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Giuseppe Godino - Il conflitto nei gruppi

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1. IL CONFLITTO: INTRODUZIONE ................................................................................................................ 3


2. GLI AMBITI DEL CONFLITTO ..................................................................................................................... 5
3. I LIVELLI DI CONFLITTO ............................................................................................................................ 8
4. LE TIPOLOGIE DI CONFLITTO ................................................................................................................. 12
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 15

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1. Il conflitto: introduzione

Il conflitto viene definito come lo stato di tensione che una persona ha, nel momento in cui

riscontra bisogni, desideri, impulsi e motivazioni contrastanti. La tensione nasce a causa di forze

contrapposte che indirizzano la persona a prendere una decisione piuttosto che un’altra.

Questa definizione cerca di descrivere e delineare un tipo di conflitto: quello intrapersonale.

Il conflitto interpersonale, invece, si può definire come un evento relazionale che si riscontra

in vista di interessi, obiettivi, bisogni e punti di vista diversi tra due o più persone.

Infine, possiamo anche estendere la tipologia dei conflitti ad un terzo e quarto tipo, cioè

quello intragruppo e intergruppi, in cui conflitto avviene rispettivamente tra membri del gruppo e

tra diversi gruppi.

Tutti i conflitti hanno delle cause che possono essere associate a svariati fattori, individuali o

situazionali. Di seguito vengono elencate le cause più frequenti:

• valori e atteggiamenti

• opinioni su questioni etiche

• personalità differenti

• lotte per il potere

• risorse scarse e limitate

• comunicazioni disfunzionali

• differenze di bilancio

• divergenze di interesse

• percezione e giudizi

• grado di interdipendenza

• bisogno di consenso

• ambiguità delle responsabilità

I conflitti sono inevitabili per questo bisogna saperli riconoscere, imparare a gestirli e

mediarli in chiave positiva. È importante vederli come un’espressione di diversità, un momento di

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crescita, sia nostro che del gruppo, e come una possibilità di migliorare le relazioni piuttosto che

come problema negativo.

Una delle regole peculiari è ricordarsi che da un conflitto risolto non devono uscire né vinti

né vincitori, ma persone soddisfatte di aver trovato un punto di incontro.

Alcune semplici linee guide, come quelle riportate sotto, risultano d’aiuto per preservare le

relazioni con gli altri evitando inutili malintesi:

• guardare gli interessi e non le posizioni

• dividere le persone dal problema

• la soluzione deve essere accettabile per tutti

• non esiste solo la nostra “soluzione”

• non imporre la decisione con il nostro potere

• la decisione deve essere condivisa ed accettata almeno dalla maggioranza

«Le definizioni di conflitto sono molteplici, ma è comune a tutte l’idea che il conflitto sia una

percezione» (Pearson,2016),

Tutta la sequenza di eventi che va dallo stimolo, attraverso la sensazione fino ad avvertire la

conoscenza e l’interazione con la realtà interna ed esterna all’organismo «come un processo che

si innesca quando una delle parti percepisce che l’altra parte sta minacciando, o è sul punto di

minacciare, qualcosa per cui la prima parte nutre interesse».

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2. Gli ambiti del conflitto

“Il conflitto è quella situazione che si determina tutte le volte che su un individuo agiscono

contemporaneamente due forze psichiche di intensità più o meno uguale, ma di opposta

direzione” (Kurt Levin).

In una fredda serata due porcospini decidono di riscaldarsi stringendosi il più possibile uno

contro l’altro, ma si accorgono ben presto di pungersi con gli aculei. Allora si allontanano,

tornando però a sentir freddo. Dopo tante faticose prove, i due porcospini riescono a trovare la

giusta posizione che permette loro di scaldarsi senza pungersi troppo.

La discussione, il confronto costruttivo, anche se acceso, sono le componenti auspicabili di

uno “spogliatoio” unito che cerca soluzioni capaci di far vincere la squadra.

Il concetto di conflitto non deve essere inteso necessariamente con accezione negativa,

infatti, se adeguatamente gestito, esso può essere un’opportunità per migliorare le relazioni

interpersonali. Risulta possibile definire il conflitto, puntando l’attenzione su due differenti fattori:

• oggetto del conflitto;

• luogo in cui esso avviene.

In base all’OGGETTO: si tratta di identificare il tipo di disaccordo, cioè ciò su cui il conflitto

verte. I conflitti possono essere raggruppati in tre macro-categorie:

• di compito: in riferimento al contenuto e agli obiettivi del lavoro;

• di relazione: in merito alle relazioni interpersonali;

• di metodo: in relazione alle modalità con cui il lavoro va svolto.

Conflitti di compito: nei gruppi di alta direzione sono positivamente associati alle loro

prestazioni - a livello operativo, sono negativamente associati alla prestazione del gruppo. Fattore

importante è la preesistenza o il contemporaneo verificarsi di altri attriti. Può strabordare in un

conflitto personale.

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Conflitti di relazione: risultano essere disfunzionali in quanto determinano un aumento degli

scontri e degli attriti e una diminuzione della comprensione reciproca, con ripercussioni sul

completamento dei compiti.

Conflitti di metodo: ruotano sostanzialmente attorno ai ruoli e alle deleghe: si traducono

spesso nel tentativo di sottrarsi ai propri compiti o in comportamenti che finiscono per far sentire

emarginati alcuni membri del gruppo e arrivano ad assumere risvolti personali, determinando

l’evolversi dei conflitti in conflitti di relazione.

Le discussioni portano via tempo all’azione vera e propria; è importantissimo saper

affrontare i conflitti per riuscire a sfuggire da pericolose ripercussioni.

È pertanto necessaria una gestione costruttiva del conflitto cercando di:

• entrare nella logica del “perché è successo”

• sviluppare trattative di negoziazione e non di baratto

• ragionare sui fatti e parlare con i dati, senza farsi guidare da opinioni personali

• tenere sempre presenti le differenze fra le varie proposte, creando punti di contatto tra

esse, senza mettere le ipotesi in concorrenza tra loro, ma in relazione agli obiettivi e al

compito

In base al LUOGO in cui avviene, il conflitto può essere:

• Diadico: conflitto tra due persone

• Intragruppo: conflitto all’interno dello stesso gruppo

• Intergruppo: conflitto tra gruppi o team operativi

Muovendo dalla consapevolezza che squadre e gruppi nascono molto spesso per eseguire

particolari compiti, gli studiosi mostrano generalmente maggiore interesse per i conflitti diadici o

intragruppo.

Affinché un conflitto sul compito intragruppo influenzi la prestazione all’interno della

squadra, è importante che i partecipanti abbiano un clima di supporto in cui gli errori non sono

penalizzanti e in cui ogni soggetto copre le spalle altrui.

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Il conflitto intergruppo sembra inevitabile. Spesso ci si trova in situazioni di concorrenza tra

gruppi. Le persone ai margini del gruppo, di solito sono le più brave a gestire le questioni con

l’esterno, quindi molte volte essere al centro risulta essere svantaggioso per la gestione dei conflitti

intergruppo.

La visione che ci invita ad eliminare il conflitto è poco lungimirante. Riflettere su tipo e luogo

del conflitto permette di capire che è inevitabile confrontarsi nella maggior parte delle circostanze

della vita. Se non è pensabile eliminare il confronto, si deve tentare di renderlo il più possibile

produttivo. Nel paragrafo successivo i concetti sopracitati verranno puntualmente approfonditi.

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3. I livelli di conflitto

Nel contesto organizzativo sono presenti quattro livelli di conflitto:

• intrapersonale (all’interno di un individuo)

• interpersonale (tra individui)

• intra gruppo (all’interno di un gruppo)

• intergruppo (tra gruppi)

Il conflitto intrapersonale si verifica all’interno di una persona; coinvolge di solito obiettivi

contrapposti al livello cognitivo e o affettivo e nasce quando un comportamento determina

risultati che si escludono reciprocamente.

Da ciò si scatenano tensioni interiori e frustrazioni. Cercare di prendere una decisione

creerà uno (o più) delle seguenti tipologie di conflitto intrapersonale:

• conflitto tra due valenze positive: una persona deve scegliere tra due o più alternative,

tutte con risultato atteso positivo (per esempio, una scelta tra due lavori che sembrano

ugualmente interessanti);

• conflitto tra due valenze negative: una persona deve scegliere tra due o più alternative,

tutte con un risultato atteso negativo (per esempio, stipendio relativamente basso o

trasferte lunghe e frequenti);

• conflitto tra una valenza positiva e una negativa: una persona deve prendere una

decisione su una questione che avrà un risultato sia positivo, sia negativo (per esempio,

accettare l’offerta di un buon lavoro in un posto sfavorevole).

Il conflitto interpersonale avviene quando due o più individui percepiscono che i propri

atteggiamenti, comportamenti o obiettivi sono in contrasto.

Si prendano in esame alcune tipologie di questo tipo di conflitto nel contesto aziendale,

dopo un breve richiamo al concetto di ruolo.

Il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo: in ambito lavorativo, il ruolo è l’insieme dei

comportamenti che gli altri si aspettano da una persona inserita in una data posizione. In dettaglio,

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si parla diritto di ruolo quando chi copre il ruolo reagisce con comportamenti che non sono

coerenti con le aspettative che gli altri hanno nei suoi confronti.

Le possibili fonti di questo tipo di conflitto sono quattro:

1. Il conflitto all’interno dell’insieme dei portatori di aspettative: potrebbe verificarsi quando

all’interno del gruppo di coloro i quali disegnano il ruolo, una persona manifesta attese e

pressioni contrastanti rispetto a quelli degli altri.

2. Il conflitto di aspettative: potrebbe verificarsi quando una persona (che fa parte di coloro

che disegnano il ruolo) manda messaggi ed esercita pressioni multiple, incoerenti tra di loro.

3. Il conflitto tra ruoli: potrebbe verificarsi quando le attese di ruolo che gravitano sulla

persona focale per via dell’appartenenza a un gruppo sono incompatibili con quelle che

riceve in virtù della sua appartenenza ad altri gruppi.

4. Il conflitto ruolo persona: potrebbe verificarsi quando le attese di ruolo sono incompatibili

con le attitudini, i valori o la concezione di comportamento accettabile per chi copre il

ruolo. In questi casi, si riscontra anche un conflitto a livello intrapersonale.

L’ambiguità di ruolo consiste, invece, in incertezza che in mancanza di chiarezza su cosa ci

si aspetta da ruolo. La persona “centrale”, cioè, non capisce quali siano le attività e i modelli di

comportamenti attesi da parte di coloro che hanno disegnato il ruolo.

Numerose ricerche dimostrano che una marcata ambiguità di ruolo, analogamente al

conflitto di ruolo, diventa fonte di stress e scatena reazioni di difesa, tra cui:

• comportamenti aggressivi (per esempio conflittualità e comunicazione ostile);

• distacco (che può tradursi in turn over e assenteismo);

• tentativi di risolvere il problema in collaborazione con i portatori di aspettative sul ruolo (è

l’approccio più costruttivo).

Il conflitto intragruppo consiste in divergenze tra alcuni (o tra tutti) i membri di un gruppo al

punto che le dinamiche e la qualità dei risultati del team rischiano di venire compromesse.

Le aziende a gestione familiare possono essere particolarmente soggette a questo tipo di

conflitti. Le divergenze tra i membri della famiglia solitamente si affluiscono nel momento di

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successione, per esempio quando un proprietario-fondatore si avvicina al pensionamento, oppure

muore. Soltanto tre aziende a gestione familiare su 10 passano alla seconda generazione e

solamente una su dieci viene portata avanti anche dalla terza. I più grandi ostacoli alla

successione sono le relazioni tra i proprietari legati dal vincolo familiare. È dimostrato che la rapida

crescita o il crollo di tali aziende dipende in gran parte dal rispetto reciproco della famiglia nel

contesto lavorativo, dalla loro volontà di assumere ruoli diversi da quelli che hanno in casa e dalla

capacità di gestire i conflitti. I rapporti tra fratelli sono tra le relazioni più instabili e complesse e,

all’interno di un’azienda, tale problema è di solito amplificato. I conflitti sono spesso di natura

relazionale e hanno a che fare con le decisioni in merito a chi deve essere a capo dell’impresa, se

debbano prevalere l’ordine di nascita o le competenze, quali posizioni possono e devono essere

occupati da esterni. Ecco perché, non a caso, sono emerse soluzioni tecniche quali i (patti di

famiglia) che, attraverso la presenza di mediatori tecnici, consentono di codificare e di

razionalizzare queste situazioni tipiche, in modo da evitare che siano affrontati solo sul piano

emotivo.

All’interno di aziende più grandi, il conflitto intra gruppo si può realizzare in seno a una

funzione o a una divisione, quando le persone si schierano su due fronti e si vedono portatori di

interessi contrastanti, per esempio in occasione dell’ingresso in un nuovo mercato, oppure in sede

di discussione sui tempi di lancio di un prodotto.

Il conflitto intergruppo consiste nelle divergenze e nelle tensioni che si sviluppano tra gruppi

diversi.

Tali conflitti possono essere intensi, prolungati e molto costosi per le persone coinvolte.

Quando la competizione e il conflitto sono elevati, ciascun gruppo sviluppa atteggiamenti

di sfiducia verso l’altro, rigidità, attenzione solo per i propri interessi personali; si smette così di

ascoltare tutto ciò che giunge dal contesto esterno o dagli altri gruppi ritenuti “nemici”. Il conflitto

intergruppo all’interno di un’azienda può avvenire orizzontalmente, fra team, dipartimenti e

divisioni, oppure verticalmente, tra diversi livelli organizzativi, per esempio fra il top management e i

primi riporti gerarchici, o tra il secondo e il terzo livello di management. In alcune aziende, il

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conflitto di tipo verticale è chiaramente identificabile nelle dispute tra i sindacati e il management

nell’ambito delle contrattazioni collettive.

Si prendano in esame ora quattro delle diverse fonti di conflitto intergruppo.

1. Percezione di incompatibilità degli obiettivi. La percezione e, forse, la reale incompatibilità

degli obiettivi è probabilmente la maggiore fonte di conflitto intergruppo. I potenziali

conflitti tra il marketing e la produzione, per esempio, sono notevoli poiché accade che

alcuni degli obiettivi di queste due funzioni siano effettivamente in contrasto.

2. Percezione di differenziazione. Maggiore è il numero di elementi rispetto ai quali un gruppo

si percepisce diverso dagli altri, più alta è la probabilità che i gruppi entrino in conflitto.

Queste differenziazioni (per esempio le competenze specialistiche, le intuizioni e le persone

provenienti da diverse funzioni e background possono avere) sono-in realtà-punti di forza

dei gruppi ai fini del raggiungimento degli obiettivi. È rischioso quando tali differenze

diventano la fonte di sfiducia e di conflitti tra i gruppi, situazione peraltro facile, visto che la

tendenza umana è di sfidare del “diverso”.

3. Interdipendenza organizzativa. L’interdipendenza deriva dal fatto che per il

raggiungimento dei propri obiettivi, due o più gruppi devono interagire tra loro, attraverso

lo scambio di materiali, informazioni, semilavorati. In genere, con l’aumentare

dell’interdipendenza tra due gruppi, crescono anche le possibilità di conflitto tra di essi.

Tipico il conflitto in sede di previsione delle vendite ai fini della programmazione della

produzione.

4. Percezione di risorse limitate. La percezione di risorse limitate crea le condizioni per la

competizione e il conflitto tra i gruppi. Le aziende possono avere risorse economiche

limitate, oppure impianti e risorse umane da condividere. Ciascuna funzione potrebbe

ritenere di avere bisogno di più risorse rispetto a quelle disponibili per giungere gli obiettivi di

cui è chiamata a render conto e, quindi, potrebbe essere portata ad attivare

comportamenti conflittuali per difendere i propri interessi.

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4. Le tipologie di conflitto

Viene proposto l’approfondimento del paragrafo riportando l’innovativo contributo di

Daniel Goleman rispetto alla nozione di “intelligenza emotiva” soprattutto in riferimento alle nozioni

di conflitto cognitivo e conflitto emotivo.

Nel secondo assioma della comunicazione, Watzlawick (1971) asserisce che ogni

comunicazione ha un aspetto sia di contenuto che di relazione, dove il secondo definisce il primo:

ogni qual volta esprimiamo un contenuto, questo definisce anche la relazione.

A veicolare la relazione è il canale non verbale, pertanto sarebbe opportuno offrire una

riflessione sull’importanza di prestare attenzione ai feedback comunicativi, poiché la natura

relazionale contenuta nel messaggio classifica il contenuto e potrebbe determinare la reazione

dell’interlocutore. È proprio attraverso l’aspetto relazionale contenuto nella comunicazione che

viene trasmessa la percezione che abbiamo nei confronti del nostro interlocutore.

Per facilitare e migliorare le relazioni favorendo un clima positivo, basato sulla reciproca

comprensione possiamo fare appello all’intelligenza emotiva.

È definita da Salovey e Mayer (1990) come la capacità di monitorare i sentimenti e le

sensazioni proprie che quelle degli altri, differenziando i vari tipi di emozioni per poter agire al

meglio e raggiungere un obiettivo comune.

L'utilizzo dell’intelligenza emotiva si basa sulla capacità di intuire i sentimenti e le emozioni

delle persone che ci circondano e avere una piena cognizione del proprio stato d'animo. Questo

ci permette di assumere comportamenti adeguati a favore di obiettivi individuali o comuni.

L’intelligenza emotiva è composta dalle seguenti capacità:

• conoscere le emozioni (cosa sono, come si differenziano le une dalle altre, come e perché

nascono e come si modificano);

• riconoscere le proprie e quelle degli altri, saper gestire le emozioni di utilizzarle per affrontare

e risolvere un problema.

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Daniel Goleman (1995) e Mayer e Salovey (1997) esprimono le cinque caratteristiche

fondamentali dell’intelligenza emotiva:

1. Consapevolezza di sé: capacità di produrre risultati riconoscendo le proprie emozioni.

2. Dominio di sé: capacità di utilizzare i propri sentimenti per un fine.

3. Motivazione: capacità di scoprire il vero e profondo motivo che spinge all’azione.

4. Empatia: capacità di sentire gli altri entrando in un flusso di contatto.

5. Abilità sociale: capacità di stare insieme agli altri cercando di capire i movimenti che

accadono tra le persone.

Non appena è presente un conflitto l’intelligenza emotiva cerca di capire se la modalità

per poterlo gestire sia basata sul problema o sulle emozioni. Nel primo caso si cerca una soluzione

che possa essere risolutiva; nel secondo caso, visto che non si può agire direttamente sul conflitto,

si lavora sulle emozioni negative implicate. È importante avere il tempo disponibile per capire le

emozioni negative, usare diverse strategie e osservare gli effetti del loro uso, non prendere decisioni

affrettate, prestare attenzione ai comportamenti e alla comunicazione non verbale dell’altro e,

infine, non parlare più del dovuto.

In ambito lavorativo l’intelligenza emotiva permette di valutare positivamente ed

apprezzare le differenze, anziché considerarle come una negatività e fa in modo di rafforzare i

team di lavoro, incrementando i profitti. Si rivela fondamentale il concetto di feedback, il quale

permette che ci sia uno scambio di informazioni tra i lavoratori. Levinson (1992) suggerisce come ci

si deve comportare quando in azienda si scambiano dei feedback senza infastidire l’interlocutore:

essere specifici: comunicare con precisione cosa è stato fatto bene o cosa male, senza essere

evasivi, dicendo le cose così come stanno, tenendo sempre presente che un tono moderato risulta

sempre apprezzato, offrire una soluzione: dopo aver fatto una critica o dato un consiglio, sarebbe

opportuno suggerire una soluzione possibilmente costruttiva, altrimenti si rischia di demoralizzare e

demotivare l’altro essere presenti: è opportuno parlare vis à vis con l’altro e in privato. Anche se

una comunicazione scritta può “alleggerire” il compito di chi critica, rende la comunicazione

molto impersonale, impedendo a volte a chi viene criticato di avere in confronto. essere empatici

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e sensibili: è importante ascoltare l’altro, immedesimarsi, trovarsi un po’ nei suoi panni, evitando di

essere aggressivi e offensivi.

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Bibliografia

• Slocum J.W,Jr - Hellriegel,D “Comportamento organizzativo-fondamenti

psicologici per l’azione manageriale”,(2014 IV ed.).Hoepli, Milano pagg.295-

312.

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