere recuperati considerandoli semplicemente come i si-
gnificati degli enunciati veri.
In questo caso bisogna assumere, sulla scorta di Frege stesso, che
ogni enunciato (indipendentemente dal fatto che sia vero o falso) ab-
bia un significato. Semplicemente, Frege nei suoi scritti canonici so-
stiene che tutti gli enunciati veri hanno lo stesso significato (il Vero) e
tutti gli enunciati falsi hanno pure il medesimo significato (il Falso).
Ma in altri scritti egli sembra sostenere che ci siano enunciati veri che
denotano il Vero ed enunciati veri che denotano fatti.

18 Un’espressione si dice referenzialmente opaca allorché sostituendo un termine con

un altro dotato dello stesso significato o co-referenziale può cambiare il valore di verità
dell’intera espressione. Ad esempio, nelle frasi «Pietro crede che Franco abbia scalato il
monte Everest» e «Pietro crede che Franco abbia scalato la montagna più alta della Terra»
potrebbe accadere che la prima frase sia vera e la seconda falsa, se Pietro ignorasse che
l’Everest è la montagna più alta della Terra.
138 teodosio orlando

8. Verità, senso e Gedanken

Adottando questa prospettiva, si riuscirà anche a recuperare al-


meno in parte la tradizione di Leibniz e di Hume e si potrà anche
dare conto della distinzione tradizionale tra verità di fatto (vérités
de fait/matters of fact) e verità di ragione (vérités de raison/relations
of ideas). Si potrebbe così sostenere quanto segue: le verità di fatto
denotano i fatti, mentre le verità di ragione denotano il Vero. Qui il
denotatum è unico perché, nel caso delle verità di ragione (come le
verità della logica o della matematica pura, intese come tautologie),
non si pone il problema del loro corrispondere a qualcosa. Pertanto,
il denotare chiamerà in causa la nozione di corrispondenza solo nel
caso in cui vengano denotati fatti. Simili considerazioni varranno an-
che per gli enunciati falsi. Per Frege, ogni enunciato falso denota il
Falso, senza che venga neanche in questo caso chiamata in causa la
nozione di corrispondenza. Anzi, qui la cosa è ancora più evidente,
perché la nozione di falsità ci porta esattamente ad assumere che non
vi sia niente nell’universo che corrisponda all’enunciato (è come dire
che tutti gli enunciati falsi corrispondono all’insieme vuoto).
Come ha notato Tyler Burge (2005, pp. 83-132) il fatto che per
Frege le proposizioni denotino (bedeuten) i loro oggetti sembra esse-
re una peculiarità irritante, nella misura in cui egli sostiene che esisto-
no solamente due oggetti denotati dalle proposizioni e che essi sono
il Vero e il Falso. Anche altri interpreti hanno rilevato l’apparente
assurdità di tale tesi. Dummett l’ha definita un «almost umitigated
disaster» per la filosofia del linguaggio fregeana. Alcuni logici, come
Church e lo stesso Gödel, vi hanno invece rinvenuto il presuppo-
sto per costruire degli argomenti a priori che cerchino di dimostrare
che le proposizioni devono denotare unicamente il Vero o il Falso.
Peraltro, lo stesso Dummett ha successivamente recuperato la tesi
fregeana in nome delle sue opzioni anti-realiste: il fatto di identificare
i valori di verità con determinati decorsi di valori (Wertverläufe) ha
aperto la strada verso una concezione non-realista dei numeri. Al di
là di queste interpretazioni, di cui terremo solo parzialmente conto, è
evidente che la teoria della verità di Frege va comunque ulteriormente
approfondita. Del resto, come abbiamo detto prima, d’accordo con
Künne, identificare i valori di verità con oggetti particolari supporta
in linea di principio un’opzione realista sugli oggetti logici (in questo
postfazione 139

caso più generali delle entità numeriche, per le quali potrebbe ap-
punto valere una tesi antirealista; queste oscillazioni dipendono dal
fatto che Frege non ha sviluppato di propria iniziativa una semantica
meta-teorica, che va invece, come abbiamo mostrato in precedenza,
ricavata da cenni sparsi nei suoi scritti fondazionali).
Ricapitolando, le tesi di Frege a proposito dei valori di verità pos-
sono essere raggruppate intorno a quattro assunti principali:
1) Gli enunciati (Sätze) (anche proposizioni; talora del resto con
enunciati si traduce il tedesco Aussagen e l’inglese sentences) quando
sono completi hanno significati (Bedeutungen).
2) Il significato di un enunciato è il suo valore di verità.
3) Gli enunciati sono dello stesso tipo dei termini singolari, per
quanto riguarda la semantica del loro senso e del loro significato.
4) Il significato di un termine è un oggetto.
Per sviluppare queste tesi, Frege si serve di due princìpi detti di
«composizionalità»:
a) Il primo di essi sostiene che il significato di un’espressione com-
plessa dipende funzionalmente solo dai significati delle sue espressio-
ni componenti logicamente rilevanti.
b) Il secondo sostiene che il senso di un’espressione complessa di-
pende funzionalmente solo dai sensi delle sue espressioni componenti
logicamente rilevanti.
Partendo da questi presupposti, Frege afferma che il senso di un
enunciato (inteso come il suo valore conoscitivo, ossia il pensiero
che esso esprime) rimane lo stesso indipendentemente dal fatto che
le espressioni che lo compongono abbiano significati (indipendente-
mente ad esempio dal fatto che il termine singolare «Ulisse» denoti
un uomo reale). Ovviamente, questo impedisce di considerare il sen-
so di un enunciato come il suo significato e tanto più di equiparare i
due concetti. Inoltre, mentre i termini singolari possono essere privi
di significato, Frege nega che un enunciato possa a sua volta esserne
privo. Ad esempio, in uno scritto postumo, Introduzione alla logica,
egli sostiene:

Ne consegue che ci deve essere qualcosa associato con un enunciato che è


differente dal pensiero, qualcosa per cui è essenziale se le parti dell’enuncia-
to abbiano un significato. Questo andrà chiamato il significato dell’enunciato
(Frege 1906c, in Frege 19832, pp. 210-211; trad. it. p. 320 [modificata]).
140 teodosio orlando

In questo caso, ci sembra, il termine «significato» viene usato non


nella sua accezione usuale, ma in modo tale da mettere d’accordo
le sue quattro tesi con i princìpi di composizionalità. Vale a dire, il
significato di un enunciato viene identificato con qualsiasi cosa sia
vista proficuamente come funzionalmente dipendente dai significati
delle sue parti. Accettando questa tesi, non ci sarebbe, in linea di
principio, nessun motivo forte per sostenere che il significato di un
enunciato sia costituito da un unico oggetto. Pertanto, le implica-
zioni ontologiche dell’argomento fregeano si attenuerebbero, e così
quelle semantiche. Si noti, peraltro, che Frege usa il termine «signi-
ficato» (Bedeutung) senza mai dimenticare che si tratta di un termi-
ne usuale nella lingua tedesca (come l’italiano significato o l’inglese
meaning), non necessariamente associato a usi tecnici. Ma questo gli
riesce meglio quando deve parlare del significato dei termini singola-
ri, come fa in Funzione e concetto e in Senso e significato riferendosi
a espressioni come la stella della sera, Ulisse, 2+2, la capitale della
Germania, l’autore della Divina Commedia. In tutti questi casi, Frege
non fa altro che riprendere un’antica tradizione, risalente almeno ai
logici medievali e ad Ockham e che arriva fino a Mill e Bolzano, per
la quale il nominare o il riferire è una relazione di significazione, se
la si considera come un rapporto tra i nomi e i loro portatori o tra
un termine singolare complesso e l’oggetto che esso individua. Ma il
fatto è che Frege si serve del termine anche per descrivere una relazio-
ne semantica tra espressioni che non sono termini singolari, come i
predicati, ed entità non linguistiche. Questo vuol dire che, nonostan-
te il suo rigore di logico, egli spesso usa la sua terminologia in modo
«pragmatico» (Burge 1979). Come il termine «numero» ha ampliato
il suo raggio di significatività passando dai numeri naturali a quelli
complessi a causa dell’evoluzione della matematica, così i termini
della semantica logica possono ampliare il loro campo significativo
a causa dell’evoluzione delle teorie logiche. Peraltro, Frege stesso in
una lettera a Russell dice che

se l’intero enunciato non avesse un significato e se questo significato non


avesse alcun valore per noi, non si comprenderebbe perché sarebbe per noi im-
portante sapere se una parola ha un significato; ciò non ha infatti alcun influsso
sui pensieri (Frege 1976b, p. 235; trad. it. p. 207 [modificata]).
postfazione 141

E prosegue in un’altra lettera:

Se un enunciato non avesse nessun significato, il significato di una qualsiasi


delle sue parti sarebbe indifferente, giacché, per il senso dell’enunciato, viene
preso in considerazione solo il senso e non il significato della parte (ivi, p. 240;
trad. it. p. 212 [modificata]).

Sostanzialmente Frege sostiene che non avremmo da preoccuparci


dei significati delle parti componenti degli enunciati se non fossimo
interessati al significato dell’intero enunciato. Del resto, i significa-
ti degli enunciati sono qualsiasi cosa possa diventare fondamentale
per la teoria logica, ma sono anche funzionalmente dipendenti dalle
parti rilevanti degli enunciati. Il significato dei termini è importan-
te, peraltro, perché si correla a un altro importante principio, ossia
il principio del contesto, formulato nelle Grundlagen der Arithme-
tik. Secondo questo principio, l’analisi del significato di ogni parola
deve essere condotta nel contesto di un’analisi del suo ruolo entro
un enunciato: «Nur im Zusammenhange eines Satzes bedeuten die
Wörter etwas» (Frege 1884, § 62). Anche in questo caso, risulta evi-
dente il primato dell’enunciato rispetto a quello delle parole prese
singolarmente. Secondo Künne (2010), tale principio venne formula-
to per rispondere alla domanda, di tipo kantiano, su come possano
esserci dati i numeri nonostante la loro irrealtà (Unwirklichkeit). La
risposta suonerebbe: attraverso il fatto che noi comprendiamo quelle
proposizioni in cui ricorrono designazioni di numeri.
Dummett ha da par suo sostenuto che quando definiamo un ter-
mine esplicitamente non abbiamo bisogno di appellarci al principio
del contesto o ad altri princìpi per garantire l’attribuzione ad esso
di un riferimento, purché, ovviamente, riconosciamo che il definiens
abbia un riferimento. Ma Frege talora fa un’eccezione a tale assunto,
come quando, nelle Grundlagen der Arithmetik (§ 106), mette in
risalto l’importanza del principio del contesto per la definizione del
cosiddetto operatore di cardinalità (un operatore logico che permette
di definire la nozione di numero in termini di equinumerosità). Sem-
brerebbe che il logico di Jena voglia definire l’operatore di cardinalità
nei termini di estensione di concetti, che queste estensioni vengano
poi interpretate come costituenti un caso particolare del decorso di
valori e che l’attribuzione di un riferimento ai termini che esprimono
il decorso di valori possa giustificarsi solo appellandosi al principio
142 teodosio orlando

del contesto. In realtà, egli assume la nozione di estensione del con-


cetto come non bisognosa di ulteriori giustificazioni. Si pensi – rileva
Dummett (1991, pp. 130-135) – all’argomento fregeano usato per
definire l’identità delle direzioni di due rette, argomento da Toth ri-
tenuto puerile, con un giudizio molto severo. Frege sostiene che non
potremmo derivare, dalla conoscenza di che cosa è la direzione di
una retta, la condizione per cui due rette abbiano la medesima dire-
zione. Egli allora, per derivare questa condizione, procede muovendo
da una definizione esplicita dell’operatore di direzione; ma in realtà
arriva soltanto a stabilire che partendo da una comprensione a priori
di che cosa sono le direzioni non potremmo mai arrivare alla nozio-
ne di parallelismo di due rette. Il criterio di identità, da lui usato in
questa definizione, non era una definizione, e tanto meno una parte
di essa, dell’operatore di direzione, ma una condizione affinché la
definizione di esso fosse corretta. Tale definizione sarebbe corretta
solo se il criterio derivasse da esso, ossia dal criterio di identità as-
sunto come vero. Ma come è stato rilevato più in generale a propo-
sito della nozione fregeana di verità (Kreiser 2004, pp. 203-208), se
noi assumiamo la verità come condizione generale della sensatezza
degli enunciati, dovremmo altresì supporre che ogni enunciato vero
abbia nel suo contenuto una condizione di verità, che avrà bisogno
del supporto di un altro enunciato vero, con il rischio di un regressus
ad infinitum.

9. Identità fregeane e husserliane

Anche Husserl, nella Philosophie der Arithmetik (opera a torto


considerata «superata» proprio a causa della recensione molto seve-
ra che ne fece Frege nel 1894, da molti interpreti ritenuta l’occasione
che indusse Husserl ad abbandonare lo psicologismo. Ma di recente
gli studiosi di Husserl, da Jitendra Nath Mohanty a David Bell, da
Dallas Willard allo stesso Michael Dummett fino a Barry Smith e Ke-
vin Mulligan, non hanno condiviso questa tesi), critica i vari tentativi
operati da Frege per giustificare la nozione di identità. Frege aveva
assunto come definizione di identità quella che si trova nello scritto
di Leibniz Non inelegans specimen demonstrandi in abstractis: «Ea-
dem sunt, quorum unum potest substitui alteri salva veritate», citato
postfazione 143

nelle Grundlagen der Arithmetik (1884, § 65, p. 73; trad. it. pp. 302-
303), sostenendo che essa è quella che meglio delimita la nozione di
identità ai fini della fondazione della matematica sulla logica. Per
Husserl, invece, essa capovolgerebbe il vero stato di cose. Per lui,
infatti, il problema non riguarda tanto, in termini puramente logici,
la correttezza estensionale della definizione, bensì la sua priorità con-
cettuale, ossia quale coppia di nozioni debba essere assunta per spie-
gare l’altra. Frege, recensendo il libro di Husserl, sorvola invece su
questo aspetto, ritenendo semplicemente che l’unico criterio per una
corretta definizione in matematica sia costituito dal fatto che esso
conservi il significato dell’espressione definita. Nelle Grundlagen egli
appare però molto esplicito sulla questione, dato che afferma che se
vogliamo definire il parallelismo di due rette possiamo individuare
come definizione corretta quella che identifica la proposizione «la
direzione di a è la stessa che la direzione di b» con la proposizione
«a è parallela a b». Ma l’ordine di spiegazione inverso, ossia quello
che stabilisce che il parallelismo coincide con l’identità di direzione,
non coglie assolutamente il nocciolo del problema. Infatti, non è qui
neppure in questione il problema della correttezza estensionale, che è
data per scontata. Il vero problema sta nell’ordine della spiegazione.
E Frege se ne rende conto, allorché osserva, in una nota, che quello
che è qui essenziale potrebbe benissimo essere trasposto al caso dell’i-
dentità tra due numeri. Implicitamente, egli richiedeva che anche nel
caso dell’identità numerica si dovesse partire dalla definizione di que-
sta e non da quella dell’identità in generale. Quindi, si deve passare
dall’espressione «Il numero degli F è lo stesso che il numero dei G»
all’espressione «Ci sono esattamente altrettanti F quanti G» e non
viceversa (nel secondo caso si dovrebbe muovere dalla nozione di
identità, nel primo da quella di equinumerosità). Husserl, tuttavia,
nel discutere la nozione di equinumerosità focalizza alcuni problemi
che a Frege erano sfuggiti. Oltre al fatto che il filosofo di Prossnitz
individua già in Hume e poi in Schröder e Cantor l’origine di tale no-
zione a fini definitori, ne mette in luce i limiti, che vanno al di là della
sua correttezza estensionale, per cui essa è comunque sicuramente
una verità logica. Per Husserl, senza dubbio tale nozione stabilisce,
da un punto di vista logico, una condizione necessaria e sufficiente
perché l’uguaglianza tra due numeri sia valida. Ma per lui non basta
stabilire una corrispondenza biunivoca tra una molteplicità nume-
144 teodosio orlando

rica e un’altra affinché possa costituirsi la loro equinumerosità. Per


Husserl, «sapere che i loro numeri sono uguali non esige affatto la
conoscenza della possibilità della loro corrispondenza, e ancor meno
si tratta di un’identica operazione» (1891, p. 105; trad. it. pp. 147-
148 [modificata]).
La conseguenza di tutto questo è che abbiamo a che fare con due
conoscenze di tipo differente, ossia, come ha rilevato Dummett, con
qualcosa di simile al cosiddetto «paradosso dell’analisi» individuato
da George E. Moore, ossia a quella procedura per cui un’analisi riu-
scita risulta identica a una ripetizione dell’identità dell’analysandum
con sé stesso19. Se si verifica questa situazione, avremo che un’analisi
logico-linguistica di qualsiasi enunciato non sarebbe mai in grado di
darci informazioni che non siano tautologiche, non potrebbe cioè
fornirci informazioni nuove che arricchiscano il nostro patrimonio
conoscitivo. Viene così confutata l’accusa di Kant contro i giudizi
analitici a priori, perché nel caso di questo paradosso sono coinvolte
anche le verità matematiche ritenute analitiche, secondo le conce-
zioni leibniziane e postleibniziane. Certo, non è detto che l’esplici-
tazione di tautologie sia di per sé negativa, come insegna lo stesso
Tractatus di Wittgenstein20, ma il sogno dei neopositivisti era quello

19 Cfr. Dummett 1991, p. 143. Il paradosso dell’analisi riguarda il modo in cui un’ana-

lisi concettuale può essere sia corretta, sia informativa. L’espressione fu coniata dal filosofo
analitico John Wisdom nel 1933, e poi ripresa, inter alios, da George Edward Moore, ma
il problema si può riscontrare già nel Menone di Platone. Una qualsiasi analisi concettuale
dovrebbe essere informativa, ossia fornirci informazioni nuove su ciò che non sappiamo
già. Ma si prenda una frase come la seguente: «Per tutti gli x, x è un fratello se e solo se
x è un congiunto maschio nato dalla stessa madre [male sibling]». Ora, si può dire che
l’espressione «fratello» rappresenta lo stesso concetto dell’espressione «congiunto maschio
nato dalla stessa madre», e la frase sembra informativa perché le due espressioni non sono
identiche. E quindi «fratello» e «congiunto maschio nato dalla stessa madre» devono es-
sere intercambiabili. Ma prendiamo ora la frase: «Per tutti gli x, x è un fratello se e solo
se x è un fratello». Essa non è informativa perché è assolutamente tautologica. Anche la
prima non sarà allora informativa, a meno di non ritenere che le due espressioni usate non
siano intercambiabili. Ne consegue che un’analisi non può essere corretta e informativa
allo stesso tempo. Non è qui il caso di esaminare come questo problema si leghi alle analisi
di Quine sull’analitico e sul sintetico a priori e sulla sinonimia o in che misura abbia a che
fare con il problema prima accennato della cosiddetta opacità referenziale.
20 Com’è noto, per il primo Wittgenstein la logica e la matematica sono composte

esclusivamente di tautologie ossia di proposizioni che sono vere «per tutte le possibilità
di verità delle proposizioni elementari» che le costituiscono (Wittgenstein 1922, 4.46).
Il fatto è che per Wittgenstein una tautologia non ha condizioni di verità, giacché è in-
condizionalmente sempre vera, come le contraddizioni sono incondizionalmente sempre
postfazione 145

di ricavare dalle procedure analitiche qualcosa di scientificamente


più solido e sostanziale. Nel caso di Frege – rileva Husserl (1891,
pp. 96-110; trad. it. pp. 139-153) – noi possiamo senza dubbio com-
prendere l’espressione «esistono esattamente altrettanti F quanti G»
senza però assolutamente avere la minima idea di che cosa sia una
corrispondenza biunivoca. Pertanto, spiegare questa comprensione
cognitiva attraverso la nozione logico-matematica di corrispondenza
biunivoca potrebbe portarci in un vicolo cieco definitorio, perché la
spiegazione si limita a portare alla luce ciò che il soggetto già è in
grado di conoscere, seppure tacitamente e non apertamente. Oppure,
per seguire la tesi di Husserl, questo tipo di spiegazione si limiterebbe
a stabilire una condizione logicamente necessaria, ma non sufficiente,
senza realmente mettere in luce la natura della comprensione delle
entità numeriche. D’altro canto, le proposte alternative di Husserl
non sono particolarmente convincenti, almeno se si vuole rimanere
legati in qualche modo alla nozione di equinumerosità.
Husserl propone tre soluzioni di base (1891, pp. 126-160; trad.
it. pp. 169-202): 1) la prima deriva dalla sua teoria «astrazionista»
dei numeri come insiemi o molteplicità (Mannigfaltigkeiten) di unità,
che peraltro Frege aveva già confutato nelle Grundlagen, sebbene
in una versione più marcatamente «psicologista». Per Husserl, pos-
siamo stabilire che due pluralità siano equinumerose cominciando
con l’atto di astrazione (che è essenzialmente un atto psicologico,
ma non nel senso voluto dagli empiristi e dai logici psicologisti)21.
Dopo aver ridotto ogni pluralità a un insieme di unità, possiamo
far corrispondere le unità del primo insieme con quelle dell’altro in
un rapporto di uno a uno. 2) La seconda è più semplice: si tratta di
applicare il metodo della corrispondenza biunivoca direttamente agli
insiemi concreti, senza nessun atto preliminare di astrazione. 3) La
terza consiste nel contare i membri di ogni pluralità, determinando

false. Le tautologie, al pari di queste ultime, sono «prive di senso» (sinnlos); ad esempio,
io non so nulla a proposito del tempo quando so che o piove o non piove. Però non sono
«insensate» (unsinnig), ossia sono parte del simbolismo logico-formale, come lo zero è
parte dell’aritmetica.
21 Sull’argomento, si veda l’eccellente articolo di Paolo Spinicci (1987), il quale

osserva come l’astrazione di cui Husserl parla nella Filosofia dell’aritmetica non solo
non sia una mera operazione psicologica, ma già contenga in nuce quei caratteri della
cosiddetta «astrazione ideante» che permetterà di cogliere nella loro purezza le essenze
fenomenologiche invarianti degli oggetti logici e matematici.
146 teodosio orlando

così non solo se ci sono altrettanti elementi nella prima rispetto alla
seconda, ma anche il numero di elementi in ciascuna di esse. Benché
a Husserl questo terzo metodo appaia preferibile, in quanto apporta
maggiori informazioni e corrisponde a ciò che significa l’espressione
«esattamente altrettanti», esso può sembrare davvero orientato verso
una soluzione di tipo psicologico-evolutivo. Dummett ha rilevato ad
esempio che esso ricorda la risposta che darebbe un bambino se in-
terrogato sulla quantità di noccioline e di mele contenuta in un vaso.
Del resto Frege stesso aveva obiettato che l’atto del contare si fonda
su una correlazione biunivoca, ossia quella tra i termini numerici (da
1 a n) e gli oggetti dell’insieme stesso.
Va altresì osservato che la sequenza dei termini indicanti i numeri
cardinali che noi usiamo abitualmente quando contiamo forma una
sorta di conteggio universale rispetto a cui possiamo mettere a con-
fronto le cardinalità di concetti differenti e così fornire un mezzo per
dare una risposta alla domanda: «quanti ce ne sono?». Un altro limite
della prospettiva husserliana, almeno secondo Dummett (1991, pp.
144-145), risiede nel fatto che essa riguarda solo insiemi finiti. Se vo-
lessimo adattarla al caso degli insiemi infiniti, dovremmo parafrasare
le questioni nei seguenti termini, come ci suggerisce Dummett: dire
che ci sono altrettanti F che G equivale ad affermare che una risposta
definita alla domanda: «Quanti F ci sono?» sarà la stessa che una
risposta definita alla domanda: «Quanti G ci sono?» Ma qui ricadia-
mo nel circolo vizioso, perché potremmo dare una risposta definita
solo appellandoci alla nozione di equinumerosità. Frege si serve so-
stanzialmente di due definizioni, quella di equinumerosità nei termini
di corrispondenza biunivoca e quella di operatore di cardinalità nei
termini dell’equinumerosità; sembra invece escludere la possibilità di
definire l’identità dei numeri cardinali nei termini dell’equinumerosi-
tà. Del resto, nello scritto Logik in der Mathematik egli richiede che
ogni espressione definitoria abbia lo stesso senso di quella che viene
definita (Frege 1914, in Frege 19832, p. 224; trad. it. p. 339). Tuttavia,
anche qui sorgono dei problemi: che cosa vuol dire per lui «avere lo
stesso senso»? Nella maggior parte dei casi il criterio da lui preferito
per stabilire la sinonimia di due enunciati è quello dell’equivalenza
estensionale, come abbiamo già spiegato, ossia la coincidenza dei va-
lori di verità, e quindi avremmo a che fare piuttosto con i significati
che con i sensi. Riconoscere l’equivalenza deve essere qualcosa di im-
postfazione 147

mediato piuttosto che di derivante da una riflessione sugli oggetti; in-


fatti, la riflessione potrebbe implicare la necessità di una dimostrazio-
ne logica dell’equivalenza, che porterebbe a equiparare la sinonimia
con l’equivalenza analitica; ma in realtà per Frege la sinonimia è una
relazione molto più ristretta, perché altrimenti i giudizi analitici non
potrebbero estendere la nostra conoscenza.
Inoltre, per ritornare al problema del rapporto tra pensiero e si-
gnificato in un enunciato, bisogna sottolineare che i pensieri sono i
portatori della verità, e che i valori di verità sono costituiti dai signi-
ficati, anche se la parola vero resiste a ogni tentativo di definizione.
Non è un caso che per Frege il pensiero che le cose stiano in un
certo modo è identico al pensiero che è vero che le cose stiano in
quel modo22. Del resto, in un linguaggio non-formale possiamo dire
quello che vogliamo dire senza mai usare la parola vero o uno dei
suoi sinonimi. Peraltro, Frege aveva sottolineato nella Begriffsschrift
l’onnipresenza della nozione di verità, tesi che poi viene ripresa nella
sua teoria dell’intenzionalità e nella «metafisica».

10. Il concetto di verità in Frege: platonismo logico assolutista o


razionalismo critico?

Una delle tesi che Toth difende maggiormente nel suo saggio è quel-
la relativa alla concezione fregeana della verità, da lui identificata con
una forma di platonismo logico di stampo assolutista e dogmatico, che
si opporrebbe non solo alle concezioni costruttiviste e formaliste, ma
anche a quelle trascendentaliste-kantiane, caratterizzate dall’idea per
cui la verità dipende almeno parzialmente dalle funzioni costitutive del
22 In qualche modo questo punto di vista sembra anticipare le odierne teorie minimali-

ste e deflazioniste della verità, per cui le asserzioni che predicano la verità di un enunciato
non attribuiscono in realtà una proprietà chiamata verità a tale enunciato, nel senso che
essa non esprime alcunché che stia al di sopra e al di là dell’enunciato a cui viene attribuita.
Dice lo stesso Frege: «Vale la pena di osservare che l’enunciato “Io odoro il profumo di
violette” ha lo stesso contenuto dell’enunciato “È vero che io odoro il profumo di violet-
te”. Così, sembra che non venga aggiunto nulla al pensiero attraverso l’ascrizione da parte
mia ad esso della proprietà della verità» (Frege 1918, p. 61; trad. it. p. 48 [modificata]).
Molto simile appare la prospettiva espressa da Paul Horwich (1990, in particolare pp.
1-14; trad. it. pp. 3-12), per il quale la verità è una proprietà delle proposizioni ma è così
anomala che non ci fornisce alcuna informazione utile sulla sua natura effettiva. È fonda-
mentalmente soltanto una sorta di proprietà metalinguistica.
148 teodosio orlando

soggetto conoscente. Per Frege ogni forma di filosofia trascendentale,


compresa quella di Husserl, si identifica con una sorta di psicologismo
mascherato; mentre per Toth il soggetto trascendentale è l’unico in
grado di fondare l’assoluta libertà della conoscenza (è una nozione
legata piuttosto all’idealismo postkantiano che a Kant, perché egli ri-
tiene che il soggetto ponga o quanto meno scelga la geometria che
deve corrispondere all’esigenza di validità).
Secondo Frege, le leggi logiche non sono né leggi descrittive del
pensiero, né leggi normative che prescrivano qualcosa al pensiero:
semmai fungono da leggi generali da cui poi derivano leggi norma-
tive singolari per ogni operazione del pensiero. Nella prima delle
Logische Untersuchungen, Der Gedanke – la quale comincia con la
celebre frase: «Come la parola bello indica la direzione all’estetica e
la parola buono all’etica, così la parola vero la indica alla logica»23
–, Frege risponde alla domanda su quale sia il contenuto delle leggi
logiche con quattro infiniti verbali sostantivati che indicano quattro
operazioni del pensiero: il ritenere vero (Fürwahrhalten), il pensa-
re (Denken), il giudicare (Urteilen) e l’inferire (Schließen). Queste
quattro operazioni sono in realtà incapsulate l’una nell’altra secon-
do una gerarchia di genere/specie (Künne 2010, p. 377). Per Frege,
infatti, ogni inferenza è un’operazione del giudicare formulando la
quale si è consapevoli di altre verità considerate come fondamenti
della sua giustificazione. E a ogni operazione del giudicare corri-
sponde un’operazione del pensiero che prende una posizione. Colui
che pronuncia un giudizio (ad esempio «A è rosso»), crede per un
certo lasso di tempo che A sia rosso, anche se il ritenerlo per vero
fosse destinato a vita breve.
Del resto, per Frege, niente è vero che contraddica una legge logica;
ma questo non vuol dire, all’inverso, che si possano caratterizzare le
leggi logiche come leggi della verità in generale. Infatti, si deve assu-
mere che per ogni singola verità vale il fatto che non sia vero niente
che possa contraddirla: non si può generalizzare questa circostanza
assumendo l’essere vero come qualcosa a cui si arriva con una sorta
di induzione completa. Se tutte le leggi logiche venissero formulate per
mezzo di sussunzioni generalizzanti, ad ognuna di esse corrisponde-
rebbe una regola inferenziale, sicché le leggi logiche diverrebbero prin-
23 «Wie das Wort „schön“ der Ästhetik und „gut“ der Ethik, so weist „wahr“ der

Logik die Richtung» (Frege 1918, p. 59; trad. it. p. 43 [modificata]).


postfazione 149

cìpi dei contenuti di verità, in modo da trasferire la verità da una o più


premesse vere a una conclusione. Tuttavia – rileva Frege – questo non
è sempre il caso. Si pensi alla legge logica per cui ogni oggetto è identi-
co a sé stesso. Si tratta del cosiddetto principio di identità, presente in
nuce in Aristotele e Leibniz, ma in realtà formulato per la prima volta
esplicitamente solo nella logica del ’700 di matrice wolffiana. Nella
prefazione ai Grundgesetze Frege lo caratterizza come un principio
della verità in sé, ma non lo assimila alle altre leggi logiche, ponendosi
con questo all’interno della più genuina tradizione aristotelica.
Peraltro, se formulassimo le leggi logiche nel senso che esse inclu-
dano al loro interno il concetto di verità, ci troveremmo nella seguente
situazione: la legge della riflessività dell’identità, il principio dell’indi-
scernibilità degli identici e la legge per cui la doppia negazione affer-
ma sarebbero vere soltanto per ogni interpretazione che le riferisca
a un qualsiasi campo oggettuale non vuoto. Ma in questa maniera,
come osserva Künne (2010, p. 379), le leggi logiche si tramutano in
schemi proposizionali e la loro formulazione rimane esclusivamente
sul piano metalinguistico. Tuttavia, non è questa l’intenzione di Fre-
ge (semmai lo è di Carnap e dello Husserl di Logica formale e tra-
scendentale). Già all’epoca della Begriffsschrift egli non usa schemi
che si possano interpretare in modo differenziato, e neppure prende
in considerazione diversi ambiti oggettuali. Come ha osservato van
Heijenoort, non si può neppure dire che Frege si limiti a contemplare
un unico universo di discorso. Il suo universo è l’universo: esso con-
siste di tutto ciò che è e viene fissato per sempre24. In questo senso ha
ragione Toth a ritenere che la logica fregeana non sia suscettibile di
un’apertura a diverse concezioni della verità. In effetti, la concezione
della logica in termini di teoria dei modelli che possono essere inter-
pretati diversamente, concezione resa famosa nel secolo scorso da
Alfred Tarski, è ancorata nella tradizione di Boole-Peirce-Schröder e
nel secolo XX trova il primo riscontro esattamente nelle Grundlagen
der Geometrie di Hilbert e nel saggio Über Möglichkeiten im Rela-
tivkalkül (1915) di Leopold Löwenheim, uno dei corrispondenti di
Frege. In ogni caso, le leggi logiche che abbiamo prima menzionato

24 «One could not even say that [Frege] restricts himself to one universe. His universe

is the universe. Not necessarily the physical universe, of course, because for Frege some
objects are not physical. Frege’s universe consists of all that there is, and it is fixed» (van
Heijenoort 1967, p. 325).
150 teodosio orlando

sono, per Frege, assimilabili a proposizioni universali precedute dal


segno di asserzione. Infatti, in ognuna di queste tre proposizioni si
quantifica su tutti gli oggetti. Secondo la concezione di Frege, una
simile presupposizione vale già per proposizioni universali catego-
riche come «tutti gli uomini sono mortali»: essa esprime il pensiero
secondo cui di ogni oggetto è valida l’asserzione che esso è mortale,
purché sia un uomo. Tutto ciò richiede un approfondimento del co-
siddetto principio fregeano del contesto, che sarà poi indispensabile
per spiegare l’evoluzione della semantica logica fino a Wittgenstein.
Il principio del contesto viene enunciato nell’Introduzione ai Fon-
damenti dell’aritmetica nei seguenti termini: «Il significato [o la de-
notazione] delle parole va indagato nel contesto dell’enunciato, e non
invece secondo una considerazione isolata» (Frege 1884, p. 10; trad.
it. p. 219)25. Questo principio metodologico assolve una funzione fon-
damentale nelle opere di Frege: verrà infatti utilizzato «per giustificare
la legittimità di trattare certe espressioni come nomi propri di una
specie di oggetti, i numeri naturali, che Frege considera oggetti logici»
(Picardi 2002, p. 1). Originariamente, però, tale principio riguarda
quasi esclusivamente una classe particolare di termini singolari, che si
riferiscono a oggetti astratti. Quando Frege lo formulò, non lo usava
nell’ambito della filosofia del linguaggio, ma solo in quello della fon-
dazione della matematica. La distinzione fra Sinn e Bedeutung, fra
senso e significato (o denotazione, referente, denotatum) di un’espres-
sione non era ancora stata formulata. Ma dato che la sua cosiddetta
filosofia del linguaggio è nata esclusivamente per risolvere problemi
di significato in matematica, non è sorprendente che egli impiegasse
il principio anche prima di elaborare le sue più celebre distinzioni lin-
guistiche. In ogni caso, tale principio è di portata generale, perché può
essere applicato anche ad espressioni che, pur non essendo termini
singolari (ossia nomi propri e descrizioni definite), appaiono dotate di
un senso e di un valore semantico caratteristico dei primi.
Un’altra questione sorge allorché ci si domanda se l’applicazione
del principio del contesto (1) possa essere limitata ai nomi di oggetti
astratti oppure si possa applicare a tutti i termini singolari. Inoltre
(2), ci si può chiedere se essa si estenda anche a tutte le altre espres-
sioni che contribuiscono a formare un enunciato, in particolare quelle
25 «Nach der Bedeutung der Wörter muss im Satzzusammenhange, nicht in ihrer Ver-

einzelung gefragt werden».


postfazione 151

predicative e funzionali. Un quesito ulteriore, posto da Picardi (2002,


pp. 2-3), è se il principio del contesto sia compatibile con il model-
lo mereologico parti-tutto (che ricorda Peirce e Schröder, ma anche
la Terza delle Ricerche logiche di Husserl), introdotto negli articoli
pubblicati da Frege fra il 1890 e il 1893, ove egli se ne serviva per
spiegare il funzionamento semantico di un frammento di linguaggio
vincolato alla costruzione di una particolare logica. A nostro parere,
il principio del contesto, anche se attenuato, sopravvive pure dopo il
1890; in particolare vedremo come certe formulazioni che incontria-
mo nel I volume dei Grundgesetze der Arithmetik siano in sintonia
con le idee già contenute nelle Grundlagen der Arithmetik.
Nel paradigma fregeano, come ha spiegato Paolo Casalegno, ven-
gono messe in luce alcune nozioni che diventano fondamentali per
chiarire la natura del concetto di verità. Tra di esse possiamo elencare:
1) il rapporto tra linguaggio naturale e ideografia; 2) la dicotomia
Sinn/Bedeutung; 3) il principio di composizionalità; 4) il trattamento
delle descrizioni definite; 5) i contesti obliqui e i significati diretti e
indiretti (Casalegno 1992). Per quanto attiene al primo problema, bi-
sogna sottolineare che, quando Frege cominciò le sue analisi sulle basi
concettuali dell’aritmetica, si imbatté nel problema di fornire una giu-
stificazione dell’inadeguatezza del linguaggio naturale e di perseguire
la costruzione di un linguaggio logicamente perfetto. A tale scopo si
prefisse di formulare le dimostrazioni matematiche in termini espliciti
e precisi, in modo che la legittimità dei singoli passi deduttivi fosse per-
fettamente controllabile e testabile logicamente. Dato che il linguaggio
naturale è uno strumento troppo grossolano per servire a tale fine, egli
decise di ricorrere a un linguaggio artificiale appositamente costruito
e congegnato in modo da essere esente da difetti logici e da ambigui-
tà semantiche. È questo il principio base che sta a fondamento della
cosiddetta ideografia, la Begriffsschrift. Da lì poi sono derivati tutti i
linguaggi formali della logica contemporanea, anche se la notazione di
Russell e Peano si è rivelata molto più semplice e adatta ad esprimere
con uguale potenza tutte le leggi logiche.
Con un’ardita metafora, Frege paragona il rapporto tra linguag-
gio naturale ed ideografia a quello che sussiste tra un occhio e un mi-
croscopio. L’occhio è sicuramente superiore al microscopio per quan-
to riguarda l’estensione della sua applicazione e per la rapidità con
cui viene di solito utilizzato. Parimenti, il linguaggio naturale risulta
152 teodosio orlando

più duttile di quelli artificiali per quanto riguarda gli usi molteplici,
sia nella vita quotidiana sia nella comunità scientifica, rispetto al lin-
guaggio costruito da un logico a tavolino. Ma come il microscopio
diventa indispensabile per gli scopi scientifici, allorché «essi richie-
dano precisione nel distinguere», così il linguaggio artificiale diventa
necessario se si deve procedere in modo logicamente rigoroso. Per
Frege, questa esigenza dovrebbe riguardare l’intera filosofia e non
solo gli studi sui fondamenti della matematica. Infatti, è l’intera filo-
sofia che corre il rischio di incorrere in confusioni ed errori nell’uso
del linguaggio naturale. Scrive infatti lo stesso Frege nella prefazione
alla Begriffsschrift:

Se è compito della filosofia spezzare il dominio della parola sullo spirito uma-
no, svelando gli inganni che, nell’ambito delle relazioni concettuali, traggono
origine, spesso quasi inevitabilmente, dall’uso della lingua e liberare così il pen-
siero da quanto di difettoso gli proviene soltanto dalla natura dei mezzi lingui-
stici, ebbene, la mia ideografia, ulteriormente perfezionata a questo scopo, potrà
diventare per i filosofi un utile strumento (1879, p. vi; trad. it. p. 106).

Nonostante queste dichiarazioni, tuttavia, Frege continua a in-


teressarsi vivamente al linguaggio naturale umano e a trarne spunti
fecondi anche per le sue ricerche sui fondamenti della matematica.
Da che cosa dipende? Innanzitutto, come abbiamo già visto, nelle
Grundlagen der Arithmetik quando egli definisce la nozione di nu-
mero si appella anche al modo in cui noi ci riferiamo ai numeri nel
lessico quotidiano. Inoltre, la sua teoria del significato, nata origina-
riamente per scopi di disambiguazione concettuale in matematica,
viene da lui gradualmente estesa per indagare fenomeni disparati,
dai diversi metalinguaggi in matematica ai fondamenti della logica.
Peraltro, il vero spettro contro cui continua incessantemente a com-
battere è costituito dallo psicologismo, da lui assunto a paradigma
di intrusione indebita di istanze di altro genere nella logica. Infatti,
nella prefazione al I volume dei Grundgesetze der Arithmetik, Frege
dapprima insiste sul fatto che l’aritmetica non è altro che una logi-
ca ulteriormente sviluppata; poi si sofferma sull’esigenza di fondarla
attraverso la costruzione di un sistema formale in cui gli enunciati
aritmetici vengono dimostrati attraverso assiomi, definizioni e regole
di carattere puramente logico. Ma aggiunge poi di aver ritardato l’e-
secuzione del suo programma a causa del silenzio e dell’indifferenza
postfazione 153

con cui matematici e filosofi avevano accolto le sue prime opere. Il


tutto dipenderebbe – aggiunge – dalla cosiddetta «deleteria irruzione
della psicologia nella logica». A questo si aggiungerebbe il privilegio
accordato dai matematici, compresi i «formalisti», a ciò che cade
sotto i sensi, da lui bollato come formalismo ingenuo, che identifica i
numeri con i segni numerici, concependo l’aritmetica come un gioco
affine agli scacchi26.

11. Psicologismo e linguaggio naturale

Lo psicologismo viene definito da Frege come una Zeitkrankheit,


e contro di essa egli adotta tre precauzioni: a) distinguere nettamente
l’aspetto logico da quello psicologico; b) il principio di contestualità;
c) la distinzione tra oggetto e concetto. Un modo tipico del procedi-
mento fregeano si riscontra nel seguente passo:

Anche qui i segni acquistano un potere magico, poiché i loro significati


(Bedeutungen) sono stati persi di vista. A ciò si aggiunge l’appello all’empiria
e alla psicologia, che non fa che accrescere l’oscurità. Helmholtz vuol fondare
l’aritmetica empiricamente, costi quel che costi. Pertanto, egli non domanda:
quanta strada si può fare senza appello a fatti empirici? Bensì: qual è la via
più breve per tirare in ballo un qualche fatto dell’esperienza sensibile? (Frege
1903a, p. 140; trad. it. 1965, p. 552 [modificata]).

Del resto, la polemica fregeana contro lo psicologismo si inserisce


in un contesto in cui le principali tendenze della filosofia della mate-
matica oscillavano tra platonismo e formalismo, ma dovevano altresì
fare i conti con il neokantismo. E per molti versi, come molti inter-
preti hanno osservato (Macbeth 2005, pp. viii-ix), la concezione del
linguaggio logico perfetto che emerge in questo contesto è di stampo
kantiano almeno da due punti di vista fondamentali. In primo luogo,
come Kant nella sua Logica trascendentale ritiene che il fattore mini-
male per parlare di autocoscienza conoscitiva sia compreso all’inter-

26 Cfr. Sereni 2013: «In a famous passage in Grundgesetze (II, § 91), as part of an ex-

tensive criticism of formalism, Frege suggests that “it is applicability alone which elevates
arithmetic from a game to the rank of a science”. Frege criticizes formalism for equating
mathematical statements with positions in a game of chess, to be transformed in accor-
dance with arbitrarily stipulated rules» (p. 94).
154 teodosio orlando

no della totalità della natura in quanto viene unificata sotto le cosid-


dette categorie di relazione (sostanza, causalità ed azione reciproca),
così Frege sviluppa la sua logica ritenendo che il requisito minimale
per parlare di significatività epistemologica sia costituito dal giudizio
in quanto esso viene a situarsi nella totalità di un linguaggio (e que-
sto gli permette di obliterare la distinzione tra assiomi e postulati,
entrambi dipendenti dai princìpi logici). Certo, due differenze qui
appaiono a prima vista: mentre Kant insiste sul ruolo determinante
delle categorie in vista dell’unificazione della natura, Frege insiste sul
ruolo determinante delle strutture della significazione in vista della
costruzione di un linguaggio logico unificato. Inoltre, mentre Kant
sottolinea il ruolo dell’autocoscienza e della sua capacità unificatrice,
Frege sembra disinteressato a questi problemi che, a suo modo di ve-
dere, farebbero rientrare dalla finestra il virus dello psicologismo così
vittoriosamente bandito dalla porta principale. Del resto, e tornando
alla nozione di verità, mentre nei suoi primi scritti Frege pensava di
poter individuare le condizioni di verità di un enunciato anche consi-
derandolo isolatamente, in seguito, almeno a partire dagli scritti de-
gli anni ’90, sostenne che tutti i pensieri espressi negli enunciati sono
costitutivamente correlati l’uno con l’altro all’interno del linguaggio
considerato come una totalità. Del resto, come abbiamo già visto, i
cosiddetti pensieri (Gedanken) non sono semplicemente i sensi degli
enunciati, ma possono essere considerati come strutture articolate
inferenzialmente per mezzo delle quali i valori di verità, ossia le Be-
deutungen degli enunciati medesimi, vengono denotati in virtù di re-
gole rigide che governano i giudizi e le inferenze all’interno di tutto il
linguaggio logico: una posizione, questa, che ricorda quella sostenuta
anche da Robert Brandom in Making it Explicit. Del resto, come
abbiamo già visto, per Frege un giudizio è un «avanzamento» dai
pensieri ai valori di verità, sicché un’inferenza può essere formulata
soltanto sulla base di pensieri che vengono riconosciuti come veri
(cfr. Bell 1979). Ne consegue che, come il pensiero e il valore di ve-
rità, così anche il giudizio e l’inferenza non possono venire concepiti
indipendentemente l’uno dall’altro. Come ha sottolineato la Mac-
beth: «Frege’s developed conception of meaning is neither strictly
representationalist […], nor merely inferentialist» (Macbeth 2005, p.
ix), precisando così da un lato la distanza, ormai pressoché scontata,
di Frege da ogni teoria psicologica del significato e dall’altro anche
postfazione 155

la sua affinità e insieme la sua diversità rispetto a forme di filosofia


della logica, come quella di Brandom, che tentano di ridurre la logica
a un sistema di forme di inferenza riprendendo, a supporto di questa
tesi, perfino spunti tratti da Hegel, autore di solito ignorato, quan-
do non apertamente disprezzato, dai filosofi analitici contemporanei.
Per Frege le forme di inferenza sono importanti, ma sono sempre da
considerare entro il principio del contesto.
Si avverte qui la presenza di un altro tema di origine kantiana.
Come in Kant la conoscenza autentica implica sia l’intuizione per
mezzo della quale un oggetto ci è dato, sia il concetto, per mezzo del
quale un oggetto viene pensato, così per Frege giudizio e inferenza
(che mirano entrambi alla verità) implicano sia una relazione per
la quale essi vengono a designare direttamente una Bedeutung, sia
un senso articolato inferenzialmente che contiene un modo di pre-
sentazione di quella Bedeutung. Va comunque sempre sottolineato
che un pensiero nel senso fregeano, in quanto è suscettibile di essere
«afferrato» (erfasst) da colui che lo pensa, non ci pone in nessuna
relazione privilegiata con il mondo. Infatti, se pure i segni implicati
in un enunciato hanno senso in sé stessi e vengono combinati ap-
propriatamente nell’enunciato, allora è l’enunciato nella sua totalità
ad esprimere il senso. Potremmo dire che il senso dell’enunciato è
qualsiasi cosa sia pensabile in un determinato momento. Tuttavia,
per non escludere del tutto l’opzione «realista», Frege sottolinea che
un pensiero diventa contenuto giudicabile (ossia riconoscibile come
vero o falso), e quindi fungibile come premessa in un’inferenza, se e
solo se i concetti e gli oggetti designati esistono, benché la nozione
di esistenza sia una delle più controverse. Nel famoso Dialogo con
Pünjer sull’esistenza (probabilmente del 1884), Frege distingue l’esi-
stenza dall’esperibilità e distingue varie forme di esistenza in logica e
in ontologia, con alcune considerazioni analoghe a quelle sviluppa-
te, negli stessi anni, da Alexius Meinong. Un contenuto giudicabile
deve designare un oggetto esistente, sia esso anche un mero valore di
verità (il Vero o il Falso). Ora, dal momento che per acquisire una
conoscenza completa di un concetto nella sua forma pura abbiamo
bisogno di un immenso sforzo intellettuale, ne consegue che dobbia-
mo lavorare non soltanto per arrivare a pensieri «veri», ma anche
per acquisire una conoscenza adeguata delle «cose» che ci permetta
di stabilire quali pensieri siano veicoli del vero e quali del falso. Del
156 teodosio orlando

resto, soltanto in questa maniera potremmo scoprire quali pensieri


sono contradditori e quindi allontanarci da essi come non pertinen-
ti per la scienza intesa come un sistema di proposizioni completo e
interconnesso. Si prenda ad esempio il principio di identità: sembra
che non ci siano ragioni per dubitare di esso, perché ci sembra molto
più manifestamente evidente di tutti gli altri princìpi. Ma possiamo
benissimo immaginare esseri senzienti che non solo dubitano di esso,
ma che non hanno motivi razionali per non rigettarlo. Del resto, si è
dubitato a lungo nella filosofia della matematica occidentale di verità
come quella per cui un numero più grande non può essere sottratto
da uno più piccolo, o quella per cui qualsiasi numero è più grande o
più piccolo o eguale a zero, oppure del fatto che il principio di conti-
nuità implica una differenziazione degli elementi. Ecco perché Frege
vorrebbe che la logica non fosse come le altre scienze e che i suoi
fondamenti fossero assolutamente incontrovertibili. Nelle Grundla-
gen egli sostiene che nessuna verità logica è del tutto trasparente alla
ragione. Si potrebbe dire in qualche modo che la verità è indefinibile
oppure che ogni tentativo di sottoporla a una definizione rigorosa si
scontra con la sua elusività.
In effetti, ogni volta che indaga i tentativi di definire la verità,
Frege arriva alla conclusione che non solo il tentativo di spiegare
la verità come corrispondenza, o adaequatio rei et intellectus, ma
anche ogni altro sforzo per definire il Vero è destinato al fallimento.
Risulta così che il contenuto della parola «vero» è del tutto unico e
indefinibile. In una definizione si dovrebbero sempre fornire alcune
determinate note caratteristiche (Merkmale) – egli nota – e quando
si applicano a un caso particolare la posta in gioco è se sia vero che
queste note caratteristiche gli si addicono.
In uno dei suoi scritti postumi intitolato Logica, risalente al 1897,
Frege ritorna sul problema esprimendo le sue perplessità in una for-
ma diversa, che dovrebbe servire come base per la ridefinizione del
problema:

Sarebbe ora inutile e invano chiarire meglio, fornendo una definizione,


ciò che sia da intendere con l’espressione «vero». Se si voleva dire qualcosa
del genere: una rappresentazione è vera se corrisponde alla realtà effettuale
(Wirklichkeit), allora non avremmo guadagnato nulla (Frege 1897; poi in Fre-
ge 19832, p. 139; trad. it. p. 234 [modificata]).
postfazione 157

Infatti, qui Frege nota una forma di circolarità argomentativa,


nella misura in cui per applicare questa definizione si dovrebbe deci-
dere in ogni determinato caso se la rappresentazione corrisponde alla
realtà. Tuttavia, detto in altre parole, la domanda si può facilmen-
te tradurre come segue: è vero che la rappresentazione corrisponde
alla realtà? Lo stesso definiendum, cioè, dovrebbe essere presuppo-
sto preliminarmente. E considerazioni analoghe varrebbero per ogni
spiegazione della forma: «A è vero se ha questa o quelle proprietà o
se sta in questa o quella relazione con una certa cosa». La verità è
ovviamente qualcosa di così originale e semplice, che una sua ricon-
duzione a qualcosa di ancora più semplice non è possibile. L’argo-
mento può essere anche considerato una reductio ad absurdum, il cui
scopo è quello di mostrare che l’assunzione che la verità possa essere
definita conduce a una contraddizione.
Frege usa in realtà diversi argomenti, per quanto siano tutti piut-
tosto simili. In realtà, a suo avviso, è possibile dedurre una contrad-
dizione in due modi diversi. Nella prima versione abbiamo a che fare
con un argomento circolare (che abbiamo già visto), nella seconda
con una sorta di regressus ad infinitum. Quest’ultimo argomento può
essere approssimativamente descritto come segue: Per decidere se A
possiede le proprietà {F1, F2, ..., Fn}, si deve stabilire se è vero che
A ha le proprietà {F1, F2, ..., Fn}. Per determinare se è vero che A
possiede le proprietà {F1, F2, ..., Fn}, si deve di nuovo decidere se è
vero che è vero che A possiede le proprietà {F1, F2, ..., Fn}, e così via
all’infinito.
Dell’argomento può essere anche fornita una versione che ne met-
te maggiormente in luce la circolarità in cui si incorre quando si tenta
di definire la verità:
A è vero proprio allorquando A possiede le proprietà {F1, F2, ...,
Fn}. Ora, qui viene ovviamente ammessa la definizione per cui A deve
possedere alcune proprietà perché sia realmente vera. Al fine di sta-
bilire se A è effettivamente vera, si deve stabilire se A ha le proprietà
{F1, F2, ..., Fn}. Viceversa, per stabilire se A possiede le proprietà {F1,
F2, ..., Fn}, si deve prima stabilire se è vero che A abbia le proprietà
{F1, F2, ..., Fn}.
A questo punto, noi dovremmo già avere familiarità con la no-
zione di verità ed essere pronti, come fanno oggi gli epistemologi,
ad adottare teorie della verità come quella «ridondantista», ossia la
158 teodosio orlando

versione del cosiddetto deflazionismo già presente in Ramsey e per


cui qualsiasi linguaggio naturale sufficientemente ricco anche se pri-
vato del predicato di verità ha lo stesso potere espressivo del linguag-
gio che lo contiene. Va comunque osservato che la variante circolare
dell’argomento non contiene effettive contraddizioni logiche e prima
facie sembra avere una maggiore forza di persuasione. Infatti, se si
spiega la nozione di verità tramite il fatto che un’asserzione vera ha
determinate proprietà, e in particolare quella di corrispondere ap-
prossimativamente alla realtà, allora in questa spiegazione si presup-
pone già che è noto che cosa significa che a un oggetto spetta una de-
terminata proprietà. A prescindere dal fatto che nella definizione già
è presente una pretesa di verità, si pone poi la questione se a un’asser-
zione specifica spetti proprio la proprietà contenuta nella definizione
o meno. L’affermazione: «l’asserzione A corrisponde alla realtà e ha
questa o quella proprietà» può a sua volta essere vera o falsa. Il pos-
sedere una proprietà o, in altre parole, il ricadere di un oggetto sotto
un concetto implicano fin dall’inizio la nozione di verità.
Comprendere la predicazione nel senso dell’asserire una proprietà
di un oggetto o, più in generale, il soddisfacimento di una funzione
proposizionale attraverso gli oggetti presuppone quindi già la cono-
scenza del concetto di verità. Sostanzialmente il concetto fregeano di
asseribilità e quello di verità sono sempre strettamente interconnessi.
Del resto, non va dimenticato che secondo Frege giudicare non vuol
dire semplicemente pensare o attribuire un predicato a un sogget-
to, com’era ancora nella tradizione kantiana, bensì progredire da un
pensiero al suo valore di verità.

12. Il concetto di verità in una prospettiva deflazionista

La verità sembra pertanto non definibile secondo Frege, e quindi


egli la intende come qualcosa di originale e unico. Come conseguenza
della unicità e non definibilità della verità, il predicato «vero» non
può essere determinato attraverso una definizione per mezzo di altri
termini concettuali. Del resto, i concetti che non sono definibili devo-
no essere considerati come elementi fondamentali e primitivi:

Dobbiamo riconoscere – scrive Frege – elementi originari logici che non


sono definibili. Anche qui si pone la necessità di garantire che con gli stessi
postfazione 159

caratteri (parole) si designino gli stessi oggetti. Quando gli scienziati si saranno
accordati su questi elementi e sulle loro designazioni, allora sarà facilmente
raggiungibile il consenso su ciò che è logicamente composto per mezzo di defi-
nizioni (1906a, p. 301; rist. in Frege 19902, p. 288).

Dal momento che nel caso degli elementi originari questo non
è possibile, bisogna allora sostituire, come si afferma in Über die
Grundlagen der Geometrie, alla definizione (Definition) la sempli-
ce spiegazione (Erläuterung): ne consegue che il concetto di verità
sarebbe suscettibile solamente di spiegazione. Secondo Frege «la pe-
culiarità del nostro predicato verrebbe alla luce solo confrontandolo
con altri predicati» (ibid.).
Anche in questo caso può venirci in soccorso la polemica condot-
ta con Husserl. Infatti, secondo quanto dice Mohanty (2008), Frege
obiettò, contro la definizione euclidea di numero come «pluralità di
unità», che sulla base di essa 1 e 0 non sarebbero numeri e che la se-
rie dei numeri comincerebbe allora con 2. Husserl si accorse che una
simile obiezione avrebbe potuto essere rivolta alla sua stessa teoria
e replica all’obiezione esprimendo il suo accordo sul fatto che il nu-
mero sia una risposta alla domanda «quanti?», ma che dovrebbero
contare solo le risposte positive. Analogie con altre definizioni di enti
matematici o di altre scienze sono fuorvianti; ad esempio la posizione
spaziale dà una risposta alla domanda «dove?»; quella temporale
alla domanda «quando?». In entrambi i casi le risposte possono esse-
re sia positive, sia negative, mentre nelle definizioni di nozioni come
quella di numero o quella di verità non possiamo che presupporre
risposte affermative a domande su di esse. In qualche modo, è come
se la nozione di verità non solo fosse una componente dei princìpi di
bivalenza e del terzo escluso, ma in qualche modo li presupponesse.
Del resto, lo stesso Frege sottolinea con decisione nel già citato sag-
gio postumo Einleitung in die Logik che «un pensiero – sempre pre-
scindendo dalla fiaba e dalla poesia – è solamente o vero o falso»27.
Come ha rilevato un altro interprete, Frege applicò il cosiddetto
criterio del «surrogato dell’identità», contenuto nella Begriffsschrift,
a nomi ed enunciati, per cui la Bedeutung dei secondi coincide con il
loro valore di verità (cfr. Mendelsohn 2005). Egli, infatti, credeva che

27 «Denn ein Gedanke – immer von Sage und Dichtung abgesehen – ist nur entweder

wahr oder falsch» (1906c, p. 207; trad. it. p. 316).


160 teodosio orlando

sia gli enunciati sia i nomi stessero per i loro contenuti. Parafrasando
lo stesso Frege: «se noi abbiamo a che fare con enunciati per i quali è
rilevante il significato (Bedeutung) delle loro parti componenti, allo-
ra quale caratteristica eccetto il valore di verità può essere rinvenuta
come appartenente in modo generale a questi enunciati e che riman-
ga immodificata tramite sostituzioni del tipo appena menzionato [si
riferisce alle sostituzioni nei cosiddetti contesti obliqui]?».

13. Semantica e verità formale

Le suddette riflessioni di Frege hanno dato modo ad Alonzo


Church di precisare meglio la nozione di verità elaborata dal logico di
Jena. Questa riesposizione ha dato poi vita al cosiddetto «argomento
di Frege-Church». Dato che si tratta di un argomento altamente tecni-
co, ne offriremo qui una breve presentazione informale rimandando,
per un’analisi più accurata, ai citati scritti di Dummett e Künne, oltre
che all’ottimo articolo di Bernini (2007), che di seguito utilizzeremo
ampiamente. Alla base dell’argomento, possiamo collocare la tesi per
cui Frege connette strettamente i pensieri alla questione della veri-
tà, considerata qualcosa di assolutamente obiettivo. I pensieri sono i
portatori della verità (truth-bearers), ossia ciò di cui effettivamente si
predicano il vero e il falso. Gli enunciati (Aussagen) possono essere
detti veri o falsi solo in senso derivato: il motivo per cui un enunciato
è vero, oppure falso, è che è vero, oppure falso, il pensiero da esso
espresso. Ad esempio, il motivo per cui l’enunciato «la stella della
sera è un pianeta» è vero, è il fatto che il pensiero che la stella della
sera è un pianeta è un pensiero vero. Il che può essere anche formulato
dicendo che il motivo della verità dell’enunciato è che è vero che la
stella della sera è un pianeta. Parimenti, perché l’enunciato «Monaco
ha più abitanti di Roma» è falso? Per il fatto che, banalmente, è falso
che Monaco abbia più abitanti di Roma. In senso antipsicologisti-
co, per Frege non è la mente a determinare la verità o la falsità dei
pensieri. Potremmo addurre a questo proposito un tipico argomen-
to scientifico. Consideriamo infatti il pensiero per cui la Terra gira
intorno al sole. Ora, dal momento che gli astronomi ci assicurano
che già un miliardo di anni fa era vero che la Terra girava intorno al
sole, ne consegue che quel pensiero era vero molto prima che sulla
postfazione 161

Terra comparisse una mente umana, ossia che il pensiero che la Terra
gira attorno al Sole era vero anche in assenza di una mente che lo
pensasse (ovviamente invocare la mente di Dio, come avrebbero fatto
Agostino, Anselmo, Tommaso, Descartes, Malebranche, Berkeley, in
questo contesto è fuori luogo). Certo, risulta sconcertante parlare di
pensieri in assenza di esseri pensanti, perché sembra quasi una contra-
dictio in terminis. Ma per Frege i pensieri non sono necessariamente
dati dipendenti dalla mente. In qualche modo, i Gedanken fregeani
sono caratterizzabili come i contenuti giudicabili (beurteilbare Inhal-
te), come lui stesso li aveva definiti al tempo della Begriffsschrift, in
questo simili agli «obiettivi» di Meinong, ai Sachverhalte di Stumpf
e Wittgenstein, agli states of affairs di Russell (stati di cose). Sarebbe
stato quindi meglio chiamarli «pensabili» o «giudicabili», in quanto
essi sono esattamente ciò a cui rivolgiamo la nostra facoltà di giudizio,
ossia la nostra facoltà di conferire assenso (o dissenso) a un contenuto
di pensiero. Il compito della mente non consiste nel creare i contenuti
giudicabili, ma di comprendere e poi riconoscerli come veri o falsi,
ossia propriamente giudicarli.
È qui che si profila la differenza tra l’atto del pensare e i pensieri:
il primo è un’attività mentale, mentre i pensieri sono oggetti, più pre-
cisamente certi particolari oggetti di tale attività. La verità e falsità di
cui parla Frege sono invariabili, perché assunte in un dominio onto-
logico eterno e immodificabile. I pensieri, intesi come i portatori della
verità e della falsità, si presentano a noi in modo rigido e non mo-
dificabile: se sono veri, allora non solo non possono essere falsi, ma
non possono neppure diventarlo. Vale anche il reciproco: se sono fal-
si, non possono essere veri, e non possono neppure diventarlo (ecco
perché per Frege sembra assurdo che in geometria una proposizione
assunta come vera diventi poi falsa in un altro sistema assiomatico).
Questo implica che chi indaga i pensieri non dovrebbe, in logica,
considerare enunciati che sono veri o falsi a seconda di quando li si
pronuncia. Ad esempio, l’enunciato «Ilaria è all’università» è vero se
lo pronunciamo il 5 aprile del 2008, mentre è falso se lo pronuncia-
mo il 20 agosto del 2012. Abbiamo a che fare con un «cambiamento
di valore di verità» che impedisce di considerare quell’enunciato l’e-
spressione appropriata di un pensiero. Al fine di ottenere enuncia-
ti che siano espressioni corrette di pensieri, dovremmo considerare
solamente quegli enunciati in cui le designazioni indicali o deittiche
162 teodosio orlando

sono esplicitate. Ad esempio, al posto di «Ilaria è all’università», use-


remo un enunciato come il seguente: «Nel giorno x, all’ora x, Ilaria è
all’università». Un simile enunciato, se è vero, resta vero e, se è falso,
resta falso. Si tratta di un enunciato «eterno», nel senso «platonico»:
ossia la verità e la falsità di esso sono proiettate su un piano astorico,
indipendentemente dal momento in cui esso viene proferito.
Il comportamento dei nomi individuali (come «Dante») e delle
descrizioni definite (come «l’autore della Divina Commedia») ci per-
metterà di chiarire meglio questo aspetto della teoria di Frege. A suo
avviso, non tutti i nomi individuali hanno un significato. Infatti, un
nome ha significato esattamente quando esiste l’oggetto che con esso
si vuole indicare. Ad esempio, il nome (o, per meglio dire, la descri-
zione) «la stella del mattino» ha un significato, come anche il nome
«la stella della sera» perché la stella del mattino esiste (e coincide
anche con la stella della sera). Invece il nome «la figlia di papa Ber-
goglio» è privo di significato, perché la figlia di papa Bergoglio non
esiste. «La stella della sera» denota Venere, mentre «la figlia di papa
Bergoglio» non denota nulla. Ma in ultima analisi, la questione del
significato dei nomi è strettamente legata alla questione della verità o
falsità degli enunciati: per Frege, il principio fondamentale che regola
il loro comportamento è quello per cui solo gli enunciati in cui tutti
i nomi denotano hanno un valore di verità. Questo vuol dire che le
etichette di vero e falso si applicano solo ai pensieri vertenti su ogget-
ti esistenti; viceversa, i pensieri espressi da enunciati che contengono
nomi non denotanti non hanno valore di verità, ossia non sono né
veri né falsi. Ad esempio un enunciato come «la stella della sera è un
pianeta» ha un valore di verità (corrispondente al vero), mentre l’e-
nunciato «la figlia di papa Bergoglio ha vent’anni» non ha un valore
di verità (non è cioè né vero né falso; mentre per altri autori, come
Russell, è da considerarsi falso).
Pertanto, come i nomi individuali, anche gli enunciati hanno un
significato; ma solo ad alcuni di essi si può attribuire un autentico
significato, nella misura in cui gli enunciati che hanno un significato
sono quelli dotati di valore di verità, ossia che esprimono pensieri
veri o falsi, laddove tutti gli altri enunciati, ossia quelli né veri né fal-
si, non denotano nulla. Ne consegue che i due enunciati «la stella del-
la sera è un pianeta» e «la stella della sera è Venere» denotano un og-
getto, mentre l’enunciato «la figlia di papa Bergoglio ha venti anni»
postfazione 163

non denota nulla. Ma dato che i portatori di valore di verità sono i


pensieri, perché, per Frege, al fine di avere un’adeguata semantica per
gli enunciati, non è sufficiente il fatto che gli enunciati abbiano un
senso, ossia esprimano un pensiero? Perché devono avere anche un
significato? Egli argomenta come segue a favore della necessità che si
consideri anche il significato degli enunciati. Consideriamo tre con-
dizioni: 1) Vero e falso sono caratteristiche essenziali solo degli enun-
ciati vertenti su oggetti esistenti. Basterebbe la presenza di un nome
privo di significato per rendere l’enunciato né vero, né falso. 2) La
combinazione di senso e significato deve essere semanticamente esau-
stiva, ossia, nell’analisi semantica o del contenuto di un’espressione,
dobbiamo necessariamente attribuirle un senso e/o un significato. 3)
Verità e falsità sono nozioni semantiche, ossia devono essere conside-
rate dal punto di vista dell’analisi del contenuto dell’enunciato.
Una volta stabiliti questi tre punti, l’argomento di Frege è grosso
modo il seguente: se si suppone che gli enunciati abbiano solo un
senso, e non un significato, come potremmo giustificare il fatto che
quando riguardano gli oggetti esistenti i pensieri sono veri o falsi,
mentre quando riguardano oggetti non esistenti non sono né veri né
falsi? È chiaro che la distinzione tra l’avere un valore di verità e il non
avere nessun valore di verità non può essere una questione esclusiva-
mente interna al pensiero, dal momento che l’esistenza o meno delle
cose a cui il pensiero si riferisce è indipendente dal contenuto del pen-
siero stesso. Infatti, si consideri il pensiero che la figlia di Papa Ber-
goglio ha venti anni: esso è senza dubbio un pensiero compiuto, nel
senso che esiste come tale, indipendentemente dal fatto che la figlia
di papa Bergoglio esista oppure no. Questo dimostra che la natura
dei pensieri non cambia in riferimento al fatto che alcuni riguardano
l’esistente e altri no: essi risultano tutti ugualmente comprensibili e
afferrabili. Ma dato che si è presupposto che la verità o falsità degli
enunciati sia strettamente connessa con l’esistenza, ne conseguirebbe
che, se l’esistenza è una questione esterna al pensiero, dovrà esserlo
anche la questione della verità e falsità. E pertanto, il fatto che un
enunciato abbia un valore di verità non potrebbe venir spiegato sulla
base del solo senso. Tuttavia, nella semantica fregeana l’unico altro
componente in grado di rendere conto del valore di verità è il signifi-
cato. Ne consegue che anche gli enunciati, affinché possano risultare
veri o falsi, devono denotare un oggetto. Nel saggio Sinn und Bedeu-
164 teodosio orlando

tung Frege sostiene che i significati degli enunciati coincidono con i


loro valori di verità. Sono in qualche modo due oggetti «speciali»,
chiamati il Vero e il Falso. Semplicemente, e un po’ paradossalmente,
tutti gli enunciati veri denotano il Vero e tutti gli enunciati falsi de-
notano il Falso. Da questo punto di vista i valori di verità non sono
semplici espressioni sinonimiche dei predicati «essere vero» e «essere
falso», ma vere e proprie entità, ossia oggetti logici.
Da queste considerazioni si è poi sviluppata la cosiddetta semantica
formale, impresa però che risulta estranea a Frege, al punto che alcuni
commentatori sostengono che egli avrebbe trovato lo stesso progetto
di semantica formale incomprensibile e che questo sarebbe il punto
cruciale della sua controversia con Hilbert. Fu Alfred Tarski che ela-
borò nel modo più compiuto questo progetto; egli riteneva che forma-
lizzare le teorie semantiche fosse solo un passo verso il vero obiettivo
di mostrare come le teorie semantiche possano essere costantemente
sviluppate. Frege, al contrario, non menziona i paradossi semantici e
non era interessato a una «teoria della verità» nel modo in cui lo era-
no Tarski e Kripke (quest’ultimo almeno fino a quando non pubblicò
nel 1975 il famoso articolo Outline of a Theory of Truth). Questo
non vuol dire che Frege non fosse interessato alla verità, dato che era
profondamente interessato alla logica e che per lui la verità era il vero
oggetto della logica. Anzi, a suo avviso la verità è il concetto fonda-
mentale sia della logica che della semantica28.
In conclusione, possiamo ritenere che la concezione della verità
di Frege non sia radicalmente opposta ai modelli epistemologici che
Toth aveva ravvisato nei difensori delle geometrie non-euclidee. Cer-
to, rendere la filosofia della matematica di Frege compatibile con la
concezione generale sottesa alle geometrie non euclidee è un’impresa
di non facile messa a punto. Essa appare un po’ simile a quello che
tentò di fare Ernst Cassirer allorché si prefisse di rendere la filosofia
della conoscenza di Kant compatibile con la teoria della relatività e
con le geometrie non euclidee stesse. Per molti versi, i fraintendimen-
ti di Frege appaiono meno giustificabili, essendo egli vissuto molto
dopo Gauss e Riemann, ma trovano una precisa giustificazione nella
sua filosofia della conoscenza e in quella che Toth ha chiamato la sua
«ininterrotta passione per la verità».
28 Questa tesi fregeana per cui gli enunciati denotano solo due cose, il Vero e il Falso,

è stata dimostrata con maggiori considerazioni teoriche da Church (1956).


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Indice dei nomi
Acerbi, Fabio 58n Cantor, Georg 7, 13, 21, 22, 32, 40, 40n,
Adenauer, Konrad 81 42, 42n, 43, 44, 45, 45n, 46, 47, 52n,
Agostino 61n, 161 63, 73, 90, 92, 102, 103, 131, 143
Albergati, Nicolò 61n Cardano, Girolamo 43, 61
Ales Bello, Angela 9 Carl, Wolfgang 106, 127, 136, 136n
Anselmo d’Aosta 116, 161 Carnap, Rudolf 149
Archimede 73 Carroll, Lewis (Dodgson, Charles Lutwidge)
Aristotele 8, 20, 34-36, 51n, 70, 70n, 72, 13, 67
73, 102, 104, 109, 110n, 114, 119, Carus, Paul 18
119n, 123, 130, 149 Casalegno, Paolo 151
Cassirer, Ernst 112, 112n, 164
Bakunin, Michail 16n Cayley, Arthur 13, 68n, 104
Bartocci, Claudio 9 Cellucci, Carlo 119n
Baudelaire, Charles 62, 64 Černyševskij, Nikolai Gavrilovič 16
Bebel, August 78, 78n Church, Alonzo 138, 160
Bell, David 142, 154 Clarke, Samuel 95, 96
Beltrami, Eugenio 19, 66, 71 Clifford, William Kingdon 19
Berkeley, George 161 Cohen, Paul 44
Bernini, Sergio 136, 160 Colenso, John William 13
Bernoulli, Jakob 118 Cook, Wilson John 17
Bertrand, Joseph 14 Cornford, Francis Macdonald 40
Bismarck, Otto von 81 Cusano, Niccolò 61, 61n
Blanchette, Patricia A. 107, 129 Cyon, Elia de 17
Bodei, Remo 9
Boëtie, Étienne de la 71n D’Acunto, Giuseppe 9
Bolyai, János 51n, 64, 67, 69n, 72 De Caro, Mario 9
Bolzano, Bernard 118, 131, 140 Dedekind, Richard 7, 21, 22, 42, 44, 47,
Boole, George 113, 117, 133, 149 54, 60, 102, 103, 131
Brandom, Robert 154, 155 Descartes, René 61, 62n, 107, 122, 161
Bréhier, Émile 93 Di Schiena, Marco Valerio 9
Brentano, Franz 15, 106 Duhem, Pierre 14, 14n, 15, 104
Broglie, Auguste-Théodore-Paul de 16 Dühring, Karl Eugen 16, 16n, 104
Bunjakovskij, Viktor Jakovlevič 14 Dummett, Michael 105, 106, 129, 130,
Burge, Tyler 138, 140 138, 141, 142, 144, 144n, 146, 160
186 indice dei nomi

Eckhart, Johannes (Meister Eckhart) s25 Husserl, Edmund 15, 15n, 112, 118, 123,
Egidi, Rosaria 8 124, 142-145, 145n, 146, 148, 149,
Einstein, Albert 15 151, 159
Engels, Friedrich 16, 16n
Erdmann, Benno 26n, 126, 131 Kant, Immanuel 18, 102, 105, 109, 110,
Erdmann, Johann Eduard 95n, 131 111, 112, 123, 124, 129, 131, 141,
Erodoto 88 144, 147, 148, 153-155, 158, 164
Ervas, Francesca 9 Kenny, Anthony 117
Euclide 14, 17, 23, 24, 27, 27n, 35, 49, 55, Klein, Felix 19, 28n, 64, 65
56-58, 58n, 59, 60, 63, 65, 66, 67, 68, Korselt, Alwin Reinhold 76
71, 72, 73, 74, 75, 89, 105, 105n, 112, Kotelnikov, Pëtr Ivanovič 14
119n, 121, 124 Kreiser, Lothar 142
Kripke, Saul 164
Failla, Mariannina 8 Külpe, Oswald 106
Fanelli, Francesco 9 Künne, Wolfgang 122, 130, 131, 134, 138,
Ficino, Marsilio 61 135, 138, 141, 148, 149, 160
Fourier, Jean Baptiste Joseph 64
Friedman, Michael 112n Lafargue, Paul 16
Fries, Jacob Friedrich 131 Lambert, Johann Heinrich 69n
Laugwitz, Detlef 44, 67
Gabriel, Gottfried 77, 123 Latini, Micaela 9
Gauss, Carl Friedrich 16, 51n, 64, 65, 69n, Leibniz, Gottfried Wilhelm von 95, 95n,
70n, 71, 72, 164 96, 96n, 107, 117, 123, 133, 138, 142,
Gergonne, Joseph Diaz 110 144, 149
Gesù Cristo 84 Lie, Sophus 19
Gödel, Kurt 115, 115n, 138 Liebmann, Heinrich 76, 77, 95
Goethe, Johann Wolfgang von 17, 17n, 26 Liebmann, Otto 19, 49, 94, 95, 95n, 96,
Guglielmo I di Prussia 80 104
Lobačevskij, Nikolaj 14, 16, 17, 60, 64,
Hankel, Hermann 47, 60 68, 72, 74, 111
Hausdorff, Felix (citato anche con lo Locke, John 128
pseudonimo Paul Mongré) 62, 63 Lotze, Hermann 15, 106
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich 14, 43, Löwenheim, Leopold 149
44n, 45, 155 Ludendorff, Erich Friedrich Wilhelm 80, 81
Heijenoort, Jean van 149 Łukasiewicz, Jan 114
Helmholtz, Hermann von 19, 112
Hemsterhuis, François 62, 62n Macbeth, Danielle 153, 154
Hertz, Heinrich 15 Malebranche, Nicolas 161
Hilbert, David 7, 19, 21-23, 28n, 30, 37, Mansion, Paul 19
41, 42, 55, 57, 57n, 58, 59, 59n, 60, Mariani, Mauro 109n
60n, 67, 68, 71, 72, 74, 76, 77, 102, Marx, Karl 16
107-116, 115n, 119, 126, 129, 130, Meinong, Alexius 106, 155, 161
132, 135, 149, 164 Mendelsohn, Richard 159
Hitler, Adolf 81, 83 Menger, Karl 113-115
Hobbes, Thomas 15n Mill, John Stuart 110, 111, 118, 140
Hönigswald, Richard 19 Minkowski, Hermann 15
Horwich, Paul 147n Möbius, August Ferdinand 50, 52
Hume, David 138, 143 Mohanty, Jitendra Nath 140, 159
indice dei nomi 187

Montaigne, Michel Eyquem de 71n Russell, Bertrand 17, 17n, 18n, 103, 103n,
Moore, George Edward 144, 144n 110, 114, 127, 128, 133, 140, 161, 162
Morgan, Augustus de 13
Mulligan, Kevin 142 Saccheri, Gerolamo 33, 35, 35n, 36-38,
69n, 90, 92, 105
Nečaev, Sergej Gennadievič 16n Scholz, Heinrich 84
Nobile, Italo 9 Schröder, Ernst 113, 133, 143, 149, 151
Novalis 62, 62n Schubert, Hans 28
Schuppe, Wilhelm 106
Ockham (Occam), Guglielmo di 43, 43n, Schweikart, Ferdinand Karl 69n
140 Sereni, Andrea 153
Ostrogradskij, Michail Vasil’evič 14 Séguin, Philippe 62
Sigwart, Christoph 118
Pappo di Alessandria 119, 119n Sluga, Hans 105, 106
Parmenide 40 Smith, Barry 142
Pascal, Blaise 73, 123 Socrate 24n
Pasch, Moritz 19 Spinicci, Paolo 145n
Peano, Giuseppe 19, 42, 44, 53, 55, 118n, Spinoza, Baruch 48, 72, 109
128 Stallo, John Bernard 18, 18n
Peirce, Charles Sanders 19, 113, 149, 151 Stöltzner, Michael 114n
Penco, Carlo 126 Stumpf, Carl 106, 161
Piazza, Mario 9 Szmielew, Wanda 51
Picardi, Eva 150, 151
Pieri, Mario 54, 55, 92 Tarski, Alfred 51n, 149, 164
Pitagora 124 Taurinus, Franz Adolph 69n
Platone 8, 24, 24n, 38, 39, 39n, 40, 40n, Thomae, Carl Johannes 52n, 77, 102, 126,
41, 41n, 42, 42n, 43, 45, 51n, 58n, 59, 135
64, 87, 88, 101, 144n Toccafondi, Fiorenza 9
Plotino 61, 61n, 93, 94 Tommaso d’Aquino 161
Poe, Edgar Allan 62 Trainito, Marco 9
Poincaré, Henri 17, 19, 50, 51n, 52, 65,
110, 111, 115 Uebel, Thomas 114n
Poncelet, Jean Victor 132
Popper, Karl Raimund 128, 129 Vailati, Giovanni 71
Post, Emil Leon 114 Vico, Giambattista 61, 62
Proclo 42 Vollbrecht, Renate 95n
Pünjer, Bernhard 34, 155 Voltaire (François-Marie Arouet) 66

Quine, Willard Van Orman 43, 43n, 130 Wachter, Friedrich Ludwig 69n, 70n, 72
Weber, Friedrich 81
Ramsey, Frank Plumpton 158 Wechsung, Gerd 91
Renouvier, Charles 16, 16n Weierstraß, Karl 21, 22, 47, 52n, 60, 102
Riemann, Bernhard 18, 164 Willard, Dallas 142
Ritter, Heinrich 131 Wilson, Mark 132
Robinet, André 95n Wisdom, John 144n
Robinson, Abraham 44 Wittgenstein, Ludwig 144, 144n, 150, 161
Romani, Daniela 8
Romani, Romano 7n, 8 Zermelo, Ernst 103, 103n
Rosenzweig, Franz 45 Zinger, Vasili Jakovlevič 14
Teodosio Orlando è docente di filosofia e storia presso il liceo classico statale «Dante
Alighieri» di Roma. Ha insegnato presso la Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento
Secondario dell’Università di Roma Tre (2005-2009) e presso la Scuola Europea di Monaco
di Baviera (2011-2013). Ha collaborato con l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze
Filosofiche di RAI Educational. Dottore di ricerca in filosofia (Università di Firenze, 1995),
specializzato presso l’università di Ginevra, allievo della Classe di Lettere e Filosofia della
Scuola Normale Superiore di Pisa, ha studiato i rapporti tra la fenomenologia husserliana
e la filosofia analitica. Ha tradotto vari saggi di filosofia e storia dal tedesco e dall’inglese.
Ha pubblicato alcuni articoli, apparsi in riviste specializzate, su Husserl, sulla didattica
della filosofia e sui rapporti tra la tradizione analitica e quella continentale. Ha redatto i
lemmi di filosofia per l’edizione 2004-2005 del Dizionario della lingua italiana di Giacomo
Devoto e Gian Carlo Oli (Le Monnier, Firenze).
Quodlibet Studio

analisi filosofiche

Massimo Dell’Utri (a cura di), Olismo


Rosaria Egidi, Massimo Dell’Utri e Mario De Caro (a cura di), Normatività, fatti, valori
Massimo Dell’Utri, L’inganno assurdo. Linguaggio e conoscenza tra realismo e fallibilismo
Giacomo Romano, Essere per. Il concetto di “funzione” tra scienze, filosofia e senso comune
Sandro Nannini, Naturalismo cognitivo. Per una teoria materialistica della mente
Giancarlo Zanet, Le radici del naturalismo. W.V. Quine tra eredità empirista e pragmatismo
Rosa M. Calcaterra (a cura di), Pragmatismo e filosofia analitica. Differenze e interazioni
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Antonio Rainone, Quale realismo, quale verità. Saggio su W.V. Quine
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