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Il libro che ha acceso nella cultura europea una discussione carica di ardue e

inquietanti implicazioni di carattere generale.


Pubblicato nell’ottobre del 1987, questo libro ha immediatamente suscitato vivacissime discussioni
anche in Italia, oltre che in Francia e in Germania. Il punto focale della polemica può essere
indicato nella domanda: si può distinguere nettamente tra la scelta politica e morale di un filosofo e
il significato della sua opera? Che Heidegger, uno dei massimi filosofi del secolo, avesse aderito al
nazismo era cosa nota, ma fino a questo libro non aveva comportato conseguenze di
rilievo sull’interpretazione del suo pensiero. Il libro di Farias, fondato sullo studio minuzioso dì
tutte le fonti accessibili, intende dimostrare che quell’adesione non fu soltanto un fatto privato, un
gesto passionale o opportunistico momentaneo, ma l’espressione pubblica di convinzioni che il
filosofo conservò per tutta la vita. Se Heidegger ruppe con la politica universitaria ufficiale del
regime, fu perché la frazione di Rohm e delle S.A., nelle quali egli vedeva «la verità e la grandezza»
del nazionalsocialismo, venne eliminata da Hitler. Da quella frazione Heidegger si attendava un
rovesciamento radicale dell’università.
Se Heidegger non divenne il filosofo ufficiale del regime, fu perché era troppo radicalo nel suo
nazismo. Del resto il suo comportamento coi colleghi, il suo rifiuto„ fino alla morte, di condannare
i crimini del nazismo e di giustificare la propria posizione, sembrano altrettante conferme della
profondità anche culturale delle sue convinzioni, le cui radici autoritarie, ultranazionalistiche e
antisémite Farias rintraccia in scritti anteriori (1910) e posteriori (1964) alla vicenda nazista.
Victor Farias, nato nel 1940 a Santiago del Cile, è docente di filosofia alla Libera Università di
Berlino. E' stato allievo di Heidegger e ha partecipato, tra l’altro, al seminario privato su Eraclito
tenuto da Heidegger nel 1967.
In copertina, una fotografia di Martin Heidegger durante il periodo nazista.
Victor Farias

Heidegger e il nazismo
Bollati Boringhieri

Prima edizione maggio 1988


© 1988 Bollati Boringhieri editore s.p.a., Torino, corso Vittorio Emanuele 86
Tutti i diritti riservati
Stampato in Italia dalla Tecno Grafica di Grugliasco (To)
CL 61-8974-1 ISBN 88-339-0421-0
Titolo originale Heidegger et le Nazisme
© 1987 Editions Verdier, Parigi
Traduzione dal francese e dallo spagnolo di Mario Marchetti
Traduzione dal tedesco di Paolo Amari. Ha collaborato Enzo Grillo, che si ringrazia
L’edizione italiana è stata riveduta, corretta e accresciuta dall’autore
Progetto grafico di Pierluigi Cerri
Indice
Prefazione
Introduzione
PARTE PRIMA Dagli anni della giovinezza al rettorato (1899-1933)
1    Messkirch. Le origini. Il problema religioso
2    II noviziato gesuita. Il seminario di Friburgo
3    Abraham a Sancta Clara. Il primo scritto di Martin Heidegger
4    Da Friburgo a Marburgo
Gli studi all’Università di Friburgo La prima guerra mondiale Martin Heidegger professore di
filosofia cattolica. La crisi del modernismo e la rottura con la Chiesa Husserl a Friburgo
5    Marburgo. Essere e tempo
6    Ritorno a Friburgo e tentazione berlinese
PARTE SECONDA II rettorato (1933-1934)
1    Heidegger rettore a Friburgo (1933)
Il movimento studentesco tedesco e il suo ruolo d’avanguardia La presa del potere nel Baden.
Friburgo Heidegger rettore dell’Universita di Friburgo Il discorso in omaggio di Albert Leo
Schlageter
2    II Discorso del rettorato
3    L’attività di Martin Heidegger rettore
Un caso di denuncia politica Studenti e lavoratori La lezione su «La questione fondamentale della
filosofia» del semestre estivo 1933
4    Heidegger e la politica universitaria del Terzo Reich
Le conferenze a Heidelberg e Kiel. Heidegger e le associazioni corporative dei professori
universitari Una conferenza di Heidegger sull’università nello Stato nazionalsocialista Heidegger,
Krieck e la creazione della KADH
5    L’appoggio a Hitler. Il conflitto con Krieck
La Manifestazione della scienza tedesca in appoggio a Hitler Heidegger chiamato alle Università di
Berlino e di Monaco Gli attacchi di Ernst Krieck e della sua frazione
6    La città e la campagna. Il ritorno alla patria come tema politico
7    La fine del rettorato
PARTE TERZA Dopo il rettorato (dal 1934 all’intervista postuma)
1    L’Accademia dei professori del Reich
La dichiarazione dell’agosto 1934 Heidegger e l’Accademia dei professori del Reich Heidegger e
l’Accademia per il diritto tedesco Heidegger e l’Istituto superiore tedesco per la politica Heidegger
delatore
2    Heidegger e gli apparati ideologici di Stato
La cattedra di Gottinga Uno scritto di Elfriede Heidegger-Petri L’atteggiamento del regime verso
Martin Heidegger attorno al 1936 «L’origine dell’opera d’arte» e «Le vie del dialogo» Le lezioni
sulla filosofia di Nietzsche I congressi di filosofia di Praga (1934) e di Parigi (1937)
3    Heidegger e gli apparati ideologici di Stato. Roma e Berlino
Heidegger a Praga (1940) e a Monaco (1941) Heidegger e il Duce Hölderlin La fine della guerra e
l’esordio del polemos
4    II ritorno ad Abraham a Sancta Clara
L’intervista postuma
Note
Indice dei nomi

Prefazione
L’idea fondamentale che ispira questa prefazione non è nuova. I lettori vedranno che nel libro ho
espresso la mia ammirazione per il giudizio di Benedetto Croce su Heidegger e il suo scritto
fondamentale dell’epoca, il Discorso del rettorato. Senza avere accesso ad alcuna documentazione
particolare, senza aver fatto l’esperienza dei successivi sviluppi del fascismo tedesco in tutto il loro
orrore, Croce vide nel 1933 il nucleo più profondo del discorso filosofico nazista di Heidegger,
l’esplicita intenzionalità del suo contenuto e la prassi politica che tale discorso di per sé esigeva.
L’aspetto inquietante e tragico della situazione di allora consiste nel fatto che pochi seppero e
vollero vedere quel che vide Croce e ancor meno furono coloro i quali lo espressero con la sua
decisione e certezza.
Benché l’accoglienza riservata al mio libro in Italia sia stata nel complesso positiva, credo mio
dovere richiamare l’attenzione su alcune opinioni e correnti di pensiero che mi sembrano
preoccupanti. In effetti è allarmante che, dopo quel che è successo con Heidegger, la Germania
nazista e le sue vittime, sorgano voci che cercano di scusare nel suo compromesso nazista un
filosofo che mai si è discolpato né ha provato il minimo interesse a farlo. Più ancora, in Italia, e non
solo qui, si presentano filosofi che, in un modo o nell’altro, ci fanno pensare alle pericolose
ambiguità di un pensiero che eviti di fare i conti con la storia. Filosofi che, posti di fronte al fatto
che l’orrore è iscritto nel cuore stesso della filosofia di Heidegger, non hanno altra risposta che
parlare frivolamente di «abissi affascinanti» (Derrida) o di un «pensiero debole» che conosce
soltanto un gioco tanto irresponsabile quanto incoerente.
Ricordare ancora una volta quel che vide Croce in Heidegger è importante. Anzitutto perché sia i
critici sia gli estimatori del mio libro ne hanno ignorato sistematicamente il giudizio. Solo un
giornale, «La stampa», ha fatto allusione a Croce nel titolo di un articolo di Jacques Nobécourt,
riproducendo la sua protesta: Heidegger è indecente e servile! Questo giudizio si basava, nella
«Critica», su due elementi: 1) per Heidegger la filosofia, cioè un’attività essenziale dell’essere
umano in quanto tale, è solo un affare tedesco, a vantaggio del popolo tedesco; 2) lo «storicismo»
su cui si basa il suo discorso è rozzo nella sua affermazione etnocentrica e razzista e può realizzarsi
soltanto come esercizio di una legge della giungla adatta solo a «lupi e volpi, leoni e sciacalli».
L’unico attore che resta assente è ciò che rende l’uomo tale: la sua umanità.
Il giudizio di Croce, altrettanto preciso che brillante, è molto severo. Ci offre, tuttavia, lo spunto per
delimitare l’ambito della riflessione sul tema. In effetti, ignorare quel che ha detto Croce è qualcosa
di molto più grave che squalificare un singolo esponente della filosofia italiana; e lo è in quanto il
punto di riferimento ultimo del suo giudizio è un dato d’importanza primordiale. Accettare
come feconda e suggestiva una filosofia che sorge dalla discriminazione tra gli esseri umani, che
non può né vuole vivere senza l’affermazione della superiorità essenziale del popolo dal quale è
uscita, equivale innanzitutto a un controsenso. Più ancora, che siano proprio gli «heideggeriani»
stranieri a sollevarsi con più furia in difesa di un maestro che visse convinto dell’inferiorità
essenziale di tali discepoli, risulta senz’altro grottesco. Ma questa è solo una parte della
responsabilità dei custodi del Gral. La cosa veramente grave è il fatto che, dietro la difesa di una
filosofia discriminatoria, c’è l’attacco -implicito o esplicito - alla prima condizione di possibilità di
quel che è l’essere umano, un attacco che assomiglia molto al comportamento dei «bambini cattivi»,
a parte che in questo caso l’orizzonte non è precisamente quello del gioco. Tutte le critiche al mio
libro partono da una convinzione comune: bisogna separare l’uomo e l’opera. Paradossalmente,
però, nel tentativo di farlo, alcuni dei critici sono giunti a riaffermare proprio i princìpi che
orientarono la prassi di Heidegger e non solo il suo pensiero. In effetti, è l’inumanità in atto che
parla nelle affermazioni di Emanuele Severino: «Ma se la nostra cultura ritiene che il concetto di
verità è un mito, allora diventa un mito anche il concetto di errore. L’errore politico viene a
equivalere al modo di pensare e di agire del vinto. Il genocidio è errore politico ed etico perché sulla
terra è vincente il tipo di società che lo rifiuta. Se si prescinde dal vero “pratico” che ha questo tipo
vincente di società, non esiste una ragione teorica, cioè concettuale, capace di dimostrare che la
distruzione dell’uomo è un errore. » E ancora: «La condanna della violenza si fonda da ultimo sul
fatto che la violenza condannata è la violenza perdente...» («Panorama», 8 novembre 1987).
Davvero, quando dopo il 1945 i figli degli ebrei, zingari, cristiani, comunisti e socialdemocratici
massacrati industrialmente nei campi di sterminio condannarono i loro assassini, stavano facendo
uso della violenza dei vincitori? Erano proprio «vincitori», ed erano i «vinti» che ne subivano le
conseguenze? Forse che per Severino la protesta dell’oppresso è l’espressione della sua superiorità?
Un filo, non invisibile, unisce il giudizio di Severino con i documenti che recentemente hanno
mostrato il vero volto di Jean Beaufret, l’ambasciatore di Heidegger in Francia, rivelando la sua
convinzione dell’inesistenza dei campi di sterminio. Anche per Severino questa mostruosità si può
far sparire con una formula magica che consiste nel trasformare la verità in un «mito». Nel Mito del
XX secolo, per esempio! Così, la scelta di Severino non è quella di un pensiero debole, bensì quella
di un ideologo militante: «Per un individuo non ha senso mettersi contro il proprio tempo. Ha
un senso, dunque, l’inverso: mettersi in una realtà che incarna il percorso della storia. Il contrario
sarebbe velleitario, illusorio» (ibid.). Nel tentativo di giustificare questa opinione, Severino fa
appello a Hegel, ma in realtà si ritrova pericolosamente vicino a Hitler. In effetti che «senso» poteva
avere allora la «storia» per un ebreo o per un abissino, e qual era l’orizzonte del suo «mettersi»? O
forse Severino negherebbe all’ebreo o all’abissino il carattere essenziale dell’essere umano, cioè il
«mettersi» con «senso» nella «storia»?
Non tutte le voci critiche sono a questo livello. Tuttavia, diversamente orientati, alcuni giudizi
portano a conclusioni analoghe. Quando Gianni Vattimo vuol far valere che «la storicità di
un’opera di pensiero è fatta anche e soprattutto degli effetti interpretativi che suscita, degli sviluppi
a cui dà luogo» («La Stampa», 21 novembre 1987) non solo sta argomentando a partire da uno
storicismo come quello che attaccava Croce, ma anche e soprattutto si allontana dal tema della
discussione: il carattere fondamentale della filosofia di Heidegger. Certamente nessuno potrebbe
trasformare Heidegger in un «filosofo nazista» qualsiasi al livello di Rosenberg o Krieck.
Ma neppure nessuno può mettere in discussione che la sua filosofia non è pensabile (prima di tutto
da lui stesso) senza l’affermazione fondamentale che soltanto il popolo tedesco, la sua lingua e il
suo spirito si trovano nella condizione ontologica e storica di porre e risolvere la questione
dell’essere. Nessuno può disconoscere la sua convinzione che il passaggio dell’eredità greca ai
romani fu «un evento che ancora oggi ci impedisce un sufficiente ripensamento delle parole-base
del pensiero greco» (Intervista con lo «Spiegel», p. 151). Fu nel 1943, in piena guerra mondiale,
nella lezione su Eraclito, che Heidegger ripetè agli allievi la propria convinzione fanatica: «Il
pianeta è in fiamme. La natura dell’uomo è scardinata. Il senso della storia universale può venire
solo dai tedeschi, posto che essi trovino e serbino ciò che è tedesco.» «La vera massima prova dei
tedeschi deve ancora venire», resta da sapere «se sono in accordo con la verità dell’Essere, se al di
là della disponibilità alla morte sono abbastanza forti per salvare contro la meschinità del mondo
moderno il primordiale nel suo spoglio ornamento». Nella seconda parte di questa lezione, tenuta
nel 1944, Heidegger chiamò i tedeschi «salvatori dell’Occidente», e questo «per ora e per molto
tempo presumibilmente da soli».
I miei critici vogliono anche vedere la grandezza di Heidegger nella sua riflessione sulla tecnica,
nella denuncia dei suoi pericoli. Ma anche in questo caso modificano il pensiero del maestro,
che invece fu sempre chiaro e conseguente. Nel corso su Nietzsche del 1940, quando iniziava le
lezioni col saluto nazista, Heidegger disse agli studenti che in Germania stava nascendo «una nuova
umanità, corrispondente in sostanza alla singolare essenza della tecnica moderna».
Gravi sono anche le conseguenze suggerite dalla critica di Diego Marconi, che parte dallo stesso
principio («il nazismo dell’uomo Heidegger non compromette il suo pensiero») e giunge ad
affermare: «Se un grande filosofo è stato, non superficialmente, nazista, questo rischia di significare
che il nazismo è stato, da un punto di vista culturale (!), un fenomeno di maggior spessore di quanto
appaia dai roghi di libri di Goebbels o dai deliri razzisti di Rosenberg» («L’indice», gennaio 1988).
Si rivede all’opera qui la stessa dialettica che sta dietro l’argomentazione di Severino: Heidegger è
creatore di diritto: per il solo fatto di essere grande, il suo pensiero trasforma tutto quel che finora
sapevamo del primitivismo nazista. La questione centrale non viene mai posta: non sarà proprio nel
cuore di questa filosofia che risiede il primitivismo denunciato da Croce?
Anche Alfredo Marini cerca di giustificare l’«errore» di Heidegger e lo fa con una descrizione
storica allucinante: «I tempi non erano quelli in cui chi fosse impegnato moralmente, politicamente
potesse pensare in termini retorici. Erano tempi veramente di decisioni drammatiche, soprattutto
dato lo stato di corruzione degli strumenti stessi dell’attività e dell’orientamento politico e morale:
una situazione di “emergenza” diremmo oggi» («Alfabeta», dicembre 1987). Hitler come salvezza
di fronte al caos! La democrazia di Weimar come periodo in cui la ragione diventa retorica! Marini
giunge così a descrivere il «rinnovamento» dell’università come un «luogo comune» di tutta la
Germania di Weimar, senza distinguere in assoluto le scelte e occultando il fatto della brutalità
terroristica delle bande SA nelle università per «rivoluzionarle». Per lui è tutta questione di «ottica»,
e persino il fatto di esigere da Heidegger una dichiarazione autocritica, come fecero tra gli altri
Jaspers, Bultmann e Celan, per esempio, è per Marini un «atteggiamento sentimentale» di fronte al
problema. Più ancora, per lui l’adesione di Heidegger al nazismo sarebbe stata un «assumersi il
massimo della responsabilità», cioè, testualmente, ciò che Hitler stesso intende come base del
Führerprinzip! Tutti i fatti denunciati possono soltanto, per Marini, «scandalizzare l’uomo della
strada».
Ma nemmeno in questo caso i difensori sanno che cosa difendono. Quando nella sua conferenza di
Brema del 1949 Heidegger diceva che «in essenza» la «fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas
e nei campi di sterminio» era la stessa cosa che «l’agricoltura» come «industria motorizzata della
nutrizione», non si stava rifiutando di esercitare una autocritica serbando un cocciuto silenzio.
Stava banalizzando in modo provocatorio e sinistro, mostrando chiaramente che la sua filosofia non
è in grado di tematizzare tutto un campo del reale che si riferisce all’etica, a un’etica che non sia
quella dei «signori».
Umberto Galimberti distingue, mistificando, tra l'«effettuale» e
l'« enigmatica idea di verità che Heidegger, dall'inizio alla fine, propone come uno dei fondamenti
del proprio pensiero» («Alfabeta» cit.). Risultato: la condanna che Heidegger fa della libertà
nell’Università di Weimar, condanna che ne implicava l’assoggettamento alle bande delle SA, non
era altro che «un’altra idea di libertà», peraltro mai definita né da Heidegger né da Galimberti.
Croce giudicò Heidegger indecente e servile. Come giudicherebbe quanti oggi, dopo Auschwitz,
vogliono giustificarlo? Non è più tempo di ripetizioni, e non è stato ancora trovato il termine che
qualificherebbe questi atteggiamenti. Dietro lo heideggerismo agisce un disinteresse per ciò che è
umano nell’uomo che, senza darlo a vedere, aggredisce giocando. Cercando di separare il pensiero
di Heidegger dalla storia, e dalla storia così come egli la intese, i suoi «difensori» lo stanno
falsificando in quello che è il suo momento essenziale. È comprensibile: Heidegger, e non solo lui, è
diventato un giocattolo da montare e smontare - decostruire - e nessuno vuol perdere i propri
giocattoli. Sarebbe terribile il destino di questo «pensiero» se l’«uomo che sogna di un uomo che
sogna che sogna di un uomo che sogna...» (Borges) si svegliasse.
Victor Farias
Marzo 1988
Heidegger e il nazismo
A Teresa Zurita

Introduzione
Al fine di studiare il rapporto tra un pensatore e un sistema politico, si è, per forza di cose, condotti
a oltrepassare l’ambito di una mera analisi di concetti e di nozioni astratti. Le dottrine filosofiche e
politiche, in quanto tali, rinviano non soltanto all’orizzonte entro cui esse si presentano, ma anche
alla prassi politica di chi se ne fa portatore. Pertanto il lavoro di interpretazione
richiede necessariamente tre livelli d’analisi: lo scenario storico obiettivo, la concreta attività del
pensatore che compie una certa opzione politica e il significato teoretico delle idee che egli formula.
Tale significato non è certamente deducibile in maniera meccanica da un dato contesto fattuale, ma
non lo si potrebbe neanche comprendere pienamente senza considerare il contesto in cui quelle idee
si sono originate e senza esaminare l’azione che esse hanno contribuito a orientare.
Nel 1962 Guido Schneeberger diede alle stampe una raccolta di testi, ignoti fino allora, che
mettevano in evidenza la totale e incondizionata adesione di Martin Heidegger al
nazionalsocialismo negli anni 1933-34.1 A questa pubblicazione, appunto, risale l’inizio effettivo
della riflessione sul nostro tema. Sarebbe stato, però, opportuno, e con sollecitudine, mettere questa
documentazione a raffronto sia con il quadro storico sia con la condotta politica del filosofo; invece
l’approccio al problema, in tutti gli studi comparsi successivamente, si mantenne in una sfera
estremamente rarefatta. Alle testimonianze addotte da Schneeberger, edite qualche anno dopo
l’uscita dei saggi di Karl Lowith e di György Lukàcs,2 fece seguito una serie di lavori che, tutti,
però, trascuravano completamente di delu-
cidare la questione attraverso la valutazione del materiale portato alla luce, sia nel caso che
intendessero sottolineare i legami di Heidegger col nazionalsocialismo,3 sia che cercassero di
negarli.4
Dopo più anni di ricerche sistematiche, offriamo un primo risultato; esso dovrà, per certi aspetti,
essere integrato, poiché importanti fonti non sono ancora accessibili.5 Fin dall’inizio della nostra
riflessione sui testi riesumati da Schneeberger, ci convincemmo di come non fosse possibile
pervenire a risultati di una certa solidità, senza prendere in esame anche gli antecedenti da cui
derivava storicamente l’adesione di Martin Heidegger al nazionalsocialismo, e, per altro verso,
senza contemplare l’impegno politico di questi alla luce della sua successiva evoluzione politica e
filosofica.
La nostra tesi centrale è questa: allorché Martin Heidegger decise di affiliarsi alla NSDAP
(National-Sozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito nazionalsocialista), aveva già percorso un
lungo cammino preparatorio, di cui occorre cercare l’origine nel movimento cristiano-sociale
austriaco, di tendenze conservatrici e antisémite, e nei modelli culturali cui si trovò di fronte nella
regione in cui nacque e si avviò agli studi (Messkirch, Costanza). Analizzando le circostanze
storiche e gli scritti giovanili di Heidegger - in particolare il suo primo breve articolo, dedicato, nel
1910, al predicatore agostiniano Abraham a Sancta Clara - possiamo vedere progressivamente
snodarsi un pensiero intimamente nutrito di una tradizione autoritaria, antisemita, ultranazionalista,
che, accompagnandosi a un populismo esasperato e a forti venature religiose, finiva col sacralizzare
la patria intesa nel senso più localistico. Sotto il profilo teoretico, questo sviluppo confluirà nelle
speculazioni di Sein und Zeit (Essere e tempo, 1927) - sulla storicità, sull’essere-in-comunità
autentico in rapporto al popolo, all’eroe, alla lotta (§ 74) - e nel rigetto heideggeriano delle forme
democratiche della vita sociale, rigetto ispirato alle concezioni di Yorck von Wartenburg e di
Dilthey (§ 77).
L’adesione di Martin Heidegger alla NSDAP non era quindi in alcun modo il risultato di un
estemporaneo opportunismo o di considerazioni tattiche. Ciò emerge con chiarezza dal fatto che
Heidegger si mosse in consonanza col movimento nazionalsocialista ben prima di pervenire al
rettorato dell’Università di Friburgo, prima ancora, quindi, della sua attività politica effettiva in
qualità di rettore e di militante.
Sia le iniziative di Heidegger in favore di una riforma universitaria nazionalsocialista che i suoi
scritti dell’epoca rivelano come egli fosse politicamente attivo all’interno di una corrente del Partito
che, negli anni 1933-34, mirava a divenire egemonica. In quegli anni, quando ancora la linea
politica complessiva del nazismo era oggetto di violenti scontri tra gruppi, Martin Heidegger optò
per la linea rappresentata da Ernst Rohm e dalle sue SA, cercando di dare con il proprio pensiero
una struttura filosofica a tale variante del nazionalsocialismo, in aperta opposizione alla tendenza
biologistica e razzista di Alfred Rosenberg ed Ernst Krieck. Questo contrasto si tradusse in una
violenta lotta personale per la direzione ideologica del movimento nazista.
Nel giugno del 1934 Hitler e la frazione di destra eliminarono Rohm, ponendo così fine a un
progetto le cui richieste massimalistiche avevano rischiato di provocare un intervento militare
appoggiato dal grande capitale industriale e finanziario. L’epurazione ebbe come conseguenza il
crollo di tutto quell’apparato intellettuale e politico che aveva fino allora sostenuto l’azione politica
di Heidegger (segnatamente gli organismi dirigenti del movimento studentesco nazista), e una
frattura tra lo stesso Heidegger, ormai isolato, e la politica ufficiale del Partito.
In tale temperie germina la convinzione del filosofo secondo cui, a partire dal giugno 1934, i nazisti
avrebbero tradito quella verità che era originariamente propria del loro movimento. Agli occhi
di Martin Heidegger sono stati i dirigenti nazionalsocialisti giunti alle posizioni di potere, e non lui,
ad aver abbandonato le autentiche idee naziste. Il regime, da parte sua, gli riservò una vigile
attenzione fino all’ultimo, e anche lo combattè come elemento frazionista, ma non considerandolo
mai un irriducibile avversario.
Martin Heidegger non spezzò mai i legami che lo tenevano organicamente unito al Partito
nazionalsocialista. I documenti conservati negli archivi della NSDAP6 testimoniano, tra l’altro, di
come egli sia restato tra i militanti effettivi e abbia continuato a pagare le quote d’iscrizione fino
alla fine della guerra, e di come non sia mai stato oggetto di censure né di processi politici di
qualsiasi sorta all’interno del partito.
Ed è proprio attraverso una ricognizione sul terreno del concreto operare politico di Heidegger che è
possibile ricostruire con la maggiore approssimazione possibile la trama che lo connetteva al
movimento nazionalsocialista e quale disposizione d’animo egli nutrisse rispetto ad esso. A questo
proposito abbiamo individuato, e indagato, alcuni agglomerati tematici che ci sono parsi cruciali.
Primo fra tutti, il ruolo svolto da Heidegger nel movimento che aveva per obiettivo la liquidazione
dell’Associazione dei professori universitari, onde fare spazio a un organismo, nell’impianto e
nelle finalità, rigorosamente militante. D’intesa, appunto, con i settori nazionalsocialisti più radicali,
Martin Heidegger richiese, con un telegramma indirizzato a Hitler, la totale neutralizzazione delle
università tedesche che, a suo avviso, non erano state ancora sufficientemente «rivoluzionate».
Un secondo gruppo di questioni, correlato al precedente, concerne l’impegno di Heidegger volto a
dar vita a una nuova organizzazione universitaria che, in un primo tempo non apertamente, avrebbe
poi dovuto sostituirsi alla vecchia Associazione, da lui giudicata inadeguata ad assumere le
responsabilità che l’era presente esigeva. A tale scopo egli collaborò con Ernst Krieck, molto prima
di rivestire l’ufficio di rettore, e cercò di cooptare in questa associazione parallela finanche degli
uomini di fiducia dell’Amt Wissenschaft (Ufficio per l’educazione intellettuale e filosofica del
Partito nazionalsocialista) diretto da Alfred Rosenberg.
Un terzo gruppo di questioni riguarda la via attraverso cui Heidegger pervenne al rettorato
dell’Università di Friburgo nonché, sulla base di taluni episodi illuminanti, il modo in cui egli
dovette esercitare le proprie funzioni.
La nostra analisi affronterà pure le connessioni tra Martin Heidegger e il movimento studentesco
nazionalsocialista: questo, controllato dalla corrente SA, costituiva un’avanguardia nazista su
posizioni affatto rivoluzionarie, e la condotta politica di Heidegger, anche nella sua dimensione più
generale, era intimamente, essenzialmente legata all’azione della base studentesca. Una sorta di
patto politico assai peculiare stringeva la guida spirituale a questa base «popolare» la cui
affermazione mirava a trasformare le strutture «anchilosate» dell’università tedesca tradizionale.
Un quinto insieme di problemi, di particolare rilievo, attiene alla nomina di Heidegger come
professore nelle due università più prestigiose del Reich: Berlino e Monaco. Certamente egli rifiutò
entrambe le cattedre: nondimeno l’esame degli iter di nomina è in grado di ben chiarire la natura dei
rapporti di Heidegger col regime, sia per gli anni 1933-34 che per il periodo successivo. Per questo
ci è sembrato significativo, a fini comparativi, riandare alle vicende di nomina anteriori all’avvento
del nazionalsocialismo: nel periodo weimariano Heidegger era stato designato all’insegnamento a
Marburgo, Friburgo, Gottinga e Berlino. I risultati della nostra indagine provano, senza ombra di
dubbio, come, nonostante le divergenze, il regime nazista e le sue espressioni ufficiali non abbiano
mai considerato Heidegger un autentico oppositore, e come, peraltro, egli stesso non si sia mai
comportato in tal modo.
Che l’armoniosa relazione tra Heidegger e il regime non si sia mai spezzata, lo dimostrano molte
delle sue attività posteriori alle dimissioni dal rettorato di Friburgo. Ci si riferisce, evidentemente,
alla sua dichiarazione, in occasione della morte di Hindenburg, in favore della concentrazione nella
persona di Hitler delle cariche di cancelliere e di capo dello Stato. Ma c’è anche l’episodio
dell’Accademia dei professori del Reich: non solo Heidegger fu pregato dal Ministero di elaborare
un progetto dettagliato, ma, come indicano i documenti che abbiamo potuto consultare, il Ministero
dell’Educazione prese finanche in seria considerazione la possibilità di affidargli la presidenza di
questa Accademia, concepita allo scopo di selezionare su basi politiche la nuova generazione di
professori universitari.
È altrettanto significativo che Martin Heidegger sia stato chiamato, insieme a Rosenberg e ad altri
gerarchi della NSDAP, per volontà del Reichsjustizkommissar (commissario del Reich alla
Giustizia) Hans Frank, a far parte della Commissione per la filosofia del diritto, importante
organismo emanazione dell’Accademia per il diritto tedesco, costituita e diretta dallo stesso Frank
con il compito di sviluppare il nuovo diritto germanico deputato a sostituire il diritto romano. Nel
medesimo periodo Heidegger tenne delle conversazioni nel più prestigioso istituto per gli studi
politici del regime, la Deutsche Hochschule für Politik di Berlino, alle cui iniziative collaboravano
pure personaggi come Rudolf Hess, Joseph Goebbels, Hermann Göring e Alfred Rosenberg;
Heidegger continuò a operare in tale ambito, prestando il proprio contributo di conferenziere, fino a
tutto il 1933.
Un ultimo insieme di problemi si connette alla produzione letteraria di Heidegger durante il
nazismo e alla ricezione che essa ebbe da parte del pubblico e, più in particolare, da parte del
regime. In questo spaccato rientra la perlustrazione della cornice politica entro la quale le sue opere
furono pubblicate, nonché l'accertamento della cronologia delle loro edizioni. Abbiamo, in tal
modo, potuto stabilire non solo come Die Selbstbehauptung der deutschen
Universität  (L'autoaffermazione dell'università tedesca: il Discorso del rettorato), del 1933, sia stato
riedito nel 1937, ma come il testo di Hölderlin und das Wesen der Dichtung (Hölderlin e l’essenza
della poesia), comparso sulla rivista «Das innere Reich», fosse il medesimo di una conferenza
pronunciata a Roma nel 1936, nel quadro della cooperazione culturale dei regimi tedesco e italiano,
promossa dall'Istituto germanico di Roma. E, ancora, la pubblicazione di Andenken (Rimembranza),
contributo di Heidegger per la celebrazione del centenario di Hölderlin (1943), fu resa possibile da
un sostegno ufficiale che mirava, al di là dell'edizione del volume miscellaneo contenente lo scritto
citato, a un'ingerenza di regime nella Società Hölderlin. Analogamente di tutto rilievo, ai fini del
nostro assunto, si palesa l'itinerario attraverso cui giunse alle stampe il saggio Platons Lehre von
der Wahrheit (Dottrina di Platone sulla verità), in una silloge curata annualmente da Ernesto Grassi.
Malgrado un veto iniziale dell'Amt Wissenschaft di Rosenberg, lo scritto di Heidegger potè vedere
la luce grazie a un intervento diretto di Mussolini presso Goebbels, nel 1943. Questa vicenda ci
mette in grado di valutare non solo di quali relazioni politiche ancora disponesse a
quell'epoca Heidegger, ma anche la consistenza dei contrasti, legati a una permanente lotta per
l’egemonia, che non cessarono di attraversare i centri di potere ufficiali.
Al vaglio di queste tematiche, l'operare politico e filosofico di Martin Heidegger appare in una luce
inedita, che ci permette di considerarne in maniera nuova le implicazioni complessive. Tutto ciò,
tuttavia, risulterebbe insufficiente, se non si contemplasse anche lo sviluppo politico-filosofico
successivo di Heidegger. Per quanto egli, dopo la «rottura» col movimento nazionalsocialista reale,
vedesse sicuramente le cose sotto una diversa e modificata angolatura, le nostre ricerche ci hanno
condotto a concludere che non si possa comprendere in maniera piena e autentica l'ulteriore
evoluzione di
Heidegger, senza tenere nel giusto conto la sua manifesta fedeltà a una matrice specificamente
nazionalsocialista, certo plasmata in una forma e in uno stile peculiarmente suoi. Confermano
questa tesi non solo il fatto che nel 1953 Heidegger si guarderà bene dal rinnegare la sua opinione
sulla «grandezza e verità interna» del movimento nazista, ma ancora il suo rifiuto, netto e reiterato,
di fare onorevole ammenda, considerando le mostruosità, a questo punto inequivocabilmente
documentate, dello hitlerismo. Se si esamina con attenzione l’intero ciclo che conduce dai corsi
dedicati alla filosofia di Nietzsche fino all’intervista concessa al settimanale «Der Spiegel»,
pubblicata dopo la sua morte, - nella quale si afferma, tra altre cose, che quando i francesi si
mettono a pensare, si vedono costretti a parlare tedesco - ne emerge senza ambiguità come Martin
Heidegger sia rimasto fedele a tutta una serie di assunti distintivi del nazionalsocialismo.
Una reale comprensione del suo pensiero risulta impossibile se si trascura questa fedeltà: la
certezza, intimamente discriminatoria, di una superiorità spirituale dei tedeschi, radicata nella loro
lingua e legata al loro destino; l’avvaloramento del suo proprio pensiero, continuatore e depositario
di quello di Hölderlin, come paradigma e guida per lo sviluppo spirituale dell’umanità;
l’opposizione determinata ad ogni forma di democrazia. Ben diversamente dalle diffuse posizioni
tendenti a minimizzare la rilevanza del nesso tra Martin Heidegger e il nazionalsocialismo, le nostre
ricerche ci inducono a pensare che, proprio attraverso questo legame, il pensiero di Heidegger trovò
come connettersi al passato suo e di tutta un’epoca, e che, sempre a partire da esso, si sia snodata,
nei tratti essenziali, l’ulteriore evoluzione di tale pensiero.7
Parte prima. Dagli anni della giovinezza al rettorato (1899-1933)

Capitolo 1. Messkirch. Le origini. Il problema religioso


Quando si voglia indagare sulla genesi del pensiero di un filosofo, di chiunque si tratti, non v’è
dubbio che l’ambiente in cui egli nacque e trascorse l’infanzia rappresenti un rilevante elemento di
analisi. Questo principio generale assume un peculiare valore nel caso di Martin Heidegger: il
rapporto con il luogo d’origine, con la patria, - con quanto per la lingua tedesca consuona nel
termine Heimat - costituisce appunto un tema centrale della sua riflessione, determinante per tutta la
sua attività filosofica. In relazione all’oggetto della nostra ricerca, questo criterio riveste
un’importanza ancora maggiore. Infatti il rapporto di Martin Heidegger col nazionalsocialismo è a
tal punto connesso con la questione della Heimat, che se ne potrebbe individuare il senso primario
nel modo in cui, agli occhi del filosofo, si coniugano patria tedesca e luogo d’origine.
Sulla città natale di Heidegger, Messkirch, non sono state effettuate ricerche storiche specificamente
approfondite. Eccettuati i lavori di Tumbült1 e la Zimmerische Chronik,2 merita di essere citato
soltanto lo studio di Paul Motz.3 Quest’ultimo, benché breve, si presenta per noi come
particolarmente interessante. Paul Motz, autore di molti lavori sulla parte della Germania
meridionale in cui si trova Messkirch, fu infatti condiscepolo di Heidegger al liceo di Costanza tra il
1903 e il 1906 e restò poi in stretto contatto con lui per tutta la vita. Egli aveva infatti preso
l’iniziativa di riunire periodicamente i suoi ex compagni, tra i quali Martin Heidegger.
La sua opera documenta come le origini di Messkirch siano molto remote. La regione era già abitata
nell’età del bronzo e le più antiche cronache fanno menzione, in modo esplicito e in più occasioni,
di vestigia romane come ponti e mura. Gli alamanni, che, a partire dal 260 d.C., conquistarono i
territori situati a nord di Costanza e del Reno, la popolarono e le diedero diverse denominazioni. Il
primo riferimento a Messkirch appare, però, soltanto nel 1080, nella cronaca della vita di san
Hemeraid redatta dal monaco Ekkebert del monastero di Hersfeld, originario di Messkirch. Il
toponimo Messkirch allude a un certo Masso che fondò una chiesa (Kirche),  molto probabilmente
nel secolo vii, epoca in cui il cristianesimo avanzava verso est. Diventata centro parrocchiale per i
vicini agglomerati, Messkirch ben presto figurò come città. Fin dall’inizio del secolo xiii ebbe rango
di forum e alcune delle cronache del 1261 la designano come civitas e oppidum. Furono
inizialmente signori di Messkirch i conti Rohrdorf, la cui residenza si trovava a nord della città. Nel
secolo xiii essi estesero il loro dominio fino al lago di Costanza, occupando Costanza e stabilendosi
sul Reno. In seguito all’estinzione di questa linea, Messkirch passò nelle mani dei Waldburg (fino al
1300), degli Zimmern (secolo xiv), degli Helfenstein (fino al 1627), dei Fürstenberg (fino al 1806),
per essere infine incorporata nella contea del Baden.
Come tutti i territori situati tra il lago di Costanza e il Danubio, Messkirch vide transitare molti
eserciti in guerra e ne patì duramente le conseguenze. Nel 1634 la città subì l’assalto del generale
svedese Horn, in lotta contro le truppe sveve. Attorno al 1800 francesi e austriaci si impadronirono a
turno di Messkirch. Oltre al castello signorile e agli edifici amministrativi, la città contava nel 1814
duecento case per 1176 abitanti; nel 1843 trecentonove case per 1696 abitanti. Essa deve il suo
successivo sviluppo alla costruzione, avvenuta nel 1870, di una linea ferroviaria che la collegava a
Radolfzell e Sigmaringen.
Martin Heidegger nacque nel 1889. L’ambiente degli anni della sua infanzia era essenzialmente
caratterizzato dal violento conflitto tra cattolici e vecchi cattolici (Altkatholiken). Il dogma
dell’infallibilità del papa, sancito dal concilio del 1870, scatenò nel mondo cattolico tedesco
un’aspra polemica. La maggioranza dell’episcopato, come anche il partito cattolico del Reichstag,
lo Zentrum, finì con l’accettarlo; ma un gruppo minoritario si raccolse nel 1871 in associazione a
Monaco dando vita al veterocattolicesimo (Altkatholizismus). Nel loro primo congresso i dissidenti
denunciarono il nuovo dogma come una cospirazione ultramontana fomentata dai gesuiti:
era la porta aperta a uno scisma. I vecchi cattolici ebbero ampio appoggio da parte del governo
centrale, di tendenza «illuminata» e anticattolica, che cercava di consolidare l’unità tedesca sotto il
bastone prussiano. Essi tennero nel 1872 un secondo congresso a conclusione del quale
rivendicarono, nei confronti del governo prussiano, il diritto di rappresentare l’unica Chiesa
cattolica ufficiale e sollecitarono l’autorizzazione per procedere a una riforma del culto
e dell’amministrazione ecclesiastica. Nel 1873 il veterocattolicesimo istituì una propria gerarchia,
fondata sul potere di vescovi eletti da un’assemblea a ciò deputata. Tra i vescovi designati da tale
assemblea, il personaggio di maggior spicco era il teologo Joseph H. Reinkens, confermato il
medesimo anno nella carica episcopale dal Ministero del Culto. Il terzo congresso, che si tenne a
Costanza sempre nel 1873, sfociò nella creazione di un ordine sinodale comunitario. Il sinodo del
1878 approvò, tra l’altro, l’abolizione del celibato obbligatorio per gli ecclesiastici. Nel 1901 i
parroci riconosciuti dallo Stato erano in numero di 16 in Prussia, di 21 in Baden, di 4 in Baviera e di
2 in Assia. Secondo un calcolo approssimativo, il veterocattolicesimo contava in questa data circa
cinquantamila fedeli. Messkirch dipendeva gerarchicamente da Costanza, dove Wessenberg
aveva saputo raccogliere attorno a sé un certo numero di adepti.4
L’unica ricerca dedicata alle lotte tra cattolici e vecchi cattolici a Messkirch è opera di Conrad
Gröber.5 Anche questo lavoro, come l’articolo di Paul Motz, al di là del suo valore informativo,
riveste un interesse documentario, essendo stato l’autore intimamente legato a Martin Heidegger.
Gröber, che divenne in seguito arcivescovo di Friburgo, aveva infatti curato l’insegnamento
religioso nel liceo di Costanza e inoltre aveva diretto il convitto San Corrado, di cui Heidegger fu
ospite negli anni trascorsi a Costanza. Per questa ragione, l’interpretazione fornita da Gröber di
questo conflitto religioso e dei suoi effetti a Messkirch, indipendentemente dal suo valore oggettivo,
ci offre la possibilità di raffigurarci la percezione che ne ebbe il giovane Heidegger. Gröber,
fondamentalmente, si pone nei confronti del veterocattolicesimo come tedesco del sud: egli vede
soprattutto in questa controversia il tentativo di distruggere tradizioni regionali intimamente legate
al cattolicesimo. Così egli accusa il veterocattolicesimo di essere un movimento radicalmente ostile
alla Chiesa e alla sua gerarchia, favorevole al liberalismo e ai
Lumi, assai vicino alla massonerìa, e tanto lontano da ogni base popolare da configurarsi come
elitario, più vicino all’aristocrazia che al popolo. Esso poteva trovare accoglimento soltanto in
ambienti privilegiati, intrinsecamente scettici.6 Con il sostegno di Bismarck e della Prussia, sarebbe
diventato lo strumento di una politica rivolta contro la provincia, la patria locale, e, parimenti,
contro il potere centrale della Chiesa cattolica romana.7 Gröber giunge fino a definire il movimento
dei vecchi cattolici come violento e aggressivo, stigmatizzando la tendenza dei suoi adepti alla
delinquenza. Ecco come spiega l’espansione dello scisma: la causa principale ne sarebbe
l’insufficiente impegno dei cattolici, la loro inadeguatezza nella pietà militante, la loro incapacità di
affrontare il nemico con un fermo orientamento politico, armati di una fede autenticamente
vissuta.8 Gröber ritorce l’accusa fatta dal governo prussiano, secondo cui i cattolici sarebbero stati il
«nemico interno», avverso all’unità nazionale e alla libertà di coscienza, determinati nell’obiettivo
della dissoluzione e della rovina del Reich: è al contrario il disgregarsi del cattolicesimo che gli pare
realmente attentare all’unità nazionale. Vale anche la pena di ben esaminare quale sia, per Gröber, la
prova decisiva della natura radicalmente negativa del veterocattolicesimo: i maneggi opportunistici
dei suoi accoliti l’avrebbero trascinato ad una spregevole alleanza con la socialdemocrazia, il «vero
nemico interno» del Reich.9
Vediamo così configurarsi un profilo ideologico in cui si combinano la valorizzazione della patria
locale, l’opposizione al razionalismo e al liberismo, un populismo tradizionalistico che vedeva nella
socialdemocrazia il «nemico interno» per eccellenza, un’adesione incondizionata, infine, alla
Chiesa cattolica romana e alla sua gerarchia. In questo tipo di atmosfera spirituale e politica era
immersa l’infanzia di Heidegger. Certo, attorno al 1890, il veterocattolicesimo stava vivendo a
Messkirch una fase di ripiegamento, di fronte a una virulenta controffensiva cattolica; tuttavia la
persecuzione anticattolica continuava a produrre i suoi frutti: «Sappiamo per amara esperienza quali
pene dovettero patire i ragazzi in questo periodo: i giovani cattolici più poveri si videro percossi,
sbeffeggiati, emarginati dai loro compagni vecchio-cattolici, più ricchi e privilegiati. »10
Martin Heidegger si trovò coinvolto in questa situazione di conflitto, giacché la sua famiglia era
cattolica e il padre sacrestano. E i sacrestani di Messkirch presero parte assai attiva alla lotta.
Vessati dalla polizia, essi si videro spesso costretti ad abbandonare le case parrocchiali;11 e solo
dopo un lungo periodo di disagi fu di nuovo loro possibile vivere in condizioni di normalità e di
stabilità. Un episodio illustra meglio di ogni altra cosa l’importanza che dovettero avere per il
giovanissimo Heidegger queste vicende che minacciavano alle fondamenta la sua vita materiale e
spirituale: durante un periodo di grave tensione un sacrestano, costretto a fuggire, affidò al piccolo
Martin, che aveva allora cinque anni, le chiavi della casa parrocchiale perché le consegnasse a suo
padre.
Martin Heidegger nacque da una famiglia povera: il padre, per migliorarne le condizioni, era
costretto a lavorare come artigiano e la madre era figlia di contadini della zona. Solo una borsa
accordata dai signori di Fürstenberg gli permise di intraprendere gli studi a Costanza. Il passaggio
dalla scuola di Messkirch al liceo di Costanza e al convitto San Corrado fu dovuto soprattutto
all’appoggio del curato cattolico Camillus Brandhuber,12 un personaggio politico di tutto rilievo:
militante del partito cattolico, lo Zentrum, e trascinatore di folle, fu deputato al parlamento
prussiano per l’Hohenzollern dal 1908 al 1918, poi presidente del parlamento locale
dell’Hohenzollern fino al 1932.13 Dagli atti del parlamento emerge l’impegno populista del curato
Brandhuber.14 La borsa concessa al giovane Heidegger passava attraverso il vaglio della fondazione
Weiss, creata da un personaggio di cui si vedrà più in là il rapporto col movimento cattolico
integralista, la cui figura di punta era Richard von Kralik.
Dai documenti conservati negli archivi del liceo di Costanza risulta che i condiscepoli di Heidegger
erano in gran parte figli di medici, di professori o di maestri, di agricoltori benestanti, di
funzionari, di pastori evangelici: proveniva, come lui, da famiglie di modesti contadini o di
artigiani, solo una minoranza. Durante il suo soggiorno a Costanza, dal 1903 al 1906, Martin
Heidegger fu ospite del convitto San Corrado, fondato nel 1864 dall’arcivescovo di Friburgo
per accogliere i giovani indirizzati agli ordini sacri e dar loro un’adeguata preparazione religiosa.
Gli studenti pensionanti ricevevano il resto della loro educazione al liceo di Costanza.15 Anche il
convitto aveva sofferto dei conflitti religiosi: chiuso nel 1874, potè riprendere la sua attività solo nel
1888.16 In seguito alle battaglie del Kulturkampf, la gerarchia cattolica lo considerò un proprio
importante baluardo: l’istituto infatti, negli anni che vi trascorse Heidegger, costituiva una valida
arma per contrastare l’influenza crescente del protestantesimo e del liberalismo nella regione.
Nemmeno il liceo di Costanza era stato risparmiato dalla controversia. Fin dalla sua fondazione, ad
opera dei gesuiti nel 1604, dovette fronteggiare una viva opposizione da parte dei funzionari
municipali di Costanza.17 Attorno al 1880 si diede l’avvio alla soppressione degli istituti scolastici
confessionali negli Stati del Baden, dell’Assia e di Nassau: la direzione del liceo fu così affidata
all’amministrazione governativa. Questo avvenimento ci induce a supporre che, essendo mutati i
princìpi informatori dell’insegnamento impartito nell’istituto, la Chiesa si sia dovuta ancor più
impegnare nello sviluppare una coscienza cattolica militante tra gli ospiti del convitto San Corrado,
dove allora soggiornava il giovane Heidegger. In un ambiente profondamente permeato di cultura
umanistica, egli apparteneva a una comunità cattolica risolutamente decisa a mantenere e ampliare
le proprie posizioni.
Molto illuminanti sono, a questo riguardo, le memorie scritte su questo periodo da Günther Dehn,18
il quale fu allievo del liceo di Costanza più o meno negli stessi anni di Heidegger. Tra i
professori più stimati dalla maggior parte degli studenti, Dehn cita Pacius (lingue moderne), di
convincimenti democratici, libero pensatore e pacifista, nonché Wilhelm Martens (storia) e Otto
Kimming (greco, latino e tedesco). I due ultimi erano protestanti, ma non svolgevano funzioni
pastorali, allo stesso modo dei presidi Böckel e Mathy. Martens, i cui testi erano utilizzati a
Costanza per l’insegnamento della storia, era un ammiratore di Lessing e cercava di comunicare il
suo entusiasmo agli allievi. Kimming, umanista e idealista, esaltava le virtù della libertà di pensiero.
Dehn così delinea l’influenza che esercitarono su di lui questi due professori: «Solamente più
tardi mi fu chiaro fino a che punto, grazie a questi due insegnanti, io fossi quasi impercettibilmente
spinto fuori dall’universo mentale cristiano, che per loro non esisteva affatto.»19
È anche interessante leggere la descrizione che egli fa del convitto San Corrado e del modo in cui i
futuri seminaristi s’inserivano tra i loro condiscepoli del liceo:
«Noi abbiamo sempre trattato i “capponi” dall’alto in basso. Erano mal vestiti e noi pensavamo che
non fossero propriamente puliti.
Noi ci ritenevamo migliori. Ma questo non ci impediva di approfittarne spudoratamente. Essi erano
tenuti a fare accuratamente i compiti a casa. E poi ce li dovevano passare durante la pausa, cosa che
facevano docilmente; oppure durante le loro ore di studio copiavamo i compiti di lingua e
matematica (...) Questi giovani vivevano molto separati dagli altri scolari, in una rigida disciplina,
con al massimo un’ora di libertà al giorno. Più tardi mi sono sempre rimproverato la nostra scarsa
gentilezza nei loro confronti (...) Noi abbiamo sempre chiamato “capponaia” il convitto e loro i
“capponi”, anche se nessuno di noi ha mai saputo cosa mai volesse dire questo perfido epiteto. »20
Lo schizzo tratteggiato da Dehn è significativo per diversi aspetti. Ritraendo l’atteggiamento dei
condiscepoli nei confronti del gruppo cui Heidegger apparteneva, ce ne può fare intuire, di
conseguenza, le reazioni. Ma esso evoca anche tutto ciò che di radicalmente populista vi era nella
scelta che doveva fare più tardi Martin Heidegger in favore del nazionalsocialismo. Così, anche
l’ammirazione di Heidegger per Abraham a Sancta Clara (il «predicatore cappuccino» del
Wallenstein di Schiller), questo «figlio del popolo» che trionferà alla corte imperiale viennese, non
può non avere un rapporto con la situazione di antagonismo sociale da lui vissuta a Costanza.
L’identificazione con Abraham a Sancta Clara era del resto rafforzata dal fatto che il monaco fosse
originario della sua stessa regione e avesse frequentato il medesimo ginnasio (Lateinschule) in cui,
molto più tardi, Heidegger doveva iniziare i suoi studi.
Un altro tratto distintivo della vita sociale al convitto San Corrado è che princìpi pedagogici
conservatori e «patriottici» vi si combinavano a componenti progressiste e innovatrici. La cronaca
delle attività dell’istituto, conservata in archivio, veniva redatta dagli stessi allievi. Questi potevano
anche eleggere una sorta di parlamento studentesco, che aveva la facoltà di esprimere dei pareri
indirizzati all’autorità religiosa e amministrativa. In un passo della cronaca, che risale al periodo in
cui Heidegger era ospite del convitto, si può leggere quanto segue:
«Un evento particolarmente lieto è che quest’anno il nostro convitto ha diplomato sei allievi. E,
cosa più importante, cinque di loro hanno deciso di diventare “neri”, ma non nel senso politico del
termine: sul fatto che debbano diventare “neri” anche in materia politica, il cronista non avrebbe
alcun dubbio. »
In altre parole, i cinque studenti licenziati che intendevano farsi sacerdoti, e quindi neri per le vesti
talari, non potevano anche non aderire allo Zentrum, non diventare cioè dei «neri»: in tal
modo, infatti, erano soprannominati i seguaci di questo partito. Questa era l’opzione politica, tanto
importante agli occhi del cronista, che orientava l’educazione impartita al convitto San Corrado.
Si rende opportuno, a questo punto, rammentare le conferenze organizzate dagli studenti più anziani
per i loro compagni. La cronaca dell’istituto contiene una lista di queste, relativa al periodo che ci
interessa; sebbene non risulti che Martin Heidegger ne abbia personalmente tenute, tale elenco,
tuttavia, ci fornisce un’idea sufficientemente chiara dell’atmosfera educativa che regnava nel
convitto. Alcuni titoli ci suggeriscono, infatti, che le conferenze miravano a rafforzare la coscienza
cattolica degli allievi, per permettere loro di confrontarsi con la concezione laica del mondo,
predominante nel liceo. Si registra, tra le tante, una conferenza sui «Salpeterer», movimento
giovanile di carattere libertario, radicalmente democratico, che esaltava la vita montanara e
intratteneva dei rapporti con il gruppo denominato «Giacobini della Germania del sud».21
Altro argomento consimile: «L’Ifigenia di Goethe è una figura paganocristiana o cristiano-tedesca?»
L’allievo Max Joseph Metzger parlò su «La storia del monastero di Reichenau», altri su «Scene
dell’Hegau» (si tratta delle guerre napoleoniche), altri ancora su «La storia del lago di Costanza
dalla fine del secolo x alla fine della guerra dei Trent’anni». Poco tempo dopo, Metzger fece una
relazione su «L’umanesimo». Alcune altre conferenze meritano di essere ricordate perché vi si
rintracciano temi che, con ogni probabilità, risvegliarono l’interesse del giovane Heidegger: una, su
«La visione del paesaggio nelle diverse epoche»; o, ancora, quella tenuta da un allievo di nome
Rombach su «L’etimologia in generale e, in particolare, nella lingua tedesca». Durante il soggiorno
di Martin Heidegger al convitto San Corrado furono organizzati dei viaggi di studio lungo il Reno
con tappe a Colonia e Mannheim, e anche nella valle del Danubio.
Da tutto ciò è possibile ricavare con una certa sicurezza come Martin Heidegger, in un periodo
decisivo per la sua formazione, si sia trovato direttamente a confronto con l’alternativa
religione/umanesimo, non arrivando probabilmente a una soluzione univoca sulla questione. È cosa
certa che egli sceglierà in un primo momento la via del sacerdozio cattolico, con tutto ciò che questa
implicava, sul piano ideologico, a quell’epoca; ma non è meno certo che la crisi che lo portò ad
abbandonare prima il seminario, poi il cattolicesimo militante, rivelava una profonda incertezza,
fino allora non risolta.
Questa polarità non è tuttavia suscettibile di un’unica interpretazione. Sarebbe utile, ad esempio,
esaminare da vicino in che misura l’umanesimo liberale dei professori di Martin Heidegger, e, più
in generale, l’umanesimo che si respirava al liceo di Costanza, corrispondesse ad autentiche
convinzioni umanistiche. Nella Germania meridionale e in Austria, infatti, ebbe larga diffusione in
quel periodo un anticlericalismo che convergerà poi direttamente nel fascismo. Varrebbe la pena di
condurre un’analoga ricerca sul conservatorismo imperante al convitto San Corrado, poiché da
questa matrice si svilupperanno anche scelte politiche radicalmente opposte al nazionalsocialismo.
Un esempio in tal senso lo fornisce appunto il condiscepolo di Heidegger già ricordato: Max Joseph
Metzger, divenuto cappellano nella prima guerra mondiale, sarà fucilato durante la seconda, nel
1944, per aver complottato contro il regime hitleriano. Più intricata ancora appare la questione, se si
osserva che anche Albert Leo Schlageter, di cui i nazisti fecero un eroe all’epoca dell’invasione
della Francia e a cui Heidegger dedicherà uno dei suoi più significativi discorsi (1933), era stato
ospite del convitto San Corrado e allievo del liceo di Costanza e poi, del Bertholds-gymnasium di
Friburgo, dove Heidegger proseguì gli studi secondari a partire dal 1906.
Il trasferimento di Heidegger a Friburgo avvenne, pare, in seguito a una crisi maturata al convitto
San Corrado, crisi la cui conclusione portò all’allontanamento del rettore dell’istituto, Conrad
Gröber, che fu relegato in una parrocchia dei dintorni di Costanza. A questo momento difficile per
la vita dell’istituto, si aggiunse, presumibilmente, per Heidegger, un conflitto personale, o almeno
un certo disagio nel dover sopportare più a lungo la situazione. Comunque sia, il trasferimento
comportò nuove spese per il padre di Martin Heidegger, del quale si sono viste le assai modeste
condizioni economiche. Conrad Gröber, diventato in seguito arcivescovo di Friburgo, si sarebbe
dimostrato, almeno per un certo periodo, uno dei prelati più entusiasti nel sostegno al governo
hitleriano, nonché uno degli artefici del Concordato tra la Germania e la Santa Sede.22 Fu proprio
lui a offrire in dono a Heidegger l’opera di Franz Brentano sul diverso significato dell’essere
secondo Aristotele, testo a cui il nostro pensatore attribuisce un ruolo primario nella sua evoluzione
filosofica.23 A questa circostanza se ne può aggiungere una seconda: l’iniziale contatto di Heidegger
con la filosofia avvenne attraverso il manuale utilizzato al liceo di Costanza, i Grundzüge der
philosophischen Propädeutik (Lineamenti di propedeutica filosofica) del professor Richard Jonas
pubblicato a Berlino nel 1891. Si tratta di un’introduzione, molto succinta, alla logica e alla
psicologia, fortemente imbevuta di kantismo. Benché nel complesso difenda posizioni cristiane,
quest’opera è ben lungi dall’affrontare la filosofia come potrebbe farlo Un testo destinato a futuri
seminaristi.24
Il passaggio di Martin Heidegger al liceo e al seminario di Friburgo fu reso possibile da una borsa di
studio della fondazione istituita a Messkirch in conformità alle volontà testamentarie del
teologo Christoph Eliner. Professore di teologia e rettore dell’Università di Friburgo nel xvi secolo
(1567), egli aveva provveduto affinché il suo patrimonio servisse a conferire due borse di studio a
giovani di Messkirch perché studiassero teologia in quella università. Heidegger beneficiò di questa
dotazione fino al 1911.25 Egli entrò al Bertholds-gymnasium nel 1906 e vi restò fino al 1909. Non
abbiamo potuto ricostruire in maniera circostanziata le vicende di questa tappa della sua
formazione, poiché la documentazione d’archivio necessaria sarebbe andata distrutta, a quanto
afferma l’attuale direzione, nel corso della seconda guerra mondiale. Tuttavia la decisione del
giovane Heidegger, nel 1909, di entrare in seminario, fa supporre che durante questi tre anni le
motivazioni che l’avevano in precedenza condotto al convitto San Corrado fossero rimaste
immutate.

Capitolo 2. Il noviziato gesuita. Il seminario di Friburgo


Nel 1909 Heidegger decise di entrare nel noviziato gesuita di Tisis a Feldkirch. Il registro delle
iscrizioni dell’istituto testimonia di come il suo soggiorno qui sia stato brevissimo: entrato il 30
settembre, egli abbandona il noviziato il 13 ottobre, senza aver ricevuto gli ordini minori. Ciò non
significa affatto, però, che egli abbia rinunciato a diventare sacerdote. Heidegger viene infatti
immediatamente ammesso al Konvikt (collegio) di teologia dell’Arcivescovado di Friburgo, dove
studierà fino al 1911.26 Dai vari documenti disponibili risulta che Heidegger rinunciò a proseguire
gli studi a Friburgo per i medesimi motivi che lo avevano indotto ad abbandonare il noviziato
gesuita: disturbi cardiaci di origine psicosomatica. Heidegger seguì cure specialistiche e fu
dispensato da ogni impegno gravoso; tuttavia fu costretto a interrompere gli studi fin dalla metà di
febbraio del 1911 e a prendersi un periodo di riposo a Messkirch finché i suoi malesseri non si
attenuarono. Ma i disturbi riapparvero al ritorno a Friburgo, tanto che egli lasciò definitivamente
il Konvikt.
Il quadro clinico si chiarisce, se lo si collega alla situazione conflittuale in cui Heidegger si trovava
fin dall’inizio dei suoi studi a Costanza. Disturbi cardiaci analoghi, senza una causa
fisiologica, compaiono infatti in soggetti in preda a un conflitto che non giunga a risolversi a livello
cosciente. Essi, avendo fatto una scelta né veramente desiderata né veramente assunta, manifestano
la loro ambivalenza attraverso una somatizzazione: il muscolo cardiaco minaccia di cessare di
battere, facendo così affiorare il rifiuto, non cosciente, della decisione presa e il desiderio di
modificarla. Tale sintomo è
spesso connesso a difficoltà di relazione, di una certa gravità, nel rapporto tra padre e figlio. Si può
dunque congetturare che la vocazione ecclesiastica del giovane Heidegger, sentita come naturale
dalla famiglia e specialmente dal padre, abbia innescato molto presto un conflitto interiore,
ulteriormente rafforzato da influenze esterne molto divergenti dall’ideale sacerdotale. Potrebbe darsi
che abbiano anche svolto un ruolo rilevante nel conflitto le penose esperienze vissute al liceo di
Costanza: la funzione compensatrice che spiegava forse la scelta del sacerdozio non poteva che
rivelarsi nei fatti precaria. Può essere utile cercare di ricostruire su quali basi si sia appoggiata la
decisione di Heidegger di entrare nel noviziato gesuita e, poi, al Konvikt di Friburgo.
Per farsi un’idea in qualche misura precisa del modo di pensare dei gesuiti con i quali Heidegger si
trovò a contatto, si può consultare una delle loro più rappresentative riviste, pubblicata a
Friburgo da Herder: «Stimmen aus Maria Laach. Katholische Blätter». Così, il numero 16
dell’annata 1906 contiene una serie di articoli il cui orientamento ideologico risulta
sufficientemente chiaro. Registriamo in particolare un contributo di padre H. Koch, S.J., sui
criteri che dovrebbero informare la politica coloniale del governo del Reich.27 Koch, intanto, ritiene
legittime le considerazioni economiche relative alla trasformazione della Germania in potenza
coloniale, ma aggiunge che questa prospettiva non si può considerare realmente valida se il governo
del Reich non si impegna ad accompagnare alla dominazione politica un’espansione della fede: la
colonizzazione deve essere, insieme, impegno missionario. Koch intende, con questo, l’apporto
della cultura tedesca a popoli «in condizioni d’inferiorità» nonché il contributo di una fede che egli
reputa vitale componente di questa cultura. «Sotto la protezione della bandiera nazionale, la
missione può partecipare con successo tanto all’opera etico-religiosa quanto all’attività economica e
sociale creata dalla colonizzazione. »28 Lo Stato deve, come prima cosa, badare a proteggere la fede
missionaria dagli interventi ostili di taluni funzionari coloniali; ma le autorità devono soprattutto
tenere sempre presente «che l’Islam, predominante in Africa orientale, in Togo e in Camerun, è una
potenza culturale avversaria, che occorre combattere con ogni possibile mezzo ».29 Koch aggiunge:
« Sarebbe un grave errore vedere nell'Islam uno stadio culturale nell'itinerario che conduce dal
paganesimo e dall’ignoranza alla civiltà europea! »30 A suo parere l’Islam, aggrappato a pratiche
puramente formali, non sarebbe in grado di costituire un baluardo o un freno nei confronti delle
passioni più basse: poligamia e prostituzione scaturirebbero naturalmente dall’insufficiente
elevatezza di questa religione.31
«Il musulmano è incapace di scoprire da solo forme superiori di attività economiche: nemico del
lavoro agricolo e di qualsiasi lavoro serio in generale, egli dà prova di abilità e scaltrezza solamente
nel commercio, che il più delle volte degenera in sfruttamento e ladrocinio. Politicamente il
musulmano non sari mai degno di fede. Persuaso che Allah farà di lui il signore del mondo, egli non
accetterà mai di sottomettersi lealmente a una potenza europea. »32
Rifiutarsi di riconoscere questi fatti sarebbe indizio non soltanto di un inopportuno romanticismo,
ma anche di falsa tolleranza nei confronti dei primitivi; in definitiva, conclude padre Koch, una
colonizzazione che si allontanasse da queste regole di condotta finirebbe unicamente col portare
confusione e si ridurrebbe a un mero sfruttamento economico.33
In due altri articoli, dovuti a padre V. Cathrein, S. J., Materialismus und Sozialdemokratie
(Materialismo e socialdemocrazia) e Die Sozialdemokratische Moral (La morale
socialdemocratica), si sottopone a un’aspra critica il programma politico dei marxisti revisionisti,
Kautsky e Bernstein segnatamente, sia per l'incoerenza teorica che per l’atteggiamento aggressivo
nei confronti della Chiesa e dei suoi diritti. Gli strali di padre Cathrein si appuntano con vigore
particolare contro la concezione classista della storia, poiché essa sfocia necessariamente nella
distruzione delle istituzioni fondamentali della società: famiglia, proprietà privata e legittimo ordine
gerarchico.34 I dirigenti socialdemocratici cercano di organizzare un «partito rivoluzionario» che,
estraneo a ogni morale, si configura, per questo stesso fatto, come una forza perversa e
demoniaca.35
Che Heidegger, al suo ingresso nel noviziato della Compagnia di Gesù, fosse ricettivo e disponibile
ad assimilare le idee politiche e filosofiche documentate dalla rivista dell’ordine, è affatto
plausibile. Non bisogna tuttavia dimenticare che la decisione di entrare tra i gesuiti era
presumibilmente ispirata, al giovane Heidegger, dal desiderio di poter accedere a un universo
sociale e culturale che gli sarebbe stato molto difficile avvicinare per altra via. È significativo che
Heidegger, nei suoi due tentativi di intraprendere la carriera religiosa, si sia indirizzato verso i
gesuiti, ordine eminentemente pedagogico, e verso il seminario secolare: era, dunque, più attirato
dalla vita attiva che dalla vita monastica, contemplativa, come l’avrebbe potuta praticare nel
monastero benedettino di Beuren.
Gli studi condotti da Martin Heidegger alla Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo sono stati
oggetto di una breve comunicazione di B. Casper.36 Casper sottolinea il pronunciato interesse
del giovane studente per le questioni esegetiche, interesse rivelato dalla scelta dei corsi: è quasi
certamente accanto a Gottfried Hoberg che Heidegger si appassionò all’ermeneutica. Secondo la
diretta testimonianza del filosofo,37 fu soprattutto l’insegnamento di Karl Braig, specialmente in
materia di dogmatica, a stimolarne la riflessione sul rapporto tra l’essere e il linguaggio. Tutto ciò è
senz’altro vero: i documenti portati alla luce da Casper fanno, però, emergere anche un esplicito
interesse di Heidegger per problemi specificamente storici, e ancora un sollecito orientamento verso
professori schierati su posizioni politiche ben precise. Ciò ci permette di individuare
alcuni significativi influssi nella formazione ideologica di Martin Heidegger a quell’epoca.
Casper riferisce, infatti, che Heidegger non scelse soltanto di seguire i corsi di Julius Mayer sulla
concezione cattolica della proprietà, ma, inoltre, quelli degli storici Heinrich Finke («L’età del
Rinascimento») e Georg von Below («La storia costituzionale della Germania dal secolo xvi ai
nostri giorni»). Quale incidenza avrebbe avuto, successivamente, per Heidegger, la frequentazione
di Finke, lo esamineremo più in là, in occasione, particolarmente, del suo primo tentativo di
ottenere la cattedra di filosofia alla Facoltà di teologia.
Per ora è soprattutto importante descrivere, per linee essenziali, lo scenario ideologico attorno al
1910. Heinrich Finke, un illustre esponente dello Zentrum, era divenuto titolare di una cattedra
di storia alla fine del secolo scorso.38 Le sue posizioni, corroborate da ampie ricerche d’archivio
sulla storia della Chiesa nel Medioevo, si caratterizzavano per un appoggio incondizionato allo
Stato nazionale: la fondazione del Reich da parte di Bismarck negli anni 1870-71 gli sembrava un
avvenimento di portata immensa. Finke, che concepiva lo Stato moderno, nella sua essenza, come
erede imperium medievale, esaltava, conseguentemente, «l’imperialismo mondiale» come la più
alta opera dei «popoli germanici» i quali, ripristinando il principio nazionale nella storia universale,
portavano a compimento una missione di incomparabile valore.39
Ideologicamente più conservatore di Finke, von Below, originario della Prussia orientale, era, per
parte sua, arrivato a Friburgo nel 1905. Egli era soprattutto noto per aver integrato l’economia
al complesso delle discipline storiche. In base alle sue concezioni, l’affermazione dello Stato, in
quanto Stato nazionale, costituiva l’autentico fondamento della storia come scienza: lo Stato era da
lui considerato come il legame più importante tra gli uomini, l’organizzazione essenziale di ogni
popolo e la fonte di ogni cultura. Trovando appoggio in teorie filosofiche come quelle di Dilthey e
di Rickert, von Below sottolineava la centralità del ruolo degli individui nella storia, rifiutando
l’idea stessa chele scienze storiche possano pervenire alla definizione di proprie leggi senza
innanzitutto tener conto dell’intervento esemplare di certi personaggi.
Ancor prima dell’instaurazione della Repubblica di Weimar, von Below si distinse per l’estremismo
delle sue posizioni. Considerava la democrazia come il maggior pericolo per una nazione come la
Germania e per il suo popolo. Da sempre fautore della più aggressiva politica di espansione,
esaltava un modello di società divisa in ordini e manifestava un violento antisemitismo,
ritenendo gli ebrei direttamente responsabili della diffusione delle idee antinazionali, liberali e
democratiche.41 Si spingeva fino ad affermare che, tra le persone colte di origine cristiana e tedesca,
potevano avere propensione per il marxismo sólo quelle che soffrissero di patenti deficienze, mentre
tra gli ebrei questa inclinazione costituiva la regola.42
Verso la fine della prima guerra mondiale, von Below diventerà uno dei principali dirigenti del
Partito patriottico tedesco (Deutsche Vaterlandspartei), gruppo estremista che esortava al
proseguimento della guerra fino alle ultime conseguenze, e, naturalmente, ne sarà una figura di
rilievo all’Università e nella città di Friburgo. Più tardi, con l’ideologo razzista Houston S.
Chamberlain, darà vita alla rivista «Deutschlands Erneuerung», che si pronunciò, fin dagli anni
venti, a favore del nascente movimento nazionalsocialista.43 Ma già prima egli aveva liberamente
manifestato il suo antisemitismo attivistico dalle colonne di un’altra rivista, la
«Konservative Monatsschrift »,44
Appare dunque evidente come, da giovane studente, Martin Heidegger abbia ricevuto la sua prima
formazione politica e scientifica da parte di insegnanti, le cui posizioni, sia pure in diverso grado
e con diversa valenza, si riveleranno, quando sarà il momento, un valido contributo per la presa del
potere da parte del fascismo.
Capitolo 3. Abraham a Sancta Clara. Il primo scritto di Martin Heidegger
È nel contesto delineato, e in collegamento con la complessiva evoluzione ideologica e spirituale
precedente di Martin Heidegger, che conviene valutare e interpretare il suo primo scritto:
Abraham a Sancta Clara, a proposito dell’inaugurazione del monumento a Kreenheinstetten il 13
agosto 1910, pubblicato sulla rivista «Allgemeine Rundschau».45 In esso vengono sviluppati tutti
gli elementi significativi di questa evoluzione e vi traspaiono anche prospettive interessanti per il
periodo successivo. Dedicheremo, perciò, un certo spazio all’analisi di questo testo.
Il monaco agostiniano Abraham a Sancta Clara è stato il più importante predicatore della Germania
barocca, oltre che un notevole prosatore. Eccellente nella satira, caustico critico dei costumi,
Abraham a Sancta Clara, diventato predicatore ufficiale della corte imperiale austriaca, esercitò una
considerevole influenza sulla vita politica e religiosa dell’epoca, in particolar modo a Vienna. Il suo
prestigio si è mantenuto fino a oggi. Abraham, il cui vero nome era Johann Ulrich Megerle, nacque
nel 1644 nel villaggio svevo di Kreenheinstetten, poco distante da Messkirch. Ebbe la sua prima
educazione al ginnasio di Messkirch, quel medesimo ginnasio che un giorno avrebbe accolto Martin
Heidegger. Proseguì gli studi nella scuola del convento gesuita d’Ingolstadt, poi al liceo dei
benedettini di Salisburgo,46 dove ricevette la più qualificata formazione intellettuale a cui potesse
allora aspirare un giovane cattolico.
Ulrich Megerle era di origini modeste, pur non appartenendo né al ceto contadino né al ceto degli
artigiani poveri: il padre era infatti taverniere. La sua famiglia fu però nobilitata dall’imperatore
Fede-
rico III nella persona di Abraham von Megerle, notaio e canonico di Altötting.47 Entrò nel convento
degli agostiniani scalzi nel 1662. Ordinato sacerdote nel 1666, in un primo tempo svolse la
funzione di curato a Taxe in Baviera. Soltanto al suo ritorno in convento, nel 1668, egli intraprese la
carriera di predicatore. Il suo talento oratorio non tardò a suscitare l’ammirazione di Leopoldo I, che
lo nominò predicatore di corte. Era questa una carica di grande prestigio, la più alta cui si potesse
accedere senza essere membri della nobiltà.48 Decisivi, per la vita e l’opera di Abraham a Sancta
Clara, furono l’epidemia di peste che si manifestò nel 1679 e l’assedio di Vienna da parte turca nel
1683. Il suo Merk’s Wien! (Vienna, sta’ in guardia!) fu la prima cronaca della peste, e il suo Auf, auf
ihr Christen! (Destatevi cristiani!), un pamphlet, bellicoso nei toni, fu scritto durante la resistenza
all’invasione delle armate turche.
Scrittore molto fecondo (gli si attribuiscono più di venti volumi di opere), dotato di grande energia e
vitalità, caratterizzato da un corposo fanatismo nel modo di scrivere e di parlare, Abraham esercitò
un’influenza determinante sull’arte oratoria cattolica in Austria e in Germania meridionale. Nel
1680 divenne superiore del suo monastero e nel 1690 provinciale dell’ordine agostiniano. La sua
forte personalità attrasse, più tardi, l’interesse di Friedrich Schiller, che si ispirò a lui per plasmare il
personaggio del «predicatore cappuccino» per il Wallenstein. Abraham a Sancta Clara morì nel
1709, al culmine della gloria e della sua forza creatrice. Da ogni suo libro, epistola o sermone
emerge una critica, esplicita e senza concessioni, non solo dei costumi contemporanei, di Vienna e
della corte, ma di tutta la società del suo tempo. Tuttavia egli, formatosi alla scuola della retorica
gesuita, metteva al centro delle sue diatribe sempre questioni religiose.49
L’immagine di Abraham a Sancta Clara come di «un plebeo a corte», elaborata molto tempo dopo,
non corrisponde dunque alla realtà storica, ma è piuttosto espressione di un interessato
disegno ideologico. Le prese di posizione politiche di Abraham a Sancta Clara concernono
esclusivamente due temi: i turchi e gli ebrei. Gli uni e gli altri si configurano, nella sua opera, come
gli archetipi del Male che minaccia la cristianità viennese. Sotto il velo della religione, i suoi
sermoni e i suoi scritti manifestano un’estrema xenofobia: «Cos’è il turco? E' un vero Anticristo,
una tigre insaziabile, un Sata-31
na inveterato, un dannato aggressore di tutto ciò che non sia turco, un mostro di spaventosa
crudeltà, una bestia insaziabile e vendicativa, un veleno dell’Oriente, un cane arrabbiato senza
catena, un tiranno, il contrario di un uomo. Il turco è il flagello di Dio.»50 E Abraham si spinge fino
a magnificare «i combattenti che immergono i loro pugnali nel sangue barbaro del nemico».51
Quanto all’antisemitismo, che raggiunge in quell’epoca uno dei suoi apici proprio in Abraham a
Sancta Clara, occorre dire che è di antica origine. Crudelmente perseguitati e infine cacciati dalla
città nel 1491, gli ebrei viennesi raggiunsero in seguito una situazione di relativa tranquillità, ma
furono di nuovo espulsi alla fine del 1669. Sottoposti a vessazioni di ogni genere, sfruttati e
oppressi, e talvolta anche mandati in massa al rogo (Salisburgo), veniva loro addossata la
responsabilità delle crisi economiche, in un sistema sociale che essi non controllavano per nulla, e,
perfino, delle epidemie di peste o delle catastrofi naturali.
La predicazione di Abraham a Sancta Clara si svolse negli anni successivi alla seconda espulsione:
la violenza del suo antisemitismo va, quindi, tanto più rilevata. Essa aveva l’obiettivo di
giustificare, a cose fatte, la misura presa dell’imperatore Leopoldo e di mantenere vivo l’odio per
gli ebrei: «L’ebreo è ateo, e gli mancano l’onore, la coscienza, la virtù, la fedeltà e anche la ragione.
E non può cambiare.» L’ebreo è mortalmente nemico di tutto ciò che è cristiano e «si potrebbero
riempire libri e libri con le sue furfanterie». Nella cronaca della peste, Abraham a Sancta Clara
accusa le streghe e gli ebrei di essere, personalmente e volontariamente, gli artefici di quella
terribile tragedia: «È notorio che il flagello pestilenziale è dovuto all’opera del nemico perverso: gli
ebrei, i becchini e le streghe.»52 Dal pulpito diffonde come vere le leggende medievali secondo
cui gli ebrei profanavano le ostie consacrate e sacrificavano bambini battezzati per celebrare i loro
culti demoniaci: «Questo maledetto scellerato deve essere perseguitato ovunque egli vada (...) E a
causa di ciò che hanno fatto a Gesù, le narici dei loro figli maschi si riempiono di vermi ogni
venerdì santo, essi nascono con denti di porco, e i figli di coloro che lo flagellarono hanno il braccio
destro più corto.»53 O ancora: «Tolto Satana, gli uomini non hanno peggior nemico dell’ebreo (...)
Per le loro credenze meritano non solo la forca, ma anche il rogo. »54 La letteratura antisemita era, a
quell’epoca, copiosa, ma Abraham a Sancta Clara vi si distingue in maniera tutta particolare. Questo
è ciò che pensa, tra gli altri, Oskar Frankl, 55 la cui opinione riflette il modo con cui si guardava ad
Abraham a Sancta Clara negli anni in cui Martin Heidegger pubblicò il suo articolo.
L’antisemitismo e la xenofobia di Abraham a Sancta Clara si sviluppano sullo sfondo di un
nazionalismo esasperato. Concependo l’Austria come una parte della Germania meridionale, il
predicatore chiarisce il senso della sua critica dei costumi quando stabilisce come criterio di
giudizio morale «la genuinità del contadino svevo» e tutto ciò che è Teutsche, in contrapposizione al
diffondersi di usanze proprie di popoli stranieri: Francia, Italia, Spagna. Nel Centifolium Stultorum,
Abraham mette in guardia contro il pericolo comportato dall’uso delle lingue straniere: parlare un
idioma diverso dal tedesco, significa già adottare costumi venuti da fuori, e non è raro che chi si
allontana dalla lingua materna finisca col diventare traditore della patria. In Lauberhütt II (La
capanna II) asserisce che i giovani tedeschi partiti per altri paesi «per acquistarvi spirito e
belle maniere», non ne riportano il più delle volte «che una malattia o uno stiletto piantato nel
corpo, che la vile scaltrezza degli italiani o la sfrontatezza dei francesi». Gli adulti, per loro parte,
nei paesi stranieri perdono «il loro coraggio, i loro beni, i loro corpi e le loro anime. Partiti credenti
per la Francia ne tornano atei; in luogo della loro forza di carattere e dei loro buoni costumi, non
riportano che dubbi e frivoli pensieri».56 In Reimd’Dich (Conformati) scrive che «i tedeschi sono
gli uomini più tranquilli e stimabili. Eppure, molte nazioni, nemiche della luce come i pipistrelli,
invidiano le nostre qualità e ci trattano come cani. Forse perché gli abbiamo morso tante volte i
polpacci».57 Non solo sono «tedeschi i più grandi pensatori e i più grandi inventori, ma la Germania
è anche la culla della più splendida e vigorosa pittura che l’umanità abbia mai conosciuto».58 E
Abraham, è ovvio, arriva ad attribuire carattere sacro alla patria: «Mai Dio abbandona un
tedesco.»59
Il contributo di Abraham a Sancta Clara allo sviluppo delle correnti antisémite in Austria e in
Germania meridionale è un fatto ben noto agli storici; 60 la sua influenza si farà particolarmente
sentire negli ambienti cattolici. Il movimento antisemita cattolico, diffuso soprattutto nelle classi
medie e tra gli intellettuali nazionalisti, si collega strettamente alla tradizione medievale, e
considera appunto
Abraham a Sancta Clara uno dei suoi più importanti riferimenti ideologici.61 Per questa via la
xenofobia e l’antisemitismo radicali del predicatore agostiniano rivivranno negli scritti e nei
discorsi dei fondatori del movimento cristiano-sociale austriaco: i sacerdoti Joseph Scheicher e
Sebastian Brunner. Quest’ultimo, fin dalla prima giovinezza, aveva risentito della suggestione di
Abraham a Sancta Clara e lo citava nei suoi interventi pubblici come un’indiscussa autorità.62 È
essenzialmente grazie a Brunner che i pregiudizi e le superstizioni che avevano preso corpo nella
tradizione antisemita dell’età barocca ed erano stati riesumati nel periodo detto dell’«ebreo di
corte» (1673-1782) e del giuseppinismo, conosceranno una nuova, vigorosa reviviscenza nell’età
del liberalismo.63
Il movimento cristiano-sociale traeva origine dal romanticismo cattolico e, esattamente come
questo, considerava il razionalismo dei Lumi come il proprio principale nemico. Iniziatore e
ispiratore di questo movimento era stato il prete redentorista Clemens Maria Hofbauer. vissuto tra il
1751 e il 1821, e ben presto canonizzato. Furono i suoi seguaci a organizzare nel 1848 il
«movimento per la restaurazione cattolica» al quale aderì Sebastian Brunner.64 Il movimento
cristiano-sociale non tardò a darsi una guida nella persona di Karl Lueger. Nato a Vienna, Lueger,
per parte di padre, proveniva da una famiglia contadina dell’Austria inferiore, per parte di madre, da
una famiglia di artigiani. La sua clientela politica non si discosta da questa matrice: raggiunto il
dottorato in legge, Lueger si dedicò all’attività politica, incarnando il ruolo del difensore e
portabandiera di quella «gente modesta» che costituiva la maggioranza della popolazione dei
sobborghi viennesi. Fondò nel 1887, con due sacerdoti, A. Latschka e L. Psenner, il periodico
antisemita «Österreichischer Volksfreund», e diede inizio alla sua carriera pubblica con un discorso
che, quanto ad antisemitismo, non ha riscontri in quell’epoca.65
Lueger e i cristiano-sociali, col sostegno della maggior parte del giovane clero viennese, in rivolta
nei confronti della gerarchia monarchica e conservatrice, e con quello dei gesuiti, ottennero
nelle elezioni del 1901 quasi altrettanti voti dei liberali. Lueger capeggiò quindi in parlamento il
gruppo dei deputati antisemiti,66 uno dei quali, Ernst Schneider, propose un giorno in aula,
intervenendo su una misura volta a incentivare, dietro ricompensa, l’eliminazione di uccelli nocivi,
di concedere un premio straordinario a chiunque abbattesse un ebreo.67
La rappresentanza parlamentare non svolgeva allora in Austria un ruolo rilevante; in compenso il
municipio di Vienna era di importanza politica decisiva: il movimento cristiano-sociale si adoperò,
perciò, per conquistarne il controllo. Lo stile oratorio dei cristiano-sociali, infarcito di espressioni
volgari, di termini dialettali viennesi e di attacchi contro la retorica liberale, trovò notevole
rispondenza tra le masse popolari. Le promesse di farla finita «con gli interessi privati ebraici che
minacciano di strangolare l’economia e la popolazione» furono accolte con entusiasmo dal ceto
burocratico della città, ma anche, e soprattutto, dalla numerosa popolazione dei sobborghi. Questa
gente era tanto più disponibile nei confronti di un tal genere di propaganda, in quanto soffriva
della repentina crescita demografica di Vienna, crescita che poneva drammatici problemi di
abitazione, di sanità e di igiene, al punto che nella capitale austriaca il tasso dei casi di tubercolosi
era il più alto d’Europa.
Diventato l’indiscusso leader degli antisemiti e degli antiliberali, Lueger ingaggiò una sorta di «lotta
di classe», sia all’interno della Chiesa che nella società viennese, contro l’alleanza costituita
dalla gerarchia cattolica, dall’aristocrazia e dai liberali. Egli riportò più volte la vittoria nelle
elezioni municipali, ma l’imperatore, per timore dei cambiamenti che il suo accesso alla carica di
sindaco avrebbe comportato, non ne sanzionò la nomina, fin quando non si rese evidente che il
rafforzamento della socialdemocrazia si stava facendo pericoloso. Ora, bisogna ricordare che la
socialdemocrazia, propugnatrice della rivoluzione violenta, era considerata il vero nemico interno,
non solo, ma si pensava che in essa si fossero infiltrati proprio quegli ebrei che venivano denunciati
da Lueger e dai suoi accoliti. Fu così che Karl Lueger divenne sindaco di Vienna nel 1897 e che
potè avviare una serie di riforme popolari. Grazie alle risorse fiscali di cui egli ora disponeva,
acquistò dagli inglesi un sistema di fognature a canalizzazione unica, fece costruire una rete di
distribuzione di gas di città, e dotò Vienna di linee tranviarie; estese anche la rete di distribuzione
dell’acqua, fece costruire ospedali, scuole e anche un mattatoio pubblico in cui fossero rispettate le
basilari norme igieniche.68
Strettamente legato all’Internazionale antisemita, Lueger ricevette da Léon Daudet, per il suo
sessantesimo compleanno, come augurio: «Mi limito a gridare: abbasso gli ebrei! » Quando egli
morì, nel 1910, larghe masse di viennesi, e anche numerosi ammiratori tedeschi e di altri paesi
d’Europa, gli resero l’ultimo omaggio. L’emozione fu particolarmente forte nella Germania del sud,
come testimoniano i quotidiani di Costanza (le «Konstanzer Nachrichten» del 10 marzo), di
Sigmaringen (la «Hohenzollerische Volkszeitung» del medesimo giorno) e anche di Messkirch
(l’«Heuberger Volksblatt» sempre del medesimo giorno).
Tra gli spettatori presenti alla cerimonia funebre c’era il giovane Adolf Hitler, che, più tardi,
scriverà nel Mein Kampf, rievocando i tempi della sua giovinezza e i primi incerti passi del
movimento nazionalsocialista:
«Quando il solenne funerale del sindaco si incamminò lungo il Ring procedendo dal Palazzo
Comunale, anch’io mi trovai tra le centinaia di migliaia di persone che guardavano il corteo
funebre. Un sentimento intimo mi disse già allora che anche l’opera di quest’uomo era resa inutile
dal fato che respingeva inesorabilmente il nostro Stato verso il tramonto. Se il dottor Lueger fosse
vissuto in Germania, egli sarebbe entrato nel rango dei grandi uomini del nostro popolo; l’aver
vissuto invece in questo impossibile Stato significò la sventura sua e della sua opera.»69
Cosa vi era di non bastevole, a giudizio di Hitler, nel lavoro politico di Lueger? Certamente egli
aveva saputo, a differenza di Schönerer, capofila della tendenza antisemita, promuovere e dirigere
un vero rinnovamento di massa. Ma Hitler riteneva che Lueger, non possedendo una base
ideologica paragonabile a quella di Schönerer, non avesse fornito a questo movimento gli elementi
teorici di cui esso aveva bisogno.70
Il primo scritto di Martin Heidegger descrive la cerimonia dell’inaugurazione del monumento
dedicato ad Abraham a Sancta Clara e ne analizza il significato. È l’insieme delle vicende che si
svolsero attorno all’erezione di questo monumento che ci ha fatto giudicare indispensabile la lunga
introduzione che si è appena letta. Infatti, malgrado gli sforzi dei cittadini di Kreenheinstetten per
raccogliere i fondi necessari, il contributo finanziario decisivo venne dal municipio di Vienna, dove
allora dominava incontrastato Lueger.
Esaminando la richiesta rivolta da Kreenheinstetten, il consiglio comunale della città, nella seduta
del 12 luglio 1901, decise di sostenere l’iniziativa, legata al duecentesimo anniversario della morte
del predicatore agostiniano, «in ragione delle strette relazioni che il poeta intrattenne con la
comunità viennese» e aprì un credito di mille corone.71 Poco tempo dopo, sempre il consiglio
comunale di Vienna, accettò di finanziare l’edizione delle opere di Abraham a Sancta Clara.72 Dopo
tentativi e discussioni, che comportarono, per la commissione appositamente fondata a
Kreenheinstetten, un impegno di più anni, il monumento fu finalmente inaugurato il 15 agosto
1910.73
I festeggiamenti organizzati in questa occasione ebbero una vastissima eco nella regione. Tutti i
giornali importanti ne diedero notizia: la «Hohenzollerische Volkszeitung» (16 agosto), la «Neue
Konstanzer Abendzeitung» e le «Konstanzer Nachrichten» (13,16 e 17 agosto), e anche la
«Reichspost» di Vienna (20 agosto). Il 16 agosto, i due quotidiani di Messkirch, l’«Oberbadische
Grenzbote» e l’«Heuberger Volksblatt», sottolineano l’ampia partecipazione popolare e il tono
solenne che caratterizzarono la grandiosa celebrazione, avvenimento senza precedenti nella regione,
patria di Abraham a Sancta Clara. In occasione di questa magnifica giornata («era come se il cielo
avesse condiviso il significato della commemorazione»), tutte le case della cittadina erano state
adornate con fiori e festoni con scritte di padre Abraham. Ovunque sventolavano bandiere.
Le cerimonie iniziarono con una messa solenne a cui assistettero fedeli provenienti da tutto il
circondario. La città di Vienna aveva inviato due rappresentanti ufficiali, il dottor Tomola, deputato,
e il professor Zimmermann. Si notava anche la presenza di Karl Bertsche (il più insigne specialista
dell’opera di Abraham a Sancta Clara), di una delegazione di monaci dell’abbazia benedettina di
Beuron nonché di una rappresentanza dei giovani cattolici di Messkirch, con i loro colori
tradizionali.
«La folla si mise allora in movimento, preceduta da un araldo e da quattro cavalieri, che, sotto la
protezione della corazza, indossavano costumi multicolori dell’epoca di padre Abraham. Gli
scolari componevano un gruppo variopinto, in cui ciascuno innalzava un vessillo. Seguivano le
scolare che stringevano mazzi di fiori. L’associazione militare e un folto drappello di giovani adisti,
con banderuole e corone di fiori, chiudevano la sfilata. Il corteo fu accolto, ai piedi del monumento,
dallo scrittore Marquardt che, a nome della città, salutò i partecipanti alla manifestazione, e dal
curato Gessler, di Engelswies che scoprì la statua e ne fece dono alla città. In rappresentanza della
comunità viennese, il dottor Tomola volle mettere in risalto che “l’aiuto elargito dai suoi
concittadini era un naturale segno di riconoscenza, una risposta alla generosità di cui aveva dato
prova Kreenheinstetten nei confronti di Vienna, offrendogli un uomo così straordinario, che tanto si
era prodigato nella lotta contro i turchi e contro i francesi: siamo orgogliosi che padre Abraham sia
figlio di quel medesimo popolo al quale appartengono tutti coloro che sono qui convenuti; si sa che
i grandi uomini, espressione di una nazione, non provengono dai palazzi, ma nascono invece nelle
umili dimore dei contadini e dei più modesti cittadini”. Il dottor Tomola sottolineò che non
intendeva soltanto richiamarsi con queste parole al nesso tra padre Abraham e Karl Lueger (la cui
madre, pure, era sveva), ma anche ai “legami di sangue che univano Kreenheinstetten a Vienna
[che], mano nella mano, salutano oggi l’opera compiuta da Abraham in favore dello spirito
tedesco”. La cerimonia terminò con una lettura, fatta da scolari, di poesie di Abraham a Sancta
Clara, tratte dal “florilegio” (Blütenlese) dovuto a Karl Bertsche.»
I cattolici di Kreenheinstetten, di Messkirch e anche di Beuron appartenevano, perlopiù, a un settore
del cattolicesimo tedesco le cui posizioni politiche e religiose erano identiche a quelle dei cristiano-
sociali austriaci raggruppati attorno a Lueger. Il settore tradizionalista, incondizionatamente devoto
alla gerarchia conservatrice, era schierato su scelte politiche diverse, come risulta, ad esempio, da
vari articoli pubblicati in occasione della morte di Lueger sulla rivista «Historisch-politische
Blätter», di proprietà della famiglia Görres.74 Così, nell’articolo In memoria del dottor Lueger, pur
riconoscendo il successo del movimento cristiano-sociale, se ne critica l’antisemitismo e si respinge
ogni identificazione del cattolicesimo nel suo complesso col movimento di Lueger.
L’articolo di Martin Heidegger si può suddividere in due parti essenziali. Nella prima, egli riporta i
discorsi pronunciati e descrive in una prospettiva personale l’atmosfera che aveva improntato i
festeggiamenti. Nella seconda, discorre del significato che, a parer suo, va attribuito ad Abraham a
Sancta Clara e all’inaugurazione del monumento. Quanto alla descrizione, Heidegger si muove su
linee diverse rispetto ai giornalisti inviati per riferire dell’avvenimento, mettendo in rilievo sia la
semplicità della cittadina e del paesaggio circostante, sia anche la semplicità della cerimonia stessa:
«Ciò che dà a questo evento la sua impronta peculiare, è il suo tono naturale, sano e schietto, a tratti
rude. L’umile villaggio con i suoi abitanti tenaci, fieri e schivi, si adagia in una valle profonda (...)
Questa contrada dai contorni appena marcati, le abetaie scure e velate di nebbia, il
calcare abbagliante che manda qua e là fasci di luce improvvisi, creano un quadro dall’atmosfera
suggestiva (...) Tale semplicità, limpidità e verità di forme assume la cerimonia di inaugurazione del
monumento. » Heidegger si occupa poi dei discorsi, iniziando da quello del curato di Engelswies,
che aveva espresso la sua gratitudine alla città di Vienna per aver tanto fatto, nell’occasione, «per
salvaguardare l’onore del suo predicatore». Heidegger loda il discorso dello stimabile
rappresentante di Vienna, per il quale Abraham era stato inviato dalla provvidenza, proprio come,
dopo di lui, lo furono «Clemens Maria Hofbauer e l’indimenticabile Lueger»: «Le parole
raffinate, la fedeltà alle proprie convinzioni e l’amore per il popolo di questo austriaco agirono
come un incanto.»
Scrivendo del discorso che fu poi pronunciato dall’oratore ufficiale, il curato Mart di Eigeltingen
(«anche lui figlio della rude montagna dell’Heuberg»), Heidegger sottolinea che «attraverso di lui si
sono espressi la forza, la fede incrollabile, l’amore di Dio di un cattolicesimo originario». E
aggiunge: «Bisogna conoscere l’ambiente di Kreenheinstetten, essersi profondamente
compenetrati nella mentalità e nel modo di vivere degli abitanti di Heuberg, per capire pienamente
il carattere e il fascino unico di padre Abraham. » Heidegger passa quindi a considerare il
monumento e, attraverso la peculiare descrizione che ne fa, in realtà manifesta con chiarezza la sua
opinione sulla personalità di Abraham:
«La testa geniale (che assomiglia un po’ al vecchio Goethe), lascia trasparire dietro la fronte alta e
scultorea quello spirito profondo e inesauribile, attivato da un’energia inflessibile e indomita, da
una spinta impulsiva e incessante all’azione. La salute del popolo nell’anima e nel corpo, ecco ciò
che ricercava questo predicatore veramente apostolico.»
Abraham a Sancta Clara ne emerge dunque come un’esemplare figura di guida che opera con
energia per la salute del corpo e dell’anima del popolo.
«La storia letteraria e culturale ha riveduto il suo giudizio su colui che una volta veniva chiamato il
“burlone”. Il suo umore malizioso, la sua arguzia spiritosa, la sua ironia spesso mordace, avvolti in
un linguaggio conciso, pregnante, agile e duttile, si possono capire solamente nella realtà effettiva
di un genio oratorio, dalle attitudini artistico-creative. »
Questo genio plasmatore deve diventare, secondo Heidegger, un modello, in contrapposizione alla
cultura dell’epoca presente: «Che la nostra epoca di cultura esteriore ed effimera guardi al futuro
con occhi più attenti al passato! La furia di rinnovamento che tutto sradica, questo folle
scavalcamento di tutti i più profondi contenuti spirituali della vita e dell’arte, il senso moderno della
vita che guarda alla perenne labilità delle seduzioni momentanee (...) ecco altrettanti sintomi di una
decadenza, di un triste declino della sanità e del valore trascendente della vita».
Palesemente la critica della cultura, qui prospettata da Heidegger, va ben oltre un tradizionalismo
conservatore; collocando il problema nel quadro dell’opposizione salute/malattia (valori di un
passato autentico/valori di un presente liberale e secolarizzato), egli esorta a una controffensiva
«spirituale», aggressiva almeno per le sue potenzialità. E più ancora allorché assume come modello,
per l’azione e per la lotta, proprio Abraham a Sancta Clara:
«Tipi come Abraham a Sancta Clara, mentre esercitano perennemente la loro tacita azione
nell’anima del popolo, devono restare vivi in noi. Possano i suoi scritti avere una maggiore
circolazione, e il suo spirito (...) diventare un fermento potente per mantenere la nostra salute e, ove
la necessità lo reclami, per la rinnovata salvezza dell’anima del popolo.»
Dal testo originale si evince che le prime letture fatte da Heidegger delle opere del predicatore
passarono attraverso il florilegio, compilato da Karl Bertsche nel 1910. Questa antologia, e
segnatamente l’interpretazione proposta nell’introduzione, può dunque essere considerata un punto
di riferimento. L’analisi di Bertsche risulta perfettamente omogenea a quella dei cristiano-sociali e
serve da traccia a Heidegger. Dal Judas, der Erzschelm (Giuda, la grande canaglia) di Abraham,
Bertsche estrae questa citazione: «Chi nasce sotto un tetto di paglia, non ha soltanto paglia nella
testa»,75 e la applica allo stesso Abraham, aggiungendo che «la verità ha la sua più fida patria tra la
gente di campagna e nei villaggi, non ancora contaminati dalla peste dell’ipocrisia che devasta i
palazzi». Bertsche concede anche notevole spazio a passi di Abraham in cui si esprime un
nazionalismo esasperato.76
Quanto all’inequivocabile antisemitismo di Abraham a Sancta Clara, Bertsche vi fa riferimento con
un linguaggio eufemistico: nelle polemiche con i «seguaci di altre confessioni», padre Abraham a
Sancta Clara sarebbe stato «figlio della sua epoca», anche per «lo stile, che, alle orecchie raffinate
del secolo xx, può suonare aspro e grossolano».77 Per il resto, la scelta dei brani del florilegio
risponde a criteri tematici: «La vita cittadina»,78 «La vanità della vita terrena»,79 «Ricchi e
poveri»,80 «La morte»,81 «La coscienza (Gewissen)».82 Purtroppo, la significatività del testo di
Bertsche nella formazione filosofica e politica di Heidegger non può essere colta dai lettori che si
affidino fiduciosamente alle Opere complete: infatti, senza che ne venga data alcuna ragione,
l’articolo su Abraham a Sancta Clara vi è riprodotto senza la citazione dell’antologia di Bertsche,
che Heidegger stesso vi aveva inclusa nel 1910.83
Si tratta di una questione di non trascurabile rilievo: Karl Bertsche, infatti, pubblicherà a Vienna, nel
1943 le opere postume di Abraham a Sancta Clara, grazie all’esplicito intervento e sostegno di
Baldur von Schirach, Reichsstatthalter (governatore del Reich) nell’Austria occupata. Torneremo
sulla vicenda più oltre, quando verranno analizzati contesto e contenuto della conferenza - suo
secondo intervento sull’argomento - dedicata da Heidegger, nel 1964, ad Abraham a Sancta Clara.
Non ci sembra inutile spendere qualche parola anche sulla rivista, l'«Allgemeine Rundschau», su
cui fu pubblicato il primo scritto di Heidegger. Fondata da Arnim Krausen e sostanzialmente fedele
al programma politico dello Zentrum, in essa trovano particolare risonanza le posizioni cristiano-
sociali e antisemite. Nel numero 12, uscito solo qualche mese prima del fascicolo in cui compare
l’articolo di Heidegger, si poteva leggere, in un contributo in memoria del dottor Lueger, da poco
scomparso: «Quando Lueger fu eletto al parlamento austriaco ebbe diretta e immediata occasione di
costatare la generale corruzione e di individuarne la causa; per affrancare la patria, comprese che
occorreva innanzitutto schiacciare il liberalismo, le cui fila erano tirate dagli ebrei, e fondare un
nuovo partito: quel partito che doveva in seguito portarlo fino alla carica di sindaco (...) E' tra il
1875 e il 1896 che si svolse la lotta, invero grandiosa, contro il liberalismo giudaico, infiltratosi a
Vienna ormai da generazioni (...) Lueger, in un primo tempo, credette di poter raggiungere questo
scopo operando con il Partito democratico. Ma il disgusto per gli ebrei che vi si erano insediati lo
spinse a cambiare partito», cioè, ad assumere l’iniziativa di fondare il movimento cristiano-sociale.
A partire dal 1913 l’«Allgemeine Rundschau» diviene ancora più radicale nel suo antisemitismo e
nella sua opposizione alla socialdemocrazia. Ecco qualche titolo: La stampa giudaica e la
socialdemocrazia, Nazionalismo tedesco e cristianesimo sociale, Richard Wagner, Il Radicalismo
nel Baden. 84 Tuttavia il nazionalsocialismo nella sua scalata al potere non troverà appoggio nella
rivista, la cui successiva evoluzione la porterà, anzi, a pronunciarsi contro la legalizzazione della
NSDAP.85
Ci interessa ora tornare sul nesso tra Heidegger e il culto di cui era fatto oggetto, nella sua regione
natale, Abraham a Sancta Clara. Malgrado la giovane età, Martin Heidegger era già una figura
nota tra i suoi conterranei, ed è per questo che ci imbattiamo in lui in occasione dell’omaggio reso
al monaco agostiniano. Così il quotidiano cattolico di Messkirch, l’«Heuberger Volksblatt», nel
numero del 12 luglio 1909, dà notizia ai lettori che «il giovane Martin Heidegger, figlio studioso e
di grande talento del sacrestano Friedrich Heidegger, ha conseguito la maturità a Friburgo con
un’ottima votazione e intende dedicarsi allo studio della teologia».
Il 3 settembre 1909 si poteva leggere sul medesimo giornale che «un rinnovato e vivo entusiasmo
per Abraham a Sancta Clara si va diffondendo tra gli studenti. È nata così l’idea di organizzare in
tutta semplicità una festa in onore di questo grande personaggio». La festa, che si svolse il 6
settembre nella vicina località di Hausen im Tal, attrasse un vasto pubblico. In data 10 settembre
sempre l’«Heuberger Volksblatt» riporta che parecchi studenti assistettero alla cerimonia:
«Erano venuti tutti con la medesima intenzione: rendere omaggio al nostro grande compatriota,
Abraham a Sancta Clara, ricordare la sua opera per trovarvi una carica d’entusiasmo, un ideale
nuovo per il nostro impegno professionale (...) Fin dall’inizio eravamo coscienti delle difficoltà da
sormontare perché i festeggiamenti potessero realmente aver luogo. Si dovette dapprima suscitare
l’entusiasmo e risvegliare l’energia di ciascuno e ciò non richiese molto tempo; poi designare chi
avrebbe dovuto pronunciare i discorsi e occuparsi delle incombenze pratiche: l’andamento della
cerimonia mostra con sufficiente chiarezza come le scelte fatte fossero state felici (...) La presidenza
fu tenuta, con grande abilità ed equilibrio, dallo studente di teologia Martin Heidegger di
Messkirch.
Egli diede inizio alla commemorazione con parole poeticamente ispirate e, nella sua breve
allocuzione, rammentò quale fosse stato lo slancio ideale che aveva portato il pubblico in quei
luoghi, e cioè la volontà di rendere omaggio al grande scrittore e predicatore Abraham a Sancta
Clara.»
Il giornalista descrive quindi i momenti salienti della cerimonia per poi arrivare al discorso
pronunciato da Heidegger: «Quando i presenti ebbero terminato di cantare inni, il presidente
Heidegger parlò, con uno stile classicamente composto, delle polemiche letterarie che agitavano il
cattolicesimo tedesco. Egli espose, in termini acconci, la disputa tra le riviste “Hochland” e “Der
Gral”, e mostrò chiaramente come “Hochland”, avventurandosi sempre più lontano nelle acque del
modernismo, con le sue eccessive critiche nei confronti degli scrittori cattolici, rischiasse di portare
alla rovina il progetto del suo fondatore Karl Muth. C’è da augurarsi che questo discorso, assai
obiettivo e perspicuo nel mettere in luce tanto gli aspetti positivi che quelli negativi di entrambe le
parti, possa essere largamente conosciuto. Heidegger terminò raccomandando con calore ai presenti,
rivolgendosi in particolare ai liceali, di abbonarsi a “Der Gral” e di diventare membri
dell’associazione che pubblica questa rivista. Il suo intervento sollevò fervidi applausi. »
L’«Heuberger Volksblatt» ricorda ancora la lettura, fatta dallo studente di filosofia Neusch, di alcuni
passi del Judas di Abraham a Sancta Clara, per così concludere: «Dopo che Heidegger ebbe infine
ringraziato tutti coloro che avevano contribuito al successo della cerimonia, questa si chiuse
intonando un ultimo inno. » A questa celebrazione fece seguito una seconda, organizzata dagli
studenti della Realschule di Messkirch nel dicembre 1909.86
La polemica, della quale Heidegger aveva fatto l’oggetto centrale del suo intervento, era quel
Literaturstreit (battaglia letteraria) che tanto infiammava allora i cattolici tedeschi, opponendo,
sostanzialmente, i settori ultraconservatori e integralisti, che avevano il loro ideologo nel viennese
Richard von Kralik, ai modernisti che avevano, invece, come riferimento Karl Muth. Le rispettive
riviste, «Der Gral» e «Hochland», sostenevano posizioni esplicitamente contrapposte quanto
all’atteggiamento che i cattolici tedeschi dovevano assumere rispetto alla cultura moderna e ai
problemi che questa poneva alla Chiesa e al dogma. Secondo von Kralik, la cultura
cattolica, costretta sulla difensiva in conseguenza del Kulturkampf, avrebbe dovuto tornare alle
proprie origini e forgiare una letteratura e una scienza specificamente cattoliche, conformandosi, in
spirito di totale obbedienza, alle volontà di Roma.87 Von Kralik e la sua rivista vedevano in Karl
Muth e nell’«Hochland» la tentazione di trovare ammaestramenti nella cultura non cattolica e
denunciavano questa posizione come un tradimento delle idee cattoliche, per loro essenza, superiori
e veridiche.88 Papa Pio X intervenne personalmente nella polemica indirizzando a von Kralik una
lettera che ne avallava le posizioni.89 Richard von Kralik era, a quell’epoca, il principale esponente
del cattolicesimo integralista, che, pur molto influente nella Germania meridionale, aveva la sua
roccaforte ideologica a Vienna.
I suoi seguaci diedero vita a una struttura militante, il Gralbund, di cui il giovane Heidegger divenne
membro e, all’interno della quale, egli sembra aver svolto importanti funzioni. Già l’appellativo
del gruppo, di per sé, denota con chiarezza come esso si possa inserire nella tendenza bündisch, che,
parallelamente e nel quadro della Jugendbewegung (movimento giovanile), si sarebbe ben presto
trasformata nella gioventù völkisch, immediata precorritrice del nazionalsocialismo. In Austria i
bündische fecero la loro comparsa nelle classi medie, come gruppi di sostegno agli austriaci di
lingua tedesca che aspiravano a un’identità nazionale «germanica» all’interno di quel conglomerato
di popoli che costituiva allora l’Austria.90 Il Bund raccoglieva i suoi giovani aderenti in una
«comunità», in cui sotto la guida di capi carismatici, si conduceva una «vita semplice»,
contrapposta alla civiltà e alla tecnica, e ci si poneva come scopo la realizzazione di una missione
irripetibile, fondata appunto sul vissuto (Erlebnis) comunitario. Si trattava di riannodare i legami
con ciò che veramente erano il popolo (Volkstum) e le sue tradizioni.91
Il cattolicesimo di von Kralik si presentava come espressione del più puro spirito germanico:
«Come si trova scritto nel libro di Daniele, ogni nazione ha il proprio principio angelico, il proprio
angelo protettore, un genio che la guida. Ma come ciascun membro del corpo organico, sebbene non
posseggano tutti la medesima dignità, svolge una sua funzione, allo stesso modo la Divina
Provvidenza ha affidato ai diversi popoli e Stati missioni e responsabilità differenti. La psicologia
dei popoli dimostra che vi sono popoli attivi e popoli passivi (...) Tacito (...) collocò i germani del
suo tempo ben al di sopra di tutti gli altri popoli, e ciò che egli ammirava era appunto lo spirito
germanico. Questo fatto costituisce, come ha ben visto Jakob Grimm, l’albo d’onore dei germani di
tutte le epoche.»92
Questa visione era intimamente connessa all’ideale di un nuovo impero romano germanico, al cui
vertice doveva porsi l’Austria cattolica. Per von Kralik, dei due poli della spiritualità germanica -
l’arianesimo gotico-protestante e il cattolicesimo fränkisch - solo quest’ultimo aveva dato prova di
vitalità storica. In contrasto con la concezione prussiana e protestante, von Kralik sostiene che sono
stati i re carolingi, soprattutto Carlomagno, a creare la grandezza germanica, in stretta
collaborazione con Roma e il papato. L’ideologia grossdeutsch (pantedesca) era, nella sua essenza,
cattolica. L’obiettivo era non di isolare i tedeschi, bensì di unificarli, insieme ai danesi, di stirpe
germanica, e agli slavi della Boemia, con gli ungheresi, che, molto presto, avevano accolto i valori
tedeschi.
«Il popolo tedesco non muore, esso è sostanzialmente sano, cresce, si sviluppa, è adatto alla vita;
costituisce un popolo assai più del popolo francese e degli altri suoi rivali (...) Non è un caso che
deutsch significhi la medesima cosa di völkisch; infatti fin dalla Germania di Tacito, il popolo
tedesco è il solo che meriti questo nome in tutto il periodo postclassico. Tutto ciò che ha valore
nazionale (völkisch), politico e culturale, dall’antichità in poi, in Italia, Spagna, Gallia, Britannia,
Russia ecc., lo si deve all’influenza germanica. Dopo Cristo il mondo progredisce diventando
germanico e cristiano (...) L’idea del grande impero germanico è indistruttibile.»95
Così dunque le idee di von Kralik, «rivoluzionarie» e nello stesso tempo conservatrici, seguono,
d’altronde esplicitamente, il solco tracciato da Richard Wagner - di cui egli si considerava il
continuatore -94 e dal neoromanticismo austriaco, i cui precursori sarebbero stati il redentorista
Clemens Maria Hofbauer e Friedrich von Schlegel.95
«L’idea di Reich è indissolubilmente legata al romanticismo tedesco, che, per essere rigorosi,
andrebbe denominato germanesimo. Questo ideale viene plasmato fin dal 1871 ad opera di Richard
Wagner, come antitesi al bismarckismo: Bayreuth, i Nibelunghi, Parsifal... Qui dovrebbero appunto
innestarsi una nuova poesia, una nuova arte, una nuova scienza cattoliche.»96
«È dall’Austria, patria del canto dei Nibelunghi, di Walter von der Vogelweide, di Grillparzer e di
Raimund, nonché dalla Germania, patria dei nostri classici weimariani, che sempre rinascerà lo
spirito tedesco, bastevolmente almeno per dar vita all’autentica forma grossdeutsch o, per meglio
dire, a ricrearla ancora una volta.»97
«Tutto ciò non va inteso come imperialismo, giacché il popolo tedesco è il solo popolo di
dimensione universale. Gli inglesi e gli americani non sono che polloni della Germania, e ciò che
essi sanno l’hanno appreso dai tedeschi. La madre è stata sempre la Germania. .. »
Von Kralik così conclude: «La letteratura tedesca è l’unica letteratura universale nel senso che è
l’unica in grado di recepire la letteratura di tutti gli altri popoli, e questo grazie a
quell’incomparabile strumento che è la lingua tedesca. Non ve n’è altra allo stesso grado perfetta
(...) Soltanto quando l’umanità accoglierà il magistero spirituale della Germania e dell’Austria,
saprà cos’è la politica, giacché finora non ne ha avuta idea. »98
In questo quadro si situa la funzione che von Kralik attribuisce ad Abraham a Sancta Clara,99 e va
visto anche il suo antisemitismo che, per quanto non esplicitato, funge da fondamento per le sue
opinioni religiose e sociali. Von Kralik non nasconde la sua totale concordanza di vedute con il
dottor Karl Lueger e il movimento cristiano-sociale antisemita.100 Negli archivi civici di Vienna
sono conservati numerosi suoi manoscritti inediti. In alcuni di questi si fa espresso riferimento al
programma, all’organizzazione e all’opzione politica del Gralbund. Nello scritto Der Wiener
Gralbund (Il Gralbund di Vienna), del febbraio 1920, von Kralik asserisce che l’impegno e gli
ideali che animavano il gruppo si radicavano «nella medesima corrente spirituale che aveva
condotto alla vittoria il movimento cristiano-sociale del sindaco, il dottor Karl Lueger» e ricorda
che uno degli iniziali promotori del Gralbund era stato il poeta Franz Eichen «autore di numerosi
canti di lotta cristiano-sociali».
In von Kralik è presente l’idea del ruolo determinante della lingua e della letteratura nella storia.101
Tale concezione comporta la critica dell’arte e della cultura moderne, critica che il giovane
Heidegger fa sua quasi alla lettera nell’articolo del 1910, utilizzando anche la medesima
terminologia. Similmente, i concetti di «anima del popolo» e di «tradizione», di cui Heidegger fa
uso in questo articolo, compaiono nella stessa forma e in un contesto analogo in von Kralik.102
Nella cerchia di Richard von Kralik e del suo movimento troviamo anche J. Weiss (1820-1899),
storico e teologo cattolico che aveva dato il proprio nome alla fondazione grazie a cui Heidegger
ottenne poi una borsa che contribuì al finanziamento dei suoi studi. Weiss era autore di un
monumentale trattato di storia in ventidue tomi,10’ che sarà portato a compimento dopo la sua morte
proprio da Richard von Kralik. Altre figure degne di nota, dell’entourage, sono Karl Bertsche, che
scrisse su Abraham a Sancta Clara per «Der Gral»,104 e Joseph Nadler, discepolo di von Kralik e
collaboratore di «Der Gral».105 La corrispondenza tra Nadler e von Kralik, conservata negli archivi
civici di Vienna, ci permette di cogliere in che misura i «patriarchi» integralisti influenzassero la
gioventù dell’epoca; ne emerge con chiarezza come il «movimento della gioventù» obbedisse a
indicazioni esterne, ideologicamente connesse a precise forze, sociali e politiche, tradizionali.

Capitolo 4. Da Friburgo a Marburgo


Gli studi all’Università di Friburgo
Fu, assai probabilmente, lo storico Heinrich Finke, membro autorevole dello Zentrum, a mettere in
contatto Martin Heidegger con l'« Allgemeine Rundschau», espressione di alcune frange radicali
del partito cattolico. A quanto si desume dall’articolo di Casper, Heidegger, nel periodo in cui studiò
alla Facoltà di teologia, intrattenne stretti rapporti con Finke, di cui seguì i corsi. Casper ci informa
che Heidegger, dopo essersi ritirato dal seminario cattolico di Friburgo, si iscrisse regolarmente alla
Facoltà di matematica e scienze naturali, appena istituita, nonostante il suo preminente interesse per
la storia.106 I documenti consultati da Casper attestano che Heidegger terminò gli studi di
matematica nell’estate del 1913.107 A quell’epoca Heidegger e Finke erano molto vicini; dalle
annotazioni biografiche di un loro comune amico, il professor Engelbert Krebs, Casper ha estratto il
seguente passo, datato 14 novembre 1913, concernente Heidegger: «Oggi pomeriggio è venuto a
trovarmi Heidegger e mi ha raccontato che Finke l’aveva fermato per strada, con l’intenzione di
sollecitarlo a lavorare a una tesi di carattere storico-filosofico, in un tono che lasciava chiaramente
intendere di tenersi pronto a poter presentare la propria candidatura, data la disponibilità di
questa cattedra.»108 L’adesione di Heidegger al cattolicesimo spiega anche, verosimilmente,
l’amicizia con Krebs, professore di dogmatica alla Facoltà di teologia. Krebs, infatti, era stato tra i
direttori spirituali che si prendevano cura dei seminaristi nel periodo in cui il filosofo studiò al
Konvikt di Friburgo. E fu lui, attorno al 1913, ad appoggiare
più di chiunque altro l’idea di cooptare Heidegger nel corpo docente della Facoltà di teologia,
affidandogli la cattedra di filosofia cattolica.
La tesi di dottorato in filosofia di Martin Heidegger, Die Lehre vom Urteil im Psychologismus (La
dottrina del giudizio nello psicologismo, Friburgo 1914), sostenuta davanti alla Facoltà di
filosofia di Friburgo nel 1913, ebbe come primo relatore un giovane professore cattolico, Arthur
Schneider. Questa circostanza è indicativa dei rapporti di Heidegger sia con la Facoltà che con la
Chiesa in quel periodo. Egli, infatti, non si rivolse a Heinrich Rickert, il più prestigioso filosofo di
Friburgo, ma a un docente relativamente poco conosciuto, la cui unica opera era una Psychologie
Alherts des Grossen (Psicologia di Alberto Magno).109 Il 31 luglio 1915, Martin
Heidegger ricevette la venia legendi che faceva di lui un libero docente (Privatdozent)
dell’Università di Friburgo. La sua dissertazione di abilitazione, Die Kategorien- und
Bedeutungslehre des Duns Scotus (La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto), ebbe
anch’essa come primo relatore Schneider, stando, almeno, a una nota indirizzata dallo stesso
Heidegger a Georg Misch, in risposta a una richiesta di documentazione da parte dell’Università di
Gottinga su cui si tornerà in seguito. Nel saggio sulla dottrina del giudizio nello psicologismo, la
critica di Heidegger si fonda sull’affermazione di una consistenza intenzionale delle leggi logiche,
partendo dalla medesima concezione di Husserl relativamente ai fenomeni psichici. La lettura delle
Logische Untersuchungen (Ricerche logiche) da parte di Heidegger doveva già essere iniziata in
seminario,110 ma ad essa va aggiunta l’influenza di Heinrich Rickert. Casper ci riferisce che
Heidegger ne ascoltò le lezioni nel semestre estivo del 1912, quando Rickert tenne un corso di
«Introduzione alla logica e alla metafisica» e diresse un seminario intitolato «Esercizi di teoria della
conoscenza, intorno alla dottrina del giudizio».111
La prima guerra mondiale
Tra il 1914 e il 1919 l’evoluzione filosofica, politica e religiosa di Martin Heidegger vede una serie
di tappe significative. Secondo i dati che fornì egli stesso, nel 1933-34, al Führer-Lexikon,
Heidegger si sarebbe arruolato come volontario nell’agosto del 1914 e sarebbe poi stato esonerato
nell'ottobre dello stesso anno. Tra il 1915 e il 1917 avrebbe prestato servizio nelPufficio di controllo
postale di Friburgo. Nel 1918 sarebbe stato al fronte in qualità di fante moschettiere del battaglione
di riserva delPundicesimo reggimento di fanteria; avrebbe, infine, prestato servizio nella stazione
meteorologica delle truppe di stanza a Verdun.
I documenti che abbiamo potuto consultare al Krankenbuchlager di Berlino rivelano alcune
differenze rispetto al curriculum steso da Heidegger per il Lexicon nazionalsocialista. Vi si trova
soltanto traccia, infatti, del suo ingresso in qualità di fante moschettiere, il 18 settembre 1915, nel
secondo reggimento di fanteria, acquartierato a Mülheim, e del suo esonero, per non attitudine al
servizio attivo, il 16 ottobre 1915. Non siamo ancora riusciti a trovare documenti relativi al servizio
militare che Heidegger deve aver effettuato in precedenza. Tuttavia, se si tiene conto delle
dichiarazioni successivamente fatte dallo stesso Heidegger, risulta difficile pensare che il
suo rapporto con la vita militare si sia limitato a quanto siamo stati in grado di verificare. Le fonti
tacciono anche sugli scritti eventualmente pubblicati da Heidegger a proposito della guerra
mondiale. Le considerazioni che egli farà in seguito sul tema della guerra, e quelle, soprattutto, sul
suo camerata Albert Leo Schlageter, fanno supporre che Heidegger deve aver fatto riferimento alla
guerra mondiale in affermazioni pubbliche o nella sua corrispondenza. La cosa è tanto più
plausibile se si pensa che tutti gli insegnanti universitari tedeschi appartenenti al medesimo
schieramento ideologico di Heidegger, e anche altri di posizione più moderata e tradizionalistica,
manifesteranno la loro adesione alla politica aggressiva del Reich con dichiarazioni infiammate,
prima ancora dell’inizio delle ostilità.112
Ciò vale in particolare per alcuni personaggi molto vicini a Heidegger. Karl Bertsche, ad esempio,
pubblicò una scelta di testi di Abraham a Sancta Clara, Kriegsbrot für die Seele (La guerra,
nutrimento dell’anima), allo scopo di fornire un’arma religiosa per i soldati al fronte. Bertsche così
scriveva nell’introduzione:
«Così come alla morte, alla malattia e all’indigenza, sue simili, alla guerra è stata destinata una
grande missione: mettere alla prova i pellegrini della terra, mobilitarli (...), giacché l’uomo in tempo
di pace si infiacchisce, mentre la guerra è suscitatrice di forza, e tutto esalta fino all’estremo (...) Si
è detto di Abraham che era un guerriero della morale. Quanto è vero! Egli si esprime come un
soldato, come un combattente. La sua stessa natura è, in realtà, guerriera in ogni più piccola parte,
traboccante di coraggio personale, estranea ad ogni timore, imbevuta di spirito di sacrificio per la
patria. Per questo motivo egli appare oggi come il caloroso amico dei soldati, come lo zelante
cappellano del reggimento.»
Il testo vero e proprio consiste in un montaggio attraverso cui Bertsche attualizza i sermoni e gli
scritti del monaco agostiniano contro i turchi e gli ebrei: «Venga pure il nemico con i suoi
selvaggi, siano essi neri, bianchi, bruni o persino gialli, siano selvaggi in parte, in tutto o per metà.
Noi non li temiamo, perché Dio è al nostro fianco! (...) In alto i cuori, cristiani tedeschi! Vendicate il
sangue versato dei vostri fratelli cristiani, divorati da una fiera selvaggia, dalla bestia russa assetata
di sangue!»113
Va anche messa in rilievo l'intensa attività dispiegata da Heinrich Finke per organizzare la risposta
degli insegnanti universitari cattolici di fronte agli attacchi dei vescovi e dei fedeli francesi, che
accusavano i cattolici tedeschi «di arroganza germanica e di spregio dei popoli latini».114 Finke
costituì nel 1915 un Comitato permanente per la difesa degli interessi tedeschi e cattolici nella
guerra mondiale, che si occupava della diffusione di pubblicazioni che contrastassero l’offensiva
ideologica del nemico. Uno dei responsabili, per conto del Comitato, dei «Monatshefte» era
appunto il professor Engelbert Krebs, autore anche di numerosi opuscoli sulla guerra; tra questi va
segnalato Das Geheimnis unserer Stärke. Gedanken über den Grossen Krieg (Il segreto della nostra
forza. Riflessioni sulla grande guerra),115 in cui la religione viene vista come una componente
della guerra. Egli scrisse ancora, in francese, L' amministrazione dei prigionieri di guerra in
Germania.116 Ed è in questo stesso periodo che Georg von Below svolge un ruolo di primo piano
nel Partito patriottico, la più aggressiva organizzazione politica tedesca del tempo, duramente critica
nei confronti degli altri gruppi della destra tedesca per il loro rifiuto della violenza.
A differenza della maggioranza dell'opinione pubblica tedesca, il Partito patriottico si oppose a
oltranza alla «pace vergognosa», chiamando la nazione a uno sforzo sovrumano in modo da
poter ottenere un armistizio che riconoscesse alla Germania le posizioni occupate all’inizio del
conflitto.117 Vista l'influenza esercitata da Heinrich Rickert sulla formazione di Heidegger, può
essere utile esaminarne le opinioni sulla guerra mondiale; esse si trovano espresse con estrema
chiarezza nella corrispondenza con un discepolo e amico di Heidegger, Emil Lask, che era al fronte.
Il 28 maggio 1915 Rickert scriveva a Lask:
«Non condivido il profondo disinganno che l'Italia ha cagionato in molti altri, fino a ferirli al cuore.
Tanto l'Italia è magnifica come paese, altrettanto gli italiani, in particolare quelli che ho potuto
frequentare, mi sembrano sgradevoli. Dal canto mio, penso che il governo italiano si stia
comportando come un fiaccheraio fiorentino: se ci si limita a dare a uno di questi signori quanto è
previsto dalle loro tariffe, costui si abbandona a una sorta di “indignazione morale”, considera
minacciato “il proprio patrimonio più sacro” e si raccoglie attorno, strepitando, una calca di
individui fortemente sospetti; si è, così, costretti ad acconsentire alle loro richieste, e al più presto,
per evitare una scena ignobile. Sul significato del gesto italiano in relazione allo svolgimento della
guerra, non sono in grado di esprimere un giudizio. Ma cerco di pensare il meno possibile alla
Triplice Alleanza, a questo punto a pezzi. Per noi è ormai inutile guardarsi indietro. »118
Per finire citiamo la posizione di Lask, al quale Heidegger, più tardi, dedicherà - con le parole
«nella sua lontana tomba di soldato» - uno scritto, come «segno di riconoscenza». Questo giovane
soldato, nel novembre 1914, scriveva alla madre: «Infine è giunto il momento di partire. La mia
insofferenza era al limite, e in me era fortissimo il sentimento di essere inerte quando, invece, si
sarebbero dovute utilizzare completamente tutte le forze disponibili, il sentimento di quando tutto è
in gioco e diventa intollerabile non portare alcun contributo, sia pure minimo.»119
Martin Heidegger professore di filosofia cattolica. La crisi del modernismo e la rottura con la
Chiesa.
L’offerta di tenere dei corsi di filosofia, fatta a Heidegger dalla Facoltà di teologia, si spiega
sicuramente con la grande stima nutrita per lui da Engelbert Krebs. Nel semestre invernale 1915-16
Heidegger scelse come argomento la storia della filosofia antica. Nel seme-stre estivo del 1916 egli
condusse, in collaborazione con Krebs, un seminario su testi di Aristotele. Per il semestre invernale
1916-17 ebbe, da parte del Ministero della Cultura del Baden, la proposta di impartire un
insegnamento «nel quadro della filosofia cattolica», che si concretizzò in un corso sulle «questioni
fondamentali della logica».120 I rapporti tra Heidegger ed Engelbert Krebs andavano al di là di una
semplice amicizia accademica: fu, infatti, Krebs a benedire, nel 1917, l’unione di Martin Heidegger
con Elfriede Petri nella cattedrale di Friburgo. Elfriede Petti, figlia di un ufficiale della Reichswehr,
era di famiglia protestante e rimase fedele alla sua confessione.
Tutto lasciava allora pensare che Martin Heidegger dovesse iniziare la carriera universitaria
ricoprendo la cattedra vacante presso la Facoltà di teologia deU’Università di Friburgo. Ma non
andò così: la Facoltà e l’Arcivescovado designarono alla fine, come professore, Joseph Geyser, che
avviò la sua attività di insegnamento nel semestre estivo del 1917.121 Questa vicenda produsse in
Heidegger una profonda delusione; ad essa va probabilmente ricollegato, almeno in parte, il suo
iniziale distacco dalla Chiesa, che aveva, però, anche motivazioni dottrinali. Nel periodo in cui
Martin Heidegger insegnò alla Facoltà di teologia di Friburgo, divampavano nel mondo cattolico
roventi polemiche sulla questione del modernismo. Questa corrente di pensiero, sviluppatasi tra i
teologi cattolici attorno al 1900, esercitò un notevole influsso sulla filosofia e sulla dottrina
sociale della Chiesa. Partendo da problematiche relative alla filosofia della religione, alla storia del
dogma, all’apologetica e all’esegesi dei testi sacri, i modernisti si pronunciarono a favore della
possibilità di un’esperienza naturale della divinità, respingendo quindi il carattere soprannaturale
del dogma e della Chiesa. A quest’ultima spettava il compito di rielaborare razionalmente
l’esperienza religiosa e, su tale base, i modernisti erano dell’opinione che Chiesa e Stato
appartenessero ad ambiti di per sé stessi separati.
Pio X condannò il modernismo, nel 1907, con l’enciclica Pascendi dominici gregis, e decretò nel
1910 che tutti i membri del clero, ivi compresi i professori di teologia e di filosofia cattolica,
dovessero prestare un giuramento antimodernista per potersi dedicare all’apostolato o
all’insegnamento.122 Questo intervento scatenò aspri contrasti nelle università tedesche.
L’Associazione dei professori universitari (Hochscbulverband), riunitasi a Dresda nell’ottobre 1911,
decise che i colleghi che avessero prestato giuramento ne sarebbero stati estromessi. Nel
Baden, regione in cui sembra sia nata l’iniziativa, numerosi professori giunsero fino a reclamare
l’espulsione dall’università di coloro che si fossero sottomessi alla decisione del papa. Il governo
del Baden accolse inizialmente questa istanza, ma tornò rapidamente sui suoi passi, per
sollecitazione del governo prussiano. Per quanto riguarda la Facoltà di teologia di Friburgo, è
probabile che si trovasse allora in una situazione di relativo isolamento. Comunque sia, stando alla
già menzionata relazione su Martin Heidegger, dovuta a Georg Misch e chiaramente redatta sulla
base di informazioni fornite dallo stesso Heidegger, egli avrebbe definitivamente abbandonato la
Facoltà di teologia e anche la Chiesa per la sua ripulsa delle disposizioni promulgate da Roma. La
questione non risulta comunque molto trasparente, poiché non è difficile cogliere, nella relazione di
Misch, come l’allontanamento dalla Chiesa si proponesse anche l’obiettivo di accrescere le
opportunità di Heidegger nei confronti della Facoltà di filosofia di Gottinga.
Karl Braig, che, come Krebs, era stato direttore spirituale al Konvikt di Friburgo nel periodo in cui
vi studiò Heidegger, era la personalità di maggior spicco, all’Università di Friburgo, tra i difensori
delle decisioni papali. Nella sua opera Der Modernismus und die Freiheit der Wissenschaft (Il
modernismo e la libertà della scienza),123 Braig nega che i modernisti abbiano veramente a cuore la
libertà di pensiero e l’autentica ricerca razionale. In altri lavori egli mette in guardia gli intellettuali
cattolici contro i pericoli connessi all’apostolato modernista.124
Questi fattori, insieme, portarono al distacco definitivo di Heidegger tanto dalla Facoltà di teologia
che dalla Chiesa. In una lettera del 9 gennaio 1919 indirizzata a Engelbert Krebs, Martin
Heidegger espone le ragioni in base alle quali ha preso la decisione di dedicare d’ora in poi il suo
impegno alla sola filosofia. Si tratta, egli dice, di opzioni gnoseologiche, concernenti anche la teoria
della conoscenza storica, che hanno reso, ai suoi occhi, problematico e inaccettabile il cattolicesimo
come sistema, non però il cristianesimo e la metafisica (questa, certamente, intesa in una nuova
accezione). Heidegger asserisce di aver saputo cogliere i valori espressi dal cattolicesimo medievale
«meglio forse dei suoi interpreti ufficiali» e assicura che le sue future ricerche sulla fenomenologia
della religione testimonieranno del suo apprezzamento nei confronti dell’universo del cattolicesimo.
Dopo aver rinnovato i propri sensi di amicizia, Heidegger si congeda da Engelbert Krebs
affermando di aver fede nella propria vocazione filosofica e di essere convinto di potere, grazie ad
essa, «giustificare la [sua] esistenza e il [suo] operato davanti a Dio».125 Prima di ricevere e di
accettare la proposta che gli avrebbe fatto qualche tempo dopo l’Università di Marburgo, Heidegger
tenne ancora tre corsi su temi specificamente legati alla teologia: nel semestre invernale 1919-20,
«Le basi filosofiche della mistica medievale»; nel semestre invernale 1920-21, «Introduzione alla
fenomenologia della religione»; nel semestre estivo 1921, «Sant’Agostino e il neoplatonismo».126
Heidegger ruppe, indubbiamente, col cattolicesimo attorno al 1919; tuttavia il suo atteggiamento
rispetto alla Chiesa mantenne sempre un carattere di ambivalenza. Si arriverà all’esito sconcertante
di un Heidegger che si dichiarerà espressamente cattolico nei questionari del Ministero
dell’Educazione,127 proprio durante la crisi dell’associazione studentesca Ripuaria, nel corso della
quale darà prova di un acceso anticlericalismo. Ma occorre ancora, per concludere, ricordare un
altro avvenimento che probabilmente concorse ad allontanare Martin Heidegger dalla Chiesa
cattolica. La sconfitta tedesca e l’instaurazione della Repubblica di Weimar comportarono una serie
di cambiamenti nella società tedesca degli anni venti, con un diretto risvolto sull’orientamento e la
gestione della politica universitaria. Le nomine dei professori, subordinate in ultima istanza al
Ministero dell’Educazione, dipendevano ormai da un centro di potere repubblicano, su cui la Chiesa
non aveva più alcuna sensibile influenza. È abbastanza ovvio pensare che la maggioranza dei
professori che iniziavano allora la carriera universitaria si adattassero alla nuova situazione politica
e, per questo motivo, prendessero le distanze di fronte a un confessionalismo ridotto sulla difensiva,
almeno per quanto riguardava il peso esercitato negli organismi ministeriali.
Tuttavia, a conferma dell’ambivalenza dei rapporti di Heidegger con la Chiesa cattolica, può essere
utile fare riferimento, con tutte le riserve del caso, al diario del professore di teologia - e maestro di
esercizi spirituali di Heidegger al seminario di Friburgo - Engel-55
bert Krebs, diario conservato nel legato Krebs della Facoltà di teologia di Friburgo.
Il diario menziona il trasferimento di Heidegger all’Università di Marburgo. Sabato 23 giugno
1923, Krebs scrive: «Heidegger è stato nominato ordinario di filosofia a Marburgo. Questo fatto
avrà certo importanza per la sua concezione del mondo.» Il 1° settembre 1923: «Questa sera, dopo
cena, abbiamo visto il collega Heidegger (...) Gli ho domandato se non fosse per caso tornato alla
fede e al dogma cattolico. Mi ha risposto: “Assolutamente no, per il momento.” Lavora, però, molto
su sant’Agostino, san Tommaso e Aristotele. Ho avuto l’impressione, durante la nostra
conversazione, di ascoltare l’amico di sempre, e di trovarmi seduto di fronte all’autentico
saggio cattolico. Credo che questo incontro ci abbia di nuovo avvicinati.»
Husserl a Friburgo
L’arrivo a Friburgo di Edmund Husserl, nel 1916, per ricoprire il posto lasciato libero da Rickert,
passato a sua volta a Heidelberg sulla cattedra che era stata di Windelband, apre un nuovo
periodo nella vita di Martin Heidegger. La presenza di Husserl non costituirà soltanto il riferimento
essenziale per tutta una generazione di giovani pensatori, ma fornirà ai lavori e ai peculiari interessi
di Heidegger, ben presto avvicinatosi al pensiero husserliano, l’occasione di guadagnare in
precisione e in coerenza. L’incontro tra i due pensatori è stato ampiamente commentato e rivisitato.
In compenso non è stato quasi affatto studiato l’ambiente filosofico-politico che fece da scenario a
questo incontro. La cosa è comprensibile, poiché l’attività dei due filosofi - sicuramente a partire da
quest’epoca per quanto concerne Heidegger - si sviluppa su una dimensione che non sembra
lasciare alcuno spazio alla riflessione storica o filosofico-politica. In effetti la fenomenologia in
questa sua fase non ha prodotto nessuna opera orientata in tale direzione; ciò non toglie che le scelte
politiche a cui aderivano i suoi più autorevoli rappresentanti non si discostassero affatto
dall’orizzonte ideologico della maggioranza dei professori universitari tedeschi dell’epoca. Se è pur
vero che gli avvenimenti successivi (quelli che saranno determinati dal nazionalsocialismo)
porteranno i fenomenologi di Friburgo su strade drammaticamente diverse, non si può non costatare
come all’epoca della prima guerra mondiale tutti condividessero incondizionatamente le posizioni
del governo del Reich, con tutto ciò che questo implicava quanto alla concezione dello Stato, della
nazione e della società tedesca. Basti pensare a Max Scheler, che, da poco convertito al
cattolicesimo, pubblicherà nel 1915 la sua opera Der Genius des Krieges und der deutsche Krieg (Il
genio della guerra e la guerra tedesca),128 in cui egli attribuisce alla guerra il merito di un
«risveglio metafisico», poiché, favorendo il sorgere di un autentico spirito di sacrificio, di
devozione e di amore, permette di avvicinarsi a Dio. Scheler ravvisa di conseguenza un nesso
sostanziale tra le «emozioni politiche» e i «contenuti religiosi e spirituali».129
Posizioni di questo genere, perlopiù, venivano espresse soltanto occasionalmente, in situazioni
contingenti; tuttavia esse riflettono con fedeltà quello che era l’ambiente filosofico-politico in cui
Heidegger iniziò le sue ricerche e il suo insegnamento, nella cerchia appunto di Husserl e dei suoi
collaboratori. Viene così a cadere quella falsa idea secondo cui l’evoluzione di Heidegger sarebbe
avvenuta in un ambiente politicamente asettico, unicamente interessato a questioni di teoria.

Capitolo 5. Marburgo. Essere e tempo


Nel 1923 l’Università di Marburgo offrì una cattedra a Heidegger. Prima di ricevere questa
proposta, egli aveva partecipato a un concorso bandito dalla Facoltà di filosofia dell’Università di
Gottinga, al cui termine era stato collocato in seconda posizione nella rosa dei tre nomi sottoposti al
Ministero dell’Educazione per la scelta del successore di Hermann Nohl, nominato, per parte sua,
professore ordinario di pedagogia. La commissione di concorso, presieduta da Georg Misch, preside
della Facoltà, decise, nella seduta del 2 novembre 1922, di indicare come primo nominativo quello
di Moritz Geiger; in ogni caso il buon piazzamento ottenuto da Heidegger in un’università così
prestigiosa come quella di Gottinga, costituiva di per sé un eccellente precedente per i futuri
concorsi universitari.
A quanto emerge dai documenti conservati nell’archivio dell’Università di Gottinga, Husserl si
mosse attivamente a favore della designazione di Martin Heidegger; si trattava di un non
trascurabile appoggio, dal momento che Husserl aveva insegnato a Gottinga fino al 1916. La
relazione presentata davanti alla commissione da Georg Misch, per stabilire i titoli dei diversi
aspiranti alla cattedra vacante, ci rende edotti degli iniziali rapporti tra Heidegger e i più
eminenti esponenti della filosofia della vita (Misch, oltre a essere il principale discepolo di Dilthey,
ne era anche il genero). Misch sostenne con convinzione la candidatura di Heidegger,
sottolineandone soprattutto «la personalità, straordinariamente forte», e facendo
esplicito riferimento alle ragioni che avevano indotto Heidegger ad allontanarsi dal cattolicesimo e
dalla Chiesa. Misch mirava certamente, in questo modo, ad accrescere la possibilità di successo di
Heidegger
in una Facoltà di filosofia per nulla indifferente alle questioni religiose ed ecclesiastiche.
Gli elementi biografici riportati da Misch gli erano stati chiaramente forniti dallo stesso Heidegger.
È la «personalità straordinariamente forte» del candidato che, secondo la relazione di Misch,
spiegherebbe la sua rottura con la Chiesa: Heidegger avrebbe osato «liberarsi dalle rigide
imposizioni che gravavano sugli insegnanti della Facoltà di teologia di Friburgo», e il divorzio
definitivo avrebbe avuto per motivo il rifiuto, da parte di Heidegger, di sottostare al «giuramento
antimodernista». Misch ricorda ancora come i corsi e i seminari tenuti da Heidegger a Friburgo
avessero esercitato, per capacità di coinvolgimento, un ruolo cospicuo nella vita filosofica di quella
Università, «malgrado la loro rigorosa impostazione».
«Il suo lavoro filosofico, che mette in connessione elementi storici ed elementi teoretici, si colloca
al centro delle più attuali problematiche sollevate dalla filosofia della vita; in effetti egli integra la
riflessione logica ed ermeneutica di Husserl con l’analisi della storia dello spirito, così come viene
concepita nel pensiero di Dilthey. In tal modo Heidegger dimostra quanto egli sia consapevole della
storicità della vita, e tale coscienza sgorga dalla sua personale evoluzione. »130
Heidegger, prima di esservi nominato, aveva già preso parte a un concorso presso l’Università di
Marburgo nel 1920, ed era riuscito a figurare in terza posizione nella rosa dei tre nomi proposti per
ricoprire la cattedra che era stata di Wundt. Il prescelto sarà poi, in quel caso, Nicolai Hartmann.
C’è da segnalare, come risulta dalle deliberazioni della commissione del 1920, che era stato Paul
Natorp a insistere perché Heidegger fosse inserito nella lista sottoposta al Ministero, mentre il
professor Jaensch vi si era opposto. Entrambe queste prese di posizione rivestono un rilevante
interesse per la ricostruzione del curriculum universitario di Heidegger. Con Natorp egli intratterrà
in seguito dei rapporti di non secondario significato per la sua evoluzione politica. Invece Jaensch
sarebbe diventato uno dei personaggi più intransigentemente ostili a Heidegger nella lotta di
frazione per acquisire posizioni egemoniche in seno al Partito nazista.
Husserl, già in questa occasione, aveva dato pieno appoggio al suo assistente. In una lettera
indirizzata a Natorp, a questo proposito, Husserl indica in Heidegger il suo «miglior collaboratore
filosofico».131 Nella relazione conclusiva della commissione destinata al Ministero, si legge che, se
«non si può rimproverare alcuna angustia confessionale» all’interesse di Heidegger per la filosofia
medievale, d’altra parte «non è ancora possibile dire se egli intrattenga un fecondo rapporto con la
cultura nel suo complesso, al di là delle questioni di medievalistica».132 Due anni dopo, la
medesima Facoltà di filosofia di Marburgo faceva sapere al Ministero che, tra i candidati,
aveva scelto, nell’ordine: Martin Heidegger, Heinz Heimsoeth e Richard Kroner. Nella loro
relazione i professori di Marburgo mettono in evidenza l’originalità di Heidegger nell’ambito della
scuola fenomenologica («tra i fenomenologi egli solo ha saputo applicare questo metodo alla ricerca
storica»), nonché la qualità delle sue analisi di Aristotele. Il fatto che Heidegger non avesse
pubblicato molto, pareva loro ampiamente compensato dal suo intenso impegno nell’insegnamento.
La commissione aveva avuto in lettura solo un frammento dello studio su Aristotele, ma si rendeva
garante del suo valore: Heidegger vi stabiliva l’importanza di Aristotele per la filosofia
moderna con uno spessore che sopravanzava tutti gli altri analoghi lavori del secolo xix.133 Il
Ministero espresse il suo assenso il i° agosto 1923, nominando Heidegger professore ordinario
(planmässiges Ordinariat) e direttore del seminario di filosofia. Heidegger rispose il 17 agosto per
lettera, accettando la proposta che gli veniva fatta.
Durante il suo soggiorno a Marburgo (vale a dire fino al momento in cui fu nuovamente chiamato
dall’Università di Friburgo, nel 1928), Heidegger non limitò certamente la sua attività al campo
della riflessione filosofica. Proprio in questo periodo, anzi, nacque l’interesse di Heidegger per
l’università come istituzione, come traspare, in particolare, dall’articolo Zur Geschichte des
Philosophischen Lehrstuls seit 1866 (Sulla storia della cattedra di filosofia dal 1866), scritto per una
miscellanea pubblicata da Heinrich Hermelink, in occasione del 400° anniversario dell’Università
di Marburgo.134 C’è di più: è in questo periodo che Heidegger iniziò a stabilire un più stretto
rapporto col mondo studentesco e ciò è essenziale per capire il suo successivo impegno in favore
del nazionalsocialismo. Un esposto al Ministero redatto nel 1934 dal professor Jaensch, sul
quale ritorneremo, sottolinea gli eccellenti rapporti di Heidegger con gli studenti. È vero che si
tratta di una denuncia, connessa alle violente lotte di frazione interne al Partito nazista, ma ne risulta
pur sempre in modo chiaro che Heidegger, considerato dagli studenti una sorta di guida spirituale e
intellettuale, fu vicinissimo in quel periodo a un’associazione studentesca, l’Akademische
Vereinigung, che sollecitava vivamente i propri membri a seguire i corsi del filosofo. In base ai
documenti conservati nell’Archivio di Stato dell’Assia, l’Akademische Vereinigung si definiva nei
propri statuti come una corporazione libera da ogni sudditanza politica o religiosa, senza agganci a
partiti o dottrine di sorta, unicamente finalizzata a far accedere i propri membri al mondo della
cultura. L’attività dell’associazione consisteva essenzialmente in dibattiti e riunioni, a cui
sicuramente Heidegger prese parte. Nonostante il rifiuto di qualsiasi etichettatura ideologica,
l’Akademische Vereinigung si atteneva al cosiddetto «paragrafo ariano», in base al quale la
maggioranza dei gruppi studenteschi tedeschi aveva preso la risoluzione di accettare come membri
soltanto gli studenti di nazionalità e di «razza» tedesche (Deutsche Staats- und
Stammesangehörigkeit), al fine di escludere ogni «elemento ebreo o di colore».
La questione dei legami di Heidegger col mondo studentesco va inserita nel quadro della notevole
espansione, in tutta la Germania, della Jugendbewegung, e più precisamente della sua ala
reazionaria. Occorre, però, anche rilevare che, per questa via, Martin Heidegger si riallacciava a
motivi ideologici che erano stati suoi fin dalla prima giovinezza, e che, in linea di massima, pure la
sua successiva evoluzione sarà conforme agli sviluppi della Jugendbewegung. Questo movimento,
la cui spinta originaria stava nella volontà di superare la situazione che aveva portato alla prima
guerra mondiale, era alla ricerca di un nuovo e diverso rapporto con la società e con la natura. In
esso una tendenza reazionaria, affine al futuro fascismo (i Völkische), coesisteva con una frangia
legata al Partito socialdemocratico. Proprio questo intreccio spiega il rapporto tra Heidegger e
Natorp. Si è visto come Natorp, a Marburgo, nel 1920, in accordo con Husserl, avesse fornito il
proprio appoggio a Heidegger.135 La relazione tra i due divenne ancora più stretta e feconda dopo
che Heidegger fu entrato a far parte del corpo docente di Marburgo.136 All’epoca del primo
conflitto mondiale, Natorp pensava che la guerra avrebbe portato non solo a un «risveglio» della
Germania, ma anche, e proprio per questo tramite, a un risveglio di tutta l’umanità.137 Egli scriveva,
infatti, che i tedeschi, in marcia verso tale meta, si sentivano «come soldati di Dio in lotta contro un
mondo gremito di demoni, come guerrieri, la cui missione fosse di essere profeti
dell’umanità intera».138 Il principale compito dei tedeschi - sempre secondo il Natorp di quel
periodo - era di mantenere pura e senza macchia la loro propria essenza, radicalmente diversa
rispetto a quella degli altri popoli. La guerra costituiva la dimostrazione palmare che il popolo
tedesco, nel suo nucleo, era rimasto sano: kerngesund, scriveva Natorp.139 E tale integrità era in
particolar modo testimoniata dal «possente movimento di una gioventù che si è messa in marcia da
anni, con la sacrosanta volontà del risanamento (Gesundung) di tutto il popolo». 140 Non si può non
rilevare che le espressioni di Natorp saranno riprese, quasi alla lettera, da Heidegger nel discorso
del rettorato del 1933. Paul Natorp prese parte a varie cerimonie organizzate dalla Jugendbewegung
per commemorare e celebrare la tradizione militare tedesca. Egli considerava la grande guerra come
una mobilitazione generale, resa possibile proprio dal «risveglio della gioventù».141 Queste
convinzioni, più etiche e pedagogiche che non politiche, non impedivano comunque a Natorp di
mantenere uno stretto collegamento con la sinistra tedesca e, specialmente, con la socialdemocrazia.
Egli non soltanto era membro di gruppi progressisti e populisti, ma intratteneva anche
un’importante corrispondenza con August Bebel.142 Evidentemente tra il populismo di Heidegger,
anche se conservatore quanto alla sua matrice, e quello di Natorp si era creata una rispondenza sulla
base dei comuni convincimenti sulla «missione tedesca» e sulla sua realizzazione attraverso la
guerra.
Essere e tempo fu pubblicato nel periodo in cui Heidegger insegnava a Marburgo. In merito a
questo libro, che costituisce l’opera principale del filosofo, occorre, in vista del nostro obiettivo,
esaminare due questioni: le circostanze che interessano la sua pubblicazione, da una parte, e
dall’altra quegli aspetti teoretici che vi si possono individuare come anticipatori della successiva
evoluzione di Heidegger verso il nazionalsocialismo. Nominato professore
incaricato (extraordinarius) nel 1923, Heidegger avrà nel 1923-26 la possibilità di salire nella scala
gerarchica del corpo insegnante di Marburgo, occupando la cattedra lasciata libera da Nicolai
Hartmann. In un’istanza indirizzata al Ministero il 5 agosto 1925, la Facoltà proponeva per questa
cattedra tre nomi: come prima preferenza veniva indicato il nome di Martin Heidegger, seguito da
quelli di Heinz Heimsoeth e di Alexander Pfänder.143 Tale scelta veniva motivata
fondamentalmente con l'alto livello qualitativo dei corsi tenuti da Heidegger dopo la sua nomina a
Marburgo nel 1923: «Noi ci eravamo allora basati soltanto sui pochi capitoli del suo lavoro su
Aristotele che ci aveva fatti avere Edmund Husserl», si dice nella relazione, e si aggiunge che nel
frattempo era divenuto possibile esprimere un giudizio avvalendosi di un’opera di tutto rilievo. «La
sua opera sistematica Essere e tempo, al momento alle stampe, ci rivela Heidegger sotto una diversa
angolatura, quella di un pensatore filosofico che possiede ormai una piena autonomia di
elaborazione. Il suo lavoro affronta nulla di meno che un nuovo tipo di approccio alle
questioni ontologiche fondamentali, e si configura come una sintesi dell’indagine fenomenologica -
sottratta alle secche del soggettivismo - e come una ripresa di quanto di rigoroso abbia prodotto la
metafisica classica e medievale.»
Heidegger, in questa relazione, viene presentato come superiore a tutti gli altri pensatori della sua
generazione e, a conclusione, gli si attribuisce un ruolo paragonabile solo a quello di Natorp
nella ricerca di una complessa sintesi filosofica tra la dimensione storica e quella sistematica. Ciò
nonostante la reazione del ministro fu negativa. Adolf Grimme, il ministro di allora, benché fosse
grande amico di Husserl e suo ex allievo, rispose, infatti, il 7 febbraio 1925, che, «malgrado la piena
riuscita di Heidegger come insegnante», una cattedra così prestigiosa non poteva essergli affidata se
prima questi non si fosse conquistato, attraverso opere effettivamente pubblicate, una personale e
particolare stima presso i colleghi. Grimme chiedeva che si riconsiderasse la lista dei candidati.144
Soltanto dopo la pubblicazione di Essere e tempo nello «Jahrbuch» di Husserl, nel 1927, il ministro
approvò la promozione di Heidegger.145 L’affermazione di Heidegger, secondo cui la Facoltà
l’avrebbe proposto al Ministero come candidato unico,146 è indicativa dell’appoggio di cui egli
godeva all’interno di essa.
L’analisi di Essere e tempo, sotto il profilo sistematico, in relazione al nostro obiettivo, porta, in
modo per così dire obbligato, a focalizzare il problema sul concetto di esistenza, e a esaminare, a
partire da esso, l’insieme delle posizioni filosofico-politiche precedentemente sviluppate da
Heidegger, la cui prima traccia si ritrova nell’articolo su Abraham a Sancta Clara.
Lo specifico concetto di esistenza, elaborato in Essere e tempo, come superamento sia delle
dicotomie sostanzialiste della scolastica che del soggettivismo trascendentale della fenomenologia
husserliana, offre la possibilità di comprendere l’una e l’altra alternativa all’interno di una
prospettiva originale.
Karl Lowith ed Ernst Tugendhat147 hanno fatto giustamente osservare che il legame di Heidegger
con il nazionalsocialismo non sarebbe stato possibile al di fuori di una concezione della verità quale
quella enunciata in Essere e tempo. Facendo della domanda sull’essere l’orizzonte antepredicativo
in cui si produce il «disvelamento» di ciò che è (§7, §44), egli priva la riflessione di qualsiasi
possibilità di reperire dei criteri di giudizio verificabili o falsificabili a livello di una razionalità
intersoggettiva effettivamente realizzabile. Heidegger introduce in questo modo una fatticità
trascendentale che permette soltanto di vedere o non vedere ciò che «si disvela», e non di
differenziare e comprendere la grandezza o la miseria delle «irruzioni storiche». Condividono
questa critica anche Adorno e Habermas.148 Tuttavia essa ci sembra in qualche modo insufficiente:
benché validi, questi rilievi non permettono di cogliere ciò che implicano in positivo le prese di
posizione di Heidegger attorno al 1933. Tali rilievi, cioè, danno ragione solamente della possibilità,
da parte di Heidegger, di accogliere le concezioni naziste, senza però giungere a individuare le
ragioni che, positivamente, lo hanno condotto ad esse. Per andare più a fondo occorrerebbe
individuare quali aspetti, in Essere e tempo, possano effettivamente essere considerati come
anticipatori della successiva evoluzione di Heidegger. Detto in altri termini: la continuità interna del
pensiero heideggeriano tra il 1927 e il 1933 deve essere dimostrata a partire da elementi intrinseci
alla sua riflessione, elementi che si mantengono invariati da un periodo all’altro e per i quali il
filosofo trova un fondamento all’interno del suo sistema. Ma questo punto di vista implica il
rigetto radicale della convinzione, ampiamente diffusa, secondo cui Essere e tempo avrebbe come
unico oggetto l’esistenza individuale, isolata, circoscritta in un assoluto solipsismo. Così, ad
esempio, riguardo alla distinzione tra esistenza «autentica» ed esistenza «inautentica», distinzione
essenziale per l’Heidegger del 1927, colpisce il fatto che egli, ogniqualvolta si impegni a definire
l’esistenza inautentica, ricorra all’analisi di un’esistenza individuale incapace di trovare
altro accesso alla vita in comunità che non sia quello dell'«essere-con-gli-altri» (Miteinandersein). E
come, viceversa, la possibilità di un’esistenza autentica sia ricollegata all’idea di una vita collettiva
in cui la subordinazione quotidiana all’impellenza del «si» sarebbe esclusa. Heidegger propone in
realtà un metro su cui misurare l’esistenza individuale e collettiva: vale a dire la tradizione, che
fonda l’esistenza autentica nella misura in cui questa l’assume come eredità.
« Non è necessario che la decisione sappia esplicitamente l’origine delle possibilità su cui essa si
progetta. Ma è nella temporalità dell’esserci e solo in essa che è riposta la possibilità di andar a
prendere (holen) esplicitamente, a partire dall’intellezione dell’esserci tramandata, quel poter-essere
esistentivo su cui essa si progetta. La decisione, ritornante su sé stessa e autotramandante, diviene
allora la ripetizione (Wiederholung) di una possibilità di esistenza trasferita.»149
Il medesimo principio era stato affermato un poco più sopra. L’esistenza collettiva, come esistenza
autentica in comunità, può e deve regolare i propri atti sulla tradizione, assunta come eredità. Le
sue manifestazioni storiche non sono dunque affatto, secondo Heidegger, «irruzioni» nel senso di
esplosioni irrazionali e anarchiche, ma delle insorgenze, certo improvvise, ma conformi a un corso
delle cose obiettivamente determinabile.
Tuttavia tradizione ed eredità, a loro volta, non sono che due forme di un’altra realtà, che le
costituisce e, sola, le rende possibili: il popolo e dunque la comunità-del-popolo. Il destino
(Geschick) che, per l’esistenza individuale, appare solo come dipendenza rispetto all’agire
abitudinario di una maggioranza cieca e anonima, si presenta, invece, nel caso delle grandi
evenienze storiche, come l’orizzonte legittimo, autentico, vero dell’esserci (Dasein). Noi siamo
rinviati a una struttura totalizzante (il popolo) e alla tradizione che propriamente gli appartiene. Un
paradigma (l’eredità storica) garantisce un agire autentico. Tale concezione della comunità-del-
popolo, con la sua tradizione e la sua eredità, è in totale consonanza con le analoghe dottrine che
verranno diffuse, sia pure in un quadro esplicitamente razzista, dal nazionalsocialismo. Ma le
corrispondenze non si fermano qui. Per realizzare, come è stato detto, le possibilità che gli
sono proprie, il popolo seguirà una via specifica, che non è né la conservazione tradizionalistica dei
valori culturali ricevuti dal passato, né la semplice salvaguardia delle istituzioni e dei costumi.
Secondo Essere e tempo, l’atto costitutivo dell’« essere-con-gli-altri autentico», in quanto oltrepassa
il semplice fatto associativo tra individui, è la lotta (Kampf). Essa rappresenta la «decisione» in atto,
ed è in essa che si presenta, realizzata, la sua categoria ontologica, la «decisionerisoluta»
(Entschlossenheit).
La struttura binaria composta dalla comunità-del-popolo autentica e dalla lotta che essa conduce di
fronte alla possibilità estrema che è la morte (il fatto di poter morire), definisce, anche nella
terminologia, un orizzonte filosofico-politico che, a partire dal 1927, includeva la possibilità della
successiva scelta a favore del nazionalsocialismo. Occorre aggiungere che Essere e tempo propone
della tradizione, dell’eredità e della lotta un’espressione concreta che non riguarda unicamente un
determinato popolo. I modelli che debbono orientare la comunità-del-popolo alla ricerca della sua
verità autentica sono, infatti, chiaramente indicati da Heidegger: si tratta degli eroi. L’esistenza
«essente-stata» (gewesene) che l'esserci può e deve scegliere come esemplare è quella dell’eroe.
Non siamo di fronte dunque in alcun modo a un tradizionalistico ritorno al passato, o a una
riattualizzazione «reazionaria» di valori obliterati, ma a una maniera positiva di rispondere alle
possibilità permanenti - in ciò che si è vissuto come popolo, secondo una propria tradizione - le
quali, per questo stesso fatto, vivono ancora nel presente. Ma proprio perché il popolo è, in quanto
tale, possibilità, e poiché le possibilità si inscrivono sempre nel quadro dell’avvenire, il progetto
non fonda sul passato la permanenza della tradizione, ma la pone come meta, dal punto di vista del
futuro. Il popolo dovrà essere nel futuro ciò che gli eroi hanno rappresentato nella tradizione. Il
passato (come «essente-stato») diviene così paradigma e telos dell’azione. E, poiché si limita a «ciò
che è suo», la meta del popolo fa riferimento unicamente al popolo stesso, alla ricerca della
sua «medesimezza» esclusiva ed escludente. La critica della cultura, implicitamente presente nella
svalutazione del «si», si collega in Heidegger a uno schema ideologico diverso da quello del
tradizionalismo conservatore, e si inserisce in un quadro che si può sicuramente definire
«rivoluzionario», dal momento che non invita al ristabilimento dei valori del passato, ma alla
trasformazione futura della società tedesca attraverso la lotta per essere-sé-stessa. Considerando da
questo punto di vista le categorie utilizzate da Heidegger per analizzare l’esistenza individuale
inautentica, emerge come, attorno al 1927, il suo pensiero mirasse a oltrepassare in maniera positiva
le carenze di un individualismo ai suoi occhi decadente, attraverso una sorta di comunitarismo,
tradizionalistico e rivoluzionario nel medesimo tempo. Per tale via, dunque, nel contesto dei
problemi posti in Essere e tempo, di natura cioè precipuamente ontologica, le propensioni politiche
di Heidegger si rivelano in tutta la loro chiarezza come conseguenti a un modello generale di società
politica: Heidegger sostanzia il suo discorso, infatti, con citazioni del conte Yorck von Wartenburg e
afferma che qualsiasi spiegazione della storicità dovrà conformarsi al pensiero di questi e alle
dottrine di Dilthey (§ 77). Cosa implichino tali asserzioni, e l’adesione ad esse da parte
di Heidegger, appare chiaro. Esse, infatti, non si limitano a oltrepassare genericamente l’orizzonte
di una riflessione psicologica o pedagogica, ma rinviano, in modo specificamente politico, alle
funzioni dello Stato. Tutto è d’altronde molto esplicito: Yorck e Heidegger non mettono solo in
rilievo la distanza tra «la massa» e «la verità», ma anche lo svilimento, o meglio la totale
inconsistenza, dell’opinione pubblica come istanza centrale della società e dello Stato. E,
conseguentemente, sostengono che solo alcuni hanno e debbono avere accesso alla «verità», e
quindi possono dirigere e organizzare la società e lo Stato. Per tali motivi, ci sembra che
caratterizzare la filosofia di Heidegger antecedente al 1933, asserendo unicamente che essa ebbe
l’effetto di «disarmare l’intellighenzia tedesca di fronte all’avvento del fascismo» (Lukàcs) risulti
molto insoddisfacente.
Al di là dell’ascendente che il pensiero di Heidegger potè esercitare sulla coscienza di tutta una
generazione di giovani universitari, si può affermare come la sua filosofia abbia, di fatto, fornito
una sistematizzazione a elementi ideologici propriamente fascisti, in piena congruenza con gli
ulteriori sviluppi storici.
I testi citati ci permettono anche di capire come, attorno al 1927, Heidegger collegasse, in un unico
disegno, i diversi elementi che componevano la sua originaria base ideologica: la distinzione tra
esistenza autentica e inautentica di fronte ad alternative cruciali (la morte, la lotta), e quell’insieme
di valori di cui si alimentava il movimento della gioventù bündisch, valori ereditati dal movimento
cattolico neoromantico, austriaco in special modo, secolarizzati da Heidegger, col risultato di
accrescere l’alone di interesse attorno al nazionalsocialismo emergente. Per questa via «l’essere»
cessa di costituire un puro oggetto di speculazione per presentarsi nell’orizzonte di un’«esistenza»
in cui attualizzarsi e realizzarsi, senza per questo perdere il suo carattere trascendente. La presenza,
in Heidegger, di un romanticismo secolarizzato si rivela con chiarezza attraverso le categorie
fondamentali del romanticismo bündisch, riprese in Essere e tempo: il noi, la lotta, il destino, la
missione del popolo, la comunità e, soprattutto, il Führer esemplare, in grado di guidare il popolo.

Capitolo 6. Ritorno a Friburgo e tentazione


berlinese
Il 26 febbraio 1928, Heidegger informò il ministro dell’Educazione, a Berlino, che il governo del
Baden gli aveva offerto di ricoprire, a Friburgo, la cattedra resasi libera per il ritiro di Husserl.150 La
Facoltà di filosofia di Marburgo, che in questa circostanza dichiarò di «vedere in Heidegger il
continuatore e l’erede della grande tradizione filosofica di Marburgo», fece, tre giorni dopo, un
passo presso il Ministero affinché Heidegger fosse mantenuto al suo posto e, a tal fine, «si facesse
tutto il necessario». Lo stesso direttore amministrativo dell’Università di Marburgo si rivolse al
ministro, il 2 marzo 1928, proponendo un congruo aumento di stipendio per Heidegger, nella
speranza che, in tal modo, egli rifiutasse l’offerta di Friburgo. Ogni sforzo si rivelò inutile: Martin
Heidegger, infatti, il 31 marzo, farà conoscere alla Facoltà e al direttore ministeriale responsabile, a
Berlino, la sua irrevocabile decisione di accettare la proposta dell’Università di Friburgo. Egli porta,
come motivo principale della sua scelta, la richiesta di collaborazione rivoltagli dal suo
maestro Husserl, che intendeva procedere nelle proprie ricerche insieme a lui.
Non abbiamo potuto ricostruire, in maniera particolareggiata, la vicenda dell’ingresso di Heidegger
nella Facoltà di filosofia di Friburgo, per l’impossibilità di accedere alle fonti documentali. E'
assai probabile, comunque, che il ritorno di Martin Heidegger sia stato patrocinato con entusiasmo
da Husserl; e ciò, se si tiene conto dei successivi sviluppi del rapporto tra i due filosofi, ci porta a
pensare che, nei documenti oggi non ancora disponibili, possano figurare elementi di valutazione di
grande rilevanza.
Dopo un periodo di intensa attività di insegnamento all’Università di Friburgo, Martin Heidegger
ricevette una nuova proposta, questa volta da Berlino; si trattava di occupare la cattedra vacante per
la morte di Troeltsch. Al termine di lunghe trattative, Heidegger, nel 1930, finirà col rifiutare. Ormai
Heidegger aveva acquisito un prestigio che andava al di là del mondo filosofico tedesco. Scriveva,
infatti, il commentatore Krakauer, sulla «Frankfurter Zeitung» del 25 gennaio 1929, a proposito di
una conferenza tenuta da Heidegger a Francoforte davanti alla Società Kant, sul tema
«Antropologia filosofica e metafisica dell'esistenza»: «Notiamo, infine, che la personalità del
conferenziere ha attirato un pubblico molto numeroso, che non era certamente versato nei problemi
della filosofia, ma che si è azzardato a penetrare nel complesso mondo delle più sottili definizioni e
distinzioni.»
Non sorprende, perciò, che la venuta di Heidegger a Friburgo abbia costituito un avvenimento di
rilievo per il piccolo mondo del Baden. L’eventualità che il giovane, ma già celebre, filosofo
abbandonasse di nuovo la sua «terra», divenne, per così dire, un affare di pubblico interesse, di
grande momento per gli ambienti culturali della regione, e ciò, naturalmente, non senza
implicazioni politiche piuttosto evidenti. Già in quel periodo la posizione di Heidegger
si presentava, infatti, con connotazioni radicali assolutamente chiare e ben note al pubblico. Egli
stesso non aveva esitato a manifestare tali convinzioni in occasione del famoso incontro di Davos,
in cui si era confrontato con Ernst Cassirer. La moglie di questi si era d’altronde inequivocabilmente
espressa: «Non ignoravamo affatto il suo antisemitismo.»151 Può anche essere utile riferire un
aneddoto, narrato a Schneeberger da uno dei partecipanti all’incontro: «Durante il dibattito
intervenne un uomo visibilmente sofferente di gravi turbe nervose, dovute alla sua partecipazione
come soldato alla prima guerra mondiale. Avendo sostenuto che l’unico compito della filosofia del
secolo xx era di evitare una nuova guerra, Heidegger gli rispose sdegnosamente e con tutta
tranquillità che l’epoca attuale richiedeva durezza. Per quanto lo riguardava, comunque, egli
era ritornato sano dalla guerra.»152
Si tratta di una dichiarazione assai significativa. Fatta davanti a un pubblico in cui figuravano
eminenti rappresentanti della vita intellettuale europea, essa impegnava Heidegger su una
posizione omologa a quella dell’opposizione di destra, antiliberale e antirepubblicana, che in quel
periodo stava intensificando la sua lotta contro la Repubblica di Weimar con l’obiettivo di
destabilizzarla definitivamente.
Circostanze e ragioni della rinuncia di Heidegger a stabilirsi a Berlino possono essere, almeno in
parte, illuminate dalla celebrazione, svoltasi a Karlsruhe, dall’11 al 14 luglio 1930, della
«Giornata della Badische Heimat (Patria del Baden)». Anche Heidegger, come altre personalità,
allora tra le più rappresentative del mondo culturale e politico del Baden, partecipò alla
manifestazione: egli vi diede lettura dello scritto dal titolo «Vom Wesen der Wahrheit» (Sull’essenza
della verità). Il discorso d’apertura fu pronunciato dallo scrittore Heinrich Beri, che illustrò con
molta chiarezza gli orientamenti politici del congresso, organizzato, con precisa volontà, nel
contesto del « momento storico della liberazione dei territori occupati», cioè dei territori situati sulla
riva sinistra del Reno, che la Germania aveva dovuto cedere alla Francia al termine della prima
guerra mondiale.153
L’iniziativa del congresso era stata presa da un’associazione locale, la Badische Heimat, la cui sede
si trovava a Friburgo. Il significato dell’avvenimento scaturisce con evidenza dall’analisi del
programma della manifestazione e dei precedenti politici dei conferenzieri e dei più attivi tra i
partecipanti. Il presidente onorario della commissione organizzativa era il professor Eugen Fischer,
che aveva fondato a Berlino, e dirigeva dal 1927, quell’istituto di igiene razziale noto per la sinistra
celebrità che acquisì più tardi, quando divenne l'infrastruttura scientifica delle esperienze realizzate
dalle SS nei campi di concentramento. Durante questo congresso, probabilmente, Eugen Fischer e
Martin Heidegger allacciarono un’amicizia che, oltrepassando l’era nazionalsocialista, si mantenne
fino alla morte di Fischer.
Entrambi parteciparono anche alla manifestazione in sostegno di Hitler che ebbe luogo a Lipsia.
Heidegger frequentava regolarmente Fischer, che, pure, viveva a Friburgo. E ancora in occasione
del Natale 1960 gli farà omaggio di una copia di Hebel, der Hausfreund (Hebel, l’amico di casa, 2a
ed. 1958) con queste parole di dedica: «A Eugen Fischer, con cordiali saluti di Natale e con i
migliori auguri di buon anno. Martin Heidegger». (Ringraziamo il nipote di Eugen
Fischer - Eberhard Fischer di Zurigo - per averci messo a disposizione la copia del libro.)
Un’altra figura ragguardevole, tra i partecipanti al congresso, era il drammaturgo e professore
d’università Otto zur Nedden, che tenne una conferenza su «La musica a Costanza attorno al 1500»,
seguita da un concerto diretto da Franz Philipp, preside dell’Accademia musicale di Karlsruhe. Zur
Nedden, che avrebbe poi aderito al Partito nazista a Pforzheim nel 1931, era conosciuto per un
dramma violentemente antisemita, L'ebreo di Malta, che, dopo il 1933, verrà lodato dalla stampa
ufficiale come «la migliore e la più rappresentativa opera antisemita della letteratura drammatica
mondiale».154 Franz Philipp, che, per parte sua, entrerà nella NSDAP nel 1933, comporrà l’Inno
patriottico tedesco in onore del lavoro, eseguito in occasione della prima festa nazionalsocialista del
lavoro, il 1° maggio
1933,    nel corso della quale Hitler pronunciò un famoso discorso. Registriamo ancora il nome del
pittore August Rumm, che contribuì all’illustrazione della pagina centrale del giornale, nel numero
della «Badische Presse» dedicato al congresso, permettendo che vi si riproducesse un ritratto che
egli aveva fatto a Heidegger, accompagnato da un autografo del filosofo. Rumm entrerà nel Partito
nazista durante la guerra, nel 1940.155 II suo ritratto di Heidegger ricompare, insieme a un ritratto di
Krieck, in un volume con prefazione di Beri.156
La serie di conferenze iniziò con un intervento di Joseph Mussler, insegnante al liceo di Offenburg,
su «La cultura badese, in particolare nello spazio culturale alemanno». Mussler aderì, il 1° gennaio
1934,    all’Associazione dei professori nazionalsocialisti (NSLB).157 Un’altra conferenza,
«L’anima del paesaggio del Baden», fu pronunciata dallo scrittore Anton Fendrich di Friburgo,
membro fino al 1932 del Partito socialdemocratico, che non tarderà molto, però, a considerare
Hitler «un inviato della provvidenza» e a dichiararsi incondizionatamente a suo favore. 158 Durante
il congresso fu rappresentata la pièce teatrale tradizionale La patria e lo straniero con la regia di
Hans Blum, il quale, a partire dal 1934, presterà la sua collaborazione alle SS.159
L’accompagnamento musicale era affidato al coro dell’Accademia musicale di Karlsruhe, diretto dal
professor Gustav Etzkorn, il quale entrerà nella NSDAP nel maggio 1933. Il dottor Karl
Hesselbacher, pastore evangelico di Baden-Baden, tenne una conferenza su «Il significato della
poesia del Baden»; anche costui entrerà nel Partito nazista nel maggio 1933. Degna di rilievo è
inoltre la conferenza sul «Mito del Reich», contributo dello scrittore Leopold Ziegler, autore di
un’opera in due volumi intitolata Das  heilige Reich der Deutschen (Il sacro impero dei tedeschi,
1923), in cui si considerava il Reich come un’entità trascendentale che, «al di là di ogni mutamento
storico, costituirà sempre il destino e la missione dei tedeschi».160 Ricordiamo ancora, oltre a quella
di Heidegger, le conferenze di Friedrich Mucide («Cambiamenti della cultura mondiale e missione
dello spirito tedesco») e di Ernst Krieck («L’ideale tedesco nel campo dell’educazione»). Muckle
insegnava all’Università di Heidelberg e aveva pubblicato, nel 1923, un libro antisemita dal titolo
Der Geist der jüdischen Kultur und das Abendland (Lo spirito della cultura ebraica e
l’Occidente).161 Torneremo in seguito sulle idee politiche di Krieck, il pedagogista più
dichiaratamente nazista, hitleriano della prima ora.
Altro personaggio ragguardevole del congresso del Baden era il noto scrittore Hermann Burte («Il
dialetto alemanno»). Collaboratore della rivista «Deutschlands Erneuerung», diretta da von Below e
Chamberlain, Burte dichiarava le sue simpatie per il nazismo ancora parecchi anni dopo la fine della
seconda guerra mondiale. In occasione dei festeggiamenti organizzati nel 1954 in onore di E. G.
Kolbenheyer - uno dei poeti ufficiali del regime nazista - dalla Società Kolbenheyer, dalla
Sudetendeutsche Landsmannschaft e dal Deutsches Kulturwerk europäischen Geistes, Kolbenheyer
rivolse al pubblico il saluto nazista, suscitando applausi che divennero ancora più intensi quando
Burte si congratulò con lui per aver dimostrato «di essere un uomo che non si piega».162 Per finire,
citiamo Jacob Bleyer, di Budapest, e la sua conferenza sulla «Cultura tedesca all’estero,
in particolare in Ungheria». Bleyer, ex ministro ungherese, ora professore universitario, dirigeva il
Movimento dei tedeschi all’estero.163 Se si tiene conto che abbiamo menzionato gran parte dei
conferenzieri - più dell’8o per cento del totale - ci si può fare un’idea esatta della composizione e
delle mire politiche del congresso.
Per l’intervento di Martin Heidegger c’era grande attesa, perché ci si aspettava che egli si
pronunciasse sulla proposta del Ministero dell’Educazione di Berlino. Heinrich Berl descrive la
situazione e l’atmosfera in un suo libro del 1946 intitolato Gespräche mit berühm-ten Zeitgenossen
(Conversazioni con contemporanei celebri):
«Giunse l’offerta di Berlino. Tutti si domandavano: Heidegger accetterà la cattedra di Troeltsch?
Per qualche tempo egli non si espresse, ma chi lo conosceva, ben sapeva che non se ne sarebbe fatto
nulla: cosa ci sarebbe andato a fare un campagnolo della Foresta Nera nell’asfalto di Berlino?
Accadde allora qualcosa di interessante: Heidegger accolse l’invito a partecipare al congresso del
Baden, dove parlò dell’“Essenza della verità”. Dalle vette siderali dell’astrazione, ridiscese sempre
più in basso verso la terra, per arrischiarsi infine a toccare il cuore del problema: verità e realtà si
congiungono sul suolo della patria. Era questa la risposta all’invito di Berlino.»164
Sull'essenza della verità fu pubblicato per la prima volta a Francoforte nel 1943.165 Heidegger
ammette che la versione iniziale è stata «ritoccata col passare del tempo»,166 e, purtroppo, non si
conosce il testo originale della conferenza del 1930. Tuttavia è difficile mettere in dubbio il
ragguaglio che ce ne dà Beri. Tanto più che esso è corroborato dai resoconti dei quotidiani
«Karlsruher Tageblatt» e «Karlsruher Zeitung» del 16 luglio 1930: «Cruciale è il volteggio finale,
attraverso cui Heidegger indica il fondamento della verità: Tesser radicati alla propria terra
Bodenständigkeit) è il fondamento di ogni veracità ( Wahrhaftigkeit) (...) Non era certamente la
prima volta che Heidegger esprimeva il profondo coinvolgimento con cui egli guardava al rapporto
con il suolo della patria.»167
Quasi certamente il testo della conferenza sull’« Essenza della verità», tenuta da Martin Heidegger
a Karlsruhe, presenta notevoli differenze rispetto al testo utilizzato in altre occasioni. A Baden-
Baden, ad esempio, venne accentuato il tono patriottico.
Heidegger tenne una conferenza dal medesimo titolo a Brema nell’ottobre del 1930. In ciò che ce ne
riferisce il suo amico e discepolo Heinrich W. Petzet, nelle «Bremer Nachrichten» dell'11 ottobre
1930,168 non vi è alcun cenno al «finale» patriottico, di cui abbiamo testimonianza per la
conferenza pronunciata a Baden-Baden. Va tuttavia rilevato come Petzet attribuisca al pensiero di
Heidegger una dimensione pienamente politica.169 La filosofia di Heidegger andrebbe non soltanto
oltre quel nichilismo che il «socialista» H. de Man ascrive alle «classi destinate alla decadenza e
che tendono a cadere nella divinizzazione del mistico e dell’irrazionale», ma anche oltre le risposte
fornite da Spengler, Klages e Scheler. Ne fanno fede il vigoroso movimento studentesco cresciuto
attorno a Heidegger e lo straordinario ascendente che egli esercita sulle nuove generazioni.170
La ricostruzione delle circostanze e delle vicende che portarono all’offerta di Berlino è importante
sotto diversi profili. Innanzitutto, in questa occasione, Heidegger per la prima volta si trovò in
«competizione» con altri filosofi prestigiosi; e, per la verità, ne uscì perdente, anche se fu lui a
ricevere la proposta del Ministero. Peraltro questo concorso non attesta soltanto la notorietà che
aveva allora raggiunto Heidegger, ma illumina anche, a partire da un caso concreto, taluni aspetti
della politica universitaria tedesca all’epoca della Repubblica di Weimar.
Delle ventitré università che disponevano, a quel tempo, di una Facoltà di filosofia, quella di
Berlino era incontestabilmente la principale, sia per prestigio, sia per dimensioni. Tra il 1928 e il
1933 essa fu teatro di aspre lotte tra le diverse fazioni accademiche, a vantaggio di un blocco di
forze favorevoli a posizioni nazionaliste conservatrici (deutschnationale). In questa situazione i vari
ministri dell’Educazione della Repubblica di Weimar non furono sempre in grado di imporre il loro
punto di vista nella designazione dei professori.171 La vicenda che condusse alla nomina di
Heidegger ebbe inizio con la richiesta fatta dal ministro Becker alla Facoltà di filosofia il 6
dicembre 1929, perché questa si pronunciasse sulla successione alla cattedra che era stata di
Troeltsch.172 Becker non nascondeva la sua aspettativa di veder designato Nicolai Hartmann.
Fu istituita un’apposita commissione, composta dai professori von Fischer (preside), H. Maier,
Spranger, Dessoir, Schmidt, Köhler, Planck, Sombart, Jaeger e Wechssler. La commissione, nella
seduta del 12 febbraio 1930, stese una lista in cui comparivano, nell’ordine, Ernst Cassirer, Paul
Tillich, Georg Misch e Nicolai Hartmann. Il nome di Martin Heidegger «poteva anche essere preso
in considerazione», ma ci si rifiutava, comunque, di inserirlo nella lista. Spranger, ad esempio, si
chiedeva - come risulta dal verbale - se la popolarità di Heidegger non derivasse più dalla sua
personalità filosofica che non dalla sua filosofia in sé stessa, tanto poco questa si prestava a essere
insegnata e studiata. Max Planck e Werner Jaeger si erano apertamente pronunciati perché la
cattedra restasse vacante. La commissione finì nondimeno col dare la preferenza a Cassirer:
«Tra tutti i docenti citati, solo Cassirer può essere preso in considerazione.»173 La relazione della
commissione fa rilevare che, fin dalla morte di Troeltsch, la Facoltà intendeva fare il nome di
Cassirer, ma che se ne era astenuta nella speranza di veder emergere, nella giovane generazione di
filosofi, una personalità all’altezza di succedere a Troeltsch. Questa aspettativa era però andata
delusa, per cui si era arrivati alla decisione di proporre ufficialmente Cassirer. Nella rosa di nomi
veniva indicato anche Nicolai Hartmann; la commissione però sottolineava che i suoi titoli erano di
gran lunga inferiori a quelli di Cassirer.
Quanto a Heidegger, ecco ciò che dice la relazione: «Da qualche tempo si parla molto di Martin
Heidegger, professore all’Università di Friburgo. Benché la qualità delle sue pubblicazioni sia molto
controversa, è un fatto incontestabile che egli possegga un pensiero suo proprio, e, soprattutto, che
eserciti una forte attrattiva personale. Tuttavia anche i suoi sostenitori riconoscono che, tra i
numerosi studenti che fanno corte attorno a lui, non ce n’è forse nessuno che lo comprenda
veramente. Oggi come oggi, Heidegger sta attraversando una crisi: converrebbe attenderne l’esito.
Farlo venire in questo momento a Berlino sarebbe cosa nefasta. Per lui, poiché egli ha bisogno di
sviscerare i suoi problemi in una tranquillità che non potrebbe sicuramente trovare a Berlino. Ma
soprattutto per gli studenti, su cui il suo insegnamento produrrebbe, senza alcun dubbio, una forte
impressione, senza però favorirne una solida formazione filosofica.» Al Ministero non era ancora
stata presa, in via definitiva, alcuna decisione, quando Becker fu sostituito da Adolf Grimme; questo
fatto modificò completamente il corso della vicenda. Grimme era stato allievo di Husserl a Gottinga
e nutriva per lui una profonda ammirazione e amicizia.174 Si può congetturare che egli sia stato,
almeno indirettamente, influenzato dal prestigio del suo vecchio maestro. Di fatto, contro l’esplicita
volontà di tutta la commissione e della Facoltà, decise di designare Heidegger come successore
di Troeltsch. Heidegger accusò ricevuta di questa proposta con una lettera del 23 marzo 1930 al
direttore ministeriale interessato, nella quale preannunciava il suo arrivo a Berlino per discutere le
condizioni di questa offerta.1/3 II 10 aprile Heidegger firmò un compromesso che fissava al 1°
ottobre 1930 l’inizio della sua attività, e che stabiliva
l'ammontare dello stipendio nonché alcune particolari condizioni di favore. In una lettera del 14
aprile, Heidegger scrive di essere di nuovo in procinto di andare a Berlino, aggiungendo che certi
amici della moglie si stanno adoperando per trovargli una sistemazione rispondente alle sue
esigenze. In una nota al ministro delle Finanze, Grimme lo prega di prendere le misure necessarie
perché Heidegger possa beneficiare di un particolare trattamento economico, ricordando alcune
delle ragioni che lo hanno spinto a nominare il filosofo di Friburgo, «quantunque questa decisione
abbia messo in agitazione l’opinione pubblica più di quanto non sogliano tal genere di
questioni».176 Heidegger, prosegue Grimme, si mostrerebbe reticente «perché uno stretto rapporto
con la natura è, per lui, alla base della sua attività filosofica»; e avrebbe posto come condizione
«che gli si garantisse di poter vivere e lavorare in pace, lontano dalle molestie della grande città».
Non si dovrebbe dunque far cadere la nomina per superabili ragioni di ordine finanziario.177
Malgrado gli sforzi del ministro Grimme, Heidegger rifiuterà la proposta. Ma, se è pur vero che il
rapporto con la terra natale era di fondamentale importanza per Heidegger, non è tuttavia qui, con
ogni probabilità, che bisogna cercare le vere ragioni della sua decisione. Gli elementi di giudizio a
disposizione fanno piuttosto pensare che, di fronte al patente contrasto tra la più prestigiosa Facoltà
tedesca e un ministro che cercava di forzarle la mano, Heidegger non potesse quasi fare altro se
non rifiutare il posto offertogli contro il gradimento dei colleghi. Dai documenti non risulta in alcun
modo che Husserl fosse personalmente intervenuto presso Grimme, e ciò ci porta a pensare, con una
certa sicurezza, che l’iniziativa della nomina sia ascrivibile, unicamente, al ministro. Si può così
spiegare perché, nonostante l’espressa indisponibilità di Heidegger e malgrado le pressioni
dell’opinione pubblica e della Facoltà, Grimme continuasse per un certo tempo a insistere presso il
filosofo, nella speranza di farlo ritornare sulla sua decisione. Nella lettera di rifiuto, Heidegger
ringraziava Grimme per la fiducia che gli aveva manifestato.
Grimme, tuttavia, non desistette e informò Heidegger che il dottor Richter, suo sottosegretario, si
sarebbe recato a Friburgo, il 14 maggio, per riprendere il discorso; nel frattempo pregava Heidegger
di non rendere ancora pubblica la decisione da lui presa.178 Rinnovando il proprio diniego, il 17
maggio, Heidegger asserisce di es-
sere nell’impossibilità di occuparsi convenientemente di questa cattedra. Il filosofo si dice
soddisfatto di sapere che nei posti di più alta responsabilità, laddove si elabora la vita spirituale
della Germania, esista una volontà in grado di comprendere che l’università tedesca non potrà
essere sé stessa, senza che al suo interno agiscano forze idonee a produrre un autentico
cambiamento; ribadisce, comunque, di non poter accettare la proposta ministeriale.
Tuttavia, soltanto dopo aver inviato a Friburgo il dottor Richter, nel tentativo di riaprire la
questione, Grimme si rivolgerà, il 20 gennaio 1931, a Nicolai Hartmann, che accetterà di ricoprire
la cattedra.179 Quanto alla designazione di Cassirer, a cui si era pensato in un primo tempo, non se
ne fece più nulla e i documenti non vi fanno nemmeno più allusione. Le forze antisémite presenti
all’Università di Berlino si erano, d’altronde, già opposte una volta alla nomina di Ernst Cassirer.180
L’insolita reazione provocata nell’opinione pubblica dalla decisione di Grimme in favore di
Heidegger - a cui Grimme faceva cenno nella sua lettera al ministro delle Finanze - era
essenzialmente dovuta alla forte resistenza opposta dalla Facoltà nei confronti di una decisione
ministeriale in aperto contrasto con le sue scelte. Nella stampa dell’epoca non mancano riverberi di
tale opposizione. In un articolo duramente critico, comparso sulla rivista
«Monistische Monatshefte»,181 si denuncia il fatto «che un ministro socialista voglia portare a
Berlino un reazionario della cultura, (...) un irrazionalista teologizzante, incapace di educare gli
studenti con quell’assoluta obiettività che è propria dello spirito scientifico».
Non senza ironia, l’estensore dell’articolo richiama l’attenzione sul compiacimento degli ambienti
conservatori per la decisione di Grimme, ed esorta la Facoltà a intensificare gli sforzi per
impedire che la scelta cadesse su Heidegger. I «Monistische Monatshefte» sicuramente alludevano
ai commenti pubblicati, sulla vicenda, dal «Berliner Tageblatt», dal «Berliner Börsen-Courier»,
dalla «Frankfurter Zeitung» e dalla « Vossische Zeitung», il 28 e il 29 marzo 1930. Va citato in
particolare l’articolo di Hermann Herrigel, comparso sulla «Frankfurter Zeitung», in cui si saluta
con effusione la venuta di Heidegger a Berlino; il medesimo Herrigel troverà non molto tempo
dopo, accenti ancora più entusiastici per plaudire al Discorso del rettorato, pronunciato da
Heidegger nel 1933.182
Se si considera che Heidegger era stato respinto dalla Facoltà di Berlino e aveva, a sua volta, quasi
certamente rifiutato il posto per questa ragione, si può supporre che tutta la vicenda possa
averlo rafforzato non soltanto nel convincimento della necessità di una riforma universitaria
radicale, ma anche nella determinazione di allacciare un più profondo rapporto col mondo degli
studenti, che, a quelPepoca, lo reputavano «il re senza corona dell’impero del pensiero», secondo
l’espressione di Hannah Arendt.183 In tale contesto si chiarisce anche il significato dell’incontro-
scontro con Cassirer a Davos, essendo stato questi, in definitiva, il vincitore morale del concorso di
Berlino.
Il giudizio di Hannah Arendt, che studiava allora a Friburgo con Heidegger, pone con chiarezza in
rilievo un aspetto fondamentale dello sviluppo della personalità del filosofo e della sua
collocazione universitaria e politica negli anni trenta, e ci fa capire l’importanza decisiva di questa
tappa per le posizioni filosofiche e politiche che egli assumerà a partire dal 1933. Infatti, tanto
dall’analisi della sua attività a Marburgo che dalla relazione di Georg Misch per la Facoltà di
Gottinga, come anche dalla relazione della Facoltà di Berlino, senza contare gli interventi della
stampa, emerge come Martin Heidegger godesse di una straordinaria popolarità e come la sua
personalità esercitasse un notevole ascendente sugli studenti. Quest’epoca era caratterizzata dalla
grande amarezza provocata dalla disfatta tedesca nella prima guerra mondiale in una gioventù
studentesca fortemente nazionalista, ma anche dall’insoddisfazione di questa gioventù di fronte al
codificato razionalismo, «di una noia insondabile»,184 dell’insegnamento universitario. La
comparsa di una personalità vigorosa come quella di Martin Heidegger, che «guidava» i giovani
spiriti verso una radicale messa in questione dei presupposti del pensiero tradizionale, non poteva
non avere profonde ripercussioni. Benché Heidegger non avesse ancora sviluppato il suo pensiero in
opere sistematiche e nonostante che i suoi lavori circolassero soprattutto sotto forma di appunti
manoscritti, raccolti nei corsi o nei seminari, il suo atteggiamento innovatore e spontaneo, il suo
stile inedito, che stimolava e richiedeva un’attiva partecipazione degli studenti in ciascun momento
della riflessione, apparvero come un’autentica rivoluzione in anni in cui, escludendo i tentativi
scientificamente troppo sofisticati di Husserl, non si vedeva nascere nulla di nuovo sulla scena della
filosofia tedesca.185 Di questo nuovo stile era parte integrante una rigorosa ed esigente disciplina, al
servizio «delle cose stesse», che rendeva l’attività filosofica diversa dall’apprendistato di un
«mestiere».
Si può pensare che «il re senza corona dell’impero del pensiero» non potesse non suscitare gelosia e
inquietudine tra i colleghi più anziani. Quest’espressione, certamente diffusa, in quel periodo,
nell’ambiente filosofico, ci fa anche comprendere come Heidegger percepisse sé stesso.
Tra le ragioni che contribuirono a renderlo popolare tra gli studenti, va certamente annoverata la sua
giovinezza; quando tornò a Friburgo aveva solo trentanove anni e ne avrà quarantaquattro quando
diverrà rettore.
Parte seconda. Il rettorato (1933-1934)
Capitolo 1. Heidegger rettore a Friburgo (1933)
Il movimento studentesco tedesco e il suo ruolo d’avanguardia
Per afferrare il significato dell’adesione di Martin Heidegger al nazionalsocialismo e il senso della
sua attività nel periodo hitleriano, è bene, prima, occuparsi del movimento studentesco. Solo così
saremo in grado di comprendere la discussione sulla riforma universitaria e gli scontri che ne
derivarono. È appunto in relazione a tali vicende che Martin Heidegger prenderà la decisione di
impegnarsi apertamente nell’agone politico.
Ricordiamo, comunque, che le simpatie di Heidegger per il movimento nazionalsocialista erano
note prima ancora dell’ascesa di Hitler al potere. Carl Friedrich von Weizsäcker, allievo di
Heidegger attorno agli anni trenta, in una sua testimonianza, asserisce che, a quel tempo, era
risaputo che «Heidegger, prima del 1933, aveva fondato le sue speranze sul nazionalsocialismo».1
Gerhard Ritter, allora professore di storia a Friburgo, condivide tale opinione: «Heidegger fu eletto
rettore poiché la sua simpatia di vecchia data nei confronti del nazionalsocialismo lo metteva nelle
condizioni migliori per vegliare sugli interessi delle scienze sotto il Terzo Reich.»2
Hitler, fin dal 1930, era ben consapevole dell’orientamento politico prevalente tra la gioventù, in
particolare nel movimento studentesco, e delle sue potenzialità di espansione: «Non c’è nulla che
mi confermi di più nella certezza della vittoria delle nostre idee, quanto i nostri successi nelle
università.» 3 Hitler si riferiva alla penetrazione del suo partito tra gli studenti: il numero dei
militanti della NSDAP nelle università superava di gran lunga sia quello degli altri raggrup-
pamenti studenteschi sia quello delle organizzazioni nazionalsocialiste non studentesche.4 Se,
indubbiamente, i professori di filosofia, di storia e di economia erano, per la maggior parte, convinti
che il popolo tedesco fosse «un popolo metafisico in irriducibile antitesi con la superficialità
delPOccidente democratico»,5 gli studenti erano, però, incomparabilmente più impegnati e attivi.
Verso la fine della Repubblica di Weimar, gli studenti nazionalsocialisti, sempre più numerosi,
compirono una serie di attentati terroristici,6 sfidando così la debole e precaria politica condotta dal
governo della Repubblica.
Prima del 1933 gli studenti nazionalsocialisti erano sicuramente una minoranza, forte, però, della
propria appartenenza alle SA.7 Gli organismi studenteschi caddero nelle mani dei nazisti ben
prima delle istituzioni dello Stato. La prima federazione studentesca a eleggere una direzione
nazista fu quella dell’Università di Erlangen nel 1929.8 Alcune cifre sul rapporto di forze in diverse
università tedesche nel corso del semestre invernale 1930-31 possono illuminare la situazione:
nell’Università tecnica di Berlino i nazisti disponevano di 5 mandati su io; nella Scuola superiore di
veterinaria, sempre di Berlino, di 20 su 30; all’Università di Breslavia, di 22 su 30; a Erlangen, di
10 su 23; a Giessen, di 14 su 23; a Greifswald, di 9 su 13; a Jena, di 8 su 12; a Lipsia, di 8 su 13; a
Rostock, di 7 su 11. Il morbo imperversava anche fuori dei confini del Reich: alla Scuola superiore
di veterinaria di Vienna, gli studenti nazisti controllavano 7 mandati su 12; all’Università tecnica di
Brünn, 8 su 20. Nel congresso degli studenti tedeschi, i nazionalsocialisti ottennero la maggioranza
assoluta e nel contempo la carica di presidente effettivo per uno dei loro.9 La tradizione antisemita e
militarista era diventata prassi istituzionalizzata nelle organizzazioni studentesche fin dal 1919, dal
congresso, cioè, che sancì l’unificazione in una sola organizzazione degli studenti tedeschi, austriaci
e Sudetendeutsche (tedeschi dei Sudeti), prefigurazione dell’unità sovranazionale del Reich o di
quella Grande Germania che Hitler imporrà con le armi.10 Nel 1927 le associazioni studentesche
tedesche fecero, insieme alle Società ariane austriache, professione di fede antisemita, vietando
agli studenti ebrei l’accesso alle proprie organizzazioni. A questa misura, all’arrivo al potere di
Hitler, si aggiunse la limitazione del numero di studenti ebrei in tutte le università.11 I
nazionalsocialisti assegnavano agli studenti un ruolo estremamente importante: la «generazione
viva», essi pensavano, avrebbe dovuto non soltanto «rivoluzionare» l'università, ma anche e
soprattutto erigerla a modello della trasformazione nazionalsocialista di tutta la società tedesca.12 Il
controllo delle dirigenze studentesche non era che un primo passo; restava l’arduo compito di
«rivoluzionare» gli altri studenti e, in special modo, le università tedesche nella loro globalità. In tal
senso, gli studenti nazionalsocialisti dichiararono che «il fronte universitario era il settore a cui si
doveva attribuire, fin dai primi anni della rivoluzione nazionalsocialista, il ruolo egemonico nel
quadro dell’offensiva generale».13 «La trasformazione dell’università liberal-borghese in università
nazionalsocialista modellata sullo stile di vita militare non può essere organizzata a tavolino né
imposta; essa deve scaturire ed espandersi attingendo le proprie forze nella riserva culturale delle
generazioni vive. »14
L’attuazione del compito si rendeva particolarmente necessaria nei confronti del corpo insegnante.
Riprovandone l’atteggiamento Duning diceva: «Non c’è stato un corpo insegnante
nazionalsocialista fino alla presa del potere. Il tentativo di creare una tale organizzazione sarebbe
fallito fin dall’inizio per mancanza di militanti.»15 Per affrontare la situazione, Duining proponeva
un piano preciso: «Il corpo insegnante non poteva costituire, per il momento, l’agente della riforma,
venendo, dunque, meno alla sua stessa funzione. Solo il mondo studentesco, o, per meglio dire, il
suo settore nazionalsocialista, era in grado di assumere questo compito. La gioventù doveva essere
mobilitata per agire, operare e, per tale strada, liberarsi.»16
«La vittoria della rivoluzione universitaria era stata conseguita, salvo poche eccezioni, senza alcun
merito della classe insegnante, anzi, talvolta, ad onta della sua patetica resistenza. Gli esponenti
della cultura tedesca erano vincolati a una concezione della scienza le cui idee di oggettività
assoluta richiamavano irrimediabilmente lo spettro ormai obsoleto del razionalismo (...) Epperò
nelle università i rappresentanti del liberalismo classico sentirono istintivamente nemico, e lo
avversarono, un movimento che si prefiggeva l’abbattimento dell’autocrazia universitaria e che
mirava, nello stesso tempo, ad attuare una sintesi tra scienza e politica. Lo scontro tra lo
spirito innovatore e il vecchio spirito era, da quel momento, inevitabile.»17
La conquista degli organismi dirigenti, ad opera di una parte degli studenti nazisti, favorì
l’affermazione di un forte e aggressivo movimento «di base»; esso divenne uno strumento
essenziale nelle mani del governo che potè così imporre l’abolizione dell’autonomia delle università
e introdurre il Führerprinzip nell’amministrazione delle università tedesche. La nuova legislazione
ebbe come primo risultato l’espulsione, tra il 1933 e il 1934, di una media di circa il 7,3 per
cento degli insegnanti universitari. L’Università di Friburgo fu una delle più toccate da queste
misure. A Friburgo, infatti, come a Berlino, Francoforte sul Meno, Heidelberg, Breslavia, Gottinga,
Amburgo e Colonia, la percentuale degli espulsi oscillava tra il 18 e il 32 per cento.18 L’«
avanguardia» studentesca nazionalsocialista denunciò e boicottò i docenti ebrei, promuovendo la
loro sostituzione con «forze nuove», ben prima delle riforme dell’aprile 1934.19
Contemporaneamente persero il loro impiego 4000 avvocati, 3000 medici, 2000 funzionari e 2000
tra attori e musicisti.20 Le circostanze in cui si sviluppò l’azione nazionalsocialista all’Università di
Friburgo verranno approfondite più avanti.21 Sottolineiamo fin d’ora, comunque, come, tra i diversi
progetti elaborati in seno al nazionalsocialismo per indirizzare la riforma universitaria in direzione
del «movimento», emergano, fin dall’inizio, con le loro peculiari sfumature, quelli dei professori
Ernst Krieck, Alfred Bäumler e Martin Heidegger. Sarà essenzialmente tra queste tre distinte
opzioni, e in aperto e reciproco conflitto, che si giocherà la partita per trasformare le università
tedesche poco dopo la presa del potere: periodo decisamente anarchico, durante il quale le
opposizioni e il radicalismo studentesco impedivano che si ottenesse un consenso di una qualche
stabilità. La situazione di disordine sarà ben presto imbrigliata, dopo la purga che si abbatterà su
Rohm e le sue SA, ossia quando saranno eliminati i protagonisti più radicali e più «rivoluzionari»
del movimento studentesco.
La presa del potere nel Baden.22 Friburgo
Il Partito nazista del Baden profuse uno straordinario impegno nella propaganda, rivelandosi un
movimento capace di toccare larghi strati sociali. Ciò non significa, tuttavia, che la NSDAP
riuscisse a controllare agevolmente, fin dall’inizio, la maggioranza della popolazione. L’aver
ottenuto nelle elezioni del 1932 una percentuale inferiore alla maggioranza assoluta, divenendo,
comunque, il partito di maggioranza relativa nella regione, costituiva per la NSDAP una sfida, che
essa affrontò con rinnovata energia.23 Nel marzo del 1933 il quotidiano nazionalsocialista del
Baden, «Der Alemanne», si unì alla campagna nazionale di denuncia contro comunisti e
socialdemocratici, ai quali era stata addossata la responsabilità dell’incendio del Reichstag. La
violenta persecuzione nei confronti dei partiti di sinistra comportò, in tutto il Reich, il divieto di
ogni loro attività politica, la soppressione dei loro organi di stampa, l’annientamento delle strutture
del movimento operaio, la carcerazione o l’assassinio dei loro più autorevoli dirigenti; anche nel
Baden tale offensiva fece sentire i suoi effetti.
Dopo il successo del Partito nazionalsocialista nelle elezioni del 5 marzo, che portò all’immediata
abrogazione di ogni garanzia costituzionale, il ministro degli Interni, Frick, nominò
Reichskommissar per la pubblica sicurezza nel Baden, il Gauleiter della NSDAP in questa regione,
Robert Wagner. In un primo tempo si sarebbe potuto credere che l’avvento al potere dei nazisti non
fosse che un normale avvicendamento di governo, dal momento che ancora il 7 marzo i nazisti e lo
Zentrum intavolavano delle trattative per un eventuale governo di coalizione. L’assoggettamento
della polizia al Reichskommissar nazista, il 9 marzo, e la nomina, due giorni dopo, di un
governo tutto nazista significavano la rottura di fatto dell’accordo in discussione. Wagner costituì
un corpo di polizia parallelo, reclutando, a tal fine, cinquecento tra SA, SS e Stahlhelm (Elmo
d’acciaio), che si scatenarono nella persecuzione di ogni forza d’opposizione, anche, quindi, dei
socialdemocratici.24 A queste azioni, la cui iniziativa veniva «dall’alto», si aggiunsero le scorrerie
della «base» nazionalsocialista. Prima di essere definitivamente chiusa il 9 marzo 1933,25 la
sede sindacale subì numerose aggressioni. Il 17 marzo Nussbaum, un parlamentare
socialdemocratico, uccise un poliziotto che cercava di arrestarlo.26 Nella piazza della cattedrale, a
Friburgo, si svolse un importante raduno, promosso dalla NSDAP: «La manifestazione contro il
marxismo» era il segnale - secondo le parole stesse del dottor Kerber, - che «si era ormai in procinto
di estirpare il male fin dalle sue radici».27 La polizia fu autorizzata a servirsi delle armi, senza
indugi, contro qualsiasi «atto terroristico». Tutti i parlamentari e i rappresentanti locali della
socialdemocrazia furono arrestati, i loro organi di stampa soppressi, le loro organizzazioni disciolte.
Le organizzazioni politiche e sindacali di Friburgo avevano subito l’« allineamento»
(Gleichschaltung), ben prima che in tutto il resto del Reich.28 Nelle sue memorie, sottolineando il
carattere pubblico di queste misure, il professor Tellenbach scrive: «Noi vedevamo, costernati, sulla
stampa, le foto dei dirigenti socialdemocratici condotti nei campi di concentramento. Mi ricordo
bene di una foto che mostrava Remmele, ministro degli Interni del Baden, universalmente
rispettato, seduto su un camion, circondato da brutali figuri delle SA e delle SS.»29 Nel periodo in
cui Heidegger era rettore dell’Università di Friburgo, esistevano ormai nel Baden due campi di
concentramento: entrambi si trovavano a Heuberg (villaggio vicino a Messkirch). Riguardo
all’apertura del secondo campo, il quotidiano nazionalsocialista ufficiale, «Völkischer Beobachter»
(edizione per la Germania del sud), riportava, il i° giugno 1933, la seguente notizia: «Dopo aver
inaugurato, qualche mese fa, a Heuberg, un campo di concentramento per le persone politicamente
nocive, è stato allestito un secondo campo, sempre a Heuberg, per i prigionieri che ancora si
trovano nel carcere di Karlsruhe (...) Resteranno in custodia della polizia tutti quegli agitatori
comunisti, socialdemocratici e pacifisti, tutti quei funzionari e parlamentari, insomma, tutti
quei soggetti che mettono gravemente a repentaglio l’ordine pubblico e dai quali non ci si può
attendere un cambiamento dopo il rilascio. I funzionari di polizia debbono tenere sotto sorveglianza
tutti coloro che sono stati messi in libertà, finché non si abbia la certezza che siano diventati degli
uomini come si deve, dei tedeschi. »
I campi di concentramento di Heuberg furono smantellati nel 1935. I prigionieri vennero trasferiti
nel campo di concentramento e di sterminio di Dachau.30 I beni e le proprietà delle disciolte
organizzazioni passarono, con effetto immediato, nelle mani delle SS, delle SA e dei diversi gruppi
della Gioventù hitleriana. La sede sindacale fu riaperta nel maggio del 1933 in occasione della
nuova festa del lavoro ideata dai nazisti. L’«autoscioglimento» dei partiti borghesi avvenne il 23
giugno 1933 e il decreto che dichiarava illegali tutti i partiti, eccettuata la NSDAP, fu emanato il 14
luglio dello stesso anno. La popolazione ebrea di Friburgo era presa nella morsa tra il terrore
esercitato dalle istituzioni e il terrore esercitato dalla «base». L’11 marzo 1933, la squadra delle SA
di Friburgo, al comando di Kerber, di lì a poco sindaco della città, diede inizio al boicottaggio dei
negozi di proprietà di cittadini ebrei e delle attività professionali di medici e avvocati ebrei, i cui
nomi venivano pubblicati su apposite liste.31 Nessuna voce ufficiale si levò per protestare contro la
campagna antiebraica.32 Il 7 aprile 1933 fu promulgata la legge per l’epurazione del pubblico
impiego che disponeva l’espulsione degli ebrei dall’amministrazione statale e dalle università. Nel
1940 l’opera di «bonifica» fu terminata, quando gli ultimi 5617 ebrei del Baden furono mandati,
dapprima, nel campo di Gurs, nei Pirenei francesi, e, poi, trasferiti nei campi di sterminio dell’est.33
Heidegger rettore dell'Università di Friburgo
Tra le tappe decisive di quello che veniva chiamato l’allineamento della società tedesca, era prevista
la presa del potere nelle università e la trasformazione di queste secondo i disegni della NSDAP. Il
conferimento della carica di rettore dell’Università di Friburgo a Martin Heidegger fu un fatto di
notevole rilevanza, nazionale e internazionale, che fornì un assai valido supporto al regime da poco
insediato, se si pone mente al grande prestigio di cui godeva il filosofo. L’elezione di Heidegger a
rettore e la sua nomina a «Führer dell’università» coincidono, come tempi, con la sua iscrizione
ufficiale al Partito nazista.34 Il libretto di membro del partito di Martin Heidegger, conservato al
Centro di documentazione di Berlino, attesta che egli entrò nella NSDAP il 1° maggio 1933 (Gau
Baden, matricola n. 312589) e che ne resterà membro fino al 1945, pagando scrupolosamente le
quote di tesseramento.
Il dossier dell’elezione di Martin Heidegger al rettorato è stato accuratamente analizzato dallo
storico friburghese Hugo Ott.35 A differenza dell’altra Università del Baden, quella di Heidelberg,
che riuscì a mantenere per un certo tempo il proprio vecchio rettore, lo storico Willy Andreas,
l’Università di Friburgo svolse un ruolo d’avanguardia nel processo di allineamento
nazionalsocialista. La sorte del rettore von Möllendorff, immediato predecessore di Heidegger, il
cui mandato durò qualche giorno soltanto, sarà legata fin dall’inizio alla sorte del dottor Bender,
sindaco di Friburgo, militante dello Zentrum.36
I violenti attacchi del locale gerarca nazista, Kerber, pubblicati su «Der Alemanne», rivolti contro il
sindaco Bender - demagogicamente accusato di essere responsabile dei fatti che erano sfociati
nell’assassinio compiuto da Nussbaum - preludevano alla destituzione di Bender e alla rinuncia al
rettorato da parte di von Möllendorff, professore di medicina di grande rinomanza. Fu lo stesso
Kerber a dichiarare von Möllendorff, proprio per i suoi legami col sindaco Bender, non all’altezza
di detenere una responsabilità che esigeva un impegno senza riserve nella «ricostruzione culturale
della Germania». Non ci si poteva attendere, da parte di costui, una collaborazione con «la
rivoluzione nazionale» e neanche un sereno rapporto con gli studenti, in maggioranza
nazionalsocialisti.37 Parallelamente, una petizione della base studentesca diede nuova esca
alle accuse del gerarca nazista di Friburgo.38 A ciò si aggiunga che le disposizioni del
Reichskommissar Wagner, volte a sospendere dalle loro funzioni tutti gli insegnanti ebrei e a
ristrutturare gli organismi universitari, avevano creato un clima di precarietà: alla prima generale
sorpresa succederà un certo imbarazzo di fronte a una situazione giuridica complessa, che non
aveva riscontri nel resto del Reich, dove non erano ancora in vigore analoghe misure.39 In effetti
esse costituivano, per il momento, un caso unico, ma anche un primo passo in direzione di una
pratica politica che si sarebbe poi generalizzata a tutta la Germania.
In simili condizioni, il rettorato von Möllendorff si dimostrava sempre più vacillante. Il filologo
Wolfgang Schadewaldt si pronunciò per il ritiro di von Möllendorff e per l’elezione di Heidegger.
Gerhard Ritter,40 come anche Hugo Ott,41 sostiene che Schadewaldt abbia senza alcun dubbio
giocato un ruolo essenziale nella vicenda che condusse all’elezione di Martin Heidegger, non solo,
ma che i due - Schadewaldt e Heidegger - abbiano operato congiuntamente a questo
fine.42 Schadewaldt presterà il proprio attivo contributo ai corsi di indottrinamento organizzati e
diretti da Helmut Haubold e Heinz Riedel (il teorico delle razze), facendo anche proprio il peculiare
lessico nazionalsocialista di Heidegger.43 Preso atto della situazione, von Möllendorff indisse una
sessione plenaria, straordinaria, da tenersi il 21 aprile 1933, nel corso della quale si sarebbe eletto il
nuovo rettore Heidegger nonché il nuovo senato accademico.44 Ott rimarca, nella sua analisi,
l’atteggiamento poco solidale dello Zentrum friburghese nei riguardi di Bender e di von
Möllendorff.45 Il 24 aprile il dottor Kerber, che nel frattempo era stato nominato sindaco di
Friburgo, affermava, con evidente semplificazione dei fatti, che l’elezione di Martin Heidegger
come Führer dell’università si inseriva nel programma di allineamento generale e testimoniava della
volontà del corpo insegnante di dedicarsi fattivamente alla rivoluzione nazionale e sociale.
Kerber, a quanto risulta dai dati disponibili presso il Centro di documentazione di Berlino, era
militante nazionalsocialista dal 1930. Non solo, ma era anche membro delle SS (matricola
n. 309080) e, in tale veste, fu promosso da Hitler al grado di SS-Ober-sturmbannführer.46 Dopo che
gli fu conferito l’anello con il teschio (Totenkopfring), emblema delle SS, il 18 settembre 1942,
Kerber scrisse a Himmler ringraziandolo per l’onore ricevuto e giurando di essere disposto a
risponderne con la vita.47 Il suo legame con Martin Heidegger fu stretto e si mantenne
durevolmente anche dopo che questi ebbe abbandonato l’incarico di rettore. Il 12 novembre, in
occasione del plebiscito, essi firmarono, insieme al Führer degli studenti Heinrich von zur Mühlen,
un telegramma di sostegno a Hitler.48 Heidegger, in seguito, coadiuvò Kerber nel progetto di
reinserimento dei lavoratori disoccupati e, probabilmente, partecipò anche ai programmi di
indottrinamento previsti dal progetto. Nel 1937 Heidegger pubblicherà l’articolo Wege zur
Aussprache (Le vie del dialogo) nell’annuario «Alemannenland. Ein Buch vom Volkstum und
Sendung», pubblicato a cura del sindaco Kerber.49 Nel 1942 Kerber verrà nominato senatore
onorario dell’Università di Friburgo.50
Quando Heidegger pervenne al rettorato, i suoi intendimenti politici non erano ancora palesi, e non
lo diverranno che più tardi, allorché egli verrà ufficialmente designato come Führer dell’università.
Essi si manifesteranno, soprattutto, nei cambiamenti introdotti nel gruppo che costituiva, al
momento del ritiro di von Möllendorff, la precedente dirigenza. Tra i collaboratori del rettore eletto,
vi era un buon numero di professori niente affatto fautori del nuovo regime. Tra questi, in
particolare, il teologo Sauer, vicerettore eletto, il professor J. Bilz anch’egli teologo cattolico, e,
soprattutto, il principale oppositore di Heidegger a Friburgo, il professor Walter Eucken.51 Solo
dopo la campagna di allineamento portata avanti nel Baden e la successiva promulgazione, il 1°
ottobre 1933, del nuovo ordinamento universitario, Martin Heidegger sarà nominato
Führer dell’Università di Friburgo, grazie all’applicazione alle università del Führerprinzip, tramite
un atto giuridico, cioè assolutamente autonomo rispetto alla precedente elezione e che, di fatto, la
privava di ogni valore. Gli erano in tal modo conferite le attribuzioni necessarie per nominare, a sua
volta, cancelliere, presidi e senatori.52
Le persone scelte da Heidegger, salvo Sauer, von Möllendorff e il geologo Soergel, erano tutti
membri o attivi collaboratori del Partito nazista. La carica di cancelliere fu affidata da Heidegger al
professor Julius Wilser, militante del Gau Baden,53 noto per le sue ricerche pionieristiche
sull’utilizzazione militare delle conoscenze geologiche54 e sulle possibilità di sfruttamento dei
territori conquistati, collaboratore, inoltre, della rivista «Geopolitik», edita da Karl Haushofer.55
I professori Wolfgang Schadewaldt, Nikolaus Hilling (iscritto al Gau Baden, matricola n.
4026344)56 e Erik Wolf furono nominati presidi. Si parlerà più in là di quest’ultimo, uno dei più
leali collaboratori di Heidegger in qualità di preside della Facoltà di diritto (Gau Baden, n.
4713792).57 Come senatori, Heidegger nominò i professori Eduard Rehn al dipartimento di
chirurgia (Gau Baden, n. 3126323),58 Georg Stieler al dipartimento di filosofia (Gau Baden, n.
2910169),59 Wilhelm Felgenträger al dipartimento di diritto civile romano (Gau Baden, n.
3438497),60 Hans Mortensen (Gau Baden, n. 289669)61 che era anche membro del Comitato
nazionalsocialista per l’insegnamento superiore ed era conosciuto per le sue intransigenti opinioni
annessionistiche,62 Kurt Bauch (Gau Baden, n. 31096282), 63 e infine il dottor Otto Risse (Gau
Baden, n. 3109698).64
Sempre in base alla medesima fonte, tutti costoro rimasero militanti fino al 1945, fedeli alla loro
consegna. Hans Spemann, biologo di grande fama, che riceverà nel 1935 il premio Nobel, non era,
invece, membro della NSDAP. Il rapporto di questi con Martin Heidegger sembra aver avuto inizio
prima ancora degli anni trenta. In occasione della conferenza pronunciata da Heidegger a Brema
nell’ottobre del 1930, Petzet riferisce, in un articolo, di un lavoro del filosofo, in collaborazione con
Spemann, sulle relazioni tra filosofia e biologia. 65 In una lettera di Heidegger a Spemann, datata 24
febbraio 1929, Heidegger fa cenno alla necessità e all’urgenza di pensare a un «possibile modello
positivo di immagine del mondo (Weltbild) » sul quale Spemann avrebbe potuto impegnarsi.
Il numero del 1937 dell’annuario «Alemannenland», edito da Kerber, pubblicava un articolo di
Heidegger, di cui parleremo più avanti, sui rapporti tra tedeschi e francesi, e, insieme, un articolo
di Spemann dal titolo II significato sovranazionale delle scienze. In quest’ultimo articolo veniva
confutato il relativismo razzista, applicato alle scienze esatte, ma se ne ribadiva il valore per le
scienze dello spirito e per l’arte. In un altro intervento intitolato La scienza al servizio della nazione
Spemann prende posizione a favore del «nostro Führer» e «del governo del Reich che ha chiamato
noi ricercatori a lottare per l’indipendenza della Germania (...) Il successo non tarderà ad arriderci
(...) Il lavoro dello scienziato radica spiritualmente il popolo nella terra da cui scaturisce la sua
esistenza materiale, il pane che lo nutre, la lana e il tessuto che lo abbigliano, il ferro per le sue
armi». La scienza comprende, quindi, non soltanto la tecnica, ma anche «la medicina e l’igiene
razziale». «La grandezza di un popolo non viene dalla ragione, ma dai suoi sentimenti, dal
momento che la ragione si limita a classificare (...) I vecchi non debbono assumere un
atteggiamento di disapprovazione, poiché l’odierna rinascita del Tempio e della Fede è proprio ciò
che mantiene il mondo in vita (...) Gli eroi sono gli eletti che mostrano al popolo il cammino da
seguire (...) Io chiedo la benedizione per i nostri Führer e per il nostro popolo...» Circondato da
questi collaboratori, dunque, Martin Heidegger intende adempiere alla sua missione di Führer
dell’università di Friburgo. Prima di esaminare gli aspetti più significativi - almeno quelli di cui si
può avere conoscenza - dell’azione di Heidegger, occorre analizzare dettagliatamente due testi
fondamentali di questo periodo: il discorso in omaggio di Albert Leo Schlageter e il Discorso del
rettorato.
Il discorso in omaggio di Albert Leo Schlageter
I festeggiamenti in onore di Albert Leo Schlageter si svolgevano ogni anno, nel Baden, il 26
maggio. Schlageter aveva partecipato come volontario alla prima guerra mondiale, dopo aver
abbandonato gli studi per raggiungere il fronte. In seguito alla sconfitta si era unito ai gruppi armati
che conducevano la resistenza contro gli occupanti francesi in Renania. Fatto prigioniero dopo un
sabotaggio alle linee ferroviarie della regione, egli venne giudicato e condannato alla fucilazione,
che ebbe luogo il 26 maggio 1923 a Düsseldorf. Ma - e questa è una vicenda relativamente poco
nota - dopo l’esecuzione, la salma di Schlageter fu trafugata dall’obitorio di Düsseldorf ad opera di
Viktor Lutze, Staatschef (dirigente nazionale) delle SA, che insieme a Goebbels, Göring, Himmler e
Darré, sarà tra i primi compagni di strada di Hitler. Lutze, a rischio della vita, riuscì a trasportare la
salma fino alla zona non occupata. Da allora il culto di Schlageter divenne il momento focale
dell’agitazione e della propaganda di tutta l’estrema destra tedesca e, in special modo, degli studenti
nazionalsocialisti. Nel 1933 - decimo anniversario della morte di Schlageter - i festeggiamenti in
onore del giovane studente, celebrati in tutto il Reich, lo consacrarono «primo soldato
nazionalsocialista tedesco». La cerimonia in suo omaggio, svoltasi nella sua regione natale, nella
Pentecoste del 1933, vide una partecipazione straordinaria; vi intervennero più di mille persone, tra
cui il rettore Heidegger, il sindaco di Friburgo, dottor Kerber, il Führer delle SA del Baden, Ludin,
il principe di Prussia, August Wilhelm, in rappresentanza del governo del Reich. Il 26 maggio il
Gauleiter Robert Wagner inaugurò un monumento a Schlageter, collocato sulla sommità del monte
Zugspitze.67
Come Martin Heidegger, anche Schlageter era stato studente al liceo di Costanza (ribattezzato nel
1936 Schlageter-Gymnasium), poi pensionante presso la casa dello studente San Corrado, e
infine allievo del Bertholdsgymnasium di Friburgo. Ma le analogie tra le vite dei due non si
fermano qui.
Le lettere di Schlageter - pubblicate in un volume della collana Deutschland muss leben (La
Germania deve vivere), comprendente anche opere di Hitler, Goebbels ecc. - ci rivelano che egli
intendeva la sua partecipazione alla guerra come un adempimento dalle risonanze religiose e che, a
guerra finita, egli avrebbe consacrato la sua vita al sacerdozio. In una lettera del 23 aprile 191368 al
dottor Mathäus Lang, suo direttore spirituale e rettore del San Corrado, Schlageter confida la sua
decisione di prendere gli ordini a guerra finita, decisione presa «dopo aver pregato e cercato
l’appoggio dello Spirito Santo e della Madre di Dio». Ancora, in una lettera del 17 aprile, piange
la morte di Albert Eckert, che era stato ospite del convitto San Corrado: «Albert Eckert ha
conosciuto la morte santa dell’eroe. La guerra si porta via i migliori e i più risoluti tra gli uomini,
tanto che noi che restiamo in vita non possiamo non provare vergogna...»69 Schlageter aveva preso
parte alla vita di associazione degli studenti cattolici; era stato, tra l’altro, attivo membro del gruppo
Falkenstein, che praticava il duello alla spada. L’associazione centrale di tale gruppo nel 1932
curerà per le stampe un volume completamente dedicato a Schlageter.70
Il «Völkischer Beobachter» del 30 maggio 1933 (edizione per la Germania del sud) dava notizia
con queste parole della commemorazione di Friburgo: «Anche l’Università di Friburgo ha rivolto
un appello per onorare, nella più rigorosa semplicità, la morte del nostro eroe. Dopo il discorso del
camerata Heidegger, le mille persone presenti alla cerimonia alzarono in silenzio il braccio» in
segno di saluto alla memoria di Schlageter. Heidegger lesse il suo breve discorso nell’atrio
dell’ingresso principale dell’Università. Ormai definitivamente lontano dalla Chiesa, egli trascurerà
del tutto le motivazioni religiose nel cui orizzonte erano inserite la vita e la lotta di Schlageter, e, in
consonanza con la visione che ne aveva il nazionalsocialismo, laicizzerà il giovane eroe. I
festeggiamenti erano stati organizzati da una zelante avanguardia studentesca, che aveva
sistematicamente escluso i gruppi giovanili cattolici.
Il discorso di Heidegger si apre con queste parole:
«Per onorarlo, meditiamo un attimo su questa morte, per intendere da questa morte la nostra vita.
Schlageter morì della morte più difficile, non già sulla linea più avanzata del fronte, quale
comandante della sua batteria di scorta della fanteria, non già nell’impeto dell’attacco, e neppure
nell’accanimento della difesa; no, egli si trovò inerme dinanzi ai fucili francesi.
Ma egli rimase a testa alta e sopportò ciò che vi è di più difficile.
Pure, anche questo sarebbe stato sopportabile con un ultimo atto di giubilo, se almeno fosse stata
conquistata una vittoria e avesse potuto mostrarsi in tutto il suo fulgore la grandezza della
nazione che si desta.
Al posto di ciò, tenebra, avvilimento, tradimento.
E così egli, nel sostenere ciò che vi è di più difficile, dovette ancora compiere ciò che vi è di più
grande. Nella sua solitudine, egli dovette trarre da sé e raffigurare dinanzi alla sua anima, per
morire nella fede in questa visione, l’immagine del popolo che nel futuro si risveglia e insorge per il
suo onore e per la sua grandezza.»
In Essere e tempo la morte rappresentava la possibilità più propria e inalienabile dell'esistenza,
irriducibile e, contemporaneamente, impossibile a fondarsi.71 In essa l'esistenza autentica era in
grado di confrontarsi, in maniera privilegiata, con sé stessa: optare, cioè, per la comprensione di sé
stessa a partire dalla relazione con la morte stessa. Il senso ultimo del modo di analisi della morte
elaborato in Essere e tempo era di aprire l’orizzonte alla finitudine e, con essa, alla temporalità
come spazio in cui l'essere appare. Ma, giacché le analisi esplicite della morte (in entrambe le
alternative di inautenticità72 e di autenticità73) erano lì sviluppate in rapporto
all’esistenza individuale, ne risulta con nettezza, malgrado l'individuazione, nel quinto capitolo,74 di
una forma significativa di esistenza collettiva come esistenza autentica (gli eroi), come l’analisi
fosse carente nell’elaborazione dei fondamenti. E questo, nonostante Heidegger avesse
espressamente parlato della tradizione, dell’eredità, della comunità-del-popolo, degli eroi e della
lotta, come di momenti decisivi per la comprensione dell’esistenza collettiva. Il necessario
compimento che mancava a Essere e tempo si sta configurando proprio ora. La ragione essenziale
ne è che, attraverso la figura di Schlageter, Heidegger riuscirà ad accomunare, in modo armonioso,
esistenza individuale ed esistenza collettiva nella possibilità di farsi esistenze autentiche. Al
carattere costitutivo della morte (il suo essere irriducibile e impossibile a fondarsi), Heidegger
annetterà nuove determinazioni.
Appunto in quanto irriducibile e impossibile a fondarsi, la morte di Schlageter sarà per Heidegger
«la più difficile» e «la più grande». Egli si presenta come un eroe concreto e in rapporto con quella
medesima storia che costituisce la trama delle esistenze di Heidegger e dei suoi ascoltatori; ed è per
questo che il modo in cui egli si è confrontato con la morte, darà alla sua morte pienezza di
significato: incarnare un modello per la vita («la nostra vita»). Heidegger si pone, per questa via,
decisamente oltre le critiche - peraltro ingiuste - di chi lo rimproverava di aver dato, nella sua opera
maggiore, un quadro negativo dell’esistenza. Ma così facendo egli non si indirizza certamente verso
una visione umanistica. Se già in Essere e tempo egli individuava, infatti, nella lotta una delle forze
fondamentali dell’essere collettivo autentico, tanto più ora che si volge a concepire il fenomeno
della morte a partire dall’azione.
La morte del giovane studente è stata realmente «la più difficile e la più grande», poiché egli, giunto
di fronte ad essa, dovette accettarla senza poter lottare, ossia senza poter esercitare quell'attività che
qualifica l’esistenza autentica. Tuttavia, pur snodandosi dalle concezioni di Essere e tempo, tre
parametri contraddistingueranno, in modo peculiare, il nuovo modello di vita rivelatosi attraverso
il nazionalsocialismo. La morte per Schlageter non sarebbe stata così gravosa, se essa lo avesse
sorpreso come Führer della sua truppa, se egli in quel momento si fosse trovato in piena offensiva o
nel corso di un’accanita resistenza; oppure se la morte gli fosse andata incontro dopo la vittoria,
dopo la rinascita del popolo alla grandezza e all’onore. È appunto l'assenza di queste condizioni che
costituisce, per Heidegger, la superiorità del suo camerata, che, solo e senza appoggi, aveva dato
inizio a quell’opera che i nazisti, nel 1933, stavano portando a compimento. Le medesime ragioni
fanno, contemporaneamente, l’onerosità e la grandezza della sua morte. Su tale base, Heidegger era
perfettamente consapevole di aver simboleggiato, attraverso la figura del giovane eroe, la situazione
e il destino del popolo tedesco nonché l’esito della prima guerra mondiale come lo vedevano
l’estrema destra e i tedeschi: un popolo tradito dai suoi stessi compatrioti, posto nella necessità di
«risvegliarsi». Heidegger individuava nelle avanguardie studentesche le «generazioni vive» alla
testa del movimento della rinascita.
Il concetto della morte, come le nozioni di mondo e di popolo, troveranno, in questo quadro, una
nuova e fondamentale rielaborazione.
«Donde questa tenacia della volontà di sostenere ciò che vi è di più difficile?
Donde questa limpidezza del cuore di raffigurarsi dinanzi all’anima ciò che vi è di più grande e
lontano?
Studente di Friburgo! Studente tedesco! Fanne esperienza e sappilo, quando nei viaggi e nelle
marce percorri le montagne, le selve e le valli della Foresta Nera, che è la terra natia di questo eroe:
di roccia primitiva, di granito sono le montagne fra le quali è cresciuto il giovane figlio di contadini.
Da tempo esse forgiano questa tenacia della volontà.
E' il sole autunnale della Foresta Nera, è esso che dona la più splendida limpidezza alle sue catene
montuose e alle distese dei boschi. Da tempo esso nutre la limpidezza del cuore.»
Per Schlageter, il mondo è diventato patria, la sua patria. Seguendo questa prospettiva, Heidegger
non si limita a introdurre una volontà nazionale e locale, ma istituisce un collegamento tra la sua
nozione del mondo e lo spazio, correlativo del tempo, quello spazio che, fino al 1927, «gli sfuggiva
di tra le dita». Tale evoluzione apre la via verso una comprensione più concreta della storia.
Ricevendo le proprie caratteristiche essenziali dalla patria (dalla terra, dalle sue montagne, dai suoi
boschi, dalle sue valli, dalla sua luce), cioè da una realtà condivisa, l’esistenza dell’eroe diventa
paradigmatica, esemplare, poiché i suoi tratti distintivi fanno riferimento all’originaria matrice
comune.
«Posto inerme dinanzi ai fucili, lo sguardo interiore dell’eroe si slanciò oltre le bocche dei fucili,
verso il giorno e le montagne della sua terra natia, per poter morire, nella visione del paese
alemanno, per il popolo tedesco e per il suo Reich. »
Il popolo tedesco, come nazione, non costituisce, per Heidegger, un insieme omogeneo. Secondo la
nota tesi di Joseph Nadler, la spiritualità dei tedeschi ha origine e raggiunge l’apice nel sud per
poi espandersi progressivamente verso il nord. Martin Heidegger fa suo questo regionalismo del
sud, rivendicando per la «patria locale», per il luogo natio, il ruolo di istanza mediatrice tra
individuo e nazione, e ravvisando in essa la condizione necessaria attraverso cui plasmare la
nazione e lo Stato. Parte precisamente dalla patria locale il percorso che porta Schlageter a morire
per il popolo tedesco e per il suo Reich.
La suprema autenticità della morte di Schlageter nel «passato», trasforma questa morte in segno
foriero di avvenire. La riflessione del filosofo si fa appello incalzante:
«Con volontà tenace e limpido cuore Albert Leo Schlageter morì la sua morte, la più difficile e la
più grande.
Studente di Friburgo, lascia che fluisca nella tua volontà la forza dei monti natii di questo eroe!
Studente di Friburgo, lascia che risplenda nel tuo cuore la forza del sole autunnale della valle natia
di questo eroe!
Preservale entrambe in te, e portale entrambe, la tenacia della volontà e la limpidezza del cuore, ai
tuoi compagni nelle università tedesche. »
In Essere e tempo la coscienza (Gewissen) è la struttura dell’esistenza stessa in cui l’uomo riceve
l’«appello», che lo apre alla possibilità di scegliere un’esistenza autentica. In quanto tale
l’«appello» richiede, correlativamente, «la capacità di ascolto». Saper ascoltare, cioè, quanto
concerne la possibilità di scegliere un’esistenza autentica per mezzo della decisione-risoluta.75 In
Schlageter, Heidegger riconosce un modello concreto di esistenza per il quale è possibile decidersi
nell’ora presente, e indica le modalità di questa decisionerisoluta: eroismo e patriottismo. Tale
modello, concreto e oggettivo, si impone di fatto come criterio in rapporto al quale gli studenti e i
tedeschi debbono assumere una decisione. La patria, base della nazione e dello Stato, fonda una
nuova totalità che è, insieme, scopo e origine delle decisioni dell’ora, criterio, sostanzialmente,
delle possibilità del popolo di scegliersi come popolo. E se, in Essere e tempo, l’«appello» si
produceva essenzialmente nel silenzio, nel mutismo76 dell’individuo autentico di fronte a una
collettività anonima, adesso che l’essere-in-comunità autentico si offre in un accessibile orizzonte,
l’«appello» può dirsi a voce alta, senza timore di cadere nella chiacchiera. L’indeterminatezza
dell’«appello» di Essere e tempo (un «appello» che non riguardava nessuno) può, ora,
svilupparsi nell’«appello» che chiama a una concreta realizzazione il popolo e il suo passato,
costituiti in quanto tali (fatti essere) da quel popolo esemplare che sono i suoi Führer e i suoi eroi.
E la caratteristica che Martin Heidegger attribuiva nel 1927 all'«appello», di non avere cioè la
possibilità di essere accolto, diventa, di conseguenza, un’esortazione alla lotta così come si
configura nella guerra.
«Tra questi luoghi si aggirava Schlageter quando era studente a Friburgo. Ma non lo sopportò a
lungo. Egli dovette andare nel Baltico, dovette andare nell’Alta Slesia, dovette andare nella Ruhr.
Egli non potè eludere il suo destino di dover morire, con volontà tenace e limpido cuore, della
morte più difficile e più grande.
Noi onoriamo l’eroe e leviamo in silenzio la mano in segno di saluto.»
I luoghi in cui Schlageter dovette, secondo Heidegger, andare, sono quelli dove, dapprima,
partecipò alla guerra (la regione baltica e la Slesia) e dove, poi, partecipò ad atti di sabotaggio
contro le linee ferroviarie francesi (la Ruhr). Ciò che, secondo Heidegger, rende le azioni di
Schlageter esemplari, è proprio il fatto che egli abbia dovuto agire attraverso l’attività terroristica,
infatti, egli ascoltava l’«appello» originario di una patria che non poteva recuperare il fulgore della
sua luce di nazione, se non per mezzo di una lotta volta a farla rientrare in possesso di quel carattere
che era propriamente suo. La difesa della natura, come riaffermazione dei suoi valori nelPambito
della patria, trova sostegno nella lotta. L’accoglimento delP«appello», l’apertura alle possibilità che
esso offre costituiscono la missione, secondo Heidegger, del nascente nazionalsocialismo. Di qui il
commiato - inteso in primo luogo come omaggio - con il saluto nazista.
Conseguentemente, se si pensa a questo discorso, Heidegger, durante il suo rettorato, alimentò il
culto di Schlageter, appoggiando un’iniziativa studentesca intesa a fondare all’Università una
Völkische Kameradschaft Schlageter,77 e riferendosi a Schlageter come a un modello esemplare di
vita di studente nel discorso tenuto, il 27 novembre 1933, per l’inaugurazione dell’anno
accademico. Nel corso di questa cerimonia, il rettore Heidegger fece prestare giuramento al
rappresentante degli studenti, mentre questi teneva la mano posata sul Mein Kampf.78 Per mettere in
rilievo la consonanza tra le idee fondamentali di Hitler e quelle espresse da Heidegger nel discorso
di cui abbiamo appena parlato, vorremmo riportare alcuni passi di Mein Kampf , dove, peraltro, fin
dall’inizio viene dato grande rilievo alla figura di Schlageter.79 Hitler, rievocando le sue impressioni
di giovane soldato nella prima guerra mondiale, descrive con straordinaria precisione (in perfetta
affinità con Heidegger) il processo che consiste nell’assumere la guerra come realtà unica e
superiore, attraverso una decisione che si dà per esclusivo orizzonte l’accettazione della morte
(poter morire), e che, di per sé, è causa e fondamento di un’esistenza che si affida a una rinuncia
permanente ed eroica, un’esistenza, ovviamente, autentica perché eroica. Dopo aver descritto la
brama dei giovani soldati di partecipare alla guerra, Hitler scrive:
«Poi giunse un’umile e fredda notte nelle Fiandre, per entro la quale noi marciavamo in silenzio;
quando il giorno cominciò a svolgersi dalle nebbie notturne, ecco improvvisamente un saluto di
ferro sibilare sopra le nostre teste, e le piccole pallottole tambureggiare sulle nostre fila, come a
frustare il terreno impantanato; e prima ancora che la lieve nuvoletta si sia disfatta nel cielo,
risponde il nostro primo “Urrà” a quel primo messaggero di morte. Poi cominciarono attorno a noi i
soliti scoppi, i soliti boati, e ci sentimmo attratti in avanti, con occhi febbrili, sempre più rapidi,
finché al di là dei campi di rape e delle siepi si ingaggiò la pugna, una lotta di uomini contro
uomini. Da lontano giungevano fino al nostro orecchio gli echi di una canzone, si avvicinavano,
passavano da compagnia a compagnia; e proprio mentre la morte cominciò ad affaccendarsi nelle
nostre fila, quel canto ci raggiunse con pieno empito, e anche noi lo intonammo trasmettendolo più
avanti: “Deutschland Deutschland über alles, über alles in der Welt!” Dopo quattro
giorni tornammo indietro. Anche il nostro incedere era diverso. Ragazzi di 17 anni erano ora fatti
uguali a uomini (...) Dal giovane volontario di guerra era nato un vecchio soldato.»80
Capitolo 2. Il Discorso del rettorato
Il 27 maggio 1933 si svolse all’Università di Friburgo la cerimonia durante cui Martin Heidegger
pronunciò il suo discorso d’intenti come rettore, conosciuto sotto il titolo di L‘autoaffermazione
dell’università tedesca o Discorso del rettorato. Erano presenti alla manifestazione: il ministro della
Giustizia e del Culto del Baden, dottor Wacker, il rettore dell’Università di Heidelberg, professor
Willy Andreas, il rettore dell’Università tecnica di Karlsruhe, professor Kluge, l’arcivescovo di
Friburgo, dottor Conrad Gröber, il dottor Kerber, sindaco di Friburgo, il generale di artiglieria a
riposo von Gallwitz, vari altri rappresentanti, ancora, del Reich e della vita culturale, amministrativa
e religiosa della regione, e, in massa, gli studenti e le loro formazioni, tra cui gli studenti delle SA
con le bandiere a croci uncinate e le associazioni autorizzate a praticare il duello alla
spada. L’accompagnamento musicale fu solenne: l’ouverture Gaudeamus igitur di Brahms, il Canto
dei tedeschi (tutte e tre le strofe), l’Inno al martire nazionalsocialista Horst Wessel e, infine, la
Huldigung-Marsch di Richard Wagner.81 Il discorso di Heidegger fu trasmesso da radio Friburgo,
accompagnato da commenti sulla cerimonia.82
Noi cercheremo innanzitutto di analizzare il Discorso del rettorato, collocandolo nel contesto delle
più importanti proposte di riforma nazionalsocialista dell’università. In seguito esamineremo come
esso venne recepito dall’opinione pubblica.
Il regime hitleriano iniziava, appena, ad assestarsi al potere e a definire la propria linea politica. La
violenza delle iniziative studentesche per «rivoluzionare» l’università, l’attiva partecipazione
del Partito alle lotte studentesche, l’atteggiamento passivo della grande
maggioranza del corpo insegnante, che vedeva nella politicizzazione dell’università una minaccia
per i propri privilegi: tutti questi fattori rendevano il «fronte universitario» uno dei settori più
delicati per il vertice politico nazista, tanto più che, per tradizione, in Germania si attribuiva una
particolare importanza alla vita universitaria.
Le maggiori difficoltà non provenivano, però, di qui, ma dal fatto che il Partito e i suoi ideologi non
avevano elaborato un modello definito di riforma universitaria che permettesse un’azione coerente e
sistematica. Si può dire, con Aharon Kleinberger, che, in realtà, i nazionalsocialisti in tale settore
non riuscirono mai a dare consistenza a un qualche progetto complessivo di ristrutturazione,
lasciando così libero campo alle critiche, ai conflitti di potere o alle influenze di singoli o di piccole
consorterie.83 Tanto più questo, se si considera che il nazionalsocialismo era, in quel momento, più
lontano che mai dal monolitismo ideologico e politico. Tale diffusa indeterminatezza favorisce il
sorgere di numerosi progetti concorrenti, ciascuno dei quali cerca di raggiungere quell’egemonia
che gli potrebbe permettere di indirizzare la riforma. Si possono distinguere due diverse tendenze,
riflesso delle alternative politiche a cui si trova di fronte il regime nazista fino al luglio 1934.
Secondo la prima, globalmente, la «rivoluzione» nazionalsocialista si era già imposta con l’accesso
del partito al potere, fatto che, di per sé, implicava il controllo sull’apparato dello Stato; ciò
che restava da fare era, unicamente, consolidare la rivoluzione all’interno della società tedesca. I
compiti presenti si riducevano, pertanto, a un risanamento della vita economica, politica e culturale,
che evitasse misure destabilizzatrici. Tale concezione si esprimeva nitidamente nei modelli di
riforma elaborati da Alfred Bäumler ed Ernst Krieck. Al di là delle differenze, i due progetti
possedevano una comune intelaiatura; entrambi si prefiggevano un riordinamento degli organismi
studenteschi in vista delle responsabilità loro assegnate nel quadro generale degli obiettivi e dei
programmi dello Stato nazionalsocialista. Alla, stessa stregua degli altri piani di riforma sul tappeto,
quello di Bäumler presupponeva la politicizzazione dell’università e, di conseguenza, la fine
dell’autonomia universitaria. Gli specifici intenti di questo progetto consistevano nel concentrare
l’attività universitaria attorno a Case degli uomini (Mannerhäuser) che escludessero qualsiasi
elemento «femminile democratico» dall’organizzazione degli studi superiori, e nel militarizzare al
massimo grado la vita educativa.84 Bäumler fiancheggiava, nei loro disegni, Alfred Rosenberg e
l’Amt Wissenschaft, organismo incaricato di vigilare sulla dottrina del Partito nazionalsocialista.
La posizione di Ernst Krieck, il pedagogista nazista più rappresentativo, è sviluppata nel discorso di
investitura, che egli pronunciò al momento di assumere il rettorato dell’Università di Francoforte, il
23 maggio 1933. Come farà anche Martin Heidegger, Krieck sottolinea il nuovo ruolo politico e
rivoluzionario giocato dagli studenti e il loro «atteggiamento risoluto». Di qui doveva nascere
«l’uomo nazionalsocialista del futuro». Ma, in totale contrasto con Heidegger, Krieck valorizza
esplicitamente l’idea di «monaco scientifico», nonché l’aspetto «professionale» nella formazione
scientifica e nella trasformazione dell’università.85 Rifacendosi come criterio di fondo a una
distinzione tra «essere» e «dover essere», Krieck formulava l’esigenza di una riforma che
prevedesse la piena autonomia per tutte le discipline e che abolisse i loro rapporti gerarchici.86 Di
qui l’urgenza di creare delle «unità» al cui interno le diverse scienze avrebbero operato senza
vincoli di dipendenza. Il legame tra di esse sarebbe stato assicurato «dalla comune concezione del
mondo e dal servizio del popolo».87 Le università avrebbero dovuto conformarsi alle diverse
professioni e alle necessità del loro futuro esercizio.88 Krieck, che non godeva di alcun appoggio né
nel Partito né nello Stato, era il leader di un gruppo che, a Francoforte, attorno alla rivista «Volk im
Werden», cercava di svolgere una funzione egemonica nel differenziato mondo della cultura
nazionalsocialista. Le frizioni con l’Amt Wissenschaft di Rosenberg erano dunque inevitabili,
specialmente a causa della concorrenza che «Volk im Werden» faceva alla rivista «NS
Monatshefte», pubblicata dall’Amt.89
La seconda tendenza aveva come riferimento politico generale le posizioni di Rohm e delle sue SA,
che controllavano le dirigenze studentesche nazionalsocialiste. Per Rohm e i suoi, l’ascesa al
potere di Hitler significava, unicamente, la possibilità di innescare, da tale momento, una radicale
trasformazione della società tedesca, la vera «rivoluzione nazionalsocialista». Questa era concepita
come un completo rivolgimento della società tedesca nel suo complesso. La conquista dell’apparato
dello Stato era, per Rohm, soltanto il prologo di un processo - «la seconda rivoluzione» - che
doveva sconvolgere le fondamenta stesse della realtà tedesca, fino ad allora deformate dal
liberalismo, dalPinternazionalismo e dal giudaismo. Per quanto concerne la riforma universitaria, il
«rivoluzionarismo» di questa opzione implicava, in primo luogo, un completo rinnovamento del
concetto di scienza - nella ricerca e nell’insegnamento -ma, pure, un totale cambiamento di rotta nel
modo di gestire le università, una radicale trasformazione, cioè, nei rapporti tra professori e studenti
che aprisse la strada verso un’università autenticamente nuova. Il più autorevole esponente di questa
tendenza era Martin Heidegger: «L’assunzione del rettorato è l’impegno alla guida spirituale di
questa alta scuola. Coloro che seguono, docenti e studenti, si elevano e si rafforzano solo se hanno
vere e comuni radici nell’essenza dell’università tedesca. Ma questa essenza acquista
chiarezza, rango e potere solo se anzitutto e in ogni tempo, coloro che guidano sono essi stessi
guidati - guidati dall’inesorabilità di quel compito spirituale che costringe il destino del popolo
tedesco ad assumere l’impronta della sua storia.»90
Al di là dei «soggetti» (insegnanti e allievi), Heidegger pone un principio sovrapersonale (il destino
del popolo tedesco), che, in quanto è in movimento, spiega e fonda l’azione del processo. Il
«seguire» e, allo stesso modo, il «guidare» sono definiti da questa istanza trascendentale e insieme
imperativa e, di fronte ad essa, non soltanto vengono meno i «privilegi», ma il rango deriva
unicamente dai meriti conquistati nell’impegno di cui si dà prova in rapporto ad essa. Il
rinnovamento dell’università tedesca presuppone una riflessione di tipo completamente nuovo, che
metta in questione qualcosa di ben più pregnante di quanto non siano dei parametri meramente
amministrativi:
«Siamo consapevoli di questo compito spirituale? Lo siamo o no, resta ineludibile la domanda:
abbiamo noi, corpo docente e studentesco di questa alta scuola, vere e comuni radici
nell’essenza dell’università tedesca? Ha questa essenza la forza autentica di plasmare la nostra
esistenza? Certamente, ma solo se noi vogliamo radicalmente questa essenza. Ma chi potrebbe
dubitarne? Comunemente il carattere essenziale predominante dell’università è visto nella sua
“autonomia amministrativa”; essa deve esser conservata. Ma: abbiamo riflettuto anche in modo
esauriente su che cosa esige da noi tale rivendicazione di autonomia amministrativa?
Autonomia amministrativa significa appunto: porre autonomamente il compito e determinare noi
stessi la via e i modi della sua realizzazione, per essere in essa stessa ciò che noi dobbiamo
essere. Ma sappiamo noi chi siamo noi stessi, questo corpo di insegnanti e studenti della più alta
scuola del popolo tedesco? Possiamo saperlo in generale, senza un’incessante e tenace presa di
coscienza di noi  stessi (Selbstbesinnung)?»91
La scelta del nazionalsocialismo è espressa da Heidegger in questi termini: «L’autoaffermazione
dell’università tedesca è l’originaria, comune volontà della sua essenza. Per noi, l’università tedesca
vale come l’alta scuola che, a partire dalla scienza e attraverso la scienza, educale disciplina le
guide (Führer) e i custodi (Hüter) del destino del popolo tedesco. La volontà di essenza
dell’università tedesca è la volontà di scienza come volontà del compito storico spirituale
del popolo tedesco in quanto popolo che si conosce nel suo Stato. Scienza e destino tedesco
debbono nel contempo giungere al potere nella volontà di essenza. Ed essi vi perverranno
allorquando e solo se noi - corpo insegnante e studentesco - da un lato esponiamo la scienza alla
sua più intima necessità, e d'altro lato facciamo fronte al destino tedesco nella sua più estrema
necessità.»92
L’università si configura come una comunità di Führer forgiati nella disciplina, la scuola in cui si
plasmano le guide della comunità-del-popolo, di un popolo che «si conosce nel suo Stato».
L’essenza di questo sapere è oggetto di una ricerca che la riflessione filosofica assume: giacché
comprendere «l’essenza» consiste nel comprendere le «origini». La condizione preliminare per
intraprendere tale ricerca è di «sottomettersi di nuovo al potere del primo inizio della nostra
esistenza storico-spirituale. Questo primo inizio è lo sbocciare della filosofia greca. È in esso che
l’uomo occidentale, a partire da un carattere nazionale e in forza della sua lingua, si solleva per la
prima volta contro l'essente in totalità, e lo interroga e lo concepisce come quell’essente che esso è.
Ogni scienza è filosofia, lo sappia o no, lo voglia o no. Ogni scienza resta affetta da quel primo
inizio della filosofia. È da qui che la filosofia attinge la forza della sua essenza, posto che essa resti
in generale all’altezza del suo inizio.»93
La riflessione sull’«essenza» non deve consistere, per Heidegger, nella ricerca di una struttura
teorica. Dietro l’essenza c’è sempre un
popolo, un Volkstum che, grazie alle virtualità «date» che gli sono proprie, crea le fondamenta dello
sviluppo spirituale. Esprimendo qui una convinzione che manterrà fino alla fine della sua vita,
Heidegger precisa che le origini dell’uomo occidentale vanno ricercate nell’asse trascendentale
elleno-germanico, nella sua ineguagliata forzi spirituale. Àncora in questo caso si tratta di
un’opinione condivisa con i nazionalsocialisti: in base a cui, cioè, la lotta che il popolo avrebbe
dovuto condurre, nella prospettiva della sua secolare esistenza, esigeva la fusione in una medesima
comunità dell’elemento greco e dell’elemento germanico. Secondo Heidegger, anche i greci non
concepivano la loro origine come qualcosa di accessibile in una teoria separatamente intesa. Per
essi, infatti, la teoria non equivaleva affatto alla contemplazione, ma alla forma più elevata in cui
potesse realizzarsi l'energeia. Non si trattava dunque di «assimilare la praxis alla teoria, ma al
contrario di intendere la teoria stessa come la più alta realizzazione dell’autentica praxis. Per i greci
la scienza non è un “bene culturale”, ma il centro che determina nel più intimo l’intera esistenza
popolate-statale».94 Il compito di ritrovare la propria essenza non consiste soltanto, per Heidegger,
in un combattimento la cui posta sia una consolidata unità nazionale, ma in una lotta «eroica», in
quanto lo sforzo spirituale, solo, è vero e reale, nella misura stessa in cui non si può mai
raggiungere, in esso, la pienezza di ciò che viene cercato: «Ogni sapere intorno alle cose resta
sin dall’inizio consegnato alla superiore potenza del destino e fallisce dinanzi ad essa.»95 In questo
oltrepassamento eroico e positivo dell’antinomia teoria-praxis, che egli concepisce a partire da una
praxis trascendentale e storica, Heidegger impianta solidamente la sua ulteriore affermazione del
ruolo storico e politico-trascendentale svolto dalla filosofia in quanto energeia. Giacché, se la
filosofia fonda le scienze, ne ha facoltà, secondo Heidegger, in quanto essa è costitutiva
dell’esistenza storico-trascendentale («spirituale») di alcuni popoli. Lungi dal volersi presentare
come candidato alla carica di filosofo di Stato - situazione in certo modo privilegiata -
Heidegger faldella filosofia, della sua propria filosofia, un fattore propulsivo, attraverso un atto
fondamentale, di una nuova realtà tedesca:
« Il primo inizio ha investito il nostro futuro, esso sta là come una lontana disposizione che ci
impone di raggiungere nuovamente la sua grandezza.
Soltanto se ci sottomettiamo decisamente a questa lontana disposizione per riguadagnare la
grandezza del primo inizio, soltanto allora la scienza diverrà per noi la necessità più intima
dell’esistenza. Diversamente, essa resta un caso nel quale può capitare di imbatterci, ovvero il
tranquillo piacere di un’occupazione priva di rischio, volta a promuovere un mero progresso di
nozioni.
Ma se ci sottomettiamo alla lontana disposizione del primo inizio, la scienza diventerà
necessariamente l’evento fondamentale della nostra esistenza popolare-spirituale. »96
Heidegger afferma che tali fondamentali questioni non possono essere affrontate se non attraverso il
suggello del sangue e della terra, in senso proprio e pieno. Facendo proprie sul piano formale le
parole di Rosenberg: «lo spirito parla a partire dalla razza», Heidegger perviene a individuare nella
salvaguardia del sangue e della terra, la condizione dell’avvento e dell’espansione della vita
spirituale del popolo: «E il mondo spirituale di un popolo non è la sovrastruttura di una civiltà
(Kultur), e tanto meno un arsenale di conoscenze e valori utilizzabili; esso è bensì la capacità di
conservare nel modo più profondo le sue forze che attengono alla terra e al sangue, come capacità di
eccitare nel modo più intenso e di scuotere nel modo più ampio la sua esistenza. Soltanto un mondo
spirituale garantisce al popolo la grandezza. Giacché esso costringe a far si che la continua
decisione fra la volontà di grandezza e il lasciar libero corso alla decadenza, divenga la legge che
regola la marcia che il nostro popolo ha iniziato verso la sua storia futura.»97
Heidegger dà fondamento, in tal modo, alle proprie proposte per trasformare l’università, e
identifica nell’avanguardia degli studenti il soggetto storico di questo processo. A questo fine egli
ricerca un modello di azione politica, in cui possano convergere il Fuhrer-rettore e la base, la
coscienza trascendentale e il moto della storia, modello che sia in grado di portare al crollo delle
vecchie strutture. Heidegger pensava non solo che si dovesse definitivamente porre fine alla libertà
delle istituzioni universitarie, ma che occorresse anche subordinare gli insegnanti allo slancio
rivoluzionario degli studenti e delle SA che li guidavano:
«Dalla risolutezza degli studenti tedeschi di far fronte al destino tedesco nella sua necessità estrema,
proviene una volontà di essenza dell’università. Tale volontà è una vera volontà, nella misura in cui
il corpo degli studenti tedeschi, in virtù del nuovo diritto studentesco, pone sé stesso sotto la legge
della sua essenza, e in tal modo, in primo luogo, delimita questa sua essenza. Dare la legge a sé
stessi, questa è la più alta libertà. La tanto decantata “libertà accademica” viene espulsa
dalPuniversità; questa libertà infatti era inautentica, poiché era solo negativa. Prevalentemente, essa
significava incuranza, arbitrio delle intenzioni, licenza nel fare e nel permettere. Ora il concetto di
libertà dello studente tedesco viene ricondotto alla sua verità. È da essa che per l’avvenire si
sviluppano il vincolo e il servizio degli studenti tedeschi.»98
L’attività degli studenti deve essere inquadrata attraverso tre vincoli e servizi. Questa dottrina
costituisce uno degli apporti più originali di Heidegger alla discussione sull’organizzazione del
lavoro universitario:
«Ilprimo vincolo è quello della collettività nazionale. Esso obbliga a prender parte, facendosene
carico e collaborando, alla fatica, alle aspirazioni e alla capacità di tutti i ceti e di tutti i membri
del popolo. Questo vincolo d’ora in poi viene fissato e radicato nell’esserci dello studente tramite il
servizio del lavoro.»
Il secondo vincolo, quello che lega gli studenti all’onore e al destino della nazione, comporta il
servizio militare.
«Il terzo vincolo del corpo studentesco è quello del compito spirituale del popolo tedesco. Questo
popolo intanto opera sul suo destino, in quanto inserisce la sua storia nella manifesta superiorità del
potere di tutte le forze dell’esserci umano che sono formatrici del mondo, e si conquista sempre
nuovamente il suo mondo spirituale. Così esposto alla più estrema problematicità del proprio
esserci, questo popolo vuol essere un popolo spirituale. Da sé medesimo e per sé, esso richiede alle
sue guide e ai suoi custodi la più severa chiarezza del sapere più alto, più ampio e più ricco. Una
gioventù studentesca che precocemente si arrischia a entrare nell’età virile e che tende il suo volere
sul destino futuro della nazione, si costringe radicalmente al servizio di questo sapere. Per essa, il
servizio del sapere non dovrà più essere l’inerte e rapido addestramento a una “onorata”
professione. Giacché, nella misura in cui l’uomo di Stato e l’insegnante, il medico e il giudice, il
pastore e l’architetto guidano l’esistenza statal-popolare, ne sorvegliano e ne affinano i rapporti
essenziali con le forze dell’essere umano che sono formatrici del mondo, tali professioni, e
l’educazione ad esse, restano consegnate al servizio del sapere. Il sapere non è al servizio delle
professioni, ma al contrario: le professioni conseguono e amministrano quel sapere supremo ed
essenziale che il popolo ha della sua intera esistenza. Ma questo sapere non è per noi la tranquilla
presa di conoscenza di essenze e valori in sé, bensì la più grave messa in pericolo dell’esserci entro
lo strapotere dell’essente. È la problematicità dell’essere in generale che strappa al popolo lavoro e
lotta, e lo forza nel suo Stato, al quale appartengono le professioni.
I tre vincoli che tramite il popolo legano al destino dello Stato nell’assunzione del compito
spirituale, sono egualmente originari per l’essenza tedesca. I tre servizi che ne scaturiscono - il
servizio del lavoro, il servizio militare e il servizio del sapere - sono egualmente necessari e di
eguale rango. »99
Heidegger, con questa sua proposta, introduceva delle innovazioni; infatti «la gerarchia organica
dello Stato del Führer», così veniva chiamata, prevedeva solo il servizio del lavoro e il servizio
militare.100 L’aggiunta del servizio del sapere, messo sullo stesso piano del lavoro e della difesa,
includeva la scienza tra i compiti più alti dello Stato nazionalsocialista. Heidegger additava i tre
servizi precipuamente agli studenti: le precedenti citazioni hanno sufficientemente chiarito come,
mentre agli insegnanti veniva rivolto l’appello di conformarsi ai nuovi compiti, gli studenti
apparissero, invece, nel ruolo di chi esige che ciò si faccia. Il conflitto, che nasceva in tale
situazione, tra l’avanguardia impegnata nell’azione e gli insegnanti privi di risolutezza, si
configurava, per Heidegger, come il principio regolatore della vita universitaria e veniva concepito
come un processo rivoluzionario:
«La volontà di essenza dei docenti deve destarsi e rafforzarsi facendosi semplicità e ampiezza del
sapere sull’essenza della scienza. La volontà di essenza del corpo degli studenti deve costringersi
a raggiungere la più elevata chiarezza e disciplina del sapere, e con esigenza e determinazione
impiantare nell’essenza della scienza la consapevolezza del popolo e dello Stato. Le due volontà
debbono schierarsi reciprocamente in lotta. Ogni facoltà del volere e del pensiero, tutte le forze del
cuore e le capacità del corpo, devono dispiegarsi tramite la lotta, crescere nella lotta e conservarsi
come lotta.
Noi scegliamo la lotta consapevole di coloro che domandano, e dichiariamo con Carl von
Clausewitz: “Io ripudio la facile speranza in una salvezza per mano del caso.”»101
L’università come terreno di scontro ideologico, la lotta come norma dell’azione, l’egemonia
dell’avanguardia studentesca radicale: si tratta di aspetti ideologici che parlano da sé.
L’università nazionalsocialista è concepita come vertice della nuova società, come centro nevralgico
da cui deve emanare la legge spirituale del popolo. Qualcosa di molto vicino alla regola monastica,
all’ascesi politica e spirituale, caratterizza l’università a cui Heidegger aspira. Per questa via si
profila un significativo spazio d’intesa con una serie di ideali nazionalsocialisti che vanno dalle
Case delle SS, installate in castelli e organizzate sul modello delle abbazie medievali, fino alle Case
degli uomini, proposte da Bäumler, che hanno, invece, molti punti in comune con gli ordini
cavalleresco-militari crociati. Martin Heidegger, nel 1934, elaborerà un progetto analogo, di
cui parleremo più avanti, modellato anch’esso sulla tradizione monastica, per la sistemazione della
sede dell’Accademia dei professori del Reich, di cui egli doveva essere nominato direttore; in
quell’occasione propose anche che per professori e operai gli ingressi fossero comuni, e ciò si
ricollega molto bene all’esigenza, espressa nel Discorso del rettorato, che insegnanti e studenti
dessero alla loro esistenza « un assetto più semplice, più severo, più sobrio, di tutti gli altri
connazionali».
Il Discorso del rettorato di Martin Heidegger è soltanto uno dei numerosi discorsi tenuti dai nuovi
rettori nazionalsocialisti nelle rispettive università. Essi riflettevano, in un’epoca dalle prospettive
incerte, progetti diversi e tra loro concorrenti. Contrariamente a quanto sostiene Heidegger in Das
Rektorat 1933-34. Tatsachen und Gedanken (Il rettorato 1933-34. Fatti e pensieri, scritto, secondo
l’editore, nel 1943), la reazione ufficiale al suo discorso, così come l’accoglienza fatta ad esso da
noti sostenitori del regime nazista, fu di estremo favore, superiore forse a quello ottenuto allora
dagli altri discorsi di rettorato. A nostro parere, l’appello rivolto agli studenti costituisce l’orditura
su cui si regge tutto il discorso, ed è proprio questo aspetto che ispira al cronista di «Der Alemanne»
per il suo articolo - il cui sottotitolo era, puntualmente, «Discorso inaugurale di Heidegger» - il
titolo II rettore parla dei doveri della gioventù studentesca.102 Eco del discorso si ritrova, oltre che
nel giornale nazista locale appena citato, anche nell’organo centrale del Partito, il «Völkischer
Beobachter»,103 il quale, per parte sua, riprende nell’intitolazione del servizio, la trilogia
heideggeriana dei «tre vincoli». I commentatori, concordemente, vedono, nel contributo di
Heidegger, una delle più valide proposte di rinnovamento dell’università tedesca. La rivista ufficiale
degli studenti nazionalsocialisti si pronuncia dichiarando che di tutto quanto è stato scritto
sull’argomento, occorra tenere in considerazione unicamente il discorso di Heidegger, lo scritto di
Adolf Rein104 e quello di Hans Heyse.105 Qualche mese più tardi «Der Deutsche Student» si
ricrederà sul giudizio favorevole espresso sulla posizione di Rein e formulerà severe critiche sui
lavori di Hans Freyer106 e Johann W. Mannhardt.107 Se si pone mente al fatto che gli scritti di
questi due autori erano segnalati nella bibliografia ufficiale del Partito,108 che includeva anche,
naturalmente, il discorso di Heidegger, ci si rende conto del valore attribuito dalla Deutsche
Studentenschaft al testo di Heidegger. Gli studenti asserivano che soltanto Heidegger e Bäumler
meritavano di avere spazio nella prospettiva di una riforma realmente nazionalsocialista.109 Sempre
questa rivista pubblica un articolo del dirigente studentesco Albert Holfelder,110 in cui
vengono pienamente accolte le tesi del Discorso del rettorato, utilizzando finanche le espressioni
stesse di Heidegger. Un discorso non dissimile vale - per quanto ci si trovi in un ambiente diverso -
per il parere manifestato dallo storico Richard Harder, interessato, in quel periodo, al progetto di
un’università di partito (Hohe Schule) lanciato da Rosenberg. Harder, membro delle SA dal 1933,
esalta il Discorso del rettorato come «un discorso di lotta, un appello che giunge dal pensiero, un
risoluto e convincente adeguarsi al tempo storico (...) un manifesto realmente politico (...) del
filosofo più eminente dei nostri giorni. »111 Anche la rivista «Volk im Werden», di cui era direttore
quell’Ernst Krieck che qualche mese più tardi si sarebbe rivelato come uno dei più accaniti
avversari di Heidegger, pubblicò, nel 1934, un articolo di Heinrich Bornkmann in cui si elogiava il
Discorso del rettorato « come il più importante contributo sul tema della rivoluzione universitaria»,
e lo si proponeva come «paradigma di riforma sulla base della teoria nazionalsocialista».112 Erich
Rothacker, professore universitario a Bonn, in seguito personalità di primo piano negli ambienti
filosofici nazionalsocialisti, diede una valutazione analoga del Discorso del rettorato in un lavoro
di analisi che verteva, oltre che sul contributo di Heidegger, sulle proposte di Rein, Mannhardt e
Köttgen.113 La stampa non ufficiale, concordemente, vide prospettato nel discorso di Martin
Heidegger un modello tipo di riforma nazista dell’università: vanno in questo senso il commento di
Hermann Herrigel sulla «Deutsche Zeitschrift»114 e l’analisi pubblicata sulla «Rheinische-
Westfälische Zeitung »115 nella quale si asserisce che il discorso di Heidegger «perviene, per la
prima volta, a fare chiarezza sui rapporti tra università e Stato totale (...) offrendo, finalmente, una
norma e nuova linfa a coloro che hanno in cuore di creare comunitariamente la futura università del
popolo tedesco nel suo Stato tedesco».
In termini più moderati, ma ugualmente plaudendo al discorso di Heidegger, il giornale della grande
borghesia, «Berliner Börsenzeitung»,116 così si esprimeva: «Ben pochi sono stati i discorsi di
rettorato capaci di produrre un effetto altrettanto affascinante e di coinvolgere tanto i loro lettori. »
Citiamo ancora lo « Zeitspiegel » di Lipsia,117
lo    «Stuttgarter Neues Tageblatt» e, infine, «Das deutsche Wort. Der literarischen Welt» di Berlino.
Va segnalato che quest’ultima pubblicazione, in cui si attribuisce a Martin Heidegger il merito di
aver cercato di rendere coerenti le diverse proposte nazionalsocialiste relative alla riforma
universitaria, comparve il 20 giugno 1936, cioè molto tempo dopo la «rottura» tra Heidegger e la
dirigenza politica ufficiale. La convergenza del Discorso del rettorato con le posizioni generali
della NSDAP fu, anche, assai chiaramente rilevata da alcuni organi di stampa, critici nei confronti
del regime, come la rivista «Die Hilfe. Zeitung für Politik, Wirtschaft und geistige
Bewegung».118 Questo è anche il caso del giornale liberale « Vossische Zeitung», che in un ampio
articolo intitolato Servìzio militare dello spirito,119 attirava l’attenzione sul «carattere militante
esemplare della concezione heideggeriana, che mette il servizio del sapere sullo stesso piano del
servizio del lavoro e del servizio militare». Questa analisi è significativa poiché ci permette di
appurare come non ci fosse adito a dubbi, per il comune lettore, sul fatto che la trilogia in questione
fosse un tema specificamente nazionalsocialista-heideggeriano; e ciò è in contrasto con le
affermazioni post festum fatte da Martin Heidegger nel suo scritto del 1945 e nell’intervista
rilasciata allo «Spiegel», in cui asserisce di aver dato la preminenza al servizio del sapere. La
«Zürcher Zeitung», per parte sua, pubblicava un articolo di Hans Barth, nel quale venivano
sottolineati il carattere «nichilista» del Discorso del rettorato e l’impossibilità per Heidegger di
prendere una decisione
definitiva, nonostante la sua aspirazione ad assumersi, come propri valori, «il sangue e la terra».
Sono infine particolarmente interessanti i giudizi di Eduard Baumgarten e di Benedetto Croce.
Baumgarten, che era stato allievo di Heidegger ai tempi in cui questi era professore a Friburgo e
che, tra breve, sarebbe stato vittima delle denunce politiche di Heidegger, sostiene che dal Discorso
del rettorato emerga come «una transustanziazione mistica». «Il tutto che irrompe su colui che pone
la domanda (...) non viene più inteso da Heidegger su un piano metafisico (“ontologicamente”),
come il nulla che nullifica radicalmente - o, se visto dal lato del soggetto, come “libertà per la
morte” - ma egli lo affronta ora “onticamente”, come un’entità concreta, vale a dire come
quell'insieme di dati di fatto che. costituiscono la rivoluzione tedesca.»120
A sua volta Benedetto Croce fa notare, senza mezzi termini, che, nel suo Discorso del rettorato, «il
professor Heidegger non vuole che la filosofia e la scienza siano altro, per i tedeschi, che un affare
tedesco, a vantaggio del popolo tedesco.»121 Egli scrive ancora: «Oggi si sprofonda di colpo nel
gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene
rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come
celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l’unico vero attore, l’umanità (...) E
così si appresta, o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di
prostituire la filosofia... »122 In una lettera a Vossler del 9 settembre 1933 Croce scrive: «Ho letto
poi per intero la prolusione dello Heidegger, che è una cosa stupida e al tempo stesso servile. Non
mi meraviglio del successo che avrà per qualche tempo il suo filosofare: il vuoto e generico ha
sempre successo. Ma non genera nulla. Credo anch’io che in politica egli non possa avere alcuna
efficacia: ma disonora la filosofia, e questo è un male anche per la politica, almeno futura. »123
Il significato complessivo del Discorso del rettorato non può, comunque, essere ricavato
unicamente dall’esame dei suoi contenuti e dalle reazioni che esso suscitò. In quanto dichiarazione
di principio, costituisce anche un programma d’azione; per coglierne appieno il significato, dunque,
e a riprova dell’analisi finora sviluppata, occorre procedere a una verifica dell’attività politica e
scientifica di Heidegger durante il suo rettorato e nel periodo susseguente.

Capitolo 3. L’attività di Martin Heidegger rettore


Tra le prime iniziative di Martin Heidegger in qualità di rettore dell’Università di Friburgo, va
segnalato il telegramma da lui spedito il 9 maggio 1933 a Robert Wagner in occasione della nomina
di questi a Reichsstatthalter del Baden: «Lietissimo per la vostra nomina a Reichsstatthalter, saluto
il Führer della nostra natia marca di frontiera con un combattivo Sieg Heil. Il rettore dell’Università
di Friburgo i. Br. - Firmato Heidegger»124 Comunque, più che singoli atti, sarebbe opportuno
analizzare l’attività di Heidegger in rapporto alla politica generale. Per scandagliare tale questione
in maniera esauriente, occorrerebbe poter consultare la documentazione custodita negli archivi
dell’Università di Friburgo. Purtroppo tale documentazione è stata dichiarata «di accesso riservato»
e lo sarà probabilmente ancora a lungo. Basandoci su materiale che abbiamo potuto esaminare in
altri centri, ci è possibile tracciare un primo quadro, piuttosto approssimativo, ma ugualmente
eloquente.
L’azione politica di Martin Heidegger durante il rettorato va analizzata in funzione dei seguenti tre
aspetti: il ruolo degli studenti come avanguardia della rivoluzione nazionalsocialista; la nuova
organizzazione dell’università; i nuovi rapporti dell’università con il popolo tedesco e il suo Stato.
Identificando negli studenti i principali attori della trasformazione, Heidegger non pensava
certamente a tutti gli studenti; il suo appello era indirizzato, in maniera privilegiata, a coloro che,
per il loro radicalismo e la loro combattività, fossero in grado di promuovere quella lotta sul cui
Fondamento sarebbe nata l’università del futuro. Il 6 maggio 1933 gli studenti affiliati alle
associazioni che
praticavano il duello alla spada (schlagenden Verbindungen) festeggiarono in tutto il Paese
l’abrogazione dell' interdetto che, risalendo alla Repubblica di Weimar, gravava sui loro sodalizi.
Un articolo, pubblicato il giorno seguente su «Der Alemanne», ci ragguaglia sulla cerimonia
svoltasi a Friburgo:125 dopo aver intonato l’inno II dio che fece nascere il ferro non volle schiavi, il
presidente del Waffenring di Friburgo si rivolse ai convenuti affermando che nella cessazione del
divieto si poteva vedere «un avvenimento di portata storica», e che la presenza alla cerimonia delle
autorità dello Stato, della città e dell’Università ne costituiva la riprova. Il duello alla spada trae il
proprio significato dalPessere «un mezzo atto a risvegliare le più nobili qualità spirituali e fisiche»,
tirocinio che, se assunto «con la violenza che gli si addice», conduce al completo dominio di
sé stessi. «Lo studente che pratica il duello non capovolgerà le qualità che in esso ha messo alla
prova, il coraggio, l’autonomia, l’aggressività e la gioia nell’uso delle armi, nella presunzione e in
altre idee asociali. »
Seguì poi il discorso del capo della polizia di Friburgo. Infine intervenne Heidegger in
rappresentanza dell’Università; secondo la cronaca citata, egli si soffermò «sui valori morali del
duello alla spada». Le associazioni studentesche che praticavano il duello alla spada risalivano a
un’epoca antecedente al nazionalsocialismo ed erano particolarmente diffuse tra gli studenti più
reazionari e più amanti della violenza.126 Molto popolari negli ambienti nazionalisti, questi sodalizi
ebbero come adepti, al tempo in cui erano studenti, noti uomini politici legati al regime. Per una
gioventù imbevuta di tradizioni militari, rappresentava un onore poter esibire una cicatrice sul volto,
come emblema del proprio coraggio e testimonianza della propria attiva partecipazione aj circoli dei
duellisti. Le fotografie dei Führer del Reich, pubblicate insieme alle loro biografie sul Führer-
Lexikon, attestano tale costume.127 Wolfgang Kreutzberger, nella sua indagine sull’evoluzione
politica degli studenti friburghesi prima dell’ultima guerra,128 esamina esaustivamente la natura e lo
sviluppo delle associazioni duellistiche nella città.
Ma se questi studenti poterono fruire del concreto appoggio di Heidegger, altri furono, invece,
vittime, nella più favorevole delle ipotesi, della sua indifferenza in frangenti assai drammatici. Da
molto tempo la persecuzione nei confronti degli studenti ebrei costituiva un aspetto nodale del
programma degli studenti dell’estrema destra friburghese, peraltro maggioritaria. Costoro, oltre ad
aver inserito negli statuti delle proprie organizzazioni il “paragrafo ariano”, che vietava
l’affiliazione «degli ebrei e degli elementi di colore», avevano assunto nei loro confronti, fin dagli
anni venti, le misure discriminatorie in atto nelle associazioni studentesche di tutto il Reich.129
Il caso di Ghibellinia è paradigmatico: in seguito a una lunga campagna di persecuzione e di
boicottaggio, e dopo essere stata esclusa dall’Associazione centrale del raggruppamento degli
studenti di Friburgo, Ghibellinia, nel 1925, decise per il proprio auttoscioglimento. La ricerca su
questa vicenda si deve a Erich Stern.130 A testimonianza dell’antisemitismo dominante
nelmovimento studentesco tra le due guerre, un’ampia documentazione è stata, poi, registrata da
una rivista, espressione di leghe studentesche ebraiche.131 Gli studenti ebrei di Friburgo si
riorganizzarono più tardi nell’associazione Neo-Friburgia. La situazione, ovviamente, non mutò. Al
contrario, le incursioni contro Neo-Friburgia divennero sempre più frequenti e raggiunsero l'acme
con l’ascesa al potere dei nazisti.
L’associazione ebraica si autosciolse il 20 aprile 1933, ma ciò non riuscì a evitare che gli studenti di
destra e le SA ne prendessero d’assalto la sede e la occupassero per perquisire il materiale che vi
era raccolto. La sede fu chiusa e presidiata da una guardia composta da rappresentanti delle varie
associazioni studentesche. Gli studenti ebrei furono però, poi, in grado di dimostrare che
l’intervento contro la loro sede non corrispondeva né a un’ordinanza del procuratore, né a una
decisione della polizia; proprio per questo si rivolsero al rettore dell’Università, mettendolo al
corrente dei fatti e comprovandoli. Il 28 giugno 1933 si verificò un secondo assalto, più massiccio e
violento del primo; le suppellettili furono distrutte e i documenti trafugati. La «Karlsruher Zeitung»
del 29 giugno ne dava così informazione: «Alla notizia che l’associazione degli studenti ebrei - la
cui sede era occupata dalle SA - intendeva riprendere le proprie attività, si erano già svolte varie
manifestazioni di studenti friburghesi. Un centinaio di essi si erano assembrati davanti alla sede
dell’associazione ebraica, chiedendone la chiusura e l’internamento dei suoi membri. Sei studenti
ebrei sono stati arrestati dalle SS. La sede è rimasta sotto la sorveglianza delle SA e su di essa è ora
issata la bandiera con la croce uncinata.»
Di fronte a questi avvenimenti il procuratore della città si rivolse ufficialmente al rettore, in una
nota dell'11 luglio 1933, richiedendo informazioni. Sia il Führer degli studenti (in una lettera datata
25 luglio) che il rettore Heidegger (in una lettera del 1° agosto) si dichiararono indisponibili a ogni
ulteriore indagine, adducendo come giustificazione che gli studenti non erano stati i soli ad aver
preso parte all’assalto.132
Martin Heidegger tenne un atteggiamento analogo rispetto a tutti gli studenti non nazisti. Nel 1932
si sviluppò un aspro contrasto attorno alle elezioni per rinnovare l'ASTA (organismo rappresentativo
degli studenti, ormai sotto controllo nazista), suscitato dalle iniziative degli studenti
nazionalsocialisti. Questi, agendo contro le disposizioni in vigore che vietavano la propaganda dei
partiti nazionali durante la campagna elettorale, avevano trasformato le elezioni in uno strumento di
agitazione politica. Il rettore dell’epoca decise allora di intervenire, provocando la veemente
reazione degli studenti nazisti. Questi, in un articolo comparso su «Der Alemanne»133
riaffermarono il loro diritto, di fronte a preoccupazioni di carattere meramente corporativo, a
privilegiare gli interessi superiori del Partito. Gli studenti dell’opposizione, appartenenti ai gruppi
socialista e repubblicano, allo Zentrum e alla Katholische Fraktion, fecero appello alla commissione
elettorale. Ma questa, controllata anch’essa dagli studenti nazisti, respinse il ricorso. Le elezioni, a
cui l’opposizione non prese parte, furono vinte senza difficoltà dai nazionalsocialisti. L’opposizione
contestò il risultato; fu inviata una lettera di protesta al ministro per il Culto e l’Insegnamento a
Karlsruhe, facendo presente la violazione degli statuti e richiedendo lo scioglimento dell'ASTA, per
evitare che l’Università si riducesse a un’arena abbandonata all’anarchia delle lotte politiche.134
L’avvento del regime nazionalsocialista mise definitivamente fine alla controversia. La lettera
inviata il 22 giugno 1933 dal rettore Martin Heidegger al nuovo ministro chiarisce a sufficienza in
che modo, sbrigativo e insieme rude, egli abbia liquidato la discussione: «Le varie questioni relative
allo scioglimento dell’ASTA sono, a mio avviso, superate, tenuto conto degli avvenimenti, e
debbono essere considerate chiuse. Heidegger»135
Sette giorni dopo, la nuova direzione studentesca informava per lettera il consigliere ministeriale
Fehrle che il piano di riorganizzazione delle Fachschaften (specializzazioni) delPUniversità
sarebbe stato messo a punto e approvato nel corso di una riunione che avrebbe avuto luogo a
Todtnauberg.136 In questo villaggio si trovava la baita di proprietà di Heidegger, nella quale egli
organizzava incontri di riflessione e di indottrinamento.
Durante le prime settimane del rettorato Heidegger, gli studenti nazionalsocialisti inscenarono le
prime operazioni di «bonifica» di librerie con i rituali roghi di libri che le accompagnavano. Il
Kampfbund für deutsche Kultur di Friburgo, di comune accordo con la dirigenza studentesca, nella
prima settimana del maggio 1933, lanciò un appello per un pubblico rogo.137 A causa del cattivo
tempo, la cerimonia, prevista per giugno, non potè svolgersi all’aperto.138 Il 22 giugno, il sindaco
Kerber poteva annunciare «il felice compimento del piano di bonifica».139 Heidegger,
nelPintervista con lo «Spiegel», sostiene, di aver posto divieto, nell’Università, a tali
«eccessi» studenteschi, così come alle dichiarazioni antisémite. Sarebbe auspicabile che chi avesse
in mano documenti in grado di comprovare queste affermazioni, li rendesse pubblici. I riti di
cremazione dei libri tenuti a Friburgo, anche se effettuati «in privato», non erano che la versione
locale dei roghi dei libri organizzati dalla centrale studentesca di Berlino nel quadro dell’« azione
contro lo spirito nontedesco (wider den undeutschen Geist)».
Attorno alla cerimonia che si svolse nella capitale del Reich, si può leggere sul giornale friburghese
«Breisgauer Zeitung» del 12 maggio 1933: «In preparazione del pubblico rogo dei libri (...)
il professor Alfred Bäumler, nuovo ordinario di pedagogia politica a Berlino, tenne la prima lezione
del suo corso (...) Prima dell’inizio della lezione, una rappresentanza studentesca era entrata al
passo di marcia sostenendo i vessilli con la croce uncinata. La maggior parte degli studenti
indossava l’uniforme delle SA.»
Finita la lezione, gli studenti si radunarono in piazza Hegel, e da qui «marciando a colonne serrate e
con le fiaccole in pugno» si diressero verso la Casa dello studente dove si era raccolta una numerosa
folla. Le colonne avanzarono fino alla piazza dell’Opera al cui centro gli studenti fecero un grande
fuoco con le loro fiaccole. Mentre la folla esultava, i libri passavano di mano in mano e se ne
gettarono nelle fiamme più di ventimila. La cerimonia raggiunse la massima intensità con il
discorso del ministro Goebbels: «In questo luogo rovina la base spirituale della Repubblica di
Novembre, ma da queste macerie deve ergersi il nuovo spirito vittorioso che noi portiamo. Perciò vi
esorto a vedere in queste fiamme non solo il simbolo della decadenza ma anche quello della
rinascita.»140
Che Martin Heidegger abbia o non abbia preso parte a tale barbarie, resta il fatto che la stessa
dirigenza studentesca berlinese che l’aveva organizzata, aveva salutato qualche giorno innanzi la
nomina di Heidegger al rettorato di Friburgo come un primo passo verso l’allineamento
nazionalsocialista delle università tedesche.141
Nel suo lavoro politico a fianco degli studenti di Friburgo, Heidegger operò su due fronti: scrivendo
articoli per l’organo di stampa degli studenti, e stimolando e dirigendo ideologicamente, in
qualità di rettore, un ampio programma di azione politica, intrapreso soprattutto nel campo del
lavoro. A ciò si possono aggiungere una serie di discorsi pronunciati in occasione di festeggiamenti
e celebrazioni solenni. Tra questi ultimi merita di essere ricordata la breve allocuzione rivolta a
studenti e insegnanti, nel corso di una manifestazione di massa organizzata per ascoltare la
trasmissione del discorso tenuto da Hitler al Reichstag per annunziare il ritiro della Germania dalla
Società delle Nazioni. Martin Heidegger si espresse nei seguenti termini:
«Dopo queste parole del cancelliere, gli altri popoli possono ora decidere quale via vogliono
prèndere. Noi siamo fermamente decisi e risoluti a percorrere la via più difficile, quella alla quale
siamo costretti in virtù della responsabilità dinanzi alla storia. Ora siamo consapevole dei
presupposti dì questa risolutézza; essi sono: disponibilità sino all’estremo e cameratismo sino
all’ultimo. Mettiamoci al lavoro, e ogni lavoro di questo semestre, grande o piccolo che sia, sia
sotto il segno di questa disponibilità e di questo cameratismo.»142
Il 25 giugno 1933 gli studenti di Friburgo celebrarono la tradizionale festa del solstizio. Dopo la
prima guerra mondiale essa si era trasformata in una manifestazione di protesta contro le
imposizioni del trattato di Versailles; nel corso delle competizioni sportive venivano ricordati coloro
che erano morti in combattimento, secondo il modello dell’antichità classica. La scenografia di
questa festa, organizzata dagli studenti hitleriani, si atteneva ai ben noti canoni della drammaturgia
e della liturgia naziste.143 La cerimonia finale, suggellata da un’allocuzione di Heidegger, era stata
preceduta da una lunga e marziale sfilata di studenti incolonnati che, dopo aver attraversato tutta la
città, si concluse allo stadio universitario, nel cui mezzo ardeva un gigantesco focolare. In silenzio,
con lo sguardo fisso al fuoco, gli studenti ascoltarono l’esortazione del loro Führer: «Solstizio
d’estate 1933! I giorni passano, si accorciano nuovamente. Ma aumenta il nostro coraggio di
squarciare l’oscurità che sta per venire. Non dobbiamo mai diventare ciechi nella lotta.
Fiamma dicci, illuminaci, mostraci la via dalla quale non c’è ritorno! Fiamme accendete, cuori
bruciate! »144
Tutti i lavori che cercano di minimizzare il grado di compromissione di Martin Heidegger col
nazionalsocialismo, o che pretendono di vedervi un significato più profondo e «metafisico», si
caratterizzano per il sistematico disconoscimento dei testi in cui Heidegger ribadisce la sua fede
nazista connettendola strettamente alla persona di Hitler. La seduzione alla quale soccombettero
milioni di tedeschi è stata anche il destino di Martin Heidegger. Una testimonianza di Karl Jaspers è
illuminante, Nel corso di una conversazione del giugno 1933, Jaspers domandò a Heidegger:
«Come può pensare che una persona priva di cultura come Hitler possa governare la Germania?»;
Heidegger rispose: «La cultura non ha importanza. Osservi le sue meravigliose mani!»145 E
Heidegger si adopera appunto per comunicare questo pathos ai suoi studenti in un articolo del
novembre 1933, pubblicato sulla loro rivista, nel quale egli assimila la persona di Hitler con quella
che è per lui l’avanguardia rivoluzionaria, facendo del Führer una norma di vita.
« Studenti tedeschi.
La rivoluzione nazionalsocialista arreca il completo rivolgimento della nostra esistenza tedesca.
A voi il compito in questo evento di restare coloro che spingono e sono sempre disponibili, che
permangono tenaci e crescono incessantemente.
La vostra volontà di sapere cerca di fare esperienza di ciò che è essenziale, semplice e grande.
Da voi essa esige che vi esponiate a ciò che affligge più interiormente e a ciò che obbliga più
ampiamente.
Siate inflessibili e autentici nel vostro rivendicare.
Restate netti e fermi nel rifiuto.
Non stravolgete in un vano possesso privato il sapere che avete conseguito. Conservatelo come il
patrimonio necessario dell’uomo chiamato a dirigere nelle professioni dello Stato che hanno
radici nel popolo. Voi non potete più essere soltanto gli “uditori”. Vostro obbligo è di collaborare
con consapevolezza alla creazione dell'alta scuola futura dello spirito tedesco. Ciascuno deve
anzitutto mettere alla prova talento e privilegio, e renderli legittimi. Ciò avviene grazie alla forza
dell’impegno combattivo nella lotta che il popolo intero conduce per sé stesso.
Di giorno in giorno, di ora in ora si rinsaldi in voi la fedeltà della volontà di seguire fedelmente.
Cresca in voi incessantemente il coraggio del sacrificio per la salvezza dell’essenza del nostro
popolo nel suo Stato e per l’elevazione della sua forza più interiore.
Non teoremi e “idee” siano le regole del vostro essere.
Il Führer stesso e lui soltanto è l’odierna e futura realtà tedesca e la sua legge. Imparate a sapere con
sempre maggiore profondità: d’ora in poi ciascuna cosa esige decisione e ogni atto richiede
responsabilità.
Heil Hitler. Martin Heidegger, rettore»146
Per portare gli studenti a un livello di sviluppo spirituale che permettesse loro, in un primo tempo,
di «rivoluzionare» l’università, e di offrire, poi, un modello per la trasformazione totale e
radicale della società tedesca («il completo rivolgimento della nostra esistenza tedesca»), Heidegger
aveva bisogno di saldare i suoi discorsi e i suoi articoli a un’azione amministrativa che modificasse
le strutture dell’università. Tra le misure entrate in vigore durante il suo rettorato, citiamo:
l’espulsione di tutti gli insegnanti ebrei e la distribuzione a tutti i professori di un questionario
concernente l’origine razziale;147 il nuovo statuto studentesco;148 il giuramento obbligatorio per gli
insegnanti concernente la loro purezza razziale;149 l’obbligo del saluto nazista all’inizio e alla fine
delle lezioni;150 l’organizzazione del Dipartimento universitario per la razza, gestito dalle SS, con il
compito di organizzare corsi tenuti da un esperto, inviato dall’Istituto di igiene razziale di Berlino
diretto dal professor Eugen Fischer;151 il servizio del lavoro obbligatorio;152 l’aiuto economico agli
studenti membri delle SA, delle SS, o di altri gruppi paramilitari, e il rifiuto del sussidio, invece,
agli studenti ebrei e marxisti;153 l’obbligo di assistere alle lezioni di teoria razziale, di scienza
militare e di cultura tedesca.154
Un caso di denuncia politica
Una serie di documenti rinvenuti da Hugo Ott ben si prestano a illustrare la qualità delle misure
amministrative adottate da Heidegger nelle sue funzioni di rettore e a farci comprendere fin
dove egli sia giunto nel portare avanti il compito di rivoluzionare la sua università.155 Heidegger, in
veste ufficiale appunto, informò il dottor Fehrle, consigliere per l’università presso il Ministero per
il Culto di Karlsruhe, che esistevano documenti gravemente compromettenti nei confronti del
professore di chimica Hermann Staudinger, esperto di fama mondiale. Staudinger avrebbe più tardi,
nel 1953, ricevuto il premio Nobel. L’informazione che Heidegger aveva fornito a Fehrle, il 29
settembre 1933, consentì a quest’ultimo, l’indomani stesso, di denunciare Staudinger alla polizia di
Friburgo. La Gestapo di Karlsruhe si assunse l’incarico di procedere riservatamente alle indagini e
denominò tale operazione «Azione Sternheim». I documenti a cui Heidegger aveva accennato
riportavano voci secondo cui Staudinger, durante la prima guerra mondiale -quando era professore
all’Università tecnica di Zurigo - avrebbe fatto dichiarazioni pacifiste, con il sostegno di colleghi
che condividevano le sue opinioni e non nascondevano la loro opposizione al militarismo tedesco.
Gli elementi raccolti dalla Gestapo, in particolare il rapporto proveniente dal consolato tedesco di
Zurigo, furono sufficienti perché l’ufficio centrale di Karlsruhe avviasse un procedimento nei
confronti di Staudinger. Heidegger, consultato dal ministro il 6 febbraio 1934, è invitato a
provvedere sollecitamente «dato che un’eventuale applicazione del paragrafo 4 della legge (...)
deve intervenire prima del 31 marzo 1934, data limite». Egli rispose quattro giorni dopo tramite una
nota battuta a macchina, con mano chiaramente inesperta (visto il gran numero di errori di
battitura), su carta intestata del rettorato, ma priva di numero di registro (Hugo Ott). In tale nota
Heidegger dichiarò di condividere le conclusioni indiziarie a cui era pervenuta la Gestapo e
aggiunse un giudizio personale che suonava di per sé come una condanna:
«Questi fatti già per sé stessi richiedono l’applicazione del paragrafo 4 della legge (...) Poiché essi
sono stati sempre ben noti in ampi circoli tedeschi sin dal tempo delle discussioni sulla chiamata
di Staudinger a Friburgo nel 1925-26, è anche la reputazione dell’Università di Friburgo a esigere
un intervento, tanto più che Staudinger si spaccia oggi come un sostenitore al centodieci per cento
della sollevazione nazionale. Piuttosto che di un pensionamento, dovrebbe essere questione di
destituzione. Heil Hitler! Heidegger»
A esaudimento dell’istanza di Heidegger, il ministro del Baden richiese al collega del governo
centrale, in un rapporto del 22 febbraio 1934, l’espulsione di Staudinger dal servizio pubblico.
Malgrado il tentativo da parte di Staudinger, durante gli interrogatori, di ridimensionare le
imputazioni a suo carico, la sua posizione si fece insostenibile; d’altra parte emergeva sempre più
chiaramente l’enormità della misura presa a suo riguardo. Fu così che per ragioni puramente
tattiche, nel timore delle ripercussioni internazionali che la questione avrebbe potuto avere,
dapprima il dottor Kerber, sindaco di Friburgo, poi lo stesso Martin Heidegger decisero di
intervenire perché Staudinger non fosse destituito, ma «soltanto» collocato a riposo. A conclusione
della lettera inviata al ministro il 5 marzo 1934, sempre su fogli con intestazione del rettorato
dell’Università e privi di numero di registro («e c’è da scommettere che negli archivi
dell’Università non risulti copia di tali documenti», commenta Hugo Ott), Heidegger scrive: «È
appena il caso di osservare che naturalmente la cosa stessa non può cambiare. Si tratta
esclusivamente di evitare, per quanto possibile, una nuova complicazione nei rapporti con l’estero.
»
Come osserva Ott, l’epilogo della vicenda ha del grottesco. A Staudinger non furono risparmiate le
umiliazioni. Il Ministero lo obbligò a presentare «di sua propria volontà» una domanda di
dimissioni, che non venne per il momento accolta - «salvo che si fosse presentata in avvenire una
ragione per farlo» - rinviando la decisione di sei mesi. Trascorso il periodo di dilazione accordato, e
non essendosi presentata «nessuna ragione», Staudinger fu autorizzato a ritirare la domanda.
Sicuramente, sull’atteggiamento tenuto da Heidegger rispetto alla persecuzione dei colleghi ebrei,
occorre sfumare il quadro, in particolare per quanto riguarda i professori di Friburgo Hevesy e
Fränkel, studiosi di fama mondiale, il primo nel campo della chimica (premio Nobel 1944), il
secondo della filologia classica. NelPArchivio centrale di Karlsruhe156 è reperibile una lettera di
Martin Heidegger al consigliere ministeriale Fehrle, del 12 luglio 1933, in cui egli prende le difese
dei due scienziati e chiede che non vengano esclusi dal servizio pubblico. Heidegger sottolinea, da
una parte, il grande prestigio di cui godevano i due professori nel mondo scientifico, anche non
tedesco, e aggiunge poi che «si tratta di ebrei di valore (Sie seien edle ]uden von vorbildlichem
Charakter) ». La sua argomentazione consiste, in sostanza, nel far presente ai responsabili del
Ministero, come la destituzione dal servizio avrebbe potuto essere di grave pregiudizio per il buon
nome della scienza tedesca all’estero, soprattutto negli ambienti intellettuali più autorevoli e
politicamente influenti. L’intervento a favore di questi due casi particolari, fa notare Heidegger, non
deve essere considerato come un rifiuto delle disposizioni generali nei confronti degli insegnanti
ebrei. Al contrario, egli ha assunto questo atteggiamento pur essendo «pienamente consapevole
della necessità della indispensabile attuazione della legge sulla restaurazione del servizio pubblico»;
egli desidera, unicamente, che sia valutato il danno che la destituzione potrebbe comportare « per il
necessario rafforzamento, a livello mondiale, del prestigio della scienza tedesca, per il nuovo Reich
e la sua missione».157
Studenti e lavoratori
Le trasformazioni amministrative attuate da Heidegger furono integrate da una serie di misure
miranti a incidere in profondità sul costume di vita degli studenti, che erano abituati a condurre, fino
all’avvento del nazismo, un’esistenza senza problemi la cui unica preoccupazione era il successo
professionale e materiale, scopo ora considerato decadente e individualista. La pervicacia di cui
diede prova Heidegger nell’affrontare tale compito, in un’università i cui studenti provenivano, in
massima parte, dalle classi medie e dalla borghesia, è emblematica della sua volontà di imporre il
programma nazionalsocialista nella sua tendenza populista più radicale. Wolfgang Kreutzberger ha
messo chiaramente in luce quanto, però, nelPorigine sociale stessa degli studenti di Friburgo, era
d’ostacolo al progetto del rettore. In realtà la partecipazione effettiva degli studenti ai
servizi volontari fu fiacca. La maggior parte di coloro che aderirono a questa iniziativa
appartenevano ai ceti meno privilegiati, e, perlopiù, ponevano come condizione alla propria
partecipazione che i lavori loro affidati fossero di qualche utilità per la formazione
professionale, rifiutando nel contempo qualsiasi «lavoro sporco». Coloro che «si impegnavano»
erano, di solito, molto meno spinti a identificarsi con la classe operaia di quanto non fossero
influenzati da idee antinternazionaliste e antipacifiste che non collimavano necessariamente con le
convinzioni nazionalsocialiste.158
Heidegger vedeva nella profonda modificazione del mondo studentesco - che si sarebbe realizzata
grazie a un concreto rapporto con il mondo operaio - l’adempimento di uno dei punti del
programma delle SA. Ciò emerge con evidenza dal suo discorso del 26 novembre 1933, «Lo
studente tedesco come operaio», pronunciato in occasione dell’inaugurazione dell’anno
accademico. La cerimonia e il discorso del rettore Heidegger furono commentati e trasmessi da
un’ampia rete di emittenti a Francoforte, Friburgo, Treviri, Colonia, Stoccarda e Mühlacker.159 La
specificità del nuovo studente, egli dice, non deriva unicamente dal suo ingresso all’università o
dai legami stabiliti, tramite essa, con lo Stato, ma anche dal suo inserimento «“nel servizio del
lavoro”, nelle SA». «Il nuovo studente tedesco passa, oggi, attraverso il servizio del lavoro, oggi è
nelle SA.»160 Il vero significato del servizio del sapere è di integrare lo studente nel «fronte dei
lavoratori».161 Ed è soltanto essendo egli stesso un operaio che lo studente può autenticamente
legarsi allo Stato «perché lo Stato nazionalsocialista è lo Stato del lavoro». Questo discorso, che ha
piuttosto il carattere di una dichiarazione di principio, viene distesamente sviluppato nell’articolo
Der Ruf zum Arbeitdienst (L’Appello per il servizio del lavoro), pubblicato sulla «Freiburger
Studentenzeitung» del 23 gennaio 1934.162 Incidentalmente notiamo che, a fianco dell’articolo
citato, ne compare un altro in cui si giustifica il rogo dei libri organizzato dai diretti
superiori politici di coloro che curavano la pubblicazione di questo giornale. Le fiamme che si
levano per bruciare i libri «di autori ebrei sono fiamme contro dei criminali intellettuali; esse non si
spegneranno finché l’ultima delle loro opere non si sia tramutata in cenere, finché l’ultimo dei
parassiti che le ha scritte non sia stato internato in un
campo di lavoro, finché questi animali non siano stati tutti rasati e lavati».163
L'articolo di Heidegger è significativo sia sul piano storico-politico che sul piano filosofico: Martin
Heidegger, in esso, sviluppa e plasma, nello spirito di quella corrente del nazionalsocialismo in cui
egli si identifica, una serie di topoi che in Essere e tempo egli aveva trattato in maniera generale e
astratta. «La nuova via dell’educazione della nostra gioventù tedesca passa attraverso il servizio del
lavoro. Tale servizio procura l’esperienza fondamentale della durezza, della familiarità con la terra e
con l’utensile, della disciplina e severità del lavoro fisico più elementare, e quindi essenziale, in
seno al gruppo.»164
Per questa via Heidegger riconsidera la relazione esistenza-mondo, interpretandola questa volta a
partire dalla vicinanza con la terra, nel medesimo tempo in cui gli si aprono nuove prospettive per
spiegare il significato del «mezzo» {Zeug, Zuhandenes) e di ciò che è semplicemente presente (
Vorhandenes). Allorché Heidegger affermava in Essere e tempo che il mezzo spariva in quanto tale,
proprio per essere efficace, lo costringeva, in ogni caso, a determinarsi all’interno di un tipo di
esistenza inautentica. La possibilità di un uso autentico del «mezzo», che non è stata sviluppata in
Essere e tempo, appare chiaramente, qui, come fondata nell’atto cognitivo e trascendentale
costituito dal servizio pubblico. La medesima cosa avviene con il soggetto concreto che sperimenta
il mondo, qui inteso, tale soggetto, come operante a partire dalla terra. Analogamente le nozioni
astratte dell’essere-con {Mit-sein, Mit-das ein) sono riformulate, in questo contesto, nel senso di una
comunità-del-popolo che oltrepassi qualitativamente le limitazioni di una Fürsorge (aver
cura) storicamente indeterminata.
«Tale servizio procura l’esperienza fondamentale di un’esistenza, quotidiana rigorosamente regolata
in base al lavoro, nella comunità del campo.
Tale servizio procura l’esperienza fondamentale della purificazione e del consolidamento,
quotidianamente sottoposti alla prova e alla decisione, della propria provenienza sociale e della
responsabilità del singolo sulla base della comune appartenenza di tutti allo stesso popolo.
Tale servizio procura l’esperienza fondamentale del sorgere spontaneo di un autentico cameratismo,
il quale cresce soltanto sotto la costrizione di un grande e comune pericolo, owero dal
vincolo, sempre più stretto, a un compito chiaramente definibile; mentre non ha nulla a che vedere
col fanatismo dello scambio reciproco di inibizioni psichiche da parte di individui che hanno
convenuto di dormire, mangiare e cantare sotto un unico tetto.»165
Ampliando ciò che era stato detto nel discorso su Schlageter, a proposito della comunità, là intesa,
essenzialmente, come fondata sulla relazione popolo-eroe, Heidegger propone, qui,
l’accezione autentica dell’essere-con come azione comune per una «causa», connettendola così al
«cameratismo». Asserendo poi che il cameratismo si costituisce, principalmente, grazie
all’appartenenza a una struttura statuale, ne deriva che l’ordinamento sociale in grado di accogliere
questo insieme di istanze non possa che essere quello proprio della concezione fascista della società
e del lavoro. Concezione che Heidegger perfeziona, puntualizzando come l’ordinamento sociale,
generato dal lavoro in comune, riceva il suo senso dal fatto di essere esposto «a un grande
pericolo», di essere, cioè, una comunità potenzialmente eroica. Quando, infine, Heidegger giunge a
sostenere che il servizio del lavoro della gioventù studentesca è qualcosa di qualitativamente
superiore a un contributo economico-produtti-vo realizzato nel quadro del programma di ripresa
economica fissato dallo Stato, ci troviamo di fronte alla chiara enunciazione di un aspetto
ideologico specificamente SA.
«Dobbiamo spingere il pensiero ben oltre l’azione presente del servizio del lavoro, così come
possiamo vederla già da ora, e imparare a comprendere che qui, una gioventù che ricresce, si
prepara a riplasmare completamente l’esistenza tedesca. All’interno dell’università tedesca sorgerà
lentamente una nuova posizione fondamentale rispetto al lavoro scientifico. Con ciò svanirà del
tutto quel concetto dello “spirito” e del “lavoro spirituale”, nel quale ha vissuto finora “l’uomo di
cultura”, e che ora i suoi messaggeri vogliono ancora salvare a vantaggio di una propria condizione
di “creatore spirituale”. Soltanto allora impareremo che ogni lavoro in quanto lavoro è spirituale.
L’animale e ogni individuo che si trascina in una vita piatta e inerte non sono capaci di lavorare.
Manca loro l’esperienza fondamentale per il deliberato impegno per un compito, la capacità di
essere risoluti e di far fronte a un incarico assunto, in breve la libertà, vale a dire: lo spirito.
Il cosiddetto “lavoro spirituale” non è tale perché fa riferimento alle “cose più elevate dello spirito”,
ma perché, in quanto lavoro, si riallaccia alle prime necessità dell’esistenza storica di un popolo
ed è afflitto con maggiore immediatezza - perché con maggior sapere - dal rigore del pericolo
dell’esistere umano.
C’è solo un’unica “condizione di vita” tedesca. Essa, radicata nel fondamento portante del popolo e
liberamente inserita nella volontà storica dello Stato, è la condizione del lavoro, la cui impronta
viene preformata nel movimento del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori.
Al servizio del lavoro si è chiamati.
I fiacchi, i pigri, gli indolenti al servizio del lavoro ci “andranno”, perché restarne assenti può forse
mettere in pericolo gli esami e le prospettive di impiego. I forti e gli indomiti, coloro che
affermano il loro esserci a partire dal mistero eccitante di un nuovo futuro del nostro popolo, sono
fieri che venga chiesta loro questa prova di durezza; è questo infatti l’attimo in cui essi si sollevano
al compito più duro per il quale non c’è né mercede né lode, ma soltanto il “trovare felicità” nello
spirito di sacrificio e nel servizio entro la sfera delle più intime necessità dell’essere tedesco.»166
Più originale, tuttavia, ma comunque sempre coerente con l’opzione populista radicale, risulta
l’iniziativa assunta da Heidegger di collegare il lavoro studentesco al programma di reinserimento
sociale avviato dal sindaco Kerber, creando, in tal modo, tra università e operai un «ponte vivente»,
esperimento che non ha riscontri nell’azione degli altri rettori dell’epoca. In realtà il servizio del
lavoro non era una novità introdotta dai nazisti, ma era già stato praticato in parecchie università,
nel periodo precedente, da parte degli studenti organizzati nella Jugendbewegung. Questo servizio
era ora inquadrato dallo Stato e prevedeva tutta una serie di opzioni. In ogni caso, lanciare un
«ponte vivente» tra operai e università, grazie agli organi direttivi di quest’ultima e di concerto con
la «base» rivoluzionaria, rappresentava veramente qualcosa di nuovo. Di più ancora: si voleva non
soltanto far uscire dalle aule gli studenti, ma portare dentro l’università i lavoratori stessi perché
partecipassero a corsi di indottrinamento.
Tutto ciò va visto nel suo contesto. La regione del Baden, e Friburgo in particolare, si trovavano,
fino all’epilogo della Repubblica di
Weimar, in una situazione sociale ed economica catastrofica.167 Come d’altronde in tutta la
Germania, un gran numero di persone era senza lavoro e viveva in miseria. Dopo l’avvento al
potere occorreva trovare soluzioni rapide ed efficaci. La progettazione di piani in grado di portare a
un superamento della crisi si concretizzò a Friburgo nel piano di emergenza del sindaco Kerber:
favorire la creazione di posti di lavoro che assorbisse in parte la domanda degli abitanti della città,
provvedere alla formazione professionale di coloro che percepivano il sussidio di disoccupazione,
incentivare il trasferimento in campagna dei disoccupati in modo da creare una popolazione
contadina aH’interno della regione.168 Grazie a questa politica fu possibile ridurre
considerevolmente il numero dei senza lavoro, e portare rapidamente sollievo a tante situazioni
drammatiche.169 L’Università partecipò fattivamente al piano «Friburgo» del sindaco, non soltanto
inviando degli studenti (e anche qualche insegnante) nei luoghi in cui si stava dando attuazione al
programma, ma anche accogliendo all’Università un ragguardevole numero di disoccupati per
fornire loro una preparazione ideologica.
Rilevando l’urgenza e al tempo stesso la possibilità di guidare gli operai, e soprattutto i disoccupati,
in direzione della «nuova società» e del «socialismo tedesco», la «Freiburger Zeitung» del 24
gennaio 1934 mette in risalto la partecipazione degli studenti a questo sforzo. Gli studenti, «gli
operai della mente» - che al momento della presa del potere costituivano l’avanguardia impegnata
nei violenti combattimenti di strada e nella propaganda delle idee nazionalsocialiste - «intervengono
attivamente nell’educazione politica degli operai del braccio....».170 La «Freiburger Zeitung», già
pochi giorni prima, nel numero del 17 gennaio 1934, aveva fatto sollecitamente da cassa di
risonanza per tale programma. Con il titolo L’Università di Friburgo come università del popolo
aveva pubblicato la seguente nota:
«Sotto la protezione del rettore Heidegger è stato raggiunto un importante accordo fra l’Università,
il corpo studentesco e l’Ufficio del lavoro di Friburgo. Già in questo semestre invernale,
l’Università, insieme al corpo degli studenti, si assume il compito dell’istruzione politica di una
gran parte dei disoccupati di Friburgo. L’insegnamento è impartito dalle forze giovani
nazionalsocialiste del corpo studentesco e dell’Università.
Questo accordo costituisce un successo pieno nella lotta per l’università nazionalsocialista. La
direzione del lavoro è stata assunta dal dottor Haubold di Friburgo.»171
L’organo amministrativo che coordinava i corsi era stato battezzato «Circolo popolare di educazione
politica»; il primo ciclo di conferenze in programma aveva come titolo «Il socialismo tedesco».
Questi corsi, destinati in un primo tempo all’educazione dell’avanguardia studentesca, furono tenuti
dai professori Erik Wolf («Il socialismo e il diritto»), Maximilian Back («Il socialismo e
l’economia»), Hans Mortensen («Il socialismo e il paesaggio»), Kurt Bauch («Il socialismo e
l’arte»), dal funzionario statale Walter Muller-Guiscard («Il socialismo e l’assistenza pubblica») e
dal dottor Helmut Haubold («Il socialismo e il servizio del lavoro»).172 Va qui segnalato che, fin
dall’inizio del maggio 1933,-Haubold fu nominato da Oskar Stäbel - Führer degli studenti
nazionalsocialisti173 - consigliere, per la zona sud, del servizio del lavoro e dei campi di lavoro
dell’Associazione degli studenti nazionalsocialisti (NSDSTB). A metà maggio del medesimo anno,
Stäbel e gli studenti nazionalsocialisti di Friburgo chiesero, al Ministero e alla Facoltà,
l’autorizzazione, per Haubold, a organizzare un corso su « Il campo di lavoro e il servizio del lavoro
», e per l’assistente della clinica psichiatrica, dottor Heinz Riedel, a tenere una conferenza su «I
problemi della questione razziale».174 Il benestare fu concesso dal Ministero nel dicembre 1933.175
Haubold, medico come Riedel, era affiliato ai medici SS e, secondo quanto attesta un documento
conservato al Centro di documentazione di Berlino, collaborò al programma di sperimentazione
delle vaccinazioni, attuato dalle SS nei campi di concentramento.176
Un discorso di Martin Heidegger improntò la solenne apertura dei corsi di educazione politica per i
lavoratori, previsti dal programma del sindaco Kerber. Esso fu pronunciato davanti a centinaia di
operai in un’affollata aula magna il 30 ottobre 1933.
«Connazionali tedeschi! Operai tedeschi!
In qualità di rettore dell’Università vi dò il cordiale benvenuto in questa casa. Questa accoglienza
deve costituire l’immediato avvio del lavoro in comune. Cominciamo col chiarirci il fatto, finora
inaudito, che voi, operai della città di Friburgo che rientrate nel piano di emergenza contro la
disoccupazione, vi riunite con noi nell’aula magna dell’Università.
Che cosa significa questo fatto?
Grazie ai provvedimenti, ampi e di tipo nuovo, che la città di Friburgo ha adottato sul collocamento,
voi siete stati posti in condizione di lavorare e di sostentarvi. In tal modo ottenete una posizione
privilegiata nei confronti del resto dei disoccupati della città. Ma questo privilegio vuol dire, al
contempo, obbligazione. Il vostro obbligo consiste nel concepire il collocamento e nell’assumere il
lavoro retribuito nei modi richiesti dal Führer del nostro nuovo Stato. Perché il collocamento non
significa soltanto eliminare le prime necessità esteriori, non significa soltanto allontanare lo
scoramento interiore o addirittura la disperazione; ottenere il lavoro non equivale soltanto a
difendersi da tutto ciò che opprime e grava, ma significa, contemporaneamente e autenticamente,
costruire un edificio nel nuovo futuro del nostro popolo.
Il collocamento deve fare anzitutto del connazionale privo di lavoro e di retribuzione un membro
nuovamente capace di esserci nello Stato, per lo Stato, e quindi per l’insieme del popolo. Il
connazionale che riceve un lavoro deve apprendere quindi che egli non viene rifiutato e
abbandonato a sé stesso, che egli è parte della compagine nazionale, e che ogni servizio e
prestazione possiede un suo proprio valore, sostituibile con altri servizi e altre prestazioni. Sulla
base di questa esperienza, egli deve riguadagnare di fronte a sé stesso la giusta dignità e la giusta
stabilità, e acquisire di fronte agli altri connazionali la giusta sicurezza e risolutezza. »177
Dopodiché Heidegger illustra la struttura sociale in cui si manifesta il «cameratismo», e cioè
Porganizzazione corporativa fascista della società:
«Il fine è: divenir forti per un’esistenza pienamente legittima in quanto membri della collettività
nazionale tedesca.
Ma per questo occorre:
sapere dove si sta in quanto membri di questo popolo; sapere come questo popolo si articola e si
rinnova in tale articolazione;
sapere che cosa sta accadendo al popolo tedesco in questo Stato nazionalsocialista;
sapere in quale difficile lotta venne conquistata e creata questa nuova realtà;
sapere che cosa vuol dire il futuro risanamento (Gesundung) del corpo della nazione e che cosa esso
pretenda dai singoli; sapere dove l'urbanizzazione ha portato l'uomo tedesco, e come esso debba
esser restituito alla terra e alla campagna, attraverso l’insediamento rurale;
sapere che cosa ci sia alla base del fatto che diciotto milioni di tedeschi appartengono bensì al
popolo, ma non fanno parte del Reich poiché vivono al di fuori dei confini nazionali.
Ogni lavoratore del nostro popolo deve sapere perché e a che scopo egli si trova là ove si trova.
Soltanto grazie a questo sapere, vivo e costantemente presente, la sua vita prenderà radici nella
compagine popolare e nel destino del popolo. Nel collocamento rientra necessariamente la
creazione di questo sapere, ed è vostro diritto, ma anche perciò vostro dovere, esigere questo sapere
e adoperarvi per esso.
E ora giovani camerati delP Università sono pronti a fornire questo sapere. Essi sono decisi a
fornire il loro contributo perché quel sapere si vivifichi in voi, si dispieghi e si rinsaldi, e non abbia
mai più a spegnersi. Essi sono pronti, non come gli “istruiti” della classe dei “migliori”, ma come
connazionali che hanno riconosciuto il loro dovere.
Essi sono pronti, non però come i “colti” di fronte a uno strato, o addirittura a uno “strato inferiore”
di incolti, ma come camerati. Essi sono pronti ad ascoltare le vostre domande, necessità, difficoltà,
dubbi; di pensarli a fondo assieme a voi, e insieme a voi, in un lavoro in comune, di portarli alla
chiarezza, alla soluzione e alla decisione. Che cosa significa questo fatto, dunque, che voi siete
raccolti qui con noi nelPaula delPUniversità?
Questo fatto è il segno della presenza di una nuova e comune volontà, la volontà di gettare un ponte
vivente fra l’operaio del “braccio” e l’operaio della “mente”. Questa volontà di gettare un ponte,
oggi non è più un proponimento privo di prospettive; e perché non lo è più? Perché essendosi
trasformata l’intera nostra realtà tedesca grazie allo Stato nazionalsocialista ne deve
necessariamente conseguire anche una completa trasformazione del nostro tradizionale modo di
vedere e di pensare.
Ciò che fino ad ora abbiamo pensato nelle parole “sapere” e “scienza”, ha acquistato un altro
significato.
Ciò che fino ad ora abbiamo ritenuto con le parole “operaio” e “lavoro”, ha acquisito un altro
senso...»
In palese continuità con l'articolo de]. 1910 su Abraham a Sancta Clara, Heidegger si riferisce qui al
«risanamento del corpo del popolo» operato dall’avvento di Hitler al potere, come a qualcosa
che implichi un assetto mistico nella comunità-del-popolo. Egli dà così nuova veste a un
caratteristico gioco di prestigio concettuale del nazionalsocialismo, destinato a dissimulare le
differenze e i contrasti sociali e, nel contempo, a eliminare quelle organizzazioni politiche che li
riconoscevano e li combattevano. La transustanziazione del pensiero in lavoro e del lavoro in
pensiero rimanda a un disegno più generale che consiste nell’eclissare le disuguaglianze sociali
dissolvendole nelle nozioni mistificatrici di nazione e di popolo; tutto questo, ovviamente, senza
toccare in nulla il modello di organizzazione fascista in cui ciascuno riceve ciò che gli è dovuto:
« Se in questo luogo voi dovete diventare individui che sanno, ciò non vuol dire che vi verrà offerto
qualche boccone e brandello di una qualsiasi “cultura generale”, eventualmente come
un’elemosina supplementare. Al contrario: in voi deve esser risvegliato quel sapere, in forza del
quale voi potete essere - ciascuno nel proprio ceto e ambito di lavoro - uomini tedeschi schietti e
risoluti.
Sapere e possesso del sapere, così come sono intesi dal nazionalsocialismo, non separano in classi,
ma vincolano e unificano i connazionali e i ceti nell’unica volontà dello Stato.
E come le parole “sapere” e “scienza”, anche le parole “operaio” e “lavoro” hanno subito una
variazione di significato e hanno acquistato un nuovo tono. L’“operaio” non è, come voleva il
marxismo, il mero oggetto di sfruttamento. Il ceto operaio non è la classe dei diseredati che
intraprende una generale lotta di classe. Ma lavoro non è neanche la mera produzione di beni per
altri. Lavoro non è neanche unicamente l’occasione e il mezzo per guadagnare il salario. Bensì:
“Lavoro” è per noi il titolo per qualsiasi fare e agire regolato, sorretto dalla responsabilità dei
singoli dei gruppi e dello Stato, e, in tal modo, al servizio del popolo (...)
Per questo motivo, tanto in noi come in voi, la volontà di gettare un ponte vivente non può più
restare un vuoto desiderio, privo di prospettive. Questa volontà di integrare il collocamento nel
lavoro  con una adeguata creazione di sapere, deve essere per noi una certezza interiore e mai una
fede oscillante. Poiché in ciò che questa volontà vuole, noi seguiamo soltanto il volere superiore del
nostro Führer. Essere al suo seguito significa in effetti: volere in modo irremovibile e incessante che
il popolo tedesco ritrovi, in quanto popolo del lavoro, la sua naturale adeguata unità, la sua semplice
dignità e la sua autentica forza; e si faccia, in quanto Stato del lavoro, grande e duraturo.
All' uomo di questa straordinaria volontà, al nostro Führer Adolf Hitler, un triplice “Sieg Heil”»
Nel legato Rudolf Stadelmann, conservato nelPArchivio federale di Coblenza, si trova una parte
della corrispondenza tra Stadelmann e Heidegger. Due lettere di Heidegger, e una di Stadelmann
dello stesso periodo, ci ragguagliano sulla struttura e la natura dei campi di indottrinamento nazisti
per insegnanti e studenti, sull’impegno personale di Heidegger e sulla funzione che egli attribuiva a
tali campi. In una lettera dell'11 ottobre 1933, Heidegger illumina il giovane insegnante sulle
finalità dei campi, luoghi in cui ci si mette alla prova e ci si cimenta politicamente. «Nel campo
tirava un’aria pericolosa per ognuno (...) Noi dobbiamo imparare a pensare insieme alle cose
odierne (...); non dobbiamo sfuggire tali situazioni; al contrario, se non si ripetessero costantemente,
ce le dovremmo cercare e procurare.»
Il motto è: «Con tenacia dobbiamo temprarci». La lettera, in cui si fa, ancora, riferimento agli
scontri fra tendenze e alla condotta che Heidegger si aspettava da parte di Stadelmann, ricevette
una sollecita risposta il 16 del medesimo mese. Da essa traspaiono con chiarezza, innanzitutto,
l’ossequiente subordinazione dei gregari di fronte al loro Führer e l’assoluto ascendente che questi
esercitava sui propri collaboratori, atteggiamenti che richiamano inevitabilmente alla memoria il
tipo di organizzazione peculiare dei gruppi bündisch del movimento giovanile— che abbiamo
analizzato più sopra -, il cui modello ideologico era costituito dalle Case degli uomini proposte da
Alfred Bäumler. Stadelmann scrive a Heidegger: «Nessuno probabilmente ha superato la prova del
campo. Siamo, però, tutti tornati alle nostre case nella piena consapevolezza che la rivoluzione non
è ancora compiuta, e che, all’università, la sua meta è lo studente SA (...) Il modello a cui miriamo
dovrà portare all’eliminazione dei due tipi di studente che ancor oggi sussistono: il semplice
studente e lo studente SA che frequenta l’università da dilettante. Tale meta è chiara ed evidente:
tutti coloro che la perseguono debbono marciare uniti.»
Stadelmann aggiunge, poi, valorizzando la figura di Heidegger come guida: «Essi hanno un Führer
che li guida e li conduce a questa meta ed essi costituiscono il suo seguito (Gefolgschaft).»
Proprio alludendo alle lotte di corrente («gli attivisti venuti da Kiel» e «i radicali»), Stadelmann
ribadisce la sua incondizionata adesione alla leadership politica di Heidegger benché gli rimproveri
una certa ambiguità di fronte alle diverse correnti. «Mai prima avevo capito con tanta chiarezza,
come ora a Todtnauberg, di appartenere al partito della rivoluzione e di non avere niente da spartire
con l’opposizione né con quanti stanno a guardare maneggiando solo parole. Mi impegno a
osservare la disciplina.» La risposta di Heidegger del 23 ottobre 1933 chiarisce parecchie cose.
Innanzitutto ci rivela la febbrile attività di Heidegger in quel periodo («arrivo appena dal campo di
Bebenhausen...») e poi anche la sua totale identità di vedute con Stadelmann. In completo contrasto
con quanto scriverà Heidegger nel suo tentativo di riabilitazione,178 non solo il gruppo
di Heidelberg, capeggiato dal dottor Stein - uomo di Krieck - gli espresse la propria stima, ma, di
fronte alla minaccia di Heidegger di chiudere il campo, fu appunto Stein che «insistette sulla
necessità che il lavoro continuasse in un modo o nell’altro, tenendo conto in particolare degli
studenti forestieri, i quali erano privi di direzione». Heidegger, nella propria versione dei fatti,
scrive che Stein tenne, sì, una conferenza al campo sulla razza e sul principio razziale, aggiungendo,
però, come in realtà, la sua missione, per incarico di Krieck, fosse di far fallire l’iniziativa.179
La lezione su «La questione fondamentale della filosofia» del semestre estivo 1933
La lezione di Martin Heidegger su «La questione fondamentale della filosofia» è sicuramente il
testo più importante tra quelli che abbiamo commentato finora. La redazione originale ne è stata
conservata, però, per il momento, non è possibile accedervi. Le nostre citazioni sono tratte da
appunti, fedeli ma frammentari, presi da persone che assistettero alla lezione e conservati
nell’archivio di Helene Weiss. Certamente tali riferimenti non si possono considerare criticamente
rigorosi, ma li utilizziamo ugualmente per il grande interesse che rivestono, con le riserve del caso.
Il discorso prende l’avvio da una riflessione, che è nel contempo una dichiarazione, sulle esperienze
fatte dagli studenti all’esordio della rivoluzione nazionalsocialista.
«La gioventù accademica è consapevole della grandezza dell’attimo storico che il popolo tedesco
sta attraversando in queste settimane. Che cosa accade? Il popolo tedesco ritrova la via verso sé
stesso e trova la sua grande guida. Sotto questa guida, il popolo che si è ritrovato forgia il suo Stato.
Il popolo che giunge a darsi una forma all’interno del proprio Stato, assurge a nazione. E questa
nazione assume il destino del suo popolo. E tale popolo conquista il suo compito spirituale nel
mezzo dei popoli e forgia la sua storia. Ma questo evento giunge a toccare il difficile divenire di un
oscuro futuro. E in questo divenire, la gioventù accademica tedesca oggi si risveglia. Essa risponde
alla sua vocazione. E questo vuol dire: essa vive della volontà di trovare la disciplina e l’educazione
che la rendano matura e forte per assumere la guida politico-spirituale, la quale le è riservata per la
prossima generazione, e che un giorno le sarà affidata dal popolo per lo Stato nella realtà dei popoli.
Ogni guida, grande ed essenziale, vive della forza di una destinazione fondamentalmente nascosta.
E questa destinazione in primo luogo non è altro che il compito politico-spirituale del popolo. È
necessario destare e radicare nel cuore e nella volontà del popolo e in ciascuno dei suoi singoli
membri la consapevolezza di questo compito. »
E ancora:
«Tale consapevolezza però non ci viene data dalla semplice conoscenza dei dati di fatto e delle
circostanze dell’epoca contemporanea, per esempio dalla conoscenza dell’attuale situazione politica
nazionale. Essa è indispensabile, ma non è decisiva. La consapevolezza del compito politico-
spirituale del popolo tedesco è un sapere che concerne il suo futuro; ma, di nuovo, tale sapere non è
la conoscenza profetica di ciò che accadrà un giorno; non è il sapere in anticipo ciò che generazioni
future sperimenteranno come il loro presente. Un sapere profetico di questo genere ci è, per fortuna,
negato. Esso, infatti, fiaccherebbe e soffocherebbe ogni agire. La consape-
volezza del compito è un sapere esigente, è l'esigente consapevolezza di ciò che è prioritario ed è in
vista di ogni altro, se si vuole che un popolo assurga alla sua grandezza spirituale. Questo sapere
esige ciò che non è ancora, ed esso contesta ciò che è ancora e onora ciò che di grande c'è stato.
Esigere, contestare, onorare, queste tre cose in uno costituiscono quella grande inquietudine nella
quale noi stessi dobbiamo essere il nostro destino. Noi siamo in quanto esigiamo, contestiamo e
onoriamo in questo modo. Noi siamo nella misura in
cui cerchiamo noi stessi. E noi cerchiamo noi stessi in quanto domandiamo: chi è, nel fondamento
del suo essere, questo popolo di questa storia e di questo evento?»
Heidegger precisa il senso di questa interrogazione, senza operare rotture con le categorie già
definite in Essere e tempo, ma concretizzandole sul piano storico e trascendentale. Poiché anche qui
si tratta di una domanda attraverso cui si produce il passaggio dal che cosa (Was) al chi {Wer), essa
non può essere compresa nell’inautenticità:
«Ma questo domandare non è un [ozioso] almanaccare, non è un [sondare] fatti episodici per pura
curiosità, ma è un supremo impegno spirituale, un domandare essenziale. È per tale domandare che
noi sopportiamo il nostro destino e ci esponiamo al buio della necessità della nostra storia. Questo
domandare in cui un popolo sopporta la sua esistenza storica, resiste nel pericolo e nella minaccia, e
si espone alla grandezza del suo compito, questo domandare di un popolo è il suo filosofare, la sua
filosofia. La filosofia è la domanda sulla legge e la struttura del nostro essere. Noi vogliamo rendere
la filosofia realtà ponendo questa domanda. E apriamo questa domanda osando porre la questione
fondamentale della filosofia.»
Gli obiettivi attribuiti alla filosofia, rispetto a Essere e tempo, sono mutati, non però soltanto nel
senso che essa si sia fatta più concreta. Se, nel 1927, Heidegger intendeva l'essere-nel-mondo,
l’esistenza, come lo spazio al cui interno poteva sorgere ciò che era interrogato, l’essere, e se questo
spazio includeva la possibilità dell’essere - individualmente e collettivamente - «autentico», ora,
nel 1933, e senza che l’interrogato (l’essere) sia stato, in fin dei conti, sostituito da qualcos’altro,
esso è concepito con uno statuto e una natura differenti: non deve più essere inteso
epistemologicamente ma ontologicamente e, forse, come il contesto nel quale l’essere
è, identificandosi nel pensiero di Martin Heidegger con il popolo tedesco. È in sé che il popolo
tedesco deve, attraverso coloro che lo guidano alla dimensione filosofica, porre la questione della
filosofia, poiché egli stesso è divenuto questa domanda e il suo oggetto. Nelle aule universitarie,
nella «più alta scuola del popolo», deve dunque prodursi qualcosa, il processo più decisivo della
storia del popolo tedesco; è infatti in queste aule che si può rispondere alla questione del «chi» è
questo popolo. Dopo aver affermato che la struttura e il senso della domanda fondamentale della
filosofia sono stati decisi alPinizio della filosofia stessa, Martin Heidegger procede analizzando le
condizioni necessarie affinché questa domanda possa da quel punto emergere in quanto tale:
«Ma ciò che non è deciso e che non può esser deciso arbitrariamente, è la domanda se noi stessi
siamo ancora preparati e forti abbastanza per ritrovarci in questa domanda fondamentale e nella
decisione su di essa. Indeciso è che cosa sarà di noi nel caso in cui non dovessimo essere all’altezza
del carattere singolare e unico di questa domanda fondamentale. Solo una cosa è certa: noi non
impareremo a conoscere realmente questa domanda fondamentale in quanto domanda, se non
saremo sollecitati ad essa da uno stato di reale bisogno e di autentica necessità. Dobbiamo essere
afflitti da un tale stato di necessità per essere in grado di porre nuovamente tale domanda (...)
Quando, però, e dove, è stata presa questa decisione su ciò che è la domanda fondamentale della
filosofia, e quindi sulla sua propria essenza? È stata presa allora, quando il popolo dei greci - la cui
origine di ceppo e di lingua è la stessa di noi tedeschi - si levò con i suoi grandi poeti e pensatori per
creare un nuovo tipo di esistenza storico-umana, unico nel suo genere. Ciò che allora ebbe inizio, è
ancora. Solo che ad esso non si è ancora tenuto fede. Questo primo inizio permane tuttora. Ed esso
non è per nulla sminuito per il fatto che le epoche successive non si sono dimostrate alla sua altezza.
Questo inizio dell’esistenza storico-spirituale dell’uomo occidentale è ancora, e permane come una
lontana disposizione che anticipa ampiamente il nostro destino in quanto destino occidentale; esso è
una lontana disposizione alla quale - lo sappiamo - è agganciato il nostro destino. Sta a noi chiederci
se vogliamo la grandezza spirituale del nostro popolo, se abbiamo la volontà tenace di [assumerci]
un grande compito spirituale fra i popoli. Sta a noi sperimentare e comprendere che l’attuale svolta
(Wende) del destino tedesco porta in sé la più intensa e grande afflizione della nostra esistenza, nella
misura in cui tale svolta ci pone dinanzi alla decisione di creare o no un mondo spirituale per il
divenire del nostro popolo e del nostro Stato. Se nonio vogliamo e se non lo possiamo,
allora qualche barbarie d’altra provenienza ci spazzerà via, e noi avremo definitivamente perso la
capacità di essere un popolo creatore di storia.»
La rivoluzione nazionalsocialista, assunta come compito, impone però, per Heidegger, un’opzione
politica concreta dentro il movimento stesso:
«Circola l’opinione che bisognerebbe spiritualizzare e nobilitare la rivoluzione nazionalsocialista
tedesca. Io domando: con quale spirito, dunque? Dove bisognerebbe andare a cercare questo
spirito? Sappiamo ancora che cosa è lo spirito? Da tempo siamo convinti che lo spirito è la vuota
perspicacia, il libero gioco dell’arguzia, l’interminabile attività analizzatrice dell’intelletto; lo spirito
sarebbe, allora, la ragione universale. Mentre da tempo lo spirito è l’anelito, la tempesta, l’impegno
e la decisione. Noi, oggi, non abbiamo bisogno di spiritualizzare il grande movimento del nostro
popolo. Lo spirito è già presente. Ma oggi e sempre nelle temperie storiche, lo spirito è ancora
impedito da mille pastoie, privo di un suo universo già plasmato. Se noi vogliamo pervenire ad
esso, se ci occorre creare questo universo spirituale, non in un giorno, né in un anno, e neppure in
qualche decennio, ma forse in un secolo; se vogliamo e dobbiamo iniziare a creare questo mondo
spirituale e intraprendere questo secondo combattimento (Waffengang) del confronto intellettuale
con tutta la nostra storia spirituale sino ad oggi, allora, per prima cosa, dobbiamo imparare a
comprendere e a cogliere il momento attuale, al di là di tutto ciò che la storia passata porta con sé
di difficile, oscuro, insormontabile. Noi dobbiamo imparare a comprendere questo momento storico
e a divenire consapevoli che esso è sufficientemente grande e ricco di energie, sulla base delle
quali noi possiamo osare di ridare inizio dal principio all’inizio autentico della nostra esistenza
storica, guidati unicamente dalla volontà di creare un avvenire spirituale per il nostro popolo e di
assicurargli di essere chiamato a far parte degli altri popoli. »
Quando, più avanti, giunge ad analizzare l’opera fondatrice dei greci e in particolare quella di
Eraclito, Martin Heidegger così traduce il frammento 53: «Il conflitto è il padre di tutti gli essenti
e regna sulle cose. Esso mostra certuni come dèi, altri come uomini, gli uni schiavi, gli altri liberi.»
E in nota si puntualizza: «Per questo quando Eraclito diceva che il conflitto è padre di tutte le cose,
ne parlava non soltanto in quanto origine, ma anche in quanto autorità. Pensiero greco originario! »
Heidegger aggiungeva: «Per comprendere appieno queste parole occorre una coscienza
dell’esistenza dell’uomo e del popolo diversa da quella che possedevamo fino all’anno scorso»,
prima cioè dell’avvento del nazionalsocialismo.

Capitolo 4. Heidegger e la politica


universitaria del Terzo Reich
Il «combattimento» (Waffengang) a cui Martin Heidegger alludeva non riguardava unicamente
l’Università di Friburgo; attraverso di esso, egli, infatti, si prefiggeva di forgiare un modello capace
di proiettarsi su tutta la società. Heidegger si era avvalso di questa stessa espressione, e cioè di
«combattimento», nella lettera indirizzata al dottor Fehrle, consigliere per la politica universitaria
presso il Ministero per il Culto e l’Insegnamento di Karlsruhe, per ringraziarlo delle felicitazioni
che questi gli aveva fatto pervenire in occasione del suo ingresso nel Partito. Si tratta, scrive
Heidegger, «di guadagnare il mondo dei colti e dei dotti ai nuovi obiettivi e alle nuove idee politico-
nazionali».180
Heidegger affronta l’impegno politico a livello nazionale, di cui si è fatto carico, ricercando, anche
in questo ambito più vasto, così come a Friburgo, l’alleanza e il sostegno degli studenti. In tale
prospettiva, si mette in collegamento con gli organismi direttivi centrali della Studentenschaft a
Berlino. Il 24 aprile 1933, immediatamente dopo essere stato eletto rettore, propone a Georg Plötner
- responsabile del settore scienze ed educazione politica di tale organizzazione ed evidentemente in
buoni rapporti con Heidegger - di promuovere una giornata di studio che avrebbe dovuto
coinvolgere tutti i Führer del settore scienze della Deutsche Studentenschaft.181
La Deutsche Studentenschaft era una roccaforte delle SA. Il dottor Oskar Stàbel, originario del sud
come Heidegger, ne era il più autorevole dirigente, insieme al suo collaboratore e vice Heinz
Zähringer. L’organo di stampa dell’associazione era la «Deutsche Stu-
dentenschaft-Akademische Korrespondenz», che, come il gruppo di cui era espressione, svolse un
effettivo ruolo politico solo fino al 1934. La dirigenza della Deutsche Studentenschaft aveva
esercitato una funzione d’avanguardia, come si è già ricordato, nell’inscenare i roghi dei libri in
tutto il Reich. La serie di lettere che Plötner scambiò con Martin Heidegger, in vista
dell’organizzazione dell’incontro, ci offre la possibilità di ragguagliarci sull’azione politica
del gruppo. Plötner, nella sua prima lettera, mette Heidegger al corrente del programma della
giornata di studio e della partecipazione ad essa dei professori Bäumler e Krieck.182 In una seconda
lettera Heidegger viene aggiornato sulla situazione politica berlinese e sugli attacchi provenienti
dalla stampa reazionaria nei confronti della Deutsche Studentenschaft, sferrati con particolare
durezza dalla «Deutsche Zeitung».183 La vicenda cui Plötner si riferisce è questa: il giornale citato,
che, peraltro, fin dal 1930, aveva preso posizione a favore di un rigoroso «nazionalismo
tedesco»,184 aveva pubblicato, il 27 aprile 1933, una circolare, a uso interno, in cui ila
Deutsche Studentenschaft istruiva propri militanti nella tecnica dello spionaggio e della denuncia
dei professori, richiedendo un elenco degli insegnanti ebrei o comunisti o che, comunque, avessero
proferito insulti contro i Führer del Reich, o denigrato la ricostruzione nazionale e i combattenti
tedeschi della prima guerra mondiale. Inoltre gli studenti erano invitati a redigere una lista dei
professori «il cui metodo scientifico si ispiri alle idee liberali e, in particolare, alle dottrine pacifiste
e che, per questa ragione appunto, non possono avanzare alcun titolo all’educazione degli studenti
tedeschi in uno Stato nazionale. Anche in questi casi occorre precisare le fonti: scritti, enunciazioni
nel corso di lezioni e seminari ecc. » Queste liste sarebbero poi state sfruttate per dare corpo ad
azioni di boicottaggio, da parte degli studenti, nei confronti di quegli insegnanti «la cui espulsione
dal servizio pubblico non può attuarsi nell’immediato».185
In una terza lettera, del 1° giugno 1933, Plötner informa Heidegger dei contatti da lui presi con il
professor Stadelmann di Friburgo, il dottor Rath, il dottor Haupt del Ministero dell’Educazione di
Berlino, e il dottor Holfelder, per garantirsi il loro intervento all’incontro. Heidegger confermerà la
sua partecipazione con un telegramma del 3 giugno186 e con una lettera del 9 luglio in cui riafferma
a Plötner la propria fiducia, invitandolo, tra l’altro, alle riunioni che venivano tenute sotto la sua
guida a Todtnauberg. Le giornate di studio e di indottrinamento si svolsero finalmente il 10 e l’11
giugno a Berlino. Vi parteciparono Heidegger con una conferenza dal titolo «Dottrina e ricerca»,
Alfred Bäumler («Le facoltà nella nuova scuola superiore»), il dottor Walter Voigtländer
(«L’edificazione della nuova scuola primaria») e Georg Plötner («Organizzazione e compiti del
dipartimento di scienze»). Il contributo di Martin Heidegger a queste giornate conferma ancora una
volta, come del resto le altre sue attività politiche, l’inesattezza delle sue tardive dichiarazioni
secondo cui egli non avrebbe mai avuto contatti con gli organi ufficiali del Partito
nazionalsocialista.187
Le conferenze a Heidelberg e Kiel. Heidegger e le associazioni corporative dei professori
universitari
A questa iniziativa rivolta alla formazione, a livello nazionale, dei Führer studenteschi, si aggiunse
tutta una serie di attività intraprese da Heidegger nell’intento di influire sul processo di
trasformazione delle altre università e delle associazioni dei professori universitari. Tra queste,
innanzitutto, le conferenze tenute a Heidelberg e a Kiel. Invitato dalla locale associazione degli
studenti, egli pronunciò, il 30 giugno 1933, all’Università di Heidelberg, una conferenza dal titolo
«L’università nel nuovo Reich», che rientrava in un programma di conversazioni messe a punto
dagli studenti. Il giorno prima aveva parlato sull’argomento «Il medico e il popolo» il dottor
Walter Gross, responsabile dell’Ufficio per la purezza della razza della NSDAP; qualche giorno più
tardi interverrà su «Il nuovo Stato di diritto» Cari Schmitt, il più eminente giurista del Terzo
Reich.188 Approfittiamo dell’occasione per far osservare che fu Heidegger a sollecitare Cari Schmitt
a unirsi al movimento nazionalsocialista, come risulta da una lettera del 22 aprile 1933, conservata
nell’archivio personale di Schmitt.189
La partecipazione di Heidegger a questo ciclo di conferenze rappresentò, per l’azione degli studenti,
un concreto e autorevole appoggio, tanto più che proprio in quel lasso di tempo ferveva,
nell’Università di Heidelberg, un’accesa polemica sulla legittimità delle riforme introdotte nel
mondo universitario del Baden, di cui si_è già parlato.
Il testo del discorso di Heidegger non è stato pubblicato nella sua interezza. Se ne riprodussero parti
significative sul giornale studentesco già menzionato e sulle «Heidelberger Neueste Nachrichten»
del 1° luglio 1933.190
Heidegger comincia con lo scagliarsi con veemenza contro lo stato delle cose dominante nelle
università tedesche. Dopo aver asserito che la Germania sta vivendo la propria rivoluzione,
Heidegger si domanda se questa abbia toccato le università. In piena consonanza con le persuasioni
della corrente radicale, la sua risposta è perentoriamente negativa. Le misure fino a quel momento
adottate gli appaiono del tutto insufficienti, nonostante siano già in vigore disposizioni quali quelle
sull’espulsione degli insegnanti ebrei e sulla persecuzione e discriminazione nei confronti degli
studenti ebrei e degli oppositori, e nonostante siano ormai state profondamente modificate, in
conformità al Fuhrerprinzip, l’organizzazione degli studi e la gestione delle università.
Heidegger condivideva integralmente le attese della sua corrente: le riforme amministrative non
dovevano rappresentare che la premessa di una trasformazione «esistentiva» degli uomini e delle
istituzioni. E infatti Heidegger sostiene, nel suo discorso, come tutto ciò che era stato fino allora
fatto costituisse soltanto «un preludio al vero combattimento» e come l’unica effettiva sferzata al
sistema fosse stata data con la creazione dei campi di lavoro, che, soli, offrivano la possibilità di un
profondo mutamento nello stile di vita. Heidegger, che pur ha ingaggiato lo scontro avvalendosi di
strutture parallele e alternative all’università tradizionale, rivolge, peraltro, un ammonimento contro
il rischio che l’università tedesca «riceva un colpo mortale a causa della dimenticanza e perda
l’ultimo residuo della sua forza educativa» e, nel contempo, esprime i suoi voti affinché essa, per
sottrarsi a questo avvilente epilogo, si integri, dopo essersi rinnovata, nella comunità del popolo e si
leghi indissolubilmente al nuovo Stato.191 Tutto ciò può, però, realizzarsi
unicamente nell’evenienza che le università si trasformino in comunità autentiche, affrancandosi
definitivamente dal loro modo di fare ricerca (che, privo ormai di ogni orizzonte, si rivela
ingannevole, fidando
nella mistificatoria idea del progresso internazionale della scienza), e dai loro metodi di
insegnamento (che sostituiscono alla vera nozione di istruzione il feticismo di norme e prescrizioni).
Ciò che occorre fare, dice Heidegger, è portare fino in fondo « una lotta dura, animata dallo spirito
nazionalsocialista, non soffocato da idee cristiane o umanistiche». Poiché, se ci si vuole rendere
conto della nuova realtà, «non è sufficiente tingere tutto con un po’ di vernice politica», praticando
un concetto obsoleto di scienza, per quanto attualizzato con un pizzico di antropologia.192 La
trasformazione autentica implica che si sia consapevoli dello «stato di necessità» (Not)
manifestatosi nella situazione data.193 Facendo diretta allusione a chi, all’interno e fuori del Partito,
denunciava l’eccessivo tempo concesso, a spese degli studi, alle giornate di indottrinamento e alle
esercitazioni paramilitari che le accompagnavano, Heidegger afferma che tali attività non debbono
essere affatto considerate come uno spreco di tempo ma che, al contrario, va vista in esse una
risposta degli studenti all’appello alla lotta per lo Stato.194
«Non deriva alcun pericolo dal lavoro per lo Stato. Soltanto l’indifferenza e la resistenza
costituiscono un pericolo! La forza autentica, sola, dà accesso alla retta via e non al
compromesso...» Ascrivendo i suoi rivali al sospetto gruppo degli «indifferenti» o di coloro «che
offrono resistenza», Heidegger dichiara che il nuovo sistema di studio deve rappresentare «un
rischio e non un rifugio per i codardi. Chi non è in grado di trionfare in questo combattimento
deve soccombere». 195
«Il nuovo coraggio deve abituarsi alla costanza, perché la creazione del luogo preposto
all’educazione dei Führer richiede una lunga lotta. Essa è combattuta con le forze di quel nuovo
Reich, che Hitler, il cancelliere del popolo, porterà a realtà. La lotta concerne la figura del docente e
del Führer dell’università. »196
Invitato dagli studenti più radicali, Heidegger doveva, in primo luogo, fornire il proprio sostegno
alla lotta senza quartiere che gli studenti di Heidelberg stavano conducendo per ottenere la
destituzione del rettore Willy Andreas che, fino allora, era riuscito a sopravvivere al programma di
allineamento delle università del Baden. Le memorie dello storico Tellenbach, a quell’epoca
professore a Heidelberg, confermano questa interpretazione. «Uno studente, fanatizzato dalla foga
agitatoria del discorso, si rivolse a un compagno
dicendo che, dopo quanto si era sentito, ad Andreas non restava che cacciarsi una pallottola in testa.
»197 Occorre, per l’esattezza, aggiungere che Martin Heidegger, rettore di università, si presentò
sul luogo della conferenza in una tenuta particolare. Mentre gli altri insegnanti, ligi alle
consuetudini, erano intervenuti alla manifestazione con i pantaloni lunghi d’uso e gli studenti con
l’abito scuro tradizionale o nella loro uniforme, Martin Heidegger era abbigliato con pantaloni a
mezza gamba e con la camicia aperta secondo il costume dei Völkische della Foresta Nera e della
Baviera.198 Heidegger, stando ai resoconti giornalistici, ripetè all’Università di Kiel la
stessa conferenza, con alcune variazioni di rilievo, però. Questo sicuramente perché, qui, si era già
proceduto all’allineamento nazionalsocialista, sostituendo il vecchio rettore, Scheel, con Lothar
Wolf. A differenza di Willy Andreas, Wolf,199 uno dei principali alleati di Heidegger, era un attivo
militante nazionalsocialista. Nei suoi scritti,200 egli attacca chi cerca di ricavarsi uno spazio
personale nell’ambito della rivoluzione del popolo.201 La Facoltà centrale, nell’« università
politica», non può più essere quella di teologia («Per questi studi ci sono i conventi»), ma quella di
filosofia. Soltanto questa ha le virtualità per garantire, oggi, l’unità delle scienze. A sostegno delle
sue affermazioni, Wolf cita copiosamente il Discorso del rettorato di Heidegger.202 Lothar Wolf
collaborerà, poi, con Heidegger alla costituzione di associazioni di professori nazionalsocialisti,
destinate a sostituire quelle non ancora allineate, e spronerà numerosi insegnanti e studenti a
partecipare ai corsi di indottrinamento tenuti a Todtnauberg da Heidegger.
Riguardo a questi corsi, H. Heimpel riferisce che «per qualche mese, un anno quasi, Heidegger
visse nel convincimento che, con la rivoluzione, stesse trionfando la sua filosofia (...) Egli, allora,
usava invitare i Führer studenteschi nella sua baita di Todtnauberg, ma era anche pronto a congedare
coloro con i quali sorgessero delle divergenze. Così stavano le cose nel 1933 (...) Non l’ho mai
considerato un nazionalsocialista e quando Heidegger designava come “ebreo” un collega era come
se sconfessasse sé stesso».203 Heidegger, almeno a quanto si può evincere dalla stampa di Kiel che
dedicò spazio alla conferenza, eliminò dalla versione per l’Università di questa città quei riferimenti
che potessero essere interpretati come una critica nei confronti della gestione di Lothar Wolf e che,
invece, a Heidelberg si erano resi necessari per denunciare e rendere precaria la posizione di Willy
Andreas. In una nota del «Nordische Rundschau» del 15 luglio 1933 si descrive la conferenza di
Heidegger come un’illustrazione e un approfondimento del Discorso del rettorato,204
Una conferenza di Heidegger sull’università nello Stato
nazionalsocialista
Un’altra significativa testimonianza dell’attività sviluppata da Martin Heidegger nelle università
tedesche è rappresentata dalla conferenza da lui tenuta a Tubinga il 30 novembre 1933. Di
tale manifestazione si occuparono contemporaneamente la locale organizzazione della NSDAP, il
Kampfbund (lega fondata prima del 1933 da Alfred Rosenberg per raggruppare scienziati e agitprop
filonazisti), e gli studenti dell’Università. L’iniziativa beneficiò della pubblicità della stampa
cittadina. In questi termini il «Neues Tübinger Tagblatt» del 30 novembre 1933 invitava i suoi
lettori ad assistere alla conferenza: «Il nome di Heidegger è di per sé un simbolo. Sono molto pochi
i professori che, come lui, si diano tanta cura del nazionalsocialismo e lo difendano in maniera
altrettanto incondizionata e radicale. In passato il nome di Heidegger rappresentava qualcosa solo
nel mondo specialistico della filosofia (...) Oggi egli si colloca nel cuore pulsante del mondo
dell’insegnamento. Il suo testo L’Autodffermazione dell’università tedesca è stato troppo a lungo
misconosciuto. Oggi nessuno, che voglia veramente riflettere sull’essenza e sulla volontà del
nazionalsocialismo può permettersi d’ignorarlo. Heidegger è qualcuno che mostra la via (...) Egli
ha personalmente assunto la direzione della sede della confraternita degli studenti friburghesi e
cerca di dare una formazione da soldati ai depositari del sapere (...) Da lui emana un magnetismo
che avvince tutti coloro che lo conoscono, il suo insegnamento incisivo e profondo conduce, al di là
di quanto sia superficiale ed effimero, fino alla scabrezza essenziale dell’evento tedesco dell’ora
presente. Egli dispiega, sfrondato di ogni elemento superfluo, il senso pieno della nostra esplosione
nazionale (völkischer Ausbruch) e le conseguenze che esso deve avere per gli insegnanti
universitari. Un giovane che aveva partecipato al campo autunnale diretto da Heidegger ha detto:
“Quando Heidegger parla è come se la caligine che avevamo di fronte ai nostri occhi sparisse!
Questa è stata l’impressione di tutti i partecipanti al campo (...) Oggi a Tubinga riceviamo la
visita di un combattente di prima linea, di qualcuno che, in quanto uomo, è chiamato a indicare gli
obiettivi della realtà tedesca avvenire, e che, in quanto scienziato, ha il compito di illustrare gli
impegni della scienza tedesca di domani. Egli ha dichiarato lo stato di guerra e sprona all'offensiva
Ci auguriamo che quanti ancora attendono e dubitano rispondano all’appello e si dimostrino
capaci di provare, per opera sua, un radicale rivolgimento. Chi si preoccupa per i destini
dell’università nel nuovo Reich deve conoscere Heidegger. Chi ama la tempesta e il pericolo deve
ascoltare Heidegger! ” »
Sia il «Neues Tübinger Tagblatt» che la «Tübinger Chronik» dedicarono, il i° dicembre 1933, un
servizio alla conferenza e alla manifestazione che si erano tenute all’Università. Si sottolinea la
larga partecipazione di studenti e insegnanti e la presenza di alti funzionari del Ministero della
Cultura del Württemberg. La «Tübinger Chronik» riporta nella sua interezza il testo del discorso di
Heidegger, testo non noto fino ad oggi. Heidegger inizia così:
«L’università, in quanto alta scuola di scienza, ha il compito di portare a completa formazione
scientifica la dottrina scientifica coltivata sul fondamento della ricerca scientifica. Nel rapporto con
lo Stato, l’università vale come un organismo di diritto pubblico. Si deve a von Humboldt, che nel
1809 prese parte alla fondazione dell’Università di Berlino, rimasta sino ad oggi un modello, se il
rapporto fra lo Stato e l’università ha ricevuto questa interpretazione abituale. In un saggio
scientifico su questo rapporto, von Humboldt ha scritto, fra l’altro, che lo Stato deve essere
fermamente consapevole di rappresentare un ostacolo per l’università, e che perciò non dovrebbe
intromettersi. Senza lo Stato, le cose andrebbero infinitamente meglio. D’altra parte, è obbligo dello
Stato procurare all’università i mezzi che le sono necessari. L’università secondo von Humboldt si
caratterizza per tre aspetti: 1) essa è considerata dal punto di vista dell’insegnante e del ricercatore;
2) per il primato della ricerca sulla dottrina: la dottrina deve basarsi sulla ricerca; e 3) l’università è
la scuola superiore, è una comunità di studenti e docenti.»
L’analisi dei rapporti tra università e Stato è compiuta da un punto di vista militante e interno alla
rivoluzione nazionalsocialista, sviluppando l’opzione che fino allora era stata apertamente sostenuta
dalla tendenza più radicale delle SA e degli studenti che a questa si ispiravano. In questa luce,
appunto, occorre considerare il testo che così prosegue:
«Nel frattempo c’è stata la rivoluzione qui da noi. Lo Stato si è trasformato. Questa rivoluzione non
ha rappresentato l’avvento di un potere già presente nello Stato o in un partito politico; al contrario,
la rivoluzione nazionalsocialista significa il completo sovvertimento dell’intera esistenza tedesca.
Essa investe anche l’università. Ebbene, qual è l’aspetto dell’università nel nuovo Stato? Il
nuovo studente non è più un borghese che frequenta il mondo accademico, egli passa per il servizio
del lavoro, sta nelle SA o SS, pratica sport campestre. Lo studio si chiama ora servizio del sapere. In
breve tempo, tutto ciò giungerà a una soddisfacente armonia. Il nuovo docente elabora piani per
l’università, scrive opuscoli sul nuovo concetto di scienza; si discorre della politicizzazione dello
studente e delle facoltà; si tengono lezioni sulle tradizioni popolari e sul servizio del lavoro. Tutto
questo non è altro che una riverniciatura del vecchio. Nel migliore dei casi, esso si risolve in un
trasferimento esteriore di certi risultati della rivoluzione a un’interiorità che per il resto continua a
trascinarsi nell’antica inerzia.
Che cosa deve accadere ancora? La rivoluzione è pur alla sua fine e, secondo la parola stessa del
suo Führer, ha lasciato il posto all’evoluzione. L’evoluzione deve sostituirsi alla rivoluzione. Ma
nell’università non solo la rivoluzione non è alla sua fine, essa non è mai cominciata. E se ora c’è
l’evoluzione, nel senso in cui l’intende il Führer, essa non potrà aver luogo se non tramite la lotta e
per la lotta. La rivoluzione nell’università tedesca non ha nulla a che vedere con la modificazione di
aspetti esteriori. La rivoluzione nazionalsocialista è, e diverrà, la completa rieducazione degli
uomini, degli studenti e dei giovani docenti che seguiranno. Ciò non può accadere tenendosi in
disparte dalla nuova realtà, ma solo se e quando noi stessi stiamo nella nuova realtà e ne facciamo
esperienza. La rivoluzione può essere sperimentata soltanto da chi è disposto a farlo,
non dall’osservatore che forse legge solo letteratura nazionalsocialista per informarsi sul linguaggio
usato; la rivoluzione può esser sperimentata solo da coloro che prendono parte all’azione, giacché
la realtà rivoluzionaria non è qualcosa di già pronto e disponibile, ma è per sua natura soltanto
svolgimento e avanzamento. Tale realtà richiede un rapporto totalmente diverso da quello che si
assume verso uno stato di fatto. Noi dobbiamo anzitutto interrogare la nuova realtà, chiederci se
stiamo in essa e come ci stiamo. Così interrogando, ci dobbiamo mettere fuori dal guscio delle
forme e degli elementi esteriori dell’università che ci sono stati tramandati. Essi non sono più, per
noi, che una dimora provvisoria. Non dobbiamo neppure apportare qua e là dei cambiamenti, a
seconda delle lusinghe del momento, perché le forme si determinano in base a ciò che facciamo in
questa comunità. Il nostro fare è un dover fare che ha il carattere della necessità ed esso si
determina in relazione a ciò che siamo e a chi siamo; il nostro essere si determina in relazione a che
cosa e a chi diventiamo in questa nuova realtà, e il nostro divenire si determina in relazione a ciò
che mettiamo in gioco e a ciò che siamo in condizione di compiere. Per noi è chiaro che elementi
esteriori e forme hanno senso solo nella misura in cui crescono da un’azione vivente degli uomini
stessi.»
Basandosi su tali princìpi Heidegger giunge a porre una triplice domanda:
«1) Qual è la nuova realtà? 2) Come si colloca il nuovo studente in questa realtà, chi è egli, e che
cosa è? 3) Come si colloca il nuovo docente in questa realtà, chi è egli, e che cosa è?
1) Qual è la nuova realtà? I tedeschi diventano un popolo storico, non però come se non avessero
una lunga storia colma di vicissitudini. Avere storia non significa essere storico. Essere storico vuol
dire sapere, in quanto popolo intero, che la storia non è né il passato, né il presente, ma è quell’agire
e quel domandare che si impongono al presente sgorgando dal futuro che incalza. Il futuro non
consiste in ciò che non è ancora; esso avviene nella decisione consapevole, in virtù della quale il
popolo sprona sé stesso. Essere storico vuol dire esser sapiente, al fine di liberare il passato nella
sua forza vincolante e di conservarlo nella sua grandezza trasformativa. Questo sapere è lo Stato
stesso. Lo Stato è la compagine che ridesta e vincola, all’interno della quale il popolo,
sottomettendosi, viene inserito come un tutto. Le potenze quali la natura, la storia, l’arte, la tecnica,
l’economia, lo Stato stesso, vengono affermate. Diventa così tangibile che cos’è che rende un
popolo sicuro, schietto e forte. La tangibilità di queste potenze è la misura della verità. Diventare
storico significa agire nelle grandi potenze delPesserci che sono riposte nello Stato. In questo
evènto si dichiara il diritto del popolo al proprio Stato, a un sapere di sé stesso e delle grandi
potenze delPesserci. Questo evento è una spinta irrefrenabile, quasi come una coercizione, una delle
grandi e intime necessità alle quali si rassegna il cuore umano. Solo così è possibile assurgere a una
grandezza. Noi sottostiamo a questa forza imperativa di una nuova realtà. Noi cerchiamo coloro che
intendono questa nuova forza imperativa per eseguire gli ordini. Può trattarsi esclusivamente di
coloro che non sono ancora logorati, di coloro che spingono le radici del loro essere e del loro
esistere fin nell’intimo del popolo, di coloro che avvertono in sé stessi una spinta in avanti, un senso
di tempesta; e questi sono la gioventù tedesca. Essa possiede quella certezza del proprio essere.
L’autentica gioventù deve impegnarsi e si sa impegnata per un grande fine. E ciò implicava
l’attuazione di un nuovo sapere.»
Heidegger si occupa poi di quale sia la posizione del nuovo studente:
«2) Come si colloca il nuovo studente nella nuova realtà? Lo studente è, per sua natura, destinato
anzitutto a imparare, e noi qui incorriamo nel pericolo, rilevato più volte, di prender troppo sul serio
lo studente, e di dargli un’importanza troppo grande. Si dice che non si dovrebbe farlo perché il
livello dello studente odierno sarebbe troppo primitivo: il che, però, non può voler dire che
lo studente ha meno nozioni dei professori. Esser primitivo significa trovarsi, per una spinta e un
intimo impulso interiore, là dove le cose hanno il primo inizio; esser primitivo, esser sospinto da
forze interiori. Proprio perché il nuovo studente è primitivo, egli ha la vocazione ad attuare il nuovo
diritto al sapere. Egli pretende dai docenti di essere istruito sulle questioni della natura, della
filosofia, dell’arte, dello Stato ecc. Dovrebbe egli prender conoscenza soltanto di ciò che è stato
insegnato fino ad oggi? Egli non si accontenterà di ciò che i docenti vi aggiungono incidentalmente
e come un di più, come confessione di una propria opinione privata. In modo irremovibile e senza
lasciarsi fuorviare, lo studente dell’avvenire cercherà di attuare il diritto al sapere del popolo nel suo
Stato. In questo attacco, la gioventù segue la guida sicura della sua volontà. Chi si trova là ove la
gioventù viene criticata, si trova a essere unito a lei e al suo volere. In questo essere al seguito nel
movimento collettivo di contestazione, nasce il nuovo cameratismo e non viceversa: non si è
al seguito sulla base del cameratismo. Questo cameratismo già educa dei capi, i quali fanno di più,
perché sopportano maggiormente e sacrificano di più. Il cameratismo solleva il singolo al di sopra
di sé stesso. Noi conosciamo questi uomini giovani, la fermezza dei loro lineamenti, la
spregiudicatezza del loro linguaggio, il loro carattere d’acciaio. Questa figura di studente non studia
più nel senso tradizionale, egli è sempre in cammino. Questo studente diventa operaio.»
In tal modo Heidegger istituisce il rapporto studente-lavoro come rapporto essenziale, al cui interno
si pone il criterio di giudizio atto a discriminare quanto sia specificamente nazionalsocialista
sia rispetto al «nuovo studente» sia rispetto al nuovo Stato.
«Lo studente non era sempre operaio? Oggi si parla dell’operaio, della mente e del braccio. Operaio
è, qui, solo un grande nome collettivo, una concessione, conforme allo spirito moderno, fatta a
quei connazionali che comunemente erano chiamati operai. Ma così come è cambiata l’essenza
della nuova realtà tedesca, è cambiata anche l’essenza del lavoro e dell’operaio. Il lavoro non è un
concetto corporativo, né un concetto culturale. Il lavoro è ambivalente, da un lato esso è l’attuazione
di un comportamento, da un altro lato è l’elaborare in quanto risultato di quella attuazione. Ogni
comportamento umano è lavoro. L’essenziale non sta né nell’attuazione del comportamento né nel
risultato, ma in ciò che qui accade autenticamente. L’uomo si pone, in quanto operaio, a confronto
con l'essente come un tutto, e in ciò avviene l’affermarsi delle potenze quali la natura, l’arte, lo
Stato ecc. Così intesa, l’essenza del lavoro determina l’esistenza dei tedeschi e, forse, l’esistenza
dell’uomo sulla terra in generale. La nostra esistenza comincia a trasformarsi in un altro modo di
essere. Lo Stato nazionalsocialista è lo Stato del lavoro, perché il nuovo studente si sa impegnato
per attuare il diritto politico al sapere. Per questo egli è operaio. Il nuovo studente studia perché è
operaio, e lo studio adesso vuol dire dispiegamento della volontà di consolidare e di studiare quel
sapere del popolo, in forza del quale egli diviene, nel suo Stato, un essere storico. Fra un decennio,
o forse soltanto fra una generazione, la figura di questo nuovo studente dominerà l’università.
Allora lo studente sarà subentrato, nel fronte del lavoro, al nuovo corpo docente.»
Per questo, secondo Heidegger, l’impulso rivoluzionario degli studenti si configura come il
primario fattore di trasformazione dell’università tedesca. E appunto a partire da questo impulso
egli intende concepire il «nuovo insegnante». Il «nuovo insegnante» che, in fin dei conti, è lo
studente di oggi, viene così descritto:
«3) Come si colloca il nuovo docente nella nuova realtà tedesca? Il nuovo diritto al sapere si
impone ovunque a colui che ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare. In quanto diritto al sapere,
esso è, contemporaneamente, una volontà di didattica, esso è la ricerca degli insegnanti per questo
voler apprendere; ma l’odierna dottrina scientifica si caratterizza per la sua mancanza di finalità, la
quale riesce ancora a stento a far fronte alle esigenze del regolamento degli esami. A questa
mancanza di finalità della dottrina, corrisponde l’inarrestabilità della sua caduta, la quale viene
considerata come un progresso internazionale, mentre entrambe sono all’origine dell’impotenza
nella quale, da decenni, è venuta a trovarsi l’università tedesca, impotenza anche dinanzi a ciò che,
negli ultimi decenni, si è introdotto a forza nel suo interno. È accaduto, così, che nella conferenza
universitaria dell’anno scorso si levassero lamentele sul sovraffollamento dell’università, il quale
avrebbe pregiudicato il buon andamento dell’attività didattica. Ma è vero il contrario, è il fallimento
interno dell’università la causa che ha reso possibile il sovraffollamento. Ne risulta un conflitto che
si spinge al di sotto della forza imperativa della nuova realtà tedesca. La situazione è che si
continuano a vedere fantasmi, e già si crede di vedere la scienza tedesca ricadere nella barbarie,
invece di scorgere l’altro pericolo, e cioè che noi, scientemente o no, possiamo essere d’ostacolo
all’attuazione del nuovo diritto alla scienza. Non è affatto sufficiente plaudire al nuovo ordine, ciò
che conta è l’alternativa fra decidersi a sottomettersi alla forza imperativa della nuova realtà, oppure
affondare insieme a un mondo che si inabissa. Quando per l’esperienza più intima che abbiamo
della nuova realtà, ci risolveremo per essa, allora comincerà veramente la lotta, il confronto con il
diritto al sapere, che emerge nella gioventù (...) Ogni volontà di sapere si sviluppa come domanda, e
per noi che dobbiamo attuare queste diritto al sapere, si tratta di sapere in anticipo il significato che
ha per noi il domandare effettivo. Domanda non è, per noi, il gioco sfrenato della mera curiosità;
non è l’ostinato persistere nell’ostinatezza ad ogni costo. Il coraggio che domanda è, in sé, una
risposta più alta di una informazione artificiosa, o di un sistema di pensiero costruito
artificiosamente. La domanda pone la potenza al cospetto di colui che domanda, e lo avvicina
all’essenza delle cose. Ogni domandare è un anticipare, è un pre-domandare. Sono questi
l’atteggiamento fondamentale e l’opera dell’autentico insegnare.»
Dalla relazione di mutuo scambio e completamento tra apprendere e insegnare in maniera
«rivoluzionaria», si possono originare quegli atteggiamenti in grado, secondo Heidegger, di
ridefinire i rapporti studente-scienza da una parte, e università-Stato dall’altra.
«In questo confronto con il diritto al sapere, si accresce in noi la visione essenziale della
destinazione dell’insegnamento e la corrispondente modalità dell’apprendimento. Insegnare
significa far imparare, portare all’apprendimento. Imparare non è assumere e accatastare nozioni
precedentemente trovate. Imparare non è prendere, ma fondamentalmente un darsi a sé stesso.
Nell’imparare io mi dò in possesso a me stesso, mi dò ciò che, nel fondo della mia essenza, già so e
custodisco. Imparare significa: darsi a sé stesso fondandosi sul patrimonio originario della propria
esistenza etnicamente determinata, e sapersi codetentore della verità del popolo nel suo
Stato. Insegnare significa: far ritrovare a colui che ha volontà di sapere tutta la potenza
dell’esistenza etnicamente determinata, affinché affluisca in lui la forza suscitatrice; insegnare
significa render sicuri nella visione essenziale dell’essere, e far tralasciare l’inessenziale. Solo da un
simile rapporto insegnamento-apprendimento, in quanto comunità interiore, sorge la scienza. Ciò
che è degno del sapere decide dove vanno tracciati i confini del sapere. In tal modo,
l’insegnante verrà vincolato per sua stessa iniziativa al nuovo compito che è imposto agli studenti, il
compito, cioè, di dispiegare e di chiarire il nuovo diritto al sapere. Così l’insegnante diventa
operaio. E con ciò studente e docente vengono a trovarsi nello stesso movimento di contestazione.
Spontaneamente sorgono disposizione a seguire e cameratismo, anche il cameratismo fra docenti.
Scomparirà il vecchio modo di stare insieme, la “collegialità”, perché è qualcosa di negativo. Nel
seguire, docente e studente vengono vincolati nello Stato, la nuova forma si svilupperà in una realtà,
nella quale il rapporto con lo Stato assume un altro carattere. Non potremo parlare più di un
rapporto con lo Stato, perché la stessa università diventerà Stato, un momento del dispiegarsi dello
Stato. Scomparirà con ciò il carattere tradizionale dell’università, quello di essere l’isola vuota di
uno Stato vuoto.»
La velata critica rivolta da Heidegger all’asserzione di Hitler - secondo cui la nuova realtà si
sarebbe affermata immediatamente dopo la rivoluzione e che, da quel momento in poi, sarebbe
solo occorso uno sviluppo quantitativo (un’evoluzione) - verrà espressa ancora una volta allorché si
tratterà di definire lo stato generale delle cose all’inizio dell’«offensiva» nazionalsocialista:
«Noi, uomini d’oggi, ci troviamo nel momento della conquista della nuova realtà con la lotta. Noi
siamo solo una transizione, una vittima sacrificale. In quanto combattenti di questa lotta,
dobbiamo essere di una generazione dura, non più legati a qualcosa di proprio, ma saldamente
ancorati alle radici del popolo. Nella lotta non sono in gioco né persone, né colleghi, né vuote
esteriorità e generici provvedimenti. Ogni lotta autentica porta i tratti permanenti dell’immagine dei
combattenti e delle loro opere. Solo la lotta dispiega le vere leggi sino alla realizzazione delle cose;
la lotta che noi vogliamo è in atto, noi lottiamo concordi e uniti. »
La presenza del Kampfbund e dell’organizzazione locale della NSDAP attesta che, in questa
occasione, Heidegger non fruì soltanto dell’appoggio degli studenti nazisti.
L’attività di Martin Heidegger per «rivoluzionare» le università tedesche in direzione del
nazionalsocialismo non si ferma qui. Con la collaborazione della Deutsche Studentenschaft e di altri
professori e rettori nazisti, egli si adoperò per unire le forze in campo, coordinando
sistematicamente le azioni che miravano a modificare, in profondità, la composizione e la struttura
dell’Associazione dei professori universitari (Hochschulverband) e della Conferenza dei rettori. La
prima sessione di quest’ultima, dopo l’elezione di Heidegger, era prevista per l’8 giugno 1933.
Heidegger e i suoi fiancheggiatori, d’intesa con altri rettori nazisti, intravidero in tale riunione la
possibilità di dislocare su posizioni più radicali entrambi gli organismi. Il disegno si rivelò, però,
piuttosto illusorio. Le due istituzioni, infatti, per timore, appunto, di un processo di radicalizzazione,
o in obbedienza ai loro propri convincimenti, avevano già autonomamente provveduto al loro stesso
allineamento. In effetti, il 5 marzo 1933, trecento tra professori ordinari, incaricati e assistenti
sottoscrissero un appello elettorale a sostegno di Hitler e del nazionalsocialismo, e, il 3 aprile,
l’Associazione dei professori universitari protestava «con vigore e s’indignava» contro le campagne
di stampa straniere volte a screditare il governo di Hitler. Il 22 aprile l’esecutivo
dell’Associazione fece una pubblica dichiarazione in cui si diceva che «la rinascita del popolo
tedesco e l’avvento del nuovo Reich tedesco rappresentavano per le università l’adempimento dei
loro più vivi desideri e la conferma delle loro più ardenti speranze». Così come avevano dato
il proprio contributo, insieme a Bismarck, alla fondazione del Reich, esse si erano impegnate nella
prima guerra mondiale e avevano fronteggiato la campagna antitedesca; era ora loro dovere
collaborare alla rinascita della Germania. Nel senso appena definito, l’università tedesca costituiva
uno spazio politico e si voleva tale, facendo, parallelamente, ogni sforzo per non lasciare libero il
campo alla lotta di classe e alle concezioni del mondo classistiche. Nel tentativo di assicurarle un
certo ambito di autonomia, il documento aggiungeva che restava pur sempre dovere dell’università
mantenere viva «la naturale libertà di spirito dei tedeschi al servizio della verità, del mondo e della
scienza»; si facevano, però, anche importanti concessioni:
«Noi abbiamo una volontà di riforma: valorizzare nuovamente l’antica selezione fondata sulla
nobiltà dello spirito (...); noi facciamo nostre le nuove forme di educazione nazionale, il servizio
del lavoro, l’addestramento paramilitare, la sorveglianza delle frontiere effettuata dalle
organizzazioni giovanili, poiché esse riguardano tutta la nazione. »
A chiusura della dichiarazione si faceva appello perché si guardasse all’attività specifica
dell’università con comprensione e perché si definissero degli spazi di possibile convivenza, ma si
riconosceva, nel contempo, la legittimità del regime. Il documento era firmato dai professori
Tillmann (Bonn), Fröhlich (Halle), Schlink (Darmstadt), von Köhler (Tubinga), Bumke (Monaco),
Spranger (Berlino), Nägel (Dresda), Solger (Berlino), Schleicher (Aquisgrana) e Fels (Monaco).205
La Conferenza dei rettori aveva deciso, per parte sua, fin dal 12 aprile 1933, di istituire una
commissione incaricata di riesaminare il proprio assetto organizzativo all’interno del nuovo Stato.
Con queste misure le due associazioni non facevano che adeguare al momento presente una
tradizione già consolidata. L'Associazione dei professori universitari era un organismo corporativo e
non statuale, fondato nel 1920 con l’obiettivo di contrastare il governo di Weimar e di dare
appoggio alle «forze d'ordine». Essa era favorevole a un'idea di Stato forte e aggressivo, avverso
alla nascente democrazia.206 L’allineamento, posto in atto di loro propria iniziativa, cominciò con
un documento del 21 marzo, anteriore al testo citato più sopra.
Minacciata da coloro che puntavano a una più accentuata radicalizzazione, la dirigenza
dell'Associazione dei professori universitari chiese a Hitler un’udienza in cui poter esporre il
proprio programma ed esprimere la propria riconoscenza al regime. L'udienza fu concessa in un
primo tempo per il 12 maggio 1933.207 In base alle nostre fonti, sembra che Hugo Bruckmann -
deputato nazionalsocialista al Reichstag, curatore delle opere di Wòlfflin e di Chamberlain,
e rappresentante ufficiale della NSDAP al Kampfbund für deutsche Kultur - abbia svolto un ruolo
decisivo nell'assenso dato dalla Cancelleria alla richiesta dell'Associazione.208 In una lettera del 10
maggio, Bruckmann informa il sottosegretario Lammers di una riunione, svoltasi a casa sua, nel
corso della quale il professor Bumke gli aveva esternato il desiderio dell'Associazione di
collaborare con il governo. Scopo dell’incontro richiesto era, appunto, poter manifestare tale
volontà. Per parte sua, il governo avrebbe anche potuto, approfittando dell'occasione, far conoscere
i propri intendimenti riguardo alla ristrutturazione del direttivo dell’Associazione. Salvo i professori
Spranger (per ragioni di salute) e Nägel, gli altri avrebbero dovuto conservare la loro carica. Il
professor Tillmann, teologo cattolico, sembrava fosse un avversario dello Zentrum. Si poteva aver
fiducia in tutti gli altri.209 Dopo aver ricevuto conferma del colloquio, il professor Tillmann fece
pervenire i propri ringraziamenti e annunciò la propria visita.210 Eppure l'incontro non ci fu. Grazie
a un’azione rapida e coordinata, la dirigenza studentesca e i rettori delle Università di Friburgo,
Kiel, Rostock, Münster, Colonia e Francoforte intervennero presso Hitler, richiedendo e ottenendo
che l'udienza concessa fosse sospesa finché l'allineamento non risultasse completo. Gli studenti, il
18 maggio, inviarono a Hitler un telegramma, in cui l'Associazione dei professori veniva denunciata
come un'istituzione avversaria «che essi avevano sempre combattuta per il suo spirito non-tedesco»
e che, per ciò stesso, era indegna di essere ricevuta dal Führer. Lo stesso giorno il rettore di Kiel,
Lothar Wolf, trasmise una richiesta di revoca dell’udienza, in cui si sottolineava l’atteggiamento
ostile dell’Associazione nei confronti degli studenti. Ecco il testo del telegramma inviato il 20
maggio da Heidegger:
«Al signor Cancelliere del Reich, Cancelleria del Reich, Berlino.
Prego devotamente affinché il previsto ricevimento della presidenza dell’Associazione dei
professori universitari venga rinviato sino a quando l’associazione universitaria non sia diretta nel
senso dell’allineamento, che in questo caso è particolarmente necessario. Heidegger, rettore
dell’Università di Friburgo».
La richiesta di rinvio fu caldeggiata, con una serie di telegrammi di analogo tenore, dai rettori
Schulze (Rostock), Naendrup (Colonia), Horrmann (Università tecnica di Braunschweig) e Krieck.
Con una lettera ufficiale del 19 maggio, il ministro notificò, quindi, al professor Tillmann e,
separatamente, a Bruckmann, senza scendere a spiegazioni, la disdetta dell’udienza. Tillmann tornò
alla carica spedendo, il 20 maggio, un telegramma, e, due giorni dopo, una lettera, a Hitler in cui si
faceva ricadere su Eduard Spranger la responsabilità degli attacchi alla Deutsche Studentenschaft.
Spranger avrebbe agito a titolo strettamente personale. Nella dichiarazione del 22 aprile non c’era
assolutamente intenzione di criticare l’azione degli studenti tedeschi. « Se avessimo pensato che
questo appello potesse essere interpretato come una censura nei confronti della Deutsche
Studentenschaft, o anche del governo nazionale, non sarebbe stato approvato e reso pubblico. Si
proponeva, al contrario, di essere una professione di fiducia delle università tedesche nel governo
nazionale e di testimoniare la nostra volontà di collaborare alla ricostruzione dello Stato.» Questa
lettera, a quanto risulta, non fu neppure considerata meritevole di risposta. L’Associazione rinnovò
il proprio esecutivo nel congresso straordinario del 1° giugno 1933.211
Il riferimento di Tillmann al «caso Spranger» ci rimanda alle aspre polemiche tra il rettore
dell’Università di Berlino, professor Kohlrausch, e gli studenti che, in quell’epoca, stavano dando
attuazione alla politica di risanamento. Eduard Spranger aveva, in quelle circostanze, biasimato i
roghi dei libri come indegni «della nuova e rigenerata Germania» e come una deviazione «rispetto
al Führerprinzip, che, sul piano etico, ho in grande considerazione». La dichiarazione di Spranger -
resa alla stampa - proseguiva con l’espressione della sua protesta per non essere stato neanche
consultato dal ministro Bernhard Rust sull’istituzione della cattedra di pedagogia politica
(Bäumler), e terminava con la rinuncia alla sua carica.212
Da tutta la documentazione, d’altronde, emerge come non siano state poche le distorsioni operate da
Martin Heidegger nel corso della sua difesa davanti al tribunale per là denazificazione
dell’Università di Friburgo, che, finita la guerra, giudicò la sua condotta sotto il Terzo Reich. In una
seduta Heidegger invitò, appunto, la commissione a non travisare il significato del telegramma
citato più sopra. Egli non avrebbe assolutamente inteso per allineamento la subordinazione delle
università alla dottrina ufficiale. Il suo fine era piuttosto di spronare a un «rinnovamento spirituale»,
Facendo leva sul nazionalsocialismo. Purtroppo la ricerca di K. A. Moehling213 non riporta, se non
in minima parte, gli atti del giudizio che portò alla sospensione di Heidegger dall’insegnamento. Per
sviscerare la questione, mettendo a fuoco lacune e più o meno voluti fraintendimenti, si
raccomandano i meticolosi lavori di Hugo Ott.214
La sessione della Conferenza dei rettori, che si svolse l’8 giugno 1933 sotto la guida della vecchia
direzione, manifestò la propria solidarietà all’Associazione dei professori universitari rispetto
all’iniziativa, da quest’ultima progettata, di incontrarsi, in udienza, col Führer. Di fronte a tale
accordo, a cui infine era pervenuta l’assemblea, l’avanguardia nazionalsocialista, ossia i rettori
Heidegger, Krieck, Wolf e Friedrich Neumann (Gottinga), abbandonò ostentatamente la riunione.215
Alle informazioni reperibili in Ott, occorre aggiungere che i rettori delle Università di Kiel,
Francoforte e Gottinga giunsero fino a ritirare le rispettive università dall’Associazione nel tentativo
di innescare, con una forzatura, un effettivo allineamento. Negli archivi di Potsdam è conservata
una serie di lettere indirizzate da Ernst Krieck e Lothar Wolf al consigliere ministeriale professor
Achelis (18 giugno 1933) e al direttore ministeriale Gerullis (6 giugno),216 concernenti la
Conferenza dei rettori.
Heidegger, Krieck e la creazione della KADH
Ma già prima di questa parziale e momentanea sconfìtta, e senza dubbio prevedendola, Heidegger
aveva iniziato, copertamente, a organizzare, con Krieck, Neumann, Wolf e molti altri professori,
una sorta di associazione deputata a raggruppare quei rettori e professori sui quali si potesse fare
assegnamento nell’obiettivo della trasformazione nazionalsocialista delle università. Finalità
primaria di tale associazione era, sicuramente, intervenire nella Conferenza dei rettori e ottenerne il
controllo, per quanto lo permettessero le circostanze. Essa fu denominata Comunità di
lavoro politico-culturale dei professori universitari tedeschi (Kulturpolitische Arbeitsgemeinschaft
Deutscher Hochschullehrer). La riunione che portò alla definitiva costituzione della KADH si tenne
il 3 maggio 1933. L’iniziativa sembra sia stata di Ernst Krieck. Dalla documentazione disponibile
sulla KADH,217 si può desumere che Heidegger era stato invitato a far parte del gruppo fondatore.
In una lettera del 22 aprile, Heidegger manifesta la sua «delusione che colleghi sicuri come i
professori Bäumler di Dresda e Heyse di Königsberg non siano stati messi a parte del progetto fin
dall’inizio ».
In una seconda lettera, Heidegger fa sapere, ringraziando, di aver ricevuto il progetto di
regolamento della Arbeitsgemeinschaft nonché la lista provvisoria dei suoi membri. Ritorna poi
sull’esigenza di coinvolgere Bäumler e Heyse e fa rilevare la difficoltà a considerare il collega
Hammer come «una persona di fiducia» della Arbeitsgemeinschaft nell’Università di Friburgo:
«Benché si tratti di un leale nazionalsocialista, giacché è sostanzialmente devoto all’idea, la sua
attività d’insegnamento lascia piuttosto a desiderare.» Heidegger propone, piuttosto, di far avere la
documentazione ai professori Mortensen, Wilser, Winterfeld (quest’ultimo sarà, più tardi, da
lui cooptato nello staff di fiducia del rettorato). Egli insiste sulla necessità di non reclutare
nell’organizzazione personaggi privi di accettabili requisiti scientifici «per quanto possa risultare
soddisfacente» il loro attivismo nazionalsocialista.218
Alla riunione di fondazione della KADH parteciparono diciannove professori. L’organizzazione
contava, il 22 aprile 1933, cento-
ventitré membri ordinari. Essa comprendeva professori ordinari e incaricati, assistenti e, in
rappresentanza degli studenti, Georg Plòtner. Registriamo i nomi di Bauch (Friburgo), Oskar Becker
(Bonn), Heidegger (Friburgo), Jaensch (Marburgo), Kirchner (Francoforte), Klaussing (Francoforte-
Marburgo), Krieck (Francoforte), Mannhardt (Marburgo), Neumann (Gottinga), Panzer
(Heidelberg), Petersen (Kiel), Rein (Amburgo), Rothacker (Bonn), Stadelmann (Friburgo), Wolf
(Kiel) e del consigliere ministeriale Fehrle (Karlsruhe).219 Alfred Bäumler, malgrado le pressioni di
Heidegger, non compare tra gli affiliati: la ragione di ciò sta presumibilmente nella vicinanza di
questi ad Alfred Rosenberg, le cui relazioni con Krieck non furono mai cordiali.220
L’atto costitutivo testimonia della volontà dei presenti di fissare con chiarezza la loro linea politica
rispetto alle altre organizzazioni. Scopo dell’associazione non doveva essere di promuovere
professionalmente i propri membri, ma «di coagulare una ristretta cerchia di persone affidabili,
un’avanguardia militante» per risolvere i problemi universitari. Nel corso della prima riunione un
gruppo di professori richiamò l’attenzione sulle questioni amministrative (Hertzberg, Grebe), altri
come Krieck, Wolf, Panzer e Klaussing intervennero sulla necessità di dar vita a un’avanguardia
elitaria, a un gruppo omogeneo di attivisti; Heidegger, per parte sua, propose di adoperarsi per
individuare le possibilità di accrescere il numero delle adesioni, e di rinviare, invece, la discussione
sul concetto di scienza a un prossimo incontro. Si stabilì di dare ai colleghi Mannhardt, Dahm,
Klaussing e Heidegger l’incarico di preparare una relazione per la sessione successiva.
I soci fondatori, che approvarono anche il regolamento, erano: i professori Grahe (Francoforte),
Grebe (Francoforte), Hasse (Francoforte), Heidegger (Friburgo), Henkel (Francoforte), Hertzberg
(Marburgo), Jaensch (Marburgo), Jantzen (Francoforte), Kuchner (Francoforte), Klaussing
(Marburgo), Krieck (Francoforte), Kuhn (Giessen), Mannhardt (Marburgo), Rothacker
(Bonn), Schaffstein (Gottinga), Schmidt (Francoforte), Walz (Marburgo), Wiskemann (Marburgo) e
Zeiss (Francoforte). Dei diciannove firmatari, nove provenivano dall’Università di Francoforte: ciò
indica come il ruolo propulsivo preminente nei confronti dell’Arbeitsgemeinschaft fosse stato
svolto da Ernst Krieck, rettore di quell’università. Istruzioni, elaborate appunto da Krieck, erano
destinate a orientare il lavoro delle «persone di fiducia» nelle rispettive università. In calce a questo
documento, Krieck compare col titolo di presidente del comitato direttivo.221
Nel corso della riunione del marzo 1933, la direzione, composta dai professori Küchner, Klaussing,
Krieck, Plannenstiel e Walz, designò Martin Heidegger come «persona di fiducia» per
l’Università di Friburgo (non ne era ancora rettore). È assai probabile che l’insistenza di Heidegger
perché si accrescesse rapidamente il numero degli aderenti e perché tra questi si includessero
Bäumler e Heyse, rispondesse alla speranza di uno spostamento dei rapporti di
potere nell’organizzazione.
Il regolamento cominciava con una dichiarazione di fede nella rinascita del popolo tedesco che «alla
ricerca della propria identità inizia un nuovo capitolo della sua storia. Esso vuole creare il
suo proprio e necessario ordine vitale per realizzare la sua missione nel consesso dei popoli del
mondo». Le università devono essere modellate secondo questo irrinunciabile criterio:
«Le università tedesche debbono avere un volto tedesco (...) La conoscenza scientifica è in vivente
relazione con l’indole, la storia, la situazione e la missione del popolo. Essa è pertanto chiamata a
plasmare l’azione, l’atteggiamento e il divenire del popolo al fine di dirigerlo (...) La libertà di
ricerca nel campo della conoscenza e la libertà d’insegnamento si radicano, essenzialmente, nel
carattere del ricercatore e dell' insegnante, e sono in reciproca correlazione attraverso il nesso
esistente tra costoro e la totalità del popolo, tra costoro e la maniera d’essere e i compiti del popolo
(völkische Art und Aufgabe) (...) Le università tedesche debbono inserirsi nel vasto movimento di
rinnovamento della coscienza del popolo (völkische Bewusstsein) all’interno e fuori del Reich (...)
Chi ricusasse la consonanza con il popolo, o chi non vedesse in essa una condizione
imprescindibile, specificamente per quanto riguarda il lavoro universitario, non può trovar posto
nelle nostre file...»
L’Arbeitsgemeinschaft si proclama, comunque, indipendente dai partiti politici. Non possono
esserne membri che insegnanti universitari di origine tedesca (Volksdeutsche). Il regolamento
fu approvato all’unanimità. Sulla base di due lettere del 4 e dell’8 aprile, indirizzate rispettivamente
ai professori Kirchner e Krieck, possiamo renderci in qualche modo conto di quali potessero essere
le attività di Heidegger all’interno dell’associazione e comprenderne anche la valenza politica.
Heidegger, in tali lettere, insiste in particolar modo sull’opportunità di differire la discussione sul
concetto di scienza. La riunione del 23 aprile aveva come programma una sua comunicazione su
«Ricerca e insegnamento». Heidegger, a quanto si può cogliere dalla lettera a Kirchner, avrebbe
desiderato che in quell’occasione fosse il gruppo dei giovani a prendere l’iniziativa e a esprimere i
propri intendimenti e le proprie esigenze. Il suo compito sarebbe consistito nell’incanalare tale
contributo sulla via delle questioni fondamentali e nello stimolare il dialogo tra le diverse
discipline. Ma cominciando a preparare il suo intervento, Heidegger si era persuaso che questo
progetto era realizzabile soltanto in tempi più lunghi. Per questo motivo rinnovò la precedente
proposta (del 4 aprile) di organizzare un incontro della durata di qualche giorno, nel corso del quale
si potesse affrontare questo tema «decisivo per la chiarificazione e il consolidamento della nostra
società». Rinunciò dunque a tenere la conferenza che gli era stata affidata, facendo osservare che
l’essenziale per il momento era armonizzare i metodi di azione e impostare in maniera acconcia il
lavoro nelle diverse università.222
Malgrado gli atti delle altre riunioni siano andati, sfortunatamente, perduti, si può arguire come la
rottura successiva con Krieck si abbozzasse intorno a questi problemi e, sicuramente, fosse poi
incentivata da rivalità per l’egemonia nell’organizzazione. Comunque sia, vogliamo ricordare che la
versione secondo cui Heidegger e Krieck avrebbero nutrito da sempre una reciproca e irriducibile
avversione, è senz’altro falsa. Le divergenze tra i due, certo considerevoli, comunque, non
impedirono loro, durante il periodo esaminato, di avviare un lavoro comune basato su convinzioni
politiche in tutto e per tutto coincidenti. La svolta che li allontanerà definitivamente sarà oggetto di
una ricognizione successiva. La Arbeitsgemeinschaft ebbe vita effimera, ma può ben illustrare,
in quanto progetto politico concluso, di quale natura fossero i disegni nazionalsocialisti
sull’università tedesca all’inizio del regime, e proietta anche luce sulla concreta azione politica di
Heidegger in questo periodo. Più tardi l’unificazione di tutte le associazioni, di tutti gli insegnanti,
sotto l’egida dell’Unione dei professori nazionalsocialisti e la subordinazione di questa al governo
centrale sottrasse ogni possibile base politica a organizzazioni come l’Associazione dei professori
universitari, nonché a quelle, come l’Arbeitsgemeinschaft, che intendevano sostituirsi ad esse.

Capitolo 5. L’appoggio a Hitler. Il conflitto con


Krieck
La Manifestazione della scienza tedesca in appoggio a Hitler
Tra gli impegni politici di Martin Heidegger per «rivoluzionare» l’università occorre anche
ricordare la sua partecipazione a quella che è stata chiamata Manifestazione della scienza tedesca,
svoltasi a Lipsia nel novembre del 1933 per iniziativa del Führer dell’Associazione dei professori
nazionalsocialisti (NSLB) della Sassonia, il Gauobmann (capo distrettuale) Arthur Göpfert. Il
simposio era stato pensato come un omaggio della scienza - ossia dei più prestigiosi uomini di
scienza tedeschi - al governo hitleriano. L’incendio del Reichstag del 27 febbraio 1933 aveva
fornito a Hitler il destro per promulgare il decreto di sospensione di tutti i diritti
costituzionali, decreto che gli dava anche facoltà di controllo diretto su tutte le province del Reich.
Le elezioni del marzo, malgrado il totale spiegamento di forze nazista, diedero a Hitler soltanto il 44
per cento dei suffragi. Egli aveva ancora evidentemente bisogno di rafforzare il proprio potere. A tal
fine, dopo aver proceduto alla nomina - in aprile - dei Reichsstatthalter con la funzione di assicurare
la disciplina nelle province del Reich, indisse un plebiscito per il 12 novembre 1933, in vista del
quale il Partito nazista mobilitò tutte le sue forze e tra queste, naturalmente, l’università. Alla
solenne manifestazione organizzata da Göpfert parteciparono il professor Eugen Fischer,
rettore dell’Università di Berlino, il professor Arthur Golf, rettore dell’Università di Lipsia, il rettore
dell’Università di Friburgo, Martin Heidegger, il rettore dell’Università di Gottinga, Friedrich
Neumann, il rettore dell’Università di Amburgo, Eberhardt Schmidt, i profes-
sori Hirsch, Pinder (Monaco) e Sauerbruch (Berlino). Alle ricerche di Schneeberger si debbono le
prime utili informazioni sulla cerimonia e sulla partecipazione ad essa di Heidegger.223
Ecco come inizia il discorso di Heidegger:
«Insegnanti e camerati tedeschi!
Uomini e donne tedeschi!
Il popolo tedesco è chiamato dal Führer a votare; ma il Führer non implora nulla dal popolo, egli dà
piuttosto al popolo la più diretta possibilità della libera e suprema decisione: di volere, come popolo
intero, la sua propria esistenza, ovvero di non volerla.
Domani il popolo non sceglie nulla di meno che il suo futuro.
Questa elezione non si può affatto confrontare con le elezioni che si sono avute sino ad ora. La sua
unicità sta nella semplice grandezza della decisione che in essa si deve prendere. L’inesorabilità di
ciò che è semplice e ultimo non tollera tentennamenti ed esitazioni. Questa decisione radicale si
spinge sino al confine estremo dell’esserci del nostro popolo. E che cos’è questo confine? Esso
consiste in quella rivendicazione primordiale di ogni essere di conservare e salvare la propria
essenza. In tal modo viene posta una barriera fra ciò che si può chiedere e ciò che non si può
chiedere a un popolo. In forza di questa legge fondamentale dell’onore, il popolo tedesco custodisce
la dignità e il carattere risoluto della sua vita. Tuttavia, la volontà di farsi carico della responsabilità
di sé non è solo la legge fondamentale dell’esistenza del nostro popolo, ma è, a un tempo, l’evento
fondamentale del conseguimento del suo Stato nazionalsocialista. Sulla base di questa volontà di
essere responsabili di sé stessi, ogni lavoro di ogni ceto, nel piccolo e nel grande, recupera il luogo e
il rango della sua destinazione, la cui necessità è pari a quella di ogni altro. Il lavoro dei ceti porta e
consolida la compagine vivente dello Stato; il lavoro riconquista al popolo le sue radici autoctone, il
lavoro trapianta questo Stato, che è la realtà del popolo, nel campo d’azione di tutte le potenze
essenziali dell’essere umano. »
Nell’analisi della relazione popolo-Führer, Heidegger si avvale di categorie fondamentali di Essere
e tempo. Ma qui la possibilità della «decisione-risoluta» non viene più tematizzata a partire
dall’esistenza individuale; è il popolo che viene messo di fronte a sé stesso e che deve prendere
partito: scegliersi o negarsi. Ma per Heidegger, come sempre in tutte le forme filosofiche e politiche
assunte dal fascismo, tale possibilità di scelta non si radica nel popolo stesso, ma in quella
mediazione trascendentale e costitutiva che è qui rappresentata dal Führer. Certamente per Martin
Heidegger il «popolo» è tanto più «sacro» in quanto proprio in esso si situano l’istanza e l’origine
da cui emerge la figura del Führer: ma è solo generando la propria guida che il popolo raggiunge la
possibilità oggettiva di riconoscersi in essa e di impadronirsi della propria identità;
oppure, possibilità altrettanto essenziale, di non riconoscere la propria guida e, in tal modo,
obliterare tale possibilità. Il popolo, tuttavia, non può mai costituire, di per sé stesso, la causa
«sufficiente» della propria realtà. È solamente grazie al Führer - e in lui - che il popolo può essere
ciò che deve essere, un «soggetto» attivo nel processo della propria realizzazione.
Trasformato in soggetto assoluto, il Führer non richiede, ma, al contrario, concede possibilità. La
possibilità di pervenire a un’esistenza autentica si innestava in Essere e tempo sulla possibilità
di scegliere una modalità di esistenza autonoma, oltre le convenzioni. Analogamente, nel caso
dell’esistenza collettiva a cui corrispondeva - come possibilità di esistenza autentica - il vivere
assumendo la propria tradizione. La mediazione tra la possibilità di conformarsi alla tradizione e la
possibilità di scegliersi nella persona del Führer, la mediazione tra Essere e tempo e il discorso di
Lipsia, si trova nell’esaltazione trascendentale degli «eroi», espressione di sintesi di cui Heidegger
nel 1927 era ancora alla ricerca. Nel 1933 ha finalmente trovato il termine acconcio: «eroe».
Nell’articolo del 3 novembre Heidegger esortava gli studenti perché in loro idee e princìpi venissero
destituiti a vantaggio della volontà plasmatrice del Führer, intesa come norma. Questo concetto
vede ora un perfezionamento: il Führer non costituisce unicamente il «criterio» della scelta,
ma l’agente della stessa possibilità storica. Dopo il voto in favore del Führer, occasione in cui il
popolo, nella persona di Hitler, avrà optato per sé stesso, si aprirà per il popolo la possibilità di un
dispiegamento autentico della propria esistenza. Il mezzo di cui esso dispone, a tal fine, è il lavoro.
Un lavoro che deve svilupparsi dentro lo Stato del Führer. Ma Heidegger va al di là della proposta
di un puro e semplice modello di dittatura. Nella sua concezione è, infatti, ravvisabile qualcosa di
specificamente nazista e cioè l’organizzazione in corporazioni dei lavoratori. Il lavoro delle
corporazioni che poi, per Heidegger, si configura come il fondamento della vivente struttura dello
Stato. Attenzione, quindi: mezzo e non soggetto.
«Non l’ambizione, non lo smodato desiderio di celebrità, non la cieca ostinazione e neanche le mire
di potere, hanno preteso dal Führer l’uscita dalla “Società delle Nazioni”, ma unicamente la limpida
volontà di assoluta responsabilità di sé nel sopportare e nel padroneggiare il proprio destino. Questo
non è distacco dalla comunità dei pòpoli, al contrario: con questo passo, il nostro popolo si
subordina a quella legge essenziale dell’essere umano che ogni popolo deve anzitutto seguire se
vuol continuare a essere un popolo. Proprio da questa obbedienza, non più distorta, dinanzi
all’esigenza incondizionata di essere responsabili di sé, nasce in primo luogo la possibilità di
prendersi reciprocamente sul serio, e quindi, anche, di affermare una comunità. La volontà di una
vera comunità di popolo si tiene distante tanto da una fratellanza universale, instabile e non
vincolante, quanto da un cieco dispotismo. Questa volontà opera di là da tale opposizione, essa fa in
modo che i popoli e gli Stati, apertamente e virilmente, si mantengano in sé stessi e siano rivolti gli
uni verso gli altri. Che cosa accade in tale volere? È la ricaduta nella barbarie? No! È il ritrarsi, con
la semplice e grande richiesta dell’agire responsabile di sé, da ogni vuota trattativa e celato
affarismo. E' l’irruzione dell’arbitrio? No! È la sincera professione di fede nell’intangibile
autonomia di ciascun popolo. È la negazione della potenza creativa di un popolo spirituale, è il
dissolvimento della sua tradizione storica? No! E il risvegliarsi di una gioventù purificata e tornata a
crescere sulle sue radici. La sua volontà di Stato renderà questo popolo severo di fronte a sé stesso e
rispettoso di ogni opera autentica. »
Alle denunce e alle condanne rivolte contro la Germania hitleriana, in seno alla Società delle
Nazioni, per la violazione dei più elementari diritti dell’uomo e, soprattutto, per la brutalità del suo
antisemitismo,224 Heidegger risponde privilegiando, come valore guida, rispetto alla fraternità tra
nazioni basata sulla solidarietà umana, il principio secondo cui ciascun popolo è criterio a sé stesso.
Heidegger affronta quindi la questione della verità:
«Che evento è questo, dunque? Il popolo riguadagna la verità della sua volontà di essere, perché
verità è lo stato di manifestazione di ciò che rende un popolo sicuro, schietto e forte nel suo agire
e nel suo sapere. Da una tale volontà scaturisce l’autentico voler sapere. E questo voler sapere
delimita la rivendicazione di sapere. E da qui, infine, vengono tracciati e misurati i confini,
all'intèrno dei quali si devono fondare e mettere alla prova il domandare e il ricercare autentici. Tale
è l’originarsi a noi della scienza. Essa è vincolata alla necessità dell’esistenza popolare responsabile
di sé. La scienza è perciò quella passione educatrice, domata in tale necessità, di voler sapere per
rendere sapienti. Per noi, però, esser-sapienti significa: conoscere chiaramente e a fondo le cose ed
esser decisi all’azione.
Noi abbiamo abbandonato l’idolatria di un pensiero privo di basi e di forza. Noi vediamo la fine
della filosofia posta al suo servizio. Noi siamo certi che ritornano il limpido rigore e l’operosa
sicurezza del domandare semplice e inflessibile riguardo all’essenza dell’essere. Il coraggio
originario, nel confronto con Tessente, di crescere o di infrangersi su di esso, costituisce il movente
fondamentale del domandare di una scienza che ha radici nel popolo.»
Arthur Göpfert, Gauobmann di Sassonia, promosse la pubblicazione in volume dei discorsi
pronunciati al convegno di Lipsia. Il manifesto che vi fu approvato, l’«Appello agli uomini di
cultura del mondo», rivolto alle università e ai governi stranieri, e ai più eminenti uomini di scienza,
ne avrebbe costituito l’introduzione. La vicenda che portò alla pubblicazione degli atti e la parte che
vi prese Heidegger possono essere ricostruite avvalendosi della documentazione reperibile
nell’archivio del Ministero degli Esteri (Auswärtiges Amt), a Bonn,225 dove è anche possibile
consultare il testo dell’appello.
Göpfert pensava, per il volume, a un’edizione di lusso; per coprire le spese, inviò una circolare ai
rettori d’università, richiedendo un sostegno finanziario. Martin Heidegger, senza frapporre
tempo, dopo averla ricevuta, redasse, a sua volta, una lettera, indirizzandola ai presidi di Facoltà per
sollecitare il contributo loro e del corpo insegnante. La lettera di Heidegger - datata 13 dicembre
1933 -, che incorpora pressoché integralmente il testo della circolare di Göpfert, inizia sottolineando
il grande interesse suscitato dalla manifestazione negli ambienti del Ministero della Propaganda
(Goebbels). «Essa deve rimanere nella memoria come un punto fermo nella storia della scienza
tedesca e, per il suo significato, deve essere valorizzata e messa al servizio della politica estera. Il
Ministero della
Propaganda esprime il suo compiacimento per le iniziative prese in vista di tale utilizzazione e
raccomanda il massimo zelo. » Heidegger, a tal riguardo, informa i presidi che il progetto prevedeva
edizioni in tedesco, inglese, francese, italiano e spagnolo perché l’opera potesse avere diffusione
presso scienziati e governi stranieri e testimoniare della volontà di tutta la scienza tedesca. Sarebbe
quindi stato opportuno, aggiunge Heidegger, che l’« Appello agli uomini di cultura del mondo»
fosse firmato dal maggior numero possibile di scienziati. «Al fine di evitare che all’estero si possa
pensare che le firme siano state falsificate, ciascuna copia dovrà riportare il facsimile delle firme
originali. » Per coprire le spese di stampa e di spedizione (circa diecimila marchi), Heidegger
chiede il contributo dei professori, e propone che ogni università concorra in misura adeguata al
proprio prestigio. A conclusione della lettera, viene riportata, senza apporvi alcuna modificazione,
una frase della circolare di Göpfert: «È, naturalmente, superfluo raccomandare che sulla pagina
destinata alle firme non figurino non ariani (Es bedarf keines besonderen Hinweises, dass
Nichtarier auf dem Untersckriftenblatt nicht erscheinen sollen).»
In una lettera spedita il 23 dicembre 1933 al direttore ministeriale Stieve del dicastero degli Esteri,
Gerhard Ritter e Walter Eucken elevano la loro protesta contro l’iniziativa del rettore
Heidegger. Essi manifestano nei confronti della circolare di Heidegger la contrarietà di «numerosi
colleghi; ribadiamo, comunque, che per noi tutti sarebbe insieme un onore e una gioia poter
testimoniare davanti al mondo intero la nostra considerazione per il nuovo Stato tedesco, se fossimo
giunti alla conclusione che ciò si rendesse veramente utile per la Germania». Ritter ed Eucken
esprimono il loro disappunto per essere stati sollecitati a sottoscrivere una dichiarazione senza che
questa venisse portata alla loro conoscenza. Contestano, in particolare, l’esclusione di tutti i
professori non ariani, compresi quelli tutelati dalla legge. «Se per Friburgo, ad esempio, non
compaiono nomi noti in tutto il mondo come quello del filosofo Husserl o quello del maggior
romanista tedesco, Lenel, - questo è il nostro timore - all’estero la lista degli altri nomi sarà a priori
priva di efficacia. Manifestazioni di questo tipo possono produrre l’effetto esattamente opposto a
quello ricercato.» Aggiungono di non essere stati, comunque, in grado di risalire ai promotori
dell’iniziativa e chiedono se il Ministero degli Esteri ne sia stato informato e in che misura ne
risponda. «Visto che la raccolta delle firme è portata avanti tanto celermente, occorre esaminare la
questione con la massima premura. » Fa parte della documentazione su questa vicenda una lettera
spedita l’8 febbraio 1934 dal Ministero degli Interni al professor Fischer, Führer dell’Associazione
dei professori universitari e rettore dell’Università di Würzburg, in cui gli vengono chiesti
ragguagli sulla manifestazione di Lipsia e sulla progettata pubblicazione. Questi risponde il 12 del
medesimo mese, descrivendo i fatti e allegando la circolare di Göpfert. Tra gli atti di quelli che
furono gli archivi dei Ministeri della Propaganda e degli Interni, oggi al Bundesarchiv di Coblenza,
non abbiamo trovato altra documentazione sulla vicenda. Si può, tuttavia, presumere che il progetto
non sia stato osteggiato da alcun centro ufficiale di potere, malgrado i tentativi, peraltro isolati, di
Ritter ed Eucken. La pubblicazione fu mandata a effetto e più di mille insegnanti delle diverse
università tedesche parteciparono alla sottoscrizione. Ad onta della sua opposizione al rettorato di
Heidegger e della sua appartenenza a circoli dissidenti - che gli costò un periodo di carcere nel 1944
- Gerhard Ritter era un convinto fautore della Grande Germania. Nel 1938, non a caso,
accolse l’invasione dell’Austria e la costituzione di un «grande e potente Reich» come la
realizzazione di una speranza di sempre dei tedeschi.226
Heidegger chiamato alle Università di Berlino e di Monaco
Disponiamo di poche testimonianze documentali sull’iter che portò alla nomina di Heidegger alla
cattedra di filosofia dell’Università di Berlino.227 La procedura per designare il successore
del professor H. Maier iniziò con la riunione, il 16 marzo 1933, di una commissione formata dai
professori Dessoir, Hartmann, Spranger, Bäumler, Köhler, Vierkandt, von Laue, Schmidt, Jaeger,
Oncken, Petersen, Planck, Stumpf e Wechssler. Mentre il preside richiamò l’attenzione sulla figura
dell’assistente von Rintelen, Alfred Bäumler caldeggiò la candidatura del professor Bahrdt
dell’Università di Basilea. A fare il nome di Martin Heidegger fu unicamente il professor Paul
Hoffmann, che ne parlò come della sola personalità degna di essere presa in considerazione, per
quanto la sua metodologia filosofica potesse considerarsi discutibile. Dai documenti disponibili non
risulta che la commissione abbia proposto Martin Heidegger al Ministero come successore del
professor Maier. Il mero ricordo che nel 1930 il Ministero ne avesse imposto la nomina a questa
medesima Facoltà, è di per sé stesso sufficiente a spiegare l’indisponibilità dei docenti di Berlino
nei confronti di Heidegger, che in quel momento non aveva ancora assunto il rettorato di Friburgo.
Soltanto Alfred Bäumler e Wilfred Petersen, affiliati alle SS,228 avrebbero potuto fornire un
appoggio a Heidegger. Gli atti non ci dicono neppure se la commissione sia arrivata o meno
a esprimere i tre candidati consueti, ma in compenso ci dicono con chiarezza che la vicenda si
concluse con un nuovo diktat ministeriale. Il 7 settembre 1933 il Ministero inviò un laconico
dispaccio alla Facoltà: «Comunico alla Facoltà di filosofia che ho nominato il professor Martin
Heidegger (Friburgo) a una cattedra di filosofia all’Università di Berlino per il semestre invernale.
L’offerta rivolta a Heidegger risponde all’esigenza di realizzare la riforma universitaria e risulta
indispensabile per ragioni di Stato. » La comunicazione era firmata dal ministro Rust e dal
sottosegretario Stuckart. Prima ancora che questa arrivasse, il preside aveva informato i
membri della commissione che il Ministero era favorevole alla nomina di Heidegger.229 La
designazione di Heidegger e i termini con i quali viene motivata fanno luce sullo stato dei rapporti
tra il filosofo e le autorità naziste, e non lasciano dubbi sul prestigio di cui la sua persona godeva
quando fu avviata la riforma nazionalsocialista dell’università. Se poniamo mente che a Berlino era
l’avanguardia studentesca a spingere per la riforma, possiamo meglio comprendere l’ottica in cui
questa proposta veniva fatta a Heidegger. Come già nel 1930, Heidegger risolvette, però, di rifiutare
la nuova offerta dell’Università di Berlino. Per chiarire nel loro spessore le ragioni di questa
decisione - e lo faremo in seguito - occorre fin d’ora individuare la natura dei contrasti emersi tra le
idee di Heidegger e la politica del regime.
Nell’archivio personale di Alfred Bäumler, custodito dalla moglie, è reperibile una nota, di grande
interesse, concernente Heidegger, stesa dallo stesso Bäumler in data 22 settembre 1933. (Per
prendere visione del documento nella sua completezza, la signora Bäum-1er ci ha chiesto di
attenderne la pubblicazione a cura di Schneeberger.) Basandoci sulle date, si può pensare che tale
nota sia stata scritta da Bäumler in coincidenza con la nomina di Heidegger a Berlino. La rilevanza
del documento è tanto maggiore se si pensa che Bäumler era una figura di spicco dell’Amt
Wissenschaft di Alfred Rosenberg. Ancora una volta appare in tutta chiarezza come i rapporti tra
Heidegger e l’Amt Wissenschaft fossero, fino a quel momento, eccellenti. Bäumler scrive:
«Martin Heidegger è la figura più importante della filosofia tedesca dai tempi di Dilthey. Grazie a
lui, le problematiche filosofiche hanno conosciuto un rivoluzionamento tanto sul piano
sistematico, come su quello storico. Con la comparsa del suo libro Essere e tempo, il pensiero
filosofico del presente è entrato in un nuovo periodo (...) Oggi non è più concepibile un lavoro
filosofico che, in senso positivo o negativo, non si confronti con questo libro.
1)    Riguardo all’aspetto sistematico, l'opera sin qui nota di Heidegger costituisce l'elaborazione e il
completamento di ciò che, a partire da Dilthey, si suole chiamare la filosofia della vita. Con una
perspicacia che non ha l'eguale, Heidegger ha reso visibile una posizione estremamente radicale, in
virtù della quale la logica formale tradizionale viene privata di forza e di prestigio, e viene sostituita
con una “ontologia” che ha, come oggetto, un soggetto che si trova in un mondo e che, allo stesso
tempo, intende e agisce (...) La deduzione del concetto quotidiano di tempo, nella quale culmina
Topera su essere e tempo, è un apporto che non ha esempi nella letteratura.»
A differenza di altri ideologi nazionalsocialisti, critici nei confronti della nozione heideggeriana di
«cura» (Sorge), Bäumler scrive nel 1933:
«Con la sua determinazione dell'“esserci” come cura, Heidegger ha influenzato nel modo più
profondo la situazione attuale della filosofia (...) Se devo caratterizzare altrimenti il fenomeno della
cura, non esito a dire che l'averlo reso visibile è una di quelle pochissime scoperte che solo
raramente riescono nella storia dell'uomo.
2)    Riguardo all'aspetto storico, l'apporto di Heidegger è ugualmente straordinario. L’ampiezza
della sua visione storica oggi non è raggiunta da nessun altro (...) Se a volte egli, nelle sue
esposizioni storiche, procede arbitrariamente, lo fa con il diritto del genio filosofico.»
L’iter che si concluderà con la richiesta rivolta a Heidegger di ricoprire la cattedra della Facoltà di
filosofia dell’Università di Monaco è, a differenza della vicenda berlinese, ricostruibile con la
massima esattezza.230 La cattedra che, alla fine, sarà offerta a Heidegger, era stata del professor
Richard Hönigswald, che ne era stato privato per la sua origine ebraica. Il primo atto
dell’incartamento, relativo al processo di nomina, registra una richiesta di colloquio indirizzata dal
professor Sauter dell’Università di Vienna al ministro bavarese della Cultura, Schemm, allo scopo
di accertare quali possibilità egli avesse di ottenere la cattedra in gioco. Sauter, uno dei
concorrenti di Heidegger, quindi, godeva della protezione dell’abate benedettino Schachleitner,
monaco cattolico noto per la sua entusiastica adesione al nazionalsocialismo, dal quale fu, peraltro,
abbondatemente utilizzato nel tentativo di dar vita a un cattolicesimo nazista militante. Nonostante
ciò, la candidatura di Sauter non fu nemmeno presa in considerazione e se ne riparlerà solo quando
Heidegger avrà definitivamente respinto la proposta.
Le preferenze ufficiali sono, dunque, inequivocabili fin dall’inizio: il 20 settembre 1933 il
consigliere ministeriale di Monaco, Müller, informava il collega Fehrle di Karlsruhe che il ministro
Schemm aveva in animo di offrire la cattedra vacante a Heidegger; Müller chiedeva, pertanto, se
c’erano obiezioni in proposito. La risoluzione del ministro bavarese, si diceva nella lettera, si
basava su conversazioni avute in precedenza con Heidegger. Questi, evidentemente, era già stato
informato, se in una lettera del 4 settembre 1933 poteva ringraziare un funzionario, il dottor
Einhauser, per la proposta fattagli da Schemm:
«Solo ieri sera sono tornato da un breve soggiorno di riposo nella Foresta Nera e ho potuto prendere
visione delle importanti notizie da Lei trasmessemi. Questa mattina ho ricevuto dal ministro
prussiano dell’Educazione l’offerta di ricoprire una cattedra all’Università di Berlino, “con una
missione politica straordinaria”. Non ho assunto alcun impegno. Ciò che per me è chiaro è che,
mettendo in secondo piano qualsiasi ragione di ordine personale, debbo risolvermi ad adempiere al
compito che meglio mi permetterà di servire l’opera di Adolf Hitler. La terrò al corrente dei futuri
sviluppi. »231
L’atto d’archivio, in cui è incluso il testo della lettera, riporta, a conclusione, una considerazione del
ministro per l’Occupazione, secondo cui occorre spostare Heidegger a Monaco: « Lui è d’accordo,
e gli studenti gli sono favorevoli. » In una lettera del 23 settembre, Heidegger, dopo aver
nuovamente ringraziato il consigliere ministeriale per l’offerta, ci tiene a chiarire, avendo acquisito
più ampie informazioni sulle funzioni che gli verrebbero attribuite insieme alla cattedra, come egli
veda il progetto in termini politicamente molto diversi: «La situazione creata dal nuovo
ordinamento universitario rende molto difficile comprendere e decidere dove sia possibile
impiegare nel modo migliore le proprie forze. Sarebbe per me importante sapere se si desidera
semplicemente che io ricopra il posto di professore resosi vacante o se piuttosto si voglia che io
collabori in modo più ampio alla ristrutturazione dell’università. Con i miei più distinti saluti e con
un Heil Hitler! Suo Martin Heidegger»
Compiendo, comunque, i passi di rito, il ministro Schemm, tramite una lettera ufficiale del 26
settembre, incaricherà l’esperto di questioni razziali del Ministero degli Interni a Berlino
dell’indagine sull’origine ariana di Martin Heidegger. La risposta arriverà a Monaco il 7 novembre.
Eccone il testo: «Il professor Martin Heidegger, nato a Messkirch il 26 settembre 1889, è ariano. Ho
esaminato i suoi ascendenti fino ai bisavoli e ho costatato che sono di confessione cattolica e di
origine ariana. Il professor Heidegger è dunque ariano. »232 Nel frattempo, il 27 settembre, la
Facoltà aveva fatto pervenire la rosa dei nominativi prescelti al ministro Schemm. Nella relazione di
accompagnamento si comincia con il dire che, dopo aver ben valutato e i titoli degli aspiranti e le
connotazioni dell’Università di Monaco, la commissione aveva maturato la decisione di non
poter assolutamente accogliere la candidatura del professor Heidegger, «pur essendo egli,
nell’ambito della filosofia tedesca, uno dei postulanti più stimati e conosciuti, anche all’estero».
Dopo aver brevemente compendiato il curriculum scientifico di Heidegger, si ricorda che egli
proviene dalla scuola di Husserl e si menziona il suo personale apporto a tale filone di pensiero - in
particolare con Essere e tempo - puntualizzando, però, che quest’opera «che ha esercitato una
profonda influenza sulla gioventù, si configura più come una professione di fede concernente i
fondamenti a partire dai quali filosofa la forte personalità di Heidegger, che non come una
metafisica metodicamente costruita, sulla quale si possa discutere. Lo si potrà forse fare quando
l’opera sarà terminata, ma per ora una tale discussione è improponibile. Le sue opere minori sono
più dei tentativi che un tutto organico ben elaborato».
Quanto ai suoi lavori di storia della filosofia si fa osservare che l’aspetto storico vi è messo
totalmente in secondo piano. «I più quotati specialisti non hanno dubbi che il versante più debole
dei suoi scritti sia quello storico.» Nel campo della filosofia pratica, malgrado ciò che potrebbe
sembrare di primo acchito, Heidegger ha fornito un contributo, ma «nel suo recente Discorso del
rettorato, la filosofia tende di fatto a scomparire in quanto conoscenza pura e finisce col dissolversi
nell’aporetica di un’interrogazione senza fine. Dire con sicurezza cosa si nasconda dietro questa
posizione - se uno scetticismo integrale di fronte ai problemi della conoscenza oppure una nuova
forma di positivismo -, ecco un qualcosa per ora di infattibile e che dipende anche dalla futura
evoluzione di Heidegger. In ogni caso non ci si può nascondere che taluni temi della sua filosofia
della “cura” (Sorge) e dell’angoscia potrebbero condurre ad autentici effetti paralizzanti e che, nelle
sue posizioni generali, siano ravvisabili un assai tenue e precario rapporto con lo Stato come anche
delle innegabili tendenze anticristiane (...) Sul piano didattico la sua filosofia potrebbe rivelare
un’efficacia più di ispirazione che non di educazione. I giovani potrebbero lasciarsi corrivamente
inebriare dal suo linguaggio estatico, trascurando di concentrarsi sui contenuti - d’altra parte
difficilmente penetrabili - della sua filosofia».
I tre candidati proposti dalla Facoltà erano i professori Nicolai Hartmann, Friedrich Brunstäd ed
Erich Rothacker. Di Hartmann si sottolinea il valore filosofico e, contemporaneamente, se ne
esalta, sul piano politico, la figura di tenace avversario del marxismo, favorevole alla «via
nazionale». Di Brunstäd si vanta la formazione teologica e, infine, Rothacker viene presentato come
«uno dei maestri nell’ambito della filosofia della cultura tedesca». Gli atti non registrano i nomi dei
membri della commissione. Comunque, se si esamina la composizione dei professori della Facoltà
di filosofia di Monaco, si può essere certi che la commissione non potesse non essere costituita, in
maggioranza, da professori cattolici o conservatori. Oltre al preside, Alexander von Müller, vicino,
all’epoca, all’Istituto nazista per la storia, vanno citati Joseph Geyser, filosofo cattolico e sacerdote
(quello stesso che, nel 1917, aveva ricoperto la cattedra di Friburgo a cui aspirava Heidegger),
Alexander Pfänder, husserliano di stretta osservanza, Karl Vossler (alla cui corrispondenza
con Croce, concernente Heidegger, ci siamo più sopra richiamati), Aloys Fischer, Richard Pauli e
Kurt Huber, tutti cattolici della cerchia di Geyser.233 Huber, più tardi, si paleserà come guida
spirituale del movimento cattolico di resistenza La Rosa Bianca, i cui leader, gli studenti di Monaco
Hans e Sophie Scholl, verranno giustiziati dopo la scoperta della loro attività cospirativa.
Si può congetturare che tra i pochi fautori di Heidegger (non si sa, tuttavia, se abbiano fatto parte, o
meno, della commissione) ci fossero il professor Kurt Schilling, che, passato all’Università di Praga
dopo l’occupazione nazista della Cecoslovacchia, continuava, ancora nel 1943, a tenere corsi su
Heidegger, e, certamente, anche il professor W. Pinder, che, con Heidegger, aveva partecipato alla
manifestazione di Lipsia.
Malgrado la categorica opposizione della Facoltà, i contatti tra (Heidegger e Schemm continuarono.
In una lettera del 29 settembre 1933, il Ministero informa Heidegger che il ministro Schemm si
augura vivamente che egli voglia collaborare alla formalizzazione e all’attuazione della nuova
riforma universitaria e che sarebbe felice di ricevere una sua visita nei prossimi giorni. La proposta
ufficiale fu comunicata al rettore di Friburgo il i° ottobre 1933; gli si chiedeva di entrare in servizio
già col semestre invernale 1933-34. Lo stesso giorno, come risulta dall’atto ministeriale di nomina,
la notizia fu diffusa alla stampa. Facendo riferimento, con un taglio di per sé stesso significativo, al
fatto di aver scavalcato la volontà della Facoltà, così si esprime la relazione ministeriale: «La
Facoltà ha dimostrato molto interesse per il professor Heidegger, uno dei più prestigiosi esponenti
della filosofia tedesca all’estero. Sono state eccepite alcune riserve, ma non tali da negare l’assenso
alla nomina, dato che il ministro si è pronunciato per Heidegger.»234 Quest’ultimo viene a sapere
dell’offerta ufficiale l'11 ottobre 1933 e così risponde: «Confermo di aver ricevuto soltanto oggi la
proposta per Monaco, poiché proprio ieri ero andato a marciare in un campo studentesco
sulle montagne.»235 Un verbale del 20 ottobre registra l’incontro di Heidegger col ministro
bavarese per definire le condizioni della sua venuta. Si apprende così del suo rifiuto della cattedra di
Berlino. «Il professor Heidegger è sicuramente interessato a Monaco; egli intenderebbe, in
particolare, occuparsi dell’organizzazione e dell’utilizzazione delle forze nazionalsocialiste
all’Università.»
Mentre si facevano questi passi, pervenne al ministro Schemm, per il tramite del professor Lothar
Tirala, un rapporto informativo riservato, concernente Heidegger, redatto dal professor Jaensch
dell’Università di Marburgo, intimo amico di Ernst Krieck. Tirala, ginecologo a Brünn fino al 1933,
divenne poi professore di igiene razziale a Monaco. Nel luglio 1934 fu destituito dall’incarico per le
pesanti critiche avanzate sul conto della sua competenza scientifica e della sua etica professionale.
Nel 1939 fu anche rimosso dalla carica di direttore dell’Istituto di igiene razziale, che fino allora era
riuscito a conservare. Al Centro di documentazione di Berlino è reperibile un denso fascicolo su
Tirala, da cui si ricava, tra le altre cose, che era un protetto di Eva Chamberlain-Wagner. Le accuse
di Jaensch sono di inusitata rudezza. Egli definisce Heidegger come un «pericoloso schizofrenico»;
i suoi scritti - incomprensibili a detta di Jaensch -non sarebbero null’altro che «documenti
psicopatologici». Bisognerebbe una buona volta e per sempre incriminare il suo «tedesco
da talmudista» che tanta ammirazione gli procura tra i suoi accoliti ebrei. È «scontato che il
pensiero avvocatesco-talmudico degli ebrei si senta attratto dalla filosofia heideggeriana. E in effetti
egli deve la sua notorietà alla propaganda ebraica (...) È uno scandalo che gli stessi medici ebrei
imbastardiscano la medicina incorporandovi la terminologia heideggeriana. Ma in realtà essi, in tal
modo, agiscono in piena sintonia col modo di pensare rabbinico che vorrebbe trasformare il lavoro
nel campo delle scienze naturali e della medicina in una sorta di esegesi del Talmud (...) I folli
ammirano reciprocamente l’imperscrutabile profondità dei prodotti della loro follia».236
In una lettera acclusa a questa denuncia, indirizzata a una persona che non viene nominata, Jaensch
dichiara la sua formale opposizione a che la cattedra di Monaco sia assegnata a Heidegger, in
termini che ci inducono a ipotizzare un suo analogo intervento presso il Ministero di Berlino.
Jaensch così continua:
«Le autorità responsabili devono essere consapevoli che, qualora il governo nomini uno
schizofrenico seriamente pericoloso, e cioè un malato di mente, come Führer delle università, o
qualora gli si concedano attribuzioni che possano permettergli di esercitare un’influenza decisiva, in
tal caso tutta la Germania colta - accademici, insegnanti dell’Università giovani e anziani - dovrà
unirsi per contrastare tale decisione, come farebbe qualsiasi persona normale che non voglia
sottostare a uno schizofrenico. Heidegger è un opportunista della peggior risma.»
La lettera fu fatta avere da Jaensch a Krieck, pregandolo di farne uso col massimo riserbo. In ogni
caso il ministro Schemm a Monaco (analogamente, d’altronde, al ministro Rust di Berlino) non ne
fece il minimo conto. La sua iniziale risoluzione di affidare a Heidegger la cattedra di cui era stato
spogliato Hönigswald restò immutata e, anzi, sfociò nella proposta ufficiale di cui abbiamo parlato.
Soltanto poco dopo il definitivo rifiuto di Heidegger, egli riaprirà l’incartamento sottoponendo alla
scelta della Facoltà i nomi di Geissler, Herrigel (Erlangen), Krieck (Francoforte), Sauter (Vienna)
e Schultz (Görlitz).
Martin Heidegger fece conoscere la sua risposta negativa al ministro Schemm con una lettera del 15
gennaio 1934, in cui scriveva:
«Poiché il problema di un successore alla nostra università appare, per il momento, quasi insolubile,
e considerato che è in grave pericolo la prosecuzione del lavoro già avviato, devo risolvermi
di restare a Friburgo. Ho sempre sperato di trovare un successore appropriato (...)
Nel ringraziarla ancora una volta, signor Ministro, per la fiducia che ha ispirato la Sua proposta, Le
esprimo i sentimenti di più alta stima congiunti a un Heil Hitler! Devotamente, Heidegger»
Gli attacchi di Ernst Krieck e della sua frazione
La denuncia volgarmente violenta di Jaensch contro Heidegger -che fa uso della tipica fraseologia
delle discussioni ideologiche sotto il nazismo - segna l’esordio dell’offensiva del gruppo di Krieck
nei confronti di Martin Heidegger. Gli attacchi si concentravano, innanzitutto, sul «linguaggio» del
filosofo, e Heidegger era sicuramente a conoscenza di questa campagna di discredito ordita contro
di lui. È difficile, in effetti, pensare che per caso sia comparso, proprio in quel momento, un articolo
del suo assistente J. Harms in cui il linguaggio di Heidegger viene lodato come « quello di un
maestro del linguaggio filosofico tedesco».237 A questo articolo ne fece seguito un altro, di
R. Deinbardt, ancor più elogiativo.238 L’intervento di Harms provocò una rabbiosa reazione di Ernst
Krieck. In un breve scritto pubblicato nel 1934 sulla rivista di cui egli era direttore, «Volk im
Werden», Krieck asserisce che Heidegger «non può scrivere in tedesco, giacché non pensa in
tedesco».239 Poco più tardi pubblica un secondo lavoro in cui si scaglia con crudezza di toni contro
la tesi del professor Hans Naumann, secondo cui ci sarebbe una connessione sostanziale tra il
pensiero di Heidegger e il pensiero riposto nel mito germanico. Naumann aveva, in effetti, dedicato
un intero capitolo del proprio libro240 alla dimostrazione del parallelismo esistente tra la mitologia
germanica e alcuni dei temi essenziali di Essere e tempo, giungendo alla conclusione che la
filosofia heideggeriana era l’espressione contemporanea più affine allo spirito che anima tale
mitologia primeva. In netto contrasto con Naumann e dandogli dell’irresponsabile, Krieck rivolge a
Heidegger una congerie di accuse, che vanno dall’opportunismo all’intenzione di condurre il
popolo tedesco «nelle braccia salvatrici della Chiesa», dal nichilismo alla volontà di operare,
copertamente, per la distruzione del movimento nazionalsocialista.241 Non siamo stati in grado di
verificare se - almeno in quel periodo - sussistesse un qualche collegamento tra Heidegger e Hans
Naumann, ma, comunque sia, Krieck aveva buone ragioni per preoccuparsi degli entusiasmi di
quest’ultimo. Naumann, infatti, era considerato un «duro», almeno fino al 1934, prima cioè di
entrare in conflitto con l’Amt Wissenschaft di Rosenberg per la sua mollezza nell’affrontare «il caso
Barth». Hans Naumann, occorre ricordarlo, nella veste di rettore dell’Università di Bonn
aveva pronunciato un discorso in occasione del rogo dei libri effettuato in quella città,242 ed era una
delle più ragguardevoli autorità scientifiche nel campo della germanistica e dell’etnologia
nazista.243
Tanto maggior rilievo assumeva dunque l’azione condotta da Krieck contro Heidegger. Ernst
Krieck, svevo come Heidegger, era un vecchio simpatizzante della NSDAP e, fin dal 1931, era stato
invitato a tenere delle conferenze al Kampfbund für deutsche Kultur a Potsdam. Krieck, che allora
insegnava nella scuola secondaria, fu ammonito per tale comportamento dal ministro Grimme e
costretto a congedarsi dal Kampfbund, che, in risposta, sferrò un’aggressiva campagna di stampa
contro il ministro. In seguito alla sua adesione al Partito nazista, nel 1932, Ernst Krieck dovette
dimettersi dalla condizione di pubblico funzionario. Il 1° maggio 1933 gli fu attribuita la cattedra di
pedagogia all’Università di Francoforte e, nel luglio del medesimo anno, l’incarico che qualche
anno prima era stato di Max Scheler, sempre a Francoforte. Nel semestre estivo del 1933 svolse la
funzione di rettore, e nel 1934 divenne Obmann della sezione di scienza nazionalsocialista nel
Reichsverband delle università tedesche. Dopo un incontro con Hitler nel gennaio 1934, Krieck si
vide offrire la cattedra di filosofia e pedagogia, già ricoperta da Rickert, all’Università di
Heidelberg. Krieck diede il proprio fattivo sostegno all’azione di intervento delle cellule naziste nel
settore industriale di Mannheim, così come al servizio del lavoro, destinato a
trasformare l’università in «università del popolo». Nel 1934 egli è ormai chiaramente legato alla
corrente di Rohm e proclama l’Associazione degli studenti «università socialista». La solida
influenza da lui esercitata sul ministro del Culto del Baden, Wacker, sul collaboratore di
questi, Fehrle, e sul loro apparato burocratico, gli permise di superare senza particolari problemi la
crisi del 1934. A partire da quell’anno Ernst Krieck entrerà nei quadri della polizia politica delle SS,
raggiungendo, nel 1938, il grado di Obersturmbannführer.244
Accenniamo, infine, alle difficoltà presumibilmente incontrate in questo periodo dai collaboratori di
Heidegger alla testa del rettorato, a causa della radicalizzazione del movimento e del nuovo modo di
gestire l’Università. Ci riferiamo, in particolare, basandoci sui documenti disponibili, al rapporto tra
Heidegger e Hans Spemann quale emerge da due lettere datate 3 maggio e 13 settembre
1933, scritte dal filosofo allo scienziato.245 In ciò che scrive Heidegger è evidente lo sforzo di
minimizzare i problemi avuti da Spemann, suscitati da colleghi o studenti nazisti; egli arriva perfino
a suggerirgli di presentare «immediatamente un esposto al Ministero». Heidegger così termina: «Mi
auguro sinceramente che Lei possa affrontare con successo tutto quanto di necessariamente duro e
difficile comportino questi tempi di cambiamento e che Lei possa conservare la tempra della sua
personalità di ricercatore e di insegnante...»
Questa lettera, diversamente da altre, scritte nel medesimo periodo, non si conclude col saluto
nazista. Spemann, anche se otterrà il premio Nobel nel 1933, non sarà mai tra i favoriti del regime.
Qualche anno dopo il figlio minore sposerà una scienziata ebrea di Budapest e partirà per gli Stati
Uniti.
Capitolo 6
La città e la campagna.
Il ritorno alla patria come tema politico
A questo periodo risalgono tre scritti di Martin Heidegger in cui si palesa un significativo
mutamento nei termini della sua adesione al nazionalsocialismo. Sono una lettera alla «Freiburger
Zeitung» del 6 gennaio 1934, un articolo sulla «Freiburger Studentenzeitung» del 23 gennaio dello
stesso anno, e, infine, un testo intitolato Warum bleibett wir inder Provinz (Perché restiamo in
provincia). Concepiti e pubblicati quando Heidegger non aveva ancora né accettato né rifiutato le
proposte delle Università di Berlino e di Monaco, questi testi accentuano fortemente le valenze
patriottiche del suo nazionalsocialismo. Nella lettera al quotidiano di Friburgo, inviata in occasione
del 150° anniversario della sua fondazione246 Heidegger scrive: «Quanto più i singoli Stati attuali si
risolvono direttamente nello Stato nazionalsocialista, tanto più decisamente e
originariamente devono rimaner desti ed esser custoditi i caratteri etnici delle province; solo così,
infatti, il popolo intero può dispiegare le sue molteplici forze costitutive dello Stato.»
Il pezzo sulla «Freiburger Studentenzeitung» risulta ancora più chiaro:
«Siamo capaci, noi qui della marca di frontiera sudoccidentale, di affrontare il dislocamento a
nordest della volontà politica dei tedeschi? Apporteremo a questo evento forze creative? O siamo
destinati a invecchiare lentamente con l’intero Occidente?
È questa la decisione da prendere circa la futura capacità di impegno politico della forza popolare
del nostro Land.
La decisione dipende dall’eventuale riuscita dell’educazione dell’incontaminato spirito alemanno,
liberato dalle forme borghesi su-
perstiti e dalla candida indifferenza nei confronti dello Stato, e teso verso la volontà dello Stato
nazionalsocialista di procedere tutti insieme.»247
Ciò che vi è di nuovo è che egli - pur senza nulla abbandonare del proprio ideale nazionalsocialista -
si volge a pensare alla situazione della Germania come a un campo di forze, come a un terreno sul
quale le «nazionalità» («i singoli Stati») si confrontano, a parità di attributi. per costituire insieme lo
Stato centrale. Egli si rifà così alla tradizionale ideologia «sudista» tedesca, secondo cui il Sud
sarebbe matrice e veicolo della cultura nazionale. Heidegger intende raccogliere le forze locali e
controbilanciare «la volontà dei tedeschi di spostare il centro politico verso nordest», cioè verso
Berlino. Il fatto che egli si esprima avvalendosi di un tale quadro di valori, ridando attualità alle
differenze tra Nord e Sud, è la riprova di come Heidegger veda oramai con occhi diversi il
particolare frangente politico vissuto dal movimento.
Rispetto ai primi due, concernenti il tema delle differenze tra Nord e Sud, il terzo degli scritti citati,
Perché restiamo in provincia, si configura come ancor più radicale ed esplicito, focalizzandosi sulla
polarità «città/campagna».
Martin Heidegger ha, con intenzione, cercato di inserire il proprio messaggio nel cuore del dibattito
politico dell’epoca: l’ha, infatti, pensato perché fosse radiodiffuso e portato a conoscenza del
massimo numero di persone grazie a un mezzo di comunicazione che, allora, possedeva un’aura che
oggi è andata perduta. Ascoltare la voce del Führer - come avevano fatto Heidegger e gli
studenti radunati nello stadio universitario per la trasmissione in diretta del discorso di Hitler al
Reichstag - costituiva un evento. La stessa denominazione in tedesco dell’emittente, Sender
(Sendung = invio), ci rimanda a questo significato. Il giornale nazionalsocialista di Friburgo, «Der
Alemanne», fece ampia pubblicità alla trasmissione via radio del discorso di Heidegger, rivolgendo,
sul suo numero del 7 marzo 1934,248 un diretto appello ai lettori perché lo ascoltassero. Alla
diffusione di tale intervento si diede grande spicco: da radio Friburgo, attraverso una rete di
ripetitori, esso raggiunse tutta la Germania del sud.249 Il supporto di cui Heidegger potè fruire
in questo caso comprova, di per sé, il prestigio e l’influenza di cui egli godeva nel movimento
nazionalsocialista della regione.
Il contenuto di questo messaggio non è riducibile, semplicemente, all’espressione di umori
regionalistici; esso riflette, anzi, la consapevolezza dei non marginali contrasti che andavano ormai
profilandosi tra le varie correnti nazionalsocialiste. Ne era già stato un primo segnale la nomina di
personaggi come Ernst Krieck a funzioni di decisiva importanza. Il ritorno alla provincia qui
prospettato si può piuttosto avvicinare a un ripiegamento strategico, in vista di uno scontro venturo
che Heidegger doveva sentire come non lontano. Se si considera, d’altro canto, che il profondo
sconvolgimento che avrebbe portato alla liquidazione della frazione di Rohm - e, di conseguenza,
dell’«apparato» politico su cui Heidegger poteva contare a livello nazionale - si sarebbe prodotto tre
mesi più tardi, è legittimo ipotizzare che il latente fermento politico fosse già ben avvertibile da
Friburgo.
Il discorso di Heidegger in questione viene, in genere, interpretato in chiave letteraria, o come
critica della cultura. Saremmo di fronte a un pensiero arcadico e nostalgico, permeato di
regionalismo e di afflati irrazionalistici.250 In realtà Heidegger, descrivendo e analizzando il mondo
a lui circostante, attenua o elimina qualsiasi elemento possa convergere verso la definizione di un
quadro idilliaco. Lo scenario evocato si avvale di due elementi: l’ambiente naturale (così come
viene percepito dal turista o dal visitatore occasionale), e «il lavoro». Il primo, sia come mera natura
che nello scorrere del tempo, non rappresenta che un momento di quello che Heidegger chiama
universo di lavoro e ne è un effetto. Soggiacente al mondo naturale e quotidiano vi è, infatti, il
lavoro, come atto che costituisce tale mondo in «universo di lavoro». Soltanto l’esame di questi
nessi rende possibile penetrare oltre il velo di quello che si presenta come un quadro idilliaco, e
cogliere la rigorosa congruenza di questo testo con altri lavori e discorsi dell’Heidegger di questo
periodo. La baita, a questo punto, si configura come un luogo di ritiro nella sua accezione
tradizionale; nel contempo, questo testo rappresenta una pausa di sospensione nello slancio
spirituale che sorreggeva Heidegger prima della sua rinuncia al rettorato dell’Università di
Friburgo. La baita era stata, fino a quel momento, un «luogo di lavoro», ma anche il luogo dove si
tenevano le più impegnative riunioni di indottrinamento politico, una sorta di tempio secolarizzato
di quello che veniva chiamato «il nazionalsocialismo friburghese». Come in pellegrinaggio
arrivavano a Todtnauberg studenti, insegnanti e professori per meditare alla fonte e coordinare le
loro azioni. La riflessione di Heidegger si snoda in un orizzonte in cui si innestano la scienza, la
filosofia, l’esperienza studentesca nel servizio del lavoro, il partito in quanto Partito
nazionalsocialista dei lavoratori, lo Stato in quanto Stato del popolo tedesco, e quest’ultimo in
quanto popolo che lavora. La semplicità stessa della baita, l’ascetismo che la caratterizza, ricordano
la vita monastica. L’accento messo sul «lavoro» connotava, appunto, la versione populista del
nazismo. Ma pur riaffermando, o anche sottintendendo, tale opzione generale, il discorso di
Heidegger fa trasparire uno spostamento di toni. Se, infatti, all’inizio del rettorato, Heidegger,
nell’allocuzione in omaggio a Schlageter, esortava a vedere, nell’ambiente naturale, la patria di un
eroe che si proietta politicamente verso lo Stato, ora - senza peraltro accantonare il proprio interesse
per questo Stato e per il proprio disegno complessivo - si riaccosta a ciò che egli pensa sia la
forza generatrice primaria dell’autentico Stato nazionalsocialista e dell’autentica azione politica: la
patria locale e il lavoro che la costituisce in quanto tale. Per questo motivo il suo pensiero, qui, non
si muove, come nel maggio 1933, dalla patria (Foresta Nera) verso l’eroe (Schlageter), ma,
diversamente, dalla quotidianità della vita lavorativa e politica verso quella che ne è l’origine
trascendentale. Heidegger rivisita, così, il suo proprio lavoro con la volontà di connetterlo al lavoro
dei contadini:
«E lo svolgimento del lavoro filosofico non è un’occupazione isolata di un eccentrico. Esso fa parte
pienamente del lavoro del contadino. Se il giovane contadino trascina su per il pendio la pesante
slitta e, non appena è carica di ciocchi di legno di faggio, la manovra giù nella pericolosa discesa
verso la sua masseria; se il pastore, con passo lento e meditabondo, spinge la sua mandria verso
l’alpeggio; se il contadino, nella sua stanza, appronta a regola d’arte innumerevoli scandole per il
proprio tetto, il mio lavoro è della medesima specie. In ciò trova le sue radici l’immediata
appartenenza ai contadini. »
Nel valorizzare il lavoro dei contadini, Heidegger utilizza concetti condivisi da tutti i
nazionalsocialisti, e inseriti anche nei loro programmi.
«Non si apprezzerà mai abbastanza l’opportunità di conservare una classe contadina sana come base
di tutta la nazione. Molti dei nostri mali presenti non sono che la conseguenza del distorto rapporto
tra popolazione urbana e rurale. Un solido ceppo di piccoli e medi contadini si è sempre dimostrato
la miglior salvaguardia contro quei guasti sociali che caratterizzano oggi la nostra società. Questo è
anche il solo sistema che possa assicurare a una nazione il suo pane quotidiano nell’ambito di
un’economia autosufficiente. Industria e commercio retrocedono allora dalla loro posizione
preminente e malsana e si sviluppano nel quadro complessivo di un’economia nazionale in cui i
bisogni si controbilancerebbero.»251
Ciò che interessa è, però, rintracciare la peculiarità dell’apporto di Heidegger a queste idee. Esso
risponde a una specifica preoccupazione: il progetto tedesco di collocare l’epicentro politico
dello Stato a nordest. E poiché tale spostamento comporta la costituzione di centri di potere nelle
grandi città (soprattutto a Berlino), Heidegger vi contrappone la necessità di individuare il fulcro
dell’attività spirituale e politica, per l’appunto, nella campagna, più ancora che nella provincia. Alla
burocratizzazione degli Stati tedeschi, sempre più egemonizzati da tendenze centralistiche e
istituzionali, Heidegger replica con il movimento rivoluzionario delle patrie locali. La critica del
mondo cittadino e la concomitante esaltazione del mondo contadino celano, in realtà, un ben preciso
progetto politico:
«Il cittadino crede di andare “tra il popolo”, non appena si degna di sostenere un lungo colloquio
con un contadino. Quando, a sera, nel tempo della pausa, siedo con i contadini sulla panca accanto
alla stufa, o al tavolo sotto il crocifisso, di solito non discorriamo.  Fumiamo in silenzio le nostre
pipe. Di quando in quando, forse, cade una parola; per esempio, che adesso il lavoro nel bosco
sta per finire, che la notte scorsa la martora è penetrata nel pollaio, che domani, probabilmente,
quella tal mucca figlierà (...) L’intima appartenenza del proprio lavoro alla Foresta Nera e ai suoi
uomini, proviene da una secolare autoctonia svevo-alemanna, che nulla può sostituire.
Il cittadino, grazie al cosiddetto soggiorno in campagna, viene, tutt’al più per una sola volta,
“stimolato”. Ma tutto il mio lavoro è sorretto e guidato dal mondo di queste montagne e dei suoi
contadini. Talvolta, ora, il lavoro lassù viene interrotto per lungo tempo, a causa dei dibattiti, dei
viaggi per conferenze, dei colloqui e dell’attività di insegnamento quaggiù. Ma non appena risalgo
su, fin dalle prime ore in cui sono nella baita, si affolla in me l’intero mondo delle precedenti
domande, e proprio in quella forma nella quale lo lasciai (...)
Sovente i cittadini si meravigliano della lunga e monotona solitudine (Alleinsein) dei contadini fra
le montagne. Eppure non si tratta di un esser soli, ma di vita solitaria (Einsamkeit). Nelle grandi
città, è facile che l’uomo possa essere solo come non ma. Ma in esse l’uomo non può mai essere
solitario. Perché la vita solitaria ha il potere non di isolarci, ma di gettare l’intero esserci nell’ampia
vicinanza dell’essenza di tutte le cose.
Fuori, grazie a giornali e riviste, si può diventare in un batter d’occhio una “celebrità”. Questa è pur
sempre la via più sicura sulla quale il proprio volere si espone al malinteso e cade radicalmente
e rapidamente nell’oblio.
Al contrario, la memoria contadina ha la sua semplice, sicura e inflessibile fedeltà. Recentemente,
lassù, è morta un’anziana contadina. Spesso e volentieri conversava con me, e riesumava
antiche storie del villaggio. Il linguaggio, intensamente immaginifico, ancora serbava molte parole
antiche e svariati modi di dire, che ormai sono diventati incomprensibili alla gioventù del villaggio,
e che dunque sono andati perduti alla lingua viva. Ancora l’anno scorso -quando trascorrevo molte
settimane da solo nella baita - questa contadina, con i suoi 83 anni, veniva spesso a trovarmi
risalendo la ripida china. Ella desiderava, così diceva, controllare se ci fossi ancora, o se invece
“qualcuno”, all’improvviso, non mi avesse rubato. La notte in cui morì la trascorse in colloquio con
i suoi familiari. Ancora un’ora e mezza prima della fine ha affidato loro un saluto per il “signor
professore”. Un pensiero come questo vale infinitamente più del miglior,“ reportage” di un grande
giornale internazionale sulla mia presunta filosofia. »
Seguendo tale filo di riflessioni siamo condotti al momento cruciale del discorso di Heidegger,
quando egli deve rendere manifesto se accetta, o meno, l’offerta di Berlino. L’analisi dell’iter che
portò alla sua nomina ha mostrato con chiarezza che, anche in questo caso, come già era avvenuto
nel 1930, si trattò di un diktat ministeriale in aperto contrasto con la volontà della Facoltà di
filosofia. Una delle principali ragioni del diniego di Heidegger sta sicuramente nel fatto che egli non
intendeva diventare professore per vie extra-accademiche, scelta che avrebbe potuto intaccare il
suo prestigio. La Facoltà di Berlino lo respingeva — così, almeno, poteva apparire dal punto di
vista di Heidegger - perché arroccata in una logica conservatrice, appiattita sulla tradizione e
reazionaria, che occorreva superare. Ma questa spiegazione non era certo sufficiente a far passare in
secondo piano l’evidente avversione nei riguardi della sua persona - avversione, per di più, che
tornava a rinnovarsi. La proposta di Rust implicava l’assunzione da parte di Heidegger di «una
missione politica straordinaria», da compiere con l’incondizionato appoggio del Ministero. Il
trasferimento a Berlino si sarebbe certamente potuto tradurre nel conseguimento di una cattedra: a
questo punto non ci sarebbero più stati impedimenti perché Heidegger figurasse come il filosofo del
Terzo Reich. Nel suo comunicato alla Facoltà, il Ministero era persino giunto ad affermare che
questa nomina si imponeva per «ragioni di Stato». Tutto ciò avrebbe potuto spingere Heidegger - in
altre circostanze e in un altro momento - a fare il gran passo. Ma gli avvenimenti volgevano
rapidamente in direzione di un consolidamento progressivo del settore burocratico; se si pone mente
a tale fatto e alla preponderanza delle forze conservatrici nel mondo accademico, l’impresa si
presentava per Heidegger come decisamente arrischiata, per quanto egli potesse contare sul risoluto
sostegno degli studenti berlinesi, la cui direzione era in mano alle SA. Di fronte alle avvisaglie della
tempesta, era cosa ragionevole e accorta mettersi al riparo della propria terra d’origine. Benché la
vicenda che aveva portati alla nomina di Berlino si fosse svolta contemporaneamente all' analoga
vicenda di Monaco, Heidegger, nel suo discorso, allude soltanto al rifiuto dell’offerta di Berlino.
L’esortazione finale è certo indovinata:
«Recentemente ho ricevuto la seconda chiamata da parte dell’Università di Berlino. In questa
occasione mi ritiro dalla città e risalgo alla baita. Ascolto ciò che dicono i monti e i boschi e le
masserie. Giungo, così, da un mio vecchio amico, un contadino di 75 anni. Egli ha letto sul giornale
la notizia. Cosa dirà? Lentamente fissa lo sguardo sicuro dei suoi occhi chiari nei miei, serra
energicamente le labbra, mi pone la sua mano saggia sulla spalla e scuote quasi impercettibilmente
la testa. Che vuol dire: assolutamente no!»252
L’organo ufficiale del Partito nazionalsocialista, il «Völkischer Beobachter»,253 ritenendo
necessario spiegare la non disponibilità di Heidegger, replicò così: «Come abbiamo appreso da
fonte sicura, la ragione sta unicamente nella volontà del filosofo di rimanere all’Università di
Friburgo.» La «Deutsche Studentenzeitung» di Monaco informava nello stesso senso i suoi
lettori.254
Capitolo 7. La fine del rettorato
La decisione di rimanere a Friburgo non permise, comunque, a Heidegger di superare, indenne, i
frangenti della crisi, né potè impedire che gli eventi seguissero il loro corso. Anzi, la tendenza
nazionalista, malgrado le divergenze interne, riuscì a trovare un terreno comune e posizioni
omogenee proprio per passare, una volta per tutte, all’offensiva risolutiva contro i settori populisti
della NSDAP, spezzando un equilibrio di forze, peraltro, già piuttosto precario. Qualche settimana
più tardi, in seguito alla brutale purga del giugno-luglio 1934, il Führer degli studenti, Oskar Stäbel,
e tutto il gruppo dirigente, sua emanazione, sarebbero stati destituiti dalle loro funzioni. Il
movimento studentesco passerà così sotto il controllo di Rudolf Hess, acerrimo avversario di Rohm.
Ma prima ancora che tali avvenimenti si verificassero, i medesimi antagonismi, che stavano ormai
giungendo a piena maturazione sul piano nazionale, si manifestarono a Friburgo.
Capitolando di fronte alle pressioni, le associazioni degli studenti cattolici - in particolare i sodalizi
che praticavano il duello alla spada -, nel gennaio 1934, convennero di aderire alla «rivoluzione
nazionale». Esse, a concretizzazione di tale volontà, stabilirono di cassare dai loro statuti le
attestazioni di principio confessionali. Forschbach e Hank, Führer delle principali associazioni
cattoliche, firmarono un’intesa con il Reichsführer degli studenti, Oskar Stäbel, innescando in tal
modo il processo che avrebbe portato all’allineamento di tutti gli altri gruppi cattolici minori.255 Si
trattava, in realtà, di una scelta tattica. Con la rinuncia all’impostazione ideologica confessionale, le
associazioni cattoliche potevano entrare a far parte
del movimento giovanile posto sotto l’egida dello Stato e del Partito, e ciò avrebbe permesso loro di
sfuggire alla disgregazione o al definitivo scioglimento. Per Stäbel, d’altra parte, tale compromesso
risultava particolarmente vantaggioso, giacché egli, fautore di una linea politica intransigentemente
anticlericale, da sempre si prefiggeva l’obiettivo della liquidazione delle organizzazioni cattoliche.
Una prima campagna ebbe, provvisoriamente, come conseguenza la soppressione dell’associazione
cattolica Ripuaria e, quindi, anche della sua sezione friburghese. L’ordine venne dallo stesso dottor
Forschbach, Führer del movimento cattolico, certamente di concerto con i settori oltranzisti del
movimento studentesco nazista.256 Tale misura, che risale alla prima settimana del febbraio 1934,
fu, però, annullata dal Reichsführer degli studenti, Stäbel, che reintegrò Ripuaria nel diritto di
proseguire nella sua attività, fatto salvo l’abbandono del principio confessionale.257 Questo
intervento sconfessava l’ala radicale di Friburgo che, tra gli studenti, aveva come Führer Heinrich
von zur Mühlen, il quale aveva personalmente voluto, e fatto festeggiare poi, lo scioglimento di
Ripuaria. Non solo: colpiva anche il rettore Heidegger, di cui von zur Mühlen era stato uno
dei principali collaboratori nell’azione politica. Insieme a lui, appunto, e al sindaco Kerber,
Heidegger aveva spedito un telegramma a Hitler per manifestargli l’incondizionato consenso della
città, degli insegnanti e degli studenti.258 Sempre a lui Heidegger si era appoggiato per la creazione
della Völkische Kameradschaft Schlageter.259 E fu ancora sotto la spinta di Heidegger che Stäbel
decise di rimpiazzare, nel novembre 1933, A. Künzel - un vecchio militante delle SS - con Heinrich
von zur Mühlen.260
La misura presa da Oskar Stäbel rappresentò un duro colpo per Heidegger, poiché coinvolgeva uno
dei suoi più fedeli sostenitori. Per di più non era sicuramente partita dal Reichsführer degli studenti,
ma da molto più in alto. Era pur vero che l’interdizione delle organizzazioni cattoliche costituiva
una violazione del concordato stipulato dal Vaticano con il governo hitleriano; concordato che,
in un periodo di estrema incertezza per il governo, garantiva una certa tranquillità, giacché di fatto
implicava la neutralizzazione della Chiesa cattolica. Dato che l’anticlericalismo massimalistico
della corrente SA minacciava la stabilità dello Stato - e non soltanto nelle sue relazioni con la
Chiesa, come si vedrà più in là - il provvedimento preso da Stäbel, in contrasto peraltro con le sue
personali convinzioni, gli fu indubbiamente imposto. Martin Heidegger, con una lettera ufficiale in
data 6 febbraio 1934, gli richiese la revoca della disposizione che permetteva a Ripuaria di
riprendere a operare su tutto il territorio del Reich, e in particolare a Friburgo.
«Caro signor Stäbel,
Oggi la stampa ha reso nota la revoca della sospensione dell’associazione Ripuaria. In conseguenza
di ciò si è dovuto dimettere il dirigente degli studenti di questa città, il signor von zur Mühlen.
Questa pubblica vittoria del cattolicesimo, specialmente qui da noi, è inammissibile. Si tratta di un
danno inimmaginabile inferto a tutto il lavoro.
Io conosco da anni, e fin nei dettagli, i rapporti e le forze locali; ho ben riflettuto sul fatto di non
esser intervenuto allorché Lei, per lettera e per telefono, mi pregò di sciogliere l’associazione; ma
d’altra parte dovevo supporre che Lei tenesse moltissimo a tale provvedimento. Perciò io difenderò
incondizionatamente la condotta del dirigente degli studenti. La prego senz’altro di rimettere in
carica von zur Mühlen.
Sull’abolizione del principio confessionale si possono avere idee differenti. Si continua a non
conoscere la tattica cattolica. Ma verrà giorno in cui tutto ciò avrà la sua pesante vendetta. Heil
Hitler! Vostro Heidegger»261
L’indignazione di Heidegger risulta tanto più giustificata, se si considera che qualche settimana
prima egli aveva partecipato a una manifestazione in cui si reclamava il definitivo scioglimento
delle associazioni studentesche cattoliche, nel corso della quale esponenti rappresentativi della
dirigenza di tali organizzazioni si erano pronunciati in prima persona nello stesso senso. In questa
occasione, infatti, nella sede degli studenti cattolici di Friburgo, così si era espresso il loro leader:
«Quello che un tempo fu il sogno dell’associazione originaria (...) oggi si è realizzato. Ogni
studente deve fare, in modo combattivamente consapevole e politicamente affermativo, il servizio
nelle SA. I tempi delle lotte di strada e dell’impegno personale sono passati. Di fatto, le associazioni
e le corporazioni non furono molto partecipi. Sorge perciò la domanda sulla legittimità della loro
esistenza.»262
Durante il raduno, secondo la «Freiburger Zeitung» del 29 gennaio 1934, «dopo che erano risuonati
il Deutschland-Lied e il Horst-Wessel-Lied, prese la parola il rettore dell’Università di Friburgo,
professor Heidegger. Egli sottolineò che ogni agire politico non si muove in un ambito generale, ma
si profila sempre sulla base del momento. È da ciò che la parola impegno riceve la sua
legittimazione. Per questo, le nostre università debbono includere nel loro lavoro educativo, in
maniera del tutto speciale, anche il compito politico. Saremo in grado di condurre la lotta politico-
spirituale nella marca sudoccidentale del Reich, solo se la gioventù comprende che si tratta di
innestare una concreta volontà statale nel carattere etnico del nostro Land alemanno».263
L’accanimento di Heidegger contro il cattolicesimo può, di primo acchito, sorprendere. A tale
atteggiamento non è probabilmente estraneo il ricordo delle sue esperienze d’infanzia, delle
vessazioni subite dalla sua famiglia nel periodo delle aspre lotte religiose vissute dalla comunità di
Messkirch, vicende di cui egli stesso fu vittima a causa della professione del padre.
Non è qui, però, che va ravvisata l’origine della sua intransigente avversione nei riguardi del
cattolicesimo. Heidegger aveva messo tutto il proprio vigore intellettuale e tutte le proprie qualità
umane al servizio del successo della rivoluzione nazista, sviluppando posizioni che si radicavano
nei suoi sentimenti più originari e che avevano come nucleo una sorta di sacralizzazione del popolo;
di conseguenza, ai suoi occhi, l’atteggiamento ambiguamente ostile della Chiesa, il suo gioco
diplomatico, ma soprattutto le diverse e numerose espressioni del suo «revisionismo»
simboleggiavano il nemico mortale. D’altronde, se la battaglia di Heidegger per promuovere la
trasformazione nazista dell’università, facendo leva sulla base studentesca, finiva con l’incagliarsi
nel sonno profondo e quasi generale degli studenti, la situazione e i problemi rappresentati dai
giovani cattolici risultavano ancora più complessi. Kreutzberger, nel suo studio, segnala come gli
studenti cattolici costituissero, a Friburgo, il 44 per cento del totale e come tale percentuale di
presenza fosse superiore rispetto a quella delle altre università.264 Tra di loro era inoltre largamente
diffusa la tendenza ad affiliarsi ad associazioni dipendenti dall’autorità ecclesiastica. Kreutzberger è
stato in grado di verificare che il 70 per cento degli studenti cattolici era organizzato,265 e che,
malgrado il loro spirito antiliberale e antirepubblicano e il loro estremo nazionalismo, e benché non
avessero mai dato vita a un movimento di resistenza di qualche entità, non era possibile
guadagnarli, come gruppo, a un movimento il cui anticlericalismo andava crescendo sempre più.266
Tuttavia, almeno per il periodo 1933-34, non si può certo dire che, nel mondo studentesco
di Friburgo, la Chiesa sia stata in qualche modo d’ostacolo all’azione politica delle avanguardie
nazionalsocialiste, e ciò, se vogliamo, costituisce un’ulteriore, anche se indiretta, riprova della
radicale risolutezza del rettore Heidegger. A Friburgo, come in tutto il Reich del resto, furono in
molti a vedere nel Concordato - nella legittimazione, in particolare, che di fatto ne derivava per il
governo hitleriano - un invito a una maggiore collaborazione. C’è da aggiungere che un certo
numero di teologi cattolici furono dell’avviso che il nazionalismo potesse condurre a ripristinare
«l’idea del Reich» come idea originariamente cattolica, e, per questo tramite, offrisse la possibilità
di esercitare un’influenza «dall’interno».267 In questo senso svolse un ruolo di rilievo, anche per i
legami personali che lo stringevano a Heidegger, l’arcivescovo di Friburgo Conrad Gröber.
Nella stessa direzione si mosse anche Engelbert Krebs, una figura di ecclesiastico dalle posizioni
radicalmente conservatrici, che - ricordiamo - era stato tra i consiglieri spirituali di Heidegger ai
tempi del Konvikt di Friburgo, e ne aveva poi benedetto il matrimonio nel 1917, e che, sempre nel
medesimo anno, si era impegnato con tutta la propria autorevolezza per fargli ottenere la cattedra di
filosofia presso la Facoltà di teologia. Durante la prima guerra mondiale, Krebs si era
personalmente votato a un’intensa campagna a favore della Germania, episodio sul quale ci siamo
già soffermati. All’avvento, poi, del nazismo al potere, egli vide in Hitler un inviato
della provvidenza ed esortò gli studenti a un’attiva collaborazione col nuovo regime.268 Nonostante
ciò, Krebs non recedette, nel modo più assoluto, dalle sue intransigenti posizioni di principio e tale
atteggiamento gli valse la persecuzione da parte della polizia politica. Nello scritto Urkirche und
Judentum (Chiesa primitiva ed ebraismo)269 egli aveva severamente criticato l’antisemitismo, sia
nella versione razzista che nell’accezione «spiritualista» e religiosa. Dal fascicolo intestato a Krebs,
conservato presso il Centro di documentazione di Berlino, ricaviamo l’informazione che egli fu ben
presto sottoposto a stretta sorveglianza da parte della Gestapo e che gli si vietò anche di parlare in
pubblico.
Quanto agli studenti cattolici, va osservato che essi, perlomeno nei loro settori rappresentativi,
diedero dimostrazione di una condotta apertamente favorevole al nazionalsocialismo. La rivista
studentesca cattolica «Academia» offre un’eloquente testimonianza a questo proposito. Oltre ai
numerosi articoli dedicati a Schlageter, è opportuno segnalare un pezzo dal titolo Essenza e compiti
delle  SS e delle SA, scritto da un ufficiale delle SS, 270 un altro    Organiz
zazione delle associazioni cattoliche (CV) in base al «Führerprinzip»,271 nonché tutta una serie di
interventi dalle venature schiettamente antisemite.272
Per completare il quadro si rendono necessarie alcune considerazioni, ancora, sul personaggio di
Oskar Stäbel, Reichsführer degli studenti. «Originario del sud» come Heidegger, Stäbel era uomo di
fiducia del rettore di Friburgo. Lo si avverte dal tono confidenziale della lettera inviatagli da
Heidegger sulla questione di Ripuaria. Abbiamo già ricordato la sua azione concertata con
Heidegger per nominare von zur Mühlen come Führer degli studenti di Friburgo. Il rapporto tra
Stäbel e Rohm era da camerati delle SA. Rohm non solo lo designò Reichsführer, ma gli conferì le
più svariate onorificenze. Per il Natale 1933 gli fece dono del «pugnale d’onore»; su un lato vi era
incisa la scritta: «Tutto per la Germania», sull’altro: «In segno di cordiale cameratismo, Ernst
Rohm».273 Allorché alle SA fu affidato il programma di indottrinamento nel settore universitario,
Stäbel svolse, insieme a Rohm, un ruolo di primissimo piano.274 Stäbel, coerente
nell’opportunismo, dopo l’assassinio di Rohm, fece dichiarazione di fedeltà a Hitler, nella speranza
di porsi al riparo, assumendo anche una posizione favorevole alla linea della «spoliticizzazione»
dell’università, in consonanza con la tesi della corrente ora divenuta egemonica.275
Nel periodo che intendiamo esaminare, l’azione politica di Stäbel era in tutto e per tutto conforme a
quella della frazione di Rohm, senza alcun punto di divergenza. Otto Strasser, fratello di
Gregor Strasser - uno dei massimi dirigenti delle SA, assassinato nel 1934 - e, come questi, uno dei
più rappresentativi ideologi della tendenza «socialista», scrive nelle sue memorie a proposito di
Stäbel e della neutralizzazione del movimento studentesco:
«Dopo le SA venne il turno degli studenti. Il dottor Stäbel e l’ingegner Kähringer erano odiati dalla
reazione. Erano stati loro i fautori dello slogan: “Il nemico è a destra! ” I due furono destituiti.
Stäbel finì in carcere e al suo posto fu piazzato Andreas Feickert, un personaggio debole, docile e
insignificante che, subito, pose fine alla lotta contro le associazioni studentesche reazionarie.»276
Per ben comprendere le connotazioni della cerchia politica, inserendosi nel cui ambito Heidegger si
sarebbe discostato dal regime, pensiamo sia utile risalire, preliminarmente e per grandi linee,
agli antecedenti della crisi delle SA, per tornare, poi, sulle caratteristiche di massima del loro lavoro
di indottrinamento nelle università e sulla violenta battuta d’arresto che vi pose fine. Le SA si
configurarono, in un primo tempo, come «forza d’urto» della NSDAP. Concepite tatticamente come
una sorta di milizia di partito in vista di una guerra civile, Hitler le pensava sul piano strategico
come un elemento sociale innovativo: uno strumento di potere con funzioni insieme militari e di
polizia, all’interno dello Stato moderno, che potesse assolvere «lavori» di intimidazione fisica e
psicologica.277 Benché fin dall’inizio il Partito nazista abbia voluto tenere separato
l’aspetto politico da quello militare, e dunque il Partito dagli attivisti militarizzati (le SA), questi
ultimi furono i militanti, in origine, più attivi, soprattutto nelle piccole città di provincia.278 Le SA
vollero darsi uno stile spiccatamente rude e violento, unito a maniere che essi pretendevano
«proletarie».279 Il nome SA (Sezioni d’Assalto) fu adottato dopo il primo combattimento di strada
ingaggiato a Monaco il 4 novembre 1921; da quel momento andarono diffondendosi,
nelle pubbliche vie, pratiche terroristiche sempre più perfezionate.280 Il ruolo di Rohm, all’epoca in
cui fu fondata la NSDAP, fu decisivo. Egli, come militare, potè giovarsi tanto della sua personale
influenza quanto della sua possibilità di accesso ai depositi di armi per garantire una struttura di
supporto armata alla nascente organizzazione. Fin da allora Ernst Rohm progettò uno sviluppo del
nazismo secondo un modello populistico e militarizzato (il «socialismo tedesco»), nel cui quadro lui
e i suoi uomini (SA-Männer) avrebbero dovuto svolgere una funzione essenziale. I fatti della Ruhr
offrirono il destro, nell’obiettivo di effettuare operazioni di disturbo contro gli occupanti francesi, di
raccogliere forze complementari, espressioni della «base» e coordinate principalmente dalle SA.
Hitler, malgrado i lunghi periodi di collaborazione, non affidò mai esclusivamente la propria difesa
alle SA. Fin dall’inizio egli si creò una guardia personale, al comando di Himmler, l’embrione, cioè,
delle future SS.281 Dopo il fallimento del colpo di Stato dell’8 novembre 1923, in seguito a cui finì
in prigione, Hitler si adoperò per dare al Partito una vernice che lo rendesse più accettabile sul piano
civile, innescando così una prima ragione di disaccordo con Rohm e favorendo l’ascesa delle SS
nella gerarchia dell’organizzazione. Tuttavia nel 1926 si realizzò un’ulteriore avanzata delle SA,
dovuta all’acuirsi dei conflitti sociali e al conseguente diffondersi dei combattimenti di
strada.282 Da questo momento furono attribuiti alle SA compiti di «educazione politica» e,
contemporaneamente, di «addestramento sul piano fisico». I programmi di educazione e di
indottrinamento successivamente realizzati nelle università, si rivelarono improvvisati, limitati e
pesanti e, nello stesso tempo, noiosi e ripetitivi.283 Le SA avevano anche l’incombenza di
mantenere la disciplina all’interno del Partito.284
A lungo Ernst Rohm fu il «secondo uomo» nella gerarchia della NSDAP. Il suo potere era
soprattutto fondato sul potenziale umano di cui disponeva: fino al momento del suo assassinio,
poteva impartire ordini a più di centosettantamila militanti, che, a loro volta, avevano sotto
controllo una massa di quasi quattro milioni di persone, organizzate in battaglioni suddivisi in
compagnie che, col tempo, avrebbero dovuto sostituirsi alle forze armate istituzionali.285
Questi aspetti - uniti a un programma di riforme politiche, economiche e culturali che, se attuate,
avrebbero, quantomeno, rischiato di destabilizzare la vita sociale - finirono col suscitare un fronte di
forze a lui avverso, di provenienza e tendenze molto variegate. Tale coalizione fece pressione su
Hitler, arrivando a brandire la minaccia di un imminente colpo di Stato. È noto che a tirare le fila di
questo gruppo di pressione era il grande capitale e che tale confronto portò al completo predominio
di quella che Rohm chiamava «la reazione» e, nello stesso tempo, all’egemonia di questa nel vertice
nazista: Gòring, Thyssen, e, più tardi, Goebbels. Ci si incamminava in tal modo per una strada che,
passando attraverso la trasformazione, già avvenuta con il 1936, dell’economia tedesca in economia
di guerra, sarebbe sfociata, nel 1939, nella seconda guerra mondiale. Le indagini storiche hanno
chiarito come la tendenza populista della NSDAP avesse, in realtà, ben poco di socialista e come i
suoi esponenti più rappresentativi mantenessero legami organici e permanenti con il grande capitale.
Bloch ha, in ogni caso, mostrato come non sia assolutamente più possibile parlare di una «frazione
di sinistra» nazista, dopo che Otto Strasser ebbe lasciato nel 1930 la NSDAP. L’enorme influenza
del grande capitale, in particolare di Thyssen, membro assai attivo del Partito già dal 1931 e che,
fino al 1932, fornì un diretto aiuto finanziario alle SA di Georg Strasser, comprova con
estrema chiarezza come la nozione di sinistra nazionalsocialista sia un concetto senza corpo.
Ciò nonostante, la brutale eliminazione della corrente populista segna un periodo di cambiamenti
qualitativi, innanzitutto nella definizione ideologica del nazismo. Mentre per gli uni l’avvento al
potere di Hitler e del Partito nazista significava, di per sé, che la rivoluzione era già stata fatta e che
si trattava ormai unicamente di « consolidarla», per la tendenza «rivoluzionaria» le cose stavano in
maniera molto diversa. Rohm scriveva nel giugno 1933:
«Una grande vittoria è stata ottenuta, non la vera vittoria. Nella nuova Germania si vanno formando
i battaglioni grigi e disciplinati della rivoluzione, fianco a fianco alle forze armate. Accanto ad
esse, ma senza farne parte (...) Il Führer e cancelliere del popolo tedesco ne ha bisogno come di un
possente attrezzo per poter compiere il gigantesco lavoro di rinnovamento della Germania. Giacché
le SA e le SS sono i pilastri essenziali dello Stato nazionalsocialista avvenire (...) Una certa genia di
critici borghesi che contesta questo fatto - siano essi alleati del nostro inconciliabile nemico, o si
tratti di gente allineata pronta ad andarsene in giro inalberando la croce uncinata — non ha
compreso e non comprenderà mai il senso della rivoluzione tedesca. Costoro confondono la
ricostruzione nazionale con la rivoluzione tedesca (...) A coloro che se ne stanno seduti
nelle comode poltrone dell’amministrazione e vanno predicando che tutto va per il meglio, noi
diciamo che lo scopo non è stato - e neanche di lontano - raggiunto (...) È arrivata l’ora della fine
della rivoluzione nazionale e dell’inizio della rivoluzione nazionalsocialista.»286
Attraverso il controllo dell’attività di indottrinamento, le SA svolsero nelle università, fino al 1933,
un ruolo di punta. In conformità al loro programma nazionale, esse si erano date l’obiettivo di
«spezzare le catene delle università», imponendo ampi piani di lavoro ideologico obbligatori, che
comprendevano corsi di educazione politica e, inoltre, soggiorni nel corso dei quali studenti e
insegnanti venivano addestrati fisicamente attraverso esercitazioni di tipo militare e sportivo.287 La
frequenza a tali «corsi» era indispensabile per essere ammessi a sostenere gli esami. I dati raccolti
in proposito da Adam, per l’Università di Tubinga, possono valere a ricostruire, per analogia,
quanto accadeva nelle altre università. Ecco il programma SA per il semestre estivo a Tubinga: un
corso teorico generale della durata di una settimana e, una volta al mese, pratica di tiro e di
educazione politica. Erano inoltre previste una serie di scadenze regolari: il giovedì pomeriggio e
sera e il sabato pomeriggio, a cui vanno aggiunti i giorni dal 15 al 27 maggio, la domenica 3 giugno
e il 1°, 8 e 15 luglio.288 La densità del programma, che comportava notevoli modificazioni
nell’organizzazione degli studi, finì col suscitare un crescente malcontento, e proteste anche, da
parte degli studenti che cominciarono a non più assistere ai corsi SA. La situazione si fece tesa,
preoccupando vivamente il Ministero dell’Educazione di Berlino.289 Alle lagnanze degli studenti si
aggiunsero quelle degli insegnanti, fino a provocare disordini che portarono a una prima riduzione
del tempo concesso alle SA nelle università.290 La crisi dell’università avrà termine soltanto nel
luglio 1934 con l’assassinio di Rohm e la completa riconsiderazione delle attribuzioni delle SA.
Il primo provvedimento ministeriale consistette nell’esentare dal servizio SA ed SS tutti i candidati
agli esami. Verso la fine del 1935 il servizio SA nelle università era un’istituzione ormai del tutto
secondaria.291
La revisione della linea politica e dell’assetto istituzionale del Partito fu annunciata ufficialmente al
Congresso del Reich tenuto dalla NSDAP a Norimberga nel novembre 1934. Nel quadro di
questa assise fu dedicata una riunione straordinaria agli studenti, nel corso della quale il ministro
Bernhard Rust e il rappresentante del Führer Rudolf Hess (responsabile del settore studentesco)
illustrarono ai convenuti il significato dei cambiamenti che erano stati decisi. Il discorso di Hess,
molto esplicito, sviluppa alternative politiche completamente opposte a quelle sostenute da Martin
Heidegger. Il fatto che sia stato Hess a pronunciare questo discorso ha evidenti implicazioni
politiche: egli era uno dei più convinti avversari delle SA e un nemico dichiarato di Ernst Rohm.292
Rudolf Hess inizia il suo intervento annunciando di parlare in veste ufficiale, in nome dello Stato e
del Partito. In tono paternalistico e nell’intento di presentarsi come persona in grado di comprendere
i sentimenti degli studenti, Hess, riandando con emozione al passato, rievoca le proprie esperienze
di studente all’Università di Monaco, il suo precoce incontro con Hitler e le lotte di quel tempo. E
per quanto egli sottolinei il valore che ebbero per lui il movimento e l’intenso impegno politico di
allora, non può evitare un’ammissione: «... mi dedicai a un’attività che certamente, alla lunga, non
avrebbe potuto giovare al mio studio vero e proprio, e di ciò ero, del resto, pienamente consapevole
(...)
Vi racconto questo perché so che voi, e i giovani studenti di cui vi prendete cura, specialmente dopo
la presa del potere, avete spesso sofferto per la condizione ibrida fra il voler e il dover studiare
in vista del vostro avvenire personale, e la necessità di fare il servizio per il movimento e in
particolare per le SA. Gli studenti hanno corrisposto spingendosi spesso, forse, al di là di quanto
potevano impegnarsi a fare con responsabilità (...)
Io so che in questo primo periodo furono fatte molte cose buone. Ma so anche, in primo luogo, che
agli studenti fu richiesto di impiegare il loro tempo per cose che, in effetti, non avevano alcun
rapporto con ciò di cui essi, in quelle medesime ore, avrebbero dovuto occuparsi nel contesto di uno
studio condotto seriamente.
So che, all’occasione, si è peccato ovunque: da parte dell’organizzazione politica, la quale premeva
per questa o quella adunanza, da parte delle SA, che continuamente facevano ripetere come
necessari esercizi assolutamente elementari; ma anche da parte delle organizzazioni propriamente
studentesche, le quali annoiavano frequentemente gli studenti con conferenze e con le cosiddette
serate di preparazione politica, che per la verità con la preparazione politica non avevano nulla a
che vedere (...)
Ma non fatevi scoraggiare dal passato, confortatevi pensando che esso non è più, e confortate in
primo luogo coloro che vi sono affidati e subordinati. Da questo momento in poi tutto viene
sistemato. Gli studenti, oltre al tempo per la preparazione politica, che nel suo ambito dev’essere
pienamente valida, avranno il tempo per educarsi spiritualmente, per imparare a pensare - cosa
niente affatto ovvia - e per imparare a lavorare spiritualmente, a sviscerare i problemi (...)
E se nel passato vi è successo spesso di imprecare contro le organizzazioni quando vi facevano
perdere tempo, in futuro non ve ne ricorderete più.»293
Il mutamento di rotta era dunque radicale e totale, e la linea politica che lo guidava coincideva
precisamente con ciò che Heidegger reputava il supremo pericolo, con quanto egli aveva
denunciato come un tradimento nei confronti del lavoro per lo Stato e per la «rivoluzione», in altre
parole come una «resistenza». Per Heidegger - che aveva fatte integralmente sue le idee di Rohm,
secondo cui installarsi nell’apparato burocratico dello Stato e farlo funzionare non doveva essere
che l'inizio della completa trasformazione dell’esistenza tedesca, e che vedeva nell’università
l’istanza sociale e politica da cui doveva nascere l’autentica rivoluzione - la svolta, imposta da
ragioni tattiche, assunse il significato di un abbandono strategico. Georg Picht, testimone dell’epoca
e amico di Heidegger, ci riferisce che gli studenti del filosofo «erano penetrati dall’idea che
l’autentica rivoluzione dovesse partire dall’università e che il momento presente (1933-34) non
fosse che un preludio».294 La svolta adottata dal gruppo dirigente interrompeva bruscamente questo
«preludio». Così si esprimerà Heidegger a questo proposito:
«Quanto a me, nel febbraio 1934 mi erano chiare le possibili conseguenze delle dimissioni. Ne ebbi
piena consapevolezza dopo il 30 giugno dello stesso anno. Chi, dopo questa data, assunse ancora
una carica nella direzione dell’Università, non poteva non sapere con chi si accompagnasse.»295
Il 30 giugno 1934 segna la data in cui si riuscì, infine, a eliminare Rohm e la dirigenza SA, sotto il
pretesto che costoro fossero in procinto dì scatenare un colpo di Stato.
I fatti collegati alle dimissioni di Heidegger dal rettorato dell’Università di Friburgo sono stati
esaustivamente sviscerati da Hugo Ott nella seconda parte del suo lavoro, con il limite, però, di
non aver fatto riferimento al contesto politico e ideologico generale e neanche alla crisi relativa
all’associazione studentesca Ripuaria; questo grave scontro tra Martin Heidegger e le autorità
centrali del Partito e dello Stato era l’esatto riflesso del processo innescatosi su un piano più
generale. Ott smentisce decisamente la versione dei fatti fornita da Heidegger nel suo testo del
1945, in particolare per ciò che vi si afferma rispetto a un ipotetico complotto «di coloro che erano
indignati contro tutto quanto avesse una coloritura nazionalsocialista», con la connivenza delle
autorità governative di Karlsruhe. Ott pensa che il detonatore della vicenda vada individuato
nel conflitto tra il rettore Heidegger e la Facoltà di diritto. Lo scenario politico degli eventi di
Friburgo può essere ricostruito senza difficoltà sul canovaccio dei fatti riportati da Ott: la Facoltà di
diritto - di cui era preside Erik Wolf, un fedelissimo di Heidegger -, al cui interno oppositori come
Eucken, von Bieberstein e von Schwerin occupavano posizioni di rilievo, aveva rimesso in
discussione la base normativa a cui Heidegger intendeva fare ricorso per inserire le esercitazioni
paramilitari nel programma del semestre estivo 1934. In altri termini si trattava di un contrasto sullo
status giuridico delle SA nell’Università. In precedenza c’era già stato un altro motivo di dissenso.
Il 7 dicembre 1933 Erik Wolf aveva presentato a Martin Heidegger le proprie dimissioni da preside
in seguito a una serie di denunce, provenienti dalla Facoltà stessa, che criticavano la sua gestione.
Avvalendosi delle prerogative che gli derivavano dal Führerprinzip, Heidegger respinse le
dimissioni; esse non potevano essere accolte poiché il mantenimento di Wolf nel suo incarico
dipendeva, in base alla nuova legislazione universitaria, dalla fiducia e dall’appoggio che gli
venivano accordati dal rettore e non dal sostegno che gli poteva venire dalla Facoltà. Nella sua
risposta Heidegger assicurava a Wolf il proprio pieno consenso. E nella comunicazione agli altri
presidi, riprendeva i medesimi argomenti, facendo peraltro osservare che la riforma universitaria
non doveva arenarsi in discussioni e dispute di carattere amministrativo, ma doveva volgersi
all’essenziale.296 Le lagnanze dei colleghi di Erik Wolf proseguirono fin quando il ministro Wacker,
in una lettera del 12 aprile 1934, suggerì a Heidegger che sarebbe stato opportuno sostituire il
preside della Facoltà di diritto alla fine del semestre estivo. Secondo la versione da lui stesso
fornita, Heidegger, al termine del semestre invernale 1933-34, sarebbe stato convocato a Karlsruhe
dove il consigliere ministeriale Fehrle gli avrebbe rivolto la richiesta di sollecitare le immediate
dimissioni di Wolf e del preside della Facoltà di medicina, von Möllendorff. Heidegger si sarebbe
formalmente opposto e, di fronte all’insistenza del funzionario, avrebbe presentato le
proprie dimissioni. Il documento scovato da Ott negli archivi di Karlsruhe dimostra l’inesattezza
della versione di Heidegger. La lettera citata risale al periodo in cui, secondo la testimonianza di
Heidegger, la situazione si sarebbe già risolta con le sue dimissioni. In essa, in realtà, ci si limita ad
accennare alla possibilità di un cambiamento di preside alla Facoltà di diritto, auspicabile alla fine
del semestre successivo. Ma, ancor più, dalla lettera ufficiale del Ministero si ricava l’impressione
che l’autorità del Baden contasse sul fatto che Heidegger conservasse le sue funzioni e conducesse
a termine il cambiamento in questione.
Heidegger comunicò le dimissioni dal rettorato ai suoi più vicini collaboratori - il cancelliere e i
cinque presidi - nel corso di una riunione, il 23 aprile 1934. In precedenza all’interno della
dirigenza universitaria c’era stata polemica sulla possibilità, per l’economista Lampe, di continuare
a occupare provvisoriamente la cattedra lasciata vacante dal professor Karl Diehl. Heidegger e Wolf
si opposero tassativamente a tale soluzione. In relazione a questa vicenda Heidegger inviò la sua
ultima comunicazione amministrativa al Ministero del Culto del Baden, in data 23 aprile 1934.297
Occorre ancora aggiungere che Lampe era uno dei più decisi avversari di Heidegger. Con Ritter e
altri professori di Friburgo, Lampe, dopo la guerra, fece parte del tribunale che esaminò le
imputazioni che costarono a Heidegger la sospensione dal diritto di insegnare all’Università
di Friburgo.
Infine Ott ha pure dimostrato la falsità dell’affermazione di Martin Heidegger, secondo cui il
giornale nazionalsocialista del Baden, «Der Alemanne», avrebbe salutato la nomina al rettorato del
professor Kern come quella del «primo rettore nazionalsocialista dell’Università».298 Nel numero
del 30 aprile 1934 il giornale si limitò a riportare il testo della decisione ministeriale sotto il titolo
Cambiamenti al rettorato dell’Università di Friburgo; in tale comunicato Heidegger veniva
ringraziato per la sua gestione.299
L’iniziativa delle dimissioni dal rettorato sembra dunque doversi ascrivere allo stesso Heidegger.
Comunque, se non pare corretto parlare di un intrigo fomentato dal Ministero del Culto e dalle
forze conservatrici dell’Università, va però rilevato che l'azione di queste due componenti si
muoveva nello stesso senso. Nazionalsocialista su posizioni radicalmente populiste,
«rivoluzionario», refrattario a qualsiasi compromesso con la necessità di rispettare un ritmo
«graduale» di sviluppo politico, Heidegger rappresentava un pericolo, sia per la direzione politica
nazista che per i conservatori che vedevano, con lui, minacciata una struttura universitaria che, bene
o male, garantiva le loro prerogative. Per la direzione nazista, il suo modo di procedere rischiava di
rimettere in discussione tutte le alleanze e i compromessi ancora necessari, in un momento in cui
la questione fondamentale continuava a essere quella del consolidamento del potere. Il patto tra il
«vecchio» e il «nuovo», denunciato da Heidegger nel testo del 1945,300 si basava su ragioni
politiche per lui inaccettabili e incompatibili con la sua opzione nazionalsocialista radicale. Le
motivazioni per mettere Heidegger fuori gioco erano dunque ben diverse per gli uni e per gli altri.
Diversi erano anche i rapporti di Martin Heidegger con i due gruppi. Mentre l’ostilità dei
conservatori non verrà mai meno, i rapporti di Heidegger con il Partito, le autorità e il movimento
saranno di registro diverso. Con le sue dimissioni, Heidegger rese possibile il ritorno alla
«normalità» nell’Università di Friburgo. Ciò viene chiaramente espresso, dal punto di vista
conservatore, dal professor Konstantin von Dietze, che, riandando alla situazione di quell’epoca,
dice: «All’Università di Friburgo, dopo il rettorato Heidegger è tornata una certa calma...»301
Parte terza. Dopo il rettorato (dal 1934 all’intervista postuma)
Capitolo 1. L’Accademia dei professori del Reich
La dichiarazione dell'agosto 1934
Martin Heidegger ascriveva il fallimento del tentativo di rivoluzionare l’Università di Friburgo alla
stessa dirigenza politica dell’Università, che aveva disertato, a suo parere, da quella che egli
riteneva «la grandezza e verità interna» del nazionalsocialismo. La sua devozione all'«idea» nazista
e alla strategia politica generale del regime non furono, però, messe in questione da tale vicenda. Ne
fanno fede la sua attiva militanza nella NSDAP fino al 1945 e anche le sue prese di posizione
successive alla «rottura», rottura che si presume sarebbe avallata dalle dimissioni dal rettorato di
Friburgo. Ad analoghe conclusioni si giunge considerando l’atteggiamento di Heidegger nei
confronti di Hitler e del movimento nazionalsocialista, che egli continuerà, pur sempre, a
riconoscere come le istanze dirigenti della società tedesca.
Alla morte di Hindenburg, Hitler stabilì di accentrare nelle proprie mani le funzioni sia di
cancelliere che di presidente del Reich, risolvendo, però, di dare a tale sua decisione la veste della
sanzione popolare tramite un plebiscito, che venne indetto per il 19 agosto 1934. Il rilievo politico
di un siffatto progetto sollecitò la generale mobilitazione di tutte le forze fautrici del nazismo,
comprese quelle del mondo scientifico e culturale. Il «Völkischer Beobachter», come tutta la grande
stampa tedesca, pubblicò una dichiarazione sottoscritta da eminenti personalità della scienza e della
cultura. Ecco il testo dell’appello, firmato anche da Heidegger:
«Il 19 agosto il popolo tedesco si troverà nuovamente di fronte
a una decisione cruciale per il proprio avvenire. La risoluzione del governo del Reich di riunire
nella persona di Hitler le funzioni di cancelliere e di presidente del Reich ha messo fine all’angoscia
che ha assalito numerosi tedeschi nei giorni in cui il nostro popolo ha vegliato, sul letto di morte, il
defunto presidente del Reich, maresciallo di campo. Noi firmatari, rappresentanti della cultura
tedesca in nome di tanti altri uomini di scienza che non abbiamo avuto l’opportunità di raggiungere,
esprimiamo la nostra fiducia in Adolf Hitler come Führer dello Stato, che sottrarrà il popolo tedesco
al bisogno e all’oppressione. Noi crediamo fermamente che, sotto il suo comando, la scienza
riceverà il sostegno di cui ha bisogno per adempiere all’alta missione che ad essa incombe nella
ricostruzione nazionale.
L’importanza della posta in gioco, tanto per la politica estera come per la politica interna, esige che
il popolo tedesco dia ancora una volta prova di unità e di spirito di decisione nella ricerca
della libertà e dell’onore con una professione di fede a favore di Adolf Hitler. I firmatari,
rappresentanti della scienza tedesca, rispondono all’appello lanciato al popolo tedesco dal governo
del Reich, affinché il 19 agosto una decisione sia presa.»
Tra i firmatari compaiono: i professori Nicolai Hartmann, Eugen Fischer (Berlino), Walter Jaensch
(Marburgo), Carl Schmitt (Berlino), Werner Sombart (Berlino), Trendelenburg (Berlino),
Karl Haushofer (Monaco), Krüger (Greifswald), Martius (Gottinga), von Müller (Monaco),
Petersen (Berlino), Panzer (Heidelberg) e altri ancora. La concentrazione nella persona di Hitler
delle cariche di capo del governo e di capo dello Stato era una questione di merito tutt’altro che
marginale: scomparso Hindenburg, non sussisteva più alcuna autorità in grado di offrire garanzie
«nazionali» (benché si trattasse di garanzie del tutto teoriche) e si apriva la via a un totalitarismo
spinto all’estremo. Il nuovo ruolo assunto da Hitler gli conferiva, inoltre, la possibilità di imporre
alle forze armate il giuramento di fedeltà, consolidando così definitivamente il suo potere.
Fu, d’altronde, proprio il venir meno delle garanzie nazionali a fornire l’opportunità giuridica per
l’emanazione delle leggi razziali hitleriane (Nürnberger Gesetze) che, nel 1935, priveranno gli ebrei
di ogni diritto di cittadinanza.1
Heidegger e l’Accademia dei professori del Reich
In uno scritto del 1945 Heidegger dichiarò che chi accettava funzioni ufficiali all’Università dopo il
30 giugno 1934, ben sapeva quale compagnia si fosse scelto. Questa affermazione gli si può
ritorcere contro: nel settembre 1934 Heidegger collaborò, infatti, con il Ministero dell’Educazione
di Berlino a progetti di grande portata, concernenti la politica universitaria, cercando, per di più, di
assumerne la direzione. Nel caso in esame era in discussione la proposta ministeriale di
organizzazione dell’Accademia dei professori del Reich tedesco (Dozentenakademie des Deutschen
Reiches).
Poliakov e Wulf riportano, nel loro saggio Das Dritte Reich und seine Denker (Il Terzo Reich e i
suoi pensatori),2 una lettera del dottor Gross, presidente dell’Associazione dei medici tedeschi e
responsabile dell’Ufficio per la purezza della razza della NSDAP, indirizzata al capo dell’Ufficio
affari esteri del Partito, Thilo von Trotha. In essa ci si riferisce a Martin Heidegger come a un
serio candidato alla presidenza della Preussischer Dozentenschaft e si segnalano i pericoli inerenti a
tale eventualità, almeno per la linea politica /sostenuta da Krieck e Jaensch. Il dottor Gross pregava
Thilo von Trotha di informare tempestivamente della questione Rosenberg. Purtroppo, Poliakov e
Wulf non hanno indicato nel loro lavoro la data a cui risale la lettera, rendendo difficile collocarla
nel suo contesto. Abbiamo però potuto rintracciare l’originale nell’archivio del Centro di
documentazione ebraica contemporanea di Parigi e siamo così stati in grado di costatare che essa fu
scritta il 26 febbraio 1934. Ci siamo allora messi alla ricerca dei documenti che ne facilitassero la
comprensione e l’utilizzazione. Molti di questi documenti si trovano presso l’Archivio centrale
dello Stato di Merseburg e consentono di ricostruire i dati del problema.
La lettera del dottor Gross era del seguente tenore:
«Da molte parti mi viene fatta notare con insistenza l’attività di Heidegger a Friburgo; costui ha
saputo farsi valere, già oggi, in circoli molto vasti, come il filosofo del nazionalsocialismo.
Non essendo in grado, per il momento, di giudicare personalmente, ho interpellato poco tempo fa
Jaensch a Marburgo (anche voi lo conoscete per averlo incontrato in occasione della visita
di Rosenberg a Monaco). Come risposta Jaensch mi ha inviato un rapporto totalmente negativo, che
egli aveva già scritto dietro una analoga richiesta di Krieck.
A quanto risulta, Heidegger è seriamente in lizza per la direzione della Preussischer Dozentenschaft.
La prego di parlare della cosa con Rosenberg, affinché, nel caso non ne sia al corrente, si
faccia carico di questa questione manifestamente pericolosa.»
Rosenberg, in una lettera del 6 marzo 1934 al ministro Rust, lascia intendere di non disporre di
ulteriori informazioni «sulla persona del professor Heidegger», nei cui confronti era stato, peraltro,
più volte messo in guardia da «diverse sezioni del Partito», e termina raccomandando a Rust di
procurarsi notizie in proposito.3 L’idea della creazione dell’Accademia era nota, soprattutto, grazie
a un articolo di W. Rudolf, comparso su «Der Deutsche Student» del febbraio 1934.4 La
Preussischer Dozentenschaft aveva il compito di conglobare al più presto il personale docente - non
ancora titolare di cattedra - delle Università di Colonia, Halle, Marburgo, Königsberg, Giessen,
Kiel, Breslavia, Gottinga, Münster, Bonn, Berlino, Francoforte sul Meno e Greifswald, per poi
estendere la propria influenza al resto del Reich. La finalità della ventilata Accademia era di
rimodellare il corpo insegnante, per l’esattezza tutti i futuri professori ordinari, secondo gli indirizzi
adottati, PII novembre 1933, dal Ministero delle Scienze e dell’Educazione.
Tali disposizioni prevedevano la riorganizzazione dell’insieme degli insegnanti - incaricati, liberi
docenti e assistenti - nella Dozentenschaft di ciascuna università. La Preussische Dozentenschaft,
con sede a Berlino, aveva il compito di centralizzare le strutture locali. L’obiettivo era di esercitare
un controllo politico, ideologico e amministrativo sull’area dei giovani «accademici» che più tardi
avrebbero presumibilmente assunto le funzioni di professore ordinario. La nuova legislazione
accordava l’autorizzazione a insegnare nelle università (la venia legendi e l’abilitazione) ai soli
professori che avessero seguito i corsi di indottrinamento politico. Sotto il profilo giuridico, alle
Facoltà era sottratta la tradizionale prerogativa di conferire la venia legendi, per riservarla
unicamente al Ministero.5 La Preussischer Dozentenschaft doveva essere l’istanza suprema,
esecutiva, destinata a gestire l’insegnamento universitario in tutto il Reich.
3
L’organizzazione dell’Accademia fu demandata dal Ministero al sottosegretario Wilhelm Stuckart.
Questi - lo stesso personaggio che nel 1933 si era adoperato per imporre all’Università di Berlino la
scelta di Heidegger - era un autorevole esponente del Partito, considerato tra i duri. Egli era, tra
l’altro, presidente onorario della Società per l’igiene razziale di Vienna e presidente
effettivo dell’Associazione tedesca per l’igiene razziale.6 Membro della NSDAP fin dal 1922 e SS
dal 1936, aveva ricevuto numerose onorificenze (Totenkopfring,Jullèuchter, Ehrenwinke con la
stella e il pugnale d’onore delle SS) e pervenne al grado di Obergruppenführer delle SS nel 1944. Il
dossier della sua corrispondenza con Hitler e con Himmler è consultabile presso il Centro di
documentazione di Berlino. Come giurista dedicò i propri lavori di maggior rilievo a questioni di
diritto relative all’istruzione e all’amministrazione dei paesi occupati, alla quale ultima in
particolare fornì una base normativa. Le sue opere più importanti, nei due settori citati,
sono, rispettivamente, Nationalsozialistische Rechtserziehung (Educazione giuridica
nazionalsocialista, 1935) e Der totale Krieg und die Verwaltung (La guerra totale e
l’amministrazione, 1943). Per la miscellanea pubblicata in omaggio a Himmler (Darmstadt 1933),
in occasione del suo quarantesimo compleanno, egli scrisse Zentralgewalt, Dezentralisation und
Verwaltungseinheit (Potere centrale, decentramento e unità amministrativa). Vale, infine, la pena di
ricordare che Stuckart, dopo aver già collaborato nel 1935 alla formulazione delle leggi razziali,
partecipò poi anche alla Conferenza di Wannsee, nella quale si progettò e si organizzò lo sterminio
su scala industriale di tutti gli ebrei dell’Europa. Dal tribunale di Norimberga fu giudicato come
criminale di guerra e condannato a quattro anni di carcere.7
La proposta della creazione dell’Accademia dei professori del Reich fu avanzata da Stuckart in una
lettera circolare del 18 agosto, indirizzata ai professori Martin Heidegger, G. A. Walz (rettore
dell’Università di Breslavia), Werner Studenkowski, Otto Reche, Friedrich Klausing, Friedrich
Neumann (rettore dell’Università di Gottinga), Lothar Wolf (rettore a Kiel) e Hans Heyse (rettore a
Königsberg). Stuckart sottoponeva, per tal via, all’attenzione dei destinatari una bozza di progetto
complessivo, richiedendo loro, nel contempo, sempre in vista dell’organizzazione dell’Accademia,
un personale contributo di idee.8I professori che si volevano coinvolgere erano militanti di rango
eminente, e ciò spiega il rapporto privilegiato con essi intrattenuto da Stuckart; d’altro canto, il fatto
che egli stesso ne sollecitasse l’apporto a un progetto di così ampia portata politica non fa che
sottolineare il prestigio di cui essi godevano. Vediamo ora quali ragguagli sul loro conto possiamo
ricavare dalle schede di partito conservate al Centro di documentazione di Berlino.
Walz era militante nazista dal 1931. Consulente giuridico presso la Facoltà di diritto dell’Università
di Marburgo, vi ottenne la venia  legendi nel 1927. Iniziò la carriera di professore ordinario a
Breslavia nell’ottobre 1933 e, nel dicembre, era ormai rettore di quell’università.
Werner Studenkowski era un militante di vecchia data. Nel 1925 era già Führer degli studenti
nazisti di Lipsia e nel 1926 ebbe l’incombenza di oratore ufficiale nel Partito. Dal 1927 al 1928
ricoprì la carica di dirigente della sezione berlinese della NSDAP. A partire dal 1934, egli sarà
Gauamtsleiter (capoufficio distrettuale) per l’educazione politica in Sassonia e responsabile
dell’Ufficio per l’educazione degli adulti della NSDAP; svolgerà funzioni analoghe
anche all’Università di Lipsia e all’Università tecnica di Dresda. Curava, inoltre, la pubblicazione
della rivista «Die Vorposten».
Il professor Otto Reche, esperto di antropologia e di etnologia, era direttore, a Lipsia, dell’Istituto
universitario di scienze della razza e delle popolazioni nonché dell’Istituto etnologico di Stato.
Autore dello scritto Die Rassen der deutsche Volkes (Le razze del popolo tedesco, 1933) e direttore
della «Rivista di fisiologia delle razze», era anche presidente della Società tedesca per la ricerca sul
sangue. Fondatore, con altri, nel 1919, del partito estremista Völkisch Soziale Partei, pubblicò, in
qualità di docente dell’Università di Vienna, Die Bedeutung der Rassenpflege für die Zukunft
unseres Volkes (L’importanza dell’igiene razziale per il futuro del nostro popolo, 1938). Allorché
Stuckart gli si rivolse per interessarlo al progetto dell’Accademia, egli era attivo presso l’Ufficio per
la purezza della razza di Dresda. La corrispondenza da lui intrattenuta con i dirigenti delle SS di
Praga è raccolta presso il Centro di documentazione di Berlino: egli vi richiede di poter cooperare,
in veste di consulente, alle ricerche sulla razza condotte dalle SS nei campi di concentramento della
Cecoslovacchia occupata.
Il professor Friedrich Klausing era un impegnato collaboratore della rivista «Volk im Werden»,9
espressione politica della frazione di Ernst Krieck, di cui egli era appunto l’uomo di fiducia e con
il quale curava le pubblicazioni della serie Die Deutsche Hochschule (L’università tedesca,
Marburgo 1935). Nel marzo 1935 era preside della Facoltà di diritto di Marburgo e, nel 1944,
diverrà rettore dell’Università di Praga. Quando la partecipazione del figlio all’attentato del luglio
1944 contro Hitler, organizzato da von Stauffenberg, fu di pubblico dominio, Klausing si suicidò.
Nelle «Proposte per la struttura interna dell’Accademia dei professori» - di pugno probabilmente
dello stesso Stuckart - si specifica che l’Accademia dovrà svolgere funzioni completamente diverse
da quelle proprie delle altre accademie esistenti (l’Accademia delle scienze di Prussia o
l’Accademia di Francia). Essa «deve diventare la roccaforte di un’organizzazione intellettuale del
lavoro, nel senso migliore del termine». Prima ancora che essa sia strutturata in via definitiva,
occorre costituire, come suo nerbo, un gruppo di membri permanenti a cui venga affidato
l’insegnamento. La finalità dell’Accademia è di «formare i giovani professori per fare di loro degli
educatori e degli scienziati nello spirito nazionalsocialista», e di preparare le future generazioni di
professori tedeschi. Nel campo scientifico è essenziale approfondire l’aspetto ideologico della
concezione del mondo; in vista di tale obiettivo, appunto, l’Accademia dovrà indirizzare la
riorganizzazione delle attività scientifiche. Il suo programma dovrà, di conseguenza, prevedere corsi
generali rivolti a tutta la nuova generazione di insegnanti universitari e corsi specifici destinati ai
diversi settori della scienza. Si prevede, oltre alle figure dei direttori di corso e dei professori
incaricati di tenerli, un ruolo di responsabile per l’educazione fisica e la formazione culturale
(retorica, canto e teatro). Gli allievi saranno selezionati, in una prima fase, secondo le loro qualità
intellettuali, psichiche e fisiche. Tale selezione si prefigge di trascegliere i candidati che abbiano le
potenzialità per divenire degli autentici Führer nazionalsocialisti. La prima cernita dovrà limitarsi
alla cifra di quaranta aspiranti. L’insegnamento dispensato dall’Accademia dovrà garantire una
formazione ideologica del massimo livello e un rigoroso apprendistato volto a fornire ai futuri
professori la capacità di affrontare le questioni poste dalla riforma universitaria.
L’obiettivo è, quindi, di gettare le basi della futura università e della nuova scienza
nazionalsocialista, senza attenersi, come sola norma, a criteri di specializzazione.
I corsi saranno suddivisi in tre sezioni. Una prima sezione si occuperà di analizzare l’ordinamento e
lo sviluppo delle università negli ultimi 150 anni: la loro evoluzione storica e la concezione
nazionalsocialista dell’università in contrapposizione al liberalismo e alla scienza oggettiva. Una
seconda sezione si interesserà dei rapporti tra pedagogia e direzione delle masse (Führung), nonché
della storia della pedagogia in relazione alla storia della cultura, assicurando un’attenzione tutta
particolare alle analisi di Alfred Rosenberg. Una terza sezione, infine, approfondirà le nozioni di
università nuova, di università politica, di socialismo, di riforma e di rivoluzione universitaria.
Tra i professori che dovranno impartire l’insegnamento nei corsi, è indispensabile figurino un
filosofo, un pedagogo, un medico e un giurista. In particolare, i corsi concernenti le scienze
dovranno tener conto delle connessioni tra le discipline specifiche e gli interessi del popolo e dello
Stato.
Nel paragrafo del progetto dedicato alla «Vita nell’Accademia dei professori», si precisa che il
direttore dei seminari, i professori e tutti i partecipanti saranno tenuti a realizzare, per tutta la
durata del corso, una «stretta comunità di vita nell’ambito dell’Accademia». Il ritmo quotidiano
della comunità dovrà realizzare l’unità di attività e riposo, di lavoro intellettuale e lavoro fisico, di
impegno del corpo e impegno artistico. L’esercizio fisico non si limiterà ai giochi e alla ginnastica,
ma si svilupperà anche in lavori di resistenza (costruzione di strade, agricoltura, orticoltura) e in
tutto quanto possa rientrare nel servizio del lavoro. Per favorire il lavoro intellettuale si prevede
l’allestimento di una biblioteca con abbonamenti a riviste e periodici.
Una parte di rilievo del progetto è riservata alla disciplina dell’oratoria: occorre forgiare insegnanti
che, garantendo la massima saldezza nei princìpi, siano anche buoni parlatori, in grado di
intervenire con successo in qualsiasi tipo di dibattito. La direzione dell’Accademia sarà nelle mani
di un funzionario nominato dal ministro dell’Educazione e delle Scienze. I responsabili dei corsi
saranno designati sempre dal ministro, ma su indicazione del direttore
permanente. Gli allievi-professori saranno prescelti dal Ministero, di concerto con l’organizzazione
nazionalsocialista degli insegnanti dell’università interessata. Il progetto si conclude affermando
per l’Accademia il ruolo di agente essenziale nella trasformazione dell’università, di futuro organo
decisionale sulle carriere degli insegnanti di tutto il Reich, di fulcro dello sviluppo
dell’insegnamento e della ricerca. L’Accademia manterrà queste funzioni anche quando la nuova
università tedesca avrà visto la luce e si configurerà come «un’autentica università
nazionalsocialista».
La documentazione custodita a Merseburg non chiarisce quanti, tra i professori consultati, abbiano
fatto pervenire i loro contributi al sottosegretario Stuckart. Quello che è certo è che inviarono
dei progetti, in collaborazione, i professori Lothar Wolf e Hans Heyse, e, singolarmente, i professori
Friedrich Neumann, Otto Reche e Martin Heidegger. Il fascicolo menziona un quinto progetto, di
cui non è però possibile identificare l’autore. La proposta di Heidegger si distingue per la sua
ampiezza (sei pagine, invece delle cinque di Stuckart), e per la cura con cui sono state redatte le
concrete proposte organizzative. Essa esprime un’originale concezione
pedagogica, meticolosamente ponderata.
Nella lettera di accompagnamento al progetto, Heidegger scriveva a Wilhelm Stuckart:
«Condiscendendo al Suo desiderio, Le invio in allegato la mia presa di posizione sull’istituzione
dell’Accademia dei professori. Quanto alle “proposte” che mi sono state inviate, approvo tutto
ciò che non critico esplicitamente.
Un saluto tedesco e Heil Hitler! Suo devotissimo Heidegger» (28 agosto 1934).
La bozza di progetto elaborata da Martin Heidegger inizia con l’illustrazione degli obiettivi:
« 1) La creazione della scuola per docenti si determina in relazione al suo fine. Esso è: educare
quegli insegnanti universitari che hanno l’intenzione e la capacità di realizzare l’università tedesca
del futuro.
2) L’educazione all’insegnamento universitario deve porsi i seguenti compiti:
a) destare e consolidare l’attitudine educativa (il docente non va inteso come il ricercatore che
trasmette gli esiti delle proprie e altrui indagini);
b)    ripensare la scienza tradizionale sulla base delle problematiche e delle forze del
nazionalsocialismo;
c)    sviluppare il sapere, di carattere operativo, sulla futura università in quanto comunità
educativa, basata su di una conchiusa visione del mondo.»
Facendo propria una concezione pedagogica basata più sull’esempio dell’educatore che non sui
contenuti, Heidegger così prosegue:
«3) Questo triplice compito può essere attuato solo in un luogo il quale faccia essere realtà
esemplare l’attitudine educativa, la trasformazione della scienza e la comunità di vita.
Sono insufficienti, quando non dannosi, i meri “corsi” “sopra” l’educazione e l’istruzione pubblica,
la mera “istruzione” “sopra” la “scienza obiettiva”, “sopra” l’“università” e la “riforma
universitaria”. Perciò,
4)    non “corsi di preparazione”, ma una scuola effettiva. Vale a dire, gli allievi devono mettere alla
prova il loro futuro lavoro educativo lavorando in comune con gli insegnanti.
In quanto stabile e duratura istituzione, la scuola deve sviluppare un proprio spirito caratteristico
(nel modo di pensare, nell’atteggiamento, nei criteri di misura) e deve creare una tradizione che si
mantenga impegnativa anche dopo il tempo di soggiorno nella scuola. In campo educativo, nulla è
più persistente dell’influsso inespresso dell’“ atmosfera”.
La scuola per docenti deve diventare un’istituzione permanente. Essa, difatti, non diventerà
superflua neanche quando, un giorno, i futuri insegnanti saranno educati nella “scuola superiore”
nazionalsocialista, nella Gioventù hitleriana o addirittura nell’università nazionalsocialista. Anche
allora, il compito professionale del docente universitario resterà altrettanto problematico di quello
delle altre specie di insegnamento, per le quali sussistono istituzioni “formative”.
5)    La scuola è una “comunità scolastica”. La vita communis di insegnanti e allievi è assicurata
dalla severità dell’ordine del giorno e dalla semplicità del tenore di vita, dall’avvicendarsi naturale
di lavoro scientifico, distensione, raccoglimento, gioco agonistico, lavoro fisico, escursioni, sport e
ferie.
La scuola, quindi, non è affatto un “campo”. Essa deve dare assolutamente, ai singoli insegnanti e
allievi, l’opportunità di svolgere un proprio lavoro e di seguire una propria preparazione. Ciò che
viene fatto per la comunità non può sorgere esclusivamente all 'interno e mediante la comunità, ma
richiede solitudine e raccoglimento autentici.
6) Ancor più importanti di qualsiasi piano e regolamento della scuola, sono la figura, l'orientamento
della volontà e la capacità del direttore e dell’insegnante. Essi devono esercitare la loro
influenza anzitutto in base a ciò che sono e a chi sono, e non grazie a ciò di cui, e sopra cui,
“discorrono”:
a)    essi devono essere “nazionalsocialisti” proprio in relazione al loro compito più specifico. Non è
sufficiente che siano uomini politicamente affidabili, e che inoltre curino ordinatamente la loro
materia, ma è necessario che essi, in quanto nazionalsocialisti dello spirito, siano in grado di
preparare dal suo interno la rivoluzione della scienza;
b)    il direttore e gli insegnanti (perlomeno un piccolo “tronco”) devono potersi dedicare
completamente a questo compito. L’impegno integrale in questo settore educativo non può, perciò,
essere portato a termine come qualcosa di “incidentale” - magari durante le vacanze semestrali -
bensì solo come “occupazione centrale”;
c)    i singoli insegnanti verranno innanzitutto da università diverse. La loro provenienza scientifica,
il loro “linguaggio” e i loro “concetti”, saranno differenti. Si rende necessario, perciò, al fine di
assicurare compattezza al loro impegno, una costante preparazione in comune, sia prima, sia
durante il corso.»
Al fine di sottrarre l’Accademia al rischio dell’inerzia burocratica, Martin Heidegger propone:
«La scelta iniziale del direttore e dell’insegnante non deve essere subito definitiva. Ma va anche
evitata - a meno di un evidente fallimento - una loro rapida sostituzione. Bisogna fare in modo
che essi abbiano a disposizione un adeguato periodo di tempo per fare le esperienze, assorbire i
contraccolpi, crescere e maturare con i nuovi compiti. »
Va assicurata una connessione tra le attività dell’Accademia e il mondo universitario:
«Il direttore e l’insegnante devono essere costantemente informati su fini e indirizzi dell’intera
organizzazione scolastica pubblica, con particolare riguardo alla “scuola superiore”. Poiché, se
l’attività didattica dei docenti della Facoltà di filosofia deve essere nuovamente finalizzata
all’educazione di insegnanti e non di “filologi”, bisogna infondere nelle nuove leve di tale Facoltà
un’immagine vivente della futura “scuola superiore”. Parimenti, le trasformazioni in atto nel mondo
professionale del medico e del giudice, devono esercitare la loro influenza all’interno della scuola
per docenti...»
Heidegger illustra quindi concretamente secondo quali linee, insieme semplici e rigorose, debba
attuarsi l’educazione dell’educatore:
«7) Il carattere fondamentale dell’educazione che viene impartita dalla scuola per docenti, è la
seguente.
Gli allievi apprendono a fare esperienza e a esercitare il loro futuro lavoro in base a compiti di
responsabilità (direzione di dibattiti, prese di posizione sulle questioni aperte della loro materia,
dispiegamento e fondazione coerente dei compiti politico-spirituali fondamentali).
Dalla viva esperienza degli insegnanti che presentano le loro lezioni, le quali, per quanto riguarda il
contenuto, si inseriscono nei compiti educativi fissati di volta in volta dalla scuola, gli allievi
apprendono a impostare le lezioni in base a ciò che è essenziale, apprendono la costruzione interna
di una conferenza, nonché la vivacità e l’efficacia.
Sulla stessa via gli allievi si educano ai dibattiti e alle disputationes, alla capacità di ascoltare,
all’enucleazione dell’essenziale, alla motivazione sobria, all’autentica severità della lotta e, in primo
luogo, al rispetto rigoroso del senso della domanda e della concatenazione degli argomenti. (A tal
riguardo, la mancanza di disciplina e l’incapacità del pensiero, l’insufficiente padronanza di parole
e concetti, quali oggi, e da tempo, dominano nei seminari universitari, hanno quasi oltrepassato ogni
limite. Una trasformazione è possibile solo tramite insegnanti universitari di nuova e diversa
formazione.)»
Onde garantire ai professori la massima autonomia d’azione rispetto alle situazioni accademiche di
provenienza, Heidegger suggerisce che la scuola sia situata a una certa distanza da qualsiasi centro
universitario. Heidegger entra anche nel dettaglio relativamente all’organizzazione materiale e
quotidiana della scuola per docenti. Alcune proposte, come quelle che traspaiono dai passi in cui si
allude alla vita communis e alle disputationes, evocano le regole di un ordine monastico.
«9) Sono richiesti: un’aula per le lezioni, piccoli locali per i dibattiti a gruppi, un refettorio con un
leggio, uno spazio adeguato per la ricreazione in comune e per la musica, un dormitorio comune per
gli allievi. Al contrario, vi debbono essere celle di lavoro singole o doppie. Il direttore e
l’insegnante, giacché la loro opera sarà spesso richiesta anche oltre l’ordine del giorno, dovrebbero
anche dormire nelle loro celle.
10) La biblioteca deve essere una biblioteca di lavoro, messa su con scrupolo e gradualmente. Essa
appartiene alla scuola come l’aratro al contadino. La biblioteca deve disporre anche di una sala
di lettura per giornali e riviste. Ogni ospite della scuola deve avere libero accesso all’intera
biblioteca. Gli allievi devono prendere parte alla sua creazione e, in tal modo, imparare cosa vuol
dire, autenticamente e fondamentalmente, valutare uno scritto. Niente oggi caratterizza meglio
l’intima dissoluzione della vita scientifica, quanto lo stato in cui versa la “critica letteraria”...»
Quanto al numero dei partecipanti e all’iter di selezione, Heidegger propone:
«11) Il numero degli allievi non deve oltrepassare in alcun modo i quaranta. Se si decide di
ammettere come allievi solo coloro che preparano l’abilitazione, o che sono già abilitati, alla scuola
non resta altra possibilità, nella selezione dei candidati, che di respingere come non appropriate le
nuove leve che eventualmente le si proponessero dall’esterno. Infatti: anche coloro che preparano
l’abilitazione sono già stati scelti dai loro “ordinari”. E chi può garantire che questi ultimi,
consapevolmente o no, non ignorino e trascurino proprio coloro che sono più adatti a far parte del
corpo docente universitario del futuro? Per tale motivo, l’accesso alla scuola per docenti deve esser
lasciato libero agli studenti più anziani e ai laureati. Può darsi che, grazie all’azione della scuola,
abbiano a risvegliarsi giovani forze per la professione del docente universitario, le quali, invece, si
allontanano dall’attuale università e dal suo funzionamento.
Anche per ciò che riguarda l’iscrizione degli abilitati, dato il gran numero degli aspiranti, si
presentano rilevanti difficoltà. In questo caso, spetta ai direttori dei docenti delle università locali
eseguire, d’intesa con persone professionalmente qualificate, una prima selezione (...)
Gli abilitati sono tenuti, dopo due anni di attività di insegnamento, a frequentare la scuola per
docenti per un corso di ripetizione e perfezionamento, e ciò anche, e soprattutto, se nel frattempo
sono stati promossi.»
Heidegger puntualizza, infine, secondo quali criteri vada definita la durata dei corsi:
« 12) La durata minima del corso è di tre mesi. Nello stabilire le date per lo svolgimento dei corsi, è
necessario tener conto che il direttore e l’insegnante principali non devono perdere
completamente il loro legame con l’università, ma che, anzi, devono restare con essa, e soprattutto
con i giovani studenti, in intima comunione...»
Heidegger non trova nulla da eccepire riguardo al progetto interlocutorio sottopostogli da Wilhelm
Stuckart, salvo, da una parte, per quanto concerne l’orientamento, in esso presente, a limitare
l’attività dell’Accademia (che Heidegger designa, come si è visto, col nome di scuola) a una serie di
corsi generali, scelta incompatibile con le esigenze di qualità, e, dall’altra, perché tali corsi
comporterebbero «la sottovalutazione delle esigenze e delle difficoltà della “progettazione
scientifica”. Se nell’attività scientifica deve esser superato, e per l’avvenire evitato, l
’“americanismo” che, comunque, già oggi è fin troppo potente, si tratta di dare alla scienza la
possibilità di crescere in base alle sue intime necessità. Ciò può accadere solo e unicamente tramite
l’“ influsso determinante di singole personalità”. Questo non significa dominio esclusivo di singole
scuole e tendenze, ma si tratta solo dell’esigenza del “conflitto”, il quale anche e precipuamente
nelle cose dello spirito è il “padre di tutte le cose” ».
Le iniziative sviluppate da Martin Heidegger attorno all’assetto e alla gestione dell’Accademia dei
professori - alla cui guida egli poneva chiaramente la propria candidatura - sembra siano state
attuate in collegamento con Lothar Wolf e Hans Heyse, rettori rispettivamente delle Università di
Kiel e di Königsberg. Wilhelm Stuckart espresse il proprio consenso per l’idea, pregando, però,
nella comunicazione indirizzata ai personaggi sopra citati, di trattare la questione «con la massima
riservatezza». In effetti, in una lettera datata 18 aprile 1934, Stuckart informava il dottor Achelis,
consigliere presso il Ministero dell'Educazione di Berlino, di aver richiesto ai professori Heidegger,
Wolf e Neumann di redigere, in collaborazione, un piano per l’Accademia e di suggerire una lista di
persone da cooptare nel corpo insegnante del prospettato istituto. Evidentemente, questo progetto
collettivo non si concretizzò, se ciascuno degli interpellati - Heidegger, Neumann, nonché Wolf
unitamente a Heyse
-    produsse una bozza personale. Neumann, prima di trasmettere a Stuckart, PII agosto 1934, il
proprio progetto, ne aveva elaborato un altro, assai più definito nei particolari, di cui si può
prendere visione presso l’archivio dell’Università di Gottinga. Quest’ultimo
-    che Neumann spedì l’8 maggio 1934 - presenta parecchie affinità con la bozza interlocutoria,
sottoposta da Stuckart all’attenzione di Heidegger fin dall’inizio; si giustifica, quindi, l’ipotesi che il
sottosegretario abbia tratto ispirazione, nello stilare la propria proposta, dalla primitiva stesura di
Neumann.
Gli atti conservati presso l’Archivio centrale di Stato di Merseburg rivelano che il piano di
massima, relativo all’Accademia dei professori, ricevette l’assenso definitivo da parte delle
autorità ministeriali; la nuova istituzione si vide così assegnare, per avviare la propria attività, una
villa a Kiel, completamente rinnovata e risistemata.
Stuckart, nell’aprile 1934, aveva invitato l’Amt Wissenschaft a partecipare alle conferenze di
formazione; alla sollecitazione rispose Alfred Bàumler, il più stretto collaboratore di Rosenberg,
impegnandosi a tenere un intero corso destinato agli insegnanti selezionati per uno dei primi
semestri. È a questo punto che Rosenberg sembra aver dato la propria personale approvazione al
progetto.
I documenti che abbiamo avuti a disposizione nulla ci dicono circa gli esiti conclusivi della vicenda
dell’Accademia dei professori. Abbiamo tuttavia accertato che otto corsi furono messi in cantiere ed
effettuati. I due primi ebbero luogo a Kiel dal 9 al 22 aprile e dal 23 aprile al 6 maggio 1934. Il
terzo corso fu anch’esso tenuto a Kiel sotto la direzione di Bàumler. Ernst Krieck diresse il
quarto corso, dal 6 agosto al 20 settembre; Friedrich Neumann il quinto, dal 5 agosto al 26
settembre; il professor Arnim il sesto, dal 17 settembre al 6 ottobre. I due ultimi corsi furono affidati
ai professori von Gleispach e Heyse, e si svolsero, rispettivamente, dal 2 al 20 ottobre 1934, e dal
16 ottobre al 3 novembre dello stesso anno. È assai probabile che il piano di centralizzazione della
formazione e dell’indottrinamento dei professori finisse con l’abortire. Avrebbe, cioè, subito una
sorte analoga ad altri consimili progetti portati al fallimento dal gioco incrociato degli intrighi, tanto
usuali tra i professori e i funzionari nazisti incaricati della riforma universitaria.
L’Accademia dei professori del Reich fu, presumibilmente, rimpiazzata da accademie di professori
realizzate in ciascuna università, e senza quel coordinamento centrale ipotizzato originariamente
da Stuckart.
L’insuccesso di questo progetto si può far risalire all’allontanamento di Stuckart dal Ministero
dell’Educazione. Uno studio sistematico sulle accademie decentrate, alle quali si è accennato, è
stato compiuto da Volker Losemann.10
Sembra, in definitiva, che Martin Heidegger abbia avuto concrete possibilità di diventare direttore
di un’istituzione destinata a controllare la selezione e l’indottrinamento di tutti i giovani insegnanti
universitari e, quindi, a esercitare, a medio termine, un ruolo egemonico sulla vita universitaria di
tutto il Reich. Due ragioni ce lo fanno pensare: da una parte, l’azione febbrile dispiegata dal gruppo
di Ernst Krieck per impedire a Heidegger di accedere a questo incarico; dall’altra, il peso avuto,
nella politica universitaria, fino a quel momento se non altro, da Heidegger e dai suoi
fiancheggiatori o collaboratori come Wolf, Neumann e Heyse. A ciò si aggiunga il credito di cui
fruiva Heidegger presso il Ministero dell’Educazione e delle Scienze. Tale influenza si era già
palesata allorché il sottosegretario Stuckart aveva interpellato, per ricoprire la cattedra
vacante presso l’Università di Berlino, appunto Heidegger e i suoi amici politici. Con queste
premesse si spiega la rapida e accesa reazione di Ernst Krieck.
Nell’archivio di Merseburg figurano alcune lettere indirizzate da Krieck a Erich Jaensch, che
riflettono una viva preoccupazione. Il 14 febbraio 1934 Krieck scriveva: «Prendono consistenza le
voci secondo cui verrebbe consegnata nelle mani di Heidegger, con l’Accademia dei professori
l’intera nuova leva delle università prussiane.
Questo sarebbe, a mio avviso, fatale. La prego di mettere a punto, per gli organi superiori del
Partito, un rapporto sull’uomo, sul suo atteggiamento, la sua filosofia, la sua lingua tedesca.»
Krieck suggerisce inoltre a Jaensch di fare avere al Ministero dell’Educazione di Monaco il
suddetto rapporto. Jaensch lo inviò direttamente a Berlino, non però a Stuckart, bensì al dottor
Schwalm, un funzionario di grado inferiore. Puntando ad esasperare la situazione, Jaensch
affermava: «Ho ricevuto ieri una lettera da Krieck, in cui mi si informa di esercizi spirituali tenuti,
poco tempo fa, al monastero di Beuron sotto la guida di Heidegger; e dire che nel frattempo costui
andava dicendo in giro di voler scrivere un libro contro il cristianesimo!»11
Krieck si riferiva, deformando, certo intenzionalmente, i fatti, a una conferenza sulla concezione del
tempo nelle Confessioni di sant’Agostino, pronunciata da Heidegger in presenza dei monaci
benedettini di Beuron. La redazione originale del testo del discorso si trova nell’archivio del
monastero, ma non è disponibile per la consultazione. I monaci di Beuron furono poi ammoniti
dall’arcivescovo Gröber di Friburgo per aver organizzato la conferenza, e ciò suscitò l’indignazione
di Heidegger.
Il rapporto di Jaensch seguì, comunque, il suo corso e, da Schwalm, fu inoltrato, il 23 febbraio
1934, al consigliere ministeriale, dottor Bargheer. Ci siamo già avvalsi di tale rapporto rievocando
le vicende che sfociarono nell’offerta rivolta a Heidegger di ricoprire la cattedra di Monaco. Ad
esso era accluso il resoconto di un esperimento effettuato da Jaensch, a quel tempo professore di
psicologia a Marburgo, su uno studente. Il test consisteva nell’osservare le reazioni del giovane di
fronte a frasi composte utilizzando il lessico heideggeriano. Jaensch traeva la conclusione che per lo
studente era possibile pervenire unicamente allo stadio in cui «si avverte» di aver compreso, senza,
peraltro, essere in grado di fornire spiegazioni dotate di coerenza.
Jaensch allegava, inoltre, una lettera del fratello, Walter Jaensch, professore alla Facoltà di medicina
dell’Università di Berlino, in cui si commentava una conferenza tenuta in questa città sul
pensiero filosofico di Heidegger. Il pubblico si era mostrato attento e appassionato; non c’era stato
chiaramente nessuno, però, che fosse riuscito a capirci alcunché. Lo stesso conferenziere, uno
«psicologo ebreo», aveva fatto tutto il possibile, ma inutilmente, per illustrare le questioni
fondamentali.
«Dopo una pausa, non potei trattenermi dal dire ai partecipanti che qui, senza dubbio alcuno, si
trattava del prodotto di uno stato di malattia mentale, e che a mio giudizio la filosofia
dell’esistenza, nella particolare impronta datale da Heidegger, non era altro che chiacchiera
schizofrenica, con la quale si cercava di dare l’apparenza di importanza a mere banalità; la qual
cosa, fatta in questo grado, può provenire soltanto da uno spirito malato. L’interprete ebreo di
Heidegger - era un medico - mi disse: “ Signor dottore,
io    sono d’accordo. Ma oggi è molto pericoloso giudicare negativamente Heidegger. Oggi, infatti,
si dice dappertutto che Heidegger è il maggior pensatore del nostro tempo e il filosofo del
nazionalsocialismo. Li ascolti cantare (in quel momento sfilavano per la strada, cantando, le SA): se
le cose non stessero così, e se io non fossi ebreo, potrei parlare diversamente. Oggi è pericoloso
parlare contro Heidegger!”»
Nel rapporto, lungo ben 23 pagine, volto a bloccare il conferimento a Heidegger delle funzioni di
direttore dell’Accademia, il professor Jaensch asserisce, tra le tante altre cose:
« Se Heidegger guadagna un’influenza decisiva sulla formazione e la scelta delle nuove leve del
mondo accademico, è garantito che la selezione all’università e nella vita spirituale andrà a favore
degli elementi di origine ebraica che sono ancora fra noi. I prodotti del pensiero heideggeriano o di
tipo heideggeriano - come è meglio dire, perché già inizia l’epidemia della sua imitazione - non
sono soltanto, in generale, una sofisticheria di specie corrente, quale abbiamo imparato a conoscere
a sufficienza nelle epoche passate; qui si tratta di una sofisticheria che raggiunge la malattia mentale
(...) Avremo nella vita universitaria una vera e propria epidemia spirituale, una sorta di psicosi di
massa.»
Jaensch sottolinea, inoltre, il pericolo rappresentato dal «rivoluzionarismo» di Heidegger:
Heidegger si sarebbe avvicinato al nazionalsocialismo unicamente per la sua innata inclinazione
verso tutto ciò che potesse apparire come rivoluzionario, in maniera del tutto indiscriminata. «So da
fonte ben informata che egli paventa
il    momento in cui, nel nostro movimento, la rivoluzione dovrà subire una pausa. Sono più che
certo che, come “rivoluzionario puro”, egli, allora, non sarà più al nostro fianco e volterà di nuovo
gabbana.»
Jaensch conclude proponendo, per la direzione dell’Accademia, una rosa di tre nomi, tra cui in
primo luogo quello di Ernst Krieck, che viene indicato come la sola personalità degna di essere
presa in considerazione per tale incarico.
Il rapporto, più che una lettera, di Jaensch (che peraltro, come annotava Schwalm, nessuno aveva
richiesto), suscitò un’aspra reazione da parte del consigliere ministeriale Achelis, episodio
che comprova il sostegno di cui ancora godeva Heidegger al Ministero. Achelis ammonì
seccamente Jaensch per il suo modo di procedere, invitandolo ad astenersi per il futuro da un tal
genere di interventi; si sarebbe altrimenti visto costretto ad avviare un procedimento disciplinare
contro di lui.
E, dunque, verosimilmente il fallimento del progetto stesso, e non un atteggiamento ostile del
Ministero, a spiegare il fatto che le funzioni di direttore dell’Accademia non venissero attribuite
a Heidegger.
Heidegger e l’Accademia per il diritto tedesco
Quando consultammo per la seconda volta il legato Ernst Krieck, presso il Generallandesarchiv di
Karlsruhe, ci imbattemmo in un trafiletto della «Frankfurter Zeitung» del 4 maggio 1934, in cui
si accennava alla costituzione di una Commissione per la filosofia del diritto nell’ambito
dell’Accademia per il diritto tedesco (Akademie für Deutsches Recht). Alla sessione inaugurale, che
si tenne nel maggio 1934 nella sede dell’Archivio Nietzsche di Weimar, erano presenti il
Reichsjustizkommissar dottor Hans Frank, fondatore e presidente della Commissione, una serie di
alti funzionari dello Stato e numerosi esponenti dell’intellighenzia nazionalsocialista, tra cui
il professor Emge (Jena), il consigliere Kisch (Monaco), il Reichsleiter (dirigente nazionale)
Rosenberg, il direttore ministeriale Nicolai e il consigliere di Stato Schmidt. Tra i membri della
Commissione occorre citare Heidegger (Friburgo), Rothacker e Naumann (Bonn), Freyer (Lipsia), il
barone von Uexküll (Amburgo), il consigliere Stammler (Berlino), il professor Binder (Gottinga), il
consigliere
Heymann (Berlino), il professor Jung (Marburgo), il professor Bruns (Berlino), e il dottor Mikorey
(Monaco). Krieck, a quanto si può costatare dagli appunti conservati in questo fondo, ed è
interessante notarlo, aveva intenzione di toccare l’argomento dell’appena istituita Commissione per
la filosofia del diritto sulla sua rivista «Volk im Werden». Abbozzò, infatti, una minuta in cui si
chiosava ironicamente la notizia comparsa sulla «Frankfurter Zeitung», esprimendo la debole
speranza che le lezioni impartite da Rosenberg potessero risultare efficaci sul piano della dottrina.
Tale commento non comparve, però, sulla rivista.
La «Frankfurter Zeitung» segnalava, sempre nell’articolo citato, che la Commissione sarebbe
dovuta diventare la più elevata istanza dottrinale e teorica dell’Accademia per il diritto tedesco, il
cui compito era di elaborare il nuovo diritto germanico destinato a soppiantare il diritto romano e
ogni altra sorta di diritto «straniero». La Commissione aveva l’attribuzione di «fondare sul piano
filosofico l’idea di comunità del popolo, il nazionalsocialismo in quanto evento storico, il diritto
germanico nonché la questione del diritto razziale e del diritto allo spazio vitale».12 Nel suo
intervento iniziale, Rosenberg definì icasticamente i termini ideologici dell’approccio al nuovo
diritto: «È giusto ciò che l’uomo ariano decreta giusto. È ingiusto ciò che egli rigetta come tale.»
Rosenberg sviluppò, poi, nel corso della sua conferenza, il ragionamento su cui si basava un tale
assunto, sostenendo come esso avesse trovato la massima realizzazione nella Germania nazista.
Per ben comprendere il significato della presenza di Heidegger nella Commissione istituita dal
Reichsjustizkommissar, è necessario dire, sia pure succintamente, cosa fosse l’Accademia per il
diritto tedesco. Originariamente si trattava di un’associazione corporativa con competenze di diritto
pubblico, specifica della Baviera e con sede a Monaco. La legge dell’11 luglio 1934 la trasformò in
ente del Reich. Da quel momento dipese dal ministro della Giustizia e degli Interni. Hans Frank fu
incaricato di occuparsene dal 1934. Frank -è opportuno ricordarlo - fu uno dei massimi esponenti
del regime hitleriano e fu giustiziato a Norimberga come criminale di guerra nel 1946. Egli
considerava la realizzazione dell’Accademia un’opera essenziale e aveva proceduto in prima
persona alla scelta e alla nomina dei componenti della Commissione per la filosofia del diritto, tra
cui appunto Martin Heidegger. La «Frankfurter Zeitung» del 3 maggio 1934 così compendia il
discorso d’apertura dei lavori, pronunciato da Hans Frank:
«Egli ha ricollegato il suo ampio discorso a Nietzsche, il profeta del sentimento autoritario che ha
salvaguardato il nostro popolo nella guerra mondiale conferendogli una posizione di rilievo tra tutti
i giovani popoli ariani. “Noi - dice Frank - vogliamo definire la dottrina sociale del
nazionalsocialismo correlando scientificamente i concetti di razza, Stato, Führer, sangue, autorità,
suolo, fede e idealismo. E ciò attraverso una rigorosa formulazione del diritto tedesco dei popoli-
guida. La creazione della Commissione per la filosofia del diritto implica dunque la solenne volontà
di abbandonare una filosofia del diritto soggiacente a dogmi non-tedeschi. Essa dovrà fondarsi sul
popolo e non su un diritto la cui base sociale sia separata dal popolo (...) Dovrà quindi essere un
diritto tedesco e non un diritto straniero (...) Esso deve perciò servire la collettività e non
l’individuo, ma nello stesso tempo dovrà essere un diritto di signori e non un diritto di schiavi (...)
Epperò noi dobbiamo rielaborare il concetto di Stato nazionalsocialista a partire dall’unità e dalla
purezza dell’uomo tedesco; esso sarà formulato e realizzato secondo il diritto e secondo il
Führerprinzip (...) Ecco gli orientamenti che dovranno guidare questa prima riunione della
Commissione (...) In questo senso essa dovrà intendersi come una Commissione di
combattimento”.» 13
Con taglio analogo il «Berliner Tageblatt» del 4 maggio 1934 dava l’annuncio della creazione della
Commissione, titolando: La filosofia del diritto come arma. Il giornale si riferiva in tal modo,
specificamente, alla conferenza stampa tenuta il giorno precedente da Frank davanti ai giornalisti
stranieri. Egli aveva illustrato quale fosse il ruolo dell’Accademia per il diritto tedesco: formulare il
nuovo diritto tedesco a partire dalla dottrina nazionalsocialista. In questo quadro l’Accademia e la
Commissione per la filosofia del diritto erano chiamate a svolgere un compito fondamentale nel
nascente Stato nazista. Un successivo discorso di Frank, pronunciato in un’aula dell’Università di
Monaco e commentato sul «Völkischer Beobachter», voce ufficiale del Partito, il 28 giugno 1934,
delucida quali fossero i princìpi ispiratori della Commissione e ne sottolinea la rilevanza politica. I
vari numeri di questo giornale, con altro materiale che può completare il profilo della vicenda,
furono raccolti e ripubblicati sull’annuario dell’Accademia, ove ora sono reperibili.14 A causa della
scarsità di fonti (la documentazione concernente l’Accademia, conservata nell’Hauptstaatsarchiv di
Monaco, è andata in gran parte distrutta), non ci è stato possibile accertare nulla, in maniera certa,
sul susseguente impegno di Martin Heidegger nella Commissione per la filosofia del diritto. Il
verbale della seduta inaugurale (conservato presso il Goethe und Schiller Archiv di Weimar) attesta
la presenza di Martin Heidegger, senza, però, dire nulla di più in proposito.
Heidegger e l’Istituto superiore tedesco per la politica
Sotto il titolo L’educazione politica per gli studenti, il «Völkischer Beobachter» (edizione di
Berlino) del 9 maggio 1934 scriveva:
«Tra l’Istituto superiore tedesco per la politica (Deutsche Hochschule für Politik), l’Università e la
Direzione per l’educazione politica (Hauptamt für politische Erziehung) è stato firmato un accordo
affinché, a partire dal semestre estivo del 1934, gli studenti dell’Università di Berlino iscritti ai
primi tre semestri possano partecipare alle importanti conferenze organizzate dall’Accademia per il
diritto tedesco presso l’Istituto superiore per la politica. Terranno delle conferenze: il direttore
ministeriale dottor Gütt del Ministero degli Interni del Reich, il professor dottor Heidegger, rettore
dell’Università di Friburgo, Dietrich Klagges, primo ministro del Braunschweig, Bernhard Köhler,
presidente della Commissione per l’economia politica della direzione nazionale della NSDAP, il
consigliere ministeriale dottor Jahnke del Ministero dell’Educazione popolare e della Propaganda
del Reich e il vicecancelliere Franz von Papen. La cattedra, emanazione dell’Accademia per il
diritto tedesco, sarà inaugurata il 16 maggio all’Istituto superiore tedesco per la politica da una
conferenza del Reichsjustizkommissar dottor Frank, ministro di Stato. Prenderanno inoltre la parola:
il professor dottor Bruns, direttore dell’Istituto per il diritto internazionale pubblico, il
sottosegretario dottor Freisler del Ministero della Giustizia prussiano, il professor dottor Carl
Schmitt e il consigliere Schraut del Ministero della Giustizia del Reich. »
Certamente la partecipazione di Heidegger come conferenziere all’Istituto superiore tedesco per la
politica si sviluppò nel quadro della sua collaborazione alla Commissione per la filosofia del
diritto dell’Accademia per il diritto tedesco. Comunque il fatto che Heidegger abbia allargato il suo
impegno all’Istituto superiore assume un ulteriore significato. E non solo perché tale attività verrà
intrapresa dopo la rinuncia al rettorato di Friburgo (negli atti non si fa infatti riferimento a
Heidegger come rettore), ma perché, soprattutto, essa si situa nell'ambito di un programma di
indottrinamento degli studenti, finalizzato alla creazione di una scuola per quadri di partito e
amministrativi. Tutto questo, in cooperazione con personalità politiche del massimo spicco, ivi
compresi esponenti dell’Amt Wissenschaft diretto da Alfred Rosenberg. In tale contesto si deve
inserire la puntualizzazione del «Berliner Tageblatt» del 5 maggio 1934 sul fatto che Heidegger non
fosse più, ormai, rettore di Friburgo.
Dall’epoca della sua fondazione, nel 1920, e fino al 1934, l’Istituto superiore per la politica di
Berlino dipese dal Ministero della Cultura di Prussia. A quel punto, nell’ottica dell’allineamento,
passò sotto il controllo del Ministero della Educazione popolare e della Propaganda diretto da
Goebbels. In base alle informazioni reperibili presso il Geheimstaatsarchiv di Berlino, dove è
raccolta la documentazione relativa all’Istituto superiore questo fu fondato nel 1920 per iniziativa di
personaggi di rilievo del mondo industriale e finanziario allo scopo di promuovere ricerche e di
dispensare un insegnamento mirato nel campo delle scienze politiche. Fin dall’epoca di Weimar si
era coagulato all’interno dell’Istituto un gruppo di tendenze antidemocratiche, sotto la guida di O.
Spann, il quale, all’avvento di Hitler al potere, ne assunse la direzione trasformandolo in una vera e
propria scuola per quadri politici. In essa cominciarono a ricevere una formazione politica i più
importanti funzionari di partito - tutti i Leibstandarten di Hitler - sotto la supervisione ideologica
del ministro Goebbels. Farsi un’idea dei programmi di studio dell’Istituto superiore tedesco per la
politica è possibile: sappiamo, infatti, che nel semestre estivo 1933 vi tennero delle lezioni, tra gli
altri, lo stesso Goebbels, il sottosegretario Walter Funk, Alfred Bäumler ed Eugen Fischer; che nel
seguente semestre fu la volta del direttore ministeriale Rudolf Buttmann, del dottor Otto Dietrich,
responsabile del settore stampa della NSDAP, del dottor Walter Gross, responsabile dell’Ufficio per
la purezza della razza della NSDAP, e di Alfred Rosenberg; e che successivamente tra i
conferenzieri furono Heidegger e il vicecancelliere von Papen.
Nei programmi d’insegnamento la ragione e la finalità dell’Istituto vengono definite in questi
termini: l’obiettivo fissato era di «favorire la formazione e la ricerca in tutti i settori di interesse
politico». La scuola prevedeva una sezione seminariale, una sezione universitaria, un archivio e una
biblioteca. Nel corso dei seminari (due semestri per la prima fascia, tre semestri per la seconda)
venivano affrontati «aspetti essenziali della concezione nazionalsocialista del mondo» e si impartiva
agli studenti un insegnamento di base in campo politico. Il livello seminariale si concludeva con un
lavoro di elaborazione della durata di sei settimane, nonché con quattro esami scritti e un esame
orale. Seguivano tre semestri presso la sezione universitaria, il cui obiettivo era di fornire
un’impostazione scientifica per le diverse specializzazioni. L’iter terminava col conseguimento di
un diploma.15 Nel programma di conferenze previsto per il semestre invernale 1933-34, a fianco del
rappresentante del Führer Ruldof Hess, dei ministri Goebbels, Göring e Darré, di Alfred Rosenberg
e di Baldur von Schirach, figurava Martin Heidegger. Anche i programmi relativi al semestre estivo
1933 annunciavano l’intervento di Heidegger, e dei dignitari nazisti sopra citati, e inoltre la
partecipazione di Ernst Krieck. A partire dal 1936 non vengono più menzionati i nomi degli oratori,
per quanto si continuasse a procedere, come risulta dai programmi, negli incontri su temi
monografici.
Heidegger delatore
Una particolare attenzione è sempre stata rivolta da Martin Heidegger, nella sua attività scientifica e
politica, alla gioventù e in particolare ai giovani professori. La crescente popolarità di cui godette
negli anni venti era certamente legata al suo sincero interesse per le «forze vive». Ai suoi occhi due
erano i fondamentali parametri di giudizio: la fedeltà al nazionalsocialismo e l’effettiva competenza
professionale. Heidegger insiste con forza sulla necessaria complementarità di questi due criteri, sia
nel progetto di organizzazione dell’Accademia, sia nelle discussioni sviluppatesi attorno
all’Arbeitsgemeinschaft costituita da Ernst Krieck. Secondo Heidegger, comunque, la politica
possiede una sua propria e specifica autonomia. In quest’ottica, egli arrivò a svilirsi fino a
formulare, contro certe persone, accuse del medesimo tenore di quelle in cui Jaensch e Krieck si
erano rivelati maestri, e di cui egli stesso era stato vittima. Heidegger si comportava in maniera
diversa, a seconda che si trattasse di giovani insegnanti nazionalsocialisti oppure di dissidenti.
Porteremo ad esempio due casi, rispettivamente quello di Rudolf Stadelmann e quello di
Eduard Baumgarten.
Tra le carte lasciate, alla morte, da Eduard Baumgarten figura una calunniosa delazione contro di
lui, dovuta a Martin Heidegger. Baumgarten aveva esordito all’università come professore di
filosofia nel Wisconsin (USA). Tornò poi a Friburgo per ottenere il riconoscimento, ai fini della
carriera, dei suoi lavori su Dewey. Tali ricerche furono sviluppate a Friburgo sotto la guida di
Heidegger, con il quale Baumgarten e la sua famiglia intrattenevano dei rapporti che, all’esterno,
potevano sembrare di amicizia (il figlio dei Baumgarten era figlioccio degli Heidegger e le due
famiglie erano vicine di casa). Sul piano filosofico, c’era invece tra i due uomini un irriducibile
contrasto. Baumgarten, profondamente influenzato dal pragmatismo americano, fu oggetto di
attacchi da parte di Heidegger e anche, nel corso dei seminari, da parte di suoi fanatici discepoli.
Secondo una testimonianza di Schoeppe,16 genero di Baumgarten, i dissensi raggiunsero il loro
acme nel corso di una discussione sulla filosofia di Kant durante un seminario diretto da Heidegger.
Consumatasi definitivamente la rottura, Baumgarten si vide affidare, come incaricato, un corso sulla
cultura e sulla filosofia americane, focalizzato sul pragmatismo. L’elevata qualità dell’insegnamento
di Baumgarten indusse l’Università di Gottinga a riconsiderarne la posizione giuridica, proponendo
al Ministero di conferirgli una cattedra che prevedesse l’attribuzione della titolarità degli esami.17
Martin Heidegger scelse questo preciso momento per intervenire da Friburgo: egli fece avere
all’organizzazione dei professori nazionalsocialisti di Gottinga un rapporto politico riservato,
esprimendo il proprio assoluto dissenso nei confronti della proposta della Facoltà.
Ecco il tenore della denuncia:
«Per affinità spirituale, il dottor Baumgarten proviene dal circolo intellettuale liberal-democratico di
Heidelberg ispirantesi a Max Weber. Durante il suo soggiorno a Friburgo egli era tutt’altro che
un nazionalsocialista. Dopo aver fallito con me, ha frequentato assiduamente l’ebreo Frankel, il
quale, prima di essere destituito qui a Friburgo, era stato attivo a Gottinga. Presumo che per questa
via Baumgarten abbia trovato ricovero a Gottinga, con il che si possono spiegare anche le sue
attuali relazioni in questa città. Sul momento ritengo che Baumgarten non possa essere accettato né
nelle SA né nel corpo docente. Tale giudizio trae spunto dalle mie conoscenze di due anni fa. Non
sono in grado di giudicare se nel frattempo il suo atteggiamento politico abbia subito un’effettiva
trasformazione. »
Martin Heidegger indirizzò questa nota18 al dottor Vogel, Führer dei professori di Gottinga, il quale
la fece prontamente archiviare con il giudizio: «inutilizzabile, dettata dall’odio...».19
Il documento in questione riveste una grande importanza per la luce che esso proietta sui legami tra
Heidegger e il Partito dopo il 1934. La denuncia di Heidegger, infatti, in un primo tempo
scartata dal dottor Vogel nel 1933, fu riesumata, nel 1935, dal suo successore dottor Blume,
seriamente deciso, invece, a rimettere in causa la presenza di Baumgarten a Gottinga. L’invio a
Berlino del denigratorio rapporto di Heidegger (insieme, probabilmente, ad altri analoghi) risultò di
rapida efficacia: Baumgarten fu ben presto sospeso dalle proprie funzioni, il suo trattamento
economico fu interrotto, e furono anche fatti dei passi in vista di una sua espulsione dalla
Germania verso gli Stati Uniti. La decisione ufficiale fu comunicata a Baumgarten il 12 aprile
1935.20 Grazie all’aiuto di amici che lo informarono della delazione di Heidegger, egli potè
perorare la propria causa presso il Ministero di Berlino il 17 settembre 1935, ottenendo
l’annullamento dei provvedimenti presi nei suoi confronti.
Baumgarten, in una serie di annotazioni biografiche inedite, asserisce di avere scritto in seguito a
Heidegger chiedendo spiegazioni. Questi avrebbe risposto con una citazione di Eschilo.
Baumgarten procedette nella carriera e divenne, qualche anno dopo, professore ordinario a
Gottinga.
Il rapporto steso da Heidegger nel 1935 in appoggio della candidatura di Rudolf Stadelmann alla
cattedra di storia della Facoltà di filosofia, sempre dell’Università di Gottinga, è, invece, di
tutt’altro stampo.
Stadelmann aveva ottenuto il titolo di professore a Friburgo. «L’autocoscienza storica della
nazione» era stato l’argomento da lui prescelto per la prolusione. 21 Essa fu pronunciata il 9
novembre 1933 di fronte al rettore Heidegger, a professori, assistenti e studenti. Tra le altre
affermazioni, Stadelmann vi sosteneva che l’avvento di Hitler al potere e la realizzazione del suo
programma di politica estera avrebbero restituito alla Germania «la prerogativa di popolo grande e
temuto, prerogativa che era andata perduta».22 Tra le sue opere più indicative si possono
menzionare un articolo su H. Taine e la destra francese,23 un saggio sull’essenza delle rivoluzioni
tedesche24 e ancora un intervento sulla lotta per il riottenimento della Saar.25
Stadelmann, in veste di insegnante, aveva preso parte, accanto al rettore Heidegger, alla festa del
solstizio, dove pronunciò il discorso ufficiale in omaggio a Bismarck, citandone la dichiarazione:
«Non avrei amici, se non avessi anche dei nemici.»26
Nel rapporto del 1° luglio 1935, concernente appunto Stadelmann, Heidegger scrive:
«Conosco Stadelmann dal tempo della sua abilitazione qui a Friburgo nel 1928; da allora egli si è
sviluppato in modo eccellente. Non è affatto “trasformista e adattabile”; egli è un vero
caparbio svevo, e con lui ci possono essere scontri, soprattutto se gli altri non sono alla sua altezza.
Stadelmann non ha mai praticato la scienza secondo le circostanze. Soprattutto, è un uomo capace;
a mio parere egli è, fra i giovani storici, il miglior conoscitore dell’epoca immediatamente
successiva al Medioevo. Non possiamo più permetterci il lusso di trascurare quelle persone contro
le quali si parla male perché ritenute troppo “spirituali”. Io assegnerei subito una cattedra a
Stadelmann, perché sono convinto che egli, nell’assolvere questo compito, crescerebbe ancora, e
perderebbe le ultime incertezze. Egli appartiene al gruppo di quei pochi che, oggi, sono capaci
di trasformare dall’interno la loro scienza, anziché limitarsi a riprendere gli insegnamenti del
passato. Con un saluto collegiale e un Heil Hitler, il vostro Martin Heidegger».27
Sarebbe, tuttavia, errato pensare che Heidegger accordasse il proprio sostegno ai candidati in base a
criteri puramente politici.
Anzi, la sua totale e rigorosa adesione al nazionalsocialismo lo rendeva particolarmente esigente
rispetto agli insegnanti vicini alla NSDAP.
A illustrazione di tale atteggiamento, citiamo un terzo caso, quello del professor Arnold Ruge,
interpellato per ricoprire una cattedra di filosofia all’Università di Heidelberg. Heidegger scrive, nel
suo rapporto del 18 dicembre 1933, dopo aver impietosamente screditato Ruge sul piano della
competenza scientifica:
«Fintantoché, nel nazionalsocialismo, la selezione dei capi e dei dirigenti responsabili dovrà
attenersi al principio di prestazione, il signor Ruge non può essere preso in considerazione per una
cattedra di filosofia. Se in una università del Baden dovesse esser conferita una tale cattedra, mi
vedrei costretto a definire la cosa un pubblico scandalo. Sarebbe per me insostenibile continuare a
insegnare in una università del Baden contemporaneamente a tale “esponente” della medesima
materia.»
Capitolo 2. Heidegger e gli apparati ideologici di Stato
La cattedra di Gottinga
La Facoltà di filosofia dell’Università di Gottinga, in risposta all’indagine esplorativa cui il
Ministero diede corso il 12 luglio 1935 allo scopo di raccogliere candidature per la cattedra che era
stata di Georg Misch, fece tre nomi: Heidegger in primo luogo e, in seconda istanza, i professori
Glöckner (Giessen) e Krüger (Marburgo). Il professor Hans Plischke, preside della Facoltà, in una
nota del 30 settembre redatta per il Ministero, così motivava la preferenza accordata a Martin
Heidegger: «La Facoltà propone il professor Heidegger dell’Università di Friburgo come prima
opzione. Avremmo in tal modo il privilegio di accogliere, a un tempo, una delle più salienti figure
dell’odierna filosofia tedesca, un insegnante che sa suscitare interrogativi filosofici, e un pensatore
disposto a lavorare nella linea della concezione nazionalsocialista del mondo. »
A favore di Heidegger si erano pronunciati, nella commissione delegata alle designazioni, gli
ordinari Hermann Nohl, Friedrich Neumann e Theodor Lipps. Per gli incaricati furono sentiti, a
titolo consultivo, i professori Joseph König e Otto F. Bollnow, i quali pure si espressero per
Heidegger. Il Ministero dilazionò la decisione; qualche tempo dopo, comunque, si venne a sapere,
per bocca del preside Plischke, che Berlino non aveva accolto le proposte provenienti da Gottinga e
che, in alternativa, il Ministero caldeggiava la nomina di Hans Heyse (Königsberg).
Il 27 febbraio la Facoltà riconsiderò la selezione iniziale, sostituendo il nome di Heyse a quello di
Krüger nella lista e finendo, poi,
il 13 maggio, con il suggerire direttamente la nomina di Hans Heyse quale successore di Georg
Misch. Heyse cominciò a esercitare le sue funzioni di docente a Gottinga nel susseguente semestre
invernale 1936-37.29 .
Il comportamento del Ministero non potè non spiacere a Heidegger: la questione concerneva la
cattedra del più eminente tra i discepoli di Dilthey e, per giunta, gli si era preferito un personaggio
di mediocre levatura come Heyse, la cui filosofìa nazionalsocialista si configurava, nei suoi tratti
essenziali, come nulla di più che una versione semplificata del pensiero heideggeriano, come il
modesto lavoro di un epigono, in sostanza. Citiamo, come esempio, l’articolo dal titolo La nuova
idea di scienza e l’università tedesca, 30 dove Heyse non si perita di ricalcare, quasi alla lettera, la
concezione di Heidegger sull’« esistenza» e sul ruolo dei greci.
Siamo evidentemente lontani dall’epoca in cui Heidegger urgeva Krieck perché Heyse e Bäumler,
da lui allora definiti «colleghi sicuri», fossero invitati ad aderire all’Arbeitsgemeinschaft.
Heidegger, con tutta probabilità, non avrebbe abbandonato la cattedra di Friburgo per quella di
Gottinga. Comunque sia, la scelta operata dal Ministero lo portò certamente alla persuasione che il
«principio di prestazione» stesse ormai perdendo terreno nelle decisioni prese dal regime. È un
fatto, in ogni caso, che l’episodio della successione a Misch rappresenta il segnale di una tendenza
che andrà confermandosi: fino a quel momento, e già al tempo della Repubblica di Weimar,
Heidegger era stato imposto gerarchicamente dai Ministeri, prevaricando i pareri formulati dalle
Facoltà; adesso, invece, sono le Facoltà a proporne e a sollecitarne la nomina, mentre il
Ministero ricusa Heidegger, bocciandone la candidatura.
Nell’atteggiamento del mondo universitario non si deve in alcun modo scorgere un gesto di
«resistenza» né, tanto meno, il riflesso di una metamorfosi di Heidegger in avversario del
nazionalsocialismo e dello Stato: il fatto tuttavia non può essere trascurato, e conviene valutarne
attentamente il significato.
La preferenza dimostrata dal Ministero nei confronti di Heyse non è che il riflesso del crescente
credito goduto dal rettore dell’Università di Königsberg in seno al movimento
nazionalsocialista. L’influenza di Heyse si manifesterà in particolare nella sua attiva collaborazione
al progetto di organizzazione dell’Accademia dei professori del Reich e ai corsi che vi si terranno.
Poco dopo il suo arrivo a Gottinga, egli riordinerà e dirigerà l’Accademia dei professori di questa
Università, sulla base di un suo proprio progetto che rimpiazzerà quello elaborato dal rettore
Friedrich Neumann nel 1934.31 Heyse verrà, di lì a poco, prescelto come Führer della delegazione
per il congresso intemazionale di filosofia che si sarebbe tenuto a Parigi nel 1937, relegando in
secondo piano Martin Heidegger che tanta energia aveva profuso - lo vedremo meglio più avanti -
per incidere sull'orientamento politico della missione tedesca.
Il fatto che le autorità ministeriali preferissero Heyse a Heidegger non rappresenta, tuttavia,
l’indizio di una dichiarata ostilità nei confronti di quest’ultimo. Tant’è che, verso il 1936, il
Ministero dell’Educazione di Berlino chiederà al rettore dell’Università di Friburgo di nominare
Heidegger preside della Facoltà di filosofia: vicenda che mette in luce le buone relazioni esistenti
tra le autorità ministeriali e il filosofo, o che, se non altro, comprova come Heidegger non apparisse
sicuramente un elemento sospetto agli occhi del regime.
Uno scritto di Elfriede Heidegger-Petri
Elfriede Petri, moglie del filosofo, diede anch’essa il proprio contributo alla battaglia di Heidegger
per il rinnovamento del sistema universitario: si tratta di una circostanza finora rimasta in
ombra, che è di grande interesse ricostruire. Elfriede Petri, ricollegandosi a concetti consimili a
quelli sviluppati dal marito nel Discorso del rettorato, pubblicò, nel 1935, un polemico articolo in
cui si sosteneva la necessità di considerare le giovani donne come compartecipi a pieno diritto della
vita universitaria. L’intervento, dal titolo Pensieri di una madre sull’educazione superiore delle
giovinette, comparve sulla rivista «Deutsche Mädchenbildung. Zeitschrift für das gesamte höhere
Mädchenschulwesen», diretta da Karl Stracke.32
Karl Stracke era preside del Goethe-Gymnasium di Dortmund nonché professore di matematica e
fisica. Protestante, prestigiosa figura in campo pedagogico, aveva ricevuto numerosi riconoscimenti
ufficiali, tra cui il Ritterkreuz. 33 La sua adesione al Partito nazionalsocialista, nel 1937, non implicò
l’assunzione di specifiche funzioni politiche.34
La rivista da lui redatta, che fino al 1933 rientrava manifestamente, per impostazione, nell’alveo
della corrente deutschnational, adottò in seguito un indirizzo di piena fedeltà al nazionalsocialismo.
Segnaliamo: un pezzo della dottoressa Elisabeth Meyn von Westenholz, L’educazione superiore
delle giovani donne come fattore propulsivo dell’unità nazionale; 35 un saggio di H. Wendt, Altri
scritti sul nazionalsocialismo e la questione femminile;36 un articolo di H. Voigts, Caratteri
peculiari delle studentesse e osservazioni di biologia ereditaria ;37 infine, vale la pena di prendere
in esame i lavori di Alma Lagenbach, Il nuovo tipo di donna tedesca,38 e di Edith Ullbrich,
Il pensiero biologico nell’ambito dell’insegnamento della religione luterana nelle scuole superiori.
39

Lo scritto di Elfriede Heidegger-Petri si colloca, in linea di massima, nel quadro della concezione
nazionalsocialista della donna, così com’era stata tratteggiata da Hitler, nel discorso tenuto l’8
settembre 1934 a Norimberga al Congresso delle donne,40 nonché dalla dirigente
dell’organizzazione femminile del Partito, Gertrud Scholz-Klink.41
In una questione tanto discussa meritano di essere evidenziati alcuni spunti originali, soprattutto se
si pone mente alla scontata superiorità attribuita agli uomini dall’ideologia nazista. Il contributo di
Elfriede Heidegger-Petri emerge come di tutto rilievo nel dibattito sulla situazione della donna nel
sistema educativo nazionalsocialista. Noi ci occuperemo, in questa occasione, unicamente di
quanto, nel suo saggio, si possa riallacciare alle posizioni sostenute dal marito.
Prima significativa affinità: come nel mondo universitario Martin Heidegger assegnava un ruolo
d’avanguardia alla base studentesca, analogamente Elfriede Heidegger-Petri si ergerà a paladina di
uh gruppo che le concezioni conservatrici, i più rappresentativi esponenti nazionalsocialisti e
l’apparato del Partito tenevano in scarsa considerazione. Elfriede Heidegger-Petri intendeva
difendere il diritto delle donne a integrarsi con pari dignità nella vita universitaria e quindi anche
nella vita sociale e nella rivoluzione.
Il punto di partenza della sua analisi è pienamente conforme al credo nazionalsocialista: «Ogni
epoca che, come la nostra, tenta di dar vita a una nuova concezione del mondo, deve riproporre la
questione dello scopo e dello sviluppo delle nuove generazioni. Il vecchio obiettivo dell’umanesimo
moderno, l’educazione della libera personalità, non è più attuale. Al di sopra dell’io c’è il noi, al di
là delle esigenze della personalità individuale, ci sono quelle della comunità del popolo.»42
Elfriede Heidegger-Petri applica questi princìpi generali alla specifica situazione della donna: «Il
nostro sapere lotta per il superamento del fatale errore di credere nell’uguaglianza degli esseri
umani, per dare ragione della diversità delle razze e dei popoli; questo sapere afferma allo stesso
tempo, e con ragione, la differenza tra i sessi. La questione dello sviluppo dell’educazione delle
nostre nuove generazioni implica quindi, fin dall’inizio, un’immediata differenza nella maniera di
concepire l’educazione dei giovani e delle giovinette.»43
Secondo l’autrice, tuttavia, non vi sono buone ragioni che possano giustificare una differenziazione
nei programmi di studio, dal momento che la scuola primaria crea già una distinzione tra ragazzi e
ragazze. Elfriede Heidegger-Petri raccomanda perciò un insegnamento secondario comune a tutte le
giovani, indipendentemente dal successivo orientamento verso un indirizzo di studi professionale
o verso l’università. La separazione costituisce un pericolo «per l’autentica comunità del popolo, il
più prezioso, ma anche il più minacciato dono dispensato dal nostro grande Führer al popolo»;44
non solo, ma sarebbe in palese contraddizione con il principio generale secondo cui «ogni donna
tedesca deve realizzarsi nello stesso tempo come madre e come camerata del popolo».
«L’appellativo onorifico di camerata del popolo che il Führer conferisce alla donna tedesca non si
accorda con i tentativi di discriminazione della donna. Se si vuole andare al di là di
un’interpretazione superficiale di questi orientamenti e chiamare le cose con il loro nome, va detto a
chiare lettere che essere donna non vuol dire essere schiava, che la maternità non è una questione
sentimentale. Ridurre questa a una semplice condizione fisiologica significa abbassare la donna allo
stato di femmina. Essere donna e essere madre significa concretizzare valori di ordine spirituale. È
una vera camerata del popolo solo la donna che, al di là della ristretta cerchia della vita famigliare,
sa anche essere la camerata del suo sposo nella lotta per fare della vita tedesca del popolo una
realtà; è camerata del popolo soltanto la padrona di casa che compie i suoi specifici doveri di
guardiana della principale ricchezza del popolo. È camerata del popolo solo la madre che si realizza
come portatrice e guardiana del prezioso patrimonio razziale del nostro essere tedeschi e
come educatrice autentica dei propri figli, dando loro la possibilità di divenire futuri protagonisti del
nostro destino nazionale. Infine, solo è camerata del popolo la donna tedesca disposta, quando arrivi
l’ora fatidica, a fare o a patire qualsiasi sacrificio per la sopravvivenza della patria.»45
Da tali princìpi, Elfriede Heidegger-Petri deriva gli obiettivi essenziali dell’educazione femminile:
indirizzare e potenziare l’attitudine della donna a divenire moglie e madre, «diffondere e rinsaldare
la persuasione che tutti i membri del popolo sono uniti dai vincoli fondamentali della razza, dei
costumi, della storia e dell’economia distintivi della loro società»; educare le giovani alla
conoscenza del proprio corpo in vista della maternità; prepararle, in quanto donne, alla loro
professione, sia che questa venga esercitata in casa, o nell’ambito di un’attività teorico-scientifica, o
nel campo del lavoro.46 Un solido legame con la comunità del popolo, volto al futuro, potrà essere
garantito unicamente se le giovani riceveranno un’educazione omogenea: «Se lo spirito militare
caratteristico del soldato trasforma i giovani in camerati, essere mogli e madri costituisce l’unità
delle donne.»47
Secondo Elfriede Heidegger-Petri, le riforme, attraverso cui, nel 1908 prima e quindi nel 1925, ci si
era prefissi un riordinamento del sistema formativo femminile preuniversitario, avevano fallito il
loro scopo appunto per aver ignorato la specificità della condizione della donna. A ciò si erano poi
aggiunti gli errori contenuti nel programma preposto all’educazione maschile.48
Anche i nuovi progetti non sono esenti da gravi difetti e presentano rischi di non poco conto. Ad
esempio si favorisce l’incremento dell’istruzione femminile nelle grandi città. Un tale indirizzo
potrebbe portare a reclutare la maggioranza delle future generazioni universitarie nei più ampi
centri urbani, in ambienti, dunque, che «per l’aspetto culturale e razziale non si presentano certo
come i migliori».49 Occorre ridurre il numero delle discipline studiate, senza per questo rinunciare a
una robusta e rigorosa preparazione teorica.
*43
E ciò non è affatto impraticabile: il convincimento che l'attività materiale non possa essere di
stimolo a un sapere teorico forte è nient’altro che un equivoco fondato sul «diffuso pregiudizio
secondo cui non sarebbe possibile raggiungere quanto sia spirituale a partire da una dimensione
pratica». È un abbaglio e un preconcetto pensare che l’attività concreta non sia in sé qualcosa di
spirituale e affermare che essa sarebbe alcunché dì profondamente diverso rispetto alla «scienza
intesa in senso stretto».50
Bisogna, senza trascurare la peculiarità della donna, agevolarne l’accesso agli studi superiori.
Sottolineando la necessità di favorire l’ingresso all’università delle giovani che non vivono nelle
città, Elfriede Heidegger-Petri fa suo il programma del marito. Analogamente, si accosta ad esso
quando polemizza con i pedagogisti nazionalsocialisti avversi all’accesso della donna tedesca
all'università. L’allusione alle proposte di Bäumler non può sfuggire:
«Il nostro popolo, situato nel cuore dell’Europa, ha bisogno, per affermarsi, delle forze, dei talenti e
dello spirito di sacrificio di tutti i camerati del popolo. Chiudere di nuovo alle donne le porte
degli edifici scolastici superiori significa farne dei camerati del popolo di seconda classe.
L’ingiustizia cui è stato posto riparo nel caso degli operai, verrebbe così commessa nei confronti
delle donne del nostro popolo. E, ancora di più, ciò sarebbe di pregiudizio al prestigio e alla crescita
organica della nostra cultura. Il vecchio e il giovane, l’uomo e la donna, la città e la campagna, tutti
devono poter partecipare. Fintantoché l’università avrà come obiettivo e come esigenza di essere
portatrice di cultura, di plasmare il nostro popolo e di formare il nerbo della sua classe dirigente,
essa deve, per principio, essere accessibile a tutti i membri del popolo.»51
Elfriede Heidegger-Petri si dimostra critica anche rispetto alla posizione di Krieck, secondo il quale
le università si sarebbero dovute trasformare in senso professionale, assumendo le caratteristiche di
scuole di specializzazione (Fachschulen). «Se così fosse, la formazione superiore femminile si
vedrebbe ridotta a un’appendice dell’istruzione maschile. »
Ci si è troppo ispirati alle innovazioni attuate nei paesi anglosassoni. Ora, se si pone mente alle
«esigenze imposte dalla vita spirituale tedesca», tali esperienze non corrispondono alla realtà. Se,
infatti, il popolo tedesco vuole fare della famiglia l’autentica sorgente della forza nazionale
(völkische Kraft) e se pertanto i bambini debbono diventare il bene piu prezioso della nazione,
occorre offrire alla donna la preparazione più qualificata: quella, appunto, ricevuta dalla classe
dirigente e quindi anche l’insegnamento universitario. A scanso di ogni possibile fraintendimento,
occorre rammentare che «la classe dirigente è esclusivamente composta di persone riconosciute per
la loro personalità e/per le loro qualità».52 Elfriede Heidegger-Petri ne desume anche come sia
impellente spianare alle donne la via verso l’impegno professionale. Esse hanno dimostrato negli
ultimi vent’anni la capacita di inserirsi con competenza nella comunità del popolo come medici,
come giudici e come assistenti sociali con un’efficacia in tutto e per tutto paragonabile a quella
degli uomini. Esse hanno, in tal modo, dimostrato con i fatti di essere all’altezza di svolgere attività
che gli uomini non potevano assumere.
Né il lavoro sociale né l’educazione delle giovani sono pensabili senza il contributo di donne
professionalmente qualificate e di donne insegnanti, se è vero che «il miglior ammaestramento si
basa sull’esempio».53
«Chi ha avuto occasione di frequentare giovinette di tutti gli ambienti, nelle scuole,
nell’Associazione delle giovani donne nazional-socialiste o nel servizio femminile del lavoro, ben
sa come da esse emergano forze spirituali e intellettuali vive e originali che lottano per ottenére una
formazione. Evitiamo di trascurarle o, ancor peggio, di emarginarle consapevolmente. Cerchiamo
invece di creare per esse una reale possibilità di formazione e di integrazione nella vita sociale.»54
L’intervento di Elfriede Heidegger-Petri va collocato nell’ambito del dibattito sulla riforma del
sistema di istruzione e sull’assetto e le connotazioni dell’impegno politico delle donne all’interno
del Partito. La linea egemonica puntava a delimitare strettamente la loro sfera di attività e a
circoscriverla all’organizzazione a ciò depistata, la NS-Frauenschaft.55 Tale struttura, lo ricordiamo,
fiancheggiò, dall’epoca della sua creazione fino al 1934, la corrente SA di Rohm. L’editoriale
comparso sul fascicolo numero 2 della rivista «NS-Frauenwarte» (portavoce ufficiale della NS-
Frauenschaft), pubblicato il 15 luglio 1932, riproduceva l’appello lanciato alle donne tedesche da
Gregor Strasser, uno dei massimi esponenti della tendenza SA. I numeri del 15 luglio 193256 e del
1° ottobre 193257 contengono interventi su Strasser e la sua azione politica. L’impostazione
ideologica della rivista era decisamente radicale, come risulta da parecchi articoli, tra cui,
particolarmente significativi, Riflessioni sulla legge concernente la sterilizzazione, dovuto al dottor
Schwab,58 Un contributo al problema della razza (non firmato)59 e La Frauenschaft e l’igiene
razziale, del professor Staemmler.60
L’organizzazione femminile nazionalsocialista cui fa cenno Elfriede Heidegger-Petri, proclamava,
come dichiarazione di principio, nel proprio statuto:
«Noi lottiamo per la conservazione della razza ariana, e dunque per liberare la vita nazionale da
qualsiasi influenza razziale straniera. Lo spirito deve essere tedesco, tedesca la nostra lingua,
tedesca la legge e tedesca la cultura (...) Noi lottiamo con la parola e con i fatti, avvalendoci di tutti i
mezzi a nostra portata, contro lo spirito giudeo-marxista. Noi vogliamo fare della nostra volontà
vitale e nazionale un bastione contro l’annientamento che ci minaccia attraverso il pacifismo e il
bolscevismo comunista. Noi siamo fautrici dello sviluppo della coscienza sociale e del dovere del
servizio sociale.»61
Proprio nello stesso anno in cui Elfriede Heidegger-Petri esaltava il lavoro della Frauenschaft,
furono promulgate le leggi razziali e si moltiplicarono, con particolare virulenza a Friburgo, le
brutali persecuzioni contro i cittadini tedeschi di origine ebraica. L’organizzazione nazista delle
donne fu parte attiva di tali persecuzioni.
«Nel 1935 la Führerin (dirigente) della NS-Frauenschaft di Friburgo invitò tutte le donne tedesche
della città a boicottare i negozi ebrei. Quando i commercianti ebrei cominciarono a liquidare la
loro merce a prezzi ribassati, le squadre naziste cercarono di bloccare l’ingresso dei negozi e ciò
provocò violente reazioni. Nell’estate del 1935 gli ebrei si videro interdire i bagni pubblici con la
minaccia, diffusa dalla stampa, di brutali punizioni qualora tentassero di contravvenire a tale
disposizione.»62
E non si era che all’inizio. Il 9 novembre 1938 la sinagoga di Friburgo sarà data alle fiamme dalle
SA e dalle SS, che costrinsero a forza il rabbino, dopo averlo strappato dal letto, ad assistere
alla distruzione del tempio. Le spese per lo sgombero delle macerie dell’edificio furono accollate
alla stessa comunità ebraica friburghese.63 Più di cento membri di questa comunità trovarono poi la
morte nei campi di concentramento di Dachau.64
L’azione intimidatoria contro gli ebrei aveva avuto inizio nel 1933 con il boicottaggio nei confronti
di negozianti, avvocati, medici e professori, organizzato dalle SA e dagli studenti
nazionalsocialisti. Il coordinamento si rivelò perfetto e coprì contemporaneamente tutto il Reich.65
Rievocando il clima di quegli anni, e vedendo come in trasparenza nel dolore della moglie la
sofferenza del popolo ebraico, Karl Jaspers scriveva a Martin Heidegger il 24 luglio 1952:
«Apprendendo la notizia del boicottaggio dal “Völkischer Beobachter”, mia moglie scoppiò in
lacrime e pianse come chi vede il mondo crollargli addosso. Lei allora si limitò a proferire:
“Talvolta fa bene piangere. ” »66 Jaspers ricorda anche come, a quell’epoca, Heidegger l’avesse
messo in guardia contro i pericoli rappresentati dall’«internazionale giudaica».67
Martin Heidegger ha negato, in diverse circostanze, di essere stato antisemita,68 invocando, a
propria discolpa, l’aiuto da lui fornito ai professori Thannhauser e Hevesy, nonché alla sua allieva
Hélène Weiss. Il dibattito su tale questione, affrontato con particolare vigore da François Fédier,
guadagnerebbe molto in obiettività scientifica se si procedesse alla pubblicazione delle lettere scritte
da Heidegger in risposta a Karl Jaspers, o se, almeno, si permettesse al pubblico di avere accesso
all’epistolario.
Ci pare indispensabile, a questo punto, riportare una citazione, il cui interesse risiede nel suo
riferirsi a una costante ideologica da sempre presente nell’atteggiamento del filosofo. La fonte è più
che affidabile: si tratta dell’opera del discepolo e amico di Heidegger, Heinrich W. Petzet,
sottoposta ad accurata revisione da parte di Elfriede Heidegger-Petri.69 Vi si legge: «Se un certo
tipo di vita cittadina gli ripugnava, ciò è ancor più vero per lo spirito mondano dei circoli ebraici
che dominavano le grandi capitali dell’Occidente. »70
L’atteggiamento del regime verso Martin Heidegger attorno al 1936
L’atteggiamento critico di Martin Heidegger, benché avesse come bersaglio personaggi nazisti del
calibro di Alfred Rosenberg o Ernst Krieck, non gli procurò mai, come contraccolpo, l’ostilità del
regime.
Proprio attorno a questi anni, tra il 1935 e il 1936, anzi, il Ministero dell’Educazione e delle Scienze
di Berlino si avvarrà del rapporto calunnioso redatto da Heidegger nel 1933 sul conto del
professor Eduard Baumgarten. L’ortodossia dottrinale del filosofo, nella concezione che ne avevano
le autorità, veniva come sanzionata da un atto del Ministero, che lo cooptava a pieno titolo nel
sistema di delazione il cui compito era produrre di siffatti rapporti riservati.71
Il medesimo Ministero aveva palesato la propria simpatia a Martin Heidegger proponendo al rettore
dell’Università di Friburgo, in una comunicazione dell’11 maggio 1935, di nominare Heidegger
preside della Facoltà di filosofia. Il fatto, di per sé significativo e retrospettivamente illuminante
sulle circostanze che poterono essere all’origine delle sue dimissioni nel 1933, suscitò una reazione
di disappunto da parte del rettore di Friburgo. Questi, infatti, il 18 maggio, rispose al ministro per
lettera, esprimendosi nei seguenti termini:
«Mi trovo costretto a sconsigliare decisamente la nomina del professor Heidegger a preside della
Facoltà di filosofia. Durante il suo mandato di rettore, il professor Heidegger ha perso la fiducia
dei suoi colleghi di Friburgo. Anche l’amministrazione del Baden ha avuto con lui dei problemi e da
questi fatti egli fu indotto a rassegnare le dimissioni. Per quel che mi concerne, un lavoro in comune
con il professor Heidegger, data la fiducia che ciò presupporrebbe, è affatto impensabile. Mi ha
destituito dalle funzioni di preside della Facoltà di diritto per rimpiazzarmi con il professor Erik
Wolf. Per le sue attitudini ad assumere la carica di preside, vi chiedo, qualora ciò si rivelasse
necessario, di consultare il professor Eckhardt. Dubito, peraltro, che dopo la sua esperienza di
rettore, il professor Heidegger voglia accettare il posto di preside. »72
In contrasto con quanto sarà dichiarato da Heidegger nel 1945, e cioè che il suo Discorso del
rettorato sarebbe stato oggetto di aspri attacchi, soprattutto negli ambienti accademici,73 si può
costatare che esso fu riedito nel 1937 per la terza volta, con una tiratura di cinquemila esemplari,74
in un periodo in cui ogni pubblicazione e anche qualsiasi ristampa erano sottoposte a una vigile
censura. Heidegger non poteva certamente ignorare l’esistenza di tale edizione. E a comprova di ciò
sta il fatto che il 27 aprile 1937 egli aveva fatto omaggio alla signora Maria Lietzmann,
accompagnandoli con una lettera, di un esemplare con dedica di questa terza edizione del Discorso
del rettorato, oltreché di una copia fuori commercio del saggio su Hölderlin.75
La citata terza edizione del Discorso del rettorato è messa a repertorio nel Gesamtverzeichnis des
deutschsprachigen Schrifttums.76 La prima edizione, va segnalato, era riservata all’Università di
Friburgo. La seconda e la terza edizione furono pubblicate per i tipi della Korn di Breslavia.
Quanto alla pubblicazione del saggio Hölderlin und das Wesen der Dichtung (Hölderlin e l’essenza
della poesia), neanche in questo caso si può sottoscrivere il punto di vista poi sostenuto da
Martin Heidegger nell’intervista con lo «Spiegel»;77 il testo originale è quello di una conferenza
pronunciata da Heidegger il 2 aprile 1936, presso l’Istituto italiano di studi germanici di Roma,
nell’ambito cioè di un organismo ufficiale del governo mussoliniano. L’effettuazione della
conferenza doveva passare al vaglio non solo delle autorità italiane, ma anche del Ministero degli
Affari Esteri del Reich. L’Istituto in questione, la cui sede è a Villa Sciarra sul Gianicolo, era
stato creato dal governo italiano per rafforzare le relazioni culturali tra i due paesi di fronte alle
esigenze del momento.
La conferenza di Martin Heidegger faceva parte delle attività programmate dall’Istituto per il 1936.
Il ciclo delle iniziative si era aperto l’anno prima con delle letture poetiche di Hans Carossa, tenute
il io gennaio 1933. Carossa riceverà il premio Goethe della città di Francoforte nel 1938; nel 1941
gli verrà conferito l’incarico di presidente dell’Unione degli scrittori europei, organismo ideato
da Goebbels per coordinare la propaganda culturale all’estero.78 La produzione letteraria di
Carossa, benché egli sia abitualmente considerato uno scrittore «dissidente», riscosse, in realtà, una
calorosa accoglienza ufficiale, e questo nonostante il suo rifiuto, nel 1933, dovuto a ragioni
personali, di aderire alla Camera degli scrittori. Le sue poesie trovavano spazio sulle riviste di
partito,79 e, nel 1942, l’Amt Wissenschaft fece dono di una delle sue opere a Hitler per festeggiarne
il compleanno.80    
La conferenza successiva - sempre presso l’Istituto italiano di studi germanici -, dal titolo «Cultura
e storia nelle fluttuazioni ambientali del loro svolgimento», fu tenuta da Karl Haushofer, professore
di geopolitica all’Università di Monaco, uno dei più noti teorizzatori dello «spazio vitale».
Seguirono, poi, Magnus Olsen, dell’Università di Oslo, con «Roma e l’antica poesia nordica»,
e Heinrich von Srbik, dell’Università di Vienna, con « Liberalismo e democrazia in Germania fino
al 1848».
Von Srbik, professore di storia medievale e moderna, sarà nominato dal ministro Rust, nel 1942,
presidente della Commissione storica pangermanica. Fin dal 1935 egli aveva collaborato, da
Vienna, all’Istituto del Reich per la storia della nuova Germania, di cui era direttore Walter Frank.81
Nel 1943, sotto il governatorato del Reichsstatthalter Baldur von Schirach e grazie proprio
all’apporto finanziario di questi, von Srbik avvierà, in quanto membro dell’Accademia delle scienze
di Vienna, la pubblicazione delle opere di Abraham a Sancta Clara.
Agli incontri citati, vanno aggiunte le conversazioni di Hans Heyse su «Kant e l’antichità classica»,
di Carl Schmitt su «Il problema teorico dell’unità statale nei suoi tre elementi teorici costitutivi»,
di Karl Lowith su «Lettura e interpretazione di Nietzsche», di Carlo Antoni su «La formazione
storica del Reich», e di Delio Cantimori su «Le dottrine politiche del nazionalsocialismo». 82
L’invito rivolto a Heidegger era firmato dal filosofo ufficiale del fascismo italiano, Giovanni
Gentile. 83 La partecipazione di Heidegger al ciclo di conferenze aveva ricevuto l’avallo del
Ministero degli Affari Esteri del Reich, tramite il quale, anche, gli fu trasmessa la comunicazione
ufficiale. Questo documento è reperibile nell’archivio del Ministero degli Esteri di Bonn. 84
Si può congetturare che proprio in questo periodo, e in occasione della sua collaborazione con
l’Istituto italiano di studi germanici, Heidegger stabilisse, direttamente o indirettamente, una serie
di collegamenti con personalità del regime mussoliniano. Qualche anno dopo, fu grazie a un
intervento personale del Duce presso Goebbels che il suo scritto La dottrina di Platone sulla verità
verrà incluso nell’annuario curato dal suo allievo Ernesto Grassi, malgrado il volere contrario di
Rosenberg.
La conferenza di Heidegger fu pubblicata sulla rivista «Das Innere Reich» (1937). Questa rivista
potè nascere in forza di una speciale autorizzazione del governo, in un periodo in cui non era
legalmente prevista la creazione di nuovi periodici. Sul primo numero si poteva leggere: «Il nostro
lavoro non si rivolge solo ai lettori tedeschi, ma a tutti coloro che, oltre frontiera, siano pronti a
riconoscere che, malgrado la fuga di certuni personaggi all’estero, i nostri ingegni di vaglia non
hanno abbandonato il nostro popolo, ma che, al contrario, nella Germania nazionalsocialista, si è
creato negli ultimi tempi uno spazio per i migliori tedeschi, quelli che appartengono al Reich
interno (Innere Reich).»85 L’uscita della rivista fu sospesa nel corso del 1936 per qualche tempo. Il
lavoro di Heidegger comparve sul primo numero successivo alla pausa di sospensione.86
Il saggio Hölderlin e l’essenza della poesia ebbe un’accoglienza positiva. La rivista «Die Neue
Literatur» di Lipsia faceva notare, nel fascicolo del febbraio 1937, come Heidegger avesse dedicato
il proprio scritto a Hellingrath, curatore delle opere di Hölderlin, «morto in combattimento», e come
egli avesse saputo presentare il poeta nel modo più conveniente.87 Nello stesso senso la rivista
«Blätter für Deutsche Philosophie», di cui era direttore il filosofo nazionalsocialista Heinz
Heimsoeth, lodava Heidegger per aver interpretato Hölderlin dal punto di vista del popolo tedesco,
definendolo il «poeta dei poeti».88
L’asserzione di Heidegger, sempre nello scritto giustificatorio del 1945, secondo cui il suo saggio
sarebbe stato criticato con asprezza di toni da parte della rivista della Gioventù hitleriana «Wille
und Macht», si può considerare quantomeno inesatta. Nel fascicolo del 15 marzo 1937, il dottor W.
Könitzer, al quale si deve il commento cui Heidegger allude, affermava, per la precisione, che «la
gioventù è più adatta a comprendere Hölderlin che non il professor Heidegger», senza peraltro
negare che «Heidegger, nei paragrafi finali del suo articolo, mostra di essersi saputo
mettere all’altezza della potenza di parola del poeta, facendo propria la necessità di adattarsi a
questa parola. Per tal motivo Heidegger, nella parte conclusiva, è stato in grado di dare espressione
all’autentico Hölderlin.»89
Heidegger, comunque, si sentì colpito nel suo amor proprio. In una lettera a Benno Mascher,
collaboratore della casa editrice di «Das Innere Reich», scriveva: «L’asserzione di quel tal critico
di “Wille und Macht” secondo cui il mio articolo su Hölderlin sarebbe profondamente estraneo alla
gioventù, dimostra soltanto che non ci si può attendere molto da questo tipo di “tedeschi”. Un ex
SS  Führer, che conosce bene la società di Marburgo, m’informa, inoltre, che il dottor K. si
segnalava, ancora nel 1933, come socialdemocratico...»90
Dovevano essere ben saldi i legami di fiducia esistenti tra Martin Heidegger e il citato ex SS Führer,
se quest’ultimo si potè sentire legittimato a denunciargli il proprio camerata della Gioventù
hitleriana.
Per illustrare il genere di rapporti intrattenuti da Heidegger, attorno al 1936, con gli organi di
stampa e i pubblicisti nazisti, è importante fare riferimento a una serie di documenti archiviati
presso il Centro di documentazione di Berlino. Essi vertono su un’eventuale collaborazione di
Heidegger alla rivista «Das Volk», i cui responsabili erano Adolf Ehrt e Wolfgang Nufer.91
Nufer era affiliato alle SS dal 1933 e iscritto alla NSDAP dal 1932. All’inizio del 1936 fu nominato
amministratore del teatro di Friburgo. Ehrt era membro della NSDAP, anch’egli dal 1932, e delle
SA dal 1933. Redattore del «Völkischer Beobachter» dal 1934, era anche autore di lavori come
Bewaffneter Aufstand! (La ribellione armata, 1933) e Der Jude als Verbacher (L’ebreo come
delinquente, 1937) con prefazione di Julius Streicher.
Il titolo originario della rivista «Das Volk» era «Völkische Kultur»: sotto tale denominazione viene
raccomandata ai militanti nazisti nel catalogo di Unger.92 Una lettera spedita dal comitato direttivo
della rivista, in data 2 maggio 1936, al Ministero dell’Educazione e delle Scienze, ci rivela come la
volontà della direzione di «Das Volk» di sollecitare il contributo di Heidegger non fosse certo
cosa nuova. Lo scopo della lettera era di chiedere «informazioni» su Heidegger, «sul suo lavoro e
sulla sua personalità». La risposta ministeriale, del 2 giugno 1936, non eccepisce nulla nei confronti
del filosofo, limitandosi a rifiutare di fornire qualsiasi indicazione «per una questione di principio».
Va comunque osservato che Wolfgang Nufer, ormai dall’inizio del 1936, si era stabilito e operava
a Friburgo; è dunque probabile che a monte della decisione di «Das Volk» di cooptare tra i propri
collaboratori Martin Heidegger ci fossero dei contatti tra Heidegger e Nufer, o, almeno,
l’apprezzamento di quest’ultimo nei confronti della posizione ideologica del filosofo.
L’intenzione della rivista di rivolgersi a Heidegger, comprova come, in quel periodo, questi,
malgrado il suo atteggiamento «critico», godesse di tutti i titoli per pubblicare anche su periodici
ortodossi quale appunto era «Das Volk».
Altra testimonianza della fiducia riposta dal Ministero dell’Educazione in Heidegger è costituita dai
tentativi del regime volti a riorganizzare politicamente la Kant-Gesellschaft (Società kantiana) e a
risolvere la crisi che aveva travolto questo insigne sodalizio filosofico fin dal 1933. Nell’Archivio
centrale di Merseburg figurano svariati documenti che ben attestano gli sforzi compiuti, soprattutto
dall’Amt Wissenschaft di Rosenberg, per riformare la Kant-Gesellschaft, ristrutturandone la
direzione. Il professor Hans Heyse, che, tra il 1936 e il 1937, si ritrovò a capo dell’associazione e
della rivista« Kant-Studien», fu tra i personaggi chiave di tale operazione.
A quanto risulta dalla documentazione conservata negli archivi dell’Università di Halle (sede della
Kant-Gesellschaft), il professor Paul Menzer, vecchio presidente dell’associazione, sulla base
del nuovo ordinamento statutario, fu destituito dalle sue funzioni nel
1936,    in seguito a una forte pressione ufficiale.
Nel frattempo la direzione aveva subito tali e tanti rimaneggiamenti che, con le dimissioni di Hans
Heyse, esternate nel febbraio
1937,    si arrivò a una crisi difficilmente sanabile. Il dottor Martin Lopelmann, fiduciario del
Ministero presso il comitato direttivo, lasciò l’incarico il 10 ottobre 1934, conformemente alle
esigenze della NSDAP.93 Fino al 1934 anche Eduard Spranger era stato, insieme a Löpelmann e
Menzer, membro della direzione. Da una nota dell’Amt Wissenschaft di Rosenberg, reperibile
presso l’Istituto di storia contemporanea di Monaco,94 destinata ad Alfred Bäumler, emerge con
grande chiarezza come quest’ufficio fosse in disaccordo con la linea ideologica seguita dalla Società
kantiana e come reputasse auspicabili le dimissioni di Löpelmann dalla direzione.95 E Löpelmann,
il 10 ottobre 1934, rassegnò le proprie dimissioni al Ministero, autorità istituzionalmente preposta a
sovrintendere alla Kant-Gesellschaft.96 Come risulta dalla documentazione disponibile, la scelta di
affidare a Bäumler poteri decisionali, suscitò notevoli opposizioni all’interno stesso
dell’associazione.
Si stava costituendo, intanto, all’estero, un’altra Kant-Gesellschaft, della cui direzione si erano
impegnati a far parte i professori Liebert (Belgrado), Kuhn (emigrato in Olanda), Husserl
(Friburgo) e Driesch. Si trattava di un’iniziativa in palese contrasto con le posizioni ufficiali. Fu la
stessa Kant-Gesellschaft, probabilmente nella persona di uno dei membri della direzione, che fornì
questa informazione di carattere delatorio alle autorità naziste. Essa fu indirizzata a Schäfer,
dell’Ufficio relazioni estere della NSDAP, il 18 dicembre 1935.97
In una lettera del 24 luglio 1936, Hans Heyse mette Schäfer a parte delle proprie difficoltà - come
presidente dell’associazione e direttore della rivista «Kant-Studien» - a trasformare questi due
organi in strumenti della propaganda culturale e scientifica naziste. Hans Heyse dichiara di aver
assunto le responsabilità di presidente e di direttore su richiesta di Alfred Rosenberg. Egli esprime
l’esigenza di più ampie disponibilità economiche e di una radicale trasformazione della Kant-
Gesellschaft in senso nazionalsocialista.98
A questo punto intervenne il Ministero dell’Educazione e delle Scienze, designando il consigliere
governativo Frey al riordinamento della Kant-Gesellschaft. Il rapporto di Bäumler,
consultabile presso l’Istituto di storia contemporanea di Monaco, attesta come Frey proponesse una
«rapida e improcrastinabile trasformazione» della direzione, suggerendo per la presidenza il nome
di Martin Heidegger, per la vicepresidenza il professor Löpelmann di Berlino, e come vicepresidenti
a latere i professori Koellerreuter di Monaco e Metzner della Camera degli scrittori del Reich. Frey
indicò, inoltre, sempre per la direzione, l’incaricato di missione Stieve e il direttore ministeriale
Gauss; pensava poi, con il beneplacito del Ministero degli Esteri, di riservare una serie di posti a
personalità straniere - e, precisamente, a un olandese, un inglese, un francese, un italiano, un
giapponese e un americano - rappresentative del mondo filosofico del loro paese. L’organigramma
includeva ancora un altro rappresentante della Camera degli scrittori del Reich nonché un emissario
dell’Amt Wissenschaft di Rosenberg.99
In una lettera indirizzata a Bäumler, l’Amt Wissenschaft manifestava apertamente il proprio
disaccordo sulla lista ministeriale, senza peraltro fare nomi, e ribadiva l’opportunità di designare
alla presidenza, se possibile, lo stesso Bäumler, come in seguito avvenne con il consenso di Frey.
Sulla successiva evoluzione della crisi disponiamo soltanto delle informazioni ricavabili da una nota
del 24 febbraio 1937, diretta a Bäumler. In essa si notificavano le dimissioni rassegnate da
Heyse, l'8 febbraio 1937, sia dalla presidenza che da membro dell’associazione.100
La rivista «Kant-Studien» rivedrà la luce nel 1942-43 e in quella data Heyse ricompare come
responsabile. Martin Heidegger era socio della Kant-Gesellschaft fin dal 1916 nella veste di
professore dell’Università di Friburgo. Il conflitto esaminato, concernente la gestione della società
kantiana, rivela a sufficienza i contrasti interni e le lotte di frazione che opposero Martin Heidegger
a Rosenberg.
«L'origine dell'opera d'arte» e «Le vie del dialogo»
Le prospettive filosofiche e filosofico-politiche di Martin Heidegger in questo periodo appaiono,
con la massima sistematicità, nei due scritti Der Ursprung des Kunstwerkes (L’origine dell’opera
d’arte) e Wege zur Aussprache (Le vie del dialogo).
I    saggi sull’opera d’arte furono redatti da Martin Heidegger in tempi successivi. La prima stesura
corrisponde a una conferenza tenuta alla Società per la scienza dell’arte di Friburgo il 13
novembre 1935 e ripresa a Zurigo su invito dell’Associazione degli studenti universitari. Il testo
definitivo, pubblicato nella raccolta Holzwege (Sentieri interrotti), riunisce tre diverse conferenze
pronunciate al Freies Deutsches Hochstift di Francoforte rispettivamente il 17 e il 24 novembre
1936 e il 4 dicembre dello stesso anno.101
È bene sottolineare subito la comparsa, in questo scritto, di un elemento concettuale nuovo,
attraverso cui Heidegger intendeva delucidare l’essenza dell’opera d’arte. Il filosofo concepisce
l’opera d’arte come una «messa-in-opera-della-verità». La nozione elaborata da Heidegger
possiede, tuttavia, una valenza di ordine più generale: essa deve anche prestarsi a penetrare l’origine
dello Stato, nel cui spazio sorgono l’essere di ciò che è e la domanda che esso suscita.
II    riferimento politico si inscrive in quel «rivoluzionarismo» caratteristico di Heidegger, che
concepisce lo Stato e la società come lotta originaria, e la storia come la loro sorgente
dinamica. «Quando si apre un mondo, si decidono, per un’umanità storica, vittoria e sconfitta,
benedizione o maledizione, dominio o servitù.»102
Vediamo snodarsi nel corso della riflessione una costante ideologica heideggeriana: il soggetto in
cui si palesa la verità e la sua messa in opera è il popolo. Le categorie di «terra», di «mondo» e
quelle che ne derivano, trovano il loro fondamento nell’atto attraverso cui un «popolo storico » si
costituisce, da sé stesso, concretizzando la verità, facendola opera. In questa prospettiva, Heidegger
interpreta il proprio lavoro come un momento della lotta del popolo tedesco per appropriarsi della
sua identità: «Siamo noi, nel nostro esserci, storicamente all’origine? Sappiamo-cioè cerchiamo
veramente-l’essenza dell’origine? Oppure, nel nostro atteggiamento di fronte all’arte, ci affidiamo
semplicemente alle notizie erudite del passato?»103
Funge per Heidegger da segnavia una personalità, una sorta di giudice storico-trascendentale, che,
dando voce al popolo e alla sua tradizione, si configura come paradigma dell’azione futura:
Hölderlin.
«Per questo aut-aut e per la sua decisione c’è un segno sicuro. Hölderlin, il poeta la cui opera
aspetta ancora la comprensione dei tedeschi, vi ha accennato quando dice: “Difficilmente ciò che
abita vicino all’origine, abbandona il suo posto.”»104
L’estetizzazione della politica rappresenta, per Heidegger, uno strumento per spiritualizzarla.
Percorrendo questo itinerario Heidegger vive un incontro cruciale: quello con Hölderlin come
guida spirituale. Hölderlin, o per lo meno lo Hölderlin visto da Heidegger, non sostituisce Hitler, ma
diventa il supremo segnacolo che gli permette di affrontare l’attività spirituale e politica. Già nel
corso tenuto da Heidegger nel 1934, veniva posto l’accento sull’essenziale ruolo, tanto storico che
politico e filosofico, di Hölderlin. Ora egli viene qui invocato, in un momento capitale
dell’evoluzione del filosofo, nello scritto sull’opera d’arte. Il ruolo di Hölderlin verrà ancor più
decisamente valorizzato negli anni della seconda guerra mondiale. La nuova categoria messa a
punto da Heidegger, la «messa-in-opera-della-verità», ben si presta a essere utilizzata per un’analisi
della storia del popolo e a definire alternative reali; essa sembra costituire un tassello centrale di
quel processo di spiritualizzazione verso cui, secondo Heidegger, il movimento doveva essere
instradato.
La nozione di «messa-in-opera-della-verità» trova formulazione solo nel 1936: è dunque illecito
avvalersene per spiegare globalmente l'«ontologia politica» sviluppata da Heidegger lungo tutto il
corso del Terzo Reich, come cerca invano di fare A. Schwan.105 In effetti non si può, nell’obiettivo
di spiegare assunti teorici, far uso di strumenti concettuali plasmati posteriormente ad essi.106
D’altronde diuturna e incessante è stata la determinazione di Heidegger nel subordinare ogni
concettualizzazione a quell’evento originario che è costituito dal popolo tedesco, posto come
paradigma.
Si potrà, più in là, vedere con maggior precisione il ruolo che viene attribuito a Hölderlin e,
segnatamente, il vincolo essenziale che lo lega alla patria sveva, di cui egli era originario,
proprio come Heidegger. Si tratta di un punto nodale: la tensione di Heidegger, volta a
spiritualizzare il momento storico, ne esprime l’esplicita volontà di dare fondamento alla propria
riflessione sulla «terra» stessa.
Tale è lo spirito in cui Heidegger pubblicò lo scritto Le vie del dialogo. Il lavoro comparve nel 1937
in una miscellanea, dovuta alle cure del dottor Kerber, sindaco di Friburgo, dal titolo
«Alemannenland. Ein Buch für Volkstum und Sendung».107 Schneeberger, inserendo tale scritto
nella raccolta Nachlese zu Heidegger,108 richiamava l’attenzione dei lettori su di esso in particolare.
Le vie del dialogo è stato poi riedito nelle opere complete di Heidegger.
La figura politica di Kerber è già stata analizzata più sopra. Ci limitiamo qui a ricordare che egli,
nel 1937, era membro delle SS di Friburgo e che, qualche mese più tardi, sarà promosso dal
Reichsführer delle SS, Himmler, al grado di SS Sturmbannführer,109
Nell’articolo programmatico Popolo, cultura e municipalità, Kerber definisce con chiarezza i
riferimenti ideologici entro cui si colloca il volume da lui curato: si tratta di un contributo nel
quadro del «movimento spirituale» che ha reso possibile il nazionalsocialismo, mettendo fine alla
lamentevole situazione in cui si trovava la cultura tedesca prima del 30 gennaio 1933. «Una nazione
destituita della propria identità razziale e privata della libertà diventa inetta a sviluppare una vita
culturale creatrice sua propria.»110 La rivoluzione ha fatto sì che «ovunque e in tutte le parti si
sprigionassero nuove forze creatrici» che, valendosi della riconquistata libertà dello spirito tedesco
e «obbedendo agli imperativi del proprio sangue», modellano l’anima del popolo in una nuova
forma e secondo nuovi contorni.111 La libertà conquistata dalla nuova Germania non
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ha paragoni al mondo: «La Germania, sola nazione, dispone di una Camera della cultura il cui
compito è di vegliare sulla libertà delle forze creatrici della cultura spirituale.»112
Collegando l’impegno della municipalità a quello dello Stato, Kerber vede nel suo libro uno stimolo
destinato a promuovere le forze autoctone. La Germania, a differenza, infatti, di altri paesi, non
costituisce un’unità razziale e culturale univoca; non ha un centro unico, egemonico, in cui
converga, in quanto capitale, tutta la vita del paese, relegando la provincia a un ruolo secondario e
subordinato.
«I paesaggi che ci attorniano hanno da sempre visto tra noi una vita tedesca, riflesso della sua
specifica natura, della sua storia e della sua indole, e ciò in un duraturo legame con la terra. Per
questo, alla vivacità e al carattere policentrico della cultura tedesca corrispondono da sempre la
ricchezza e la varietà dell’essere tedesco, quale che sia il luogo dove questa cultura si manifesti.
»113
«La cultura tedesca è sempre stata una cultura del popolo. Anche nei suoi momenti peggiori, essa è
stata originale; giacché infatti, se i guasti causati dalla civiltà liberale e dall’alienazione giudaica
sono stati di enorme portata, non hanno mai potuto sottrarre alla cultura tedesca il suo suolo, né il
vincolo che ad esso la unisce, non si è mai potuta convertire la provincia in deserto per
imporre, sopra il manto di bitume della grande città, uno spirito estraneo.»114
«La marca sudoccidentale ha anch’essa una missione che il destino le ha affidato, quella di lottare,
nel suo proprio modo, nella sua geografia e nel suo paesaggio, per l’esistenza del nostro popolo e
per le idee del nostro Führer, con tutte le forze che può trarre dal suo essere alemanna (...) La città
di Friburgo, collocata nel cuore della regione alemanna, svolge un ruolo centrale per il rilievo della
sua cultura. Nel suo nucleo, il carattere politico e culturale del sudovest del nostro Reich possiede
tradizioni antiche. La sua missione non si basa, però, soltanto sulla tradizione e sul passato, ma
trova il suo slancio in un’attualità vivente che, con la forza della sua volontà e con sicurezza, indica
la direzione dell’avvenire tedesco. Il popolo autoctono dell’Alto Reno, più che mai, oggi, è in grado
di comprendere il suo compito storico e politico-culturale. I recenti avvenimenti gli hanno procurato
una nuova consapevolezza. Friburgo è divenuta una città del fronte. Essa si trova nel punto focale
della regione del Reich che delimita i confini di tre paesi. »115
Kerber manifesta, a conclusione, quale sia l’immediato obiettivo politico del suo annuario
«Alemannenland»:
«Alla questione politica dell’Alto Reno ha posto con nettezza fine il nostro Führer. Non c’è più
problema a riguardo. Ma ciò che rimane, e per sempre, come missione da adempiere per la regione
del Reno è la conservazione dell’essenza, della qualità e della ricchezza del nostro elemento
autoctono sulla terra che gli è stata affidata, nonché la necessità di aprire nuovamente le sorgenti
della sua propria forza alla totalità dell’essere tedesco.»116
Lo scopo è di aprire un dialogo con la Francia in questa regione di frontiera, per favorire la pace e la
comprensione reciproca. Il 7 marzo 1936 le truppe di Hitler erano penetrate nella fascia renana e vi
si insediavano, violando le clausole del trattato di Versailles. Il patto di Locamo, che prevedeva, in
tale evenienza, azioni militari contro la Germania, restò lettera morta. L’Italia si era
formalmente impegnata, prima ancora della mossa tedesca, a non prendere misure di alcun tipo.
L’Inghilterra non si volle intromettere e la Francia, che esitava sul da farsi, finì con il cedere.117 Il
governo di Hitler doveva dunque, a questo punto, rendersi garante della pace e consolidare le
posizioni acquisite. Questo era appunto il compito che, in campo spirituale, si era assunto Kerber
con l’annuario da lui curato. Ed è anche il motivo per cui egli sollecitò e ottenne la
collaborazione di alcune personalità della cultura francese: si trattava di dare al dialogo l’apparenza
di uno scambio internazionale. Henri Lichtenberger, professore alla Sorbona, contribuì al progetto
con l’articolo Goethe e la Francia,118 il professor Jean-Eduard Spenlé, rettore dell’Università di
Digione, scrisse Nietzsche, mediatore spirituale tra la Francia e la Germania119 e Alphonse de
Chateaubriand Come io vedo il Führer Adolf Hitler.120 L’apporto più raffinato, I combattenti
del fronte a Friburgo in Brisgovia,121 si deve al dottor Joseph H. Maitre, responsabile, nel 1937,
della delegazione francese dei combattenti del fronte. L’autore, nell’articolo citato, descrive ed
esalta i cantera-teschi incontri degli ex combattenti delle due sponde del Renò.
L’articolo di Chateaubriand non ha riscontri nel suo genere. Eccone il testo, ripreso e incorporato
nell’opera La gerbe des forces, pubblicata da Grasset, nel 1937:
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«Sovente, nel villaggio di Berchtesgaden, la folla si ammassa, stende il braccio destro e fa risuonare
inni di gioia. Ed egli [Hitler] risponde. Il suo volto appare allora illuminato dal sole delle montagne,
come se egli ne fosse parte integrante, come se egli fosse un’emanazione della luce. Io credo che
l’analisi fisiognomica del suo viso riveli quattro caratteristiche essenziali: l’inconsueta ampiezza
delle tempie denuncia un elevato idealismo; la struttura del naso, austero e inquisitore, una
notevolissima acutezza di intuizione; la distanza tra la narice e l’orecchio, una possanza leonina, e a
ciò alludono con tanta acutezza le parole del dottor Goebbels: “Egli possiede un’indomabile volontà
e nervi d’acciaio, è all’altezza della situazione più estrema e non si lascia abbattere da nessuna
crisi.” La quarta caratteristica è un’immensa bontà. Sì, Hitler è buono. Osservatelo mentre è in
mezzo ai bambini, osservatelo chino sulla tomba di coloro che amava; è immensamente buono e lo
ripeto: buono, con la più piena convinzione che questa affermazione scandalosa non impedirà ai
deliziosi, agli incomparabili vitigni francesi di maturare sui poggi di Beaugency. »122
Con l’annuario Kerber si proponeva certamente l’obiettivo di intavolare un dialogo, ma non al
prezzo dei princìpi più preziosi. Egli, di fronte alle posizioni di Spenlé, audaci a suo modo di
vedere, credette bene di dover obiettare in questi termini:
«Il pensiero di Nietzsche è a tal punto originario che non potrà mai essere concepito come sintesi
dell’esistenza del Sud e del Nord. Il valore del suo pensiero sta in questo, precisamente, nel fatto
di riconoscere che la miseria storica dell’Occidente ha attinto tali estremi che, per superarla,
nessuna sintesi può essere ormai più sufficiente e che, sole, sono necessarie le decisioni ultime. »123
Con le proprie notazioni critiche, Kerber intendeva, comunque, offrire elementi utili all’incontro tra
le diverse mentalità di «due nazioni produttrici di cultura». In tale ottica, anche, egli esalta la
peculiare elaborazione che di questi temi prospetta Heidegger nello scritto comparso
nell’annuario.124
In effetti, Le vie del dialogo si presenta come un perfetto esempio di ciò che Heidegger intende per
polemos: un combattimento da cui emerge la verità e che, ad onta di ogni apparenza, è
necessariamente costitutivo del dialogo. I popoli pervengono all’essere nella persona dei loro
dirigenti spirituali. Una volta definite le regole del gioco, non resta che individuare in cosa consista,
o possa consistere, rispettivamente per il popolo francese e per il popolo tedesco, «il carattere più
specificamente proprio», a partire dal quale soltanto debbono poter scaturire il confronto e il
rinnovamento.
Otto Pöggeler vuol vedere, in questo invito a un reciproco aprirsi, rivolto ai due popoli,
l’intendimento di andare oltre le posizioni nazionalsocialiste.125 In realtà Heidegger si limita a
riaffermare i princìpi che avevano orientato il suo discorso a favore del ritiro della Germania dalla
Società delle Nazioni, avvalendosene ora nella sfera, divenuta di interesse preminente, della vita
spirituale.
Sui domini essenziali dell’essere, natura e storia, la riflessione dei due popoli risulta di valore e di
spessore molto diversi. Se i francesi sanno pensare la natura, ne hanno, però, una concezione
inadeguata, offrendo in tal modo ai tedeschi il destro per riconsiderarla in termini ad essa più
acconci; per quanto riguarda la storia - il dominio essenziale, secondo Heidegger - i tedeschi si sono
rivelati i soli all’altezza di comprenderla. Il sapere moderno sulla natura, il cui dominio e
sfruttamento si basano essenzialmente sul modo di pensare matematico, lo dobbiamo alla
speculazione del francese Descartes;126 nei confronti di quest’ultima, però, risulta vincitrice la
capacità di pensiero di Leibniz, « uno dei più tedeschi tra i pensatori tedeschi»,127 il quale,
prendendo in contropiede Descartes, riesce a porre dei problemi ancora attuali ai nostri giorni.
Nell’altro territorio dell’essere, la storia, le cose si palesano con maggior nettezza ancora: è grazie
ai poeti e ai pensatori dell’epoca dell’idealismo tedesco che si è manifestato, per la prima
volta, nella vicenda dell’Occidente, un sapere metafisico sull’essenza della storia.128
Il volume curato da Kerber e lo scritto di Heidegger che vi compare furono recensiti dalle riviste più
vicine al regime. Citiamo, come esempio, il commento pubblicato da «Die Neue Literatur», di
Lipsia, nel numero del 4 aprile 1938, dove si dice di «Alemannenland» che si tratta di «un’opera
miscellanea ammirevole, i cui preziosi contributi mettono in evidenza, in modo virile, sia la
coraggiosa e combattiva coscienza del bastione tedesco nell’Alto Reno, che la difficoltà di legare
popoli e culture».
Anche la rivista «Die Buchbesprechung» parlò della pubblicazione di Kerber.129
L’accoglienza ricevuta da «Alemannenland» in Svizzera, da parte degli ambienti nazionalsocialisti
filotedeschi, è rivelatrice delle finalità propagandistiche dell’opera. Le «Schweitzer Nationale
Hefte» 130 lamentavano che nella Svizzera alemanna non ci fosse nessuna iniziativa consimile in
campo editoriale e sottolineavano il contributo elargito a quest’opera «dalle figure più illustri
dell’odierno Alemannentum, le quali testimoniano dell’alto significato della testa di ponte costruita
a occidente del Reich e forniscono ai lettori una concreta immagine della missione
dell'Alemannentum».131 Gli elogi rivolti dalla rivista all’articolo di J. Schaffner, Rund um die
alemannische Kulturtatung (In margine al convegno culturale alemanno), mostrano, dietro questa
rivista, la mano di gruppi apertamente favorevoli all’annessione al Reich della regione svizzero-
tedesca.132
Le lezioni sulla filosofia di Nietzsche
Che il legame di Martin Heidegger con gli orientamenti di fondo del nazionalsocialismo rimanga
vivo e profondo fino a questo periodo, risulta palese non solo dalla concezione, che egli esibisce,
dei rapporti internazionali in termini di «lotta» da impegnarsi sia sul piano ideologico che sul piano
istituzionale, ma anche dalla condotta delle autorità che, sebbene tendano a raffrenarlo come si fa,
appunto, con un elemento «indisciplinato», non facendolo accedere a funzioni dirigenti decisive,
mantengono tuttavia nei suoi confronti un atteggiamento di piena disponibilità.
La sua posizione «critica», sotto il profilo filosofico, si snoda, a quest’epoca, attorno alle lezioni sul
pensiero di Nietzsche. Heidegger affermerà, nell’intervista postuma con lo «Spiegel», che in esse
si deve vedere un suo confronto con il nazionalsocialismo.133 Ancora una volta la formulazione di
Heidegger si rivela di sfaccettata ambiguità: egli non sostiene, infatti, che le lezioni su Nietzsche
corrispondano a una critica radicale del nazionalsocialismo, ma allude ad esse come a una
«discussione» (Auseinandersetzung) che ne interroghi il ruolo e la funzione storica. Tale ambiguità
tanto più risalta, se si pensa che Heidegger, mentre sottopone il nazionalsocialismo a una disamina
volta a relativizzarne il significato «metafisico», ostenta pubblicamente la propria adesione al
«movimento» e al Partito.
Heidegger, in effetti, non solo persevererà nella sua organica militanza nella NSDAP, ma la vorrà
esteriorizzare sacrificando al rituale del saluto nazista all’inizio e alla fine delle lezioni. La pratica
del saluto, introdotta come obbligatoria da Heidegger durante il suo rettorato, era stata fatta
decadere dal suo successore all’Università di Friburgo. II fatto che Heidegger, nella sua veste di
insegnante, non vi rinunci, e che, anzi, cerchi di ripristinarla come atto dovuto, testimonia
tangibilmente delle sue convinzioni politiche. Rammentiamo che tutto ciò avviene in una temperie
in cui si assiste a un inasprimento della politica totalitaria del regime, sia in fatto di repressione, sia
per l’accelerata trasformazione dell’economia tedesca in economia di guerra, sulla base di
un’alleanza strategica tra il grande capitale e quello che Eugen Kogon ha denominato «lo
Stato delle SS».
Γη una lettera del 24 luglio 1952, Karl Jaspers scrive a Martin Heidegger, riandando alle vicende di
quel periodo: «Al tempo in cui seguiva le Sue lezioni del 1937-38, la signorina Drescher mi
informò del Suo fallimento in ordine alla reimposizione dell’obbligatorietà del saluto
nazionalsocialista, obbligatorietà che era stata da Lei introdotta e che il rettore dell’epoca aveva
abrogata.»134 La veridicità della rievocazione di Jaspers ci è stata confermata da altri ex allievi di
Heidegger che assistevano, allora, alle sue lezioni.
Anche ad esser certi che Heidegger, in quegli anni, fosse sorvegliato dalla polizia politica, come
sarebbe anche stato attestato da uno studente - che gli avrebbe personalmente confessato di
essere un agente del Servizio di sicurezza (Sicherheitsdienst) con l’incarico di riferire quanto egli
dicesse nel corso delle lezioni -,135 ciò non farebbe che ulteriormente sottolineare l’equivocità di
fatto in cui Heidegger si muoveva fino al 1937. Si dà, però, il caso che l’allievo in questione, Hans
Hanke, non sembra esser stato informatore del Servizio di sicurezza. O, almeno, così risulta dalla
sua scheda di partito conservata presso il Centro di documentazione di Berlino.
Le lezioni su Nietzsche, iniziate nel 1936-37 con la trattazione del tema «La volontà di potenza
come arte», continueranno fino al 1944. Heidegger scelse poi come argomenti per i propri corsi, nel
1937, «L’eterno ritorno dell’eguale»; nel 1939, «La volontà di potenza come conoscenza»; nel
1940, «Il nichilismo europeo e la metafisica di Nietzsche»; nel 1941, «La metafisica come storia
dell’essere» e poi «Progetti della storia dell’essere come metafisica» e «La rimemorazione della
metafisica». Tra il 1944 e il 1946 Heidegger sviluppò la questione della «Determinazione del
nichilismo intesa a partire dalla storia dell’essere». Le anzidette lezioni furono raccolte in due
volumi e pubblicate nel 19(31 a Pfullingen con il titolo Nietzsche.
Data l’impossibilità di collazionare il testo edito e il testo originale, esame che, nel caso, sarebbe
particolarmente denso di significato, le conclusioni che si possono trarre - sulla scorta della
redazione data alle stampe da Heidegger successivamente - vanno considerate in qualche misura
provvisorie.
Se si accoglie la tesi di Heidegger secondo cui le lezioni su Nietzsche debbano essere interpretate in
chiave di interrogazione attorno al nazionalsocialismo, se ne deve dedurre che, ai suoi occhi,
Nietzsche rappresentava un tema strettamente attinente all’essenza stessa della discussione. Quale
ne fosse la rilevanza e in quale contesto essa assumesse significato, è piuttosto ovvio: gli attacchi
che venivano rivolti a Heidegger da parte del gruppo ideologicamente egemonico, in particolare da
Ernst Krieck, avevano come nerbo il persistente rimprovero secondo cui la filosofia heideggeriana
non sarebbe stata altro che una forma di nichilismo distruttivo, una sorta di sottoprodotto del
pensiero ebraico, a parere dei nazisti, disgregatore per natura. Una tale contestazione era gravida di
pericolose conseguenze, non solo perché poneva Heidegger in patente contraddizione con i dogmi
fondamentali del nazionalsocialismo, quali erano stati formulati da Hitler in Mein Kampf, ma anche
perché la vigenza di tali princìpi costituiva un aspetto imprescindibile della tattica ufficiale, intesa a
mantenere la società in una situazione di calma e sotto controllo. Attento a non suscitare
un’opposizione radicale e generalizzata delle Chiese, Hitler, che pur cercava di scalzarne le
posizioni nei settori chiave della società tedesca, intendeva tutelare, su un piano generale e astratto,
i valori di fede fondamentali, integrandoli ideologicamente nel cosiddetto «cristianesimo positivo».
Questo è il motivo per cui Hitler si mostra risolutamente polemico nei confronti di «una lotta
violenta contro le basi dogmatiche delle Chiese, senza le quali non è pensabile una sopravvivenza
pratica della fede religiosa» e si appiglia al pericolo che comporterebbe per le masse «perdere il
proprio unico supporto per una concezione del mondo».136 Per ciò stesso Hitler vedeva nel
nichilismo religioso un attentato del tutto simile a quello che «cerca di distruggere le fondamenta
legali dello Stato (...) Fin quando gli uomini non saranno tutti filosofi e in grado di andare da soli
alla scoperta di una concezione del mondo appropriata, la distruzione della base dogmatica può
essere solo l’opera di pazzi o di criminali».137
Egli rivolge, pertanto, un appello a superare le differenze religiose e a impegnarsi per la
ricostruzione della Germania senza badare ad esse, imponendo altresì ai membri del Partito di non
intervenire nei conflitti religiosi che, qualora si espandessero, potrebbero mettere a repentaglio la
missione del Partito e del popolo.138 La posizione apertamente critica nei confronti del
cristianesimo, espressa da Heidegger nell’ambito della conferenza da lui tenuta a Heidelberg, e poi
nel quadro degli avvenimenti legati alla sospensione di Ripuaria, si iscrive inequivocabilmente
nell’ottica massimalistica delle SA e di Rohm e, vista nella prospettiva politica del 1937, poteva
apparire come un travalicamento della linea ufficiale, che, ad onta dell’anticlericalismo di fondo,
non intendeva certo accreditare un atteggiamento nichilista radicale. È lo stesso Heidegger a farci
capire, nel corpo delle sue lezioni su Nietzsche, con esplicite sottolineature, come egli, in quel torno
di tempo, fosse oggetto di una tale accusa con quanto essa comportava sul piano della connotazione
politica. Parlare senza mezzi termini di nichilismo ogniqualvolta compaia la categoria del «nulla»,
anche quando questa sia strettamente ed essenzialmente tematizzata in attinenza alla riflessione
sull’essere, e caricare poi, ancorché allusivamente, la parola «nichilismo» della valenza di
«bolscevismo» non costituisce soltanto un modo superficiale di pensare, ma anche «una demagogia
immorale».139
Lo svisceramento critico del pensiero di Nietzsche si prestava, dunque, assai bene, a confrontarsi,
indirettamente ma in modo radicale e polemico, con le questioni essenziali della filosofia
heideggeriana, nonché con le obiezioni emerse dall’accoglienza ad essa riservata dagli ideologi
ufficiali. A tutto ciò va, per di più, aggiunto che Nietzsche rappresentava un pilastro dell’edificio
concettuale costruito da costoro nell’intento di fornire le basi filosofiche al movimento: considerato
convenzionalmente come il padre delle idee portanti del nazismo, Nietzsche si adattava
efficacemente anche alle esigenze della politica culturale del regime. Basti l’esempio di
Alfred Bäumler, portavoce di Rosenberg e dell'Amt Wissenschaft, secondo il quale proferendo il
saluto Heil Hitler! si rendeva contemporaneamente omaggio alla filosofia di Nietzsche.
La riflessione sul significato della filosofia nietzschiana ha, per Heidegger, come obiettivo centrale
comprendere la natura del nichilismo, e tematizzare, pensando «con Nietzsche, attraverso di lui e
contro di lui», gli antecedenti decisivi dell’accadimento storico presente e delle sue implicazioni
politiche concrete. Secondo l’angolazione di Heidegger, il gruppo ideologico egemonico rifiutava,
infatti, di ammettere un duplice fenomeno: da un lato, che il nichilismo fosse qualcosa di più che
un’opzione occasionale, relativa a momenti specifici della storia spirituale dell’Occidente, e,
dall’altro, come soltanto in quel particolare frangente fosse dato di percepire, nella sua essenza, il
pensiero di Nietzsche come risposta contrapponentesi al nichilismo.
Se nel corso «Einführung in die Metaphysik» (Introduzione alla metafisica), che risale al 1935,
Heidegger pensava ancora possibile, a guisa del «predicatore cappuccino», ammonire contro il
pericolo che minacciava il popolo metafisico e i suoi dirigenti devianti, diversamente, nelle lezioni
su Nietzsche, Heidegger sviluppa le sue riflessioni assumendo come punto di partenza l’ipotesi che
il nazionalsocialismo già viva in pieno sviamento, introiettandolo in modo inavvertito.140
La lotta contro il nichilismo impone qualcosa di più della lotta «contro la corruzione», «contro la
degenerazione fisiologica» o altri analoghi fenomeni:141 essa esige un profondo rivolgimento dello
spirito ed è appunto in tale direzione che Nietzsche avrebbe pensato il problema. La divaricazione
crescente tra il movimento e la sua «grandezza e verità interna», conduce Heidegger a relativizzare
il significato del nazionalsocialismo non solo nel senso che «le grandi epoche, proprio perché
grandi, sono spesso uniche e di durata assai breve»,142 ma anche rispetto all’autocomprensione che
esso ha di sé stesso e rispetto alla propria autoaffermazione. Innanzitutto perché il
nazionalsocialismo effettuale non ha afferrato che «ogni posizione di valori in senso essenziale deve
non solo creare le sue possibilità per essere anzitutto “intesa”, ma deve al tempo stesso e
previamente allevare coloro che offrono alla nuova posizione di valori il nuovo atteggiamento per
sostenerla nel futuro».143 In luogo di farsi carico di questo compito, il deviazionismo ha
disconosciuto ben presto la propria origine. Denunciando tale situazione, Heidegger la correla
apertamente e direttamente alla sua persona e all’alternativa politica e spirituale che
essa rappresenta:
«Quanto liberatorio deve sembrare alla scienza il fatto che oggi si sia sospinti a dire che, per ragioni
storico-politiche ineluttabili, il popolo e lo Stato abbiano bisogno di risultati e di risultati
pratici! Bene, dirà la scienza, ma allora io ho bisogno di tranquillità, cosa che chiunque può
comprendere, ed essa ottiene in effetti la sua tranquillità. Cioè: si può continuare ad andare avanti
ben adagiati nella medesima ignoranza metafisica di quest’ultimo mezzo secolo. La “scienza”
attuale sta dunque vivendo, a suo modo, la propria liberazione. Essa si sente confermata, come mai
prima, nella propria necessità e insieme, dal momento che pensa tale sua necessità nel travisamento,
anche nella propria essenza (...) Chi, qualche tempo addietro, ebbe l’idea di dire che la scienza può
affermare la sua essenza solo in quanto la recupera in un interrogare originario, deve
necessariamente apparire, nell’attuale situazione di fatto, come un pazzo o come un demolitore
“della” scienza. Giacché il domandare riguardo ai fondamenti apporta uno sfibramento interiore,
che è un proposito per il quale abbiamo a disposizione il termine efficace di “nichilismo”. Ma non
preoccupiamoci, perché questo fantasma appartiene ormai al passato, e ora si è nuovamente ottenuta
la tranquillità e gli studenti - si dice - chiedono di nuovo di poter lavorare! La mediocrità generale
dello spirito può ancora una volta riemergere.»144
In una lettera a Rudolf Stadelmann, scritta il 20 aprile 1939 - conservata presso l’Archivio federale
di Coblenza, nel lascito Stadelmann - Heidegger illustra efficacemente la propria opinione sullo
sviluppo dell’università in quell’epoca, sul ruolo che in essa deve avere l’individuo, nonché sul
destino dei tedeschi: «Più che mai è oggi necessario all’università il libero lavoro dell’individuo. Le
forme istituzionali della scienza non subiranno nel prossimo futuro alcuna variazione. Un
cambiamento deve, però, essere preparato, se vogliamo veramente che l’essenza di ciò che è
tedesco conservi la sua vitalità storica. »
È in questo senso e in tale contesto che i filosofi ufficiali lasciano senza una base spirituale per la
sua azione la direzione politica del movimento. Così agendo si impedisce un autentico accesso al
pensiero di Nietzsche e, insieme, a una riflessione sull’essenza del nichilismo. Si sta rinnovando,
nel 1937, il medesimo fenomeno che, nel secolo xix, ha fatto pensare a una disfatta dell’idealismo
tedesco, quando invece la vera questione stava nell’incapacità dell’«epoca» di muoversi alla sua
altezza:
« Schopenhauer pervenne all’apice della filosofìa del suo tempo non perché il suo pensiero avesse
sopravanzato filosoficamente l’idealismo tedesco, ma perché i tedeschi soccombettero di fronte
all’idealismo tedesco, non essendo in grado di sollevarsi al suo livello. Tale insufficienza è ciò che
fece di Schopenhauer un grand’uomo, ed è ciò da cui derivò che la filosofia dell’idealismo tedesco,
vista attraverso il filtro dei luoghi comuni di Schopenhauer, divenisse qualcosa di inusitato e di
estraneo e fosse relegata nell’oblio. »l45
L’interpretazione in chiave biologizzante della filosofia nietzschiana pon ne comporta soltanto un
grave fraintendimento. Essa, in realtà, traligna in agente stesso del nichilismo.
Rievocando la condizione dell’idealismo tedesco nel secolo xix, e comparandola allo stato presente
delle cose, Heidegger afferma che, oggi, il pensiero di Nietzsche corre il rischio di subire la
medesima sorte. Ancora una volta i tedeschi non si dimostrano all’altezza. «Siamo ben lungi da un
rapporto autenticamente storico con la nostra storia. »146 Gli ideologi ufficiali non hanno
assolutamente colto l’orizzonte metafisico che si cela al di là delle loro stesse enunciazioni:
«La selezione razziale (Züchtung) dell’uomo non è un fatto pacifico che reprima e paralizzi la
sensualità. La disciplina consiste nell’accumulazione e purificazione delle forze nell’univocità
dell’“ automatismo” strettamente controllabile di ogni atto. È solo là dove la soggettività
incondizionata della volontà di potenza diventa la verità dell’essente nella sua totalità che è
possibile, cioè metafisicamente necessario, il principio istitutivo di una selezione razziale, si badi,
non una semplice selezione razziale spontanea, ma la stessa idea della razza resa consapevole. »147
Il deviazionismo è sulla buona strada per annientare, con la sua condotta, le possibilità
paradigmatiche del «popolo metafisico»: spogliandolo del suo proprio spirito, lo abbandona
disarmato di fronte alla storia - la storia che è, appunto, inattuabile al di fuori del reciproco
combattersi tra popoli singoli148 - riducendolo al livello, banale e astorico, di una tribù di negri.149
Asserendo che «i tedeschi», segnatamente i loro «filosofi», non comprendono metafisicamente la
loro propria origine, Heidegger sta, in realtà, pensando che essi non comprendano Nietzsche.
Heidegger rende così manifesta, per la prima volta, la diversa ottica con cui egli guarda al
nazionalsocialismo. Incapaci di pensarsi metafisicamente, i deviazionisti non sono più in grado di
individuare il varco verso chi potrebbe fornire ad essi la linfa per un acconcio adempimento della
loro missione storica.
Il mutamento è patente: Heidegger non propone più il suo stesso pensiero come l’autocoscienza del
nazionalsocialismo. Pretende unicamente che i deviazionisti si cerchino nel pensiero di
Nietzsche, che si vogliano come realizzazione della soggettività intesa in termini di volontà di
potenza. La «discussione» di Heidegger con il deviazionismo si sviluppa secondo due versanti:
esso, innanzitutto, non è capace di fondarsi su Nietzsche, e, qualora anche lo fosse, ciò
si inscriverebbe nella cornice di un processo - l’itinerario della storia della metafisica - che con
Nietzsche ha ormai raggiunto il proprio culmine e il proprio definitivo limite.
Siffatta duplice dimensione del fenomeno impone naturalmente a Heidegger un duplice compito: da
un canto, delucidare in che senso Nietzsche si configuri come l’orizzonte spirituale del momento
storico presente; dall’altro, mostrare in cosa consista il superamento di Nietzsche, quello, appunto,
che permetta di contemplare l’insieme del processo in lui sfociato nonché la svolta verso l’origine
prima dell’interrogazione. Tale ultimo compito-missione volge Heidegger a considerare, ben al di là
di Nietzsche, in Hölderlin, l’essenza del fundamentum inconcussum: il popolo tedesco e il suo
linguaggio. Il primo obiettivo lo induce ad affrontare quelli che egli reputa i nodi centrali della
filosofia di Nietzsche: la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’eguale, nella reciproca è
complementare relazione che li sottende.
In contrasto con le interpretazioni ufficiali - di Rosenberg, Bäumler, Bertram e Klages - Heidegger
ritiene che il nocciolo del pensiero di Nietzsche non stia nell’affermazione esclusiva della volontà di
potenza, ma nel legame organico tra questa e l’eterno ritorno dell’eguale. La vulgata corrente di
questo principio vi vede semplicemente una sorta di appendice alla filosofia di Nietzsche,
arrivando, in taluni casi, a spiegarlo come un segno premonitore della sua follia.150 Tali
ragionamenti rivelano almeno due punti deboli: da una parte, l’incapacità di andar oltre le
formulazioni di matrice biologica, a partire dalle quali Nietzsche si muove per cogliere la
dimensione metafisica celata dietro di esse; dall’altra, il proprio accecamento di fronte al
complessivo processo che ha generato Nietzsche, e di qui l’obnubilamento dinanzi al punto dello
sviluppo storico in cui il deviamento appare. Ponendo, infatti, «la vita» come soggetto della volontà
di potenza, Nietzsche l’afferma come l’essere di ciò che è, seguendo in questo «la linea della
migliore e più grande filosofia tedesca», quella, appunto, di Schelling e di Hegel. Concependo «la
vita» come volontà, costoro assumevano il pensiero «di un altro grande pensatore tedesco», Leibniz,
per il quale l’essere è unità di rappresentazione e di volontà.151
L’ufficialità non sa comprendere che solo Nietzsche offre la possibilità di dare un fondamento
metafisico al «porsi sotto il proprio comando, alla decisione di dare a sé stessi un ordine (...), alla
volontà come determinazione del comando, segno della propria grandezza e della propria forza».152
È proprio attingendo l’ambito in cui si sia capaci di andare al di là di sé stessi, di essere, cioè, un
superuomo, che la volontà di potenza trova il suo autentico senso, quello di dare ordini, di riceverli
e di accettarli.153I filosofi di regime non hanno percepito come Nietzsche, sostenendo che la vita
non è solo volontà di conservazione, ma, fondamentalmente, autoaffermazione, sia andato molto
oltre Darwin. «L’autoaffermazione è la volontà di stare al di sopra, è affermazione del proprio
essere.»154 Soltanto prendendo le mosse di qui si può cogliere come la volontà di potenza sia, nel
contempo, distruzione, come appartenga all’essere il negativo, il no che esercita il proprio potere.155
Dietro la concezione nietzschiana dell’uomo come «animale da preda», e della sua più sublime
caratterizzazione - «la magnifica bestia bionda che, avida, vaga fiutando la preda e la vittoria», -
non c’è affatto una concezione che si rifaccia a un modello biologico. È l’idea metafisica della
volontà e della vita che immette energia nella sua riflessione.156
Allorché Nietzsche definisce «l’artista» come la più nobile espressione della vita e della volontà,
non intende, con questo, edificare un’estetica; egli opta, piuttosto, per una concezione fondamentale
dell’essere di ciò che è.157 Forse per tal motivo, egli giunge a vedere nell’arte «l’unica forza di
resistenza, superiore a ogni volontà di negazione della vita, come l’anticristiano, l’antibuddista,
l’antinichilista per eccellenza».158 La sua «fisiologia dell’artista» ha soltanto la parvenza esteriore
della spiegazione biologica. Le modalità essenziali della vita - l’ebbrezza della festa, della guerra,
del gesto temerario, di ogni azione estrema, l’ebbrezza della crudeltà e della distruzione - sono, in
realtà, trionfi della volontà e della vita nella loro accezione metafisica.159
Per giunta, misconoscendo che tale forma suprema della vita include il ritorno, la perpetua
ricomparsa di ciò che è inferiore, spregevole, repellente - l’eterno ritorno -, il deviazionismo rifugge
dal riconoscere il proprio status: vi è in ogni individuo un passato deprecabile e inerte che si ripete e
che non può essere trasceso se non nel riconoscimento dell’essenza, nell’accettazione, da parte della
volontà, in un atto risolutivo, dell’ineluttabilità del ritorno.160
Nietzsche non può, dunque, essere penetrato, se non si esaminano i due poli fondamentali della sua
meditazione - la volontà di potenza e l’eterno ritorno - nella prospettiva originaria della domanda
sull’essere, la questione nodale del pensiero occidentale.161 L’essente nella sua totalità «è», secondo
Nietzsche, volontà di potenza: lo è, appunto, nel modo dell’eterno ritorno.162 Così «esso ritorna
all’inizio della filosofìa greca, lo assume in un modo suo proprio e chiude così l’anello che segna il
cammino della domanda sull’essente come tale nella sua totalità».163
Nietzsche incarna la «fine della metafisica» e del suo ciclo: ne distrugge il fondamento attestando
che i valori sono ormai destituiti di ogni realtà e scalzando alla radice il platonismo, avvio del
percorso della 'metafisica.164
Heidegger afferma, tuttavia, che lo smantellamento, operato da Nietzsche, del platonismo e delle
sue ramificazioni, è intrapreso dall'interno stesso del platonismo: la concretizzazione dell’essere
effettuata da Nietzsche, identificandolo con «la vita», implica, nel medesimo tempo, una
«riduzione» dell’essere a una forma specifica dell’essere e non allude a una visione dell’essere in
quanto tale. Ma,
nel contempo, proprio perché è colui il quale divelle tale tradizione, Nietzsche viene collocato al
vertice di tutta la storia del pensiero occidentale, laddove si situa il punto di partenza da cui tentare
la via verso il nuovo principio:
«È proprio perché la posizione filosofica di Nietzsche segna la fine della metafisica, nel senso detto,
che si realizza all'interno di essa la massima e più profonda concentrazione o, per meglio
dire, pienezza, di tutte le posizioni fondamentali della filosofia da Platone in poi, per sfociare, alla
luce del platonismo, in una posizione determinata e creatrice. Potrà, però, rimanere una posizione
metafisica autenticamente efficace, solo qualora venga sviluppata, in tutte le sue linee di forza
essenziali e nei suoi ambiti di supremazia, nel senso di una contrapposizione. La filosofia di
Nietzsche, in sé diretta verso il passato, deve diventare, in grazia di un pensiero che scruti molto al
di là di essa, un contropensiero rivolto in avanti.»165
Così Heidegger vive la propria filosofia: «inizio», prologo di un pensiero che, sebbene nuovo,
redime tuttavia il pensiero arcaico. Giacché, però, «il pensiero» non è altro che l’oggettivazione
trascendentale di ciò che Heidegger intende per «popolo», nello stesso modo in cui «il popolo dei
greci» lottò «contro quanto gli era più estraneo», oggi, l’oltrepassamento della realtà, finora data,
dovrà essere l’opera di un popolo, del popolo tedesco, di per sé stesso metafisico.
Nietzsche pervenne alla soglia di tale conoscenza, nominandola, senza però comprenderla.
Hölderlin, solo, si spinse più lontano, prefigurandosi come istanza trascendentale:
«Questa profonda conoscenza si trova celata in una lettera all’amico Böhlendorff. La lettera fu
scritta il 4 dicembre 1801 poco prima del suo viaggio in Francia (...) Hölderlin contrappone,
nell’essenza dei greci, “il pathos sacro” alla “sobrietà giunonica del modo occidentale di
esprimersi”. Tale opposizione non va presa come una qualsiasi costatazione storica. Essa non si
rivela che a coloro che siano capaci di comprendere ciò che caratterizza i tedeschi. Qui dobbiamo
limitarci a questo solo riferimento, ma ben sappiamo che un autentico sapere attorno a Hölderlin
non è concepibile se non attraverso una riflessione complessiva sulla sua opera. Per ora ci
basti poter concludere, sia pure congetturalmente, che la diversamente designata lotta tra il
Dionisiaco e l’Apollineo, tra la passione sacra e il sobrio esprimersi, è l’occulta legge dello stile
della “determinazione” storica dei tedeschi, e che essa dovrà trovarci pronti e preparati a realizzarla.
Questa opposizione non è soltanto una formula grazie a cui descrivere la “cultura”. Hölderlin e
Nietzsche hanno posto con questa lotta un segno interrogativo di fronte al compito dei tedeschi di
trovare, storicamente, la propria essenza. Comprenderemo questo segno? Una cosa è certa: la storia
si vendicherà contro di noi se non lo capiremo.»166
La «divergenza» di Heidegger nei confronti del nazionalsocialismo si trasfigura, per tal via, in
restaurazione spirituale del suo irrinunciabile fulcro: la discriminazione degli esseri umani e
l'irreprimibile desiderio di gerarchizzazione che, inevitabilmente, l’accompagna. Il suo distanziarsi
dal deviazionismo attinge - come principio - a quella medesima fonte sacra da cui si era mosso, per
ben presto allontanarsene, il movimento nazionalsocialista. Per questo, appunto, l’atteggiamento di
Heidegger rispetto al regime non assumerà mai, neanche a guerra mondiale finita, la veste di una
critica globale e radicale, e, ugualmente, la condotta del regime verso di lui non sarà mai
persecutoria. A tale sostrato di persuasioni in Heidegger si aggiunge un profondo convincimento
antidemocratico, che egli salvaguarderà fino alla fine della sua vita.
*73
presenziò una delegazione tedesca composta dai professori Tönnies (Kiel), Lipsius (Lipsia),
Pryzwara, S. J. (Monaco), Wenzel (Monaco), Helpach (Heidelberg), Feldkeller (Berlino), Frank
(Berlino), Werweyen (Bonn), Seifert (Monaco), Lowith (Marburgo) e Hartmann (Berlino).169
Gli atti di questo congresso non sono stati conservati né presso il Ministero dell’Educazione di
Potsdam, né presso l’Archivio di Merseburg, né presso l'Organizzazione centrale dei congressi
internazionali, la cui documentazione si trova raccolta negli archivi del Ministero degli Affari Esteri
di Bonn. Sono possibili delle ipotesi e delle conclusioni unicamente sulla base dei riferimenti che, a
questo congresso, furono fatti e registrati nell'ambito del successivo convegno parigino.
Nella scelta dei membri della delegazione tedesca a Praga sicuramente non intervennero né le
autorità ministeriali né il Partito. Infatti i professori che la componevano non erano
politicamente connotati: tra di loro figura persino il gesuita Pryzwara; e, d’altra parte, non vi
compaiono i filosofi nazionalsocialisti di maggior spicco: Krieck, Bäumler, Heidegger, Heyse,
Rothacker, Rosenberg. In tutto ciò si può cogliere un indubbio indice dell’indifferenza manifestata
dalla burocrazia nei confronti del congresso di Praga. Del resto i filosofi tedeschi non nazisti
approfittarono del margine di manovra che loro derivava da tale disinteresse per escludere
dalla deputazione i colleghi più vicini al regime. Non è diversamente comprensibile come potesse
esserne lasciata fuori una personalità come Heidegger, che, all’epoca della preparazione del
congresso (1933_34), si trovava all’apice della propria influenza politica e scientifica.
Se nel caso di Praga ci si può perdere in congetture, i documenti relativi al congresso di Parigi
consentono di trarre conclusioni precise.
Nell’intervista con lo «Spiegel», Heidegger sostiene che, in origine, le autorità non intendevano
includerlo nella delegazione tedesca e che questo atteggiamento suscitò una tale sorpresa nel
comitato organizzativo francese da indurne il presidente a indirizzare una lettera a Heidegger,
chiedendo conferma dei fatti. Heidegger rispose suggerendo di porre la questione al Ministero
dell’Educazione e delle Scienze. «Dopo qualche tempo venne da Berlino l’invito-intimazione a me
diretta di entrare a cose fatte nella delegazione. Io mi rifiutai. »170
La documentazione custodita a Potsdam offre tutt’altra immagine della situazione. Da una lettera di
Heidegger, del 14 luglio 1937, al professor Metz, rettore dell’Università di Friburgo, si apprende
che Heidegger, dopo aver ricevuto da Bréhier l’invito a partecipare al congresso, si rivolse al
Ministero dell’Educazione e delle Scienze di Berlino, illustrando una proposta dettagliata relativa
ai criteri orientativi che, a suo parere, avrebbero dovuto guidare la delegazione tedesca e permettere,
nel contempo, la scelta dei suoi membri.
Di quest’ultima missiva non resta traccia, almeno negli archivi ai quali abbiamo avuto accesso. È
possibile tuttavia ricostruirne la trama essenziale attraverso i riferimenti contenuti nella lettera di
Heidegger al rettore Metz:
«Dell’invito personale che, un anno e mezzo fa, mi fu rivolto dal presidente del congresso, detti
notizia a suo tempo al Ministero nazionale dell’Educazione. In quell’occasione feci presente che
questo congresso, ideato contemporaneamente come celebrazione del giubileo di Descartes, si
configurava intenzionalmente come un attacco portato avanti dalla concezione dominante, liberal-
democratica, della scienza; e che perciò sarebbe stato opportuno costituire una delegazione tedesca,
adeguata ed efficace.»
Aggiunge poi: «Non avendo ottenuto alcuna risposta, non ho più comunicato al Ministero gli inviti
che mi sono continuati a pervenire da Parigi. Poiché per me, in questa vicenda, non ha alcuna
importanza il desiderio della direzione francese del congresso. L’unica cosa che conta è l'originaria
volontà delle autorità tedesche circa la mia partecipazione o meno alla delegazione tedesca.» Per
questo insieme di ragioni si vede costretto «a non poter entrare a far parte, appena un mese e mezzo
prima dell’inizio del congresso, della delegazione tedesca, la cui composizione e direzione [gli
sono] fino a questo momento sconosciute».
Accennando alla diffusione dei propri scritti all’estero («il mio lavoro per la filosofia tedesca»),
Heidegger informa Metz che essi, nel frattempo, sono stati tradotti in diverse lingue, tra cui lo
spagnolo e l'«argentino» (!). Mentre si stava preparando il congresso, e precisamente nello stesso
periodo in cui Heidegger aveva avanzato la propria combattiva proposta al Ministero di Berlino,
questo, come si è già visto, lo aveva indicato all’Università di Friburgo come preside della Facoltà
di filosofia. È certo difficile pensare che il medesimo Ministero potesse, nel contempo, mettere in
questione il diritto di Heidegger a partecipare a un congresso di tale risonanza. Molto più
probabilmente il suo rifiuto fu motivato da conflitti di potere di ordine personale. Tanto più che,
come si potrà costatare, la deputazione tedesca agì in modo inappuntabile, in perfetta conformità ai
principi offensivi elaborati da Heidegger.
Il primo documento del dossier concernente il congresso di Parigi mostra che il ministro diede il
proprio assenso con la riserva di affidare la guida della delegazione tedesca a Hans Heyse. In una
lettera al Ministero, del 4 agosto 1936, in cui si fa cenno a una precedente missiva del 20 aprile
1936, Heyse inizia con lo spiegare il significato politico dell’avvenimento:
«Il suo presidente onorario è Henri Bergson (...) che, ad onta delle sue origini ebraiche, passa per
essere uno dei più brillanti esponenti dello spirito francese contemporaneo (...) Il congresso farà del
suo meglio per rafforzare l’unità della filosofia, l’unità del pensiero umano, dell’origine umana e
comune della verità, presentando Descartes come l’iniziatore del pensiero moderno,
universale. Tutto ciò presuppone (implicitamente e come punto di partenza) una concezione della
filosofia corrispondente all’opinione più generalmente diffusa. La speranza e il convincimento degli
organizzatori del congresso è di far apparire, su questa trama di fondo, la volontà filosofica tedesca
attuale come una ricusazione delle grandi tradizioni europee, come espressione di un naturalismo
particolaristico, come una rinuncia dello spirito, accentuando, per tal via, l’isolamento della
Germania e il ruolo della Francia come guida spirituale dell’Europa.
[Di fronte a questa offensiva] che è portata avanti dissimulandone l’obiettivo politico, il compito
della Germania non può che essere in radicale opposizione rispetto alla linea espressa dal congresso
di Praga del 1934: si tratta di difendere la volontà intellettuale nazionalsocialista tedesca e di
metterla in esecuzione. Poiché il congresso si terrà in condizioni che non dipendono da noi e dato
che la manipolazione vi svolgerà un ruolo patente, occorre, da parte nostra, individuare con la
massima cura il modo più efficace di impegnare la battaglia dello spirito tedesco. Unicamente
questi criteri debbono orientare la scelta dei partecipanti.
[I membri della delegazione devono concentrare in sé le qualità necessarie a] esprimere la volontà
nazionalsocialista di lotta contro la corrente ideologia della scienza. Si tratta di una lotta
spirituale per difendere la posizione nel mondo e il prestigio internazionale della filosofia tedesca, si
tratta di un'offensiva spirituale tedesca nell’area europea. Possono quindi rendersi utili alla causa
tedesca soltanto le persone legate alla nuova Germania, all’altezza, nello stesso tempo, di ingaggiare
questo combattimento, e di discutere sugli specifici problemi della filosofia e della scienza che oggi
si pongono nel contesto internazionale (...) Poche persone, purtroppo, soddisfano tali condizioni, e
non soltanto sotto il profilo delle loro competenze filosofiche. »
La lista proposta da Hans Heyse comprendeva, in ordine alfabetico, i seguenti nomi:
«Il professor Becker (Bonn), nella sua veste di specialista di Descartes, il professor Heidegger
(Friburgo), come critico di Descartes, il professor Heyse (Königsberg), il professor Otto
(Königsberg), tra i migliori specialisti di Nietzsche, che avrebbe potuto anche occuparsi di questioni
di estetica, il professor Carl Schmitt, esperto di problemi giuridici e, infine, il professor Bäumler.
Per garantire la massima unità e raggiungere una reale forza offensiva, sarebbe opportuno richiedere
a ciascuna delle personalità citate di fare proposte integrative sulle quali poi si dovrebbero
pronunciare il Ministero e il Führer designato (...) I lavori preparatori comincerebbero all’inizio del
semestre invernale 1936-37 (...) con una riunione che dovrebbe vedere presenti tutti i
partecipanti.»171
Da una successiva lettera al Ministero, del 28 aprile 1937, si può dedurre come Heidegger avesse
già risposto negativamente a Heyse. Una nota ministeriale dell’8 giugno 1937 mostra con chiarezza
che lo stesso ministro Rust aveva cercato, a più riprese, di far cambiare opinione a Heidegger.
«Desidero si informi il professor Heidegger che la sua partecipazione al congresso verrebbe da me
accolta con viva soddisfazione. Nel caso egli accettasse l’offerta, gli farei immediatamente
pervenire il mio assenso, gli concederei un contributo di duecento marchi e lo nominerei membro
della delegazione. Per ciò che concerne la composizione della commissione, allo stato attuale delle
cose, si consulti la mia circolare dell’8 giugno 1937, di cui invio copia al professor Heidegger. Si
preghi il professor Heidegger di cambiare avviso e di volermi mettere, al più presto, a parte della
sua decisione.»172
Non può esservi dubbio che il rifiuto di Heidegger fosse dovuto al suo confessato desiderio di
essere egli stesso il Führer della delegazione tedesca; dopo aver esternato le sue personali proposte
strategiche e tattiche e aver compreso che le preferenze del Ministero andavano a Hans Heyse, un
suo epigono, non gli restava che l’alternativa di opporre un terzo diniego; diniego che non aveva,
evidentemente, niente a che vedere con una inesistente volontà del ministro di non farlo figurare tra
i componenti della delegazione.
I copiosi documenti relativi al congresso di Parigi, conservati nell’Archivio centrale di Stato di
Potsdam nonché presso la Hoover Foundation, ci permettono di ricostruire dettagliatamente
l’attività e l’organizzazione quasi militare della delegazione tedesca. Rivestono notevole interesse,
in particolare, il rapporto presentato da Hans Heyse all’Organizzazione centrale dei congressi
internazionali, in data 26 gennaio 1938, e i ritagli di stampa da lui fatti pervenire alla medesima
organizzazione concernenti l’azione degli emigrati tedeschi nel torno di tempo in cui si svolse il
congresso.173 Egualmente significative le testimonianze sull’intenso impegno di
propagandista sviluppato da Heinz Heimsoeth nella provincia francese, una volta terminato il
congresso.
Nei confronti di Husserl che desiderava anch’egli partecipare al congresso, il ministro Rust adottò
un atteggiamento assai diverso rispetto al trattamento di favore riservato a Heidegger. Al
rettore Metz, che in una lettera del 6 novembre 1936 aveva dichiarato come l’Università di Friburgo
non avesse nulla da eccepire all’andata di Husserl a Parigi, il Ministero rispose opponendosi
categoricamente all’inserimento di Husserl nella delegazione tedesca.174 Le ragioni di ciò sono
sviluppate senza ambiguità in una circolare interna del 1° giugno 1937: «Abbiamo avuto sentore del
progetto di taluni emigrati che intendono dar vita a un’associazione filosofica antitedesca (...) Le
decisioni e le misure relative alla preparazione del congresso sono state prese tenendo conto dei
pareri dei professori Mattiat, Heyse (Königsberg) e Bäumler (Berlino). Su indicazione del professor
Bäumler, è stato designato come Führer della delegazione il professor Heyse. L’invito rivolto da
parte francese a quei tedeschi di cui non auspichiamo la partecipazione, non deve essere
ulteriormente reso pubblico. I professori Husserl e Dessoir non devono ottenere l’autorizzazione a
partecipare al congresso. Tale disposizione è conforme alla giusta norma generale, osservata da tutti
i Ministeri, e ha lo scopo di precludere ai non ariani la possibilità di presenziare a congressi
scientifici internazionali. Sulla scorta dell’esperienza dell’ultimo congresso di filosofia, va tenuto
presente che Husserl, in particolare, sarebbe acclamato dagli emigrati, e ciò potrebbe esser visto
come una vera e propria provocazione nei confronti della delegazione tedesca. I francesi, per parte
loro, già si aspettano che i tedeschi non ariani non intervengano al congresso. La nostra decisione è
stata comunicata con tutta la necessaria chiarezza all’addetto culturale presso l’ambasciata di
Francia a Berlino, professor Jourdan, che è, inoltre, stato informato in proposito sia dal Servizio
tedesco per gli scambi accademici (DAAD) che dall’Organizzazione centrale dei congressi.»175
Una precedente nota ministeriale, del 17 marzo 1937, informa che «la rappresentanza diplomatica
francese non si oppone al provvedimento volto a escludere dalla commissione i filosofi ebrei che
desiderino entrarvi. Analogamente è stata accettata la richiesta di evitare che siano presenti a Parigi
elementi indesiderabili per la Germania».
Da parte tedesca, per ogni evenienza, si prendeva l’iniziativa di proibire la rimessa di valuta agli
«elementi indesiderabili» nel caso che costoro proponessero di partecipare, a titolo privato, al
congresso.176
Emile Bréhier tentò, all’inizio, di imporre la condizione secondo cui non sarebbe stata accettata una
delegazione tedesca al congresso se non vi fossero stati inclusi i membri di diritto del Comitato
permanente dei congressi internazionali di filosofia, Bauch, Cassirer, Driesch, Hartmann, Hoffmann
e Husserl. Un rapporto al Ministero del 14 aprile 1937, dovuto a Karl Epting, responsabile della
DAAD e dell’Ufficio universitario tedesco in Francia, segnala la clausola posta da Bréhier come
preliminare.177
Bréhier mantenne tale pregiudiziale? Quale organismo ufficiale francese ebbe la facoltà di
decidere? E quale fu la portata delle misure adottate? La questione rimane aperta. Il funzionario che
tra-
smise la nota di Epting fece a matita le seguenti chiose accanto ai nomi anzidetti: «Bauch: sì;
Cassirer: no, ebreo; Husserl: no; Driesch: no; Hartmann: sì.»
In un altro memorandum, anch’esso riguardante le persone in condizione di fare parte della
delegazione tedesca (19 marzo 1937), si può leggere: «Driesch (no, esponente pacifista), Günther
(no, è un’onta per la Germania ! ), Jaspers (Bäumler dice di no ! ), Groh (no ! sposato a un’ebrea, si
astiene politicamente), Lowith (non ariano, rifiutato), Kuhn (non ariano, incompetente). Si arriva
così a una lista ristretta: Heyse, Bäumler, Heidegger, Hartmann (...) Bäumler propone Heyse come
Führer.»178

Capitolo 3. Heidegger e gli apparati ideologici di


Stato. Roma e Berlino
Heidegger a Praga (1940) e a Monaco (1941)
Presso l’Istituto di storia contemporanea di Monaco figura agli atti una memoria, la cui stesura si
deve a un collaboratore dell’Amt Wissenschaft di Alfred Rosenberg.
Da questo documento traluce l’ambivalente posizione politica di Heidegger negli anni quaranta:
incondizionata accettazione del regime, da un canto, e disconoscimento della sua azione politica
concreta, dall’altro. L’informatore si diffonde sul prestigio goduto dal pensiero filosofico
heideggeriano nell’ambiente universitario di Praga durante l’occupazione tedesca, soffermandosi, in
particolare, sulle lezioni tenute dal professor Kurt Schilling.
Si può anche capire, tra le righe, come allora Heidegger fosse sottoposto a stretto controllo da parte
dell’Amt Wissenschaft, e questo, si badi, mentre, nel contempo, la sua filosofia veniva insegnata
da professori di provata fede politica. Sorveglianza e delazione erano metodi usuali per la frazione
Rosenberg, che poteva, però, esercitare la propria influenza solo nei limiti della sua sfera
istituzionale di potere.179 Informazioni come la citata memoria affluivano a Rosenberg nella sua
qualità di ministro del Reich per i Territori occupati dell’Europa orientale, carica da lui ricoperta tra
il 1941 e il 1945.
Il vaglio estremamente rigoroso cui erano sottoposti i professori inviati nelle università dei paesi
occupati e i trascorsi di Schilling non legittimano alcun dubbio sulla sua devozione al regime.
L’incartamento Schilling del Centro di documentazione di Berlino attesta che questi, tesserato alla
NSDAP dal 1933 e, inizialmente, pro-
fessore di filosofìa all’Università di Monaco, fu interpellato per ricoprire una cattedra a Praga nel
1939. Nel verbale di nomina di Schilling, redatto dal Gaupersonalamtsleiter (capo dell’ufficio del
personale distrettuale) Best e dal Gauhauptstellenleiter (capo dell’ufficio centrale distrettuale)
Reichinger in data 20 luglio 1939, si legge:
«Schilling è membro del Partito dal 1933. Il suo atteggiamento sociale risulta irreprensibile. In
campo filosofico deve indubitabilmente essere considerato come uno dei più promettenti
studiosi; egli fa parte di quel gruppo di insegnanti della nuova generazione in modo assoluto
meritevole di avanzamento.»
Nella sua lettera di consenso, il dottor Betzold, Führer del raggruppamento nazionalsocialista degli
insegnanti di Monaco, a sua volta puntualizza: «Per Schilling lo Stato di Adolf Hitler si è dimostrato
un’esperienza decisiva.» Kurt Schilling accedette alla cattedra PII novembre 1939.
Per valutare appieno il senso dei giudizi riprodotti è bene ricordare che in quel periodo - il rapporto
è datato 12 marzo 1940 - la guerra ideologica non ammetteva cedimenti di sorta. L’informatore ci
fornisce anche tutta una serie di ragguagli sul numero e la nazionalità degli studenti che assistevano
alle lezioni di Schilling con l’incombenza di riferire sui temi affrontati: «La trattazione si è rifatta ai
concetti heideggeriani di Befindlichkeit (“situazione affettiva”), Gestimmheit (“essere affettivamente
intonati”) e Geworfenheit (“essere-gettato”).»
Il rapporto, e ciò riveste un particolare interesse per il nostro discorso, non si limita a registrare le
categorie heideggeriane di cui si avvale Schilling, ma ci illumina anche sull’apprezzamento che
questi ne fa: «Se si intende parlare di noi e del nostro presente, occorre, in primo luogo, esplicare le
determinazioni esistenziali delle situazioni storiche. »
Che nelle università del territorio sotto il tallone nazista si potesse dissertare sulla filosofia di
Heidegger è cosa, di per sé stessa, eloquente. Tutto ciò smentisce le affermazioni di Heidegger del
1945, secondo cui, a partire dal 1938, sarebbe stato fatto cadere il silenzio sul suo nome e si sarebbe
posto il veto a qualsiasi forma di attenzione alle sue opere.180
Disamine e commenti concernenti i testi heideggeriani sono, anzi, frequenti e, sotto il profilo
politico, «ineccepibili». Questo è il caso, ad esempio, delle recensioni pubblicate sui «Blätter
für Deutsche Philosophie», che uscivano per le cure del militante nazista Heinz Heimsoeth: nel
fascicolo numero 1-2 del 1939, compaiono, infatti, analisi di Vom Wesen des Grundes (L’essenza
del fondamento) e del saggio su Hölderlin.181 La posizione espressavi da Bruno Bauch è di pieno
favore. Lo scritto di Heidegger, poi, sull’inno di Hölderlin Wie wenn am Feiertage (Come quando
in un giorno di festa) fu oggetto di interventi in «Die Literatur»,182 nella «Frankfurter Zeitung»183 e
in «Scholastik».184
Può risultare proficuo, sempre a illustrazione della condotta del regime e dei suoi collaboratori nei
confronti di Heidegger nel corso degli anni quaranta, ricostruire l’iter di selezione seguito
dall’Università di Monaco nel 1941 per provvedere di un titolare la cattedra vacante per la morte del
professor Büchner. La documentazione relativa è reperibile negli archivi dell’Università di
Monaco.185
Il verbale del 15 luglio 1942 permette di appurare come fosse composta la commissione cui la
Facoltà di filosofia aveva demandato la scelta dei tre nomi da proporre al ministro dell’Educazione
e delle Scienze. In testa alla lista figuravano il rettore stesso dell’Università, il professor Walther
Wüst e il rappresentante degli insegnanti nazionalsocialisti, Rudolf Till.
Wüst era pervenuto all’ufficio di rettore nel 1941. A quanto risulta dalla scheda del Centro di
documentazione di Berlino, egli era iscritto alla NSDAP fin dal 1933 ed era inoltre membro delle
SS. A partire dal 30 gennaio 1937 egli fece parte della Reichsführung (direzione nazionale) delle
SS. Il 9 novembre 1942 fu nominato Standartenführer (alfiere) delle SS.186 La sua specialità
scientifica era «Cultura e linguistica ariane».
Till, filologo classico, era anch’egli militante della NSDAP dal 1933 nonché affiliato alle SS. Nel
1938 divenne SS Führer presso l’istituto SS Ahnenerbe (Istituto di ricerche per l’eredità ancestrale)
e direttore dell’Istituto SS per l’insegnamento e la ricerca in filologia classica e in antiquaria.187
Pubblicò, su richiesta della sezione dell’Ahnenerbe per l’Italia, un lavoro su Tacito. La casa editrice,
in una lettera del 1° agosto 1941, comunicò alla Camera tedesca del libro « che gli studi di Till
erano stati garantiti dal Reichsführer delle SS, Heinrich Himmler, e si erano potuti effettuare grazie
alla collaborazione del ministro italiano dell’Educazione, Sua Eccellenza Bottai». In calce al
comunicato
e nel quadro delle modalità di distribuzione del libro, Wolfram Sievers, SS Obersturmbannführer,
avvertiva che «non era permesso immetterne sul mercato un solo esemplare prima di averne fatta
avere una copia in edizione di lusso al ministro Bottai, un’altra copia all’ambasciatore tedesco
Mackensen, e una terza al Reichsführer Himmler».
Più avanti indagheremo sullo stretto nesso che legava Giuseppe Bottai a Himmler.188 Proprio per
merito di quest’ultimo, lo studio di Heidegger su Platone vedrà la luce nell’annuario di Ernesto
Grassi, pubblicato nel 1942 a Berlino con il titolo «Geistige Überlieferung» (Tradizione spirituale),
nonostante l’accanita opposizione dell’Amt Wissenschaft. Tale annotazione può dare spessore allo
scenario in cui operò la commissione di Monaco incaricata di nominare il successore di Büchner.
Gli altri nomi della lista sottoposta al Ministero erano: Herbert Cysarz (Monaco), Hugo Dingler
(Monaco), Herbert Haering (Tubinga), Martin Heidegger (Friburgo), August Faust (Breslavia)
e Kurt Schilling (Praga).
August Faust - si tratta sempre di notizie raccolte al Centro di documentazione di Berlino - militava
nella NSDAP dal 1937. La direzione della NSDAP del Baden dichiara di lui: «Fin dall’inizio della
rivoluzione nazionalsocialista si è posto senza incertezze e attivamente al servizio del movimento.
Faust è stato Fachschaftsleiter (capo degli esperti) degli insegnanti e ha ricoperto una funzione
analoga, relativamente alle questioni sociali, nella Gioventù hitleriana. Il Partito riconosce, senza
riserve, la sua volontà d’azione e la sua zelante collaborazione. La sua promozione allo status di
professore ordinario è, sotto il profilo politico, da caldeggiare (Karlsruhe, 19 febbraio 1937).»189
Hugo Dingler potè aderire alla NSDAP soltanto nel 1940, dopo che Hitler l’ebbe amnistiato,
perdonandogli la passata affiliazione a una loggia massonica, da cui si era peraltro defilato già dal
1927. La sua opera, Max Planck und die Begründung der sogenannten modernen theoretischen
Phisik (Max Planck e il fondamento della «fisica teorica moderna», 1939), fu pubblicata dalle
edizioni dell’Ahnenerbe. In essa si denunciava Planck «come un precursore di quella distruttiva
fisica ebraica che mirava a schiacciare la tradizione ariana della fisica».190
Entrando nel merito dei criteri di selezione, ecco quanto indicava il documento redatto dalla
commissione:
«Dopo l’avvento al potere di Adolf Hitler e la conseguente profonda rinascita della vita spirituale,
gli esponenti di tutte le discipline sentono sempre più vivamente la necessità di unificare i loro
risultati parziali in una concezione organica del mondo, prototedesca, in grado di entusiasmare la
gioventù e in cui possano trovare piena valorizzazione le migliori tradizioni della gloriosa storia
spirituale tedesca, in modo da poter compiere un balzo verso l’avvenire.»191
Su tale base la commissione esprimeva la propria preferenza per il professor Cysarz, tenendo conto
dei suoi meriti intellettuali, ma soprattutto perché egli potrebbe «preparare il terreno alla
generazione studentesca che, finita la guerra mondiale, affluirà agli studi per trarre nutrimento da
quello spirito che si abbevera all’eterna sorgente dello slancio nazionalsocialista».
Al secondo posto venne indicato Martin Heidegger. Tale circostanza - se raffrontata a quanto era
avvenuto nel 1934, allorché a Heidegger era stata proposta una cattedra direttamente dal Ministero
bavarese dell’Educazione, e l’offerta non si era potuta concretizzare fondamentalmente, appunto,
per l’opposizione della Facoltà -può prestarsi a interessanti e significative considerazioni.
Il professor Dingler ottenne il terzo posto. Dopodiché si perdono le tracce della vicenda: i
documenti disponibili fanno pensare che il Ministero non abbia preso alcuna decisione e che la
cattedra sia rimasta vacante.
Ancora un indizio dei buoni rapporti intercorrenti tra Heidegger e il regime si può ravvisare in una
nota conservata al Centro di documentazione di Berlino: nel gennaio del 1944 - epoca in cui le
opere a stampa, per la grave penuria di materia prima, erano sottoposte a severissime limitazioni se
non anche a un blocco totale - il Ministero accordò, senza restrizione alcuna, una fornitura di carta
alla casa editrice Klostermann per la pubblicazione delle opere di Heidegger.192
Heidegger e il Duce
Heidegger, nell’intervista con lo «Spiegel», asserisce che gli organismi ufficiali avrebbero vietato
che, in qualsiasi modo, si parlasse del suo saggio La dottrina di Platone sulla verità.193 Cercando di
ricostruire le circostanze della pubblicazione di questo testo, abbiamo potuto rintracciare un certo
numero di documenti di non secondario interesse. Tale materiale si trova raccolto presso l’Istituto di
storia contemporanea di Monaco.194 Esso permette di farsi un quadro preciso della trama di
relazioni tra il Ministero di Goebbels e l’Amt Wissenschaft di Alfred Rosenberg da una parte, e,
dall’altra, della qualità dei rapporti tra Heidegger e le due anzidette istituzioni. Il tutto va poi
collocato nel quadro dei legami che univano Germania e Italia fascista.
Affermando che la sua opera non avrebbe avuto diritto a recensioni sulla stampa di regime,
Heidegger dice soltanto una parte della verità: solo l’Amt Wissenschaft si era espressa con
un’assoluta diffida in proposito; per di più egli passa sotto silenzio il concorso di circostanze che, a
dispetto della frontale ostilità di Rosenberg, fece sì che il suo saggio vedesse, infine, la luce.
Il saggio su Platone doveva trovare spazio nel secondo volume dell’annuario che usciva per le cure
di Ernesto Grassi, il cui primo volume era stato edito nel 1940, con la collaborazione di F. Otto e K.
Reinhardt.
In piena guerra Otto scrive nella prefazione all’annuario:
«Ciò che dà un fondamento nuovo e un nuovo senso allo studio dell’antichità non è solo il fatto che
l’idea greca abbia trovato di che realizzarsi in questo preciso momento, durante la più sublime
manifestazione della vita tedesca, ma è anche - e c’è un nesso - la nuova fede dei tedeschi nel loro
dovere. Allorché mettiamo tutte le forze al servizio della rinascita degli antichi greci, noi obbediamo
al genio del nostro essere essenziale e questa è una missione sacra poiché, così facendo,
rispondiamo alle esigenze della nostra natura. Noi ci volgiamo verso le nostre proprie origini e
celebriamo la festa dei nostri antenati, dei creatori e dei fondatori. Sono loro che devono essere qui
presenti in un’opera chiamata a vivere e in cui si rinnova, in tutto il suo vigore, la creazione
originaria. »195
La rinascita dello spirito greco è opera dei tedeschi ed essa «non sarebbe stata possibile se lo spirito
tedesco non fosse stato nuovamente scosso dalla vita del mondo. Il ritorno agli antichi
comporta necessariamente la creazione di un uomo nuovo. Dopo amari disinganni, quest’ultimo ha
saputo, ancora una volta, prestare orecchio all’appello dell’origine creatrice. Se abbiamo il coraggio
di vedere in questa svolta della filosofia l’avvio di un più ampio e possente movimento, siamo
allora tenuti a ben soppesare questo fatto: un destino di quasi due secoli ci separa dall’ultima
fioritura dell’umanismo».196
Nonostante la profonda diversità di vedute che separava l’Amt Wissenschaft da Otto,197 il dottor
Erxleben, un funzionario di Rosenberg, accolse calorosamente la pubblicazione del primo
tomo dell’annuario in una recensione apparsa sulla rivista «Bücherkunde Monatshefte für das
deutsche Schrifttum», periodico ufficiale di cui era direttore Hans Hagenmeyer, responsabile
dell’ufficio del Führer incaricato della sorveglianza sull’educazione politica e pedagogica del
Partito.198 La miscellanea curata da Ernesto Grassi viene presentata encomiasticamente:
«Opera collettiva di studiosi tedeschi e italiani, è un segno della forza storica delle potenze che
lottano, in piena guerra, per ritrovare la loro strada nel proprio passato storico (...) Gli articoli si
radicano nella consapevolezza che i profondi rivolgimenti che scuotono i popoli tedesco e italiano
costituiscono il punto da cui si dipartono nuove strade verso la tradizione spirituale dei nostri
popoli.»
Erxleben in particolare sottolinea come l’articolo di Ernesto Grassi (Gli esordi del pensiero
moderno. La passione e l’esperienza  dell’originario) sia quello che con maggior vigore mostri
l’origine del movimento spirituale italiano a partire dal Rinascimento e che con maggior limpidezza
delinei la specificità dello sviluppo spirituale italiano rispetto alla Germania.
L’annuario fu ugualmente salutato con favore dall’organo della Deutsche Akademie,199 emanazione
diretta del Ministero della Propaganda. F. Dilmeier, a cui è dovuto il commento, fece l’elogio
dell’opera: «Un incontro tra lo spirito nordico e lo spirito mediterraneo (...) Chi legga il libro oggi,
nel 1941, può vedere, come in un’immagine plastica e grandiosa, il cosmo europeo in lotta contro il
caos. Egli si rinsalda nella sua fiducia e acquista la certezza che nel cuore di questo cosmo esistono
forze in grado di garantire la vittoria delle armi e quella dello spirito.»
La documentazione relativa al secondo volume dell’annuario rivela con chiarezza come la
concordia di opinioni tra il Ministero Goebbels e l’Amt Wissenschaft si infranga proprio attorno al
nome di Heidegger: lo stesso dottor Erxleben fece sapere, in una lettera del 17 giugno 1942, al
dottor Lutz del Ministero della Propaganda, che l’Amt Wissenschaft era contraria all’accoglimento
del lavoro di Heidegger sul secondo volume. Se ne può quindi, incidentalmente, dedurre che il
Ministero Goebbels vi fosse, invece, propenso: suggeriva infatti di variare soltanto una frase
dell’articolo di Heidegger, ciò che peraltro non sarà sufficiente a soddisfare l’Amt Wissenschaft.
Contraddicendo la posizione espressa dal suo subordinato Erxleben sui «Bücherkunde
Monatshefte», Rosenberg scrive:
«Penso che il professor Grassi dovrà rinunciare al contributo di Heidegger alla sua opera. La
posizione di Heidegger sull’importante questione dell’umanismo contribuisce a legittimare le
pretese, che vanno facendosi strada da parte italiana, di farsi valere agli occhi della scienza tedesca.
Affermando che, nella sostanza, l’umanismo può essere indifferentemente concepito da un punto di
vista politico o teologico-cristiano, Heidegger si muove in direzione contraria alla tesi sostenuta,
qualche tempo fa, dal camerata Brachmann sul periodico “NS-Monatshefte”. Qui si indicava con
chiarezza, e ponendovi l’accento, che per noi, in Germania, l’umanismo contemporaneo ha cessato
di esistere e che noi opponiamo a tale umanismo contemporaneo un umanismo politico. Noi
appoggiamo dichiaratamente questa posizione. Allo stato attuale della discussione, la tendenza
di Heidegger rivolta a favorire gli sforzi di Grassi per dar nuova linfa a un umanismo
contemporaneo nel mondo spirituale tedesco, non potrebbe che ingenerare confusione.
Ci sembra che sopprimendo unicamente questa frase dal testo, la linea dell’articolo di Heidegger
non ne venga modificata. Con tutto il rispetto che portiamo al rilievo scientifico di Heidegger,
non possiamo dare il nostro assenso alla pubblicazione del suo articolo sull’annuario di Grassi. »
A questo punto della discussione si colloca un intervento inaspettato. In un memorandum dell’Amt
Wissenschaft ad uso interno, datato 3 luglio 1942, si può leggere:
«Il dottor Lutz del Ministero della Propaganda ha fatto sapere, per telefono, che l’annuario di Grassi
comparirà con l’articolo di Heidegger. L’ambasciatore italiano Alfieri, su richiesta del Duce, si è
personalmente indirizzato al dottor Goebbels, ottenendo la pubblicazione integrale dell’annuario. Il
dottor Lutz, tenendo conto della nostra opinione, ha dato disposizioni perché la stampa si astenga da
qualsivoglia commento sull’articolo di Heidegger. Approfittando dell’occasione il dottor Lutz ci ha
informati che esiste un progetto di edizione delle opere complete di Heidegger in italiano.
Vi terremo aggiornati sugli sviluppi della questione.»
Prima di occuparci dei legami tra Heidegger e il governo Mussolini e dell’influenza, sia pur
mediata, di quest’ultimo sul Ministero della Propaganda, ci pare utile, per meglio comprendere il
contesto in cui si produssero gli avvenimenti narrati, spendere qualche parola sulla qualità delle
relazioni intessutesi tra i dirigenti fascisti italiani e Goebbels. A illustrazione dell’atmosfera che si
era venuta creando, riportiamo un passo assai eloquente, estratto dal diario politico di Goebbels:
«Sabato, 31 gennaio 1942. A mezzogiorno partecipo a un ricevimento offerto dal Führer in onore
della delegazione del Partito italiano, giunta a Berlino per i festeggiamenti in commemorazione
dell’anniversario della presa del potere (...) Ho avuto modo di colloquiare in modo circostanziato
con questi signori. Costituiscono una superba élite dirigente e sono in tutto e per tutto paragonabili
ai nostri migliori Gauleiter. Non c’era uno di loro che non fosse entusiasta dell’Asse. Mussolini
deve avere, a poco a poco, eliminato dalla direzione del Partito tutti gli elementi che, senza darlo a
vedere, si opponevano alla sua guida. Comunque sia gli italiani mi hanno fatto un’ottima
impressione. »
A questo apprezzamento ufficiale di parte nazionalsocialista, vanno aggiunti i contatti
personalmente tenuti da Grassi stesso con la direzione del Partito fascista italiano. Il suo uomo di
fiducia in Italia era Giuseppe Bottai, allora ministro dell’Educazione del governo Mussolini, autore
di uno degli articoli compresi nel secondo volume dell’annuario.200 Bottai era tra i massimi
esponenti del regime fascista. Egli aveva aderito molto presto al movimento futurista ed era stato tra
i fondatori dei Fasci italiani di combattimento nel 1919. Capo politico e militare del Partito,
comandò una delle tre colonne che marciarono su Roma. Interventi e proclami di Bottai su questa
vicenda sono raccolti in Pagine di critica fascista. 201 Fu in questo periodo che Bottai divenne
luogotenente generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, fondò la rivista «Critica
fascista» (1923), e diresse il quotidiano «Epoca» (1925). Bottai fu il più stretto collaboratore di
Mussolini nella creazione del Ministero delle Corporazioni, pilastro dell’edificio fascista dello
Stato.
Bottai fu anche responsabile della redazione dello statuto fascista del lavoro, la Carta del lavoro
(1927). Nel 1930 ricoprì la cattedra di politica corporativa presso l’Università di Pisa. Nel 1932
lascia il Ministero delle Corporazioni per diventare governatore di Roma. Nel 1936 è ministro
dell’Educazione Nazionale. Nel frattempo era divenuto il maggior esperto di questioni corporative.
Della sua copiosa produzione citiamo: Il fascismo e l’Italia nuova (Roma 1923), Mussolini
costruttore d’impero (Mantova 1923), L’ordinamento corporativo italiano (Roma 1927), Sviluppi
dell’idea corporativa nella legislazione internazionale (Livorno 1928); La costruzione corporativa
e il Ministero delle Corporazioni (Milano 1929) e Politica e scienza economica nella concezione
corporativa (Roma 1930). In tedesco la Petrarca Haus di Colonia pubblicò, nel 1938, Der
Korporative Staat in Italien (Lo Stato corporativo in Italia). Nel periodo in cui lavorò al Ministero
dell’Educazione Nazionale vennero elaborati alcuni documenti politici di fondamentale rilievo,
segnatamente l’ordinamento fascista della scuola italiana, la Carta della Scuola. Nel 1939 l’Istituto
d’arte e di scienze della cultura Kaiser Wilhelm diede alle stampe l’opera principale sulla riforma
fascista del sistema educativo, sotto il titolo Die grundlegenden Ideen der italienischen
Grundreform (L’idea fondamentale della grande riforma italiana). Nella medesima serie trovarono
spazio i lavori di Eugen Fischer, il più eminente specialista tedesco in igiene razziale, tradotti in
italiano. Più tardi si aggiunse la Carta della Scuola, nella versione tedesca Das neue faschistische
Schulstatut.
All’epoca dell’invasione italiana dell’Abissinia (1935-36), Giuseppe Bottai fu il primo governatore
di Addis Abeba. Egli rievocò le vicende dell’invasione nel suo diario di guerra, il Quaderno
Africano, che vide la luce a Firenze nel 1939, e fu volto in tedesco a Berlino nello stesso anno con
una prefazione del ministro dell’Educazione Bernhard Rust. Rust scrive che il suo affetto per Bottai
«non è unicamente dovuto agli stretti vincoli che si creano tra due uomini che dirigono e
amministrano in maniera simile due paesi uniti dalla guerra», ma anche alle sue qualità di soldato.
Nel diario di Bottai pulsa un sentire da autentico uomo, che non desidera essere altro che un
«camerata tra i camerati, un combattente tra i combattenti nella lotta per un fine comune».
Scrivendo la prefazione, Rust aveva certamente presenti alla niente taluni passaggi del Quaderno
Affricano:
«Riprendo la macchina. Scendo in città, di cui assumerò domani il governo civile. È buio, ormai,
qua, là, più lontano, più vicino, crepitìi di fucile, brevi e stracchi, come d’incendio che si spenga. I
fanali mi girano davanti un film di case distrutte, di vie sconvolte, di cadaveri rovesciati nel fango,
di carogne gonfie di pioggia. Ombre bianche entrano, escono dalle case sbrecciate. Sono i predoni,
che eseguono l’ultimo ordine del Negus in fuga: devastare e rubare. Domani, in nome dell’Italia e di
Roma, metteremo dell’ordine in questa città sconvolta.»202
Nell’articolo di Bottai apparso sull’annuario di Grassi si può leggere: «Nell’anno 154 Elio Aristide
già diceva che la parola romano non designava una schiatta, ma definiva un privilegio, allo
stesso modo come imperium romanum non aveva soltanto un senso politico, ma un senso assai più
ampio e universale: era il riflesso di un tipo di disciplina (Zucht) a cui tutto il mondo era
sottomesso. Vittorioso con le armi, saggio nel suo modo di imporsi, il romano costruisce e abita nel
luogo che ha conquistato. Egli fa rinascere la vita là dove la spada l’ha annientata. Ubicumque vicit,
Romanus habitat. »203 Abbiamo parecchio insistito nell'illustrare la personalità politica di Bottai,
proprio perché si tratta di un protagonista centrale della fase che stiamo esplorando.
L’altra figura saliente è rappresentata da Ernesto Grassi. I suoi stretti contatti, personali e politici,
con il ministro di Mussolini fecero sì che fosse lui a scrivere la prefazione del libro di Bottai, Difesa
dell’umanismo. I fondamenti spirituali dei nuovi studi in Italia, edito a Berlino nel 1941, con il
titolo Verteidigung des Humanismus. Die geistigen Grundlagen der neuen Studien in Italien.
Palesando il sostrato del suo umanismo, Ernesto Grassi scrive nella citata premessa:204 «Crediamo
che il messaggio di questo libro rivesta un’importanza decisiva per l’avvenire. Non è l’espressione
delle due diverse tendenze della tradizione italiana. Esso reca in sé le premesse della grande riforma
degli studi in Italia, contemplata dalla Carta della Scuola; l’autore di quest’opera ha avuto il
coraggio di dare nuova linfa al concetto di umanismo, che aveva ormai perso ogni vitalità.»205
È nell’ambito di tale scenario ideologico che, all’epoca, i curatori dell’annuario si mossero per poter
pubblicare il lavoro di Heidegger.
Non mancano certo gli strumenti per appurare quale potesse essere la natura delle eccezioni
sollevate dall’Amt Wissenschaft. È, innanzitutto, interessante ricordare che Ernesto Grassi aveva
iniziato la sua carriera universitaria precisamente a Friburgo, come lettore di lingua italiana.206 Nel
1932 dedicò la propria opera II problema della metafisica platonica207 a Heidegger, ringraziandolo
per avergli aperto le porte dell’antichità. Nel suo secondo lavoro, apparso nel 1933, Dell’apparire e
dell’essere,208 egli manifesta apertamente il suo debito verso Heidegger («l’ultimo evento della
filosofia tedesca»).209 Secondo il Kürschners Lexikon del 1961, Ernesto Grassi, sempre nel 1933,
sarebbe stato insegnante all’Università di Milano. La pubblicazione «Minerva» lo registra, per il
1934, come lettore di lingua italiana presso l’Università di Friburgo. Nel medesimo anno
Grassi ricevette il premio annuale dell’Accademia d’Italia. Il Kürschners Lexikon aggiunge che nel
1935 egli aveva ottenuto l’abilitazione a Roma e che, poi, era divenuto insegnante titolare a Pavia.
Nel 1937 fu nominato professore onorario dall’Università di Friburgo, e, nel 1938, dall’Università
di Berlino, presso la quale egli operava dal 1937. In «Minerva» del 1938 è citato come membro
della Facoltà di filosofia di Friburgo e di Berlino (lettore di lingua italiana e autore di un corso dal
titolo «La filosofia italiana e le sue relazioni con la filosofia tedesca»). Nel medesimo periodo
compare come professore presso l’Istituto magistrale di Pavia. Negli anni cinquanta sarà professore
di filosofia all’Università di Santiago del Cile.
La sua opera Vom Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen
italienischer und deutscher Philosophie (Il primato del Logos. Il problema dell’antichità nella
discussione tra la filosofia italiana e tedesca)210 è palesemente il lavoro di un epigono. Nonostante
che a quell’epoca fosse vietato menzionare il nome di Heidegger, almeno a stare alla testimonianza
stessa del filosofo, l’editore, nella prefazione al citato saggio di Grassi, scrive che esso si offre come
«un’interpretazione fondata sugli scritti di Heidegger, e come una nuova interpretazione di
Platone». Il libro di Grassi si giovò di una diretta sovvenzione del Ministero dell’Educazione e delle
Scienze del Reich che versò un ragguardevole contributo alla casa editrice Beck’sehen
Verlagsbuchhandlung che lo pubblicò, nonostante le prese di posizione sfavorevoli di Hans Heyse
e di Alfred Bäumler.211
Infine, ricordiamo che Dino Odoardo Alfieri, ambasciatore italiano a Berlino tra il 1940 e il 1943,
aveva, su ordine del Duce, interceduto a favore di Heidegger presso Goebbels. Il medesimo Alfieri
era stato, nel 1936, ministro della Propaganda nello stesso gabinetto fascista in cui Bottai era
responsabile dell’Educazione Nazionale.212
A dispetto della precisa volontà dell’Amt Wissenschaft di impedire la pubblicazione dell’articolo di
Heidegger e di ostacolarne la diffusione, le cose andarono per tutt’altra e imprevedibile
strada. Quello stesso dottor Wilhelm Brachmann, del quale si fa cenno nella lettera di Erxleben,
recensì l’annuario di Grassi e l’articolo di Martin Heidegger sulla più prestigiosa rivista di filosofia
tedesca, «Kant-Studien».213 Essa era edita dalla Kant Gesellschaft, che Hans Heyse presiedeva in
conformità alla linea adottata dall’associazione dopo il 1934. Nell’articolo citato Brachmann
presenta l’annuario di Grassi come l’espressione di un gruppo di seguaci del pensiero
heideggeriano:214 «Tale umanismo, legato al problema della parola, trae la sua origine non da
Stefan George, come si potrebbe pensare a tutta prima, ma dalla filosofia esistenzialista
heideggeriana, come è suffragato dall’intervento di Grassi.»215
Brachmann affronta la discussione dell’umanismo nella sua versione heideggeriana procedendo a
una distinzione tra umanismo politico radicato nel concetto di razza, e un altro umanismo radicato
nella tradizione spirituale del linguaggio.216 Secondo Brachmann queste due forme d’umanismo si
inseriscono nell'orientamento storico abbracciato dall’Italia e dalla Germania a partire dalla fine
della prima guerra mondiale. Il tono di Brachmann è assai misurato, contrariamente a quanto
asserirà Heidegger nel 1945: egli riconosce nel filone rappresentato da Heidegger e Grassi, nella sua
tradizione spirituale, una concezione del mondo affatto degna di rispetto, ben avvertibile, nel mondo
italiano, a partire dall’umanesimo rinascimentale.
Brachmann compendia l’articolo di Heidegger con esattezza, attenzione e abilità; la critica da lui
portata si incentra fondamentalmente sulle questioni lasciate aperte dalla
impostazione heideggeriana.217
Brachmann, dunque, collaboratore fisso della rivista ufficiale dell'Amt Wissenschaft «NS-
Monatshefte», non si piegò alla decisione presa da quest’organismo di ignorare lo scritto di
Heidegger. Egli redasse la propria recensione in termini ponderati e facendo mostra di uno spirito di
solidarietà che presuppone, al di là delle pur rilevanti divergenze di opinioni, un comune terreno
ideologico. Questi fatti danno una precisa dimensione all’intervento di Mussolini a favore del
gruppo saldatosi attorno a Heidegger e a Grassi. Wilhelm Brachmann si richiamava, inizialmente,
alla teologia evangelica ed era anche stato pastore tra il 1926 e il 1929. Fu cooptato
nell’Amt Wissenschaft nel 1937, dove ebbe da Rosenberg l’incarico di curare un’importante ricerca
su «La religione tedesca nel passato e nel presente». Nel curriculum che egli stesso stilò per
l’apparato della NSDAP, descrive la propria evoluzione dalla teologia protestante al
nazionalsocialismo, sottolineando l’influenza esercitata sulla sua formazione dal pensiero
heideggeriano.218
Il testo di Martin Heidegger su Platone si iscrive nel quadro di quella che abbiamo definito con
l’espressione di «relativizzazione» del nazionalsocialismo. Heidegger colloca tale scritto nella
tradizione platonica per la quale la verità si configura come un’adeguazione all'ens, e in una
prospettiva filosofica sfociante nell’affermazione dell’essere dei valori. Egli riprovava dunque la
diversione ideologica operata da Rosenberg, ed esigeva, nel contempo, un fondamento nuovo per
poter pensare il senso del momento politico. Di fatto, il processo storico nel quale si situavano
valori come «l’essere e l'essente», era, nell’angolatura di Heidegger, ormai concluso ad opera di
Nietzsche.
Trova così spiegazione l’atteggiamento ostile dei «Nationalsozialistische Monatshefte», che,
tuttavia, non produsse l’effetto di bloccare le mosse del gruppo di pressione favorevole a Heidegger
presso il Ministero della Propaganda: all’apparato di Goebbels spettava, infatti, la responsabilità di
concedere le autorizzazioni necessarie per opere di tal genere.
In una richiesta di semestre sabbatico, inoltrata da Heidegger nel 1943 al professor Schuchardt,
Tallora rettore di Friburgo, così egli si esprime:
«Il compito che mi incombe non si riduce nel compendiare e nel dare formulazione a pensieri
anteriormente elaborati. La filosofia, per la sua parentela con l’arte, ha la missione di plasmare il
pensiero assumendo lo stile che gli detta la cosa stessa. Ciò richiede una concentrazione e uno
sforzo che non sono compatibili con l’insegnamento (...) La mia richiesta non si giustifica solo con
l’interesse del mio lavoro, ma trova la sua ragione nell’interesse per la determinazione storica del
pensiero filosofico tedesco nella storia futura dell’Occidente.»219
Hölderlin
I    criteri adottati da Heidegger nell’assunto della « relativizzazione» del nazionalsocialismo non si
possono considerare, in fin dei conti, eterodossi. Gli scritti su Hölderlin, pubblicati verso la
fine della guerra mondiale, possono ben illustrare tale punto di vista.
Le lezioni su Nietzsche avevano già precisato che «l’era della metafisica», a cui aveva posto
termine Nietzsche stesso, non poteva essere oltrepassata che prendendo le mosse dalla strada
tracciata da Hölderlin: questi aveva appunto ristabilito il vincolo essenziale tra greci e tedeschi e
pensava che i tedeschi dovessero inderogabilmente svilupparlo.
II    ritorno a Hölderlin non rappresenta, dunque, che un rinnovato tentativo di far vivere «l’essenza
tedesca» nella sua energia originaria. Solo in quest’ottica, ci si può di nuovo porre la questione
dell'essere.
Gli sforzi reiterati delle autorità naziste per utilizzare Hölderlin ai loro fini propagandistici, ci
offrono la possibilità di illuminare lo scenario in cui Heidegger pubblicherà Andenken
(Rimembranza). Il centenario della morte di Hölderlin (1843), fu il pretesto per avviare una
campagna di vaste dimensioni, che prevedeva più di trecento manifestazioni in tutto il Reich.220
Tubinga naturalmente era al centro dei festeggiamenti. La creazione della Società
Hölderlin, patrocinata da Goebbels,221 si accompagnò alla decisione di ripubblicare le opere del
poeta a Stoccarda.222 Nel giorno anniversario della morte di Hölderlin, innumerevoli corone furono
recate sulla sua tomba, tra cui una offerta personalmente da Adolf Hitler.223
Il lavoro di Heidegger comparve in una silloge che raccoglieva l’insieme degli omaggi in memoria
di Hölderlin. Curata per la stampa da Paul Kluckhohn nel 1943,224 la pubblicazione fu finanziata
dall’Università di Tubinga e dall’amministrazione civica. Kluckhohn scrive nell’introduzione:
«La lotta spirituale contro il secolo xix, che si tradusse nelle trasformazioni e nel sovvertimento
delle concezioni del mondo, delle scienze e dell’arte, ha portato i giovani a ricordarsi, di nuovo, di
lui. Per il movimento dei giovani, Hölderlin aveva rappresentato il poeta capace di suscitare in più
di uno di loro un nuovo atteggiamento di fronte alla vita e alla morte, tra gli sconvolgimenti della
prima guerra mondiale (...) La grande rivoluzione politica iniziata dopo la guerra ha conferito un
posto d’onore all’opera di Hölderlin nell’obiettivo di aprire alla comunità la via di una nuova
esistenza; essa ha fornito al cantore del popolo e del sacrificio della vita l’opportunità di esercitare
una rinnovata influenza (...) Il suo straordinario valore è stato percepito dai migliori uomini del
popolo tedesco, e nessun poeta, oggi, gode di un simile ascendente. Nel nostro attuale campo di
lotta, la seconda guerra mondiale, egli rappresenta per tanti combattenti — di nuovo e più
incisivamente che all’epoca della prima guerra mondiale — una fonte di energia spirituale, un
supporto interiore e un genio che santifica i nostri sforzi (...) Per ciò che si è detto il centenario della
sua morte, oggi che affrontiamo duri combattimenti, non passerà inosservato.»225
Il poeta Joseph Weinheber, nella sua introduzione in versi al volume, si esprimeva similmente: «Tu
hai avuto l’intuizione di ciò che per noi è patria / l’Occidente / Tu l’hai assunto pienamente / Apollo
o Cristo / tu hai colto ciò di cui avevamo bisogno / È di nuovo rivoluzione, giacché tu ci conduci /
Tedesca è l’epoca / E nessuna epoca fu altrettanto tedesca / Guidaci, genio / Ascolta coloro che
cadono / a te rivolgere, a te eroe, le loro grida di giubilo! »226
Weinheber era uno dei più cospicui collaboratori di «Innere Reich», rivista su cui Heidegger aveva
pubblicato la sua conferenza «Hölderlin e l’essenza della poesia» nel 1937.227
Pure Wilhelm Böhm aveva contribuito al volume curato da Kluckhohn, (So dacht’ich. Nächstens
mehr. Die Ganzheit des Hyperionroman). A suo modo di vedere, «unicamente il nazionalsocialismo
garantisce che il mito popolare di Hölderlin divenga una realtà politica».228
Kurt Hildebrandt affrontò il tema della concezione del mondo in Goethe e Hölderlin (Hyperion-
Empedocles). Secondo Hildebrandt, Hölderlin era «la realizzazione dell’essenza del popolo tedesco
e del Führerprinzip, il profeta e il creatore di una nuova religione tedesca».229
P. Bockmann, che anche contribuì al citato volume, era uno dei più accesi sostenitori di una lettura
in chiave bellicistica e ultranazionalistica dell’opera di Hölderlin.230
Il testo di Martin Heidegger ha come titolo quello di una poesia di Hölderlin: Andenken. La
connotazione, alludente a «memoria» e «ricordo» viene travalicata e pilotata da Heidegger verso
l’area semantica di «patria». Il ricordo della patria, nel «dialogo con Hölderlin», è concepito da
Heidegger come atto di riappropriazione spirituale della patria, come realizzazione del
«programma» che Hölderlin avrebbe proposto ai tedeschi «per scoprire la legge della loro essenza».
Attraverso la sacralizzazione del proprio oggetto, il discorso heideggeriano, più che narrazione di
un mito, si fa liturgia creatrice della possibilità stessa del Mythos. La dinamica del «ricordo» è così
quella di un viaggio nella lontananza, da cui comprendere la patria e ripristinarla nella sua
medesimezza. Protagonisti del viaggio sono «i poeti di Germania», «gli uomini tedeschi», «i
futuri poeti di Germania» (Die kommenden Dichter Germaniens).231
Le integrazioni portate da Heidegger al testo originale, un frammento, rendono palese
l’intendimento ideologico. Componendo una sorta di mosaico, Heidegger fa partire «i futuri poeti di
Germania» per terre straniere: essi arrivano, trascorrono per la Francia e, addentrandosi in lontane
contrade - «Voglio andare nel Caucaso»232 qualcuno dice - giungono alla «sorgente» (die Quelle).
Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, la sorgente non viene da Heidegger identificata
nella Grecia,233 ma si situa proprio laddove i nazionalsocialisti pretendevano di ritrovare l’origine
della razza ariana: l’India!
«Non giungono forse, proprio nella maggior lontananza dalla patria, a essere più che mai vicini alla
loro propria essenza? Non giungono forse essi, là dove vivono gii indiani, nel luogo in cui il viaggio
alla colonia si converte in ritorno alla sorgente? Può il pensiero che orienta il loro viaggio cessare di
essere pensiero della patria (...) Sulle rive dell’Indo si effettua il ritorno alla Germania (...) Lo
spirito torrenziale dell’Indo ha reso la patria originaria un sito familiare e ha fondato la prima
dimora. Nell’ambito di questo fiume gli uomini viaggiatori debbono fare esperienza della tradizione
dei padri affinché, di ritorno a casa, siano più savi, affinché salutino i padri nella loro peculiarità
originaria e rendano loro grazie di aver custodito l’origine che ora essi portano a compimento nella
patria tedesca.»234
Se questa è l’origine, più recentemente è nell’asse Grecia-Germa-nia che conviene cercare il nuovo
principio che articola e può articolare pensiero e poesia. Hölderlin avrebbe fissato i termini del
dialogo trascendentale, scrivendo in una lettera: «Non vi è nulla di più difficile che fare un libero
uso di quanto è nazionale. E, come io credo, la chiarezza dell’espressione è per noi così naturale
come il fuoco del cielo per i greci. Ciò che ci è proprio, dobbiamo, però, bene apprenderlo,
altrettanto di ciò che ci è estraneo. Per questo i greci sono per noi insostituibili.»235
Tale necessità s’impone agli uni e agli altri: i greci debbono aspirare alla chiarezza d’esposizione,
giacché solo per mezzo suo possono portare il fuoco del cielo al centro della loro esistenza,
«fondare e costruire la Polis come luogo essenziale della storia, determinato dal sacro. La Polis
determina il “politico”. In quanto tale, come conseguenza, il “politico” non potrà mai decidere sul
suo proprio fondamento, sulla Polis stessa e la sua fondazione». «È, invece, connaturale ai tedeschi
la chiarezza d’esposizione. Poter concepire, apprestare progetti, disporre intelaiature e recinti,
ripiani e scomparti, dividere e classificare è ciò che ci seduce. » Questa virtualità non sarà però
pienamente realizzata, finché essi non sentiranno l’urgenza di «concepire l’inconcepibile e di
mantenere integra la loro disciplina davanti all’inconcepibile (...) È allora soprattutto che si
troveranno nella necessità di attingere al loro essere specifico». Perciò, pensa Heidegger, «nell’era
dei tedeschi la tendenza fondamentale deve essere di poter dare un senso alla storia, giacché l'esser
privi di un destino comune è la nostra debolezza».
Sarà così che Heidegger, non accogliendo il fondamento biologico e razzista, postulato dal
deviazionismo inframetafisico, si giunge a individuare, sostitutivamente, quell’elemento che egli
denomina «l’essenza naturale dei tedeschi»: tutto ciò senza però intaccare affatto la diffusa pretesa
di dare fondamento «metafisico» a una visione, nelle sue radici, discriminatoria: «L'elemento
naturale di un popolo storico è veramente natura, cioè fondamento essenziale, quando l'elemento
naturale è diventato l’elemento storico della sua storia. Per questo la storia del popolo deve
ritrovarsi nella sua propria specificità e lì risiedere.»236
A questo «popolo metafisico», Heidegger riconosce la possibilità di superare ogni altro: «Potrebbe
anche darsi che, una volta o l’altra, i tedeschi, supponendo che imparino a usare in libertà ciò che è
loro proprio e che riescano ad appropriarsi di ciò che è loro estraneo, superino l’essenza specifica
dei greci - “il fuoco del cielo” - qualora sappiano farsi più aperti e il loro sguardo si apra alla
luminosità. Potrebbe darsi che di lì sorgano un focolare e un arengo per il sacro con cui i templi
greci non potrebbero competere.»237
Con la transustanziazione di Hölderlin in «Führer dello spirito», e della patria in luogo sacralizzato,
Heidegger non sta affatto, come pensa Minder,238 abbandonando il terreno politico, bensì sta
trasponendolo in un ambito che egli pensa politicamente, appunto, decisivo, in quanto spirituale.
Simmetricamente al saggio pubblicato nel volume curato da Kluckhohn, Martin Heidegger tenne
una conferenza all’Università di Friburgo, dal titolo «Heimkunft. An die Verwandten» (Ritorno alla
terra natia. Ai congiunti), sempre nel contesto delle celebrazioni per il centenario della morte di
Hölderlin. La simmetria consiste in questo: se, da un canto, Andenken narra il viaggio dei «futuri
poeti di Germania» alle sorgenti ariane, per poter, di lì, abbracciare comprensivamente la patria,
Heimkunft tematizza il ritorno alla terra natia, la vita in essa e il ritrovarsi tra «i suoi». Il testo,
pronunciato nel pieno della guerra, spicca, innanzitutto, per il senso di pace e di gaiezza che da esso
promana, per il sentimento che vi affiora che l’esistenza può unicamente rientrare in possesso del
suo centro nella patria locale e nella convivenza con i congiunti. È come se Heidegger, rispondendo
implicitamente a chi voleva vedere nella sua filosofia una meditazione nichilista, scaturita
dall’angoscia e dal nulla, fosse arrivato, in un dialogo con il suo conterraneo Hölderlin, dopo un
lungo cammino, a un punto di svolta esistenziale e filosofico in cui qualcosa come la gioia sia reso
possibile. Il parallelismo tra Hölderlin e Heidegger stesso viene proposto fin dall’inizio:
«Già il titolo di questa lirica di Hölderlin evoca il ritorno alla patria. Il suolo della patria e
l’incontro, su questo suolo, con i suoi. Il componimento narra un viaggio a Lindau dalle “fosche
Alpi” attraverso il lago. Il precettore Hölderlin aveva intrapreso un viaggio all’inizio del 1801 da
Hauptwyl, nella regione di Costanza, fino alla sua patria sveva attraverso il Bodensee.»
Essere giunti in patria, però, non giustifica, di per sé, averla percepita nella sua essenza. Colui che è
giunto continua a essere qualcuno che cerca. In un emendamento al testo originale, Hölderlin fu
ancora più trasparente: «Il tesoro, l’essenza tedesca (...) non è ancora stata trovata. » Ciò che la
patria è, è là, in prossimità, però non è ancora stato trovato, nel senso di essersi fatto storia
dispiegata. È così poiché «“coloro che si prendono pensiero della patria” non sono ancora pronti a
prendere possesso autentico di ciò che è proprio della patria, “l’essenza tedesca”».239
Per il poeta la patria è luce, sorgente di gioia. È essa che illumina, unifica e crea lo spazio in cui il
popolo fa la sua storia, la sua «casa» (Haus). Il poeta chiama coloro che si dimostrano capaci di
comprendere la patria come origine della gioia, gli «angeli della casa» (die Engel des Hauses).
L’«anno» (das Jabr) è il tempo della «casa», l’ordito su cui le cose fioriscono e si conchiudono. La
«terra» (Erde) è il primo «angelo della casa», la luce che dà gioia è il primo «angelo dell’anno»
(der Engel des Jahres). Gli «angeli della terra e la luce» (die Engel des Erdes und das Licht) e
l’«angelo dell’anno» salutano la «casa patria» (Heimische), rischiarandola e facendola sorgere
alla luce e al tempo.240
La Svevia è la madre, essa vive in prossimità del fuoco che dà luce e calore e attorno al fuoco si
trova l’officina artigiana in cui si realizza, in silenzio, ciò che è stato deciso. «La Svevia, la
madre, abita vicino al focolare della casa (...) La Svevia abita vicino all’origine (...) La Svevia, la
voce della madre, ci indica l’essenza della patria (Vaterland). Lì, presso l’origine, è la vicinanza di
ciò che vi è di più gioioso. L’essenza e il meglio della patria riposa lì, in questa vicinanza all’origine
e da nessun’altra parte. Perciò la fedeltà all’origine è l’essenza di questa patria.»
La vicinanza all’origine mostra l’origine come «mistero» (Geheimnis) e il mistero non è decifrabile
con l’analisi, ma solo attraverso l’atto che lo assume: «Il tesoro, l’essenza tedesca, conserva il suo
mistero.»241 Tutelare il tesoro è produrre una poesia che avvicina alla patria e al suo mistero.
La lirica Heimkunft non parla della patria, essa è il ritorno stesso alla patria, giacché «la sua parola
risuona come una campana nella lingua dei tedeschi». La parola fa cenno ai tedeschi, ai
depositari di questa essenza tedesca, come ciò che ancora non appare, e che purtuttavia è vicino.242
Nello stesso periodo in cui cantava la luce e la gioia fondata sulla patria, Hölderlin traduceva le
tragedie di Sofocle per indicare come doveva essere modulato il Canto del tedesco. Hölderlin
scopre che, soli, possono ascoltare il suo canto «i padri dei nostri principi» (die Eltern unserer
Fürsten) e gli «angeli della patria sacra» (die Engel  des heiligen Vaterlandes) Scopre anche che la
tristezza non è altro che «la gioia che attende la sua ora», «la gioia che esita ancora».243
Il sacro allora appare ma «il dio» resta assente, per questo non erompono «i nomi sacri» (fehlende
Nahmen), le parole acconce. Di fronte a ciò a nulla vale costruirsi un nuovo dio o riesumare gli
dei caduti nell’oblio. Non si farebbe, in tal modo, che mascherare la reale assenza del «dio». Il
poeta non può dunque che sperare e preparare lo spazio in cui il «dio» gli si presenterà.244 Di questo
devono avvedersi «gli altri» (die Anderen), «i congiunti» (die Verwandten). Ascoltare attraverso il
poeta la vicinanza della Sacra patria, che ancora non appartiene loro. Solo a questo punto essi
potranno divenire i più vicini congiunti del poeta (die nächsten Verwandten des Dichters), pronti a
immolare le proprie vite al sacrificio della patria. «Questo ritorno alla patria è il futuro dell’essenza
storica dei tedeschi. Essi sono il popolo della poesia e del pensiero. Essi debbono ora essere
pensatori affinché la parola della poesia sia percettibile. È questo il modo in cui possono soccorrere
il poeta.»245
La fine della guerra e l’esordio del polemos
Il quotidiano di Friburgo «Badische Zeitung» del 14 marzo 1947 riportava che «nel quadro
dell’epurazione politica si è notificata per decreto al filosofo professor Heidegger l’interdizione a
insegnare. Egli non può esercitare nessuna funzione all’università».
Tale decreto giungeva a conclusione di un lungo procedimento nel quadro della denazificazione
obbligatoriamente imposta all’Università di Friburgo in seguito all’occupazione francese del 25
aprile 1945. Le forze d’occupazione erano dell’avviso che l’Università avesse svolto un ruolo
centrale nel consolidamento del nazionalsocialismo nella regione. Esse statuirono che la
denazificazione fosse condotta fino in fondo e rifiutarono categoricamente di riconoscere
all’Università qualsiasi forma di autonomia.246 L’Università fece del suo meglio perché alcuni
insegnanti potessero essere risparmiati e fossero loro evitate l’espulsione e le sanzioni deliberate dal
comando francese.247
Fin dall’inizio del mese di maggio, per ordinanza del governo militare, Martin Heidegger si vide
confiscare la casa, assimilata a una «sede di partito» e in quanto proprietà di un «nazista
tipico».248 Malgrado le rimostranze di Heidegger e della moglie tale provvedimento non fu
annullato e la famiglia Heidegger fu costretta a condividere la propria abitazione con un’altra
famiglia.249
Il curatore, ufficiale designato dal governo militare per riorganizzare l’Università, nominò, in
propria rappresentanza, un gruppo di tre persone: i professori Konstantin von Dietze, Gerhard Ritter
e Adolf Lampe. Tutti e tre erano appena stati dimessi dal carcere di Berlino dove erano stati
segregati in seguito agli avvenimenti del 20 luglio 1944, all’attentato, cioè, contro Hitler. I
documenti del legato Lampe contengono preziose informazioni sul procedimento nei confronti di
Heidegger, ma non sono, purtroppo, accessibili agli studiosi.
Martin Heidegger dovette comparire il 23 luglio 1943 di fronte alla commissione così costituita e in
seguito allargata ai professori A. Allegeier e F. Oehlkers. La commissione, fatta eccezione
per Lampe, si mostrò indulgente nei riguardi del filosofo; soprattutto Ritter, che riteneva Heidegger
avversario del regime nazista fin dal 1934 («un deciso avversario del nazismo»).250
Il rapporto su Heidegger fu portato a termine nel settembre 1945 e si rivela estremamente
benevolo.251 Vi si insiste sull’incompatibilità radicale tra la dottrina nazista e la filosofia di
Heidegger. Ciò nonostante, data l’indiscutibile responsabilità di Heidegger nella normalizzazione
nazista dell’Università, il rapporto conclude col proporre al senato accademico la collocazione a
riposo (Emeritierung) del filosofo, con il mantenimento, però, del diritto a insegnare.252
Il senato discusse questa proposta il 17 ottobre 1945 arrivando alla risoluzione di sollecitare dal
governo militare francese la reintegrazione di Heidegger, riconoscendo così, indirettamente, la
sua preliminare espulsione. Il senato richiese, inoltre, al Ministero per il Culto e l’Insegnamento di
Karlsruhe, di mettere Heidegger a riposo, corrispondendo così ai voti espressi da quest’ultimo.
Heidegger dovette impegnarsi, in una dichiarazione dell’inizio del 1946, a rinunciare espressamente
all’insegnamento fino a che il riordinamento dell’Università non fosse stato completato.253
Tutto sommato, il verdetto del senato fu severo: ritiro senza diritto di insegnare e interdizione di
partecipare a qualsiasi pubblica manifestazione dell’Università.254 Il governo militare non accettò la
proposta e, aggravando le imputazioni a carico di Heidegger, richiese non il riconoscimento della
quiescenza, con i relativi diritti acquisiti, ma la semplice concessione di una pensione
(Pensionierung).255 L’Università, e segnatamente la Facoltà di filosofia, sembra abbia
invano cercato di ammorbidire la posizione del governo militare.256
Per appurare le ragioni di questo atteggiamento, bisognerebbe poter consultare il materiale raccolto
negli archivi del governo francese d’occupazione e nel lascito Heidegger, ciò che per l’appunto ci è
stato impossibile fare.
È interessante porre in rilievo come, nello stesso periodo in cui si svolgevano a Friburgo tali
vicende, altre università tedesche si disputassero il privilegio di offrire a Heidegger una cattedra di
filosofia. Un concorso, in particolare, fu organizzato, nel novembre 1945, dall’Università di
Tubinga, per provvedere di un titolare la cattedra lasciata vacante da Haerint.257 Il 24 novembre
1945 la Facoltà propose Martin Heidegger come testa di lista, davanti a Gerhard Krüger (Münster),
contro una forte resistenza opposta per motivi scientifici e politici, dai professori Schönfeld,
Dannenbauer, Kern e Kamke. Si pronunciarono a favore di Heidegger, Rudolf Stadelmann,
Paul Kluckhhohn, entrambi convinti nazionalsocialisti, nonché Romano Guardini. La Facoltà
rimaneggiò poi la lista, collocando in prima posizione Nicolai Hartmann (Berlino), facendolo
seguire da Martin Heidegger, e ancora da Heinrich Scholz e Gerhard Krüger. Il veto espresso contro
Heidegger, e specificamente dai professori Knoop e Kamke, era motivato dal «nichilismo»
attribuito a Heidegger, ma, soprattutto, trova la sua ragion d’essere nell’impressione da lui suscitata
a Tubinga all’epoca della sua conferenza del novembre 1933, «L’università nello Stato
nazionalsocialista». Il verbale della seconda proposta, redatto da Stadelmann a nome della Facoltà,
non fa alcun cenno alle scelte politiche di Heidegger.
Le tre lettere indirizzate a Stadelmann da parte di Heidegger, rispettivamente il 20 luglio, il 1°
settembre e il 30 novembre 1943, confermano, completandoli, gli esiti della ricerca condotta da
Hugo Ott sull’atteggiamento di Heidegger di fronte al processo di denazificazione. Heidegger si
duole del comportamento delle autorità cittadine di Friburgo, dell’aggressività dei membri della
Resistenza, della Facoltà e del senato dell’Università nei suoi confronti. Mai sembra dubitare della
propria grandezza: «Non vogliono doversi vergognare agli occhi dell’opinione pubblica straniera:
richiamandomi all’Università fanno chiara mostra di non rinunciare alla mia potenza spirituale.»
Commentando il passo del rettore rivolto a chiedergli di astenersi dall’insegnamento, Heidegger
scrive: «Ho risposto per iscritto dicendo di non vedere, da parte mia, alcun
inconveniente nell’attendere, ma che il problema era di sapere se la gioventù e la situazione
spirituale della Germania potessero o no attendere. L’Università se ne assume la responsabilità. »
Le lettere di Heidegger a Stadelmann rivelano, inoltre, come Heidegger, per il tramite di
Stadelmann, continuasse a esercitare la propria influenza dopo la guerra, nonostante la sua
emarginazione, attraverso una trama di contatti che gli permetteva di influire sulla politica delle
nomine dei professori, quanto meno all’Università di Tubinga. Nella sua corrispondenza Heidegger
caldeggia la designazione a ordinari dei suoi allievi Gadamer, Becker, Krüger, Lowith e Heiss. Sulla
possibilità di essere lui stesso chiamato a Tubinga, Heidegger si mostra scettico in una lettera del 30
novembre 1943; in un’ultima lettera del 23 gennaio 1946, egli prega Stadelmann di non ritornare
sulla questione.
Il senato e il rettorato di Friburgo lo avevano, nel frattempo, sollecitato a «non presenziare ad
alcuna pubblica manifestazione dell’Università».
Che Heidegger approvasse l’azione del regime hitleriano e in particolare la guerra d’aggressione,
era già emerso con piena evidenza nei citati brani delle lezioni del 1942. L’autodifesa che egli mise
a punto nel 1945 ne dice ancora di più in proposito. In Das Rektorat  1933-34, 258 egli scrive:
«Attorno al 1943-44 la Gestapo estese le sue ricerche ai frequentatori cattolici del mio seminario,
padre Schumacher, il dottor Guggenberger e il dottor Bollinger, in relazione all’attività svolta dal
gruppo studentesco di Hans e Sophie Scholl, i cui fermenti si facevano sentire vivamente a Friburgo
e nei miei corsi.» Il movimento antinazista La Rosa Bianca cui qui allude Heidegger fu animato da
studenti cattolici di Monaco sotto la guida politica e spirituale del professor Kurt Huber, professore
cattolico di filosofia all’Università di Monaco. La maggioranza dei suoi adepti furono assassinati
dalla Gestapo.
Nel nostro tentativo di ricostruire le vicende della vita universitaria di Friburgo negli anni 1943-44,
proprio tenendo presenti le persone citate da Heidegger, siamo riusciti a prendere contatto soltanto
con il dottor Heinz Bollinger. Il suo lapidario giudizio contraddice inequivocabilmente le
affermazioni di Heidegger e l’immagine che gli studenti si facevano del filosofo. Riferendosi ai
citati passi di Das Rektorat 1933-34, il dottor Bollinger ha puntualizzato: «Durante il mio
soggiorno a Friburgo (1938-43), tutti consideravano Martin Heidegger un nazista; per me era Hitler
in cattedra.»259 E aggiunge: «Nel corso degli interrogatori a cui fui sottoposto dalla
Gestapo, nessuno ha mai indagato sui miei rapporti con lui, mentre mi sono state fatte domande su
altri professori.»260 E ancora, in un’altra lettera,261 Bollinger afferma testualmente: «Nel nostro
movimento di resistenza, attivo dal 1941, e in quello della Rosa Bianca - con cui mi misi in
relazione dal dicembre 1942 - non ho mai incontrato qualcuno che avesse una qualche relazione con
Heidegger. Sento per la prima volta i nomi di Schumacher e di Guggenberger. »
Nell’intervista con lo «Spiegel», Heidegger asserisce di essere stato inviato al fronte negli ultimi
giorni di guerra, dopo che il Gauleiter e il Kreisleiter di Friburgo ebbero dichiarata totalmente
inutile la sua attività all’Università.262
Finora nessun documento ci ha permesso di controllare la veridicità di questi dati offerti da
Heidegger, né di ricostruirne il contesto. Per contro, un aneddoto narratoci da Georg Picht, amico di
Heidegger, ben ci attesta quale fosse la sua reazione di fronte all’annientamento della Germania
nazista:
«Nel dicembre 1944, mentre faceva ormai buio, qualcuno suonò alla nostra porta. Fuori c’erano
Heidegger, la nuora e la sua assistente. Erano fuggiti da Friburgo, minacciata dalle bombe e
dall’avanzata alleata in direzione di Messkirch. Non c’era più nessun mezzo di trasporto. Mi
chiesero di ospitarli. Trascorremmo poi insieme una serata tranquilla e distesa. Accogliendo l’invito
di Heidegger, mia moglie interpretò al piano una sonata postuma di Franz Schubert. Allorché la
musica cessò, egli mi guardò e disse: “Questo non possiamo farlo con la filosofia.” Sul nostro albo
degli ospiti, Heidegger scrisse: “La disfatta è altra cosa dal perire. Nella disfatta è sordamente
presente la rivincita.”»263
In una lettera del 20 luglio 1945264 a Rudolf Stadelmann, Heidegger ribadisce le sue convinzioni di
sempre: «Qui non si fa che pensare al crollo ( Untergang). Ma la verità è che noi tedeschi non
possiamo cadere perché non ci siamo ancora levati. Noi dobbiamo attraversare la notte.»
In un’altra lettera del 1° settembre 1945, sempre indirizzata a Stadelmann,265 dichiara: «Anzi, sono
convinto che proprio a partire dalla nostra natia terra sveva si desterà lo spirito dell’Occidente. »
La popolarità di cui godeva in Francia, alimentava le certezze di Heidegger: «Qui, e anche a
Friburgo, in città, mi si dà addosso. Comunque sia, sono sostenuto da Parigi e dalla Francia dove
sono “il filosofo alla moda”.»
Ancora a Stadelmann, il 20 novembre 1945, egli scrive: «I francesi sanno che il mio lavoro
filosofico da venticinque anni stimola e determina il pensiero e l’atteggiamento dei giovani sulle
condizioni dello spirito.»
Egli sottolinea il vincolo profondo tra la filosofia e la sua terra, e annota, in una lettera del 20 luglio
a Stadelmann, che l’obbligo a rinunciare all’università e a ritirarsi nella sua terra natia
l’avrebbe assecondato nel «realizzare un sogno di gioventù: poter dare al [suo] pensiero la sua
forma più acconcia, nella [sua] propria patria, la patria di Hegel, di Schelling e, soprattutto, di
Hölderlin».266
L’8 aprile 1950, Heidegger così si esprimeva in una lettera a Karl Jaspers:
«La questione del pervertimento non è giunta al suo termine, è entrata in uno stadio di espansione
mondiale. Stalin non ha più bisogno di dichiarare nuove guerre. Vince tutti i giorni una battaglia.
La possibilità di tirarsi indietro non esiste più. Ogni parola e ogni scritto sono dei contrattacchi,
anche se non si dipanano nell’ambito della politica, spazio ormai reso obsoleto da altre forme
dell’essere, divenuta com’è un mero simulacro. Quanto alla Sua simpatica offerta di intrattenere una
discussione epistolare, è sempre la stessa faccenda: più le cose diventano semplici, più è difficile
pensarle e dirle. Nell’attuale smarrimento del patriottico, avviene pur sempre qualcosa. Vi si cela un
evento i cui lontani segnali ci sono forse percettibili.»267
Perché Heidegger si è sempre rifiutato di stigmatizzare esplicitamente le mostruosità del nazismo?
La sua adesione incondizionata ai princìpi di fondo del nazionalsocialismo lo spiega senza
difficoltà, ad onta, o, piuttosto, per il fatto stesso della sua critica al deviazionismo. La
pubblicazione nel 1953 dell’Introduzione alla metafisica testimonia della sua fedeltà a ciò che egli
chiama «grandezza e verità interna» del movimento nazionalsocialista. Tale fedeltà è assai
ben illustrata dal seguente episodio, riferito dal teologo Rudolf Bultmann, suo amico, con il quale
Heidegger cercò di riallacciare delle relazioni. Così narra l’incontro Bultmann:
«Tutto era stato dimenticato. Se una qualunque ragione l’avesse mai legato al nazionalsocialismo, si
sarebbe ormai dissolta nella disillusione. Non c’era quindi alcun ostacolo fra di noi. Al momento di
separarci gli rammentai ciò che mi aveva detto al telefono. “Ora - gli dissi - devi ritrattare per
iscritto come fece sant’Agostino, non come ultima risorsa, ma per amore della verità del tuo
pensiero.” A quel punto il volto di Heidegger divenne come di pietra. Si allontanò senza dire una
parola.»268
Martin Heidegger, ricordiamo, aveva collaborato con Bultmann nella rivista «Theologische
Rundschau», in un’epoca in cui questa pubblicazione era molto mal vista dall’Amt Wissenschaft. Si
evince, infatti, da un documento conservato presso l’Istituto per la storia contemporanea di
Monaco,269 che la cooperazione di Heidegger a questa rivista era tenuta sotto il vigile occhio degli
agenti di Rosenberg.270 Antje Bultmann-Lemke riferisce che il legato Bultmann -depositato presso
la biblioteca dell’Università di Tubinga - contiene svariate lettere in cui Heidegger manifesta il
proprio entusiasmo per il nazionalsocialismo e in cui chiarisce quale ruolo assegnasse alle sue
funzioni di rettore a Friburgo. Come in tanti altri casi, tali documenti non sono accessibili.271
Karl Jaspers avrebbe, anch’egli, cercato di ottenere una ritrattazione da parte di Heidegger, ma
inutilmente. Avendo perso ogni speranza in tal senso, questa è la sua valutazione: «Non riesce a
cogliere la profondità del suo errore di un tempo: per questo non c’è in lui autentica trasformazione,
ma piuttosto un gioco di proiezioni e di occultamenti.»272
Sarebbe, però, del tutto fuorviante ritenere che Heidegger sia rimasto in silenzio, e che non abbia
speso neanche una parola sull’olocausto. Una frase da lui pronunciata nel 1949 nel corso di una
conferenza a Brema, ci rivela la sua indifferenza aggressiva, il suo antiumanitarismo provocatorio:
«L’agricoltura è oggi industria motorizzata della nutrizione, che per essenza è identica alla
fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, identica al blocco e
all’affamamento dei paesi, identica alla fabbricazione di bombe all’idrogeno.»273
Inoltre, non bisogna dimenticare che Heidegger, nelle lettere a Marcuse (1949), paragona lo
sterminio degli ebrei al trattamento subito da quei tedeschi dell’est, che furono costretti dagli Alleati
ad abbandonare i loro territori e a trasferirsi nella parte occidentale.274
Capitolo 4. Il ritorno ad Abraham a Sancta Clara
La riflessione condotta da Heidegger verso la fine della sua vita si sviluppa secondo due direzioni
complementari. Pur portando al massimo livello d’astrazione l’oggetto formale di tale ricerca,
«l’essere di ciò che è», egli cercherà di aprirsi un varco verso di esso muovendosi su una
dimensione di grande concretezza. Fondamento preriflessivo di ogni pensiero, l’essere non può
venire percepito che se, nella sua assoluta indeterminatezza, si mostra nella sua verità, occultandosi
alla riflessione. La sua storia, la storia dell’essere, sarà dunque, per Heidegger, la storia dei cenni,
delle tracce lasciate dall’essere mentre sfugge ad ogni riflessione.275 Il luogo in cui Heidegger si
muove, l’orizzonte a cui si volge per cercare tali segni, è la terra natia, la sua patria sveva. Non
perché essa sia quella in cui si ritrova casualmente a esser nato e a vivere, ma perché egli la
considera il centro del centro, perché essa è, in sé, «il popolo metafisico».
Già in Heimkunft. An die Verwandten, Heidegger aveva palesato il suo convincimento secondo cui
la patria sveva di Hölderlin fosse il vero centro spirituale della Germania. Nella patria locale
(Heimat), dunque, nella sua lingua soprattutto, la lingua materna, si trovano i segni che lasciano
baluginare l’essere. Heidegger non ne trarrà, tuttavia, una filosofia del linguaggio che esamini i
significati in quanto formulabili in giudizi che possano essere sottoposti a verifica
o    a falsificazione; egli porterà avanti, invece, una riflessione che si snoderà con grande scrupolo
da questa singolarità espressiva per cui
i    segni possono parlare da loro stessi. Il linguaggio della terra natia diviene così luogo
privilegiato, parola che è spirito. Nel duplice contrassegno della patria e della lingua materna, il
ritorno di Martin
Heidegger alle origini non si limiterà al dialogo con Hölderlin né al ritorno a J. P. Hebel: si
risalderà, dopo aver descritto un ampio cerchio, all’argomento della sua prima pubblicazione,
Abraham a Sancta Clara.
Il 2 maggio 1964, Heidegger presenziò a un incontro di ex allievi del ginnasio di Messkirch,
tenendovi un’allocuzione, la cui redazione scritta fu stampata a cura della municipalità di Messkirch
nel 1964, con il titolo Über Abraham a Sancta Clara (Su Abraham a Sancta Clara). Un’analisi di
questo testo ci può permettere di individuare i nessi tra i temi nodali della meditazione di Heidegger
al conchiudersi della sua vita e i temi permanenti che rinviano all’origine della sua riflessione.
W. D. Gudopp, che si è occupato, sia pur marginalmente, del ruolo di Vienna come epicentro del
Reich cattolico nella formazione del giovane Heidegger, e che, soprattutto, ha effettuato una
particolareggiata analisi del testo scritto dal giovane Heidegger per l’inaugurazione del monumento
a Abraham a Sancta Clara, ha tralasciato un aspetto a parer nostro di tutto rilievo, e cioè il legame
tra questo testo del lontano 1910 e l’omaggio dedicato nel 1964 da Heidegger al monaco
agostiniano.
Il discorso di Heidegger prende le mosse da una frase di Abraham a Sancta Clara: «Chi nasce sotto
un tetto di paglia non ha soltanto paglia nella testa. »
Comprendere Abraham a Sancta Clara, prosegue Heidegger, non consiste certo nell’enumerare le
circostanze e gli avvenimenti della sua vita. Comprenderlo significa averne percezione nel suo
destino e ciò ci stimola a riflettere sul tempo storico in cui tale destino si è compiuto.276
Così Heidegger descrive tale epoca: «La seconda metà del secolo xvii, successiva alla pace di
Vestfalia del 1648, non fu affatto un periodo di pace. Alla desolazione e alla miseria, scia della
grande guerra, succedettero nuove guerre e minacciosi pericoli, fame e povertà. Le armate straniere
attraversavano il paese. La peste devastava Vienna. I turchi erano alle porte della città. Guerra e
pace, sgomento davanti alla morte e volontà di vivere coesistevano in uno stretto intreccio.»277
Tratteggiando con queste pennellate l’epoca che suggella il destino di Abraham a Sancta Clara, e
non portando altre sfumature al quadro, Heidegger tace due elementi essenziali nella visione
che Abraham a Sancta Clara aveva delle sofferenze che caratterizzavano la sua epoca: gli ebrei che
erano all'origine della peste e i turchi che incarnavano il barbaro, l’estraneità aggressiva. Ci si può
chiedere fino a che punto l’obliterazione operata da Heidegger sia cosciente o meno. Ci imbattiamo,
inoltrandoci nel testo, in una frase, a dir poco, sconcertante: «Per questo, attorno a quest’epoca,
Abraham a Sancta Clara scrive: “Presso di noi povertà, ricchezza e morte (‘Dio abbia pietà di noi’)
si incontrano in un solo giorno. La nostra pace è tanto lontana dalla guerra quanto Sachsenhausen
da Francoforte.”»278
Parole che lasciano interdetti. Nel 1964 nessuno in Germania poteva ignorare che Sachsenhausen,
alla periferia di Francoforte, evocava nello stesso tempo il nome di uno dei più sinistri campi di
concentramento allestiti dal Terzo Reich. Ugualmente nessuno ignorava, all’epoca, che a
Francoforte risiedeva il tribunale incaricato di indagare sui crimini perpetrati ad Auschwitz: si trattò,
ovviamente, di un avvenimento che polarizzò molto a lungo l’opinione pubblica tedesca. Cosa può
dunque voler significare l’allusione a queste due località, i cui nomi vengono insieme proferiti da
Abraham a Sancta Clara? Siamo di fronte a una coincidenza casuale, a un lapsus o a una
provocazione bella e buona? L’estrema virtuosità di cui ha sempre dato prova Heidegger nel
maneggiare le citazioni porterebbe a escludere l’ipotesi di una semplice casualità.
Si può allora pensare a un lapsus? Heidegger ignorerebbe o sottacerebbe il ben noto antisemitismo
di Abraham a Sancta Clara, per poi inavvertitamente farvi riferimento: nominando
Sachsenhausen, egli in realtà designerebbe i crimini di Auschwitz; sempre seguendo tale ipotesi,
Heidegger non affronterebbe dunque direttamente la relazione tra Abraham a Sancta Clara,
l’antisemita, e Sachsenhausen-Auschwitz: questa, tuttavia, rimossa ma percepita, finirebbe con il
riaffiorare. Attraverso la trilogia Abraham a Sancta Clara-Sachsenhausen-Auschwitz egli
esprimerebbe ciò che voleva, ma non poteva dire senza correre il rischio di identificare la patria
sacralizzata con la massima mostruosità prodottasi nella storia dell’umanità. Il lapsus sarebbe la
spia di una situazione radicalmente conflittuale e non risolta. La questione assume tanto maggior
rilievo, se si pensa che Heidegger, per illustrare inconsciamente le cose, sceglie il luogo per lui più
denso di significati: il suo luogo di nascita. La scena si svolge davanti alle «forze del futuro» (i
giovani della terra natia), nella scuola in cui Abraham a Sancta Clara ed egli stesso erano entrati in
contatto con il mondo e con i tempi dell’origine.
Saremmo di fronte a una ritrattazione emersa dal profondo? Questo «cedimento» di Heidegger
sarebbe da correlarsi a un ostinato rifiuto di fare autocritica? È possibile.
Può essere che ci sia un’altra risposta. Sfidando in piena consapevolezza e apertamente «l’opinione
pubblica» - atteggiamento, peraltro, caratteristico del filosofo-per essere compreso da coloro che
«erano in grado di comprendere», Heidegger avrebbe inteso far proprio «virilmente» il senso di
questa trilogia adottando una condotta che, tra tutti i capi della gerarchia tedesca, solo Himmler
osò praticare: è noto che Himmler si diede la morte.
La questione resta irrisolta e lo rimarrà in attesa di una documentazione più esauriente.
Procedendo nella lettura del discorso, vediamo Heidegger sospingere, in una trama avvolgente, il
suo uditorio verso tutt’altre direzioni: «Ma, inoltre, nella seconda metà del secolo xvn si risvegliò
un nuovo spirito risolutamente rivolto al mondo per agirvi e creare: lo spirito del barocco. Abraham
fu contemporaneo dei compositori Bach e Haendel. E, nella medesima epoca, i grandi architetti
intrapresero la loro opera. Le chiese barocche di Ottobeuren, Weingarten, Weissenau, Steinhausen e
Birnau sono frutto del loro lavoro.»279
Arriviamo, così, a toccare un altro aspetto del profilo di Abraham a Sancta Clara. La sua opera è il
suo linguaggio: «Egli parlò e scrisse avvalendosi di una straordinaria padronanza della lingua
tedesca per la molteplicità delle sue possibilità creatrici. » Al di là del suo legame con il barocco, è
importante «porgere attenzione al modo in cui Abraham dice ciò che dice: solo allora avremo
un’idea del singolare potere e della ricchezza del suo linguaggio».280 Abraham a Sancta Clara
«pensa per immagini. Egli giunge, per loro tramite, a produrre la visione diretta di ciò che vuole
dire».281 Descrive, per ricorrere ad un esempio, la morte che si abbatte su Vienna, come una forza
che trascende le classi e i potenti, come un mietitore che falcia ogni erba, bassa o alta che sia; come
una folgore che indifferentemente si schianta sui tetti di paglia delle case contadine e sulle regge.282
Ancora attraverso un’immagine egli dà palpabile sembianza all’esistenza umana: «L’uomo: questo
nulla di cinque piedi di altezza.»283 Solo un lettore superficiale potrebbe pensare che Abraham a
Sancta Clara giochi con il linguaggio. Egli, in realtà, «ascolta il linguaggio».284 L’esempio scelto da
Heidegger per illustrare la virtuosità del linguaggio del monaco è peraltro inquietante: «La rima, il
suono armonioso delle parole e delle sillabe sono utilizzati con una purezza che rinvia
immediatamente a un’immagine. Padre Abraham a Sancta Clara scrive: “Un comandante militare
ha colpito in piena testa i turchi: teste e capigliature rotolarono a terra come pentole.”»285 Ma per
Heidegger il fulgore del linguaggio di Abraham a Sancta Clara si rivela al suo meglio allorché egli
allude alla «bianchezza dei cigni» con l’analogia del candore effimero della neve.286
Martin Heidegger perviene così a una sintesi originale. Il prete fanatico ama i cigni, l’impietoso
antisemita canta il candore della neve, lui - Heidegger - ne evoca la maestria da giocoliere delle
parole e delle sillabe ricorrendo a teste che cadono risuonando come pentole. Di Abraham a Sancta
Clara e di sé stesso egli fa due prototipi di ciò che Mitscherlich ha designato come «persone
incapaci di provare commiserazione». Per Heidegger il giudizio che tradizionalmente pesava su
Abraham a Sancta Clara era estremamente ingiusto: «Quest’uomo che si è tanto spesso raffigurato
con i tratti di un personaggio grossolano, tutto teso a condannare la condotta degli uomini evocando
la morte e il demonio...»287 E, a conclusione, Heidegger non si perita di sostenere: «La via
intrapresa da Ulrich Megerle rappresenta un segno della fedeltà e del rigore di Abraham a Santa
Clara dinanzi al destino che gli è stato riservato. Prestiamo bene attenzione a tutto ciò: noi avremo
allora trovato, in questo nostro incontro, non soltanto un vecchio allievo di una scuola di Messkirch,
ma un maestro per la nostra vita e un maestro della lingua.»288
Sotto il profilo politico, Heidegger collocava Abraham a Sancta Clara nella linea dell’antisemitismo
cristiano-sociale e del populismo riformista del sindaco di Vienna, Karl Lueger. Con l’andare del
tempo, la figura di Abraham a Sancta Clara e il suo significato sociale si sono profondamente
modificati. Heidegger aveva ricavato il suo primo ritratto del monaco agostiniano dal florilegio
curato da Karl Bertsche, la cui prima edizione risale al 1910. Bertsche, specialista di
Abraham a Sancta Clara, faceva del monaco «il pane spirituale» dei combattenti tedeschi della
prima guerra mondiale, e, più tardi, della seconda. D’altra parte, Franz Loidl aveva messo in
evidenza testi come questo: «I discendenti di quegli ebrei che misero le loro mani su Gesù pagano
ancor oggi, in tutto il mondo, il fio della colpa commessa. Che si perseguitino questi perversi
maledetti in ogni dove -dice senza perifrasi Abraham a Sancta Clara - non è poi cosa tanto ingiusta,
giacché, fatta eccezione del demonio, non v’è per i cristiani peggior nemico che gli ebrei. Per le loro
reiterate profanazioni questi animali non meritano neanche che li si guardi, e ancora meno che si
traffichi con loro.»289
Nel saggio Abraham a Sancta Clara und das Judentum (Abraham a Sancta Clara e l’ebraismo),
dato alle stampe nel 1941, Loidl si dimostra, se possibile, ancor più esplicito e aspro. Dopo aver
affermato che «l’epoca di Abraham fu straordinariamente decisiva per il ghetto di Vienna»,290
aggiunge che «l’eccitazione degli spiriti viennesi indusse a cercare una soluzione radicale», poiché
era diventato nel frattempo chiaro che «né il martirio, né il rogo potevano nulla per allontanarli
dalla loro fede».291
Nelle sue opere Lauberhutt (La capanna) e Weinkeller (La cantina), Abraham a Sancta Clara narra
l’autodafé di ottanta ebrei a Salisburgo.292 Le sue informazioni sugli ebrei erano di prima mano:
conosceva bene il ghetto di Vienna ed ebbe modo di osservarne gli abitanti con i propri occhi, per
un breve periodo, è vero, poiché gli ebrei furono espulsi poco dopo. Al suo arrivo a Vienna, nel
1672, il problema più grosso era stato risolto, visto che gli ebrei erano stati fatti sgomberare dalla
città. Ciò spiega, secondo Loidl, perché Abraham a Sancta Clara non si diffonda oltre
sull’argomento.293 Loidl sottolinea che, grazie alle «dettagliate ricerche di Karl Bertsche», è
stato possibile costatare che certi editori hanno espunto dalle opere del monaco passi ingiuriosi
contro gli ebrei.294 Ma c’è lui per ricordarli:
«I discendenti degli assassini di Gesù hanno dovuto vedere come i semi da loro piantati non
potevano dare frutti; sulle loro tombe non spunta l’erba. I figli degli ebrei che schiaffeggiarono
Gesù nascono con il braccio destro più corto. Altri nascono con denti di porco. Le narici dei figli di
coloro che gli offrirono aceto sulla croce si riempiono di vermi ogni venerdì santo. I figli di coloro
che gli sputarono addosso, non possono sputare senza che la saliva ricada sul loro viso. Coloro che
lo flagellarono devono vedere, ogni 25 marzo, la pelle dei loro figli ricoprirsi di 6666 piaghe.»295
Tutti gli ebrei promanano, da allora, un puzzo particolare, avvertibile soprattutto durante la
settimana santa, castigo che fu loro inflitto per essere stati i soli ad aver assistito ai miracoli di Gesù
senza prestarvi fede. La pretesa di attendere un nuovo salvatore ha loro procurato una serie
incalcolabile di disgrazie. Così, la storia della figlia di un ebreo, che, messa incinta da uno studente
fece credere a tutti di essere pregna del Messia. Al momento del parto, visto che l’atteso era in realtà
una femmina, il loro risentimento fu tale che presero la neonata e la scaraventarono contro un muro
di pietra. »296
I    loro sacrilegi sono innumerevoli: gli usurai ebrei esigono dalle donne che vogliono impegnare i
loro indumenti, l’offerta di ostie consacrate; un ebreo che, durante la messa, profanò un’ostia
mordendola, si mise a sussultare abbaiando come un cane, dimenandosi per tutta la chiesa finché un
santo non gliela strappò di bocca; gli ebrei di Daggendorf in Baviera perforavano le ostie con aghi,
quelli di Parigi, nel 1290, le abbrustolivano. In Boemia le coprivano di sputi e poi le infilzavano in
pugnali. A Norimberga le pestavano nel mortaio.»297
Abraham fece sue le affermazioni dello storico, «degno di fede», Antonius Bousinius: l’emorragia
provocata dalla circoncisione, all’ottavo giorno dalla nascita di un bambino ebreo, poteva essere
arrestata solo con sangue cristiano.29*
L’elenco delle citazioni riportate da Loidl potrebbe prolungarsi indefinitamente. È, a questo punto,
significativo mettere nel dovuto rilievo il suo peculiare modo di «adattare» Abraham a Sancta
Clara ai tempi nuovi, e siamo nel 1941. Espulsi gli ebrei nel 1670, il problema sembrava risolto una
volta per tutte. Niente affatto. «Qualche anno dopo gli ebrei ripresero la loro attività, e si
riproposero per la corte e per Vienna i problemi di prima. Da allora il numero degli ebrei non cessò
di aumentare, e, grazie al loro denaro, estesero più che mai la loro influenza. E, ancor peggio,
illuminismo e liberalismo costituirono per essi un terreno assai fertile e furono i loro massimi
patroni. »
Loidl conclude: «Con la terza espulsione, quella di oggi, il perturbamento causato da questo strano
popolo ha trovato una soluzione definitiva.»299
II    saggio di Loidl fu encomiato dal dottor Karl Erder sulla rivista «Teologisch-praktische
Quartalschrift», edita dagli insegnanti dell’Istituto diocesano della Facoltà filosofico-teologica di
Linz,300 che lo giudicò «scritto molto attuale». Per soprammercato il lavoro di Loidl fu pubblicato
con l’imprimatur dell’Arcivescovado viennese. Poco tempo dopo, Loidl e Bertsche fecero dei passi
per far canonizzare Abraham a Sancta Clara.301
È ben vero che tali citazioni non sono imputabili a Martin Heidegger! Ma presentando ai giovani di
Messkirch Abraham a Sancta Clara come un modello di vita, un uomo del destino e un maestro del
linguaggio, Martin Heidegger fa necessariamente propria l’immagine che il monaco personificava
nella tradizione antisemita del sud della Germania. Un antisemitismo che fu la culla del
nazionalsocialismo.
Il meno che si possa dire è che lo scritto di Heidegger contribuisca a promuovere il culto di una
figura chiave di questa tradizione connettendola a ciò che, ai suoi occhi, incarna il momento
culminante della storia, la Heimat.
Heidegger sottopone Abraham a Sancta Clara a un’operazione cosmetica. Ma ciò non può cambiare
la sostanza delle cose: egli resta un elemento basilare della tradizione e ben radicato in essa. Se
l’obiettivo di Heidegger fosse stato di illuminare l’essenza di Abraham a Sancta Clara, egli avrebbe
dovuto dimostrare, e con la massima perspicuità, che il suo antisemitismo e la sua xenofobia non
erano connaturati a questa essenza, o, quantomeno, che ne rappresentavano il risvolto negativo,
inaccettabile. Mantenendosi nell’ambiguità, Heidegger collaborava con tutto il suo prestigio, al
rinsaldamento di una sinistra tradizione.
Ma procediamo nella nostra analisi della figura del monaco attraverso la storia dell’edizione delle
sue opere, storia scritta dal professor Bertsche. Dopo aver dato alle stampe un buon numero di
scritti e sermoni di Abraham a Sancta Clara, Karl Bertsche si rivolse all’Accademia delle scienze
austriaca e ne sollecitò l’aiuto per poter realizzare l’edizione completa delle opere postume. La
documentazione conservata negli archivi dell’Accademia delle scienze austriaca, permette di
ricostruire i movimenti di Bertsche e la conclusione delle sue iniziative.
I documenti consultati ci hanno fornito tutti i tasselli per una coerente ricomposizione della vicenda,
anche se, vogliamo segnalarlo, l’accesso a materiale probabilmente importante ci è stato precluso.
Bertsche spedì la sua prima richiesta il 28 giugno 1936. Essa, grazie all’intervento di Joseph Nadler,
membro dell’Accademia, fu presa in considerazione. Bertsche e Nadler indirizzarono
all’Accademia due missive, datate 2 e 3 luglio 1936. L’Accademia rispose a Nadler il 15 ottobre
dello stesso anno, suggerendogli di informarsi sull’eventuale disponibilità a una sovvenzione da
parte degli organi ufficiali del Reich. Le trattative sembrano essere state sospese, con ogni
probabilità per questioni finanziarie, fino al 1938. Ciò ci induce a ipotizzare che Bertsche e Nadler
non ebbero alcun successo nel loro tentativo.
La spiegazione è piuttosto complessa: essa contribuisce a far luce sulle contraddizioni interne della
politica culturale nazionalsocialista. Joseph Nadler era, come abbiamo visto, partigiano della
superiorità etnica e culturale dell’area tedesco-meridionale dell’Austria germanica. Egli individuava
nella zona situata tra il Reno e il Danubio «lo spazio in cui fin dai suoi inizi germinò la grande
storia del Reich: Staufen e Asburgo, Carlomagno e Adolf Hitler».302 Nella sua opera, pubblicata
dopo l’annessione dell’Austria, Nadler dà espressione allo sciovinismo sudista: egli intesse
un’interpretazione inequivocabilmente razzista a un Kulturfaschismus appena più raffinato,
rifacendosi ai temi essenziali del retaggio ideologico di Richard von Kralik, di cui anche il giovane
Heidegger è stato discepolo. In tale quadro di riferimenti, Nadler ci parla di Abraham a Sancta Clara
come di un personaggio insigne e paradigmatico, provvidenzialmente apparso in un’epoca in cui il
Lebensraum (spazio vitale) tra il Reno e il Danubio era minacciato da un’alleanza di fatto, anche se
non dichiarata, tra francesi e turchi.303
«Friburgo e Vienna, la città della Foresta Nera e la città situata presso Kahlenberge, sono separate
da una grande distanza e vivono armoniosamente la loro diversità. Ciò malgrado, c’è stato per
un lungo periodo di tempo tra loro un’osmosi, per merito dei tedeschi, delle stesse Case reali e
dell’amministrazione dello Stato. Ciò che è esistito in un’epoca ed è in seguito scomparso, è ancora
una volta realtà: il nuovo Reich. La torre maestosa della cattedrale di Friburgo e la guglia della
cattedrale di Vienna si uniscono oggi fraternamente come simbolo della loro comune missione. »304
A dispetto delle sue dichiarazioni filonaziste, Karl Bertsche era considerato dalle autorità un agente
del cattolicesimo. Ciò risulta con tutta chiarezza dal dossier che lo concerne, conservato presso il
Cen-
tro di documentazione di Berlino: è così che la Camera degli scrittori del Reich decise, nel 1937, di
non accettare tra i propri membri Bertsche, sottoponendo la pubblicazione dei suoi scritti al
proprio visto.
I legami di Bertsche con i più influenti settori cattolici erano ben noti. La sua antologia era stata più
volte stampata dalla più prestigiosa casa editrice cattolica tedesca, la Herder di Friburgo. Egli era
inoltre impegnato collaboratore della rivista cattolica viennese «Schönere Zukunft», che, nonostante
le sue prese di posizione nettamente antisémite in campo religioso, ritirò poi il proprio appoggio al
regime. È lo stesso Bertsche, sul numero 3-4 del 24 dicembre 1939, nell’articolo Abraham a Sancta
Clara über die Lektüre (Abraham a Sancta Clara sul Libro),305 a fare il punto sull’antisemitismo del
monaco agostiniano, senza peraltro avanzare la minima critica.
Le contraddizioni tra il regime nazista e la Chiesa cattolica erano emerse, sul piano ideologico,
nell’aspra polemica sviluppatasi tra Alfred Rosenberg e un autorevole gruppo di professori cattolici,
critici nei confronti del suo scritto più significativo, Der Mythus des 20. Jahrhunderts (Il mito del
xx secolo), pubblicato a Monaco nel 1935. Facendo dell’ironia sulla qualificazione di «scientifiche»
cui pretendevano le eccezioni sollevate da parte cattolica, Rosenberg dedicò interi capitoli ad
analizzare i legami tra la Chiesa e il mondo della magia e della stregoneria. Nell’opinione di
Rosenberg, la Chiesa e la sua avanguardia gesuitica avevano simulato l’esistenza di un tal mondo
per poter sterminare tutti gli eretici, e soprattutto quelli dell’Europa settentrionale.306 Rosenberg
portava così un attacco a uno dei temi prediletti da Abraham a Sancta Clara. Questi, che era stato
testimone di numerosi processi per stregoneria, ci ragguaglia nelle sue opere su tutta una serie di
condanne al rogo («offerte a Vulcano») gioendone e ammonendo che si prosegua nel lavoro
«di estirpazione di questa mala erba».307 Nel lungo capitolo incentrato sulla «demonologia» in
Abraham a Sancta Clara, Bertsche prestava il fianco alle sortite di Rosenberg. Diventa allora
evidente perché né gli organismi politico-culturali del regime, né la Chiesa cattolica potessero
appoggiare un progetto tanto costoso e di risonanza come quello caldeggiato da Bertsche.
Con l’annessione dell’Austria, però, la situazione assunse un nuovo aspetto. Il 30 dicembre 1938,
all’indomani della firma degli accordi di Monaco, in cui le potenze occidentali fecero mercato della
Cecoslovacchia, evento designato dai nazisti, con la loro sardonica ironia, come «giorno della
pacificazione», Karl Bertsche scriveva a Heinrich von Srbik, divenuto nel frattempo presidente
dell’Accademia delle scienze austriaca: «Sono appena venuto a conoscenza, in questo giorno di
pacificazione mondiale, della notizia della Sua nomina a presidente dell’Accademia di Vienna. »
Dopo aver aggiunto che Nadler gli aveva consigliato di non insistere per il momento sul progetto di
edizione delle opere di Abraham a Sancta Clara «fintantoché la situazione non si fosse chiarita»,
Bertsche pensa che sia arrivato il momento per tentare nuovi passi «ora che
l’annessione dell’Austria ha dato vita a questa Grande Germania, da Lei tanto auspicata da tempo».
Poiché «l’Alta Accademia ha infine un presidente» si rende possibile edificare un monumento «al
grande costruttore di un ponte tra Germania e Austria nel secolo xvii, portando alla luce le sue opere
postume (...) quando appunto i fratelli, tanto a lungo separati, si sono di nuovo riuniti. Heil Hitler!
Karl Bertsche».308
Le aspettative di Bertsche di trovare appoggio in von Srbik erano ben fondate. Von Srbik era, già al
tempo della Repubblica di Weimar, un convinto antidemocratico.
Da Vienna egli collaborò con Georg von Below alla battaglia antirepubblicana a favore della
Grande Germania.309 Von Srbik difenderà il suo ideale espansionistico ancora molto dopo la fine
della seconda guerra mondiale. In Humanismus bis zur Gegenwart (L’umanismo fino ad oggi),310
scrive, a proposito dell’annessione dell’Austria: «Il popolo non è più compreso nelle frontiere del
Secondo Reich stabilite in base al diritto internazionale pubblico, ma esso ha realizzato una piena
unione dello spazio di sangue e di spirito proprio dell’uomo tedesco.»311
Gli sforzi di Bertsche furono coronati dal successo. Malgrado l’Accademia delle scienze austriaca
non avesse la possibilità di finanziare il progetto e fosse, pertanto, costretta a rimandarne
temporaneamente l’attuazione, il Reichsstatthalter di Vienna in persona, Baldur von Schirach,
intervenne proponendosi di sovvenzionare completamente l’edizione. Il problema fu risolto nel
corso della sessione dell’Accademia tenutasi il 7 febbraio 1942.
Un documento contenuto nel dossier Karl Bertsche del Centro di documentazione di Berlino attesta
che Bertsche ricevette, su richiesta di Baldur von Schirach, l'autorizzazione della Camera degli
scrittori a curare la pubblicazione delle opere di Abraham a Sancta Clara.
L’intervista postuma
Heidegger, alla fine della sua vita, intende la riflessione filosofica come un’ermeneutica dell’essere,
indissociabile dal tema della patria locale sacralizzata e delle sue guide spirituali. Tale riflessione
si snoda, per ciò che ci concerne, attorno all’intervista concessa da Heidegger al più diffuso
settimanale tedesco, «Der Spiegel».
Dedicare un’intervista ai propri rapporti con il nazionalsocialismo, e per di più con la clausola che
venisse resa di pubblico dominio solo dopo la sua morte, è certo qualcosa che testimonia
eloquentemente del rilievo che agli occhi di Heidegger rivestiva la questione.
Porre la «delucidazione dei fatti di allora» in correlazione con la propria morte, permetteva a
Heidegger di conferire all’intervista una solennità particolare: metteva, in qualche modo, i suoi
detrattori potenziali nell’ingrata situazione di chi profana una tomba. L’intervista fu
meticolosamente predisposta e organizzata, sicuramente su iniziativa di Heidegger.
A una prima lettura, per quanto attenta, del testo pubblicato, si ricava l’impressione che i giornalisti
affrontino i temi alla superficie, senza sondare troppo a fondo e lasciando in ombra le questioni
più importanti e delicate.
Non se ne deve necessariamente attribuire la responsabilità ai giornalisti di «Der Spiegel». In effetti,
a quanto risulta dalla presentazione redazionale del testo, la versione definitiva sembra sia
stata l’esito di un iter assai complesso. Il questionario a cui rispose Heidegger è diverso rispetto a
quello che egli aveva inizialmente ricevuto, e le risposte che egli fornì nel corso dell’intervista
spesso non coincidono con le risposte pubblicate. «Der Spiegel» allega all’intervista una fotografia
del testo emendato da Heidegger, dalla quale ci possiamo fare un’idea del volume delle correzioni
apportate.
Ci siamo rivolti all’archivio della rivista e abbiamo chiesto di poter esaminare il materiale relativo
all’intervista. Invocando argomenti di carattere deontologico, il responsabile dell’archivio ce ne ha
rifiutato l’accesso. Il fatto merita di essere segnalato, visto il presumibile rilievo che avrebbe la
collazione tra testo originale e testo effettivamente pubblicato.
Quest’ultimo non manca tuttavia d’interesse. L’intervista postuma di Heidegger è destinata ad
assicurare alla sua filosofia una durevole influenza su una società tedesca e un pubblico
internazionale prevenuti contro il nazionalsocialismo.
Se tale è stata, almeno in parte, l’intenzione di Heidegger, da una accurata analisi del testo non si
ricava che il filosofo, per raggiungere il proprio scopo, abbia in qualche misura sacrificato le
questioni di principio connesse ai valori generali del nazionalsocialismo. Heidegger, infatti,
pretende che la sua adesione al nazionalsocialismo venga collocata nel quadro delle sue riflessioni
sull’essenza della tecnica estesa su scala planetaria. Egli sosterrà dunque che il
nazionalsocialismo, agli inizi, affrontò con un corretto approccio il problema posto dal dominio
incontrollato della tecnica; dopo questo buon inizio, il movimento fu ostacolato dalla
sprovvedutezza filosofica dei dirigenti.312
Il testo pubblicato lascia nella caligine più densa il senso da attribuire all’espressione «buon inizio»,
né dice alcunché sul modo in cui tale inizio fu gestito, né sulle persone a cui tale gestione
venne affidata. Ciò è fondamentale: nelle sue risposte, infatti, Heidegger scredita ogni altro pensiero
- che non sia il suo - che tenti di rendere conto della tecnica e della sua espansione. Continuare ad
affermare, nel 1967, la grandezza delle origini («la grandezza e verità interna») del
nazionalsocialismo, tentativo unico, breve ma positivo, di accettare la sfida del problema centrale
dell’«uomo moderno», presuppone un giudizio, a monte, il cui evidente senso non può essere
ignorato: esso proviene da un pensatore particolarmente sensibile al valore delle «origini», e per il
quale le «origini» sono modelli posti come mete per l’avvenire.
Heidegger mantiene integralmente, nell’intervista postuma, la distinzione nodale tra il «vero
nazionalsocialismo» e il deviazionismo che lo ha deformato. Tale distinzione si palesa nella critica
contenuta nel testo, ultimo regolamento di conti con i deviazionisti, e nelle soluzioni prospettate da
Heidegger per trarre l’umanità fuori dal pantano in cui è finita. Interrogato dai giornalisti sul
significato da lui attribuito alla citazione, ripresa da Hölderlin e riportata nelle sue lezioni su
Nietzsche, sulla legge nascosta della destinazione storica dei tedeschi, Heidegger risponde in modo,
allo stesso tempo, vago nella forma e determinato nei contenuti: il problema centrale
dell’umanità non può essere risolto che là dove è nato, in Europa, e, all'interno dell’Europa, nel suo
centro, a cui questa volta, però, Heidegger non dà il nome di popolo, ma quello di linguaggio, il
linguaggio di Hölderlin e quello dei tedeschi. Giacché se l'«inizio» fu greco, per attingerlo occorre
assolutamente uno strumento appropriato che non può consistere in altro che nella lingua
tedesca.313 Si apre così la strada alla più dozzinale discriminazione: «Questo mi viene oggi
sempre di nuovo confermato dai francesi. Quando essi cominciano a pensare, parlano in tedesco;
essi assicurano che con la loro lingua non ce la fanno. »314I francesi si rendono conto che « con la
tutta la loro grande razionalità non ce la fanno più del mondo di oggi, quando si tratta di
comprenderlo nella sua provenienza essenziale».315
Se nell’insieme il testo si presenta formalmente cauto e attento, è chiaro che, su questo preciso
punto del suo pensiero, Heidegger si abbandona a formulazioni più aggressive di quelle dell’epoca
del suo militantismo: egli allora proponeva ai francesi, insieme al sindaco Kerber e ai futuri
collaborazionisti francesi, una sorta di dialogo in cui i tedeschi avrebbero dovuto rappresentare i
professori e i francesi gli allievi forzati e costretti.
Affermare che il tedesco è assolutamente intraducibile («Così come non si possono tradurre le
poesie, non si può tradurre un pensiero») può essere «scomodo» per coloro che non lo parlano,
ma, per Heidegger, questa realtà non può essere celata. «Sarebbe bene se si prendesse sul serio e su
grande scala (...) e si meditasse finalmente su quale trasformazione, ricca di conseguenze, abbia
subito il pensiero greco attraverso la traduzione nel latino dei romani, un evento che ancora oggi ci
impedisce un sufficiente ripensamento delle parole-base del pensiero greco.»316
Rainer Martin ha mostrato meglio di ogni altro come la filosofia di Heidegger non possa, nella sua
stessa essenza, fare a meno della sua propria fondamentale volontà di discriminazione.317 Le
ragioni devono essere ricercate nel fatto che Heidegger non spezzò mai i suoi legami spirituali con
la condizione di possibilità ultima del nazionalsocialismo: la sacralizzazione dell’«essenza tedesca»
e il suo proporla come modello paradigmatico. Tutto ciò traluce attraverso la questione posta da
Heidegger come fondamentale nella sua intervista. Alla democrazia, denigrata come sistema
politico incapace di far fronte alla tecnicizzazione del mondo,318 Heidegger contrappone il
nazionalsocialismo delle origini, che, invece, si dimostrò all’altezza di tale compito.
Nel corso dell’intervista, dapprima Heidegger afferma che la tecnica è divenuta indipendente dal
controllo umano e che la democrazia non può riappropriarsi di questo controllo;319 più oltre,
allorché gli si domanda con precisa puntualità se, utilizzando concetti «sorpassati» come quello di
Heimat, egli non si stesse allontanando dalla possibilità di trovare una soluzione al problema della
planetarizzazione della tecnica, Heidegger risponde: «Mi sembra che Lei prenda la tecnica in senso
troppo assoluto. Io non vedo la posizione dell’uomo nel mondo della tecnica planetaria come una
sventura inestricabile e inevitabile, anzi: vedo proprio il compito del pensiero nel dare mano, nei
propri limiti, affinché l’uomo riesca innanzitutto proprio a conquistare un rapporto sufficiente con
l’essenza della tecnica. Il nazionalismo andava bensì in questa direzione...»320
Il nesso tra Heimat e nazionalsocialismo, il motore, secondo Heidegger, della verità del movimento,
conserva intera la sua validità fino all’ultimo. È in questa dimensione che va inteso il
profondo richiamo che su Heidegger esercitano la terra e la patria, e non nel senso di un folclore
metafisico: «Tutto ciò che è essenziale e grande è scaturito unicamente dal fatto che l’uomo aveva
una patria ed era radicato in una tradizione.»321
Al crepuscolo della vita, Martin Heidegger ha percorso un’intera parabola per infine tornare al
punto di partenza. Il suo primo testo celebrava in Abraham a Sancta Clara il medico «dell’anima del
popolo», il dirigente, la guida e l’esempio. Nell’intervista postuma, l’incombenza del pensiero è di
preparare il terreno su cui può apparire il «dio» salvatore, il solo soccorso.322 Dal momento che
questo dio non è trascendente, ma, come «tutto ciò che è essenziale e grande», prodotto di «una
patria», c’è da temere che esso non sia, in realtà, altra cosa da quell’altro dio, quello di Abraham a
Sancta Clara, in cui Heidegger vedeva il creatore di destini.

Note
Note dell'introduzione
1.    G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger. Dokumente zu seinem Leben und Denken (Materiali
su Heidegger. Documenti sulla vita e il pensiero), Bern 1962.
2.    K. Lowith, Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger, in «Les
temps modernes», II (1946-47), pp. 343-60; Id., Réponse à M. De Waelhens, ibid., IV (1948-49),
pp. 370-73; Id., Heidegger. Denker in dürftiger Zeit, Frankfurt a. M. 1953, 2a ed. i960 [trad. it.
Saggi su Heidegger, Torino, 2a ed. 1974]; G. Lukâcs, Heidegger redivivus, in «Studi filosofici», IX
(1948), i, pp. 177-90, X (1949), I, pp. 3-16 e in «Sinn und Form», I (1949), pp. 37-62; Id.,
Existenzialismus oder Marxismus (Esistenzialismo o marxismo), Berlin 1951; Id., Die Zerstörung
der Vernunft, Berlin 1954 [trad. it. La distruzione della ragione, Torino 1939].
3.    P. Hünerfeld, ln Sachen Heidegger. Versuch über ein deutsches Genie (A proposito di
Heidegger. Ipotesi su un genio tedesco), Hamburg 1959; C. von Krockov, Die Entscheidung.
Eine  Untersuchung über Ernst Jünger, Carl Schmitt und Martin Heidegger (La decisione. Ricerca
su Ernst Jünger, Carl Schmitt e Martin Heidegger), Stuttgart 1958; R. Minder, Hölderlin unter den
Deutschen und andere Aufsätze zur deutschen Literatur (Hölderlin tra i tedeschi e altri saggi sulla
letteratura tedesca), Frankfurt a. M. 1968; Th. W. Adorno, Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen
Ideologie (Il gergo dell’autenticità. Sull’ideologia tedesca), Frankfurt a. M. 1964; K. Jaspers,
Notizen zu Heidegger (Note su Heidegger), München-Zürich 1978; T.-P. Faye, La lecture et
l’énoncé, in «Critique», XXIII (1967), 237; J. Habermas, Philosophisch-politische Profile (Profili
filosofico-politici), Frankfurt a. M. 1971.
4.    F. Fédier, Trois attaques contre Heidegger, in «Critique», XXII (1966), 234, pp. 883-904; Id., A
propos de Heidegger. Une lecture dénoncée, ibid., XXIII (1967), 242, pp. 672-86; J.-M. Palmier,
Les écrits politiques de Heidegger, Paris 1968; O. Pöggeler, Philosophie und Politik bei Heidegger
(Filosofia e politica in Heidegger), Freiburg i. Br.-München 1972, 2a ed. 1974; A. Schwan, Die
politische Philosophie im Denken Heideggers (La filosofia politica nel pensiero di Heidegger),
Köln-Opladen 1963.
3. I manoscritti di M. Heidegger si trovano presso il Deutsches Literaturarchiv, a Marbach. Non ne è
autorizzato l’uso a fini scientifici, e ciò a tempo indeterminato.
6.    Document-Center, Berlin.
7.    La realizzazione del presente lavoro sarebbe stata impossibile senza l’aiuto paziente ed efficace
di quanti - collaboratori di centri di ricerca o privati cittadini - ci hanno aiutato nelle nostre ricerche.
Citiamo il Document-Center, Berlin-Dahlem (M. Pix); il dott. Dieter Fitterling (Berlino); il
Bundesarchiv Koblenz; gli archivi dell’Auswärtiges Amt di Bonn (sig.ra Maria Keipert); il prof.
Roman Bleistein (archivi della Compagnia di Gesù della Germania federale); lo
Erzbischöfliches Archiv Freiburg; il dott. F. Spiegeler (Bramsche); gli archivi dell’Accademia delle
scienze austriaca (Vienna); il prof. Heinrich Heidegger (St. Blasien); il prof. dott. Hugo Ott
(Friburgo); il prof. dott. Rainer Marten (Friburgo); il prof. dott. Hans-Martin Gauger (Friburgo); lo
Zentrales Staatsarchiv Potsdam u. Merseburg (RDT); gli archivi dell’Università Humboldt a Berlino
(RDT); gli archivi dell’Università di Gottinga (prof. dott. Norbert Kamp);
lo    Hessisches Staatsarchiv Marburg (dott. Klingerhöfer); il prof. dott. Aharon Kleinberger
dell’Università di Gerusalemme; la Universitätsbibliothek Heidelberg (dott. Wilfried Werner);
il Generallandesarchiv Karlsruhe; il prof. Andreas Oberländer OSB (monastero di Beuron);
lo Erzbischöfliches Studienheim di St. Konrad, Konstanz (Georg Hauser); il Liceum Heinrich-Suso,
Konstanz (sig.ra Elke Naschold); la Bayrische Staatsbibliothek München; lo Stadtarchiv Konstanz
(prof. dott. H. Maurer); il prof. dott. Wilhelm Schoeppe (Francoforte sul Meno); la Stadtbibliothek
Karlsruhe (sig.ra Josephine Grimme); la Universitätsbibliothek Kiel (dott. O. F. Wiegand); il dott.
Wolfgang Kreutzberger dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco; il Preussisches Staatsarchiv
Berlin (dott. Gundermann); la Hoover Institution, Stanford; la Staatsbibliothek Berlin; l’Archiv der
Stadt Messkirch; il dott. Guido Schneeberger; il Centre de documentation juive contemporaine
(Parigi); gli archivi dell’Università di Monaco (prof. Laetitia Boehm); l’Universitätsbibliothek
Marburg; il prof. Goldschmidt del Max-Planck-Institut di Berlino; gli archivi dell’Università di
Tubinga (dott. Rauch). Ringraziamo inoltre in particolare
il    prof. dott. Ernst Tugendhat che, in qualità di amministratore degli archivi di Hélène Weiss, ci ha
permesso di consultare i testi degli appunti presi durante i corsi del 1933-34 ivi conservati; e a Uwe
Henning, del Max-Planck-Institut di Berlino, al quale dobbiamo numerosi consigli.
Note della prima parte
1.    G. Tumbült, Geschichte der Stadt Messkirch (Storia della città di Messkirch), 1933.
2.    Zimmerische Chronik, a cura di R. A. Barack, Freiburg i. Br. 1881-82.
3.    P. Motz, Messkirch. Geschichte und Stadtbild (Messkirch. Storia e descrizione), 1934.
4.    Meyers Lexikon, Leipzig 1903, pp. 390 sgg.
5.    C. Gröber, Der Altkatholizismus in Messkirch. Die Geschichte seiner Entwicklung und
Bekämpfung (Il veterocattolicesimo a Messkirch. Storia del suo sviluppo e della sua repressione), in
«Freiburger Diözesan Archiv», nuova ser., XIII (1912).
6.    Ibid., p. 186.
7.    Cfr. in proposito G.-F. Willing, Der grosse Konflikt: Kulturkampf in Preussen (Il
grande conflitto: il Kulturkampf in Prussia), in O. Buschi e W. Neugebauer, Moderne preussische
Geschichte. Eine Anthologie (Storia della Prussia moderna. Antologia), Berlin - New York
1981, voi. 3.
8.    Gröber, Der Altkatholizismus cit., p. 188.
9.    Ibid., p. 198.
10.    Ibid., p. 158.
11.    Ibid., pp. 149, 172.
12.    H. Ott, Der junge Martin Heidegger. Gymnasial-Konviktszeit und Studium (II giovane Martin
Heidegger. Il periodo del ginnasio e dell’Università), in «Freiburger Diözesan Archiv», (1984), pp.
316 sgg., numero speciale.
13.    Ibid.
14.    C. Brandhuber, Das preussische Kommunalabgabegesetz (La legge comunale prussiana), in
«Kommunalpolitische Blätter», (1914-13), pp. 242-49.
15.    Erzbischöfliches Studienheim St. Konrad (Il convitto arcivescovile San Corrado),
Konstanz 1962, p. 24.
16.    Ibid., pp. 28 sgg.
17.    C. Gröber, Geschichte des Jesuitenkollegs und Gymnasiums (Storia del collegio e del ginnasio
gesuita), Konstanz 1904.
18.    G. Dehn, Die alte Zeit. Die vorigen Jahre. Lebenserinnerungen (I vecchi tempi. Gli
anni trascorsi. Memorie), München 1962.
19.    Ibid. p. 38.
20.    Ibid. pp. 38 sgg.
21.    H. Scheel, Süddeutsche Jakobiner (Giacobini della Germania del sud), München 1962.
22.    G. Lewy, Die katholische Kirche und das Dritte Reich (La Chiesa cattolica e il Terzo Reich),
München 1963; K. Breuning, Die Vision des Reiches (La visione del Reich), München 1969.
23.    M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Pfullingen 1939, p. 92 [trad. it. In cammino verso il
linguaggio, Milano 1973, p. 87].
24.    Cfr. R. Jonas, Grundzüge der philosophischen Propödeutik (Lineamenti di
propedeutica filosofica), Berlin 1891, pp. 3, 6, 27.
23. Ott, Der junge Martin Heidegger cit., pp. 319 sgg.
26.    Erzbischöfliches Archiv Freiburg, Generalia, Rubrik: Klerus, betr. Theologisches Konvikt, Bd.
7, 1908-1909-1910-1911, B 2-32/174.
27.    H. Koch, S. J., Gedanken zur Kolonialpolitik (Riflessioni sulla politica coloniale),
in «Stimmen aus Maria Laach. Katholische Blätter», (1906), 16, pp. 1 sgg.
28.    Ibid., p. 13.
29.    Ibid., p. 17.
30.    Ibid., p. 18.
31.    Ibid., p. 19.
32.    Ibid.
33.    Ibid., p. 20.
34.    V. Cathrein, S. J., Materialismus und Sozialdemokratie (Materialismo e socialdemocrazia) e
Die sozialdemokratische Moral (La morale socialdemocratica), «Stimmen aus Maria Laach» cit.,
(1906), 16, cfr. in particolare pp. 32 sgg.
35.    Ibid., p. 381.
36.    B. Casper, Martin Heidegger und die Theologische Fakultät Freiburg. 1909-1923
(Martin Heidegger e la Facoltà di teologia di Friburgo. 1909-1923), in «Freiburger Diözesan
Archiv», C, (1980).
37.    Heidegger, In cammino cit., pp. 89 sg.
38.    C. Bauer, Die Freiburger Lehrstühle der Geschichtswissenschaft (Le cattedre di
scienza storica a Friburgo), in Beiträge zur Geschichte der Freiburger Philosophischen Fakultät
(Contributi alla storia della Facoltà di filosofia di Friburgo), Freiburg i. Br. 1937, p. 183.
39.    Ibid., p. 190.
40.    Ibid., p. 183.
41.    K. Töpner, Gelehrte Politiker und Politisierende Gelehrte (Politici scienziati e
scienziati politicanti), Frankfurt a. M. 1970, pp. 178 sgg.
42.    G. von Below, cit. in H. Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung der
Weimarer Republik (Storiografia borghese tedesca della Repubblica di Weimar), Berlin 1973, p. 65.
43.    Ibid., p. 21.
44.    G. von Below, Jüdische Offiziere? (Ufficiali ebrei?), in «Konservative
Monatsschrift», (maggio 1913) e Judenfrage und Antisemitismus (Questione ebraica e
antisemitismo), ibid.y (dicembre 1912).
45.    M. Heidegger, Abraham a Sancta Clara. Zur Enthüllung seines Denkmals in Kreenheinstet-
ten am 13 August 1910 (Abraham a Sancta Clara. Sull’inaugurazione del suo monumento
a Kreenheinstetten, il 15 agosto 1910), in «Allgemeine Rundschau», VII (1910).
46.    R. A. Kann, Kanzel und Katheder. Studien zur österreichischen Geistesgeschichte vom
Spätbarock zur Frübromantik (Pulpito e cattedra. Studi sulla storia delle idee in Austria dal
tardo Barocco al primo Romanticismo), Wien-Freiburg-Basel 1962, pp. 59-120.
47.    F. Loidl, Abraham a Sancta Clara als Vorkämpfer für deutsche Art wider Türken
und  Fremdländerei (Abraham a Sancta Clara antesignano nella lotta per la germanicità contro i
turchi e gli stranieri), in «Unsere Heimat», (gennaio-febbraio 1941), 1-2, p. 1.
48.    Kann, Kanzel und Katheder cit., pp. 59-61.
49.    Ibid. p. 69.
50.    Ibid. p. 81.
51.    Ibid.
52.    Abraham a Sancta Clara, Merck's Wien! (Vienna, sta’ in guardia!), 1721, p. 25.
53.    Id., Judas der Erzschelm (Giuda, la grande canaglia), III, p. 339.
54.    Id., Abrahamische Lauberhütt (La capanna di Abramo), 1721, p. 383.
55.    O. Frankl, Der Jude in den deutschen Dichtungen des 13., 16. und 17. Jahrhundertes (L’ebreo
nella poesia tedesca dei secoli xv, xvi e xvn), Leipzig - Mähr 1905, pp. 69-71,120,131 sgg.
56.    Abraham a Sancta Clara, Lauberhütt //, in Loidl, Abraham a Sancta Clara cit., p. 47 sgg.
57.    Id., Reimd’Dich (Conformati), ibid., p. 47.
58.    Id., Etwas für Alle (Qualcosa per tutto), ibid.
59.    Id., Judas, der Erzschelm, I, ibid.
60.    Cfr. soprattutto P. G. J. Pulzer, Die Entstehung des politischen Antisemitismus in Deutschland
und Österreich. 186-7-1914 (La nascita dell’antisemitismo politico in Germania e in Austria. 1867-
1914), Gütersloh 1966.
61.    Ibid., p. 162.
62.    S. Brunner, Woher, Wohin? (Da dove, verso dove?), Wien 1855, vol. 1, p. 7; cfr. inoltre la sua
rivista «Wiener Kirchenzeitung für Glauben, Wissen, Freiheit und Gesetz», 1.
63.    K. H. Rengstorf e S. von Kortzfleisch (a cura di), Kirche und Synagoge. Handbuch
zur Geschichte von Christen und Juden (Chiesa e sinagoga. Manuale di storia dei cristiani e
degli ebrei), Stuttgart 1970, voi. 2, p. 484.
64.    R. Till, Die Anfänge der christlichen Volksbewegung in Österreich (Le origini del movimento
popolare cristiano in Austria), in «Jahrbuch der Leo-Gesellschaft» (Wien 1937), pp. 57 sgg., 65.
65.    Il testo del discorso è in Pulzer, Die Entstehung cit., p. 273.
66.    Pulzer, Die Entstehung cit., p. 144.
67.    Ibid., voi. 2, pp. 504 sgg., 510.
68.    Ibid.y p. 166.
69.    A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), ed. popolare 1942, pp. 132 sgg.
70.    Ibid. Su Lueger vedi W. Frank, Hofprediger Adolf Stoecker und die christlich-soziale
Bewegung (Il predicatore di corte Adolf Stoecker e il movimento cristiano-sociale), Berlin 1935, p.
149.
71.    Protocollo della seduta del 12 luglio 1901 in Wiener Stadt- und Landesarchiv, pp. 250 sgg.
72.    In «Amtsblatt der k.u.k. Reichshaupt- und Residenzstadt Wien», (11 maggio e 11 novembre
1902).
73.    A. Pöllmann OSB (Beuron), Vom Abraham a Sancta Claras Denkmal (Sul monumento ad
Abraham a Sancta Clara), in «Über den Wassern», (1910), 1, pp. 18 sgg.
74.    Cfr. «Historisch-politische Blätter», CXLV (1910), pp. 531 sgg.
75.    Abraham a Sancta Clara, Blütenlese aus seinen Werken (Florilegio dalle sue opere), a cura di
K. Bertsche, Freiburg i. Br. 1910, p. 2.
76.    Ibid., pp. ii sgg.
77.    Ibid.y p. 17.
78.    Ibid. p. 69.
79.    Ibid.
80.    Ibid. pp. 87 sgg.
81.    Ibid. pp. 121 sgg.
82.    Ibid. pp. 131.
83.    M. Heidegger, Gesamtausgabe (Opere complete), I Abt., Veröffentlichte Schriften, 1910-1976
(Scritti editi, 1910-1976), voi. 13: Aus der Erfahrung des Denkens (Dall’esperienza del pensiero), a
cura di H. Heidegger, Frankfurt a. M. 1983, p. 1.
84.    Cfr. «Allgemeine Rundschau», (24 maggio e 26 luglio 1913).
83. «Allgemeine Rundschau», (27 febbraio 1932).
86.    «Heuberger Volksblatt», (3 dicembre 1909).
87.    Cfr. l’articolo di R. von Kralik, in Deutsche Biographie.
88.    K.Muth, Vom Gral und dem Gralbund (Sul Gral e la lega del Gral), in «Hochland»,
V (febbraio 1903) e F. Fichert, Gralfahrt-Höhenfahrt, (Viaggio verso il Gral - Viaggio verso
l’alto), in «Der Gral», I (ottobre 1906).
89.    «Der Gral», V (maggio 1911).
90.    G. Seewann, Österreichische Jugendbewegung 1908-1933 (Il movimento giovanile austriaco,
1908-1933), vol. i, pp. 26 sgg., 32, 33, 140 sgg.
91.    Ibid., p. 322.
92.    R. von Kralik, Der grossdeutsche Gedanke (Il pensiero pantedesco), in «Frankfurter
Zeitgemässe Broschüren», XXX (luglio 1921), 10, pp. 213 sgg.
93.    Ibid.
94.    R. von Kralik, Das Recht der Kritik (Il diritto alla critica), in «Der Gral», II (gennaio 1908), 4.
93. R. von Kralik, Das Rätsel der Romantik (Il mistero del Romanticismo), ibid., VI (ottobre 1911).
96.    Ibid., p. 242.
97.    Ibid.
98.    Ibid.
99.    R. von Kralik, Abraham a Sancta Clara, Wien 1922.
100.    Cfr. R. von Kralik, Karl Lueger und der christliche Sozialismus (Karl Lueger e il
socialismo cristiano), Wien 1923 e l’articolo Vom deutsch-jüdischen Parnass (Sul Parnaso ebraico-
tedesco), in «Der Gral», VI (aprile 1912).
101.    R. von Kralik, Ein literarisches Programm (Un programma letterario), in «Der Gral»,
I (novembre 1906), 2.
102.    R. von Kralik, Volkspoesie und nationale Poesie (Poesia popolare e poesia nazionale), in
«Deutsche Arbeiter Monatsschrift für das geistige Leben der Deutschen in Böhmen», München -
Praha, (gennaio 1904), 4.
103.    J. Weiss, Lehrbuch der Weltgeschichte (Trattato di storia universale), 22 voll., Graz 1859-98.
104.    K. Bertsche, Ein Meister des Zungenhandwerkes (Un maestro dell’oratoria), in «Der Gral»,
IV (gennaio 1910).
103. Cfr. «Der Gral», IV (febbraio 1910).
106.    Casper, Martin Heidegger cit., p. 337.
107.    Ibid., p. 538.
108.    Ibid.
109.    A. Schneider, Die Psychologie Alberts des Grossen (Psicologia di Alberto Magno), Freiburg
i. Br. 1903-06. Cfr. Der grosse Herder, Freiburg 1935 e «Minerva. Jahrbuch der Gelehrtenwelt»,
(Strassburg 1913), cap. dedicato all’Università di Friburgo.
no. M. Heidegger, Mein Weg in die Phaenomenologie (Il mio cammino nella fenomenologia), in Id.,
Zur Sache des Denkens (Sulla cosa del pensiero), Tübingen 1968, pp. 81 sgg.
in. Casper, Martin Heidegger cit., p. 538.
112.    K. Böhme (a cura di), Aufrufe und Reden Deutscher Professoren im Ersten
Weltkrieg (Appelli e discorsi di professori tedeschi nella prima guerra mondiale), Stuttgart 1975.
113.    K. Bertsche (a cura di), Kriegsbrot für die Seele (La guerra, nutrimento per l’anima),
Freiburg 1915.
114.    Töpner, Gelehrte Politiker cit., pp. 142 sgg.
113. E. Krebs, Das Geheimnis unserer Stärke. Gedanken über den Grossen Krieg (Il segreto della
nostra forza. Riflessioni sulla grande guerra), Freiburg 1916.
116.    E. Krebs, Le régime des prisonniers de guerre en Allemagne. Réponse basée sur des
renseignements officiels et adressée à M. le Baron d’Anthuard, ministre plénipotentiaire, Freiburg
1917.
117.    G. von Below, Das gute Recht der Vaterlandspartei (Il buon diritto del Partito patriottico), in
«Preussische Jahrbücher», (aprile 1918).
118.    Archivio dell’Università di Heidelberg, Heid. Hs. 3820, Nachlass Emil Lask.
119.    Ibid.
120.    Casper, Martin Heidegger cit., p. 538.
121.    Ibid.
122.    E. Poulat, Histoire, dogme et critique dans la crise moderniste, Tournai - Paris 1962;
F. Weinzierl (a cura di), Der Modernismus, Graz 1974.
123.    K. Braig, Der Modernismus und die Freiheit der Wissenschaft (Il modernismo e la
libertà della scienza), Freiburg i. Br. 1911.
124.    K. Braig, Was soll der Gebildete vom Modernismus wissen? (Che cosa deve sapere
del modernismo una persona colta), Freiburg 1908; Id. Modernstes Christentum und moderne
Religionspsychologie (Il Cristianesimo più moderno e la moderna psicologia della religione),
Freiburg 1907.
123. Casper, Martin Heidegger cit., p. 341.
126.    Ibid., p. 340.
127.    Atti M. Heidegger, Document-Center, Berlin, REM 1936.
128.    M. Scheler, Der Genius des Krieges und der deutsche Krieg (Il genio della guerra e la guerra
tedesca), Leipzig 1915.
129.    Ibid. Cfr. anche Id., Krieg und Außau (Guerra e ricostruzione), Leipzig 1916 e H. Lübbe,
Politische Philosophie in Deutschland (La filosofia politica in Germania), Stuttgart 1963, pp. 221
sgg.
130.    Archivi dell'Università di Gottinga, XIV, IV, 13. 7, Bd. 2, Ersatzvorschläge für Professoren
28.10.1920-30.9.1933.
131.    Hessische Staatsarchiv Marburg, sign. 307 d/ Acc. 1966/10, n. 4, n. 28.
132.    Ibid.
133.    Ibid. Tgb n. 233/2363. La stessa lettera si trova anche nel Zentrales Staatsarchiv Merseburg,
atti ministeriali, Bd. 19, Marburg Universitätssachen IV Abt., n. 2, XIX.
134.    M. Heidegger, Zur Geschichte des Philosophischen Lehrstuhls seit 1866 (Sulla storia
della cattedra di filosofia dal 1866), in Die Philipps-Universität zu Marburg 1527-1927
(L’università Philipps a Marburgo 1327-1927), a cura di H. Hermelink, Marburg 1927.
133. W. Biemel, Heideggery Hamburg 1973, p. 33.
136.    Ibid.
137.    P. Natorp, Krieg und Frieden (Guerra e pace), München 1913, in H. Lübbe,
Politische  Philosophie cit., p. 188.
138.    Ibid.
139.    Ibid.t p. 189.
140.    Ibid.
141.    Ibid.
142.    Su P. Natorp vedi R. Pippert, Idealistische Sozialkritik und «Deutscher Weltberuf» (Critica
sociale idealistica e «vocazione mondiale tedesca»), Weinheim - Berlin - Basel 1969.
143.    Zentrales Staatsarchiv Merseburg, atti ministeriali, Bd. 19, Marburg Universitätssachen IV
Abt., n. 2, XIX, pp. 403 sgg.
144.    Ibid.
143. Heidegger, Mein Weg in die Phaenomenologie cit., p. 88.
146.    Ibid.
147.    K. Lowith, Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger,
in «Le temps moderne», II (1946-47), pp. 343-60; Id., Heidegger. Denker in dürftiger Zeit,
Frankfurt a. M. 1933, 2a ed. 1960 [trad. it. Saggi su Heidegger, Torino, 2“ ed. 1974]; E.
Tugendhat, Der Warheitshegriff bei Husserl und Heidegger (Il concetto di verità in Husserl e
Heidegger), Berlin 1967.
148.    Th. W. Adorno, Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen Ideologie (Il gergo dell’autenticità.
Sull’ideologia tedesca), Frankfurt a. M. 1964; J. Habermas, Philosophisch-politische Profile (Profili
filosofico-politici), Frankfurt a. M. 1971.
149.    M. Heidegger, Sein und Zeity Halle 1927 [trad. it. di P. Chiodi, Essere e tempo Milano 1953,
p. 397]
150.    Zentrales Staatsarchiv Merseburg, atti ministeriali, Bd. 20, Marburg Universitätssachen, IV
Abt., n. 2, XX, p. 268.
151.    G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger. Dokumente zu seinem Lehen und Denken
(Materiali su Heidegger. Documenti sulla vita e il pensiero), Bern 1962, p. 7.
152.    Ibid. p. 4.
153.    Ibid. p. 11.
154. Atti O. zur Nedden, Document-Center, Berlin.
153. Atti A. Rumm, Document-Center, Berlin.
156. Das Gesicht der Zeit (Il volto del tempo), dieci litografie, Karlsruhe 1932.
157. Atti J. Mussler, Document-Center, Berlin.
158.    Atti A. Fendrich, Document-Center, Berlin.
159.    Atti H. Blum, Document-Center, Berlin.
160.    Breuning, Die Vision cit., pp. 47 sgg.
161.    F. Mückle, Der Geist der jüdischen Kultur und das Abendland (Lo spirito della
cultura ebraica e l’Occidente), München 1923. Sulle sue opinioni violentemente antirepubblicane
c£r. Töpner, Gelehrte Politiker cit., pp. 47 sgg.
162.    Lewy, Die katholische Kirche cit., p. 68.
163.    Schneeberger, Nachlese cit.,
164.    H. Beri, Gespräche mit berühmten Zeitgenossen (Conversazioni con contemporanei celebri),
Baden-Baden 1946.
163. M. Heidegger, Wegmarken, Frankfurt a. M. 1967 [trad. it. Segnavia, Milano 1987].
166.    Ibid.
167.    «Karlsruher Tagblatt», (16 luglio 1930).
168.    «Bremer Nachrichten», (ii ottobre 1930).
169.    Ibid., (3 ottobre 1930).
170.    Ibid.
171.    Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung cit., p. 162.
172.    Archiv Friedrich-Wilhelm Universität zu Berlin, betr. Professoren, Phil. Fak.: Littr. P, n. 3,
Bd. 21, Blatt 368 sgg.
173.    Ibid.
174.    A. Grimme, Briefe, Heidelberg 1967, p. 32.
173. Zentrales Staatsarchiv Potsdam, Bd. 2, Rep. 76 V a, Sekt. 2, Tit. IV, Berlin Universitätssachen
IV Abt., n. 68 A II.
176.    Ibid.
177.    Ibid.
178.    Grimme, Briefe cit., pp. 36 sgg.
179.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam, loc. cit.
180.    A. Schölzel, Zur Tätigkeit Nicolai Hartmanns an der Berliner Universität (Sull’attività
di Nicolai Hartmann all’Università di Berlino), in «Wissenschaftliche Zeitschrift der
Humboldt Universität zu Berlin, Gesellschaftswissenschaftliche Reihe», I (1984).
181.    «Monistische Monatshefte», XV (1930), pp. 109-11.
182.    «Deutsche Zeitschrift», (1932-33).
183.    H. Arendt cit. in Biemel, Heidegger cit., p. 10.
184.    Ibid. pp. 10 sgg.
183. Ibid.
Note della seconda parte
1. C. F. von Weizsäcker, Begegnungen in vier Jahrzehnten (Incontri in quattro decenni), in Autori
vari, Erinnerungen an Martin Heidegger (Ricordi su Martin Heidegger), Pfullingen 1977, pp. 243
sg.
2.    G. Ritter, intervista concessa a H. Heiber nel 1962, (archivi dell’Institut für
Zeitgeschichte, Monaco).
3.    H. Kuhn, Die deutsche Universität am Vorabend der Machtergreifung (L’università tedesca alla
vigilia della presa del potere), in Autori vari, Die deutsche Universität im Dritten
Reich  (L’università tedesca nel Terzo Reich), München 1966, p. 15.
4.    Ibid.,    pp.    34,    38.
5,  Ibid.,    pp.    24,    26.
6.  Ibid.,    pp.    30,    33.
7.    O. Roegele, Der Student im Dritten Reich (Lo studente nel Terzo Reich), in Autori vari, Die
deutsche Universität cit., p. 139; H. P. Bleuel e E. Klinnert, Deutsche Studenten auf dem Weg ins
Dritte Reich. Ideologien, Programme, Aktionen. 1918-1933 (Studenti tedeschi verso il Terzo Reich.
Ideologie, programmi, azioni. 1918-1933), Gütersloh 1967; M. H. Kater, Studentenschaft und
Rechtsradikalismus in Deutschland, 1918-1933 (Studenti ed estremismo di destra in Germania,
1918-1933), Hamburg 1973.
8.    Roegele, Der Student cit., p. 139.
9.    Ibid. ; cfr. inoltre K. D. Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung (La presa
del potere nazionalsocialista), Köln-Opladen i960, pp. 420 sgg.
10.    Kuhn, Die deutsche Universität cit., pp. 40 sg.
11.    J. Pascher, Das Dritte Reich erlebt an drei deutschen Universitäten (Il Terzo Reich vissuto in
tre università tedesche), in Autori vari, Die deutsche Universität cit., p. 31.
12.    Roegele, Der Student cit., pp. 140 sg.
13.    H. J. Düning, Der SA Student im Kampf für die Universität (Lo studente SA nella lotta per
l’università), in Roegele, Der Student cit., p. 140.
14.    lbid.
13. lbid., p. 141.
16.    lbid.
17.    G. Ruhle, Das Dritte Reich. Dokumentarische Darstellung des Aufbaues der Nation (Il Terzo
Reich. Descrizione documentaria della costruzione della nazione), Berlin 1933, voi. 1, p. 136; cfr.
inoltre H. Maier, Nationalsozialistische Hoch Schulpolitik (Politica universitaria nazionalsocialista),
in Autori vari, Die deutsche Universität cit., p. 73.
18.    Maier, Nationalsozialistische Hochschulpolitik cit., p. 82.
19.    Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung cit., pp. 383, 430 sg.
20.    Ibid., pp. 434-36.
21.    Per quel che riguarda le origini del movimento studentesco sotto la Repubblica di Weimar, va
segnalato soprattutto lo studio di W. Kreutzberger, Studenten und Politik. Der Fall Freiburg i. Br.
(Studenti e politica. Il caso di Friburgo), Göttingen 1972; nonché quello di A.G. von Olenhusen,
sulle persecuzioni razziste all’Università di Friburgo: Die nationalsozialistische Rassenpolitik und
die jüdischen Studenten an der Universität Freiburg. 1933-1945 (La politica razziale
nazionalsocialista egli studenti ebrei nell’Università di Friburgo. 1933-1945), in «Freiburger
Universitätsblätter», (1946), 6, pp. 72 sgg.
22.    La presa del potere da parte dei nazisti nel Baden è stata analizzata particolarmente bene nel
lavoro collettivo di E. O. Bräunche, W. Köhler, H. P. Lux e Th. Schnabel, 1933. Machtergreifung in
Freiburg und Südbaden (1933. Presa del potere a Friburgo e nel Baden del sud), Freiburg 1983. Cfr.
inoltre Th. Schnabel, Von der Splittergruppe zur Staatspartei. Voraussetzungen und Bedingungen
des NS Aufstiegs in Freiburg i. Br. (Dalla frazione al partito di Stato. Presupposti e condizioni
dell’ascesa nazionalsocialista a Friburgo), in «Zeitschrift des Breisgauer Geschichtsvereins Schau-
ins-Land», (1983), 102.
23.    Schnabel, Von der Splittergruppe cit., p. 34.
24.    lbid.
25.    lbid. p. 25.
26.    Cfr. J. H. Grill, The Nazy Movement in Baden. 1920-1945, North Carolina University Press
1983, p. 252.
27.    Schnabel, Von der Splittergruppe cit., pp. 36 sg.
28.    lbid., p. 37.
29.    G. Tellenbach, Aus erinnerter Zeitgeschichte (Ricordi di storia contemporanea), Freiburg i. Br.
1981, p. 46.
30.    Cfr. Internationaler Suchdienst Arolsen (1969). Über Haftstätten unter dem RF-SS.
31.    Ibid. p. 38.
32.    lbid., p. 39.
33.    P. Sauer, Das Schicksal der jüdischen Bürger Baden-Württembergs während der NS
Verfolgungszeit. 1955-1945 (Il destino dei cittadini ebrei del Baden-Württemberg durante le
persecuzioni naziste. 1933-1943), Stuttgart 1969.
34.    Cfr. «Breisgauer Zeitung», (4 maggio 1933).
35.    H. Ott, Martin Heidegger als Rektor der Universität Freiburg i. Br. 1955-1954 I. Die
Übernahme des Rektorats der Universität Freiburg i. Br. durch Martin Heidegger im April 1955
(Martin Heidegger rettore dell’Università di Friburgo 1933-1934 1. L’assunzione del rettorato
dell’Università di Friburgo da parte di Martin Heidegger nell’aprile 1933), in «Zeitschrift
des Breisgauer-Geschichtsvereins Schau-ins-Land», (1983).
36.    lbid., p. 123.
37.    Ibid. p. 123.
38.    lbid.
39.    Ibid. pp. 127 sg.
40.    Ritter, intervista cit.
41.    Ott, Martin Heidegger cit., pp. 130 sg.
42.    Ritter, intervista cit.
43.    Atti W. Schadewaldt, Document-Center, Berlin. Sulle lezioni vedi G. Schneeberger, Nachlese
zu Heidegger. Dokumente zu seinem Leben und Denken (Materiali su Heidegger. Documenti sulla
vita e il pensiero), Bern 1962, pp. 81, 96.
44.    Ott, Martin Heidegger cit.
43. Ibid. pp. 123 sg.
46.    Telegramma di Himmler, Document-Center, Berlin.
47.    Curriculum redatto da Kerber per il Comando delle SS, in Atti F. Kerber, Document-Center,
Berlin.
48.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 144.
49.    lbid., pp. 258-62.
50.    Atti F. Kerber, Document-Center, Berlin.
31. Su Eucken cfr. Ritter, intervista cit.
52. Sull’applicazione del Führerprinzip nelle università, cfr. H. Maier, Nationalsozialistische
Hochschulpolitik cit., pp. 79 sgg.; H. Heigert, Der Selbstmord der deutschen Studentenschaft (Il
suicidio degli studenti tedeschi), in «Frankfurter Allgemeine Zeitung», (5 aprile 1958); K. D.
Erdmann, Professoren unter Hitler (Professori sotto Hitler), ibid.y (16 giugno 1965); E. Y.
Hartshorne, The German Universities and National Socialismy London 1937; Die deutsche
Hochschulverwaltung. Sammlung der das Hochschulwesen betreffender Gesetze. Verordnungen und
Erlasse (L’amministrazione universitaria tedesca. Raccolta delle leggi riguardanti l’università.
Ordinanze e decreti), a cura di G. Kasper, Berlin 1942-43; E. Nolte, Zur Typologie des Verhaltens
der Hochschullehrer im Dritten Reich (Sulla tipologia del comportamento dei professori universitari
nel Terzo Reich), in «Das Parlament», (17 novembre 1965).
53. Atti J. Wilser, Document-Center, Berlin.
34. J. Wilser, Angewandte Geologie im Feldzuge. Kriegs geologie (Geologia applicata in campagna
militare. Geologia di guerra), in «Naturwissenschaft», (1920), pp. 645-36.
55.    Cfr. J. Wilser, Das Erdöl in der Weltwirtschaft (Il petrolio nell’economia mondiale),
in «Geopolitik», (giugno 1927), dove afferma il carattere guerriero di ogni concorrenza economica
(pp. 544 sg.).
56.    Atti N. Hilling, Document-Center, Berlin.
57.    Atti E. Wolf, Document-Center, Berlin.
58.    Document-Center, Berlin.
59.    Ibid.
60.    Ibid.
61.    Ibid.
62.    H. Mortensen, Die Litauerfrage in Ostpreussen (La questione della Lituania nella
Prussia orientale), in «Mitteilung der Geographischen Fachschaft der Universität Freiburg», (1932-
33). 13-14-
63.    Document-Center, Berlin.
64.    Ibid.
65.    H. W. Petzet, Martin Heidegger, in «Bremer Nachrichten», (5 ottobre 1930). Donazione H.
Spemann, Senkerbergische Bibliothek, Frankfurt a. M.
66.    Testo di un discorso di Spemann al i° congresso dell’Associazione degli studenti
nazionalsocialisti, Friburgo 10-12 giugno 1938, ripreso nell’annuario «Alemannenland.
Volkstum und Reich. Ein Buch vom Oberrhein», a cura di F. Kerber, (Stuttgart 1939).
67.    Bräunche e altri, 1933. Machtergreifung cit., p. 8.
68.    Ibid., p. 9.
69.    Ibid, p. 15.
70.    A. L. Schlageter, Gesammelte Aufsätze aus der Monatschrift des CV (Saggi raccolti
dal mensile del CV), München 1932.
71.    M. Heidegger, Sein und Zeit, Halle 1927 [trad. it. di P. Chiodi, Essere e tempo Milano 1953], §
50.
72.    Ibid, § 47.
73.    Ibid., § 60.
74.    Ibid, §§ 72-77.
75.    Ibid, § 54.
76.    Ibid, § 56.
77.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 141.
78.    Ibid. pp. 158 sg.
79.    A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), ed. popolare 1942, p. 2.
80.    Ibid. pp. 180 sg.
81.    «Der Alemanne», (28 maggio 1933), cit. in Scheneeberger, Nachlese cit., pp. 50-56.
82.    «Heuberger Volksblatt» (26 maggio 1933).
83.    A. Kleinberger, Gab es eine nationalsozialistische Hochschulpolitik? (È esistita una
politica universitaria nazionalsocialista?), in Autori vari, Erziehung und Schulung im Dritten
Reich  (Educazione e istruzione nel Terzo Reich), Stuttgart 1980, pp. 8 sgg.
84.    A. Bäumler, Männerbund und Wissenschaft (Leghe maschili e scienza), Berlin 1934.
85.    E. Krieck, Bildung und Gemeinschaft (Formazione e comunità), Berlin 1934, p. 31.
86.    E. Krieck, Nationalpolitische Erziehung (Educazione politica nazionale), Leipzig 1932, PP/
16367.
87. Ibid., pp. 167-71.
88.    Ibid., p. 168. Cfr. anche G. Müller, Ernst Krieck und die NS Wissenschaftsreform
(Ernst Krieck e la riforma scientifica nazionalsocialista), Frankfurt a. M. 1978.
89.    H. Heiber, Walter Frank und sein Reichsinstitut für Geschichte des neuen
Deutschlands  (Walter Frank e il suo Istituto del Reich per la storia della nuova Germania), Stuttgart
1966; Maier, Nationalsozialistische Hochschulpolitik cit., p. 168.
90.    M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität. Das Rektorat 1933-
34  (L’autoaffermazione dell’università tedesca. Il rettorato 1933-34), Frankfurt a. M., nuova ed. a
cura di H. Heidegger 1983, p. 9.
91.    Ibid.
92.    Ibid., p. 10.
93.    Ibid., p. 11.
94.    Ibid., p. 12.
93. Ibid. p. 11.
96.    Ibid., p. 13.
97.    Ibid. p. 14.
98.    Ibid. p. 15.
99.    Ibid., pp. 15 sg.
100.    Cfr. il discorso di Hitler sul servizio del lavoro in H.-A. Jacobsen e W. Jochmann (a cura di),
Ausgewählte Dokumente zur Geschichte des Nationalsozialismus. 1933-1943 (Documenti scelti
sulla storia del nazionalsocialismo. 1933-1943), Bielefeld 1966.
101.    Heidegger, Die Selbstbehauptung cit., p. 18.
102.    In «Der Alemanne», (6 maggio 1933).
103.    «Völkischer Beobachter», (20 luglio 1933).
104.    A. Rein, Die Idee der politischen Universität (L’idea dell’università politica), Hamburg
1933.
103. H. Heyse, Idee der Wissenschaft und die deutsche Universität (Idea della scienza e l’università
tedesca), Königsberg 1933; cfr. «Der Deutsche Student. Zeitschrift der Deutschen Studentenschaft»,
(maggio 1934), p. 308.
106.    H. Freyer, Das politische Semester. Ein Vorschlag zur Universitätsreform (Il semestre
politico. Proposta sulla riforma universitaria), Jena 1933.
107.    J. W. Mannhardt, Hochschulrevolution (Rivoluzione universitaria), Hamburg 1933.
108.    E. Unger, Das Schrifttum zum Aufbau des neuen Reiches, 1919-1934 (Gli scritti sulla
costruzione del nuovo Reich, 1919-1934), Berlin 1934.
109.    «Der Deutsche Student», (agosto-settembre 1934), p. 21.
no. A. Holfelder, Die politische Universität und die Wissenschaft (L’università politica e la scienza),
in «Der Deutsche Student», (dicembre 1933).
111. In «Gnomon», (1933), pp. 440-44.
112.    H. Bornkmann, Die Sendung der deutschen Universität in der Gegenwart (La
missione dell’università tedesca oggi), in «Volk im Werden», (1934), p. 32.
113.    E. Rothacker, Politische Universität und deutsche Universität. Die Doppelaufgabe
(Università politica e università tedesca. Il duplice compito), in «Kölnische Zeitung», (30 luglio
1933).
114.    «Deutsche Zeitschrift», XVI (1933-34), pp. 802-06.
113. «Rheinische-Westfälische Zeitung», (13 novembre 1933).
116.    «Berliner Börsenzeitung», editoriale, (13 agosto 1933).
117.    «Zeitspiegel», II (1933), p. 306.
118.    «Die Hilfe. Zeitung für Politik, Wirtschaft und geistige Bewegung», (1o ottobre 1933), p.
304.
119.    In «Vossische Zeitung» (21 luglio 1933).
120.    E. Baumgarten, «Mitteilung der Deutschen Altgilde Freischar», (1934), 2, p. 3.
121.    B. Croce, ree. a M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, in
«La critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia», XXXII (20 gennaio 1933), 1, p. 69.
122.    Ibid.
123.    Estratti della Corrispondenza tra Croce e Vossler su Heidegger sono stati pubblicati
in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 110-12. Cfr. Carteggio Croce-Vossler, 1899-1949, Bari
1931, nuova ed. 1983, in particolare p. 371.
124.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 30.
123. Ibid.,pp. 28 sg.
126.    Si può seguire nei particolari la discussione sulla proibizione dei duelli nella rivista
studentesca dell’epoca «Burschenschaftliche Blätter».
127.    Führer-Lexicon Berlin 1934-33.
128.    Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 88-94.
129.    Ibid. p. 173.
r 30. E. Stern, Macht oder Recht? Die grundsätzliche Bedeutung der jüngsten Vorgänge in Freiburg
(Potere o diritto? Il significato fondamentale degli ultimi avvenimenti a Friburgo), archivi
dell’Università di Friburgo.
131.    « KC Blätter. Monatschrift der im Kartell-Convent der Verbindungen deutscher Studenten
jüdischen Glaubens vereinigter Korporationen».
132.    «Neo-Friburgia», atti dell’Università di Friburgo, semestre estivo 1933, cit. in Kreutz-berger,
Studenten und Politik cit., p. 173.
133.    «Der Alemanne», (19 giugno 1932).
134.    Generallandesarchiv Karlsruhe, GLA 233/8048.
133. Ibid.
136.    Ibid.
137.    «Der Alemanne», (8 maggio 1933).
138.    Archiv der Stadt Freiburg i. Br., C 4 XII/30/7, cit. in Bräunche e altri, 1933. Machtergreifung
cit., p. 49.
139.    Ibid.
140.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 33 sg.
141.    «Deutsche Studentenschaft. Akademische Korrespondenz. Sonderdienst», (23 aprile 1933).
142.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 42 sg.
143.    Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 40-43.
144.    Scheeberger, Nachlese cit., pp. 69-71.
143. K. Jaspers, Philosophische Autobiographie (Autobiografìa filosofica), München, 2“ ed. 1977,
p. 101 (il cap. su Heidegger era stato tralasciato nella 1a ed. del 1936); Id. Notizen zu Heidegger
(Note su Heidegger), München-Zürich 1978, pp. 13, 30,168, 274.
146.    In «Freiburger Studentenzeitung», (3 novembre 1933), ora in Schneeberger, Nachlese cit.,
pp. 135 sg.
147.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 118.
148.    Ibid., p. 18.
149.    Ibid., p. 60.
150.    Ibid., pp. 90 sg.
131.    Ibid., p. 66.
132.    Ibid., p. 63.
133.    Ibid., p. 137.
134.    Ibid., pp. 166 sg.
153. Generallandesarchiv Karlsruhe: questi documenti sono stati commentati in extenso da H. Ott in
«Badische Zeitung», (6 dicembre 1984).
156. Generallandesarchiv Karlsruhe, GLA 233, n. 8819.
137.    Cfr. «Badische Zeitung» (6 dicembre 1984). Una prima allusione a questa lettera si trova in
Ott, Martin Heidegger cit.
138.    Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 166 sg.
139.    «Heuberger Volksblatt», (23 novembre 1933).
160.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 156.
161.    Ibid., p. 157.
162.    Ibid., pp. 180 sg.
163.    Ibid., p. 2.
164.    Ibid., p. 180.
163. Ibid.
166.    Ibid.
167.    Ci si può riferire alle cifre relative alla situazione sociale ed economica nel Baden e
a Friburgo in Bräunche e altri, 1933. Machtergreifung cit., pp. 13-18.
168.    Ibid., p. 22.
169.    Ibid., p. 23.
170.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 184-86.
171.    Ibid.
172.    Ibid., p. 204.
173.    Ibid., pp. 22 sg.
174.    Ibid., p. 40.
173. Ibid., p. 167.
176.    Document-Center, Berlin, nota dell'11 novembre 1942.
177.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 184 sgg.
178.    M. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 Tatsachen und Gedanken (Il rettorato 1933-34. Fatti e
pensieri [1945]), in Id., Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, nuova ed. cit., p. 36.
179.    Ibid. p. 36.
180.    H. Ott, Martin Heidegger als Rektor der Universität Freiburg i. Br., 1933-34 (Martin
Heidegger rettore dell’Università di Friburgo, 1933-34), ms p. 9
181.    Bundesarchiv Koblenz, R 129/976; Ott, Martin Heidegger, ms. cit., p. 11.
182.    Archivio dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, MA 228, S. 25071.
183.    Ibid.
184.    W. G. Oschilewski, Zeitungen in Berlin. Im Spiegel der Jahrhunderte (Giornali a
Berlino. Nello specchio dei secoli), Berlin 1973, pp. 106 sgg.
183. Geht so Deutsche Studentenschaft? (Così fanno gli studenti tedeschi?), in «Deutsche Zeitung»,
(27 aprile 1933), edizione della sera.
186.    Archivio dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, S. 23064.
187.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 33.
188.    «Der Heidelberger Student», (13 luglio 1933).
189.    J. W. Bendersky, Carl Schmitt. Theorist for the Reich, Princeton, N J. 1983, p. 203.
190.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 73-73.
191.    Ibid., p. 174.
192.    Ibid.
193.    Ibid., p. 75.
194.    Ibid.
193. Ibid.
196.    Ibid.
197.    Tellenbach, Aus erinnerter Zeitgeschichte cit., pp. 41 sg.
198.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 73.
199.    K. D. Erdmann, Wissenschaft im Dritten Reich (La scienza nel terzo Reich), in
«Veröffentlichungen der Schleswig-Holsteinischen Universitätsgesellschaft», nuova ser., (1967),
43, p. 9.
200.    L. Wolf, Die Stellung der Natur- und Geisteswissenschaften in der Neuen Reich und
die Aufgabe ihrer Fachschaften (La posizione delle scienze della natura e dello spirito nel
nuovo Reich e i compiti dei loro specialisti), in «Kieler Vorträge über Volkstum- und
Grenzlandfragen um den nordisch-baltischen Raum», (1933).
201.    Ibid, p. 4.
202.    Ibid, p. 9.
203.    H. Heimpel, Der gute Zuhörer (Il buon ascoltatore), in Autori vari, Erinnerungen an Martin
Heidegger cit., p. 116.
204.    «Kieler Neueste Nachrichten», (16 luglio 1933).
203. Bundesarchiv Koblenz, R 43 II.
206.    B. Reimann, Die Niederlage der deutschen Universitäten (La sconfitta delle
università tedesche), in «Neue Zürcher Zeitung», (3-4 dicembre 1983), p. 69.
207.    Lettera del professor Tillmann e risposta della Cancelleria in Bundesarchiv Koblenz, loc. cit.
208.    Führer-Lexikon cit., pp. 73 sg. ; R. Bollmus, Das Amt Rosenberg und seine Gegner
(L’Amt Rosenberg e i suoi avversari), Stuttgart 1970, p. 28.
209.    Bundesarchiv Koblenz, loc. cit.
210.    Ibid.
211.    Tutti questi documenti possono essere consultati al Bundesarchiv Koblenz.
212.    «Frankfurter Zeitung» (28 aprile 1933).
213.    K.A. Moehling, Martin Heidegger and the Nazi Party: An Examination, Northern
Illinois University 1972, appendice.
214.    Ott., Martin Heidegger cit., nota 14.
213. Ibid., p. 10.
216.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam, Ministerium für Wissenschaft, Kunst und Volksbildung,
Verband der deutschen Hochschulen, Rep. 76 V, Sekt. 1, Tit. IV, AUg. Universitätssachen IV Abt.,
n. 49.
217.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam.
218.    Ibid. 70 Re 8, Verband der deutschen Hochschulen, Kulturpolitische Arbeitsgemeinschaft
Deutscher Hochschullehrer.
219.    Lista completa, ibid.
220.    Sulla rivalità tra Krieck e Bäumler cfr. Heiber, Walker Frank cit., pp. 380-90.
221.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam, senza data.
222.    Ibid.
223.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 138 sg. e 142, con una fotografia.
224.    Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung cit.
223. Archivi dell’Auswärtiges Amt di Bonn, Akten betr. Hochschulwesen und Studien in
Deutschland, Bd. 24 u. 25, Wissenschaft, Hochschulwesen Deutschland. Dobbiamo l’informa -
zione a U. Henning del Max-Planck-Institut di Berlino.
226.    G. Ritter, Freiburg als vorderösterreichische Stadt (Friburgo città dell’Austria
anteriore), nell’annuario del sindaco Kerber «Reichstrasse 31. Von der Ostmark zum Oberrhein.
Natur, Volk, Kunst», (Stuttgart 1938), pp. 199-207.
227.    Sono conservati negli archivi dell’Università Humboldt a Berlino (RDT): Akte der Friedrich-
Wilhelm Universität zu Berlin, betr. Professoren, Phil. Fak.: Littr. P, Bd. 23.
228.    Atti W. Petersen, n. 279013, Document-Center, Berlin.
229.    Ibid.
230.    I documenti corrispondenti sono conservati nel Bayrisches Hauptstaatsarchiv di Monaco
(segn. MK 39700) e dobbiamo la loro scoperta a una informazione del professor A. Kleinberger
dell’Università di Gerusalemme.
231.    lbid.
232.    Ibid.
233.    Heiber, Walter Frank cit., pp. 483 sgg.
234.    Bracher, Die nationalsozialistische Machtergreifung cit.
233. Ibid.
236.    Ibid.
237.    J. Harms, Vom Deutsch deutscher Philosophen (Sul tedesco dei filosofi tedeschi),
in «Muttersprache», (gennaio 1934), cit. in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 171-74.
238.    R. Deinhardt, Deutsch Denken und Welsch reden, nein! Man spricht deutsch im
Dritten Reich! (Pensare tedesco e parlare straniero, no! Si parla tedesco nel Terzo Reich!), in
«Bergwerk Zeitung», (23 gennaio 1934), cit. in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 191-93.
239.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 183.
240.    H. Naumann, Germanischer Schicksalglaube (Fede nel destino germanico), Jena 1934.
241.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 225-28.
242.    Il testo del discorso è ora in Klassiker in finsteren Zeiten 1933-1945 (Classici in tempi cupi
1933-1945), a cura di B. Zeller, 2 voll., Marbach 1983, vol. 1, pp. 116 sg.
243.    V. Losemann, Nationalsozialismus und Antike (Nazionalsocialismo e antichità), Hamburg
1977.
244.    Per questi dati su Krieck cfr. G. Müller, Ernst Krieck und die nationalsozialistische
Wissenschaftsreform (Ernst Krieck e la riforma scientifica nazionalsocialista), Weinheim-Basel
1978.
245.    Le due lettere si trovano nella Senkenbergische Bibliothek di Francoforte.
246.    M. Heidegger, Das Geleitwort der Universität (Prefazione dell’università), in « 150
Jahre Freiburger Zeitung», (6 gennaio 1934), ora in Schneeberger, Nachlese cit., p. 171.
247.    M. Heidegger, Mahnwort an Alemannische Volk (Ammonimento al popolo tedesco),
in «Freiburger Studentenzeitung», (23 gennaio 1934), ora in Schneeberger, Nachlese cit., p. 181.
248.    lbid., p. 215.
249.    lbid.
250.    R. Minder, Hölderlin unter den Deutschen und andere Aufsätze zur deutschen
Literatur (Hölderlin tra i tedeschi e altri saggi sulla letteratura tedesca), Frankfurt a. M. 1968, pp.
119, 138 sg.
251.    Hitler, Mein Kampf cit., p. 140; vedi anche W. Darré, Bauerntum als Lebensquelle
der  nordischen Rasse (I contadini fonte di vita della razza nordica), München 1928.
252.    Il testo integrale, apparso originariamente nella rivista «Der Alemanne», (7 marzo 1934), è
ora in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 216-18.
253.    «Völkischer Beobachter», (31 ottobre 1933), edizione per la Germania meridionale.
254.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 135.
255.    lbid., pp. 197 sg.
256.    lbid., p. 205.
257.    lbid.
258.    lbid., p. 144.
259.    Atti A. Künzel, Document-Center, Berlin.
260.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 140.
261.    Testo in Schneeberger, Nachlese cit., pp. 205 sg.
262.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 194 sg.
263.    lbid.
264.    Kreutzberger, Studenten und Politik cit., pp. 56 sgg.
265.    Ibid.
266.    Ibid., p. 117.
267.    Breuning, Die Vision des Reiches (La visione del Reich), München 1969, passim.
268.    E. Krebs, Die Aufgabe der Universität im Neuen Reich (Il compito dell’Università nel nuovo
Reich), in «Academia», (agosto 1933), 4, p. 93.
269.    E. Krebs, Urkirche und Judentum (Chiesa primitiva ed ebraismo), Berlin 1926.
270.    «Academia», (maggio, giugno, luglio e settembre 1933), 1, 2, 3 e 5.
271.    lbid., (ottobre 1933), 6 e 7.
272.    lbid., (marzo-aprile 1934), 11 e 12.
273.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 175.
274.    Sauer, Das Schicksal cit., p. 264.
275.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 230-32, 233.
276.    O. Strasser, Die Bartholomäus-Nacht (La notte di san Bartolomeo), Zürich 1935, pp. 160 sg.
277.    Sauer, Das Schicksal cit., pp. 195 sg.
278.    Ibid.
279.    Ibid., pp. 197 sg.
280.    Ibid. p. 200.
281.    Ibid, p. 204.
282.    Ibid., pp. 205-07.
283.    Ibid. pp. 209-11.
284.    Ibid. pp. 213 sg.
285.    Ibid., pp. 223-25.
286.    C. Bloch, Die SA und die Krise des NS-Regimes (Le SA e la crisi del regime
nazista), Frankfurt a. M. 1970.
287.    U. D. Adam, Hochschule und Nationalsozialismus. Die Universität Tübingen im
Dritten Reich (Università e nazionalsocialismo. L’Università di Tubinga nel Terzo Reich),
Tübingen 1977, p. 89.
288.    Ibid., p. 90.
289.    Ibid. p. 91.
290.    Ibid, pp. 91 sg.
291.    Ibid. p. 93.
292.    Bloch, Die SA cit., pp. 53, 65.
293.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 245 sg.
294.    G. Picht, Die Macht des Denkens (La forza del pensiero), in Autori vari, Erinnerungen  an
Martin Heidegger cit., pp. 204 sg.
295.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 40.
296.    Ibid, p. 18.
297.    Ott, Martin Heidegger cit., pp. 19 sg.
298.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 40; Id., «Nur noch ein Gott kann uns retten!», in
«Der Spiegel», XXX (31 maggio 1976), 23, p. 205 [trad. it. Ormai solo un dio ci può
salvare,  Parma 1987, p. 125]. L’intervista, concessa il 23 settembre 1966, è stata pubblicata, per
volontà di Heidegger, soltanto dopo la sua morte. D’ora in poi cit. come Intervista con lo «Spiegel».
299.    Ott, Martin Heidegger cit., p. 3.
300.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 23.
301.    K. von Dietze, Die Universität Freiburg im Dritten Reich (L’Università di Friburgo nel Terzo
Reich), in «Mitteilungen der List-Gesellschaft», (1960-61), 3, p. 96.
Note della terza parte
1.    W. Hofer, Der Nationalsozialismus. Dokumente 1933-1934 (Il Nazionalsocialismo. Documenti
1933-1934), Frankfurt a. M. 1978, p. 270. (Il testo della dichiarazione ci è stato fornito da U.
Henning del Max-Planck-Institut di Berlino).
2.    L. Poliakov e J. Wulf, Das Dritte Reich und seine Denker. Dokumente (Il Terzo Reich e i suoi
pensatori. Documenti), Berlin-Grünewald 1983, p. 548.
3.    La lettera è nell’archivio dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco (Amt Rosenberg).
4.    W. Rudolf, Sinn und Aufgabe der preussischen Dozentenschaft (Senso e compito dei
docenti prussiani), in «Der Deutsche Student», (febbraio 1934).
5.    A. Busch, Die Geschichte der Privatdozenten (La storia dei Privatdozenten), Stuttgart 1939, p.
137
6.    Atti W. Stuckart, Document-Center, Berlin.
7.    Hofer, Der Nationalsozialismus cit., p. 396.
8.    Zentrales Staatsarchiv Merseburg, segn. Bd. 1, Rep. 76, Sekt. Z, Tit. IV, n. 68 A.
9.    «Hochschulstädte und Grosstadthochschulen», (1934), 6.
10.    V. Losemann, Zur Konzeption der NS-Dozentenlager (Sulla concezione dei campi nazisti per
professori), in Autori vari, Erziehung und Schulung im Dritten Reich (Educazione e istruzione nel
Terzo Reich), Stuttgart 1980, pp. 87-109.
11.    Lettera del 21 febbraio 1934.
12.    Generallandesarchiv Karlsruhe.
13.    Ibid.
14.    «Jahrbuch der Akademie für Deutsches Reich», dir. da H. Frank a partire dal 1933-34.
15.    E. Jäckh e O. Suhr hanno scritto una breve storia della Deutsche Hochschule für Politik nel
suo periodo democratico (1920-32 e 1949-32): Geschichte der Deutsche Hochschule für Politik
(Storia dell’Istituto superiore tedesco per la politica), Berlin 1932.
16.    In «Frankfurter Allgemeine Zeitung», (28 maggio 1983).
17.    Ibid.
18.    Una parte di questo documento fu pubblicata da K. Jaspers, in Notizen zu Heidegger (Note su
Heidegger), München-Zürich 1978, pp. 14 sgg.
19.    W. Schoeppe, testimonianza cit.
20.    Ibid.
21.    R. Stadelmann, Das geschichtliche Selbstbewusstsein der Nation (L’autocoscienza
storica della nazione), Tübingen 1934.
22.    Ibid. pp. 10 sg.
23.    In «Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft», XCII (1932), pp. 1-30.
24.    In «Zeitwende», X (1934).
23. In «Deutsche Zeitschrift», XLVII (1939).
26.    Schneeberger, Nachlese zu Heidegger. Dokumente zu seinem Lehen und Denken (Materiali su
Heidegger. Documenti sulla vita e il pensiero), Bern 1962, p. 70.
27.    Archivi dell’Università di Gottinga, XVI, IV, Bd. 3, Blatt 33.
28.    Gererallandesarchiv Karlsruhe, 430-792.
29.    Documenti degli archivi dell’Università di Gottinga.
30.    «Völkischer Beobachter» (6-7 maggio 1934), edizione per la Germania del nord.
31.    Archivi dell’Università di Gottinga.
32.    «Deutsche Mädchenbildung. Zeitschrift für das gesamte höhere Mädchenschulwesen», (1935),
pp. 1-7
33.    «Jahrbuch des Philologenverbandes. Kunze-Kalender» (1941-42).
34.    Atti K. Stracke, Document-Center, Berlin.
35.    «Deutsche Mädchenbildung», (1935), 2, pp. 49 sgg.
36. Ibid., 6, pp. 285 sgg.
37.    Ibid., 7, pp. 327 sgg.
38.    Ibid., 8, pp. 338 sgg.
39.    Ibid., pp. 346 sgg.
40.    Cfr. la pubblicazione ufficiale del fronte femminile «NS-Frauenwarte», (2 settembre 1934) 7,
pp, 210-12.
41.    G. Scholz-Klink, Verpflichtung und Aufgabe der Frau im nationalsozialistischen Staat
(Impegno e compito della donna nello Stato nazionalsocialista), in «Schriften der Deutsche
Hochschule für Politik», 25.
42.    «Deutsche Mädchenbildung», (1933), p. 1.
43.    Ibid.
44.    Ibid., p. 2.
43. Ibid.
46.    Ibid., pp. 2 sg.
47.    Ibid., p. 3.
48.    Ibid., p. 4.
49.    Ibid.
550.    Ibid., p. 3.
51.    Ibid.
52.    Ibid.
53.    Ibid., p. 6.
54.    Ibid., p. 7.
55. J. Stephenson, Verantwortungbewusstsein: politische Schulung durch die Frauenorganisationen
im Dritten Reich (Consapevolezza della responsabilità: formazione politica
attraverso l’organizzazione femminile nel Terzo Reich), in Autori vari, Erziehung und Schulung cit.,
pp. 194-203.
56.    «NS-Frauenwarte», (13 luglio 1932), p. 15.
57.    Ibid., (i° ottobre 1932), pp. 143, 168.
58.    Ibid., (gennaio 1934), pp. 380 sgg.
59.    Ibid., (febbraio 1934), pp. 406 sgg.
60.    Ibid., (marzo 1934).
61.    Grundsätze der NS-Frauenschaft (Princìpi delle donne nazionalsocialiste), in « NS-
Frauenwarte», (13 luglio 1932).
62.    F. Hundssnurcher e G. Taddey, Die jüdische Gemeinde in Baden (La comunità ebraica nel
Baden), Stuttgart 1968, pp. 92 sg.
63.    Ibid., p. 93.
64.    Ibid. Cfr. anche F. Laubenberg e B. Schwineköper, Geschichte und Schicksal der Freiburger
Juden (Storia e destino degli ebrei di Friburgo), in «Freiburger Stadthefte», (1963), 6.
63. W. Scheffer, Judenverfolgung im Dritten Reich (La persecuzione degli ebrei nel Terzo Reich),
Berlin 1964, pp. 68 sg.
66.    Ibid., p. 87.
67.    Ibid., pp. 257, 274.
68.    Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., pp. 114-21.
69.    Scheffer, Judenverfolgung cit., pp. 237 sg.
70.    H. W. Petzet, Auf einen Stern zugeben. Begegnungen und Gespräche mit Martin
Heidegger 1929-1976 (Dirigersi verso una stella. Incontri e conversazioni con Martin Heidegger
1929-1976), Frankfurt a. M. 1983, p. 40.
71.    A. Kleinberger, Gab es eine nationalsozialistische Hochschulpolitik? (È esistita una
politica universitaria nazionalsocialista?), in Autori vari, Erziehung und Schulung cit., pp. 14, 16.
72.    Questi due documenti si trovano nel Deutsches Zentralarchiv Merseburg.
73.    M. Heidegger, Das Rektorat 19)3-34. Tatsachen und Gedanken (Il rettorato 1933-34. Fatti e
pensieri [1945]), in Id., Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, nuova ed. cit., p. 41.
74.    Deutsches Bücherverzeichnis. Eine Zusammenstellung der im deutschen Buchhandel
erschienenen Bücher. Zeitschriften und Landkarten, voi. 20 (1936-40), Leipzig 1942, p. 1091.
73. La lettera è in possesso del dottor F. Spiegeler, di Bramsche.
76.    Gesamtverzeichnis des deutschsprachigen Schrifttums 1911-1963, vol. 33, München 1978.
77.    Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 123.
78.    G. Lewy, Die katholische Kirche und das Dritte Reich (La Chiesa cattolica e il Terzo Reich),
München 1965, p. 204.
79.    «NS-Frauenwarte», (1935*36), 17, p. 17.
80.    H. Brenner, Ende einer bürgerlichen Kunstinstitution. Die politische Formierung der
preussischen Akademie der Künste (Fine di una istituzione artistica borghese. La formazione
politica dell’Accademia prussiana delle Arti), Stuttgart 1972, pp. 12 sg., 170 sg..
81.    H. Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung der Weimarer Republik
(Storiografia borghese tedesca della Repubblica di Weimar), Berlin 1975, p. 104.
82.    «Tribuna», (16 gennaio 1935).
83.    Klassiker in finsteren Zeiten 1933-1943 (Classici dei tempi cupi 1933-1945), a cura di
B. Zeller, 2 voll., Marbach 1983, p. 348.
84.    Archivi dell’Auswärtiges Amt di Bonn, Deutsche Botschaft Rom: KW 7a, Bd. 2, Pak 1325a.
85.    Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 2, p. 176.
86.    Ibid., p. 348.
87.    Ibid., pp. 468 sg.
88.    «Blätter für Deutsche Philosophie», (1934), 1-2, pp. 217 sg.
89.    «Wille und Macht. Führerorgan der NS-Jugend», (15 marzo 1937), 6, pp. 28-30.
90.    Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 1, p. 352.
91.    «Das Volk. Kampfblatt für völkische Kultur und Politik», (Berlin-Leipzig).
92.    E. Unger, Das Schriftum zum Aufbau des neuen Reiches 1919-1934 (Gli scritti sulla
costruzione del nuovo Reich 1919-1934), Berlin 1934, p. 148.
93.    Zentrales Staatsarchiv Merseburg, atti Kant-Forschungen (1904-1934), Ministero
della Cultura della Prussia.
94.    Archivio dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, sign. MA 609.
95.    Ibid., pp. 56655-57.
96.    Ibid., atti del 9 gennaio 1935, pp. 56656 e 56658.
97.    Ibid., p. 56653.
98.    Ibid., p. 56651.
99.    Ibid. p. 56647.
100.    Ibid. p. 56648.
101.    M. Heidegger, Holzwege, Frankfurt a. M. 1950 [trad. it. di P. Chiodi, Sentieri
interrottiy  Firenze, 2a ed. 1977].
102.    Heidegger, Sentieri interrotti cit., p. 47.
103.    Ibid. p. 62.
104.    Ibid.
105.    A. Schwan, Die politische Philosophie im Denken Heideggers (La filosofia politica
nel pensiero di Heidegger), Köln-Opladen 1965, p. 52.
106.    O. Pöggeler, Philosophie und Politik bei Heidegger (Filosofia e politica in
Heidegger), Freiburg i. Br.-München 1972, 2a ed. 1974, p. 124.
107.    «Alemannenland. Ein Buch für Volkstum und Sendung», a cura di F. Kerber,
(Stuttgart 1937), pp. 135-39-
108.    Schneeberger, Nachlese cit., pp. 258-62.
109.    Atti F. Kerber, Document-Center, Berlin, 
110. «Alemannenland» cit., p. 7.
111. Ibid.
112.    Ibid. p. 8.
113.    Ibid., pp. 7 sg.
114.    Ibid. p. 10.
115.    Ibid. p. 11.
116.    Ibid. p. 12.
117.    R. A. C. Parker, Das Zwangzigste Jahrhundert 1918-1945 (Il secolo xx, 1918-1945),
Frankfurt a. M. 1967, pp. 274 sgg.
118.    «Alemannenland» cit., pp. 124 sgg.
119.    Ibid. pp. 140 sgg.
120.    Ibid. pp. 164 sgg.
121.    Ibid., pp. 171 sgg.
122.    Ibid. pp. 164 sg.
123.    Ibid. p. 162.
124.    Ibid.
125.    Pöggeler, Philosophie und Politik cit., pp. 24 sg.
126.    Schneeberger, Nachlese cit., p. 261.
127.    Ibid.
128.    Ibid.
129.    «Die Buchbesprechung», (febbraio 1938), pp. 57 sg.
130.    «Schweitzer Nationale Hefte», (gennaio-febbraio 1939), 5.
131.    Ibid. p. 505.
132.    Ibid. pp. 504 sg.
133.    Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 125.
134.    Jaspers, Notizen cit., p. 87.
135.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 41 e Id, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 126.
136.    A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), ed. popolare 1942, p. 293.
137.    Ibid., pp. 293 sg.
138.    Ibid., pp. 379 sg., 629-33.
139.    M. Heidegger, Nietzsche, 2 voll., Pfullingen 1961, voi. 1, p. 436.
140.    Ibid. p. 35. Cfr. inoltre M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Tübingen 1933, che
riproduce il testo di un corso universitario del 1935, con aggiunte e ritocchi.
141.    Heidegger, Nietzsche cit., voi. 1, p. 36.
142.    Ibid. pp. 36 sg.
143.    Ibid. p. 36.
144.    Ibid. pp. 362 sg.
145.    Ibid.. p. 75.
146.    Ibid.
147.    Ibid. voi. 2, p. 309.
148.    Ibid. p. 363.
149.    Ibid, voi. I, p. 553.
150.    Ibid. p. 256.
151.    Ibid. pp. 44 sg.
152.    Ibid. pp. 50 sg.
153.    Ibid., p. 52.
154.    Ibid. pp. 72 sg., 488 sg.
155.    Ibid. p. 73.
156.    Ibid. pp. 517 sg., 526, 573.
157.    Ibid. ,p. 80.
158.    Ibid. p. 87.
159.    Ibid. pp. 115 sg.
160.    Ibid. p. 315.
161.    Ibid. p. 464.
162.    Ibid.
163.    Ibid.
164.    Ibid. pp. 469, 551.
165.    Ibid. p. 470.
166.    Ibid. p. 124.
167.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., pp. 42 sg. e Id., Intervista con lo «Spiegel» cit., p.
127.
168.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam, REM 49.01-2940.
169.    Actes du Ville congrès international de philosophie à Prague, 2-7 septembre 1934,
Prague 1936.
170.    Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 127.
171.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam.
172.    Ibid.
173.    Hoover Foundation, sez. del congresso.
174.    Zentrales Staatsarchiv Potsdam.
173. Ibid.
176.    lbid.
177.    lbid.
178.    lbid.
179.    R. Bollmus, Das Amt Rosenberg und seine Gegner (L’Amt Rosenberg e i suoi
avversari), Stuttgart 1970, passim.
180.    Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 42.
181.    «Blätter für Deutsche Philosophie», XIII (1939), 1-2, p. 217.
182.    «Die Literatur», XLIV (1942), 1.
183.    «Frankfurter Zeitung», (13 giugno 1942).
184.    «Scholastik», XVIII (1943), 1.
183. Archivi dell'Università di Monaco, sign. ON 10a.
186.    lbid. comunicato di Himmler, atti del 13 luglio 1942.
187.    Atti R. Till, Document-Center, Berlin.
188.    Losemann, Zur Konzeption cit., pp. 121, 133.
189.    Document-Center, Berlin.
190.    lbid.
191.    lbid.
192.    Atti M. Heidegger, Document-Center, Berlin.
193.    Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 127.
194.    Archivio dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco, sign. MA 40.
193. «Geistige Überlieferung», a cura di E. Grassi, I (Berlin 1940), p. 17.
196.    lbid., pp. 28 sg.
197.    Losemann, Zur Konzeption cit., pp. 123 sgg., 216, 233 sg.
198.    «Bücherkunde Monatshefte für das deutsche Schrifttum», (1942), pp. 17 sg.
199.    «Deutsche Kultur im Leben der Völker», (dicembre 1941), pp. 438 sg.
200.    G. Bottai, Überdas Lesen, in «Geistige Überlieferung» cit., II (Berlin 1942), pp. 203-13.
201.    G. Bottai, Pagine di Critica fascista, Roma 1941, pp. 214 sgg.
202.    G. Bottai, Quaderno affricano, Firenze 1939, pp. 183 sg.
203.    Bottai, Über das Lesen cit., p. 206.
204.    E. Grassi, prefazione a G. Bottai, Verteidigung des Humanismus. Die geistigen Grundlagen
der neuen Studien in Italien (Difesa dell’umanismo. I fondamenti spirituali dei nuovi studi in Italia),
Berlin 1941, pp. 3-14.
205.    lbid., p. 13.
206.    «Minerva», (1930-31).
207.    E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, Bari 1932.
208.    E. Grassi, Dell'apparire e dell’essere, Firenze 1933.
209.    lbid., p. 92.
210.    E. Grassi, Vom Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der
Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie (Il primato del Logos. Il
problema dell’antichità nella discussione tra la filosofia italiana e tedesca), Berlin 1939.
211.    Atti del REM, Document-Center, Berlin.
212.    Cfr. Hofer, Der Nationalsozialismus cit., p. 386.
213.    W. Brachmann, Der gegenwärtige Humanismus. Ein Beitrag zur Geiste und
Glaubensgeschichte der Gegenwart (L’umanismo attuale. Contributo sulla storia dello spirito e
della fede del presente), in «Kant-Studien», nuova ser., XLIV (1944).
214.    Ibid.
213. Ibid. p. 17.
216.    Ibid. p. 15.
217.    Ibid. p. 33.
218.    Atti W. Brachmann, Document-Center, Berlin.
219.    Lettera del 17 luglio 1943, in Atti M. Heidegger, Document-Center, Berlin.
220.    Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 2, pp. 76 sg.
221.    Ibid. p. 99.
222.    Ibid. pp. 104 sgg.
223.    Ibid., pp. 95 sg., con foto.
224.    Hölderlin. Gedenkschriften zu seinem 100. Todestag (Hölderlin. Scritti commemorativi in
occasione del centesimo anniversario della sua morte), a cura di P. Kluckhohn, Tübingen 1943 (2a
ed. 1944).
225.    Ibid., pp. 3-12.
226.    J. Weinheber, An Hölderlin Ode (A Hölderlin: ode), ibid.
227.    Klassiker in finsteren Zeiten cit., voi. 2, p. 176.
228.    W. Böhm, Gestalt und Glaube in der Hölderlin Literatur (Forma e fede nella letteratura su
Hölderlin), in «Zeitschrift für Aesthetik und allgemeine Kunstwissenschaft», XXXV (1941).
229.    K. Hildebrandt, Hölderlin. Philosophie und Dichtung (Hölderlin. Filosofia e
poesia), Stuttgart 1939, p. 240.
230.    P. Bockmann, Hölderlin und seine Götter (Hölderlin e i suoi dei), cit. in Klassiker
in finsteren Zeiten cit., voi. 1, pp. 333 sg.
231.    M. Heidegger, Andenken (Rimembranza), in Id., Erläuterungen zu Hölderlin
Dichtung (Delucidazioni sulla poesia di Hölderlin), 2a ed. accr., Frankfurt 1951, p. 82. Lo scritto
era stato pubblicato una prima volta in Hölderlin. Gedenkschriften zu seinem 100. Todestag cit., pp.
267-324.
232.    Ibid. p. 92.
233.    Ibid. p. 137.
234.    Ibid. pp. 131 sg.
233. Ibid. p. 83.
236.    Ibid. p. 84.
237.    Pöggeler, Philosophie und Politik cit., p. 110.
238.    Ibid. p. 95.
239.    M. Heidegger, Heimkunft. An die Verwandten (Ritorno alla terra natia. Ai congiunti), in Id.,
Erläuterungen cit., pp. 13 sg.
240.    Ibid. pp. 16 sg.
241.    Ibid, pp. 22 sg.
242.    Ibid. pp. 24 sg.
243.    Ibid., p. 26.
244.    Ibid. p. 27.
245.    Ibid. pp. 28 sg.
246.    H. Ott, Martin Heidegger und die Universität Freiburg nach 1945 (Martin Heidegger
e l’Università di Friburgo dopo il 1945), in «Historisches Jahrbuch der Görres-Gesellschaft»,
I (1985), p. 98.
247.    Ibid., p. 99.
248.    Ibid., p. 100.
249.    Ibid., p. 102.
250.    Ibid., p. 106.
251.    Cfr. parte del rapporto in K. A. Moehling, Martin Heidegger and the Nazy Party:
An Examination, Northern Illinois University Press 1972, nota 10.
252.    Ott, Martin Heidegger und die Universität Freiburg nach 1945 cit., pp. 107 sg.
253.    Ibid., p. 113.
254.    Ibid.
233. Ibid.
256. Ibid., pp. 116 sg.
257. Archivi dell’Università di Tubinga, sign. 41-47.
258. Heidegger, Das Rektorat 1933-34 cit., p. 42.
259. Lettera del 6 febbraio 1983.
260.    Ibid.
261.    Lettera del 20 febbraio 1983.
262.    Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 128.
263.    G. Picht, Die Macht des Denkens (La forza del pensiero), in Autori vari, Erinnerungen  an
Martin Heidegger (Ricordi su Martin Heidegger), Pfullingen 1977, pp. 204 sg.
264.    Bundesarchiv Koblenz, Nachlass Stadelmann.
263. Ibid.
266.    Ibid.
267.    Jaspers, Notizen cit., pp. 288 sg.
268.    Cit. in A. Fischer-Barnicol, Spielungen - Vermittlungen (Interpretazioni-mediazioni),
in Autori vari, Erinnerungen an Martin Heidegger cit., pp. 93 sg.
269.    Archivio dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco, Sekt. HA-Wissenschaft.
270.    Lettera del dottor Erxleben a Brachmann del 9 febbraio 1942.
271.    O. Pöggeler, Den Führer führen? Heidegger und kein Ende (Guidare il Führer? Heidegger e
nessuna fine), in «Philosophische Rundschau», XXXII (1983), p. 39.
272.    Jaspers, Notizen cit., pp. 18, 218.
273.    Cit. in W. Schirmacher, Technik und Gelassenheit, Freiburg 1983.
274.    Cfr. «Pflasterstrand», (1983).
273. M. Heidegger, Zur Sache des Denkens (Sulla cosa del pensiero), Tübingen 1969, pp. 72-80.
276.    M. Heidegger, Über Abraham a Sancta Clara. Gesprochen beim Messkircher
Schultreffen am 2. Mai 1964, Messkirch 1964, p. 3.
277.    Ibid, p. 5.
278.    Ibid.
279.    Ibid.
280.    Ibid., p. 7.
281.    Ìbid., p. 8.
282.    Ibid., p. 9.
283.    Ibid.
284.    Ibid.
285.    Ibid., p. 11.
286.    Ibid., p. 14.
287.    Ibid.
288.    Ibid., p. 15.
289.    Loidl, Menschen im Barock (Uomini dell’età barocca), Wien 1938, pp. 292 sg.
290.    F. Loidl, Abraham a Sancta Clara und das Judentum (Abraham a Sancta Clara e l’ebraismo),
Wien 1941, p. 7.
291.    Ibid., p. 10.
292.    Cfr. F. Loidl, Menschen im Barock cit., p. 257.
293.    Loidl, Abraham a Sancta Clara cit., pp. 13 sg.
294.    Ibid., p. 13.
295.    Ibid., pp. 16 sg.
296.    Ibid., p. 17.
297.    Ibid., pp. 18 sg.
298.    Ibid., p. 19.
299.    Ibid., p. 26.
300.    «Theologisch-praktische Quartalschrift», (1941), 4, p. 341.
301.    F. Loidl, Aspekte und Kontakte eines Kirchenhistorikers. Kirche und Welt in ihrer Begegnung
(Aspetti e contatti di uno storico della Chiesa. La Chiesa e il mondo nel loro incontro), Wien 1976,
p. 20.
302.    J. Nadler, Westmark und Ostmark. Grenzen, Fugen, Klammern (Marca occidentale e marca
orientale. Frontiere, giunture, vincoli), in «Reichstrasse 31, von der Ostmark zum Oberrhein: Natur,
Volk, Kunst», a cura di F. Kerber, (Stuttgart 1939), pp. 139-46.
303.    Ibid., p. 144.
304.    Ibid., p. 146.
305.    Ibid., p. 131.
306.    A. Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, München 1932, pp. 3-5, 50, 80, 88
sgg. [trad. it. Il mito del XX secolo, Genova 1981].
307.    Abraham a Sancta Clara, Judas I, p. 304, in Loidl Menschen im Barock cit;, p. 237.
308.    Archivio dell’Accademia delle scienze austriaca, Vienna.
309.    Schleier, Die bürgerliche deutsche Geschichtsschreibung cit., p. 114.
310.    H. von Srbik, Humanismus bis zur Gegenwart (L’umanismo fino a oggi), München-Salzburg
1931.
311. Ibid., pp. 338 sgg.
312. Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 146.
313. Ibid., pp. 148 sgg.
314.    Ibid.
315.    Ibid.
316.    Ibid., p. 151.
317.    R. Martin, Heideggers Heimat. Eine philosophische Herausforderung (La patria di
Heidegger. Una sfida filosofica), in U. Guzzoni (a cura di), Nachdenken über Heidegger. Eine
Bestandsaufnahme (Riflessioni su Heidegger. Un inventario), Stuttgart 1979.
318.    Heidegger, Intervista con lo «Spiegel» cit., p. 131.
319.    Ibid., p. 132.
320.    Ibid. p. 146.
321.    Ibid. p. 135.
322.    Ibid. p. 136.
Indice dei nomi
Abraham a Sancta Clara, 4, 19, 29-46, 49 sg., 62, 134, 249, 308-19, 322 
Achelis, 160, 223, 227
Adam U. D., 200
Adorno Th. W., 63
Agostino, santo, 54 sg., 223, 306
Alfieri D. O., 287, 292
Allegeier A., 301
Andreas W., 89, 102, 146-48
Antoni C, 249
Bertsche K., 36 sg., 39 sg., 46, 49 sg., 312 sg., 313-19
Bieberstein, von, 203
Bilz J., 91
Binder J., 227
Bismarck O., von, 16, 26, 137, 233
Bleyer J., 72
Bloch M., 199
Blum H., 71
Bockmann P., 296
Arendt H., 78
Aristotele, 52, 55, 59, 62
Arnim, 223
August Wilhelm, principe di Prussia, 94
Bach J. S., 311
Back M., 131 Bahrdt, 172
Böhm W., 295
Bollinger H., 303 sg.
Bollnow O. F., 237
Bornkmann H., 112
Bottai G., 282 sg., 288-92
Bousinius A., 314
Brachmann W., 287, 292 sg.
Brahms J., 102

Barth H., 113 Bauch B., 278 sg., 282


Bauch K., 92, 131, 162
Baumgarten E., 114, 233 sg., 247
Bäumler A., 86, 103 sg., 111 sg., 118,135, 143 sg., 160-63,172-74, 223, 231, 238, 243, 252-54, 265,
268, 273, 276-79
Braig K., 26, 53
Brandhuber C, 17
Bréhier E., 274, 278
Brentano F., 22
Bruckmann H., 158
Brunner S., 33
Brunstäd F., 177 Büchner, 282 sg.

Bebel A., 61
Becker O., 162, 276
Below G., von, 26 sg., 50, 72, 318
Bender, 90 sg.
Bergson H., 273
Berl H., 70-73
Bernstein E., 25
Bultmann R., 306
Bultmann-Lemke A., 306
Bumke, 157 sg.
Burte H., 72
Buttmann R., 231
Cantimori D., 249

Bertram E., 268


Carlomagno, 44, 316
Carossa H., 248

Casper B., 27, 47 sg.


Cassirer E., 69, 74 sg., 77 sg., 278 sg.
Cathrein V., S. J., 25
Chamberlain H. S., 27, 72, 138
Faust A., 283
Federico Guglielmo III, re di Prussia, 29 sg.
Fédier F., 246
Fehrle, 118, 123, 123, 142, 162, 175, 182, 203
Feickert A., 197
Feldkeller P., 273
Felgenträger W., 92 Fels, 157 
Chamberlain-Wagner E., 179
Chateaubriand A. de, 258
Clausewitz C, von, in Croce B., 114, 178
Cysarz H., 283 sg.

Dahm, 162 Dannenbauer, 302 


Darré W., 94, 232
Darwin C, 269
Daudet L., 35
Dehn G., 18 sg.
Deinbardt R., 181
Descartes R., 260, 274-76
Dessoir M., 74, 172, 278
Dewey J., 233
Diehl K., 194

Fendrich A., 71 Finke H., 26 sg., 47, 50


Fischer A., 178
Fischer E., 70, 121, 166, 172, 210, 231, 289
Forschbach, 191 sg.
Frank H., 7, 227-30 Frank S., 273 
Frank W., 249
Frankel, 125, 234
Frankl O., 42
Freisler R., 230
Freyer H., 112, 227
Frick W., 87
Fröhlich, 157 Funk W., 231
Gadamer H. G., 303
Geiger M., 57
Geissler, 180
Gentile G., 249
Dietrich O., 231
Dietze K., von, 205, 301
Dilmeier F., 286
Dilthey W., 4, 27, 57 sg., 66, 174, 238
Dingler H., 283 sg.
Drescher, 262
Driesch H., 253, 278 sg.
Düning H. J., 85

Eckert A., 94
Eckhardt, 247
Ehrt A., 251

George S., 292 Gerullis, 160


Geyser J., 52, 177 sg.
Gleispack, von, 224
Glöckner, 237
Goebbels J., 7 sg., 94, 118, 170, 198, 231 sg., 248 sg., 259, 285-88, 292-94 
Goethe J. W., 20, 38, 296
Golf A., 166
Göpfert A., 166, 170-72
Eichert F., 46
Ekkebert, monaco, 14
Eliner Ch., 22
Elio Aristide, 290
Emge, 227 Epting K., 278 sg.
Eraclito, 141
Erder K., 314
Erxleben, 286 sg., 292
Eschilo, 234
Etzkorn G., 71
Eucken W., 91, 171 sg., 203

Göring H., 7, 94, 198, 232


Grahe, 162
Grassi E., 8, 249, 283, 285-88, 291-93
Grebe, 162
Grillparzer F., 45
Grimm J., 44
Grimme A., 62, 75-77, 181
Gröber C, 15 sg., 21 sg., 102, 195, 225
Groh, 279
Gross W., 144, 211, 231
Guardini R., 302
Gudopp W. D., 309
Guggenberger, 303 sg.
Günther, 279
Habermas J., 63
Haendel G. F., 311
Haering H., 283
Haerint, 302
Hagemeyer H., 286
Hammer W., 161
Hanke H., 262
Harder R., 112
Hoberg G., 26
Hofbauer C. M., 33, 38, 43
Hoffmann N., 278
Hoffmann P., 172
Hölderlin F., 8 sg., 248, 250, 255 sg., 268, 271 sg., 282, 294-300, 305, 308 sg., 320 sg
Holfelder A., 112, 143
Hönigswald R., 175, 180
Horrmann, 159
Huber K., 178, 304
Humboldt K. W., von, 149
Husserl E., 48, 55-58, 60, 62, 68, 75 sg., 78 176, 252, 277-79
Harms J., 180 sg.
Hartmann N., 58, 61, 74 sg., 77,172,177,210, 273, 278 sg., 302 
Hasse, 162
Haubold H., 90, 131
Haushofer K., 92, 210, 248
Hebel J. P., 309
Hegel G. W. F., 269, 305
Heidegger F., 16 sg., 21, 24, 41, 194
Heidegger-Petri E., 52, 239-46
Jaeger W., 74, 172
Jaensch E., 58 sg., 162,179 sg., 211 sg., 224-27, 233
Jaensch W., 210, 225
Jantzen, 162
Jaspers K., 121, 246, 262, 279, 305 sg.
Jonas R., 22
Jourdan, 278
Jung E., 228
Heimpel H., 147
Heimsoeth H., 59, 61, 250, 277, 282
Heiss, 303
Helpach W., 273
Henkel, 162
Herder J. G., 24
Hermelink H., 59
Herrigel H., 77, 113, 180
Hertzberg, 162
Hess R., 7, 191, 200 sg., 232
Hesselbacher K., 71 sg.
Hevesy de Heves G., 124 sg., 246

Kamke, 302 Kant I., 233 


Kautsky K., 25
Kerber F., 87, 89-91,93 sg 102, 118,124,129-31, 192, 256-61, 321
Kern, 204, 302
Kimming O., 18 Kirchner, 162-64 
Klages L., 74, 268
Klagges D., 230
Klausing F., 213, 215
Heymann, 228
Heyse H., 112,161,163, 213, 217, 222-24, 237-39, 249, 252-54, 273, 275-79, 291 sg.
Hildebrandt K., 296
Hilling N., 92
Himmler H., 91,94,198,213,256,282 sg., 311
Hindenburg P., von, 7, 209 sg.
Hirsch, 167
Hitler A., 5-7, 35, 70 sg., 83 sg., 91, 94, 100 104, 120 sg., 134 sg., 146, 156-60, 166-
68, 175,182,184,192,195-99, 201, 209 sg., 213, 215, 231, 235, 240, 248,255,258 sg., 263 sg., 281,
283 sg., 288, 294, 301, 316
Klaussing, 162 sg.
Kleinberger A., 103
Kluckhohn P., 295, 298, 302
Kluge, 102
Knoop, 302 Koch H., S.J., 24 sg-
Koellerreuter, 253
Kogon E., 262
Köhler, von, 157
Köhler B., 230
Köhler W., 74
Kohlrausch, 159
Kolbenheyer E. G-» 72

Könitzer W., 250 sg.


Köttgen, 112
Kralik R., von, 17, 42-46, 316
Krausen A., 40
Krebs E., 47, 50-55, 195 sg.
Kreutzberger W., 116, 125
Krieck E., 5 sg., 71 sg., 86, 103 sg., 112, 136, 143, 159-64, 166, 179-82, 185, 211 sg., 215, 223-25,
227 sg., 232 sg., 238, 243, 246, 263, 273
Mäscher B., 250
Mattiat, 277 Mayer J., 26
Megerle A., von, 30
Megerle J. U., vedi Abraham a Sancta Clara
Menzer P., 252
Metz, 274, 277
Metzger M. J., 20 sg.
Metzner, 253
Meyn von Westenholz E., 240
Mikorey, 228
Kroner R., 39
Küchner, 162 sg
. Kuhn, 162, 252, 279 
Künzel A., 192
Lagenbach A., 240
Lammers H., 138
Lampe A., 204, 301
Lang M., 94

Minder R., 298


Misch G., 48, J3, 57 sg., 74, 78, 237 sg.
Moehling K. A., 160
Möllendorff, von, 89-92, 203
Mortensen H., 92, 131, 161
Motz P., 13, 13
Mückle F., 72
Mühlen H., von zur, 91, 192 sc., 196
Leibniz G. W., 260, 269
Leopoldo I, 30 sg.
Lessing G. E., 18
Lichtenberger H., 258
Liebert, 232
Lietzmann M., 247
Lipps T., 237
Lask E., 51
Latschka A., 33
Laue, von, 172

Lipsius F., 273


Loidl F., 313-15
Löpelmann M., 252 sg.
Losemann V., 224
Lowith K., 3, 63, 249, 273, 279, 303
Lueger K., 33 35. 37 sg., 40 sg., 45 sg..
Lukacs G., 3, 66
Lutz, 287 sg.
Lutze V., 94
Müller A., von, 177, 210
Müller-Guiscard W., 131
Mussler J., 71
Mussolini B., 8,249,284,287-89,290,292 sg.
Muth K., 42 sg.
Nadler J., 46, 98, 316, 318
Naendrup, 159
Nägel, 137 sg.
Natorp P., 38, 60-62
Naumann H., 181, 227
Nedden O., zur, 71
Neumann F., 160-62, 166, 213, 217, 223 sg., 237 239
Nietzsche F., 9, 229, 249, 239, 261-72, 276, 293 sg-, 321 
Nohl H., 37, 237
Nufer W., 231
Nussbaum, 87, 90
Oehlkers F., 301
Mackensen H. G., von, 283
Maier H., 74, 172 sg
Maître J. H., 258
Man H., de, 73
Mannhardt J. W.,
Marcuse H., 307
Martens W., 18
Martin R., 321
Martius, 210

Olsen M., 248


Oncken, 172
Ott H., 89 sg., 123, 160, 202-04, 303
Otto F., 285 sg.112, 162
Panzer, 162, 210
Papen F., von, 230, 232
Pauli R., 178
Petersen W., 162, 172 sg., 210
Petri E., vedi Heidegger-Petri E.
Petzet H. W., 73, 92, 246
Pfänder A., 62, 178
Philipp F., 71
Picht G., 202, 304
Pinder W., 167, 178
Pio X, papa, 43, 52 sg.
Planck M., 74, 172, 283
Plannenstiel, 163
Platone, 270 sg., 283, 285, 291, 293
Plischke H., 237

Schaffner J., 261


Schaffstein, 162
Scheel O., 147
Scheicher J., 33
Scheler M., 36, 74, 182
Schelling F. W. J., 269, 305
Schemm, 173 sg., 178-80
Schiller J. C. F., 19, 30
Schilling K., 178, 280 sg., 283
Schirach B., von, 40, 232, 249, 318 sg.
Schlageter A. L., 20,49,93-100,128,186,196
Schlegel F., von, 43
Plötner G., 142-44, 162
Pöggeler O., 260
Poliakov L., 211
Pryzwara E., S. J., 273
Psenner L., 33
Raimund F., 45
Reche O., 213 sg., 217

Schleicher, 157
Schlink, 157
Schmidt E., 74, 162, 166, 172
Schmitt C, 144, 210, 230, 249, 276
Schneeberger G., 3 sg., 69, 167, 174, 236
Schneider A., 48
Schneider E., 33
Schoeppe W., 233
Rehn E., 92 Rein A., 112, 162
Reinhardt K., 285
Reinkens J. H., 15
Rickert H., 27, 48, 51, 33, 182
Riedel H., 90,131
Rintelen, von, 172
Risse O., 92
Ritter G., 83, 90,171 sg., 204, 301
Rohm E., 3, 86, 104, 182, 183, 191, 196, 200, 202, 244, 264
Scholl H., 178, 303
Scholl S., 178, 303
Scholz H., 302
Scholz-Klink G., 240
Schönfeld, 302
Schopenhauer A., 267
Schubert F. P., 303
Schuchardt, 293
Schultz, 180
Schulze, 139
Schumacher, 303 sg.

Rosenberg A., 5-8, 104, 108, 112, 148, 162, 174, 181, 211 sg., 216, 223, 227 sg., 231 sg., 246, 249,
252-54, 265, 268, 273, 280, 285-87 293. 306, 317
Rothacker E., 112, 162, 177, 227, 273
Rudolf W., 212
Ruge A., 236
Rumm A., 71
Rust B., 160, 173,180,189, 200, 212, 249, 276
Schwab, 245
Schwalm, 225, 227
Schwan A., 256
Schwerin, von, 203
Seifert F., 273
Sievers W., 283 Soergel, 92 
Sofocle, 300
Solger, 157
Sombart W., 74, 210

Spann O., 231


Spemann H., 92 sg., 182
Spengler O., 74
Sauer, 91 sg.
Sauerbruch E. F., 167
Sauter, 175, 180
Schachleitner, 175
Schadewaldt W., 90, 92
Schäfer, 253

Spenlé J.-E., 258 sg.


Spranger E., 74, 157-60, 172, 252
Srbik H. , von, 249, 318
Stäbel O., 131, 142, 191-93, 196 sg.
Stadelmann R., 135 sg., 143,162, 233-33, 266, 302 sg., 305 
Staemmler, 243
Stalin J. V., 303
Staudinger H., 123 sg.
Stauffenberg K. S., von, 213
Stern E., 117
Stieler G., 92
Stieve, 171, 253
Stracke K., 239
Strasser G., 196, 199, 244 sg.
Strasser O., 196, 199
Streicher J., 251
Stuckart W., 173, 213-15, 217, 222-25
Studenkowski W., 213 sg.
Stumpf, 172
Tacito, 44, 282
Taine H., 235
Tellenbach, 88, 146
Thannhauser S. J., 246
Thyssen F., 198 sg.
Till R., 282
Tillich P., 74
Tillmann, 157-59 Tirala L., 179 
Tommaso d’Aquino, 55
Tomola, 36 sg.
Tönnies F., 273
Trendelenburg F. A., 210
Troeltsch E., 69, 73-75
Vierkandt A., 172
Vogel, 234
Vogelweide W., von der, 45
Voigtländer W., 144
Voigts H., 240
Vossler K., 114, 178
Wacker, 102, 182, 203
Wagner Richard, 45, 102
Wagner Robert, 87, 90, 94, 115
Walz G. A., 162 sg., 213 sg.
Weber M., 234
Wechssler, 74, 172
Weinheber J., 295
Weiss H., 137, 246
Weiss J., 46

Weizsäcker K. F., von, 83


Wendt H., 240
Wenzel A., 273 Werweyen I. M., 273 
Wessenberg I. H., von, 15

Wilser J., 92, 161


Windelband W., 65
Winterfeld, 161
Wiskemann, 162 Wolf E., 92, 131, 203 sg., 247
Wolf J., 211
Wolf L., 147, 159-62, 213, 217, 222-24
Wundt W., 58 Wüst W., 282
Trotha T., von, 211
Tugendhat E., 63
Tumbült G., 13
Uexküll J., von, 227
Ullbrich E., 240
Unger E., 251
Yorck von Wartenburg P., 4, 66
Zähringer H., 142
Zeiss, 162
Ziegler L, 72

MARTIN HEIDEGGER, Die Selbstbehauptung ecc.    


MARTIN HEIDEGGER. — Die Selbstbehauptung der deutschen Universitäten, Rede gehalten bei der
feierlichen Uebernahme des Rektorats
der Universität Freiburg i. B. am 27.5.1933 — Breslau, Korn, 1933
(8.0, pp. 22).
KARL BARTH. — Theologische Existenz heute ! — München, Kaiser, 1933
(8.°, pp. 40).
Il prof. Heidegger non vuole che la filosofia e la scienza siano altro, per i tedeschi, che un affare
tedesco, a vantaggio del popolo tedesco. Gli studenti tedeschi, a suo dire, hanno tre « Bindungen »,
tre obblighi, il primo e fondamentale dei quali è la «Volksgemeinschaft », il nazionalismo. Ma se
egli si ripiegasse davvero sulla sua coscienza morale (l’ha ogni uomo e l'avrà anche lui), direbbe
piuttosto che il primo obbligo, di studenti e di professori, è il timor Dei, come sta scritto sul
frontone della Sapienza di Roma. Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust
cattedratico, egli che nei suoi libri non ha dato mai segno di prendere alcun interesse o di avere
alcuna conoscenza della storia, dell’etica, della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita
spirituale nelle sue varie forme — quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi, tedeschi di un
tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! —, oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso
storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e
materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle
gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente P unico e vero attore, l'umanità. Scrive nel bello stile
che ci è già noto dai suoi libri filosofici: « Der Wille zum Wesen der deutschen Universität ist
der Wille zur Wissenschaft als Wille zum geschichtlichen geistigen Auftrag des deutschen Volkes
als eines in seinem Staat sich selbst wissende Volkes. Wissenschaft und deutsche. Schicksal müssen
zumal in Wesenswillen zur Macht kommen » (p. 7). E così si appresta o si offre a rendere servigi
filosofico-politici : che è certamente un modo di prostituire la filosofia, senza con ciò recare nessun
sussidio alla soda politica, e, anzi, credo, neppure a quella non soda, che di cotesto ibrido
scolasticume non sa che cosa farsi, reggendosi e operando per mezzo di altre forze, che le son
proprie.
Ben diverso atteggiamento è quello del teologo Karl Barth, che dice il fatto loro ai « Deutschen
Christen », ai tedesco-cristiani, pronti a gridare che la chiesa evangelica deve servire alla fortuna del
popolo tedesco e del terzo Impero, a richiedere un capo, una sorta di papa, che fermamente
li governi nella nuova vita cominciata con la primavera dei 1933, e ad escludere, per intanto, dal
loro seno i cristiani di sangue giudaico o a trattarli come cristiani di second'ordine, e via per simili
turpitudini. « Noi — scrive il Barth — abbiamo l'ufficio di portare al popolo tedesco la parola di
Dio; e pecchiamo non solo verso Dio, ma anche verso questo popolo stesso se 
perseguiamo altri ideali e fini, che non sono commessi a noi. Nella natura del nostro ufficio è che
esso non possa essere subordinato o coordinato ad alcun’altra istanza; e di nuovo peccheremmo
verso Dio e verso il nostro popolo, se lasciassimo scuotere anche solo menomamente quest’ordine
gerarchico ». Il Barth degnamente tutela l’indipendenza della teologia, mentre il prof. Heidegger si
è affrettato a far getto di quella della filosofia.
B. C.

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