Heidegger e il nazismo
Bollati Boringhieri
Prefazione
L’idea fondamentale che ispira questa prefazione non è nuova. I lettori vedranno che nel libro ho
espresso la mia ammirazione per il giudizio di Benedetto Croce su Heidegger e il suo scritto
fondamentale dell’epoca, il Discorso del rettorato. Senza avere accesso ad alcuna documentazione
particolare, senza aver fatto l’esperienza dei successivi sviluppi del fascismo tedesco in tutto il loro
orrore, Croce vide nel 1933 il nucleo più profondo del discorso filosofico nazista di Heidegger,
l’esplicita intenzionalità del suo contenuto e la prassi politica che tale discorso di per sé esigeva.
L’aspetto inquietante e tragico della situazione di allora consiste nel fatto che pochi seppero e
vollero vedere quel che vide Croce e ancor meno furono coloro i quali lo espressero con la sua
decisione e certezza.
Benché l’accoglienza riservata al mio libro in Italia sia stata nel complesso positiva, credo mio
dovere richiamare l’attenzione su alcune opinioni e correnti di pensiero che mi sembrano
preoccupanti. In effetti è allarmante che, dopo quel che è successo con Heidegger, la Germania
nazista e le sue vittime, sorgano voci che cercano di scusare nel suo compromesso nazista un
filosofo che mai si è discolpato né ha provato il minimo interesse a farlo. Più ancora, in Italia, e non
solo qui, si presentano filosofi che, in un modo o nell’altro, ci fanno pensare alle pericolose
ambiguità di un pensiero che eviti di fare i conti con la storia. Filosofi che, posti di fronte al fatto
che l’orrore è iscritto nel cuore stesso della filosofia di Heidegger, non hanno altra risposta che
parlare frivolamente di «abissi affascinanti» (Derrida) o di un «pensiero debole» che conosce
soltanto un gioco tanto irresponsabile quanto incoerente.
Ricordare ancora una volta quel che vide Croce in Heidegger è importante. Anzitutto perché sia i
critici sia gli estimatori del mio libro ne hanno ignorato sistematicamente il giudizio. Solo un
giornale, «La stampa», ha fatto allusione a Croce nel titolo di un articolo di Jacques Nobécourt,
riproducendo la sua protesta: Heidegger è indecente e servile! Questo giudizio si basava, nella
«Critica», su due elementi: 1) per Heidegger la filosofia, cioè un’attività essenziale dell’essere
umano in quanto tale, è solo un affare tedesco, a vantaggio del popolo tedesco; 2) lo «storicismo»
su cui si basa il suo discorso è rozzo nella sua affermazione etnocentrica e razzista e può realizzarsi
soltanto come esercizio di una legge della giungla adatta solo a «lupi e volpi, leoni e sciacalli».
L’unico attore che resta assente è ciò che rende l’uomo tale: la sua umanità.
Il giudizio di Croce, altrettanto preciso che brillante, è molto severo. Ci offre, tuttavia, lo spunto per
delimitare l’ambito della riflessione sul tema. In effetti, ignorare quel che ha detto Croce è qualcosa
di molto più grave che squalificare un singolo esponente della filosofia italiana; e lo è in quanto il
punto di riferimento ultimo del suo giudizio è un dato d’importanza primordiale. Accettare
come feconda e suggestiva una filosofia che sorge dalla discriminazione tra gli esseri umani, che
non può né vuole vivere senza l’affermazione della superiorità essenziale del popolo dal quale è
uscita, equivale innanzitutto a un controsenso. Più ancora, che siano proprio gli «heideggeriani»
stranieri a sollevarsi con più furia in difesa di un maestro che visse convinto dell’inferiorità
essenziale di tali discepoli, risulta senz’altro grottesco. Ma questa è solo una parte della
responsabilità dei custodi del Gral. La cosa veramente grave è il fatto che, dietro la difesa di una
filosofia discriminatoria, c’è l’attacco -implicito o esplicito - alla prima condizione di possibilità di
quel che è l’essere umano, un attacco che assomiglia molto al comportamento dei «bambini cattivi»,
a parte che in questo caso l’orizzonte non è precisamente quello del gioco. Tutte le critiche al mio
libro partono da una convinzione comune: bisogna separare l’uomo e l’opera. Paradossalmente,
però, nel tentativo di farlo, alcuni dei critici sono giunti a riaffermare proprio i princìpi che
orientarono la prassi di Heidegger e non solo il suo pensiero. In effetti, è l’inumanità in atto che
parla nelle affermazioni di Emanuele Severino: «Ma se la nostra cultura ritiene che il concetto di
verità è un mito, allora diventa un mito anche il concetto di errore. L’errore politico viene a
equivalere al modo di pensare e di agire del vinto. Il genocidio è errore politico ed etico perché sulla
terra è vincente il tipo di società che lo rifiuta. Se si prescinde dal vero “pratico” che ha questo tipo
vincente di società, non esiste una ragione teorica, cioè concettuale, capace di dimostrare che la
distruzione dell’uomo è un errore. » E ancora: «La condanna della violenza si fonda da ultimo sul
fatto che la violenza condannata è la violenza perdente...» («Panorama», 8 novembre 1987).
Davvero, quando dopo il 1945 i figli degli ebrei, zingari, cristiani, comunisti e socialdemocratici
massacrati industrialmente nei campi di sterminio condannarono i loro assassini, stavano facendo
uso della violenza dei vincitori? Erano proprio «vincitori», ed erano i «vinti» che ne subivano le
conseguenze? Forse che per Severino la protesta dell’oppresso è l’espressione della sua superiorità?
Un filo, non invisibile, unisce il giudizio di Severino con i documenti che recentemente hanno
mostrato il vero volto di Jean Beaufret, l’ambasciatore di Heidegger in Francia, rivelando la sua
convinzione dell’inesistenza dei campi di sterminio. Anche per Severino questa mostruosità si può
far sparire con una formula magica che consiste nel trasformare la verità in un «mito». Nel Mito del
XX secolo, per esempio! Così, la scelta di Severino non è quella di un pensiero debole, bensì quella
di un ideologo militante: «Per un individuo non ha senso mettersi contro il proprio tempo. Ha
un senso, dunque, l’inverso: mettersi in una realtà che incarna il percorso della storia. Il contrario
sarebbe velleitario, illusorio» (ibid.). Nel tentativo di giustificare questa opinione, Severino fa
appello a Hegel, ma in realtà si ritrova pericolosamente vicino a Hitler. In effetti che «senso» poteva
avere allora la «storia» per un ebreo o per un abissino, e qual era l’orizzonte del suo «mettersi»? O
forse Severino negherebbe all’ebreo o all’abissino il carattere essenziale dell’essere umano, cioè il
«mettersi» con «senso» nella «storia»?
Non tutte le voci critiche sono a questo livello. Tuttavia, diversamente orientati, alcuni giudizi
portano a conclusioni analoghe. Quando Gianni Vattimo vuol far valere che «la storicità di
un’opera di pensiero è fatta anche e soprattutto degli effetti interpretativi che suscita, degli sviluppi
a cui dà luogo» («La Stampa», 21 novembre 1987) non solo sta argomentando a partire da uno
storicismo come quello che attaccava Croce, ma anche e soprattutto si allontana dal tema della
discussione: il carattere fondamentale della filosofia di Heidegger. Certamente nessuno potrebbe
trasformare Heidegger in un «filosofo nazista» qualsiasi al livello di Rosenberg o Krieck.
Ma neppure nessuno può mettere in discussione che la sua filosofia non è pensabile (prima di tutto
da lui stesso) senza l’affermazione fondamentale che soltanto il popolo tedesco, la sua lingua e il
suo spirito si trovano nella condizione ontologica e storica di porre e risolvere la questione
dell’essere. Nessuno può disconoscere la sua convinzione che il passaggio dell’eredità greca ai
romani fu «un evento che ancora oggi ci impedisce un sufficiente ripensamento delle parole-base
del pensiero greco» (Intervista con lo «Spiegel», p. 151). Fu nel 1943, in piena guerra mondiale,
nella lezione su Eraclito, che Heidegger ripetè agli allievi la propria convinzione fanatica: «Il
pianeta è in fiamme. La natura dell’uomo è scardinata. Il senso della storia universale può venire
solo dai tedeschi, posto che essi trovino e serbino ciò che è tedesco.» «La vera massima prova dei
tedeschi deve ancora venire», resta da sapere «se sono in accordo con la verità dell’Essere, se al di
là della disponibilità alla morte sono abbastanza forti per salvare contro la meschinità del mondo
moderno il primordiale nel suo spoglio ornamento». Nella seconda parte di questa lezione, tenuta
nel 1944, Heidegger chiamò i tedeschi «salvatori dell’Occidente», e questo «per ora e per molto
tempo presumibilmente da soli».
I miei critici vogliono anche vedere la grandezza di Heidegger nella sua riflessione sulla tecnica,
nella denuncia dei suoi pericoli. Ma anche in questo caso modificano il pensiero del maestro,
che invece fu sempre chiaro e conseguente. Nel corso su Nietzsche del 1940, quando iniziava le
lezioni col saluto nazista, Heidegger disse agli studenti che in Germania stava nascendo «una nuova
umanità, corrispondente in sostanza alla singolare essenza della tecnica moderna».
Gravi sono anche le conseguenze suggerite dalla critica di Diego Marconi, che parte dallo stesso
principio («il nazismo dell’uomo Heidegger non compromette il suo pensiero») e giunge ad
affermare: «Se un grande filosofo è stato, non superficialmente, nazista, questo rischia di significare
che il nazismo è stato, da un punto di vista culturale (!), un fenomeno di maggior spessore di quanto
appaia dai roghi di libri di Goebbels o dai deliri razzisti di Rosenberg» («L’indice», gennaio 1988).
Si rivede all’opera qui la stessa dialettica che sta dietro l’argomentazione di Severino: Heidegger è
creatore di diritto: per il solo fatto di essere grande, il suo pensiero trasforma tutto quel che finora
sapevamo del primitivismo nazista. La questione centrale non viene mai posta: non sarà proprio nel
cuore di questa filosofia che risiede il primitivismo denunciato da Croce?
Anche Alfredo Marini cerca di giustificare l’«errore» di Heidegger e lo fa con una descrizione
storica allucinante: «I tempi non erano quelli in cui chi fosse impegnato moralmente, politicamente
potesse pensare in termini retorici. Erano tempi veramente di decisioni drammatiche, soprattutto
dato lo stato di corruzione degli strumenti stessi dell’attività e dell’orientamento politico e morale:
una situazione di “emergenza” diremmo oggi» («Alfabeta», dicembre 1987). Hitler come salvezza
di fronte al caos! La democrazia di Weimar come periodo in cui la ragione diventa retorica! Marini
giunge così a descrivere il «rinnovamento» dell’università come un «luogo comune» di tutta la
Germania di Weimar, senza distinguere in assoluto le scelte e occultando il fatto della brutalità
terroristica delle bande SA nelle università per «rivoluzionarle». Per lui è tutta questione di «ottica»,
e persino il fatto di esigere da Heidegger una dichiarazione autocritica, come fecero tra gli altri
Jaspers, Bultmann e Celan, per esempio, è per Marini un «atteggiamento sentimentale» di fronte al
problema. Più ancora, per lui l’adesione di Heidegger al nazismo sarebbe stata un «assumersi il
massimo della responsabilità», cioè, testualmente, ciò che Hitler stesso intende come base del
Führerprinzip! Tutti i fatti denunciati possono soltanto, per Marini, «scandalizzare l’uomo della
strada».
Ma nemmeno in questo caso i difensori sanno che cosa difendono. Quando nella sua conferenza di
Brema del 1949 Heidegger diceva che «in essenza» la «fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas
e nei campi di sterminio» era la stessa cosa che «l’agricoltura» come «industria motorizzata della
nutrizione», non si stava rifiutando di esercitare una autocritica serbando un cocciuto silenzio.
Stava banalizzando in modo provocatorio e sinistro, mostrando chiaramente che la sua filosofia non
è in grado di tematizzare tutto un campo del reale che si riferisce all’etica, a un’etica che non sia
quella dei «signori».
Umberto Galimberti distingue, mistificando, tra l'«effettuale» e
l'« enigmatica idea di verità che Heidegger, dall'inizio alla fine, propone come uno dei fondamenti
del proprio pensiero» («Alfabeta» cit.). Risultato: la condanna che Heidegger fa della libertà
nell’Università di Weimar, condanna che ne implicava l’assoggettamento alle bande delle SA, non
era altro che «un’altra idea di libertà», peraltro mai definita né da Heidegger né da Galimberti.
Croce giudicò Heidegger indecente e servile. Come giudicherebbe quanti oggi, dopo Auschwitz,
vogliono giustificarlo? Non è più tempo di ripetizioni, e non è stato ancora trovato il termine che
qualificherebbe questi atteggiamenti. Dietro lo heideggerismo agisce un disinteresse per ciò che è
umano nell’uomo che, senza darlo a vedere, aggredisce giocando. Cercando di separare il pensiero
di Heidegger dalla storia, e dalla storia così come egli la intese, i suoi «difensori» lo stanno
falsificando in quello che è il suo momento essenziale. È comprensibile: Heidegger, e non solo lui, è
diventato un giocattolo da montare e smontare - decostruire - e nessuno vuol perdere i propri
giocattoli. Sarebbe terribile il destino di questo «pensiero» se l’«uomo che sogna di un uomo che
sogna che sogna di un uomo che sogna...» (Borges) si svegliasse.
Victor Farias
Marzo 1988
Heidegger e il nazismo
A Teresa Zurita
Introduzione
Al fine di studiare il rapporto tra un pensatore e un sistema politico, si è, per forza di cose, condotti
a oltrepassare l’ambito di una mera analisi di concetti e di nozioni astratti. Le dottrine filosofiche e
politiche, in quanto tali, rinviano non soltanto all’orizzonte entro cui esse si presentano, ma anche
alla prassi politica di chi se ne fa portatore. Pertanto il lavoro di interpretazione
richiede necessariamente tre livelli d’analisi: lo scenario storico obiettivo, la concreta attività del
pensatore che compie una certa opzione politica e il significato teoretico delle idee che egli formula.
Tale significato non è certamente deducibile in maniera meccanica da un dato contesto fattuale, ma
non lo si potrebbe neanche comprendere pienamente senza considerare il contesto in cui quelle idee
si sono originate e senza esaminare l’azione che esse hanno contribuito a orientare.
Nel 1962 Guido Schneeberger diede alle stampe una raccolta di testi, ignoti fino allora, che
mettevano in evidenza la totale e incondizionata adesione di Martin Heidegger al
nazionalsocialismo negli anni 1933-34.1 A questa pubblicazione, appunto, risale l’inizio effettivo
della riflessione sul nostro tema. Sarebbe stato, però, opportuno, e con sollecitudine, mettere questa
documentazione a raffronto sia con il quadro storico sia con la condotta politica del filosofo; invece
l’approccio al problema, in tutti gli studi comparsi successivamente, si mantenne in una sfera
estremamente rarefatta. Alle testimonianze addotte da Schneeberger, edite qualche anno dopo
l’uscita dei saggi di Karl Lowith e di György Lukàcs,2 fece seguito una serie di lavori che, tutti,
però, trascuravano completamente di delu-
cidare la questione attraverso la valutazione del materiale portato alla luce, sia nel caso che
intendessero sottolineare i legami di Heidegger col nazionalsocialismo,3 sia che cercassero di
negarli.4
Dopo più anni di ricerche sistematiche, offriamo un primo risultato; esso dovrà, per certi aspetti,
essere integrato, poiché importanti fonti non sono ancora accessibili.5 Fin dall’inizio della nostra
riflessione sui testi riesumati da Schneeberger, ci convincemmo di come non fosse possibile
pervenire a risultati di una certa solidità, senza prendere in esame anche gli antecedenti da cui
derivava storicamente l’adesione di Martin Heidegger al nazionalsocialismo, e, per altro verso,
senza contemplare l’impegno politico di questi alla luce della sua successiva evoluzione politica e
filosofica.
La nostra tesi centrale è questa: allorché Martin Heidegger decise di affiliarsi alla NSDAP
(National-Sozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito nazionalsocialista), aveva già percorso un
lungo cammino preparatorio, di cui occorre cercare l’origine nel movimento cristiano-sociale
austriaco, di tendenze conservatrici e antisémite, e nei modelli culturali cui si trovò di fronte nella
regione in cui nacque e si avviò agli studi (Messkirch, Costanza). Analizzando le circostanze
storiche e gli scritti giovanili di Heidegger - in particolare il suo primo breve articolo, dedicato, nel
1910, al predicatore agostiniano Abraham a Sancta Clara - possiamo vedere progressivamente
snodarsi un pensiero intimamente nutrito di una tradizione autoritaria, antisemita, ultranazionalista,
che, accompagnandosi a un populismo esasperato e a forti venature religiose, finiva col sacralizzare
la patria intesa nel senso più localistico. Sotto il profilo teoretico, questo sviluppo confluirà nelle
speculazioni di Sein und Zeit (Essere e tempo, 1927) - sulla storicità, sull’essere-in-comunità
autentico in rapporto al popolo, all’eroe, alla lotta (§ 74) - e nel rigetto heideggeriano delle forme
democratiche della vita sociale, rigetto ispirato alle concezioni di Yorck von Wartenburg e di
Dilthey (§ 77).
L’adesione di Martin Heidegger alla NSDAP non era quindi in alcun modo il risultato di un
estemporaneo opportunismo o di considerazioni tattiche. Ciò emerge con chiarezza dal fatto che
Heidegger si mosse in consonanza col movimento nazionalsocialista ben prima di pervenire al
rettorato dell’Università di Friburgo, prima ancora, quindi, della sua attività politica effettiva in
qualità di rettore e di militante.
Sia le iniziative di Heidegger in favore di una riforma universitaria nazionalsocialista che i suoi
scritti dell’epoca rivelano come egli fosse politicamente attivo all’interno di una corrente del Partito
che, negli anni 1933-34, mirava a divenire egemonica. In quegli anni, quando ancora la linea
politica complessiva del nazismo era oggetto di violenti scontri tra gruppi, Martin Heidegger optò
per la linea rappresentata da Ernst Rohm e dalle sue SA, cercando di dare con il proprio pensiero
una struttura filosofica a tale variante del nazionalsocialismo, in aperta opposizione alla tendenza
biologistica e razzista di Alfred Rosenberg ed Ernst Krieck. Questo contrasto si tradusse in una
violenta lotta personale per la direzione ideologica del movimento nazista.
Nel giugno del 1934 Hitler e la frazione di destra eliminarono Rohm, ponendo così fine a un
progetto le cui richieste massimalistiche avevano rischiato di provocare un intervento militare
appoggiato dal grande capitale industriale e finanziario. L’epurazione ebbe come conseguenza il
crollo di tutto quell’apparato intellettuale e politico che aveva fino allora sostenuto l’azione politica
di Heidegger (segnatamente gli organismi dirigenti del movimento studentesco nazista), e una
frattura tra lo stesso Heidegger, ormai isolato, e la politica ufficiale del Partito.
In tale temperie germina la convinzione del filosofo secondo cui, a partire dal giugno 1934, i nazisti
avrebbero tradito quella verità che era originariamente propria del loro movimento. Agli occhi
di Martin Heidegger sono stati i dirigenti nazionalsocialisti giunti alle posizioni di potere, e non lui,
ad aver abbandonato le autentiche idee naziste. Il regime, da parte sua, gli riservò una vigile
attenzione fino all’ultimo, e anche lo combattè come elemento frazionista, ma non considerandolo
mai un irriducibile avversario.
Martin Heidegger non spezzò mai i legami che lo tenevano organicamente unito al Partito
nazionalsocialista. I documenti conservati negli archivi della NSDAP6 testimoniano, tra l’altro, di
come egli sia restato tra i militanti effettivi e abbia continuato a pagare le quote d’iscrizione fino
alla fine della guerra, e di come non sia mai stato oggetto di censure né di processi politici di
qualsiasi sorta all’interno del partito.
Ed è proprio attraverso una ricognizione sul terreno del concreto operare politico di Heidegger che è
possibile ricostruire con la maggiore approssimazione possibile la trama che lo connetteva al
movimento nazionalsocialista e quale disposizione d’animo egli nutrisse rispetto ad esso. A questo
proposito abbiamo individuato, e indagato, alcuni agglomerati tematici che ci sono parsi cruciali.
Primo fra tutti, il ruolo svolto da Heidegger nel movimento che aveva per obiettivo la liquidazione
dell’Associazione dei professori universitari, onde fare spazio a un organismo, nell’impianto e
nelle finalità, rigorosamente militante. D’intesa, appunto, con i settori nazionalsocialisti più radicali,
Martin Heidegger richiese, con un telegramma indirizzato a Hitler, la totale neutralizzazione delle
università tedesche che, a suo avviso, non erano state ancora sufficientemente «rivoluzionate».
Un secondo gruppo di questioni, correlato al precedente, concerne l’impegno di Heidegger volto a
dar vita a una nuova organizzazione universitaria che, in un primo tempo non apertamente, avrebbe
poi dovuto sostituirsi alla vecchia Associazione, da lui giudicata inadeguata ad assumere le
responsabilità che l’era presente esigeva. A tale scopo egli collaborò con Ernst Krieck, molto prima
di rivestire l’ufficio di rettore, e cercò di cooptare in questa associazione parallela finanche degli
uomini di fiducia dell’Amt Wissenschaft (Ufficio per l’educazione intellettuale e filosofica del
Partito nazionalsocialista) diretto da Alfred Rosenberg.
Un terzo gruppo di questioni riguarda la via attraverso cui Heidegger pervenne al rettorato
dell’Università di Friburgo nonché, sulla base di taluni episodi illuminanti, il modo in cui egli
dovette esercitare le proprie funzioni.
La nostra analisi affronterà pure le connessioni tra Martin Heidegger e il movimento studentesco
nazionalsocialista: questo, controllato dalla corrente SA, costituiva un’avanguardia nazista su
posizioni affatto rivoluzionarie, e la condotta politica di Heidegger, anche nella sua dimensione più
generale, era intimamente, essenzialmente legata all’azione della base studentesca. Una sorta di
patto politico assai peculiare stringeva la guida spirituale a questa base «popolare» la cui
affermazione mirava a trasformare le strutture «anchilosate» dell’università tedesca tradizionale.
Un quinto insieme di problemi, di particolare rilievo, attiene alla nomina di Heidegger come
professore nelle due università più prestigiose del Reich: Berlino e Monaco. Certamente egli rifiutò
entrambe le cattedre: nondimeno l’esame degli iter di nomina è in grado di ben chiarire la natura dei
rapporti di Heidegger col regime, sia per gli anni 1933-34 che per il periodo successivo. Per questo
ci è sembrato significativo, a fini comparativi, riandare alle vicende di nomina anteriori all’avvento
del nazionalsocialismo: nel periodo weimariano Heidegger era stato designato all’insegnamento a
Marburgo, Friburgo, Gottinga e Berlino. I risultati della nostra indagine provano, senza ombra di
dubbio, come, nonostante le divergenze, il regime nazista e le sue espressioni ufficiali non abbiano
mai considerato Heidegger un autentico oppositore, e come, peraltro, egli stesso non si sia mai
comportato in tal modo.
Che l’armoniosa relazione tra Heidegger e il regime non si sia mai spezzata, lo dimostrano molte
delle sue attività posteriori alle dimissioni dal rettorato di Friburgo. Ci si riferisce, evidentemente,
alla sua dichiarazione, in occasione della morte di Hindenburg, in favore della concentrazione nella
persona di Hitler delle cariche di cancelliere e di capo dello Stato. Ma c’è anche l’episodio
dell’Accademia dei professori del Reich: non solo Heidegger fu pregato dal Ministero di elaborare
un progetto dettagliato, ma, come indicano i documenti che abbiamo potuto consultare, il Ministero
dell’Educazione prese finanche in seria considerazione la possibilità di affidargli la presidenza di
questa Accademia, concepita allo scopo di selezionare su basi politiche la nuova generazione di
professori universitari.
È altrettanto significativo che Martin Heidegger sia stato chiamato, insieme a Rosenberg e ad altri
gerarchi della NSDAP, per volontà del Reichsjustizkommissar (commissario del Reich alla
Giustizia) Hans Frank, a far parte della Commissione per la filosofia del diritto, importante
organismo emanazione dell’Accademia per il diritto tedesco, costituita e diretta dallo stesso Frank
con il compito di sviluppare il nuovo diritto germanico deputato a sostituire il diritto romano. Nel
medesimo periodo Heidegger tenne delle conversazioni nel più prestigioso istituto per gli studi
politici del regime, la Deutsche Hochschule für Politik di Berlino, alle cui iniziative collaboravano
pure personaggi come Rudolf Hess, Joseph Goebbels, Hermann Göring e Alfred Rosenberg;
Heidegger continuò a operare in tale ambito, prestando il proprio contributo di conferenziere, fino a
tutto il 1933.
Un ultimo insieme di problemi si connette alla produzione letteraria di Heidegger durante il
nazismo e alla ricezione che essa ebbe da parte del pubblico e, più in particolare, da parte del
regime. In questo spaccato rientra la perlustrazione della cornice politica entro la quale le sue opere
furono pubblicate, nonché l'accertamento della cronologia delle loro edizioni. Abbiamo, in tal
modo, potuto stabilire non solo come Die Selbstbehauptung der deutschen
Universität (L'autoaffermazione dell'università tedesca: il Discorso del rettorato), del 1933, sia stato
riedito nel 1937, ma come il testo di Hölderlin und das Wesen der Dichtung (Hölderlin e l’essenza
della poesia), comparso sulla rivista «Das innere Reich», fosse il medesimo di una conferenza
pronunciata a Roma nel 1936, nel quadro della cooperazione culturale dei regimi tedesco e italiano,
promossa dall'Istituto germanico di Roma. E, ancora, la pubblicazione di Andenken (Rimembranza),
contributo di Heidegger per la celebrazione del centenario di Hölderlin (1943), fu resa possibile da
un sostegno ufficiale che mirava, al di là dell'edizione del volume miscellaneo contenente lo scritto
citato, a un'ingerenza di regime nella Società Hölderlin. Analogamente di tutto rilievo, ai fini del
nostro assunto, si palesa l'itinerario attraverso cui giunse alle stampe il saggio Platons Lehre von
der Wahrheit (Dottrina di Platone sulla verità), in una silloge curata annualmente da Ernesto Grassi.
Malgrado un veto iniziale dell'Amt Wissenschaft di Rosenberg, lo scritto di Heidegger potè vedere
la luce grazie a un intervento diretto di Mussolini presso Goebbels, nel 1943. Questa vicenda ci
mette in grado di valutare non solo di quali relazioni politiche ancora disponesse a
quell'epoca Heidegger, ma anche la consistenza dei contrasti, legati a una permanente lotta per
l’egemonia, che non cessarono di attraversare i centri di potere ufficiali.
Al vaglio di queste tematiche, l'operare politico e filosofico di Martin Heidegger appare in una luce
inedita, che ci permette di considerarne in maniera nuova le implicazioni complessive. Tutto ciò,
tuttavia, risulterebbe insufficiente, se non si contemplasse anche lo sviluppo politico-filosofico
successivo di Heidegger. Per quanto egli, dopo la «rottura» col movimento nazionalsocialista reale,
vedesse sicuramente le cose sotto una diversa e modificata angolatura, le nostre ricerche ci hanno
condotto a concludere che non si possa comprendere in maniera piena e autentica l'ulteriore
evoluzione di
Heidegger, senza tenere nel giusto conto la sua manifesta fedeltà a una matrice specificamente
nazionalsocialista, certo plasmata in una forma e in uno stile peculiarmente suoi. Confermano
questa tesi non solo il fatto che nel 1953 Heidegger si guarderà bene dal rinnegare la sua opinione
sulla «grandezza e verità interna» del movimento nazista, ma ancora il suo rifiuto, netto e reiterato,
di fare onorevole ammenda, considerando le mostruosità, a questo punto inequivocabilmente
documentate, dello hitlerismo. Se si esamina con attenzione l’intero ciclo che conduce dai corsi
dedicati alla filosofia di Nietzsche fino all’intervista concessa al settimanale «Der Spiegel»,
pubblicata dopo la sua morte, - nella quale si afferma, tra altre cose, che quando i francesi si
mettono a pensare, si vedono costretti a parlare tedesco - ne emerge senza ambiguità come Martin
Heidegger sia rimasto fedele a tutta una serie di assunti distintivi del nazionalsocialismo.
Una reale comprensione del suo pensiero risulta impossibile se si trascura questa fedeltà: la
certezza, intimamente discriminatoria, di una superiorità spirituale dei tedeschi, radicata nella loro
lingua e legata al loro destino; l’avvaloramento del suo proprio pensiero, continuatore e depositario
di quello di Hölderlin, come paradigma e guida per lo sviluppo spirituale dell’umanità;
l’opposizione determinata ad ogni forma di democrazia. Ben diversamente dalle diffuse posizioni
tendenti a minimizzare la rilevanza del nesso tra Martin Heidegger e il nazionalsocialismo, le nostre
ricerche ci inducono a pensare che, proprio attraverso questo legame, il pensiero di Heidegger trovò
come connettersi al passato suo e di tutta un’epoca, e che, sempre a partire da esso, si sia snodata,
nei tratti essenziali, l’ulteriore evoluzione di tale pensiero.7
Parte prima. Dagli anni della giovinezza al rettorato (1899-1933)
Lo scritto di Elfriede Heidegger-Petri si colloca, in linea di massima, nel quadro della concezione
nazionalsocialista della donna, così com’era stata tratteggiata da Hitler, nel discorso tenuto l’8
settembre 1934 a Norimberga al Congresso delle donne,40 nonché dalla dirigente
dell’organizzazione femminile del Partito, Gertrud Scholz-Klink.41
In una questione tanto discussa meritano di essere evidenziati alcuni spunti originali, soprattutto se
si pone mente alla scontata superiorità attribuita agli uomini dall’ideologia nazista. Il contributo di
Elfriede Heidegger-Petri emerge come di tutto rilievo nel dibattito sulla situazione della donna nel
sistema educativo nazionalsocialista. Noi ci occuperemo, in questa occasione, unicamente di
quanto, nel suo saggio, si possa riallacciare alle posizioni sostenute dal marito.
Prima significativa affinità: come nel mondo universitario Martin Heidegger assegnava un ruolo
d’avanguardia alla base studentesca, analogamente Elfriede Heidegger-Petri si ergerà a paladina di
uh gruppo che le concezioni conservatrici, i più rappresentativi esponenti nazionalsocialisti e
l’apparato del Partito tenevano in scarsa considerazione. Elfriede Heidegger-Petri intendeva
difendere il diritto delle donne a integrarsi con pari dignità nella vita universitaria e quindi anche
nella vita sociale e nella rivoluzione.
Il punto di partenza della sua analisi è pienamente conforme al credo nazionalsocialista: «Ogni
epoca che, come la nostra, tenta di dar vita a una nuova concezione del mondo, deve riproporre la
questione dello scopo e dello sviluppo delle nuove generazioni. Il vecchio obiettivo dell’umanesimo
moderno, l’educazione della libera personalità, non è più attuale. Al di sopra dell’io c’è il noi, al di
là delle esigenze della personalità individuale, ci sono quelle della comunità del popolo.»42
Elfriede Heidegger-Petri applica questi princìpi generali alla specifica situazione della donna: «Il
nostro sapere lotta per il superamento del fatale errore di credere nell’uguaglianza degli esseri
umani, per dare ragione della diversità delle razze e dei popoli; questo sapere afferma allo stesso
tempo, e con ragione, la differenza tra i sessi. La questione dello sviluppo dell’educazione delle
nostre nuove generazioni implica quindi, fin dall’inizio, un’immediata differenza nella maniera di
concepire l’educazione dei giovani e delle giovinette.»43
Secondo l’autrice, tuttavia, non vi sono buone ragioni che possano giustificare una differenziazione
nei programmi di studio, dal momento che la scuola primaria crea già una distinzione tra ragazzi e
ragazze. Elfriede Heidegger-Petri raccomanda perciò un insegnamento secondario comune a tutte le
giovani, indipendentemente dal successivo orientamento verso un indirizzo di studi professionale
o verso l’università. La separazione costituisce un pericolo «per l’autentica comunità del popolo, il
più prezioso, ma anche il più minacciato dono dispensato dal nostro grande Führer al popolo»;44
non solo, ma sarebbe in palese contraddizione con il principio generale secondo cui «ogni donna
tedesca deve realizzarsi nello stesso tempo come madre e come camerata del popolo».
«L’appellativo onorifico di camerata del popolo che il Führer conferisce alla donna tedesca non si
accorda con i tentativi di discriminazione della donna. Se si vuole andare al di là di
un’interpretazione superficiale di questi orientamenti e chiamare le cose con il loro nome, va detto a
chiare lettere che essere donna non vuol dire essere schiava, che la maternità non è una questione
sentimentale. Ridurre questa a una semplice condizione fisiologica significa abbassare la donna allo
stato di femmina. Essere donna e essere madre significa concretizzare valori di ordine spirituale. È
una vera camerata del popolo solo la donna che, al di là della ristretta cerchia della vita famigliare,
sa anche essere la camerata del suo sposo nella lotta per fare della vita tedesca del popolo una
realtà; è camerata del popolo soltanto la padrona di casa che compie i suoi specifici doveri di
guardiana della principale ricchezza del popolo. È camerata del popolo solo la madre che si realizza
come portatrice e guardiana del prezioso patrimonio razziale del nostro essere tedeschi e
come educatrice autentica dei propri figli, dando loro la possibilità di divenire futuri protagonisti del
nostro destino nazionale. Infine, solo è camerata del popolo la donna tedesca disposta, quando arrivi
l’ora fatidica, a fare o a patire qualsiasi sacrificio per la sopravvivenza della patria.»45
Da tali princìpi, Elfriede Heidegger-Petri deriva gli obiettivi essenziali dell’educazione femminile:
indirizzare e potenziare l’attitudine della donna a divenire moglie e madre, «diffondere e rinsaldare
la persuasione che tutti i membri del popolo sono uniti dai vincoli fondamentali della razza, dei
costumi, della storia e dell’economia distintivi della loro società»; educare le giovani alla
conoscenza del proprio corpo in vista della maternità; prepararle, in quanto donne, alla loro
professione, sia che questa venga esercitata in casa, o nell’ambito di un’attività teorico-scientifica, o
nel campo del lavoro.46 Un solido legame con la comunità del popolo, volto al futuro, potrà essere
garantito unicamente se le giovani riceveranno un’educazione omogenea: «Se lo spirito militare
caratteristico del soldato trasforma i giovani in camerati, essere mogli e madri costituisce l’unità
delle donne.»47
Secondo Elfriede Heidegger-Petri, le riforme, attraverso cui, nel 1908 prima e quindi nel 1925, ci si
era prefissi un riordinamento del sistema formativo femminile preuniversitario, avevano fallito il
loro scopo appunto per aver ignorato la specificità della condizione della donna. A ciò si erano poi
aggiunti gli errori contenuti nel programma preposto all’educazione maschile.48
Anche i nuovi progetti non sono esenti da gravi difetti e presentano rischi di non poco conto. Ad
esempio si favorisce l’incremento dell’istruzione femminile nelle grandi città. Un tale indirizzo
potrebbe portare a reclutare la maggioranza delle future generazioni universitarie nei più ampi
centri urbani, in ambienti, dunque, che «per l’aspetto culturale e razziale non si presentano certo
come i migliori».49 Occorre ridurre il numero delle discipline studiate, senza per questo rinunciare a
una robusta e rigorosa preparazione teorica.
*43
E ciò non è affatto impraticabile: il convincimento che l'attività materiale non possa essere di
stimolo a un sapere teorico forte è nient’altro che un equivoco fondato sul «diffuso pregiudizio
secondo cui non sarebbe possibile raggiungere quanto sia spirituale a partire da una dimensione
pratica». È un abbaglio e un preconcetto pensare che l’attività concreta non sia in sé qualcosa di
spirituale e affermare che essa sarebbe alcunché dì profondamente diverso rispetto alla «scienza
intesa in senso stretto».50
Bisogna, senza trascurare la peculiarità della donna, agevolarne l’accesso agli studi superiori.
Sottolineando la necessità di favorire l’ingresso all’università delle giovani che non vivono nelle
città, Elfriede Heidegger-Petri fa suo il programma del marito. Analogamente, si accosta ad esso
quando polemizza con i pedagogisti nazionalsocialisti avversi all’accesso della donna tedesca
all'università. L’allusione alle proposte di Bäumler non può sfuggire:
«Il nostro popolo, situato nel cuore dell’Europa, ha bisogno, per affermarsi, delle forze, dei talenti e
dello spirito di sacrificio di tutti i camerati del popolo. Chiudere di nuovo alle donne le porte
degli edifici scolastici superiori significa farne dei camerati del popolo di seconda classe.
L’ingiustizia cui è stato posto riparo nel caso degli operai, verrebbe così commessa nei confronti
delle donne del nostro popolo. E, ancora di più, ciò sarebbe di pregiudizio al prestigio e alla crescita
organica della nostra cultura. Il vecchio e il giovane, l’uomo e la donna, la città e la campagna, tutti
devono poter partecipare. Fintantoché l’università avrà come obiettivo e come esigenza di essere
portatrice di cultura, di plasmare il nostro popolo e di formare il nerbo della sua classe dirigente,
essa deve, per principio, essere accessibile a tutti i membri del popolo.»51
Elfriede Heidegger-Petri si dimostra critica anche rispetto alla posizione di Krieck, secondo il quale
le università si sarebbero dovute trasformare in senso professionale, assumendo le caratteristiche di
scuole di specializzazione (Fachschulen). «Se così fosse, la formazione superiore femminile si
vedrebbe ridotta a un’appendice dell’istruzione maschile. »
Ci si è troppo ispirati alle innovazioni attuate nei paesi anglosassoni. Ora, se si pone mente alle
«esigenze imposte dalla vita spirituale tedesca», tali esperienze non corrispondono alla realtà. Se,
infatti, il popolo tedesco vuole fare della famiglia l’autentica sorgente della forza nazionale
(völkische Kraft) e se pertanto i bambini debbono diventare il bene piu prezioso della nazione,
occorre offrire alla donna la preparazione più qualificata: quella, appunto, ricevuta dalla classe
dirigente e quindi anche l’insegnamento universitario. A scanso di ogni possibile fraintendimento,
occorre rammentare che «la classe dirigente è esclusivamente composta di persone riconosciute per
la loro personalità e/per le loro qualità».52 Elfriede Heidegger-Petri ne desume anche come sia
impellente spianare alle donne la via verso l’impegno professionale. Esse hanno dimostrato negli
ultimi vent’anni la capacita di inserirsi con competenza nella comunità del popolo come medici,
come giudici e come assistenti sociali con un’efficacia in tutto e per tutto paragonabile a quella
degli uomini. Esse hanno, in tal modo, dimostrato con i fatti di essere all’altezza di svolgere attività
che gli uomini non potevano assumere.
Né il lavoro sociale né l’educazione delle giovani sono pensabili senza il contributo di donne
professionalmente qualificate e di donne insegnanti, se è vero che «il miglior ammaestramento si
basa sull’esempio».53
«Chi ha avuto occasione di frequentare giovinette di tutti gli ambienti, nelle scuole,
nell’Associazione delle giovani donne nazional-socialiste o nel servizio femminile del lavoro, ben
sa come da esse emergano forze spirituali e intellettuali vive e originali che lottano per ottenére una
formazione. Evitiamo di trascurarle o, ancor peggio, di emarginarle consapevolmente. Cerchiamo
invece di creare per esse una reale possibilità di formazione e di integrazione nella vita sociale.»54
L’intervento di Elfriede Heidegger-Petri va collocato nell’ambito del dibattito sulla riforma del
sistema di istruzione e sull’assetto e le connotazioni dell’impegno politico delle donne all’interno
del Partito. La linea egemonica puntava a delimitare strettamente la loro sfera di attività e a
circoscriverla all’organizzazione a ciò depistata, la NS-Frauenschaft.55 Tale struttura, lo ricordiamo,
fiancheggiò, dall’epoca della sua creazione fino al 1934, la corrente SA di Rohm. L’editoriale
comparso sul fascicolo numero 2 della rivista «NS-Frauenwarte» (portavoce ufficiale della NS-
Frauenschaft), pubblicato il 15 luglio 1932, riproduceva l’appello lanciato alle donne tedesche da
Gregor Strasser, uno dei massimi esponenti della tendenza SA. I numeri del 15 luglio 193256 e del
1° ottobre 193257 contengono interventi su Strasser e la sua azione politica. L’impostazione
ideologica della rivista era decisamente radicale, come risulta da parecchi articoli, tra cui,
particolarmente significativi, Riflessioni sulla legge concernente la sterilizzazione, dovuto al dottor
Schwab,58 Un contributo al problema della razza (non firmato)59 e La Frauenschaft e l’igiene
razziale, del professor Staemmler.60
L’organizzazione femminile nazionalsocialista cui fa cenno Elfriede Heidegger-Petri, proclamava,
come dichiarazione di principio, nel proprio statuto:
«Noi lottiamo per la conservazione della razza ariana, e dunque per liberare la vita nazionale da
qualsiasi influenza razziale straniera. Lo spirito deve essere tedesco, tedesca la nostra lingua,
tedesca la legge e tedesca la cultura (...) Noi lottiamo con la parola e con i fatti, avvalendoci di tutti i
mezzi a nostra portata, contro lo spirito giudeo-marxista. Noi vogliamo fare della nostra volontà
vitale e nazionale un bastione contro l’annientamento che ci minaccia attraverso il pacifismo e il
bolscevismo comunista. Noi siamo fautrici dello sviluppo della coscienza sociale e del dovere del
servizio sociale.»61
Proprio nello stesso anno in cui Elfriede Heidegger-Petri esaltava il lavoro della Frauenschaft,
furono promulgate le leggi razziali e si moltiplicarono, con particolare virulenza a Friburgo, le
brutali persecuzioni contro i cittadini tedeschi di origine ebraica. L’organizzazione nazista delle
donne fu parte attiva di tali persecuzioni.
«Nel 1935 la Führerin (dirigente) della NS-Frauenschaft di Friburgo invitò tutte le donne tedesche
della città a boicottare i negozi ebrei. Quando i commercianti ebrei cominciarono a liquidare la
loro merce a prezzi ribassati, le squadre naziste cercarono di bloccare l’ingresso dei negozi e ciò
provocò violente reazioni. Nell’estate del 1935 gli ebrei si videro interdire i bagni pubblici con la
minaccia, diffusa dalla stampa, di brutali punizioni qualora tentassero di contravvenire a tale
disposizione.»62
E non si era che all’inizio. Il 9 novembre 1938 la sinagoga di Friburgo sarà data alle fiamme dalle
SA e dalle SS, che costrinsero a forza il rabbino, dopo averlo strappato dal letto, ad assistere
alla distruzione del tempio. Le spese per lo sgombero delle macerie dell’edificio furono accollate
alla stessa comunità ebraica friburghese.63 Più di cento membri di questa comunità trovarono poi la
morte nei campi di concentramento di Dachau.64
L’azione intimidatoria contro gli ebrei aveva avuto inizio nel 1933 con il boicottaggio nei confronti
di negozianti, avvocati, medici e professori, organizzato dalle SA e dagli studenti
nazionalsocialisti. Il coordinamento si rivelò perfetto e coprì contemporaneamente tutto il Reich.65
Rievocando il clima di quegli anni, e vedendo come in trasparenza nel dolore della moglie la
sofferenza del popolo ebraico, Karl Jaspers scriveva a Martin Heidegger il 24 luglio 1952:
«Apprendendo la notizia del boicottaggio dal “Völkischer Beobachter”, mia moglie scoppiò in
lacrime e pianse come chi vede il mondo crollargli addosso. Lei allora si limitò a proferire:
“Talvolta fa bene piangere. ” »66 Jaspers ricorda anche come, a quell’epoca, Heidegger l’avesse
messo in guardia contro i pericoli rappresentati dall’«internazionale giudaica».67
Martin Heidegger ha negato, in diverse circostanze, di essere stato antisemita,68 invocando, a
propria discolpa, l’aiuto da lui fornito ai professori Thannhauser e Hevesy, nonché alla sua allieva
Hélène Weiss. Il dibattito su tale questione, affrontato con particolare vigore da François Fédier,
guadagnerebbe molto in obiettività scientifica se si procedesse alla pubblicazione delle lettere scritte
da Heidegger in risposta a Karl Jaspers, o se, almeno, si permettesse al pubblico di avere accesso
all’epistolario.
Ci pare indispensabile, a questo punto, riportare una citazione, il cui interesse risiede nel suo
riferirsi a una costante ideologica da sempre presente nell’atteggiamento del filosofo. La fonte è più
che affidabile: si tratta dell’opera del discepolo e amico di Heidegger, Heinrich W. Petzet,
sottoposta ad accurata revisione da parte di Elfriede Heidegger-Petri.69 Vi si legge: «Se un certo
tipo di vita cittadina gli ripugnava, ciò è ancor più vero per lo spirito mondano dei circoli ebraici
che dominavano le grandi capitali dell’Occidente. »70
L’atteggiamento del regime verso Martin Heidegger attorno al 1936
L’atteggiamento critico di Martin Heidegger, benché avesse come bersaglio personaggi nazisti del
calibro di Alfred Rosenberg o Ernst Krieck, non gli procurò mai, come contraccolpo, l’ostilità del
regime.
Proprio attorno a questi anni, tra il 1935 e il 1936, anzi, il Ministero dell’Educazione e delle Scienze
di Berlino si avvarrà del rapporto calunnioso redatto da Heidegger nel 1933 sul conto del
professor Eduard Baumgarten. L’ortodossia dottrinale del filosofo, nella concezione che ne avevano
le autorità, veniva come sanzionata da un atto del Ministero, che lo cooptava a pieno titolo nel
sistema di delazione il cui compito era produrre di siffatti rapporti riservati.71
Il medesimo Ministero aveva palesato la propria simpatia a Martin Heidegger proponendo al rettore
dell’Università di Friburgo, in una comunicazione dell’11 maggio 1935, di nominare Heidegger
preside della Facoltà di filosofia. Il fatto, di per sé significativo e retrospettivamente illuminante
sulle circostanze che poterono essere all’origine delle sue dimissioni nel 1933, suscitò una reazione
di disappunto da parte del rettore di Friburgo. Questi, infatti, il 18 maggio, rispose al ministro per
lettera, esprimendosi nei seguenti termini:
«Mi trovo costretto a sconsigliare decisamente la nomina del professor Heidegger a preside della
Facoltà di filosofia. Durante il suo mandato di rettore, il professor Heidegger ha perso la fiducia
dei suoi colleghi di Friburgo. Anche l’amministrazione del Baden ha avuto con lui dei problemi e da
questi fatti egli fu indotto a rassegnare le dimissioni. Per quel che mi concerne, un lavoro in comune
con il professor Heidegger, data la fiducia che ciò presupporrebbe, è affatto impensabile. Mi ha
destituito dalle funzioni di preside della Facoltà di diritto per rimpiazzarmi con il professor Erik
Wolf. Per le sue attitudini ad assumere la carica di preside, vi chiedo, qualora ciò si rivelasse
necessario, di consultare il professor Eckhardt. Dubito, peraltro, che dopo la sua esperienza di
rettore, il professor Heidegger voglia accettare il posto di preside. »72
In contrasto con quanto sarà dichiarato da Heidegger nel 1945, e cioè che il suo Discorso del
rettorato sarebbe stato oggetto di aspri attacchi, soprattutto negli ambienti accademici,73 si può
costatare che esso fu riedito nel 1937 per la terza volta, con una tiratura di cinquemila esemplari,74
in un periodo in cui ogni pubblicazione e anche qualsiasi ristampa erano sottoposte a una vigile
censura. Heidegger non poteva certamente ignorare l’esistenza di tale edizione. E a comprova di ciò
sta il fatto che il 27 aprile 1937 egli aveva fatto omaggio alla signora Maria Lietzmann,
accompagnandoli con una lettera, di un esemplare con dedica di questa terza edizione del Discorso
del rettorato, oltreché di una copia fuori commercio del saggio su Hölderlin.75
La citata terza edizione del Discorso del rettorato è messa a repertorio nel Gesamtverzeichnis des
deutschsprachigen Schrifttums.76 La prima edizione, va segnalato, era riservata all’Università di
Friburgo. La seconda e la terza edizione furono pubblicate per i tipi della Korn di Breslavia.
Quanto alla pubblicazione del saggio Hölderlin und das Wesen der Dichtung (Hölderlin e l’essenza
della poesia), neanche in questo caso si può sottoscrivere il punto di vista poi sostenuto da
Martin Heidegger nell’intervista con lo «Spiegel»;77 il testo originale è quello di una conferenza
pronunciata da Heidegger il 2 aprile 1936, presso l’Istituto italiano di studi germanici di Roma,
nell’ambito cioè di un organismo ufficiale del governo mussoliniano. L’effettuazione della
conferenza doveva passare al vaglio non solo delle autorità italiane, ma anche del Ministero degli
Affari Esteri del Reich. L’Istituto in questione, la cui sede è a Villa Sciarra sul Gianicolo, era
stato creato dal governo italiano per rafforzare le relazioni culturali tra i due paesi di fronte alle
esigenze del momento.
La conferenza di Martin Heidegger faceva parte delle attività programmate dall’Istituto per il 1936.
Il ciclo delle iniziative si era aperto l’anno prima con delle letture poetiche di Hans Carossa, tenute
il io gennaio 1933. Carossa riceverà il premio Goethe della città di Francoforte nel 1938; nel 1941
gli verrà conferito l’incarico di presidente dell’Unione degli scrittori europei, organismo ideato
da Goebbels per coordinare la propaganda culturale all’estero.78 La produzione letteraria di
Carossa, benché egli sia abitualmente considerato uno scrittore «dissidente», riscosse, in realtà, una
calorosa accoglienza ufficiale, e questo nonostante il suo rifiuto, nel 1933, dovuto a ragioni
personali, di aderire alla Camera degli scrittori. Le sue poesie trovavano spazio sulle riviste di
partito,79 e, nel 1942, l’Amt Wissenschaft fece dono di una delle sue opere a Hitler per festeggiarne
il compleanno.80
La conferenza successiva - sempre presso l’Istituto italiano di studi germanici -, dal titolo «Cultura
e storia nelle fluttuazioni ambientali del loro svolgimento», fu tenuta da Karl Haushofer, professore
di geopolitica all’Università di Monaco, uno dei più noti teorizzatori dello «spazio vitale».
Seguirono, poi, Magnus Olsen, dell’Università di Oslo, con «Roma e l’antica poesia nordica»,
e Heinrich von Srbik, dell’Università di Vienna, con « Liberalismo e democrazia in Germania fino
al 1848».
Von Srbik, professore di storia medievale e moderna, sarà nominato dal ministro Rust, nel 1942,
presidente della Commissione storica pangermanica. Fin dal 1935 egli aveva collaborato, da
Vienna, all’Istituto del Reich per la storia della nuova Germania, di cui era direttore Walter Frank.81
Nel 1943, sotto il governatorato del Reichsstatthalter Baldur von Schirach e grazie proprio
all’apporto finanziario di questi, von Srbik avvierà, in quanto membro dell’Accademia delle scienze
di Vienna, la pubblicazione delle opere di Abraham a Sancta Clara.
Agli incontri citati, vanno aggiunte le conversazioni di Hans Heyse su «Kant e l’antichità classica»,
di Carl Schmitt su «Il problema teorico dell’unità statale nei suoi tre elementi teorici costitutivi»,
di Karl Lowith su «Lettura e interpretazione di Nietzsche», di Carlo Antoni su «La formazione
storica del Reich», e di Delio Cantimori su «Le dottrine politiche del nazionalsocialismo». 82
L’invito rivolto a Heidegger era firmato dal filosofo ufficiale del fascismo italiano, Giovanni
Gentile. 83 La partecipazione di Heidegger al ciclo di conferenze aveva ricevuto l’avallo del
Ministero degli Affari Esteri del Reich, tramite il quale, anche, gli fu trasmessa la comunicazione
ufficiale. Questo documento è reperibile nell’archivio del Ministero degli Esteri di Bonn. 84
Si può congetturare che proprio in questo periodo, e in occasione della sua collaborazione con
l’Istituto italiano di studi germanici, Heidegger stabilisse, direttamente o indirettamente, una serie
di collegamenti con personalità del regime mussoliniano. Qualche anno dopo, fu grazie a un
intervento personale del Duce presso Goebbels che il suo scritto La dottrina di Platone sulla verità
verrà incluso nell’annuario curato dal suo allievo Ernesto Grassi, malgrado il volere contrario di
Rosenberg.
La conferenza di Heidegger fu pubblicata sulla rivista «Das Innere Reich» (1937). Questa rivista
potè nascere in forza di una speciale autorizzazione del governo, in un periodo in cui non era
legalmente prevista la creazione di nuovi periodici. Sul primo numero si poteva leggere: «Il nostro
lavoro non si rivolge solo ai lettori tedeschi, ma a tutti coloro che, oltre frontiera, siano pronti a
riconoscere che, malgrado la fuga di certuni personaggi all’estero, i nostri ingegni di vaglia non
hanno abbandonato il nostro popolo, ma che, al contrario, nella Germania nazionalsocialista, si è
creato negli ultimi tempi uno spazio per i migliori tedeschi, quelli che appartengono al Reich
interno (Innere Reich).»85 L’uscita della rivista fu sospesa nel corso del 1936 per qualche tempo. Il
lavoro di Heidegger comparve sul primo numero successivo alla pausa di sospensione.86
Il saggio Hölderlin e l’essenza della poesia ebbe un’accoglienza positiva. La rivista «Die Neue
Literatur» di Lipsia faceva notare, nel fascicolo del febbraio 1937, come Heidegger avesse dedicato
il proprio scritto a Hellingrath, curatore delle opere di Hölderlin, «morto in combattimento», e come
egli avesse saputo presentare il poeta nel modo più conveniente.87 Nello stesso senso la rivista
«Blätter für Deutsche Philosophie», di cui era direttore il filosofo nazionalsocialista Heinz
Heimsoeth, lodava Heidegger per aver interpretato Hölderlin dal punto di vista del popolo tedesco,
definendolo il «poeta dei poeti».88
L’asserzione di Heidegger, sempre nello scritto giustificatorio del 1945, secondo cui il suo saggio
sarebbe stato criticato con asprezza di toni da parte della rivista della Gioventù hitleriana «Wille
und Macht», si può considerare quantomeno inesatta. Nel fascicolo del 15 marzo 1937, il dottor W.
Könitzer, al quale si deve il commento cui Heidegger allude, affermava, per la precisione, che «la
gioventù è più adatta a comprendere Hölderlin che non il professor Heidegger», senza peraltro
negare che «Heidegger, nei paragrafi finali del suo articolo, mostra di essersi saputo
mettere all’altezza della potenza di parola del poeta, facendo propria la necessità di adattarsi a
questa parola. Per tal motivo Heidegger, nella parte conclusiva, è stato in grado di dare espressione
all’autentico Hölderlin.»89
Heidegger, comunque, si sentì colpito nel suo amor proprio. In una lettera a Benno Mascher,
collaboratore della casa editrice di «Das Innere Reich», scriveva: «L’asserzione di quel tal critico
di “Wille und Macht” secondo cui il mio articolo su Hölderlin sarebbe profondamente estraneo alla
gioventù, dimostra soltanto che non ci si può attendere molto da questo tipo di “tedeschi”. Un ex
SS Führer, che conosce bene la società di Marburgo, m’informa, inoltre, che il dottor K. si
segnalava, ancora nel 1933, come socialdemocratico...»90
Dovevano essere ben saldi i legami di fiducia esistenti tra Martin Heidegger e il citato ex SS Führer,
se quest’ultimo si potè sentire legittimato a denunciargli il proprio camerata della Gioventù
hitleriana.
Per illustrare il genere di rapporti intrattenuti da Heidegger, attorno al 1936, con gli organi di
stampa e i pubblicisti nazisti, è importante fare riferimento a una serie di documenti archiviati
presso il Centro di documentazione di Berlino. Essi vertono su un’eventuale collaborazione di
Heidegger alla rivista «Das Volk», i cui responsabili erano Adolf Ehrt e Wolfgang Nufer.91
Nufer era affiliato alle SS dal 1933 e iscritto alla NSDAP dal 1932. All’inizio del 1936 fu nominato
amministratore del teatro di Friburgo. Ehrt era membro della NSDAP, anch’egli dal 1932, e delle
SA dal 1933. Redattore del «Völkischer Beobachter» dal 1934, era anche autore di lavori come
Bewaffneter Aufstand! (La ribellione armata, 1933) e Der Jude als Verbacher (L’ebreo come
delinquente, 1937) con prefazione di Julius Streicher.
Il titolo originario della rivista «Das Volk» era «Völkische Kultur»: sotto tale denominazione viene
raccomandata ai militanti nazisti nel catalogo di Unger.92 Una lettera spedita dal comitato direttivo
della rivista, in data 2 maggio 1936, al Ministero dell’Educazione e delle Scienze, ci rivela come la
volontà della direzione di «Das Volk» di sollecitare il contributo di Heidegger non fosse certo
cosa nuova. Lo scopo della lettera era di chiedere «informazioni» su Heidegger, «sul suo lavoro e
sulla sua personalità». La risposta ministeriale, del 2 giugno 1936, non eccepisce nulla nei confronti
del filosofo, limitandosi a rifiutare di fornire qualsiasi indicazione «per una questione di principio».
Va comunque osservato che Wolfgang Nufer, ormai dall’inizio del 1936, si era stabilito e operava
a Friburgo; è dunque probabile che a monte della decisione di «Das Volk» di cooptare tra i propri
collaboratori Martin Heidegger ci fossero dei contatti tra Heidegger e Nufer, o, almeno,
l’apprezzamento di quest’ultimo nei confronti della posizione ideologica del filosofo.
L’intenzione della rivista di rivolgersi a Heidegger, comprova come, in quel periodo, questi,
malgrado il suo atteggiamento «critico», godesse di tutti i titoli per pubblicare anche su periodici
ortodossi quale appunto era «Das Volk».
Altra testimonianza della fiducia riposta dal Ministero dell’Educazione in Heidegger è costituita dai
tentativi del regime volti a riorganizzare politicamente la Kant-Gesellschaft (Società kantiana) e a
risolvere la crisi che aveva travolto questo insigne sodalizio filosofico fin dal 1933. Nell’Archivio
centrale di Merseburg figurano svariati documenti che ben attestano gli sforzi compiuti, soprattutto
dall’Amt Wissenschaft di Rosenberg, per riformare la Kant-Gesellschaft, ristrutturandone la
direzione. Il professor Hans Heyse, che, tra il 1936 e il 1937, si ritrovò a capo dell’associazione e
della rivista« Kant-Studien», fu tra i personaggi chiave di tale operazione.
A quanto risulta dalla documentazione conservata negli archivi dell’Università di Halle (sede della
Kant-Gesellschaft), il professor Paul Menzer, vecchio presidente dell’associazione, sulla base
del nuovo ordinamento statutario, fu destituito dalle sue funzioni nel
1936, in seguito a una forte pressione ufficiale.
Nel frattempo la direzione aveva subito tali e tanti rimaneggiamenti che, con le dimissioni di Hans
Heyse, esternate nel febbraio
1937, si arrivò a una crisi difficilmente sanabile. Il dottor Martin Lopelmann, fiduciario del
Ministero presso il comitato direttivo, lasciò l’incarico il 10 ottobre 1934, conformemente alle
esigenze della NSDAP.93 Fino al 1934 anche Eduard Spranger era stato, insieme a Löpelmann e
Menzer, membro della direzione. Da una nota dell’Amt Wissenschaft di Rosenberg, reperibile
presso l’Istituto di storia contemporanea di Monaco,94 destinata ad Alfred Bäumler, emerge con
grande chiarezza come quest’ufficio fosse in disaccordo con la linea ideologica seguita dalla Società
kantiana e come reputasse auspicabili le dimissioni di Löpelmann dalla direzione.95 E Löpelmann,
il 10 ottobre 1934, rassegnò le proprie dimissioni al Ministero, autorità istituzionalmente preposta a
sovrintendere alla Kant-Gesellschaft.96 Come risulta dalla documentazione disponibile, la scelta di
affidare a Bäumler poteri decisionali, suscitò notevoli opposizioni all’interno stesso
dell’associazione.
Si stava costituendo, intanto, all’estero, un’altra Kant-Gesellschaft, della cui direzione si erano
impegnati a far parte i professori Liebert (Belgrado), Kuhn (emigrato in Olanda), Husserl
(Friburgo) e Driesch. Si trattava di un’iniziativa in palese contrasto con le posizioni ufficiali. Fu la
stessa Kant-Gesellschaft, probabilmente nella persona di uno dei membri della direzione, che fornì
questa informazione di carattere delatorio alle autorità naziste. Essa fu indirizzata a Schäfer,
dell’Ufficio relazioni estere della NSDAP, il 18 dicembre 1935.97
In una lettera del 24 luglio 1936, Hans Heyse mette Schäfer a parte delle proprie difficoltà - come
presidente dell’associazione e direttore della rivista «Kant-Studien» - a trasformare questi due
organi in strumenti della propaganda culturale e scientifica naziste. Hans Heyse dichiara di aver
assunto le responsabilità di presidente e di direttore su richiesta di Alfred Rosenberg. Egli esprime
l’esigenza di più ampie disponibilità economiche e di una radicale trasformazione della Kant-
Gesellschaft in senso nazionalsocialista.98
A questo punto intervenne il Ministero dell’Educazione e delle Scienze, designando il consigliere
governativo Frey al riordinamento della Kant-Gesellschaft. Il rapporto di Bäumler,
consultabile presso l’Istituto di storia contemporanea di Monaco, attesta come Frey proponesse una
«rapida e improcrastinabile trasformazione» della direzione, suggerendo per la presidenza il nome
di Martin Heidegger, per la vicepresidenza il professor Löpelmann di Berlino, e come vicepresidenti
a latere i professori Koellerreuter di Monaco e Metzner della Camera degli scrittori del Reich. Frey
indicò, inoltre, sempre per la direzione, l’incaricato di missione Stieve e il direttore ministeriale
Gauss; pensava poi, con il beneplacito del Ministero degli Esteri, di riservare una serie di posti a
personalità straniere - e, precisamente, a un olandese, un inglese, un francese, un italiano, un
giapponese e un americano - rappresentative del mondo filosofico del loro paese. L’organigramma
includeva ancora un altro rappresentante della Camera degli scrittori del Reich nonché un emissario
dell’Amt Wissenschaft di Rosenberg.99
In una lettera indirizzata a Bäumler, l’Amt Wissenschaft manifestava apertamente il proprio
disaccordo sulla lista ministeriale, senza peraltro fare nomi, e ribadiva l’opportunità di designare
alla presidenza, se possibile, lo stesso Bäumler, come in seguito avvenne con il consenso di Frey.
Sulla successiva evoluzione della crisi disponiamo soltanto delle informazioni ricavabili da una nota
del 24 febbraio 1937, diretta a Bäumler. In essa si notificavano le dimissioni rassegnate da
Heyse, l'8 febbraio 1937, sia dalla presidenza che da membro dell’associazione.100
La rivista «Kant-Studien» rivedrà la luce nel 1942-43 e in quella data Heyse ricompare come
responsabile. Martin Heidegger era socio della Kant-Gesellschaft fin dal 1916 nella veste di
professore dell’Università di Friburgo. Il conflitto esaminato, concernente la gestione della società
kantiana, rivela a sufficienza i contrasti interni e le lotte di frazione che opposero Martin Heidegger
a Rosenberg.
«L'origine dell'opera d'arte» e «Le vie del dialogo»
Le prospettive filosofiche e filosofico-politiche di Martin Heidegger in questo periodo appaiono,
con la massima sistematicità, nei due scritti Der Ursprung des Kunstwerkes (L’origine dell’opera
d’arte) e Wege zur Aussprache (Le vie del dialogo).
I saggi sull’opera d’arte furono redatti da Martin Heidegger in tempi successivi. La prima stesura
corrisponde a una conferenza tenuta alla Società per la scienza dell’arte di Friburgo il 13
novembre 1935 e ripresa a Zurigo su invito dell’Associazione degli studenti universitari. Il testo
definitivo, pubblicato nella raccolta Holzwege (Sentieri interrotti), riunisce tre diverse conferenze
pronunciate al Freies Deutsches Hochstift di Francoforte rispettivamente il 17 e il 24 novembre
1936 e il 4 dicembre dello stesso anno.101
È bene sottolineare subito la comparsa, in questo scritto, di un elemento concettuale nuovo,
attraverso cui Heidegger intendeva delucidare l’essenza dell’opera d’arte. Il filosofo concepisce
l’opera d’arte come una «messa-in-opera-della-verità». La nozione elaborata da Heidegger
possiede, tuttavia, una valenza di ordine più generale: essa deve anche prestarsi a penetrare l’origine
dello Stato, nel cui spazio sorgono l’essere di ciò che è e la domanda che esso suscita.
II riferimento politico si inscrive in quel «rivoluzionarismo» caratteristico di Heidegger, che
concepisce lo Stato e la società come lotta originaria, e la storia come la loro sorgente
dinamica. «Quando si apre un mondo, si decidono, per un’umanità storica, vittoria e sconfitta,
benedizione o maledizione, dominio o servitù.»102
Vediamo snodarsi nel corso della riflessione una costante ideologica heideggeriana: il soggetto in
cui si palesa la verità e la sua messa in opera è il popolo. Le categorie di «terra», di «mondo» e
quelle che ne derivano, trovano il loro fondamento nell’atto attraverso cui un «popolo storico » si
costituisce, da sé stesso, concretizzando la verità, facendola opera. In questa prospettiva, Heidegger
interpreta il proprio lavoro come un momento della lotta del popolo tedesco per appropriarsi della
sua identità: «Siamo noi, nel nostro esserci, storicamente all’origine? Sappiamo-cioè cerchiamo
veramente-l’essenza dell’origine? Oppure, nel nostro atteggiamento di fronte all’arte, ci affidiamo
semplicemente alle notizie erudite del passato?»103
Funge per Heidegger da segnavia una personalità, una sorta di giudice storico-trascendentale, che,
dando voce al popolo e alla sua tradizione, si configura come paradigma dell’azione futura:
Hölderlin.
«Per questo aut-aut e per la sua decisione c’è un segno sicuro. Hölderlin, il poeta la cui opera
aspetta ancora la comprensione dei tedeschi, vi ha accennato quando dice: “Difficilmente ciò che
abita vicino all’origine, abbandona il suo posto.”»104
L’estetizzazione della politica rappresenta, per Heidegger, uno strumento per spiritualizzarla.
Percorrendo questo itinerario Heidegger vive un incontro cruciale: quello con Hölderlin come
guida spirituale. Hölderlin, o per lo meno lo Hölderlin visto da Heidegger, non sostituisce Hitler, ma
diventa il supremo segnacolo che gli permette di affrontare l’attività spirituale e politica. Già nel
corso tenuto da Heidegger nel 1934, veniva posto l’accento sull’essenziale ruolo, tanto storico che
politico e filosofico, di Hölderlin. Ora egli viene qui invocato, in un momento capitale
dell’evoluzione del filosofo, nello scritto sull’opera d’arte. Il ruolo di Hölderlin verrà ancor più
decisamente valorizzato negli anni della seconda guerra mondiale. La nuova categoria messa a
punto da Heidegger, la «messa-in-opera-della-verità», ben si presta a essere utilizzata per un’analisi
della storia del popolo e a definire alternative reali; essa sembra costituire un tassello centrale di
quel processo di spiritualizzazione verso cui, secondo Heidegger, il movimento doveva essere
instradato.
La nozione di «messa-in-opera-della-verità» trova formulazione solo nel 1936: è dunque illecito
avvalersene per spiegare globalmente l'«ontologia politica» sviluppata da Heidegger lungo tutto il
corso del Terzo Reich, come cerca invano di fare A. Schwan.105 In effetti non si può, nell’obiettivo
di spiegare assunti teorici, far uso di strumenti concettuali plasmati posteriormente ad essi.106
D’altronde diuturna e incessante è stata la determinazione di Heidegger nel subordinare ogni
concettualizzazione a quell’evento originario che è costituito dal popolo tedesco, posto come
paradigma.
Si potrà, più in là, vedere con maggior precisione il ruolo che viene attribuito a Hölderlin e,
segnatamente, il vincolo essenziale che lo lega alla patria sveva, di cui egli era originario,
proprio come Heidegger. Si tratta di un punto nodale: la tensione di Heidegger, volta a
spiritualizzare il momento storico, ne esprime l’esplicita volontà di dare fondamento alla propria
riflessione sulla «terra» stessa.
Tale è lo spirito in cui Heidegger pubblicò lo scritto Le vie del dialogo. Il lavoro comparve nel 1937
in una miscellanea, dovuta alle cure del dottor Kerber, sindaco di Friburgo, dal titolo
«Alemannenland. Ein Buch für Volkstum und Sendung».107 Schneeberger, inserendo tale scritto
nella raccolta Nachlese zu Heidegger,108 richiamava l’attenzione dei lettori su di esso in particolare.
Le vie del dialogo è stato poi riedito nelle opere complete di Heidegger.
La figura politica di Kerber è già stata analizzata più sopra. Ci limitiamo qui a ricordare che egli,
nel 1937, era membro delle SS di Friburgo e che, qualche mese più tardi, sarà promosso dal
Reichsführer delle SS, Himmler, al grado di SS Sturmbannführer,109
Nell’articolo programmatico Popolo, cultura e municipalità, Kerber definisce con chiarezza i
riferimenti ideologici entro cui si colloca il volume da lui curato: si tratta di un contributo nel
quadro del «movimento spirituale» che ha reso possibile il nazionalsocialismo, mettendo fine alla
lamentevole situazione in cui si trovava la cultura tedesca prima del 30 gennaio 1933. «Una nazione
destituita della propria identità razziale e privata della libertà diventa inetta a sviluppare una vita
culturale creatrice sua propria.»110 La rivoluzione ha fatto sì che «ovunque e in tutte le parti si
sprigionassero nuove forze creatrici» che, valendosi della riconquistata libertà dello spirito tedesco
e «obbedendo agli imperativi del proprio sangue», modellano l’anima del popolo in una nuova
forma e secondo nuovi contorni.111 La libertà conquistata dalla nuova Germania non
257
ha paragoni al mondo: «La Germania, sola nazione, dispone di una Camera della cultura il cui
compito è di vegliare sulla libertà delle forze creatrici della cultura spirituale.»112
Collegando l’impegno della municipalità a quello dello Stato, Kerber vede nel suo libro uno stimolo
destinato a promuovere le forze autoctone. La Germania, a differenza, infatti, di altri paesi, non
costituisce un’unità razziale e culturale univoca; non ha un centro unico, egemonico, in cui
converga, in quanto capitale, tutta la vita del paese, relegando la provincia a un ruolo secondario e
subordinato.
«I paesaggi che ci attorniano hanno da sempre visto tra noi una vita tedesca, riflesso della sua
specifica natura, della sua storia e della sua indole, e ciò in un duraturo legame con la terra. Per
questo, alla vivacità e al carattere policentrico della cultura tedesca corrispondono da sempre la
ricchezza e la varietà dell’essere tedesco, quale che sia il luogo dove questa cultura si manifesti.
»113
«La cultura tedesca è sempre stata una cultura del popolo. Anche nei suoi momenti peggiori, essa è
stata originale; giacché infatti, se i guasti causati dalla civiltà liberale e dall’alienazione giudaica
sono stati di enorme portata, non hanno mai potuto sottrarre alla cultura tedesca il suo suolo, né il
vincolo che ad esso la unisce, non si è mai potuta convertire la provincia in deserto per
imporre, sopra il manto di bitume della grande città, uno spirito estraneo.»114
«La marca sudoccidentale ha anch’essa una missione che il destino le ha affidato, quella di lottare,
nel suo proprio modo, nella sua geografia e nel suo paesaggio, per l’esistenza del nostro popolo e
per le idee del nostro Führer, con tutte le forze che può trarre dal suo essere alemanna (...) La città
di Friburgo, collocata nel cuore della regione alemanna, svolge un ruolo centrale per il rilievo della
sua cultura. Nel suo nucleo, il carattere politico e culturale del sudovest del nostro Reich possiede
tradizioni antiche. La sua missione non si basa, però, soltanto sulla tradizione e sul passato, ma
trova il suo slancio in un’attualità vivente che, con la forza della sua volontà e con sicurezza, indica
la direzione dell’avvenire tedesco. Il popolo autoctono dell’Alto Reno, più che mai, oggi, è in grado
di comprendere il suo compito storico e politico-culturale. I recenti avvenimenti gli hanno procurato
una nuova consapevolezza. Friburgo è divenuta una città del fronte. Essa si trova nel punto focale
della regione del Reich che delimita i confini di tre paesi. »115
Kerber manifesta, a conclusione, quale sia l’immediato obiettivo politico del suo annuario
«Alemannenland»:
«Alla questione politica dell’Alto Reno ha posto con nettezza fine il nostro Führer. Non c’è più
problema a riguardo. Ma ciò che rimane, e per sempre, come missione da adempiere per la regione
del Reno è la conservazione dell’essenza, della qualità e della ricchezza del nostro elemento
autoctono sulla terra che gli è stata affidata, nonché la necessità di aprire nuovamente le sorgenti
della sua propria forza alla totalità dell’essere tedesco.»116
Lo scopo è di aprire un dialogo con la Francia in questa regione di frontiera, per favorire la pace e la
comprensione reciproca. Il 7 marzo 1936 le truppe di Hitler erano penetrate nella fascia renana e vi
si insediavano, violando le clausole del trattato di Versailles. Il patto di Locamo, che prevedeva, in
tale evenienza, azioni militari contro la Germania, restò lettera morta. L’Italia si era
formalmente impegnata, prima ancora della mossa tedesca, a non prendere misure di alcun tipo.
L’Inghilterra non si volle intromettere e la Francia, che esitava sul da farsi, finì con il cedere.117 Il
governo di Hitler doveva dunque, a questo punto, rendersi garante della pace e consolidare le
posizioni acquisite. Questo era appunto il compito che, in campo spirituale, si era assunto Kerber
con l’annuario da lui curato. Ed è anche il motivo per cui egli sollecitò e ottenne la
collaborazione di alcune personalità della cultura francese: si trattava di dare al dialogo l’apparenza
di uno scambio internazionale. Henri Lichtenberger, professore alla Sorbona, contribuì al progetto
con l’articolo Goethe e la Francia,118 il professor Jean-Eduard Spenlé, rettore dell’Università di
Digione, scrisse Nietzsche, mediatore spirituale tra la Francia e la Germania119 e Alphonse de
Chateaubriand Come io vedo il Führer Adolf Hitler.120 L’apporto più raffinato, I combattenti
del fronte a Friburgo in Brisgovia,121 si deve al dottor Joseph H. Maitre, responsabile, nel 1937,
della delegazione francese dei combattenti del fronte. L’autore, nell’articolo citato, descrive ed
esalta i cantera-teschi incontri degli ex combattenti delle due sponde del Renò.
L’articolo di Chateaubriand non ha riscontri nel suo genere. Eccone il testo, ripreso e incorporato
nell’opera La gerbe des forces, pubblicata da Grasset, nel 1937:
259
«Sovente, nel villaggio di Berchtesgaden, la folla si ammassa, stende il braccio destro e fa risuonare
inni di gioia. Ed egli [Hitler] risponde. Il suo volto appare allora illuminato dal sole delle montagne,
come se egli ne fosse parte integrante, come se egli fosse un’emanazione della luce. Io credo che
l’analisi fisiognomica del suo viso riveli quattro caratteristiche essenziali: l’inconsueta ampiezza
delle tempie denuncia un elevato idealismo; la struttura del naso, austero e inquisitore, una
notevolissima acutezza di intuizione; la distanza tra la narice e l’orecchio, una possanza leonina, e a
ciò alludono con tanta acutezza le parole del dottor Goebbels: “Egli possiede un’indomabile volontà
e nervi d’acciaio, è all’altezza della situazione più estrema e non si lascia abbattere da nessuna
crisi.” La quarta caratteristica è un’immensa bontà. Sì, Hitler è buono. Osservatelo mentre è in
mezzo ai bambini, osservatelo chino sulla tomba di coloro che amava; è immensamente buono e lo
ripeto: buono, con la più piena convinzione che questa affermazione scandalosa non impedirà ai
deliziosi, agli incomparabili vitigni francesi di maturare sui poggi di Beaugency. »122
Con l’annuario Kerber si proponeva certamente l’obiettivo di intavolare un dialogo, ma non al
prezzo dei princìpi più preziosi. Egli, di fronte alle posizioni di Spenlé, audaci a suo modo di
vedere, credette bene di dover obiettare in questi termini:
«Il pensiero di Nietzsche è a tal punto originario che non potrà mai essere concepito come sintesi
dell’esistenza del Sud e del Nord. Il valore del suo pensiero sta in questo, precisamente, nel fatto
di riconoscere che la miseria storica dell’Occidente ha attinto tali estremi che, per superarla,
nessuna sintesi può essere ormai più sufficiente e che, sole, sono necessarie le decisioni ultime. »123
Con le proprie notazioni critiche, Kerber intendeva, comunque, offrire elementi utili all’incontro tra
le diverse mentalità di «due nazioni produttrici di cultura». In tale ottica, anche, egli esalta la
peculiare elaborazione che di questi temi prospetta Heidegger nello scritto comparso
nell’annuario.124
In effetti, Le vie del dialogo si presenta come un perfetto esempio di ciò che Heidegger intende per
polemos: un combattimento da cui emerge la verità e che, ad onta di ogni apparenza, è
necessariamente costitutivo del dialogo. I popoli pervengono all’essere nella persona dei loro
dirigenti spirituali. Una volta definite le regole del gioco, non resta che individuare in cosa consista,
o possa consistere, rispettivamente per il popolo francese e per il popolo tedesco, «il carattere più
specificamente proprio», a partire dal quale soltanto debbono poter scaturire il confronto e il
rinnovamento.
Otto Pöggeler vuol vedere, in questo invito a un reciproco aprirsi, rivolto ai due popoli,
l’intendimento di andare oltre le posizioni nazionalsocialiste.125 In realtà Heidegger si limita a
riaffermare i princìpi che avevano orientato il suo discorso a favore del ritiro della Germania dalla
Società delle Nazioni, avvalendosene ora nella sfera, divenuta di interesse preminente, della vita
spirituale.
Sui domini essenziali dell’essere, natura e storia, la riflessione dei due popoli risulta di valore e di
spessore molto diversi. Se i francesi sanno pensare la natura, ne hanno, però, una concezione
inadeguata, offrendo in tal modo ai tedeschi il destro per riconsiderarla in termini ad essa più
acconci; per quanto riguarda la storia - il dominio essenziale, secondo Heidegger - i tedeschi si sono
rivelati i soli all’altezza di comprenderla. Il sapere moderno sulla natura, il cui dominio e
sfruttamento si basano essenzialmente sul modo di pensare matematico, lo dobbiamo alla
speculazione del francese Descartes;126 nei confronti di quest’ultima, però, risulta vincitrice la
capacità di pensiero di Leibniz, « uno dei più tedeschi tra i pensatori tedeschi»,127 il quale,
prendendo in contropiede Descartes, riesce a porre dei problemi ancora attuali ai nostri giorni.
Nell’altro territorio dell’essere, la storia, le cose si palesano con maggior nettezza ancora: è grazie
ai poeti e ai pensatori dell’epoca dell’idealismo tedesco che si è manifestato, per la prima
volta, nella vicenda dell’Occidente, un sapere metafisico sull’essenza della storia.128
Il volume curato da Kerber e lo scritto di Heidegger che vi compare furono recensiti dalle riviste più
vicine al regime. Citiamo, come esempio, il commento pubblicato da «Die Neue Literatur», di
Lipsia, nel numero del 4 aprile 1938, dove si dice di «Alemannenland» che si tratta di «un’opera
miscellanea ammirevole, i cui preziosi contributi mettono in evidenza, in modo virile, sia la
coraggiosa e combattiva coscienza del bastione tedesco nell’Alto Reno, che la difficoltà di legare
popoli e culture».
Anche la rivista «Die Buchbesprechung» parlò della pubblicazione di Kerber.129
L’accoglienza ricevuta da «Alemannenland» in Svizzera, da parte degli ambienti nazionalsocialisti
filotedeschi, è rivelatrice delle finalità propagandistiche dell’opera. Le «Schweitzer Nationale
Hefte» 130 lamentavano che nella Svizzera alemanna non ci fosse nessuna iniziativa consimile in
campo editoriale e sottolineavano il contributo elargito a quest’opera «dalle figure più illustri
dell’odierno Alemannentum, le quali testimoniano dell’alto significato della testa di ponte costruita
a occidente del Reich e forniscono ai lettori una concreta immagine della missione
dell'Alemannentum».131 Gli elogi rivolti dalla rivista all’articolo di J. Schaffner, Rund um die
alemannische Kulturtatung (In margine al convegno culturale alemanno), mostrano, dietro questa
rivista, la mano di gruppi apertamente favorevoli all’annessione al Reich della regione svizzero-
tedesca.132
Le lezioni sulla filosofia di Nietzsche
Che il legame di Martin Heidegger con gli orientamenti di fondo del nazionalsocialismo rimanga
vivo e profondo fino a questo periodo, risulta palese non solo dalla concezione, che egli esibisce,
dei rapporti internazionali in termini di «lotta» da impegnarsi sia sul piano ideologico che sul piano
istituzionale, ma anche dalla condotta delle autorità che, sebbene tendano a raffrenarlo come si fa,
appunto, con un elemento «indisciplinato», non facendolo accedere a funzioni dirigenti decisive,
mantengono tuttavia nei suoi confronti un atteggiamento di piena disponibilità.
La sua posizione «critica», sotto il profilo filosofico, si snoda, a quest’epoca, attorno alle lezioni sul
pensiero di Nietzsche. Heidegger affermerà, nell’intervista postuma con lo «Spiegel», che in esse
si deve vedere un suo confronto con il nazionalsocialismo.133 Ancora una volta la formulazione di
Heidegger si rivela di sfaccettata ambiguità: egli non sostiene, infatti, che le lezioni su Nietzsche
corrispondano a una critica radicale del nazionalsocialismo, ma allude ad esse come a una
«discussione» (Auseinandersetzung) che ne interroghi il ruolo e la funzione storica. Tale ambiguità
tanto più risalta, se si pensa che Heidegger, mentre sottopone il nazionalsocialismo a una disamina
volta a relativizzarne il significato «metafisico», ostenta pubblicamente la propria adesione al
«movimento» e al Partito.
Heidegger, in effetti, non solo persevererà nella sua organica militanza nella NSDAP, ma la vorrà
esteriorizzare sacrificando al rituale del saluto nazista all’inizio e alla fine delle lezioni. La pratica
del saluto, introdotta come obbligatoria da Heidegger durante il suo rettorato, era stata fatta
decadere dal suo successore all’Università di Friburgo. II fatto che Heidegger, nella sua veste di
insegnante, non vi rinunci, e che, anzi, cerchi di ripristinarla come atto dovuto, testimonia
tangibilmente delle sue convinzioni politiche. Rammentiamo che tutto ciò avviene in una temperie
in cui si assiste a un inasprimento della politica totalitaria del regime, sia in fatto di repressione, sia
per l’accelerata trasformazione dell’economia tedesca in economia di guerra, sulla base di
un’alleanza strategica tra il grande capitale e quello che Eugen Kogon ha denominato «lo
Stato delle SS».
Γη una lettera del 24 luglio 1952, Karl Jaspers scrive a Martin Heidegger, riandando alle vicende di
quel periodo: «Al tempo in cui seguiva le Sue lezioni del 1937-38, la signorina Drescher mi
informò del Suo fallimento in ordine alla reimposizione dell’obbligatorietà del saluto
nazionalsocialista, obbligatorietà che era stata da Lei introdotta e che il rettore dell’epoca aveva
abrogata.»134 La veridicità della rievocazione di Jaspers ci è stata confermata da altri ex allievi di
Heidegger che assistevano, allora, alle sue lezioni.
Anche ad esser certi che Heidegger, in quegli anni, fosse sorvegliato dalla polizia politica, come
sarebbe anche stato attestato da uno studente - che gli avrebbe personalmente confessato di
essere un agente del Servizio di sicurezza (Sicherheitsdienst) con l’incarico di riferire quanto egli
dicesse nel corso delle lezioni -,135 ciò non farebbe che ulteriormente sottolineare l’equivocità di
fatto in cui Heidegger si muoveva fino al 1937. Si dà, però, il caso che l’allievo in questione, Hans
Hanke, non sembra esser stato informatore del Servizio di sicurezza. O, almeno, così risulta dalla
sua scheda di partito conservata presso il Centro di documentazione di Berlino.
Le lezioni su Nietzsche, iniziate nel 1936-37 con la trattazione del tema «La volontà di potenza
come arte», continueranno fino al 1944. Heidegger scelse poi come argomenti per i propri corsi, nel
1937, «L’eterno ritorno dell’eguale»; nel 1939, «La volontà di potenza come conoscenza»; nel
1940, «Il nichilismo europeo e la metafisica di Nietzsche»; nel 1941, «La metafisica come storia
dell’essere» e poi «Progetti della storia dell’essere come metafisica» e «La rimemorazione della
metafisica». Tra il 1944 e il 1946 Heidegger sviluppò la questione della «Determinazione del
nichilismo intesa a partire dalla storia dell’essere». Le anzidette lezioni furono raccolte in due
volumi e pubblicate nel 19(31 a Pfullingen con il titolo Nietzsche.
Data l’impossibilità di collazionare il testo edito e il testo originale, esame che, nel caso, sarebbe
particolarmente denso di significato, le conclusioni che si possono trarre - sulla scorta della
redazione data alle stampe da Heidegger successivamente - vanno considerate in qualche misura
provvisorie.
Se si accoglie la tesi di Heidegger secondo cui le lezioni su Nietzsche debbano essere interpretate in
chiave di interrogazione attorno al nazionalsocialismo, se ne deve dedurre che, ai suoi occhi,
Nietzsche rappresentava un tema strettamente attinente all’essenza stessa della discussione. Quale
ne fosse la rilevanza e in quale contesto essa assumesse significato, è piuttosto ovvio: gli attacchi
che venivano rivolti a Heidegger da parte del gruppo ideologicamente egemonico, in particolare da
Ernst Krieck, avevano come nerbo il persistente rimprovero secondo cui la filosofia heideggeriana
non sarebbe stata altro che una forma di nichilismo distruttivo, una sorta di sottoprodotto del
pensiero ebraico, a parere dei nazisti, disgregatore per natura. Una tale contestazione era gravida di
pericolose conseguenze, non solo perché poneva Heidegger in patente contraddizione con i dogmi
fondamentali del nazionalsocialismo, quali erano stati formulati da Hitler in Mein Kampf, ma anche
perché la vigenza di tali princìpi costituiva un aspetto imprescindibile della tattica ufficiale, intesa a
mantenere la società in una situazione di calma e sotto controllo. Attento a non suscitare
un’opposizione radicale e generalizzata delle Chiese, Hitler, che pur cercava di scalzarne le
posizioni nei settori chiave della società tedesca, intendeva tutelare, su un piano generale e astratto,
i valori di fede fondamentali, integrandoli ideologicamente nel cosiddetto «cristianesimo positivo».
Questo è il motivo per cui Hitler si mostra risolutamente polemico nei confronti di «una lotta
violenta contro le basi dogmatiche delle Chiese, senza le quali non è pensabile una sopravvivenza
pratica della fede religiosa» e si appiglia al pericolo che comporterebbe per le masse «perdere il
proprio unico supporto per una concezione del mondo».136 Per ciò stesso Hitler vedeva nel
nichilismo religioso un attentato del tutto simile a quello che «cerca di distruggere le fondamenta
legali dello Stato (...) Fin quando gli uomini non saranno tutti filosofi e in grado di andare da soli
alla scoperta di una concezione del mondo appropriata, la distruzione della base dogmatica può
essere solo l’opera di pazzi o di criminali».137
Egli rivolge, pertanto, un appello a superare le differenze religiose e a impegnarsi per la
ricostruzione della Germania senza badare ad esse, imponendo altresì ai membri del Partito di non
intervenire nei conflitti religiosi che, qualora si espandessero, potrebbero mettere a repentaglio la
missione del Partito e del popolo.138 La posizione apertamente critica nei confronti del
cristianesimo, espressa da Heidegger nell’ambito della conferenza da lui tenuta a Heidelberg, e poi
nel quadro degli avvenimenti legati alla sospensione di Ripuaria, si iscrive inequivocabilmente
nell’ottica massimalistica delle SA e di Rohm e, vista nella prospettiva politica del 1937, poteva
apparire come un travalicamento della linea ufficiale, che, ad onta dell’anticlericalismo di fondo,
non intendeva certo accreditare un atteggiamento nichilista radicale. È lo stesso Heidegger a farci
capire, nel corpo delle sue lezioni su Nietzsche, con esplicite sottolineature, come egli, in quel torno
di tempo, fosse oggetto di una tale accusa con quanto essa comportava sul piano della connotazione
politica. Parlare senza mezzi termini di nichilismo ogniqualvolta compaia la categoria del «nulla»,
anche quando questa sia strettamente ed essenzialmente tematizzata in attinenza alla riflessione
sull’essere, e caricare poi, ancorché allusivamente, la parola «nichilismo» della valenza di
«bolscevismo» non costituisce soltanto un modo superficiale di pensare, ma anche «una demagogia
immorale».139
Lo svisceramento critico del pensiero di Nietzsche si prestava, dunque, assai bene, a confrontarsi,
indirettamente ma in modo radicale e polemico, con le questioni essenziali della filosofia
heideggeriana, nonché con le obiezioni emerse dall’accoglienza ad essa riservata dagli ideologi
ufficiali. A tutto ciò va, per di più, aggiunto che Nietzsche rappresentava un pilastro dell’edificio
concettuale costruito da costoro nell’intento di fornire le basi filosofiche al movimento: considerato
convenzionalmente come il padre delle idee portanti del nazismo, Nietzsche si adattava
efficacemente anche alle esigenze della politica culturale del regime. Basti l’esempio di
Alfred Bäumler, portavoce di Rosenberg e dell'Amt Wissenschaft, secondo il quale proferendo il
saluto Heil Hitler! si rendeva contemporaneamente omaggio alla filosofia di Nietzsche.
La riflessione sul significato della filosofia nietzschiana ha, per Heidegger, come obiettivo centrale
comprendere la natura del nichilismo, e tematizzare, pensando «con Nietzsche, attraverso di lui e
contro di lui», gli antecedenti decisivi dell’accadimento storico presente e delle sue implicazioni
politiche concrete. Secondo l’angolazione di Heidegger, il gruppo ideologico egemonico rifiutava,
infatti, di ammettere un duplice fenomeno: da un lato, che il nichilismo fosse qualcosa di più che
un’opzione occasionale, relativa a momenti specifici della storia spirituale dell’Occidente, e,
dall’altro, come soltanto in quel particolare frangente fosse dato di percepire, nella sua essenza, il
pensiero di Nietzsche come risposta contrapponentesi al nichilismo.
Se nel corso «Einführung in die Metaphysik» (Introduzione alla metafisica), che risale al 1935,
Heidegger pensava ancora possibile, a guisa del «predicatore cappuccino», ammonire contro il
pericolo che minacciava il popolo metafisico e i suoi dirigenti devianti, diversamente, nelle lezioni
su Nietzsche, Heidegger sviluppa le sue riflessioni assumendo come punto di partenza l’ipotesi che
il nazionalsocialismo già viva in pieno sviamento, introiettandolo in modo inavvertito.140
La lotta contro il nichilismo impone qualcosa di più della lotta «contro la corruzione», «contro la
degenerazione fisiologica» o altri analoghi fenomeni:141 essa esige un profondo rivolgimento dello
spirito ed è appunto in tale direzione che Nietzsche avrebbe pensato il problema. La divaricazione
crescente tra il movimento e la sua «grandezza e verità interna», conduce Heidegger a relativizzare
il significato del nazionalsocialismo non solo nel senso che «le grandi epoche, proprio perché
grandi, sono spesso uniche e di durata assai breve»,142 ma anche rispetto all’autocomprensione che
esso ha di sé stesso e rispetto alla propria autoaffermazione. Innanzitutto perché il
nazionalsocialismo effettuale non ha afferrato che «ogni posizione di valori in senso essenziale deve
non solo creare le sue possibilità per essere anzitutto “intesa”, ma deve al tempo stesso e
previamente allevare coloro che offrono alla nuova posizione di valori il nuovo atteggiamento per
sostenerla nel futuro».143 In luogo di farsi carico di questo compito, il deviazionismo ha
disconosciuto ben presto la propria origine. Denunciando tale situazione, Heidegger la correla
apertamente e direttamente alla sua persona e all’alternativa politica e spirituale che
essa rappresenta:
«Quanto liberatorio deve sembrare alla scienza il fatto che oggi si sia sospinti a dire che, per ragioni
storico-politiche ineluttabili, il popolo e lo Stato abbiano bisogno di risultati e di risultati
pratici! Bene, dirà la scienza, ma allora io ho bisogno di tranquillità, cosa che chiunque può
comprendere, ed essa ottiene in effetti la sua tranquillità. Cioè: si può continuare ad andare avanti
ben adagiati nella medesima ignoranza metafisica di quest’ultimo mezzo secolo. La “scienza”
attuale sta dunque vivendo, a suo modo, la propria liberazione. Essa si sente confermata, come mai
prima, nella propria necessità e insieme, dal momento che pensa tale sua necessità nel travisamento,
anche nella propria essenza (...) Chi, qualche tempo addietro, ebbe l’idea di dire che la scienza può
affermare la sua essenza solo in quanto la recupera in un interrogare originario, deve
necessariamente apparire, nell’attuale situazione di fatto, come un pazzo o come un demolitore
“della” scienza. Giacché il domandare riguardo ai fondamenti apporta uno sfibramento interiore,
che è un proposito per il quale abbiamo a disposizione il termine efficace di “nichilismo”. Ma non
preoccupiamoci, perché questo fantasma appartiene ormai al passato, e ora si è nuovamente ottenuta
la tranquillità e gli studenti - si dice - chiedono di nuovo di poter lavorare! La mediocrità generale
dello spirito può ancora una volta riemergere.»144
In una lettera a Rudolf Stadelmann, scritta il 20 aprile 1939 - conservata presso l’Archivio federale
di Coblenza, nel lascito Stadelmann - Heidegger illustra efficacemente la propria opinione sullo
sviluppo dell’università in quell’epoca, sul ruolo che in essa deve avere l’individuo, nonché sul
destino dei tedeschi: «Più che mai è oggi necessario all’università il libero lavoro dell’individuo. Le
forme istituzionali della scienza non subiranno nel prossimo futuro alcuna variazione. Un
cambiamento deve, però, essere preparato, se vogliamo veramente che l’essenza di ciò che è
tedesco conservi la sua vitalità storica. »
È in questo senso e in tale contesto che i filosofi ufficiali lasciano senza una base spirituale per la
sua azione la direzione politica del movimento. Così agendo si impedisce un autentico accesso al
pensiero di Nietzsche e, insieme, a una riflessione sull’essenza del nichilismo. Si sta rinnovando,
nel 1937, il medesimo fenomeno che, nel secolo xix, ha fatto pensare a una disfatta dell’idealismo
tedesco, quando invece la vera questione stava nell’incapacità dell’«epoca» di muoversi alla sua
altezza:
« Schopenhauer pervenne all’apice della filosofìa del suo tempo non perché il suo pensiero avesse
sopravanzato filosoficamente l’idealismo tedesco, ma perché i tedeschi soccombettero di fronte
all’idealismo tedesco, non essendo in grado di sollevarsi al suo livello. Tale insufficienza è ciò che
fece di Schopenhauer un grand’uomo, ed è ciò da cui derivò che la filosofia dell’idealismo tedesco,
vista attraverso il filtro dei luoghi comuni di Schopenhauer, divenisse qualcosa di inusitato e di
estraneo e fosse relegata nell’oblio. »l45
L’interpretazione in chiave biologizzante della filosofia nietzschiana pon ne comporta soltanto un
grave fraintendimento. Essa, in realtà, traligna in agente stesso del nichilismo.
Rievocando la condizione dell’idealismo tedesco nel secolo xix, e comparandola allo stato presente
delle cose, Heidegger afferma che, oggi, il pensiero di Nietzsche corre il rischio di subire la
medesima sorte. Ancora una volta i tedeschi non si dimostrano all’altezza. «Siamo ben lungi da un
rapporto autenticamente storico con la nostra storia. »146 Gli ideologi ufficiali non hanno
assolutamente colto l’orizzonte metafisico che si cela al di là delle loro stesse enunciazioni:
«La selezione razziale (Züchtung) dell’uomo non è un fatto pacifico che reprima e paralizzi la
sensualità. La disciplina consiste nell’accumulazione e purificazione delle forze nell’univocità
dell’“ automatismo” strettamente controllabile di ogni atto. È solo là dove la soggettività
incondizionata della volontà di potenza diventa la verità dell’essente nella sua totalità che è
possibile, cioè metafisicamente necessario, il principio istitutivo di una selezione razziale, si badi,
non una semplice selezione razziale spontanea, ma la stessa idea della razza resa consapevole. »147
Il deviazionismo è sulla buona strada per annientare, con la sua condotta, le possibilità
paradigmatiche del «popolo metafisico»: spogliandolo del suo proprio spirito, lo abbandona
disarmato di fronte alla storia - la storia che è, appunto, inattuabile al di fuori del reciproco
combattersi tra popoli singoli148 - riducendolo al livello, banale e astorico, di una tribù di negri.149
Asserendo che «i tedeschi», segnatamente i loro «filosofi», non comprendono metafisicamente la
loro propria origine, Heidegger sta, in realtà, pensando che essi non comprendano Nietzsche.
Heidegger rende così manifesta, per la prima volta, la diversa ottica con cui egli guarda al
nazionalsocialismo. Incapaci di pensarsi metafisicamente, i deviazionisti non sono più in grado di
individuare il varco verso chi potrebbe fornire ad essi la linfa per un acconcio adempimento della
loro missione storica.
Il mutamento è patente: Heidegger non propone più il suo stesso pensiero come l’autocoscienza del
nazionalsocialismo. Pretende unicamente che i deviazionisti si cerchino nel pensiero di
Nietzsche, che si vogliano come realizzazione della soggettività intesa in termini di volontà di
potenza. La «discussione» di Heidegger con il deviazionismo si sviluppa secondo due versanti:
esso, innanzitutto, non è capace di fondarsi su Nietzsche, e, qualora anche lo fosse, ciò
si inscriverebbe nella cornice di un processo - l’itinerario della storia della metafisica - che con
Nietzsche ha ormai raggiunto il proprio culmine e il proprio definitivo limite.
Siffatta duplice dimensione del fenomeno impone naturalmente a Heidegger un duplice compito: da
un canto, delucidare in che senso Nietzsche si configuri come l’orizzonte spirituale del momento
storico presente; dall’altro, mostrare in cosa consista il superamento di Nietzsche, quello, appunto,
che permetta di contemplare l’insieme del processo in lui sfociato nonché la svolta verso l’origine
prima dell’interrogazione. Tale ultimo compito-missione volge Heidegger a considerare, ben al di là
di Nietzsche, in Hölderlin, l’essenza del fundamentum inconcussum: il popolo tedesco e il suo
linguaggio. Il primo obiettivo lo induce ad affrontare quelli che egli reputa i nodi centrali della
filosofia di Nietzsche: la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’eguale, nella reciproca è
complementare relazione che li sottende.
In contrasto con le interpretazioni ufficiali - di Rosenberg, Bäumler, Bertram e Klages - Heidegger
ritiene che il nocciolo del pensiero di Nietzsche non stia nell’affermazione esclusiva della volontà di
potenza, ma nel legame organico tra questa e l’eterno ritorno dell’eguale. La vulgata corrente di
questo principio vi vede semplicemente una sorta di appendice alla filosofia di Nietzsche,
arrivando, in taluni casi, a spiegarlo come un segno premonitore della sua follia.150 Tali
ragionamenti rivelano almeno due punti deboli: da una parte, l’incapacità di andar oltre le
formulazioni di matrice biologica, a partire dalle quali Nietzsche si muove per cogliere la
dimensione metafisica celata dietro di esse; dall’altra, il proprio accecamento di fronte al
complessivo processo che ha generato Nietzsche, e di qui l’obnubilamento dinanzi al punto dello
sviluppo storico in cui il deviamento appare. Ponendo, infatti, «la vita» come soggetto della volontà
di potenza, Nietzsche l’afferma come l’essere di ciò che è, seguendo in questo «la linea della
migliore e più grande filosofia tedesca», quella, appunto, di Schelling e di Hegel. Concependo «la
vita» come volontà, costoro assumevano il pensiero «di un altro grande pensatore tedesco», Leibniz,
per il quale l’essere è unità di rappresentazione e di volontà.151
L’ufficialità non sa comprendere che solo Nietzsche offre la possibilità di dare un fondamento
metafisico al «porsi sotto il proprio comando, alla decisione di dare a sé stessi un ordine (...), alla
volontà come determinazione del comando, segno della propria grandezza e della propria forza».152
È proprio attingendo l’ambito in cui si sia capaci di andare al di là di sé stessi, di essere, cioè, un
superuomo, che la volontà di potenza trova il suo autentico senso, quello di dare ordini, di riceverli
e di accettarli.153I filosofi di regime non hanno percepito come Nietzsche, sostenendo che la vita
non è solo volontà di conservazione, ma, fondamentalmente, autoaffermazione, sia andato molto
oltre Darwin. «L’autoaffermazione è la volontà di stare al di sopra, è affermazione del proprio
essere.»154 Soltanto prendendo le mosse di qui si può cogliere come la volontà di potenza sia, nel
contempo, distruzione, come appartenga all’essere il negativo, il no che esercita il proprio potere.155
Dietro la concezione nietzschiana dell’uomo come «animale da preda», e della sua più sublime
caratterizzazione - «la magnifica bestia bionda che, avida, vaga fiutando la preda e la vittoria», -
non c’è affatto una concezione che si rifaccia a un modello biologico. È l’idea metafisica della
volontà e della vita che immette energia nella sua riflessione.156
Allorché Nietzsche definisce «l’artista» come la più nobile espressione della vita e della volontà,
non intende, con questo, edificare un’estetica; egli opta, piuttosto, per una concezione fondamentale
dell’essere di ciò che è.157 Forse per tal motivo, egli giunge a vedere nell’arte «l’unica forza di
resistenza, superiore a ogni volontà di negazione della vita, come l’anticristiano, l’antibuddista,
l’antinichilista per eccellenza».158 La sua «fisiologia dell’artista» ha soltanto la parvenza esteriore
della spiegazione biologica. Le modalità essenziali della vita - l’ebbrezza della festa, della guerra,
del gesto temerario, di ogni azione estrema, l’ebbrezza della crudeltà e della distruzione - sono, in
realtà, trionfi della volontà e della vita nella loro accezione metafisica.159
Per giunta, misconoscendo che tale forma suprema della vita include il ritorno, la perpetua
ricomparsa di ciò che è inferiore, spregevole, repellente - l’eterno ritorno -, il deviazionismo rifugge
dal riconoscere il proprio status: vi è in ogni individuo un passato deprecabile e inerte che si ripete e
che non può essere trasceso se non nel riconoscimento dell’essenza, nell’accettazione, da parte della
volontà, in un atto risolutivo, dell’ineluttabilità del ritorno.160
Nietzsche non può, dunque, essere penetrato, se non si esaminano i due poli fondamentali della sua
meditazione - la volontà di potenza e l’eterno ritorno - nella prospettiva originaria della domanda
sull’essere, la questione nodale del pensiero occidentale.161 L’essente nella sua totalità «è», secondo
Nietzsche, volontà di potenza: lo è, appunto, nel modo dell’eterno ritorno.162 Così «esso ritorna
all’inizio della filosofìa greca, lo assume in un modo suo proprio e chiude così l’anello che segna il
cammino della domanda sull’essente come tale nella sua totalità».163
Nietzsche incarna la «fine della metafisica» e del suo ciclo: ne distrugge il fondamento attestando
che i valori sono ormai destituiti di ogni realtà e scalzando alla radice il platonismo, avvio del
percorso della 'metafisica.164
Heidegger afferma, tuttavia, che lo smantellamento, operato da Nietzsche, del platonismo e delle
sue ramificazioni, è intrapreso dall'interno stesso del platonismo: la concretizzazione dell’essere
effettuata da Nietzsche, identificandolo con «la vita», implica, nel medesimo tempo, una
«riduzione» dell’essere a una forma specifica dell’essere e non allude a una visione dell’essere in
quanto tale. Ma,
nel contempo, proprio perché è colui il quale divelle tale tradizione, Nietzsche viene collocato al
vertice di tutta la storia del pensiero occidentale, laddove si situa il punto di partenza da cui tentare
la via verso il nuovo principio:
«È proprio perché la posizione filosofica di Nietzsche segna la fine della metafisica, nel senso detto,
che si realizza all'interno di essa la massima e più profonda concentrazione o, per meglio
dire, pienezza, di tutte le posizioni fondamentali della filosofia da Platone in poi, per sfociare, alla
luce del platonismo, in una posizione determinata e creatrice. Potrà, però, rimanere una posizione
metafisica autenticamente efficace, solo qualora venga sviluppata, in tutte le sue linee di forza
essenziali e nei suoi ambiti di supremazia, nel senso di una contrapposizione. La filosofia di
Nietzsche, in sé diretta verso il passato, deve diventare, in grazia di un pensiero che scruti molto al
di là di essa, un contropensiero rivolto in avanti.»165
Così Heidegger vive la propria filosofia: «inizio», prologo di un pensiero che, sebbene nuovo,
redime tuttavia il pensiero arcaico. Giacché, però, «il pensiero» non è altro che l’oggettivazione
trascendentale di ciò che Heidegger intende per «popolo», nello stesso modo in cui «il popolo dei
greci» lottò «contro quanto gli era più estraneo», oggi, l’oltrepassamento della realtà, finora data,
dovrà essere l’opera di un popolo, del popolo tedesco, di per sé stesso metafisico.
Nietzsche pervenne alla soglia di tale conoscenza, nominandola, senza però comprenderla.
Hölderlin, solo, si spinse più lontano, prefigurandosi come istanza trascendentale:
«Questa profonda conoscenza si trova celata in una lettera all’amico Böhlendorff. La lettera fu
scritta il 4 dicembre 1801 poco prima del suo viaggio in Francia (...) Hölderlin contrappone,
nell’essenza dei greci, “il pathos sacro” alla “sobrietà giunonica del modo occidentale di
esprimersi”. Tale opposizione non va presa come una qualsiasi costatazione storica. Essa non si
rivela che a coloro che siano capaci di comprendere ciò che caratterizza i tedeschi. Qui dobbiamo
limitarci a questo solo riferimento, ma ben sappiamo che un autentico sapere attorno a Hölderlin
non è concepibile se non attraverso una riflessione complessiva sulla sua opera. Per ora ci
basti poter concludere, sia pure congetturalmente, che la diversamente designata lotta tra il
Dionisiaco e l’Apollineo, tra la passione sacra e il sobrio esprimersi, è l’occulta legge dello stile
della “determinazione” storica dei tedeschi, e che essa dovrà trovarci pronti e preparati a realizzarla.
Questa opposizione non è soltanto una formula grazie a cui descrivere la “cultura”. Hölderlin e
Nietzsche hanno posto con questa lotta un segno interrogativo di fronte al compito dei tedeschi di
trovare, storicamente, la propria essenza. Comprenderemo questo segno? Una cosa è certa: la storia
si vendicherà contro di noi se non lo capiremo.»166
La «divergenza» di Heidegger nei confronti del nazionalsocialismo si trasfigura, per tal via, in
restaurazione spirituale del suo irrinunciabile fulcro: la discriminazione degli esseri umani e
l'irreprimibile desiderio di gerarchizzazione che, inevitabilmente, l’accompagna. Il suo distanziarsi
dal deviazionismo attinge - come principio - a quella medesima fonte sacra da cui si era mosso, per
ben presto allontanarsene, il movimento nazionalsocialista. Per questo, appunto, l’atteggiamento di
Heidegger rispetto al regime non assumerà mai, neanche a guerra mondiale finita, la veste di una
critica globale e radicale, e, ugualmente, la condotta del regime verso di lui non sarà mai
persecutoria. A tale sostrato di persuasioni in Heidegger si aggiunge un profondo convincimento
antidemocratico, che egli salvaguarderà fino alla fine della sua vita.
*73
presenziò una delegazione tedesca composta dai professori Tönnies (Kiel), Lipsius (Lipsia),
Pryzwara, S. J. (Monaco), Wenzel (Monaco), Helpach (Heidelberg), Feldkeller (Berlino), Frank
(Berlino), Werweyen (Bonn), Seifert (Monaco), Lowith (Marburgo) e Hartmann (Berlino).169
Gli atti di questo congresso non sono stati conservati né presso il Ministero dell’Educazione di
Potsdam, né presso l’Archivio di Merseburg, né presso l'Organizzazione centrale dei congressi
internazionali, la cui documentazione si trova raccolta negli archivi del Ministero degli Affari Esteri
di Bonn. Sono possibili delle ipotesi e delle conclusioni unicamente sulla base dei riferimenti che, a
questo congresso, furono fatti e registrati nell'ambito del successivo convegno parigino.
Nella scelta dei membri della delegazione tedesca a Praga sicuramente non intervennero né le
autorità ministeriali né il Partito. Infatti i professori che la componevano non erano
politicamente connotati: tra di loro figura persino il gesuita Pryzwara; e, d’altra parte, non vi
compaiono i filosofi nazionalsocialisti di maggior spicco: Krieck, Bäumler, Heidegger, Heyse,
Rothacker, Rosenberg. In tutto ciò si può cogliere un indubbio indice dell’indifferenza manifestata
dalla burocrazia nei confronti del congresso di Praga. Del resto i filosofi tedeschi non nazisti
approfittarono del margine di manovra che loro derivava da tale disinteresse per escludere
dalla deputazione i colleghi più vicini al regime. Non è diversamente comprensibile come potesse
esserne lasciata fuori una personalità come Heidegger, che, all’epoca della preparazione del
congresso (1933_34), si trovava all’apice della propria influenza politica e scientifica.
Se nel caso di Praga ci si può perdere in congetture, i documenti relativi al congresso di Parigi
consentono di trarre conclusioni precise.
Nell’intervista con lo «Spiegel», Heidegger sostiene che, in origine, le autorità non intendevano
includerlo nella delegazione tedesca e che questo atteggiamento suscitò una tale sorpresa nel
comitato organizzativo francese da indurne il presidente a indirizzare una lettera a Heidegger,
chiedendo conferma dei fatti. Heidegger rispose suggerendo di porre la questione al Ministero
dell’Educazione e delle Scienze. «Dopo qualche tempo venne da Berlino l’invito-intimazione a me
diretta di entrare a cose fatte nella delegazione. Io mi rifiutai. »170
La documentazione custodita a Potsdam offre tutt’altra immagine della situazione. Da una lettera di
Heidegger, del 14 luglio 1937, al professor Metz, rettore dell’Università di Friburgo, si apprende
che Heidegger, dopo aver ricevuto da Bréhier l’invito a partecipare al congresso, si rivolse al
Ministero dell’Educazione e delle Scienze di Berlino, illustrando una proposta dettagliata relativa
ai criteri orientativi che, a suo parere, avrebbero dovuto guidare la delegazione tedesca e permettere,
nel contempo, la scelta dei suoi membri.
Di quest’ultima missiva non resta traccia, almeno negli archivi ai quali abbiamo avuto accesso. È
possibile tuttavia ricostruirne la trama essenziale attraverso i riferimenti contenuti nella lettera di
Heidegger al rettore Metz:
«Dell’invito personale che, un anno e mezzo fa, mi fu rivolto dal presidente del congresso, detti
notizia a suo tempo al Ministero nazionale dell’Educazione. In quell’occasione feci presente che
questo congresso, ideato contemporaneamente come celebrazione del giubileo di Descartes, si
configurava intenzionalmente come un attacco portato avanti dalla concezione dominante, liberal-
democratica, della scienza; e che perciò sarebbe stato opportuno costituire una delegazione tedesca,
adeguata ed efficace.»
Aggiunge poi: «Non avendo ottenuto alcuna risposta, non ho più comunicato al Ministero gli inviti
che mi sono continuati a pervenire da Parigi. Poiché per me, in questa vicenda, non ha alcuna
importanza il desiderio della direzione francese del congresso. L’unica cosa che conta è l'originaria
volontà delle autorità tedesche circa la mia partecipazione o meno alla delegazione tedesca.» Per
questo insieme di ragioni si vede costretto «a non poter entrare a far parte, appena un mese e mezzo
prima dell’inizio del congresso, della delegazione tedesca, la cui composizione e direzione [gli
sono] fino a questo momento sconosciute».
Accennando alla diffusione dei propri scritti all’estero («il mio lavoro per la filosofia tedesca»),
Heidegger informa Metz che essi, nel frattempo, sono stati tradotti in diverse lingue, tra cui lo
spagnolo e l'«argentino» (!). Mentre si stava preparando il congresso, e precisamente nello stesso
periodo in cui Heidegger aveva avanzato la propria combattiva proposta al Ministero di Berlino,
questo, come si è già visto, lo aveva indicato all’Università di Friburgo come preside della Facoltà
di filosofia. È certo difficile pensare che il medesimo Ministero potesse, nel contempo, mettere in
questione il diritto di Heidegger a partecipare a un congresso di tale risonanza. Molto più
probabilmente il suo rifiuto fu motivato da conflitti di potere di ordine personale. Tanto più che,
come si potrà costatare, la deputazione tedesca agì in modo inappuntabile, in perfetta conformità ai
principi offensivi elaborati da Heidegger.
Il primo documento del dossier concernente il congresso di Parigi mostra che il ministro diede il
proprio assenso con la riserva di affidare la guida della delegazione tedesca a Hans Heyse. In una
lettera al Ministero, del 4 agosto 1936, in cui si fa cenno a una precedente missiva del 20 aprile
1936, Heyse inizia con lo spiegare il significato politico dell’avvenimento:
«Il suo presidente onorario è Henri Bergson (...) che, ad onta delle sue origini ebraiche, passa per
essere uno dei più brillanti esponenti dello spirito francese contemporaneo (...) Il congresso farà del
suo meglio per rafforzare l’unità della filosofia, l’unità del pensiero umano, dell’origine umana e
comune della verità, presentando Descartes come l’iniziatore del pensiero moderno,
universale. Tutto ciò presuppone (implicitamente e come punto di partenza) una concezione della
filosofia corrispondente all’opinione più generalmente diffusa. La speranza e il convincimento degli
organizzatori del congresso è di far apparire, su questa trama di fondo, la volontà filosofica tedesca
attuale come una ricusazione delle grandi tradizioni europee, come espressione di un naturalismo
particolaristico, come una rinuncia dello spirito, accentuando, per tal via, l’isolamento della
Germania e il ruolo della Francia come guida spirituale dell’Europa.
[Di fronte a questa offensiva] che è portata avanti dissimulandone l’obiettivo politico, il compito
della Germania non può che essere in radicale opposizione rispetto alla linea espressa dal congresso
di Praga del 1934: si tratta di difendere la volontà intellettuale nazionalsocialista tedesca e di
metterla in esecuzione. Poiché il congresso si terrà in condizioni che non dipendono da noi e dato
che la manipolazione vi svolgerà un ruolo patente, occorre, da parte nostra, individuare con la
massima cura il modo più efficace di impegnare la battaglia dello spirito tedesco. Unicamente
questi criteri debbono orientare la scelta dei partecipanti.
[I membri della delegazione devono concentrare in sé le qualità necessarie a] esprimere la volontà
nazionalsocialista di lotta contro la corrente ideologia della scienza. Si tratta di una lotta
spirituale per difendere la posizione nel mondo e il prestigio internazionale della filosofia tedesca, si
tratta di un'offensiva spirituale tedesca nell’area europea. Possono quindi rendersi utili alla causa
tedesca soltanto le persone legate alla nuova Germania, all’altezza, nello stesso tempo, di ingaggiare
questo combattimento, e di discutere sugli specifici problemi della filosofia e della scienza che oggi
si pongono nel contesto internazionale (...) Poche persone, purtroppo, soddisfano tali condizioni, e
non soltanto sotto il profilo delle loro competenze filosofiche. »
La lista proposta da Hans Heyse comprendeva, in ordine alfabetico, i seguenti nomi:
«Il professor Becker (Bonn), nella sua veste di specialista di Descartes, il professor Heidegger
(Friburgo), come critico di Descartes, il professor Heyse (Königsberg), il professor Otto
(Königsberg), tra i migliori specialisti di Nietzsche, che avrebbe potuto anche occuparsi di questioni
di estetica, il professor Carl Schmitt, esperto di problemi giuridici e, infine, il professor Bäumler.
Per garantire la massima unità e raggiungere una reale forza offensiva, sarebbe opportuno richiedere
a ciascuna delle personalità citate di fare proposte integrative sulle quali poi si dovrebbero
pronunciare il Ministero e il Führer designato (...) I lavori preparatori comincerebbero all’inizio del
semestre invernale 1936-37 (...) con una riunione che dovrebbe vedere presenti tutti i
partecipanti.»171
Da una successiva lettera al Ministero, del 28 aprile 1937, si può dedurre come Heidegger avesse
già risposto negativamente a Heyse. Una nota ministeriale dell’8 giugno 1937 mostra con chiarezza
che lo stesso ministro Rust aveva cercato, a più riprese, di far cambiare opinione a Heidegger.
«Desidero si informi il professor Heidegger che la sua partecipazione al congresso verrebbe da me
accolta con viva soddisfazione. Nel caso egli accettasse l’offerta, gli farei immediatamente
pervenire il mio assenso, gli concederei un contributo di duecento marchi e lo nominerei membro
della delegazione. Per ciò che concerne la composizione della commissione, allo stato attuale delle
cose, si consulti la mia circolare dell’8 giugno 1937, di cui invio copia al professor Heidegger. Si
preghi il professor Heidegger di cambiare avviso e di volermi mettere, al più presto, a parte della
sua decisione.»172
Non può esservi dubbio che il rifiuto di Heidegger fosse dovuto al suo confessato desiderio di
essere egli stesso il Führer della delegazione tedesca; dopo aver esternato le sue personali proposte
strategiche e tattiche e aver compreso che le preferenze del Ministero andavano a Hans Heyse, un
suo epigono, non gli restava che l’alternativa di opporre un terzo diniego; diniego che non aveva,
evidentemente, niente a che vedere con una inesistente volontà del ministro di non farlo figurare tra
i componenti della delegazione.
I copiosi documenti relativi al congresso di Parigi, conservati nell’Archivio centrale di Stato di
Potsdam nonché presso la Hoover Foundation, ci permettono di ricostruire dettagliatamente
l’attività e l’organizzazione quasi militare della delegazione tedesca. Rivestono notevole interesse,
in particolare, il rapporto presentato da Hans Heyse all’Organizzazione centrale dei congressi
internazionali, in data 26 gennaio 1938, e i ritagli di stampa da lui fatti pervenire alla medesima
organizzazione concernenti l’azione degli emigrati tedeschi nel torno di tempo in cui si svolse il
congresso.173 Egualmente significative le testimonianze sull’intenso impegno di
propagandista sviluppato da Heinz Heimsoeth nella provincia francese, una volta terminato il
congresso.
Nei confronti di Husserl che desiderava anch’egli partecipare al congresso, il ministro Rust adottò
un atteggiamento assai diverso rispetto al trattamento di favore riservato a Heidegger. Al
rettore Metz, che in una lettera del 6 novembre 1936 aveva dichiarato come l’Università di Friburgo
non avesse nulla da eccepire all’andata di Husserl a Parigi, il Ministero rispose opponendosi
categoricamente all’inserimento di Husserl nella delegazione tedesca.174 Le ragioni di ciò sono
sviluppate senza ambiguità in una circolare interna del 1° giugno 1937: «Abbiamo avuto sentore del
progetto di taluni emigrati che intendono dar vita a un’associazione filosofica antitedesca (...) Le
decisioni e le misure relative alla preparazione del congresso sono state prese tenendo conto dei
pareri dei professori Mattiat, Heyse (Königsberg) e Bäumler (Berlino). Su indicazione del professor
Bäumler, è stato designato come Führer della delegazione il professor Heyse. L’invito rivolto da
parte francese a quei tedeschi di cui non auspichiamo la partecipazione, non deve essere
ulteriormente reso pubblico. I professori Husserl e Dessoir non devono ottenere l’autorizzazione a
partecipare al congresso. Tale disposizione è conforme alla giusta norma generale, osservata da tutti
i Ministeri, e ha lo scopo di precludere ai non ariani la possibilità di presenziare a congressi
scientifici internazionali. Sulla scorta dell’esperienza dell’ultimo congresso di filosofia, va tenuto
presente che Husserl, in particolare, sarebbe acclamato dagli emigrati, e ciò potrebbe esser visto
come una vera e propria provocazione nei confronti della delegazione tedesca. I francesi, per parte
loro, già si aspettano che i tedeschi non ariani non intervengano al congresso. La nostra decisione è
stata comunicata con tutta la necessaria chiarezza all’addetto culturale presso l’ambasciata di
Francia a Berlino, professor Jourdan, che è, inoltre, stato informato in proposito sia dal Servizio
tedesco per gli scambi accademici (DAAD) che dall’Organizzazione centrale dei congressi.»175
Una precedente nota ministeriale, del 17 marzo 1937, informa che «la rappresentanza diplomatica
francese non si oppone al provvedimento volto a escludere dalla commissione i filosofi ebrei che
desiderino entrarvi. Analogamente è stata accettata la richiesta di evitare che siano presenti a Parigi
elementi indesiderabili per la Germania».
Da parte tedesca, per ogni evenienza, si prendeva l’iniziativa di proibire la rimessa di valuta agli
«elementi indesiderabili» nel caso che costoro proponessero di partecipare, a titolo privato, al
congresso.176
Emile Bréhier tentò, all’inizio, di imporre la condizione secondo cui non sarebbe stata accettata una
delegazione tedesca al congresso se non vi fossero stati inclusi i membri di diritto del Comitato
permanente dei congressi internazionali di filosofia, Bauch, Cassirer, Driesch, Hartmann, Hoffmann
e Husserl. Un rapporto al Ministero del 14 aprile 1937, dovuto a Karl Epting, responsabile della
DAAD e dell’Ufficio universitario tedesco in Francia, segnala la clausola posta da Bréhier come
preliminare.177
Bréhier mantenne tale pregiudiziale? Quale organismo ufficiale francese ebbe la facoltà di
decidere? E quale fu la portata delle misure adottate? La questione rimane aperta. Il funzionario che
tra-
smise la nota di Epting fece a matita le seguenti chiose accanto ai nomi anzidetti: «Bauch: sì;
Cassirer: no, ebreo; Husserl: no; Driesch: no; Hartmann: sì.»
In un altro memorandum, anch’esso riguardante le persone in condizione di fare parte della
delegazione tedesca (19 marzo 1937), si può leggere: «Driesch (no, esponente pacifista), Günther
(no, è un’onta per la Germania ! ), Jaspers (Bäumler dice di no ! ), Groh (no ! sposato a un’ebrea, si
astiene politicamente), Lowith (non ariano, rifiutato), Kuhn (non ariano, incompetente). Si arriva
così a una lista ristretta: Heyse, Bäumler, Heidegger, Hartmann (...) Bäumler propone Heyse come
Führer.»178
Note
Note dell'introduzione
1. G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger. Dokumente zu seinem Leben und Denken (Materiali
su Heidegger. Documenti sulla vita e il pensiero), Bern 1962.
2. K. Lowith, Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger, in «Les
temps modernes», II (1946-47), pp. 343-60; Id., Réponse à M. De Waelhens, ibid., IV (1948-49),
pp. 370-73; Id., Heidegger. Denker in dürftiger Zeit, Frankfurt a. M. 1953, 2a ed. i960 [trad. it.
Saggi su Heidegger, Torino, 2a ed. 1974]; G. Lukâcs, Heidegger redivivus, in «Studi filosofici», IX
(1948), i, pp. 177-90, X (1949), I, pp. 3-16 e in «Sinn und Form», I (1949), pp. 37-62; Id.,
Existenzialismus oder Marxismus (Esistenzialismo o marxismo), Berlin 1951; Id., Die Zerstörung
der Vernunft, Berlin 1954 [trad. it. La distruzione della ragione, Torino 1939].
3. P. Hünerfeld, ln Sachen Heidegger. Versuch über ein deutsches Genie (A proposito di
Heidegger. Ipotesi su un genio tedesco), Hamburg 1959; C. von Krockov, Die Entscheidung.
Eine Untersuchung über Ernst Jünger, Carl Schmitt und Martin Heidegger (La decisione. Ricerca
su Ernst Jünger, Carl Schmitt e Martin Heidegger), Stuttgart 1958; R. Minder, Hölderlin unter den
Deutschen und andere Aufsätze zur deutschen Literatur (Hölderlin tra i tedeschi e altri saggi sulla
letteratura tedesca), Frankfurt a. M. 1968; Th. W. Adorno, Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen
Ideologie (Il gergo dell’autenticità. Sull’ideologia tedesca), Frankfurt a. M. 1964; K. Jaspers,
Notizen zu Heidegger (Note su Heidegger), München-Zürich 1978; T.-P. Faye, La lecture et
l’énoncé, in «Critique», XXIII (1967), 237; J. Habermas, Philosophisch-politische Profile (Profili
filosofico-politici), Frankfurt a. M. 1971.
4. F. Fédier, Trois attaques contre Heidegger, in «Critique», XXII (1966), 234, pp. 883-904; Id., A
propos de Heidegger. Une lecture dénoncée, ibid., XXIII (1967), 242, pp. 672-86; J.-M. Palmier,
Les écrits politiques de Heidegger, Paris 1968; O. Pöggeler, Philosophie und Politik bei Heidegger
(Filosofia e politica in Heidegger), Freiburg i. Br.-München 1972, 2a ed. 1974; A. Schwan, Die
politische Philosophie im Denken Heideggers (La filosofia politica nel pensiero di Heidegger),
Köln-Opladen 1963.
3. I manoscritti di M. Heidegger si trovano presso il Deutsches Literaturarchiv, a Marbach. Non ne è
autorizzato l’uso a fini scientifici, e ciò a tempo indeterminato.
6. Document-Center, Berlin.
7. La realizzazione del presente lavoro sarebbe stata impossibile senza l’aiuto paziente ed efficace
di quanti - collaboratori di centri di ricerca o privati cittadini - ci hanno aiutato nelle nostre ricerche.
Citiamo il Document-Center, Berlin-Dahlem (M. Pix); il dott. Dieter Fitterling (Berlino); il
Bundesarchiv Koblenz; gli archivi dell’Auswärtiges Amt di Bonn (sig.ra Maria Keipert); il prof.
Roman Bleistein (archivi della Compagnia di Gesù della Germania federale); lo
Erzbischöfliches Archiv Freiburg; il dott. F. Spiegeler (Bramsche); gli archivi dell’Accademia delle
scienze austriaca (Vienna); il prof. Heinrich Heidegger (St. Blasien); il prof. dott. Hugo Ott
(Friburgo); il prof. dott. Rainer Marten (Friburgo); il prof. dott. Hans-Martin Gauger (Friburgo); lo
Zentrales Staatsarchiv Potsdam u. Merseburg (RDT); gli archivi dell’Università Humboldt a Berlino
(RDT); gli archivi dell’Università di Gottinga (prof. dott. Norbert Kamp);
lo Hessisches Staatsarchiv Marburg (dott. Klingerhöfer); il prof. dott. Aharon Kleinberger
dell’Università di Gerusalemme; la Universitätsbibliothek Heidelberg (dott. Wilfried Werner);
il Generallandesarchiv Karlsruhe; il prof. Andreas Oberländer OSB (monastero di Beuron);
lo Erzbischöfliches Studienheim di St. Konrad, Konstanz (Georg Hauser); il Liceum Heinrich-Suso,
Konstanz (sig.ra Elke Naschold); la Bayrische Staatsbibliothek München; lo Stadtarchiv Konstanz
(prof. dott. H. Maurer); il prof. dott. Wilhelm Schoeppe (Francoforte sul Meno); la Stadtbibliothek
Karlsruhe (sig.ra Josephine Grimme); la Universitätsbibliothek Kiel (dott. O. F. Wiegand); il dott.
Wolfgang Kreutzberger dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco; il Preussisches Staatsarchiv
Berlin (dott. Gundermann); la Hoover Institution, Stanford; la Staatsbibliothek Berlin; l’Archiv der
Stadt Messkirch; il dott. Guido Schneeberger; il Centre de documentation juive contemporaine
(Parigi); gli archivi dell’Università di Monaco (prof. Laetitia Boehm); l’Universitätsbibliothek
Marburg; il prof. Goldschmidt del Max-Planck-Institut di Berlino; gli archivi dell’Università di
Tubinga (dott. Rauch). Ringraziamo inoltre in particolare
il prof. dott. Ernst Tugendhat che, in qualità di amministratore degli archivi di Hélène Weiss, ci ha
permesso di consultare i testi degli appunti presi durante i corsi del 1933-34 ivi conservati; e a Uwe
Henning, del Max-Planck-Institut di Berlino, al quale dobbiamo numerosi consigli.
Note della prima parte
1. G. Tumbült, Geschichte der Stadt Messkirch (Storia della città di Messkirch), 1933.
2. Zimmerische Chronik, a cura di R. A. Barack, Freiburg i. Br. 1881-82.
3. P. Motz, Messkirch. Geschichte und Stadtbild (Messkirch. Storia e descrizione), 1934.
4. Meyers Lexikon, Leipzig 1903, pp. 390 sgg.
5. C. Gröber, Der Altkatholizismus in Messkirch. Die Geschichte seiner Entwicklung und
Bekämpfung (Il veterocattolicesimo a Messkirch. Storia del suo sviluppo e della sua repressione), in
«Freiburger Diözesan Archiv», nuova ser., XIII (1912).
6. Ibid., p. 186.
7. Cfr. in proposito G.-F. Willing, Der grosse Konflikt: Kulturkampf in Preussen (Il
grande conflitto: il Kulturkampf in Prussia), in O. Buschi e W. Neugebauer, Moderne preussische
Geschichte. Eine Anthologie (Storia della Prussia moderna. Antologia), Berlin - New York
1981, voi. 3.
8. Gröber, Der Altkatholizismus cit., p. 188.
9. Ibid., p. 198.
10. Ibid., p. 158.
11. Ibid., pp. 149, 172.
12. H. Ott, Der junge Martin Heidegger. Gymnasial-Konviktszeit und Studium (II giovane Martin
Heidegger. Il periodo del ginnasio e dell’Università), in «Freiburger Diözesan Archiv», (1984), pp.
316 sgg., numero speciale.
13. Ibid.
14. C. Brandhuber, Das preussische Kommunalabgabegesetz (La legge comunale prussiana), in
«Kommunalpolitische Blätter», (1914-13), pp. 242-49.
15. Erzbischöfliches Studienheim St. Konrad (Il convitto arcivescovile San Corrado),
Konstanz 1962, p. 24.
16. Ibid., pp. 28 sgg.
17. C. Gröber, Geschichte des Jesuitenkollegs und Gymnasiums (Storia del collegio e del ginnasio
gesuita), Konstanz 1904.
18. G. Dehn, Die alte Zeit. Die vorigen Jahre. Lebenserinnerungen (I vecchi tempi. Gli
anni trascorsi. Memorie), München 1962.
19. Ibid. p. 38.
20. Ibid. pp. 38 sgg.
21. H. Scheel, Süddeutsche Jakobiner (Giacobini della Germania del sud), München 1962.
22. G. Lewy, Die katholische Kirche und das Dritte Reich (La Chiesa cattolica e il Terzo Reich),
München 1963; K. Breuning, Die Vision des Reiches (La visione del Reich), München 1969.
23. M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Pfullingen 1939, p. 92 [trad. it. In cammino verso il
linguaggio, Milano 1973, p. 87].
24. Cfr. R. Jonas, Grundzüge der philosophischen Propödeutik (Lineamenti di
propedeutica filosofica), Berlin 1891, pp. 3, 6, 27.
23. Ott, Der junge Martin Heidegger cit., pp. 319 sgg.
26. Erzbischöfliches Archiv Freiburg, Generalia, Rubrik: Klerus, betr. Theologisches Konvikt, Bd.
7, 1908-1909-1910-1911, B 2-32/174.
27. H. Koch, S. J., Gedanken zur Kolonialpolitik (Riflessioni sulla politica coloniale),
in «Stimmen aus Maria Laach. Katholische Blätter», (1906), 16, pp. 1 sgg.
28. Ibid., p. 13.
29. Ibid., p. 17.
30. Ibid., p. 18.
31. Ibid., p. 19.
32. Ibid.
33. Ibid., p. 20.
34. V. Cathrein, S. J., Materialismus und Sozialdemokratie (Materialismo e socialdemocrazia) e
Die sozialdemokratische Moral (La morale socialdemocratica), «Stimmen aus Maria Laach» cit.,
(1906), 16, cfr. in particolare pp. 32 sgg.
35. Ibid., p. 381.
36. B. Casper, Martin Heidegger und die Theologische Fakultät Freiburg. 1909-1923
(Martin Heidegger e la Facoltà di teologia di Friburgo. 1909-1923), in «Freiburger Diözesan
Archiv», C, (1980).
37. Heidegger, In cammino cit., pp. 89 sg.
38. C. Bauer, Die Freiburger Lehrstühle der Geschichtswissenschaft (Le cattedre di
scienza storica a Friburgo), in Beiträge zur Geschichte der Freiburger Philosophischen Fakultät
(Contributi alla storia della Facoltà di filosofia di Friburgo), Freiburg i. Br. 1937, p. 183.
39. Ibid., p. 190.
40. Ibid., p. 183.
41. K. Töpner, Gelehrte Politiker und Politisierende Gelehrte (Politici scienziati e
scienziati politicanti), Frankfurt a. M. 1970, pp. 178 sgg.
42. G. von Below, cit. in H. Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung der
Weimarer Republik (Storiografia borghese tedesca della Repubblica di Weimar), Berlin 1973, p. 65.
43. Ibid., p. 21.
44. G. von Below, Jüdische Offiziere? (Ufficiali ebrei?), in «Konservative
Monatsschrift», (maggio 1913) e Judenfrage und Antisemitismus (Questione ebraica e
antisemitismo), ibid.y (dicembre 1912).
45. M. Heidegger, Abraham a Sancta Clara. Zur Enthüllung seines Denkmals in Kreenheinstet-
ten am 13 August 1910 (Abraham a Sancta Clara. Sull’inaugurazione del suo monumento
a Kreenheinstetten, il 15 agosto 1910), in «Allgemeine Rundschau», VII (1910).
46. R. A. Kann, Kanzel und Katheder. Studien zur österreichischen Geistesgeschichte vom
Spätbarock zur Frübromantik (Pulpito e cattedra. Studi sulla storia delle idee in Austria dal
tardo Barocco al primo Romanticismo), Wien-Freiburg-Basel 1962, pp. 59-120.
47. F. Loidl, Abraham a Sancta Clara als Vorkämpfer für deutsche Art wider Türken
und Fremdländerei (Abraham a Sancta Clara antesignano nella lotta per la germanicità contro i
turchi e gli stranieri), in «Unsere Heimat», (gennaio-febbraio 1941), 1-2, p. 1.
48. Kann, Kanzel und Katheder cit., pp. 59-61.
49. Ibid. p. 69.
50. Ibid. p. 81.
51. Ibid.
52. Abraham a Sancta Clara, Merck's Wien! (Vienna, sta’ in guardia!), 1721, p. 25.
53. Id., Judas der Erzschelm (Giuda, la grande canaglia), III, p. 339.
54. Id., Abrahamische Lauberhütt (La capanna di Abramo), 1721, p. 383.
55. O. Frankl, Der Jude in den deutschen Dichtungen des 13., 16. und 17. Jahrhundertes (L’ebreo
nella poesia tedesca dei secoli xv, xvi e xvn), Leipzig - Mähr 1905, pp. 69-71,120,131 sgg.
56. Abraham a Sancta Clara, Lauberhütt //, in Loidl, Abraham a Sancta Clara cit., p. 47 sgg.
57. Id., Reimd’Dich (Conformati), ibid., p. 47.
58. Id., Etwas für Alle (Qualcosa per tutto), ibid.
59. Id., Judas, der Erzschelm, I, ibid.
60. Cfr. soprattutto P. G. J. Pulzer, Die Entstehung des politischen Antisemitismus in Deutschland
und Österreich. 186-7-1914 (La nascita dell’antisemitismo politico in Germania e in Austria. 1867-
1914), Gütersloh 1966.
61. Ibid., p. 162.
62. S. Brunner, Woher, Wohin? (Da dove, verso dove?), Wien 1855, vol. 1, p. 7; cfr. inoltre la sua
rivista «Wiener Kirchenzeitung für Glauben, Wissen, Freiheit und Gesetz», 1.
63. K. H. Rengstorf e S. von Kortzfleisch (a cura di), Kirche und Synagoge. Handbuch
zur Geschichte von Christen und Juden (Chiesa e sinagoga. Manuale di storia dei cristiani e
degli ebrei), Stuttgart 1970, voi. 2, p. 484.
64. R. Till, Die Anfänge der christlichen Volksbewegung in Österreich (Le origini del movimento
popolare cristiano in Austria), in «Jahrbuch der Leo-Gesellschaft» (Wien 1937), pp. 57 sgg., 65.
65. Il testo del discorso è in Pulzer, Die Entstehung cit., p. 273.
66. Pulzer, Die Entstehung cit., p. 144.
67. Ibid., voi. 2, pp. 504 sgg., 510.
68. Ibid.y p. 166.
69. A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), ed. popolare 1942, pp. 132 sgg.
70. Ibid. Su Lueger vedi W. Frank, Hofprediger Adolf Stoecker und die christlich-soziale
Bewegung (Il predicatore di corte Adolf Stoecker e il movimento cristiano-sociale), Berlin 1935, p.
149.
71. Protocollo della seduta del 12 luglio 1901 in Wiener Stadt- und Landesarchiv, pp. 250 sgg.
72. In «Amtsblatt der k.u.k. Reichshaupt- und Residenzstadt Wien», (11 maggio e 11 novembre
1902).
73. A. Pöllmann OSB (Beuron), Vom Abraham a Sancta Claras Denkmal (Sul monumento ad
Abraham a Sancta Clara), in «Über den Wassern», (1910), 1, pp. 18 sgg.
74. Cfr. «Historisch-politische Blätter», CXLV (1910), pp. 531 sgg.
75. Abraham a Sancta Clara, Blütenlese aus seinen Werken (Florilegio dalle sue opere), a cura di
K. Bertsche, Freiburg i. Br. 1910, p. 2.
76. Ibid., pp. ii sgg.
77. Ibid.y p. 17.
78. Ibid. p. 69.
79. Ibid.
80. Ibid. pp. 87 sgg.
81. Ibid. pp. 121 sgg.
82. Ibid. pp. 131.
83. M. Heidegger, Gesamtausgabe (Opere complete), I Abt., Veröffentlichte Schriften, 1910-1976
(Scritti editi, 1910-1976), voi. 13: Aus der Erfahrung des Denkens (Dall’esperienza del pensiero), a
cura di H. Heidegger, Frankfurt a. M. 1983, p. 1.
84. Cfr. «Allgemeine Rundschau», (24 maggio e 26 luglio 1913).
83. «Allgemeine Rundschau», (27 febbraio 1932).
86. «Heuberger Volksblatt», (3 dicembre 1909).
87. Cfr. l’articolo di R. von Kralik, in Deutsche Biographie.
88. K.Muth, Vom Gral und dem Gralbund (Sul Gral e la lega del Gral), in «Hochland»,
V (febbraio 1903) e F. Fichert, Gralfahrt-Höhenfahrt, (Viaggio verso il Gral - Viaggio verso
l’alto), in «Der Gral», I (ottobre 1906).
89. «Der Gral», V (maggio 1911).
90. G. Seewann, Österreichische Jugendbewegung 1908-1933 (Il movimento giovanile austriaco,
1908-1933), vol. i, pp. 26 sgg., 32, 33, 140 sgg.
91. Ibid., p. 322.
92. R. von Kralik, Der grossdeutsche Gedanke (Il pensiero pantedesco), in «Frankfurter
Zeitgemässe Broschüren», XXX (luglio 1921), 10, pp. 213 sgg.
93. Ibid.
94. R. von Kralik, Das Recht der Kritik (Il diritto alla critica), in «Der Gral», II (gennaio 1908), 4.
93. R. von Kralik, Das Rätsel der Romantik (Il mistero del Romanticismo), ibid., VI (ottobre 1911).
96. Ibid., p. 242.
97. Ibid.
98. Ibid.
99. R. von Kralik, Abraham a Sancta Clara, Wien 1922.
100. Cfr. R. von Kralik, Karl Lueger und der christliche Sozialismus (Karl Lueger e il
socialismo cristiano), Wien 1923 e l’articolo Vom deutsch-jüdischen Parnass (Sul Parnaso ebraico-
tedesco), in «Der Gral», VI (aprile 1912).
101. R. von Kralik, Ein literarisches Programm (Un programma letterario), in «Der Gral»,
I (novembre 1906), 2.
102. R. von Kralik, Volkspoesie und nationale Poesie (Poesia popolare e poesia nazionale), in
«Deutsche Arbeiter Monatsschrift für das geistige Leben der Deutschen in Böhmen», München -
Praha, (gennaio 1904), 4.
103. J. Weiss, Lehrbuch der Weltgeschichte (Trattato di storia universale), 22 voll., Graz 1859-98.
104. K. Bertsche, Ein Meister des Zungenhandwerkes (Un maestro dell’oratoria), in «Der Gral»,
IV (gennaio 1910).
103. Cfr. «Der Gral», IV (febbraio 1910).
106. Casper, Martin Heidegger cit., p. 337.
107. Ibid., p. 538.
108. Ibid.
109. A. Schneider, Die Psychologie Alberts des Grossen (Psicologia di Alberto Magno), Freiburg
i. Br. 1903-06. Cfr. Der grosse Herder, Freiburg 1935 e «Minerva. Jahrbuch der Gelehrtenwelt»,
(Strassburg 1913), cap. dedicato all’Università di Friburgo.
no. M. Heidegger, Mein Weg in die Phaenomenologie (Il mio cammino nella fenomenologia), in Id.,
Zur Sache des Denkens (Sulla cosa del pensiero), Tübingen 1968, pp. 81 sgg.
in. Casper, Martin Heidegger cit., p. 538.
112. K. Böhme (a cura di), Aufrufe und Reden Deutscher Professoren im Ersten
Weltkrieg (Appelli e discorsi di professori tedeschi nella prima guerra mondiale), Stuttgart 1975.
113. K. Bertsche (a cura di), Kriegsbrot für die Seele (La guerra, nutrimento per l’anima),
Freiburg 1915.
114. Töpner, Gelehrte Politiker cit., pp. 142 sgg.
113. E. Krebs, Das Geheimnis unserer Stärke. Gedanken über den Grossen Krieg (Il segreto della
nostra forza. Riflessioni sulla grande guerra), Freiburg 1916.
116. E. Krebs, Le régime des prisonniers de guerre en Allemagne. Réponse basée sur des
renseignements officiels et adressée à M. le Baron d’Anthuard, ministre plénipotentiaire, Freiburg
1917.
117. G. von Below, Das gute Recht der Vaterlandspartei (Il buon diritto del Partito patriottico), in
«Preussische Jahrbücher», (aprile 1918).
118. Archivio dell’Università di Heidelberg, Heid. Hs. 3820, Nachlass Emil Lask.
119. Ibid.
120. Casper, Martin Heidegger cit., p. 538.
121. Ibid.
122. E. Poulat, Histoire, dogme et critique dans la crise moderniste, Tournai - Paris 1962;
F. Weinzierl (a cura di), Der Modernismus, Graz 1974.
123. K. Braig, Der Modernismus und die Freiheit der Wissenschaft (Il modernismo e la
libertà della scienza), Freiburg i. Br. 1911.
124. K. Braig, Was soll der Gebildete vom Modernismus wissen? (Che cosa deve sapere
del modernismo una persona colta), Freiburg 1908; Id. Modernstes Christentum und moderne
Religionspsychologie (Il Cristianesimo più moderno e la moderna psicologia della religione),
Freiburg 1907.
123. Casper, Martin Heidegger cit., p. 341.
126. Ibid., p. 340.
127. Atti M. Heidegger, Document-Center, Berlin, REM 1936.
128. M. Scheler, Der Genius des Krieges und der deutsche Krieg (Il genio della guerra e la guerra
tedesca), Leipzig 1915.
129. Ibid. Cfr. anche Id., Krieg und Außau (Guerra e ricostruzione), Leipzig 1916 e H. Lübbe,
Politische Philosophie in Deutschland (La filosofia politica in Germania), Stuttgart 1963, pp. 221
sgg.
130. Archivi dell'Università di Gottinga, XIV, IV, 13. 7, Bd. 2, Ersatzvorschläge für Professoren
28.10.1920-30.9.1933.
131. Hessische Staatsarchiv Marburg, sign. 307 d/ Acc. 1966/10, n. 4, n. 28.
132. Ibid.
133. Ibid. Tgb n. 233/2363. La stessa lettera si trova anche nel Zentrales Staatsarchiv Merseburg,
atti ministeriali, Bd. 19, Marburg Universitätssachen IV Abt., n. 2, XIX.
134. M. Heidegger, Zur Geschichte des Philosophischen Lehrstuhls seit 1866 (Sulla storia
della cattedra di filosofia dal 1866), in Die Philipps-Universität zu Marburg 1527-1927
(L’università Philipps a Marburgo 1327-1927), a cura di H. Hermelink, Marburg 1927.
133. W. Biemel, Heideggery Hamburg 1973, p. 33.
136. Ibid.
137. P. Natorp, Krieg und Frieden (Guerra e pace), München 1913, in H. Lübbe,
Politische Philosophie cit., p. 188.
138. Ibid.
139. Ibid.t p. 189.
140. Ibid.
141. Ibid.
142. Su P. Natorp vedi R. Pippert, Idealistische Sozialkritik und «Deutscher Weltberuf» (Critica
sociale idealistica e «vocazione mondiale tedesca»), Weinheim - Berlin - Basel 1969.
143. Zentrales Staatsarchiv Merseburg, atti ministeriali, Bd. 19, Marburg Universitätssachen IV
Abt., n. 2, XIX, pp. 403 sgg.
144. Ibid.
143. Heidegger, Mein Weg in die Phaenomenologie cit., p. 88.
146. Ibid.
147. K. Lowith, Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger,
in «Le temps moderne», II (1946-47), pp. 343-60; Id., Heidegger. Denker in dürftiger Zeit,
Frankfurt a. M. 1933, 2a ed. 1960 [trad. it. Saggi su Heidegger, Torino, 2“ ed. 1974]; E.
Tugendhat, Der Warheitshegriff bei Husserl und Heidegger (Il concetto di verità in Husserl e
Heidegger), Berlin 1967.
148. Th. W. Adorno, Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen Ideologie (Il gergo dell’autenticità.
Sull’ideologia tedesca), Frankfurt a. M. 1964; J. Habermas, Philosophisch-politische Profile (Profili
filosofico-politici), Frankfurt a. M. 1971.
149. M. Heidegger, Sein und Zeity Halle 1927 [trad. it. di P. Chiodi, Essere e tempo Milano 1953,
p. 397]
150. Zentrales Staatsarchiv Merseburg, atti ministeriali, Bd. 20, Marburg Universitätssachen, IV
Abt., n. 2, XX, p. 268.
151. G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger. Dokumente zu seinem Lehen und Denken
(Materiali su Heidegger. Documenti sulla vita e il pensiero), Bern 1962, p. 7.
152. Ibid. p. 4.
153. Ibid. p. 11.
154. Atti O. zur Nedden, Document-Center, Berlin.
153. Atti A. Rumm, Document-Center, Berlin.
156. Das Gesicht der Zeit (Il volto del tempo), dieci litografie, Karlsruhe 1932.
157. Atti J. Mussler, Document-Center, Berlin.
158. Atti A. Fendrich, Document-Center, Berlin.
159. Atti H. Blum, Document-Center, Berlin.
160. Breuning, Die Vision cit., pp. 47 sgg.
161. F. Mückle, Der Geist der jüdischen Kultur und das Abendland (Lo spirito della
cultura ebraica e l’Occidente), München 1923. Sulle sue opinioni violentemente antirepubblicane
c£r. Töpner, Gelehrte Politiker cit., pp. 47 sgg.
162. Lewy, Die katholische Kirche cit., p. 68.
163. Schneeberger, Nachlese cit.,
164. H. Beri, Gespräche mit berühmten Zeitgenossen (Conversazioni con contemporanei celebri),
Baden-Baden 1946.
163. M. Heidegger, Wegmarken, Frankfurt a. M. 1967 [trad. it. Segnavia, Milano 1987].
166. Ibid.
167. «Karlsruher Tagblatt», (16 luglio 1930).
168. «Bremer Nachrichten», (ii ottobre 1930).
169. Ibid., (3 ottobre 1930).
170. Ibid.
171. Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung cit., p. 162.
172. Archiv Friedrich-Wilhelm Universität zu Berlin, betr. Professoren, Phil. Fak.: Littr. P, n. 3,
Bd. 21, Blatt 368 sgg.
173. Ibid.
174. A. Grimme, Briefe, Heidelberg 1967, p. 32.
173. Zentrales Staatsarchiv Potsdam, Bd. 2, Rep. 76 V a, Sekt. 2, Tit. IV, Berlin Universitätssachen
IV Abt., n. 68 A II.
176. Ibid.
177. Ibid.
178. Grimme, Briefe cit., pp. 36 sgg.
179. Zentrales Staatsarchiv Potsdam, loc. cit.
180. A. Schölzel, Zur Tätigkeit Nicolai Hartmanns an der Berliner Universität (Sull’attività
di Nicolai Hartmann all’Università di Berlino), in «Wissenschaftliche Zeitschrift der
Humboldt Universität zu Berlin, Gesellschaftswissenschaftliche Reihe», I (1984).
181. «Monistische Monatshefte», XV (1930), pp. 109-11.
182. «Deutsche Zeitschrift», (1932-33).
183. H. Arendt cit. in Biemel, Heidegger cit., p. 10.
184. Ibid. pp. 10 sgg.
183. Ibid.
Note della seconda parte
1. C. F. von Weizsäcker, Begegnungen in vier Jahrzehnten (Incontri in quattro decenni), in Autori
vari, Erinnerungen an Martin Heidegger (Ricordi su Martin Heidegger), Pfullingen 1977, pp. 243
sg.
2. G. Ritter, intervista concessa a H. Heiber nel 1962, (archivi dell’Institut für
Zeitgeschichte, Monaco).
3. H. Kuhn, Die deutsche Universität am Vorabend der Machtergreifung (L’università tedesca alla
vigilia della presa del potere), in Autori vari, Die deutsche Universität im Dritten
Reich (L’università tedesca nel Terzo Reich), München 1966, p. 15.
4. Ibid., pp. 34, 38.
5, Ibid., pp. 24, 26.
6. Ibid., pp. 30, 33.
7. O. Roegele, Der Student im Dritten Reich (Lo studente nel Terzo Reich), in Autori vari, Die
deutsche Universität cit., p. 139; H. P. Bleuel e E. Klinnert, Deutsche Studenten auf dem Weg ins
Dritte Reich. Ideologien, Programme, Aktionen. 1918-1933 (Studenti tedeschi verso il Terzo Reich.
Ideologie, programmi, azioni. 1918-1933), Gütersloh 1967; M. H. Kater, Studentenschaft und
Rechtsradikalismus in Deutschland, 1918-1933 (Studenti ed estremismo di destra in Germania,
1918-1933), Hamburg 1973.
8. Roegele, Der Student cit., p. 139.
9. Ibid. ; cfr. inoltre K. D. Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung (La presa
del potere nazionalsocialista), Köln-Opladen i960, pp. 420 sgg.
10. Kuhn, Die deutsche Universität cit., pp. 40 sg.
11. J. Pascher, Das Dritte Reich erlebt an drei deutschen Universitäten (Il Terzo Reich vissuto in
tre università tedesche), in Autori vari, Die deutsche Universität cit., p. 31.
12. Roegele, Der Student cit., pp. 140 sg.
13. H. J. Düning, Der SA Student im Kampf für die Universität (Lo studente SA nella lotta per
l’università), in Roegele, Der Student cit., p. 140.
14. lbid.
13. lbid., p. 141.
16. lbid.
17. G. Ruhle, Das Dritte Reich. Dokumentarische Darstellung des Aufbaues der Nation (Il Terzo
Reich. Descrizione documentaria della costruzione della nazione), Berlin 1933, voi. 1, p. 136; cfr.
inoltre H. Maier, Nationalsozialistische Hoch Schulpolitik (Politica universitaria nazionalsocialista),
in Autori vari, Die deutsche Universität cit., p. 73.
18. Maier, Nationalsozialistische Hochschulpolitik cit., p. 82.
19. Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung cit., pp. 383, 430 sg.
20. Ibid., pp. 434-36.
21. Per quel che riguarda le origini del movimento studentesco sotto la Repubblica di Weimar, va
segnalato soprattutto lo studio di W. Kreutzberger, Studenten und Politik. Der Fall Freiburg i. Br.
(Studenti e politica. Il caso di Friburgo), Göttingen 1972; nonché quello di A.G. von Olenhusen,
sulle persecuzioni razziste all’Università di Friburgo: Die nationalsozialistische Rassenpolitik und
die jüdischen Studenten an der Universität Freiburg. 1933-1945 (La politica razziale
nazionalsocialista egli studenti ebrei nell’Università di Friburgo. 1933-1945), in «Freiburger
Universitätsblätter», (1946), 6, pp. 72 sgg.
22. La presa del potere da parte dei nazisti nel Baden è stata analizzata particolarmente bene nel
lavoro collettivo di E. O. Bräunche, W. Köhler, H. P. Lux e Th. Schnabel, 1933. Machtergreifung in
Freiburg und Südbaden (1933. Presa del potere a Friburgo e nel Baden del sud), Freiburg 1983. Cfr.
inoltre Th. Schnabel, Von der Splittergruppe zur Staatspartei. Voraussetzungen und Bedingungen
des NS Aufstiegs in Freiburg i. Br. (Dalla frazione al partito di Stato. Presupposti e condizioni
dell’ascesa nazionalsocialista a Friburgo), in «Zeitschrift des Breisgauer Geschichtsvereins Schau-
ins-Land», (1983), 102.
23. Schnabel, Von der Splittergruppe cit., p. 34.
24. lbid.
25. lbid. p. 25.
26. Cfr. J. H. Grill, The Nazy Movement in Baden. 1920-1945, North Carolina University Press
1983, p. 252.
27. Schnabel, Von der Splittergruppe cit., pp. 36 sg.
28. lbid., p. 37.
29. G. Tellenbach, Aus erinnerter Zeitgeschichte (Ricordi di storia contemporanea), Freiburg i. Br.
1981, p. 46.
30. Cfr. Internationaler Suchdienst Arolsen (1969). Über Haftstätten unter dem RF-SS.
31. Ibid. p. 38.
32. lbid., p. 39.
33. P. Sauer, Das Schicksal der jüdischen Bürger Baden-Württembergs während der NS
Verfolgungszeit. 1955-1945 (Il destino dei cittadini ebrei del Baden-Württemberg durante le
persecuzioni naziste. 1933-1943), Stuttgart 1969.
34. Cfr. «Breisgauer Zeitung», (4 maggio 1933).
35. H. Ott, Martin Heidegger als Rektor der Universität Freiburg i. Br. 1955-1954 I. Die
Übernahme des Rektorats der Universität Freiburg i. Br. durch Martin Heidegger im April 1955
(Martin Heidegger rettore dell’Università di Friburgo 1933-1934 1. L’assunzione del rettorato
dell’Università di Friburgo da parte di Martin Heidegger nell’aprile 1933), in «Zeitschrift
des Breisgauer-Geschichtsvereins Schau-ins-Land», (1983).
36. lbid., p. 123.
37. Ibid. p. 123.
38. lbid.
39. Ibid. pp. 127 sg.
40. Ritter, intervista cit.
41. Ott, Martin Heidegger cit., pp. 130 sg.
42. Ritter, intervista cit.
43. Atti W. Schadewaldt, Document-Center, Berlin. Sulle lezioni vedi G. Schneeberger, Nachlese
zu Heidegger. Dokumente zu seinem Leben und Denken (Materiali su Heidegger. Documenti sulla
vita e il pensiero), Bern 1962, pp. 81, 96.
44. Ott, Martin Heidegger cit.
43. Ibid. pp. 123 sg.
46. Telegramma di Himmler, Document-Center, Berlin.
47. Curriculum redatto da Kerber per il Comando delle SS, in Atti F. Kerber, Document-Center,
Berlin.
48. Schneeberger, Nachlese cit., p. 144.
49. lbid., pp. 258-62.
50. Atti F. Kerber, Document-Center, Berlin.
31. Su Eucken cfr. Ritter, intervista cit.
52. Sull’applicazione del Führerprinzip nelle università, cfr. H. Maier, Nationalsozialistische
Hochschulpolitik cit., pp. 79 sgg.; H. Heigert, Der Selbstmord der deutschen Studentenschaft (Il
suicidio degli studenti tedeschi), in «Frankfurter Allgemeine Zeitung», (5 aprile 1958); K. D.
Erdmann, Professoren unter Hitler (Professori sotto Hitler), ibid.y (16 giugno 1965); E. Y.
Hartshorne, The German Universities and National Socialismy London 1937; Die deutsche
Hochschulverwaltung. Sammlung der das Hochschulwesen betreffender Gesetze. Verordnungen und
Erlasse (L’amministrazione universitaria tedesca. Raccolta delle leggi riguardanti l’università.
Ordinanze e decreti), a cura di G. Kasper, Berlin 1942-43; E. Nolte, Zur Typologie des Verhaltens
der Hochschullehrer im Dritten Reich (Sulla tipologia del comportamento dei professori universitari
nel Terzo Reich), in «Das Parlament», (17 novembre 1965).
53. Atti J. Wilser, Document-Center, Berlin.
34. J. Wilser, Angewandte Geologie im Feldzuge. Kriegs geologie (Geologia applicata in campagna
militare. Geologia di guerra), in «Naturwissenschaft», (1920), pp. 645-36.
55. Cfr. J. Wilser, Das Erdöl in der Weltwirtschaft (Il petrolio nell’economia mondiale),
in «Geopolitik», (giugno 1927), dove afferma il carattere guerriero di ogni concorrenza economica
(pp. 544 sg.).
56. Atti N. Hilling, Document-Center, Berlin.
57. Atti E. Wolf, Document-Center, Berlin.
58. Document-Center, Berlin.
59. Ibid.
60. Ibid.
61. Ibid.
62. H. Mortensen, Die Litauerfrage in Ostpreussen (La questione della Lituania nella
Prussia orientale), in «Mitteilung der Geographischen Fachschaft der Universität Freiburg», (1932-
33). 13-14-
63. Document-Center, Berlin.
64. Ibid.
65. H. W. Petzet, Martin Heidegger, in «Bremer Nachrichten», (5 ottobre 1930). Donazione H.
Spemann, Senkerbergische Bibliothek, Frankfurt a. M.
66. Testo di un discorso di Spemann al i° congresso dell’Associazione degli studenti
nazionalsocialisti, Friburgo 10-12 giugno 1938, ripreso nell’annuario «Alemannenland.
Volkstum und Reich. Ein Buch vom Oberrhein», a cura di F. Kerber, (Stuttgart 1939).
67. Bräunche e altri, 1933. Machtergreifung cit., p. 8.
68. Ibid., p. 9.
69. Ibid, p. 15.
70. A. L. Schlageter, Gesammelte Aufsätze aus der Monatschrift des CV (Saggi raccolti
dal mensile del CV), München 1932.
71. M. Heidegger, Sein und Zeit, Halle 1927 [trad. it. di P. Chiodi, Essere e tempo Milano 1953], §
50.
72. Ibid, § 47.
73. Ibid., § 60.
74. Ibid, §§ 72-77.
75. Ibid, § 54.
76. Ibid, § 56.
77. Schneeberger, Nachlese cit., p. 141.
78. Ibid. pp. 158 sg.
79. A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), ed. popolare 1942, p. 2.
80. Ibid. pp. 180 sg.
81. «Der Alemanne», (28 maggio 1933), cit. in Scheneeberger, Nachlese cit., pp. 50-56.
82. «Heuberger Volksblatt» (26 maggio 1933).
83. A. Kleinberger, Gab es eine nationalsozialistische Hochschulpolitik? (È esistita una
politica universitaria nazionalsocialista?), in Autori vari, Erziehung und Schulung im Dritten
Reich (Educazione e istruzione nel Terzo Reich), Stuttgart 1980, pp. 8 sgg.
84. A. Bäumler, Männerbund und Wissenschaft (Leghe maschili e scienza), Berlin 1934.
85. E. Krieck, Bildung und Gemeinschaft (Formazione e comunità), Berlin 1934, p. 31.
86. E. Krieck, Nationalpolitische Erziehung (Educazione politica nazionale), Leipzig 1932, PP/
16367.
87. Ibid., pp. 167-71.
88. Ibid., p. 168. Cfr. anche G. Müller, Ernst Krieck und die NS Wissenschaftsreform
(Ernst Krieck e la riforma scientifica nazionalsocialista), Frankfurt a. M. 1978.
89. H. Heiber, Walter Frank und sein Reichsinstitut für Geschichte des neuen
Deutschlands (Walter Frank e il suo Istituto del Reich per la storia della nuova Germania), Stuttgart
1966; Maier, Nationalsozialistische Hochschulpolitik cit., p. 168.
90. M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität. Das Rektorat 1933-
34 (L’autoaffermazione dell’università tedesca. Il rettorato 1933-34), Frankfurt a. M., nuova ed. a
cura di H. Heidegger 1983, p. 9.
91. Ibid.
92. Ibid., p. 10.
93. Ibid., p. 11.
94. Ibid., p. 12.
93. Ibid. p. 11.
96. Ibid., p. 13.
97. Ibid. p. 14.
98. Ibid. p. 15.
99. Ibid., pp. 15 sg.
100. Cfr. il discorso di Hitler sul servizio del lavoro in H.-A. Jacobsen e W. Jochmann (a cura di),
Ausgewählte Dokumente zur Geschichte des Nationalsozialismus. 1933-1943 (Documenti scelti
sulla storia del nazionalsocialismo. 1933-1943), Bielefeld 1966.
101. Heidegger, Die Selbstbehauptung cit., p. 18.
102. In «Der Alemanne», (6 maggio 1933).
103. «Völkischer Beobachter», (20 luglio 1933).
104. A. Rein, Die Idee der politischen Universität (L’idea dell’università politica), Hamburg
1933.
103. H. Heyse, Idee der Wissenschaft und die deutsche Universität (Idea della scienza e l’università
tedesca), Königsberg 1933; cfr. «Der Deutsche Student. Zeitschrift der Deutschen Studentenschaft»,
(maggio 1934), p. 308.
106. H. Freyer, Das politische Semester. Ein Vorschlag zur Universitätsreform (Il semestre
politico. Proposta sulla riforma universitaria), Jena 1933.
107. J. W. Mannhardt, Hochschulrevolution (Rivoluzione universitaria), Hamburg 1933.
108. E. Unger, Das Schrifttum zum Aufbau des neuen Reiches, 1919-1934 (Gli scritti sulla
costruzione del nuovo Reich, 1919-1934), Berlin 1934.
109. «Der Deutsche Student», (agosto-settembre 1934), p. 21.
no. A. Holfelder, Die politische Universität und die Wissenschaft (L’università politica e la scienza),
in «Der Deutsche Student», (dicembre 1933).
111. In «Gnomon», (1933), pp. 440-44.
112. H. Bornkmann, Die Sendung der deutschen Universität in der Gegenwart (La
missione dell’università tedesca oggi), in «Volk im Werden», (1934), p. 32.
113. E. Rothacker, Politische Universität und deutsche Universität. Die Doppelaufgabe
(Università politica e università tedesca. Il duplice compito), in «Kölnische Zeitung», (30 luglio
1933).
114. «Deutsche Zeitschrift», XVI (1933-34), pp. 802-06.
113. «Rheinische-Westfälische Zeitung», (13 novembre 1933).
116. «Berliner Börsenzeitung», editoriale, (13 agosto 1933).
117. «Zeitspiegel», II (1933), p. 306.
118. «Die Hilfe. Zeitung für Politik, Wirtschaft und geistige Bewegung», (1o ottobre 1933), p.
304.
119. In «Vossische Zeitung» (21 luglio 1933).
120. E. Baumgarten, «Mitteilung der Deutschen Altgilde Freischar», (1934), 2, p. 3.
121. B. Croce, ree. a M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, in
«La critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia», XXXII (20 gennaio 1933), 1, p. 69.
122. Ibid.
123. Estratti della Corrispondenza tra Croce e Vossler su Heidegger sono stati pubblicati
in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 110-12. Cfr. Carteggio Croce-Vossler, 1899-1949, Bari
1931, nuova ed. 1983, in particolare p. 371.
124. Schneeberger, Nachlese cit., p. 30.
123. Ibid.,pp. 28 sg.
126. Si può seguire nei particolari la discussione sulla proibizione dei duelli nella rivista
studentesca dell’epoca «Burschenschaftliche Blätter».
127. Führer-Lexicon Berlin 1934-33.
128. Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 88-94.
129. Ibid. p. 173.
r 30. E. Stern, Macht oder Recht? Die grundsätzliche Bedeutung der jüngsten Vorgänge in Freiburg
(Potere o diritto? Il significato fondamentale degli ultimi avvenimenti a Friburgo), archivi
dell’Università di Friburgo.
131. « KC Blätter. Monatschrift der im Kartell-Convent der Verbindungen deutscher Studenten
jüdischen Glaubens vereinigter Korporationen».
132. «Neo-Friburgia», atti dell’Università di Friburgo, semestre estivo 1933, cit. in Kreutz-berger,
Studenten und Politik cit., p. 173.
133. «Der Alemanne», (19 giugno 1932).
134. Generallandesarchiv Karlsruhe, GLA 233/8048.
133. Ibid.
136. Ibid.
137. «Der Alemanne», (8 maggio 1933).
138. Archiv der Stadt Freiburg i. Br., C 4 XII/30/7, cit. in Bräunche e altri, 1933. Machtergreifung
cit., p. 49.
139. Ibid.
140. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 33 sg.
141. «Deutsche Studentenschaft. Akademische Korrespondenz. Sonderdienst», (23 aprile 1933).
142. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 42 sg.
143. Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 40-43.
144. Scheeberger, Nachlese cit., pp. 69-71.
143. K. Jaspers, Philosophische Autobiographie (Autobiografìa filosofica), München, 2“ ed. 1977,
p. 101 (il cap. su Heidegger era stato tralasciato nella 1a ed. del 1936); Id. Notizen zu Heidegger
(Note su Heidegger), München-Zürich 1978, pp. 13, 30,168, 274.
146. In «Freiburger Studentenzeitung», (3 novembre 1933), ora in Schneeberger, Nachlese cit.,
pp. 135 sg.
147. Schneeberger, Nachlese cit., p. 118.
148. Ibid., p. 18.
149. Ibid., p. 60.
150. Ibid., pp. 90 sg.
131. Ibid., p. 66.
132. Ibid., p. 63.
133. Ibid., p. 137.
134. Ibid., pp. 166 sg.
153. Generallandesarchiv Karlsruhe: questi documenti sono stati commentati in extenso da H. Ott in
«Badische Zeitung», (6 dicembre 1984).
156. Generallandesarchiv Karlsruhe, GLA 233, n. 8819.
137. Cfr. «Badische Zeitung» (6 dicembre 1984). Una prima allusione a questa lettera si trova in
Ott, Martin Heidegger cit.
138. Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 166 sg.
139. «Heuberger Volksblatt», (23 novembre 1933).
160. Schneeberger, Nachlese cit., p. 156.
161. Ibid., p. 157.
162. Ibid., pp. 180 sg.
163. Ibid., p. 2.
164. Ibid., p. 180.
163. Ibid.
166. Ibid.
167. Ci si può riferire alle cifre relative alla situazione sociale ed economica nel Baden e
a Friburgo in Bräunche e altri, 1933. Machtergreifung cit., pp. 13-18.
168. Ibid., p. 22.
169. Ibid., p. 23.
170. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 184-86.
171. Ibid.
172. Ibid., p. 204.
173. Ibid., pp. 22 sg.
174. Ibid., p. 40.
173. Ibid., p. 167.
176. Document-Center, Berlin, nota dell'11 novembre 1942.
177. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 184 sgg.
178. M. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 Tatsachen und Gedanken (Il rettorato 1933-34. Fatti e
pensieri [1945]), in Id., Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, nuova ed. cit., p. 36.
179. Ibid. p. 36.
180. H. Ott, Martin Heidegger als Rektor der Universität Freiburg i. Br., 1933-34 (Martin
Heidegger rettore dell’Università di Friburgo, 1933-34), ms p. 9
181. Bundesarchiv Koblenz, R 129/976; Ott, Martin Heidegger, ms. cit., p. 11.
182. Archivio dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, MA 228, S. 25071.
183. Ibid.
184. W. G. Oschilewski, Zeitungen in Berlin. Im Spiegel der Jahrhunderte (Giornali a
Berlino. Nello specchio dei secoli), Berlin 1973, pp. 106 sgg.
183. Geht so Deutsche Studentenschaft? (Così fanno gli studenti tedeschi?), in «Deutsche Zeitung»,
(27 aprile 1933), edizione della sera.
186. Archivio dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, S. 23064.
187. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 33.
188. «Der Heidelberger Student», (13 luglio 1933).
189. J. W. Bendersky, Carl Schmitt. Theorist for the Reich, Princeton, N J. 1983, p. 203.
190. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 73-73.
191. Ibid., p. 174.
192. Ibid.
193. Ibid., p. 75.
194. Ibid.
193. Ibid.
196. Ibid.
197. Tellenbach, Aus erinnerter Zeitgeschichte cit., pp. 41 sg.
198. Schneeberger, Nachlese cit., p. 73.
199. K. D. Erdmann, Wissenschaft im Dritten Reich (La scienza nel terzo Reich), in
«Veröffentlichungen der Schleswig-Holsteinischen Universitätsgesellschaft», nuova ser., (1967),
43, p. 9.
200. L. Wolf, Die Stellung der Natur- und Geisteswissenschaften in der Neuen Reich und
die Aufgabe ihrer Fachschaften (La posizione delle scienze della natura e dello spirito nel
nuovo Reich e i compiti dei loro specialisti), in «Kieler Vorträge über Volkstum- und
Grenzlandfragen um den nordisch-baltischen Raum», (1933).
201. Ibid, p. 4.
202. Ibid, p. 9.
203. H. Heimpel, Der gute Zuhörer (Il buon ascoltatore), in Autori vari, Erinnerungen an Martin
Heidegger cit., p. 116.
204. «Kieler Neueste Nachrichten», (16 luglio 1933).
203. Bundesarchiv Koblenz, R 43 II.
206. B. Reimann, Die Niederlage der deutschen Universitäten (La sconfitta delle
università tedesche), in «Neue Zürcher Zeitung», (3-4 dicembre 1983), p. 69.
207. Lettera del professor Tillmann e risposta della Cancelleria in Bundesarchiv Koblenz, loc. cit.
208. Führer-Lexikon cit., pp. 73 sg. ; R. Bollmus, Das Amt Rosenberg und seine Gegner
(L’Amt Rosenberg e i suoi avversari), Stuttgart 1970, p. 28.
209. Bundesarchiv Koblenz, loc. cit.
210. Ibid.
211. Tutti questi documenti possono essere consultati al Bundesarchiv Koblenz.
212. «Frankfurter Zeitung» (28 aprile 1933).
213. K.A. Moehling, Martin Heidegger and the Nazi Party: An Examination, Northern
Illinois University 1972, appendice.
214. Ott., Martin Heidegger cit., nota 14.
213. Ibid., p. 10.
216. Zentrales Staatsarchiv Potsdam, Ministerium für Wissenschaft, Kunst und Volksbildung,
Verband der deutschen Hochschulen, Rep. 76 V, Sekt. 1, Tit. IV, AUg. Universitätssachen IV Abt.,
n. 49.
217. Zentrales Staatsarchiv Potsdam.
218. Ibid. 70 Re 8, Verband der deutschen Hochschulen, Kulturpolitische Arbeitsgemeinschaft
Deutscher Hochschullehrer.
219. Lista completa, ibid.
220. Sulla rivalità tra Krieck e Bäumler cfr. Heiber, Walker Frank cit., pp. 380-90.
221. Zentrales Staatsarchiv Potsdam, senza data.
222. Ibid.
223. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 138 sg. e 142, con una fotografia.
224. Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung cit.
223. Archivi dell’Auswärtiges Amt di Bonn, Akten betr. Hochschulwesen und Studien in
Deutschland, Bd. 24 u. 25, Wissenschaft, Hochschulwesen Deutschland. Dobbiamo l’informa -
zione a U. Henning del Max-Planck-Institut di Berlino.
226. G. Ritter, Freiburg als vorderösterreichische Stadt (Friburgo città dell’Austria
anteriore), nell’annuario del sindaco Kerber «Reichstrasse 31. Von der Ostmark zum Oberrhein.
Natur, Volk, Kunst», (Stuttgart 1938), pp. 199-207.
227. Sono conservati negli archivi dell’Università Humboldt a Berlino (RDT): Akte der Friedrich-
Wilhelm Universität zu Berlin, betr. Professoren, Phil. Fak.: Littr. P, Bd. 23.
228. Atti W. Petersen, n. 279013, Document-Center, Berlin.
229. Ibid.
230. I documenti corrispondenti sono conservati nel Bayrisches Hauptstaatsarchiv di Monaco
(segn. MK 39700) e dobbiamo la loro scoperta a una informazione del professor A. Kleinberger
dell’Università di Gerusalemme.
231. lbid.
232. Ibid.
233. Heiber, Walter Frank cit., pp. 483 sgg.
234. Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung cit.
233. Ibid.
236. Ibid.
237. J. Harms, Vom Deutsch deutscher Philosophen (Sul tedesco dei filosofi tedeschi),
in «Muttersprache», (gennaio 1934), cit. in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 171-74.
238. R. Deinhardt, Deutsch Denken und Welsch reden, nein! Man spricht deutsch im
Dritten Reich! (Pensare tedesco e parlare straniero, no! Si parla tedesco nel Terzo Reich!), in
«Bergwerk Zeitung», (23 gennaio 1934), cit. in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 191-93.
239. Schneeberger, Nachlese cit., p. 183.
240. H. Naumann, Germanischer Schicksalglaube (Fede nel destino germanico), Jena 1934.
241. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 225-28.
242. Il testo del discorso è ora in Klassiker in finsteren Zeiten 1933-1945 (Classici in tempi cupi
1933-1945), a cura di B. Zeller, 2 voll., Marbach 1983, vol. 1, pp. 116 sg.
243. V. Losemann, Nationalsozialismus und Antike (Nazionalsocialismo e antichità), Hamburg
1977.
244. Per questi dati su Krieck cfr. G. Müller, Ernst Krieck und die nationalsozialistische
Wissenschaftsreform (Ernst Krieck e la riforma scientifica nazionalsocialista), Weinheim-Basel
1978.
245. Le due lettere si trovano nella Senkenbergische Bibliothek di Francoforte.
246. M. Heidegger, Das Geleitwort der Universität (Prefazione dell’università), in « 150
Jahre Freiburger Zeitung», (6 gennaio 1934), ora in Schneeberger, Nachlese cit., p. 171.
247. M. Heidegger, Mahnwort an Alemannische Volk (Ammonimento al popolo tedesco),
in «Freiburger Studentenzeitung», (23 gennaio 1934), ora in Schneeberger, Nachlese cit., p. 181.
248. lbid., p. 215.
249. lbid.
250. R. Minder, Hölderlin unter den Deutschen und andere Aufsätze zur deutschen
Literatur (Hölderlin tra i tedeschi e altri saggi sulla letteratura tedesca), Frankfurt a. M. 1968, pp.
119, 138 sg.
251. Hitler, Mein Kampf cit., p. 140; vedi anche W. Darré, Bauerntum als Lebensquelle
der nordischen Rasse (I contadini fonte di vita della razza nordica), München 1928.
252. Il testo integrale, apparso originariamente nella rivista «Der Alemanne», (7 marzo 1934), è
ora in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 216-18.
253. «Völkischer Beobachter», (31 ottobre 1933), edizione per la Germania meridionale.
254. Schneeberger, Nachlese cit., p. 135.
255. lbid., pp. 197 sg.
256. lbid., p. 205.
257. lbid.
258. lbid., p. 144.
259. Atti A. Künzel, Document-Center, Berlin.
260. Schneeberger, Nachlese cit., p. 140.
261. Testo in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 205 sg.
262. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 194 sg.
263. lbid.
264. Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 56 sgg.
265. Ibid.
266. Ibid., p. 117.
267. Breuning, Die Vision des Reiches (La visione del Reich), München 1969, passim.
268. E. Krebs, Die Aufgabe der Universität im Neuen Reich (Il compito dell’Università nel nuovo
Reich), in «Academia», (agosto 1933), 4, p. 93.
269. E. Krebs, Urkirche und Judentum (Chiesa primitiva ed ebraismo), Berlin 1926.
270. «Academia», (maggio, giugno, luglio e settembre 1933), 1, 2, 3 e 5.
271. lbid., (ottobre 1933), 6 e 7.
272. lbid., (marzo-aprile 1934), 11 e 12.
273. Schneeberger, Nachlese cit., p. 175.
274. Sauer, Das Schicksal cit., p. 264.
275. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 230-32, 233.
276. O. Strasser, Die Bartholomäus-Nacht (La notte di san Bartolomeo), Zürich 1935, pp. 160 sg.
277. Sauer, Das Schicksal cit., pp. 195 sg.
278. Ibid.
279. Ibid., pp. 197 sg.
280. Ibid. p. 200.
281. Ibid, p. 204.
282. Ibid., pp. 205-07.
283. Ibid. pp. 209-11.
284. Ibid. pp. 213 sg.
285. Ibid., pp. 223-25.
286. C. Bloch, Die SA und die Krise des NS-Regimes (Le SA e la crisi del regime
nazista), Frankfurt a. M. 1970.
287. U. D. Adam, Hochschule und Nationalsozialismus. Die Universität Tübingen im
Dritten Reich (Università e nazionalsocialismo. L’Università di Tubinga nel Terzo Reich),
Tübingen 1977, p. 89.
288. Ibid., p. 90.
289. Ibid. p. 91.
290. Ibid, pp. 91 sg.
291. Ibid. p. 93.
292. Bloch, Die SA cit., pp. 53, 65.
293. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 245 sg.
294. G. Picht, Die Macht des Denkens (La forza del pensiero), in Autori vari, Erinnerungen an
Martin Heidegger cit., pp. 204 sg.
295. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 40.
296. Ibid, p. 18.
297. Ott, Martin Heidegger cit., pp. 19 sg.
298. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 40; Id., «Nur noch ein Gott kann uns retten!», in
«Der Spiegel», XXX (31 maggio 1976), 23, p. 205 [trad. it. Ormai solo un dio ci può
salvare, Parma 1987, p. 125]. L’intervista, concessa il 23 settembre 1966, è stata pubblicata, per
volontà di Heidegger, soltanto dopo la sua morte. D’ora in poi cit. come Intervista con lo «Spiegel».
299. Ott, Martin Heidegger cit., p. 3.
300. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 23.
301. K. von Dietze, Die Universität Freiburg im Dritten Reich (L’Università di Friburgo nel Terzo
Reich), in «Mitteilungen der List-Gesellschaft», (1960-61), 3, p. 96.
Note della terza parte
1. W. Hofer, Der Nationalsozialismus. Dokumente 1933-1934 (Il Nazionalsocialismo. Documenti
1933-1934), Frankfurt a. M. 1978, p. 270. (Il testo della dichiarazione ci è stato fornito da U.
Henning del Max-Planck-Institut di Berlino).
2. L. Poliakov e J. Wulf, Das Dritte Reich und seine Denker. Dokumente (Il Terzo Reich e i suoi
pensatori. Documenti), Berlin-Grünewald 1983, p. 548.
3. La lettera è nell’archivio dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco (Amt Rosenberg).
4. W. Rudolf, Sinn und Aufgabe der preussischen Dozentenschaft (Senso e compito dei
docenti prussiani), in «Der Deutsche Student», (febbraio 1934).
5. A. Busch, Die Geschichte der Privatdozenten (La storia dei Privatdozenten), Stuttgart 1939, p.
137
6. Atti W. Stuckart, Document-Center, Berlin.
7. Hofer, Der Nationalsozialismus cit., p. 396.
8. Zentrales Staatsarchiv Merseburg, segn. Bd. 1, Rep. 76, Sekt. Z, Tit. IV, n. 68 A.
9. «Hochschulstädte und Grosstadthochschulen», (1934), 6.
10. V. Losemann, Zur Konzeption der NS-Dozentenlager (Sulla concezione dei campi nazisti per
professori), in Autori vari, Erziehung und Schulung im Dritten Reich (Educazione e istruzione nel
Terzo Reich), Stuttgart 1980, pp. 87-109.
11. Lettera del 21 febbraio 1934.
12. Generallandesarchiv Karlsruhe.
13. Ibid.
14. «Jahrbuch der Akademie für Deutsches Reich», dir. da H. Frank a partire dal 1933-34.
15. E. Jäckh e O. Suhr hanno scritto una breve storia della Deutsche Hochschule für Politik nel
suo periodo democratico (1920-32 e 1949-32): Geschichte der Deutsche Hochschule für Politik
(Storia dell’Istituto superiore tedesco per la politica), Berlin 1932.
16. In «Frankfurter Allgemeine Zeitung», (28 maggio 1983).
17. Ibid.
18. Una parte di questo documento fu pubblicata da K. Jaspers, in Notizen zu Heidegger (Note su
Heidegger), München-Zürich 1978, pp. 14 sgg.
19. W. Schoeppe, testimonianza cit.
20. Ibid.
21. R. Stadelmann, Das geschichtliche Selbstbewusstsein der Nation (L’autocoscienza
storica della nazione), Tübingen 1934.
22. Ibid. pp. 10 sg.
23. In «Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft», XCII (1932), pp. 1-30.
24. In «Zeitwende», X (1934).
23. In «Deutsche Zeitschrift», XLVII (1939).
26. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger. Dokumente zu seinem Lehen und Denken (Materiali su
Heidegger. Documenti sulla vita e il pensiero), Bern 1962, p. 70.
27. Archivi dell’Università di Gottinga, XVI, IV, Bd. 3, Blatt 33.
28. Gererallandesarchiv Karlsruhe, 430-792.
29. Documenti degli archivi dell’Università di Gottinga.
30. «Völkischer Beobachter» (6-7 maggio 1934), edizione per la Germania del nord.
31. Archivi dell’Università di Gottinga.
32. «Deutsche Mädchenbildung. Zeitschrift für das gesamte höhere Mädchenschulwesen», (1935),
pp. 1-7
33. «Jahrbuch des Philologenverbandes. Kunze-Kalender» (1941-42).
34. Atti K. Stracke, Document-Center, Berlin.
35. «Deutsche Mädchenbildung», (1935), 2, pp. 49 sgg.
36. Ibid., 6, pp. 285 sgg.
37. Ibid., 7, pp. 327 sgg.
38. Ibid., 8, pp. 338 sgg.
39. Ibid., pp. 346 sgg.
40. Cfr. la pubblicazione ufficiale del fronte femminile «NS-Frauenwarte», (2 settembre 1934) 7,
pp, 210-12.
41. G. Scholz-Klink, Verpflichtung und Aufgabe der Frau im nationalsozialistischen Staat
(Impegno e compito della donna nello Stato nazionalsocialista), in «Schriften der Deutsche
Hochschule für Politik», 25.
42. «Deutsche Mädchenbildung», (1933), p. 1.
43. Ibid.
44. Ibid., p. 2.
43. Ibid.
46. Ibid., pp. 2 sg.
47. Ibid., p. 3.
48. Ibid., p. 4.
49. Ibid.
550. Ibid., p. 3.
51. Ibid.
52. Ibid.
53. Ibid., p. 6.
54. Ibid., p. 7.
55. J. Stephenson, Verantwortungbewusstsein: politische Schulung durch die Frauenorganisationen
im Dritten Reich (Consapevolezza della responsabilità: formazione politica
attraverso l’organizzazione femminile nel Terzo Reich), in Autori vari, Erziehung und Schulung cit.,
pp. 194-203.
56. «NS-Frauenwarte», (13 luglio 1932), p. 15.
57. Ibid., (i° ottobre 1932), pp. 143, 168.
58. Ibid., (gennaio 1934), pp. 380 sgg.
59. Ibid., (febbraio 1934), pp. 406 sgg.
60. Ibid., (marzo 1934).
61. Grundsätze der NS-Frauenschaft (Princìpi delle donne nazionalsocialiste), in « NS-
Frauenwarte», (13 luglio 1932).
62. F. Hundssnurcher e G. Taddey, Die jüdische Gemeinde in Baden (La comunità ebraica nel
Baden), Stuttgart 1968, pp. 92 sg.
63. Ibid., p. 93.
64. Ibid. Cfr. anche F. Laubenberg e B. Schwineköper, Geschichte und Schicksal der Freiburger
Juden (Storia e destino degli ebrei di Friburgo), in «Freiburger Stadthefte», (1963), 6.
63. W. Scheffer, Judenverfolgung im Dritten Reich (La persecuzione degli ebrei nel Terzo Reich),
Berlin 1964, pp. 68 sg.
66. Ibid., p. 87.
67. Ibid., pp. 257, 274.
68. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., pp. 114-21.
69. Scheffer, Judenverfolgung cit., pp. 237 sg.
70. H. W. Petzet, Auf einen Stern zugeben. Begegnungen und Gespräche mit Martin
Heidegger 1929-1976 (Dirigersi verso una stella. Incontri e conversazioni con Martin Heidegger
1929-1976), Frankfurt a. M. 1983, p. 40.
71. A. Kleinberger, Gab es eine nationalsozialistische Hochschulpolitik? (È esistita una
politica universitaria nazionalsocialista?), in Autori vari, Erziehung und Schulung cit., pp. 14, 16.
72. Questi due documenti si trovano nel Deutsches Zentralarchiv Merseburg.
73. M. Heidegger, Das Rektorat 19)3-34. Tatsachen und Gedanken (Il rettorato 1933-34. Fatti e
pensieri [1945]), in Id., Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, nuova ed. cit., p. 41.
74. Deutsches Bücherverzeichnis. Eine Zusammenstellung der im deutschen Buchhandel
erschienenen Bücher. Zeitschriften und Landkarten, voi. 20 (1936-40), Leipzig 1942, p. 1091.
73. La lettera è in possesso del dottor F. Spiegeler, di Bramsche.
76. Gesamtverzeichnis des deutschsprachigen Schrifttums 1911-1963, vol. 33, München 1978.
77. Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 123.
78. G. Lewy, Die katholische Kirche und das Dritte Reich (La Chiesa cattolica e il Terzo Reich),
München 1965, p. 204.
79. «NS-Frauenwarte», (1935*36), 17, p. 17.
80. H. Brenner, Ende einer bürgerlichen Kunstinstitution. Die politische Formierung der
preussischen Akademie der Künste (Fine di una istituzione artistica borghese. La formazione
politica dell’Accademia prussiana delle Arti), Stuttgart 1972, pp. 12 sg., 170 sg..
81. H. Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung der Weimarer Republik
(Storiografia borghese tedesca della Repubblica di Weimar), Berlin 1975, p. 104.
82. «Tribuna», (16 gennaio 1935).
83. Klassiker in finsteren Zeiten 1933-1943 (Classici dei tempi cupi 1933-1945), a cura di
B. Zeller, 2 voll., Marbach 1983, p. 348.
84. Archivi dell’Auswärtiges Amt di Bonn, Deutsche Botschaft Rom: KW 7a, Bd. 2, Pak 1325a.
85. Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 2, p. 176.
86. Ibid., p. 348.
87. Ibid., pp. 468 sg.
88. «Blätter für Deutsche Philosophie», (1934), 1-2, pp. 217 sg.
89. «Wille und Macht. Führerorgan der NS-Jugend», (15 marzo 1937), 6, pp. 28-30.
90. Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 1, p. 352.
91. «Das Volk. Kampfblatt für völkische Kultur und Politik», (Berlin-Leipzig).
92. E. Unger, Das Schriftum zum Aufbau des neuen Reiches 1919-1934 (Gli scritti sulla
costruzione del nuovo Reich 1919-1934), Berlin 1934, p. 148.
93. Zentrales Staatsarchiv Merseburg, atti Kant-Forschungen (1904-1934), Ministero
della Cultura della Prussia.
94. Archivio dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, sign. MA 609.
95. Ibid., pp. 56655-57.
96. Ibid., atti del 9 gennaio 1935, pp. 56656 e 56658.
97. Ibid., p. 56653.
98. Ibid., p. 56651.
99. Ibid. p. 56647.
100. Ibid. p. 56648.
101. M. Heidegger, Holzwege, Frankfurt a. M. 1950 [trad. it. di P. Chiodi, Sentieri
interrottiy Firenze, 2a ed. 1977].
102. Heidegger, Sentieri interrotti cit., p. 47.
103. Ibid. p. 62.
104. Ibid.
105. A. Schwan, Die politische Philosophie im Denken Heideggers (La filosofia politica
nel pensiero di Heidegger), Köln-Opladen 1965, p. 52.
106. O. Pöggeler, Philosophie und Politik bei Heidegger (Filosofia e politica in
Heidegger), Freiburg i. Br.-München 1972, 2a ed. 1974, p. 124.
107. «Alemannenland. Ein Buch für Volkstum und Sendung», a cura di F. Kerber,
(Stuttgart 1937), pp. 135-39-
108. Schneeberger, Nachlese cit., pp. 258-62.
109. Atti F. Kerber, Document-Center, Berlin,
110. «Alemannenland» cit., p. 7.
111. Ibid.
112. Ibid. p. 8.
113. Ibid., pp. 7 sg.
114. Ibid. p. 10.
115. Ibid. p. 11.
116. Ibid. p. 12.
117. R. A. C. Parker, Das Zwangzigste Jahrhundert 1918-1945 (Il secolo xx, 1918-1945),
Frankfurt a. M. 1967, pp. 274 sgg.
118. «Alemannenland» cit., pp. 124 sgg.
119. Ibid. pp. 140 sgg.
120. Ibid. pp. 164 sgg.
121. Ibid., pp. 171 sgg.
122. Ibid. pp. 164 sg.
123. Ibid. p. 162.
124. Ibid.
125. Pöggeler, Philosophie und Politik cit., pp. 24 sg.
126. Schneeberger, Nachlese cit., p. 261.
127. Ibid.
128. Ibid.
129. «Die Buchbesprechung», (febbraio 1938), pp. 57 sg.
130. «Schweitzer Nationale Hefte», (gennaio-febbraio 1939), 5.
131. Ibid. p. 505.
132. Ibid. pp. 504 sg.
133. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 125.
134. Jaspers, Notizen cit., p. 87.
135. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 41 e Id, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 126.
136. A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), ed. popolare 1942, p. 293.
137. Ibid., pp. 293 sg.
138. Ibid., pp. 379 sg., 629-33.
139. M. Heidegger, Nietzsche, 2 voll., Pfullingen 1961, voi. 1, p. 436.
140. Ibid. p. 35. Cfr. inoltre M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Tübingen 1933, che
riproduce il testo di un corso universitario del 1935, con aggiunte e ritocchi.
141. Heidegger, Nietzsche cit., voi. 1, p. 36.
142. Ibid. pp. 36 sg.
143. Ibid. p. 36.
144. Ibid. pp. 362 sg.
145. Ibid.. p. 75.
146. Ibid.
147. Ibid. voi. 2, p. 309.
148. Ibid. p. 363.
149. Ibid, voi. I, p. 553.
150. Ibid. p. 256.
151. Ibid. pp. 44 sg.
152. Ibid. pp. 50 sg.
153. Ibid., p. 52.
154. Ibid. pp. 72 sg., 488 sg.
155. Ibid. p. 73.
156. Ibid. pp. 517 sg., 526, 573.
157. Ibid. ,p. 80.
158. Ibid. p. 87.
159. Ibid. pp. 115 sg.
160. Ibid. p. 315.
161. Ibid. p. 464.
162. Ibid.
163. Ibid.
164. Ibid. pp. 469, 551.
165. Ibid. p. 470.
166. Ibid. p. 124.
167. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., pp. 42 sg. e Id., Intervista con lo «Spiegel» cit., p.
127.
168. Zentrales Staatsarchiv Potsdam, REM 49.01-2940.
169. Actes du Ville congrès international de philosophie à Prague, 2-7 septembre 1934,
Prague 1936.
170. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 127.
171. Zentrales Staatsarchiv Potsdam.
172. Ibid.
173. Hoover Foundation, sez. del congresso.
174. Zentrales Staatsarchiv Potsdam.
173. Ibid.
176. lbid.
177. lbid.
178. lbid.
179. R. Bollmus, Das Amt Rosenberg und seine Gegner (L’Amt Rosenberg e i suoi
avversari), Stuttgart 1970, passim.
180. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 42.
181. «Blätter für Deutsche Philosophie», XIII (1939), 1-2, p. 217.
182. «Die Literatur», XLIV (1942), 1.
183. «Frankfurter Zeitung», (13 giugno 1942).
184. «Scholastik», XVIII (1943), 1.
183. Archivi dell'Università di Monaco, sign. ON 10a.
186. lbid. comunicato di Himmler, atti del 13 luglio 1942.
187. Atti R. Till, Document-Center, Berlin.
188. Losemann, Zur Konzeption cit., pp. 121, 133.
189. Document-Center, Berlin.
190. lbid.
191. lbid.
192. Atti M. Heidegger, Document-Center, Berlin.
193. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 127.
194. Archivio dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco, sign. MA 40.
193. «Geistige Überlieferung», a cura di E. Grassi, I (Berlin 1940), p. 17.
196. lbid., pp. 28 sg.
197. Losemann, Zur Konzeption cit., pp. 123 sgg., 216, 233 sg.
198. «Bücherkunde Monatshefte für das deutsche Schrifttum», (1942), pp. 17 sg.
199. «Deutsche Kultur im Leben der Völker», (dicembre 1941), pp. 438 sg.
200. G. Bottai, Überdas Lesen, in «Geistige Überlieferung» cit., II (Berlin 1942), pp. 203-13.
201. G. Bottai, Pagine di Critica fascista, Roma 1941, pp. 214 sgg.
202. G. Bottai, Quaderno affricano, Firenze 1939, pp. 183 sg.
203. Bottai, Über das Lesen cit., p. 206.
204. E. Grassi, prefazione a G. Bottai, Verteidigung des Humanismus. Die geistigen Grundlagen
der neuen Studien in Italien (Difesa dell’umanismo. I fondamenti spirituali dei nuovi studi in Italia),
Berlin 1941, pp. 3-14.
205. lbid., p. 13.
206. «Minerva», (1930-31).
207. E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, Bari 1932.
208. E. Grassi, Dell'apparire e dell’essere, Firenze 1933.
209. lbid., p. 92.
210. E. Grassi, Vom Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der
Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie (Il primato del Logos. Il
problema dell’antichità nella discussione tra la filosofia italiana e tedesca), Berlin 1939.
211. Atti del REM, Document-Center, Berlin.
212. Cfr. Hofer, Der Nationalsozialismus cit., p. 386.
213. W. Brachmann, Der gegenwärtige Humanismus. Ein Beitrag zur Geiste und
Glaubensgeschichte der Gegenwart (L’umanismo attuale. Contributo sulla storia dello spirito e
della fede del presente), in «Kant-Studien», nuova ser., XLIV (1944).
214. Ibid.
213. Ibid. p. 17.
216. Ibid. p. 15.
217. Ibid. p. 33.
218. Atti W. Brachmann, Document-Center, Berlin.
219. Lettera del 17 luglio 1943, in Atti M. Heidegger, Document-Center, Berlin.
220. Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 2, pp. 76 sg.
221. Ibid. p. 99.
222. Ibid. pp. 104 sgg.
223. Ibid., pp. 95 sg., con foto.
224. Hölderlin. Gedenkschriften zu seinem 100. Todestag (Hölderlin. Scritti commemorativi in
occasione del centesimo anniversario della sua morte), a cura di P. Kluckhohn, Tübingen 1943 (2a
ed. 1944).
225. Ibid., pp. 3-12.
226. J. Weinheber, An Hölderlin Ode (A Hölderlin: ode), ibid.
227. Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 2, p. 176.
228. W. Böhm, Gestalt und Glaube in der Hölderlin Literatur (Forma e fede nella letteratura su
Hölderlin), in «Zeitschrift für Aesthetik und allgemeine Kunstwissenschaft», XXXV (1941).
229. K. Hildebrandt, Hölderlin. Philosophie und Dichtung (Hölderlin. Filosofia e
poesia), Stuttgart 1939, p. 240.
230. P. Bockmann, Hölderlin und seine Götter (Hölderlin e i suoi dei), cit. in Klassiker
in finsteren Zeiten cit., voi. 1, pp. 333 sg.
231. M. Heidegger, Andenken (Rimembranza), in Id., Erläuterungen zu Hölderlin
Dichtung (Delucidazioni sulla poesia di Hölderlin), 2a ed. accr., Frankfurt 1951, p. 82. Lo scritto
era stato pubblicato una prima volta in Hölderlin. Gedenkschriften zu seinem 100. Todestag cit., pp.
267-324.
232. Ibid. p. 92.
233. Ibid. p. 137.
234. Ibid. pp. 131 sg.
233. Ibid. p. 83.
236. Ibid. p. 84.
237. Pöggeler, Philosophie und Politik cit., p. 110.
238. Ibid. p. 95.
239. M. Heidegger, Heimkunft. An die Verwandten (Ritorno alla terra natia. Ai congiunti), in Id.,
Erläuterungen cit., pp. 13 sg.
240. Ibid. pp. 16 sg.
241. Ibid, pp. 22 sg.
242. Ibid. pp. 24 sg.
243. Ibid., p. 26.
244. Ibid. p. 27.
245. Ibid. pp. 28 sg.
246. H. Ott, Martin Heidegger und die Universität Freiburg nach 1945 (Martin Heidegger
e l’Università di Friburgo dopo il 1945), in «Historisches Jahrbuch der Görres-Gesellschaft»,
I (1985), p. 98.
247. Ibid., p. 99.
248. Ibid., p. 100.
249. Ibid., p. 102.
250. Ibid., p. 106.
251. Cfr. parte del rapporto in K. A. Moehling, Martin Heidegger and the Nazy Party:
An Examination, Northern Illinois University Press 1972, nota 10.
252. Ott, Martin Heidegger und die Universität Freiburg nach 1945 cit., pp. 107 sg.
253. Ibid., p. 113.
254. Ibid.
233. Ibid.
256. Ibid., pp. 116 sg.
257. Archivi dell’Università di Tubinga, sign. 41-47.
258. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 42.
259. Lettera del 6 febbraio 1983.
260. Ibid.
261. Lettera del 20 febbraio 1983.
262. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 128.
263. G. Picht, Die Macht des Denkens (La forza del pensiero), in Autori vari, Erinnerungen an
Martin Heidegger (Ricordi su Martin Heidegger), Pfullingen 1977, pp. 204 sg.
264. Bundesarchiv Koblenz, Nachlass Stadelmann.
263. Ibid.
266. Ibid.
267. Jaspers, Notizen cit., pp. 288 sg.
268. Cit. in A. Fischer-Barnicol, Spielungen - Vermittlungen (Interpretazioni-mediazioni),
in Autori vari, Erinnerungen an Martin Heidegger cit., pp. 93 sg.
269. Archivio dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco, Sekt. HA-Wissenschaft.
270. Lettera del dottor Erxleben a Brachmann del 9 febbraio 1942.
271. O. Pöggeler, Den Führer führen? Heidegger und kein Ende (Guidare il Führer? Heidegger e
nessuna fine), in «Philosophische Rundschau», XXXII (1983), p. 39.
272. Jaspers, Notizen cit., pp. 18, 218.
273. Cit. in W. Schirmacher, Technik und Gelassenheit, Freiburg 1983.
274. Cfr. «Pflasterstrand», (1983).
273. M. Heidegger, Zur Sache des Denkens (Sulla cosa del pensiero), Tübingen 1969, pp. 72-80.
276. M. Heidegger, Über Abraham a Sancta Clara. Gesprochen beim Messkircher
Schultreffen am 2. Mai 1964, Messkirch 1964, p. 3.
277. Ibid, p. 5.
278. Ibid.
279. Ibid.
280. Ibid., p. 7.
281. Ìbid., p. 8.
282. Ibid., p. 9.
283. Ibid.
284. Ibid.
285. Ibid., p. 11.
286. Ibid., p. 14.
287. Ibid.
288. Ibid., p. 15.
289. Loidl, Menschen im Barock (Uomini dell’età barocca), Wien 1938, pp. 292 sg.
290. F. Loidl, Abraham a Sancta Clara und das Judentum (Abraham a Sancta Clara e l’ebraismo),
Wien 1941, p. 7.
291. Ibid., p. 10.
292. Cfr. F. Loidl, Menschen im Barock cit., p. 257.
293. Loidl, Abraham a Sancta Clara cit., pp. 13 sg.
294. Ibid., p. 13.
295. Ibid., pp. 16 sg.
296. Ibid., p. 17.
297. Ibid., pp. 18 sg.
298. Ibid., p. 19.
299. Ibid., p. 26.
300. «Theologisch-praktische Quartalschrift», (1941), 4, p. 341.
301. F. Loidl, Aspekte und Kontakte eines Kirchenhistorikers. Kirche und Welt in ihrer Begegnung
(Aspetti e contatti di uno storico della Chiesa. La Chiesa e il mondo nel loro incontro), Wien 1976,
p. 20.
302. J. Nadler, Westmark und Ostmark. Grenzen, Fugen, Klammern (Marca occidentale e marca
orientale. Frontiere, giunture, vincoli), in «Reichstrasse 31, von der Ostmark zum Oberrhein: Natur,
Volk, Kunst», a cura di F. Kerber, (Stuttgart 1939), pp. 139-46.
303. Ibid., p. 144.
304. Ibid., p. 146.
305. Ibid., p. 131.
306. A. Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, München 1932, pp. 3-5, 50, 80, 88
sgg. [trad. it. Il mito del XX secolo, Genova 1981].
307. Abraham a Sancta Clara, Judas I, p. 304, in Loidl Menschen im Barock cit;, p. 237.
308. Archivio dell’Accademia delle scienze austriaca, Vienna.
309. Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung cit., p. 114.
310. H. von Srbik, Humanismus bis zur Gegenwart (L’umanismo fino a oggi), München-Salzburg
1931.
311. Ibid., pp. 338 sgg.
312. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 146.
313. Ibid., pp. 148 sgg.
314. Ibid.
315. Ibid.
316. Ibid., p. 151.
317. R. Martin, Heideggers Heimat. Eine philosophische Herausforderung (La patria di
Heidegger. Una sfida filosofica), in U. Guzzoni (a cura di), Nachdenken über Heidegger. Eine
Bestandsaufnahme (Riflessioni su Heidegger. Un inventario), Stuttgart 1979.
318. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 131.
319. Ibid., p. 132.
320. Ibid. p. 146.
321. Ibid. p. 135.
322. Ibid. p. 136.
Indice dei nomi
Abraham a Sancta Clara, 4, 19, 29-46, 49 sg., 62, 134, 249, 308-19, 322
Achelis, 160, 223, 227
Adam U. D., 200
Adorno Th. W., 63
Agostino, santo, 54 sg., 223, 306
Alfieri D. O., 287, 292
Allegeier A., 301
Andreas W., 89, 102, 146-48
Antoni C, 249
Bertsche K., 36 sg., 39 sg., 46, 49 sg., 312 sg., 313-19
Bieberstein, von, 203
Bilz J., 91
Binder J., 227
Bismarck O., von, 16, 26, 137, 233
Bleyer J., 72
Bloch M., 199
Blum H., 71
Bockmann P., 296
Arendt H., 78
Aristotele, 52, 55, 59, 62
Arnim, 223
August Wilhelm, principe di Prussia, 94
Bach J. S., 311
Back M., 131 Bahrdt, 172
Böhm W., 295
Bollinger H., 303 sg.
Bollnow O. F., 237
Bornkmann H., 112
Bottai G., 282 sg., 288-92
Bousinius A., 314
Brachmann W., 287, 292 sg.
Brahms J., 102
Bebel A., 61
Becker O., 162, 276
Below G., von, 26 sg., 50, 72, 318
Bender, 90 sg.
Bergson H., 273
Berl H., 70-73
Bernstein E., 25
Bultmann R., 306
Bultmann-Lemke A., 306
Bumke, 157 sg.
Burte H., 72
Buttmann R., 231
Cantimori D., 249
Eckert A., 94
Eckhardt, 247
Ehrt A., 251
Schleicher, 157
Schlink, 157
Schmidt E., 74, 162, 166, 172
Schmitt C, 144, 210, 230, 249, 276
Schneeberger G., 3 sg., 69, 167, 174, 236
Schneider A., 48
Schneider E., 33
Schoeppe W., 233
Rehn E., 92 Rein A., 112, 162
Reinhardt K., 285
Reinkens J. H., 15
Rickert H., 27, 48, 51, 33, 182
Riedel H., 90,131
Rintelen, von, 172
Risse O., 92
Ritter G., 83, 90,171 sg., 204, 301
Rohm E., 3, 86, 104, 182, 183, 191, 196, 200, 202, 244, 264
Scholl H., 178, 303
Scholl S., 178, 303
Scholz H., 302
Scholz-Klink G., 240
Schönfeld, 302
Schopenhauer A., 267
Schubert F. P., 303
Schuchardt, 293
Schultz, 180
Schulze, 139
Schumacher, 303 sg.
Rosenberg A., 5-8, 104, 108, 112, 148, 162, 174, 181, 211 sg., 216, 223, 227 sg., 231 sg., 246, 249,
252-54, 265, 268, 273, 280, 285-87 293. 306, 317
Rothacker E., 112, 162, 177, 227, 273
Rudolf W., 212
Ruge A., 236
Rumm A., 71
Rust B., 160, 173,180,189, 200, 212, 249, 276
Schwab, 245
Schwalm, 225, 227
Schwan A., 256
Schwerin, von, 203
Seifert F., 273
Sievers W., 283 Soergel, 92
Sofocle, 300
Solger, 157
Sombart W., 74, 210