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Bartolomé de Las Casas 

(in alcuni testi italiani tradotto con Bartolomeo; Siviglia, 11


novembre 1484 – Madrid, 17 luglio 1566) è stato un vescovo
cattolico spagnolo impegnato nella difesa dei nativi americani. Viene altresì ricordato per
aver inizialmente proposto a Carlo V l'importazione di schiavi neri per sostituire gli
indigeni nei "laboriosi inferni delle miniere d'oro delle Antille"; tuttavia, ritrattò in seguito
questa posizione, schierandosi al fianco degli africani schiavizzati nelle colonie[2][3][4].
Fu anche il primo ecclesiastico a prendere gli ordini sacri nel Nuovo Mondo. I
padri Domenicani della Curia Provinciale di Siviglia hanno aperto la causa della
sua beatificazione nell'anno 2002, per cui la Chiesa cattolica gli ha assegnato il titolo
di Servo di Dio[5].
Su suo impulso e grazie alla sua attività di denuncia del sistema di sfruttamento degli
indios vennero compilate le "Leggi nuove" ratificate da Carlo V, con le quali venivano
abolite le encomiendas, strutture organizzative agricole fondate su un
sistema schiavistico-feudale, principale causa dello sfruttamento dei nativi.[6]

Biografia
Nacque a Siviglia probabilmente nel 1484, anche se il 1474 è l'anno indicato
tradizionalmente. Alcuni resoconti[senza fonte] sostengono che Las Casas discendesse
da una famiglia di conversi, ovvero di Ebrei costretti a convertirsi al Cristianesimo.
Raggiunte nel 1502 le Indie (l'attuale America centrale) per curare gli interessi coloniali
della famiglia, fu testimone delle vicende del quarto viaggio di Cristoforo Colombo, del
quale lesse e trascrisse il "Giornale di bordo" relativo ai diversi viaggi da questi compiuti.
[7] Dopo essere stato encomendero, la lettura della Bibbia finì per metterlo in
contrapposizione ai conquistadores, in difesa degli indios.[1]
Ordinato sacerdote nel 1507, entrò nel 1515 nell'ordine domenicano, che si era già
schierato a favore dei diritti degli indigeni (ad esempio con la figura di Antonio
Montesinos) e iniziò la sua instancabile battaglia a favore degli indios: condannò senza
eccezioni il colonialismo e l'espansionismo degli europei, viaggiò nelle terre americane e
attraversò molte volte l'oceano per portare in Spagna le sue proteste.
Nei suoi testi, Las Casas ci presenta una puntuale descrizione delle qualità fisiche,
morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell'umanità degli abitanti del
nuovo mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi
contemporanei, soprattutto di cultura umanista. Celebri sono i dettagliati resoconti che
egli diede delle vessazioni e delle atrocità compiute dai colonizzatori "cristiani" che
agivano contro la lettera e lo spirito delle Leggi di Burgos.
«...Nell'Isola Spagnuola; la qual fu la prima, come dicessimo, dove entrarono Christiani, dando
principio alle immense stragi, e distruttioni di queste genti; e la quale primamente distrussero, e
disertarono; cominciando li Christiani à levar le mogli; & e i figliuoli à gli Indiani per servirsene, &
usar male di essi; & à mangiar le sostanze de i sudori, e delle fatiche loro; non contendandosi di
quello, che gli Indiani davano loro spontaneamente, conforme alla facoltà, che ciascuno haveva, la
quale è sempre poca; perché non sogliono tenere più di quello, che serve al bisogno loro ordinario,
& che accumulano con poca fatica; & quello, che basta à tre case, di dieci persone l'una, per un
mese, un Christiano se lo mangia, e lo distrugge in un giorno; & ad usare molti altri sforzi, violenze,
e vessationi; cominciarono gl'Indiani ad accorgersi, che quegli huomini non doveano esser venuti
dal Cielo.»
(Da Istoria o Brevissima relatione della distruttione dell'Indie Occidentali conforme al suo vero originale spagnuolo già stampato in
Siviglia di Bartolomeo dalle Case, o Casaus tradotta in italiano dall. eccell. sig. Giacomo Castellani già sotto nome di Francesco
Bersabita)
[Manca inizio della frase]giustificati in questo dalle cosiddette Leggi di Burgos (il cui
presupposto erano alcune tesi del decretalista medievale Enrico da Susa).
Il suo tentativo di creare una società coloniale pacifica in Cumaná, Venezuela,
nel 1520 fallì e la comunità venne massacrata da una rivolta indigena che, secondo
alcuni critici, venne incitata dai vicini coloniali.
Nel 1536 si recò in Guatemala insieme ai confratelli Pedro de Angulo e Rodrigo de
Ladrada.
In uno dei suoi ritorni in Spagna, Las Casas fu protagonista del grande dibattito del 1550,
voluto da Carlo V, che aveva convocato allo scopo la Giunta di Valladolid. Avversario di
Las Casas era il rappresentante del pensiero colonialista, l'umanista Juan Ginés de
Sepúlveda, che sosteneva che alcuni uomini sono servi per natura, che la guerra mossa
contro di loro è conveniente e giusta a causa della gravità morale dei delitti di idolatria,
dei peccati contro natura e dei sacrifici umani da loro commessi e che, infine,
l'assoggettamento avrebbe favorito la loro conversione alla fede cristiana.
Las Casas si dichiara, invece, a favore di una pacifica conversione e afferma la naturale
bontà degli indios ("senza malizia né doppiezza"), dando origine al cosiddetto mito
del buon selvaggio: gli stessi sacrifici umani non sono tanto negativi se li si considera
"indotti dalla ragione naturale", al punto che i nativi avrebbero peccato se non avessero
onorato i loro dei. Il processo e le discussioni durarono ben cinque giorni.
I domenicani non appoggiarono nessuno dei due e il tribunale sembrava propendere per
Sepulveda. La disputa si risolse in un nulla di fatto. Tuttavia, sotto la pressione di Las
Casas e dell'Ordine Domenicano, qualcosa cominciò a cambiare.
Morì nel 1566.

Opere
Gli scritti di Las Casas non hanno fini letterari ma documentali e di testimonianza. Anche
per questo utilizzano un linguaggio lineare ed efficace non consueto nella prosa
spagnola dell'epoca, che ha contribuito alla loro fortuna. L'obiettivo è denunciare le
atrocità perpetrate contro gli Inca ed evidenziare le qualità positive di queste popolazioni:
l'autore condanna la violenza e la cupidigia, ma non è certamente contrario a diffondere
il Cristianesimo. Anzi, proprio dal cristianesimo Las Casas trae quella spinta
universalistica e quell'idea dell'uguaglianza di tutti gli uomini che ne animano l'opera e
che lo spingeranno a denunciare anche le violenze dei portoghesi in terra d'Africa.
Anche se il sistema dell'encomienda non poté venir totalmente smantellato, in quanto
sostenuto dalle classi coloniali spagnole che da esso traevano profitto, gli scritti di Las
Casas vennero tradotti e pubblicati in tutta Europa, influenzando ad esempio le opinioni
del saggista Montaigne, contribuendo alla riflessione della Spagna su di sé e sulla
propria storia, e soprattutto - nei secoli successivi - alla presa di coscienza della propria
storia da parte dei popoli sudamericani colonizzati.
La fortuna di Las Casas come scrittore fu scarsissima in campo cattolico ma suscitò
grandi entusiasmi tra protestanti e illuministi. In effetti i suoi scritti divennero un
formidabile strumento di propaganda che i nemici della Spagna colonialista ebbero da
quel momento in poi a disposizione. I resoconti di Las Casas rappresentano
naturalmente un elemento cardinale della "leggenda nera" sulle atrocità coloniali
spagnole.

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