Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Restauri dell’antico
Presidente
Valter Mainetti
Vicepresidente
Paola Mainetti
Direttore Scientifico
Claudio Strinati
Responsabile Comunicazione
Ilaria Fasano
Coordinamento scientifico
Caterina Greco
Cura redazionale
Valentina Nicolucci
Contributi scientifici
Pubblicazione degli Atti del convegno
Selinus 2011. Restauri dell’antico. Ricerche ed esperienze nel Mediterraneo
di età greca (Selinunte, Baglio Florio 20-23 ottobre 2011).
I testi sono stati rivisti e aggiornati dagli autori in occasione della presente
pubblicazione.
Ringraziamenti
Si ringraziano particolarmente Caterina Greco, Mario Luni,
Valerio Massimo Manfredi, Girolamo Turano, per averci coinvolto in
questo ambizioso progetto.
SELINUNTE
DIETER MERTENS
13 I templi e la città. Problemi e prospettive del restauro architettonico a Selinunte
CLEMENTE MARCONI
71 Anastilosi a Selinunte: i primi 200 anni (1779-1977)
CARMEN GENOVESE
79 Restauri archeologici nel primo Novecento.
Le anastilosi del tempio C a Selinunte e del tempio di Eracle ad Agrigento
SEBASTIANO TUSA
91 Luci ed ombre delle ricostruzioni selinuntine
GIANFRANCO ADORNATO
139 Sul “Gigante” del tempio G
LORENZO LAZZARINI
145 La calcarenite gialla dei templi di Selinunte:
cave, caratterizzazione, problemi di conservazione
SICILIA
ITALIA
GIULIANA TOCCO SCIARELLI
251 Il restauro dei templi di Paestum: metodologie e tecniche di intervento
ALFONSINA RUSSO TAGLIENTE
259 Per un’archeologia del paesaggio dell’Alto Molise
GRECIA
SOPHOKLIS ALEVRIDIS
267 Il restauro del tempio di Apollo a Bassae
NILS HELLNER
279 Il tempio di Zeus ad Olimpia: la concezione di restauro e la sua realizzazione
DAVID SCAHILL
287 Architectural reconstruction at Ancient Corinth, Old and New: the South Stoa
MARIA IOANNIDOU
297 The Acropoli restoration project
TASOS TANOULAS
309 The restoration of the Propylaia, 1982-2011
KONSTANTINOS KARANASOS
321 La ricomposizione della parte superiore del muro sud dei Propilei
ENZO LIPPOLIS
329 Restauro e reimpiego nelle poleis della Grecia:
esempi e forme di una prassi negata
LIBIA
MONICA LIVADIOTTI
355 La Curia del Foro Vecchio di Leptis Magna:
un caso poco noto di anastilosi parziale
ANTONINO DI VITA
369 Il mausoleo punico-ellenistico B di Sabratha e il tetrapilo di Leptis Magna:
due restauri monumentali in Libia
NICOLA BONACASA
383 Il tempio di Zeus a Cirene (Libia, 1967-2010)
TEORIA e METODO
GIORGIO ROCCO
395 L’anastilosi dell’antico. Problemi teorici ed esperienze progettuali
FABRIZIO AGNELLO
411 Restauri digitali
ROBERTA BELLI PASQUA
419 L’uso della scultura architettonica nell’esperienza di anastilosi dell’antico
MARIO TORELLI
431 Il tempio, la festa, il passato
441 TAVOLE
RIFLESSIONI FINALI
GIROLAMO TURANO
481 Restauro dell’antico. Ricerche ed esperienze nel Mediterraneo greco
LICIA VLAD BORRELLI
482 Le intemperanze degli architetti e le renitenze degli archeologi
SALVATORE D’AGOSTINO
484 L’angoscia della sicurezza e la complessità dell’anastilosi
PAOLO MARCONI
486 Istituto Tecnico Superiore, Corso professionalizzante di alta formazione tecnica
in conservazione, restauro e manutenzione dei siti archeologici
nel Parco archeologico di Selinunte
VALERIO MASSIMO MANFREDI
489 A proposito di ipotesi di parziale anastilosi concernenti il tempio G
LA CALCARENITE GIALLA DEI TEMPLI DI SELINUNTE:
CAVE, CARATTERIZZAZIONE, PROBLEMI DI CONSERVAZIONE
LORENZO LAZZARINI
(Università di Venezia)
La pietra gialla dei templi di Selinunte, generalmente nota come calcarenite, pur essendo largamente
impiegata in tutta la vasta chora selinuntina (includente la città di Castelvetrano) e mazarese in mo-
numenti antichi di varia epoca e in costruzioni classificabili come edilizia comune, è stata oggetto di
vari studi geologici e, in minor misura petrografico-geochimici, ma per nulla caratterizzata dal punto
di vista fisico-meccanico (su cui si forniscono qui i primi dati); non sembrano esistere poi sufficienti
ricerche sui problemi relativi al suo deterioramento e conservazione.
Questa nota * ha quindi lo scopo precipuo di ricostruire brevemente la storia degli studi scientifici
sulle calcareniti di Selinunte, di fare il punto sulle conoscenze sinora acquisite e mettere in evidenza
le principali lacune che rimangono da colmare, anche in funzione di future campagne di restauro e
manutenzione sui monumenti selinuntini che allo stato dei fatti sembrano sempre più necessarie e
urgenti.
LA GEOLOGIA E LE CAVE
Selinunte gravita su sedimenti di tipo molassico che fanno parte dell’unità stratigrafico-strutturale
saccense, probabilmente appartenente all’Avampaese Siciliano, in particolare a un prolungamento oc-
cidentale dell’Unità Iblea 1. I sedimenti più superficiali sono costituiti da circa 400-450 m di calcari
pliocenici, e da circa 2000 m di calcareniti pleistoceniche 2. Tra quest’ultime, quelle dell’Unità del
Monte Magaggiaro (Monte S. Calogero e Pizzo Telegrafo) comprendono tre piani geologici, il Sau-
terniano, l’Emiliano e il Siciliano, che Ruggeri e Sprovieri 3 hanno suggerito di unire in un superpiano
denominato Selinuntiano. La trivellazione di un pozzo per la ricerca di petrolio fatta dall’AGIP nel
1996 4 ha evidenziato uno spessore di 1280 m di sedimenti Plio-Pleistocenici corrispondenti a quella
che viene solitamente definita “calcarenite selinuntina”. Questa però, pur affiorando in vaste aree at-
torno a Selinunte, per la geomorfologia poco rilevata del terreno che ha subito intense erosioni nel
quaternario recente, si presenta come una estesa piastra massiva (con stratificazione/laminazione
poco, o per nulla, evidente a un esame delle superfici di taglio antiche e moderne) che ha consentito
di ricavare in antico dei fronti di cava stimabili (sottraendo l’interro attuale) come alti al massimo
una quindicina di metri.
Come è facilmente intuibile anche solo da una rapida visita all’estesissima area archeologica di Se-
linunte, le cave della calcarenite non possono che essere locali e molto numerose. Percorrendo il
territorio cittadino e quello retrostante, si può infatti osservare che il materiale lapideo è stato estratto
in quantità molto variabili in parecchi luoghi, lì dove affioravano spuntoni di roccia di buona qualità.
Le principali cave si possono comunque raggruppare in tre località, Manuzza, entro la polis stessa,
Parche di Noto e Cusa: esse sono state ben descritte e cartografate dall’archeologa A. Peschlow-Bin-
dokat 5, e rivisitate dal geologo P. Pallante 6 che ne ha integrato la descrizione nell’ambito di una tesi
dottorale sulla calcarenite selinuntina finalizzata a una sua caratterizzazione archeometrica e conseguente
determinazione della provenienza della pietra dei templi di Selinunte. Da queste due preziose fonti di
informazione si ricava in sintesi che:
– le cave di Manuzza, denominate anche “Cave di Casa Sabato”, aperte presso i margini occidentali
dell’acropoli, erano estese lungo un fronte di circa 200 m che si affaccia sulla valle del fiume Sélino,
in particolare sulla sua riva sinistra. Mostrano fronti alte al massimo 5 m, con tracce di coltivazione
generalmente mal conservate: da esse è stato calcolato un volume massimo di pietra estratta attorno
ai 700 m3;
Come detto sopra, le calcareniti delle metope dei templi selinuntini sono state per la prima volta
studiate da Carapezza e collaboratori nel 1983 che verificarono la coincidenza tra le pietre di alcuni mo-
numenti di Selinunte e le calcareniti delle cave di Cusa, Manuzza e Parche. Essi riscontrarono anche l’im-
piego del calcare bianco di Menfi (cava di Misilbesi) 15 in alcune metope arcaiche della città antica. Ad
analogo risultato arrivarono anche gli studi dello Hein, più puntuali ed estesi nel confronto tra pietra
dei monumenti e pietra delle cave. Ambedue queste ricerche però, al di là di generiche indicazioni non
considerarono analiticamente la possibilità che uno stesso tempio potesse essere stato edificato con pietre
provenienti da cave diverse, come giustamente ipotizzato dal Gullini sulla base di sue accurate osservazioni
macroscopiche sulla qualità delle pietre delle varie membrature architettoniche dell’Heraion. Del resto
la limitata banca dati accumulata nei due citati studi non forniva sufficienti garanzie di riuscire a risolvere
il difficile problema prospettato dallo studioso torinese. Una indicazione al proposito è invece venuta
dallo studio del Pallante che ha preso in esame in particolare il tempio E, con una campionatura guidata
dall’archeologo C. Zoppi delle pietre delle tre fasi costruttive, e attribuito la maggior parte delle pietre
stesse alle cave di Cusa e subordinatamente a quelle delle Parche. Analogamente è stato proposto che le
pietre del santuario di Demetra Malophoros, come quelle dei templi A e G siano del tutto provenienti
dalle cave di Cusa, mentre le calcareniti in opera nei templi C e F verrebbero da ambedue queste località 16.
Impaginazione di
Daniela Marianelli
Coordinamento tecnico
Mario Ara
Finito di stampare
nel mese di novembre 2016
Stampato in Italia - Printed in Italy