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La pianta del Tempio G, fatta a mano, con individuati tutti gli elementi di ogni singola
colonna
Rilievi portati avanti per un anno e mezzo. Fatti a mano, conoscendo e studiando pezzo
dopo pezzo tutti i reperti del parco archeologico. “Il 70% dei blocchi è stata identificato –
dice Mei – . Il restante 30% è in parte ancora sotterrato dagli altri resti e in parte è stato
utilizzato nelle masserie vicine”. Una percentuale così alta, quella dei blocchi conosciuti,
che fa quasi sperare all’archeologo urbinate di poter rimettere in piedi una buona parte
dell’edificio: “Le tre colonne sono la prova iniziale. Se dovesse funzionare, si potrebbero
in teoria risollevare molte altre colonne e anche il muro della cella. Ma – ammette –
prima bisognerebbe riscoprire la base, coperta da circa 7 metri di materiale”.
Risollevare le colonne per salvarle
Prima che le tre colonne tornino a stagliarsi in tutta la loro magnificenza, sono
necessarie però alcune analisi. “Gli studi sulla pianta e sugli elementi archeologici –
spiega Mei – sono già stati fatti. Ora bisogna procedere alle indagini statiche sulle
fondazioni e sul terreno”. In pratica bisognerà quindi capire se le colonne, vista la loro
imponenza, riusciranno a stare in piedi e se il suolo – dopo i terremoti e le modificazioni
occorsi negli anni – riuscirà a sopportare il loro peso. Sono strutture alte 16 metri e con
un diametro di 3,30 metri: “Per farsi un’idea della loro grandezza, bisogna pensare che
in cima hanno un capitello dorico di quasi 16 metri quadrati” spiega Mei.
Modellino in legno del Tempio G, creato da Mario Luni, Gastone Buttarini e Graziella
Barozzi. Foto di Giuseppe Dromedari
Dopo le indagini statiche, sarà la volta delle analisi sismiche e strutturali. “Si faranno
degli studi sulla tenuta della pietra” illustra il docente dell'UniUrb , che avverte: “Gli
elementi architettonici sono fatti per stare in piedi. A terra invece si stanno sbriciolando,
perché con il tempo la pietra va incontro a fessurazioni”. Ricomporre le colonne e
riposizionarle in verticale significa, di fatto, proteggerle. “Il nostro progetto è innanzitutto
un’operazione di conservazione e tutela – ammette Mei – . Poi indubbiamente c’è un
risvolto scientifico e anche divulgativo: dobbiamo pensare anche a chi non è un
archeologo. Ridare forma a quello che per molti è un cumulo di macerie avrà
sicuramente un forte impatto”.
Ma i tempi di realizzazione non sono immediati: “Il risollevamento delle colonne è solo la
parte finale. Avverrà almeno tra un anno. Prima si dovrà fare anche una prospezione
geofisica, cioè una ricerca con il georadar per cercare l’altare e per capire cosa c’è
intorno al tempio” afferma l’archeologo.