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IL Rischio: limite o risorsa dell’adolescente

La trasformazione adolescenziale implica un salto qualitativo complesso: “è un tempo


di grandi metamorfosi, di alchimie complesse e di trasformazioni continue nel quale in
ognuno vi è tutto e il contrario di tutto”.

“Né carne né pesce”, “né bruco né farfalla”; sono queste le affermazioni che si
sentono spesso dire a proposito di un’età che, vista in questa prospettiva, non può
che essere “ingrata”, così spesso definita per quello che non è o che non ha.
La psicoanalista francese Dolto ha evidenziato la possibilità di ritenere gli adolescenti
come le aragoste: nel momento un cui perdono la corazza e si sta formando un nuovo
guscio, attraversano un periodo delicato in cui sono deprivati della protezione; cambia
improvvisamente il proprio corpo, e di conseguenza cambiano i sentimenti verso se
stessi e verso gli altri. È invece un momento delicato in cui tener vivi sia i ricordi del
passato che i progetti del futuro.

Con le frequenti tensioni intrapsichiche e relazionali che l’adolescenza comporta con


tempi e ritmo diversi per ciascuno, ragazzi e ragazze crescono procedendo per
“oscillazioni”; si alternano fasi di enfasi evolutiva a fasi di regressione momentanea
che permettono però di recuperare l’equilibrio e tra questi il “rischio” è il fattore che
all’età adolescenziale risulta maggiormente connesso. Ma cosa può rappresentare
veramente per l’adolescente questa parola e cosa significhi per lui rischiare - se una
necessità o un passatempo - dipende sicuramente dal valore che l’adolescente in
prima persona riconosce al rischio stesso.

Rischiare o non rischiare?

Per molto tempo si è pensato che gli adolescenti indulgessero in comportamenti non
salutari perché non assumevano una prospettiva orientata al futuro e quindi non
riuscivano a prefigurarsi la possibilità di farsi del male o di morire, sottostimando,
quindi, ogni tipo di rischio.

A tal proposito molte ricerche hanno messo in luce quanto sia infondata l’idea del
cosiddetto “mito dell’immortalità” e che i ragazzi sono del tutto consapevoli dei rischi
che corrono, addirittura sovrastimandoli rispetto agli adulti. La differenza che li
contraddistingue da questi ultimi, però, è il fatto di soffermarsi a soppesare i benefici
derivanti da quel determinato comportamento; da questo calcolo possono
deliberatamente ritenere che i benefici superano i rischi; benefici quasi sempre di tipo
emotivo e legati al piacere.

Diventare grandi dunque, da questa prospettiva, non significa affatto diventare più
riflessivi, ma al contrario diventare più intuitivi, automatici e, in un certo qual senso,
più “irrazionali” se intendiamo con questo termine un “decision making” meno mediato
dal ragionamento.
È necessario, quindi, concentrare l’attenzione sulla dimensione soggettiva del rischio
che differenzia non soltanto l’adolescente dall’adulto ma anche gli adolescenti tra di
loro, operando una distinzione a livello teorico tra la percezione del rischio - riferita ai
processi cognitivi -, assunzione del rischio - riferita ai comportamenti nocivi per la
salute - e propensione al rischio - intesa come tratto della personalità, alla base del
quale si presuppone l’esistenza di differenze individuali che orientano sia la percezione
che il comportamento nei suoi riguardi (Zani, 1999).
Il rischio, in ogni caso, non è solamente sinonimo di condotte problematiche dagli esiti
negativi per il benessere e la salute, ma può essere affrontato anche in maniera
positiva grazie all’intervento di fattori protettivi che agiscono direttamente,
prevenendo le conseguenze negative, o indirettamente, come moderatori
dell’esposizione a fattori di rischio (Jessor et al., 1995); esso costituisce una
scommessa sul futuro in una società proiettata verso l’avvenire che, per alcuni versi,
vede nel rischio un possibilità di autorealizzazione

Rischiare per “sentire”.

Nella prima adolescenza, l’adozione di comportamenti irregolari ed il desiderio di


rischiare si manifestano con particolare ripetitività ed intensità, sia per le
caratteristiche dell’età che per la complessità del contesto sociale in cui l’adolescente è
inserito (Bonino S., Cattelino E., 1999). In questa fase, i soggetti evidenziano
differenti valutazioni dei comportamenti a rischio, mostrando una tendenza a
sottostimarlo con la crescita; ciò potrebbe essere associato alla maggiore esperienza
ed a una migliore comprensione del rischio stesso.

L’assunzione del rischio viene considerata come un comportamento naturale e quasi


inevitabile: è un modo per mettere alla prova le proprie capacità e competenze, per
completare le esigenze dello sviluppo legate alle necessità di padronanza ed
individuazione. Ogni volta che un adolescente supera un’esperienza azzardata si sente
definito come “persona”.

In una realtà in cui risulta impossibile trovare luoghi di senso, di emozione e di sfida, il
rischio diventa una possibilità di guadagnare la legittimità della propria presenza nel
mondo e il sentimento di esistere (Le Bereton D., 2003). La letteratura suggerisce che
gli adulti implicati nei comportamenti azzardati tendono a sottostimare il rischio
associato agli stessi comportamenti (Weinstein, 1984) ed è probabile che negli
adolescenti si verifichi lo stesso fenomeno.

La ricerca estrema di sensazioni forti è una delle tante “finalità” che accompagnano
l’intera vita dell’individuo ma, mentre nell’età adulta le sensazioni forti possono essere
perseguite tramite il soddisfacimento di necessità più “raggiungibili”, in epoca
adolescenziale e giovanile questa finalità porta il soggetto alla messa in atto di
comportamenti rischiosi e di forte impatto emotivo.
Tale tratto, associato all’adozione di comportamenti spericolati e non consoni alla
salvaguardia della salute, fa riferimento al bisogno, che alcune persone hanno, di
sperimentare sensazioni nuove ed eccitanti, soddisfatto attraverso la ricerca attiva di
situazioni ed esperienze anche pericolose. Per tali persone, esperienze meno intense e
legate alla vita quotidiana risultano di fatto noiose, incapaci, cioè, di evocare livelli
sufficienti di gratificazione e, talora, nemmeno livelli sufficienti di attenzione ed
interesse.

Fu M. Zuckerman (1983) a condurre interessanti studi sulla ricerca di sensazioni,


definita Sensation Seeking (SS), ovvero "il bisogno di varie, nuove e complesse
sensazioni ed esperienze, nonché la propensione ad assumere rischi fisici e sociali al
solo fine di tale esperienza” (V. Lingiardi, 2001).
L’espressione inglese si riferisce, quindi, al perseguimento di nuove e intense
sensazioni ed esperienze associate alla trascuratezza dei rischi conseguenti la loro
ricerca. Il tratto comune di queste attività è il desiderio di novità, cambiamento ed
eccitazione. Si va, ad esempio, dall'utilizzo di droghe, ad attività sportive estreme, ai
viaggi esotici, agli stili di vita stravaganti, ai comportamenti disinibiti, ecc.

Dagli esperimenti di Zuckerman (1971) emerse il profilo del sensation seeker :


soggetto relativamente giovane, con caratteristiche di personalità impulsive e a tratti
aggressive, molto curioso, anticonformista e con livelli di ansia relativamente bassi
(M. Bedetti, 2004).
In riferimento allo studio di tale fenomeno, alcuni psicologi e psichiatri attribuiscono
serie responsabilità alla società odierna troppo spinta agli eccessi, altri sottolineano la
presenza di elementi narcisistici nella personalità dei sensation seeker, altri ancora
colgono nei loro comportamenti la ricerca di quella attenzione che il mondo relazionale
e familiare non ha ad essi riservato.

I comportamenti del sensation seeker si caratterizzano, quindi, per lo scarso senso


morale, l'indifferenza alle regole, l'inosservanza della sicurezza propria e di quella
altrui. Tali comportamenti esprimono ostilità nei confronti dell'organizzazione del
gruppo sociale di appartenenza. La spiegazione di questi atteggiamenti si ricollega al
fatto che nel sensation seeker, il più delle volte, i comportamenti trasgressivi mirano a
superare la noia di una vita senza valori. Nell'affrontare situazioni ad alto rischio, egli
mette alla prova la propria capacità di controllo degli eventi. Aprire il paracadute
all'ultimo momento, pigiare il freno della macchina pochi secondi prima del possibile
schianto contro il muro, ad esempio, creano in lui un'eccitazione tale da renderlo
appagato, almeno in quell'istante (Heinberg F., 1997).

La valutazione della minaccia che produce il brivido, quindi, dipende dalla stima che il
soggetto compie delle proprie capacità. Dagli studi effettuati sul motociclismo e
deltaplano (Kurz, 1988), la minaccia e il brivido sono percepiti come piacevoli soltanto
finché il soggetto ha la sensazione di controllare il corso degli eventi. Gli sport
estremi, perciò, possono essere ritenuti uno dei pochi modi che gli individui che li
praticano hanno di sentirsi “vivi”, per non cadere in un senso di vuoto e noia dato da
attività definite “normali”. Se questo è vero, un sensation seeker potrebbe tradurre la
sua motivazione nei termini “Sento, dunque sono” .

Il tratto di personalità “ricerca delle sensazioni” può essere misurato tramite la


somministrazione di un questionario finalizzato a rilevare l’attrazione dell’individuo per
il comportamento ad alto rischio, meglio conosciuto come Sensation Seeking Scale, i
cui item riguardano le preferenze per l’intensità di alcune percezioni sensoriali (caldo,
freddo, rumore, gusto, colori), per la familiarità in opposizione alla novità e per la
routine in opposizione all’avventura.

Ogni individuo, quindi, ha delle soglie di attivazione le quali possono essere


considerate per lui ottimali e che, nel corso della vita, subiscono una certa
oscillazione. Quando si verificano scostamenti eccessivi, in un senso o nell’altro,
quindi, il soggetto tenderà ad attivarsi al fine di riportare le stimolazioni sensoriali
entro i giusti confini.

Il rischio: gioco di vita

“…l’inquietudine di chi si sente esposto ai pericoli di una trasformazione profonda di


chi sa che non può e non vuol fermarsi”.

L’adolescenza, finora definito un periodo di rapide trasformazioni, rappresenta una


fase evolutiva fondamentale: molte sono le potenzialità e le risorse dell’adolescente,
ma elevato è il rischio di perturbazioni sia intrapsichiche che interpersonali.
I comportamenti a rischio, assolvono spesso, a questa età, funzioni ben precise e,
sebbene siano dannosi da punto di vista fisico, psichico e sociale, sembrano fornire
all’adolescente una via di uscita alle insicurezze e alle incertezze sperimentate in
questa fase della vita. Tali comportamenti si configurano, pertanto, come una
componente del normale sviluppo psicologico dell’adolescente stesso ed una
espressione del suo bisogno di esplorazione.

Molte persone attribuiscono l’elevata incidenza di comportamenti a rischio in


adolescenza alla immaturità cognitiva, ritenendo gli adolescenti meno capaci di
comprendere le conseguenze delle loro azioni in seguito ad un’accresciuta percezione
dell’invulnerabilità influenzata dal concetto di egocentrismo.
L’età della maturazione biologica, quindi, influenza le competenze cognitive, la
percezione di sé, dell’ambiente sociale e i valori personali ed è possibile ipotizzare,
perciò, che queste quattro variabili possano predire i comportamenti a rischio
dell’adolescente attraverso la mediazione della percezione del rischio e delle
caratteristiche del gruppo dei pari.

Poiché è stato ampiamente dimostrato che i comportamenti a rischio iniziati


nell’adolescenza persistono per tutta la quarta decade della vita come causa di
mortalità e morbilità, se si intende migliorare le condizioni di salute degli adolescenti e
degli adulti è necessario prestarvi una maggiore attenzione.
Ritenere l’adolescenza la fase della vita a cui ricondurre l’insorgenza dei
comportamenti rischiosi, quindi, sta a dimostrare la veridicità del fenomeno meglio
conosciuto con il nome di Risk-Taking (RT). Questa generica definizione implica la
partecipazione in attività dall’esito incerto, che possono essere potenzialmente
compromettenti per il benessere del soggetto, che dimostra di avere scarsa o assente
conoscenza delle conseguenze ad esse correlate (Pellai e Bonicelli, 2002).

Questi comportamenti a rischio, di natura prettamente intenzionale, possono essere


considerati come il risultato dell’interazione tra le caratteristiche biologiche,
psicologiche, sociali dell’individuo e il suo ambiente. Nel corso dell’adolescenza, gli
evidenti cambiamenti che si verificano potrebbero rappresentare per il ragazzo degli
stimoli molto potenti nel processo di assunzione e messa in atto del rischio.

Ecco, quindi, che il concetto di risk-taking comprende molto più che la scelta di
attuare comportamenti problematici, disfunzionali o dannosi (Zuckerman, 1979), ma
costituisce una dimensione normale nell’arco del processo di crescita dell’adolescente.
Pertanto, se il rischio fa parte del gioco della vita e della maturazione dell’individuo
(Bastiani Pergamo e Drogo, 2002), è il modo in cui esso viene a volte sottovalutato e
banalizzato dagli adolescenti ad essere potenzialmente pericoloso.

È di fondamentale importanza, inoltre, non tralasciare la dimensione emotiva. Stephen


Lyng presenta, a tal proposito, una prospettiva sociologica sul RT, ponendo la
questione delle similarità tra assunzione volontaria di rischio (ad esempio,
nell’alpinismo) e le azioni criminali. Egli sostiene in maniera convincente la posizione
secondo cui entrambi possono essere concepiti come comportamenti “al limite”
(edgework), sebbene possano essere distinti in base alla dimensione ecologica vs
interpersonale. Egli propone, inoltre, che i comportamenti “al limite” avvengono in
risposta ai sentimenti di impotenza e di perdita di controllo personale, offrendo
all’individuo rinnovati sentimenti di controllo e di auto-realizzazione.

Alla base del rischio come rimedio alla propria impotenza e al proprio mancato
controllo personale, lo stesso ambiente sociale nel quale l’individuo si trova inserito,
riveste un ruolo di fondamentale importanza.
Questo rimane uno dei principali fattori predittivi dei comportamenti a rischio in
adolescenza compreso la scuola e le sua organizzazione. Deve essere inoltre
riconosciuto il ruolo protettivo dell’ambiente: la famiglia e i coetanei rimangono
elementi fondamentali insieme allo stile educativo - rivelatosi un correlato importante
nell’esordio dei comportamenti a rischio - e alla scuola.

Questa ultima, in particolare, gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione del


rischio soprattutto nel momento in cui gli alunni vengono resi protagonisti di una
battaglia generazionale in difesa della salute, del benessere e del rischio calcolato,
quello inevitabile ai fini della crescita (Giori F.,1998).

…allora rischiare per crescere

All’interno delle culture giovanili è possibile rintracciare diverse costellazioni tipiche di


comportamenti di sfida, di ribellione e di iniziazione che diventano segni, modalità di
espressione e di affermazione caratteristici della condizione adolescenziale e che
consentono, al tempo stesso, di mettere alla prova le proprie abilità e competenze
testando, così, i livelli di autonomia raggiunti.

Prevenire le condotte rischiose degli adolescenti non significa fermare il loro naturale
bisogno di novità, la curiosità e l’attrazione per persone e luoghi sconosciuti, bensì
evitare che l’evoluzione cognitiva ed emotiva dell’adolescente possa deviare verso
comportamenti pericolosi.
Sì, quindi, alle esperienze che aiutano i giovani a valutare i propri limiti, a dosare
l’assunzione dei rischi, contribuendo al raggiungimento di un obiettivo, all’autonomia,
alla responsabilizzazione e alla capacità di scelta. No, invece, al rischio per sfogarsi,
allontanarsi da se stessi e sfidarsi, sganciato da qualsiasi obiettivo se non quello di
sentirsi “invincibili”.

Al fine di riuscire a creare e costruire insieme al soggetto le giuste conoscenze in


modo da renderlo agente attivo nella comprensione del rischio nella propria vita, sarà
opportuno trasformare semplici modelli informativi - inerenti metodologie di
apprendimento centrati sulle competenze ascrivibili nell’area dell’intelligenza
accademica - in modelli educativi - basati principalmente su un apprendimento fatto
“proprio” e reso il principale fattore influente nell’approccio al rischio presente e futuro
-. Pur ritenendo l'eziologia della maggior parte dei comportamenti a rischio l’effetto
della «difficoltà di crescere» propria della adolescenza, un adeguato intervento
educativo - al fine di trasmettere al giovane il valore della propria vita, della salute e
la necessità di salvaguardarle -, consentirebbe di modificare il rapporto
dell’adolescente con la realtà esterna, riconducendolo “alla vita” attraverso la ricerca
di motivazioni valoriali atte a contrastare la diffusa stanchezza di vivere.

BIBLIOGRAFIA

Bonino S., Cattelino E. (1999), I comportamenti a rischio per la salute ed a rischio


psicosociale in adolescenza. I comportamenti rischiosi e la guida pericolosa, Regione
Piemonte e Università degli Studi di Torino.
Bastiani Pergamo A., Drogo G.M.L. (2002), I giovani e l’alcol, Roma, Armando Editore.
Giori F. (1998), Adolescenza e rischio. Il gruppo della classe come risorsa per la
prevenzione, Milano, Franco Angeli.
Heinberg F. (1997), Psicologia della motivazione, Bologna, Il Mulino.
Jessor R. (1995), Protective factors in adolescent problem behavior: moderator effects
and developmental change, in Developmental Psychology, 31. pp. 923 - 933.
Le Bereton D. (2003), Le condotte a rischio tra i giovani, in “Animazione Sociale”, 2,
pp. 47 - 56.
Pellai A., Bonicelli S. (2002), Just do it! I comportamenti a rischio in adolescenza.
Manuale di prevenzione per scuola e famiglia, Milano, Franco Angeli.
Zani B. (1999), L’adolescenza tra fattori di rischio e rischio percepito, relazione
presentata al Convegno di Psicologia di Comunità “La prevenzione nella scuola e nella
comunità”, Montegrotto Terme (Pd), 24/25 settembre.
Zuckerman M. (1971), Dimension of sensation seeking, in Journal of Consulting and
Clinical Psychology, 36 (1), pp. 44-52.
Zuckerman M. (1983), Biological bases of sensation seeking, impulsivity and anxiety,
LEA, Hillsdale.
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