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Giovannino Guareschi

L’Italia ferita, devastata, avvelenata dagli odi e dai rancori dell’immediato


Dopoguerra trovò ben presto le risorse morali per reagire agli orrori del
conflitto. Era l’Italia profonda, contadina, solidale, ancora (per poco) radicata
sul solido ceppo secolare del cattolicesimo. L’Italia del buonsenso che ne
aveva avuto abbastanza di labori, di romanità posticcia, così come del
vecchio notabilato liberale e risorgimentale, e che guardava con
preoccupazione ai nuovi furori rivoluzionari, alle bandiere rosse che
sventolavano nelle piazze promettendo una “nuova primavera”, ovvero
l’ennesimo bagno di sangue con cui “rigenerare” il Paese.

Tra la via Emilia e il Messico

Questa Italia trovò il suo paladino e il suo cantore in un giornalista poco


meno che quarantenne, reduce dal campo di prigionia, che si rivelò ben
presto uno dei più grandi scrittori del Novecento. Era il dicembre del 1946.
Allo scoccare del suo primo anno di vita, la pugnace rivista “Il Candido”
vedeva nascere sulle sue pagine un nuovo personaggio, ad opera del suo
vulcanico direttore, Giovannino Guareschi. Lo scrittore parmense, oltre che a
dirigere il settimanale coordinando un gruppo di spiriti ribelli e
anticonformisti, firmava personalmente alcune seguitissime rubriche:
“Lettere al postero”, “Ieri-oggi” (con Mosca), “Giro d’Italia”. Quest’ultima,
attraverso il linguaggio umoristico e scanzonata, era in realtà una autentica
cronaca “alternativa” degli avvenimenti del Paese: qui venivano denunciate le
soperchierie della Ricostruzione, dell’Epurazione: qui nacquero quelle
definizioni che sarebbero diventate famosissime, come quella di
“trinariciuto”, riferita ai comunisti (ma non solo) forniti di una terza narice
dalla quale lasciare effluire la materia grigia. In queste pagine venivano
denunciati gli omicidi che insanguinavano, a dispetto di tutta la retorica
sulla pacificazione nazionale, vaste zone della Penisola, in particolare
quell’Emilia Romagna che Guareschi soprannominò “il Messico d’Italia”,
memore dello spaventoso genocidio che era stato perpetrato dal 1926 al
1929 contro i cattolici messicani (i “Cristeros”). In soli dodici mesi “Il
Candido” aveva avuto modo di conquistare l’attenzione e l’affetto di migliaia
di lettori, di diventare un punto di riferimento per tutti coloro che non
avevano alcuna intenzione di versare il cervello all’ammasso delle nuove
parole d’ordine, dei nuovi protagonisti della vita politica italiana. Il
settimanale, grazie soprattutto alla fantasia, alla creatività e alla
determinazione di Guareschi, ebbe un ruolo decisivo nel determinare la
sconfitta del Fronte Social-comunista il 18 aprile del 1948, ma in seguito
non risparmiò certo i suoi strali anche alle forze moderate, ai leader come De
Gasperi di cui Guareschi intuì fin da subito l’ambiguità e l’opportunismo: lo
scrittore parmense amava appassionatamente l’Italia, per essa aveva
lavorato in tempo di pace e sofferto in tempo di guerra, finendo internato in
un lager nazista per la sua caparbia ostinazione a voler servire un solo Paese
e una sola bandiera. Quell’Italia, in effetti tanto diversa da quella attuale, ma
con tante sorprendenti analogie, in particolare per quanto riguarda vizi e
meschinità, non si poteva tuttavia raccontare in semplici articoli, contenere
in poche battute.

Un Mondo Piccolo di uomini

Guareschi percepiva il respiro profondo ed epico della terra e degli uomini,


delle vicende storiche piccole e grandi - dalla Guerra Fredda alla bega di
paese, da Stalin alla vecchia maestra. Il giornalista, il polemista brillante e
bruciante lasciò il posto al grande narratore. Nacque così Mondo Piccolo, il
teatro sfondo delle imprese di don Camillo e Peppone, piccolo specchio in cui
si riflettono i tormenti umani, le torbide storie narrate da tempo
immemorabile nei casolari, i drammi e le sofferenze della guerra e l’ancor più
cruda guerra civile. Guareschi incominciò a raccontare, in quel dicembre del
1946, e in don Camillo e il suo Cristo, in Peppone e nei compagni della
Sezione, trasfuse tutta la sapienza della sua antica arte di bardo, illuminata
da una filosofia del buon senso e da una teologia della speranza, espressione
di un profondo senso religioso che non diventò mai clericalismo e che pure a
tanti clericali spiacque non poco. Alle critiche (con termine eufemistico) che
da sempre gli giungevano da parte dei comunisti si aggiunsero le prese di
distanza dei moderati: perché il “cattivo prete” don Camillo se la intendeva
col “bolscevico” Peppone? Il presunto anticomunista Guareschi propugnava
forse un abbraccio coi comunisti? Con chi stavano realmente il Candido e il
suo direttore? Guareschi ebbe modo di esplicitare chiaramente il suo
pensiero in un editoriale del 7 dicembre 1947: “Noi non apparteniamo a
nessun ismo. Abbiamo un’idea, sì, ma non finisce in -ismo. La cosa è molto
semplice: per noi esistono al mondo due idee in lotta: l’idea cristiana e l’idea
anticristiana. Noi siamo per l’idea cristiana e siamo perciò con tutti coloro
che la perseguono e soltanto fino a quando la perseguono. Quando, a nostro
modesto avviso, qualcuno si distacca da questo principio, chiunque sia
(fosse anche il nostro parroco) noi diventiamo automaticamente suoi
avversari. Siamo contro ogni forma di violenza, e perciò non possiamo
ammettere nessuna guerra santa. Per noi la guerra è sempre un delitto da
qualunque parte venga dichiarata. La nostra strada è dritta e su di essa
camminiamo tranquilli. Alla fine, magari, ci troveremo con sei lettori in
tutto”.

Reazionario anticonformista

Così era Guareschi, e così dava vita ai suoi personaggi di Mondo Piccolo, che
conobbero ben più di sei lettori, a ragione di quelle storie intense, vere,
grondanti umanità concreta, umorale, pulsante. Guareschi dovette subire
fino alla morte l’ostracismo della critica “ufficiale”, della cultura progressista.
“Un uomo di difficili costumi”: di se stesso aveva dato questa
appropriatissima definizione. Un uomo cioè di forte moralità, intransigente,
ma - è quasi superfluo dirlo - di una moralità che nulla ha a che fare con la
rigidità puritana, in quanto ricca della misericordia. Questa virtù Guareschi
la coltiva in tutti i suoi anni e in tutte le circostanze: dal lager di Hitler alla
galera di De Gasperi. Mai lo scrittore fece trapelare la minima parvenza di
odio, di rancore, di rabbia. Al più provava e manifestava sacrosanta
indignazione nel vedere offesa la giustizia. Quella misericordia che non è mai
negata a nessuno dei numerosi episodi di Mondo Piccolo, sia che venga
manifestata dal Crocifisso, sia che venga praticata - ringhiando a denti
stretti - dal sindaco e dal parroco, fu dunque la matrice delle profonde virtù
di Guareschi. La sua sfida beffarda e insieme carica di bontà rivolta ai
conformismi di ogni genere è ben riassunta nelle parole che seguono,
apparse sul numero di Candido del 25 maggio 1946: “Proprio così, postero
diretto, quando vedrai sulla terra che coprirà lo chassis di tuo padre il
marmo recante inciso ‘Fu un uomo probo’ cancella e scrivi ‘Fu un
reazionario’. Non lasciare che si calunni la memoria di tuo padre”.

Tratto da : Paolo Gulisano, "Candido. Non con le mani pulite!", in TEMPI, n. 34 del 15
settembre 1999.
 

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