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FEBBRAIO 2023

a cura di Edizioni De Carli e diretto da Massimiliano Esposito

COME LA LEGGE DIVENTA UN SOPRUSO


VIA PORT'AUREA N. 5/A - RAVENNA (RA) - REDAZIONEFEAV@GMAIL.COM
L'EDITORIALE
DI MIRKO DE CARLI EDIZIONI

FAMIGLIA,
IL VERO STATO SOCIALE
La vicenda umana e familiare di Lando Buzzanca è
stata una tragica occasione per aprire un velo di verità
dentro la drammatica omertà che troppo spesso ha
segnato le vicende di tante donne e uomini vittime
della legislazione italiana in materia di
amministrazione di sostegno. Non è mia intenzione
entrare nel merito della normativa elaborata dal Prof.
Cendon, nemmeno avanzare istanze che odorino di
rivendicazioni giudiziarie o politiche ma solamente
aprire uno squarcio di riflessione su come la famiglia,
motore dello stato sociale in Italia, sia letteralmente
devastata da episodi come quelli che hanno
caratterizzato dell’amico Lando.

Per famiglia non si intende solo i stretti rapporti di


parentela ma anche i così detti affetti stabili che, negli
anni della vecchiaia di molti dei nostri anziani e fragili,
rappresentano quella ancora di salvataggio
indispensabile per non essere soli o per non essere
vittima indifesa delle tragiche e fratricide guerre
patrimoniali tra possibili eredi.

Abbiamo deciso di dedicare il numero di febbraio di F


Magazine alle storie, agli approfondimenti giuridici e
giornalistici e alle testimonianze di coloro che
operano nel volontariato sociale assistenziale perché il
destino di decine di migliaia di famiglie che hanno un
parente sotto amministrazione di sostegno merita di
trovare una voce capace di dargli la rappresentanza
che merita: per queste ragioni troverete illustrata la
storia dell’ associazione “Labirinto 14 Luglio”
presieduta da Francesca Della Valle che combatte per
assistere coloro che si trovano travolti dalla tagliola
della legge Cendon.

Il Terzo Settore in Italia è caratterizzato in larga parte


da opere di privato sociale assistenziale rivolte ad
anziani e fragili che, con meritorio impegno e
dedizione, svolgono la loro sul territorio nazionale:
questo non va però confuso con le tante e troppe
realtà che sono identificabili come RSA ma che
assumono sempre più i contorni di veri e propri
"lager” impegnati unicamente nell’accompagnare a
una celere morte gli ospiti presenti.

Per questo intendo riaffermare un concetto che come


Magazine dedicato a raccontare il dinamismo del
volontariato sociale italiano ed europeo abbiamo a
fondamento della nostra attività editoriale: la famiglia,
allargata ed intesa nella dimensione degli affetti più
cari e stabili, quale architrave portante di quel privato
sociale che caratterizza porzioni sempre maggiori del

Mirko De Carli
welfare state tricolore.

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“LEGGE 6/04: SE LA
A CURA DI: FRANCESCA DELLA VALLE
CONOSCI LA EVITI”
Presidente Associazione Labirinto 14 Luglio Compagna di Vita di Lando
In qualità di Presidente di “Labirinto 14 Luglio”, Associazione nata per la tutela dei Diritti dei fragili o
vulnerabili, ringrazio Mirko De Carli (Presidente Nazionale FEAV) e l’avvocato Carlotta Toschi per la sensibilità
costante, dimostrataci nei riguardi di tematiche sociali e di interesse pubblico.
La morte di Lando Buzzanca è avvenuta per mano dell’applicazione della legge 6/04 (ufficio
dell’amministrazione di sostegno).
Da giornalista e compagna amata, ho il dovere di rendere giustizia a un’icona del Cinema e dell’Arte italiana,
verso la quale l’indifferenza delle Istituzioni è stata fatale.
Imprigionato da una legge folle, quanto ormai indegna per ogni essere umano, Lando è stato deportato in una
RSA lager contro la sua volontà da un amministratore di sostegno in linea con la famiglia “amorevole”, grazie al
beneplacito di un giudice tutelare (GT) che puntualmente ampliava poteri all’innominabile (ADS), come se fosse
un Dio.
La famiglia in questione è la stessa, contro cui un uomo pubblico, Lando, prima del sequestro da parte della
legge in questione (gennaio 2020) dichiarava: “I miei figli mi danno del rimbambito per prendersi la mia casa”
(Google Lando Buzzanca patrimonio).
Lando, truffato, annientato, condotto a morire in un Hospice, senza avere una malattia mortale, è diventato il
simbolo di questa lotta contro ciò che la legge dell’ufficio dell’amministrazione di sostegno è: uno scempio
ripetuto.
Sappiate che, la legge 6/04, non riguarda solo gli ultra sessantacinquenni danarosi o pseudo tali ma è un male
comune per qualunque italiano che, per un motivo
banale si ritrovi nel “labirinto” di questo percorso
senza via d’uscita.
Ho voluto che, in seguito alla cortese proposta di
Mirko De Carli, in FMagazine, parlassero non solo i
due vicepresidenti di Labirinto 14 Luglio,
rispettivamente il Dott. Calia e il prof. Fulvio
Tomaselli e il giurista dott. Reale, responsabile del
team giuridico e multiprofessionale ma ci fossero
alcune delle centinaia di migliaia di testimonianze di
coloro che vivono, come affetti cari degli
amministrati questo dramma.
L’iter è identico per tutti!
Si passa dall’abuso di potere, al sequestro, sino
all’annientamento e alla morte dell’amministrato;
questo dopo aver bloccato il patrimonio della
“vittima”, frutto del lavoro di una vita.
Gli affetti veri vengono allontanati e definiti
“presunti” a favore dei “ganci” familiari a loro alleati.
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Siamo il “Paese” della memoria. Ricordiamo le vittime dell’Olocausto senza farne tesoro e ripetiamo, a distanza di
molti decenni, gli stessi errori o meglio “orrori”.

Sono affranta dal mio dolore che, puntualmente si rinnova quando ascolto o leggo le stesse storie ripetute ormai
da 19 anni.

A partire dalla legge 6/04 ho il dovere come cittadina italiana, oltre che come Presidente di “Labirinto 14 Luglio”
di creare una coscienza popolare su quelli che ormai sono i nostri diritti violati.

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I CONFINATI DALLA LEGGE
A CURA DI: ANTIMO CEPARANO
SCRITTORE E POETA

Una carrellata appena accennata sulla Legge sull’amministrazione del sostegno. Il Testo in vigore dal: 19-3-2004
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato:

“La seguente legge: di cui all’art. 1.


La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore
limitazionepossibile della capacita' di agire, le persone prive in
tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della
vitaquotidiana, mediante interventidi sostegno temporaneoo
permanente.”

Come ogni legge comincia con un’affermazione degna del più grande rispetto e condivisione. Già all’art. 2
avvertiamo un senso di smarrimento.

Art. 2. La rubrica del titolo XII del libro primo del codice civile e sostituita dalla seguente:
"Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia".

In effetti nel legislatore non vi è la volontà espressa correttamente di superare l’istituto dell’interdizione.
Mi premeva questo: dare al legislatore il merito di volere superare un istituto, come quello dell’interdizione, che
molte volte è stato strumento di violazione dei diritti elementari della persona ma non di avere usato strumenti
legislativi adatti.
Pochissimo tempo fa un uomo Lando Buzzanca è rimasto vittima delle maglie, spesso in contraddizione della
legge 6/04, la quale pure essendo nata per superare la precedente legge è in contraddizione con ciò che in teoria
vuole proteggere.
Non basta essere in condizioni di gestire al meglio le proprie capacità psichiche perché il labirinto della
legislazione in atto offre molteplici appigli a chi nelle intenzioni, per motivi spesso economici vuole sottrarre al
singolo ogni possibilità di potere essere artefice del proprio destino.
L’Associazione Labirinto 14 è sorta proprio per evidenziare le storture all’interno di questa legge e come
dichiarato in più articoli da Francesca della Valle giornalista e compagna di Lando Buzzanca “il labirinto
simbolizza il tortuoso e complicato cammino che le persone devono compiere per orientarsi, districarsi e
ritrovare l’uscita, in questo caso quando, per le vicende della vita, si imbattono nella legge 6/04 (Ufficio
dell’Amministrazione di sostegno)”. L’Associazione nasce a Roma al centro congressi Cavour ed è presieduta dalla
giornalista Francesca della Valle , compagna di Lando Buzzanca, notissimo attore siciliano ed icona del nostro
cinema, che fu ricoverato dal 27 dicembre 2020 in una Rsa romana.
“Lando – sostenne Francesca della Valle -“é stato segregato contro la sua volontà e lasciato a marcire, a causa di
una legge che prevede la figura degli amministratori di sostegno di persone fragili le quali hanno un potere
decisionale che va oltre la loro stessa figura legale. Ormai sono oltre 400.000 persone soggette ad un’angheria
che bisogna trasformare da cattiva legislazione in una nuova conquista sociale.

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L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO:
LUCI ED OMBRE DEL SISTEMA DI
PROTEZIONE.
L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO PUO’ ESSERE UNA RISPOSTA ALLA SOFFERENZA UMANA?”
A CURA DI: GIUSEPPE REALE
Giurista, Istruttore di Mindfulness e Counselor accreditato.
Il tema della fragilità umana, è un tema estremamente complesso, che non può sopportare semplificazioni,
approcci riduzionistici, modalità e prospettive che non tengano conto di tale complessità che si esprime in infiniti
modi, non tutti esplorabili, data la soggettività dell’esperienza umana.

Come giurista, ma non solo, anche nelle mie plurime funzioni e nel mio ultimo e sostanziale impegno diretto al
tema ed all’esperienza della “consapevolezza” umana, come counselor relazionale ed istruttore di mindfulness, mi
sento di poter osservare il fenomeno della sofferenza umana da diversi punti di osservazione.
La sofferenza è una caratteristica che viene incarnata dall’essere umano, molta di questa sofferenza è connessa al
nostro modo di vedere ed interagire con il mondo.
La sofferenza attiene ad un processo intrarelazionale ed interrelazionale, non osservare con attenzione il
nascere, il dipanarsi e lo svilupparsi dell’esperienza relazionale, in tutti gli ambiti dell’esistenza determina
distorsioni comportamentali legate a schemi mentali che si ripropongono, indipendentemente dal grado culturale
che si acquisisce a seguito anche di percorsi universitari, percorsi da cui sotto il profilo relazionale se ne esce con
un analfabetismo preoccupante.
Qualcosa in noi suggerisce che se abbiamo orecchie per ascoltare, ascoltiamo, e se abbiamo una bocca per
parlare sappiamo comunicare. Non così semplice…..ascoltare e comunicare ….sono processi che richiedono molte
competenze e molta attitudine ad una osservazione di sé e del mondo circostante scevra dalla tendenza a
giudicare ed a classificare tutto in categorie e schemi mentali di cui spesso non ne conosciamo la natura ed il
funzionamento.
In questa prospettiva, nessun istituto giuridico, nessuna organizzazione, può dare risposte concrete e
significative alla sofferenza umana, se lontani dalla conoscenza di come funzioniamo e di ciò che ci muove nel
contesto relazionale.
Un esempio per tutti e del tutto evidente é l’applicazione dell’art. 410 cod. civ.. Una sola domanda : “quanti
giudici tutelari e quanti amministratori di sostegno si sono mai attivati concretamente per incontrare il consenso
del beneficiario laddove il decreto contempla la rappresentanza esclusiva in capo all’amministratore di
sostegno?” Posso con tranquillità affermare che non avviene in nessuna parte d’Italia. Quanti esplorano in modo
attento e puntuale i bisogni e le aspirazioni del beneficiario, anche alla luce della pronuncia della Corte di
Cassazione suo caso Englaro? Nessuno, forse chi lo fa non è ben visto dal sistema, se non dal sistema, dai
familiari, se non dai familiari da chi ha la presunzione di occuparsi della salute di un terzo, senza conoscere il
terzo, se non in modo superficiale e lontano dalla specificità individuale.
Nella prefazione al nuovo progetto di legge, ne anticipo una parte per i lettori, scrivo:
“Il disagio non solo economico, seppure in questo preciso quadro storico congiunturale, decisamente allarmante,
ma anche le difficoltà attinenti la scelta di stili di vita sostenibili, le modalità di concepire la vita di relazione ed il
suo prezioso significato anche in vista della “tenuta” del tessuto sociale, generano una diffusa fragilità che
inevitabilmente si ripercuote sulle famiglie e che è destinata a colpire larghe fasce della società,
indipendentemente dal censo, dalla cultura e dal grado d’istruzione.
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La debolezza e la fragilità cui tutti siamo o potremmo essere esposti impone una diversa lettura degli istituti di
protezione giuridica, che oggi mostrano tutte le mancanze da cui sono affetti ed in particolare la prospettiva del
soccorso che scende dall’alto e non anche la disponibilità di strumenti per recuperare autonomia ed indipendenza in
un’ottica che non sia di mero assistenzialismo, ma anche di pari opportunità sociale, soprattutto dopo che alcuni
valori di un rinnovato umanesimo sono stati introdotti, nel vigente sistema normativo, con la legge che ha istituito
l’amministrazione di sostegno.

La legge n° 6/2004 ha generato, da che è in vigore, un fervente dibattito culturale che ha coinvolto non solo i giuristi
e gli operatori del diritto, ma anche i medici, gli psichiatri, i servizi socio-assistenziali, le famiglie, enti pubblici e
privati, con e senza scopo di lucro, in un’affannosa ricerca diretta a determinare l’ambito di applicabilità di un
istituto di protezione rispetto ad un altro e, infine, alla consapevolezza della preferibilità, come strumento principe
della protezione della persona, dell’amministrazione di sostegno, rispetto all’interdizione, dal sapore e dagli echi in
senso lato sanzionatori e negativi, ed all’ormai quasi del tutto inutilizzata inabilitazione.

In verità, a nostro parere, tale dibattito corre il rischio di perdere di vista che non si tratta di privilegiare l’uno o
l’altro istituto, ma di rivederne, dalle fondamenta, i contenuti, anche e soprattutto nelle forme di concreta
applicazione alla realtà di vita in cui i soggetti deboli che ne hanno necessità si vengono a trovare.

In una ormai non più recente, ma sempre attuale, pubblicazione dal titolo “Tutela, curatela e amministrazione di
sostegno. La centralità della persona nell’approccio multidisciplinare alla fragilità” (Giappichelli, Torino, 2008)
scrissi:
“Laddove anche, infatti, si giungesse a definire quale istituto sia da privilegiare, nessun traguardo veramente utile
avremmo ancora raggiunto, per garantire dignità ai soggetti afflitti da ridotte autonomie. Ritengo, invece, che solo
occupandoci di individuare delle modalità, operatività ed impostazioni che realmente pongano al centro
dell’intervento la Persona, i suoi bisogni, le sue aspirazioni, disporre del patrimonio e delle risorse personali in
modo funzionale rispetto alla Persona medesima, inserita nella sua storia, nel suo mondo di relazione, nel suo
habitat, ove si sono esplicate la sua personalità, le sue caratteristiche e quei tratti dell’esistere che rendono
l’individuo unico, specifico ed irripetibile, potremo dare spazio e corpo alla dignità che compete ad ogni essere
umano. E’ ormai palese che il rischio non sta nel definire un soggetto “interdetto” anziché “beneficiario di
un’amministrazione di sostegno” o viceversa, ma nel riproporre schemi ed impostazioni rigide che possono di fatto
ricondurre l’amministrazione di sostegno all’interdizione, semplicisticamente mutando formalmente il nomen iuris
a situazioni che nella sostanza vengono trattate con lo stesso spirito irriguardoso per un’umanità di per sé già
penalizzata da disagi e ridotte autonomie nel vivere quotidiano. La tendenza a schematizzare, a semplificare
l’approccio al soggetto debole, non guardando alla complessità di ogni essere umano, può di fatto vanificare un reale
intervento di ausilio alle persone deboli. Tutti gli aspetti che riguardano un individuo e, quindi, la cura dei suoi
interessi, anche patrimoniali, delle “cose proprie” (espressione straordinaria che vividamente pone in luce l’intimità
del rapporto con il proprio mondo, con la propria vita, con ciò che lo caratterizza e contraddistingue): la sua casa, i
suoi spazi, i suoi ricordi, i legami affettivi ad ambienti ed oggetti (che possono avere un valore economico o meno,
ma comunque rappresentano la propria permanenza su questa terra ed in questa specifica esistenza) vanno
ricompresi, scoperti, evidenziati e protetti affinché la propria debolezza che s’intendeva proteggere non diventi il
presupposto di altre vessazioni”. Proprio sulla scorta di queste osservazioni e grazie alla nostra pluriennale
esperienza nella materia, alla luce del valore cardine della centralità dell’essere umano, abbiamo ritenuto di
proporre l’abrogazione degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, rivisitando in modo completo l’istituto
dell’amministrazione di sostegno, in modo che quanto delle prime due possa essere mantenuto in vista dell’esclusiva
protezione del soggetto privo di autonomia, possa esservi ricompreso, mai come schema meccanico da applicare
acriticamente ed in via astratta, ma solo dopo ragionata individuazione delle necessità che impongono di limitare la
capacità delle persone e di introdurre una figura vicaria che affianchi o sostituisca l’interessato nel compimento
degli atti della vita. In altri termini riteniamo che la definitiva scomparsa degli istituti tradizionali possa divenire
uno sprone reale e concreto a far sì che l’approccio alla protezione del soggetto debole sia più adeguata e rispettosa
dell’essere umano nel suo esistere e manifestarsi.

Si tratta, quindi, di una nuova disciplina che prende le sue mosse dalla legge n° 6/2004, rendendola più aderente e
idonea rispetto alla debolezza che in ogni singolo caso specifico determina la necessità di un intervento
istituzionale. Essa raccoglie e si fa portavoce dei bisogni espressi dalle numerosissime famiglie che incontriamo e
che ci rappresentano il grave disagio vissuto nel rapportarsi con l’applicazione degli schemi rigidi delle misure fino
ad oggi vigenti, dove sensibilità ed attenzione all’essere umano spesso non si accompagnano all’applicazione del
diritto e dove il diritto è troppo spesso letto ed applicato in modo esclusivamente formalistico, al di fuori dalla
comprensionesistematica delle norme che disciplinano gli interessi familiari e di vita delle persone, in un ottica
meramente patrimonialistica, diretta alla conservazione anziché all’utilizzo delle risorse economiche in modo
funzionale ai bisogni ed alle aspirazioni di chi si trovi in difficoltà. Aspirazioni e bisogni che si possono
comprendere appieno solo grazie ad una conoscenza profonda di ogni singola situazione, costituita da elementi
caratterizzanti, specifici e spesso unici nel loro genere.

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La nuova normativa propone dunque una visione personalizzata della protezione e trova le sue radici in una reale e
sostanziale esperienza solidaristica, caratterizzata dalla professionalità degli approcci e da precisi percorsi di
responsabilizzazione di coloro che sono chiamati ad intervenire. La persona è posta al centro di un intervento
graduato rispetto alla sua stessa condizione, nel quale rilevano non tanto la presenza di una patologia, quanto e
soprattutto i riflessi che essa è capace di determinare sul grado dell’ autonomia esistente, che deve essere, se non
migliorato, almeno conservato in un’ottica di recupero di pari opportunità.

L’amministrazione di sostegno diviene così un reale e concreto percorso da attuare nell'interesse della persona
debole per la quale la strutturazione di un articolato progetto di vita diviene non solo un passaggio eventuale
dell’intervento, ma un diritto della persona debole che vede ridotte le proprie autonomie.

La gradualità dell’intervento imporrà la necessità di studiare ed analizzare il caso singolo evitando processi
burocratici di standardizzazione dell’intervento. Il Giudice tutelare, l’amministratore di sostegno, i servizi sociali e
sanitari, le presenze parentali di riferimento, tutti si vedranno responsabilizzati nella progettazione che porrà al
centro la persona con i suoi bisogni e le sue aspirazioni.

Un percorso composito che richiederà: attenzione, sensibilità, professionalità, rispetto, maturità civile e
conoscenza, con la predisposizione di un intervento per quanto possibile partecipato e non meramente
assistenzialistico.

Accanto ai poteri di vigilanza e di garanzia del Giudice tutelare, vi sarà la funzione dell’amministratore di sostegno,
scelto in quanto idoneo allo specifico incarico, che assumerà un ruolo sostanziale anche nella fase istruttoria, di
conoscenza della persona, di accertamento del patrimonio e di utilizzo delle risorse disponibili conformemente al
quadro di vita del beneficiario, che potrà pure fornire, anche in anticipo rispetto al momento di effettiva necessità,
direttive specifiche nell’atto di designazione del proprio amministratore, anche in forma olografa, sia in ordine alla
cura, sia rispetto al contesto abitativo e relazionale da rispettare e considerare, quale ambito in cui un essere umano
si esprime e si riconosce.

Non più dunque, “provvedimenti-tipo” preconfezionati all’interno dei Tribunali e rabberciati in funzione delle più
macroscopiche esigenze, o semplificazioni atte a tradire un’umanità sofferente e che chiede di veder conservata e
protetta la propria dignità di essere umano.”
Il caso di Lando Buzzanca, ha permesso di aprire un varco rispetto ad un mondo sommerso, da cui emergono i tratti
più in “Ombra” della natura umana, a questi tratti è necessario accedere per vederli, comprenderli, trasformarli
attraverso percorsi che non appaghino quella che definii “ipocrisia dei processi formali” (osservo una procedura,
ottengo crediti formativi e per ciò solo pretendo di trattare della “fragilità umana”), per far si che ogni traduzione e
declinazione del sostegno non divenga concretamente uno strumento vessatorio, in cui l’operatore riversa gli effetti
della propria ignoranza e delle proprie angosce profonde, chiudendo gli occhi sulle proprie ferite così infliggendo di
fatto maggiore sofferenza al prossimo. Il progetto di riforma, che a breve verrà presentato nelle sedi istituzionali,
potrà dare un forte impulso verso una umanità più attenta e più rispettosa dei diritti fondamentali che spettano ad
ogni Donna e ad ogni Uomo, in ogni fase e tempo del proprio vivere, in ogni frangente anche quelli più faticosi e
ottenebranti, dove la “compassione” possa minare alla radice ogni forma di ignoranza ed aggressività.
“Qui sulla Terra ci sentiamo tutti a pezzi, feriti, arrabbiati, dolenti. Ma questa condizione umana, per noi così
dolorosa e per alcuni aspetti poco onorevole - poiché sentiamo di essere deboli quando la nostra stessa realtà è
esposta - diviene molto più sopportabile quando è condivisa, faccia a faccia, con parole che hanno espressivi
occhi umani dietro di loro.” ALICE WALKER
-Qualunque cosa amiamo può essere salvata -
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LE DISTORSIONI DELL'UFFICIO
DELL'AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO :
Istruzioni per l'uso
A CURA DI AVV. CARLOTTA TOSCHI

A 19 anni dalla sua introduzione nel Codice Civile, la Legge 6/2004 istitutiva della figura dell’Amministratore di
Sostegno, è diventata sovente mezzo per limitare la libertà e violare i diritti dei diretti interessati, cosiddetti
“beneficiari”
È infatti emerso nel corso degli anni, sia dagli organi di stampa che dalle testimonianze degli amministrati o dei
loro familiari, malcontento sull’operato di un numero crescente di amministratori. Malcontento sovente
supportato da ragioni non solo di ordine morale ma anche giuridiche. La cronaca purtroppo dà conto di vicende
connesse. Quando accade è perché purtroppo si sono verificati casi di mala gestione o comunque illeciti legati al
patrimonio dell’amministrato. E bene ricordarlo che forse in tanti non sanno che, nonostante la legge non
preveda che l’amministratore si sostituisca al “beneficiario”, questa è la tendenza che si è venuta ad instaurare.
Spesso è l’amministratore a attuare atti personalissimi e/o prestare al posto dell’amministrato il consenso
informato alle cure e ad effettuare le scelte al suo posto. Questo fuori dai binari di quanto decretato nel decreto
di apertura dell’amministrazione di sostegno.
Si assiste così a una situazione che ci mostra a volte dei beneficiari che non sono pienamente consapevoli, non
debitamente informati e ascoltati dai giudici tutelari ed altrettanto abbiamo da parte dei Giudici Tutelari, di
decreti che conferiscono “ampi poteri” agli amministratori di sostegno, spesso soggetti estranei alla famiglia, in
cui si prevede, oltre alla gestione del patrimonio, anche il consenso informato ai trattamenti sanitari, ai ricoveri,
agli esami diagnostici etc., spesso in presenza di soggetti assolutamente capaci di esprimere un giudizio, parere,
consenso o dissenso. Soprattutto nei casi in cui i soggetti siano pienamente capaci di esprimere un consenso o
un dissenso è assolutamente opportuno e necessario che vengano privilegiate le scelte del beneficiario.
L’utilizzo concreto dello strumento dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, in questi ultimi anni, è stato
distorto andando quindi ad esprimersi sotto forma di una vera e propria costrizione della persona che è
sottoposta al beneficio. Molto spesso, nnostante sia espressamente previsto l’ascolto del beneficiario, questo
ascolto non c’è perché i giudici si interfacciano giustamente con l’amministratore di sostegno che ricordiamo
essere un ausiliario del giudice.
Per quanto concerne i diritti dei soggetti con disabilità, possiamo ricordare la convenzione ONU (che è stata
ratificata dall’Italia attraverso la legge 18/2009), in particolare prendiamo in esame l’art. 12 che riconosce loro
piena capacità giuridica, e sancisce “pari riconoscimento davanti alla legge” e stabilisce che il supporto al
processo decisionale venga effettuato nel rispetto della loro volontà e delle loro preferenze.

Ci sono tantissimi casi in cui La legge sull’amministrazione di sostegno funziona perfettamente. Purtroppo, però
contiene delle problematiche logico-giuridiche che consentono anche di utilizzarla come strumento di
interdizione impropria su qualsiasi soggetto.

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Vanno infatti stigmatizzate tutte quelle condotte che vadano a limitare eccessivamente la libertà di espressione del
beneficiario che potrebbe essere solo parzialmente e temporaneamente impossibilitata a provvedere ai suoi
interessi. Purtroppo, la norma di legge non ci dice esattamente quale tipo e/o gradi di infermità mentale e o
incapacità sia sufficiente al fine dell’apertura del decreto quindi sia sufficiente per limitare la libertà della persona
con la nomina dell’amministratore di sostegno. Si va quindi ad avere casistica che è la più variegata e ci sono
tantissimi casi in cui purtroppo l’amministratore di sostegno di sostituisce integralmente al soggetto fragile
andando a limitare le sue varie libertà negandogli ogni diritto anche quelli basilari costituzionali cioè quello di
autodeterminarsi ovviamente nel rispetto della vigente legge.
Abbiamo una certa ambiguità in questa legge che per molti versi è particolarmente elastica: vediamo infatti
dall’analisi dei decreti dei vari giudici tutelari che il giudice può in maniera discrezionale decretare l’apertura
dell’amministrazione scegliendo un ADS anche diverso da quello prescelto come fiduciario dal beneficiario. Capita
spesso che già in sede di ricorso, infatti, si indichi una persona di fiducia che possa amministrare.
E’ bene ricordare che non è una condizione obbligatoria che il beneficiario indichi una persona da nominare
diciamo di fiducia né è necessario che il beneficiario si opponga alla nomina di un estraneo perché il rifiuto non
preclude la scelta effettuata direttamente dal magistrato. Sappiamo che, spesso, tanti avvocati sono nominati dai
vari giudici di tutela e sono estranei all’interessato.
Mi piacerebbe scorrere insieme un breve estratto della relazione del garante Nazionale per i diritti delle persone
private della libertà personale, anno 2020 (La Persona Tutelata): “Spesso, si concretizza il rischio che lo strumento
giuridico della tutela possa paradossalmente diventare ‘garanzia’ di esclusione della persona, certamente fragile,
ma non per questo incapace di comprendere la sua vita e le decisioni che la riguardano, trovandosi così, suo
malgrado e nonostante le previsioni delle norme sovranazionali, a essere sottratta a una vita libera.”
Altra questione degna di nota è l’eventuale compenso dell’amministratore: l’amministratore di sostegno ha uno
stipendio? La risposta è no: non c’è uno stipendio bensì viene concesso un indennizzo che deve rispondere e
corrispondere ad alcuni criteri ben precisi e cioè deve essere proporzionato al patrimonio del beneficiario e deve
essere proporzionato rispetto all’attività svolta dall’amministratore di sostegno durante l’anno. Una cosa è un
indennizzo. Una cosa è un compenso. Sul punto terrei a segnalare un recente provvedimento del Tribunale di
Venezia del 19 aprile 2019 che precisa meglio gli aspetti della questione ed al quale faccio rimando.

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L’amministrazione di sostegno è uno degli istituti (detti “tutelari”) che sono previsti dal nostro ordinamento a
tutela e protezione delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia. In merito, il Codice civile stabilisce che gli
uffici tutelari sono gratuiti.
Come ha chiarito il Tribunale di Venezia, in caso in cui l’amministratore percepisca una vera e propria retribuzione
annuale essa costituisce palese violazione del principio di gratuità dell’ufficio. Addirittura, per il tribunale di
Venezia, tale comportamento potrebbe costituire valido motivo per la sostituzione dell’amministratore con altro
soggetto.
Quindi ribadiamolo: l uniche somme che può richiedere l’ads sono quelle relative all’equo indennizzo, che viene,
però, liquidato sulla base di quei due parametri che ho detto sopra ed in ogni caso previa richiesta
dell’amministratore al giudice tutelare. È una cifra che comunque viene decisa a discrezione del giudice.
Terrei a leggere insieme a voi anche le Osservazioni conclusive che, nel 2016 il Comitato ONU ha stilato per i diritti
delle persone con disabilità e che sono state pubblicate nel rapporto “Osservazioni Conclusive al primo rapporto
dell’Italia” Nella sua relazione il Comitato raccomanda di “abrogare tutte le leggi che permettono sia ai tutori che
agli amministratori di sostegno di sostituirsi ai soggetti interessati nel prendere le decisioni, e di emanare e
attuare provvedimenti per il sostegno al processo decisionale, compresa la formazione dei professionisti che
operano nel sistema giudiziario, sanitario e sociale”. Tra le norme già esistenti in Italia e in quelle di natura
sovranazionale si va piano piano delineando un modello di sostegno più rispettoso della persona umana.
Per concludere, un paio di annotazioni di natura penale perché abbiamo innanzi detto che l’amministratore di
sostegno riveste figura di ausiliario del Giudice. Questo porta a considerare che l’amministratore possa assumere la
qualità di pubblico ufficiale con ciò comportando l’applicabilità all’amministratore delle fattispecie penali previste
per i pubblici ufficiali.
Per esempio, Cassazione ha ritenuto essere integrato il reato di peculato ove l’amministratore di sostegno si
appropri di somme di denaro appartenenti alla persona incapace di provvedere ai propri interessi, somme che
erano state ricevute dall’amministratore di sostegno in funzione dell’ufficio (Cass. 50754 del 3.12.2014, Cass.
21.12.2018 n. 58237).
Altra fattispecie che l’amministratore di sostegno può commettere è l’abuso d’ufficio. Uno degli obblighi principali
dell’amministrazione è quello indicato nell’art. 410 c.c., che stabilisce che egli debba tener conto dei bisogni e delle
aspirazioni del beneficiario e deve informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in
caso di dissenso con il beneficiario stesso.

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Nel caso in cui l’amministratore agisca ignorando tale obbligo potrebbe incorrere nell’abuso d’ufficio, se
intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno
ingiusto (Cass. 20.9.2019 n. 38875).
Aggiuntivo reato ipotizzabile è quello di falso (art. 479 c.p.) che punisce il pubblico ufficiale che nell’esercizio del
suo incarico renda una falsa attestazione: tale circostanza potrebbe verificarsi, per esempio, qualora il medesimo
dichiarasse falsamente che il beneficiario si trova in condizioni di indigenza, per beneficiare di determinati
contributi.
Concluderei la breve disamina con il reato di abbandono di incapace (art. 591 cp): il contenuto dell’incarico previsto
dal decreto di nomina del Giudice è elemento determinante per la configurabilità in capo all’amministratore di
sostegno del reato di abbandono di persona incapace: il reato può essere configurabile solo nel caso in cui l’ADS sia
investito di una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumità individuale del beneficiario, e non
abbia solo un incarico di assistenza nella gestione patrimoniale (Cass. Pen. 26 febbraio 2016, n. 7974).
Per concludere, infine, un invito: il Giudice tutelare può essere adito in ogni forma, anche mezzo lettera
raccomandata. E’ diritto dovere di ogni amministrato interloquire con il Giudice tutelare e con il proprio
amministratore di sostegno. In caso di perplessità o dubbi, il beneficiario dell’amministrazione non deve esitare a
contattare l’amministratore di sostegno o il Giudice, anche per segnalare eventuali potenziali comportamenti che
potrebbero essere nocivi per il patrimonio del beneficiario o, ancor peggio, per i suoi più basilari diritti.

Foro di Bologna - Piazza Garibaldi 8


Castel San Pietro (BO) - 051940327
mail: carlotta.toschi@avvocatocasari.eu

12 | FMAGAZINE
Lettera a mio figlio

RUBRICA MENSILE A CURA DELL'ASSOCIAZIONE ''SBARRE DI ZUCCHERO''


Non puoi immaginare quello che si prova stare Antonello, spesso mi ritrovo a pensare a ritroso, al
rinchiuso da solo in una cella, non lo auguro a nessuno momento del mio arresto. E' capitato nel mio paese,
quello che ho provato in tutti questi anni, neppure alle Orgosolo.
persone che mi hanno fatto tanto male. Sembrava un film. Una serata autunnale di metà
E' tardi, ma il mio pensiero è sempre rivolto a te e alla ottobre, erano i giorni della vendemmia. Stavo al bar
mamma, non sapevo che fare, ho dato uno sguardo al del corso con il caro amico Nicola quello di cui ti parlo
mio vecchio p. c. e ho deciso di scriverti una lettera. sempre, un nugolo di agenti ci circondano, scattano le
La tua foto e quella della mamma occupano quasi tutta manette, ci caricano nelle macchine, prima sosta:
la parete. Mi fanno compagnia. Questura di Nuoro.
Che nostalgia ho di voi. Domani è sabato, è il giorno Al mio amico Nicola non l'ho più visto.
della telefonata. Una volta alla settimana, sentirne la Non riuscivo a capire il motivo del nostro arresto, ma
vostra voce mi dà una carica impressionante. Stasera "loro" erano in tanti e quindi doveva essere successo
avevo deciso di studiare, mi sa che non è il momento qualcosa di grave.
giusto, prendere i libri in mano, a quest'ora, è Mi misero in una stanza guardato a vista, nessuno mi
un'utopia. rivolgeva la parola ma non era un problema perché
Non ho niente da fare, non ho voglia di studiare, anche io non avevo voglia di parlare.
eppure ho deciso di proseguire gli studi. Dovrei dare Entrò una persona vestita di grigio, mi consegnò un
un altro esame a breve, ma chi sa se ci riuscirò, mi fascicolo. Ad un tratto ebbi paura di leggere quello che
rendo conto che l'impresa è ardua. La noia e la voglia poteva esserci scritto.
di non far niente la fa da padrona, ho messo da parte i Ma dovevo farlo.
testi di Storia Medievale, basta con i Barbari, Nella prima pagina intravidi che era un ordine di
Longobardi, Franchi non ho più voglia di leggere le custodia cautelare per due sequestri: Giuseppe Vinci e
imprese eroiche di Carlo Magno, non ne posso più. Ferruccio Checchi.
La vita in questi posti è monotona, le ore non passano Mi cadde il mondo addosso. Pensavo a tua madre, a
mai e le giornate sono tutte uguali. Sono di buon umore quello che ci eravamo detti qualche giorno addietro tra
solamente all'ora che consegnano la posta. Attendo con otto mesi sarebbe nato nostro figlio, ma doveva restare
ansia le lettere di mamma Pà e le tue e quelle dei un segreto fra noi, si doveva rimanere un segreto ma
numerosi amici che ancora mi scrivono nonostante così non è stato.
siano passati tanti anni da quando ero un uomo libero. I miei pensieri vennero interrotti da un ispettore che
Con gli amici detenuti invece lo scambio epistolare è con tono minaccioso mi disse "ti decidi a parlare”?
andato via via diradando, forse anche perché gli Altrimenti tuo figlio lo vedrai quando partirà per il
argomenti erano sempre gli stessi: i benefici servizio militare". Quella frase mi sorprese. Lui non
penitenziari, il malessere carcerario. poteva sapere del segreto mio e di tua madre ed altri
Ogni qualvolta che si insedia un nuovo governo figli non ne avevamo. A quel punto pensai che avessero
speriamo che si ricordino di noi, ma ahimè del fatto uno sbaglio di persona, la mia illusione durò
detenuto non si ricorda mai nessuno. Noi che siamo a poco. L'ispettore dopo qualche minuto mi disse che
Spoleto, abbiamo maggior fortuna di tanti altri "loro" sapevano tutto poiché nella mia macchina
compagni di sventura, qui dentro ci manca la libertà c'erano le microspie e le cimici hanno ascoltato i nostri
ma abbiamo il rispetto che non è cosa di poco conto segreti.
per chi si trova a vivere questa condizione. A domani

14 | FMAGAZINE
Nottata in bianco, mi portavano da una stanza all'altra 2Ti presi in braccio, ti coccolai, guardavo lei e dentro
per i vari interrogatori, finché di primo mattino mi di me pensavo che stavo dentro un Cerchio Magico.
portarono dal capo della Criminalpol, venuto Non pensavo ad un mio futuro in carcere, ero certo che
appositamente da Roma. al processo la sentenza sarebbe stata a mio favore, i
Non risposi a nessuna domanda perché i miei avvocati giudici avrebbero riconosciuto la mia estraneità ai fatti
erano assenti. o almeno avrebbero considerato il mio, un ruolo
La mattina alle dieci nuovamente in macchina, marginale.
direzione Cagliari. Speravo mi portassero ad Oristano Fissarono l'udienza preliminare a Cagliari, al contrario
ma ben presto scoprii che la mia nuova dimora sarebbe di ogni aspettativa il P.M. oltre al rinvio a giudizio per
stata Buoncamino. il sequestro Vinci, chiese ed ottenne nei miei confronti
L'entrata del carcere piena di giornalisti e fotografi che anche il rinvio per il sequestro Checchi, quello stesso
cercavano di cogliere con l'obiettivo la mia faccia reato che il Tribunale della Libertà affermava che non
sofferente. c'erano indizi.
Non ero mai stato a Buoncamino ma il suo squallore, Volevano fare un unico processo, ma qualcosa non
saltava subito agli occhi. Un ispettore diede l'ordine di andò per il verso giusto. Il sequestro Vinci, venne
portarmi al Centro Clinico. Isolamento totale. assegnato per competenza territoriale ad Oristano,
A domani… mentre il sequestro Checchi a Nuoro.
Venni trasferito da Buoncamino a Badu e’ Carros, se
non altro ero più vicino alla famiglia. Ogni volta
percorrevate quattrocento chilometri per venirmi a
trovare erano tanti altrimenti a Cagliari stavo meglio
avevo lasciato tanti amici soprattutto di Desulo, erano
amici veri e soprattutto sfortunati come me, c’era
anche il mio sosia e non puoi immaginare le risate che
ci facevamo, una persona veramente per bene oltre che
un caro amico che purtroppo adesso non c’è più …
Quando iniziò il processo ad Oristano, mi portavano in
cellulare, il primo periodo eravamo assediati dalla
stampa, i giornali dedicavano pagine intere a
quest'evento.

A domani…

I miei difensori presentarono il ricorso al Tribunale


della Libertà, su otto coimputati ero presente solo io.
Giorni dopo emisero la sentenza: conferma della
custodia cautelare per il sequestro Vinci, annullarono,
per mancanza di indizi, quella per il sequestro Checchi.
Dopo qualche giorno ebbi il permesso di poter
incontrare tua madre e per l'evento mi concessero "il
privilegio" di incontrarla in una sorta di salotto
all’interno del carcere, mi sembrava molto strano che
venivo trattato da privilegiato, ma avevo capito
benissimo che era pieno di microspie e telecamere che
captavano ogni nostra parola e gesto.
Tua madre è stata sempre serena, mi ha sempre detto
che credeva alla mia innocenza e ancora oggi è
convinta di questo.
L'isolamento si concluse dopo un mese. Passarono altri
sei mesi e sei nato tu figlio mio, il nome era già deciso
da molto poiché ero molto orgoglioso di darti il nome
di quei due miei zii che avevano lasciato il mondo in
età giovanile.
Sono passati tanti anni, da quel giorno che ti hanno
portato in carcere a farmi visita. A Cagliari venti anni
fa: era una torrida giornata del mese di luglio.
Tua madre era stata dimessa da pochi giorni, al
telefono mi disse che questa volta sarebbe venuta a
colloquio insieme a te.
15 | FMAGAZINE
La famiglia del sequestrato non si costituì parte civile,
anche loro si vede che erano poco convinti della nostra
colpevolezza e per l’appunto li ho sempre ammirati.
Ma c’era qualche d’un altro che tramava contro di noi
infatti si costituì parte civile, la Regione Sardegna.
Governava una giunta di sinistra dove ad ogni
situazione pubblica si facevano fregio di essere dei
garantisti.
A detta del loro avvocato secondo i politici avevamo
danneggiato l'immagine della nostra Isola. Poco
importava se l'ultimo sequestro era stato dieci anni
prima e l'Isola continuava imperterrita in un declino
sia economico che sociale, nonostante l'assenza di
questo reato, poi se si avevano fatto un esame di
coscienza non ero certamente io e tanto meno i miei
amici a danneggiare l’immagine della nostra isola
(ammesso che eravamo colpevoli ma io non avevo fatto
niente se non quello di dare le borse dei soldi, una
sorta di passamano).
L'immobilismo era ormai da anni una prerogativa dei
nostri politici isolani, si muovevano solo per la corsa
verso le poltrone.
Pensavo molto a questa loro mossa, a quelle stesse
persone che da sempre io e la mia famiglia avevamo
dato il voto e che con faccia tosta sono venuti a
chiederlo anche subito dopo la condanna con mia
madre in lacrime, vigliacchi. Quegli stessi politici, in Il processo Checchi durò sette mesi, il Tribunale della
altre sedi, affermavano che loro non erano d'accordo Libertà mi aveva assolto ma il P.M. chiese 35 anni di
per un'azione legale ma allora di chi era la pena. Significava espiare l'ergastolo per cumulo di
responsabilità? A questa e ad altre domande non ho pene. Fortunatamente per me nelle fasi cruciali del
mai trovato una risposta seppur ogni volta che capitava sequestro mi ero sposato in quel periodo ero in viaggio
l’occasione glie ne dicevo di tutti i colori. di nozze. Prove inconfutabili dimostrarono la mia
Il processo durò otto mesi. La sentenza fu data a innocenza. Dopo alcuni mesi mi fissarono il processo
dicembre, eravamo sei imputati, nessuno si presentò in d'Appello per il sequestro Vinci. In quella occasione
aula. Io dopo una richiesta di 35 anni da parte del P.M. riaprirono l'istruttoria, testimoniarono il padre e il
me ne vennero inflitti 25 e un miliardo di provvisionale fratello dell'ostaggio, mi scagionarono entrambi ma
alla Regione Sardegna. In quella sede, tre dei ebbi la conferma della condanna. Non mi restava altro
coimputati vennero assolti. da fare che sperare nella Cassazione. Ero distrutto.
Dentro di me ringraziai tanto i vari politici e qualche Fissarono l'Appello a Sassari per il sequestro Checchi,
giornalista che contribuirono notevolmente alla mia non bastavano due assoluzioni per valutare la mia
condanna. Non avevano perso tempo, l'indomani estraneità ai fatti.
mattina dovevo presentarmi al Tribunale di Nuoro. Ancora oggi non capisco il motivo perché mi portarono
Mi avrebbero giudicato per il sequestro Checchi. Aula a Sassari, considerato che la mia posizione nei due
piena di giornalisti e fotografi, ancora una volta precedenti gradi di giudizio era stata già chiarita e
cercavano di immortalare la mia faccia sconvolta dopo infatti ebbi la riconferma dell'assoluzione.
la batosta del giorno prima. Gli altri che erano stati Pensavo alla Cassazione del processo Vinci, speravo in
condannati per il sequestro Vinci non erano imputati. un annullamento e quindi alla riapertura del caso, era
Cercavo di incrociare gli occhi di mia moglie, era l'ultima carta. Pensavo a te figlio mio che saresti
distrutta, cercavo di abbozzargli un sorriso per cresciuto senza un padre che innocentemente stava in
tranquillizzarla anche se mi sentivo morire dentro. carcere, pensavo a tua madre che era stata presente ad
ogni udienza e che non perdevamo occasione di
A domani mandarci segnali d’affetto.
Purtroppo le mie speranze svanirono mentre ero a
Badu e Carros in una gelida mattina del mese di
dicembre. I telegiornali regionali annunciarono che la
Suprema Corte aveva confermato la pena per i
"sequestratori di Giuseppe Vinci", ero passato come un
sequestratore. Ero frastornato e pensavo al dolore che
stavate provando voi a casa, ma non c’era niente da
fare solo rimboccarsi le maniche e cercare di uscire
16 | FMAGAZINE prima possibile da questo calvario.
Mi resi conto che qualcuno aveva tramato contro di me per lasciarmi fuori dal cerchio magico, quel cerchio che a
poco a poco stavo cercando di costruire con tua madre e il mio bambino.
Nel carcere di Nuoro mi lasciarono per altri quattro mesi, ricevevo le vostre visite settimanali e il forte affetto dai
parte degli altri familiari.
Buona parte dei miei coimputati erano stati trasferiti nella Penisola, mi dispiacque molto poiché oltre alla detenzione
dovevano subire anche la lontananza dai loro cari.
Io cercavo di darmi da fare all'interno del carcere per poter trascorrere il tempo in modo costruttivo. Ma il carcere di
Nuoro offriva ben poche alternative allo stare in cella ma ero deciso e non mi piaceva fare una vita di cella e di
passeggiare all’aria, volevo qualcosa di più. Appena ebbi la possibilità, mi iscrissi a scuola per frequentare la Scuola
Media, il fatto di poter studiare mi rasserenava ed inoltre ogni tanto mi davano la possibilità di lavorare, dovevo
affrontare come minimo vent’anni di detenzione, poi figlio mio caro ti devo confessare una cosa, io non sapevo
scrivere e a malapena riuscivo a fare quattro righe alla mamma e se un giorno venivo trasferito al di la del mare avrei
dovuto farvi la letterina quotidiana una te e una alla mamma come d’altronde ho sempre fatto in tutti questi anni, e
allora mi sono deciso di imparare.
Purtroppo qualcuno decise che da Badu e Carros dovevo andare via e questo significava allontanarmi dalla mia
famiglia.
Era già passata la mezzanotte, quando entrò l'agente di turno e mi comunicò che dovevo prepararmi la roba, poiché
da lì a poche ore sarei partito per la nuova destinazione. Disposizione del Ministero.
Ancora oggi non conosco il vero motivo del mio allontanamento da Nuoro. Durante il viaggio qualcuno mi aveva detto
che ero stato classificato come un … sobillatore. Ero incredulo, non avevo mai dato fastidio a nessuno.
Chissà dove mi porteranno pensavo.

La delusione e il dolore che provavo in quel momento erano devastanti. L'indomani era il compleanno di tua madre e
dovevate venire a farmi colloquio, le avevo comprato un mazzo di rose.
Non vi vedevo da una settimana, sicuramente non trovandomi ci siete rimasti male come male ci sono restato io
senza vedervi, ero veramente giù di morale, ci mancavano poche ore per incontrarci tutti lo sapevano ma purtroppo
anche questi sono i dispetti che fanno ai detenuti.
Non mi restava altro da fare che sistemare la mia roba dentro gli zaini. Il resto della notte la passai sveglio, la forte
tensione mi portava a fumare in continuazione. Camminavo su e giù nella cella fino al momento in cui sono venuti a
prendermi. Avevo chiesto, invano, quale fosse la nuova destinazione.
Partimmo con l'aereo da Cagliari, all'atterraggio riconobbi l'aeroporto di Fiumicino. Pensai che la destinazione
sarebbe stata Rebibbia, invece il viaggio proseguì. Trascorsero altre due ore e finalmente arrivammo a destinazione.
Mi chiedevo dove fossi finito, non avevo mai visto quel carcere.
"Siamo arrivati - disse il caposcorta - ci troviamo a Spoleto. La città è incantevole, l'aria salubre, ottima cucina e …
per i prossimi quindici anni questa sarà la tua nuova casa” …
Alla faccia risposi mormorando e con il cuore a pezzi, quelle parole non mi davano certamente serenità.
Abbassai lo sguardo e pensai che tutto il mondo mi stava cadendo addosso.

17 | FMAGAZINE
Ero maledettamente triste, il porto era distante ed inoltre in Umbria non ci sono aeroporti. Ero lontano dalla mia
terra, pensavo a voi e ai viaggi che dovevate affrontare. Pensavo a te Antonello, nato otto mesi dopo il mio arresto,
non mi avevi mai visto a casa e ancora non avevo avuto la possibilità di prenderti in braccio. A Nuoro non potevo
farlo perché c'era il muro divisorio, ma almeno potevo tenerti le mani e qui avrei potuto stringerti? Tu eri il mio
pensiero fisso. Iniziai la trafila del "nuovo giunto": perquisizione, matricola e magazzino. Destinazione: secondo
padiglione sezione A.
Sono passati tanti anni da quel lontano 27 aprile del 2001, eppure sono ancora qui malgrado nel primo periodo che
arrivai, feci di tutto per tornare in Sardegna. Ero come un pesce fuor d'acqua, non conoscevo il funzionamento
carcerario della Penisola e come sarebbe stato l'ambiente dei detenuti. Arrivai in sezione terrorizzato al pensiero di
sbagliare, ero in un mondo nuovo e per di più mi sentivo molto agitato e confuso. Nella cella in cui venni assegnato,
trovai altri tre detenuti che si mostrarono subito gentili. Dopo le presentazioni e i convenevoli, vennero a salutarmi i
miei corregionali con cui ero stato insieme a Nuoro. La loro presenza, per il mio morale, fu provvidenziale. Tra un
discorso e l'altro, chiesi se c'erano le scuole. Rosario mi rispose che si poteva frequentare l'istituto d'arte, lui
frequentava il secondo anno. In quel momento provai vergogna ad ammettere che ancora non avevo conseguito la
licenza media. Rosario mi consigliò di fare la domanda per sostenere gli esami nella sessione estiva e ad ottobre avrei
potuto frequentare l'istituto d'arte. Mi iscrissi per sostenere l'esame di licenza media e lo superai. Avevo appena
finito gli esami tua madre mi scrisse che insieme a te e nonna Rubanu venivate presto a trovarmi. Fino ad allora ci
eravamo sentiti settimanalmente solo per telefono, ma a voi scrivevo una lettera al giorno. Arrivò il giorno del tanto
agognato colloquio, fui molto sorpreso. Nella sala dove avrei dovuto incontrare a voi non c'era un vetro divisorio.
Avrei potuto prenderti in braccio: che felicità poterti stringere e prenderti tra le braccia. A Nuoro non mi avevano
mai dato questa opportunità, quella struttura carceraria non permetteva il contatto con i propri cari. Bellissimi i due
giorni di colloquio veramente belli.

18 | FMAGAZINE
Nel mese di ottobre mi iscrissi al primo anno dell'istituto d'arte. Per me era tutt'altro che semplice affrontare quella
situazione. Mi mancavano le basi culturali e scolastiche. E poi stupidamente mi preoccupavo della mia cadenza sarda,
che invano tentavo di "italianizzare" ma i miei sforzi non davano buoni risultati.
Era un problema serio affrontare le interrogazioni, preferivo scrivere. Inizialmente i risultati furono piuttosto scarsi,
ma l'interesse per le materie umanistiche mi spingevano a continuare. La mia materia preferita era Storia dell'arte.
Ancora oggi non so perché questa materia mi abbia affascinato, considerato che in passato non avevo mai avuto
interesse per l'arte. Non potevo dare il merito all'insegnante, perché non era simpatica e quindi alle sue lezioni mi
distraevo. La vedevo molto burbera e pensavo che in quel corso di studi non avrei fatto molta strada. Invece conclusi
il primo anno ed ottenni risultati discreti.
Ad ottobre mi iscrissi al secondo anno e pensavo - ma ci sarà ancora signora Lidia?- Invece l'insegnante non era più
lei e stranamente provavo un po' di rammarico. La nuova insegnante mi sembrava più burbera della precedente.
Cominciai a pensare che fosse un difetto di coloro che insegnano questa materia. Con il passare degli anni mi sono
reso conto che sbagliavo. Al terzo anno tornò di nuovo lei, la professoressa che mi sembrava austera e così anche al
quarto, sono stati due anni molto belli. Grazie ai suoi metodi di insegnamento ho capito qualcosa di questa splendida
materia. I miglioramenti, seppur a rilento, ci sono stati anche se mi rimane tanto lavoro da fare per migliorare la
terminologia. Oggi posso dire che oltre ad una professoressa ho incontrato un'amica a cui posso rivolgermi per avere
un consiglio.
Una volta che ho conseguito il diploma, ho aggiunto un tassello importante nel mio percorso scolastico, ho raggiunto
questo obiettivo con molte difficoltà anche perché senza basi scolastiche tutto diventa più difficile. Ma tutto
sommato sono soddisfatto, i sacrifici hanno dato dei risultati. Questi cinque anni hanno cambiato molte cose nella
mia vita, soprattutto il mio modo di fare, di capire, di esprimermi e soprattutto ho avuto la possibilità di conoscere
l'arte. A proposito di questo, un periodo mi soffermavo a leggere una scritta che c'era nella nostra classe:
Non si può fare la storia d'Italia, senza conoscere la storia dell'Arte di C. G. Argan
Concordo pienamente con questo pensiero.

Non ero appagato del diploma, anche perché avevo tante ambizioni, volevo continuare gli studi, ma come fare? Chiesi
consigli a signora Lidia, ovviamente data la sua professione mi consigliò di iscrivermi all'università, facoltà Scienze
dei Beni storico- artistico. Essendo lei laureata in Storia dell'Arte ha trasmesso anche a me l'amore per questa
materia. Lei si è impegnata molto e ancora oggi è il maggior punto di riferimento che posso avere, non voglio mettere
in secondo piano il mio amico napoletano Ciro, forse è lui il vero trascinatore di questo istituto in fatto di studio, per
l'appunto adesso siamo gia in tre iscritti in Beni Culturali, cosa non di poco conto per un penitenziario italiano. Ciro
è ubicato a pochi metri dalla mia cella, essendo vicino molto spesso vado a chiedergli consigli, oltre ad essere molto
preparato è molto disponibile, la sua disponibilità è impressionante, non l' ho visto mai di pessimo umore.
Certamente ero consapevole che iscrivendomi all'università, sarebbero sorti dei grandi problemi, soprattutto per la
"mia parlata sarda", che ancora oggi trovo delle grandi difficoltà ad esprimermi, ma la mia testardaggine a
contribuito in molto notevole a continuare per ottenere quello che mi ero prefissato, cioè di laurearmi, anche se mi
rendo conto che la strada è ancora molto lunga per parlare di laurea.
Quando uno sta all'interno di una cella, ha molto tempo a disposizione per meditare. lo personalmente penso molto
alla mia infanzia, alla mia giovane età, ai miei sogni di emulare i miei parenti facendo il tipico mestiere della
Sardegna, cioè il pastore. Oggi più di ieri mi accorgo di non aver ascoltato i consigli dei miei genitori, i consigli dei
miei parenti che mi invitavano a studiare. Per me ritrovarmi in un aula scolastica era come passare la giornata in un
posto dove sono adesso.

19 | FMAGAZINE
Vedevo solamente il bestiame, ero molto affascinato dal
mondo agro - pastorale, veramente lo sono ancora
adesso, solamente che non riconosco più il mestiere
del pastore di adesso, come quello che facevano i miei
familiari e i miei amici d'infanzia.
L'infanzia? Altri tempi da ricordare nella mia vita, non
dimenticherò mai le vacanze passate nel mio paese
d'origine. Infatti, il mio nucleo familiare si era
trasferito a Nuoro. Ci sono voluti anni ad adattarmi
all'ambiente cittadino, le amicizie della giovane età non
le ho mai dimenticate e mai tutto questo accadrà. Sono
ancora vivi in me i ricordi che ogni sabato potevo far
rientro ad Orgosolo.

Senza ombra di dubbio, i consigli me li davano per il


mio bene, pensavano che stessi entrando in un gioco
più grande di me, però non si erano accorti che il
sottoscritto era veramente il trascinatore della
compagnia, quindi se malefatta c’è stata, la colpa era
Caspiri, il rione dove sono nati i miei. Il rione dove
quasi sempre la mia, anche se le marachelle a me e ai
abitavano i miei nonni materni. Il rione dove sono
miei amici addebitatemi erano soltanto accuse gratuite.
cresciuto, i miei più cari amici erano là. Avevo e ho
Anche io, seppur in ritardo mi sono accorto che era
parenti in tutti i rioni del paese ma Caspiri è Caspiri,
meglio cambiare aria, le lamentele a casa arrivavano
rimarrà in eterno nel mio cuore, quanto darei per
puntualmente, cercai in tutti i modi di cercarmi un
essere in questo momento nel mio rione d’infanzia,
lavoro, ma a Nuoro non fu possibile, poiché lavoro non
quanto darei per poter rincontrare certi amici che
c’è n’era e quel poco che c’era non glie lo davano
giovavo insieme e che purtroppo per una cosa o per
sicuramente ad uno come me, che non aveva ne arte e
l’altra adesso non ci sono più.
ne parte e poi lavorando a Nuoro si ritornava al punto
Come ho anticipato, con la scuola non andavamo
di partenza, ed era che i miei amici non li
d’accordo. Una volta finite le scuole elementari, sotto
abbandonavo. L’attrazione della campagna, è sempre
l’insistenza dei miei genitori provai ad iscrivermi alla
stato grande. A parte i miei zii che erano per la
scuola media, ma ahimè è stato un vero disastro, non ci
maggior parte tutti pastori, ma è stato merito dei miei
sono riuscito ad andare avanti.
amici che mi hanno inculcato questo mestiere. Ho
Il primo anno mi hanno respinto, il secondo mi hanno
scelto di andare alle campagne di Bonorva, il più
lasciato tre materie, non ci sono andato agli esami di
piccolo dei fratelli di mio padre (Ziu Anzeleddu) aveva
riparazione, con ciò per la seconda volta ho dovuto
il bestiame. Mi accorsi subito che la vita del pastore era
ripetere l’anno, ma non andando agli esami di
molto dura, ma di questo ero a conoscenza, poiché i
riparazione, venni bocciato per la seconda volta e la
miei amici me lo spiegavano, comunque fra alti e bassi,
mia carriera scolastica finì là.
forse più bassi che non alti, la vita nelle campagne
Era grande il dispiacere dei miei familiari, poiché il
Bonoversi durò quattro anni.
loro sogno era di avere un figlio che studiava, forse
anche per il fatto che fin da piccolo avevo un carattere
molto vivace e a detta degli altri frequentavo delle
compagnie poco raccomandabili, infatti i miei parenti
cercavano in qualsiasi modo di dissuadermi e di
abbandonare un certo tipo di amici, ma per me era un
utopia, non potevo abbandonare gli amici che eravamo
cresciuti assieme ed avevo diviso tutto.
20 | FMAGAZINE
A diciannove anni, smisi di fare il pastore, ho fatto rientro a Nuoro, la visita e di conseguenza il militare interruppero
la mia carriera di pastore. Dopo un anno rimasto a Nuoro, arrivò la cartolina per partire ad Orvieto, dovevo fare il C.
A. R. , ma sinceramente non avevo nessuna intenzione di partire, solamente che non mi piaceva infrangere la legge,
non volevo fare il disertore e allora seppur con qualche giorno di ritardo partì per Orvieto. Tutta la notte l’ho passata
sul ponte nel tragitto Olbia – Civitavecchia, con la vecchia nave della Tirrenia Città di Nuoro, pensavo al distacco
dalla mia famiglia, pensavo ai miei amici che lasciavo in Sardegna, pensavo alla loro fortuna, poiché per la maggior
parte non avevano fatto il militare, per una cosa o per l’altra erano stati esonerati. Arrivò ad Orvieto la sera sul tardi,
entro in un bar e vedo dei cari amici di Nuoro, vedere loro per me è stato provvidenziale, poiché ero veramente
indeciso se entrare in caserma oppure no. Alle 23,00 dovevo entrare per forza. Alla porta carraia do i miei documenti.
Mi chiesero il perché mi ero presentato con 17 giorni di ritardo, avevo i certificati medici, ma un maresciallo era già
propenso a farmi arrestare per diserzione. Fortunatamente per me, ha ragionato.

Rimasi ad Orvieto per circa due mesi. Gli amici nuoresi li trasferirono dopo un mese, fortunatamente arrivarono altri
amici che conoscevo, per cui mai mi son sentito solo. Preparati la roba, mi disse un sergente. Devi partire alla volta di
Civitavecchia, sei stato assegnato alla Caserma Piave “Granatieri di Sardegna”. L’indomani mattina di buon ora, partì
alla volta della cittadina laziale. Ero convinto che mi trovavo meglio, più vicino alla famiglia e le campagne circostanti
e nei paesi limitrofi erano piene di famiglie amiche, soprattutto di Orune, paese che ho sempre ammirato e che mi
sono trovato veramente molto bene. Conoscevo molti commilitoni, erano arrivati molto prima di me. La sera si
usciva, si andava ad un bar vicino alla caserma, si andava il sabato e la domenica a Roma, ma la sera non mancava con
gli amici sardi di fare una capatina al porto. Cercavamo qualche faccia conosciuta, incontravamo sempre qualcuno,
ma vedere la sera alle 23,00 la vecchia Città di Nuoro che lasciava il porto, per me era veramente un dramma. La sera
del 23 Novembre 1980 alle 19,35, i telegiornali nazionali annunciavano che: una vasta area dell’Italia meridionale, ma
soprattutto la Campania e la Basilicata, fu colpita da uno dei più violenti terremoti a memoria d’uomo.
Siamo rimasti sconvolti da tutto questo,
poiché c’erano molti nostri amici campani e
lucani che erano in pensiero per le sorti dei
propri cari. Alle 23,00, ora insolita, gli
altoparlanti della caserma suona l’adunata.
Eravamo propensi a credere che fosse qualche
scherzo di qualche buon tempore, ma tra il
credere e non credere siamo scesi in cortile.
Una volta fatto l’appello di certe persone,
soprattutto sardi, ci dissero di prepararci
poiché dovevamo andare in Irpinia. Ero
pensieroso, poiché non sapevo nemmeno dove
era. Tutta la notte in viaggio, sopra il cassone
di un camion, all’alba eravamo a Caserta,
destinazione: Parco veicoli corazzati.
Quest’ultima era una caserma militare, con
dei grandi prefabbricati costruiti per
l’occasione affinché i militari dormissero là.
Caserta, bella cittadina, ma al sottoscritto
viste i motivi per il quale si trovava, non
21 | FMAGAZINE piaceva per niente.
Caserta era un centro di smistamento, dei viveri e della roba vestiaria che arrivavano dal nord e da tutta l’Europa. Per
l’appunto il mio compito e quello del mio gruppo era di distribuire nei paesi devastati dal sisma, i beni di prima
necessità. Mi piangeva il cuore vedere interi paesi distrutti, mi piangeva il cuore vedere interi nuclei familiari
disperate, perché i risparmi di una vita per farsi una casa erano andati distrutti dal sisma.
Certe sere uscivamo a visitare la città, il divertimento era poco e poi alle 22,00 dovevamo essere in caserma. Si poteva
partire da un momento all’altro, toccava essere sempre pronti per un eventuale chiamata. La mia permanenza in
Campania, durò fino agli ultimi di Marzo. Mancava poco più di tre mesi al congedo. Civitavecchia offriva la solita
vita, la solita monotonia, ma almeno ero più vicino alla mia terra. Finalmente arrivò il tanto agognato congedo,
seppur ho fatto 17 giorni in più, poiché dovevo scontare la C.P.R.
Ritornai a Nuoro, non trovai lavoro subito, ma dopo qualche anno mi assunsero alla forestale a tempo indeterminato,
ero un trimestrale che andava a spegnere gli incendi. Era un lavoro molto pesante, ma ero a contato con la natura e
questo mi bastava. Dopo qualche anno mi assunsero a tempo indeterminato. Cominciarono i primi guai con la
giustizia, iniziarono le prime perquisizioni notturne e diurne, ogni giorno che passava era sempre peggio.

Era il mese di maggio del 1985, mi arrestano per una accusa che mai ho saputo o meglio non ho mai verificato,
praticamente dopo un fatto delittuoso che era capitato a Nuoro, mi venne chiesto di testimoniare. Il sottoscritto non
aveva visto niente e rimasi in carcere per venti giorni. Il proscioglimento fu totale. Il lavoro alla forestale continuava,
riuscivo a camparmi discretamente. Amici di Orgosolo, mi invitarono a fare una gita ad Amsterdam, era la seconda
volta che andavo all’estero, la prima è stata in Inghilterra, solamente che al confronto della prima, il rientro della
seconda gita fu molto movimentato, infatti ero una sorta di latitante senza saperlo, poiché mi avevano spiccato un
mandato di cattura per un sequestro di un commerciante sassarese. Venni tratto in arresto e condotto al carcere di
San Sebastiano a Sassari. Mi isolarono per tre mesi, poi in compagnia ma dopo un mese mi portarono a Nuoro.
Quando iniziò il processo Scanu, venni riportato a Sassari, erano capitate da poco le stragi di Capaci e via d’Amelio,
ove morirono il giudice Falcone e Borsellino. Un decreto, denominato Scotti – Martelli, diceva di applicarci il 41 bis a
tutti gli appartenenti alle varie mafie. Me lo applicarono anche a me e a qualche mio coimputato. Ancora oggi non so
il motivo di questo provvedimento nei miei confronti, certo è, che il sottoscritto aveva poco da spartire, ne con le
varie mafie e tanto meno con i sequestro di Salvatore Scanu, ma tutto questo mi costò cinque mesi d’isolamento, un
colloquio di 40 minuti al mese con i miei cari ed una telefonata al mese, in questi cinque mesi, ho perso 40
Chilogrammi, mi hanno ridotto ad una larva. Nel mentre si svolgeva il processo Scanu, dopo cinque mesi arrivarono
le richieste del Pubblico Ministero, dei sette imputati, per cinque venne chiesto l’assoluzione, ed uno di questi ero io.
Mi dispiaceva per gli altri due, ma ci pensò il Presidente ad assolverli, con ciò il processo era basato su false accuse,
questo ha sostenuto la corte.
Venni risarcito per l’ingiusta detenzione.
Ritornato a casa, ripresi il lavoro, non mancava di fare un salto ad Orgosolo quasi ogni sera. È sempre stato forte
l’attaccamento al paese che ha dato i natali ai miei cari. Dopo poco tempo, ho conosciuto tua madre, la mia futura
moglie, quella che in tutti questi anni mi ha seguito da un penitenziario all’altro senza tentennamenti. Una donna che
tutti vorrebbero avere come compagna della propria vita. È stata e sarà per sempre il mio unico amore. Ci
conoscevamo da circa due anni, ed il 5 maggio del 1995, facciamo il grande passo, ci siamo sposati. Il classico viaggio
di nozze, il ritorno al lavoro, pensavamo ad un futuro roseo, ma il 15 ottobre dello stesso hanno venni arrestato. Dopo
la permanenza in Sardegna, vengo trasferito a Spoleto, ho visto crescere a te attraverso il parlatorio di un
penitenziario. Dal 2002, ho iniziato ad usufruire dei permessi con scorta, per poter visitare tua madre che di salute
non sta tanto bene.
22 | FMAGAZINE
Ero consapevole che dopo 11 anni di ininterrotta detenzione dovevo iniziare tutto da capo. Abituarmi alla nuova vita,
instaurare un dialogo con te figlio mio, non posso negare che durante i permessi con la scorta, ti ho trascurato.
Purtroppo l’euforia era tanta, ero molto confuso, i familiari che venivano a visitarmi e le quattro ore di permesso non
erano a sufficienza.
Tu non potevi soffrire tutto questo mi sembravi che eri unpo’ geloso, cioè che io ti trascuravo, per parlare con gli
altri, non mi è mai sfiorata l’idea che tu te la prendevi, e che un giorno venivo rimproverato, come d’altronde hai
fatto, appena che hai avuto l’occasione.
Da quando ritorno a casa senza scorta, non mi hai detto mai niente, forse non hai avuto il coraggio, forse ha capito
l’euforia di un detenuto che dopo tanti anni di detenzione è confuso e non capisce più niente.
Comunque mio caro ed unico figlio, con le tue quasi quotidiane letterine che mi scrivi, mi ha fatto delle domande,
che per il sottoscritto sanno di rimprovero.
Per l’appunto ho deciso di mettere per iscritto le mie risposte ed i miei pensieri.
1) Come ti senti, quando sei in cella?
Quando sono in cella, mi sento molto triste, è un posto veramente orrendo. Penso soprattutto a te e alla mamma.
Penso a voi e cerco di immaginare, se anche voi state pensando a me. Cerco di concepire con la fantasia come avete
passato la giornata. Io purtroppo non essendo libero e soprattutto lontano da voi, non me la passo tanto bene. Mi
sento veramente solo. Cerco di distrarmi con il computer, ma appena lo accendo compare sul Desktop la tua foto e
quella della mamma, mi giro intorno e ci sono solo fotografie tue e della mamma. Tutto in questo posto fa pensare a
voi, mi mancate tanto e non potervi dare un abbraccio ogni volta che vorrei mi fa stare veramente male.
Pensare che non ti posso dare il bacio della buonanotte e non raccontarti una storiella prima di andare a dormire, mi
fa sentire ancora più male. Figlio mio caro, quando Papà è in cella da solo, medita. Penso a chi mi ha causato questo
danno, penso a chi mi ha allontanato da voi, provo rabbia e compassione allo stesso tempo.
Rabbia per il semplice motivo che ci hanno distrutto la famiglia, senza un perché.
Un giorno quando sarai grande e capirai, ti spiegherò veramente come sono andati i fatti, ti dimostrerò che tuo padre
è innocente. Tutti nella vita possono sbagliare, anche i magistrati che mi hanno ingiustamente condannato. Ha
sbagliato “la giornalista” che ha fatto gli articoli su di me e che ha contribuito notevolmente a condannarmi.
Hanno sbagliato i politici sardi che si sono costituiti parte civile, poiché tuo padre secondo questi personaggi ha
rovinato con i suoi amici l’immagine della nostra terra. Penso a loro, ma penso con rabbia.
Ma allo stesso tempo ho compassione di questa gente, poiché per guadagnare quattro soldi per un articolo o per una
manciata di voti, hanno rovinato la nostra famiglia e adesso figlio mio caro, dopo che mi hanno fatto condannare
innocente, dopo che hanno rovinato la nostra famiglia, dopo che per circa quattro lustri non possiamo dormire nello
stesso tetto e non possiamo programmare il nostro futuro, la Regione Sarda, vuole anche che gli siano pagati i danni.
Non gli auguro niente a queste persone, non gli auguro niente poiché non ne vale la pena, sono solamente dei
meschini, delle Iene, che hanno sbranato una preda che non si poteva difendere.
Comunque mi sento molto male, quando penso alla mia vita sprecata, alla nostra famiglia distrutta, per colpa di certi
personaggi che non meritavano nemmeno di scrivere sui giornali il mio nome.
Figlio mio caro, mi sento molto bene, solamente quando guardo le foto tue, di mamma e dei nostri familiari.
Stai tranquillo che quando tuo padre ritorna in libertà, sarà più forte di prima e riprenderà a lavorare come ha fatto
fino al momento dell’arresto e non avrà tempo di pensare a questi energumeni che gli hanno rovinato la vita e
distrutto la famiglia.

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2) Io stavo crescendo e tu non c'eri.
Si Antonello, tu stavi crescendo ed io non c’ero. Puoi immaginare quante volte all’interno di questo lugubre posto mi
sono posto questa domanda.
Il mio unico figlio stava crescendo ed io sono in carcere impossibilitato di fare qualsiasi cosa.
Ho perso l’occasione più bella della mia vita, vedere mio figlio crescere giorno dopo giorno ed essere impossibilito a
coccolarmelo … tutto ciò non mi capiterà più.
Ho pensato molto a tutto questo. Ho pensato molto al destino avverso che mi ha riservato la vita. Non mi meritavo
tutto questo. Non sarò stato sicuramente un Angelo, questo non lo posso dire, ma la punizione che mi hanno dato è
stata veramente spropositata.
Ho perso tutto figlio mio, passi che ho perso vent’anni della vita all’interno dei penitenziari, passi che sono stato
vent’anni lontano dalla mia famiglia, ma mai ho sopportato restare lontano da te.
Fino a qualche anno fa non mi sentivo nemmeno un padre di famiglia, la mia mente era molto confusa, quasi - quasi
non sapevo nemmeno che cosa si provasse ad essere un padre di famiglia. Sono stato sfortunato anche in questo.
Adesso mi sta venendo in mente, quando mamma ti portava a farmi colloquio a Nuoro, sembravamo due estranei. Tu
che cercavi di venire dalla mia parte, poiché c’era il vetro che ci separava, volevi essere tra le mie braccia, volevi
giocare con me. Se era il giorno fortunato che c’era l’agente bravo tutto questo poteva andare bene, ed il mio cuore si
colmava di felicità, ma se per caso il giorno montava un agente burbero. I nostri desideri di restare fianco a fianco
svanivano.
Fortunatamente adesso stiamo cercando di recuperare il nostro rapporto di padre e figlio, quel rapporto che non c’è
mai stato. Cercavo ed ero molto felice quando riuscivo a passare indenne dalla perquisizione prima del colloquio.
Avevo sempre qualche caramella per te. Ero conscio che non era niente, ma portarti una caramella per me era una
grande cosa, d’altronde non potevo regalarti altro, solamente me ne andavo con gli occhi colmi di lacrime.
3) Tu mancavi nei momenti più importanti.... Il primo giorno di scuola.... non sei mai venuto a prendermi.
È vero quando mi dici che nella tua vita, sono mancato nei momenti più importanti, come d’altronde lo sono mancato
per la mamma. Non puoi immaginare quanto forte era il mio desiderio di stare accanto a voi, passare le giornate
assieme, svolgere qualsiasi compito assieme, decidere il da fare. Mamma è stata molto brava a gestire la situazione,
in pochi c’è l’avrebbero fatta. Avevo un forte desiderio di stare accanto a voi. Comunque oltre che al colloquio,
mamma mi informava quotidianamente con le lettere che mi scriveva, non era il massimo, ma mi accontentavo,
leggevo e rileggevo le lettere per decine di volte, cercavo di carpire ogni tuo movimento, ogni giorno che passava per
me era un dramma, soprattutto nel primo periodo non riuscivo a darmi pace, poiché non riuscivo ad esaudire il mio
desiderio, che era quello di stare accanto a voi. Andavi alla scuola materna, ma la mia mente era già più in là, pensavo
quando avresti iniziato ad andare alle scuole elementari. Tutti i papà accompagnavano i propri figli a scuola, solo tu
figlio mio andavi da solo o al massimo accompagnato dalla mamma. Solo tu figlio mio nei classici temi delle
elementari non potevi descrivere il mestiere di tuo padre. Sono certo che provavi vergogna a dire che il tuo papà era
in carcere e che era condannato per efferati crimini. Sono consapevole che le maestre sapevano tutta la mia storia e
che tu nei compiti dicevi delle bugie pietose, cioè che ero un meccanico e lavoravo in una grande officina di Spoleto e
per l’appunto non potevo venire ai colloqui scolastici e nemmeno a prenderti a scuola. Penso ai tuoi momenti di
sconforto, quando vedevi i tuoi compagni di scuola, mano nella mano con il loro papà, e tu che rientravi a casa da
solo o con la mamma. Ti chiedo scusa figlio mio caro, sicuramente non bastano le scuse scritte per lettera, ci vorrà
ben altro, quando un giorno sarò libero, tocca instaurare un ottimo rapporto con te. Penso che tutto ciò non sia
difficile, poiché bene o male hai già inquadrato la situazione. Durante i giorni di permesso mi hai perdonato più volte
dagli errori involontari che ho commesso.
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4) Quando disubbidivo a mamma e le rispondevo male, Certo la prima cosa che dovevo fare era badare alle
allora cercavo di te e se eri presente tu mi perdonavi. La domande che mi faceva mio figlio ed esaudire ogni
fregavo perché trovavo delle scappatoie, andavo dalle suo desiderio, poiché sei tu la luce della nostra casa,
mie cugine. Una volta si spaventò era l'imbrunire ma sei tu il nostro erede, sei tu il nostro futuro.
ero andato a casa di un amico ma lei era terrorizzata... Ma con il venire le persone a casa, pensavo di non
Figlio mio, so tutto (o quasi) della tua giovane età, come fare il maleducato e di parlare con loro. Se tu non me
ti ho detto prima, mamma Pà, mi informava di tutto. So l’avresti chiesto in questo scritto, io mica ci badavo a
che qualche volta gli hai disubbidito. So che qualche tutto questo.
volta gli rispondevi male, come so che una volta si è Hai ragione ancora una volta caro Antonello, che fare
veramente terrorizzata quando hai passato la serata dal adesso.
tuo amico. Non mi rimane altro da dirti se non quello che dalla
Io non ti ho mai detto niente, non ti ho mai sgridato per prossima licenza starò più attento alle tue domande.
queste marachelle, ci mancherebbe pure, poiché se 7) Ho cercato di immaginare la tua vita in carcere.
anche a me mi avrebbero rimproverato per tutto quello Qualcuno mi aveva detto che lavoravi ma non
che ho combinato, ci vorrebbero due vite di un essere sapevo quale fosse la tua occupazione, nessuno me
umano. Comunque si vede che sei figlio mio, poiché l'aveva mai spiegato.
anche io quando facevo delle marachelle, cercavo una Come da buon figlio intelligente che si preoccupa
possibile scappatoia e ti dirò che ero molto bravo, poiché delle sorti del proprio padre, cercavi di immaginarti
ogni volta mi scampavo dagli schiaffi di Nonna Luisa. come passavo la vita in carcere.
Senza ombra di dubbio, se c’ero stato io ti avrei Le giornate in questo posto sono sempre uguali, c’è
perdonato, avrei sicuramente capito che la tua una monotonia che non ci riesco a descriverti. Il
disubbidienza non era fatta volontaria, come sono sicuro primo periodo che sono arrivato da Spoleto a Nuoro,
che l’avrà capita mamma Pà. ero veramente frastornato, pensavo a quanti sacrifici
dovevate fare per venire a trovarmi.
5) Quando facevo o scrivevo qualcosa di bello tu eri Dopo circa un paio di mesi che ero qua, ho iniziato a
assente fare ginnastica, più che altro per smaltire la rabbia
Quante volte ho pensato, chissà cosa sta facendo che avevo dentro di me. Non avevo ancora digerito il
Antonello a scuola, chissà cosa starà facendo di bello, mio trasferimento da Nuoro alla volta di Spoleto.
quante volte ho pensato a tutto questo, quante volte ho Poi hanno iniziato a darmi un piccolo lavoro, che
desiderato fare i compiti al fianco del mio bimbo. Quante consisteva a pulire la sezione. I lavori del carcere
volte pensavo a tutto questo. Ma i miei erano solamente sono solo questi, ed è anche fortunato chi lo trova.
pensieri irrealizzabili, io vivevo e vivo in un mondo Ma ho fatto tanti lavori. Ho badato ad un amico
separato dal tuo. Io vivo in un altro mondo, tutto questo siciliano che aveva dei grossi problemi di
lo colmava i tuoi scritti e le poesie da te scritte che mi deambulazione e poi sono stato messo a lavorare in
mandavi e che ancora gelosamente conservo. Solamente infermeria come inserviente.
che all’inizio le tue letterine mi piacevano di più, poiché Quest’ultimo lavoro consisteva nel lavare per terra
erano scritte a mano e piene di errori ortografici, mi nel reparto infermieristico e nel reparto di
facevano ridere. Pensavo a quando frequentavo io le radiologia e uffici vari. Seppur un lavoro di
elementari, scrivevo molto peggio di te. Poi hai iniziato a responsabilità, ero ben retribuito.
scrivermi con il computer, ti sei adeguato al Non potevo continuare in questo lavoro, poiché ci
modernismo, ed in un posto come questo che è tutto serviva una persona fissa, ed io venivo da voi e
meccanizzato le tue lettere, mi piacciono lo stesso, ma restavo al carcere di Sassari o Nuoro per circa un
non come prima poiché ti sento molto distante. Mi mese, per l’appunto sono ritornato a lavorare in
sarebbe piaciuto che continuassi a scrivere a mano, con sezione.
gli errori, che oltre a farmi scendere le lacrime, mi Dopo tanti anni che cambiavo da un posto all’altro,
faceva anche sorridere. finalmente me ne hanno dato uno stabile, e da circa
6) Quando venivi in permesso con gli agenti tu non mi un anno lavoro in cucina.
prestavi attenzione, parlavi con le altre persone. Il lavoro in cucina è molto bello, certo alla fine del
Non ci ho mai badato, che ti trascuravo quando venivo a turno sono un po’ stanco, siamo in 6 / 7 ogni turno,
casa con la scorta. Mi devo veramente scusarmi degli facciamo da mangiare per circa 700 persone. Il turno
errori che ho fatto sotto questo punto di vista. Mattutino prepara la colazione ed il pranzo. Il turno
Devi capire figlio mio caro, che dopo tanti anni di galera, serale prepara la cena.
il detenuto tende ad assentarsi in ogni discorso che si Praticamente caro Antonello, cerchiamo di passare il
faccia. Io che questo difetto c’è lo fin dalla giovane età, tempo come meglio si può.
pass are questi anni in prigione, in una cella da solo, ha
contribuito notevolmente ad incrementare questo mio
assenteismo.
Forse ho un piccolo alibi, ma sicuramente non sono da
assolvere. Come hai visto a casa quando rientravo con la
scorta venivano i parenti a visitarmi.
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9) Che cosa facevi durante il tempo libero? Ti chiedevo 09) All'inizio non sapevo che tu studiavi, un giorno
com'era fatta la cella ma tu non rispondevi per caso me l'ha detto mamma, ma frequentavi già
Per quel poco di tempo libero che mi rimane nell’arco l'università. Avevi frequentato gli anni delle
della giornata, cerco di occuparlo in modo costruttivo. superiori senza che io ne sapessi nulla.
Tutti in questo posto cercano di creare qualcosa che gli Si te l’avevo detto in ritardo che studiavo ne avevo
può essere utile una volta che ha scontato la propria vergogna a dirtelo o forse è anche per il fatto che
pena, chi scrive poesie, chi cerca di scrivere qualche quando ci vedevano a casa ero preso da altre cose
libro, chi imbratta qualche tela e cerca di imparare a seppur adesso mi rendo conto che non mi ero
dipingere. accorto, che l’unica persona importante della mia
Io purtroppo non sono portato a tutte queste cose. Non vita sei tu.
ho la testa per scrivere poesie, non ho l’esperienza e la Comunque hai veramente apprezzato il lavoro che
praticità di scrivere un libro. Io mi dedico molto avevo fatto in questi anni di tristezza e solitudine, il
volentieri, innanzitutto a scrivere a voi, ed a qualche giorno che ho discusso la tesi a Perugia eri molto
amico che ancora mi scrive. Poi ovviamente ho altri emozionato anche tu.
impegni, ma non sono di rilievo. Certo mi dedico molto a Figlio mio del cuore quanto tempo ho perso per una
scrivere qualche racconto, ispirandomi al mio mondo stupidaggine, non ritorneranno più indietro gli anni
barbaricino, al mondo della campagna e seppur di scarso passati, non avrò più l’occasione di vederti crescere,
valore scrivo anche qualche poesia. Ma tutto questo lo non avrò più l’occasione di accompagnarti il primo
faccio per poter partecipare ai concorsi di poesia e di giorno a scuola, si può dire che ho perso tante cose
letteratura che ogni hanno fanno, soprattutto a Livorno, della vita.
e che invitano solamente detenuti a partecipare. Una volta conseguita la prima laurea come ti avevo
Forse tu non sai e spero che non vieni mai a saperlo, promesso non mi sono arreso, tu mi consigliavi di
come è combinata una cella. Ovviamente ti parlo del prendere la specialistica ma allo stesso tempo ti
carcere di Spoleto, poiché parlarti di un altro carcere facevi una risata alle spalle eri convinto che non ci
non conviene, ti e mi fa ribrezzo. sarei riuscito vero?
La mia cella è quanto alla tua cameretta, forse un po’ più Si caro figlio, avevo chiesto consigli alla dottoressa
piccola, ma al contrario della tua cameretta noi abbiamo Rita e alla professoressa Lucia e anche loro come a te
il bagno all’interno della nostra “cameretta”, con ciò mi hanno consigliato di specializzarmi in Storia
circa la metà dello spazio è occupata dai servizi igienici e dell’Arte Rinascimentale.
dall’angolo cottura un vero schifo figlio mio soprattutto Ero consapevole che la specialistica era molto più
quando la cella è occupata da più persone che raramente difficile della triennale, dovevo approfondire di più
vanno d’accordo fra di loro. gli argomenti, dovevo dare di più negli esami ma ero
09) All'inizio non sapevo che tu studiavi, un giorno per consapevole di tutto ciò per me interessava che
caso me l'ha detto mamma, ma frequentavi già completavo il mio ciclo di studi affinché potevo far
l'università. Avevi frequentato gli anni delle superiori vedere a mio figlio che ero bravo seppur tu non
senza che io ne sapessi nulla. perdevi occasione per prendermi in giro, Ho sempre
Si te l’avevo detto in ritardo che studiavo ne avevo voluto una laurea diversa dalle altre non è che posso
vergogna a dirtelo o forse è anche per il fatto che quando dire o voglio dire che questa è meglio no questo mai
ci vedevano a casa ero preso da altre cose seppur adesso ma studiare dove gli altri non hanno provato era una
mi rendo conto che non mi ero accorto, che l’unica cosa che mi faceva piacere.
persona importante della mia vita sei tu. Sono sempre stato aiutato a preparare gli esami dalla
Comunque hai veramente apprezzato il lavoro che avevo Dottoressa Rita donna veramente brava ed era un
fatto in questi anni di tristezza e solitudine, il giorno che vero piacere ascoltare le sue lezioni.
ho discusso la tesi a Perugia eri molto emozionato anche Il primo esame è stato molto duro, il secondo fino al
tu. sesto ancora peggio.
Figlio mio del cuore quanto tempo ho perso per una In questo periodo dal giorno della laurea fino al
stupidaggine, non ritorneranno più indietro gli anni giorno della scarcerazione ho sempre lavorato in
passati, non avrò più l’occasione di vederti crescere, non cucina poiché con questo lavoretto mi permetteva di
avrò più l’occasione di accompagnarti il primo giorno a affrontare le spese che comportava l’università.
scuola, si può dire che ho perso tante cose della vita.
Una volta conseguita la prima laurea come ti avevo E’ di nuovo notte caro figlio mio ed io continuo a
promesso non mi sono arreso, tu mi consigliavi di scriverti, mi dispiace che ho svegliato a Marieddu lui
prendere la specialistica ma allo stesso tempo ti facevi è sempre con me in cella adesso siamo più di un
una risata alle spalle eri convinto che non ci sarei anno ma entro pochi giorni ci hanno promesso che ci
riuscito vero? danno la cella singola io per motivi di studio e lui di
Si caro figlio, avevo chiesto consigli alla dottoressa Rita e vecchiaia carceraria, Marieddu è un grande amico
alla professoressa Lucia e anche loro come a te mi hanno Antonello non puoi immaginare quanti anni c’è in
consigliato di specializzarmi in Storia dell’Arte carcere, lui purtroppo non è stato fortunato come me
Rinascimentale. ad avere un figlio ma in compenso ha dei bellissimi
nipoti che stima più di ogni altra cosa al mondo.
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Sai Antonello che stavo cercando quella lettera che mi hai scritto un po’ di anni fa e tra i tanti scatoloni di posta e di
libri che ho all’interno della cella ho avuto la fortuna di trovarla, ti ricordi? E? questa:
Una notte insonne a Maiano.
E’ notte inoltrata, non riesco ad assopirmi. Mi affaccio allo

spioncino della porta blindata della cella; nella sezione non si
sente nessuno: dormiranno tutti? Penso alla mia famiglia, è lontana, al di la del mare. Ormai sono due mesi che non li vedo,
non riesco a farne a meno, ci sentiamo solo tramite telefono e con le lettere che ci scriviamo quotidianamente con mia
moglie.
Che fare? Non ho intenzione di accendere la televisione, ci mancherebbe, non voglio disturbare a Marieddu, con lui divido
la camera e poi non ho voglia di dividere, né con lui, né con altri, questi attimi a dir poco meravigliosi, mentre penso alla
mia famiglia, al mio unico figlio.
Ho deciso, provo a scrivere una letterina al mio Antonello, ma ci riuscirò a quest’ora?
Il mio bambino è già un ometto, si sta adeguando al modernismo, da un po’ di tempesta scrivendo con il computer. Non mi
piacciono molto le sue letterine scritte in questo modo, lo sento troppo distante, mi sarebbe piaciuto che continuasse a
scrivere a mano, con gli errori, che oltre a farmi scendere le lacrime, mi faceva anche sorridere e poi in un posto come il
carcere che è tutto meccanizzato, non mi va di ricevere lettere scritte al computer.
Quanto tempo è passato, dal primo giorno che me l’hanno portato in carcere, a Cagliari nove anni fa: era una giornata
torrida del mese di luglio, mia moglie era uscita da poco dall’ospedale, al telefono mi informò che sarebbe venuta a
colloquio e che avrebbe portato anche nostro figlio.

Caro figlio, la tua ultima lettera è molto carina, se la tua intenzione era di farmi scendere le lacrime ci sei riuscito
(d’altronde ci riesci ogni volta che mi scrivi). Da ieri leggo e rileggo la tua lettera, la conservo in tasca come un
tesoro, ovunque vada, quando ho un attimo di tempo, mi fermo in un angolo, lontano da occhi indiscreti e la rileggo:
sono attimi molto belli, intensi, sono geloso di te e di quanto mi scrivi. Penso e ripenso che è molto bello avere un
figlio, scrivergli ogni giorno, dedicargli qualche piccola poesia. Posso dire che malgrado tutto sono una persona
fortunata. Molti penserebbero il contrario, data la situazione in cui mi trovo ma non è affatto vero. Molti amici che
stanno qua con me vorrebbero avere un figlio, ma forse non l’avranno mai e non proveranno quello che sto provando
io, vorrei tanto che anche loro provassero la mia stessa felicità.
Fino a quattro anni fa non avevo provato la gioia di prenderti in braccio. Quando venite a trovarmi è un giorno di
festa … sono felicissimo, fortunatamente sono stato trasferito a Spoleto: qui non c’è il vetro che ci divide.
Mi dici che non fai più le bizze come prima, quando c’erano da fare i compiti; che devo essere molto orgoglioso di te,
perché non ti arrabbi più con la mamma, sei ubbidiente, usi solo due ore al giorno il computer. Finalmente hai
ascoltato i consigli di Mamma e naturalmente anche i miei. Sai Antonello, è ancora vivo in me il ricordo dei giorni
dell’ultimo permesso, di quando hai fatto il Battesimo: sono stati dei momenti meravigliosi; peccato che non siamo
potuti uscire, Don Bovore Mereu è stato veramente bravo. A dirti la verità avevo un po’ di imbarazzo; avevi nove anni
e non eri stato ancora battezzato, adesso possiamo veramente dire che abbiamo un figlio cristiano. Che giornata quel
21 Marzo, me la ricorderò per tutta la vita! E’ stata una giornata a dir poco magnifica. Mi hai scritto che domenica hai
fatto la prima confessione e domattina farai la prima Comunione: bravo figlio mio, sono molto contento. Mi dici
anche che la maestra del catechismo ha chiesto di parlare con i vostri papà. Tu naturalmente ti sei trovato a disagio.
Ti capisco, ma riprendiamo il discorso di qualche mese fa, quando ti avevano assegnato il tema “Descrivi il mestiere
di tuo padre”. Hai chiesto alla mamma e lei ti ha dovuto dire una bugia pietosa: che io lavoravo a Spoleto, che dove
eravate venuti a visitarmi era una grande fabbrica e tu nel tema avevi scritto che ero un meccanico. Nel primo
permesso ti avevo detto la verità e adesso mi riferisci che lo sanno anche i tuoi compagni di classe e di giochi. Vedi
Antonello, per andare in carcere basta un nonnulla; d’altronde anche i magistrati sbagliano: sono esseri umani anche
loro. Io non ho commesso il reato per cui sono stato condannato; è pur vero che non mi definisco un angelo, ho
commesso anche io i miei peccati in età giovanile, ma non ho fatto tanto male da meritarmi tutti questi anni di galera.
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Comunque sei stato bravo a dire la verità, sia alla maestra che ai tuoi amici. Adesso anche io mi sento molto più
tranquillo, devo rimanere ancora tanti anni in carcere e non si possono dire bugie all’infinito. Come io sono
orgoglioso di te, tu devi essere orgoglioso di me. Adesso aspetto la tua prossima lettera, dove mi racconterai come è
andata la giornata di domani, perché quando ho tue notizie sono la persona più felice del mondo. Ti voglio dire che
non ho parole per descrivere quanto mi pesa la tua lontananza, ma ti posso assicurare che ogni attimo della giornata
il mio pensiero è rivolto a te e alla mamma. Sai Antonello, mi sento un Padre molto fortunato ad avere un figlio come
te e una donna al fianco come la mamma: posso dire con certezza che sono una persona baciata dalla fortuna.
Penso e ripenso, alla mia vita, allo stato in cui mi trovo, alla mia famigliola, ma penso anche: sarò stato un buon padre
di famiglia? Penso a te Antonello che non hai mai avuto il papà vicino; che hai desiderio di trascorrere il Natale con
me.
Avrei tanta voglia anche io di passare un Natale con te, di aiutarti a fare l’albero, di andare in campagna, nei posti
dove sono cresciuto, per cercare il muschio e fare il presepio. Di darti una mano a scartare i regali di Natale.
Quanti altri ricordi e pensieri si affollano nella mente...
Ricordi tristi di brutte esperienze, di malumori, di delusioni della vita. E’ stato molto difficile lasciare il paese, gli
amici d’infanzia e ambientarmi a Nuoro, l’impatto con la città è stato quasi un trauma.
Il mio pensiero più grande è a quanto tempo dovrò trascorrere ancora in carcere prima di potermi ricongiungere a
voi…
In questi anni di isolamento e di pena ho capito tante cose, ho riflettuto molto sulla mia vita, sono riuscito a dare
priorità a ciò che veramente vale: gli affetti, la vita come dono. Ho capito che la cosa più importante in un uomo è
l’essere e non l’avere.
Quante ombre e momenti bui ci sono stati nella mia vita...
Certi giorni per me sono di una tristezza unica, sento in special modo la tua mancanza, l’impossibilità di passare le
giornate con te, di accompagnarti a scuola, di venire a prenderti quando finiscono le lezioni, di andare a farci una
passeggiata nella nostra Nuoro. Vorrei farti vedere dove giocavo io quando avevo la tua età. Certo i miei giochi erano
molto diversi dai tuoi: non avevamo il computer, la Play Station. Solamente un pallone e cercavamo di emulare i
nostri idoli.
L’altro giorno, guardando la TV, ho visto che facevano la pubblicità su Gardaland. Non so se tu lo sai, ma è un parco
divertimenti per bambini e sarei stato molto contento di farci una capatina con te e la mamma.
Ma la cosa che più desidero e mi piacerebbe fare, sarebbe guardarti mentre ti addormenti, raccontarti una storiella,
come d’altronde fanno tutti i papà dei tuoi amici. Solo tu figlio mio ti addormenti senza il bacio della buona notte di
papà.
Figlio mio caro, avrei tante cose da dirti, da raccontarti, purtroppo le ore di permesso quando torno da voi, passano
molto in fretta e non mi permettono di raccontarti di me e della mia vita, ma mi auguro che al più presto possiamo
restare sempre assieme, io, tu e la mamma.
Figlio mio, papà non ti dice altro, solamente di continuare a fare il bravo, di studiare e naturalmente continua ad
ascoltare i consigli della mamma e dei nostri cari, se loro ti danno un consiglio, te lo danno per il tuo bene.
Non mi resta che salutarti, è quasi l’alba, Mario sta per svegliarsi ed io devo andare al lavoro.

Ti mando un grande bacio Papà

Nicola Dettori
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BEATA SOLITUDO, SOLA BEATITUDO
A CURA DI FULVIO TOMASELLI M.D.
Specialista in Angiologia medica - Eticista - Medicina rigenerativa nella senescenza e invecchiamento
Variamente e erroneamente attribuita a vari autori, questa allocuzione campeggia in diversi monasteri e
eremitaggi italiani, da Venezia a Caserta.
Sottolinea che solo separandosi dal mondo e dagli altri sarà possibile trovare la tranquillità dell’animo.
Jung ne diede una articolata definizione che culmina con la frase: “quando un uomo ne sa più degli altri diventa
solitario ”
Verità assoluta se dipende da una libera scelta, nei tempi e nei modi desiderati.
Isolamento come punizione, come tortura, dai racconti di Papillon alla realtà denunciata da Nelson Mandela, che
la subì per 27 anni e che lo portò a definire TORTURA un isolamento-segregazione che duri oltre 15 giorni .
La regola 43 del Codice Mandela la definisce in chiare lettere e rappresenta una normativa regolatoria ONU nel
trattamento dei prigionieri.
Prigioniero è colui che è tenuto rinchiuso in un luogo in modo da essere privato della propria libertà personale.
Se scorriamo le varie definizioni e etimologie del termine vedremo che mai si attaglia alla condizione di Persona
fragile o vulnerabile, per la quale vige il diritto alla libertà e alla autodeterminazione fino a reale prova contraria
suffragata da una storia documentata e non solo detta. Anche per chi sia soggetto a pene detentive per reati gravi
passati in giudicato la Regola 43 rappresenta un principio di libertà.
Alla celebre 41bis in vigore nell’Ordinamento carcerario italiano dal 1975 e definitivamente imposta dal 2002,
vengono sollevate numerose accezionidi incostituzionalità e anche la Corte dei diritti Europei la ritenne in
contrasto con le convenzioni internazionali
Nei secoli questa forma detentiva ha spezzato molte vite apparendo come una forma di tortura non meno
violenta delle pene corporali, spesso associate e non solo nel passato remoto, ma tuttora applicate in modo più o
meno palese.
Se questa forma di isolamento viene applicata a Persone, la cui colpa è di essere Soggetti Fragili per
innumerevoli motivi, appare evidente la disumanità del gesto, spesso deciso da coloro che dovrebbero tutelare la
loro vulnerabilità.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato come Persone colpite da problematiche cerebrali che abbiano
ridotto la loro percezione e partecipazione alla vita possano essere recuperate dalla presenza di un contatto
umano costante che li fa uscire da quell’isolamento involontario che il destino ha loro riservato.
Gli Umani invecchiano sempre più, ma non sempre agli anni dati alla vita corrisponde una vita data agli anni. La
fisiologica degenerazione del corpo umano spesso si accompagna a una degenerazione intellettiva che produce
negli anziani Persone meno autosufficienti e meno produttive, essendo questo ormai il metro con cui misurare la
c.d.Vecchiaia.
Fiumi di parole per evitare di pronunciare questo termine aborrito da un mondo che vorrebbe essere sempre e
solo giovane, fiumi di parole che altro non sono che circonlocuzioni sciocche che vogliono allontanare e
annullare il momento in cui verrà tranciato il giudizio di Persona Inutile.
Nei secoli dai popoli polari a quelli equatoriali il geronticidio veniva praticato in forma rituale per alleggerire la
comunità del peso di un anziano inabile. La civiltà avrebbe dovuto cancellare queste usanze, invece le ha
solamente modificate dando loro una veste di legalità e di protezione.
Il concetto di Qualità della Vita (QdV) ha steso un ulteriore manto dubbioso sugli ultimi anni da vivere, quando è
lecito vivere, quando è lecito morire o voler morire.

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Il concetto eutanasico è fra i più dibattuti da tutte le credenze religiose allineate nella filosofia Bioetica. Una
cosa è certa, sia sempre esercizio di autodeterminazione e non imposto. Ne abbiamo avuto prove tangibili
quando fu considerata eutanasia lo sterminio di fragili di ogni tipologia in nome di una Eugenetica criminale che
permise una identificazione razziale come difetto genetico. Per restare nell’epoca moderna, dal 1492 a oggi, oltre
150 milioni di nativi Americani sono stati sterminati e poi Maya, Atzechi, Nanchino 1918, Curdi, Tutsi e Utu,
Dresda, Hiroshima e Nagasaki, crimini di guerra sotto tutte le bandiere spalmati nella storia del secolo scorso e
oltre, purghe politiche, religiose, razziali di ogni colore, a dimostrare che l’uomo è capace delle stesse
nefandezze cambiandone solo le modalità. Togliere la libertà a un Uomo è sinonimo di togliergli la vita, a
maggior ragione se la Persona è Vulnerabile. Assistiamo ogni giorno, taciti complici, alla applicazione distorta di
leggi e norme che trasformano la invocata curatela in sadica indifferente oppressione, costringendo chi per
ragioni disparate abbia bisogno di un sostegno per la sua QdV a subire restrizioni e umiliazioni che ne minano
alla base la fiducia in sé stessi, la speranza e la voglia divita. Mentre la Costituzione Italiana, gli Organismi
internazionali, Associazioni di ogni estrazione descrivono e si battono per il rispetto dei Diritti Umani da
considerare inalienabili, una miriade di leggi e leggine per lo più ignorate dalla massa, consentono le peggiori
nefaste violazioni, grazie a norme descritte in maniera sommariache lasciando buchi interpretativi che vanno
dal Bianco al Nero affidate alla decisionalità di Magistrati spesso oberati di lavoro, spesso distratti da altri
impegni a volte pienamente responsabili delle loro azioni, forti di una immunità che non si concepisce nel vivere
civile, ove ognuno è chiamato a rispondere del suo agire. La catena perversa si allunga da un mandante a alcuni
fiancheggiatori a un sicario, posto nella condizione di somministrare una morte bianca, dapprima civile, ma che
può culminare con la morte fisica; pochi sentimenti come la perdita e l’abbandono distruggono la forza mentale
delle Persone, provocando un loop emotivo che sfocia nella drammatica depressione capace di annullare ogni
volontà e di aprire larghi spazi all’avanzare del declino cognitivo, la definizione magica che fa di ognuno un
essere privo di capacità di discernimento. Giudizi sommari, supposizioni ridicole, assiomi inesistenti e
indimostrabili sono le armi taglienti a disposizione di una certa normativa non adeguatamente normata.
Clientelismo, collusione, interessi privati, conflitti di ogni tipo motivati dallo “sterco del diavolo” riescono a
annientare migliaia di persone con molti dei loro parenti, quando non siano proprio i mandanti di questa morte
bianca. In ogni storia si ripetono gli stessi paradigmi: interessi privati, ostilità parentali, ricorso alle leggi,
coercizione, isolamento, declino psicofisico, annullamento… cui segue una lenta inesorabile coltre omertosa che
nasconde i colpevoli. Continueranno a nuocere all’infinito su altri fragili vulnerabili, che potremo essere tutti
noi. Nella Legislazione Italiana corrente una legge, fra tutte, disegnata per la tutela dei fragili, “Legge 06/2004,
Dell’amministrazione di sostegno” detiene questo triste primato. Perfetta nella ideazione, lacunosa nella
compilazione, oscena nella esecuzione per eccessiva discrezionalità. La frase che ha dato titolo a queste pagine
ha senso solo se rispecchia una scelta consapevole nei modi e nello spazio temporale. Una splendida occasione la
solitudine volontaria, una orrenda condanna la solitudine imposta.
Il lungo periodo di blocco totale del 2020 ci ha dato questa consapevolezza.
Siamo noi tutti liberi?
No, non lo siamo!

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GRANDI E PICCOLI MALTRATTAMENTI
A CURA DI FABIO RICCIO
SCRITTORE E DIRIGENTE POLITICO
Siamo stati come abituati a concepire l’idea del maltrattamento come l’immagine degli operatori che picchiano,
seviziano, umiliano ed offendono l’anziano o il diversamente abile con infinita crudeltà. Tutto ciò è mostruoso, da
condannare e soprattutto da combattere con ogni forza possibile. Allo stesso tempo, però, questa importante
presa di coscienza di una realtà che può esistere soprattutto se riceve la cooperazione dell’omertà, rischia di farci
dimenticare o, peggio, sottovalutare, la complessità profonda di ciò che può essere il maltrattamento dell’anziano
in senso lato all’interno delle strutture.
Siamo stati abituati, anche grazie all’opinione pubblica, a pensare ai maltrattamenti solo come ad una realtà
purtroppo esistente, che ogni tanto emerge in tutta la sua crudeltà, inspiegabile fino al punto da toglierci ogni
freno inibitorio nel commentarla.
Quante volte abbiamo visto un video, in televisione o su internet, con le immagini e gli audio messi a disposizione
dalle varie procure a termine delle indagini che hanno riscontrato gravi maltrattamenti all’interno delle case
residenze anziani? Quante volte, nel guardare e nell’ascoltare quelle nefandezze così devastanti, così crudeli
inverso la persona umana nella fase più fragile della sua esistenza, umiliata, vilipesa, derisa, oltraggiata e
violentata nella sua dignità più intima, avremmo voluto vendicarci con le nostre stesse mani, seduta stante, contro
quelle persone, ovvero quegli operatori sanitari che le hanno commesse?
Decine e centinaia di casi negli anni, fra anziani, disabili e purtroppo a volte anche bambini. Certo non si può però
far finta che la prima fascia, ovvero quella degli anziani, non sia la più soggetta a questo genere di casistica.
Va da sé che l’anziano residente in struttura, in una società tronfia di inclinazioni utilitariste, è il soggetto più
indifeso, spesso meno seguito e meno ascoltato. Di casi di gravi maltrattamenti, purtroppo, negli anni ne abbiamo
visti e sentiti tanti, da far accapponare la pelle. Per tanti che ne sono usciti, altrettanti e anzi di più esisteranno
nell’omertà e nel silenzio di molti.
Questo non per dire che le case residenze anziani sono dei lager: assolutamente no. Possiamo stare certi che la
maggior parte di esse siano luoghi sicuri oltre che luoghi di cura, di accoglienza e di affetto. D’altro canto non ci
si può esimere dal constatare che la mostruosità esiste, anche in questo campo sociale così delicato; complice la
cattiveria umana, sì, ma a volte anche il degrado lavorativo, organizzativo e contrattuale che riguarda talune
realtà. Ebbene, siamo stati abituati a concepire l’idea del maltrattamento come l’immagine degli operatori che
picchiano, seviziano, umiliano ed offendono l’anziano o il diversamente abile con infinita crudeltà. Tutto ciò è
mostruoso, da condannare e soprattutto da combattere con ogni forza possibile.
Allo stesso tempo, però, questa importante presa di coscienza di una realtà che può esistere soprattutto se riceve
la cooperazione dell’omertà, rischia di farci dimenticare o, peggio, sottovalutare, la complessità profonda di ciò
che può essere il maltrattamento dell’anziano in senso lato all’interno delle strutture.
Molte volte, guardando quei video e ascoltando le parole di quelle bestie che maltrattano gli anziani diciamo a
voce alta: Ma come si fa a essere così cattivi e disumani. E ancora: Io non farei mai una cosa del genere.
È indubbio che una persona normale mai si spingerebbe a tanto, ad un sì crudele cumulo di reati civili, penali,
morali, sociali, umani. La reazione, perciò, è normale. Dovremmo dire doverosa. Tuttavia la vera domanda è
un’altra: Siamo certi, che tutti gli operatori sanitari che esercitiamo la loro professione all’interno delle residenze
per anziani, non mettono in atto o di non prendono parte, quotidianamente, a quei “piccoli maltrattamenti” che a
lungo andare feriscono l’anziano, lo umiliano e lo privano della sua autonomia senza prendersi a carico il bisogno
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che l’anziano ci espone , o quante volte hanno sentito rispondere all’anziano che chiedeva di essere portato in
bagno, “ora non ho tempo, falla nel pannolino”, O quante volte hanno risposto all’anziano che chiedeva di
potersi alzare, “stai seduto sennò ti lego con la cintura” o quante volte hanno taciuto, per paura della reazione,
davanti ad un collega che si poneva in modo sbagliato nei confronti dell’anziano, o quante volte hanno
cooperato al male standosene zitti seppur in disaccordo con una frase od un gesto esternato di un collega.
Potremmo andare avanti all’infinito, volendo, elencando tutta una serie di “piccoli maltrattamenti” che come
tarli infestano il sistema dell’assistenza alle persone anziane le quali, oggi più che mai, per risollevarsi
avrebbero bisogno dei dettagli assistenziali.
È con i piccoli e grandi dettagli dell’assistenza che si migliora la qualità della vita delle persone parzialmente
sufficienti o non autosufficienti
A motivo di ciò, prima di poter dire io non maltratterei mai un anziano sentendosi a posto con la coscienza solo
per non aver infierito su di lui con una violenza fisica od una evidente violenza verbale, dovremmo pensarci
bene. La coscienza è qualcosa di profondo, fatta di grandi e diversificati strati di responsabilità.
Prima di uscire da un turno di lavoro “puliti” dovrebbero essersi analizzati bene, perché è dai “piccoli
maltrattamenti” prolungati e mai sanati che si arriva a ledere profondamente, martellandola, la dignità della
persona umana nelle sue fragilità, nei suoi bisogni e nella sua tanto complessa quanto meravigliosa soggettività
unica ed irripetibile.
Solo abbattendo il muro dei “piccoli maltrattamenti” potremo combattere il sistema dei “grandi
maltrattamenti”, che, in proporzione, per quanto gravissimi, saranno sempre e comunque meno dei primi.

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FARSI VICINI A CHI SOFFRE
A CURA DI MAURO ROTELLINI
DOTTORE IN SCIENZE POLITICHE
Il messaggio del Santo Padre in occasione della Giornata del Malato del 2023, ha posto l'accento su aspetti
fondamentali dell'essere cristiano. “...Con voi vorrei dunque sottolineare, alla luce della Parola di Dio, tre
atteggiamenti importanti di questo cammino: primo, farsi vicini a chi soffre; secondo, dare voce alle sofferenze
inascoltate; terzo, farsi fermento coinvolgente di carità (…) E questo fa crescere attorno a noi una ‘rete’ che non
cattura ma libera, una rete fatta di mani che si stringono, di braccia che lavorano insieme, di cuori che si
uniscono nella preghiera e nella compassione...” .

Ecco, sembra proprio che la L. 6/2004 sia un'eco di queste parole. Che comunque presenta aspetti contraddittori
rilevati dalla giurisprudenza.

Da una parte è una norma finalizzata ad offrire a persone affette da una menomazione che impedisca, anche fosse
solo in modo parziale o temporaneo, di provvedere ai propri interessi (applicabile anche nei confronti di chi
spende in “gratta e vinci” cifre esorbitanti), una protezione che ne sacrifichi nella minor misura possibile la
capacità di agire. E che rispetta l'autodeterminazione dell'assistito, al punto che non si procede a nomina
dell'amministratore, laddove la persona risulti già protetta da una rete familiare all’uopo organizzata e funzionale

Dall'altra, la difficoltà nell'affrontare il tema delle cure all'assistito. In caso di contrasto fra l’amministratore di
sostegno e la struttura sanitaria che ha in cura l'assistito circa la necessità di terapie, la decisione va assunta
avendo particolare riguardo ai rischi e ai benefici (anche relativi alle più generali condizioni di vita del paziente)
della terapia proposta dai medici curanti e di quella alternativa eventualmente suggerita. Il risultato è un calcolo
costi benefici sulla pelle dell'assistito. Non la tutela della vita, ma la sua riduzione ad un'operazione.

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SPIC E SPAN
A CURA DI IVAN CIMINARI
SCRITTORE E POETA
Aveva un nome come tutti noi, aveva una vita, una storia, un passato che si portava appresso in un grande sacco
nero, pesante come l’esistenza che conduceva.
Si chiamava Alfredo, ma per tutti era Spic e Span, l’uomo nero che vagava per le nostre strade e del quale tutti i
bambini avevano paura, perché qualcuno diceva loro che, “se non facevano i bravi”, lui li avrebbe portati via,
chiusi in quel grande sacco misterioso.
In una città non troppo grande come Salerno si fa in fretta a diventare leggenda e le storie su di lui erano tante,
alcune delle quali inventate di sana pianta, per quel vezzo diffuso che abbiamo di far vedere che ne sappiamo più
degli altri.
Io non conosco la storia che Alfredo si era lasciato alle spalle, scegliendo di vivere da vagabondo, ma lo ricordo
bene, come ricordo perfettamente gli insulti, le risate, le pietre che la cosiddetta gente perbene gli lanciava
contro, con la ferocia ignorante del branco.
A volte abbiamo bisogno di sceglierci i nemici per sentirci migliori, di creare un altro da noi che disprezziamo
per accettare ciò che di noi non ci piace.
E Alfredo, Spic e Span per la gente perbene era esattamente questo, lui doveva essere sporco, brutto e cattivo
perché noi fossimo belli e buoni, quell’omone che si aggirava senza meta con un impermeabile nero come la sua
faccia e la sua barba era il bersaglio ideale, l’abominio dal quale prendere le distanze.
Qualche volta lo vedevo reagire alle persecuzioni dei suoi aguzzini, magari brandendo una bottiglia vuota, ma
mai l’ho visto compiere gesti violenti, allora non capivo, non sapevo: gli scivolavo vicino senza guardarlo, con
l’indifferenza feroce di chi non capisce e non si sforza neanche di farlo.
Non so dove dormisse, dove mangiasse, se avesse almeno un amico al mondo, se soffrisse, se qualche volta
avesse incontrato una goccia di felicità nella sua vita di strada.
Ricordo, però, che con il passare degli anni l’uomo nero cominciò ad ingrigire, a camminare sempre più curvo,
come schiacciato dal peso di una scelta che ormai gli costava fatica e un giorno lo vidi seduto per terra, davanti
al portone di pietra di un ristorante di Torrione.
Era passato il tempo, io non ero più un ragazzino, mi ero lasciato alle spalle la ferocia adolescenziale e mi
fermai, lui parlava da solo come spesso gli capitava di fare, non badava a me e sembrava perso in una
discussione col suo io immaginario.

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Per la prima volta lo guardai davvero e precipitai negli occhi scuri dell’uomo nero, che raccontavano ciò che
nessuno aveva mai voluto ascoltare, di un’innocenza ancora vergine annegata in mille estremi sbagliati, di mondi
immaginati e svaniti tra l’indifferenza, di notti al freddo e alla pioggia, di un tempo andato in frantumi tra i rifiuti
di una città distratta. Poi un giorno scomparve, come inghiottito da chissà quale destino, nessuno lo vide più e,
strano a dirsi, fu esattamente quello il momento in cui la gente si accorse di lui, in cui i suoi aguzzini di una volta
compresero che il tempo non fa sconti a nessuno e che, come era successo a Spic e Span, prima o poi sarebbe
toccato a tutti.
Lo avevano portato via, rinchiuso in una casa di riposo per poveri, una legge assurda e inumana lo aveva spinto
fuori come un male oscuro da nascondere, lo avevano lavato, ripulito, gli avevano dato un letto ed un giardino
circondato da mura, dal quale indovinare un pezzo di strada ed una goccia della libertà che aveva perduto per
sempre.
Non aveva più il suo enorme sacco nero sulle spalle, i tesori che aveva portato addosso tutta la vita, chissà dove lo
avevano gettato via, magari senza neanche guardarci dentro: Spic e Span semplicemente non c’era più e con lui
era svanita ogni traccia di un tempo che non tornerà.
Ma quanto mi piace immaginare che il suo sacco fosse pieno di farfalle e che, almeno loro, gli abbiano tenuto
compagnia in quel giardino chiuso tra quattro mura, lontano dai nostri occhi e dal nostro ricordo.

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RICORDA...FIGLIO
GRAZIA D'ARRIGO
Segretaria Federazione Europea Autonoma Volontariato

Non conoscevo la storia di Lando Buzzanca, l’attore che negli ultimi mesi dell’anno 2022 ha riportato alla ribalta
dei rotocalchi una condizione umana che lascia sgomenti. Anche la vicenda recente della morte di Gina
Lollobrigida alza il polverone su una legge che nell’intento di tutelare le persone fragili, scatena faide incredibili
nel seno delle famiglie dei defunti. Chissà perché queste lotte non si disputano per assicurarsi la cura di una
persona fragile che non ha accumulato beni nella sua vita mortale. Alla fine si perde di vista il vero bene del
tutelato e si lotta per assicurare il bene di se stessi, che immancabilmente, di fronte alla possibilità di ereditare il
patrimonio del proprio parente, ci fa diventare disponibili ad entrare in guerra utilizzando tutte le armi che il
vasto orizzonte legale ci offre. Un altro esempio di mercificazione dell’essere umano che si utilizza,per
nascondere il vero intento di questa legge. La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione
possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni
della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. Alla fine quello che accade è
che della volontà dell’essere umano non si tiene assolutamente conto perché in queste vicende che si sono
pubblicizzate sui rotocalchi ( anche loro nell’intento di vendere più copie possibili o fare audience con numeri a 2
cifre) non si è compreso che ad una certa età quello di cui abbiamo bisogno è la vicinanza di qualcuno che ci
faccia compagnia ed assecondi tutti i desideri che nascono nell’anima e nel corpo. La famiglia patriarcale non
esiste più e ci si affida a badanti o strutture che al sol fine di assicurarsi autonomia economica svolgono il
proprio compito con l’obiettivo di essere il più efficienti possibile. Ma se l’anziano ha un patrimonio cospicuo da
lasciare alla fine della sua presenza in questo mondo ecco che l’essere umano cade nella tentazione di
approfittare del proprio ruolo. I figli si ricordano di tutelare in modo oppressivo il genitore, i badanti o compagni
di vita vantano il diritto a conseguire le promesse dell’anziano (il matrimonio o il testamento di cui sono
beneficiari con firme sottratte in momenti di debolezza dell’anziano che ha ceduto a ricatto) e alla fine si
nominano amministratori che al di sopra delle parti dovrebbero essere dalla parte dell’anziano, comportando in
questo modo per il beneficiario della legge una diminuzione graduale della capacità personale. La guerra tra gli
interessi che oggiscendono in campo nel passato non era presente perché la famiglia patriarcale metteva al
riparo da queste cadute, l’anziano era una risorsa per la famiglia, che amava il genitore provvedendo a tutte le
sue necessità , Il Siracide ci ricorda..Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,non contristarlo durante la sua
vita. Sii indulgente, anche se perde il senno,e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore, L’opera buona
verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa. Questa umanità che si è
allontanata da Dio è alla ricerca di una felicità che il maligno ci fa intravedere attraverso l’accumulo dei beni che
generano guerra ma il 4 comandamento di Dio ci ricorda….. “Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo
Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti da”
Alla fine l’insegnamento di questa vicenda amara è che senza l’amore generativo di Dio si assiste al degrado della
società che invano cerca di stabilire su questa terra una giustizia che senza l’orizzonte dell’eternità è destinata a
perpetuare una guerra infinita di interessi che non troverà mai la pace senza la croce di Cristo. E’ vero che
accudire nella vecchiaia i propri genitori significa immolarsi a volte su un altare incomprensibile, ma fidarsi delle
promesse di Dio alla fine genera pace nel proprio cuore per aver adempiuto al proprio dovere e aver contribuito
a mantenere la pace su questa terra.
37 | FMAGAZINE
ISTITUZIONE TOTALE E
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
A CURA DI: ROBERTO CALIA
Come è noto, il costrutto di istituzione totale è stato utilizzato nelle scienze sociali da Erving Goffmann, nel
suo famoso libro “Asylums. Le istituzioni sociali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza”, del 1961.
Secondo Goffmann “un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di
persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a divedere una
situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato”.
Goffmann ha descritto cinque tipologie generali di istituzioni totali:
1le istituzioni nate a tutela di incapaci non pericolosi (istituti per disabili, anziani, orfani, indigenti)
2le istituzioni ideate e costruite per recludere chi rappresenta un pericolo non intenzionale per la società
(ospedali psichiatrici, comunità sanitarie, sanatori)
3le istituzioni finalizzate a recludere chi rappresenta un pericolo intenzionale per la società (carceri, campi di
reclusione)
4le istituzioni create per lo svolgimento di una attività funzionale continua (navi, collegi, grandi fattorie, ecc.)
5Le istituzioni che richiedono il distacco volontario delle persone (conventi, monasteri).
Le istituzioni totali più studiate sono state le carceri e gli ospedali psichiatrici (in Italia poi toccati – nel bene e
nel male – dalla riforma Basaglia).
Cosa caratterizza in generale una istituzione totale? I tratti distintivi di tale istituzione sono tre:
a.l’allontanamento e l’esclusione dal resto della società dei soggetti istituzionalizzati
b.l’organizzazione formale e centralmente amministrata del luogo e delle sue dinamiche interne
c.il controllo operato dall’alto sui soggetti-membri che vivono nell’istituzione.
Ho già avuto modo di associare il costrutto di Goffmann alle residenze sanitarie assistenziali (RSA) della nostra
realtà sociale. In questo senso, come altro potremmo concepire una RSA se non una istituzione totale, in cui
ogni soggetto ricoverato perde di fatto ogni margine di autonomia e discrezionalità personale nello
svolgimento e nell’organizzazione della propria vita? Quando un anziano entra in una RSA si trova di fatto,
progressivamente ma repentinamente, privato dei riferimenti esistenziali su cui si fondava la sua vita
precedente: spazi fisici, confort, abitudini, scansione del tempo, contatto con la realtà, rapporti sociali,
relazioni affettive. E questo, di per sé, non può non rappresentare per chiunque uno shock emotivo, un trauma
psichico.
Dal punto di vista psicologico, il ricovero in RSA diventa così un attentato all’identità personale del soggetto
interessato, che viene gravemente destabilizzato. L’identità personale, il senso di coesione di Sé, il senso di
autoefficacia, tanto faticosamente raggiunti in una vita intera, vengono irreversibilmente compromessi. Gli
anziani ricoverati perdono la dignità di soggetti e vengono trasformati in numeri; ogni cadenza e ogni attività
in RSA sono centrati sugli interessi degli operatori e della struttura stessa, più che su quelli degli anziani
stessi. Tutta l’organizzazione viene scandita secondo l’ordine della normalizzazione, dell’adattamento e della
omologazione. L’unico contatto vero con la realtà (quella interna, personale, emotiva ed affettiva) dell’anziano
(non quella dell’istituzione totale che lo emargina, negandolo come soggetto) è il rapporto con i parenti e gli
amici; deprivati di questo, gli anziani vengono ridotti a soggetti alienati a sé stessi e al mondo.

38 | FMAGAZINE
In che senso assimilo all’istituzione totale l’istituto dell’amministrazione di sostegno, previsto
nell’ordinamento giuridico del nostro Paese con la Legge n. 6/2004? Non nego affatto che, come operatore
pubblico, ho creduto inizialmente nella bontà della Legge cosiddetta Cendon; in tale funzione ho contribuito
attivamente a renderla operativa. In coerenza con il principio che la stessa legge originariamente promuoveva
(e cioè che la funzione di “sostegno” non è quella di sostituirsi al soggetto, ma di rispettarne le volontà, i
valori di riferimento e la personalità in tutti i suoi aspetti), ho contrastato una applicazione generalizzata o
addirittura tendente alla professionalizzazione di tale delicata funzione.
Allo stesso modo, laddove tale funzione si dimostrasse effettivamente utile per “sostenere” l’autonomia
dell’interessato, ho cercato di riaffermare il criterio (che la stessa Legge prevede) che fosse un familiare in
primis ad assumere tale funzione. A mio avviso, normalmente la famiglia, in quanto istituzione primaria su
cui si impernia l’intero assetto sociale (perlomeno così era prima dell’assalto culturale alla famiglia, portato
avanti massicciamente da una ideologia pseudo progressista), è tenuta moralmente, eticamente e
giuridicamente a tutelare il soggetto in stato di bisogno e di fragilità, senza alcun intervento istituzionale di
un giudice tutelare.
È dunque per la progressiva degenerazione applicativa, portata avanti in questi anni, che vedo un sostanziale
tradimento della originaria vocazione umanitaria, di cui era forse solo ammantata la legge.Mi sembra cioè
che, al di là di ogni parvenza di tutela, di umanizzazione, di “nuovo umanesimo” declamato sulla carta da
politici, amministratori pubblici e mass media, a me sembra che la longa manus di un potere istituzionale
totalizzante si è fatta sempre più pervasiva.
Nell’ottica di una decantata centralità data alla persona, non pare esserci più bisogno di un luogo fisico per
contenere ed emarginare i cosiddetti soggetti fragili. Chiunque può essere espropriato della propria
autonomia giuridica, della propria discrezionalità volitiva, della propria dignità, assegnandogli un ADS, che
in quanto designato in via formale e pubblica, diventa egli stesso l’istituzione totale che priva il soggetto della
propria identità, del proprio senso di Sé e del senso di autoefficacia come essere vivente e pensante.
Dell’impatto che la nomina di un ADS comporta per lo stato psicologico della persona non sembra interessare
nessuno, né da parte dei famigliari né degli operatori assistenziali. Alla faccia della difesa e della tutela dei
fragili!
Quello di cui non si tiene forse sufficientemente conto, in sede di valutazione sull’opportunità o meno di
attivare l’istituto di ADS, è la distinzione concettuale e funzionale fra dipendenza ed autonomia.
La necessità di un sostegno (sub-tenere, tenere su, non sotto-mettere) deve tenere conto del duplice incrocio
degli assi ortogonali fra dipendenza/indipendenza e autonomia/eteronomia. Con tale approccio il concetto di
non-auto-sufficienza diviene più ampio: ad esempio, io posso essere fisicamente dipendente, ma autonomo
dal punto di vista psicologico (cognitivamente e volitivamente).
E quindi, lo stesso concetto di fragilità
torna a riferirsi alla complessiva
condizione esistenziale del soggetto (la
fragilità, e quindi la necessità di nominare
un ADS, non è tout-court identificabile con
una diagnosi medica).
Nella concreta applicazione della legge (e
soprattutto nella declinazione operativa che
ne hanno fatto nel tempo molti giudici
tutelari e ADS totalmente impreparati) la
fragilità è stata trasformata in una
condizione di diminuzione dello status della
persona, sia dal punto di vista assistenziale
che giuridico.
Bisognerà dunque ritornare ad una
concezione della fragilità ancorata ad una
visione antropologica che considera
l’essere fragile come costitutivo della persona nella sua condizione esistenziale. “Siamo tutti fragili e siamo
tutti resilienti” può essere il motto della nostra azione. Per questo abbiamo richiamato il labirinto nel nome
della Associazione che abbiamo fondato: un labirinto duplice rappresentato dalla fragilità stessa, dentro la
quale si deve districare la persona per non perdersi; e dal labirinto delle istituzioni che finiscono per
soffocare il soggetto anziché sostenerlo. Da qui la scelta di porsi come “filo di Arianna” per uscire dal
labirinto; e da qui la richiesta forte di rivoluzionare la Legge Cendon. Ecco il significato completo del nome
dell’Associazione Labirinto 14 luglio: un cambio di rotta radicale, rivoluzionario dunque, non un semplice
maquillage che dietro la maschera dell’ideologia conserva intatta tutta la sua violenza istituzionale.
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GIORNATA DELLA
A CURA DI: PROF. NICOLA INCAMPO
MEMORIA
Responsabile della CEB per l’IRC e la Pastorale Scolastica.
Perché la Giornata della Memoria?
1.E’ una ricorrenza internazionale, e si commemora le vittime del nazismo, dell’Olocausto e in onore
di coloro che, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati.
L’articolo 1 della legge numero 211 del 20 luglio 2000 definisce così le finalità del Giorno della
Memoria:
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di
Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le
leggi razziali la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione,
la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al
progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»
2. E perché proprio il 27 gennaio?
La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso
dell’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (nota con il suo
nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e
liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti
rivelarono pienamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.
3. Anche l’ONU?
Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte
altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall’ONU, in seguito alla risoluzione
60/7 del 1º novembre 2005.
4. Auschwitz
Auschwitz è il nome tedesco di Oswiecin, una cittadina situata nel sud della Polonia. Qui, a partire
dalla metà del 1940, funzionò il più grande campo di sterminio di quella sofisticata «macchina»
tedesca denominata «soluzione finale del problema ebraico». Auschwitz era una vera e propria
metropoli della morte, composta da diversi campi - come Birkenau e Monowitz - ed estesa per
chilometri. C’erano camere a gas e forni crematori, ma anche baracche dove i prigionieri lavoravano e
soffrivano prima di venire avviati alla morte. Gli ebrei arrivavano in treni merci e, fatti scendere sulla
cosiddetta «Judenrampe» (la rampa dei giudei) subivano una immediata selezione, che li portava quasi
tutti direttamente alle «docce» (così i nazisti chiamavano le camere a gas). Solo ad Auschwitz sono
stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei.
5. Ci sono Italiani che si sono impegnati a salvare gli ebrei?
In Italia, sono ufficialmente più di 400 le persone insignite dell’alta onorificenza dei Giusti tra le
Nazioni per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante l’Olocausto.
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6. Con il termine Shoah che cosa si definisce?
Shoah è una parola ebraica che significa «catastrofe», e ha sostituito il termine «olocausto» usato in
precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso
dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei
milioni di persone. La Shoah è il frutto di un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti,
né paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approva il piano di «soluzione finale» del
cosiddetto problema ebraico, che prevede l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo
sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni
espansionistiche o da una per quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base del fatto che il
popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo
«Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei).
7. Che cosa è la difesa della razza?
L’odio antisemita è un motivo conduttore del nazismo. La Germania vara nel 1935 a Norimberga una
legislazione antiebraica che sancisce l’emarginazione. Tre anni dopo l’Italia approva anch’essa un
complesso e aberrante sistema di «difesa della razza», rinchiudendo gli ebrei entro un rigido sistema
di esclusione e separazione dal resto del paese. Ma questa terribile storia ha dei millenari precedenti.
Prima dell’Emancipazione, ottenuta in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, gli ebrei erano
vissuti per millenni come una minoranza appena tollerata, non di rado perseguitata e cacciata, e
sempre relegata entro i ghetti. Tanto nel mondo cristiano quanto sotto l’Islam. Visti con diffidenza e
odio per la loro fede tenace (e, dal punto di vista della maggioranza, sbagliata), hanno sempre
rappresentato il «diverso», la presenza estranea. Anche se da millenni vivono qui e si sentono europei.
8. Perché la Shoah è un evento unico?
Dopo la Shoah è stato coniato il termine «genocidio». Purtroppo il mondo ne ha conosciuti tanti, e
ancora troppi sono in corso sulla faccia della terra. Riconoscere delle differenze non significa stabilire
delle gerarchie nel dolore: come dice un adagio ebraico «Chi uccide una vita, uccide il mondo intero».
Ma mai, nella storia, s’è visto progettare a tavolino, con totale freddezza e determinazione, lo
sterminio di un popolo. Studiando le possibili forme di eliminazione, le formule dei gas più letali ed
«efficaci», allestendo i ghetti nelle città occupate, costruendo i campi, studiando una complessa
logistica nei trasporti, e tanto altro. La soluzione finale non è stata solo un atto di inaudita violenza,
ma soprattutto un progetto collettivo, un sistema di morte.
9. Perché ricordare e commemorare?
Il Giorno della Memoria non vuole misconoscere gli altri genocidi di cui l’umanità è stata capace, né
sostenere un’assai poco ambita «superiorità» del dolore ebraico. Non è infatti, un omaggio alle
vittime, ma una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Non è la
pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più
accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di
persone hanno permesso che accadesse.
10. Chi ha salvato più ebrei?
In una intervista rilasciata a “Radio Vaticana” il 20 giugno 2008, il fondatore e presidente del PTWF Gary
Krupp ha detto che “Pio XII ha salvato nel mondo più ebrei di chiunque altro nella storia”.

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IO SONO NESSUNO
A CURA DI: CHIARA FUSCHI
Mi chiamo Elena, ho 69 anni. Sono stata con Bruno, vedovo dal 1985, per oltre trent’anni, di cui gli ultimi tredici di
convivenza a casa mia. In questo lungo arco di tempo abbiamo condiviso gioie e dolori, viaggi, vacanze, feste e
ricorrenze, vita sociale con i nostri amici e con i miei figli. Siamo stati vicini anche nelle occasioni meno piacevoli, ad
esempio quando ha dovuto subire un delicato intervento chirurgico, o quando, a seguito di un incidente stradale, non
ha più potuto guidare: sono stata io ad assisterlo e ad accompagnarlo dovunque ne avesse bisogno. Proprio perché
eravamo di fatto una famiglia, avevamo deciso di sposarci, fissando la data per il 24 ottobre 2021, con le pubblicazioni
eseguite nel luglio precedente. Stavamo organizzando il nostro matrimonio, quando il 30 settembre 2021, a seguito di
un suo malore improvviso, ho dovuto chiamare l’ambulanza. Trasportato in ospedale, è stato ricoverato per
accertamenti. Il giorno dopo, quando mi hanno permesso di fargli visita, aveva ripreso colorito ed era contento di
vedermi. Il ricovero è durato dodici giorni, periodo durante il quale sono andata a trovarlo quotidianamente, oltre a
sentirlo per telefono. Nonostante non si sia mai venuti a capo di cosa avesse causato il malore, trascorso questo
periodo, vengo informata telefonicamente da sua figlia che lo avrebbero trasferito dall’ospedale in una R. S. A. Resto
basita: in primis, perché non ero d’accordo con il ricovero in una R. S. A., e d’altra parte i medici ritenevano
necessaria esclusivamente una riabilitazione motoria; in secondo luogo, perché non ero stata in alcun modo
interpellata, ma solo informata di una decisone già presa da sua figlia, con la quale negli ultimi anni Bruno aveva
avuto contatti sporadici. Scoprirò solo successivamente che dietro questa decisione incomprensibile si nascondeva
un disegno ben preciso. Inizia in questo modo il mio calvario. La mattina seguente, mi sono recata nella R. S. A.:
appena giunta, però, i dipendenti e il medico responsabile mi hanno affrontata dicendomi che non potevo vedere il
mio compagno in quanto, «non ero nessuno». Scopro in quel momento che, dopo una vita insieme, non essendo
ancora la moglie di Bruno, non avevo alcun diritto. Il futuro del mio compagno era nelle mani dei figli che fino a quel
momento non se ne erano mai interessati. A nulla è servito spiegare al personale della struttura che ero la sua
compagna, non mi hanno permesso di vederlo. Inizia così, con la complicità della figlia, l’ostracismo nei miei
confronti: era impossibile prendere un appuntamento, non rispondevano al telefono, quando riuscivo finalmente a
ottenerlo si trattava di mezz’ora da dividere con lei. Ogni volta che incontravo Bruno, che già si trovava in una
situazione di difficoltà psicologica, allontanato da ogni punto di riferimento, mi chiedeva di tirarlo fuori da lì, di
riportarlo a casa, di fare qualcosa per lui. Nel frattempo, mi accorgo che era stato anche privato del suo telefono
cellulare – smarrito? Nessuno ha saputo dirmi niente, del resto io «non ero nessuno». Decido così di rivolgermi alla
magistratura, chiedendo un provvedimento d’urgenza per avere un permesso di visita al mio compagno di una vita. Il
tribunale mi fissa un’udienza, durante la quale scopro che la figlia aveva chiesto l’amministrazione di sostegno, si era
costituita in giudizio e si opponeva al mio diritto di visita. Bruno, strappato all’affetto e alle cure di una donna che
amava, veniva quindi consegnato a un soggetto di fatto al di fuori del suo quotidiano, che si è intromesso con
violenza nella nostra vita privata. Ottengo dal tribunale il permesso provvisorio – è solo grazie a questo infatti che
tuttora, dopo più di un anno, riesco a fargli visita. Poiché non ero in grado né di farlo tornare a casa, né di farlo
uscire temporaneamente dalla struttura, essendo del tutto inutile interfacciarmi con sua figlia in qualità di
amministratore di sostegno, mi sono invece rivolta al Giudice Tutelare per tentare almeno di farlo uscire per qualche
ora per andare a mangiare un gelato: permesso che dopo cinque mesi mi è stato negato senza alcuna spiegazione.
Attendo la conclusione della vicenda giudiziaria, ma so per certo che Bruno non tornerà più a casa. Non solo non ha
recuperato le capacità motorie – basti pensare che è entrato sulle sue gambe ed è ora costretto su una sedia a rotelle
– ma lo vedo spegnersi di giorno in giorno, lontano da quello che era il suo mondo.

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SERVE UNA LEGGE CHE TUTELI I PIU' DEBOLI?
A CURA DI ROSANNA FAVULLI
ESPERTA DI POLIS E COMUNICAZIONE
Si è parlato tanto di Carlo Grimaldi che attraverso una trasmissione televisiva ha urlato la sua “voglia di libertà”
nonostante gli anni; adesso si trova in una RSA, ha sempre voglia di tornare a casa ma integrato partecipa alle
attività di laboratorio del legno e scrive libri.
Si è parlato anche di Lando Buzzanca, noto attore e cantante italiano, morto a fine dicembre ed anche lui
ricoverato in una RSA.
Che cosa accomuna Carlo e Lando? La Legge 06/2004 che ha introdotto nel codice civile l’istituto
dell’amministrazione di sostegno, identificando una specifica figura che, nominata dal tribunale, ha il compito di
tutelare le persone che perdono in parte o del tutto la loro autonomia.
L’amministratore di sostegno dovrebbe avere una giusta formazione, non solo tecnica ma soprattutto emotiva,
dovrebbe tener conto oltre che dei disturbi cognitivi anche di quelli relazionali e dovrebbe trovare una giusta e
adeguata soluzione per consentire una qualità della vita degna di essere chiamata tale.
Non sempre succede e, come spesso accade, “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”.
Sono gli interessi economici a creare conflitti e litigi tra i soggetti coinvolti che gravitano intorno alla persona
“tutelata”. Quasi mai si tiene conto delle desiderate e dello stato emotivo della persona. Non si ascolta a si decide
in autonomia.
Eppure il legislatore aveva in realtà pensato a una legge che trovasse soluzioni e non problemi, più snella di
quella prevista per la tutela legale. Quando mi chiesero di fare il tutore per una persona con problemi cognitivi,
dissi di no. Non potevo assumermi una responsabilità così grande. Presso un istituto che ospitava persone con
gravi disabilità psico-fisiche feci ugualmente un corso, cercai di capire i motivi della richiesta, riconobbi un
bisogno, non solo legale, di persone che richiedevano un aiuto, di prendere delle scelte e gestire il loro
quotidiano attraverso una figura di riferimento che gli “stesse vicino”. Accettai la proposta e da ormai più di
vent’anni prendo con me qualcuno a cui serve affianco una persona che prenda decisioni per lui o lei.
Oggi si chiama Francesco (nome inventato), è cieco muto con molte altre patologie, ha più o meno la mia età ma è
il “mio” bambino. Quando posso andare a trovarlo, con la pandemia si sono diradati gli incontri, riconosce il
rumore della mia macchina e inizia a ballare agitando le mani come se stesse guidando, un segnale evidente che
vuole andare a spasso. È sereno, definisco le sue attività ogni anno, acconsento a terapie e interventi educativi.
Ama ballare e andare in piscina e così ne autorizzo la spesa e aspetto le foto e i video che le operatrici
dell’Istituto m’inviano, una grande emozione quando mi saluta e mi manda i baci.

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Mi prendo cura di lui, ed è quello che ogni amministratore di sostegno dovrebbe fare: agire con la massima
cura e il massimo rispetto nei confronti del beneficiario.
Molte le esperienze che conosco, fatta da volontari ed enti del Terzo Settore, che agiscono così ogni giorno,
gratuitamente, solo per prendersi cura. “E’ uguale per tutti, prendersi cura è l’opposto della cultura dello
scarto” dice Papa Francesco.
Ricordo, in sintesi, che la Legge prevede:
·Attenzione alla persona e non solo alla tutela del suo patrimonio.
·Attenzione all’autonomia del beneficiario.
·Personalizzazione dell’intervento di sostegno.
·Estensione degli ambiti di applicazione.
·Valorizzazione del ruolo dei volontari.
·Promozione di una rete di supporto al beneficiario
Ed è proprio per questo che anziché abolire la Legge, servirebbe applicarla con una maggiore attenzione a
quello che prevede. Servirebbe creare una rete tra i soggetti pubblici e privati coinvolti nell’esercizio
dell’istituto, promuovere la formazione delle persone che si rendono disponibili a svolgere il ruolo di
amministratore e creare un elenco di amministratori dal quale il giudice tutelare possa attingere per le
nomine. Per i tanti Francesco, Maria, Alberto, Mirella che altrimenti sarebbero realmente incapaci di decidere
il loro ben-essere.

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FINE PENA MAI
"STORIA VERA RACCONTATA CON PSEUDONIMO PER TUTELARE LEGALMENTE I PROTAGONISTI"
Mi chiamo Carlotta, sono di Roma e ho 66 anni.

Non so nemmeno se il mio compagna di vita dal 2009, sia vivo o morto. Aldo soffriva di una demenza assolutamente
gestibile a domicilio, invece sua figlia a maggio– di nascosto da me - l’ha ricoverato, contro la sua volontà, in una
struttura per anziani privata. Appena entrato, la figlia gli ha sequestrato il cellulare, quello da cui era riuscito a
mandarmi un messaggio di aiuto. Da allora impossibile sentirlo, vederlo. Divieto valido anche per tutti i nostri amici.
La nostra unione, dopo un lungo iter avviato prima della sua scomparsa, è diventata legale a giugno: siamo coppia di
fatto in base alla legge Cirinnà, lui è nel mio stato di famiglia.
Con questi certificati mi sono presentata a luglio alla struttura di Roma dov’era ricoverato, dopo aver finalmente
scoperto quale fosse. I gestori mi hanno aggredito al grido di “criminale, ti facciamo carcerare a vita”. Sono finita
all’ospedale con un dito fratturato e contusioni multiple solo perché avevo chiesto di poter vedere il mio compagno
legale. La figlia, diventata a mia insaputa a fine maggio amministratrice di sostegno del padre, aveva dato l’ordine di
cacciarmi.
Questa struttura ha impedito ad agostol’accesso anche al Garante dei diritti delle persone private della libertà, che ha
quindi chiesto immediate ispezioni ad Asl e Municipio. In seguito a questi controlli è risultata fitta di irregolarità,
senza nemmeno le cartelle personali dei ricoverati.
A fine agosto, viste le troppe ispezioni, la figlia ha spostato il padre in un’altra struttura privata a me ignota. Poi gli
ha smantellato casa e l’ha affittata.
Da luglio il mio avvocato ha presentato al giudice tutelare ben 10 istanze con la richiesta di vederlo, rimaste tutte
senza risposta.
In seguito a una mia personale richiesta di colloquio, il gt ha fissato un’udienza a fine settembre, esordendo così: “Non
ho letto nulla e non intendo leggere nulla”. Al mio avvocato ha detto: “Se non ritira immediatamente tutte le istanze
non darò mai il permesso di vedere Aldo”. E a me: “Se solo osa parlare o scrivere di questa storia non le farò mai più
vedere in vita sua Aldo”.
Ho ottenuto un solo incontro, dopo pochi giorni, a casa della figlia, integralmente filmato su ordine del Gt, come se
fossi una criminale.

Ho ritrovato un uomo distrutto nella mente e nel corpo, incapace anche di camminare e dimagrito paurosamente. Lo
sguardo assente, perso, annientato, ha parlato di “ospedale, gente orribile, dolore”.
Da allora – e sono passati cinque mesi – più nulla. Il Gt continua a non rispondere e lui continua –sempre che sia
ancora vivo - a pagarsi la sua morte fra estranei a 2000 euro al mese.

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DOV’ERA DIO … O PIUTTOSTO,
DOV’ERA L’UOMO?
A CURA DI: ARCH. GIANCARLO GRANO
1. Una domanda di senso che attraversa i secoli
Davanti ad eventi devastanti come terremoti, pandemie e calamità naturali che provocano distru-zioni e
afflizioni indicibili molti si chiedono “dov’era Dio?”. Voltaire, dopo lo spaventoso terremoto di Lisbona che il 1°
novembre 1755 distrusse la capitale lusitana uccidendo quasi metà della popola-zione, scrisse amaramente
“Direste voi che questo è l’effetto delle leggi eterne che rendono necessaria la scelta di un Dio libero e buono? …
Lisbona è distrutta, ma a Parigi si balla”.
Ma se Lisbona rappresenta i disastri che la natura compie ai danni dell’uomo, Auschwitz, pone un interrogativo
ancor più radicale. Elie Wiesel, ebreo ortodosso sopravvissuto alla shoah nel suo libro ‘La notte’ si domanda:
“Sia benedetto il nome di Dio? Ma perché io avrei dovuto benedirlo? Ogni fibra di me si ribellava. Perché Egli
aveva condannato migliaia di bambini a bruciare nelle Sue fosse comuni? Perché aveva continuato a far
funzionare sei forni crematori giorno e notte, inclusi lo Shabbat e i giorni santi?”.
Come conciliare simili tragedie, con la realtà di un Dio buono, onnipotente e provvidente? E perché gli
incolpevoli, e soprattutto i bambini innocenti, devono ingiustamente patire come vittime sacrificali? Sono
interrogativi angoscianti che accompagnano da sempre la storia dell’uomo e pongono a dura prova la riflessione,
specialmente dei credenti. Dando forma e voce ai suoi dubbi attraverso la figura letteraria di Ivan Karamazov,
Fedor Dostoevskij intravede l’argomento “incontrovertibile” dell’ateismo e del nichilismo proprio nell’ingiusta
sofferenza dei bambini …
Alla domanda “dov’era Dio mentre milioni di innocenti ebrei venivano sterminati?” Jürgen Molt-mann, uno dei
massimi teologi del nostro tempo, ha potuto dare risposta solo alla luce della fede: “Dio abitava con il suo
popolo, condivideva il suo dramma!”. Egli propone dunque un Dio che nel Figlio accetta volontariamente la
sofferenza umana e la condivide attraverso la croce ... Tuttavia, anche senza entrare nel merito di una così
delicata questione filosofica e teologica, forse è il caso di rovesciare laicamente la domanda per chiederci
piuttosto “dov’era l’uomo?”. In che modo, cioè, l’uomo esercita la sua responsabilità di tutela verso il fratello?
Come interpreta la sua custodia del creato? In che misura le sue azioni, decisioni e omissioni sono causa dei
guasti di questo pianeta e di questa società?
Tentando una riposta a questo secondo quesito forse scopriremo che tante situazioni di sofferenza si spiegano
semplicemente con l’irresponsabile assenza dell’uomo e sapremmo cogliere il nesso strettissimo tra la mancata
difesa dalle cosiddette calamità naturali e le lacerazioni provocate dalle guerre. E tanto basterebbe a spiegare
che davvero il più delle volte dovremmo chiamare in causa l’assenza dell’uomo, non quella di Dio!

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2. I casi del terremoto in Turchia e Siria e della guerra in Ucraina
La domanda torna attuale, ad esempio, davanti alla tragedia umana e sociale del terremoto che ha sconquassato vaste
regioni della Turchia e della Siria, provocando più di 50.000 morti, o alla guerra in Ucraina che dagli esordi del 2014
(colpevolmente trascurati dalla diplomazia internazionale) fino alla tragica accelerazione dell’ultimo anno, ha fatto
contare un numero altrettanto alto di morti. In campo sismico si conosce con esattezza la mappa dei siti che in tutto
il mondo sono più a rischio, ed è ben nota la situazione geologica della penisola anatolica. Eppure in questa regione,
come in tante altre zone del pianeta, viene del tutto disattesa la necessità di migliorare la sicurezza delle costruzioni
rinunciando a una missione, sia tecnica che politica, di estrema rilevanza. Tutte le facoltà di ingegneria conoscono le
modalità costruttive, sia tradizionali che innovative, disponibili per realizzare interventi di miglioramento ed
adeguamento sismico dei fabbricati. Si tratta di interventi basati sull’incremento della resistenza di un edificio,
calibrando le rigidezze ai fini della regolarizzazione della struttura, o migliorando la sua duttilità con l’introduzione
ad esempio di dispositivi di dissipazione energetica di vario tipo.
Le ricerche e i risultati raggiunti in questo campo dimostrano che in caso di costruzioni carenti dal punto di vista
sismico è possibile raggiungere accettabili livelli di sicurezza, fino al 70% di quelli di una struttura nuova ... Eppure
queste acquisizioni vengono costantemente messe da parte, pur di seguire mire espansionistiche (è il caso della
Turchia), o di tentare di arginare un’estenuante e sanguinosa guerra civile (è il caso della Siria), accettando così il
rischio di terremoti dagli effetti devastanti.
Si dirà che, a fronte della scarsità di risorse, non è possibile assicurare la protezione delle popola-zioni da ogni
genere di calamità naturali e allo stesso tempo garantire la sicurezza militare, ma re-sta l’amara constatazione che
per attizzare guerre e per perpetuare interminabili ostilità, i soldi si trovano sempre. Nel caso della Siria i primi sette
anni di conflitto, dal 2010 al 2017, sono costati all'economia del Paese 226 miliardi di dollari (fonte Banca mondiale),
con il sacrificio solo in quegli stessi anni di 320 mila persone e l’esodo di almeno metà della popolazione dalle città
d’origine! La Turchia nel frattempo ha scelto di consolidare quello che è il secondo più grande esercito della Nato
dopo quello degli Stati Uniti, e l’ottavo esercito del mondo, stanziando circa 19 miliardi di dollari ogni anno ... Il
problema quindi non risiede tanto nella scarsità delle risorse, ma nella volontà politica dell’uomo!
3. Uno sguardo in casa nostra
Ma facciamo il caso del nostro paese, ciclicamente colpito da terremoti rovinosi. Secondo la classificazione dei
comuni italiani, elaborata dalla Protezione Civile nel marzo 2015, oltre il 44 % del nostro territorio è esposto a rischio
sismico elevato, pari al 36% dei comuni italiani e il 60 % degli edifici è stato costruito prima dell’entrata in vigore
delle norme antisismiche sulle nuove costruzioni (1974). Nelle aree a più elevato rischio risiedono 22,2 milioni di
persone, e si trovano oltre 6,1 milioni di edifici, di cui quasi 1 milione ad uso produttivo … In altri termini almeno un
immobile su tre andrebbe urgentemente adeguato. Secondo Mauro Dolce, un’autorità in questo campo, l’adeguamento
sismico degli edifici pubblici necessiterebbe di una cifra dell’ordine di 50 miliardi. A essa andrebbe aggiunta la
somma per sistemare gli edifici privati esistenti, con interventi che possono andare a seconda dei casi dai 300 agli
800 euro per metro quadrato. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, basandosi sui dati Istat, Cresme e Protezione
Civile, ha da poco valutato in circa 30 miliardi di euro la cifra necessaria a mettere in sicurezza gli edifici nelle zone a
elevato rischio sismico e ha stimato che il fabbisogno di altri 70 miliardi per migliorare dal punto di vista sismico
tutto il patrimonio abitativo degli italiani. Sembrerebbe a prima vista un fabbisogno sproporzionato e troppo elevato
per le possibilità di un bilancio che crediamo troppo stringato. Eppure il non trascurabile coacervo di tutta la spesa
pubblica italiana (che per la prima volta nell’anno 2022 ha superato la quota dei mille miliardi di euro!) consentirebbe
comunque di porre mano a una mirata e graduale programmazione pluriennale di azioni sul patrimonio edilizio, sia
pubblico che privato, attraverso misure finalmente strutturali e non episodiche (come quelle che vanno sotto il nome
di sismabonus), rendendo antisismico, entro poco più di un ventennio, tutto o quasi, il nostro patrimonio edilizio.
Per contro nel nostro Paese continua la tendenza alla crescita della spesa militare. Nel 2022 essa ha sfiorato i 26
miliardi di euro e nel 2023 è stato previsto un nuovo complessivo incremento di oltre 800 milioni di euro (effetto
Ucraina?) come si ricava dai report dell’Osservatorio Milex. In conclusione gli effetti di terremoti devastanti e le
conseguenze di perduranti conflitti armati che stanno provocando lutti e distruzione fin dentro il cuore della nostra
Europa, solo apparentemente sono tra loro slegati. Sia in un caso che nell’altro essi hanno a che fare con le decisioni
politiche e con le scelte di allocazione delle risorse di cui l’uomo dispone. Invece di chiamare a correità un Dio e di
cui imprechiamo l’assenza, faremmo bene a riflettere sulla prima domanda che il Creatore ha rivolto all’uomo “Dov’è
tuo fratello?” … È tempo di accendere una luce sulla nostra incapacità di prevenire disastri naturali e di evitare il
riarmo che aumenta prelude a sempre nuovi conflitti armati. Continuando in tutto il mondo a comprimere i bilanci
per la protezione civile, e incrementando invece la spesa per eserciti e arsenali militari, inevitabilmente finiremo per
contare sempre più vittime, sia per l’una che per l’altra causa.

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È UN'IDEA EDITORIALE REALIZZATA DA MIRKO DE CARLI EDIZIONI
CON LA DIREZIONE DI MASSIMILIANO ESPOSITO
F M A G A Z I N E S I O C C U P A P R I N C I P A L M E
N T E D I R A C C O N T A R E S T O R I E , V I T A E
CREATIVITÀ DELLE NUMEROSE "OPERE" DEL TERZO SETTORE ITALIANO ED
EUROPEO AL FINE DI INNESCARE MECCANISMI VIRTUOSI CAPACI DI "FARE RETE"
NEL VARIEGATO MONDO DEL VOLONTARIATO SOCIALE. CON RUBRICHE PERIODICI,
APPROFONDIMENTI CON ESPERTI E REPORTAGE DIRETTAMENTE RACCOLTI DAL
VIVO F MAGAZINE RAPPRESENTA UN UNICUM NELL'EDITORIA DEL COSIDDETTO
PRIVATO SOCIALE: UNA VOCE DEI COSIDDETTI "SENZA POTERE" DEL TERZO
SETTORE CHE SONO, PER TESTIMONIANZA E NON PER FATTURATO, L'ANIMA DI
QUEL WELFARE SOCIETY CHE OGNI ANNO CRESCE SEMPRE PIÙ

REDAZIONEFEAV@GMAIL.COM

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