Il modello di Riemann
Tesina di Fondamenti della Geometria
(Prof. Biancofiore)
Gruppo di Lavoro:
Paolo Di Mascio
Nicola Rossi
Il grande matematico tedesco Carl Friedrich Gauss (1777-1855) non era del
tutto convinto che la somma degli angoli di un triangolo fosse realmente di
180° tanto che nel 1820, avendo avuto l'incarico di eseguire rilevamenti
cartografici dallo stato di Hannover, ebbe cura di eseguire delle misurazioni su
grandi triangoli i cui vertici si trovavano sulle cime di montagne (visibili
nonostante la curvatura della terra).
Il più grande di questi triangoli aveva come vertici le cime dei monti
Hohenhagen, Brocken e Inselberg, e il lato maggiore misurava 107 km.
Progettò egli stesso un raffinato strumento ottico in grado di riflettere un
raggio luminoso in una sola direzione. Ma gli esperimenti non mostrarono alcun
apprezzabile scostamento dalla previsione euclidea: lo somma degli angoli
risultò di 180°, nei limiti dell'accuratezza degli strumenti. Non è irrilevante,
però, che Gauss nutrisse questo dubbio; in realtà Gauss dubitava, come
vedremo, del carattere euclideo dello spazio.
Nella figura qui sotto la retta r è fissa mentre la retta s può ruotare in senso
antiorario attorno al punto P. Indichiamo con Q il punto in cui r ed s si
incontrano.
Man mano che s ruota si vede che il punto Q si allontana verso est sulla retta r.
Il punto Q si muove con continuità su r: piccole rotazioni di s determinano
piccoli spostamenti di Q (e viceversa). Q assume via via tutte le posizioni
possibili su r, "passa" per tutti i punti di r.
Il punto Q dunque si allontana sempre più sulla retta r. Si intuisce però che
esiste una (e una sola) situazione in cui sembra proprio che le due rette non si
intersechino e quindi Q non esista. In questa situazione le due rette si dicono
parallele.
(P1) Da ogni punto a ogni altro punto è possibile condurre una linea
retta.
Euclide non postula esplicitamente che per due punti passi un'unica retta,
ma assume tacitamente che sia così.
(P5) In un piano, per un punto fuori di una retta data si può condurre
una e una sola parallela a tale retta (due rette si diranno, con Euclide,
parallele, quando non si incontrano).
Per secoli i matematici hanno ritenuto che il quinto postulato dovesse essere
una conseguenza dei primi quattro e si sono adoperati, inutilmente, per
dimostrarlo. Tanta ostinazione da parte degli studiosi di geometria nel cercare
di dimostrare il postulato delle parallele - a cominciare da Proclo (IV secolo
a.C.) fino a Saccheri (1667-1733) e Lambert (1728-1777) - non risiedeva nel
fatto che essi dubitassero della sua verità (nessuno dubitava che la geometria
euclidea fosse l'unica geometria possibile) ma nel carattere essenzialmente
diverso che il quinto postulato aveva rispetto agli altri. I primi quattro postulati
sembravano godere di una maggiore evidenza; nel quinto postulato entrava
infatti in gioco una proprietà che non è verificabile in una regione finita di
piano (dire che due rette sono parallele equivale a dire che non si incontrano
per quanto possano essere prolungate). Per di più Euclide aveva introdotto
molto tardi, negli Elementi, il quinto postulato dimostrando prima ben 28
teoremi; ciò faceva ritenere che lo stesso Euclide nutrisse qualche dubbio sul
fatto che tale asserzione non potesse discendere dai primi quattro postulati.
Questo enorme sforzo di studio e di ricerca, per quanto in alcuni casi si
avvalesse di sottili argomentazioni logiche, non portò che a una serie di
dimostrazioni sbagliate; nessuno, prima di Gauss, Lobacevskij e Bolyai, accettò
l'idea che il problema così come era posto non poteva essere risolto (cioè
nessuno accettò l'idea che il postulato delle parallele fosse logicamente
indipendente dai primi quattro) e che quindi si fosse autorizzati, sul piano
logico, a sostituire il quinto postulato con un'assunzione alternativa
sviluppando così una nuova geometria.
Bisogna aspettare la prima metà del 1800 perché la questione venga affrontata
in modo radicalmente diverso dal russo Lobacevskij e dall'ungherese Bolyai; i
due matematici si convinsero infatti, l'uno indipendentemente dall'altro, che il
quinto postulato non fosse una conseguenza dei precedenti e lo
sostituirono con un'ipotesi alternativa:
(P5') Per un punto che giace al di fuori di una retta si possono tracciare
più rette che non incontrino la retta data.
Svilupparono così uno dei due possibili rami della geometria non euclidea: la
geometria non euclidea iperbolica. Lobacevskij pubblicò il suo lavoro nel 1829
e Bolyai nel 1832. Prima di loro, tuttavia, anche il grande Gauss (1777-1855)
era arrivato a conclusioni e risultati simili senza tuttavia pubblicarli.
Si osservi che il quinto postulato può essere negato anche in un altro modo:
Bisogna dire che l'assioma P5" porta con sé una profonda modificazione del
sistema euclideo (intendendo con sistema euclideo sia l'insieme dei postulati
esplicitamente dichiarati sia l'insieme di quelli tacitamente assunti). Nel
sistema euclideo si può infatti dimostrare l'esistenza di rette parallele anche
senza mettere in gioco il quinto postulato (mentre non è possibile dimostrare
l'unicità della parallela per un punto esterno ad una retta data, qui entra in
campo il postulato delle parallele); quindi il sistema euclideo, pur privato di P5,
sarebbe contraddittorio se si assumesse P5". Devono perciò essere modificate
altre assunzioni.
Ora, senza entrare nel merito di questioni troppo tecniche, diciamo che
l'assunzione dell'assioma ellittico P5" conduce a due diversi tipi di geometria
ellittica: la geometria sferica (di cui ci occuperemo noi) e il sistema geometrico
in cui punti diametralmente opposti sulla sfera vengono identificati. Si parla
rispettivamente di geometria ellittica doppia (double elliptic geometry) e di
geometria ellittica semplice (single elliptic geometry). Sia in un caso che
nell'altro oltre all'assunzione dell'assioma ellittico al posto del quinto postulato
occorre modificare altre delle assunzioni euclidee; in particolare in geometria
ellittica doppia, la geometria sulla sfera di cui ci occuperemo, cade l'assunzione
che per due punti passi un'unica retta e le rette saranno linee chiuse, di
lunghezza finita ma illimitate, nel senso che potremo percorrerle senza mai
arrestarci.
Noi ci occuperemo dunque della geometria sulla superficie di una sfera che
rappresenta un modello di geometria ellittica doppia. In questo modello
interpreteremo come piano la superficie della sfera, come punto un punto della
superficie sferica e come retta una circonferenza massima. Lavoreremo a lungo
su questo modello: il nostro principale obiettivo didattico è darne una
giustificazione sul piano intuitivo e in particolare rendere "ragionevole" l'idea
che le circonferenze massime, che a noi appaiono come linee curve, debbano
invece considerasi nel modello come linee rette.
La geometria sulla sfera è il modello più semplice di geometria non euclidea ed
è quello più vicino alla nostra intuizione. E' un modello che qualsiasi studente
di scuola superiore che si avvicini alla geometria euclidea dovrebbe conoscere
sia per ampliare il suo orizzonte concettuale sia per capire meglio la stessa
geometria di Euclide.
4. La geometria sulla sfera
Immaginiamo che il nostro ambiente geometrico non sia più il piano euclideo
ma la superficie di una sfera. Il piano e la superficie di una sfera sono
entrambi ambienti geometrici bidimensionali, diremo anche: spazi a due
dimensioni. Useremo due simboli: E2 per il piano euclideo, S2 per la superficie
di una sfera (il 2 che compare in alto a destra delle lettere sta a ricordarci che
si tratta di ambienti che hanno dimensione 2).
Gli enti geometrici su cui si basa la geometria nel piano euclideo sono punti e
rette; quali sono gli enti corrispondenti sulla superficie di una sfera? Ai punti
del piano corrispondono naturalmente i punti di S2. Ma cosa dobbiamo
intendere per "linea retta" sulla superficie di una sfera?
Ogni piano che tagli una sfera determina per sezione un cerchio; i cerchi
sezione hanno naturalmente raggi diversi: si va da una situazione limite di
raggio nullo (il cerchio sezione degenera in un punto, il piano è tangente) alla
situazione in cui il raggio è massimo ed è uguale al raggio della sfera. In
quest'ultimo caso il piano che sega la sfera passa per il centro della sfera:
diremo che la sezione è un cerchio massimo e sulla superficie sferica viene
individuata una circonferenza massima.
Dobbiamo ora esaminare due semplici ma importanti proprietà delle
circonferenze massime. Ci serve prima una definizione: due punti P e P' sulla
superficie di una sfera si dicono antipodali o opposti se sono allineati con il
centro O della sfera (anche questa è una definizione estrinseca). Ad esempio i
punti P e P' e i punti Q e Q' della figura seguente sono antipodali (mentre non
lo sono P e Q).
Ecco le due proprietà.
Proprietà 1 Per ogni punto P sulla superficie di una sfera passano infinite
circonferenze massime.
Proprietà 2 Sulla superficie di una sfera, per ogni coppia P, Q di punti non
antipodali passa una e una sola circonferenza massima.
Per la seconda osserveremo che per tre punti non allineati P, Q ed O passa uno
e un solo piano che, contenendo O, individua sulla superficie della sfera
un'unica circonferenza massima (P, Q ed O non sono allineati perchè, per
ipotesi, P e Q non sono antipodali). E' chiaro invece che se i punti sono
antipodali per essi passano infinite circonferenze massime.
Notate che qui si utilizza una proprietà euclidea dei piani: per tre punti non
allineati dello spazio passa uno e un solo piano. Si tratta di una proprietà
intuitivamente evidente che in una trattazione formale verrebbe assunta come
assioma.
Tutti sanno che il percorso più breve che collega due punti P e Q nel piano
euclideo è un segmento di linea retta. Le rette sono dunque caratterizzate da
una proprietà di "minimo":
Una volta determinato il percorso minimo tra due punti sulla superficie sferica
abbiamo anche introdotto una nozione intrinseca di distanza tra due punti: è
la lunghezza dell'arco minore di circonferenza massima che collega P con Q; se
i due punti fossero antipodali assumeremo come loro distanza la lunghezza di
una semicirconferenza massima.
L'analogia tra le proprietà 1 e 2 è molto forte. Le linee rette del piano euclideo
sono caratterizzate come "linee più brevi" così come lo sono le circonferenze
massime di S2. L'unica differenza, come si è detto, consiste nella non unicità
del percorso minimo quando si considerano, su S 2, punti antipodali. Ma il caso
dei punti antipodali può essere considerato come un caso eccezionale; se
considerassimo su S2 solamente punti "abbastanza vicini" il problema non si
porrebbe.
Distanza(P, Q)
La distanza è uguale a solo se i punti sono antipodali. I punti antipodali sono
i punti più lontani possibile.
7. Il concetto unificante di linea geodetica
Definizione Diremo che una linea tracciata sulla superficie è una linea
geodetica se ogni arco non troppo lungo di , i cui estremi siano i punti A e B,
è il percorso più breve da A a B tra tutti quelli tracciabili su .
Ci si rende subito conto che le linee geodetiche del piano euclideo sono le
rette; ci si rende anche conto, sulla base di quanto detto nei paragrafi
precedenti, che le circonferenze massime sono le geodetiche sulla superficie di
una sfera tenendo presente che, sulla sfera, archi non troppo lunghi di
circonferenze massime sono necessariamente archi minori.
Osservate la figura seguente. Sulla prima sfera è stata tracciata una geodetica
(una circonferenza massima), sulla seconda una linea che non è una geodetica
(una circonferenza minore, cioè una circonferenza ottenuta come sezione
mediante un piano che non passa per il centro della sfera); tra poco ci
renderemo conto che comunque presi due punti A e B su una circonferenza
minore, l'arco (minore) AB non rappresenta mai il percorso minimo tra A e B.
Vedete poi la situazione analoga nel piano euclideo: una retta, quindi una
geodetica, e una circonferenza (qualsiasi) che non è mai una geodetica.
La nozione di linea geodetica è piuttosto astratta ma proprio per questo
unificante: enti geometrici che siamo abituati a pensare come sostanzialmente
diversi (ad esempio rette euclidee di E 2 e circonferenze massime di S 2)
diventano casi particolari di un concetto generale di "linea più breve". Ed è
proprio l'idea intuitiva di "linea più breve" o di "linea più dritta" che aiuta ad
avvicinarci a questo nuovo concetto.
Da una punto di vista matematico il termine spazio viene spesso usato al posto
di ambiente geometrico. E un ambiente geometrico può avere una, due, tre
dimensioni (o anche più di tre). Ad esempio, possiamo considerare una retta
come uno spazio a una dimensione. La nozione matematica di spazio è molto
più generale e astratta di quella del linguaggio comune.
Osservando la figura seguente potete rendervi conto che nel caso del primo
percorso le ruote del carrellino in figura si muovono su paralleli simmetrici
rispetto all'equatore quindi percorrono la stessa distanza; nel secondo percorso
la ruota più a nord percorre invece una distanza minore di quella più a sud
(stiamo curvando).
9. Circonferenze intrinseche
Sappiamo bene che una circonferenza è, nel piano euclideo, il luogo dei punti
equidistanti da un punto dato (il centro). Applichiamo la stessa definizione a
S2, tenendo conto delle distanze intrinseche da P. Nella figura seguente è
rappresentata una circonferenza intrinseca di centro P e raggio s.
Come vedete una circonferenza intrinseca è una circonferenza anche dal punto
di vista estrinseco (possiamo ottenerla tagliando la superficie sferica con un
piano) ma da un punto di vista estrinseco avrebbe centro e raggio diversi;
osservate infatti la figura seguente: il centro estrinseco è P' e il raggio
estrinseco s'.
r'=sen r
c=2 sen r
c/(2r) = sen r / r
c/(2r)=
infatti si ha
lim sen r / r =
r0
ricordando che
lim sen r / r = 1
r0
E' inoltre facile dimostrare che l'area del cerchio in funzione del raggio
intrinseco r è data dalla formula
4 sen²(r/2)
10. La geometria sulla sfera è non euclidea
E' anche facile intendersi su cosa siano gli angoli e su come misurarli. Una
creatura bidimensionale definirebbe gli angoli proprio come lo facciamo noi:
due circonferenze massime individuano sulla sfera quattro regioni ciascuna
delle quali è un angolo (angolo sferico o fuso sferico). Per misurare gli angoli
potrebbe riferirsi all'angolo giro. Potrebbe ruotare su se stessa, rimanendo
quindi nello stesso punto della superficie, e compiere un giro completo; poi
potrebbe dividere tale rotazione in 360 parti. Questo è il punto di vista
intrinseco. Per comodità daremo anche una definizione estrinseca della
misura di un angolo che conduce a valori identici a quelli intrinseci: la misura
dell'angolo individuato da due segmenti con un estremo in comune è la misura
dell'angolo (diedro) formato dai due piani che contengono le circonferenze
massime su cui giacciono i segmenti.
Nella figura seguente, ad esempio, si vedono due diversi angoli determinati dai
segmenti AB e AC: un angolo di 60° e un angolo retto (in questo secondo caso
i due segmenti sono perpendicolari in A). Naturalmente i due segmenti AB e AC
sono archi geodetici cioè giacciono su circonferenze massime; i piani color
arancione che si vedono in figura sono quelli che contengono tali circonferenze
massime. Nel secondo caso, quello dell'angolo retto, la sfera resta divisa dai
due piani in quattro parti uguali (pensate di tagliare un'arancia in quattro
spicchi). Riferendoci sempre al secondo angolo in figura, diremo inoltre che le
due rette AB e AC sono perpendicolari in A.
11. Area di un fuso sferico
E' anche evidenziato l'angolo del fuso. Si capisce che l'area di un fuso è
direttamente proporzionale all'angolo del fuso (che può variare tra 0° e 180°);
si può quindi scrivere la proporzione
: = A : 2
A = 2
E' infine evidente che l'area del doppio fuso sferico della figura seguente è A =
4
12. Proprietà delle Geometrie Non-Euclidea.
Proprietà 1 Per due punti del piano euclideo passa una e una sola retta; lo
stesso accade per due punti non antipodali di S 2, ma per due punti
antipodali passano infinite rette.
Proprietà 2 Due rette euclidee hanno al più un punto in comune mentre due
rette di S2 hanno sempre due punti in comune; nella figura seguente
vedete due rette r ed s che si incontrano nei punti A e B (A e B sono
necessariamente antipodali).
Proprietà 3 Nel piano euclideo esistono rette parallele mentre non esistono
rette parallele (cioè rette che non si intersechino) in S2.
Proprietà 4 Nel piano euclideo esiste una e una sola retta passante per un
dato punto P e perpendicolare a una data retta s; in S2 ciò è vero se e solo se
P non è un polo per s (vedi figura seguente).
Teorema: In S2 per un punto P passa una e una sola perpendicolare alla retta
s se e solo se P non è un polo per s.
Proprietà 7 Di tre punti qualsiasi di una retta euclidea, uno e uno solo sta fra
gli altri due; la stessa cosa non si può dire per una retta di S 2 trattandosi di
una linea chiusa.
Nella figura vedete un triangolo sferico: i suoi tre lati sono naturalmente
segmenti di S2, cioè archi geodetici. Da un punto di vista intrinseco
dovremmo parlare semplicemente di triangolo. Cerchiamo di definire più
precisamente un triangolo sferico.
Nel piano euclideo tre punti non allineati individuano uno e un sol triangolo:
basta collegare coppie di punti con un segmento.
Le cose si complicano su S2. In primo luogo due punti non antipodali possono
essere collegati con due diversi segmenti (un arco minore e un arco maggiore
di circonferenza massima, come si vede nella figura di seguito). Stabiliamo
allora di considerare solo archi minori.
C'è poi da osservare che tre archi minori, non disposti (a due a due) sulla
stessa circonferenza massima e aventi a coppie un estremo in comune,
delimitano due regioni sulla sfera.
Chiamiamo allora triangolo sferico quella regione, delle due, che ha area
minore. In tal modo tre archi minori individuano un'unica regione triangolare
che ha sempre area minore della superficie di una semisfera.
Non deve sorprenderci il fatto che per i triangoli sferici non valga la proprietà
euclidea della somma degli angoli di un triangolo. Come si è già detto tale
proprietà discende dall'esistenza di rette parallele e dal quinto postulato di
Euclide e, come sappiamo, nella geometria di S2 non sussistono tali
presupposti mentre vale l'assioma ellittico.
14. Somma degli angoli di un triangolo sferico
Siamo ora pronti per dimostrare il teorema fondamentale sui triangoli sferici.
Assumeremo come sempre una sfera unitaria e misureremo gli angoli in
radianti.
S=++
Consideriamo ora i tre doppi fusi della figura seguente: il primo è individuato
dalle circonferenze massime r ed s, il secondo da s e t, il terzo da r e t. Gli
angoli dei fusi sono gli angoli del nostro triangolo cioè sono rispettivamente ,
, .
Quindi, tenendo conto che i due triangoli ABC e A'B'C' hanno la stessa area e
applicando la formula che fornisce l'area di un doppio fuso, si ha
4 = 4+4+4-4A
dove abbiamo indicato con A l'area del nostro triangolo ABC. Ne segue la
formula
++ = +A
Tanto maggiore è l'area del triangolo, tanto più la somma degli angoli si
discosta da . Per triangoli di area molto piccola rispetto a la nostra formula
ci fornisce valori quasi euclidei per la somma degli angoli. In altri termini le
due formule
+ + = (Formula euclidea)
e
+ + = + A (formula ellittica)
Il ruolo di
precedente diventa
4 r2 = 4 r2 + 4 r2 + 4 r2 - 4A
Ne segue
+ + = + A/r2
++=+E
Nel paragrafo precedente abbiamo accennato al fatto che, sulla sfera, figure
simili sono addirittura congruenti. Non esistono quindi, in geometria sferica,
figure di stessa forma ma di dimensioni diverse.
Rotazioni attorno ad un asse che passi per il centro della sfera. Sono
queste le isometrie dirette cioè quelle che corrispondono ad un
movimento rigido fisicamente realizzabile rimanendo sulla superficie della
sfera.
Riflettete sul fatto che le simmetrie centrali, potendosi ottenere nello spazio
componendo una rotazione di 180° rispetto ad un asse e una simmetria
rispetto ad un piano, sono isometrie inverse.
Vogliamo ora convincerci, sul piano intuitivo, che non esistono sulla sfera
figure simili (che non siano addirittura congruenti). Detto in altro modo,
vogliamo convincerci che non possiamo ingrandire o ridurre una figura
conservandone la forma. Esaminiamo allora due situazioni analoghe: una
serie di triangoli equilateri nel piano euclideo e una serie di triangoli equilateri
in S2. Vediamo come esempio il caso di un triangolo equilatero. Un triangolo
equilatero è definito in geometria sferica esattamente nello stesso modo in
cui lo definiamo nel piano: è un triangolo i cui tre lati sono uguali.
Come si vede, i triangoli equilateri euclidei hanno gli angoli costantemente
uguali a 60° mentre nei triangoli sferici gli angoli (che rimangono tra loro
uguali) aumentano all'aumentare della lunghezza del lato. Quindi la forma non
si conserva. Anche a colpo d'occhio si capisce che il triangolo equilatero più
piccolo non ha la stessa forma di quello più grande: all'aumentare del lato, il
triangolo tende ad una situazione limite in cui i tre angoli sono di 180° e i tre
lati sono allineati su una circonferenza massima cioè su una retta! Non
dovremmo però meravigliarci, la somma degli angoli di un triangolo non si
conserva come avviene nel piano euclideo ma varia al variare del triangolo,
aumenta all'aumentare dell'area del triangolo. Notiamo inoltre che il triangolo
equilatero più piccolo, quello di area relativamente piccola rispetto alla
superficie sferica, è "quasi" euclideo, ha una forma "quasi" euclidea, i suoi
angoli sono di poco maggiori di 60°.
18. Il teorema di Pitagora sulla sfera
Diciamo subito che il teorema di Pitagora nella sua formulazione classica non è
più valido nella geometria sulla sfera.
a2 + b2 > c2
s : 2 r = : 2
da cui segue
s=r
a=r
b=r (1)
c=r
AB = |A||B|cos
e quindi
cos = AB/(|A||B|)
dove il simbolo |A| indica il modulo del vettore A cioè
cos = AB/(|A||B|) =
r2 cos cos / r2 =cos cos
tenendo presente che
|A| = r
|B| = (r cos cos +r2 cos2 sin2 +r2 sin2) = r
2 2 2
Teorema Su una sfera di raggio r, per un triangolo rettangolo i cui cateti siano
lunghi a e b e l'ipotenusa sia lunga c si ha
Vogliamo ora renderci conto che la relazione trovata per i triangoli rettangoli
sferici si riduce al classico teorema di Pitagora per il piano quando il raggio
della sfera tende all'infinito (ferme restando le lunghezze dei lati). Che debba
essere così lo si intuisce; pensate ad esempio ad un piccolo lago sulla
superficie terrestre: è indistinguibile da una regione piana dato il grande
raggio della Terra.
cos(c/r) 1 - c2/(2r2)
cos(a/r) 1 - a2/(2r2)
cos(b/r) 1 - b2/(2r2)
(nota che al crescere di r gli argomenti c/r, a/r, b/r tendono a zero e dunque
tanto più grande è r, tanto migliore è l'approssimazione). La nostra relazione
allora diventa
c2 b2 + a2 - a2b2/(2r2)
c2 = a2 + b2
cos(a)=cos(a)cos(c)+sin(b)sin(c)cos()
sin()/sin(a)=sin( )/sin(b)=sin()/sin(c)
sia rettangolo
Si noti che il teorema di Carnot, nel caso in cui il triangolo sferico ABC
in A, è un’estensione del teorema di Pitagora nella geometria ellittica. Anche per
questi teoremi , nel caso in cui gli archi a, b e c sono molto minori del raggio si
ottegno, rispettivamente, il teorema di geometria piana di Carnot
sin()/a=sin( )/bsin()/b
dove e sono, rispettivamente, gli angoli opposti ai lati del triangolo generico a,b e
c.
Osservazione. Nel geometria sulla sfera gli archi sono stati misurati in radianti. Se
però vogliamo confrontare triangoli appartenenti a sfere di raggio diverso, nella tesi
del teorema di Carnot dobbiamo sostiuire i rapporti agli archi a, b e c il loro
corrispettivi: a/r, b/r, e c/r, dove r è il raggio della sfera Σ a cui appartiene il triangolo
.
ABC
20. La geometria ellittica e la teoria della Relatività generale
Nella geometria euclidea la distanza fra punti “infinitamente vicini” è data dalla
relazione
ds2=dx2+dy2+dz2
e si può ben notare l’analogia con il teorema di Pitagora e l’usuale formula di distanza
in R3.
ds2 = g11 dx2 +g12 dxdy+g13dydx+g21dydx+g22 dy2 +g23 dydz+g31 dzdx+g32 dzdy+g33 dz2
(4)
Più precisamente la (4) deve rappresentare una forma bilineare simmetrica e definita
positiva. Uno spazio con una metrica siffatta è detto spazio riemanniano
ii) Inoltre la (4) mette in evidenza che lo spazio va studiato non tanto nella sua
globalità quanto nel suo comportamento locale e quindi nella sua struttura
infinitesima. Quindi Riemann arrivava ad affermare che allo spazio fisico possono
essere applicate indifferentemente proprietà metriche diverse.
L’applicazione di una certa metrica, dunque, altro non è che un’ipotesi. Tutto ciò che
dello spazio fisico si può dire è che esso è continuo, illimitato e a tre dimensioni e che
la geometria euclidea contribuisce sufficientemente a spiegare fenomeni della fisica
classica.
Ma all’inizio del XX secolo, Eistein formulò la teoria della Relativià Generale la quale
prevede che lo spazio-tempo in presenza di sorgenti di campo gravitazionale non sia
euclideo.
ds2=gdxdx (8)
dove i coefficienti g sono in generale non costanti, e dipendono dalle coordinate
spazio-temporali x (t,x,y,z).
Nella teoria della relatività generale si postula che il moto di una particella collocata in
un campo gravitazionale sia una linea che s’identifica con una geodetica. Per
determinare la geodetica che congiunge due punti, problema del moto in un campo
gravitazionale, occorre conoscere i coefficienti della metrica
L’equazione di Einstein stabiliscono una relazione tra i valori della metrica e il tensore
energia-impuslo che rappresenta lo stato energetico del sistema, e rappresenta
l’estensione relativistica dell’equazione di Poisson che fornisce il valore del potenziale
gravitazionale in funzione della densità di materia della sorgente. In conclusione, ciò
che in fisica classica si schematizza col concetto di forza altri non è che l’effetto della
curvatura dello spazio tempo in presenza di sorgenti costituite da massa ed energia.
Gli altri due casi, cioè universo piatto ed aperto (iperbolico), corrispondono
rispettivamente a densità di energia pari e minore di quella critica.
Osservazioni sperimentali attuali ci dicono che l’universo è piatto con errore di
circa il 5%, ossia la densità di energia misurata è molto vicina al valore critico.