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Geometria Ellittica

Il modello di Riemann
Tesina di Fondamenti della Geometria
(Prof. Biancofiore)

Gruppo di Lavoro:
Paolo Di Mascio
Nicola Rossi

IX Ciclo SSIS – II anno, Classe A049 - Indirizzo FIM, A.A. 2008/2009


1. La somma degli angoli di un triangolo

Sappiamo che la somma degli angoli di un triangolo, di qualsiasi triangolo, è


di 180°.

Potremo fare delle verifiche sperimentali, misurando gli angoli di alcuni


triangoli: verificheremo, con una certa approssimazione, che la somma dei tre
angoli è sempre uguale ad un angolo piatto

Ma una proprietà così importante meriterebbe una maggiore riflessione.


Questa proprietà euclidea dei triangoli, all'apparenza così innocua, nasconde
infatti una delle questioni più profonde della matematica. Una questione che ha
impegnato i matematici per oltre due millenni.

Il grande matematico tedesco Carl Friedrich Gauss (1777-1855) non era del
tutto convinto che la somma degli angoli di un triangolo fosse realmente di
180° tanto che nel 1820, avendo avuto l'incarico di eseguire rilevamenti
cartografici dallo stato di Hannover, ebbe cura di eseguire delle misurazioni su
grandi triangoli i cui vertici si trovavano sulle cime di montagne (visibili
nonostante la curvatura della terra).

Il più grande di questi triangoli aveva come vertici le cime dei monti
Hohenhagen, Brocken e Inselberg, e il lato maggiore misurava 107 km.
Progettò egli stesso un raffinato strumento ottico in grado di riflettere un
raggio luminoso in una sola direzione. Ma gli esperimenti non mostrarono alcun
apprezzabile scostamento dalla previsione euclidea: lo somma degli angoli
risultò di 180°, nei limiti dell'accuratezza degli strumenti. Non è irrilevante,
però, che Gauss nutrisse questo dubbio; in realtà Gauss dubitava, come
vedremo, del carattere euclideo dello spazio.

Allora, perché la somma degli angoli di un triangolo è, nel piano euclideo, di


180°? Per rispondere dobbiamo occuparci di alcune questioni cruciali
concernenti le rette parallele.
2. Rette parallele. I postulati di Euclide

Nella figura qui sotto la retta r è fissa mentre la retta s può ruotare in senso
antiorario attorno al punto P. Indichiamo con Q il punto in cui r ed s si
incontrano.

Man mano che s ruota si vede che il punto Q si allontana verso est sulla retta r.
Il punto Q si muove con continuità su r: piccole rotazioni di s determinano
piccoli spostamenti di Q (e viceversa). Q assume via via tutte le posizioni
possibili su r, "passa" per tutti i punti di r.

Il punto Q dunque si allontana sempre più sulla retta r. Si intuisce però che
esiste una (e una sola) situazione in cui sembra proprio che le due rette non si
intersechino e quindi Q non esista. In questa situazione le due rette si dicono
parallele.

Continuando a ruotare s ci accorgiamo che il punto Q ricompare su r, questa


volta però Q è a ovest. Eccoci arrivati a un punto cruciale.
Nella geometria euclidea si assume, assecondando l'intuizione, che per un
punto P non appartenente alla retta r passi una e una sola retta s parallela a r
(tale cioè che r e s non si incontrino). Tale assunzione non è altro che il quinto
postulato di Euclide. Qui di seguito sono elencati i postulati su cui Euclide
(300 avanti Cristo) fondò, negli Elementi, il castello della sua geometria:

 (P1) Da ogni punto a ogni altro punto è possibile condurre una linea
retta.

Euclide non postula esplicitamente che per due punti passi un'unica retta,
ma assume tacitamente che sia così.

 (P2) Un segmento di linea retta può essere indefinitamente prolungato in


linea retta.

 (P3) Attorno ad un centro scelto a piacere è possibile tracciare una


circonferenza con raggio scelto a piacere.

 (P4) Tutti gli angoli retti sono uguali.

Euclide ha già dato la definizione di angolo retto: se una retta r innalzata da


un'altra retta s forma con essa angoli adiacenti uguali fra loro, ciascuno dei
due angoli è retto. Il postulato P4 è necessario per garantire che gli angoli
ottenuti con un'altra costruzione di questo tipo, relativa alle rette r' e s',
sono uguali ai precedenti. Il postulato P4 dimostra una notevole raffinatezza
logica da parte di Euclide e afferma in sostanza che il piano è uniforme (nel
senso che la costruzione predetta fornisce sempre gli stessi angoli, in
qualsiasi parte del piano venga eseguita).

 (P5) In un piano, per un punto fuori di una retta data si può condurre
una e una sola parallela a tale retta (due rette si diranno, con Euclide,
parallele, quando non si incontrano).

In realtà Euclide formulò il quinto postulato in una forma diversa da quella


qui riportata ma ad essa del tutto equivalente.
3. Il quinto postulato

Per secoli i matematici hanno ritenuto che il quinto postulato dovesse essere
una conseguenza dei primi quattro e si sono adoperati, inutilmente, per
dimostrarlo. Tanta ostinazione da parte degli studiosi di geometria nel cercare
di dimostrare il postulato delle parallele - a cominciare da Proclo (IV secolo
a.C.) fino a Saccheri (1667-1733) e Lambert (1728-1777) - non risiedeva nel
fatto che essi dubitassero della sua verità (nessuno dubitava che la geometria
euclidea fosse l'unica geometria possibile) ma nel carattere essenzialmente
diverso che il quinto postulato aveva rispetto agli altri. I primi quattro postulati
sembravano godere di una maggiore evidenza; nel quinto postulato entrava
infatti in gioco una proprietà che non è verificabile in una regione finita di
piano (dire che due rette sono parallele equivale a dire che non si incontrano
per quanto possano essere prolungate). Per di più Euclide aveva introdotto
molto tardi, negli Elementi, il quinto postulato dimostrando prima ben 28
teoremi; ciò faceva ritenere che lo stesso Euclide nutrisse qualche dubbio sul
fatto che tale asserzione non potesse discendere dai primi quattro postulati.
Questo enorme sforzo di studio e di ricerca, per quanto in alcuni casi si
avvalesse di sottili argomentazioni logiche, non portò che a una serie di
dimostrazioni sbagliate; nessuno, prima di Gauss, Lobacevskij e Bolyai, accettò
l'idea che il problema così come era posto non poteva essere risolto (cioè
nessuno accettò l'idea che il postulato delle parallele fosse logicamente
indipendente dai primi quattro) e che quindi si fosse autorizzati, sul piano
logico, a sostituire il quinto postulato con un'assunzione alternativa
sviluppando così una nuova geometria.

Bisogna aspettare la prima metà del 1800 perché la questione venga affrontata
in modo radicalmente diverso dal russo Lobacevskij e dall'ungherese Bolyai; i
due matematici si convinsero infatti, l'uno indipendentemente dall'altro, che il
quinto postulato non fosse una conseguenza dei precedenti e lo
sostituirono con un'ipotesi alternativa:

 (P5') Per un punto che giace al di fuori di una retta si possono tracciare
più rette che non incontrino la retta data.

Svilupparono così uno dei due possibili rami della geometria non euclidea: la
geometria non euclidea iperbolica. Lobacevskij pubblicò il suo lavoro nel 1829
e Bolyai nel 1832. Prima di loro, tuttavia, anche il grande Gauss (1777-1855)
era arrivato a conclusioni e risultati simili senza tuttavia pubblicarli.

Il primo modello di geometria iperbolica fu dato nel 1868 dal matematico


italiano Eugenio Beltrami (1835-1900). Un secondo importante modello per la
geometria iperbolica è quello di Henri Poincaré (1854-1912). Un modello di un
sistema assiomatico è un insieme "concreto" di oggetti geometrici che
verifichino gli assiomi del sistema. Nei modelli di Beltrami e Poincaré sono
verificati tutti gli assiomi euclidei tranne il quinto postulato ed è inoltre
verificato l'assioma P5' (negazione di P5). Si chiude così la millenaria questione
dell'indipendenza logica del quinto postulato: esistono sistemi geometrici
alternativi a quello euclideo del tutto ragionevoli e dotati di coerenza interna in
cui i postulati P1-P4 "convivono" con la negazione di P5. Il quinto postulato è
dunque indimostrabile.

Si osservi che il quinto postulato può essere negato anche in un altro modo:

 (P5") (Assioma ellittico o di Riemann) Tutte le rette passanti per un


punto che giace al di fuori di una retta data incontrano tale retta (quindi
due rette si intersecano sempre, non esistono rette parallele).

Si arriva così all'altro possibile ramo della geometria non euclidea: la


geometria ellittica sviluppata da Riemann (dissertazione presso l'università di
Gottinga del 1854,).

Bisogna dire che l'assioma P5" porta con sé una profonda modificazione del
sistema euclideo (intendendo con sistema euclideo sia l'insieme dei postulati
esplicitamente dichiarati sia l'insieme di quelli tacitamente assunti). Nel
sistema euclideo si può infatti dimostrare l'esistenza di rette parallele anche
senza mettere in gioco il quinto postulato (mentre non è possibile dimostrare
l'unicità della parallela per un punto esterno ad una retta data, qui entra in
campo il postulato delle parallele); quindi il sistema euclideo, pur privato di P5,
sarebbe contraddittorio se si assumesse P5". Devono perciò essere modificate
altre assunzioni.

Ora, senza entrare nel merito di questioni troppo tecniche, diciamo che
l'assunzione dell'assioma ellittico P5" conduce a due diversi tipi di geometria
ellittica: la geometria sferica (di cui ci occuperemo noi) e il sistema geometrico
in cui punti diametralmente opposti sulla sfera vengono identificati. Si parla
rispettivamente di geometria ellittica doppia (double elliptic geometry) e di
geometria ellittica semplice (single elliptic geometry). Sia in un caso che
nell'altro oltre all'assunzione dell'assioma ellittico al posto del quinto postulato
occorre modificare altre delle assunzioni euclidee; in particolare in geometria
ellittica doppia, la geometria sulla sfera di cui ci occuperemo, cade l'assunzione
che per due punti passi un'unica retta e le rette saranno linee chiuse, di
lunghezza finita ma illimitate, nel senso che potremo percorrerle senza mai
arrestarci.

Noi ci occuperemo dunque della geometria sulla superficie di una sfera che
rappresenta un modello di geometria ellittica doppia. In questo modello
interpreteremo come piano la superficie della sfera, come punto un punto della
superficie sferica e come retta una circonferenza massima. Lavoreremo a lungo
su questo modello: il nostro principale obiettivo didattico è darne una
giustificazione sul piano intuitivo e in particolare rendere "ragionevole" l'idea
che le circonferenze massime, che a noi appaiono come linee curve, debbano
invece considerasi nel modello come linee rette.
La geometria sulla sfera è il modello più semplice di geometria non euclidea ed
è quello più vicino alla nostra intuizione. E' un modello che qualsiasi studente
di scuola superiore che si avvicini alla geometria euclidea dovrebbe conoscere
sia per ampliare il suo orizzonte concettuale sia per capire meglio la stessa
geometria di Euclide.
4. La geometria sulla sfera

Immaginiamo che il nostro ambiente geometrico non sia più il piano euclideo
ma la superficie di una sfera. Il piano e la superficie di una sfera sono
entrambi ambienti geometrici bidimensionali, diremo anche: spazi a due
dimensioni. Useremo due simboli: E2 per il piano euclideo, S2 per la superficie
di una sfera (il 2 che compare in alto a destra delle lettere sta a ricordarci che
si tratta di ambienti che hanno dimensione 2).

Il concetto di dimensione di un oggetto geometrico ha un suo fondamento


intuitivo: un punto ha dimensione 0, tutte le linee hanno dimensione 1, tutte le
superfici hanno dimensione 2, tutte le figure solide hanno dimensione 3. Se
tuttavia si vuole approfondire tale concetto si può ricorrere ai sistemi di
coordinate. Sia nel caso di E2 che nel caso di S2 abbiamo bisogno di due
parametri continui (cioè di due coordinate) per individuare un punto P.

Nel caso di E2 si tratta delle normali coordinate cartesiane (ascissa e ordinata),


nel caso di S2 si tratta delle coordinate geografiche (longitudine e latitudine,
che sono misure angolari). E' importante osservare che la corrispondenza tra
punti e coordinate, oltre ad essere biunivoca, è, in entrambi i casi, bicontinua:
se variamo di poco la posizione di P, cambieranno di poco le sue coordinate (e
viceversa).
La superficie di una sfera è, come si è detto, un oggetto geometrico
bidimensionale; ma possiamo concepirlo solo se immerso nello spazio
tridimensionale. La stessa definizione di superficie sferica come luogo di punti
dello spazio che hanno la stessa distanza da un punto dato O (il centro della
superficie sferica) richiede una terza dimensione. E tuttavia degli esseri
bidimensionali che fossero confinati sulla superficie di una sfera potrebbero
benissimo studiare la geometria di questo "mondo" bidimensionale. Inutile dire
che un essere bidimensionale percepirebbe la superficie della sfera, cioè il suo
mondo, in modo ben diverso da come lo percepiamo noi. Il punto di vista
di un essere bidimensionale, nello studio della geometria della sfera, lo
chiameremo intrinseco. La cosa è tutt'altro che banale, un essere
bidimensionale non ha la minima idea di cosa sia lo spazio tridimensionale così
come noi non abbiamo la più pallida intuizione di cosa sia un spazio a quattro
dimensioni. Chiameremo invece estrinseco il nostro punto di vista
tridimensionale che ci consente di contemplare la superficie di una sfera
immersa nello spazio.
5. Circonferenze massime

Gli enti geometrici su cui si basa la geometria nel piano euclideo sono punti e
rette; quali sono gli enti corrispondenti sulla superficie di una sfera? Ai punti
del piano corrispondono naturalmente i punti di S2. Ma cosa dobbiamo
intendere per "linea retta" sulla superficie di una sfera?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo fare alcune osservazioni


(estrinseche) sulla geometria della sfera.

Ricordiamo in primo luogo le definizioni di sfera e superficie sferica. Indichiamo


con O un punto dello spazio e con r un numero reale positivo (raggio).
Chiameremo sfera l'insieme dei punti dello spazio ordinario (euclideo) che
hanno distanza minore o uguale a r da O (il centro della sfera); chiameremo
superficie sferica l'insieme dei punti che hanno distanza uguale a r da O. La
sfera è un oggetto tridimensionale mentre la superficie sferica è un oggetto
bidimensionale costruito nello spazio tridimensionale. Osserva la figura
seguente: il punto verde è il centro della sfera, il punto giallo ha distanza dal
centro minore del raggio ed è quindi un punto della sfera, il punto azzurro ha
distanza uguale al raggio ed è un punto della superficie sferica.

Ogni piano che tagli una sfera determina per sezione un cerchio; i cerchi
sezione hanno naturalmente raggi diversi: si va da una situazione limite di
raggio nullo (il cerchio sezione degenera in un punto, il piano è tangente) alla
situazione in cui il raggio è massimo ed è uguale al raggio della sfera. In
quest'ultimo caso il piano che sega la sfera passa per il centro della sfera:
diremo che la sezione è un cerchio massimo e sulla superficie sferica viene
individuata una circonferenza massima.
Dobbiamo ora esaminare due semplici ma importanti proprietà delle
circonferenze massime. Ci serve prima una definizione: due punti P e P' sulla
superficie di una sfera si dicono antipodali o opposti se sono allineati con il
centro O della sfera (anche questa è una definizione estrinseca). Ad esempio i
punti P e P' e i punti Q e Q' della figura seguente sono antipodali (mentre non
lo sono P e Q).
Ecco le due proprietà.

Proprietà 1 Per ogni punto P sulla superficie di una sfera passano infinite
circonferenze massime.

Proprietà 2 Sulla superficie di una sfera, per ogni coppia P, Q di punti non
antipodali passa una e una sola circonferenza massima.

Le due proprietà si dimostrano facilmente. Per la prima osserveremo che per


un punto P e il centro O passano infiniti piani (possono ruotare liberamente
attorno all'asse PO): ciascuno di essi, passando per il centro O, stacca sulla
superficie della sfera una circonferenza massima. Nella figura seguente ne
vedete ad esempio tre.

Per la seconda osserveremo che per tre punti non allineati P, Q ed O passa uno
e un solo piano che, contenendo O, individua sulla superficie della sfera
un'unica circonferenza massima (P, Q ed O non sono allineati perchè, per
ipotesi, P e Q non sono antipodali). E' chiaro invece che se i punti sono
antipodali per essi passano infinite circonferenze massime.
Notate che qui si utilizza una proprietà euclidea dei piani: per tre punti non
allineati dello spazio passa uno e un solo piano. Si tratta di una proprietà
intuitivamente evidente che in una trattazione formale verrebbe assunta come
assioma.

Ora un'osservazione più sottile. Le dimostrazioni precedenti si fondano sulle


proprietà dell'ordinario spazio euclideo. Dunque la costruzione del nostro
modello di geometria non euclidea (la geometria sulla sfera) e lo
studio delle sue proprietà si basa sulla geometria euclidea dello spazio
ordinario. Utilizziamo la geometria euclidea per costruire un modello
non euclideo.

Adesso attenzione, siamo arrivati a un punto cruciale: la proprietà 2 delle


circonferenze massime ci fornisce un "indizio" molto forte su ciò che
potrebbero essere, sulla superficie di una sfera, le linee "rette". Ragioneremo
per analogia. Nel piano euclideo una retta è individuata in modo univoco da
due punti ed è l'unica linea a godere di questa proprietà (ad esempio per
individuare una circonferenza ci vogliono tre punti).
Analogamente sulla superficie di una sfera una circonferenza massima è
individuata in modo univoco da due punti purché non siano antipodali. Se si
esclude il caso di punti antipodali, che potremmo assumere come una sorta di
eccezione, per due punti passa una e una sola circonferenza massima.
Possiamo allora assumere che le linee "rette" sulla superficie di una sfera siano
le circonferenze massime? Vediamolo.
6. I percorsi più brevi

Tutti sanno che il percorso più breve che collega due punti P e Q nel piano
euclideo è un segmento di linea retta. Le rette sono dunque caratterizzate da
una proprietà di "minimo":

Proprietà 1 Comunque presi due punti P e Q su una retta r, il segmento PQ di


r è il percorso più breve da P a Q tra tutti i percorsi possibili.

Passiamo ora a considerare la superficie di una sfera. La nostra ipotesi è che le


circonferenze massime abbiano lo stesso ruolo delle rette nel piano. Si
dimostra allora che esse ci forniscono il percorso più breve tra due punti di S2.

Una volta determinato il percorso minimo tra due punti sulla superficie sferica
abbiamo anche introdotto una nozione intrinseca di distanza tra due punti: è
la lunghezza dell'arco minore di circonferenza massima che collega P con Q; se
i due punti fossero antipodali assumeremo come loro distanza la lunghezza di
una semicirconferenza massima.

Ci siamo dunque resi conto che le circonferenze massime sono caratterizzate


dalla seguente proprietà:

Proprietà 2 Comunque presi due punti non antipodali P e Q su una


circonferenza massima , l'arco minore PQ di  è il percorso più breve da P a
Q tra tutti quelli possibili sulla superficie della sfera.

L'analogia tra le proprietà 1 e 2 è molto forte. Le linee rette del piano euclideo
sono caratterizzate come "linee più brevi" così come lo sono le circonferenze
massime di S2. L'unica differenza, come si è detto, consiste nella non unicità
del percorso minimo quando si considerano, su S 2, punti antipodali. Ma il caso
dei punti antipodali può essere considerato come un caso eccezionale; se
considerassimo su S2 solamente punti "abbastanza vicini" il problema non si
porrebbe.

Che i punti antipodali costituiscano una situazione eccezionale lo possiamo


capire anche riflettendo sul fatto che la distanza tra due punti qualsiasi P e Q di
S2, assumendo una sfera unitaria, è sempre minore o uguale a 

Distanza(P, Q) 
La distanza è uguale a  solo se i punti sono antipodali. I punti antipodali sono
i punti più lontani possibile.
7. Il concetto unificante di linea geodetica

Il discorso della minima distanza si può generalizzare èer una qualsiasi


superficie (la superficie di un cilindro, di una sfera, di un cono, di un toro o
anche un piano). Indichiamo con la lettera  tale superficie.

Definizione Diremo che una linea  tracciata sulla superficie  è una linea
geodetica se ogni arco non troppo lungo di , i cui estremi siano i punti A e B,
è il percorso più breve da A a B tra tutti quelli tracciabili su .

Ci si rende subito conto che le linee geodetiche del piano euclideo sono le
rette; ci si rende anche conto, sulla base di quanto detto nei paragrafi
precedenti, che le circonferenze massime sono le geodetiche sulla superficie di
una sfera tenendo presente che, sulla sfera, archi non troppo lunghi di
circonferenze massime sono necessariamente archi minori.

Osservate la figura seguente. Sulla prima sfera è stata tracciata una geodetica
(una circonferenza massima), sulla seconda una linea che non è una geodetica
(una circonferenza minore, cioè una circonferenza ottenuta come sezione
mediante un piano che non passa per il centro della sfera); tra poco ci
renderemo conto che comunque presi due punti A e B su una circonferenza
minore, l'arco (minore) AB non rappresenta mai il percorso minimo tra A e B.
Vedete poi la situazione analoga nel piano euclideo: una retta, quindi una
geodetica, e una circonferenza (qualsiasi) che non è mai una geodetica.
La nozione di linea geodetica è piuttosto astratta ma proprio per questo
unificante: enti geometrici che siamo abituati a pensare come sostanzialmente
diversi (ad esempio rette euclidee di E 2 e circonferenze massime di S 2)
diventano casi particolari di un concetto generale di "linea più breve". Ed è
proprio l'idea intuitiva di "linea più breve" o di "linea più dritta" che aiuta ad
avvicinarci a questo nuovo concetto.

Naturalmente il nostro approccio alla nozione di linea geodetica è informale e


intuitivo; in particolare si noterà la mancanza di rigore nella locuzione "non
troppo lungo" riferita ad un arco di curva (ma nei prossimi paragrafi
illustreremo la necessità di questa condizione).
8. Geodetiche e curvatura intrinseca

Da una punto di vista matematico il termine spazio viene spesso usato al posto
di ambiente geometrico. E un ambiente geometrico può avere una, due, tre
dimensioni (o anche più di tre). Ad esempio, possiamo considerare una retta
come uno spazio a una dimensione. La nozione matematica di spazio è molto
più generale e astratta di quella del linguaggio comune.

Immaginiamo degli esseri bidimensionali liberi di muoversi in S2: il loro spazio


è la superficie di una sfera. Per noi che contempliamo la sfera immersa nello
spazio tridimensionale questi esseri vivono sulla superficie S2 (punto di vista
estrinseco); ma per loro non ha senso parlare di "sopra", diranno di vivere in
S2 (punto di vista intrinseco), così come noi diciamo di vivere nello spazio
tridimensionale. Immaginate ora che una di queste creature si muova lungo
una circonferenza massima: potete essere certi che dal suo punto vista
(intrinseco) dirà di "andar dritto"; abbiamo infatti visto nei paragrafi precedenti
come le circonferenze massime su una sfera siano l'equivalente delle rette nel
piano euclideo (geodetiche). Quindi: da un punto di vista intrinseco le
circonferenze massime non hanno curvatura.

Osservando la figura seguente potete rendervi conto che nel caso del primo
percorso le ruote del carrellino in figura si muovono su paralleli simmetrici
rispetto all'equatore quindi percorrono la stessa distanza; nel secondo percorso
la ruota più a nord percorre invece una distanza minore di quella più a sud
(stiamo curvando).
9. Circonferenze intrinseche

Sappiamo bene che una circonferenza è, nel piano euclideo, il luogo dei punti
equidistanti da un punto dato (il centro). Applichiamo la stessa definizione a
S2, tenendo conto delle distanze intrinseche da P. Nella figura seguente è
rappresentata una circonferenza intrinseca di centro P e raggio s.

Come vedete una circonferenza intrinseca è una circonferenza anche dal punto
di vista estrinseco (possiamo ottenerla tagliando la superficie sferica con un
piano) ma da un punto di vista estrinseco avrebbe centro e raggio diversi;
osservate infatti la figura seguente: il centro estrinseco è P' e il raggio
estrinseco s'.

Un essere bidimensionale traccerebbe in S2 la sua circonferenza proprio come


facciamo noi nel piano: fisserebbe un filo nel punto P e poi si muoverebbe in
modo da descrivere una curva chiusa tenendo il filo sempre in tensione. Tutti i
punti della curva avrebbero la stessa distanza (intrinseca) da P uguale alla
lunghezza del filo.
Ci sono delle sostanziali differenze fra la geometria delle circonferenze in E 2 e
in S2. Assumiamo una superficie sferica S2 di raggio unitario. Potete
osservare, nella figura seguente, che all'aumentare del raggio (intrinseco) r, la
lunghezza di una circonferenza in S2 prima aumenta fino ad arrivare al suo
massimo 2 quando il raggio è uguale a /2, poi comincia a diminuire fino ad
andare a zero quando il raggio è uguale a .

Al contrario l'area dei cerchi corrispondenti aumenta sempre all'aumentare del


raggio fino a raggiungere il suo massimo 4 quando il raggio è uguale a  (in
questo caso l'area del cerchio è uguale all'area di tutta la superficie sferica,
cioè di tutto lo "spazio" che ha area finita).

Ma ecco la cosa più interessante da notare: se consideriamo le infinite


circonferenze intrinseche di centro P e raggio r (vedi figura precedente), tra
queste c'è una e una sola circonferenza massima (quella di raggio /2). Questa
circonferenza è però anche una geodetica, è cioè intrinsecamente retta.
Possiamo quindi concludere che in S2 le linee rette sono particolari
circonferenze. Ciò non accade nel piano euclideo dove rette e circonferenze
sono enti geometrici ben distinti (a meno che non si consideri una retta come
una circonferenza di raggio infinito). Qui ci rendiamo conto dell'eleganza della
geometria su S2.

Occupiamoci ora di un'altra questione. Nella figura di seguito vedete una


circonferenza. Il centro intrinseco è il punto A mentre il centro estrinseco è il
punto A' (che si trova sul piano secante); il raggio intrinseco è r, quello
estrinseco è r'. Tenendo presente che abbiamo assunto una sfera di raggio
unitario, ci si rende conto che la misura della raggio intrinseco r non è altro che
la misura in radianti dell'angolo  indicato in figura (O è il centro della sfera).

Ne segue che tra i due raggi intercorre la relazione

r'=sen r

e dunque la lunghezza c della circonferenza in funzione del suo raggio


intrinseco è

c=2 sen r

Quindi il rapporto tra circonferenza e diametro (intrinseco) non è, nella


geometria sulla sfera, costante e vale

c/(2r) =  sen r / r

La costante  non può dunque essere definita in modo intrinseco come


rapporto tra circonferenza e diametro. Si osservi tuttavia che per valori del
raggio intrinseco r molto piccoli (prossimi a zero) si ritrova la situazione
euclidea

c/(2r)=

infatti si ha

lim  sen r / r = 
r0

ricordando che
lim sen r / r = 1
r0

E' inoltre facile dimostrare che l'area del cerchio in funzione del raggio
intrinseco r è data dalla formula

4 sen²(r/2)
10. La geometria sulla sfera è non euclidea

Abbiamo ormai preparato il terreno per esaminare gli elementi fondamentali


della geometria sulla sfera. I punti del nostro ambiente geometrico sono
evidentemente i punti della superficie sferica. Chiameremo inoltre:

a) retta ogni linea geodetica cioè ogni circonferenza massima;

b) segmento ogni arco di geodetica.

E' anche facile intendersi su cosa siano gli angoli e su come misurarli. Una
creatura bidimensionale definirebbe gli angoli proprio come lo facciamo noi:
due circonferenze massime individuano sulla sfera quattro regioni ciascuna
delle quali è un angolo (angolo sferico o fuso sferico). Per misurare gli angoli
potrebbe riferirsi all'angolo giro. Potrebbe ruotare su se stessa, rimanendo
quindi nello stesso punto della superficie, e compiere un giro completo; poi
potrebbe dividere tale rotazione in 360 parti. Questo è il punto di vista
intrinseco. Per comodità daremo anche una definizione estrinseca della
misura di un angolo che conduce a valori identici a quelli intrinseci: la misura
dell'angolo individuato da due segmenti con un estremo in comune è la misura
dell'angolo (diedro) formato dai due piani che contengono le circonferenze
massime su cui giacciono i segmenti.

Nella figura seguente, ad esempio, si vedono due diversi angoli determinati dai
segmenti AB e AC: un angolo di 60° e un angolo retto (in questo secondo caso
i due segmenti sono perpendicolari in A). Naturalmente i due segmenti AB e AC
sono archi geodetici cioè giacciono su circonferenze massime; i piani color
arancione che si vedono in figura sono quelli che contengono tali circonferenze
massime. Nel secondo caso, quello dell'angolo retto, la sfera resta divisa dai
due piani in quattro parti uguali (pensate di tagliare un'arancia in quattro
spicchi). Riferendoci sempre al secondo angolo in figura, diremo inoltre che le
due rette AB e AC sono perpendicolari in A.
11. Area di un fuso sferico

Un fuso sferico è la regione della superficie sferica compresa tra due


semicirconferenze massime (ed è la parte che non contiene i prolungamenti
delle semicirconferenze). Nella figura è evidenziato in verde un fuso sferico: r
ed s sono due circonferenze massime e AB è un diametro della sfera.

E' anche evidenziato l'angolo  del fuso. Si capisce che l'area di un fuso è
direttamente proporzionale all'angolo del fuso (che può variare tra 0° e 180°);
si può quindi scrivere la proporzione

 :  = A : 2

dove  è l'angolo del fuso espresso in radianti,  è l'angolo piatto espresso in


radianti, A è l'area del fuso e 2 è l'area della superficie della semisfera
(ricordando che il raggio della sfera è 1). Ne segue

A = 2

ove  è l'angolo del fuso espresso in radianti. Ad esempio un fuso di angolo


/2 ha area , costituendo infatti 1/4 della superficie sferica.

E' infine evidente che l'area del doppio fuso sferico della figura seguente è A =
4
12. Proprietà delle Geometrie Non-Euclidea.

Esaminiamo ora rapidamente le principali proprietà non euclidee della nostra


geometria, assumendo d'ora in poi un raggio unitario per la sfera.

Proprietà 1 Per due punti del piano euclideo passa una e una sola retta; lo
stesso accade per due punti non antipodali di S 2, ma per due punti
antipodali passano infinite rette.

Proprietà 2 Due rette euclidee hanno al più un punto in comune mentre due
rette di S2 hanno sempre due punti in comune; nella figura seguente
vedete due rette r ed s che si incontrano nei punti A e B (A e B sono
necessariamente antipodali).

Proprietà 3 Nel piano euclideo esistono rette parallele mentre non esistono
rette parallele (cioè rette che non si intersechino) in S2.

Osservate ad esempio la figura seguente che mostra due situazioni analoghe,


l'una nel piano euclideo e l'altra in S2. Si tratta di un fascio di rette
perpendicolari alla retta s: nel piano euclideo queste rette non si incontrano
(sono tutte parallele), in S2 si incontrano tutte nei due punti antipodali P e P'.
I due punti P e P' prendono il nome di poli di s e la retta s prende il nome di
retta polare dei punti P e P'. Si osservi che i due poli di s hanno la stessa
distanza /2 da ogni punto della retta s. Questa proprietà dei poli appare
meno strana se si pensa che la retta s può essere considerata anche come
circonferenza intrinseca di centro P (o di centro P') e raggio /2.

Proprietà 4 Nel piano euclideo esiste una e una sola retta passante per un
dato punto P e perpendicolare a una data retta s; in S2 ciò è vero se e solo se
P non è un polo per s (vedi figura seguente).

Teorema: In S2 per un punto P passa una e una sola perpendicolare alla retta
s se e solo se P non è un polo per s.

Dimostrazione:(a) Supponiamo che P non sia un polo per s, mostriamo che


esiste un'unica perpendicolare r a s passante per P.

Consideriamo il piano  che contiene s (poiché s è una circonferenza massima,


 passa per il centro O della sfera) e la perpendicolare ad  passante per O.
Tale perpendicolare incontra la superficie della sfera in due punti antipodali A e
A' che sono poli per s (infatti ogni piano per AA' stacca sulla superficie sferica
una circonferenza massima perpendicolare a s). Poiché P, per ipotesi, è distinto
sia da A che da A' esiste uno e un solo piano  che passi per A, A' e P. Tale
piano  individua sulla superficie sferica l'unica circonferenza massima r
perpendicolare a s e passante per P.

(b) Supponiamo, viceversa, che la perpendicolare a s per P sia unica. Ne segue


che P non può essere un polo per s perché altrimenti, come si è visto, le
perpendicolari sarebbero infinite.

Si osservi che si è fatto uso di alcune proprietà dell'ordinario spazio euclideo


per provare un teorema di geometria non euclidea. Ciò naturalmente è lecito
dato che il nostro modello non euclideo è costruito all'interno dello spazio
euclideo. L'aspetto più difficile, ma anche più formativo, in dimostrazioni di
questo tipo è l'integrarsi dei due punti di vista intrinseco ed estrinseco. Nel
corso della dimostrazione, ad esempio, si parla della perpendicolare al piano ,
che è una retta euclidea, e si parla delle circonferenze massime s ed r che sono
rette non euclidee.

Proprietà 5 Le rette euclidee sono infinitamente estese mentre le rette di S 2


hanno tutte la stessa lunghezza finita 2.

Proprietà 6 Il piano euclideo è infinitamente esteso mentre S2 ha area finita


4.

Proprietà 7 Di tre punti qualsiasi di una retta euclidea, uno e uno solo sta fra
gli altri due; la stessa cosa non si può dire per una retta di S 2 trattandosi di
una linea chiusa.

Osservate la figura seguente: nel caso euclideo per andare da A a B passo


necessariamente per C (quindi C sta fra A e B), nel caso di S 2 posso andare da
A a B senza passare per C. Notate inoltre che due punti individuano nel piano
euclideo uno e un sol segmento mentre nel caso di S2, se non sono antipodali,
ne individuano due (un arco maggiore e un arco minore).

Abbiamo detto che sostituendo al postulato P5 di Euclide il postulato P5" si


ottiene una geometria non euclidea ellittica. Riformuliamo l'assioma che
caratterizza la geometria ellittica:

Assioma ellittico: due rette si intersecano sempre.


Ci siamo resi conto che la geometria di S2 è una geometria ellittica: per lo
spazio S2 vale infatti l'assioma ellittico, la geometria sulla sfera è un modello di
geometria ellittica.
E' importante osservare che nella geometria su S2 non solo viene a cadere il
quinto postulato ma cade anche l'assunzione di Euclide che per due punti
distinti passi un'unica retta (questa proprietà viene assunta da Euclide senza
però un'esplicita dichiarazione). Inoltre deve essere modificato il postulato P2
cioè che un segmento di linea retta possa essere indefinitamente prolungato in
linea retta. Da questo postulato Euclide faceva discendere l'infinita lunghezza
di una retta. Ogni segmento di S2 può effettivamente essere prolungato in una
retta, ma le rette di S2 sono linee chiuse per cui un punto P può muoversi
indefinitamente su di esse ma è destinato a riassumere le stesse posizioni. Le
rette euclidee sono infinite mentre quelle sulla superficie della sfera hanno
lunghezza finita.
13. Triangoli sferici

Nella figura vedete un triangolo sferico: i suoi tre lati sono naturalmente
segmenti di S2, cioè archi geodetici. Da un punto di vista intrinseco
dovremmo parlare semplicemente di triangolo. Cerchiamo di definire più
precisamente un triangolo sferico.

Nel piano euclideo tre punti non allineati individuano uno e un sol triangolo:
basta collegare coppie di punti con un segmento.

Le cose si complicano su S2. In primo luogo due punti non antipodali possono
essere collegati con due diversi segmenti (un arco minore e un arco maggiore
di circonferenza massima, come si vede nella figura di seguito). Stabiliamo
allora di considerare solo archi minori.

C'è poi da osservare che tre archi minori, non disposti (a due a due) sulla
stessa circonferenza massima e aventi a coppie un estremo in comune,
delimitano due regioni sulla sfera.
Chiamiamo allora triangolo sferico quella regione, delle due, che ha area
minore. In tal modo tre archi minori individuano un'unica regione triangolare
che ha sempre area minore della superficie di una semisfera.

Nella figura sotto vedete rispettivamente in grigio e in giallo le due regioni


delimitate da tre archi minori: il triangolo sferico ABC è allora quello grigio.
Ora osserviamo la figura. Ogni lato del triangolo ABC è lungo 1/4 di
circonferenza massima cioè /2 e l'area del triangolo è pari a 1/8 dell'area di S 2
cioè è uguale, ancora, a /2 (non dimenticate che abbiamo assunto una sfera
di raggio unitario che ha area 4). Ma la cosa più importante da osservare è la
somma degli angoli: nel nostro caso è di 270°. Viene dunque a cadere il
teorema euclideo sulla somma degli angoli di un triangolo. Ma c'è di più:
mentre la somma degli angoli è costante per i triangoli euclidei, per i triangoli
sferici tale somma varia al variare del triangolo.

Ce ne rendiamo conto osservando la figura seguente.

Come vedete A è un polo per la retta s e i segmenti AB e AP sono


perpendicolari a s. I triangoli APB che vengono a formarsi al variare di P su s
hanno, tutti, due angoli retti mentre il terzo angolo, quello in A, varia. E'
quindi variabile anche la somma degli angoli. Per tutti questi triangoli la
somma degli angoli è maggiore di 180° e si capisce che facendo tendere a zero
l'angolo in A la somma degli angoli tende a 180°. Si direbbe che la somma
degli angoli vari al variare dell'area del triangolo: tanto maggiore è l'area tanto
maggiore è la somma angolare, tanto più l'area si avvicina a zero tanto più la
somma angolare si avvicina a 180°. Riflettete anche sulla seconda domanda
che si trova alla fine del paragrafo. Formuliamo la seguente congettura

Congettura. La somma degli angoli di un triangolo sferico varia al variare


della sua area.

Non deve sorprenderci il fatto che per i triangoli sferici non valga la proprietà
euclidea della somma degli angoli di un triangolo. Come si è già detto tale
proprietà discende dall'esistenza di rette parallele e dal quinto postulato di
Euclide e, come sappiamo, nella geometria di S2 non sussistono tali
presupposti mentre vale l'assioma ellittico.
14. Somma degli angoli di un triangolo sferico

Siamo ora pronti per dimostrare il teorema fondamentale sui triangoli sferici.
Assumeremo come sempre una sfera unitaria e misureremo gli angoli in
radianti.

Nella figura sotto vedete il triangolo sferico ABC;

consideriamo la somma S degli angoli

S=++

Il nostro obiettivo è quello di esprimere S in funzione di un unico parametro


che rappresenti una grandezza associabile ad ogni dato triangolo. La
congettura formulata nel paragrafo 17 suggerisce che questo parametro sia
proprio l'area del triangolo. Proviamolo.

Osserviamo in primo luogo che al triangolo ABC corrisponde un triangolo


antipodale A'B'C' uguale ad ABC (vedi figura seguente).

I triangoli ABC e A'B'C' sono, per la precisione, inversamente uguali (o


inversamente congruenti) in quanto simmetrici rispetto al centro della sfera; i
due triangoli hanno lati e angoli corrispondenti uguali (congruenti) ma non
sono, in generale, sovrapponibili con un movimento rigido, cioè facendo
"scorrere" ABC sulla superficie sferica fino a portarlo sopra A'B'C'. A noi
tuttavia interessa che i due triangoli abbiano la stessa area ed è questo che
dovete tener presente.

Consideriamo ora i tre doppi fusi della figura seguente: il primo è individuato
dalle circonferenze massime r ed s, il secondo da s e t, il terzo da r e t. Gli
angoli dei fusi sono gli angoli del nostro triangolo cioè sono rispettivamente ,
, .

Se consideriamo contemporaneamente i tre doppi fusi ci accorgiamo che


ricoprono tutta la superficie sferica; inoltre i due triangoli ABC e A'B'C' vengono
ricoperti tre volte; potete infatti notare che il triangolo ABC viene ricoperto
successivamente in azzurro, arancione e verde e lo stesso accade per il
triangolo antipodale. Allora possiamo scrivere

area sup. sferica = area dei tre doppi fusi -


2 volte area triangolo ABC –
2 volte area triangolo A'B'C'

Quindi, tenendo conto che i due triangoli ABC e A'B'C' hanno la stessa area e
applicando la formula che fornisce l'area di un doppio fuso, si ha

4 = 4+4+4-4A

dove abbiamo indicato con A l'area del nostro triangolo ABC. Ne segue la
formula

++ = +A

Si ha dunque il seguente fondamentale teorema


Teorema Assumendo una sfera unitaria e la misura degli angoli in radianti, la
somma degli angoli di un triangolo sferico è sempre maggiore di un angolo
piatto ed è uguale a un angolo piatto più l'area del triangolo.

La stessa formula si può leggere anche così

Corollario Assumendo una sfera unitaria, l'area di un triangolo sferico è


uguale alla somma dei suoi angoli (misurati in radianti) meno .
15. La formula ellittica  +  +  =  + A

La formula per la somma degli angoli di un triangolo sferico costituisce un


risultato importante che merita alcune riflessioni. In particolare ci porta ad un
osservazione molto importante e cioè che la geometria euclidea può essere
vista come caso limite della geometria ellittica.

La formula  +  +  =  + A ci dice che la somma degli angoli di un triangolo


sferico varia al variare dell'area del triangolo.

Tanto maggiore è l'area del triangolo, tanto più la somma degli angoli si
discosta da . Per triangoli di area molto piccola rispetto a  la nostra formula
ci fornisce valori quasi euclidei per la somma degli angoli. In altri termini le
due formule

 +  +  = (Formula euclidea)
e

 +  +  =  + A (formula ellittica)

possono considerarsi equivalenti se l'area A del triangolo sferico tende a zero.


In questo senso possiamo affermare che la geometria euclidea è un caso
limite della geometria ellittica. In effetti se ci limitassimo a considerare un
intorno molto piccolo di un punto P sulla superficie sferica, potremmo
approssimare questa piccola regione con una corrispondente regione del piano
tangente in P alla sfera. E la geometria sul piano tangente è naturalmente una
geometria euclidea.
16. Alcune Osservazioni

Un criterio di congruenza dei triangoli non euclideo

Si potrebbe dimostrare che per i triangoli sferici valgono quattro criteri di


uguaglianza (di congruenza): i primi tre sono del tutto analoghi a quelli per i
triangoli euclidei, il quarto criterio è invece il seguente: due triangoli sferici
sono uguali (congruenti) se hanno angoli corrispondenti uguali (congruenti).
Nel piano euclideo due triangoli che abbiano angoli corrispondenti uguali non
sono in generale uguali ma sono simili; se però due triangoli simili hanno la
stessa area allora sono necessariamente uguali. Nel caso dei triangoli sferici
abbiamo visto che avere angoli corrispondenti uguali (e quindi somme angolari
uguali) implica avere aree uguali (vedi il corollario precedente) ne segue che
triangoli sferici simili sono necessariamente uguali. La teoria euclidea
della similitudine perde di senso in geometria sferica: figure che hanno la
stessa forma sono necessariamente congruenti.

Il ruolo di 

Avrete certamente notato il ruolo fondamentale di  nella geometria sferica:


distanze, aree, angoli possono essere espressi in funzione di  (considerate ad
esempio il triangolo equilatero "trirettangolo" visto sopra: ogni lato è lungo
/2, l'area è /2, ogni angolo è /2). Tenete presente che il confronto tra aree
e angoli è così semplice proprio perché abbiamo misurato gli angoli in radianti.
E' importante osservare però che la costante  ha una sua definizione
estrinseca (rapporto tra lunghezza di una circonferenza estrinseca e suo
diametro) mentre non può essere definita intrinsecamente (per le
circonferenze intrinseche il rapporto tra la loro lunghezza e il doppio del raggio
non solo non è uguale a  ma non è nemmeno costante, vedi sopra).

La formula elittica per una generica sfera di raggio r

La formula  +  +  =  + A è stata dimostrata nell'ipotesi di una sfera di


raggio unitario. Ma è molto facile ottenere una formula anche nel caso
generale di una sfera di raggio r. Basta osservare che l'area di un doppio fuso
sferico di angolo  è in questo caso 4 r2; perciò l'equazione

area sup. sferica = area dei tre doppi fusi –


2 volte area triangolo ABC –
2 volte area triangolo A'B'C'

precedente diventa

4 r2 = 4 r2 + 4 r2 + 4 r2 - 4A
Ne segue
 +  +  =  + A/r2

Nella formula precedente il termine A/r 2 prende il nome di eccedenza angolare


del triangolo (o eccesso sferico del triangolo) e si indica con E; pertanto la
formula può scriversi nella forma

++=+E

Come si vede, l'eccedenza angolare ci dice di quanto la somma degli angoli


supera ; nel caso di una sfera unitaria l'eccedenza angolare coincide con
l'area del triangolo.
17. Isometrie. Poligoni regolari e tassellazioni della sfera.

Nel paragrafo precedente abbiamo accennato al fatto che, sulla sfera, figure
simili sono addirittura congruenti. Non esistono quindi, in geometria sferica,
figure di stessa forma ma di dimensioni diverse.

Per figure congruenti (o uguali) intendiamo figure che possono essere


trasformate l'una nell'altra mediante un'isometria cioè mediante una
trasformazione di S2 che conserva le distanze. Si può dimostrare che le
isometrie di S2 sono di due tipi (*):

 Rotazioni attorno ad un asse che passi per il centro della sfera. Sono
queste le isometrie dirette cioè quelle che corrispondono ad un
movimento rigido fisicamente realizzabile rimanendo sulla superficie della
sfera.

 Simmetrie rispetto ad un piano passante per il centro della sfera oppure


la composizione di una simmetria di questo tipo e di una rotazione del
tipo precedente. Sono queste le isometrie inverse cioè quelle che non
corrispondono ad un movimento rigido fisicamente realizzabile sulla
superficie della sfera (e, in realtà, nemmeno nello spazio).

Riflettete sul fatto che le simmetrie centrali, potendosi ottenere nello spazio
componendo una rotazione di 180° rispetto ad un asse e una simmetria
rispetto ad un piano, sono isometrie inverse.

Vogliamo ora convincerci, sul piano intuitivo, che non esistono sulla sfera
figure simili (che non siano addirittura congruenti). Detto in altro modo,
vogliamo convincerci che non possiamo ingrandire o ridurre una figura
conservandone la forma. Esaminiamo allora due situazioni analoghe: una
serie di triangoli equilateri nel piano euclideo e una serie di triangoli equilateri
in S2. Vediamo come esempio il caso di un triangolo equilatero. Un triangolo
equilatero è definito in geometria sferica esattamente nello stesso modo in
cui lo definiamo nel piano: è un triangolo i cui tre lati sono uguali.
Come si vede, i triangoli equilateri euclidei hanno gli angoli costantemente
uguali a 60° mentre nei triangoli sferici gli angoli (che rimangono tra loro
uguali) aumentano all'aumentare della lunghezza del lato. Quindi la forma non
si conserva. Anche a colpo d'occhio si capisce che il triangolo equilatero più
piccolo non ha la stessa forma di quello più grande: all'aumentare del lato, il
triangolo tende ad una situazione limite in cui i tre angoli sono di 180° e i tre
lati sono allineati su una circonferenza massima cioè su una retta! Non
dovremmo però meravigliarci, la somma degli angoli di un triangolo non si
conserva come avviene nel piano euclideo ma varia al variare del triangolo,
aumenta all'aumentare dell'area del triangolo. Notiamo inoltre che il triangolo
equilatero più piccolo, quello di area relativamente piccola rispetto alla
superficie sferica, è "quasi" euclideo, ha una forma "quasi" euclidea, i suoi
angoli sono di poco maggiori di 60°.
18. Il teorema di Pitagora sulla sfera

Diciamo subito che il teorema di Pitagora nella sua formulazione classica non è
più valido nella geometria sulla sfera.

Basta tener presente l'esistenza di triangoli rettangoli equilateri (vedi figura


qui sopra); per un triangolo di questo tipo, indicando con a, b e c la lunghezza
dei lati e tenendo presente che a = b = c, si ha

a2 + b2 > c2

Consideriamo un sistema di riferimento cartesiano xyz, una sfera di raggio r


con il centro O nell'origine e un qualsiasi triangolo rettangolo sulla sfera.
Disponiamo il sistema di riferimento in modo che il triangolo abbia il vertice A
nel punto di coordinate (r, 0, 0) e il lato AC sul piano xy come si vede
nellafigura (il triangolo è rettangolo in C).
Osservate la figura: abbiamo indicato con ,  e  gli angoli al centro
individuati rispettivamente dai lati (archi) BC, AC e AB (non dimenticate che
ciascun arco appartiene ad una circonferenza massima di centro O).

La lunghezza s di un arco di circonferenza a cui corrisponde un angolo al centro


di misura  radianti può determinarsi mediante la proporzione

s : 2 r =  : 2
da cui segue

s=r

Quindi nel nostro caso si ha

a=r
b=r (1)
c=r

Se la sfera avesse raggio unitario si avrebbe semplicemente a = , b =  , c =


.

Ora ci servono le coordinate cartesiane dei punti A e B. Le coordinate di A le


conosciamo. Determiniamo quelle di B. Qui entra in gioco in modo decisivo il
fatto che il triangolo ABC sia rettangolo in C. In questo caso infatti la
proiezione ortogonale H del punto B sul piano xy cade sul segmento OC e
quindi l'angolo BOH è uguale all'angolo  (vedi la prima delle figure seguenti);
non sarebbe così se il triangolo non fosse rettangolo in C (vedi la seconda delle
figure seguenti).
Osservando la figura e tenendo presente che OH = r cos  vi rendete conto che
le coordinate del punto B sono

(r cos  cos  , cos  sin ,r sin  )

Bene, siamo a un passo dal nostro obiettivo. Abbiamo espresso le coordinate


dei vertici A e B del nostro triangolo in funzione di , di  e naturalmente di r
(cioè, tenendo conto delle equazioni (1), in funzione dei lati a e b e di r). Ora
siamo anche in grado di determinare l'angolo : utilizzeremo il prodotto scalare
(dot product) di due vettori.

Ricordiamo la nozione di prodotto scalare. Nella figura di seguito vedi i due


vettori A e B applicati nell'origine degli assi e di estremi A e B. Puoi pensare ad
un vettore come a una freccia dall'origine all'estremo; ogni vettore è quindi
individuato dal suo estremo.
Puoi dunque identificare punti (estremi) e vettori applicati nell'origine. Il
prodotto scalare AB è il numero reale che si ottiene operando sulle coordinate
degli estremi in questo modo

a1b1 + a2b2 + a3b3

Un importante teorema mette in relazione il prodotto scalare AB di due vettori


con l'angolo (convesso)  da essi individuato (0 , vedi figura); si ha
infatti

AB = |A||B|cos 
e quindi

cos  = AB/(|A||B|)
dove il simbolo |A| indica il modulo del vettore A cioè

|A|= (a12 + a22 + a32)

Bene, riferisciti ora alla figura di seguito. Possiamo esprimere il coseno


dell'angolo  mediante il prodotto scalare dei vettori A e B di cui conosciamo le
coordinate degli estremi.
Si ha

cos  = AB/(|A||B|) =
r2 cos  cos  / r2 =cos  cos 
tenendo presente che

|A| = r
|B| = (r cos  cos  +r2 cos2 sin2 +r2 sin2) = r
2 2 2

Tenendo conto delle equazioni (1) si ha quindi

cos(c/r) = cos(a/r) cos(b/r)

e questa è la relazione che cercavamo. Ecco dunque il teorema di Pitagora


nella sua versione sferica.

Teorema Su una sfera di raggio r, per un triangolo rettangolo i cui cateti siano
lunghi a e b e l'ipotenusa sia lunga c si ha

cos(c/r) = cos(a/r) cos(b/r)

Vogliamo ora renderci conto che la relazione trovata per i triangoli rettangoli
sferici si riduce al classico teorema di Pitagora per il piano quando il raggio
della sfera tende all'infinito (ferme restando le lunghezze dei lati). Che debba
essere così lo si intuisce; pensate ad esempio ad un piccolo lago sulla
superficie terrestre: è indistinguibile da una regione piana dato il grande
raggio della Terra.

Ora però la questione diventa interessante perché se nella relazione


cos(c/r) = cos(a/r) cos(b/r)

Per r molto grande si ha :

cos(c/r)  1 - c2/(2r2)
cos(a/r)  1 - a2/(2r2)
cos(b/r)  1 - b2/(2r2)

(nota che al crescere di r gli argomenti c/r, a/r, b/r tendono a zero e dunque
tanto più grande è r, tanto migliore è l'approssimazione). La nostra relazione
allora diventa

1 - c2/(2r2)  [1 - a2/(2r2)] [1 - b2/(2r2)]


Sviluppando

1 - c2/(2r2)  1 - b2/(2r2) - a2/(2r2) + a2b2/(4r4)

Sottraendo 1 e moltiplicando per -2r2

c2  b2 + a2 - a2b2/(2r2)

Ci siamo. Quando r tende all'infinito il termine a2b2/(2r2) tende a zero e


l'uguaglianza approssimata tende all'uguaglianza esatta; perciò, al limite

c2 = a2 + b2

E questo è il teorema di Pitagora.


19. Il teorema di Carnot ed il Teorema dei seni

Si dismostrano in analogia con il teorema di Pitagora i seguenti teoremi

Teorema di Carnot (per la sfera): Se ABC  è un triangolo sferico e se a, b e


c sono le lunghezze dei suoi lati, alloraù

cos(a)=cos(a)cos(c)+sin(b)sin(c)cos()

Teorema dei seni (per la sfera): Se ABC  è un triangolo sferico e se a, b e c


sono le lunghezze dei suoi lati, allora

sin()/sin(a)=sin( )/sin(b)=sin()/sin(c)
 sia rettangolo
Si noti che il teorema di Carnot, nel caso in cui il triangolo sferico ABC
in A, è un’estensione del teorema di Pitagora nella geometria ellittica. Anche per
questi teoremi , nel caso in cui gli archi a, b e c sono molto minori del raggio si
ottegno, rispettivamente, il teorema di geometria piana di Carnot

a2=b2+c2 – 2ab cos()

dove a, b e c sono i lati di un triangolo generico e l’angolo compreso tra b e c, e il


teorema dei seni

sin()/a=sin( )/bsin()/b

dove e sono, rispettivamente, gli angoli opposti ai lati del triangolo generico a,b e
c.

Osservazione. Nel geometria sulla sfera gli archi sono stati misurati in radianti. Se
però vogliamo confrontare triangoli appartenenti a sfere di raggio diverso, nella tesi
del teorema di Carnot dobbiamo sostiuire i rapporti agli archi a, b e c il loro
corrispettivi: a/r, b/r, e c/r, dove r è il raggio della sfera Σ a cui appartiene il triangolo
 .
ABC
20. La geometria ellittica e la teoria della Relatività generale

Riemann, allievo di Gauss, proponeva storicamente un nuovo modo di intendere la


geometria e presentava un secondo caso di geometria non euclidea, la geometria
ellittica. Secondo la concezione di Riemann la geometria non dovrebbe neppure
necessariamente trattare di rette e punti nel senso ordinario, ma di insiemi di n-ple, (
x1,…..,xn) xiR  i 1,….n, nei quali riveste un ruolo fondamentale il concetto di
distanza (metrica) la cui definizione andiamo a ricordare: d: XR, con X insieme
qualsiasi non vuoto, è una funzione distanza se verifica le seguenti proprietà:

1) a,b X, d(a,b)0 dove d(a,b)= 0  a=b


2) a,b X, d(a,b)=d(b,a)
3) a,b,c X, d(a,c)d(a,b)+d(b,c)

Nella geometria euclidea la distanza fra punti “infinitamente vicini” è data dalla
relazione

ds2=dx2+dy2+dz2

e si può ben notare l’analogia con il teorema di Pitagora e l’usuale formula di distanza
in R3.

Seguendo, invece, la generalizzazione di Riemann, si possono definire infinite altre


formule come formula della distanza e, naturalmente, la metrica usata caratterizzerà
la geometria ottenuta di conseguenza.

La formula generale per la metrica utilizzata da Riemann in R3 è la seguente:

ds2 = g11 dx2 +g12 dxdy+g13dydx+g21dydx+g22 dy2 +g23 dydz+g31 dzdx+g32 dzdy+g33 dz2

(4)

dove gij sono costanti o più generalmente funzioni di x,y,z.

Più precisamente la (4) deve rappresentare una forma bilineare simmetrica e definita
positiva. Uno spazio con una metrica siffatta è detto spazio riemanniano

Facciamo un paio di osservazioni sulla metrica (4):

i) essa ci permette di introdurre nello spazio molti concetti di geometria euclidea


come angolo tra curve, area, volumi e, meno ovviamente, linee rette o geodetiche.

ii) Inoltre la (4) mette in evidenza che lo spazio va studiato non tanto nella sua
globalità quanto nel suo comportamento locale e quindi nella sua struttura
infinitesima. Quindi Riemann arrivava ad affermare che allo spazio fisico possono
essere applicate indifferentemente proprietà metriche diverse.

L’applicazione di una certa metrica, dunque, altro non è che un’ipotesi. Tutto ciò che
dello spazio fisico si può dire è che esso è continuo, illimitato e a tre dimensioni e che
la geometria euclidea contribuisce sufficientemente a spiegare fenomeni della fisica
classica.
Ma all’inizio del XX secolo, Eistein formulò la teoria della Relativià Generale la quale
prevede che lo spazio-tempo in presenza di sorgenti di campo gravitazionale non sia
euclideo.

In genrale la distanza infinitesima è quindi data dall’espressione:

ds2=gdxdx (8)
dove i coefficienti g sono in generale non costanti, e dipendono dalle coordinate
spazio-temporali x (t,x,y,z).

Quando l’espressione (8) è irriducibile, mediante trasformazioni delle coordinate, a


quella cartesiana, si dice che lo spazio è curvo. Nello spaziotempo è possibile definire
una linea, analogamente a quanto si fa nello spazio ordinario, della quale si può
determinare la lunghezza adoperando come espressione fondamentale della metrica la
(8), come “suggerito” da Riemann, e si possono, inoltre, definire le geodetiche.

Nella teoria della relatività generale si postula che il moto di una particella collocata in
un campo gravitazionale sia una linea che s’identifica con una geodetica. Per
determinare la geodetica che congiunge due punti, problema del moto in un campo
gravitazionale, occorre conoscere i coefficienti della metrica

L’equazione di Einstein stabiliscono una relazione tra i valori della metrica e il tensore
energia-impuslo che rappresenta lo stato energetico del sistema, e rappresenta
l’estensione relativistica dell’equazione di Poisson che fornisce il valore del potenziale
gravitazionale in funzione della densità di materia della sorgente. In conclusione, ciò
che in fisica classica si schematizza col concetto di forza altri non è che l’effetto della
curvatura dello spazio tempo in presenza di sorgenti costituite da massa ed energia.

La Teoria della Relatività generale è stata ampiamente confermata dalle


osservazioni sperimentali sin dai primi anni della sua formulazione. Ricordiamo,
tra le previsioni più importanti che essa ha supportato, la precessione del
perielio di Mercurio e l’effetto delle lenti gravitazionali. Inoltre
l’applicazione di tale teoria ha riscosso particolare successo in cosmologia. In
particolare essa prevede che l’Universo potrebbe avere una topologia ellittica
nel caso in cui la densità di energia totale dell’universo sia maggiore di quella
critica (Universo chiuso)

Gli altri due casi, cioè universo piatto ed aperto (iperbolico), corrispondono
rispettivamente a densità di energia pari e minore di quella critica.
Osservazioni sperimentali attuali ci dicono che l’universo è piatto con errore di
circa il 5%, ossia la densità di energia misurata è molto vicina al valore critico.

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