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Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell'Appennino modenese.


La cripta con i corpi mummificati naturalmente

Article · January 2011


DOI: 10.13140/2.1.2006.4005

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6 authors, including:

Luca Mercuri Vania Milani


Ministry of Cultural Heritage and Activities MUSEO DELLE MUMMIE DI ROCCAPELAGO, MODENA
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Mirko Traversari
University of Bologna
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Gli scavi della Chiesa di San Paolo


di Roccapelago nell’Appennino modenese.
La cripta con i corpi mummificati naturalmente
GIORGIO GRUPPIONI*, DONATO LABATE**, LUCA MERCURI**, VANIA MILANI***,
MIRKO TRAVERSARI***, BARBARA VERNIA****

In occasione dei lavori di recupero e consolidamento condotti sulle strutture della


Chiesa parrocchiale della Conversione di S. Paolo di Roccapelago a Pievepelago
(MO), tra ottobre 2009 e marzo 2011 sono stati effettuati scavi archeologici che
hanno riportato in luce i resti della rocca medievale, della chiesa preesistente, diverse
sepolture e una cripta con molti corpi mummificati. Le indagini archeologiche,
finanziate dalla Fondazione cassa di Risparmio di Modena, sono state condotte
sul campo da Barbara Vernia, coadiuvata dagli antropologi Vania Milani e Mirko
Traversari, che hanno operato sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per
i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna rappresentata dagli scriventi.
Ai resti della Rocca, databili tra il XIII ed il XIV secolo, appartenuta ai Montega-
rullo, una delle più potenti famiglie del Frignano, si sovrappose nel XVI secolo,
forse a seguito di un terremoto che danneggiò il fortilizio, una piccola chiesa con
orientamento liturgico, che sfruttò l’interrato della rocca per ricavarvi una cripta
cimiteriale. Con l’ampliamento della chiesa tra il XVII ed XVIII secolo, la cripta
continuò ad essere utilizzata per le sepolture fino alla fine del XVIII con l’attivazione
del cimitero all’esterno della chiesa nel 1786. La cripta fu in seguito riempita di
macerie e della sua esistenza non si conservò più memoria.
Il rinvenimento più importante è senza dubbio il recupero dalla cripta di circa
una sessantina di mummie, frutto di un processo di mummificazione casuale. È
un caso piuttosto raro nell’Italia settentrionale. Non si tratta, come spesso accade,
della mummificazione volontaria di un gruppo sociale (monaci, beati, membri di
famiglie illustri), ma della conservazione naturale (dovuta a particolari condizioni
microclimatiche) di un’intera comunità, qui sepolta tra la seconda metà del XVI
secolo e il XVIII secolo.
La cripta ha restituito complessivamente circa 281 sepolture fra infanti, bambini
e adulti, parte dei quali rinvenuti mummificati. Si tratta di mummie naturali che
presentano ancora pelle, tendini e capelli, e che sono state deposte all’interno del-
l’ambiente in un sacco o sudario, una sull’altra, vestite con tunica e calze pesanti. Il
loro recupero è stato possibile grazie alla efficace cooperazione in cantiere di archeo-
logi e antropologi che hanno permesso di recuperare i corpi nella loro connessione
anatomica e riporli su supporti rigidi per poterli trasferire presso il Laboratorio di
Antropologia di Ravenna, diretto da Giorgio Gruppioni del Dipartimento di Storie e
220 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali – Università degli Studi di Bologna.
Le indagini antropologiche offriranno straordinarie possibilità di studio sullo stato
di salute, l’alimentazione, il tipo di lavoro, i rapporti di parentela, le caratteristiche
genetiche, ma anche sugli aspetti legati alla religiosità e alla devozione. Lo scavo
ha restituito numerosi oggetti, quali medagliette, crocifissi, rosari e una quantità
davvero considerevole di tessuti, pizzi e cuffie relativi agli indumenti e ai sudari che
avvolgevano i defunti.
Per lo studio e la valorizzazione dei tessuti la Soprintendenza per i Beni Archeologici
ha ottenuto la collaborazione dei Musei Civici di Modena, dove sono conservate
importanti raccolte di questi materiali, dell’Istituto per i Beni Culturali dell’Emilia
Romagna, che ha promosso in questi anni lo studio e la valorizzazione delle raccolte
storiche dei tessuti, della Fondazione Centro Conservazione e Restauro della Venaria
Reale di Torino per il loro restauro.
I rinvenimenti di Roccapelago offriranno un’eccezionale opportunità per una valoriz-
zazione della Chiesa e della Rocca con l’esposizione in loco di una parte dei reperti e
di alcune mummie. Le altre mummie insieme ai numerosi resti scheletrici rinvenuti,
completato lo studio antropologico, torneranno a riposare presto a casa.
D.L., L.M.

Lo scavo delle tombe sotto il pavimento moderno


e il rinvenimento dell’ambiente voltato
Dal punto di vista morfologico, la chiesa della Conversione di S. Paolo sorge sul
declivio orientale dell’altura di Roccapelago, tanto che metà circa della chiesa poggia
sulla nuda roccia, mentre la parte orientale sfrutta il terrapieno creato colmando
alcuni ambienti della preesistente rocca con materiale di crollo e/o demolizione.
Subito sotto il pavimento della chiesa sono state rinvenute sette tombe, quattro
delle quali ricavate scavando direttamente la roccia, mentre le altre hanno sfrut-
tato strutture preesistenti. Tali tombe, le prime ad essere scavate, sono distribuite
in tutto l’edifico: due sepolture sovrapposte nel presbiterio, due nella navata e tre
verso l’ingresso della chiesa (fig. 1).
Nella zona del presbiterio al limite dell’affioramento roccioso è stata ricavata la
tomba 2, alla quale si sovrapponeva la tomba 1.
La tomba 1 è costituita da una sepoltura singola: appena sotto il pavimento del
presbiterio attuale (-0,15 m) sono emersi gli arti inferiori di un individuo, deposto
in direzione est-ovest, con la testa ad est, ad una quota di -0,50 m. L’inumato pre-
sentava dunque un dislivello fra il cranio e le gambe di circa 35 cm, forse dovuto
ad un dissesto del terreno. Sotto le costole erano presenti numerose minute fibre di
legno e residui di stoffa, mentre di fianco ad esse, era collocato un oggetto metal-
lico, identificabile come una piccola scatola di latta, sulla quale si leggono ancora
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 221

fig. 1 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: pianta della chiesa con indivi-
duazione delle tombe (Rilievo Arch. Alessandra Alvisi).

iscrizioni in inglese. Tale scatola potrebbe essere finita nel contesto tombale durante
una risistemazione dell’altare (che si trovava proprio al di sopra) in periodo post
bellico, e questo spiegherebbe anche la strana posizione dell’inumato.
Al di sotto, la tomba 2 è costituita da uno scasso rettangolare piuttosto regolare
orientato nord-sud, realizzato in parte scavando la roccia e in parte utilizzandone gli
affioramenti come limiti. Le pareti dello scasso sono rialzate con 2-3 corsi di pietre
tagliate in modo abbastanza regolare a simulare laterizi. Al momento dello scavo
non presentava copertura, perciò l’interno era pieno dello stesso riporto presente in
tutta la chiesa. Sono state rinvenute ossa lunghe pertinenti ad almeno 4 individui,
sepolti in momenti differenti, come testimonia la sovrapposizione dei corpi e il fatto
che due crani fossero disposti a metà del lato lungo ovest, in aderenza alla parete
della tomba. Inoltre, anche i due individui più superficiali si presentano affiancati,
ma quello di sinistra risulta spostato come per creare spazio per la deposizione di
quello di destra.
Il fondo era livellato con un impasto di calce bianca, friabile e porosa, con inclusi
piccoli frammenti di pietra.
Gli inumati non presentavano alcun tipo di corredo, poiché si sono rinvenuti
solo pochi frammenti di legno e chiodi, forse attribuibili ad una copertura lignea,
e frammenti di tessuto scuro e spesso, oltre ad alcuni bottoni rivestiti in tessuto,
relativi all’abbigliamento.
222 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

La mancanza di materiali datanti non consente di precisare l’epoca di sepoltura,


né per la tomba 1, né per la tomba 2, tuttavia il confronto con le fonti consente di
riconoscere in questa posizione la sepoltura dei parroci, così come si ricava dalla rela-
zione del 1803 di Don Giovanni Bianchi, conservata nell’Archivio parrocchiale.
Nell’area corrispondente alla navata si concentrano la gran parte delle tombe, che
presentano varie tipologie e orientamenti: la tomba 3 scavata nella roccia e simile alla
tomba 2, la tomba 4, una cassa lignea alloggiata in uno scasso appositamente creato
al centro della chiesa, la tomba 6 e la 7, due ossari. Numerosissimi frammenti lignei
sparsi sulla roccia, forse relativi a tavole per la sepoltura, si trovavano concentrati
nello spazio compreso fra la tomba 4, la tomba 6 e la tomba 7.
La tomba 3 è costituita da uno scasso rettangolare nella roccia orientato nord-sud.
Le pareti sono rialzate con 2-3 corsi di pietre tagliate in modo abbastanza regolare
a simulare laterizi. Al momento dello scavo non presentava copertura. All’interno
sono stati rinvenuti crani e ossa lunghe pertinenti ad almeno 10 individui, oltre
che ad un numero non precisabile di infanti. Si tratta dunque di una sepoltura
multipla, relativa forse ad un gruppo sociale o famigliare della zona. Dato l’esiguo
spazio e la poca profondità, i corpi appaiono sovrapposti, tuttavia la posizione di
alcuni crani, così come lo schiacciamento delle ossa lungo le pareti testimoniano
che le sepolture si sono susseguite nel tempo, creando di volta in volta un po’ di
spazio all’interno della tomba. La presenza di numerose larve all’interno dei crani
testimonia che la decomposizione è avvenuta in ambiente aperto: forse i corpi sono
stati esposti post mortem oppure la sepoltura lasciava in ogni caso circolare aria
all’interno della tomba. Il fondo della fossa era costituito da un impasto di calce
bianca, friabile e porosa, con inclusi piccoli frammenti di pietra.
Sono stati rinvenuti frammenti di legno e chiodi, attribuibili forse ad una copertura
lignea, e frammenti di tessuto scuro e bottoni. Inoltre, alcuni individui presentavano
le ossa lunghe fermate da lacci di tessuto scuro, destinati a tenere composti gli arti.
Tra i materiali rinvenuti vi sono oggetti devozionali quali un crocefisso, parte di
una corona da rosario e una medaglietta purtroppo illeggibile. Tuttavia l’oggetto
più interessante è sicuramente un anello in lega di stile architettonico, il cui disegno
riprende gli stilemi dell’oreficeria più in voga nel pieno Rinascimento. L’uso di leghe
metalliche piuttosto che di metalli nobili è da ricercarsi forse nella committenza
certamente non elevata. La sua datazione al pieno XVI secolo costituisce un termine
post quem per la datazione delle sepolture di questa tomba.
Nei pressi della tomba 3 è collocata la tomba 4, forse la sepoltura più enigmatica
fra le tombe di superficie: essa, infatti, è disposta in direzione est-ovest e consiste
in una cassa lignea posizionata in uno scasso della roccia appositamente realizzato:
il lato breve ovest è tagliato nella roccia con forma semicircolare, come fosse una
nicchia, mentre il lato breve a est è costituito da un piccolo muro di contenimento
formato da 3 corsi di pietra tagliati in modo abbastanza regolare a simulare laterizi.
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 223

La cassa è realizzata con tavole di legno tenute insieme da chiodi e al momento


dello scavo presentava ancora parte della copertura sprofondata all’interno a causa
del peso della pavimentazione soprastante. La cassa non è stata rimossa e la puli-
zia della parte superiore ha permesso di constatare che vi sono sepolti almeno tre
individui, tuttavia le probabili sistemazioni della chiesa non hanno consentito la
conservazione in buono stato delle ossa, che risultano parzialmente disarticolate e,
in alcuni casi, fuoriuscite dalla cassa.
Poco distante, in direzione dell’entrata, si colloca la tomba 7: essa è in realtà la
scalinata di accesso ad un ambiente sotterraneo, dalla quale si sono ricavati più
livelli sovrapposti di sepoltura: gli individui (almeno undici, oltre ad un numero
non precisabile di lattanti) sono stati collocati in posizione rannicchiata. La tomba è
stata riutilizzata per diverso tempo, come dimostrano le ossa spostate verso i gradini
per far posto a nuovi defunti. Il livello più superficiale, che, come per le tombe viste
in precedenza, non aveva copertura, presentava ossa non sempre in connessione e
probabilmente è stato rimaneggiato, forse in concomitanza con qualche risistema-
zione della pavimentazione della chiesa.
Insieme alle ossa, la tomba ha restituito anche il materiale più vario: oltre a fram-
menti di legno e chiodi, relativi, come negli altri casi, alla possibile presenza di co-
perture o tavole su cui appoggiare gli inumati, e frammenti di tessuto scuro relativi
all’abbigliamento, vi sono anche frammenti di vetro, e oggetti devozionali quali
un crocifisso, grani da rosario e tre medagliette. Sono state inoltre recuperate due
monete, una è illeggibile, l’altra è un quattrino di Mirandola, databile agli ultimi
anni del XVI secolo. Il ritrovamento del cranio di un roditore induce a ritenere che
il vano scala, sebbene colmato per farne un ossario, fosse comunque non comple-
tamente chiuso su ogni lato.
Adiacente alla 7 è collocata la tomba 6: essa probabilmente sfrutta un anfratto
naturale della roccia proprio sotto la scala ormai crollata. Il muretto divisorio fra
la tomba 7 e la 6 è realizzato sovrapponendo alcuni corsi di pietre tagliate in modo
molto irregolare al gradino più alto del vano scala. In generale, l’aspetto di questa
struttura appare molto meno curato rispetto a quelle fino ad ora esaminate, e anche
le ossa all’interno appaiono disposte in maniera più disorganica. Sono emerse ossa
pertinenti a diversi inumati e lacci ancora in posizione intorno alle ossa.
L’ambiente sotterraneo introdotto dalla scala individuata nella tomba 7, già par-
zialmente indagato nella campagna del 2009, è stato integralmente scavato nella
campagna 2010-2011: esso occupa un superficie molto estesa lungo il perimetrale
est della chiesa, è di forma rettangolare, con i lati brevi in direzione nord-sud, e
aveva una copertura con volta a botte, come dimostrano le imposte dell’arco an-
cora ben visibili. L’ambiente fu creato utilizzando il naturale declivio della roccia.
Esso si presentava completamente colmato con materiale di scarto, nella parte
superficiale, con grossi blocchi di pietra e al di sotto con materiale più fine, ma
224 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

sempre incoerente. A partire da 1,40 m sotto il pavimento attuale lo scavo è stato


condotto a mano, poiché sono emersi sempre più numerosi individui parzialmente
mummificati, coperti da sacchi di iuta, completamente adesi l’uno all’altro. Per la
particolare natura del ritrovamento, al fine di non danneggiare gli individui, si è
proceduto trattando come una U.S. l’ammasso dei corpi mummificati, e quindi
prima togliendo totalmente il riempimento dell’ambiente, poi procedendo a di-
stricare le sepolture.
Il lavoro lungo e paziente ha consentito di individuare almeno cinque momenti di
sepoltura, legati alle diverse fasi e modalità di utilizzo dell’ambiente sotterraneo.
I più antichi sono gli individui di U.S. 28, non ben conservati, collocati negli anfratti
rocciosi del pavimento dell’ambiente, sfruttando ogni spazio disponibile. Dal terreno
di riempimento provengono alcuni frammenti di ceramica (maiolica arcaica e un
frammento di graffita arcaica padana, databile dalla seconda metà del XV alla prima
metà del XVI sec.), e una medaglietta illeggibile. A questo livello è ascrivile anche la
tomba 5: essa è collocata nell’angolo sud-orientale, nello spazio fra lo sperone roccioso
e il perimetrale est. La pulizia ha permesso di individuare ossa pertinenti ad almeno
due individui, un adulto e un bambino, molti frammenti di stoffa e una medaglietta.
Tuttavia il rinvenimento più interessante è senz’altro un anello in lega, con gambo
centralmente costolato, raccordato con elemento circolare che fungeva probabilmente
da base/castone ad una pietra dura tagliata a cabochon. Lo stile piuttosto comune non
permette una datazione precisa, anche se raffronti con l’iconografia profana individua-
no il massimo sviluppo di questo modello nella fine del XV-inizi XVI secolo.
U.S. 28 venne coperto da uno strato di terreno di riporto, spesso non più di 3-4 cm
(U.S. 27), della stessa composizione del precedente (terreno fortemente organico, a
matrice argilloso-calcarea, di colore marrone-nero, con inclusi frammenti di calce,
frammenti di ossa). Al di sopra di questo strato, trovarono posto altri inumati (U.S.
26), deposti nella parte centrale della stanza in strati sovrapposti, dentro sacchi,
come dimostrano i frammenti di tessuto rinvenuti. Questi individui, a causa dello
schiacciamento dovuto al peso degli strati superiori, non si presentano in buono
stato di conservazione, tuttavia la posizione ben distribuita nello spazio potrebbe
far supporre che ancora in questo momento era possibile un comodo accesso
all’ambiente. Tali sepolture sono coperte da 3-4 cm di piccoli frammenti rocciosi
(U.S. 25), forse un terreno di riporto che isolò questo livello deposizionale da quello
superiore, identificato come U.S. 23 e riconoscibile dal fatto che i corpi appaiono
accatastati fino a formare una piramide (fig. 2): tale situazione fa dunque ritenere
che in questa fase la deposizione avvenisse da una botola posta a circa metà del lato
ovest dell’ambiente, in corrispondenza del culmine dei corpi (fig. 3).
In seguito, l’ambiente voltato venne colmato con pietrisco fine (U.S. 24) e, nella
parte alta, con grossi massi (U.S. 22). Ciò avvenne quando i corpi erano già mum-
mificati poiché i più superficiali non presentano gravi segni di compressione.
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 225

fig. 2 – Chiesa della


Conversione di S. Pao-
lo a Roccapelago: U.S.
23 vista da sud.

fig. 3 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: sezione ricostruita dell’ambiente


voltato lungo la linea nord-sud, in corrispondenza del culmine di U.S. 23 (Rilievo Arch.
Alessandra Alvisi).
226 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

Le ipotesi sullo sviluppo del complesso


L’analisi intergrata dei dati di scavo e delle murature consente già di fare alcune
ipotesi sull’evoluzione del complesso e sulle fasi deposizionali all’interno dell’am-
biente voltato.
Fase 1. La Roccia al pelago
La funzione militare di un nucleo di edifici collocati sulla cima di Roccapelago è
documentata dalla Cronica di Giovanni Sercambi, cronista dell’esercito lucchese
che assediò la località nel 1393. Tra gli edifici vi era anche una torre con funzione
residenziale, collocata presso il dirupo a est della cima. Essa è da identificare con
il corpo centrale della chiesa (fig. 4), poiché gli antichi limiti dei muri perimetrali
sono individuabili almeno su tre lati: all’esterno, lungo la parete est sono visibili i
conci angolari (fig. 5); i perimetrali nord e sud invece sono stati rinvenuti all’inter-
no della chiesa, appena sotto il pavimento moderno, il limite verso ovest potrebbe
coincidere con la parte centrale del perimetrale ovest della chiesa attuale, poiché
presenta le stesse caratteristiche di quello a est. Inoltre, la lunga esposizione fuori
terra del perimetrale nord è dimostrata dalla presenza di vegetazione infestante.
La torre si impostava sulla roccia, coperta alla base da una muratura a scarpa. Il
piano più basso al momento conosciuto era costituito dall’ambiente rettangolare
rinvenuto nello scavo, orientato nord-sud, e probabilmente adibito a cannoniera,

fig. 4 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: planimetria fase 1 (rilievo e


restituzione grafica Arch. Alessandra Alvisi).
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 227

fig. 5 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: le linee verticali identificano i


conci angolari della torre nella quale si è insediata la chiesa. A destra la cannoniera a toppa
rovesciata, rinvenuta integra (mirino in alto e foro circolare per inserimento della bombarda
sotto) murata nel campanile adiacente la chiesa.

come si evince dalle due finestre-feritoie poste a quote diverse (fig. 6): quella a sud,
che all’esterno si presenta come una feritoia lunga e stretta, presenta una stromba-
tura assai pronunciata, adatta a muovere dall’interno una bombarda; quella a nord
si imposta più in basso e presenta forma quadrangolare e una strombatura meno
accentuata. Al di sopra di quest’ultima, è presente una risarcitura, le cui dimensio-
ni sembrano compatibili con la cannoniera a toppa rovesciata, rinvenuta integra
(mirino in alto e foro circolare per inserimento della bombarda sotto) murata nel
campanile adiacente la chiesa (fig. 5).
Più in alto sono tuttora visibili altre due finestre che sembrano in fase con la mu-
ratura e che forse appartenevano ai piani residenziali della torre.
A questo ambiente si accedeva tramite una scala in pietra (poi divenuta tomba 7):
nello scavo sono stati rinvenuti integri gli ultimi sette gradini, formati ciascuno da
due blocchi di pietra ben squadrati. La muratura delle pareti è curata e presenta
blocchi legati con malta. Sulle pareti in corrispondenza dell’ultimo gradino scava-
to sono presenti due elementi metallici infissi, dall’aspetto simile a cardini, la cui
funzione non è ben chiara, forse destinati a sostenere qualche elemento verticale
che poteva venirvi infisso.
La sala aveva forse un pavimento posto a quote differenti, come farebbe supporre
la diversa altezza delle finestre e la diversa quota della roccia che costituisce il piano
di calpestio.
Non possiamo stabilire con certezza la datazione di questo ambiente, tuttavia la
forma e il tipo di aperture potrebbero essere compatibili con una fase trecentesca.
228 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

fig. 6 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: veduta generale della cripta a
fine scavo. Si notano a sinistra le finestre poste a quote diverse e la quota più bassa del piano
di calpestio dove non c’è la roccia.

Fase 2. Trasformazioni della rocca


In un momento successivo all’edificazione del corpo di fabbrica, venne realizzato il
circuito murario lungo il lato est, prolungando il perimetrale est dell’edificio stesso.
Tale perimetro è ancora visibile all’esterno, poiché fu inglobato successivamente
nel muro dell’attuale chiesa (fig. 4).

Fase 3. L’insediamento della chiesa


Una volta che la rocca ebbe perso la sua funzione militare e fu abbandonata, nel
corpo di fabbrica con funzione residenziale si insediò una chiesa. Sebbene non
siano purtroppo ancora emersi documenti in merito, è possibile che i lavori siano
iniziati intorno al 1582, proseguendo assai lentamente, se si considera che vent’anni
dopo, nel 1603 furono terminati il coro, l’altar maggiore e i due laterali posti in
fondo alla navata.
Il primo edificio religioso sfruttò i perimetrali del corpo di fabbrica preesistente. La
chiesa venne orientata liturgicamente e venne realizzato un ingresso monumentale
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 229

fig. 7 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: planimetria della prima fase
della chiesa (rilievo e restituzione grafica Arch. Alessandra Alvisi).

a ovest (dove ancora è visibile lo stipite sinistro del portale e l’imposta dell’arco a
ogiva), la cui soglia è posta a circa 1,20 m sopra l’attuale quota di ingresso. In questa
sistemazione, la cannoniera si venne a trovare sotto la zona dell’altare e fu sfruttata
apportando qualche modifica: salvaguardando l’apertura delle finestre i lati est e
ovest furono “rivestiti” da un muro terminante con volta a botte, realizzata in pietra
tagliata in blocchi lunghi e stretti e legati da una malta di calce assai tenace.
Nel muro ovest fu ricavata una nicchia e venne realizzata una pavimentazione
che pareggiò la quota del piano di calpestio. Dai residui rinvenuti lungo i muri
perimetrali sembra che fosse costituita da semplice malta di calce pressata, nel cui
impasto è mescolata rara ghiaia molto fine. L’utilizzo per un certo tempo come
cripta sembra poter trovare conferma nel pesante annerimento della parete ovest,
probabilmente dovuto al fumo di lampade o candele. L’ingresso alla cripta continuò
forse a sfruttare l’antica scala d’accesso.
A questa prima fase della chiesa potrebbe essere ascritta la sepoltura denominata
tomba 4 (fig. 7): essa è in posizione perfettamente centrale rispetto all’impianto
della chiesa ed è posta davanti al presbiterio. Per realizzarla è stata appositamente
scavata una nicchia nella roccia. Purtroppo non sappiamo chi potesse esservi sepolto,
perché lo scavo ha messo in luce una cassa lignea con resti scheletrici rimaneggiati
e appartenenti ad almeno tre individui adulti.
230 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

Fase 4. Modifiche al primitivo impianto della chiesa


Non abbiamo nessuna testimonianza di lavori svolti nel XVII secolo, tuttavia è
possibile che in seguito al forte terremoto del 1624 ve ne siano stati. In questa
occasione o poco tempo dopo, la cripta cambiò nuovamente destinazione d’uso e
fu utilizzata come cimitero coperto: l’antica scala fu chiusa con un muretto nella
parte bassa e fu utilizzata per seppellirvi (tomba 7): da qui proviene anche un quat-
trino della zecca di Mirandola, databile agli ultimi anni del XVI secolo, e dunque
utilizzabile come termine post quem.
Il pavimento della cripta fu smantellato e fu aperto un ingresso a nord. A questa
fase risalgono le prime sepolture: la tomba 5 (angolo sud-est, fig. 1), già individuata
nella campagna del 2009 e gli scheletri rinvenuti negli anfratti rocciosi e coperti
con poca terra (U.S. 28).
In seguito i corpi furono deposti dentro sacchi l’uno sull’altro: in diverse fasi, ma
sempre utilizzando la porta di accesso posta a nord (U.S. 26, tomba 9, tomba 10).
Di estremo interesse sono la tomba 9 e la 10 (fig. 1), le ultime realizzate accedendo
dal basso: la prima è costituita da sepolture perinatali, che giacciono al di sotto
degli arti inferiori di un gruppo di adulti, posti a semicerchio, con le teste rivolte
ad ovest. Sopra le loro gambe, quasi di traverso, giace una giovane donna morta
in gravidanza (sono state rinvenute le ossa fetali all’altezza del grembo). La tomba
10 è invece un ossario infantile: vi sono state raccolte tutte ossa di infanti, ma fra
queste si trovano anche ossa di adulti, sopratutto falangi, probabilmente confuse
con ossa infantili a causa delle ridotte dimensioni.
Fase 5. Allungamento della chiesa
Restauri sono documentati nel 1728 forse in seguito ad una scossa di terremoto e un’al-
tra forte scossa si verificò nel 1741, comportando presumibilmente nuovi lavori.
Non sappiamo in quale di queste date fu realizzato l’allungamento della chiesa che
portò l’edificio all’attuale estensione, tuttavia è certo che accadde nel XVIII secolo,
poiché Don Bianchi, che fu parroco tra il 1765 e il 1815 afferma che la chiesa è
lunga 28 braccia e larga 17 cioè 17 m di lunghezza e 10 m circa di larghezza, ovvero
all’incirca come ora.
Con l’allungamento, vennero colmati gli spazi aperti a nord e sud del primitivo
edificio, ciò comportò la chiusura dell’ingresso nord all’ambiente voltato, che con-
tinuò ad essere utilizzato, ma calando i defunti dall’alto, usando un’apertura posta
a circa metà del lato ovest dell’ambiente, poiché i corpi di U.S. 23, la più recente,
appaiono accatastati fino a formare una piramide, il cui culmine è posto a 1,20
m circa dalla parete ovest della cripta. È anche plausibile ritenere che tale cambia-
mento sia stato indotto dai danni provocati dai terremoti, come farebbe supporre
la profonda crepa visibile nella parte sud, tale da far forse crollare la volta e da far
cambiare le modalità di accesso all’ambiente sotterraneo.
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 231

fig. 8 – Chiesa della Conversione di S. Paolo a Roccapelago: l’ingresso nord all’ambiente


voltato è tamponato con frammenti di pietra e ossa umane.

In ogni caso, l’ampliamento comportò anche il cambio di orientamento della chiesa:


l’ingresso fu posto a nord e la zona absidale a sud. Vennero probabilmente create
le tombe 2, 3, 6 (fig. 1).
La zona d’ingresso alla chiesa attuale fu realizzata spogliando il muro trasversale
della primitiva chiesa e colmando con materiale di riporto fino alla quota attuale.
Fu così possibile realizzare la tomba 8, addossandola al perimetrale est del nuovo
edificio (U.S.M. 22,) e al perimetrale nord di quello antico (U.S.M. 15) mentre
furono costruiti ex novo U.S.M. 24 e U.S.M. 25, che presentano ciottoli sagomati
in modo molto approssimativo, legati con malata assai tenace.
L’accesso nord all’ambiente voltato, ormai tamponato, rimase nascosto all’interno
della tomba 8, un ossario (fig. 8).
Dal riempimento della zona antistante il nuovo ingresso provengono alcuni fram-
menti di ceramica: si tratta di due frammenti appartenenti ad una forma aperta,
probabilmente una ciotola, ingobbiata graffita dipinta sotto vetrina, che presenta
impasto rosso mattone con rari inclusi e fissurazioni. La ciotola era decorata con
elementi astratti lineari concentrici sull’asse di tornitura, il piccolo labbro termi-
232 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

nava con un’ombreggiatura in verde ramina, mentre per il corpo era utilizzato il
giallo ferraccia, il verso era anch’esso ingobbiato fino a circa il 50% dell’altezza
totale, l’invetriatura risparmiava il piede cilindrico. Altri cinque frammenti appar-
tengono ad un altro contenitore aperto, ingobbiato graffito dipinto sotto vetrina,
con campiture a fondo ribassato rappresentanti un intreccio vegetale, cavo svasato
decorato con elementi figurativi fitomorfi, delimitati sugli strutturali fondamentali
da linee e dipinture giallo ocra e verde ramina. Il verso era completamente ingob-
biato, compreso il piede, complanare alla sezione della ciottola. Tutti i frammenti
potrebbero essere ascrivibili alla ceramica graffita arcaica padana tardiva, e databili
al pieno XVI secolo.
Le sepolture in chiesa cessarono nel 1786, allorché è testimoniata la creazione del
cimitero ancora esistente a sud dell’abside della chiesa attuale.

Fase 6. Abbassamento di quota e ultime modifiche strutturali


Nel 1858 è documentato un ampliamento voluto dal parroco, durante il quale venne
abbassato il pavimento (probabilmente alla quota attuale) e contemporaneamente
riempite le stanze sottostanti. Il riempimento in tempi così recenti è compatibile
con quanto riscontrato nello scavo: infatti l’ambiente voltato è risultato colmato
con grossi massi (US 22) e al di sotto con pietrisco fine (US 24, ma ciò avvenne
quando i corpi erano già mummificati poiché i più superficiali non presentano
gravi segni di compressione.
La chiesa fu ristrutturata ancora nel 1925 a seguito del terremoto del 7 settembre
del 1920. A questi lavori e ad altri successivi risalgono i numerosi frammenti di
carta rinvenuti nella setacciatura del riempimento.

I materiali
Pur trattandosi di una comunità di montagna, che viveva delle limitate risorse del
territorio, gli abitanti di Roccapelago nel loro ultimo viaggio erano forniti di un
essenziale ma completo corredo devozionale, come dimostrano le decine di meda-
glie votive recuperate, la gran parte in bronzo, molte con apicagnolo fisso, le più
modeste con foro ricavato nel tondo, spesso appuntate agli abiti con spilli, rinvenuti
in gran numero, i crocefissi in legno e metallo, i numerosissimi grani di rosario di
forma, dimensioni e materiale vario. Si è rinvenuta un solo esempio di lettera di
affidamento e una pezza in stoffa con la Madonna di Loreto a stampa, con la stessa
funzione delle medaglie.
Tranne poche eccezioni, come Sant’Oronzo di Lecce, le medaglie, sia nelle tombe di
superficie sia in quelle dell’ambiente voltato, presentano temi ricorrenti: Madonna
di Loreto, Madonna dei sette dolori, S. Emidio vescovo di Ascoli, poi S. Domenico,
il domenicano S. Vincenzo Ferrer, la porta santa, S. Francesco e il francescano S.
Antonio di Padova col bambino, il monogramma di S. Bernardino da Siena (an-
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 233

che lui francescano). I flussi devozionali sembrano portare verso il centro Italia, in
particolare Marche, Umbria e Toscana. Particolarmente interessante è il culto di
Sant’Emidio invocato contro i terremoti, che di frequente in passato hanno colpito
l’alta valle del Frignano, e il culto della Vergine dei sette dolori, rappresentata con
sette spade conficcate nel cuore. Il culto, particolarmente caro ai Servi di Maria
era molto diffuso in Romagna dove numerose erano le comunità di Serviti. La
medaglia potrebbe anche essere indice di seriorità degli individui che la portavano
poiché sebbene il culto risalga al XVII secolo, la festa venne istituzionalizzata da
papa Innocenzo XI solo nel 1688.
Molte defunte avevano indosso semplici gioielli che evidentemente portavano anche
in vita: fedi nuziali, anelli con pietre, orecchini.
Rarissime invece le monete e numericamente modesti anche i frammenti di ceramica.
Tra i materiali più frequenti vi sono i lacci per tenere composti i corpi.
L’abbigliamento è in gran parte costituito da semplici tuniche legate con un pun-
to tra le gambe per evitare che scivolassero su. I corpi poi venivano messi dentro
sacchi di iuta o tela, con la testa verso il fondo e legati con lacci o con un punto,
per stringere l’apertura. Quasi tutti portavano pesanti calze di lana. Alcuni abiti
femminili più elaborati presentano uno scavo quadrato del decolleté, decorato con
un semplice pizzo e maniche fermate da un polsino con bottoncino. Vi sono anche
alcune camicie allacciate sul petto con cordini o bottoncini.
Il copricapo più frequente è la cuffietta a calotta, sia da donna sia da bambino.
B.V.

Dati antropologici preliminari rilevati sul campione osteologico di Roccapelago


Il potente strato di corpi, strettamente adesi tra loro in una sequenza diacronica
probabilmente protratta nel tempo presentava alcuni aspetti peculiari degni di
interesse: gli inumati più profondi, pertinenti alla U.S. 28, furono deposti sfruttan-
do le asperità rocciose del massiccio sottostante la fabbrica della chiesa, affiorante
sotto al piano di calpestio, nonostante la corruzione dei resti e i danni inferti dalle
deposizioni successive, era ancora riconoscibile la giacitura primaria dei cadaveri
(persistenza di articolazioni labili quali il tratto cervicale della colonna vertebrale,
temporo mandibolari ecc.), spesso in decubito laterale, ma anche prone e supine.
La decomposizione è avvenuta in spazio pieno, lo dimostrano diverse sezioni in
disequilibrio trovate ancora in posizione originale, quali parti del costato e arti-
colazioni temporo mandibolari, i corpi probabilmente furono sepolti ed inglobati
dalla matrice dello strato terroso U.S. 28. Per caratteristica deposizionale, si sono
malamente conservati elementi accessori al corpo, rari gli indumenti, rarissimi i
sacchi usati a guisa di sudario. Successivamente, è continuata la pratica di deporre i
corpi nell’ambiente, ma in questo caso le deposizioni sono avvenute senza soluzione
234 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

fig. 9 – U.S. 23 id. 54:


composizione della salma
a mani intrecciate in de-
cubito laterale.

di continuità (U.S. 26 e U.S. 23), come dimostrano i tessuti dei sudari e degli in-
dumenti completamente adesi tra loro, quasi incollati dall’imbibimento dei fluidi
della decomposizione, riconoscibili grazie alle numerose macchie ancora visibili e
in assenza di diaframmi terragni di separazione. La tipologia di deposizione anche
in questo caso è primaria, oppure primaria rimaneggiata antropicamente dalle
successive sepolture, mentre la decomposizione in questo caso è avvenuta in spazio
vuoto (rotolamento del cinto pelvico, scivolamento della patella, verticalizzazione
scapolare, traslazione mandibolare, ecc., presenza di fauna cadaverica in alcuni casi
mummificata tra i corpi, deceduta forse per i miasmi tossici generati dalla decom-
posizione, numerosissimi pupari di ditteri esterni ed interni ai distretti scheletrici),
senza il rispetto di particolari allineamenti nella giacitura. Il particolare microclima
creatosi all’interno della camera di deposizione, favorito dalle due aperture indivi-
duate sulla parete E, ha prodotto in numerosissimi casi la conservazione di alcuni
tessuti e strutture legamentose e tendinee, così come sono discrete le condizioni di
alcuni elementi di abbigliamento o sacchi-sudario che avvolgevano i corpi.
Sono state individuate alcune forme di pietas attestanti una premurosa cura del
defunto da parte dei propri cari: la composizione del cadavere prevedeva mani
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 235

fig. 10 – U.S. 23 id. 18: metopismo.

intrecciate sull’addome o in atto di preghiera (fig. 9), i corpi venivano adornati


da monili quali anelli nuziali, gli abiti erano curati ed impreziositi da sobri pizzi e
piccole panneggiature ai polsi, non venivano tralasciati elementi di decoro come le
bende che fasciavano la mandibola per evitare lo spalancamento della bocca, cuciture
degli abiti applicate per mantenere uniti gli arti, in un caso si è osservata inoltre la
persistenza di un bendaggio cranico a scopo medicamentoso, indossato anche in
vita dall’individuo a causa di un’infezione forse generatasi in seguito ad un probabile
traumatismo, elementi beneauguranti e di protezione quali medagliette, crocifissi,
fino ad arrivare ad elementi cartacei con chiaro intento dedicatorio ed affidatorio del
defunto. Alcuni inumati si presentavano accessoriati da cuffiette, pettini e spilloni
eburnei per capelli, con acconciature elaborate come trecce raccolte e chignon.
Già ad una osservazione diretta del campo archeologico è stato possibile reperire
indicatori riconducibili ad anomalie congenite. Tra le displasie scheletriche eredi-
tarie repertate, sono stati individuati rari casi di perforazione del corpo dello sterno
con il tipico foro a tutto spessore, conseguenza del passaggio, durante le fasi vitali
uterine, di un fascicolo vascolare interpretabile come marker osseo di un’anomalia
vascolare congenita. Si è inoltre osservato almeno un caso di spina bifida occulta
sacrale inferiore incompleta, con i caratteristici archi vertebrali sacrali incompleti.
Afferenti alle caratteristiche epigenetiche sono stati osservati e repertati numerosi
casi di mancata sinostosi metopica con prolungamento totale della sutura sagittale
(fig. 10). La sutura che solitamente si salda in età precoce e comunque entro il
secondo anno di vita, è un’anomalia scheletrica che ha scarsa o nulla rilevanza sinto-
236 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

fig. 11 – U.S. 23 id. 31: vista dor-


sale della sinfisi pubica con segni
di parto.

matologica, con un’incidenza percentuale che non supera il 10% sulla popolazione
campione, con carattere di dominanza sulla trasmissione genitore-figlio. Riguardo
alla classificazione riconducibile ai markers occupazionali ed alle entesopatie da
stress, variegati e numerosi sono stati i reperti recuperati, alcune esemplificazioni le
troviamo nel carattere discontinuo non metrico del forame omerale settato, gene-
ralmente prodotto da ipersollecitazioni in vita dei tendini coinvolti nel movimento,
soprattutto a carico dell’articolazione con l’ulna; il forame trasversale settato su
scapola, carattere discontinuo non metrico che si individua sull’incisura del margine
superiore della scapola, che si presenta come un forame dovuto alla calcificazione
del legamento sotteso fra i bordi dell’incisura; la calcificazione è un chiaro segno
della sollecitazione meccanica in vita di quel legamento. Numerose le entesopatie,
significative alterazioni a livello delle inserzioni muscolo scheletriche sviluppate
in risposta ad attività lavorative osservate a carico di omeri, femori, tibie, fibule,
clavicole, mandibola. In rari casi si sono osservati segni evidenti di parto difficile,
evidenti nelle fosse retro-pubiche (fig. 11).
Per quanto concerne l’esito di traumatismi subiti in vita, si è riconosciuto un caso
di depressione del tavolato cranico, prodotto da traumatismo diretto sull’individuo
in vita: la lesione, lontana dal momento della morte, si è perfettamente rimodellata
assumendo la caratteristica fisionomia crateriforme del tavolato rinsaldato.
Per casistica forse attribuibile alla lesività antropica volontaria, almeno due evidenze
craniche ne dimostrano la presenza, si tratta di frattura a stampo dell’intero spes-
sore del tavolato (fig. 12) inferte peri-mortem, è infatti chiaramente individuabile
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 237

fig. 12 – U.S. 26 id. 18: sfondamento


del tavolato cranico.

la caratteristica elasticità della depressione, tipica della reazione dell’osso fresco e


non a dry bone: probabilmente è stata la causa del decesso, avvenuto però non
istantaneamente. Una singolarità è venuta alla luce: si è infatti osservato un caso
di trapanazione cranica a carico dell’occipitale per bulinaggio dello strumento,
probabilmente con finalità mediche: le tracce di cicatrizzazione ossea suggeriscono
la sopravvivenza dell’individuo alla pratica subita. Sia la tecnica che la sede depon-
gono piuttosto chiaramente per un intervento di tipo chirurgico, il punto prescelto
per l’intervento, circa 3 cm al di sopra della protuberanza occipitale esterna ed a
circa 2 cm lateralmente dalla linea mediana, appare ancora oggi nella letteratura
neurochirurgica come uno dei punti di elezione per questa pratica.
Per quanto riguarda la casistica delle infezioni aspecifiche, sono stati osservati nume-
rosi casi di periostite tibiale con interessamento della fibula, dal caratteristico aspetto
porotico e spugnoso: in questo caso l’infezione assume anche valenza di marker
occupazionale, essendo associabile a forti sollecitazioni della gamba forse da sovrac-
carico o da deambulazione in discesa. Un secondo stadio infettivo è rappresentato
dall’osteomielite, anch’essa infezione aspecifica, ma più grave della periostite: ne è
stato evidenziato al momento un unico campione; l’osso è di consistenza leggera,
238 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

aspetto rigonfio, prurigginoso e coralliforme, alternato a deposizione ossea di neo-


formazione più o meno maturo con le tipiche cloache di drenaggio.
Alcune sezioni di colonna erano affette da spondilite anchilosante, con il caratte-
ristico aspetto a canna di bamboo, dovuta alla fusione vertebrale con perdita degli
spazi intervertebrali e conseguente invalidità.
Numerosi casi di ernia di Schmörl, secondarie all’invaginazione del corpo verte-
brale per severa sollecitazione della colonna vertebrale, associabile soprattutto al
sollevamento e caricamento pesi.
Individuati rari casi di eburneazione (fig. 13) a carico del grande trocantere per
cause primarie, come la consunzione della capsula coxofemorale con perdita totale
della cartilagine e conseguente sfregamento delle due estremità ossee, e un caso di
eburneazione secondaria dovuta a gravissima deformità anatomica del femore.
Rare tracce a livello rachidiale suggeriscono il risultato dell’esposizione, in età giova-
nile, della colonna vertebrale a sovraccarichi funzionali, il corpo vertebrale in questo
caso appare schiacciato, con perdita del parallelismo delle facce articolari.
Infine numerosissimi casi di osteofitosi vertebrale, a testimonianza dell’estensione
anagrafica del campione esaminato, vista l’estrema frequenza con cui questo quadro
degenerativo colpisce gli individui di oltre 50 anni di età.
Un veloce survey autoptico sulle evidenze odontostomatologiche ha rilevato vari
gradi di carie (fig. 14) anche perforante e/o infiltrante, diversi livelli di usura dentale
a carico di tutti i distretti del dente. Numerosi i casi di riassorbimento alveolare
parziale o totale. La perdita precoce dei denti, probabilmente per carie infiltrante e
conseguente infezione batterica con perdita dell’elemento, ha determinato in diversi
casi il riassorbimento e assottigliamento del segmento osseo sottostante.
Il campione antropologico disponibile, analizzato preliminarmente, rappresenta
una chiara evidenza statistica degli antichi abitanti del territorio: non si è davanti a
un luogo di sepoltura canonicamente dedicato a specificità demiche quali i grandi
cimiteri abbaziali o monastici, non rappresentativi della collettività, bensì l’etero-
genea campionatura individuata, bilanciata tra sesso femminile e maschile e distesa
su tutte le fasce di età, unitamente all’eccezionale stato di conservazione, fornisce
una vera e propria finestra sugli usi, i modi, le malattie e la morte degli abitanti di
Roccapelago.
Le deposizioni risultano comunque molto disordinate perché non regimentate da
limiti fossori significativi; è ipotizzabile una prima fase di fruizione della camera di
sepoltura con accesso diretto, per la quale è appunto attribuibile la composizione
di alcune salme come poco fa descritto; secondariamente la fruizione dell’ambiente
deve essere avvenuta da un’apertura nel soffitto (il piano di calpestio della moderna
chiesa): in questo caso i corpi venivano probabilmente calati, si spiegherebbe quindi
il grave disordine delle salme, alcune delle quali presentavano posture assolutamente
singolari (supinazione completa del corpo con inarcamento spinale e ribaltamento a
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 239

fig. 13 – U.S. 23 id. 47:


testa del femore con
eburneizzazione secon-
daria ad un caso di facies
lunata enlargment.

fig. 14 – U.S. 23: evi-


denza di carie perfo-
rante interprossimale di
grado 3 e alcuni esempi
di ascesso che hanno
distrutto e riassorbito
parte dell’alveolo, con
conseguente perdita del-
l’elemento dentale.

livello cranio-caudale delle braccia, scivolamento laterale della salma sullo strato dei
cadaveri, fino a fissarsi in alcuni casi a circa 60° sulla linea cranio-caudale rispetto al
piano di calpestio, posizione seduta delle gambe sempre dovuta alla precipitazione
dei distretti periferici ancora freschi) che la parziale mummificazione di alcuni tes-
suti e l’abbigliamento hanno conservato. La botola di servizio era probabilmente
in prossimità della cuspide generatasi dall’accatastamento dei corpi.
È bene sottolineare che non si sono osservati elementi probanti in favore di una
deposizione per precipitazione violenta (fratture post mortem, dislocazioni secondarie
degli inumati precedenti, rotolamenti significativi del cranio scheletrizzato). In gene-
240 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

rale è sempre possibile riconoscere un preciso intento di chi ha deposto il defunto,


chiaramente volto alla compassione verso l’aspetto funerario: i corpi, al di là della
corruzione del peso sviluppatosi nel tempo, ricevevano cure che ne garantivano la
compostezza formale, il decoro e spesso non si trascurava il vezzo estetico che forse
era lo specchio della vita terrena del defunto. Le numerose testimonianze devozionali
quali medagliette, piccoli frammenti cartacei con finalità affidatorie, crocifissi e rosari
inframezzati agli strati deposizionali, definiscono chiaramente che ci troviamo di
fronte ad un luogo di sepoltura a cui gli abitanti di Roccapelago si votavano nella
certezza di affidare il proprio caro alla cura divina. L’analisi preliminare sul campo,
con tutti i limiti del caso, ha proficuamente riscontrato come dalle varie U.U.S.S.
ci sia una trasmissione pressoché diretta di alcuni caratteri epigenetici e discontinui
(mancata sinostosi metopica, perforazione sternale, l’anomalia della faccetta astra-
galo-calcaneare in due segmenti su un nutrito numero di inumati che tra i caratteri
non metrici è quello più indicativo di correlazione genetica, ecc.) che suggeriscono
il quadro di un luogo di sepoltura di una comunità chiusa, un isolato genetico forse
che ha sfruttato l’ambiente a lungo per questa funzione. L’osservazione dei markers
occupazionali ha invece permesso di delineare brani di vita quotidiana, certamente
non facile, che vedevano gli abitanti (con predominanza maschile sul campione attivo
lavorativamente) impegnati in attività che richiedevano il sollevamento di pesi anche
oltre le spalle, quali potevano essere attività boschive per la raccolta del legname,
lavorazione lapidea per costruzione, attività legate alla macellazione di cacciagione
voluminosa (numerosissimi esempi di forame omerale settato e forame trasversale
settato scapolare, irregolarità, rugosità, superficie rimodellata, rilievi, solchi sulle
aree di attacco dei muscoli e dei legamenti sull’osso), così come le numerose tracce
di degenerazione a carico della colonna vertebrale. Diversi sono gli esempi di com-
pressione del corpo vertebrale e numerosi i casi di ernie di Schmörl, anche dalla
giovane età, che suggeriscono un impegno sistemico della popolazione attiva con
carichi funzionali significativi; così come la presenza di esempi quali la facies lunata
enlargment ci parlano di attività da svolgere accovacciati in posizione di squatting o
a gambe flesse incrociate. L’adattamento all’ambiente montano, correlato ad attività
deambulatorie lo si rileva chiaramente da frequenti esempi di periostite: la patologia
risulta ben riconoscibile a livello tibiale e della fibula, dove può essere ingenerata da
microtraumi o da stasi venosa. È possibile ipotizzare quindi un impegno gravoso
a livello della deambulazione su percorsi non pianeggianti, in molti casi con la
gamba scoperta o poco protetta. Bisogna comunque sottolineare che questi markers
e indicatori occupazionali sembrano diluirsi con il passare degli anni, l’incidenza
maggiore è infatti rilevabile sui reperti di U.S. 26 rispetto alla più salubre U.S. 23,
questo a testimonianza di un miglioramento qualitativo dello stile di vita sul piano
diacronico, rilevabile sugli items occupazionali presi in considerazione. Il migliora-
mento non ha però prodotto un aumento della statura media, è quindi considerabile
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 241

un progresso dovuto a nuovi adattamenti funzionali e migliorate abitudini di vita


e forse lavorativa, come l’impiego di strumentazione più efficace ed ergonomica,
ma non significativamente legato a regimi alimentari maggiormente nutrienti che,
probabilmente, rimasero stabili nel tempo. La presenza piuttosto diffusa di carie
fa pensare ad un’alimentazione ricca di carboidrati, saltuariamente integrata da
proteine animali, altro elemento che depone favorevolmente sul miglioramento
occupazionale piuttosto che alimentare. L’indice di mortalità del campione rilevato
indica in generale un equilibrio piuttosto solido tra individui maschili e femminili:
circa il 60% degli inumati è rappresentato da adulti/maturi che superavano i 40
anni, la fascia d’età meno rappresentata è sicuramente quella produttiva (dall’adole-
scenza all’età adulta), con una lieve flessione negativa per il sesso femminile, su cui
gravavano i rischi del parto; i bambini hanno un’alta rappresentatività entro l’anno
di vita, la percentuale di decessi sembra poi diminuire. L’elevato numero di adulti
in U.S. 26 e U.S. 23, relazionato al significativo campione di infanti in U.S. 34 e
U.S. 36, trova una probante conferma in quanto registra don Giovanni Bianchi
nel 1803, quando descrivendo i sepolcreti presenti entro la chiesa di Roccapelago,
ci dice che uno era tra gli altari di San Rocco e Sant’Antonio, dove si deponevano
gli adulti e uno di fianco all’altare di Sant’Antonio, dove si deponevano i pargoli;
ancora oggi la sequenza degli altari sulla parete E della chiesa rispetto all’entrata,
prevede Sant’Antonio da Padova e Carlo Borromeo, la Madonna Addolorata, San
Rocco e San Pellegrino e infine la Madonna del Rosario, assetto che incornicia il
volume di U.S. 26 e U.S. 23 tra Sant’Antonio e San Rocco appunto, mentre U.S.
34 e U.S. 36 si trovano di poco spostate rispetto all’altare di Sant’Antonio.
L’osservazione dell’età di morte ha rilevato un’alta presenza di decessi di individui
di sesso femminile con età inferiore ai 25 anni (il 25% della presenza) nonché di
feti, perinatali e infanti nel primo anno di vita (corrispondenti circa al 50%). La
relazione tra questi due range di età induce a ritenere che buona parte della mortalità
avvenisse in relazione al parto, in modo particolare a parti prematuri, così come
lo svezzamento restava un periodo a rischio per la sopravvivenza. Soprattutto per
quanto riguarda il dato osservato sui feti, è stato stimato che la nascita pretermine
avveniva tra la 30esima e la 38esima settimana di vita intrauterina. L’eziologia più
accreditata è generalmente quella infiammatoria-infettiva, la quale induce ad avere
una anticipata contrazione dell’utero e generalmente è associata ad una sofferenza
fetale del nascituro. I fattori coinvolti possono essere anche altri a partire dall’età della
madre inferiore ai 20 anni o superiore ai 40 anni, gravidanze gemellari, distacco di
placenta, sottopeso della madre, iposviluppo fetale, malformazioni dell’utero, stati
di anemia. Il parto prematuro inoltre comporta un nascituro con sviluppo incom-
pleto degli organi (polmoni, cuore, cervello, incapace di controllare la temperatura
e di nutrirsi) influendo sull’adattamento della vita extrauterina, con il conseguente
242 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

aumento del rischio di mortalità nel primo anno di vita, dato che trova conferma
nei numerosi casi campionati nell’ambiente voltato.
Nel caso in oggetto le osservazioni fatte sullo stato di salute dei denti sono indicativi
del generale stato di salute della comunità di Roccapelago. Il dato è rilevabile sul
campione adulto in entrambi i sessi. Si può sostenere che la scarsità di cibo, insieme
ad un generale stato igienico carente, abbiano inciso soprattutto sugli esiti delle
gravidanze. Gli stati patologici, a carico dei denti anteriori e posteriori su mandibola
e mascella, con carie deostruenti e parodontopatie, sono una presenza regolare del
campione umano presente nell’ambiente voltato. Durante la gravidanza le gengive
soffrono dell’aumento del volume di sangue e di liquidi interstiziali, in coerenza
con la presenza della nuova vita, ed in seguito a questo tendono a sanguinare favo-
rendo maggiormente il ristagno dei residui alimentari, con conseguenze ulteriori
anche per i denti. Le alterazioni dei livelli ormonali possono provocare recessioni
gengivali, aumento della mobilità dentale e piccole formazioni gengivali denominate
granulomi piogeni o epulidi gravidiche.
Anche eventuali carenze vitaminiche A, B, C, PP, Ferro o sali minerali (che però al
momento non trovano riscontri materiali sulla struttura ossea generale) possono causare
alterazioni gengivali caratterizzate da infiammazione, gonfiore, ulcerazioni e sangui-
namento. Dalle esperienze cliniche riscontrate tutt’oggi si è evidenzia che le malattie
parodontali sono associate ad un aumentato rischio di nascita di bambini prematuri
e/o sottopeso, tanto più il rischio era alto in passato. Oggi infatti sappiamo che alcuni
processi infiammatori acuti della madre, possono svolgere un ruolo non secondario
nella comparsa di alterazioni patologiche della gravidanza. Esistono delle ipotesi di
correlazione tra parodontite ed eventi negativi associati alla gravidanza. Una si basa
sulla possibilità che le donne con parodontite siano soggette a frequenti batteriemie. I
batteri attivano una cascata di processi infiammatori a livello della placenta e del feto,
con rischio di parto pre-termine e/o nascita di bambini sottopeso. Un’altra ipotesi si
basa sul fatto che le parodontiti sono in grado di causare un aumento generalizzato di
sostanze ad attività pro-infiammatoria che provocano alterazioni a carico della placenta
e del feto. Con conseguente riduzione dell’incremento del peso corporeo del nascituro
e lo sviluppo di contrazioni uterine premature, con rischio di parto pre-termine e/o di
nascita di bambini sottopeso. Le difficoltà legate al parto sono inoltre testimoniate da
identature sulla superficie posteriore del corpo del pube riconducibili ad alterazioni
ossee dovute allo sforzo dei fasci muscolari che passano in stretto contatto con l’ischio,
come il muscolo piccolo rotondo delle ovaie direttamente interessato.
La particolarità del ritrovamento avvenuto nella Chiesa della Conversione di San Paolo
a Roccapelago, sta nel fatto che lo studio laboratoristico e strumentale sulle mummie
potrà fornire conferme alla situazione rilevata on field, dimostrando quali siano state
le effettive cause di queste morti bianche e delle probabili puerpere e, in generale,
confutare o puntualizzare quanto preliminarmente ipotizzato durante le osservazioni
Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese 243

svolte congiuntamente allo scavo archeologico, che hanno avuto come principale focus
quello di evidenziare il potenziale informativo che il campione antropologico poteva
fornire ed essere sviluppato in un progetto di ricerca più ampio e multidisciplinare.
M.T., V.M.

I resti umani di Roccapelago: ricostruzione antropologica


di una comunità isolata dell’Appennino modenese
Il ritrovamento dei resti umani, in parte mummificati, di numerosi inumati, nella
chiesa di Roccapelago (Mo), riveste un grande interesse scientifico, sia per le impor-
tanti conoscenze che esso potrà fornire per la ricostruzione della storia antropologica
e bioculturale della piccola comunità vissuta nel passato in questa località, sia per
indagare sui processi e sui meccanismi microevolutivi delle popolazioni umane e sul
loro rapporto con l’ambiente e le risorse. Dai resti umani si possono infatti ottenere
molte informazioni sulle caratteristiche biologiche e sulle vicende umane di individui
vissuti nel passato. Essi conservano tracce del profilo biologico di ciascun individuo,
che possono consentire di ricostruirne ad esempio l’aspetto somatico, il sesso, l’età di
morte, fino anche all’identità genetica attraverso l’esame del DNA estratto dai resti.
Allo stesso tempo sui resti scheletrici si possono individuare indicatori correlati con la
dieta nonché segni riconducibili a malattie, a stati carenziali, all’attività fisica svolta o
ad eventi traumatici che hanno colpito il soggetto nel corso della sua esistenza.
Le osservazioni preliminari finora eseguite sui materiali osteoarcheologici di Roc-
capelago preannunciano risultati di notevole interesse anche con riferimento alle
particolari condizioni ambientali, di vita e di sussistenza nonché di isolamento
geografico e bioculturale in cui è vissuta questa piccola comunità per secoli. Tutto
ciò suggerisce di effettuare su di essi una ricerca sistematica, multidisciplinare, con
un duplice scopo, scientifico e di comunicazione delle conoscenze, anche mediante
tecnologie innovative di ricerca e di divulgazione scientifica. Con questo obiettivo
gli studi che ci si propone di effettuare sono i seguenti:
– analisi osteologica dei reperti, anche con l’ausilio di tecniche radiologiche (ra-
diografie e TAC) e istologiche, finalizzate alla ricostruzione delle caratteristiche
antropologiche e paleodemografiche della popolazione; esame delle lesioni odon-
tostomatologiche e ossee dovute a malattie genetiche, metaboliche, infettive ed
osteoarticolari, a traumi, a cause igienico-nutrizionali e a stati carenziali;
– analisi degli indicatori di stress biomeccanici, funzionali e ambientali dello sche-
letro riconducibili all’ambiente e all’attività fisica svolta;
– esame degli indicatori dentali nonché degli elementi in traccia e degli isotopi
stabili presenti nelle ossa per la ricostruzione della paleo dieta;
– rilevazione e analisi dei caratteri epigenetici dello scheletro in relazione alle possibili
condizioni endogamiche della comunità;
244 G. Gruppioni, D. Labate, L. Mercuri, V. Milani, M. Traversari, B. Vernia

– analisi del DNA estratto dai reperti per la ricostruzione della struttura e della
storia genetica della popolazione nonché della possibile continuità genetica con la
comunità locale attuale;
– studi di entomologia archeologica su resti di insetti e larve associati alle sepolture
allo scopo di contribuire a rivelare aspetti connessi con le modalità e le condizioni
di inumazione;
– indagini paleomicrobiologiche finalizzate alla rivelazione di microrganismi pa-
togeni;
– ricostruzione mediante modellazione virtuale 3D e tecniche di facial reconstruc-
tion in uso nel campo dell’antropologia forense, del volto e dell’aspetto somatico
di alcuni inumati;
– ricostruzione mediante tecnologie virtuali 3D delle sepolture più significative da
impiegare ai fini di una efficace valorizzazione e divulgazione in ambito museale.
G.G.

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