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“Né carne né pesce”, “né bruco né farfalla”; sono queste le affermazioni che si
sentono spesso dire a proposito di un’età che, vista in questa prospettiva, non può
che essere “ingrata”, così spesso definita per quello che non è o che non ha.
La psicoanalista francese Dolto ha evidenziato la possibilità di ritenere gli adolescenti
come le aragoste: nel momento un cui perdono la corazza e si sta formando un nuovo
guscio, attraversano un periodo delicato in cui sono deprivati della protezione; cambia
improvvisamente il proprio corpo, e di conseguenza cambiano i sentimenti verso se
stessi e verso gli altri. È invece un momento delicato in cui tener vivi sia i ricordi del
passato che i progetti del futuro.
Per molto tempo si è pensato che gli adolescenti indulgessero in comportamenti non
salutari perché non assumevano una prospettiva orientata al futuro e quindi non
riuscivano a prefigurarsi la possibilità di farsi del male o di morire, sottostimando,
quindi, ogni tipo di rischio.
A tal proposito molte ricerche hanno messo in luce quanto sia infondata l’idea del
cosiddetto “mito dell’immortalità” e che i ragazzi sono del tutto consapevoli dei rischi
che corrono, addirittura sovrastimandoli rispetto agli adulti. La differenza che li
contraddistingue da questi ultimi, però, è il fatto di soffermarsi a soppesare i benefici
derivanti da quel determinato comportamento; da questo calcolo possono
deliberatamente ritenere che i benefici superano i rischi; benefici quasi sempre di tipo
emotivo e legati al piacere.
Diventare grandi dunque, da questa prospettiva, non significa affatto diventare più
riflessivi, ma al contrario diventare più intuitivi, automatici e, in un certo qual senso,
più “irrazionali” se intendiamo con questo termine un “decision making” meno mediato
dal ragionamento.
È necessario, quindi, concentrare l’attenzione sulla dimensione soggettiva del rischio
che differenzia non soltanto l’adolescente dall’adulto ma anche gli adolescenti tra di
loro, operando una distinzione a livello teorico tra la percezione del rischio - riferita ai
processi cognitivi -, assunzione del rischio - riferita ai comportamenti nocivi per la
salute - e propensione al rischio - intesa come tratto della personalità, alla base del
quale si presuppone l’esistenza di differenze individuali che orientano sia la percezione
che il comportamento nei suoi riguardi (Zani, 1999).
Il rischio, in ogni caso, non è solamente sinonimo di condotte problematiche dagli esiti
negativi per il benessere e la salute, ma può essere affrontato anche in maniera
positiva grazie all’intervento di fattori protettivi che agiscono direttamente,
prevenendo le conseguenze negative, o indirettamente, come moderatori
dell’esposizione a fattori di rischio (Jessor et al., 1995); esso costituisce una
scommessa sul futuro in una società proiettata verso l’avvenire che, per alcuni versi,
vede nel rischio un possibilità di autorealizzazione
In una realtà in cui risulta impossibile trovare luoghi di senso, di emozione e di sfida, il
rischio diventa una possibilità di guadagnare la legittimità della propria presenza nel
mondo e il sentimento di esistere (Le Bereton D., 2003). La letteratura suggerisce che
gli adulti implicati nei comportamenti azzardati tendono a sottostimare il rischio
associato agli stessi comportamenti (Weinstein, 1984) ed è probabile che negli
adolescenti si verifichi lo stesso fenomeno.
La ricerca estrema di sensazioni forti è una delle tante “finalità” che accompagnano
l’intera vita dell’individuo ma, mentre nell’età adulta le sensazioni forti possono essere
perseguite tramite il soddisfacimento di necessità più “raggiungibili”, in epoca
adolescenziale e giovanile questa finalità porta il soggetto alla messa in atto di
comportamenti rischiosi e di forte impatto emotivo.
Tale tratto, associato all’adozione di comportamenti spericolati e non consoni alla
salvaguardia della salute, fa riferimento al bisogno, che alcune persone hanno, di
sperimentare sensazioni nuove ed eccitanti, soddisfatto attraverso la ricerca attiva di
situazioni ed esperienze anche pericolose. Per tali persone, esperienze meno intense e
legate alla vita quotidiana risultano di fatto noiose, incapaci, cioè, di evocare livelli
sufficienti di gratificazione e, talora, nemmeno livelli sufficienti di attenzione ed
interesse.
La valutazione della minaccia che produce il brivido, quindi, dipende dalla stima che il
soggetto compie delle proprie capacità. Dagli studi effettuati sul motociclismo e
deltaplano (Kurz, 1988), la minaccia e il brivido sono percepiti come piacevoli soltanto
finché il soggetto ha la sensazione di controllare il corso degli eventi. Gli sport
estremi, perciò, possono essere ritenuti uno dei pochi modi che gli individui che li
praticano hanno di sentirsi “vivi”, per non cadere in un senso di vuoto e noia dato da
attività definite “normali”. Se questo è vero, un sensation seeker potrebbe tradurre la
sua motivazione nei termini “Sento, dunque sono” .
Ecco, quindi, che il concetto di risk-taking comprende molto più che la scelta di
attuare comportamenti problematici, disfunzionali o dannosi (Zuckerman, 1979), ma
costituisce una dimensione normale nell’arco del processo di crescita dell’adolescente.
Pertanto, se il rischio fa parte del gioco della vita e della maturazione dell’individuo
(Bastiani Pergamo e Drogo, 2002), è il modo in cui esso viene a volte sottovalutato e
banalizzato dagli adolescenti ad essere potenzialmente pericoloso.
Alla base del rischio come rimedio alla propria impotenza e al proprio mancato
controllo personale, lo stesso ambiente sociale nel quale l’individuo si trova inserito,
riveste un ruolo di fondamentale importanza.
Questo rimane uno dei principali fattori predittivi dei comportamenti a rischio in
adolescenza compreso la scuola e le sua organizzazione. Deve essere inoltre
riconosciuto il ruolo protettivo dell’ambiente: la famiglia e i coetanei rimangono
elementi fondamentali insieme allo stile educativo - rivelatosi un correlato importante
nell’esordio dei comportamenti a rischio - e alla scuola.
Prevenire le condotte rischiose degli adolescenti non significa fermare il loro naturale
bisogno di novità, la curiosità e l’attrazione per persone e luoghi sconosciuti, bensì
evitare che l’evoluzione cognitiva ed emotiva dell’adolescente possa deviare verso
comportamenti pericolosi.
Sì, quindi, alle esperienze che aiutano i giovani a valutare i propri limiti, a dosare
l’assunzione dei rischi, contribuendo al raggiungimento di un obiettivo, all’autonomia,
alla responsabilizzazione e alla capacità di scelta. No, invece, al rischio per sfogarsi,
allontanarsi da se stessi e sfidarsi, sganciato da qualsiasi obiettivo se non quello di
sentirsi “invincibili”.
BIBLIOGRAFIA
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