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Lorenzo de Vita
È il 1793. Una regione della Francia, che passerà alla storia con il nome di
Vandea – 100.000 km quadrati di terra su cui sorgevano 770 parrocchie –
insorge e si ribella quasi in massa alla rivoluzione, ai giacobini, ai massoni e ai
loro finanziatori occulti che spinti dall’odio per la Religione, per Dio e le
Tradizioni, vogliono spezzare e cancellare dalla storia il legame che unisce un
popolo alla sua civiltà. Il Poitou, non a caso, era una terra profondamente
cattolica: solo pochi decenni prima, un grande santo come san Luigi Maria
Grignion de Montfort, proprio in questa regione e grazie alla partecipazione
unanime della popolazione, poté costruire e ristrutturare chiese e cappelle e vi
fondò i suoi due istituti religiosi, la Compagnia di Maria e le Figlie della
Sapienza.
Reynald Secher, a cui certamente rimando, scriverà nel suo libro La Vendée-
Vengé: le génocide franco-français: «Massacri premeditati, organizzati,
pianificati, commessi a sangue freddo, massicci e sistematici, con la volontà
cosciente e proclamata di distruggere una regione ben definita e di sterminare
tutto un popolo, di preferenza donne e bambini».(«Il genocidio vandeano»,
EFFEDIEFFE edizioni)
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Ecco dunque che la memoria di questi fatti, dopo due secoli di mistificazioni,
menzogne e sotterfugi di ignobili scribacchini, ha ormai fatto breccia nella storia
mondiale grazie a numerosi studi capaci di rompere quella cortina bugiarda che
li teneva separati dalla nostra posterità. In Italia, la EFFEDIEFFE, per merito del
suo precedente editore, è stata pioniera in tal senso. Era il 1989, 200°
anniversario della rivoluzione francese; da 2-3 anni, proprio per contrastare
l’avvicinarsi di quel momento «storico», in Francia erano stati dati alle stampe
alcuni volumi di fondamentale importanza, intenti ad innalzare agli onori della
storia i martiri schiacciati da quella rivoluzione, fino ad allora vissuta con
spensieratezza, ricordata come virtuosa, giusta e necessaria e che, di lì a poco,
con le celebrazioni del 1989, tra migliaia di coccarde tricolore, avrebbe
nuovamente spazzato via dal suolo d’Europa il sangue di quelle genti. Era
dunque altresì necessario che questi testi venissero diffusi e pubblicati anche al
di fuori del territorio francese, per far comprendere quanto la matrice giacobina
fosse satanica per eccellenza e rendere onore a quei martiri, il cui ricordo è per
noi certamente fonte di edificante ispirazione.
Questo era l’intento del fondatore di EFFEDIEFFE quando, tra il 1990 e il 1991,
a stretto giro, dà alle stampe 3 libri che sono la base fondante su cui poggerà la
sua casa editrice: «I falsi miti della rivoluzione francese»di Jean Dumont
(attualmente in ristampa), «Il genocidio vandeano» dello storico vandeano
Reynald Secher e «La guerra di Vandea ed il sistema di spopolamento» su base
dati dello storico settecentesco Babeuf rielaborati sempre dal Secher. Dopo aver
pubblicato il primo dei tre volumi, «I falsi miti della rivoluzione francese», per
controbattere ai venti celebrativi che dalla Francia avrebbero soffiato anche
verso l’Italia – sospinti dagli eredi dei soliti storici traditori e venerati maestri
della Repubblica – de Fina, nel 1991, stampava in Italia anche gli altri due libri
sulla Vandea, che ebbero il grandissimo merito di portare all’attenzione
nazionale quei fatti di Francia, di quello che avvenne quando, nel 1794, si
consumò quel massacro nella regione dei Paesi della Loira, ormai attestato come
«il primo genocidio ideologico della storia» dove persero la vita non meno di
250.000 persone. Ma anche noi italiani abbiamo qualcosa da raccontare.
La Vandea italiana
Mentre per ciò che concerne la Vandea francese si era detto e scritto ormai
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È possibile che anche tra i nostri lettori (e più che probabile nell’intera
popolazione italiana, per non parlare dei nostri studenti...), ci sia qualcuno che
tuttora non è a conoscenza, nemmeno a grandi linee, di cosa accadde in questi
20 anni di furore; è possibile che in molti ancora non siano a conoscenza che,
dalla Valle d’Aosta alla Puglia, dalla Calabria al Tirolo, non vi fu provincia
italiana che non abbia impugnato le armi contro il giacobinismo e contro i
francesi spintisi, con intenti di conquista territoriale che andava di pari passo con
quella ideologica anti-religiosa, fin dentro le nostre terre.
Sulle nostre terre e nei Paesi in cui oggi viviamo, si consumò 200 anni fa una
Crociata contro i nuovi nemici di Dio che puntavano sull’odiata Roma cristiana.
All’arrivo della Rivoluzione, nel cui esercito francese ben presto si distinguerà il
giovane Comandante di artiglieria da sbarco Napoleone Buonaparte, gli italiani
non si comportarono da «vile canaglia», ma da eroi cristiani, ricacciando il
nemico invasore al grido di «Viva Maria, Viva il Papa, Viva l’Imperatore, Viva
il Re», in una guerra insurrezionale al cui paragone – scrive giustamente l’autore
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Qualcosa era difatti cambiato per sempre con la Rivoluzione Francese, la quale
aveva satanicamente ghigliottinato il vecchio mondo cristiano – stroncando il
presente dal passato e con esso la vecchia umanità, soggetta alle credenze ed alla
colpa originale – per costruire un uomo nuovo, l’illuminato filantropo
massonico che avrebbe dovuto instaurare un «Novus Ordo Saeclorum», la nuova
società laica e tollerante. Il Risorgimento italiano poi, ne sarà la degna
continuazione da un punto di vista politico-militare, e troverà le sue origini nella
Massoneria da un punto di vista ideologico-spirituale.
L’attacco massonico alla Fede, alla società ed alla civiltà cattolica italiana ha poi
vinto, istituzionalmente almeno, con il «Risorgimento italiano», soffocando con
attenzione il ricordo dei martiri cattolici di tutta Italia. Pertanto è ben chiaro per
quale motivo, ancora oggi, gli storici tutti definiscono «patrioti» questi e
briganti quelli: perché i primi sarebbero, secondo la «vulgata» risorgimentale, i
primi «padri» del Risorgimento, dunque intoccabile è la loro memoria in quanto
tale.
faranno le spese migliaia di uomini, morti nel silenzio. Ed ecco perché, oggi,
ancora in pochissimi conoscono la vera storia della Controrivoluzione italiana,
che non vide tra i suoi protagonisti solo contadini o montanari, non avvenne
esclusivamente nel Sud con la spedizione del cardinale Ruffo e con i «briganti»
di fra’ Diavolo, ma anche nel Nord, e in maniera massiccia, continua ed eroica,
per 20 anni, dalla Romagna al Piemonte, dal Tirolo alla Toscana. Ed un capitolo
a parte andrebbe dedicato esclusivamente all’insorgenza pontificia, perché tra le
popolazioni dell’Italia la reazione papalina fu sicuramente la più partecipata in
assoluto: Marche, Umbria, Lazio Romagna, sono una fucina continua di rivolte
antifrancesi, di processioni, di atti eroici in difesa della fede, di splendide
vittorie e tragici massacri. Queste terre hanno dato il maggior numero di morti
alla causa della Chiesa e dell’Italia cattolica. E celeberrimo, ad esempio, resterà
per sempre il caso di Lugo, dove si consumò una grande tragedia, la prima delle
grandi battaglie della Controrivoluzione italiana. Lì, nel momento in cui i
francesi vollero portare via, dissacrandola, la statua del veneratissimo santo
protettore di Lugo, S. Ilaro, scattò la scintilla tra quelle genti onorate, che erano
famosissime per essere particolarmente devote al pontefice romano.
La cifra quindi di 280.000 insorgenti, come quella dei 70.000 morti, non solo
non è né spropositata né fantasiosa, ma è sicuramente approssimata per difetto,
per gli evidenti motivi suddetti; si può tranquillamente parlare di centinaia di
migliaia di insorgenti, centinaia di migliaia di uomini che hanno preso le armi
pronti alla morte per combattere la Rivoluzione Francese in Italia, proprio come
avvenne in Vandea.
Dio, quindi alla Chiesa, quindi alla civiltà, alla tradizione, alla società cattolica
europea. L’albero giacobino – che sempre veniva piantato al centro dei Paesi,
davanti alle Chiese, al prezzo del sangue di chi vi si ribellava – era un simbolo
infernale: per questo fu sempre abbattuto e issata la Croce al suo posto appena
ve fosse la possibilità. Gli italiani compresero perfettamente, con una lucidità
purissima, tradizionale nel vero senso del termine, che era in gioco la civiltà
cristiana: l’albero giacobino ne era la perfetta antitesi.
Come non ricordare allora, tra tanti, l’esempio glorioso del popolo di Arezzo,
che al grido «Religione, Lealtà, Costanza», si mantenne saldo nella propria
difesa, e nell’attaccamento alla santa religione cattolica, nonostante i continui
soprusi francesi, le continue ritorsioni e minacce, che in quella zona furono
ripetute e insopportabili. Leggiamo un loro proclama:
Ecco cos’erano gli italiani: cristiani, e felici di esserlo; il popolo era, nel suo più
profondo animo, cattolico e monarchico (specialmente nel Sud e nel Tirolo, la
devozione ai legittimi Sovrani era fortissima) quindi antidemocratico e
controrivoluzionario. E lo dimostrò con la vita, per difendere quella che per noi
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È ovvio quindi che il popolo italiano era ben conscio che non si trattava di
difendere solo le proprie tasche e le proprie donne, bensì qualcosa di
infinitamente più grande e necessario, tale da giustificare una controrivoluzione
nazionale, in cui si contarono centinaia di migliaia di insorgenti e di morti,
violenze atroci, atti sublimi di eroismo, spedizioni «epiche». Si trattava di
difendere la propria civiltà, fino al martirio.
Sono anni dunque tragici e spietati – come il 1799 che passerà alla storia come
«L’anno Terribile» – ma anche gloriosissimi: Pavia, Lugo, Verona, tutta la
Romagna, i montanari alpini, quelli liguri, quelli dell’Appennino centrale, i
contadini piemontesi, i Viva Maria toscani, e, su tutti, i tirolesi ed i Lazzari,
hanno dato, insieme a tutti gli italiani e per venti anni, vita e anima per difendere
la loro fede, le loro terre e le nostre tradizioni.
Da notare poi che coloro che hanno prodotto stragi di insorgenti in Italia, erano
gli eredi di coloro che le avevano già praticate in Vandea pochi anni prima,
come nel caso del Flavigny, che s’era già distinto in Francia per le sue atrocità, e
quindi sapeva il fatto suo. E scatenò tutta la sua ferocia nel capitanare ad
esempio l’ultima, terribile vendetta su Asti, che arrivò inesorabile e tremenda:
più che mai giacobina. Dal libro:
“Fece arrestare 95 persone, alcune delle quali, come il Mo, colpevoli, le altre
innocenti e non venute neanche in città il dì 9 maggio. Ordinò all’avv. Marco
Antonio Doglio di farne il processo e presto. Era il 14 maggio. Nello stesso
giorno il Doglio esaminò alla rinfusa i detenuti; 46 gli parvero aver partecipato
ai tumulti, gli altri no. La mattina appresso Flavigny, parendogli soverchie le
venti- quattro ore spese nell’esamina, e accanito dai giacobini astigiani, ne
sentenziò egli stesso 86 alla fucilazione e ne assolse 9. Alle cinque e mezzo
pomeridiane i condannati ebbero ingiunzione di partire per Alessandria, dicendo
loro che sarebbero giudicati colà, ed ebbero due razioni di pane per il viaggio.
Giunti in piazza d’armi, furono circondati dalle truppe ivi schierate, poi fatti
muovere verso il muro di fondo. Quando furono là presso, Flavigny avvinazzato,
come ne era uso, gridò che si raccomandassero a Dio. Levarono urli di
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la scusa della frenesia degli eventi parigini; la Rivoluzione è alle spalle da anni,
e qui siamo in Ciociaria. Eppure nulla è cambiato dalla Parigi del 1793.
Così le valli alpine ed il Bergamasco ebbero gli uomini di Pacì Paciana, e non
restò tranquillo nemmeno l’Appennino tosco-emiliano. Nelle Marche l’indomito
Sciabolone organizzò in tutti questi anni una guerriglia continua, portata avanti
in Abruzzo, oltre che dal De Donatis, da Ermenegildo Piccioli, Francesco
Bernardi di Barisciano, Michele Ferrante di Loreto, da tale Savonetti e dal
Rodio. Ciociaria, Circeo e Terra di Lavoro sono dominio incontrastato di Fra’
Diavolo, ma è soprattutto in Calabria che il brigantaggio fu assiduo e più che
mai efficace nella lotta contro i francesi. Senza dimenticare i santi, che numerosi
si possono contare tra le file di coloro che hanno sacrificato l’esistenza al
servizio della Fede e della Controrivoluzione, a cui il libro dedica un’intera
appendice. Come Pio Brunone Lanteri, a cui noi editori cattolici tutti ci
ispiriamo, che come mezzo pratico per glorificare Dio proponeva la diffusione
dei «buoni libri»; come San Gaspare Bertoni, dalla penna lucidissima, che
scrisse tra i suoi numerosi commenti anti-rivoluzionari: «la Rivoluzione è uno
dei più grandi peccati, e il più grande di tutti, perché in sé ne contiene di tutti le
conseguenze»; o come il Santo di Roma, San Gaspare Bufalo, che morì martire
al grido «NON POSSO, NON DEBBO, NON VOGLIO!» piuttosto che
sottostare al giuramento napoleonico imposto ai sacerdoti «refrattari» del Lazio.
italiana, per 200 anni. Il più grande dei tradimenti! È chiaro che l’intento era
distruggere e far perdere per sempre il ricordo, ed il legame che univa il popolo
cattolico e monarchico ai suo sovrani ed al suo Sovrano celeste di conseguenza.
E noi, oggi, dopo 200 anni, vogliamo ricordarli con questo libro e ricordare il
loro grido di battaglia, che tutti li unì indistintamente (e a cui indegnamente
partecipiamo):
«VIVA MARIA!»
Lorenzo de Vita