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La costruzione dell'abbazia di Fécamp da parte di Riccardo I (942-996) rappresenta una
testimonianza diretta delle importanti elargizioni versate dalla Chiesa con l’assenso dei duchi
già dalla prima fase di ricostruzione.
I risultati di questa committenza e della successiva politica di Riccardo II si ritrovano negli
importanti privilegi accordati alle abbazie di Saint-Ouen a Rouen, Jumièges, Bernay…
Intorno al 1059, l’impegno preso da Guglielmo il Conquistatore e da sua moglie Matilde di
Fiandra di fondare due abbazie separate, quella degli uomini e quella delle donne, risultò
determinante per la storia dell’architettura normanna.
Sarebbero state poi le conquiste dell’Italia meridionale e dell’Inghilterra che avrebbero
permesso al Conquistatore di portare a termine i suoi progetti, assicurando, anche ai
successori, fondi cospicui per estendere a tutta la Normandia un grande programma edilizio.
Il disegno edilizio-religioso della Normandia dipendeva essenzialmente da un programma di
“pianificazione” voluto e realizzato dai duchi e in particolari da Guglielmo il Conquistatore
(non bisogna dimenticare che le costruzioni conventuali rispondevano a un’esigenza
spirituale, dettata dalla fede religiosa che tanto profondamente caratterizzava la personalità
dei duchi).
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che si presentavano all’inizio dei lavori. Nel Medioevo non esistevano i finanziamenti
sofisticati e le tecniche di regolamentazione finanziaria vigenti ai nostri giorni. Si trattava di
una economia semplice: fino a quando c’erano soldi nei forzieri il capitolo poteva permettersi
il pagamento di materiali e manodopera, ma quando le risorse terminavano, gli operai
dovevano abbandonare il cantiere. Proprio per la sua marcata tendenza autonomistica, in
contrasto con i rigidi ordinamenti della Chiesa, il capitolo fu ridimensionato con il Concilio
di Trento (1545).
Le finanze che arricchivano le casse del capitolo erano affidate a un custode o tesoriere. In
seguito agli inevitabili conflitti tra il custode e il capitolo, si formò, verso il primo quarto del
secolo XIII, un altro organismo, delegato del capitolo, ma a volte da questo indipendente: la
fabrica o opera, diretta da uno o più monaci con il compito di gestire le finanze per la
costruzione, la manutenzione e l’arredo delle chiese. L’opera era una sorta di comitato,
composto da ecclesiastici e laici di nomina capitolare, dotato di una forte indipendenza dal
vescovo o all’abate; uno strumento ausiliario creato dal capitolo per superare le controversie
che potevano sorgere durante la costruzione. La fabrica doveva, inoltre, compilare i conti
periodici delle entrate e delle uscite per sottoporli alle riunioni del consiglio del capitolo e
qualche volta al vescovo; vi appartenevano lo scriba e il controllore, incaricati di tenere la
lista della paghe, di stipulare gli accordi e di redigere gli inventari.
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legami diretti con l’edificio religioso, contribuiva attivamente con le sue risorse alla rinascita
architettonica degli edifici sacri.
Altri proventi derivavano dal culto delle sacre reliquie, conservate all’interno degli edifici
religiosi che esercitavano un forte potere di richiamo sui fedeli disposti a versare somme
anche ingenti di denaro nella speranza di ricevere il perdono dei peccati.
7. Dopo la raccolta dei fondi quali erano le procedure seguite per permettere
l’edificazione di una cattedrale? (Ricordarsi dei passaggi: reperimento del terreno,
demolizioni, espropriazioni, orientamento, eccetera).
Dopo la raccolta dei fondi necessari per la costruzione di un edificio religioso si poneva il
problema della sua collocazione spaziale e del rapporto, in base all’orientamento dei corpi di
fabbrica, con la città. Enormi difficoltà: spesso i monumenti progettati raggiungevano o
superavano i cento metri di lunghezza e potevano presentare una larghezza (rappresentata dal
transetto) di circa settanta metri. Di non facile soluzione pratica risultava dunque il problema
dell’ubicazione delle cattedrali nelle città medievali, a elevata densità abitativa e sempre più
strette nella morsa delle mura perimetrali. La ricerca del terreno per la realizzazione
dell’opera diventava un’impresa ardua.
Si cercava di ovviare, in genere, demolendo gli edifici preesistenti, ma l'operazione, difficile
da attuare, richiedeva molto tempo e altissimi costi. L’incremento demografico che si verificò
nell’XI secolo, soprattutto nelle città del Nord Europa, complicò la situazione: la città tornò a
essere , come nell’Antichità, il centro del potere civile e religioso.
Per facilitare le operazioni di acquisto del terreno, molti sovrani adottarono misure d’ordine
giuridico (espropriazioni, compravendite, cessioni) per agevolare i vescovi.
Nell’architettura medievale, i corpi di fabbrica erano generalmente disposti con la facciata a
ovest e l’abside a est, in maniera che il sacerdote officiante guardasse verso l'oriente, ovvero
verso il sole nascente, invictus, simbolo di Cristo vittorioso sulla morte. Ma per mancanza di
terreni idonei o per ragioni di ordine geomorfologico, l’asse est-ovest non veniva rispettato:
in questi casi, i costruttori operavano scelte diverse e ibride modificando il progetto
originario.
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San Bernardo di Chiaravalle disapprovò lo sperpero del denaro versato per la costruzione e la
decorazione di chiese e chiostri, in particolare benedettini.
Il santo riconosceva la valenza didattica delle forme artistiche, altamente educative per le
classi popolari semplici e incolte, ma gli eccessivi abbellimenti incoraggiavano “la vanità più
che la vera pietà a danno dello spirito religioso e della carità”.
La causa di tanta ostentazione era individuata nel morbus aedificandi, la deplorevole
“passione di costruire" che colpiva le gerarchie ecclesiastiche della sua epoca.
Al dibattito sulla concezione artistica dell’architettura religiosa del XII secolo, prese parte
anche Ugo di Fouilloi, uno dei canonici regolari dell’ordine di Sant’Agostino; lui difese la
semplicità delle strutture religiose, disapprovando energicamente gli elevati costi di
costruzione e lo sfarzo decorativo dei palazzi episcopali del suo tempo.
Anche Ugo, come san Bernardo, disapprovava il comportamento dei monaci cluniacensi che
costruivano i loro conventi “alla stessa stregua dei castelli, con muri di difesa e torri, per
mascherare talora le loro rapine, per compiacersi dell’abbondanza, per mettersi al riparo dagli
attacchi dei potenti di questo mondo o per nascondere i loro imbrogli”.
Pietro le Chantre, dignitario del capitolo di Notre-Dame di Parigi, pensa che gli edifici
monastici e le cattedrali si edificavano “con l’avarizia, con la scaltrezza della menzogna, con
l’inganno dei predicatori mercenari”. Spesso le risorse “mal acquisite” diventavano “causa di
rovina per le costruzioni”.
II CAPITOLO
1. Quali erano i termini in latino utilizzati nelle fonti scritte per definire l’architetto?
Alla metà del XII secolo, i cronisti definivano architetto generalmente con i termini
architectus, architector e architectarius. Anche i termini caementarius e latomus
accompagnati dai vocaboli doctor e princeps, alludevano spesso alla figura dell’architetto.
Occasionalmente, gli aggettivi prudens, sapiens ed elegans qualificavano il ruolo
professionale di magistri e artifices.
Ma quando i cronisti parlavano di magister latomus, magister operis o di magister fabricae,
facevano riferimento all’architetto, ma soprattutto un capocantiere o un esperto contabile.
2. Quali sono gli strumenti che identificano l’architetto nelle iconografie tradizionali
(Arca di Noé e Torre di Babele)?
Verso la metà del XII secolo si diffonde in modo sistematico la tendenza a rievocare
pubblicamente il lavoro dei maestri attivi nei cantieri destinati a grandi imprese edilizie.
Molti architetti sono stati rappresentati, nell’iconografia tradizionale o nelle varie effigi, con
gli strumenti emblematici della loro professione (riga, compasso e squadra) nell’intento di
esaltare l’abilità tramandando ai posteri la memoria.
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3. Ricordi qualche architetto medievale famoso identificato dalle fonti?
Sì. Liutprando, un appassionato costruttore di chiese e monasteri che appare descritto
icasticamente nella conclusione dell’ultimo libro di Historia Langobardorum di Paolo
Diacono.
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La sua abilità manuale era importantissima e doveva essere, comunque, superiore a
quella degli altri partecipanti all’attività edilizia.
Per la sua abilità manuale gli architetti non sono più muratori, lapicidi o semplici
disegnatori di piante, ma abili artifices, dotati di una notevole capacità di progettare,
organizzare e controllare, dall’inizio alla fine, l’esatto svolgimento di tutte le fasi della
costruzione, diventano spesso la personificazione stessa del cantiere medievale.
8. Quali erano i compensi e i privilegi che percepivano gli architetti nel Medioevo?
Oltre a riscuotere un compenso elevato, l’architetto si avvaleva di numerosi privilegi:
Giovammo di Gloucester, ad esempio, ricevette, nel 1255 “due mantelli in pelliccia dello
stesso tipo di quelli dei cavalieri reali” e qualche anno dopo,nel 1258, ottenne dal re Enrico
III l’esenzione fiscale a vita nonché terre e case come ricompensa per gli eccellenti servigi
prestati a Gloucester, Woodstock e Westminster. Le fonti documentano le ingenti donazioni a
favore degli architetti puntualmente forniti di alloggi, cavalli, otri di vino e capi
d’abbigliamento. È esemplare, a Firenze, il caso di Arnolfo di Cambio, esentato nell’aprile
del 1300 dall’imposta sul reddito. Talora l’architetto usufruiva di facilitazioni nell’offerta di
localizioni: Nicola de Bonaventura, chiamato nel 1289 dalla fabbrica di Milano, affittò una
casa per sé e per la propria domestica, ottenendo il rimborso delle spese per la cucina, il
riscaldamento e la branda. Nel 1389 furono offerte a Enrico Yevele due residenze nel Kent.
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10. Descrivere l’uso dei modelli nel Medioevo.
In fase progettuale, spesso, oltre ai disegni, gli architetti realizzarono, soprattutto nel XV e
XVI secolo, modelli in scala ridotta degli edifici utilizzando materiali di vario genere (argilla,
cera, legno, cartapesta…). Già Vitruvio nel suo De architectura ne aveva suggerito l’uso.
Alberti ne sottolineò l’importanza: “è questo il motivo per cui io vi parlerò sempre bene di
quest’uso che hanno eccellenti architetti dell’antichità. I modelli, peraltro, dovranno essere
concepiti in maniera da lasciare percepire e contemplare, il meglio possibile, l’ambiente, la
grandezza della `pianta, il numero e l’organizzazione delle diverse parti, l’aspetto dei muri, lo
spessore dei soffitti e infine la costituzione e il trattamento di tutto quello che ho trattato nel
libro precedente”.
Le fonti letterarie attestano l’esistenza dei modelli già dal IX secolo. Gli architetti medievali
tendevano a realizzare i modelli dei loro edifici non tanto per presentare l’idea ai
committenti, allo scopo di riceverne l’incarico di progettazione su grande scala, quanto per
studiare in dettaglio lo schema che avrebbe guidato gli operai e favorito la valutazione
d’insieme dell’opera.
Tali modelli, benché avessero il grande pregio della verosimiglianza, non erano molto
impegnati a nord delle Alpi. In Italia, invece, l’importanza classica del loro utilizzo nella
progettazione era fortemente sentita. Dei modelli pervenuti, molti riproducono in dettaglio i
monumenti, altri invece, con una funzione più votiva, ne ricalcano solo le linee essenziali. Un
mosaico conservato in Vaticano, proveniente dalla basilica di San Pietro, rappresenta papa
Giovanni VII che regge tra le mani il modello dell’oratorio fatto costruire in onore della
Vergine.
Nel 1261 Vasari descrisse un grande modello d’insieme in mattoni, con decorazione interna
in gesso. Il plastico, ormai perduto, era stato costruito da Antonio di Vincenzo per la
cattedrale di Bologna.
Come testimonianza di questa pratica adottata dagli architetti vanno menzionata anche la
lastra tombale dell'architetto Ugo Libergier che, a Reims, è raffigurato con in mano il
modello della chiesa di Saint-Nicaise da lui stesso progettata.
11. Processi costruttivi delle fondazioni, descrizione delle varie attività pratiche sul
terreno (disposizione delle funi e dei picchetti, eccetera).
Dall’Alto Medioevo fino a tutto il XII secolo, l’architetto non solo concepiva le piante, ma
doveva assicurare, con funi e picchetti, l’esatta esecuzione sul terreno, essendo il solo a
conoscere, nella sua interezza, l’integrità del progetto.
Un’abbondante letteratura, relativa all’attività dell’architetto e, in particolare, a una delle fasi
che precede la costruzione, ci informa circa le modalità di una corretta disposizione
geometrica sul terreno delle fondazioni. L’operazione, per la sua importanza e per la perfetta
padronanza della tecnica richiesta, viene minuziosamente descritta nei testi specialistici e
addirittura caratterizza il linguaggio comune, ora come metafora, ora come riflessione
analitica dei non addetti ai lavori. Non a caso, nella prima lettera ai Corinzi, al capitolo terzo,
san Paolo scrive: “secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io
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ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra”. E continua: “ ma ciascuno stia
attenti come costruisce. Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello già vi si
trova, che è Gesù Cristo. E se sopra questo fondamento si costruisce con oro, argento, pietre
preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel
giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno”.
Nel 969 sant’Osvaldo, vescovo di Worchester, descrive il metodo per l’esecuzione
schematica del tracciato di una pianta fornendo osservazioni pratiche circa le operazioni di
costruzione geometrica di un triangolo rettangolo con lati proporzionali ai numeri 3, 4 e 5:
“l’architetto cercava affannosamente operai specializzati per disegnare le fondazioni secondo
le regole della linea retta, del triplo triangolo e del compasso”.
Dalle fonti scritte sappiano inoltre che nel 1088, nel corso dei lavori preliminari di
rifacimento dell’abbazia di Cluny, l’abate Ugo teneva tase alcune funi per delimitare e poi
rilevare l’area scelta per la costruzione.
Su una miniatura del XII secolo raffigurante il sogno di Gunzo, sono ritrattati san Paolo, san
Pietro e santo Stefano muniti di corde e pronti a delimitare lo spazio per la nuova abbazia.
I disegni proposti erano per lo più schematici, facili da eseguire e si basavano su figure
geometriche di agevole realizzazione: il cerchio, il triangolo equilatero, il quadrato e il
rettangolo. Venivano riecheggiate le semplici prescrizioni vitruviane: “un tracciato comodo
da disegnare nell’atelier con la riga e il compasso e facile da riprodursi con corde tese sul
terreno da edificare”.
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professionale dell’architetto medievale. Lo stile gotico si affermò proprio nelle regioni in cui
le rinomate scuole di Parigi e Chartres educavano gli studiosi alle arti liberali del trivium e
del quadrivium, in lingua latina e piccarda.
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pianta e alzato dell’edificio. Una dimostrazione dell’uso corrente di questo sistema, comune a
molte chiese gotiche, è contenuta nei documenti relativi ai lavori del cantiere del duomo di
Milano: nelle carte, infatti, ricorrono spesso le formule ad quadratum e ad triangulum,
adottate soprattutto all’architetto Antonio di Vincenzo (1390). La stessa terminologia è
impiegata dal matematico Gabriele Stornaloco (1392), expertus in arte geometriae, per la
preparazione del porgetto di San Petronio a Bologna. In entrambi i casi il sistema adottato si
fonda sul calcolo di un solo elemento modulare ripetitivo, il cosiddetto “braccio” medievale
(circa 58 centimetri con leggere variazioni locali). La stessa proporzione metrica rispetto al
braccio, ma questa volta applicata solo in pianta, sembra essere stata alla base del
dimensionamento della chiesa inferiore di San Francesco d’Assisi, nonché delle chiese di San
Fortunato a Todi, di San Domenico e San Francesco a Siena e di Santa Croce a Firenze.
Tra le unità di misura più diffuse nel Medioevo possiamo annoverare il braccio, il piede e il
pollice, con multipli e sottomultipli. Le misure più frequenti dei progetti medievali si
basavano su scale metriche espresse in dodicesimi e, a volte, in decimi.
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capomastro o peraio aveva il diritto d’insegnare a chicchessia gli usi e le pratiche del mestiere
senza controllare che l’iniziato avesse svolto un apprendistato secondo le tradizioni. Nessun
capomastro o scalpellino doveva accettare denaro da un operaio per istruirlo o per
consigliarlo nella materia della lavorazione della pietra. Tuttavia, gli operai erano autorizzati
a istruirsi l’un l’altro gratuitamente in base alle necessità di ciascuno.
Era estremamente importante e doveroso rispettare questa “disciplina dell’arcano”: i
trasgressori venivano esemplarmente puniti. Corrado, vescovo di Utrecht nel 1099, per aver
palesato a tutti un segreto rivelatogli dall’architetto Plebeus su come far defluire l’acqua dalle
fondamenta fu, per vendetta, pugnalato dall’architetto in persona.
Nell’ottavo paragrafo dello statuto sulle maestranze, redatto nel 1268 da Étienne Boileau, è
contenuto un brano molto significativo ad esplicito sulla segretezza e il riserbo da osservare
nei rapporti con i collaboratori: “I muratori, i calcinari, i gessaioli possono avere tutti gli aiuti
e garzoni che desiderano, a condizione che non mostrino ad alcuno di loro assolutamente
nulla del loro mestiere”.
Molte tecniche o scoperte non furono mai pubblicate o vennero conosciute solo più tardi
proprio per il vincolo del segreto imposto dalla corporazione. Le prescrizioni e i procedimenti
legati alla costruzione erano in continua evoluzione e non venivano trascritti sui libri: erano
elaborati di volta in volta, in base alle esigenze del momento, ai cambiamenti del gusto, ai
nuovi orientamenti stilistici. In sostanza, l’arte del costruire veniva trasmessa oralmente, di
generazione in generazione.
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graficamente le proprie idee consento al contempo alle maestranze una rapida lettura
propedeutica alla realizzazione materiale.
Malgrado la popolarità dell’arte del costruire, i manuali di architettura furono assai rari
perlomeno fino al XVI secolo. Roritzer, architetto della cattedrale di Resensburg, fu un
antesignano della divulgazione dei segreti dei costruttori di cattedrali. In particolare,nella
prefazione al suo quaderno di appunti rese note, “non per la gloria privata, ma per il generale
beneficio”, le conoscenze geometriche da lui applicate.
20. Hai letto o sfogliato il libro di Ken Follett “I pilastri della terra”?
no
III CAPITOLO
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1. Come si divideva l’architettura della prima metà del XII secolo secondo Ugo di San
Vittore e Vincenzo di Beauvais?
Il canonico Ugo di San Vittore, nella sua classificazione delle arti meccaniche contenuta nel
Didascalion, e Vincenzo di Beauvais nello Speculum doctrinale, distinsero l’architettura in
due branche, elencandone i vari mestieri. In base a la loro ripartizione, l’ars architectonica
comprendeva l’arte della muratura (ars caementaria), esercitata da scalpellini e muratori, e la
carpenteria, praticata da carpentieri e falegnami. Nello svolgimento dei diversi ruoli specifici
venivano utilizzati vari strumenti di lavoro come la mannarina, la scure, la lima, l’ascia, la
sega, il trapano, la pialla, lo scalpello, la cazzuola, la squadra.
4. Quali sono le fonti iconografiche più importanti nel Medioevo e a quale tipo di
costruzione si riferiscono?
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I muratori erano suddivisi all’interno della categoria in rapporto ai diversi compiti da
espletare nella costruzione. Ad esempio, gli operai che mettevano in posa i blocchi di pietra o
i mattoni, indicati nelle fonti dell’area inglese con il termine specifico di cubitores o positores
petrarum, occupavanno un posto a parte. Ma per quanto riguarda la gerarchia in rapporto alle
funzioni, la differenza tra muratori e manovali risultava assai labile, per cui termini come
cementarii, cubitores o positores indicano operai che ricoprivano indifferentemente lo stesso
ruolo.
Lo scalpellino era denominato scultore, caesor lapidum o lapicida.
Una terza classe di operai-muratori era costituita da marmisti e mosaicisti. A questo gruppo
appartenevano anche i pulitori, abili nel lavoro di levigatura.
8. Agli storici dell’edilizia a cosa serve lo studio dei libri di paga di una costruzione?
I libri di paga di una costruzione forniscono informazione rispetto a tutti diversi lavori che si
realizzavano nell’edilizia medievale, le condizioni di lavoro degli operai, quante ore
lavoravano, qual era la sua paga. In genere, fornisce di informazione rispetto al
funzionamento dell’edilizia medievale e conoscere così meglio la costruzione medievale non
solo di un punto di vista superficiale, solo lo studio delle costruzioni, della sua forma, del suo
stile… ma anche da un punto di vista più dettagliato, tutto ciò che circonda una costruzione
medievale.
9. Cosa era il lavoro volontario e come viene descritto nelle fonti del tempo?
Il contributo popolare più importante era il lavoro voluntario. Lavoro prestato gratuitamente
dagli operai che partecipavano alla costruzione, alla riparazione e alla decorazione di chiese,
cattedrali e piccole parrocchie.
Questo lavoro volontario rappresentava un’autentica e temibile minaccia concorrenziale per
gli operai medievali.
L’entusiasmo e la partecipazione spontanea della folla alle attività edilizie, soprattutto se si
trattava di costruire o di ristrutturare famosi santuari che catalizzavano la pietà religiosa
popolare, sono ampiamente documentati dalle fonti scritte sia dell’XI che del XII e del XIII
secolo.
Nella Historia dedicationis basilicae Sancti Remigii apud Remos è descritto l’entusiasmo
della popolazione, che presta il proprio aiuto con pronta benevolenza. QUesto estusiasmo è
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descritto nel Liber Sancti Dionysii dell’abate Sugerio e in altre fonti riferite alla chiesa di
Saint-Pierre-sur-Dive in Normandia.
In un altro testo, Gesta abbatum Trudonensium, si sottolinea la importanza del contributo
spontaneo della popolazione.
Nella Cronaca della costruzione della chiesa dei Fratelli Pescatori a Reggio Calabria troviamo
l’esaltazione dello spirito di aiuto reciproco, in una visione che sottolinea sempre il trionfo
divino. Lo stesso fervore religioso anima alla popolazione del Quatre fils Aymon.
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12. Potresti elencare a tuo piacere qualche norma dello Statuto degli scalpellini di
Strasburgo?
Ai maestri era severamente vietato accettare denaro per l’istruzione privata degli operai, che
doveva essere, invece, curata gratuitamente e per mezzo di mutui scambi di esperienze (art
14).
Il gioco e il concubinaggio erano severamente proibiti (art 17 e 35).
L’operaio poteva lavorare solo dopo aver ricevuto un’adeguata formazione professionale
(art13); doveva prestare obbedienza al maestro e al capocantiere, seguendo alla lettera le
norme della loggia a cui apparteneva (art 22).
IV CAPITOLO
1. Come venivano definite le varie tipologie di pietra (qualità) in epoca medievale?
Nell’esecuzione delle nuove tecniche di costruzione (muri spessi con matronei), la messa in
opera dei materiali edili richiedeva ovviamente un'enorme quantità di pietra di grandi
dimensioni. Nel caso di edifici architettonici importanti e complessi, una stessa cava non
poteva fornire tutte le diverse qualità di pietra necessarie alla realizzazione di murature
portanti, supporti, sculture, pavimentazioni…
Già tra l’XI e il XIII secolo il vocabolario medievale esprimeva le differenze qualitative
esistenti tra le pietre. La pietra calcarea veniva indicata con i termini lapis calcinalis, calcarius
o calcineus. La pietra era inoltre definita, a seconda della qualità, lapis vivus et franchus
(pietra dura e di buona qualità o lapis villanus (pietra dura e di mediocre qualità).
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In base alla composizione geomorfologica del suolo e alle differenti tipologie delle rocche da
estrarre, gli operai medievali praticavano le estrazioni a cielo aperto oppure in sotterraneo.
Nelle cave a cielo aperto, i blocchi di pietra si trovano a una profondità tale che non si
presenta alcuna difficoltà nell’eliminazione dello strato superficiale di terra e dei primi stati
di roccia non idonei alla lavorazione. A volte, ai cavapietre medievali bastava scavare lungo i
pendii dei letti dei fiumi per giungere, senza grandi difficoltà, ai banchi idonei alla
costruzione. La fase preliminare del loro lavoro era caratterizzata dalla raccolta in superficie
di tutte le scaglie dei primi strati che si sfagliavano dalla massa rocciosa per gli effetti delle
intemperie e della vegetazione. Questo particolare tipo di roccia, di scarsa qualità chimico-
fisica, venne utilizzato, in epoca romanica, sia per la realizzazione dei muri “a sacco” degli
edifici religiosi, militari e civili, sia per la messa in opera delle murature che riprendevano la
tecnica costruttiva romana.
Le cave a cielo aperto risultano più facilmente reperibili di quelle sotterranee, in quanto
spesso hanno modificato il paesaggio urbano determinando la formazione di scoscesi dirupi
artificiali, fosse e gradoni. Attualmente questi tipi di cava versano in condizioni di degrado
avanzato.
Particolarmente utili all’estrazione si rivelavano le fessure naturali e longitudinali della roccia
che i cavapietre sfruttavano per dividere i diversi banchi rocciosi. Seguendo le linee dei letti,
si estraevano, uno a uno, i banchi, liberando di volta in volta i blocchi sottostanti. Quando
tutto lo strato roccioso era stato asportato, i cavapietre eseguivano, a un livello inferiore, la
stessa serie di operazioni fino al reperimento della qualità di pietra desiderata.
L’applicazione di questo metodo determinava la formazione di larghi spiazzi aperti con
dirupi, quasi a tutta vista, colmati spesso con terra e detriti. Il terrapieno di riempimento
poteva arrivare fino a una decina di metri. La prospezione magnetica può, in alcuni casi,
informare circa la presenza o meno di una forgia, di strumenti di lavoro o di altro materiale
ferroso.
Generalmente, dallo spessore dei banchi dipendevano le assise delle murature degli edifici. I
blocchi potevano essere squadrati sul posto e i materiali di risulta venivano iscritti nel nucleo
del muro.
Indipendentemente dall’uso di banchi superficiali, i costruttori medievali erano obbligati a
ricercare, per i manufatti architettonici di una certa importanza (cattedrali, abbazie e
monasteri), pietre di migliore qualità, spingendosi più in profondità. Le pietre dovevano
rispondere a requisiti tecnici ed estetici che tenessero conto dell’impiego precipuo che se ne
doveva fare nella costruzione.
Le cave sotterranee possono essere classificate, in base alla forma, in tre tipologie:
- sale molto irregolari di tipo informe e quasi circolare (gallerie)
- sale regolari, di forma quasi rettangolare, con pilastri naturali oppure sale regolari, di
forma quasi rettangolare, con pilastri artefatti (camere)
- sale circolari che si sviluppano in altezza con forme piramidali o coniche (pozzi).
- Nei primi due casi, l’accesso è garantito da una cava a cielo aperto oppure da un
ingresso ricavato nel fronte di taglio.
- Nelle cave del primo tipo, gli ambienti sono unici o composti da sale collegate tra
loro. Nelle cave sotterranee del secondo tipo l’interno si presenta molto differenziato
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in base alla disposizione dei pilastri di sostegno, per la datazione dei quali conosciamo
una variegata campionatura:
- pilastri in numero insufficiente
- pilastri disposti irregolarmente e con sezione insufficiente
- pilastri disposti regolarmente e con sezione insufficiente
- pilastri disposti regolarmente e con sezione sufficienti
Nelle cave del terzo tipo, invece, gli ambienti presentano delle aperture all’estremità
superiore, in modo da facilitare la fuoriuscita del materiale. Le fonti scritte a noi pervenute
documentano numerose richieste di apertura e chiusura di pozzi d’estrazione.
Sappiamo con certezza che il lavoro sotterraneo poteva essere svolto in gallerie o in camere.
Le camere si differenziano dalle gallerie per la loro forma regolare e, soprattutto, per la
presenza di pilastri con funzione di sostegno per il tetto o la volta della cava.
QUando o scavo delle cavità sotterranee non superava una notevole profondità, i materiali
venivano portati in superficie attraverso aperture con un leggero pendio, mediante buoi o
cavalli che trainavano apposti carretti, come dimostrano i numerosi solchi di ruote tracciati
sul terreno all’interno delle cave. Nei casi in cui invece l’estrazione continuava per molti
metri, in presenza di strati superficiali di terra importanti, lo sterro diventava, per i mezzi da
impiegare, molto oneroso. Il materiale allora portato all’esterno, rapidamente e con un grande
guadagno di forza-lavoro, mediante pozzi rotondi o rettangolari, disposti a distanze quasi
regolari. Nel caso dei pozzi rotondi, la loro particolare forma conoidale permetteva il
bilanciamento dei blocchi in modo da evitare il contatto con le pareti durante la fase di
sollevamento.
Un sistema adottato per risolvere il problema degli scarti del materiale, nelle cave e camere,
prevedeva la costruzione di pilastri, non lasciati quindi naturalmente in situ. In questo caso, si
poteva procedere con il metodo detto “a pilastri costruiti”: durante l’estrazione si edificavano,
di volta in volta, in maniera abbastanza irregolare e senza nessun calcolo di
dimensionamento, alcune masse di materiale per sostenere il tetto del banco roccioso della
cava.
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- pilastri disposti regolarmente e con sezione sufficienti
Nelle cave del terzo tipo, invece, gli ambienti presentano delle aperture all’estremità
superiore, in modo da facilitare la fuoriuscita del materiale. Le fonti scritte a noi pervenute
documentano numerose richieste di apertura e chiusura di pozzi d’estrazione.
Sappiamo con certezza che il lavoro sotterraneo poteva essere svolto in gallerie o in camere.
Le camere si differenziano dalle gallerie per la loro forma regolare e, soprattutto, per la
presenza di pilastri con funzione di sostegno per il tetto o la volta della cava.
QUando o scavo delle cavità sotterranee non superava una notevole profondità, i materiali
venivano portati in superficie attraverso aperture con un leggero pendio, mediante buoi o
cavalli che trainavano apposti carretti, come dimostrano i numerosi solchi di ruote tracciati
sul terreno all’interno delle cave. Nei casi in cui invece l’estrazione continuava per molti
metri, in presenza di strati superficiali di terra importanti, lo sterro diventava, per i mezzi da
impiegare, molto oneroso. Il materiale allora portato all’esterno, rapidamente e con un grande
guadagno di forza-lavoro, mediante pozzi rotondi o rettangolari, disposti a distanze quasi
regolari. Nel caso dei pozzi rotondi, la loro particolare forma conoidale permetteva il
bilanciamento dei blocchi in modo da evitare il contatto con le pareti durante la fase di
sollevamento.
Un sistema adottato per risolvere il problema degli scarti del materiale, nelle cave e camere,
prevedeva la costruzione di pilastri, non lasciati quindi naturalmente in situ. In questo caso, si
poteva procedere con il metodo detto “a pilastri costruiti”: durante l’estrazione si edificavano,
di volta in volta, in maniera abbastanza irregolare e senza nessun calcolo di
dimensionamento, alcune masse di materiale per sostenere il tetto del banco roccioso della
cava.
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Mazzetta: il principale percussore per il taglio della pietra, è composta da un corpo metallico
di ferro o acciaio e da un manico di legno di frassino o castagno.
Punteruolo: chiamato anche subbia, appartiene al gruppo degli scalpelli, ovvero degli
strumenti di precisione a percussione poggiata; è composto da una piccola asta in ferro a
sezione circolare o ottagonale; la punta, di forma piramidale, è in acciaio.
Scalpello piano: è il tipo detto “testa a mazzuolo”, con l’estremità superiore allargata a forma
di fungo. Veniva utilizzato sia per sgrossare a rendere piene le superfici, sia per realizzare le
decorazioni scolpite durante la fase della finitura.
Brunitoio largo: composto da un’asta in ferro di sezione poligonale o rettangolare, presentava
la parte lavorante, in contatto con la pietra, forgiata a coda di rondine.
5. Come avveniva il trasporto della pietra in epoca medievale (via terrestre e/o
fluviale-marittima)?
Un enorme problema era rappresnetato dal trasporto, spesso difficile, faticoso e oneroso, dei
materiali lapidei al cantiere. Quando la cava distava molto dalla città, occorreva molto tempo
per trasportare le colonne sul sito da edificare. I disagi diminuivano se la cava era situata
nelle vicinanze dell’area destinata alla costruzione.
L’invenzione del ferro fi cavallo, la ñegatura in fila degli animali da tiro e soprattutto l’uso
della basdatura a collare rispetto a quella a giogo, permisero di quintuplicare la forza motrice
della trazione animale, che assume così un ruolo importantissimo nell’approvvigionamento di
pietra per i cantieri lontani dalle cave. Ovviamente laddove il trasporto per via fluviale o
maritima era possibile i costi si riducevano di molto.
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Delle risorse della Normandia si avvalse anche l’Inghilterra. La consistente esportazione della
pietra di Caen fu facilitata dalla percorribilità delle vie fluviali (Seulles) e dalla prossimità del
mare (la Manica).
I cantieri caennesi migliorarono a tal punto le tecniche di estrazione che per i costruttori
normanni d’Inghilterra risultò più conveniente importare il materiale strato dal ducato
anziché ricercare nuove cave al di là della Manica, ingaggiando gli operai indigeni e
formando una manodopera specializzata.
L’utilizzo delle sagone e l’impiego massiccio della pietra di Caen in Inghilterra lasciano
arguire che le forme standard servissero non solo per la scultura, ma anche per i blocchi
murari dalle dimensioni già stabilite. Esisteva, forse, una vera e propria prefabbricazione
delle murature. Precise misure d’imbarco e di spesa facilitavano il trasporto.
V CAPITOLO
1. Quali erano i corpi di mestiere che si occupavano della lavorazione del legno?
Carpentiere e falegnami
2. Quali erano le specie arboree più diffuse impiegate per la costruzione in legno?
Querce, faggi, olmi, larici e castagni catatterizzavano il patrimonio boschivo medievale.
Ovviamente, non tutte le specie si prestavano ai diversi impieghi e alle differenti necessità
d’uso.
Il legno di castagno e di quercia era molto ricercato, soprattutto per la costruzione delle
capriate, che richiedevano alberi di grandi dimensioni. I larici e gli olmi, più difficilmente
soggetti a putrescenza, venivano usati per la copertura dei tetti, sotto forma di piccole tessere
rettangolari, o per la realizzazione di pali per le fondazioni dei ponti, destinati a restare a
lungo immersi nell’acqua.
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che limitano l’inflessione dei puntoni. La capriata ha la sua forza dalla sua struttura di
ripartizione in triangoli. Essa è soggetta a sforzi di trazione (il monaco e soprattutto la
catena), compressione (le saette) e pressoflessione (i puntoni). Basilare è la coesione tra i suoi
vari elementi: puntoni e catena sono chiusi agli angoli da incastri.
5. Come sono definite alcune capriate? Descrivere le capriate: Crown-post, King post,
Hammerbeam.
Alcune capriate, definite in base agli elementi costitutivi crown-post (con monaco centrale
che si inserisce tra la catena secondaria e quella principale) e king-post (con monaco posto tra
il colmo e la catena), rappresentano una fase importante nell’evoluzione delle tecniche
costruttive medievali e caraterizzavano molti granai e chiese del nord-ovest dell’Europa.
Un altro tipo di capriata, definita in inglese hammerbean, rilevabile in un gran numero di
esempi a partire dalla fine del XIV secolo, serviva a coprire i vasti spazi delle cucine
signorili. Questo tipo di capriata è composta da mensole aggettanti orizzontali che partono
all’altezza delle travi di soglia da ambo i lati del muro, sostenendo un tetto con forma ad arco
che maschera i puntoni e le saette.
Generalmente, questi tipi di capriate non contenevano, fino al XV secolo, alcun elemento in
ferro; il materiale più usato era il piombo, strettamente legato all’arte della carpenteria. I
costruttori medievali, seguendo le antiche tradizioni, impiegavano il piombo per rivestire le
capriate esposte alle intemperie.
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- a una fila di montanti
- a travicelli passanti
- a sbalzo
Il primo sistema consiste in una fila di montanti assemblati a una data distanza dalla
costruzione e collegati alla muratura mediante travicelli disposti in appositi fori
d’alloggiamento. Si giustificano, in questo modo, le numerose cavità lasciate dalle
manovalanze medievali per permettere alle provvisione strutture lignee di inserirsi nel nucleo
della muratura assumendo una posizione stabile. Spesso, ultimati i lavori, i travicelli
venivano segati a filo di muro, in modo da formare una catena interna che rinforzasse la
muratura. Altre volte, invece, venivano toldi per essere impiegati altrove. Le maestranze
lasciavano intatte le cavità sia per il consolidamento delle strutture murarie sia per le continue
manutenzioni dei tetti e dal manto di copertura, che necessitavano di frequenti controlli.
L’impalcato a sbalzo non utilizza i montanti ma i travicelli con un’estremità parzialmente
inserita nella muratura e l’altra fissata alla saetra. Quest’ultimo elemento è unito in modo tale
che un estremo poggia contro il muro mentre l’altro è legato tramite corde all’estremo libero
del travicello. Infine, a chiusura del sistema statico di sostegno è presente un altro elemento
(regolo o puntone), disposto in posizione verticale, parallelamente al muro, in modo da
collegare l’estremità del travicello e l’estremità corrispondente alla parte inferiore della
saetta, scaricando contro la muratura il peso del tavolato.
Come si evince da alcune iconografie, per il collegamento tra i vari piani si faceva uso di
scale o piani inclinati, disposti obliquamente e realizzati con tavole su cui si inchiodavano,
sulla superficie superiore, alcun elementi lignei per evitare gli scivolamenti.
Impalcature con travicelli passanti per la muratura consentivano l’allestimento di due piani di
lavoro simmetrici, il tavolato era sorretto da saette e puntoni. Il travicello attraversava l’intera
muratura e poteva sostenere un piano di lavoro su ciascun lato.
VI CAPITOLO
1. Descrivere le fondazioni (tipologie, preparazione, tipi di terreno).
Le fondazioni sono costituite da quella parte del fabbricato che poggia direttamente sul
terreno. La loro funzione statica è molto importante, poiché esse hanno il compito di
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sostenere l’intero edificio e di ripartirne il carico sul suolo con intensità adeguata alla
resistenza del terreno.
Dare appoggio stabile al fabbricato fungendo da trait d’union tra la configurazione stabile
d’equilibrio che esso assume e i carichi agenti sulla struttura soprasante, ivi compresi i pesi
propri.
Sono limitate in basso dal piano d’appoggio e in alto dal piano di spiccato che le separa
dall’alzato. Il loro spessore è sempre maggiore del muro che le sovrasta, presentando, in
corrispondenza dell’assise, una superficie di risega detta appunto “risega di fondazione”. Tale
aumento di spessore ha la funzione di ridurre la pressione media sul terreno che, in questo
modo, può anche avere portanze più basse. Il peso dell’intera struttura muraria sostenuto
dalla fondazione deve essere trasmesso al terreno in maniera uniforme e soprattutto in misura
compatibile con le capacità portanti di questo, tanto da assicurare all’edificio la massima
stabilità. In funzione della fondazione, viene individuata la tensione al limite di collasso del
terreno. In genere non si ammette che i terreni possano resistere a trazione.
Il problema principale dei costruttori medievali fosse quello di analizzare la qualità del
terreno stimandone le capacità portanti.
La prima difficoltà era rappresentata dal rischio di frana delle pareti dello scavo quando esso
doveva raggiungere determinate profondità. Si poteva ovviare a tale inconveniente attraverso
tre sistemi: dare una certa inclinazione al taglio laterale con pareti a scarpa, profilare lo stesso
a gradoni, realizzarlo in verticale e armarlo con sbatacchiature.
La sbatacchiatura era un’ossatura lignea collocata all’interno della trincea in modo da
ostacolare il cedimento delle pareti laterali in terra. Consisteva in un tavolato orizzontale
posto per contenere il terreno e in alcuni piccoli travetti in legno che assicuravano la tenuta
della spinta del terreno rispetto al tavolato.
Si distinguono in varie categorie a seconda di alcuni parametri caratteristici: in base alla
profondità (immediate e profonde), in base alla planimetria (discontinue, semplici, con
raccordi e a piattaforma), in base alla struttura (in opera quadrata, incerta, a spina di pesce,
laterizia con o senza malta cementizia).
Anche la qualità delle pietre di fondazione è determinante ai fini della stabilità dell’edificio.
Alcuni testi medievali insistono sull’importanza dell’individuazione di un buon terreno per le
fondazioni e sulla scelta delle dimensioni dei blocchi da usare.
La pianta veniva prevalentemente materializzata sul suolo dall’architetto, in scale reale,
mediante corde: durante questa operazione era assai facile incorrere in errori. Tracciata la
pianta dell’edificio, si procedeva all’elevazione delle strutture murarie sempre con l’aiuto di
corde, secondo il metodo della triangolazione.
Per la facilità di approvvigionamento dei materiali, per il minore spessore e la maggiore
elevazione delle murature che necessitavano di imponenti strutture di supporto, le fondazioni
gettate in epoca gotica erano generalmente più profonde rispetto a quelle di età romanica.
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Nella costruzione edilizia medievale, l’apparato murario varia a seconda della natura fisica
dei materiali e delle peculiarità tecniche locali, strettamente legate alle conoscenze materiali
delle diverse maestranze. La casistica tipologia degli apparecchi murari più in uso
nell’Occidente medievale europero comrpende sia i gruppi omogenei che quelli misti.
Al primo gruppo appartengono tutte le murature formate da un solo tipo di minerale, tagliato
in conci di piccole e medie dimensioni, in blocchi di grandi dimensioni oppure in mattoni di
varia misura. All’interno di tale gruppo possiamo distinguere le seguenti tecniche costruttive:
- opura incerta o opus incertum
- opera quadrata o opus quadratum
- opera a spina di pesce o opus spicatum
- opera laterizia o opus latericium
Del gruppo misto fanno parte le seguenti tecniche costruttive:
- opera listata o opus listatum
- opera a graticcio o opus craticium.
Opera incerta: L’apparecchio murario non presenta assise e impiega conci grezzi con forme
indefinite di piccolo e medio modulo; gli elementi utilizzati sono di forma irregolare e non
subiscono nessuna lavorazione. I materiali sono costituiti da ciottoli di fiume e pietrame
provenienti dai primi strati della roccia.
Opera quadrata: Utilizza blocchi lavorati sulle quattro facce di medio e grande modulo . I
blocchi sono disposti secondo assise orizzontali con una chiara alternanza dei giunti.
Opera a spina di pesce: un’altra tecnica che recupera esperienze architettoniche romane e
l’opus spicatum. La muratura è costituita dall’assemblaggio di pietre che presentano
un’inclinazione che varia da 45 a 60 gradi per ranchi superposti. Gli elementi in pietra grezza,
che si presentano sotto forma di rettangoli, sono inclinati alternativamente verso destra e
verso sinistra; le pietre appena sbozzate si appoggiano sul bordo destro dell’una e dell’altra
fila e formano murature che hanno generalmente i cantonali in pietra lavorata con blocchi di
media grandezza.
Opera laterizia: nella cortina muraria sono impiegati esclusivamente mattoni di modulo
uguale sia in altezza che in lunghezza. Le differenze di lettura e di interpretazione cronologia
sono leggibili nella diversità dello spessore dei giunti soprattutto orizzontali, nel tipo di malta
usata, nel colore dei laterizi e nella presenza o meno della fase di stilatura e lisciatura.
Opera mista: molto ampio. Esempio: opus listatum costituito a volte fino sette corsi di
blocchi di tufo o pietre calcaree con giunti sufficientemente larghi, ricchi di malta, alternati
da uno, due o tre filari orizzontali di mattoni che assicurano il ruolo di assisa al fine di
regolarizzare il piano superiore della muratura. Altro esempio: opus craticium, lo scheletro
del muro consiste in un’intelaiatura lignea composta da elementi orizzontali, verticali ed
eventualmente obliqui, assemblati gli uni agli altri in modo da formare la cortina muraria. Gli
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spazi intermedi sono generalmente riempiti con impasti di paglia tritata mista ad argilla
oppure con pietra, tufo o mattoni.
Contrassegni di posa: È ormai certo che i segni di muratura o di posta sono numeri, marchi o
lettere dell’alfabeto utilizzati dagli scalpellini per assemblare insieme, in un ordine stabilito
precedentemente, i diversi elementi della muratura, archi, cornici di coronamento e mensole o
per indicare il senso dei letti della pietra.
Contrassegni di cottino: Nel medioevo lo scalpellino veniva pagato a cottino, cioè in base al
numero di pietre tagliate. Ogni operaio intagliava nella pietra un proprio segno.
Graffiti: Non è ancora chiaro se essi siano stati incisi durante la fase della messa in opera
delle pietre oppure dopo la costruzione dei paramenti murari. Probabilmente, i muratori
disegnavano volentieri con punte di ferro o con compassi sulle pietre sia prima che dopo la
loro messa in opera. QUesta operazione viene eseguita ancora oggi dalle manovalanze con la
loro matita da cantiere. D’altro canto è facile che, oltre ai costruttori, siano state persone non
addette ai lavori a tracciare tagli graffiti rendendo la loro datazione ancora più aleatoria.
Esclusa totalmente l’ipotesi di un significato esoterico, tutt’al più in certi casi si potrebbe
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pensare a degli ex voto; si dovrebbe allora verificare, se il disegno sia in rapporto con il santo
patrono della chiesa o con il potere taumaturgico attribuitigli. I graffiti di epoca romanica
esaminati in Normandia possono essere distinti in due categorie: la prima classe comprende i
graffiti che si rapportano alla costruzione (strumenti per la lavorazione della pietra e del
legno), mentre nella seconda sono inclusi i graffiti ispirati all’ambiente che circondava i
cantieri di costruzione medievali (battelli di vario tipo, strumenti di lavoro dei campi…)
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