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Pietro Spataro - L’età adulta e l’invecchiamento

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1. L’ATTACCAMENTO ADULTO E LA FELICITÀ CONIUGALE ...................................................................... 3


2. TROVARE SODDISFAZIONE NEL LAVORO .............................................................................................. 6
3. CAMBIAMENTI COGNITIVI ASSOCIATI ALL’INVECCHIAMENTO .......................................................... 8
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 11

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1. L’attaccamento adulto e la felicità coniugale

Secondo Erikson (1963), la capacità di stabilire relazioni basate sull’intimità e sulla cura degli

altri, e la capacità di trarre soddisfazione dal proprio lavoro sono i principali compiti che la persona

deve affrontare durante le fasi iniziali e intermedie della vita adulta.

La nostra è una specie romantica: l’esperienza dell’innamoramento è stata descritta in

tutte le culture di cui si abbia notizia (Fisher, 2004), e, anche se amore e matrimonio non vanno

sempre insieme, nella maggior parte di esse gli adulti in età riproduttiva stabiliscono unioni durature

sancite dalla legge o dalle tradizioni sociali in cui i due partner si promettono, esplicitamente o

implicitamente, di prendersi cura l’uno dell’altro e dell’eventuale prole che risulterà dalla loro

unione (Rodseth et al., 1991). In questo senso, molte ricerche hanno cercato di esaminare gli

elementi psicologici sottostanti all’amore romantico e ad un matrimonio felice.

Ciò che è emerso con forza da tali studi è il fatto che l’amore romantico è simile nella forma

e nei meccanismi all’attaccamento che i bambini piccoli sviluppano verso i genitori (Hazan &

Shaver, 1994). Entrambe le relazioni si basano sul contatto fisico, sulle carezze, sul fissarsi

intensamente negli occhi, e sull’uso di un linguaggio infantile e affettuoso. Quando la relazione

funziona bene, tra i partner prevale un sentimento di reciproca fusione e di esclusività – ovvero, la

sensazione che la persona amata sia insostituibile. I due partner si sentono sicuri e fiduciosi quando

stanno insieme, e la separazione può causare segni fisiologici di sofferenza (Feeney & Kirkpatrick,

1996). In effetti, in molti casi il legame rivela tutta la sua forza solo dopo la separazione, il divorzio o

la morte di uno dei due partner. In tal caso, si osservano spesso gravi stati di ansia e depressione,

associati a sentimenti di solitudine e vuoto affettivo (Stroebe et al., 1996).

Analogamente a quanto avviene nella prima infanzia, anche nelle relazioni amorose

dell’età adulta lo stile di attaccamento viene classificato come sicuro (caratterizzato da un senso

di fiducia e benessere), ansioso (caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione sull’essere o

meno amati), o evitante (caratterizzato da scarse espressioni di intimità o sentimenti di

ambivalenza affettiva). I risultati di numerose ricerche indicano che esiste continuità tra la qualità

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dell’attaccamento nella relazione amorosa e quella che, nel ricordo dei soggetti, caratterizzava la

loro relazione con i genitori nella prima infanzia: le persone che ricordano come calda e sicura la

relazione con i genitori descrivono in termini simili anche la relazione amorosa; analogamente,

coloro che ricordano la relazione con i genitori come caratterizzata da ansia e ambiguità tendono

a descrivere in modo simile anche la relazione che vivono da adulti (Fraley, 2002). Nel complesso,

questi dati confermano l’ipotesi proposta da Bowlby, secondo cui le persone si formano modelli

mentali delle relazioni intime basate sulle esperienze vissute con i caregiver nella prima infanzia e in

seguito trasferiscono tali modelli alle relazioni che stabiliscono durante l’età adulta.

L’unione e la relazione amorosa tra due partner adulti non è sempre coronata da buon

esito. Nel Nord America, circa la metà dei matrimoni finisce in un divorzio, e una buona parte dei

matrimoni che non finiscono nel divorzio sono comunque infelici. Molti psicologi hanno tentato di

esaminare i fattori che differenziano i matrimoni che funzionano da quelli che finiscono male. In

generale, ciò che è stato riportato con frequenza è che i membri delle coppie felici affermano di

piacersi a vicenda e descrivono l’altro non solo come il proprio marito o la propria moglie, ma

anche come il miglior amico e confidente (Buehlman et al., 1992). Nel descrivere le proprie attività,

questi partner usano il pronome ‘noi’ più spesso del pronome ‘io’ e attribuiscono più valore alla

reciproca interdipendenza che all’indipendenza individuale (Lauer & Lauer, 1985). Entrambi i

coniugi affermano di aver riversato un notevole impegno nel matrimonio e di essere disposti a

sopportare delle rinunce, pur di far sopravvivere il rapporto alle difficoltà.

Divergenze e discussioni sembrano essere ugualmente frequenti sia nelle coppie infelici che

in quelle felici: tuttavia, in quest’ultimo caso sono condotte in modo più costruttivo (Gottman,

1994). I partner delle coppie felici si ascoltano e prestano attenzione al punto di vista dell’altro: essi

concentrano gli sforzi sul mettere a fuoco il problema, anziché sul voler ‘vincere’ o sul dimostrare

che l’altro è in errore. Inoltre, evitano di rinfacciarsi torti o offese subite in passato che non hanno

alcuna attinenza con il problema attuale. In questo modo, il conflitto diventa un elemento in grado

di avvicinare ulteriormente i due coniugi, in quanto essi riescono a risolvere il problema e a darsi

conforto a vicenda (Murray et al., 2003).

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Nelle coppie felici, entrambi i partner sono sensibili ai sentimenti e ai bisogni dell’altro,

anche se inespressi (Mirgain & Cordova, 2007). Al contrario, nelle coppie infleici si registra spesso

un’asimmetria: la moglie percepisce i bisogni del marito e cerca di soddisfarli, mentre non avviene

lo stesso da parte del marito (Gottman, 1994, 1998). Questo aspetto non è tuttavia esclusivo della

relazione amorosa: infatti, gli studi hanno evidenziato come, in tutti i tipi di relazioni, le donne sono

in media più capaci dei maschi di prestare attenzione e capire le emozioni e i bisogni del partner

(Thomas & Fletcher, 2003).

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2. Trovare soddisfazione nel lavoro

Il lavoro occupa una porzione enorme della vita adulta ed è il primo mezzo per

guadagnarsi da vivere. In alcuni casi il lavoro è noioso e ripetitivo, mentre in altri casi esso è

eccitante e uno stimolo per l’intelligenza. Nel complesso, gli studi condotti in questo ambito

indicano che le persone sono soddisfatte del proprio lavoro se esso è: (a) complesso piuttosto che

semplice; (b) vario piuttosto che ripetitivo; (c) non sottoposto a rigido controllo da parte di altri.

Questa costellazione di caratteristiche desiderabili è stata denominata autogestione del lavoro dal

sociologo Kohn (1980). I dati relativi alla salute mentale e fisica dei lavoratori suggeriscono che gli

impieghi in cui bisogna compiere molte scelte e prendere decisioni autonome sono in genere

meno stressanti rispetto a quelli in cui la persona deve compiere meno scelte ed è sottoposto ad

un controllo rigido, anche quando i primi implicano un maggior impegno intellettivo (Spector,

2002).

In uno studio a lungo termine condotto negli USA e in Polonia, Kohn e Slomczynski (1990)

hanno trovato che le persone che passavano da un lavoro con un basso livello di autogestione ad

uno in cui tale livello era alto manifestavano importanti cambiamenti psicologici. Queste persone

diventavano più flessibili intellettualmente, non soltanto sul lavoro ma anche nell’approccio verso

tutti gli altri aspetti della vita. Esse diventavano meno autoritarie e più democratiche

nell’educazione dei figli: davano meno importanza all’obbedienza e ne attribuivano molta di più

alla capacità dei figli di prendere decisioni indipendenti. A loro volta, i figli di queste persone

dimostravano di essere più capaci di gestirsi autonomamente ed erano meno conformisti rispetto

ai figli di persone che godevano di una minore autonomia sul lavoro. È importante sottolineare che

questi effetti si verificavano indipendentemente dal livello di retribuzione e prestigio sociale del

lavoro: in generale, i lavori manuali comportavano un grado di autogestione inferiore rispetto ai

lavori intellettuali; tuttavia, quando queste caratteristiche erano presenti, gli effetti psicologici

erano molto simili.

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Oggi, molte donne svolgono un doppio lavoro: uno fuori casa e uno tra le mura

domestiche. Inoltre, sebbene gli uomini dedichino più tempo ai lavori di casa e alla cura dei figli di

quanto non facessero in passato, le donne hanno ancora un ruolo preponderante in questi compiti

(Barnett & Hyde, 2001). A differenza di quanto potrebbero suggerire i classici stereotipi maschili e

femminili, alcune ricerche indicano che le donne sposate traggono maggiore soddisfazione dal

lavoro fuori casa, mentre per gli uomini è vero il contrario (essi traggono più soddisfazione dal

lavoro casalingo). Larson et al. (1994), in particolare, chiesero ad un campione di persone sposate

di portare con sé un cercapersone mentre svolgevano le normali attività quotidiane. Ogni volta

che il cercapersone squillava (in momenti scelti a caso), i partecipanti dovevano riportare su una

scheda ciò che stavano facendo e il loro stato emotivo. I risultati evidenziarono che, in media, le

donne si sentivano più contente quando erano al lavoro fuori casa, mentre gli uomini lo erano di

più quando si occupavano delle faccende domestiche. In altre parole, quando erano a casa a

fare la lavatrice o a passare l’aspirapolvere, gli uomini dichiaravano di stare bene, mentre le

donne dichiaravano di essere annoiate o arrabbiate.

Larson e colleghi (1994) hanno proposto che queste differenze potrebbero derivare dalla

diversa percezione che uomini e donne hanno dei propri doveri e delle proprie scelte. Secondo

questa ipotesi, gli uomini traggono più soddisfazione dai lavori domestici in quanto non li

considerano come un obbligo, ma piuttosto come un’attività liberamente scelta; invece, essi

vivono il lavoro fuori casa come un dovere, in quanto si sentono obbligati a mantenere la famiglia.

Per le donne sembra valere esattamente il contrario: esse considerano le faccende domestiche

come un dovere, mentre sono più propense a ritenere che il lavoro fuori casa rappresenti una loro

scelta autonoma. In sintesi, quindi, gli uomini si sentono ‘schiavi’ del lavoro e tornano a casa per

rilassarsi, mentre le donne si sentono ‘schiave’ a casa e ne escono per rilassarsi.

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3. Cambiamenti cognitivi associati all’invecchiamento

Secondo le ultime stime pubblicate dall’Istat, ad oggi gli over 65 rappresentano un quarto

della popolazione italiana, ma già nel 2050 diventeranno più di un terzo, vale a dire 20 milioni di

persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni. Considerando questo rapido incremento, il

fatto che molte ricerche psicologiche abbiano avuto come scopo quello di caratterizzare i

cambiamenti cognitivi che caratterizzano il passaggio dall’età adulta alla vecchiaia non è certo

sorprendente.

Molti giovani hanno paura d’invecchiare, in quanto questa fase della vita è

innegabilmente associata a molte perdite: si perde parte della forza fisica, della memoria, e delle

abilità cognitive in generale; si possono perdere i ruoli sociali associati al lavoro, e infine si possono

perdere le persone amate che muoiono prima di noi. Tuttavia, se si domanda a persone anziane

com’è la vecchiaia, vi diranno che non è poi così terribile come sembra. In una ricerca gli studiosi

chiesero a giovani adulti di quantificare con un punteggio la soddisfazione di cui, secondo le loro

aspettative, avrebbero goduto nella vecchiaia. I risultati furono che i punteggi forniti dai giovani

risultarono molto più bassi rispetto a quelli forniti da un gruppo di anziani in merito alla loro attuale

soddisfazione (Borges & Dutton, 1976). Più in generale, diverse ricerche hanno confermato che le

persone anziane riferiscono di godersi la vita più spesso rispetto a quanto non facciano gli adulti, e

gli adulti più spesso rispetto a quanto non facciano i giovani (Sheldon & Kasser, 2001).

Questo risultato costituisce il cosiddetto ‘paradosso dell’invecchiamento’: la soddisfazione

soggettiva aumenta, anche se dal punto di vista oggettivo la qualità della vita diminuisce. La

teoria della selettività socioemotiva (Cartensen, 1992) cerca di spiegare perché nelle persone

anziane il piacere di vivere si mantenga inalterato, o addirittura aumenti, nonostante le perdite.

Questa teoria sostiene che, man mano che le persone invecchiano, si concentrano di più sul

godere il momento presente e sempre meno su attività proiettate verso il futuro. I giovani sono

motivati ad esplorare nuove strade, a conoscere nuove persone, e ad acquisire nuove abilità e

conoscenze che possono rivelarsi utili in futuro. Al contrario, le persone anziane, e in generale le

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persone che hanno una aspettativa di vita inferiore (ad esempio, i pazienti che soffrono di malattie

incurabili: Cartensen & Fredrickson, 1998), sono meno disposte a sacrificare abitudini, comodità e

piaceri presenti per andare alla ricerca di possibili vantaggi futuri.

Questa ipotesi può aiutare a spiegare molti dei cambiamenti che si verificano durante la

vecchiaia. Le persone anziane dedicano sempre meno attenzione alle conoscenze occasionali, e

sempre di più alle persone con cui hanno già sviluppato stretti legami emotivi: in particolare, i

rapporti con i figli, i nipoti e i vecchi amici diventano più forti e più importanti (Lockenhoff &

Carstensen, 2004). Nelle coppie sposate, si verifica un aumento dell’intimità, in quanto marito e

moglie diventano entrambi più interessati a godere della reciproca compagnia, piuttosto che a

tentare di correggersi e/o dominarsi a vicenda (Henry et al., 2007; Levenson et al., 1993). Infine, le

persone che continuano a lavorare da anziane riferiscono di trarre da esso più soddisfazione, in

quanto danno meno importanza alla corsa al successo e al fare buona impressione sugli altri.

Almeno una parte di questo aumento nella soddisfazione personale sembra essere

collegato a cambiamenti nei processi cognitivi che sottendono l’attenzione e la memoria. Infatti,

Carstensen e colleghi hanno dimostrato in vari studi che le persone anziane concentrano

l’attenzione e ricordano maggiormente gli stimoli positivi piuttosto che quelli neutri o negativi. In un

esperimento, i ricercatori mostrarono ad adulti giovani (18-29 anni), di mezza età (41-53 anni) o

anziani (65-80 anni) una serie di immagini che rappresentavano scene positive, negative o neutre;

in seguito, i partecipanti dovevano richiamare tali immagini alla memoria e descriverle

brevemente (Charles et al., 2003). Come illustrato nella Figura 1, i risultati dimostrarono che gli

anziani ricordavano meno immagini rispetto ai giovani: tuttavia, il declino riguardava le scene

negative più di quelle neutre e positive. La conseguenza di questa differenza era che gli anziani

ricordavano le immagini positive meglio di quelle neutre o negative, mentre i giovani e gli adulti di

mezza età ricordavano sia le immagini negative che quelle positive meglio di quelle neutre.

Quindi, la selettività dell’attenzione e della memoria potrebbe essere un mezzo con cui gli anziani

regolano le emozioni orientandole in senso positivo.

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Figura 1. Risultati dello studio di Charles et al. (2003) sul ricordo di immagini negative, neutre e positive

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Bibliografia

• Schacter, D. L., Gilbert, D. T., & Wegner, D. M. (2014). Psicologia generale.

Bologna: Zanichelli.

• Gray, P. (2012). Psicologia. Bologna: Zanichelli.

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