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tORQUATO TASSO

"Ed a voli troppo alti e


repentini, sogliono i
precipizi esser vicini"
[T.Tasso, Gerusalemme Liberata]
IL DIFFICILE RAPPORTO CON LA CORTE
La corte come regno di bellezza e splendore esiste
solo nella fantasia di Tasso, che vi proietta tutta la
propria immaginazione:
le anime gentili impegnate in nobili imprese
sono viste come piccoli uomini alle prese con
litigi e miserie quotidiane.

Tasso tenta di restituire alla letteratura un ruolo


conoscitivo, che fa di lui il primo grande letterato
della modernità.
Canzone al metauro
[Rime,573]
Metro : canzone di 3 strofe formate da 16 endecasillabi e 4
settenari (incompleta)

Introduzione: la fuga da Ferrara e la richiesta di protezione da


Francesco Maria II della Rovere (Urbino).
Motivo encomiastico : omaggio celebrativo al Metauro.
L'Alta Quercia: stemma dei duchi della Rovere, dove Tasso
spera di trovare conforto dalla "crudele sorte".
TRAMA:
Lo struggente resoconto della propria infelicità:
La separazione dalla madre.
La durezza della vita passata come vagabondo, al seguito del
padre, circondato dalla povertà.
La malattia e la morte del padre.
O del grand’Apennino
figlio picciolo sì ma glorioso,
e di nome, più chiaro assai che d’onde;
E RETORICHE
FIGUR fugace peregrino
a queste tue cortesi amiche sponde
gr and ' A pe nnino
t a fo ra d i "O del per sicurezza vengo e per riposo.
vv 1 me L ‘alta Quercia che tu bagni e feconde
figlio" si m a glo ri oso" con dolcissimi umori, ond’ella spiega
i te si di " p icc olo
vv 2 ant lude a al i rami sì ch’i monti e i mari ingombra,
l t a Q u e r c i
m e t a f o r a : L'a mi ricopra con l’ombra.
vv 7-1 3 e r e , c o n la
i D ella R o v
m m a d e L’ombra sacra, ospital, ch’altrui non niega
allo ste , g r a n d i o s o e
d e l l ' a l b e r o forte al suo fresco gentil riposo e sede,
visione u o b i s o g n o di
l u i e s p r i m e il s entro al piú denso mi raccoglia e chiuda,
ospitale,
i o n e e d i f e sa. sì ch’io celato sia da quella cruda
protez m b r a /o m b ra"
d i p l o s i d i "in g o e cieca dèa, ch’è cieca e pur mi vede,
vv10-1 1 a n a io
f ic a to d i r ifu g
i la p a r o la h a signi ben ch’io da lei m’appiatti in monte o ‘n valle
in cu
e per solingo calle
notturno io mova e sconosciuto il piede;
e mi saetta sì che ne’ miei mali
mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali.

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