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SELINUNTE

Restauri dell’antico

DE LUCA EDITORI D’ARTE


Volume promosso da Fondazione Sorgente Group

Presidente
Valter Mainetti

Vicepresidente
Paola Mainetti

Direttore Scientifico
Claudio Strinati

Responsabile Comunicazione
Ilaria Fasano

Curatrice per l’Archeologia


Valentina Nicolucci

Coordinamento scientifico
Caterina Greco

Cura redazionale
Valentina Nicolucci

Contributi scientifici
Pubblicazione degli Atti del convegno
Selinus 2011. Restauri dell’antico. Ricerche ed esperienze nel Mediterraneo
di età greca (Selinunte, Baglio Florio 20-23 ottobre 2011).
I testi sono stati rivisti e aggiornati dagli autori in occasione della presente
pubblicazione.

Ricordiamo con stima Nicola Bonacasa, Antonino Di Vita, Mario Luni,


Paolo Marconi, che nel frattempo ci hanno lasciato.

Ringraziamenti
Si ringraziano particolarmente Caterina Greco, Mario Luni,
Valerio Massimo Manfredi, Girolamo Turano, per averci coinvolto in
questo ambizioso progetto.

In copertina: © 2016 Musa Comunicazione - Roma


Selinunte, tempio G (foto di Ivan Guardino) Musa Comunicazione S.r.L.
www.facebook.com/follownonphotographer Via Sardegna, 38 - 00187 Roma
www.instagram.com/ivan_guardino CF/P.IVA 06020971005
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www.non-photographer.com www.musacomunicazione.com

© 2016 De Luca Editori d’Arte - Roma


Finito di stampare nel mese di novembre 2016
Stampato in Italia - Printed in Italy
ISBN 978-88-6557-273-3
SOMMARIO

VALTER e PAOLA MAINETTI


7 Presentazione
CATERINA GRECO
8 Introduzione

SELINUNTE

DIETER MERTENS
13 I templi e la città. Problemi e prospettive del restauro architettonico a Selinunte

ROSALIA PUMO MARCONI


59 Immagine e immagini di Selinunte nelle descrizioni dei viaggiatori

CLEMENTE MARCONI
71 Anastilosi a Selinunte: i primi 200 anni (1779-1977)

CARMEN GENOVESE
79 Restauri archeologici nel primo Novecento.
Le anastilosi del tempio C a Selinunte e del tempio di Eracle ad Agrigento

SEBASTIANO TUSA
91 Luci ed ombre delle ricostruzioni selinuntine

CARLA MARIA AMICI


99 Dal rilievo al restauro: contributi diagnostici e operativi del rilievo
e dell’analisi tecnica nel restauro degli edifici antichi

EMANUELA GUIDOBONI, ANNA MUGGIA, GUIDO DE CARO


109 I terremoti di Selinunte nel dialogo fra sismologia e archeologia

MARIO LUNI, OSCAR MEI


123 Il tempio G di Selinunte

GIANFRANCO ADORNATO
139 Sul “Gigante” del tempio G

LORENZO LAZZARINI
145 La calcarenite gialla dei templi di Selinunte:
cave, caratterizzazione, problemi di conservazione

CARMELO BENNARDO, FRANCESCO MANNUCCIA


153 Restauri in corso al tempio C di Selinunte.
Una chiave d’accesso alla conoscenza dei capitelli arcaici

SICILIA

MICHEL GRAS, HENRI TRÉZINY


177 Megara Hyblaea fra passato e futuro
ERNESTO DE MIRO
183 Il restauro dei templi di Agrigento dal dopoguerra agli anni Novanta
HEINZE BESTE
191 Il progetto di restauro del tempio di Giove ad Agrigento
ROSSELLA GIGLIO
197 Interventi di archeologia urbana: i restauri della Lilibeo punico-ellenistica
CARMINE AMPOLO, MARIA CECILIA PARRA
205 La grande stoà di Segesta: dalle realtà alle ricostruzioni virtuali, e oltre
ALESSANDRO G. CARLINO
217 Ripensare l’antico. Note sui restauri settecenteschi
della Regia Custodia nel Val di Mazara (1779-1810)
FRANCESCA SPATAFORA, VALERIA BRUNAZZI
237 Restauri e riconfigurazione del complesso monumentale agorà/teatro di Iaitas

ITALIA
GIULIANA TOCCO SCIARELLI
251 Il restauro dei templi di Paestum: metodologie e tecniche di intervento
ALFONSINA RUSSO TAGLIENTE
259 Per un’archeologia del paesaggio dell’Alto Molise

GRECIA
SOPHOKLIS ALEVRIDIS
267 Il restauro del tempio di Apollo a Bassae
NILS HELLNER
279 Il tempio di Zeus ad Olimpia: la concezione di restauro e la sua realizzazione
DAVID SCAHILL
287 Architectural reconstruction at Ancient Corinth, Old and New: the South Stoa
MARIA IOANNIDOU
297 The Acropoli restoration project
TASOS TANOULAS
309 The restoration of the Propylaia, 1982-2011
KONSTANTINOS KARANASOS
321 La ricomposizione della parte superiore del muro sud dei Propilei
ENZO LIPPOLIS
329 Restauro e reimpiego nelle poleis della Grecia:
esempi e forme di una prassi negata
LIBIA
MONICA LIVADIOTTI
355 La Curia del Foro Vecchio di Leptis Magna:
un caso poco noto di anastilosi parziale
ANTONINO DI VITA
369 Il mausoleo punico-ellenistico B di Sabratha e il tetrapilo di Leptis Magna:
due restauri monumentali in Libia
NICOLA BONACASA
383 Il tempio di Zeus a Cirene (Libia, 1967-2010)

TEORIA e METODO
GIORGIO ROCCO
395 L’anastilosi dell’antico. Problemi teorici ed esperienze progettuali
FABRIZIO AGNELLO
411 Restauri digitali
ROBERTA BELLI PASQUA
419 L’uso della scultura architettonica nell’esperienza di anastilosi dell’antico
MARIO TORELLI
431 Il tempio, la festa, il passato

441 TAVOLE

RIFLESSIONI FINALI
GIROLAMO TURANO
481 Restauro dell’antico. Ricerche ed esperienze nel Mediterraneo greco
LICIA VLAD BORRELLI
482 Le intemperanze degli architetti e le renitenze degli archeologi
SALVATORE D’AGOSTINO
484 L’angoscia della sicurezza e la complessità dell’anastilosi
PAOLO MARCONI
486 Istituto Tecnico Superiore, Corso professionalizzante di alta formazione tecnica
in conservazione, restauro e manutenzione dei siti archeologici
nel Parco archeologico di Selinunte
VALERIO MASSIMO MANFREDI
489 A proposito di ipotesi di parziale anastilosi concernenti il tempio G
LA CALCARENITE GIALLA DEI TEMPLI DI SELINUNTE:
CAVE, CARATTERIZZAZIONE, PROBLEMI DI CONSERVAZIONE

LORENZO LAZZARINI
(Università di Venezia)

La pietra gialla dei templi di Selinunte, generalmente nota come calcarenite, pur essendo largamente
impiegata in tutta la vasta chora selinuntina (includente la città di Castelvetrano) e mazarese in mo-
numenti antichi di varia epoca e in costruzioni classificabili come edilizia comune, è stata oggetto di
vari studi geologici e, in minor misura petrografico-geochimici, ma per nulla caratterizzata dal punto
di vista fisico-meccanico (su cui si forniscono qui i primi dati); non sembrano esistere poi sufficienti
ricerche sui problemi relativi al suo deterioramento e conservazione.
Questa nota * ha quindi lo scopo precipuo di ricostruire brevemente la storia degli studi scientifici
sulle calcareniti di Selinunte, di fare il punto sulle conoscenze sinora acquisite e mettere in evidenza
le principali lacune che rimangono da colmare, anche in funzione di future campagne di restauro e
manutenzione sui monumenti selinuntini che allo stato dei fatti sembrano sempre più necessarie e
urgenti.

LA GEOLOGIA E LE CAVE

Selinunte gravita su sedimenti di tipo molassico che fanno parte dell’unità stratigrafico-strutturale
saccense, probabilmente appartenente all’Avampaese Siciliano, in particolare a un prolungamento oc-
cidentale dell’Unità Iblea 1. I sedimenti più superficiali sono costituiti da circa 400-450 m di calcari
pliocenici, e da circa 2000 m di calcareniti pleistoceniche 2. Tra quest’ultime, quelle dell’Unità del
Monte Magaggiaro (Monte S. Calogero e Pizzo Telegrafo) comprendono tre piani geologici, il Sau-
terniano, l’Emiliano e il Siciliano, che Ruggeri e Sprovieri 3 hanno suggerito di unire in un superpiano
denominato Selinuntiano. La trivellazione di un pozzo per la ricerca di petrolio fatta dall’AGIP nel
1996 4 ha evidenziato uno spessore di 1280 m di sedimenti Plio-Pleistocenici corrispondenti a quella
che viene solitamente definita “calcarenite selinuntina”. Questa però, pur affiorando in vaste aree at-
torno a Selinunte, per la geomorfologia poco rilevata del terreno che ha subito intense erosioni nel
quaternario recente, si presenta come una estesa piastra massiva (con stratificazione/laminazione
poco, o per nulla, evidente a un esame delle superfici di taglio antiche e moderne) che ha consentito
di ricavare in antico dei fronti di cava stimabili (sottraendo l’interro attuale) come alti al massimo
una quindicina di metri.
Come è facilmente intuibile anche solo da una rapida visita all’estesissima area archeologica di Se-
linunte, le cave della calcarenite non possono che essere locali e molto numerose. Percorrendo il
territorio cittadino e quello retrostante, si può infatti osservare che il materiale lapideo è stato estratto
in quantità molto variabili in parecchi luoghi, lì dove affioravano spuntoni di roccia di buona qualità.
Le principali cave si possono comunque raggruppare in tre località, Manuzza, entro la polis stessa,
Parche di Noto e Cusa: esse sono state ben descritte e cartografate dall’archeologa A. Peschlow-Bin-
dokat 5, e rivisitate dal geologo P. Pallante 6 che ne ha integrato la descrizione nell’ambito di una tesi
dottorale sulla calcarenite selinuntina finalizzata a una sua caratterizzazione archeometrica e conseguente
determinazione della provenienza della pietra dei templi di Selinunte. Da queste due preziose fonti di
informazione si ricava in sintesi che:
– le cave di Manuzza, denominate anche “Cave di Casa Sabato”, aperte presso i margini occidentali
dell’acropoli, erano estese lungo un fronte di circa 200 m che si affaccia sulla valle del fiume Sélino,
in particolare sulla sua riva sinistra. Mostrano fronti alte al massimo 5 m, con tracce di coltivazione
generalmente mal conservate: da esse è stato calcolato un volume massimo di pietra estratta attorno
ai 700 m3;

LA CALCARENITE GIALLA DEI TEMPLI DI SELINUNTE… 145


– le cave delle Parche di Noto includono quelle denominate “Cave di Barone” e “Cave di Latomia
Landaro”. Esse comprendono vari loci estrattivi, talora lunghi qualche centinaio di metri (la cava più
grande, seminterrata, è circa 300 x 100 m, con fronti alte circa 4 m) e parzialmente interrati, nel com-
plesso ben conservati, mostranti spesso tracce delle tagliate e con blocchi antichi e colonne semilavorati
ancora in posto. Il volume totale di calcarenite estratta è stato calcolato attorno ai 5500 m3;
– le cave di Cusa includono due siti ora geograficamente appartenenti al comune di Campobello
di Mazara, di cui il principale è stato trasformato in parco archeologico perché conserva perfettamente
le tracce della coltivazione antica, in particolare della cavatura di grandi rocchi di colonna (che
dovevano al massimo essere alti 4 m) sicuramente destinati ad architettura templare 7. Questo sito, de-
nominato “Cave di Cusa” presenta numerosissime tagliate lungo circa 2 km, con fronti alte sino a 6-
8 m, ed è stato calcolato abbia fornito una quantità davvero ragguardevole di pietra, valutabile in
circa 250.000 m3.
Dalle superstiti tracce di cavatura, in particolare in presenza di incisioni lineari più o meno inclinate
e parallele tra loro e tacche concave, si ritiene che gli strumenti più utilizzati per estrarre i blocchi e i
rocchi di colonne fossero quelli tipici in uso in tutto il mondo ellenizzato 8, e cioè dei picchi leggeri,
che servirono allo scavo dei canali necessari all’isolamento dei blocchi/rocchi stessi, e delle asce
impiegate nella loro riquadratura e regolarizzazione delle superfici. Pozzetti per l’inserimento di cunei,
verosimilmente metallici, sono pure stati osservati, anche se raramente.

CARATTERIZZAZIONE MINERO-PETROGRAFICA, GEOCHIMICA E FISICA

La calcarenite selinuntina ha in passato attirato l’attenzione di petrografi e geochimici dell’Università


di Palermo 9 solo in occasione di studi archeometrici applicati alle sculture dei templi di Selinunte, in
ciò stimolati da Vincenzo Tusa, l’archeologo ideatore e realizzatore dell’attuale Parco Archeologico.
Tali studi hanno così per la prima volta caratterizzato minero-petrograficamente e chimicamente i due
materiali “teneri” locali utilizzati per scultura e architettura nei monumenti selinuntini, la calcarenite
gialla dalle cave di cui sopra, e il calcare biancastro (definito, impropriamente, anch’esso calcarenite)
di Menfi (Cava Misilbesi) che per la sua omogeneità, maggiore compattezza e finezza granulometrica
risulta essere stato impiegato prevalentemente per scultura. È risultato così che ambedue le pietre sono
di origine organogena marina, la prima è una calcarenite vera e propria con contenuti in quarzo e altri
minerali silicatici fino al 27% in volume, mentre il secondo è una biomicrite con percentuali trascurabili
di quarzo (al massimo un 2%). È stato provato anche come tutti e due questi litotipi siano effettivamente
stati utilizzati nei monumenti selinuntini. La biocalcarenite gialla è stata successivamente oggetto di
un secondo studio geologico, minero-petrografico e geochimico da parte di U.F. Hein 10, un collaboratore
della Peschlow-Bindokat, che ha inserito le formazioni litologiche affioranti attorno a Selinunte nel
più ampio panorama geologico della Sicilia occidentale, e ha anch’egli fornito una caratterizzazione
minero-petrografica e geochimica dei relativi materiali sulla falsariga degli studiosi palermitani, inte-
grandone però i dati sia per i campioni di riferimento di cava (ad es. con misure colorimetriche e con
valori di porosità stimata al microscopio in sezione sottile), sia prendendo in esame campioni di più
templi e tentando una loro attribuzione a possibili cave di origine sulla scorta di confronti tra i
contenuti di due elementi maggiori (Ca e Mg) e tre in traccia (Sr, Fe, Mn), senza peraltro arrivare a
risultati conclusivi. Un terzo studio è stato poi effettuato da un gruppo di petrografi e geochimici delle
università di Modena, Roma e Urbino 11 con metodologie di laboratorio analoghe a quelle impiegate
dai precedenti ricercatori, anche qui però integrate da nuove analisi quali quelle granulometriche, e di
determinazione dei rapporti degli isotopi stabili del C e dell’O, nonché completate da elaborazioni sta-
tistiche dei risultati. Quest’ultimi sono serviti poi per tentare di identificare la cave di provenienza di
vari elementi architettonici del tempio E opportunamente campionati. Gli esiti di questa indagine
hanno portato a una migliore definizione della frazione silicoclastica e della microfauna fossile presente
nella calcarenite gialla 12, e una più completa caratterizzazione geochimica, parametri comunque
apparsi tutti insufficienti a risolvere il problema archeometrico del tempio, problema che apparve
legato a una bassa capacità caratterizzante della petrografia (includendo in essa la micropaleontologia)
e delle analisi granulometriche e isotopiche, e a una ridotta banca dati chimici di riferimento. Ritenendo

146 LORENZO LAZZARINI


che quest’ultima, opportunamente im-
plementata da un elevato numero di
dati analitici relativi alle tre grandi arre
di cava di cui sopra, e a una campiona-
tura più fitta e mirata dal tempio E
(Heraion) e da altri edifici templari se-
linuntini, potesse essere archeometrica-
mente risolutiva, venne affidata al Dr.
Pallante 13 una tesi dottorale ad hoc,
confidando che un adeguato allarga-
mento e approfondimento della ricerca
potesse dare una risposta al quesito an-
cora una volta sollecitato da un archeo-
logo, Giorgio Gullini, specialista di ar-
chitettura greca, circa l’identificazione
sicura, archeometrica, delle cave di pro-
venienza delle varie parti architettoni- Fig. 1. Micrografia di una sezione sottile di calcarenite selinuntina: si notano
un biosoma di nummolite, bioclasti di echinodermi, alghe rosse, bivalvi,
che del tempio E che lui riconosceva ri- intraclasti micritici e grani di quarzo subarrotondato (bianchi) in un cemento
cavate da calcareniti gialle di qualità microsparitico con numerosi pori (neri). N+, lato lungo = 2,55 mm.
diversa in corrispondenza di differenti
funzioni (portanza di colonne a archi-
travi, riempimenti del crepi doma, ecc.)
esercitate nella struttura templare. Lo
studio del Pallante ha finalmente por-
tato a un livello ottimale la conoscenza
delle caratteristiche mineralogico-petro-
grafiche e geochimiche generali della
calcarenite gialla. Riassumendo i suoi
risultati (che hanno ovviamente tenuto
conto di quelli ottenuti dagli studiosi
che lo hanno preceduto), e integrandoli
(Fig. 1) con nuove informazioni, per la
calcarenite gialla selinuntina si possono
elencare le seguenti caratteristiche pe-
trografiche e geochimiche:
– la roccia si può ritenere una tipica
Fig. 2. Come in fig.1, ma a più alto ingrandimento per mostrare il cemento
biocalcarenite (classificabile per lo più micritico/microsparitico; si noti anche la sezione di un radiolo di echinide e
come una grainstone talora passante a di una alga rossa. Lato lungo = 1,03 mm.
rudstone secondo Dunham 14) formatasi
per litificazione di un sedimento marino carbonatico ben classato e di elevata maturità tessiturale de-
positatosi in acque calde e di bassa profondità contenente un’abbondante frazione organogena cui si
è mescolato in quantità subordinate e variabili, un sedimento di origine terrigena formato da clasti di
rocce magmatiche e sedimentarie, e di loro singoli componenti;
– la frazione organogena è formata da bioclasti raramente interi di vari micro e macro-organismi
marini (Figg. 1-2). Tra i primi prevalgono le alghe corallinacee e rosse crostose, mentre meno
abbondanti sono: rotalidi, globigerinidi e globorotalidi, miliolidi, briozoi, textularidi, operculinidi,
Ammonia beccari, Elphidium crispum, Hastigerina siphonifera, ecc. Tra i secondi sono presenti ab-
bondanti piastre e radioli di echinidi (Fig. 2), meno frequenti frammenti di gusci di bivalvi, e ancor
meno di gasteropodi e balanidi;
– la frazione silicoclastica, presente in percentuali variabili dal 5 al 30% in volume, è costituita da
abbondanti granuli (da subarrotondati a arrotondati) di quarzo (Fig. 1), talora policristallino suban-
goloso/angoloso, e mirmechitico e con inclusioni di rutilo e titanite; clasti molto meno abbondanti di
feldspati (per lo più plagioclasi di varia composizione, più o meno alterati, e raro microclino), miche

LA CALCARENITE GIALLA DEI TEMPLI DI SELINUNTE… 147


(biotite più o meno cloritizzata e rara
muscovite) e quarzoarenite (con K-fel-
dspato e biotite alterati); sono compo-
nenti accessorie la dolomite, identificata
mediante diffrazione dei raggi-X
(XRD), la selce, le siltiti, le micriti a
calpionelle, la glauconite, l’apatite, i
minerali opachi (soprattutto di tipo li-
monitico), un clinopirosseno, dei mine-
rali argillosi (rilevati mediante XRD,
ma non identificati) e lo zircone;
– il cemento è carbonatico (calcitico)
(Fig. 2), e mostra caratteristiche varia-
Fig. 3. Grafico evidenziante la possibilità di identificazione della calcarenite bili dalla micrite, alla microsparite (pre-
delle tre cave principali di Cusa, Parche di Noto e Manuzza come risultato
dell’analisi discriminante (da PALLANTE 1996). valente), alla sparite, ed è sia di origine
organogena, sia vadosa.
Le suddette caratteristiche sono pressoché ubiquitarie nelle calcareniti di tutte e tre le zone di cava
(Manuzza, Parche e Cusa) e quindi non consentono una loro differenziazione univoca, come anche
l’analisi granulometrica e morfologica del quarzo.
Le analisi geochimiche eseguite su una quantità elevata (oltre un centinaio) di campioni di cava, e
comprendenti la determinazione dei rapporti degli isotopi stabili del Carbonio e dell’Ossigeno (SIRA)
mediante spettrometro di massa, e analisi chimiche quantitative mediante spettrometria in fluorescenza
dei raggi-X (XRF) e spettrofotometria di assorbimento atomico (AAS) di un più ampio numero (32)
di elementi maggiori, minori e in traccia hanno consentito di giungere a conclusioni parzialmente
positive al fine di una caratterizzazione delle singole cave. In particolare si è verificata l’aleatorietà dei
dati isotopici presi singolarmente in quanto apparsi notevolmente influenzati per il C dal tipo di
cemento, come si è detto talora di genesi mista, presente nelle calcareniti. Più utile invece è apparsa
l’analisi chimica che ha contribuito da sola a fornire una qualche discriminazione tra la pietra delle
cave di Manuzza e quella delle due altre località estrattive, anche se, in generale i dati chimici non
hanno evidenziato un carattere diagnostico univoco. Migliori risultati sono invece scaturiti da una
analisi statistica discriminante che ha preso in considerazione i contenuti di 12 elementi chimici (Si,
Al, K, Fe, Mn, Sr, Y, Nb, Zr, Nd, V, Sc): si è così arrivati a una separazione ottima tra le cave di
Manuzza e le altre due località, discreta tra le cave delle Parche e quelle di Cusa (Fig. 3).

LA PROVENIENZA DELLE CALCARENITI DEI TEMPLI

Come detto sopra, le calcareniti delle metope dei templi selinuntini sono state per la prima volta
studiate da Carapezza e collaboratori nel 1983 che verificarono la coincidenza tra le pietre di alcuni mo-
numenti di Selinunte e le calcareniti delle cave di Cusa, Manuzza e Parche. Essi riscontrarono anche l’im-
piego del calcare bianco di Menfi (cava di Misilbesi) 15 in alcune metope arcaiche della città antica. Ad
analogo risultato arrivarono anche gli studi dello Hein, più puntuali ed estesi nel confronto tra pietra
dei monumenti e pietra delle cave. Ambedue queste ricerche però, al di là di generiche indicazioni non
considerarono analiticamente la possibilità che uno stesso tempio potesse essere stato edificato con pietre
provenienti da cave diverse, come giustamente ipotizzato dal Gullini sulla base di sue accurate osservazioni
macroscopiche sulla qualità delle pietre delle varie membrature architettoniche dell’Heraion. Del resto
la limitata banca dati accumulata nei due citati studi non forniva sufficienti garanzie di riuscire a risolvere
il difficile problema prospettato dallo studioso torinese. Una indicazione al proposito è invece venuta
dallo studio del Pallante che ha preso in esame in particolare il tempio E, con una campionatura guidata
dall’archeologo C. Zoppi delle pietre delle tre fasi costruttive, e attribuito la maggior parte delle pietre
stesse alle cave di Cusa e subordinatamente a quelle delle Parche. Analogamente è stato proposto che le
pietre del santuario di Demetra Malophoros, come quelle dei templi A e G siano del tutto provenienti
dalle cave di Cusa, mentre le calcareniti in opera nei templi C e F verrebbero da ambedue queste località 16.

148 LORENZO LAZZARINI


LE MORFOLOGIE, LE CAUSE DI DETERIORAMENTO,
I PROBLEMI DI CONSERVAZIONE

Come anticipato nella breve introduzione, sono


davvero poche le informazioni disponibili sulle
problematiche connesse al deterioramento e con-
servazione della calcarenite dei monumenti di Se-
linunte: se si esclude infatti uno studio sui licheni
che ne infestano abbondantemente le superfici pro-
ducendo non solo fastidiosi danni estetici, ma con-
tribuendo anche a un non trascurabile biodeterio-
ramento della pietra 17, non sembrano esistere altre
ricerche su questi argomenti. Per il momento, quin-
di, si possono solo enumerare le principali macro-
morfologie riscontrabili visivamente sugli edifici
selinuntini e indicare le loro possibili cause gene-
tiche. Si può così senz’altro rilevare, anche solo da
un rapido sopralluogo nell’area archeologica, che
il generale stato di conservazione della pietra è
piuttosto precario, specie per le parti più in elevato
delle strutture antiche. Queste erano, almeno per
le fabbriche pubbliche più importanti, originaria-
mente rivestite da intonaci a base di calce, talora
anche spessi e con una stratigrafia complessa fre-
quentemente terminante con pellicole pittoriche Fig. 4. Selinunte, tempio C. Alveolizzazione di una colonna: se
policrome 18, intonaci che avevano non solo scopi ne noti l’aspetto differenziale che passa da una “cariatura”nel
decorativi, ma soprattutto funzioni protettiva della rocchio in basso, a una vera e propria “cavernosità” in quello
soprastante.
calcarenite selinuntina porosa, e non lucidabile.
Perduti nella maggior parte degli edifici questi in-
tonaci (di cui rimangono fortunatamente ancora
ampie tracce nel tempio E, nel santuario della Ma-
lophoros, e in altri edifici di età greca o punica),
la pietra esposta agli atmosferili e agli aerosols
marini ha iniziato a deteriorarsi rapidamente. La
morfologia più grave che si riscontra specie nei
templi dell’acropoli e della collina orientale, i più
esposti al culmine di rilievi, è l’alveolizzazione 19
(Figg. 4-5) che, come è noto 20, è legata a tre con-
dizioni, tutte presenti a Selinunte: vicinanza al ma-
re, forte ventosità, pietra molto porosa. In generale,
si nota che le forme dell’alveolizzazione variano
molto da blocco a blocco in funzione delle carat-
teristiche fisiche della calcarenite (verosimilmente
dal grado e tipo di porosità), dando luogo a vistose Fig. 5. Selinunte, tempio C. Particolare di un alveolo cavernoso
differenze a parità di esposizione (Fig. 4), che van- in un rocchio ricavato da una calcarenite di cattiva qualità.
no da alveoli che assomigliano a “cariature” na-
turali, più o meno omogenee dimensionalmente, a vere e proprie cavernosità nelle morfologie più gravi.
In tutti gli alveoli, ma soprattutto nei secondi, a un esame ravvicinato, si è notata l’assenza pressoché
totale di sali e prodotti di alterazione, evidentemente rimossi dal dilavamento provocato dalle piogge
e dalle turbolenze (micro-vortici) create al loro interno dai forti venti locali. Sono poi diffuse altre
morfologie deteriorative quali: distacchi, scagliature, esfoliazioni, fratturazioni e fessurazioni, lacune,
mancanze e patine biologiche, mentre più localizzate sono polverizzazioni, disgregazioni e presenze di
vegetazione.

LA CALCARENITE GIALLA DEI TEMPLI DI SELINUNTE… 149


Nella maggior parte di queste mor-
fologie giocano un ruolo determinante
da un punto di vista del degrado fisico
la porosità della pietra e la presenza
nell’ambiente selinuntino di sale mari-
no, mentre sono la natura carbonatica
della calcarenite e la non trascurabile
piovosità locale che ne condizionano il
suo comportamento chimico.
Circa la porosità della calcarenite
selinuntina, una determinazione pura-
mente indicativa effettuata su un cam-
pione sano di cava (da Latomie Landa-
ro) ha dato un valore di porosità totale
aperta del 14% e la distribuzione del
raggio dei pori ha evidenziato una netta
Fig. 6. Distribuzione del raggio dei pori determinata mediante intrusione di
Hg in un campione di calcarenite selinuntina dalle cave di Cusa. maggioranza di pori finissimi, al di sot-
to di 0,1 micrometri (Fig. 6) pori che
notoriamente sono i più svantaggiosi per una buona durevolezza di una pietra. Essi infatti rendono
più efficaci gli effetti della cristallizzazione del sale marino che, portato dai venti sottoforma di
aerosols, si deposita sulla superficie della pietra concentrandosi in ben determinate aree in funzione
della locale porosità ed esposizione ai venti stessi e all’irraggiamento solare. Tre misure porosime-
triche effettuate (sempre mediante porosimetro a mercurio) su altrettanti campioni prelevati da un
blocco del tempio C hanno dato una porosità totale aperta media del 28%, indicando così un
probabile forte aumento rispetto alla prevedibilmente più bassa porosità iniziale dovuto a una
parziale dissoluzione del cemento carbonatico della calcarenite avvenuto nel corso dei secoli di espo-
sizione alle piogge del blocco stesso. Il prevalente meccanismo, fortemente distruttivo, è anch’esso
ben noto 21, ed è legato alla elevatissima forza di cristallizzazione del NaCl 22, che può raggiungere
migliaia di atmosfere di pressione: se queste si esercitano all’interno della struttura porosa della cal-
carenite e agiscono come sforzi di taglio o trazione producono gravi fratture, polverizzazioni,
scagliature e alveolizzazioni.
L’altro meccanismo citato che produce un deterioramento chimico ed è concomitante al primo, e
in parte ad esso contrastante in quanto può produrre la dissoluzione e l’allontanamento del sale
marino, è legato all’esposizione alla pioggia della pietra. Esso è dovuto alla capacità di scioglimento
della calcite (carbonato di calcio) contenuta nella calcarenite da parte dell’acqua meteorica che
cadendo acquista anidride carbonica dall’aria formando acido carbonico che corrode le superfici la-
pidee, talvolta in maniera differenziale, facendo perdere dettagli alle parti lavorate o scolpite.
È ovvio che queste due cause e meccanismi necessitano di conferme analitiche di laboratorio, e
che parimenti si ricerchino le cause e i meccanismi delle altre morfologie di deterioramento della cal-
carenite dei monumenti selinuntini, comprese quelle direttamente o indirettamente indotte da interventi
di anastilosi e restauro. Dette ricerche vanno però precedute da un completamento delle conoscenze
minero-petrografiche, geochimiche e archeometriche 23 già acquisite, prevedendo indagini che ne de-
finiscano le caratteristiche e il comportamento fisico-meccanico.
Di grande importanza infine saranno anche studi di laboratorio finalizzati alla messa a punto di
materiali e metodi per la desalinizzazione, il consolidamento e l’eventuale protezione della calcarenite,
i cui risultati saranno indispensabili per il successo e la durata nel tempo dei futuri restauri dei mo-
numenti di Selinunte.

150 LORENZO LAZZARINI


13
* Sono particolarmente felice di dedicare questo mio scritto a PALLANTE 1996. Lo studio, encomiabile per serietà ed impegno
Antonino di Vita, al quale mi legava una grande, e credo reciproca, e ineccepibile da un punto di vista metodologico, ha affrontato
simpatia e stima. A lui devo ripetuti aiuti e incoraggiamenti nei nel migliore dei modi possibili per il periodo in cui è stato svolto
miei studi di campagna sulle cave dei marmi greci antichi, oltre (negli anni 1993-96) la soluzione del difficilissimo problema ar-
a generose ospitalità presso la Scuola Archeologica Italiana di cheometrico.
14
Atene e le relative case a Creta. DUNHAM 1962.
1 15
Per un inquadramento geologico generale della Sicilia, e più Questo calcare non è stato invece considerato dagli studiosi
specifico sui suoi rapporti con l’“ambiente culturale”, si vedano successivi. Ci si propone di approfondirne lo studio e verificarne
ALVAREZ, GOHRBANDT 1970. l’abbondanza di impiego nei monumenti selinuntini in un pros-
2
SPROVIERI 1982. simo futuro.
3 16
RUGGERI, SPROVIERI 1977. A tali attribuzioni del Pallante, basate come si è detto su ela-
4
CATALANO et alii 1996. borazioni statistiche di dati chimici, va attribuita una buona
5
PESCHLOW-BINDOKAT 1989. A questo studio monografico si ri- probabilità per il tempio E, adeguatamente e rappresentativa-
manda per un approfondimento sulle principali cave antiche mente campionato, una pura indicazione per gli altri edifici dai
della pietra gialla selinuntina. quali è stato prelevato un numero molto limitato di campioni.
6
PALLANTE 1996. Questo studioso ha anche tentato una valuta- Va detto inoltre che le conclusioni generali da lui tratte circa la
zione dei volumi di pietra estratti dalle tre zone di cava (sopra cronologia di sfruttamento delle cave basate sugli esiti delle sue
riportati) che, essendo state abbandonate in età greca (Selinunte, analisi, sembrano allo stato delle conoscenze piuttosto azzardate,
come è noto venne distrutta dai Cartaginesi nel 409 a.C., poi e vanno come minimo depurate da alcune affermazioni troppo
parzialmente riabitata durante la successiva dominazione punica, categoriche.
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quando però si riutilizzarono le spolia greche, e non fu mai oc- GORGONI et alii 1992. Si tratta per lo più di attacchi chimici
cupata dai romani), riflettono il risultato della coltivazione sino prodotti dagli acidi organici sintetizzati dai licheni, e di degrado
a tutto il V secolo a.C. fisico prodotto dai talli lichenici che col tempo tendono a staccarsi
7
L’estrazione di un rocchio procedeva dall’alto in basso secondo dai substrati portandone con se piccole porzioni. Le specie licheni
una sequenza di operazioni così ricostruibile: 1) creazione di un che sono state identificate sono la Verrucaria nigrescens, la Dirina
piano orizzontale, 2) incisione con grande compasso di più cerchi Massiliensis, la Caloplaca aurantia e la Lecanora pruinosa.
18
concentrici, il più interno dei quali corrispondente al diametro LAZZARINI 2009. La re-intonacatura delle superfici in origine
superiore del rocchio di colonna, e quello più esterno delimitante intonacate sarebbe la soluzione conservativa ideale per il monu-
la parte esterna del canale che doveva essere scavato attorno al menti selinuntini se non fosse contraria ai principi generali fissati
rocchio stesso. Risultava così più facile eliminare con una mazza nelle varie carte del restauro.
19
il setto di roccia intermedio ai due cerchi concentrici e approfon- NORMAL-1/88. Questo documento fornisce definizioni precise
dire velocemente il canale stesso sino alla base del rocchio. dell’alveolizzazione e delle altre morfologie riportate di seguito
8
WAELKENS 1990. nel testo.
9 20
CARAPEZZA et alii 1984. Questo contributo dal tono alquanto LAZZARINI, TABASSO 1986. Si veda anche la specifica bibliografia
giornalistico e con alcune approssimazioni scientificamente poco colà riportata.
21
accettabili, ebbe il pregio di proporre una prima caratterizzazione TORRACA 1982. Si veda il meccanismo illustrato alle pp. 31-
delle pietre selinuntine in relazione ai problemi archeometrici 35.
22
posti da V. Tusa. WINKLER 1973. Secondo le ricerche di questo studioso, la pres-
10
HEIN 1989. sione esercitata dai cristalli di NaCl che cristallizzano a 25° C da
11
GORGONI et alii 1992: questi studiosi presero in esame anche una soluzione con un fattore di sovrasaturazione di 5, è pari a
i marmi delle metope selinuntine identificandone le cave di pro- 1200 atmosfere.
23
venienza mediante analisi petrografica e isotopica. GORGONI, PALLANTE 2000; LAZZARINI, c.s. Per completezza di
12
Queste due importanti componenti non vennero comunque informazione sugli studi archeometrici si rimanda a quest’altri
sufficientemente indagate. due contributi che integrano quelli in precedenza citati.

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152 LORENZO LAZZARINI


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