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DEMOCRAZIA, DEMOCRATIZZAZIONE E

REGIMI DEMOCRATICI.
Il perimetro dei regimi politici
Le diverse forme che avranno i regimi politici per quanto riguarda il format territoriale (o della
comunità politica) si possono adattare a tipi di ordinamento politico molto diversi.
Se ci concentrassimo sui tipi di format territoriale che storicamente hanno assunto i regimi
politici sulla base della loro estensione e complessità organizzativa, seguendo Finer [1997]
individuiamo tre macrotipi di polity, più uno:

 La città-Sato(le poleis). cioè città autonome e sovrane che controllano un territorio in


genere non molto ampio, talvolta organizzate in una lega con ampia autonomia; possono
essere governate con modalità chiuse o gerarchiche, o in forme più aperte
( assembleari-reppublicane)
 Gli Stati in senso stretto. Possiamo definirli come Stati moderni; vengono distinti in:
Stati territoriali nei quali esiste il controllo amministrativo di un certo territorio, più
ampio di quello delle città stato, ma dove non è presente nella popolazione la coscienza
di essere una comunità; e in Stati nazionali dove è centrale la consapevolezza di far
parte di una stessa comunità di destino, e un tale sentimento è rafforzato
dall’omogeneizzazione culturale dei sudditi sulla base di criteri linguistici, religiosi,
storici, ecc.;
 Le federazioni. Esse costituiscono delle modalità di coesistenza e di associazione tra
entità politiche (stati, città) autonome e sovrane sulla base di rapporti contrattuali,
accordi, piuttosto che di una sottomissione imposta dall’alto. Le forme di unione tra
Stati possono assumere gradazioni diverse, dalle alleanze interstatuali
alle confederazioni fino ad arrivare ai sistemi federali, dove il processo di integrazione si
è spinto molto oltre nella costruzione di organi deputati alla produzione di decisioni
vincolanti.
 Gli imperi. Sono caratterizzati dall’estensione territoriale su larga scale e da una logica
espansiva illimitata che, però, non richiede il ricorso alla sola forza; i loro confini sono
flessibili e aperti; hanno una composizione plurale sotto il profilo culturale, etnico,
linguistico, religioso, il che spesso comporta l’esistenza di diversi regimi di cittadinanza
e a cui sono associati i diritti di cui godono i residenti; essi sono frutto di crisi di
precedenti situazioni di equilibrio di potenza o costituiscono un momento di unificazione
rispetto a unità statali di livello inferiore.

Le prime democratizzazioni
La «seconda venuta della democrazia» si colloca nel secolo che va dalla Gloriosa rivoluzione
inglese (1688) alla Rivoluzione francese (1789), presuppone dei processi di lunga durata che
hanno reso gli individui politicamente attivi, trasformandoli da sudditi in cittadini.
Diverse sono le spiegazioni che illustrano le predisposizioni di alcuni sistemi politici precoci nei
loro percorsi di democratizzazione.

 Barrington Moore. In uno studio intensivo dedicato ai sistemi anglosassoni e alla


Francia, Barrington Moore [1966] forniva un’accurata ricostruzione dei macrofattori
capaci di spiegare tali processi.
Gli stati che si stavano formando incontrano la sfida della modernizzazione: la
commercializzazione dell’agricoltura. L’agricoltura, e la pesca, sono state le fonti di ogni
risorsa fisica e materiale di molti stati in origine; modernizzare l’agricoltura significa non
tenere la terra per prestigio ma perché dall’attività si ricavano dei profitti che
permettono di migliorare e di produrre ulteriori profitti. Concezione moderna che mira
all’accumulazione di surplus ( Regno Unito 17esimo secolo). Da questo passaggio
capiamo come i ceti sociali si sono accordati tra di loro ,e da questo dipende possiamo
poi intuire se lo stato sta andando ad organizzarsi in modo democratico o meno. Moore
parla di Regno Unito, Francia, Prussia...
C’è una monarchia, c’è una classe nobiliare e ci sono i borghesi ( che vivono in città);
Moore sottolinea l’importanza di non dimenticare i contadini ( lord and peasent in the
making of modern world).
Ci sono due opzioni:
1. La prima strada prevede l’equilibrio tra i ceti che bilancia e rende moderna la
monarchia; l’indebolimento dell’aristocrazia a vantaggio della borghesia; la
diffusione di una mentalità capitalistica come metodo per lo sviluppo di un’economia
industriale; la mancanza di una convergenza conservatrice tra aristocrazia terriera e
borghesia commerciale; infine, la presenza di afflati rivoluzionari come quelli che
condussero a eventi violenti o comunque «di rottura» rappresentati dalla Gloriosa
rivoluzione nel Regno Unito e successivamente dalle rivoluzioni americana e
francese. In questo caso la borghesia si impegna nell’accumulo e non accetta una
monarchia assoluta che limiterebbe il suo potere di commerciare; se la nobiltà guarda
all’agricoltura con modalità acquisitiva i contadini cominciano ad essere cacciati da
terre su cui fino ad allora avevano per la loro sopravvivenza a questo punto la nobiltà
si allea alla borghesia e si va verso una monarchia costituzionale e chi ne soffre sono i
contadini;
2. la seconda possibilità vede i nobili, con una posizione importante nella gestione dello
stato; i borghesi, che seppur presenti, non sono numerosi e i contadini che sono
invece asserviti alla terra, sono quindi una pedina, essi possono solo sperare che il
loro proprietario terriero si occupi di loro. Questa opzione prevede un’alleanza tra
contadini e nobiltà contro la borghesia che non ha spazio per svilupparsi. Se ciò
avviene la monarchia non trova limiti al suo potere assoluto. La borghesia non ha la
forza per commerciare e liberalizzare i contadini. Più avanti nel tempo con Bismarck
viene data una prima assistenza sociale per tener buone le masse, ma ciò non basta
bisogna muoverle dall’alto perché diventino protagoniste della politica ma sotto un
leader.
3. Moore aggiunge una terza strada che prevede delle rivoluzioni contadine hanno
bisogno di una leadership e anche lì la democrazia non ha gran fortuna ma finisce con
i contadini asserviti e perciò lo sviluppo diventa di tipo socialista ma non democratico
 Robert A. Dahl [1971]. Secondo Dahl le democrazie sono caratterizzate dalla capacità di
rispondere alle preferenze espresse dai cittadini considerati politicamente uguali.
Tale capacità è frutto di due sottoprocessi:
1. La liberalizzazione o libertà di contestazione, che si riferisce al grado in cui in un
sistema politco sono effettivamente garantiti il diritto di opposizione e la possibilità
di criticare pubblicamente le autorità, e si affermano un pluralismo e una
competizione aperta per il governo tra le forze politiche diverse e rilevanti.
2. L’inclusione o la partecipazione che è collegata ai diritti politici che vengono estesi
a porzioni sempre più ampie della popolazione
L’incrocio di queste due dimensioni permette allo scienziato politico di tracciare una
griglia analitica che consenta di categorizzare i quattro tipi puri di regimi politici:
1. egemonie chiuse
2. Egemonie inclusive
3. Oligarchie
competitive
4. Poliarchie o
democrazie di massa
Allo stesso tempo tale
schema ci permette di
individuare i sentieri
storicamente possibili
che conducono alla
democrazia di massa partendo dagli stati assoluti (egemonie chiuse).
Dahl, seppur sottolineando che i sentieri della democrazia sono obliqui e casuali,
individua tre sentieri:
1. Il primo sentiero prevede il riconoscimento dei diritti civili, di contestazione pubblica
e d’opposizione precede l’inclusione delle masse. Lo Stato assoluto è stato seguito da
regimi più aperti, dove la competizione pubblica, prima riservata alle «oligarchie
competitive», è stata poi estesa a tutti gli uomini e donne, pur con tempi e tragitti
diversificati. In questo nuovo quadro delle relazioni tra cittadini e sistema politico, le
libertà personali avrebbero costituito uno dei due pilastri del nuovo ordinamento
statale, mentre l’altro sarebbe stato dato dalle strutture della rappresentanza
(parlamenti e partiti) e dal diritto di voto (sistemi elettorali).
2. Il secondo sentiero fa riferimento a quei regimi in cui la mobilitazione elettorale
(l’inclusione) ha preceduto il costituzionalismo, ovvero il riconoscimento della
contestazione e la legittimazione dell’opposizione. Il percorso di liberalizzazione, ma
questo o è prematuro o le condizioni di contesto producono delle reazioni di gruppi
sociali forti che, vedendosi minacciati, innescano una dinamica di radicalizzazione
politica che conduce al crollo delle deboli democrazie e all’instaurazione di regimi
autoritari o totalitari. In questo modo, la via che conduce alla poliarchia è interrotta
da parentesi anche piuttosto lunghe di «egemonia inclusiva».
3. Il terzo sentiero costituisce una “ scorciatoia” dove liberalizzazione e inclusione
avvengono contestualmente. Un regime assolutista, egemonico e chiuso, crolla sotto i
colpi di un evento rivoluzionario aprendo la strada, non solo al riconoscimento dei
diritti civili, ma anche alla partecipazione politica delle masse pur con frequenti
ricadute in periodi autocratici.
L’analisi di Dahl incontra molteplici problemi di generalizzazione e di validità quando si
confronta con le situazioni reali e storiche, e con i percorsi imboccati dai diversi paesi.

 Stein Rokkan (1970). Lo scienziato politico norvegese mette a fuoco la sequenza di


circostanze storiche considerate come il progressivo superamento di quattro soglie che
hanno caratterizzato la ricorrenza del processo di democratizzazione:
1. Legittimazione. Riconoscimento del diritto dei cittadini a organizzarsi
economicamente e socialmente e il riconoscimento delle libertà e del ruolo
dell’opposizione politica al governo;
2. Incorporazione. Espansione della cittadinanza politica, suffragio universal;
3. Rappresentanza. Allargamento del circuito elettorale e istituzionale a tutti i tipi di
partito espressione del nuovo pluralismo sociale;
4. Potere esecutivo. Definizione delle regole che ancorano l’esistenza di un governo
legittimo all’esito delle elezioni e delle dinamiche parlamentari.
L’analisi di Rokkan traccia una mappa storica assai precisa dei percorsi di
democratizzazione: il Regno Unito, ad esempio, aveva mostrato il superamento precoce
delle prime due soglie (grazie al consolidamento della comunità politica già dal
Medioevo), mentre le nazioni late-comers sullo scenario europeo avevano mostrato
processi di affrancamento più complessi e generalmente lenti.

Ondate di democratizzazione e consolidamento democratico


Si deve a Samuel P. Huntington, e alla sua serie di lavori, le spiegazioni circa la natura e la
tempistica delle ondate che hanno caratterizzato l’allargamento dell’area interessata al
successo della democrazia nei regimi contemporanei.
1. Prima ondata. Questa ondata copre i cento anni che vanno dai primi moti democratici
degli anni Venti del XIX secolo alla Grande Depressione. Si tratta della trasformazione
democratica dei regimi politici collegata alla modernizzazione e alla rivoluzione
industriale, che ha interessato praticamente tutto l’emisfero nordoccidentale in tempi
diversi.
2. Seconda ondata. Collocata dagli studiosi tra il 1943 d il 1962, la seconda ondata è
strettamente collegata a fattori di ordine politico e militare, e quindi alla trasformazione
democratica indotta in una serie di paesi con la fine di una serie di esperienze dittatoriali
e autoritaria.
3. Terza ondata. Iniziata nel 1974, durante la delicata fase di riorganizzazione su scala
globale delle democrazie. A seguito di questa ondata molti regimi del Terzo e Quarto
Mondo, sulla spinta di processi di globalizzazione, avrebbero aperto una nuova
prospettiva democratica. In questa ondata ha giocato un ruolo fondamentale il crollo dei
regimi comunisti legati all’ex Unione Sovietica dalla fine degli anni Ottanta, molti dei
quali (soprattutto in Europa) hanno attraversato un rapido processo di nuova
democratizzazione.
La terza ondata secondo lo studioso avrebbe avuto una matrice completamente differente
rispetto alle prime essendo il risultato di cinque forme di mutamento economico, sociale e
culturale:
1. La crisi di legittimazione dei regimi autoritari
2. Una crescita economica globale
3. Il nuovo ruolo della Chiesa cattolica
4. Il cambiamento della politica estera
5. Il ruolo dei media nel processo di condivisione globale da parte dell’opinione pubblica
Si tratta di spiegazioni esplicitamente «delimitate» sia geograficamente sia temporalmente. In
quegli anni, infatti, si discuteva della tesi della fine della storia.
Lo scienziato politico americano immaginava l’avvento di un nuovo scenario mondiale
caratterizzato dallo scontro di civiltà, ovvero l’incompatibilità democratica, e perfino la
maggiore inclinazione alla violenza, di alcune civiltà alternative a quella occidentale.
Le tre ondate di democratizzazione sono state variabili sia nel tempo ma anche negli esiti.
Secondo Leonardo Morlino la possibilità di stabilizzare questi regimi sono affidate a un delicato
equilibrio tra i soggetti e i meccanismi protagonisti del consolidamento democratico.

Consolidamento democratico.
il processo, innescato dal trascorrere del tempo, di formazione delle strutture democratiche nei
loro caratteri essenziali (ad es., le necessarie garanzie per una competizione libera) e di
adattamento in quelli secondari (ad es., le diverse possibili modalità nei rapporti tra i gruppi
sociali).
Il consolidamento democratico non è né un processo lineare né tanto mento prevedibile. La sua
prima fase logica, la legittimazione, ha lo scopo di mettere in opera il compromesso all’interno
della coalizione dominante di attori politici, sociali e istituzionali. Tuttavia in alcuni contesti
Morlino parla di “legittimazione esclusiva” poiché caratterizzata da forze politiche che non
accettano la democrazia; non ci è quindi un pieno riconoscimento del compromesso democratico
prevale il conflitto tra gruppi sociali e classi, non c’è rispetto della legalità, i militari continuano
a influenzare la politica, c’è una radicale sfiducia a livello di opinione pubblica e di gruppi
specifici. Per controbilanciare la legittimità esclusiva viene in soccorso l’ancoraggio
democratico, che si caratterizza di per la nascita di una serie di strutture istituzionali e sociali
in grado di stabilizzare il processo di consolidamento democratico.

Che cos’è la democrazia?


Juan J. Linz definisce la democrazia come “ il sistema politico nel quale il processo di governo,
ovvero di produzione di decisioni vincolanti, si basa su un insieme di libertà che «rendono
possibile la competizione aperta e non violenta tra leader politici per tutte le cariche politiche
effettive nel processo democratico, attraverso una convalida periodica del diritto a governare
che riposa sulla partecipazione di tutti i membri della comunità politica quali che siano le loro
preferenze politiche, purché espresse pacificamente».
Come possiamo notare due sono gli aspetti fondamentali della definizione fornitaci da Linz che
danno poi origine a due diverse definizioni di democrazia: quella competitiva e quella
partecipativa.

 La democrazia secondo Schumpeter. La democrazia è lo strumento istituzionale per


giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di
decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare.
Il popolo decide chi lo governa per poi ritirarsi nei backseat e si fa trascinare da chi è al
governo. Enfasi sull’esecutivo, singoli individui hanno la facoltà di decidere, non da
fiducia al popolo
 La democrazia secondo Dahl. La democrazia è un regime politico caratterizzato dalla
continua capacità di risposta (responsiveness) del governo alle preferenze dei suoi
cittadini, considerati politicamente uguali.
I cittadini non sono attivi solo al momento delle elezioni, che non sono il momento
definitori della democrazia, i cittadini rimangono interessati ì, controllano e monitorano
il governo attraverso i propri rappresentati al parlamento, dialogo continuo tra
rappresentati e rappresentanti, si tratta di una catena di delega per cui il principe, il
popolo, delega ai suoi agenti, il parlamento, affinché risponda continuamente alle
domande
Confrontando le due definizioni possiamo notare subito delle evidenti differenze; la prima
enfatizza due elementi: la centralità della competizione elettorale, e la delega a una classe
politica a esercitare un potere di fatto non bilanciabile in nessun modo dall’azione della gente
comune.
La seconda definizione coglie invece la dinamica di trasformazioni della democrazia
contemporanea, enfatizzando le garanzie della permanenza e dell’effettività della libertà di
scelta.
Per poter sviluppare una vera analisi comparata non possiamo prescindere dall’esplicazione di
quegli elementi operativi che sono necessari per catalogare come democratico un regime:
Una definizione empirica di «democrazia». Il regime democratico, ancora per Dahl, è
un regime che presenta a) un suffragio universale maschile e femminile effettivamente
esercitato tramite b) elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette, c) più di un
partito e d) diverse e alternative fonti di informazione.

Dalle due definizioni possiamo vedere l’opposizione tra democrazia reale e democrazia ideale;
tra le due c’è uno scarto ontologico, tra reale e ideale si inserisce il processo di miglioramento,
di avvicinamento del reale all’ideale.
Nel contesto contemporaneo assistiamo ad un revival della partizione tra democrazia
rappresentativa o mediata e quella partecipativa o diretta.

Democrazia diretta→ riconducibile solo alle città stato, in cui i cittadini (maschi, liberi di
origine della città stato) prendevano direttamente le decisioni. solo in piccole città riescono a
riunirsi tutte le persone che ne hanno diritto . Ora abbiamo metodi di democrazia diretta come il
referendum
Democrazia rappresentativa→ rispetto a quella diretta, spesso piegata al sentimento e a coloro
che meglio spiccano nell’arte oratoria, costringe a far diventare i molti io un noi, unisce le
persone al di là delle particolarità di ciascuno. La democrazia rapp. mette questa
prioritarizzazione degli interessi e stabilizza la democrazia e rende i rappresentati più
controllabili, in teoria.

Varianti di democrazia
Concentriamoci ora sulle democrazie rappresentative consolidate. A partire dagli anni Sessanta
fu possibile sviluppare riflessioni sulla diversa natura dei vari regimi democratici.
Lo studioso che dopo Almond, e il suo studio sulla differenza tra i sistemi democratici sulle due
sponde dell’Atlantico utilizzando il livello di omogeneità della cultura politica, ha approfondito
questo aspetto è Arend Lijphart.
Fin dai suoi primi studi egli ha messo a fuoco il modello consociativo di democrazia, al fine di
spiegare la tendenza di alcuni sistemi dell’Europa continentale a creare le condizioni di un
governo «allargato» con maggioranze sovradimensionate, coalizioni ideologicamente complesse
e svariati meccanismi di «contrappeso costituzionale» rispetto al governo maggioritario,
espressione di chi avrebbe vinto le elezioni.

La prima tipologia di Lijphart si basava su due dimensioni di analisi: la configurazione della


società (culturalmente omogenea oppure eterogenea) e i rapporti tra le élite (consensuali
oppure prevalentemente conflittuali). La democrazia consociativa era l’incrocio tra una cultura
politica tendenzialmente eterogenea ed élite orientate al compromesso, capaci idi generare un
equilibrio impossibile da trovare nel caso delle democrazie centrifughe, connotate da cultura
eterogenea ed élite conflittuali.
I modelli di democrazia di Lijphart sono una tipologia polare che consiste nell’individuare un
certo numero di dimensioni rilevanti, stabilire per ognuna le modalità estreme (o poli) e, infine,
cercare di capire dove collocare in questa griglia i casi concreti. Tra i vari modi di organizzare la
democrazia il politologo olandese le riconduce a due principi che informano le democrazie reali:
il principio maggioritario e il principio consensuale.
1. Il principio maggioritario implica che il potere decisionale è concentrato sul governo,
esso non è limitato dalla presenza di regole istituzionali o da una moltitudine di attori
politici ( veto players), chi perde le elezioni può sempre rifarsi alla prossima tornata.
2. Il principio consensuale implica che il potere decisionale sia condiviso tra una pluralità di
attori e di istituzioni, che rappresentano minoranze, e che il processo democratico non
richieda necessariamente l’alternanza tra maggioranza e opposizione, ma piuttosto
l’associazione di quanti più soggetti politici al governo.
La logica di funzionamento di questi due criteri è tale da influenzare tutte le dimensioni
rilevanti di un regime democratico, che vengo raggruppate in due macrodimensioni: quella
relativa all’asse esecutivo-partiti e quella relativa all’asse unitario federale, ovvero il sistema di
governo e il tipo di stato.

Modello Westminster Modello consensuale


Dimensione esecutivo-partiti
1. Governi monopartitici e a maggioranza 1. Governi di grande coalizione con molti
risicata partiti
2. Predominio dell’esecutivo sul legislativo 2. equilibrio tra esecutivo e legislativo
3. Sistema bipartitico 3. Sistema multipartitico
4. Sistema elettorale maggioritario 4. Sistema elettorale proporzionale
5. Pluralismo dei gruppi di interesse 5. Neocorporativismo dei gruppi di interesse
Dimensione unitario-federale
6. Concentrazione unicamerale del legislativo 6. bicameralismo forte
7. sistema di governo accentrato e unitario 7. federalismo e governo decentrato
8. Flessibilità della Costituzione 8. costituzione rigida
9. Assenza di revisione giurisdizionale 9. revisione giurisdizionale
10. Banca centrale controllata dall’esecutivo 10. Banca centrale indipendente

Lijphart rilancia con forza la tesi del migliore rendimento complessivo del modello «più gentile»
di democrazia, quello consensuale, capace di offrire politiche più confacenti sotto il profilo del
rispetto dei diritti e dell’inclusività, senza peraltro sfigurare rispetto alle democrazie
maggioritarie sul piano delle politiche economiche.
Una delle critiche spesso rivolte alla tipologia , oltre che quelle sugli aspetti teorici e analitici, è
che alla fine si riduce ai due modelli polari lasciando non identificate tutte le soluzioni
intermedie. Nonostante ciò la distinzione tra i modelli polari tracciata da Lijphart ha consentito
di incasellare tendenze realmente esistenti nella storia delle democrazie contemporanee e di
identificare importanti cambiamenti occorsi nel tempo.

Autocratizzazione e regimi non democratici


Quando parliamo in generale di regimi non democratici ci riferiamo a regimi non competitivi,
non partecipativi, dove il governo viene esercitato senza limiti costituzionali o politici.
Paul Brooker ha ricordato come dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) si siano
rincorse e avvicendate due teorie generali sugli autoritarismi:
 l’interpretazione estintiva, secondo cui tali tipi di regime si erano ridotti a dei
«dinosauri politici» destinati all’estinzione in seguito al trionfo della democrazia;
 l’interpretazione evolutiva, fattasi strada in maniera inquietante nei primi decenni del
XXI secolo, che punta invece l’attenzione sulla capacità di questo tipo di regimi di
adattarsi alle nuove circostanze storiche e di trasformarsi.
I rapporti di Freedom House degli ultimi anni hanno testimoniato l’impietoso declino della
democrazia nel mondo di oggi: i regimi autoritari si fanno ancora più autoritari (Russia di Putin);
neodemocrazie che non riescono a consolidarsi (Ungheria di Orban); democrazie mature che
perdono di qualità democratica (Stati Uniti di Trump). Non è un caso che negli ultimi anni sia
diventato di moda il termine autocratizzazione – speculare a quello di «democratizzazione» –
proprio per indicare queste dinamiche del cambiamento politico.
Ma come si riconoscono tali regimi, come sono classificabili e quanto sono cambiati in
prospettiva storica?
Brooker ha provato a far chiarezza sul concetto di «autoritarismo» e sulle sue varianti empiriche
partendo dalla risposta a tre quesiti – chi, come e perché governa?. Riferite al contesto dei paesi
non democratici tali quesiti servono a Brooker per affrontare tre grandi temi:
1. la classificazione dei regimi autoritari sulla base di chi detiene il potere (chi governa?),
distinguendo tra le forme di dominio personale (leader, monarca, presidente) o
di dominio istituzionale (dei militari o del partito unico, questi ultimi detti da
Linz regimi civili);
2. la messa a fuoco sulla diversa intensità o forza della repressione o controllo dall’alto
che li differenzia, a partire dalla distinzione classica tra «totalitarismi» e «autoritarismi»
e dalle caratteristiche delle politiche realizzate (come si governa?);
3. il peso che hanno i processi di legittimazione del potere anche nei contesti non
democratici, con la conseguente attribuzione di rilevanza all’ideologia e ai mezzi di
comunicazione di massa ai fini della riproduzione del potere (perché si governa?).
Linz e Stepan propongono di guardare a quattro dimensioni salienti per differenziare i diversi
tipi di regimi autoritari tra di loro, ma anche per coglierne la differenza rispetto alla
democrazia. Le variabili sono:

 il pluralismo, un aspetto sociologico relativo al ruolo e al peso degli interessi;


 l’ideologia, un aspetto culturale associato ai processi di legittimazione e alle credenze e
ai valori che sorreggono un certo regime;
 la mobilitazione, un aspetto politico relativo ai meccanismi di attivazione e
canalizzazione di individui e gruppi sociali per fini politici;
 la leadership, che enfatizza il ruolo del leader e come questo esercita il potere.

alle due forme polari di


democrazie e totalitarismo
Linz aggiunge l’autoritarismo;
a queste tre in seguito
aggiungerà due forme di
organizzazione della comunutà
politiche ( non democratiche)
ovvero i regimi post-totalitari,
e i regimi sultanistici, che
costituiscono una forma di
dominio premoderna e ancora
diffusa in alcune aree
del globo.
 I regimi autoritari. Categoria originariamente formulata per dar conto al caso spagnolo e
della lunga dittatura di Francisco Franco, Linz individua quattro criteri dei regimi
autoritari:
[Quei regimi,] non democratici e non totalitari, [che] sono: sistemi a pluralismo limitato, la
cui classe politica non rende conto del proprio operato, che non sono basati su un’ideologia
guida articolata, ma sono caratterizzati da una mentalità specifica, dove non esiste
una mobilitazione politica capillare e su vasta scala, salvo in alcuni momenti del loro
sviluppo, e nei quali un leader (o, occasionalmente, un gruppo ristretto) esercita il potere
entro limiti mal definiti sul piano formale, ma in effetti piuttosto prevedibili.

 Il regime totalitario. Giovanni Sartori [1994, 126] ricorda che il totalitarismo è «un fatto
di estensione e, derivatamente, di penetrazione e intensità». Per contro, «in questa
ottica totalitarismo denota l’incapsulamento di tutta la vita associata dentro lo Stato, il
dominio capillare del potere politico su tutta la vita extra-politica dell’uomo»

Il regime totalitario è un sistema caratterizzato da monismo politico, ruolo indiscusso del


partito unico, ideologia codificata, articolata e finalizzata alla realizzazione di un
programma di politicizzazione della società, continue azioni di concreta mobilitazione
sociale con persecuzione sistematica di ogni attore non rispondente al programma, uso
indiscriminato della violenza repressiva e limiti non prevedibili rispetto all’uso del potere
gestito dal partito e dal gruppo dirigente in nome del leader stesso

Resilienza autoritaria e regimi ibridi


Quella versatilità e adattabilità dei regimi autoritari ha prodotto, da un lato, la resilienza di
forme che sembrerebbero anacronistiche, dall’altro, la comparsa di regimi ibridi, che
presentano tratti misti tra democrazia e autoritarismo, ma anche tra i diversi tipi di
autoritarismo.
regimi tradizionali. In verità 78si tratta di quei regimi che nello schema di Linz e Stepan [1996]
sono definiti regimi sultanistici. Altri casi, come quello già ricordato di Cuba oppure quello della
Corea del Nord di Kim Jong-un, ripropongono elementi tipici delle forme miste del XX secolo:
leader glorificati, partito unico, sovrapposizione dei ruoli civili e militari, leadership dispotica,
mobilitazione manipolata.
Stato teocratico imposto alla fine degli anni Settanta dalla rivoluzione khomeinista, che Linz fa
rientrare nei regimi di mobilitazione a base religiosa.
regimi militari, che spaziarono dalla forma pura – quella del militare «governante»
regimi civili-militari: le stesse dittature parafasciste instauratesi in Spagna e Portogallo negli
anni Venti e Trenta del XX secolo, oppure gli autoritarismi «populistici» basati sul carisma di un
establishment rivoluzionario (il caso della costruzione del castrismo a Cuba rimane il modello più
rilevante
Una recente sistematizzazione sull’insieme dei moderni autoritarismi [Brooker 2013] mette in
evidenza un mondo disomogeneo di dittature mascherate: talvolta la nuova dittatura si cela
dietro un sistema realmente semicompetitivo che tuttavia è insufficiente per far emergere una
reale alternanza democratica. Tuttavia, la gran parte delle nuove dittature si camuffa dietro
una parvenza di competizione garantita da opposizioni fasulle e un controllo sofisticato, ma non
invasivo, sulle offerte politiche alternative. Un caso rilevante al riguardo è quello dei
cosiddetti autoritarismi elettorali, che hanno le regole e le istituzioni formali della democrazia
competitiva tradendone però la logica di funzionamento e gli esiti.
Nel recente passato la letteratura ha messo in mostra una quantità di varianti dei cosiddetti
«regimi di transizione»: la pseudodemocrazia sarebbe un regime pluralista fantoccio in realtà
ancora sotto il controllo della coalizione di attori protagonisti dell’esperienza autoritaria.
La democrazia protetta sarebbe invece un vero regime transitorio nel quale la liberalizzazione
non è ancora sostenuta da un processo elettorale adeguato, mentre nella democrazia
elettorale avviene sostanzialmente il contrario, ovvero una competizione già aperta ma in
assenza di adeguate riforme relative alla garanzia dei diritti civili, alla neutralità della
magistratura e al ruolo dei militari. Nei fatti il concetto di «democrazia elettorale» è quasi del
tutto sovrapponibile a quello di democrazia illiberale, trattandosi di una combinazione di
elezioni e autoritarismo e, più esattamente, di regimi [i cui governanti] sono eletti
democraticamente […] e che ignorano i limiti imposti al loro potere dalla costituzione e privano i
cittadini dei diritti fondamentali.
Il modello che ha da ultimo preso piede nella letteratura comparata – quello di regime ibrido –
deve essere distinto rispetto a quello di regime di transizione, proprio per l’incertezza sulla sua
dinamica di medio periodo. Lo pseudototalitarismo coglie una situazione caratterizzata dalla
perdita di alcuni dei caratteri propri del regime totalitario, ad esempio la dimensione ideologica
o la mobilitazione capillare e coattiva della società, pur restando un regime sostanzialmente non
democratico.
Sui regimi ibridi si sono di recente soffermati Leonardo Morlino, Dirk Berg-Schlosser e Bertrand
Badie , i quali hanno individuato tre modelli di regime ibrido: le democrazie limitate,
specialmente sul versante della tutela dei diritti, le democrazie senza Stato, situazioni con
illegalità diffusa e ineffettività delle istituzioni statali, e le quasi democrazie, dove il rispetto
dei diritti è compromesso, mentre esistono corruzione e illegalità sistemica.

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