Sei sulla pagina 1di 28

I CAPITOLO

1. Chi per primo prendeva l’iniziativa della costruzione?


Nel Medioevo si costruisce un nuovo volto dell’Europa dove i committenti, cioè chi
promuove l’iniziativa della costruzione, erano pontefici, re, vescovi, abati, prelati e nobili
mecenati…
I pontefici e i sovrani, anche le autorità religiose e civili subalterne (vescovi, abati, duchi…)
erano solite prendere l’iniziativa ai fini della costruzione di un luogo di culto. Nell’Italia
settentrionale, l’onere venne assunto anche dai Comuni a partire dall’avanzato XI secolo. Le
figure dei vescovi risultavano indubbiamente predominanti anche nei casi in cui l’iniziativa
veniva finanziariamente sostenuta da altri. Esempi importanti sono l’arcivescovo Gerardo che
iniziò a ricostruire la cattedrale di Cambrai; Maurizio di Sully è indissolubilmente legato alla
cattedrale di Notre-Dame di Parigi.
Ad esempio, in Normandia le chiese si formarono e si modellarono intorno al potere ducale al
quale, fino al 1030, ogni monastero dovette la sua esistenza. Durante i cinquant’anni
successivi, l’aristocrazia, per iniziativa dei duchi o con il loro appoggio, partecipò alla
fondazione e al restauro di una trentina di abbazie. Anche nell’Italia meridionale, soprattutto
in Campania, sotto la dominazione normanna sorse una committenza sia laica che
ecclesiastica di notevole interesse. I casi di chiara promozione laica sono ad Aversa e a
Salerno. Ad Aversa, nel 1053 circa, il principe Riccardo I Drengot avviò la costruzione del
duomo. A Salerno troviamo un'iscrizione con il nome del committente collocata sul portale;
la menzione costituiva una sorta di riconoscimento nei confronti del committente, non solo in
termini di prestigio terreno, ma anche come formula di auspicio per la salvezza eterna.

2. Cosa si intende per morbus edificandi?


Passione di costruire che, come una frenesia, colpiva le gerarchie ecclesiastiche dell’epoca,
soprattutto a partire dalla crescente importanza delle città rispetto alla campagna, che
diventano centri di popolazione sempre più grandi grazie alla grande attività economica che
si svolgeva nelle città.
Il dinamismo delle città comporta la volontà di costruire.

3. Esponga sinteticamente il significato attribuito al patronato artistico: l’esempio


normanno.
Il patronato artistico, cioè l'appoggio da parte di alcune persone per fare possibile la
realizzazione d’arte, è particolarmente significativo nell'organizzazione feudale normanna. In
Normandia le chiese si formarono e si modellarono intorno al potere ducale al quale, fino al
1030, ogni monastero dovette la sua esistenza. Durante i cinquant’anni successivi,
l’aristocrazia, per iniziativa dei duchi o con il loro appoggio, partecipò alla fondazione e al
restauro di una trentina di abbazie.

1
La costruzione dell'abbazia di Fécamp da parte di Riccardo I (942-996) rappresenta una
testimonianza diretta delle importanti elargizioni versate dalla Chiesa con l’assenso dei duchi
già dalla prima fase di ricostruzione.
I risultati di questa committenza e della successiva politica di Riccardo II si ritrovano negli
importanti privilegi accordati alle abbazie di Saint-Ouen a Rouen, Jumièges, Bernay…
Intorno al 1059, l’impegno preso da Guglielmo il Conquistatore e da sua moglie Matilde di
Fiandra di fondare due abbazie separate, quella degli uomini e quella delle donne, risultò
determinante per la storia dell’architettura normanna.
Sarebbero state poi le conquiste dell’Italia meridionale e dell’Inghilterra che avrebbero
permesso al Conquistatore di portare a termine i suoi progetti, assicurando, anche ai
successori, fondi cospicui per estendere a tutta la Normandia un grande programma edilizio.
Il disegno edilizio-religioso della Normandia dipendeva essenzialmente da un programma di
“pianificazione” voluto e realizzato dai duchi e in particolari da Guglielmo il Conquistatore
(non bisogna dimenticare che le costruzioni conventuali rispondevano a un’esigenza
spirituale, dettata dalla fede religiosa che tanto profondamente caratterizzava la personalità
dei duchi).

4. Quali sono le destinazioni d’uso di una costruzione religiosa?


Alcune chiese e cattedrali avevano varie destinazioni d’uso: in esse, si svolgevano
benedizioni, ricevimenti ufficiali, udienze, emanazioni di sentenze, riunioni politiche e
comunali. Nel medesimo contesto sociale, le chiese di pellegrinaggio richiamavano,
attraverso il culto delle sacre reliquie, i fedeli che vi giungevano numerosi dai luoghi più
lontani.
Talora persino ai cani, agli sparvieri e ai cavalli era permesso l’ingresso nella chiesa, che
costituiva così un ambiente capace di rispondere alle più diverse esigenze, anche quelle che
richiedevano ampi spazi e possibilità di circolazione.
La chiesa era la casa del popolo oltre che la casa di Dio, costituiva una realizzazione
collettiva che conferiva dignità anche all’uomo di umile estrazione sociale e non
rappresentava solo l’opera personale di un laico o di un ecclesiastico, per quanto concreto
fosse stato il loro apporto all’opera costruttiva.

5. Mi parli del “Capitolo” e della “fabrica” di una cattedrale.


Sappiamo con certezza che nell’architettura religiosa tutta la parte amministrativa e
finanziaria era gestita da un'assemblea di canonici chiamata capitolo della cattedrale.
Nell’Alto Medioevo, il vescovo aveva a disposizione in corpo di consiglieri e ausiliari che
assicurava il controllo e la continuità delle sue iniziative.
A partire dal XIII secolo, i capitoli acquistarono una maggiore autonomia, tanto da riuscire a
eludere il controllo del vescovo e diventare i veri custodi della cattedrale. In questa
situazione, il vescovo si trovava a essere quasi un ospite nella sua stessa cattedrale. Il
capitolo, con la forte autonomia acquisita, era tenuto a risolvere tutte le difficoltà finanziarie

2
che si presentavano all’inizio dei lavori. Nel Medioevo non esistevano i finanziamenti
sofisticati e le tecniche di regolamentazione finanziaria vigenti ai nostri giorni. Si trattava di
una economia semplice: fino a quando c’erano soldi nei forzieri il capitolo poteva permettersi
il pagamento di materiali e manodopera, ma quando le risorse terminavano, gli operai
dovevano abbandonare il cantiere. Proprio per la sua marcata tendenza autonomistica, in
contrasto con i rigidi ordinamenti della Chiesa, il capitolo fu ridimensionato con il Concilio
di Trento (1545).
Le finanze che arricchivano le casse del capitolo erano affidate a un custode o tesoriere. In
seguito agli inevitabili conflitti tra il custode e il capitolo, si formò, verso il primo quarto del
secolo XIII, un altro organismo, delegato del capitolo, ma a volte da questo indipendente: la
fabrica o opera, diretta da uno o più monaci con il compito di gestire le finanze per la
costruzione, la manutenzione e l’arredo delle chiese. L’opera era una sorta di comitato,
composto da ecclesiastici e laici di nomina capitolare, dotato di una forte indipendenza dal
vescovo o all’abate; uno strumento ausiliario creato dal capitolo per superare le controversie
che potevano sorgere durante la costruzione. La fabrica doveva, inoltre, compilare i conti
periodici delle entrate e delle uscite per sottoporli alle riunioni del consiglio del capitolo e
qualche volta al vescovo; vi appartenevano lo scriba e il controllore, incaricati di tenere la
lista della paghe, di stipulare gli accordi e di redigere gli inventari.

6. Descriva i tre processi di finanziamento impiegati per la costruzione di una


cattedrale.
I proventi delle numerose diocesi europee appartenevano a tre categorie:
- Ricchezze del clero.
- Raccolta dei fondi tra i fedeli.
- Ruolo svolto dalla autorità civile.
Il primo caso, fa riferimento ai benefici derivanti direttamente dalle ricchezze del clero
(terreno, foreste, cave di pietra e altri possedimenti). Il contributo era offerto sotto forma di
lascito in cambio di una menzione pubblica, del vescovo o abate donatore, scritta, ad
esempio, sul portale della chiesa. Nei casi di canonici appena defunti, il vitalizio continuava a
persistere e veniva versato internamente per la costruzione della chiesa finché non
subentravano i successori. Gli stessi canonici, talvolta, donavano notevoli somme di denaro a
condizione che il loro nome fosse legato all’opera architettonica e consegnato, ben in
evidenza, alla memoria dei posteri.
Nel secondo caso, la raccolta dei fondi tra i fedeli era organizzata dallo stesso vescovo che,
dopo il 1215 (IV Concilio Lateranense), obbligava, per scritto con una lettera, il clero a
ricevere i suoi nunzi, incaricati di raccogliere le risorse economiche necessarie alla
costruzione degli edifici sacri. Chiaramente queste collette erano limitate al solo territorio
diocesano corrispondente alla giurisdizione episcopale che assumeva l’iniziativa. Il popolo
offre donazioni direttamente (doni di varia natura) o indirettamente (acquisti di indulgenze);
il popolo anche collaborava alla costruzione con l’apporto degli operai volontari.
Numerose fonti medievali documentano, inoltre, il ruolo svolto dalle autorità civili che
commissionavano la gran parte delle opere architettoniche elargendo somme considerevoli o
irrisorie in base alle proprie possibilità. Il potere civile e l’aristocrazia, benché non avesse

3
legami diretti con l’edificio religioso, contribuiva attivamente con le sue risorse alla rinascita
architettonica degli edifici sacri.
Altri proventi derivavano dal culto delle sacre reliquie, conservate all’interno degli edifici
religiosi che esercitavano un forte potere di richiamo sui fedeli disposti a versare somme
anche ingenti di denaro nella speranza di ricevere il perdono dei peccati.

7. Dopo la raccolta dei fondi quali erano le procedure seguite per permettere
l’edificazione di una cattedrale? (Ricordarsi dei passaggi: reperimento del terreno,
demolizioni, espropriazioni, orientamento, eccetera).
Dopo la raccolta dei fondi necessari per la costruzione di un edificio religioso si poneva il
problema della sua collocazione spaziale e del rapporto, in base all’orientamento dei corpi di
fabbrica, con la città. Enormi difficoltà: spesso i monumenti progettati raggiungevano o
superavano i cento metri di lunghezza e potevano presentare una larghezza (rappresentata dal
transetto) di circa settanta metri. Di non facile soluzione pratica risultava dunque il problema
dell’ubicazione delle cattedrali nelle città medievali, a elevata densità abitativa e sempre più
strette nella morsa delle mura perimetrali. La ricerca del terreno per la realizzazione
dell’opera diventava un’impresa ardua.
Si cercava di ovviare, in genere, demolendo gli edifici preesistenti, ma l'operazione, difficile
da attuare, richiedeva molto tempo e altissimi costi. L’incremento demografico che si verificò
nell’XI secolo, soprattutto nelle città del Nord Europa, complicò la situazione: la città tornò a
essere , come nell’Antichità, il centro del potere civile e religioso.
Per facilitare le operazioni di acquisto del terreno, molti sovrani adottarono misure d’ordine
giuridico (espropriazioni, compravendite, cessioni) per agevolare i vescovi.
Nell’architettura medievale, i corpi di fabbrica erano generalmente disposti con la facciata a
ovest e l’abside a est, in maniera che il sacerdote officiante guardasse verso l'oriente, ovvero
verso il sole nascente, invictus, simbolo di Cristo vittorioso sulla morte. Ma per mancanza di
terreni idonei o per ragioni di ordine geomorfologico, l’asse est-ovest non veniva rispettato:
in questi casi, i costruttori operavano scelte diverse e ibride modificando il progetto
originario.

8. Illustri il senso che alcuni personaggi dell’epoca attribuivano alla concezione


architettonica e di conseguenza descriva le dispute (decoro o essenzialità) che
derivavano dai due modi di progettare il manufatto architettonico religioso.
I vistosi finanziamenti e il fasto delle nuove costruzioni religiose non riscuotevano
un'unanime approvazione. Già verso la metà dell'XI secolo il cardinale Pier Damiani, si batté
affinché i monaci dessero esempio di povertà nelle loro sedi. Pier riteneva che molti abati
dilapidassero i beni della chiesa costruendo edifici inutili e maestosi. Successivamente,
intorno alla fine del XII secolo, furono rivolte aspre critiche contro l'ostentazione e il lusso
delle costruzioni religiose.

4
San Bernardo di Chiaravalle disapprovò lo sperpero del denaro versato per la costruzione e la
decorazione di chiese e chiostri, in particolare benedettini.
Il santo riconosceva la valenza didattica delle forme artistiche, altamente educative per le
classi popolari semplici e incolte, ma gli eccessivi abbellimenti incoraggiavano “la vanità più
che la vera pietà a danno dello spirito religioso e della carità”.
La causa di tanta ostentazione era individuata nel morbus aedificandi, la deplorevole
“passione di costruire" che colpiva le gerarchie ecclesiastiche della sua epoca.
Al dibattito sulla concezione artistica dell’architettura religiosa del XII secolo, prese parte
anche Ugo di Fouilloi, uno dei canonici regolari dell’ordine di Sant’Agostino; lui difese la
semplicità delle strutture religiose, disapprovando energicamente gli elevati costi di
costruzione e lo sfarzo decorativo dei palazzi episcopali del suo tempo.
Anche Ugo, come san Bernardo, disapprovava il comportamento dei monaci cluniacensi che
costruivano i loro conventi “alla stessa stregua dei castelli, con muri di difesa e torri, per
mascherare talora le loro rapine, per compiacersi dell’abbondanza, per mettersi al riparo dagli
attacchi dei potenti di questo mondo o per nascondere i loro imbrogli”.
Pietro le Chantre, dignitario del capitolo di Notre-Dame di Parigi, pensa che gli edifici
monastici e le cattedrali si edificavano “con l’avarizia, con la scaltrezza della menzogna, con
l’inganno dei predicatori mercenari”. Spesso le risorse “mal acquisite” diventavano “causa di
rovina per le costruzioni”.

II CAPITOLO
1. Quali erano i termini in latino utilizzati nelle fonti scritte per definire l’architetto?
Alla metà del XII secolo, i cronisti definivano architetto generalmente con i termini
architectus, architector e architectarius. Anche i termini caementarius e latomus
accompagnati dai vocaboli doctor e princeps, alludevano spesso alla figura dell’architetto.
Occasionalmente, gli aggettivi prudens, sapiens ed elegans qualificavano il ruolo
professionale di magistri e artifices.
Ma quando i cronisti parlavano di magister latomus, magister operis o di magister fabricae,
facevano riferimento all’architetto, ma soprattutto un capocantiere o un esperto contabile.

2. Quali sono gli strumenti che identificano l’architetto nelle iconografie tradizionali
(Arca di Noé e Torre di Babele)?
Verso la metà del XII secolo si diffonde in modo sistematico la tendenza a rievocare
pubblicamente il lavoro dei maestri attivi nei cantieri destinati a grandi imprese edilizie.
Molti architetti sono stati rappresentati, nell’iconografia tradizionale o nelle varie effigi, con
gli strumenti emblematici della loro professione (riga, compasso e squadra) nell’intento di
esaltare l’abilità tramandando ai posteri la memoria.

5
3. Ricordi qualche architetto medievale famoso identificato dalle fonti?
Sì. Liutprando, un appassionato costruttore di chiese e monasteri che appare descritto
icasticamente nella conclusione dell’ultimo libro di Historia Langobardorum di Paolo
Diacono.

4. Ricordi qualche opera architettonica progettata da Buscheto e da Lanfranco? Gli


architetti operarono in quali città e costruirono quali cattedrali?
Le cattedrali di Pisa e Modena; sulla facciata della cattedrale di Pisa e sull’abside di quella di
Modena, alcune grandi iscrizioni celebrano Buscheto e Lanfranco, i maestri che costruirono i
due monumenti.

5. In particolare ricordi qualche iscrizione che celebra un architetto medievale?


- Nel duomo di Pisa, nel timpano sovrastante l’ardica della facciata un epitaffio poetico
che commemora l’opera di Buscheto, e in una cartella scolpita al centro dell’urna è
incisa una seconda iscrizione di elogio. Sull’epigrafe funeraria collocata sul timpano
sovrastante l’urna sepolcrale posta all’interno della prima arcata cieca di sinistra,
Buscheto, esperto nel campo della meccanica applicata, è definito più ingegnoso di
Ulisse e più abile dello stesso Dedalo.
- Sulla lapide absidale di Lanfranco, fatta trascrivere all’inizio del XIII secolo dal
massaro Bozzalino, sono esaltati i marmoribus sculptis che decoravano il duomo di
Modena. La lapide del 1099, affissa nell’abside maggiore del duomo di Modena esalta
la figura di Lanfranco, il progettista della nuova costruzione realizzata per ospitare il
corpo di san Geminiano.

6. Cosa rappresenta il labirinto nel Medioevo?


Era possibile rendere omaggio agli illustri artisti responsabili dei progetti sui cantieri anche
attraverso altre forme celebrative diverse alle iscrizione, disegnando, ad esempio, sui
pavimenti o sui pilastri delle chiese da essi costruite un labirinto realizzato con tarsie
policrome. Sono andati distrutti i labirinti tracciati sui pavimenti delle cattedrali di Reims,
Amiens, Sens… Del laberinto di Reims, distrutto nell’anno della Rivoluzione francese, resta
solo uno schizzo eseguito da Jacques Cellier nel XVI secolo. Dell'originario labirinto, di
forma ottagonale con quattro ottagoni minori che si innestavano agli angoli, erano riportati i
nomi dei quattro architetti alternatisi alla direzione dei lavori dal XIII al XIV secolo.

7. Cosa s’intende per abilità manuale di un architetto medievale?


L’abilità manuale è quella abilità acquisita nella sua formazione nel cantiere.
L’architetto conosceva a fondo il mestiere di muratore, di scalpellino e di carpentiere,
arti in cui aveva avuto modo di eccellere durante gli anni dell’apprendistato.

6
La sua abilità manuale era importantissima e doveva essere, comunque, superiore a
quella degli altri partecipanti all’attività edilizia.
Per la sua abilità manuale gli architetti non sono più muratori, lapicidi o semplici
disegnatori di piante, ma abili artifices, dotati di una notevole capacità di progettare,
organizzare e controllare, dall’inizio alla fine, l’esatto svolgimento di tutte le fasi della
costruzione, diventano spesso la personificazione stessa del cantiere medievale.

8. Quali erano i compensi e i privilegi che percepivano gli architetti nel Medioevo?
Oltre a riscuotere un compenso elevato, l’architetto si avvaleva di numerosi privilegi:
Giovammo di Gloucester, ad esempio, ricevette, nel 1255 “due mantelli in pelliccia dello
stesso tipo di quelli dei cavalieri reali” e qualche anno dopo,nel 1258, ottenne dal re Enrico
III l’esenzione fiscale a vita nonché terre e case come ricompensa per gli eccellenti servigi
prestati a Gloucester, Woodstock e Westminster. Le fonti documentano le ingenti donazioni a
favore degli architetti puntualmente forniti di alloggi, cavalli, otri di vino e capi
d’abbigliamento. È esemplare, a Firenze, il caso di Arnolfo di Cambio, esentato nell’aprile
del 1300 dall’imposta sul reddito. Talora l’architetto usufruiva di facilitazioni nell’offerta di
localizioni: Nicola de Bonaventura, chiamato nel 1289 dalla fabbrica di Milano, affittò una
casa per sé e per la propria domestica, ottenendo il rimborso delle spese per la cucina, il
riscaldamento e la branda. Nel 1389 furono offerte a Enrico Yevele due residenze nel Kent.

9. Descrivere le fasi essenziali della progettazione edilizia medievale (imitatio,


cogitatio, inventio).
La progettazione edilizia medievale era legata essenzialmente all’imitatio delle piante degli
edifici più diffusi: nella fase dell'inventio veniva elaborato il modello architettonico di
riferimento. Nel secolo XIII Guglielmo d’Alvernia, vescovo di Parigi, usò il termine
cogitatio per definire la fase precedente all’elaborazione del disegno architettonico.
Le prassi metodologica della progettazione edilizia medievale è ben descritta da Du
Colombier: “L’imitazione degli edifici già costruiti è stato uno dei metodi di lavoro più
frequenti durante il Medioevo. Si è costruito a somiglianza di quella o quell’altra chiesa
celebre, e, in questo modo, sono nate, soprattutto prima del gotico, tante scuole regionali”.
Esempio:sappiamo che, nel dicembre 1026, il vescovo di Arezzo Teodalo concesse
all’architetto Maginardo, peritus nell’arte del costruire, nonché eruditus nell’ingegno, beni
immobili e rendite fondiarie come ricompensa del lavoro prestato al suo servizio per la
ricostruzione anche del palazzo vescovile, estendendo così la sua attività di progettazione
dall’architettura religiosa a quella residenziale. Tra il 1014 e il 1026 il predecessore di
Teodalo, il vescovo Alberto, aveva affidato allo stesso Maginardo il compito di recarsi a
Ravenna per studiare la struttura della chiesa di San Vitale (538-546), con l’intento di
ricostruire il duomo di San Donato ad Arezzo esemplandolo su quel modello di riferimento
che aveva ispirato anche lo schema della Cappella Palatina ad Aquisgrana. Maginardo tornò
ad Arezzo portando con sé un exemplar, una rappresentazione grafica o un modello ligneo.

7
10. Descrivere l’uso dei modelli nel Medioevo.
In fase progettuale, spesso, oltre ai disegni, gli architetti realizzarono, soprattutto nel XV e
XVI secolo, modelli in scala ridotta degli edifici utilizzando materiali di vario genere (argilla,
cera, legno, cartapesta…). Già Vitruvio nel suo De architectura ne aveva suggerito l’uso.
Alberti ne sottolineò l’importanza: “è questo il motivo per cui io vi parlerò sempre bene di
quest’uso che hanno eccellenti architetti dell’antichità. I modelli, peraltro, dovranno essere
concepiti in maniera da lasciare percepire e contemplare, il meglio possibile, l’ambiente, la
grandezza della `pianta, il numero e l’organizzazione delle diverse parti, l’aspetto dei muri, lo
spessore dei soffitti e infine la costituzione e il trattamento di tutto quello che ho trattato nel
libro precedente”.
Le fonti letterarie attestano l’esistenza dei modelli già dal IX secolo. Gli architetti medievali
tendevano a realizzare i modelli dei loro edifici non tanto per presentare l’idea ai
committenti, allo scopo di riceverne l’incarico di progettazione su grande scala, quanto per
studiare in dettaglio lo schema che avrebbe guidato gli operai e favorito la valutazione
d’insieme dell’opera.
Tali modelli, benché avessero il grande pregio della verosimiglianza, non erano molto
impegnati a nord delle Alpi. In Italia, invece, l’importanza classica del loro utilizzo nella
progettazione era fortemente sentita. Dei modelli pervenuti, molti riproducono in dettaglio i
monumenti, altri invece, con una funzione più votiva, ne ricalcano solo le linee essenziali. Un
mosaico conservato in Vaticano, proveniente dalla basilica di San Pietro, rappresenta papa
Giovanni VII che regge tra le mani il modello dell’oratorio fatto costruire in onore della
Vergine.
Nel 1261 Vasari descrisse un grande modello d’insieme in mattoni, con decorazione interna
in gesso. Il plastico, ormai perduto, era stato costruito da Antonio di Vincenzo per la
cattedrale di Bologna.
Come testimonianza di questa pratica adottata dagli architetti vanno menzionata anche la
lastra tombale dell'architetto Ugo Libergier che, a Reims, è raffigurato con in mano il
modello della chiesa di Saint-Nicaise da lui stesso progettata.

11. Processi costruttivi delle fondazioni, descrizione delle varie attività pratiche sul
terreno (disposizione delle funi e dei picchetti, eccetera).
Dall’Alto Medioevo fino a tutto il XII secolo, l’architetto non solo concepiva le piante, ma
doveva assicurare, con funi e picchetti, l’esatta esecuzione sul terreno, essendo il solo a
conoscere, nella sua interezza, l’integrità del progetto.
Un’abbondante letteratura, relativa all’attività dell’architetto e, in particolare, a una delle fasi
che precede la costruzione, ci informa circa le modalità di una corretta disposizione
geometrica sul terreno delle fondazioni. L’operazione, per la sua importanza e per la perfetta
padronanza della tecnica richiesta, viene minuziosamente descritta nei testi specialistici e
addirittura caratterizza il linguaggio comune, ora come metafora, ora come riflessione
analitica dei non addetti ai lavori. Non a caso, nella prima lettera ai Corinzi, al capitolo terzo,
san Paolo scrive: “secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io

8
ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra”. E continua: “ ma ciascuno stia
attenti come costruisce. Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello già vi si
trova, che è Gesù Cristo. E se sopra questo fondamento si costruisce con oro, argento, pietre
preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel
giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno”.
Nel 969 sant’Osvaldo, vescovo di Worchester, descrive il metodo per l’esecuzione
schematica del tracciato di una pianta fornendo osservazioni pratiche circa le operazioni di
costruzione geometrica di un triangolo rettangolo con lati proporzionali ai numeri 3, 4 e 5:
“l’architetto cercava affannosamente operai specializzati per disegnare le fondazioni secondo
le regole della linea retta, del triplo triangolo e del compasso”.
Dalle fonti scritte sappiano inoltre che nel 1088, nel corso dei lavori preliminari di
rifacimento dell’abbazia di Cluny, l’abate Ugo teneva tase alcune funi per delimitare e poi
rilevare l’area scelta per la costruzione.
Su una miniatura del XII secolo raffigurante il sogno di Gunzo, sono ritrattati san Paolo, san
Pietro e santo Stefano muniti di corde e pronti a delimitare lo spazio per la nuova abbazia.
I disegni proposti erano per lo più schematici, facili da eseguire e si basavano su figure
geometriche di agevole realizzazione: il cerchio, il triangolo equilatero, il quadrato e il
rettangolo. Venivano riecheggiate le semplici prescrizioni vitruviane: “un tracciato comodo
da disegnare nell’atelier con la riga e il compasso e facile da riprodursi con corde tese sul
terreno da edificare”.

12. Disegni e segreti (tracciati sui muri) medievali.


Per quanto riguarda i dettagli costruttivi (modanature, profili di alcuni archi ed elementi
architettonici e così via), l'architetto disponeva di sagome che sottoponeva agli operai dopo
averle disegnare su supporti di legno, latta, tela o carta.
A volte l’architetto preferiva abbozzare sui muri, a misura reale, i profili delle cornici, delle
basi, dei fusti delle colonne, degli archi, mediante il compasso e la squadra, i suoi arnesi da
lavoro più usati, ricorrenti nell’iconografia tradizionale almeno fino al XIII secolo. Poiché la
manodopera era per lo più incapace di leggere e scrivere, non conveniva, fissando
preliminarmente una misura di riferimento, riprodurre gli elementi architettonici in scale
metriche diverse da quella reale. Sia che dovessero riprodurre un elemento architettonico
semplice o realizzare un elaborato progetto di facciata, gli scalpellini e i muratori erano tenuti
solo a seguire fedelmente lo schema disegnato dall’architetto, evitando, per quanto possibile,
gli errori di proporzione.
Il cantiere era il luogo di una sperimentazione continua: lì gli architetti, in epoca romanica,
trasmettevano alle maestranze, oralmente e visivamente, con semplici segni tracciati sui muri,
il sapere empirico, illustrando le modalità pratiche per realizzare gli elementi architettonici
costitutivi dell’edificio. La grandezza dei cantieri gotici e la conseguente complessità tecnico-
organizzativa, insieme all’impossibilità di seguire l’ingente massa di uomini e di mezzi
impiegati, determinarono un cambiamento del ruolo professionale dell’architetto. Anche per
comprendere la missione stessa degli architetti gotici, “costruttori di cattedrali”, è importante
ricostruire gli sviluppi successivi, In un’atmosfera di fermento intellettuale e di intensi
scambi culturali via individuata la matrice sincretico-scientifica dell’evoluzione della figura

9
professionale dell’architetto medievale. Lo stile gotico si affermò proprio nelle regioni in cui
le rinomate scuole di Parigi e Chartres educavano gli studiosi alle arti liberali del trivium e
del quadrivium, in lingua latina e piccarda.

13. A cosa serve in generale nel disegno la scala metrica di rappresentazione?

14. A quanto rimonta il primo disegno con scala metrica di riduzione?

13. Corporazioni e logge: similitudini e differenze.


In Italia, la trasformazione delle diverse associazioni di mestiere in vere e proprie
corporazioni caratterizzò, anche nel settore edilizio, la realtà urbana della seconda metà del
XII secolo, preparando la complessa organizzazione del lavoro nelle grandi fabbriche dell’età
gotica. La distribuzione dei compiti all’interno dei cantieri importanti risultò necessaria per la
già sottolineata sproporzione esistente tra superficie costruita e numero di abitanti.
Nell’arte grafica, molti architetti si esercitavano quotidianamente, insieme ai capomastri,
nelle famose tracing houses o chambres aux traits (numerose soprattutto in Inghilterra e in
Francia), discutendo le realizzazioni tecniche adoperando terminologie segrete e
incomprensibili per i non appartenenti alle logge.

14. Chi era Villard de Honnecourt?


Villard de Honnecourt era un architetto del XIII secolo, è un personaggio molto importante
per il suo taccuino di appunti, conservato presso la Biblioteca nazionale di Parigi, è il primo e
forse l’unico esempio rimasto di tecniche grafiche di rappresentazione architettonica
medievale. L’album purtroppo incompleto, contiene 33 pagine ricche di disegni corredati da
osservazioni e suggerimenti utili al rilevamento. Sui supporti cartacei, altre al ritratto dello
stesso Villard, sono raffigurati altri personaggi del tempo, figure di santi, animali, consegni
per orologi e macchinari vari, tra cui anche bellici..
Verso la metà del XIII secolo, la compilazione e la pubblicazione del taccuino dell’architetto
Villard de Honnecourt colmò la lacuna di informazioni pratiche e di nozioni specifiche sul
disegno e la geometria applicata alla costruzione. Villard aveva avuto la possibilità di studiare
i testi arabi e greci tradotti in latino dagli intellettuali orientali.

15. A cosa serviva la modularità geometrica?


La modularità geometrica serviva per l’applicazione pratica della progettazione edilizia
medievale, attraverso una maglia regolare di quadrati e triangoli, entro cui erano dimensionati

10
pianta e alzato dell’edificio. Una dimostrazione dell’uso corrente di questo sistema, comune a
molte chiese gotiche, è contenuta nei documenti relativi ai lavori del cantiere del duomo di
Milano: nelle carte, infatti, ricorrono spesso le formule ad quadratum e ad triangulum,
adottate soprattutto all’architetto Antonio di Vincenzo (1390). La stessa terminologia è
impiegata dal matematico Gabriele Stornaloco (1392), expertus in arte geometriae, per la
preparazione del porgetto di San Petronio a Bologna. In entrambi i casi il sistema adottato si
fonda sul calcolo di un solo elemento modulare ripetitivo, il cosiddetto “braccio” medievale
(circa 58 centimetri con leggere variazioni locali). La stessa proporzione metrica rispetto al
braccio, ma questa volta applicata solo in pianta, sembra essere stata alla base del
dimensionamento della chiesa inferiore di San Francesco d’Assisi, nonché delle chiese di San
Fortunato a Todi, di San Domenico e San Francesco a Siena e di Santa Croce a Firenze.
Tra le unità di misura più diffuse nel Medioevo possiamo annoverare il braccio, il piede e il
pollice, con multipli e sottomultipli. Le misure più frequenti dei progetti medievali si
basavano su scale metriche espresse in dodicesimi e, a volte, in decimi.

16. Quali sono i disegni medievali ancora conservati?


Gli studi recenti condotti sui disegni gotici hanno evidenziato il genio e la capacità teorico-
didattica dei progettisti, fornendo utili chiarimenti sulla realtà quotidiana dell’organizzazione
del cantiere, animata dai complessi e delicati rapporti intercorrenti tra architetto, direttore dei
lavori e capomastro. Nel periodo gotico, il disegno diventò un veicolo di trasmissione di idee
e di scambi culturali tra il progettista e l’esecutore. Purtroppo moltissimi disegni
architettonici sono andati perduti. I disegni, una volta usati, venivano cancellati e le superfici
potevano essere adoperate per un nuovo lavoro; in alcuni casi, è possibile notare le varie
sovrapposizioni determinate dai disegni aggiunti.
Oltre al disegno su pergamena della pianta del monastero di San Gallo in Svizzera e alle
planimetrie degli impianti idrici del convento di Canterbury del XII secolo e dell’abbazia di
Waltham del XIII secolo, sono noti i disegni su pergamena relativi alla facciata e ai due
portali della cattedrale di Strasburgo e quelli, successivi alla metà del XIV secolo, tracciati
con colori e matite. Ricordiamo ancora le piante e agli alzati della cattedrale di Colonia e
della chiesa di Friburgo; la “pergamena senese”, relativa all’alzato e alla pianta del campanile
del Duomo nuovo e del battistero di SIena; il progetto della facciata del duomo di Orvieto;
l’alzato del campanile della cattedrale di Ulma, del coro e del campanile della cattedrale di
Praga; la pianta della cattedrale di V¡Berna; i disegni delle cattedrali di Notre-Dame di
Chartres, di Notre-Dame di Laon e di Notre-Dame di Meaux di Villard. Non vanno peraltro
dimenticati i disegni in scala 1:1 che l'architetto gotico, alla pari del suo collega
romanico,continuò a disegnare sul cantiere, scalfendo con chiodi e punte di compasso, esili
solchi sui muri e sui pavimenti in molte cattedrali e chiese italiane come Santa Maria di Ponte
in Umbria (rosone), Sant’Eligio a Napoli (archi), Santo Sepolcro a Barletta (archi e
ghimberga).

17. Cosa era e cosa rappresentava il “segreto” per un architetto medievale?


Per secoli, con la massima segretezza, i costruttori di cattedrali hanno gelosamente custodito i
loro disegni, sottraendoli agli sguardi indiscreti dei profani e dei non appartenenti alle logge.
Lo statuto degli scalpellini, ratificato a Ratisbona nel 1459, precisava che nessun maestro,

11
capomastro o peraio aveva il diritto d’insegnare a chicchessia gli usi e le pratiche del mestiere
senza controllare che l’iniziato avesse svolto un apprendistato secondo le tradizioni. Nessun
capomastro o scalpellino doveva accettare denaro da un operaio per istruirlo o per
consigliarlo nella materia della lavorazione della pietra. Tuttavia, gli operai erano autorizzati
a istruirsi l’un l’altro gratuitamente in base alle necessità di ciascuno.
Era estremamente importante e doveroso rispettare questa “disciplina dell’arcano”: i
trasgressori venivano esemplarmente puniti. Corrado, vescovo di Utrecht nel 1099, per aver
palesato a tutti un segreto rivelatogli dall’architetto Plebeus su come far defluire l’acqua dalle
fondamenta fu, per vendetta, pugnalato dall’architetto in persona.
Nell’ottavo paragrafo dello statuto sulle maestranze, redatto nel 1268 da Étienne Boileau, è
contenuto un brano molto significativo ad esplicito sulla segretezza e il riserbo da osservare
nei rapporti con i collaboratori: “I muratori, i calcinari, i gessaioli possono avere tutti gli aiuti
e garzoni che desiderano, a condizione che non mostrino ad alcuno di loro assolutamente
nulla del loro mestiere”.
Molte tecniche o scoperte non furono mai pubblicate o vennero conosciute solo più tardi
proprio per il vincolo del segreto imposto dalla corporazione. Le prescrizioni e i procedimenti
legati alla costruzione erano in continua evoluzione e non venivano trascritti sui libri: erano
elaborati di volta in volta, in base alle esigenze del momento, ai cambiamenti del gusto, ai
nuovi orientamenti stilistici. In sostanza, l’arte del costruire veniva trasmessa oralmente, di
generazione in generazione.

18. Quali erano le conoscenze geometriche e matematiche dei costruttori di cattedrali?


Verso la metà del XIII secolo, la compilazione e la pubblicazione del taccuino dell’architetto
Villard de Honnecourt colmò la lacuna di informazioni pratiche e di nozioni specifiche sul
disegno e la geometria applicata alla costruzione. Villard aveva avuto la possibilità di studiare
i testi arabi e greci tradotti in latino dagli intellettuali orientali.
Per quanto riguarda la formazione culturale dei costruttori medievali, il trattato di Vitruvio
del I secolo, la Mappae clavicula de efficiendo auro dell’VIII-IX secolo, i testi di Ugo di San
Vittore, di Gerberto di Reims, di Leonardo Fibonacci detto il Pisano… rappresentavano dei
sicuri punti di riferimento per gli architetti gotici che spesso approfondivano la conoscenza
anche di opere tradotte dal greco e dall’arabo.
La matematica medievale, almeno fino al XIV secolo, non può essere considerata una scienza
nel significato moderno e più ampio del termine. I calcoli degli architetti si rivelano perciò,
nella maggior parte dei casi, elementari, approssimativi e inesatti.
Anche i voluminosi testi compilati da esponenti ecclesiastici in materia di costruzione non
forniscono notizie significative, poiché focalizzano l’attenzione più sulla storia
dell’architettura e sulle gesta degli illustri committenti che sulle tecniche e gli artifici posti in
atto durante la lavorazione. Nelle fonti, gli stessi termini fecit, aedificavit o construxit sono
spesso riferiti più al committente che non all’architetto.
La tecnica per dedurre l’alzato da una pianta, velatamente accennata del tredicesimo articolo
dello statuto degli scalpellini di Strasburgo, fu manifestamente svelata dai maestri tedeschi, in
alcuni brevi ma interessanti opuscoli pubblicati tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo.
Una serie di indicazioni precise da essi fornite permetteva all’architetto di schematizzare

12
graficamente le proprie idee consento al contempo alle maestranze una rapida lettura
propedeutica alla realizzazione materiale.
Malgrado la popolarità dell’arte del costruire, i manuali di architettura furono assai rari
perlomeno fino al XVI secolo. Roritzer, architetto della cattedrale di Resensburg, fu un
antesignano della divulgazione dei segreti dei costruttori di cattedrali. In particolare,nella
prefazione al suo quaderno di appunti rese note, “non per la gloria privata, ma per il generale
beneficio”, le conoscenze geometriche da lui applicate.

19. Religiosità e riti apotropaici nei cantieri medievali.


Nel Medioevo, una sorta di religiosità permeava la forma mentis di architetti e capomastri
che osservavano, a scopo propiziatorio e apotropaico, un certo rituale magico, legato a un
simbolismo antico. Un simile atteggiamento, che si concretizzava in pratiche speciali, si
giustificava, almeno in parte, in rapporto allo stretto legame avvertito ed esistente tra il
“creare”, il “fare”, il "costruire" e l’”edificare”.
La costruzione di una città, di un monasterio, di una piccola chiesa rurale era frequentemente
considerata dagli uomini di cultura del templo come una creazione fantastica, ricca si
archetipi e di simboli diversi, assimilabili al cosmo, al paradiso o alla Gerusalemme celeste.
In relazione a questa concezione arcaica dell’arte del costruire possono essere spiegate le
numerose credenze e pratiche sacrificali relative alla costruzione, note e applicate fin
dall’Alto Medioevo.
L’immolazione o il sacrificio erano strettamente connessi all’idea che la costruzione, in
quanto opera tecnica e materiale, avesse bisogno di un’anima per resistere nel tempo.
Animare un manufatto realizzato in pietra significava, metaforicamente, infondergli un soffio
vitale, completando, con un’oblazione o un sacrificio espletato a livelli diversi di violenza
(dall’uccisione di un animale all’aspersione di sangue), sia l’impresa materiale che quella
spirituale. Il sacrificato (uomo o animale) continuava a vivere non più nel suo corpo ma
nell’opera architettonica. Generalmente, il sacrificio avveniva, per “transfert”, già nella prima
fase dell’edificazione del monumento, quando si gettavano le fondamenta (la presenza di
numerosi scheletri nelle fondazioni potrebbe confermare la realtà di questi sacrifici) oppure
quando si voleva suggellare, prima della consacrazione di un edificio religioso, il buon esito
dell’iniziativa, sempre strettamente legata all’attività creatrice del “fare”. Lo sforzo
dell’uomo medievale di assicurare, in tutti modi e con ogni mezzo, un’anima alla materia, è
testimoniato anche dalla presenza, di cui abbiamo già discusso, delle numerosissime effigi di
architetti o capomastri realizzate proprio con l’intento di eternarne l’opera e la memoria.

20. Hai letto o sfogliato il libro di Ken Follett “I pilastri della terra”?
no

III CAPITOLO

13
1. Come si divideva l’architettura della prima metà del XII secolo secondo Ugo di San
Vittore e Vincenzo di Beauvais?
Il canonico Ugo di San Vittore, nella sua classificazione delle arti meccaniche contenuta nel
Didascalion, e Vincenzo di Beauvais nello Speculum doctrinale, distinsero l’architettura in
due branche, elencandone i vari mestieri. In base a la loro ripartizione, l’ars architectonica
comprendeva l’arte della muratura (ars caementaria), esercitata da scalpellini e muratori, e la
carpenteria, praticata da carpentieri e falegnami. Nello svolgimento dei diversi ruoli specifici
venivano utilizzati vari strumenti di lavoro come la mannarina, la scure, la lima, l’ascia, la
sega, il trapano, la pialla, lo scalpello, la cazzuola, la squadra.

2. Come erano elencati vari corpi di mestiere nel Medioevo?


Maestranze? 113

3. Ricordi quali tipi di maestranze partecipavano ad un cantiere medievale?


In un cantiere medievale troviamo architetti, ingegneri, geometri e collaboratori, ma questi
formano una minoranza. Poi, all’interno degli operai (il nucleo più consistente e numeroso
nel cantiere), troviamo gli scalpellini, i carpentieri, gli idraulici, i vetrai, i fabbri, i pittori, gli
intonacatori, gli imbianchini, i pavimentari.

4. Quali sono le fonti iconografiche più importanti nel Medioevo e a quale tipo di
costruzione si riferiscono?

5. In un cantiere oltre ai carpentieri quali corpi di mestiere partecipavano alla


costruzione degli elementi in legno?
Per quanto riguarda la lavorazione del legno, i carpentieri erano responsabili di tutte le fasi
del processo di trasformazione del legno, dal taglio degli alberi all’assemblaggio dei vari
elementi per la realizzazione di un tetto a capriate, alla messa in opera delle piastrelle di
castagno per la copertura. La lavorazione del legno richiedeva spesso mansioni anchora più
specializzate: c’erano, ad esempio, carpentieri che percepivano salari unici a coppia e si
occupavano solo del taglio degli alberi. Rientravano nella categoria dei carpentieri anche
semplici collaboratori come i cosiddetti “copritetto”, responsabili della messa in opera del
materiale di copertura.

6. In un cantiere oltre ai muratori e ai manovali quali corpi di mestiere partecipavano


alla costruzione degli elementi in pietra?

14
I muratori erano suddivisi all’interno della categoria in rapporto ai diversi compiti da
espletare nella costruzione. Ad esempio, gli operai che mettevano in posa i blocchi di pietra o
i mattoni, indicati nelle fonti dell’area inglese con il termine specifico di cubitores o positores
petrarum, occupavanno un posto a parte. Ma per quanto riguarda la gerarchia in rapporto alle
funzioni, la differenza tra muratori e manovali risultava assai labile, per cui termini come
cementarii, cubitores o positores indicano operai che ricoprivano indifferentemente lo stesso
ruolo.
Lo scalpellino era denominato scultore, caesor lapidum o lapicida.
Una terza classe di operai-muratori era costituita da marmisti e mosaicisti. A questo gruppo
appartenevano anche i pulitori, abili nel lavoro di levigatura.

7. Chi erano i minuti operarii?


I minuti operarii, cioè i lavoratori non specializzati, come calcinai (addetti alla preparazione
della malta con la marra) e portatori (la trasportavano con trogoli e civiere al luogo della
messa in opera), svolgevano mansioni diverse in base alle necessità impellenti del cantiere.
Lavoratori che non avevamo una funzione specifica e complicata.

8. Agli storici dell’edilizia a cosa serve lo studio dei libri di paga di una costruzione?
I libri di paga di una costruzione forniscono informazione rispetto a tutti diversi lavori che si
realizzavano nell’edilizia medievale, le condizioni di lavoro degli operai, quante ore
lavoravano, qual era la sua paga. In genere, fornisce di informazione rispetto al
funzionamento dell’edilizia medievale e conoscere così meglio la costruzione medievale non
solo di un punto di vista superficiale, solo lo studio delle costruzioni, della sua forma, del suo
stile… ma anche da un punto di vista più dettagliato, tutto ciò che circonda una costruzione
medievale.

9. Cosa era il lavoro volontario e come viene descritto nelle fonti del tempo?
Il contributo popolare più importante era il lavoro voluntario. Lavoro prestato gratuitamente
dagli operai che partecipavano alla costruzione, alla riparazione e alla decorazione di chiese,
cattedrali e piccole parrocchie.
Questo lavoro volontario rappresentava un’autentica e temibile minaccia concorrenziale per
gli operai medievali.
L’entusiasmo e la partecipazione spontanea della folla alle attività edilizie, soprattutto se si
trattava di costruire o di ristrutturare famosi santuari che catalizzavano la pietà religiosa
popolare, sono ampiamente documentati dalle fonti scritte sia dell’XI che del XII e del XIII
secolo.
Nella Historia dedicationis basilicae Sancti Remigii apud Remos è descritto l’entusiasmo
della popolazione, che presta il proprio aiuto con pronta benevolenza. QUesto estusiasmo è

15
descritto nel Liber Sancti Dionysii dell’abate Sugerio e in altre fonti riferite alla chiesa di
Saint-Pierre-sur-Dive in Normandia.
In un altro testo, Gesta abbatum Trudonensium, si sottolinea la importanza del contributo
spontaneo della popolazione.
Nella Cronaca della costruzione della chiesa dei Fratelli Pescatori a Reggio Calabria troviamo
l’esaltazione dello spirito di aiuto reciproco, in una visione che sottolinea sempre il trionfo
divino. Lo stesso fervore religioso anima alla popolazione del Quatre fils Aymon.

10. Qual è la differenza tra Corporazione e Loggia?


corporazione: 129 foto tutti gli arteciano, commerciante, attività che facevono grandi la città.
loggia: una sorta di corpoazione ma non e una corporazione, corpi di mestieri che lavorano
nel cantiere che devono guardare segreti.
Corporazione: Classi di artisti e artigiani accomunati da un originale e caratteristico sistema
di vita.
Loggia: punto d’incontro, un luogo dove gli operai , venendo da lontano, potessero essere
ricevuti e ospitati, prima di affittare, una propria dimora. Per ovviare a questo problema si
ricorreva a una particolare forma di associazione, detta “loggia”, istituita direttamente sul
cantiere con una durata temporanea destinata a volte a diventare permanente. Materialmente,
la loggia si presentava come una struttura provvisoria in legno, posta nelle immediate
vicinanze dell’edificio da costruire. Spesso, questa ossatura lignea si confondeva con le altre
che pure esistevano sul cantiere con differenti destinazione d’uso.
La loggia, oltre a essere il luogo dove si riposavano e si incontravano gli operai o dove
venivano custoditi gli attrezzi di lavoro delle varie maestranze, rappresentava anche il punto
di riferimento del cantiere: lì gli operai venivano ingaggiati dal capocantiere e poi introdotti,
con una speciale stretta di mano, nel mondo magico e misterioso della costruzione.

11. Chi erano i Magistri commacini?


In Italia l’esistenza di maestranze specializzate è attestata già a partire dal VII secolo, dalla
presenza dei magistri commacini, prestatori d’opera abituati a stipulare contratti di lavoro con
i committenti e capaci d’intervenire in tutte le fasi di svolgimento del cantiere.
Nell'editto di Rotari si stabilivano le responsabilità del magister in caso di incidenti avvenuti
sul cantiere, nei dieci brevissimi capitoli del Memoratorium erano espressamente fissate le
somme spettanti ai commacini per l’esecuzione di lavori edilizi calcolati a misura, insieme
alle razioni di viveri dovute per la prestazione di alcune opere. Se poi si trattase di maestranze
organizzate di artigiani sulla scia di quelle esistenti nel mondo romano è difficile dire,
considerata la penuria di testimonianze scritte al riguardo. Né le leggi longobarde accennano
mai all’esistenza di una schola o di un collegium di tali maestri.

16
12. Potresti elencare a tuo piacere qualche norma dello Statuto degli scalpellini di
Strasburgo?
Ai maestri era severamente vietato accettare denaro per l’istruzione privata degli operai, che
doveva essere, invece, curata gratuitamente e per mezzo di mutui scambi di esperienze (art
14).
Il gioco e il concubinaggio erano severamente proibiti (art 17 e 35).
L’operaio poteva lavorare solo dopo aver ricevuto un’adeguata formazione professionale
(art13); doveva prestare obbedienza al maestro e al capocantiere, seguendo alla lettera le
norme della loggia a cui apparteneva (art 22).

13. Chi erano i Quattro Santi Coronati?


La storia dei quattro santi coronati e delpagano Simplicio ha origini molto antiche. Un testo
del IV secolo narra la vita di quattro cristiani, Claudio, Castorio, Sinforiano e Nicostrato, che
lavoravano, all’epoca di Diocleziano, come cavapietre in Pannonia. Avendo rifiutato
l’incarico di scolpire statue di divinità pagane, furono rinchiusi in una bara di piombo e
gettati nel fiume.
In molte città italiane, i santi coronati divennero i patroni degli scalpellini, guadagnandosi, a
poco a poco, la protezione anche degli altri corpi di mestiere. A Siena fu eretta nel 1368,
all’interno del duomo, una cappella detta proprio dei coronati. A Pavia ne esiste ancora una
bella immagine sull’Arca di sant’Agostino nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro. A
Firenze, si inseriscono nella chiesa di Orsanmichele le statue di questi personaggi vestiti di
toga e muniti degli strumenti di lavoro.

IV CAPITOLO
1. Come venivano definite le varie tipologie di pietra (qualità) in epoca medievale?
Nell’esecuzione delle nuove tecniche di costruzione (muri spessi con matronei), la messa in
opera dei materiali edili richiedeva ovviamente un'enorme quantità di pietra di grandi
dimensioni. Nel caso di edifici architettonici importanti e complessi, una stessa cava non
poteva fornire tutte le diverse qualità di pietra necessarie alla realizzazione di murature
portanti, supporti, sculture, pavimentazioni…
Già tra l’XI e il XIII secolo il vocabolario medievale esprimeva le differenze qualitative
esistenti tra le pietre. La pietra calcarea veniva indicata con i termini lapis calcinalis, calcarius
o calcineus. La pietra era inoltre definita, a seconda della qualità, lapis vivus et franchus
(pietra dura e di buona qualità o lapis villanus (pietra dura e di mediocre qualità).

2. Come avveniva l’approvvigionamento della pietra (cave a cielo aperto e cave


sotterranee)?

17
In base alla composizione geomorfologica del suolo e alle differenti tipologie delle rocche da
estrarre, gli operai medievali praticavano le estrazioni a cielo aperto oppure in sotterraneo.
Nelle cave a cielo aperto, i blocchi di pietra si trovano a una profondità tale che non si
presenta alcuna difficoltà nell’eliminazione dello strato superficiale di terra e dei primi stati
di roccia non idonei alla lavorazione. A volte, ai cavapietre medievali bastava scavare lungo i
pendii dei letti dei fiumi per giungere, senza grandi difficoltà, ai banchi idonei alla
costruzione. La fase preliminare del loro lavoro era caratterizzata dalla raccolta in superficie
di tutte le scaglie dei primi strati che si sfagliavano dalla massa rocciosa per gli effetti delle
intemperie e della vegetazione. Questo particolare tipo di roccia, di scarsa qualità chimico-
fisica, venne utilizzato, in epoca romanica, sia per la realizzazione dei muri “a sacco” degli
edifici religiosi, militari e civili, sia per la messa in opera delle murature che riprendevano la
tecnica costruttiva romana.
Le cave a cielo aperto risultano più facilmente reperibili di quelle sotterranee, in quanto
spesso hanno modificato il paesaggio urbano determinando la formazione di scoscesi dirupi
artificiali, fosse e gradoni. Attualmente questi tipi di cava versano in condizioni di degrado
avanzato.
Particolarmente utili all’estrazione si rivelavano le fessure naturali e longitudinali della roccia
che i cavapietre sfruttavano per dividere i diversi banchi rocciosi. Seguendo le linee dei letti,
si estraevano, uno a uno, i banchi, liberando di volta in volta i blocchi sottostanti. Quando
tutto lo strato roccioso era stato asportato, i cavapietre eseguivano, a un livello inferiore, la
stessa serie di operazioni fino al reperimento della qualità di pietra desiderata.
L’applicazione di questo metodo determinava la formazione di larghi spiazzi aperti con
dirupi, quasi a tutta vista, colmati spesso con terra e detriti. Il terrapieno di riempimento
poteva arrivare fino a una decina di metri. La prospezione magnetica può, in alcuni casi,
informare circa la presenza o meno di una forgia, di strumenti di lavoro o di altro materiale
ferroso.
Generalmente, dallo spessore dei banchi dipendevano le assise delle murature degli edifici. I
blocchi potevano essere squadrati sul posto e i materiali di risulta venivano iscritti nel nucleo
del muro.
Indipendentemente dall’uso di banchi superficiali, i costruttori medievali erano obbligati a
ricercare, per i manufatti architettonici di una certa importanza (cattedrali, abbazie e
monasteri), pietre di migliore qualità, spingendosi più in profondità. Le pietre dovevano
rispondere a requisiti tecnici ed estetici che tenessero conto dell’impiego precipuo che se ne
doveva fare nella costruzione.
Le cave sotterranee possono essere classificate, in base alla forma, in tre tipologie:
- sale molto irregolari di tipo informe e quasi circolare (gallerie)
- sale regolari, di forma quasi rettangolare, con pilastri naturali oppure sale regolari, di
forma quasi rettangolare, con pilastri artefatti (camere)
- sale circolari che si sviluppano in altezza con forme piramidali o coniche (pozzi).
- Nei primi due casi, l’accesso è garantito da una cava a cielo aperto oppure da un
ingresso ricavato nel fronte di taglio.
- Nelle cave del primo tipo, gli ambienti sono unici o composti da sale collegate tra
loro. Nelle cave sotterranee del secondo tipo l’interno si presenta molto differenziato

18
in base alla disposizione dei pilastri di sostegno, per la datazione dei quali conosciamo
una variegata campionatura:
- pilastri in numero insufficiente
- pilastri disposti irregolarmente e con sezione insufficiente
- pilastri disposti regolarmente e con sezione insufficiente
- pilastri disposti regolarmente e con sezione sufficienti
Nelle cave del terzo tipo, invece, gli ambienti presentano delle aperture all’estremità
superiore, in modo da facilitare la fuoriuscita del materiale. Le fonti scritte a noi pervenute
documentano numerose richieste di apertura e chiusura di pozzi d’estrazione.
Sappiamo con certezza che il lavoro sotterraneo poteva essere svolto in gallerie o in camere.
Le camere si differenziano dalle gallerie per la loro forma regolare e, soprattutto, per la
presenza di pilastri con funzione di sostegno per il tetto o la volta della cava.
QUando o scavo delle cavità sotterranee non superava una notevole profondità, i materiali
venivano portati in superficie attraverso aperture con un leggero pendio, mediante buoi o
cavalli che trainavano apposti carretti, come dimostrano i numerosi solchi di ruote tracciati
sul terreno all’interno delle cave. Nei casi in cui invece l’estrazione continuava per molti
metri, in presenza di strati superficiali di terra importanti, lo sterro diventava, per i mezzi da
impiegare, molto oneroso. Il materiale allora portato all’esterno, rapidamente e con un grande
guadagno di forza-lavoro, mediante pozzi rotondi o rettangolari, disposti a distanze quasi
regolari. Nel caso dei pozzi rotondi, la loro particolare forma conoidale permetteva il
bilanciamento dei blocchi in modo da evitare il contatto con le pareti durante la fase di
sollevamento.
Un sistema adottato per risolvere il problema degli scarti del materiale, nelle cave e camere,
prevedeva la costruzione di pilastri, non lasciati quindi naturalmente in situ. In questo caso, si
poteva procedere con il metodo detto “a pilastri costruiti”: durante l’estrazione si edificavano,
di volta in volta, in maniera abbastanza irregolare e senza nessun calcolo di
dimensionamento, alcune masse di materiale per sostenere il tetto del banco roccioso della
cava.

3. Descrivere i vari tipi di estrazione sotterranea.


Le cave sotterranee possono essere classificate, in base alla forma, in tre tipologie:
- sale molto irregolari di tipo informe e quasi circolare (gallerie)
- sale regolari, di forma quasi rettangolare, con pilastri naturali oppure sale regolari, di
forma quasi rettangolare, con pilastri artefatti (camere)
- sale circolari che si sviluppano in altezza con forme piramidali o coniche (pozzi).
- Nei primi due casi, l’accesso è garantito da una cava a cielo aperto oppure da un
ingresso ricavato nel fronte di taglio.
- Nelle cave del primo tipo, gli ambienti sono unici o composti da sale collegate tra
loro. Nelle cave sotterranee del secondo tipo l’interno si presenta molto differenziato
in base alla disposizione dei pilastri di sostegno, per la datazione dei quali conosciamo
una variegata campionatura:
- pilastri in numero insufficiente
- pilastri disposti irregolarmente e con sezione insufficiente
- pilastri disposti regolarmente e con sezione insufficiente

19
- pilastri disposti regolarmente e con sezione sufficienti
Nelle cave del terzo tipo, invece, gli ambienti presentano delle aperture all’estremità
superiore, in modo da facilitare la fuoriuscita del materiale. Le fonti scritte a noi pervenute
documentano numerose richieste di apertura e chiusura di pozzi d’estrazione.
Sappiamo con certezza che il lavoro sotterraneo poteva essere svolto in gallerie o in camere.
Le camere si differenziano dalle gallerie per la loro forma regolare e, soprattutto, per la
presenza di pilastri con funzione di sostegno per il tetto o la volta della cava.
QUando o scavo delle cavità sotterranee non superava una notevole profondità, i materiali
venivano portati in superficie attraverso aperture con un leggero pendio, mediante buoi o
cavalli che trainavano apposti carretti, come dimostrano i numerosi solchi di ruote tracciati
sul terreno all’interno delle cave. Nei casi in cui invece l’estrazione continuava per molti
metri, in presenza di strati superficiali di terra importanti, lo sterro diventava, per i mezzi da
impiegare, molto oneroso. Il materiale allora portato all’esterno, rapidamente e con un grande
guadagno di forza-lavoro, mediante pozzi rotondi o rettangolari, disposti a distanze quasi
regolari. Nel caso dei pozzi rotondi, la loro particolare forma conoidale permetteva il
bilanciamento dei blocchi in modo da evitare il contatto con le pareti durante la fase di
sollevamento.
Un sistema adottato per risolvere il problema degli scarti del materiale, nelle cave e camere,
prevedeva la costruzione di pilastri, non lasciati quindi naturalmente in situ. In questo caso, si
poteva procedere con il metodo detto “a pilastri costruiti”: durante l’estrazione si edificavano,
di volta in volta, in maniera abbastanza irregolare e senza nessun calcolo di
dimensionamento, alcune masse di materiale per sostenere il tetto del banco roccioso della
cava.

4. Quali sono gli strumenti di lavorazione della pietra?


I martelli, strumenti a percussione lanciata: mazzetta, martellina a due punte, martello a
penna, martellina dentata. Asce: piana, dentata e mannarina. Scalpelli (strumenti a
percussione poggiata): piano, punteruolo o subbia, gradina, mazzuolo e polka.
Martellina a due punte: è costituita da due punte piramidali in ferro; con una lunghezza che
varia secondo l’usura e le modificazioni provocate dal passaggio successivo della forgia o
delle apposite pietre utilizzate per molare le superfici in ferro. Il più leggero era usato per
eliminare le irregolarità del blocco non sbozzato o per sgrossare le pietre prima di passare alla
fase di finitura con l’ascia piana. Il tipo più pesante, conosciuto con il nome di piccone, era
spesso usato dagli sterratori per scavare i solchi delle tracce di fondazione o i fossati dei
castelli.
Ascia piana: composta di due parti lavoranti in ferro parallele al manico, è anch'essa uno
strumento a percussione lanciata. Era comunemente usata per eliminare le parti eccedenti di
pietra, durante la fase di sbozzatura o dopo la messa in opera di una muratura.
Mazzuolo: costituito da un percussore in legno munito di un elemento ugualmente ligneo di
presa, poteva essere trattenuto da una sola mano e aveva forma sferoidale, cilindriche e
trapezoidali.

20
Mazzetta: il principale percussore per il taglio della pietra, è composta da un corpo metallico
di ferro o acciaio e da un manico di legno di frassino o castagno.
Punteruolo: chiamato anche subbia, appartiene al gruppo degli scalpelli, ovvero degli
strumenti di precisione a percussione poggiata; è composto da una piccola asta in ferro a
sezione circolare o ottagonale; la punta, di forma piramidale, è in acciaio.
Scalpello piano: è il tipo detto “testa a mazzuolo”, con l’estremità superiore allargata a forma
di fungo. Veniva utilizzato sia per sgrossare a rendere piene le superfici, sia per realizzare le
decorazioni scolpite durante la fase della finitura.
Brunitoio largo: composto da un’asta in ferro di sezione poligonale o rettangolare, presentava
la parte lavorante, in contatto con la pietra, forgiata a coda di rondine.

5. Come avveniva il trasporto della pietra in epoca medievale (via terrestre e/o
fluviale-marittima)?
Un enorme problema era rappresnetato dal trasporto, spesso difficile, faticoso e oneroso, dei
materiali lapidei al cantiere. Quando la cava distava molto dalla città, occorreva molto tempo
per trasportare le colonne sul sito da edificare. I disagi diminuivano se la cava era situata
nelle vicinanze dell’area destinata alla costruzione.
L’invenzione del ferro fi cavallo, la ñegatura in fila degli animali da tiro e soprattutto l’uso
della basdatura a collare rispetto a quella a giogo, permisero di quintuplicare la forza motrice
della trazione animale, che assume così un ruolo importantissimo nell’approvvigionamento di
pietra per i cantieri lontani dalle cave. Ovviamente laddove il trasporto per via fluviale o
maritima era possibile i costi si riducevano di molto.

6. Descrivere le cave di pietra della città di Caen in Normandia.


Nella città di Caen, al tempo della nascita dei primi borghi (1025), le cave si moltiplicarono
in particolar modo sulla riva sinistra del fiume Odon. L’ubicazione sul fianco delle vallate dei
primi tre borghi medievali, ai tempi di Guglielmo il Conquistatore, dimostra chiaramente
l’importanza assunta dalle vie fluviali per l’approvvigionamento di materiale da costruzione.
Se si considera l’area fortificazione originaria del castello di Caen nellXI secolo, si
comprende come l’enorme quantità di pietra necessaria ai lavori di costruzione abbia
certamente inciso sull’individuazione topografica delle cas¡ve e sul conseguente impiego dei
materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze.
I costruttori medievali adoperavano i primi strati, facilmente estraibili, di calcare, per la
realizzazione delle murature “a sacco” degli enormi muri, mentre gli strati più profondi (di
migliore qualità) erano utilizzati per erigere i paramenti murari interni ed esterno.
A Caen, una cave sotterranea è stata individuata all’interno della cinta muraria del castello di
Guglielmo mentre altre cave sono state ritrovate, all’esterno della cinta, in occasione della
costruzione del parcheggio sotterraneo.
Nella seconda metà dell'XI secolo, la città di Caen divenne un grande cantiere dove
fervevano i lavori per la costruzione di numerosi edifici religiosi

21
Delle risorse della Normandia si avvalse anche l’Inghilterra. La consistente esportazione della
pietra di Caen fu facilitata dalla percorribilità delle vie fluviali (Seulles) e dalla prossimità del
mare (la Manica).
I cantieri caennesi migliorarono a tal punto le tecniche di estrazione che per i costruttori
normanni d’Inghilterra risultò più conveniente importare il materiale strato dal ducato
anziché ricercare nuove cave al di là della Manica, ingaggiando gli operai indigeni e
formando una manodopera specializzata.
L’utilizzo delle sagone e l’impiego massiccio della pietra di Caen in Inghilterra lasciano
arguire che le forme standard servissero non solo per la scultura, ma anche per i blocchi
murari dalle dimensioni già stabilite. Esisteva, forse, una vera e propria prefabbricazione
delle murature. Precise misure d’imbarco e di spesa facilitavano il trasporto.

V CAPITOLO
1. Quali erano i corpi di mestiere che si occupavano della lavorazione del legno?
Carpentiere e falegnami

2. Quali erano le specie arboree più diffuse impiegate per la costruzione in legno?
Querce, faggi, olmi, larici e castagni catatterizzavano il patrimonio boschivo medievale.
Ovviamente, non tutte le specie si prestavano ai diversi impieghi e alle differenti necessità
d’uso.
Il legno di castagno e di quercia era molto ricercato, soprattutto per la costruzione delle
capriate, che richiedevano alberi di grandi dimensioni. I larici e gli olmi, più difficilmente
soggetti a putrescenza, venivano usati per la copertura dei tetti, sotto forma di piccole tessere
rettangolari, o per la realizzazione di pali per le fondazioni dei ponti, destinati a restare a
lungo immersi nell’acqua.

3. Potrebbe indicare gli assemblaggi lignei più usati in epoca medievale?


196 foto

4. Descrivere una capriata e indicare i termini tecnici che la compongono.


La capriata era una travatura reticolare piana che, posta in verticale, costituiva l’elemento
ottimale per la posa in opera di tetti a falda.
Gli elementi che individuavano generalmente una capriata sono i puntoni, che determinavano
l’inclinazione del tetto, la catena, che assorbe gli sforzi di trazione evitando che questi
sollecitino i piedritti su sui poggia la capriata stessa, il monaco che la irrigidisce e le saette

22
che limitano l’inflessione dei puntoni. La capriata ha la sua forza dalla sua struttura di
ripartizione in triangoli. Essa è soggetta a sforzi di trazione (il monaco e soprattutto la
catena), compressione (le saette) e pressoflessione (i puntoni). Basilare è la coesione tra i suoi
vari elementi: puntoni e catena sono chiusi agli angoli da incastri.

dos puntoni (tirante e monaco), longeroni e altri trasversali.

5. Come sono definite alcune capriate? Descrivere le capriate: Crown-post, King post,
Hammerbeam.
Alcune capriate, definite in base agli elementi costitutivi crown-post (con monaco centrale
che si inserisce tra la catena secondaria e quella principale) e king-post (con monaco posto tra
il colmo e la catena), rappresentano una fase importante nell’evoluzione delle tecniche
costruttive medievali e caraterizzavano molti granai e chiese del nord-ovest dell’Europa.
Un altro tipo di capriata, definita in inglese hammerbean, rilevabile in un gran numero di
esempi a partire dalla fine del XIV secolo, serviva a coprire i vasti spazi delle cucine
signorili. Questo tipo di capriata è composta da mensole aggettanti orizzontali che partono
all’altezza delle travi di soglia da ambo i lati del muro, sostenendo un tetto con forma ad arco
che maschera i puntoni e le saette.
Generalmente, questi tipi di capriate non contenevano, fino al XV secolo, alcun elemento in
ferro; il materiale più usato era il piombo, strettamente legato all’arte della carpenteria. I
costruttori medievali, seguendo le antiche tradizioni, impiegavano il piombo per rivestire le
capriate esposte alle intemperie.

6. Di quante tipologie si compongono le impalcature medievali? Descrivere le varie


forme e indicare i vari termini tecnici degli elementi costitutivi.
Possiamo individuare due categorie principali di impalcature: indipendenti e dipendenti.
L’impalcato indipendenti è costituito da elementi che non poggiano sulla costruzione ma
formano una struttura autonoma. Per ovvie ragioni, non è possibile trovare sulla muratura
tracce d’impiego di tale sistema.
L’impalcato indipendente è formato da elementi verticali (montanti), disposti parallelamente
a una certa distanza dal muro, in modo da collocare, nello spazio intermedio, i necessari piani
di calpestio (tavolati). Quando i montanti sono meno alti della costruzione, spesso vengono
riuniti a un’estremità (montanti attestati). Della conformazione dell’impalcato fanno parte
anche i correnti, cioè gli elementi orizzontali che collegano i montanti. I tavolati sono sorretti
da elementi trasversali (travicelli) poggiati a loro volta sui correnti. La stabilità dell’insieme è
assicurata da alcuni elementi obliqui (saette).
Il sistema d’impalcato dipendente è direttamente connesso alla costruzione, è più solido e più
economico poiché, per il suo assemblaggio è necessaria una minore quantità di legno:

23
- a una fila di montanti
- a travicelli passanti
- a sbalzo
Il primo sistema consiste in una fila di montanti assemblati a una data distanza dalla
costruzione e collegati alla muratura mediante travicelli disposti in appositi fori
d’alloggiamento. Si giustificano, in questo modo, le numerose cavità lasciate dalle
manovalanze medievali per permettere alle provvisione strutture lignee di inserirsi nel nucleo
della muratura assumendo una posizione stabile. Spesso, ultimati i lavori, i travicelli
venivano segati a filo di muro, in modo da formare una catena interna che rinforzasse la
muratura. Altre volte, invece, venivano toldi per essere impiegati altrove. Le maestranze
lasciavano intatte le cavità sia per il consolidamento delle strutture murarie sia per le continue
manutenzioni dei tetti e dal manto di copertura, che necessitavano di frequenti controlli.
L’impalcato a sbalzo non utilizza i montanti ma i travicelli con un’estremità parzialmente
inserita nella muratura e l’altra fissata alla saetra. Quest’ultimo elemento è unito in modo tale
che un estremo poggia contro il muro mentre l’altro è legato tramite corde all’estremo libero
del travicello. Infine, a chiusura del sistema statico di sostegno è presente un altro elemento
(regolo o puntone), disposto in posizione verticale, parallelamente al muro, in modo da
collegare l’estremità del travicello e l’estremità corrispondente alla parte inferiore della
saetta, scaricando contro la muratura il peso del tavolato.
Come si evince da alcune iconografie, per il collegamento tra i vari piani si faceva uso di
scale o piani inclinati, disposti obliquamente e realizzati con tavole su cui si inchiodavano,
sulla superficie superiore, alcun elementi lignei per evitare gli scivolamenti.
Impalcature con travicelli passanti per la muratura consentivano l’allestimento di due piani di
lavoro simmetrici, il tavolato era sorretto da saette e puntoni. Il travicello attraversava l’intera
muratura e poteva sostenere un piano di lavoro su ciascun lato.

7. Cosa sono i fori dei travicelli e a cosa servono?


Sono cavità, marchi che lasciavano i travicelli nelle impalcature dipendenti.

8. Descrivere i vari strumenti di sollevamento.


il cabestano (bruleleschi) e un altre q no he escoltat

VI CAPITOLO
1. Descrivere le fondazioni (tipologie, preparazione, tipi di terreno).
Le fondazioni sono costituite da quella parte del fabbricato che poggia direttamente sul
terreno. La loro funzione statica è molto importante, poiché esse hanno il compito di

24
sostenere l’intero edificio e di ripartirne il carico sul suolo con intensità adeguata alla
resistenza del terreno.
Dare appoggio stabile al fabbricato fungendo da trait d’union tra la configurazione stabile
d’equilibrio che esso assume e i carichi agenti sulla struttura soprasante, ivi compresi i pesi
propri.
Sono limitate in basso dal piano d’appoggio e in alto dal piano di spiccato che le separa
dall’alzato. Il loro spessore è sempre maggiore del muro che le sovrasta, presentando, in
corrispondenza dell’assise, una superficie di risega detta appunto “risega di fondazione”. Tale
aumento di spessore ha la funzione di ridurre la pressione media sul terreno che, in questo
modo, può anche avere portanze più basse. Il peso dell’intera struttura muraria sostenuto
dalla fondazione deve essere trasmesso al terreno in maniera uniforme e soprattutto in misura
compatibile con le capacità portanti di questo, tanto da assicurare all’edificio la massima
stabilità. In funzione della fondazione, viene individuata la tensione al limite di collasso del
terreno. In genere non si ammette che i terreni possano resistere a trazione.
Il problema principale dei costruttori medievali fosse quello di analizzare la qualità del
terreno stimandone le capacità portanti.
La prima difficoltà era rappresentata dal rischio di frana delle pareti dello scavo quando esso
doveva raggiungere determinate profondità. Si poteva ovviare a tale inconveniente attraverso
tre sistemi: dare una certa inclinazione al taglio laterale con pareti a scarpa, profilare lo stesso
a gradoni, realizzarlo in verticale e armarlo con sbatacchiature.
La sbatacchiatura era un’ossatura lignea collocata all’interno della trincea in modo da
ostacolare il cedimento delle pareti laterali in terra. Consisteva in un tavolato orizzontale
posto per contenere il terreno e in alcuni piccoli travetti in legno che assicuravano la tenuta
della spinta del terreno rispetto al tavolato.
Si distinguono in varie categorie a seconda di alcuni parametri caratteristici: in base alla
profondità (immediate e profonde), in base alla planimetria (discontinue, semplici, con
raccordi e a piattaforma), in base alla struttura (in opera quadrata, incerta, a spina di pesce,
laterizia con o senza malta cementizia).
Anche la qualità delle pietre di fondazione è determinante ai fini della stabilità dell’edificio.
Alcuni testi medievali insistono sull’importanza dell’individuazione di un buon terreno per le
fondazioni e sulla scelta delle dimensioni dei blocchi da usare.
La pianta veniva prevalentemente materializzata sul suolo dall’architetto, in scale reale,
mediante corde: durante questa operazione era assai facile incorrere in errori. Tracciata la
pianta dell’edificio, si procedeva all’elevazione delle strutture murarie sempre con l’aiuto di
corde, secondo il metodo della triangolazione.
Per la facilità di approvvigionamento dei materiali, per il minore spessore e la maggiore
elevazione delle murature che necessitavano di imponenti strutture di supporto, le fondazioni
gettate in epoca gotica erano generalmente più profonde rispetto a quelle di età romanica.

2. Elencare e descrivere le varie strutture murarie.

25
Nella costruzione edilizia medievale, l’apparato murario varia a seconda della natura fisica
dei materiali e delle peculiarità tecniche locali, strettamente legate alle conoscenze materiali
delle diverse maestranze. La casistica tipologia degli apparecchi murari più in uso
nell’Occidente medievale europero comrpende sia i gruppi omogenei che quelli misti.
Al primo gruppo appartengono tutte le murature formate da un solo tipo di minerale, tagliato
in conci di piccole e medie dimensioni, in blocchi di grandi dimensioni oppure in mattoni di
varia misura. All’interno di tale gruppo possiamo distinguere le seguenti tecniche costruttive:
- opura incerta o opus incertum
- opera quadrata o opus quadratum
- opera a spina di pesce o opus spicatum
- opera laterizia o opus latericium
Del gruppo misto fanno parte le seguenti tecniche costruttive:
- opera listata o opus listatum
- opera a graticcio o opus craticium.
Opera incerta: L’apparecchio murario non presenta assise e impiega conci grezzi con forme
indefinite di piccolo e medio modulo; gli elementi utilizzati sono di forma irregolare e non
subiscono nessuna lavorazione. I materiali sono costituiti da ciottoli di fiume e pietrame
provenienti dai primi strati della roccia.

Opera quadrata: Utilizza blocchi lavorati sulle quattro facce di medio e grande modulo . I
blocchi sono disposti secondo assise orizzontali con una chiara alternanza dei giunti.

Opera a spina di pesce: un’altra tecnica che recupera esperienze architettoniche romane e
l’opus spicatum. La muratura è costituita dall’assemblaggio di pietre che presentano
un’inclinazione che varia da 45 a 60 gradi per ranchi superposti. Gli elementi in pietra grezza,
che si presentano sotto forma di rettangoli, sono inclinati alternativamente verso destra e
verso sinistra; le pietre appena sbozzate si appoggiano sul bordo destro dell’una e dell’altra
fila e formano murature che hanno generalmente i cantonali in pietra lavorata con blocchi di
media grandezza.

Opera laterizia: nella cortina muraria sono impiegati esclusivamente mattoni di modulo
uguale sia in altezza che in lunghezza. Le differenze di lettura e di interpretazione cronologia
sono leggibili nella diversità dello spessore dei giunti soprattutto orizzontali, nel tipo di malta
usata, nel colore dei laterizi e nella presenza o meno della fase di stilatura e lisciatura.

Opera mista: molto ampio. Esempio: opus listatum costituito a volte fino sette corsi di
blocchi di tufo o pietre calcaree con giunti sufficientemente larghi, ricchi di malta, alternati
da uno, due o tre filari orizzontali di mattoni che assicurano il ruolo di assisa al fine di
regolarizzare il piano superiore della muratura. Altro esempio: opus craticium, lo scheletro
del muro consiste in un’intelaiatura lignea composta da elementi orizzontali, verticali ed
eventualmente obliqui, assemblati gli uni agli altri in modo da formare la cortina muraria. Gli

26
spazi intermedi sono generalmente riempiti con impasti di paglia tritata mista ad argilla
oppure con pietra, tufo o mattoni.

3. Descrivere i vari tipi di contrassegni di lapicidi.


Parliamo tot el rato de estudis basats en Caen. Si hi han coses circumstancials, és pq és de
Caen.
Contrassegni di cava: ê raro che i segni incisi sulla pietra permettevano al cavapietre di
numerare il proprio lavoro consentendo al contempo all’architetto e allo scalpellino di
riconoscere la cava di provenienza o la qualità della pietra, considerato che il cantiere si
trovava generalmente a una certa distanza dalla cava d’estrazione. I contrassegni venivano
apposti direttamente sulla superficie delle pietre subito dopo la loro estrazione. NellXI e nel
XII secolo, sono quasi sempre rappresentati da lettere, cifre o più comunemente da croci e
stelle.

Contrassegni di posa: È ormai certo che i segni di muratura o di posta sono numeri, marchi o
lettere dell’alfabeto utilizzati dagli scalpellini per assemblare insieme, in un ordine stabilito
precedentemente, i diversi elementi della muratura, archi, cornici di coronamento e mensole o
per indicare il senso dei letti della pietra.

Contrassegni di cottino: Nel medioevo lo scalpellino veniva pagato a cottino, cioè in base al
numero di pietre tagliate. Ogni operaio intagliava nella pietra un proprio segno.

Contrassegni utilitari: I due schizzi di chiese raffigurano l’abbaziale di Saint-Étienne e la


chiesa Saint-Nicolas. La cura della rappresentazione grafica è rilevante; è ancora ben
conservata una prima bozza con l’incisione, nelle linee essenziali, delle due torri di facciata di
Saint-Étienne, interrotte e abbandonate per problemi di spazio (il blocco di pietra era troppo
limitato per poter riprodurre la totalità dell’edificio). Le due immagini mostrano la situazione
primitiva dell'abbazia di Saint-Étienne.
Nell’italia meridionale normanna sono stati ricostruiti, sulle superfici di alcune architetture
religiose, numerosissimi contrassegni di progetto che testimoniano la pratica, in uso nei
cantieri, di disegnare direttamente, a scala reale, alcuni dettagli costruttivi.

Graffiti: Non è ancora chiaro se essi siano stati incisi durante la fase della messa in opera
delle pietre oppure dopo la costruzione dei paramenti murari. Probabilmente, i muratori
disegnavano volentieri con punte di ferro o con compassi sulle pietre sia prima che dopo la
loro messa in opera. QUesta operazione viene eseguita ancora oggi dalle manovalanze con la
loro matita da cantiere. D’altro canto è facile che, oltre ai costruttori, siano state persone non
addette ai lavori a tracciare tagli graffiti rendendo la loro datazione ancora più aleatoria.
Esclusa totalmente l’ipotesi di un significato esoterico, tutt’al più in certi casi si potrebbe

27
pensare a degli ex voto; si dovrebbe allora verificare, se il disegno sia in rapporto con il santo
patrono della chiesa o con il potere taumaturgico attribuitigli. I graffiti di epoca romanica
esaminati in Normandia possono essere distinti in due categorie: la prima classe comprende i
graffiti che si rapportano alla costruzione (strumenti per la lavorazione della pietra e del
legno), mentre nella seconda sono inclusi i graffiti ispirati all’ambiente che circondava i
cantieri di costruzione medievali (battelli di vario tipo, strumenti di lavoro dei campi…)

4. Volte a botte, a crociera e contrafforti.


Le volte a botte sono una successione di archi semicircolari.
La volta a crociera di un progresso tecnologico rispetto alla volta a botte, offriva due vantaggi
fondamentali: rendeva possibile la canalizzazione delle forze in punti ben localizzati per poi
farle assorbire dai supporti e aumentava la superficie disponibile lungo tutta la campata con
l’inserimento di pareti finestrate arricchite da vestri istoriati e colorati che consintevano
un’illuminazione diretta delle navate. Nelle forme più semplici, le volte a crociera erano
costituite dall’intersezione ad angolo retto di due volte a botte semicilindriche con campate di
eguale dimensione che non avevano bisogno di supporti nei punti intermedi. Per la loro
stabilità era sufficiente prevedere quattro punti di appoggio agli angoli (pilastre o colonne).
DUrante la fase di realizzazione, lo scheletro costolonato veniva supportato dalle centine,
mentre le vele erano conformate secondo il profilo delle nervature- QUeste ultime
costituivano il nucleo del corpo delle volte e la loro funzione strutturale assumeva un ruoli
fondamentale. Inoltre, le nervature, eliminando le deformazioni tra le linee di intersezione
delle volte a crociera, assolvevano anche un importante compito estetico.

28

Potrebbero piacerti anche