Sei sulla pagina 1di 3

LA RIVOLUZIONE MESSICANA

La rivoluzione messicana è un fenomeno complesso, non solo perché nel suo andamento mutò più volte
di carattere, ma anche per la sua spiccata eterogeneità regionale, sociale e politica, che impedì lo
sviluppo di un programma rivoluzionario unitario e coerente. Data l’eterogeneità si parla di rivoluzioni e
non di rivoluzione. Il Messico, infatti, si mostra diviso tra la modernità del nord del paese e i villaggi
autoctoni del sud rurale che tentano la sopravvivenza. Ancor prima della rivoluzione russa, quella
messicana è la prima rivoluzione del 900. Questo si spiega per l’assenza di una grande figura totalitaria
che sia stata in grado di costruire un immaginario collettivo. La rivoluzione ha un fortissimo impatto
sulle famiglie, che subiscono una disgregazione a causa dell’arruolamento dei padri di famiglia.

È stata anche la prima grande guerra civile del 900. Per raccontarla si utilizzarono nuove tecnologie
massmediatiche: la stampa, il cinema, la fotografia. Fu un evento che rese moderni strumenti come
l’aereo, la dinamite, i treni. Nella sua complessità è tra gli eventi più studiati del 900. A lungo si è
dibattuto sulla data di chiusura di questa parentesi storica: chi dice il 1917 per la vittoria costituzionalista;
poi si è pensato al 1920; chi ha pensato di dividerlo in diverse tappe, estendendo ancora di più la sua
durata fino al 1960.

Successivamente alla scoperta dell’America, inizia la stagione coloniale spagnola, collocabile nell’impero
di Carlo V. Il conquistador Hernán Cortés parte con una serie di navi, raggiunge la foce di un fiume nel
1519 e riesce a sconfiggere le popolazioni locali, che non potevano assolutamente competere con i
conquistadores. Inizialmente viene accolto come un liberatore, poi verrà scacciato dalla rivolta della
popolazione che lo costrinse a ritirarsi. In un secondo conflitto, nel 1521, riesce a sottomettere il popolo,
istituendo il viceregno di Spagna.

Nel 1821 viene emanato il Plan de Iguala, il quale sancisce l’indipendenza del Messico e l’uguaglianza di
tutti i cittadini. L’indipendenza dalla Spagna non pone fine ai problemi del Messico.

Tra il 1846 e il 1848 c’è la guerra contro gli USA, alla fine della quale il Messico cede un’enorme parte del
suo territorio. Poi l’invasione francese, che porta alla creazione di un impero messicano d parte di
Massimiliano d’Asburgo; ci saranno ovviamente delle sommosse popolari, arriva Benito Juárez e crea
uno stato laico. Questo perché il Messico è, ancora oggi, una riserva di oro, argento, rame.

Dal 1876 al 1911 (tranne il periodo che va dal 1880 al 1884) il Messico è governato dal generale Porfirio
Díaz (motto: “poca politica, molta amministrazione”) → sostenuto dai militari e dalle gerarchie della
Chiesa, ma caratterizzato da forti disuguaglianze sociali. La sua dittatura fu così lunga grazie ad un
emendamento che introduceva la rielezione consecutiva. Il suo governo si fondava su un’alleanza di
interessi di imprese economiche straniere e sui proprietari terrieri, le cosiddette haciendas. Il suo punto
di forza sono le solide reti oligarchiche di caciques e jéfes políticos che controllavano il paese.

A farne le spese sono soprattutto i contadini e gli indigeni, stremati dalla miseria e dalle durissime
condizioni di lavoro. A voler cacciare il dittatore c’era anche la borghesia. Di Díaz si ricorda soprattutto il
periodo che va dal 1884 al 1904 conosciuto come boom economico, anche grazie alla collaborazione dei
cientificos incaricati per svecchiare il paese. Gli cientificos erano dei tecnocrati affascinati dal positivismo
francese e dalla belle époque europea. Viene incentivata l’industria mineraria; si amplia la rete
ferroviaria; si assiste ad una impennata dei settori tessile e metallurgico; si investe in ambito culturale; si
costruiscono ospedali, carceri e manicomi.

Il Messico si apre a scambi internazionali che favoriscono la penetrazione di idee socialiste che
diverranno difficili da controllare.
A raccogliere la protesta è Francisco Madero, un proprietario terriero di idee liberali che si proclama
pronto a sfidare Díaz per la presidenza, sulla base del principio della non-rielezione. Ma il libero
confronto in Messico è impossibile: per spodestare Díaz non resta che la forza. Il 7 ottobre 1910 dal
Texas, dove si è rifugiato per sfuggire all’arresto, Madero invita i messicani a prendere le armi e il 14
novembre scocca l’ora dell’insurrezione, che subito si propaga in tutto il paese. Madero stila il Plan de
San Luis de Potosí con tutti i motivi che giustificano una rivolta nazionale per eliminare il vecchio regime
autocratico e ristabilire uno stato fondato sui principi di diritto e libertà. Il 7 giugno 1911 Francisco
Madero, vinta ogni resistenza dei profiristi, entra a Città del Messico (lo stesso giorno Città del Messico
è stata colpita da un terremo, che viene visto come un cattivo segno da parte dei conservatori) e
spodesta Díaz, che fugge in Europa. Con l’elezione di Madero alla Presidenza della Repubblica, per il
Messico sembra finalmente aprirsi un orizzonte di libertà, democrazia e giustizia sociale, reclamata a
gran voce dalle masse contadine. Egli stesso si definisce apóstol de la democracia.

Tra i leader locali emergono, per carisma e capacità strategica, Pancho Villa (ex bandito, proveniente dal
Nord) ed Emiliano Zapata (Sud, stato del Morelos). Nel novembre 1911, Zapata lancia il cosiddetto Piano
di Ayala, sintetizzato nel motto “terra e libertà” → restituzione dei terreni ai legittimi proprietari, cioè i
contadini, Madero non può accettare ciò. Il presidente appare come un pericoloso radicale ai
conservatori, che cominciano a diffidare di lui. La sua politica scontenta tutti, con effetti che si rivelano
drammatici. Nel 1913, il cerchio attorno a Madero si chiude; un complotto ordito dall’ambasciatore
americano Wilson porta Madero alle dimissioni. A prendere il suo posto è il generale Victoriano Huerta
che ordina l’assassinio di Madero. A meno di due anni dalla fine della dittatura di Díaz, il Messico torna al
punto di partenza sotto un nuovo e spietato regime.

Dopo l’assassinio di Madero, la rivoluzione messicana entra nella sua fase più violenta. Per combattere il
sanguinario regime di Huerta, l’ala costituzionalista, rappresentata dai moderati Carranza e Obregón, si
allea ai movimenti rivoluzionari di Villa e Zapata. Anche gli USA vogliono sbarazzarsi di Huerta. 3000
marines sbarcano nel porto di Veracruz, con l’obiettivo di costringere il dittatore alle dimissioni. Anche
l’Inghilterra, che inizialmente lo appoggia, finisce per allearsi con gli USA. Ma il blitz americano ottiene
l’effetto opposto → i messicani si ricompattano contro gli invasori. Il sussulto patriottico non basta
comunque a salvare Huerta: Pancho Villa sbaraglia le sue truppe e per Huerta è la fine. Eliminato il
nemico comune, i contrasti tra le posizioni più radicali di Villa e Zapata e quelle più moderate di quanti
più si stringono a Carranza si riaccendono. Nominato capo del governo provvisorio nel 1914, Carranza
chiede il disarmo degli eserciti rivoluzionari come condizione indispensabile per l’apertura di una fase
costituzionale. Ma Villa e Zapata intendono portare avanti il loro programma, a partire dalla
redistribuzione delle terre e respingono la richiesta.

Nell’autunno del 1914 la spaccatura tra radicali e costituzionalisti si dimostra insanabile. Su indicazioni di
Villa e Zapata, la Convenzione Rivoluzionaria Aguascalientes destituisce Carranza e accoglie il
programma agrario zapatista. Carranza ripara a Veracruz e vi stabilisce il proprio governo; per Villa e
Zapata si spiana la strada verso Città del Messico, dove i due condottieri entrano il 6 dicembre 1914. La
rivoluzione sembra ad un passo dal compimento, ma la permanenza di Villa e Zapata nella capitale è
fulminea. I due abbandonano il cuore politico del paese e tornano nelle loro roccaforti.

Zapata e Villa sono ormai nel mirino dei costituzionali Carranza e Obregón, mentre il paese precipita di
nuovo nel caos. La bilancia del conflitto pende sempre di più dalla parte di Carranza, che il 19 ottobre
1915 ottiene il riconoscimento del suo governo da parte degli Stati Uniti. La scelta di Wilson è un colpo
mortale per Pancho Villa. Nel 1916 Villa irrompe, con i suoi fedelissimi dorados, a Colombus seminando
morte e distruzione. Una settimana dopo, 6000 uomini al comando del generale Pershing passano il
confine per dargli la caccia. Oltre che per gli americani, Villa rappresenta un problema anche per il
governo messicano.
Ma in questo momento, la priorità per Carranza, eletto Presidente della Repubblica, è dare al paese una
nuova Costituzione: viene varata il 5 febbraio 1917 → diritto di sciopero, giornata lavorativa di otto ore,
salario minimo, riforma agraria e confisca dei beni alla Chiesa. Intanto Pancho Villa e Zapata continuano
a sfidare il potere centrale. Carranza mette una taglia sulla testa di Zapata che, il 10 aprile 1919, cade in
una imboscata. Dopo la morte di Madero e Zapata, il 20 maggio 1920 è lo stesso Carranza ad essere
ucciso da militari schierati con Obregón. Nel 1919 viene fondato il Partito Comunista Messicano che si
lega al sindacato degli operai, tecnici, pittori e scultori (tra cui Diego Rivera, marito di Frida Kahlo).

Il tributo di sangue richiesto dalla rivoluzione non si ferma; Pancho Villa ha ormai deposto le armi e si è
ritirato, ma non basta. Il 20 luglio 1923 anche lui viene ucciso. Cade così l’ultimo grande mito della
rivoluzione. Durante i mandati presidenziali di Obregón e del suo successore Plutarco Elías Calles, la
politica sempre più anticlericale del governo scatena la reazione dei cattolici messicani. Nel 1926 ha
inizio la guerra dei cristeros, che si conclude nel 1929, lo stesso anno in cui Calles fonda il Partito
Nazionale Rivoluzionario. La rivolta dei Cristeros ha provocato oltre 100.000 vittime. Complessivamente,
lungo quasi due decenni, la rivoluzione è costata quasi 1 milione di morti.

Potrebbero piacerti anche